High Hopes

di Eevaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** But the world keeps spinning around ***
Capitolo 2: *** It takes me back to when we started ***
Capitolo 3: *** It's time to go out and start again ***
Capitolo 4: *** It's not that easy and I accept it now ***
Capitolo 5: *** I know it's crazy to believe in silly things ***
Capitolo 6: *** High hopes ***
Capitolo 7: *** Just scared of never feeling it again ***
Capitolo 8: *** When it all comes to an end ***



Capitolo 1
*** But the world keeps spinning around ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
PREMESSA
Questo primo capitolo si rifà ad una mia precedente One Shot pubblicata lo scorso maggio. Come avevo anticipato ho deciso ricavarne fuori una long, modificandone alcuni eventi (anche tenendo conto della trama di Spiderman Far From Home) e aggiungendo un'ultima parte che fungerà da collegamento per i successivi capitoli. 
Per chi avesse già letto la precedente One Shot consiglio vivamente la rilettura di questo primo capitolo, specialmente l'ultima parte che è completamente inedita.
Ai nuovi arrivati, invece, auguro una buona lettura!

N.B.
Peter in questa storia è maggiorenne - anzi, ben oltre che maggiorenne. Lo specifico per tutte quelle persone che ultimamente pensano di accusare di reato chi scrive storie in merito a questa coppia - che comunque è formata da personaggi NON REALI, vorrei ricordarvelo.



 
 HIGH
HOPES
CAPITOLO 1 - BUT THE WORLD KEEPS SPINNING AROUND


 
It's time to let it go, go out and start again
But it's not that easy
(High Hopes - Kodaline)

 
•••

 
Abbiamo vinto, signor Stark. 
Peter aprì gli occhi e serrò la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto. Non era passato un solo giorno, una sola ora o un solo minuto senza che quegli occhi riaffiorassero dall'angolo più recondito della sua mente. Occhi spenti, occhi che lo avevano guardato forse senza nemmeno vederlo veramente.
Deglutì aria, pregò qualsiasi divinità sopra l'Albero della Vita di prendersi almeno una goccia del suo dolore.
Mi dispiace... Tony...
Tutti odiano i funerali. Peter si scrutò intorno nel tentativo di trovare altri occhi, occhi così simili a quelli da lui sognati, ricordati. Tuttavia quegli occhi erano distanti, volti verso ciò che era rimasto della sua famiglia. Una bara color avorio calata lentamente in uno spiazzo a lei oramai noto. Una bara adornata di petunie profumate e ghirlande allegre, in un giorno che di allegro non aveva proprio niente.
Morgan Stark non pianse quel giorno, ma Peter ne era certo: una tempesta la stava annegando da dentro. Ed era anche certo che lui fosse uno dei pochi, tra la folla di quelle persone silenziose, a capire veramente come potesse sentirsi. Perché anche lui l'aveva vissuto, anche lui l'aveva provato sebbene fosse solo un bambino. Sapeva bene cosa volesse dire essere orfani.
Nessuno meriterebbe di provare sulla propria pelle una simile sofferenza, ma lei meno di tutti. Non Morgan, non la bambina che aveva giurato di proteggere da ogni male otto anni prima.
Cercò il suo sguardo nuovamente e dopo pochi minuti lo trovò, quando oramai la terra umida stava ricoprendo la dimora dove sua madre avrebbe riposato per sempre, accanto a Tony.
Si era ammalata pochi mesi prima e a nulla avevano potuto le cure mediche; le avevano tentate tutte, ma niente aveva funzionato. Alcune malattie del nuovo millennio avevano attuato una resistenza farmacologica spietata. Per Pepper Potts non c'era stato nulla da fare.
Morgan era rimasta sola. Peter la osservò a lungo, sostenne il suo dolore con lo sguardo. C'era Tony in quegli occhi scuri. C'era la sua forza, c'era la sua sfacciataggine e il suo cuore.
Peter Parker aveva vissuto otto lunghi anni sopportando il dolore che la morte del signor Stark aveva provocato. Era riuscito - seppur morendo anch'egli dentro - a vivere in un mondo senza Ironman. Così come ce l'aveva fatta a crescere perdendo entrambi i suoi genitori e poi suo zio Ben. Ma lei no. Morgan non lo meritava, e avrebbe dato persino la sua vita pur di aiutarla. L'aveva giurato sulla tomba di Tony.
E, proprio per quel motivo, si rese conto solo in quel momento di cosa avrebbe dovuto fare. Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per lei.

L'avrebbe riportato indietro.

 
I know it's crazy to believe in silly things
But it's not that easy

 


Ci aveva riflettuto a lungo su cosa fare e come farlo. A dire il vero ci aveva pensato già otto anni prima - giusto dopo aver risolto la catastrofe causata da quel farabutto di Quentin Beck. Aveva elaborato un piano infallibile basato anche sui princìpi fisici che avevano utilizzato gli Avengers per riportare indietro tutti i blippati. Ma, ogni volta che aveva provato anche solo a pensare di mettere in pratica il suo piano, una voce profonda e risoluta l'aveva riportato con i piedi per terra.
Non fare nulla che io farei. E soprattutto non fare nulla che io non farei.
Tony era una presenza indistricabile dalla sua mente. I suoi consigli, il suo modo di ragionare gli si era radicato nel profondo e non riusciva più ad agire da solo. Lui c'era sempre. Anche se Tony, se fosse stato al suo posto, avrebbe agito d'impulso e avrebbe operato allo stesso modo. Tuttavia c'erano le vite dei suoi amici e della sua famiglia, in ballo. Sarebbe stato davvero saggio tornare indietro nel tempo alla battaglia contro Thanos?
E se fosse rimasto ucciso? Chi avrebbe difeso Manhattan? Tony non avrebbe mai voluto che lui rischiasse la vita per salvare la sua. E se - ipotesi ancor più amara - Thanos avesse approfittato del collegamento per saltare nella loro epoca? E se avesse ucciso Morgan?
Troppi se. Troppi pericoli racchiusi in quel piano. Allora aveva rimandato, aveva desistito, aveva stretto i denti, aveva imparato a vivere con il peso sulle spalle di dover difendere il mondo al posto di Tony e con il peso nel cuore di non poterlo più riabbracciare. Mai più. Fino a quel momento.
Fino alla morte di Pepper Potts, fino a quando non aveva percepito l'esistenza di Morgan andare in frantumi. E allora non era più solo un suo fardello, non era più egoismo.
Voleva troppo bene a Morgan Stark, così tanto bene da sentirsi in dovere di rischiare. E se fosse morto, beh, sarebbe morto cercando di fare qualcosa di veramente buono. Come l'eroe della sua infanzia. Come Ironman.
Per una volta avrebbe ignorato la voce di Tony Stark dentro la sua testa per poter agire indisturbato. Aveva elaborato un piano studiato nei minimi dettagli, ma per metterlo in pratica gli sarebbe servito più che un semplice aiuto. E chi se non Bruce Banner avrebbe potuto aiutarlo nella sua missione? Chi se non lui avrebbe potuto accettare?


«MA SEI IMPAZZITO!?»
Appunto. Ebbene, non sempre lo svolgersi reale dei fatti era andato nella stessa direzione delle sue fantasie.
«Ti rendi conto di che follia sia mai questa?» soffiò Bruce, con ambedue le mani poggiate sulla scrivania e gli occhi verdi spalancati. Lo sapeva. Aveva sempre temuto che ciò accadesse, che Peter corresse da lui con un'idea simile, ma con il passare degli anni aveva tirato un sospiro di sollievo. Aveva sperato che il ragazzo non fosse così intelligente da architettare un vero e proprio viaggio nel tempo. Proprio per quello non gli aveva mai parlato nei dettagli di come avessero fatto a radunare tutte le Gemme dell'Infinito per riportare in vita tutti, ma evidentemente si era sbagliato. Il ragazzino aveva capito tutto e aveva elaborato qualcosa di geniale. E pericoloso. Proprio come avrebbe fatto Tony.
«Sono pazzo? Sì, sono pazzo. Ma è davvero una follia? È così infattibile?» domandò Peter, sventolandogli ancora una volta il progetto davanti al muso verde, prima che il dottor Banner glielo strappasse di mano senza troppi complimenti.
«Lo so che sai perfettamente che questa roba è fattibile. Al cento per cento. È questo il problema: tu non mi stai chiedendo se si può fare, tu mi stai chiedendo di darti il modo di farlo» insinuò Bruce sottecchi, appallottolando il foglio degli appunti e sbattendolo con violenza nel cestino.
«Sono così un libro aperto?» domandò Peter, stretto tra le spalle in un sorriso di scusa.
«Sei un libro che ho già letto!» precisò Banner, alzando gli occhi al cielo. Maledisse Tony e l'influenza che aveva esercitato su quel ragazzino. Era tale quale a lui. «Parker, la mia risposta è no. Rischieresti di mettere in pericolo te stesso e tutto questo mondo».
«Sì, e avrei dovuto farlo tempo fa! Dannazione, se ci fosse una possibilità, anche solo una di riportarlo qui...» Peter alzò il tono temendo che, quella volta, avrebbe dovuto persino usare la forza per ottenere qualcosa. Sperò davvero di non giungere a tanto. Bruce Banner era un membro della sua famiglia; lo stimava, lo ammirava e, soprattutto, gli voleva bene. 
«Non ti darò i miei strumenti e soprattutto il mio consenso per suicidarti!» lo rimbeccò Hulk. Gli puntò un dito in volto e iniziò a ringhiargli in faccia, interrotto però da una voce dirompente che proveniva dall'ingresso del laboratorio.
«Ma io sì».
Peter strabuzzò gli occhi. Il dottor Stephen Strange aveva appena realizzato il suo ingresso trionfale con indosso una delle sue migliori espressioni indecifrabili. Da quanto era lì? Stava origliando o aveva utilizzato uno dei suoi mistici poteri per scardinare il lucchetto delle loro menti?
«Strange, per favore! Lo sai che è pericoloso!» sibilò Banner, con entrambe le mani sulle enormi tempie. Ci mancava solo quel visionario per rendere ancor più folle quella giornata! 
«Non eri tu quello che diceva che mettere mani nelle linee temporali è sbagliato?!»
«Credo che oramai la frittata sia fatta, no? Siamo già in una linea temporale alternativa da quando avete compiuto il primo viaggio nel tempo. E... ho visto nella mia mente i piani del ragazzo. Mi sembrano sicuri. Ci sono molte probabilità di buona riuscita» spiegò atono, posizionandosi a fianco del giovane Spiderman, le quali mani iniziarono a tremare d'impazienza.
«E... e quante probabilità di fallimento?» domandò Peter, pregando le sue gambe di non cedere. 
Sapeva che il dottor Strange - dopo il contatto con la Gemma del Tempo - avesse interiorizzato alcuni poteri premonitori. Buona riuscita, aveva detto. Questo significava che Stephen avesse visto Tony, lì. L'aveva visto a casa
«Altrettante» precisò Strange con un sorriso mesto.
Peter non seppe dire se si trattasse di una delle sue magiche abilità – telepatia, controllo della mente o cos'altro – ma ciò che gli occhi di Stephen Strange stavano suggerendo era senza dubbio un incoraggiamento. Perché, sebbene ci fossero più che irrisorie possibilità di fallimento, il gioco sarebbe valso eccome la candela.
Gli occhi del giovane Avenger si illuminarono di attesa, ansia, gioia ed entusiasmo. Fremette al solo pensiero, ma dovette trattenersi dal manifestarlo liberamente. Si limitò a sorridere orgoglioso e, volgendo il proprio sguardo verso Bruce, trovò qualcosa di inaspettato.
Hulk serrò la mandibola e i pugni, trovando quel coraggio che pensava di aver perduto. Un coraggio inflitto dall'entusiasmo di un ragazzino – che poi ragazzino più non era. Un nuovo fuoco, una nuova luce da seguire. Una nuova speranza.
«Andiamo a riprenderci quel figlio di puttana».

 


Non fu semplice mantenere la segretezza della questione, non in quella gabbia di matti. La nuova base degli Avengers pullulava di supereroi notte e giorno. Era dimora fissa di molti di loro e porto di mare per tutti gli altri, anche eroi "minori", amici e familiari prossimi.
La T.S.M.A.F (Tony Stark Memory Avenger Facility) era stata stata erta nei pressi di Kings Point Park, a due passi dal Queens in direzione Long Island. In principio l'idea era stata di costruirla dai resti della vecchia base distrutta da Thanos e le sue truppe, ma molti degli Avengers si erano categoricamente rifiutati di vivere nei pressi dell'Hudson River. Troppi ricordi, troppo dolore. Perciò, dopo un consiglio con lo S.H.I.E.L.D durato settimane, avevano deciso di collocare il loro nuovo quartier generale in un luogo differente, limitrofo all'accademia militare e abbastanza vicino a Manhattan. Peter si era trasferito nella sede non appena aveva saputo che anche la signora Potts e Morgan avrebbero vissuto lì. Gli era dispiaciuto lasciare sola zia May, tuttavia aveva convenuto che - essendo oramai un Avenger in veste ufficiale - avrebbe dovuto prendersi tutte le responsabilità e vivere come tale. E così avrebbe potuto tenere la sua protetta sott'occhio.
Con il passare degli anni erano stati sempre di più gli eroi che si erano trasferiti in pianta stabile in quel posto ma, sebbene la compagnia fosse piacevole, a volte subentrava il problema della privacy. Specialmente da quando erano arrivati i Guardiani della Galassia e avevano fatto della T.S.M.A.F il loro primo quartier generale.
Peter li adorava in tutto e per tutto ma, quando si trattava di segretezza e basso profilo, Quill e Thor erano una vera e propria spina nel fianco. C'era da dire che l'alcool non mancava mai nelle dispense, quando c'erano loro nei paraggi.

Strange, Banner e Parker avevano dovuto operare negli orari più improbabili, accampare scuse al limite dell'imbarazzante per poter lavorare al loro progetto segreto senza interruzioni. Come aveva suggerito il dottor Strange, infatti, meno persone erano a conoscenza di quel piano, meno avrebbero rischiato ripercussioni. Probabilmente nelle sue visioni futuristiche aveva previsto rocambolesche disavventure se solo i Guardiani della Galassia avessero partecipato alla missione. Meglio tenerli fuori dai guai.
Per cinque giorni avevano perfezionato la tecnologia oramai datata dei bracciali per viaggiare nel tempo, migliorandone le prestazioni di precisione del percorso nel Regno Quantico e recuperando le particelle necessarie per poterne usufruire.
Banner aveva fatto in modo di entrare nel sistema di spionaggio per dare nuove missioni o meeting agli eroi, per poter rendere la base sicura e vuota in vista della missione. Peter aveva convinto Happy a portare Morgan a fare un giro a Manhattan dopo la scuola, così da dar loro più tempo di mettere in pratica la questione. Non che ne servisse molto, di tempo: a tutti gli effetti il viaggio – cronometrandolo dall'epoca attuale - sarebbe durato all'incirca quindici secondi, nulla più.
«Dati di partenza : 27 settembre 2031. Ore 12.00» registrò come ultima annotazione il dottor Banner, dopo aver settato le manopole della piattaforma. Si guardò intorno e controllò le telecamere di sorveglianza della base. Tutto sembrava tranquillo, ogni cosa al proprio posto.
«Siamo pronti?» fremette Peter, impacchettato nella tuta grigia e rossa che gli avrebbe permesso di viaggiare nel tempo. Sotto ad essa era già pronta quella di Spiderman. Se tutto fosse andato come previsto non sarebbe stato necessario combattere molto, ma la sicurezza non era mai troppa.
«Non essere impaziente, Parker. Ricordati di mantenere la calma, qualunque cosa tu veda» ribadì il dottor Strange, posizionandosi sulla piattaforma in via di attivazione.
Peter annuì nervoso e soffiò con le labbra, nel tentativo di purificare i suoi polmoni dall'ansia e mantenere il respiro regolare.
«11.59. Siamo tutti pronti?» domandò Bruce, dopo aver raggiunto gli altri viaggiatori ed essersi posizionato al loro fianco. Entrambi annuirono.
Si è mai davvero pronti per viaggiare nel tempo?
«Attenetevi al piano e, qualsiasi imprevisto succeda, tornate subito indietro e fate in modo che nessuno si attacchi a voi» ricordò Strange con minuzia, lasciando poi che la maschera protettiva della sua tuta gli avvolgesse il viso, a lui come a tutti gli altri.
I secondi che li separavano da quella che sarebbe stata l'ennesima folle avventura sembrarono perdurare in eterno. Il respiro di Peter si fece più intenso all'interno della maschera, la tensione quasi gli annebbiò la vista.
Non fare niente che io farei.
Il ragazzo chiuse gli occhi e scosse la testa per cacciare quella voce in un angolo remoto della mente.
Non stavolta, signor Stark – pensò Peter. Era il momento di fare esattamente ciò che Tony avrebbe fatto. 
«Si parte».

 
But I've got High Hopes,
it takes me back to when we started

 
 

 
–2023–
 
Il grido degli Avengers e di tutti gli eroi dei mondi risuonò immenso e devastante. Un grido che riempie la pancia e fa vibrare le corde vocali. Un grido che smuove emozioni, paure, pensieri. Una montagna. L'universo.
Quei brividi lungo la schiena, Peter li aveva già provati. Ciò che non si aspettava fu che li avrebbe percepiti di nuovo, intensi, amplificati. Con il panico tra le caviglie, il cuore in subbuglio e la speranza sulle spalle.
Eccoli, tutti gli eroi di quella guerra che da lì a poco avrebbero vinto ad un prezzo troppo alto.
Con una precisione del novantanovevirgolanovepercento, erano giunti proprio nel momento di quel grido, di quell'urlo all'infuriare della battaglia. Nessuno, tra la follia e la confusione, sembrava essersi reso conto della loro presenza. Il vero problema? Quello zerovirgolaunopercento. Erano giunti troppi minuti in anticipo. Ovvio.
La tuta da Time Patroller di Peter si dissolse, rendendo scoperta quella di Spiderman. Si guardò intorno, tutti stavano correndo ma lui rimase immobile, fermo a osservare un punto preciso all'orizzonte. Ironman.
Mi dispiace... Tony...
«Peter, vai! Posizionati! Adesso!» lo incitò Bruce, voltandogli poi le spalle e iniziando a correre nella direzione opposta.
Il giovane Parker scosse la testa, percepì i polmoni bruciare e le dita dei piedi diventare insensibili. No, quello non era il momento per farsi cogliere da un attacco di panico. Proprio no. Tuttavia era come se qualcuno gli avesse aperto in due lo sterno per rubargli l'ossigeno. Non era facile
 vederlo lì, ancora vivo – ancora per poco.
Ma, d'improvviso, una voce familiare alle sue spalle lo colse di sorpresa.
«Bimbo Ragno! Ti sei arrugginito in questi cinque anni?! Andiamo!» ridacchiò Pepper dall'alto della sua armatura. E chi, se non la signora Potts, avrebbe potuto spronarlo a compiere ciò per cui era giunto lì?
La guardò muoversi in direzione della battaglia, lanciarsi tra la folla con il coraggio di una leonessa e la grinta degna di un vero supereroe. Fu bello vederla ancora, viva e in salute. Ma non era quello il momento di piangere di nuovo la sua scomparsa, non era quello il momento di tergiversare. Era il momento di agire.
Si lanciò anch'egli nella direzione prestabilita, saltando e muovendosi leggiadro con un solo vero intento: fermare se stesso.
Sapeva dove si trovasse, sapeva bene che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato accorrere in aiuto di Tony Stark e, infatti, puntuale come un orologio svizzero, eccolo. Ecco Peter. Quel Peter ancora ignaro, giovanissimo, frizzante, entusiasta. Capì perché Tony lo avesse sempre chiamato ragazzino. Un ragazzino molto forte, quello era proprio vero. Guardò se stesso stendere senza difficoltà un avversario, intrappolare tra le ragnatele uno di quei mostri dall'aspetto orrendo e sfrecciare a tutta velocità verso quel luogo. Quel momento.
Tony, come da copione, venne colpito da un nemico e cadde a terra. E Peter, come previsto, fece per agganciare con un ragnatela il grosso avversario che stava per schiacciarlo.
Vieni qui, fatti abbracciare.
Parker, quello più adulto, deglutì. Quel momento. Alzò il braccio nella sua direzione e si preparò. Era il momento di agire senza esitazioni, ma l'esitazione lo prese per i capelli.
Come avrebbe fatto a privare il giovane Spiderman di quel momento? Una delle poche cose che gli erano rimaste di Tony. Il calore di quell'abbraccio, i suoi occhi che gli avevano urlato silenziosamente quanto gli fosse mancato e quanto fosse fiero di lui.
Si sentì male al solo pensiero di non lasciare più nemmeno quello al giovanissimo sé, in quella linea temporale nuova che stavano per andare a creare. Avrebbero portato via Tony, e Peter non avrebbe avuto l'occasione di salutarlo. 
Si morse il labbro inferiore e tremò. Quello era il loro piano e avrebbe dovuto attenersi ad esso, pena il fallimento di ciò che stava progettando da otto lunghissimi anni. E allora cosa rimaneva da fare, se non lanciare quella ragnatela in direzione di se stesso?
Chiuse gli occhi per un attimo, un solo secondo, poi agì. 
«Ehi, ma che diavolo!» urlò il giovane Parker intrappolato a un masso, tentando di districarsi da qualcosa che sapeva bene cosa fosse e poi, d'improvviso, si congelò. Era forse uno scherzo? Una presa in giro di cattivo gusto? Si specchiò negli occhi del suo avversario non capì. Non riuscì a ragionare, non riuscì nemmeno più a parlare.
«Scusami» soffiò Peter mordendosi poi la lingua e, così come era apparso, scomparve dalla vista del suo gemello del passato.


«Perdonami, Clint!» mormorò Hulk, lapidario, poi prese per le gambe Occhio di Falco e lo fece ribaltare su se stesso, sottraendogli il Guanto dell'Infinito. Corse. Corse con il guanto tra le mani tirando spallate a tutti coloro che avevano intenzione di rubarglielo, per cercare così di custodirlo fino all'arrivo di Carol.
Aveano pensato a tutto, nel loro piano. Non avrebbero certo potuto condannare quella dimensione alla distruzione portandosi via Tony e tanti cari saluti. Captain Marvel avrebbe schioccato le dita senza ricavarne conseguenze, ma l'arrivo di Carol era previsto da lì a cinque minuti. E cinque minuti, in un momento come quello, sarebbero sembrati senza dubbio una vita.


Merda. Merda. Merda. Aveva fatto del male a se stesso. Merda.
Peter balzò in alto nel tentativo di vedere cosa stesse combinando Hulk, e lo vide esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto essere. Questo avrebbe significato solo una cosa: era giunto il momento.
«Qualcuno ha visto un furgone marrone orrendo?!» urlò Steve in lontananza, ma Peter lo ignorò.
Cadde in piedi e si voltò di scatto verso Ironman.
Ma qualcosa era andato senza dubbio storto. Perché Ironman, debilitato dalla caduta di poco prima, non aveva fatto in tempo a rialzarsi. Nessun Peter era andato in suo soccorso per sollevarlo dalla polvere. Non c'era stato nessun abbraccio, nessun contatto e Tony Stark era rimasto a terra, schiacciato dal grosso peso di un nemico ben più grande di lui.
«Oh no!» soffiò Spiderman, accorrendo in suo soccorso.
Con l'aiuto delle ragnatele esercitò una trazione sufficiente per levargli di dosso l'avversario, ma ci vollero tanti, troppi secondi preziosi. Con un tonfo fece cadere la carcassa poco lontano e si avvicinò a Tony di tutta fretta per controllare che stesse bene, ma era evidente che così non fosse.
«Signor Stark!» urlò Peter. Lo scosse e gli tolse dal volto ciò che rimaneva del suo elmo di Ironman, andato parzialmente distrutto. Provò un brivido. Una scossa elettrica nell'averlo lì, vicino a lui, seppur con gli occhi chiusi e una ferita vistosa a lato della testa.
«EDITH!»
Perdita di conoscenza. Possibile trauma cranico. Segnali vitali stabili -
«Porca puttana!» imprecò il ragazzo, smettendo di scuoterlo. Si portò entrambe le mani nei capelli e si maledisse.
Era svenuto. Solo svenuto, nulla di più. Nemmeno quello era il momento di farsi prendere dal panico, tuttalpiù che una mandria di mostri stava giungendo nella loro direzione con un'aria decisamente poco amichevole. No, non avrebbe potuto rischiare di fare il salto temporale in quel momento e trascinarsi dietro uno di quei tizi.
Si alzò sulle gambe e fece l'unica cosa che c'era da fare: difendere Tony Stark con tutte le sue forze.


«EEEHI! LIBERAMI! LIBERAMI, DANNAZIONE!» urlò il giovane Peter Parker ancora intrappolato tra le rocce in una ragnatela viscosa. Guardò con disappunto quella che era senza dubbio la controfigura di se stesso combattere vicino al corpo esanime di Ironman.
«SPIDER-CHIDIAVOLOSEI-MAN! LIBERAMI SUBI-» gridò ancora il Peter di quell'epoca, interrompendosi però alla vista di una saetta, un fulmine nel cielo, un rombo mai udito in vita sua. Alzò gli occhi e il fiato sembrò mancargli dai polmoni. «Oh mio Dio!»
Era stato un secondo. Una frazione di un attimo subatomico nel continum spazio-tempo. La salvezza.
Captain Marvel era giunta – meglio tardi che mai – disintegrando in mille pezzi l'astronave di Thanos.
Scintille, scoppi, grida. Troppa confusione, troppo pericoloso stare in quel luogo intrappolato nella sua stessa ragnatela.
«KAREN! Fa' qualcosa!» supplicò Spiderman nel tentativo di liberarsi. Se non l'avesse fatto, sarebbe potuto finire schiacciato da un rottame o divorato da qualche alieno.
Sono spiacente, il sistema è inibito -
«Porca... oh, merda, merda!» si sforzò ancora una volta il giovanissimo Peter, vedendosi arrivare addosso qualcosa con un peso almeno quattro volte il suo. Chiuse gli occhi aspettando l'impatto ma l'impatto non avvenne e, quando li riaprì, il dottor Strange apparve di fronte a lui intento a manipolare la materia.


Ce l'aveva fatta, aveva resistito fino all'ultimo. Aveva combattuto di nuovo in quella guerra, fino allo stremo delle sue forze. Era scappato da Thanos e i suoi seguaci aspettando quel momento e quel momento era finalmente arrivato: Carol Danvers era giunta sul campo di battaglia, e con lei la speranza per quell'universo di poter continuare a esistere. La loro unica possibilità di vincere la guerra.
Bruce corse nella sua direzione, giunse al suo cospetto con il fiato corto e diverse escoriazioni sulle braccia.
«FALLO SUBITO! FALLO ORA!» le gridò, conferendole il potere dell'infinito. Lei sollevò un sopracciglio, sorpresa e confusa.
«Ma che-»
«NIENTE DOMANDE! ORA!» abbaiò Bruce, costringendola con la forza a indossare il guanto. Una luce abbagliante, accecante, un rombo di tuono.
Bruce si allontanò di qualche metro guardandosi indietro e, come prevedibile, si accorse che tutto ciò non era affatto passato inosservato.
Thanos, molti metri distante, iniziò a tremare di rabbia. E, ineluttabile, iniziò la sua cavalcata nella loro direzione.


«Dottor Strange, mi liberi! Presto!» trillò il giovane Peter con veemenza. Tony Stark era a pochi metri da lui, steso a terra. Aveva bisogno del suo aiuto e, sebbene ci fosse già un suo fac-simile a coprirgli le spalle, avrebbe dovuto comunque fare qualcosa per proteggerlo. Tuttalpiù che era stata quella copia di se stesso a intrappolarlo lì. E se fosse stato un impostore? O peggio ancora, Loki?
«Temo di non poterlo fare, Parker» disse Stephen lapidario, volgendogli poi uno sguardo amaro.
«Ma come! Lei può fare tutto, usi i suoi cerchi magici e mi liberi, presto! Devo salvare Tony, devo anda-» parlò in fretta Peter, interrompendosi però alla vista di qualcosa di strano, di insolito. Il dottor Strange era lì davanti a lui, ma allora com'era possibile che, a molti metri di distanza, ce ne fosse un altro intento a combattere? Li guardò e fece scattare gli occhi prima su una e poi sull'altra figura, a intermittenza. Poi volse lo sguardo verso l'altro Spiderman. Lo guardò bene, con attenzione, e si soffermò sui dettagli del volto di quella copia di se stesso. C'era qualcosa di strano in lui, i suoi occhi erano più stanchi, le sue guance meno piene, le labbra più sottili la mascella più definita. Lo guardò sconfiggere tutti i nemici intorno e poi avvicinarsi alla figura del signor Stark, lasciandosi avvolgere da un'armatura diversa da quella di Spiderman. 
Un colpo al cuore. Una raffica di vento si portò via tutte le nubi della sua mente. Capì.
«C-che cosa... c-cosa... cosa state facendo?» soffiò Peter. Strange rispose al suo sguardo con un'espressione addolorata in volto, poi premette un pulsante su uno strano orologio che attivò lo stesso tipo di armatura indossata dall'altro Spiderman.
«Gli stiamo salvando la vita» sussurrò Strange. Spostò il focus su un punto lontano del campo di battaglia, e attese con impazienza che Captain Marvel facesse quanto Hulk le avesse suggerito.
«Come sarebbe? C-cosa... cosa vuol dire?! Dove...» balbettò Peter, con il cuore martellante nel petto e la gola secca.
«Mi dispiace, ragazzo. Dobbiamo portarlo via. È l'unico modo per far sì che viva» spiegò Stephen, con sincero dispiacere.
Peter sussultò. Portarlo via? Dove? Dove diavolo dovevano portarlo? Quando sarebbe tornato? E... sarebbe davvero tornato? Si sentì morire, percepì il proprio corpo sprofondare in un abisso freddo di ombre.
«Lo... lo rivedrò?» domandò con il groppo in gola, conoscendo però già in cuor suo la risposta.
Strange chiuse gli occhi nel cogliere nel tono di voce di Spiderman il terrore, la disperazione. Una disperazione che aveva già potuto vedere negli occhi del suo gemello dell'epoca futura. E allora perché non dare lui un suggerimento? Perché non fare in modo che egli comprendesse che una possibilità ci fosse? Loro avevano variato la dimensione del tempo, avevano creato un nuovo ordine delle cose. E se quello fosse stato il nuovo ordine?
«No, ragazzo» decretò Strange deglutendo aria, «non nella tua epoca, almeno» aggiunse infine, prima di vederlo crollare in un pianto di angoscia e terrore.
«NO! NOOOO! SIGNOR STARK, SI SVEGLI! NOOOO! LA PREGO... TONY!» urlò il giovane, paonazzo.
Magari, un giorno, quel Peter sarebbe tornato indietro nel tempo per salvare la vita a un altro Tony Stark. 
Ma quello Peter non lo capì, non subito almeno.
Ci sarebbero voluti ancora otto anni.


Si dice che si possa cambiare il mondo con uno schiocco di dita.
Quel giorno, in quel tempo, in quel punto preciso dello spazio, cambiò l'intero universo. E a cambiarlo non fu Tony Stark, non fu Ironman a deviare le sorti del cosmo. Non occorse nessun sacrificio, nessuna morte. Perché, proprio pochi istanti prima che Thanos la raggiungesse, Carol schioccò le dita. Salvò tutti da una distruzione certa, tutto questo grazie a Hulk. Hulk ci era riuscito, aveva compiuto il suo dovere senza ripercussioni.
Tutto divenne bianco per un secondo, e Peter capì che quello era l'esatto istante in cui agire, portare a conclusione quella missione folle. Si lasciò avvolgere dalla tuta per il viaggio nel Regno Quantico, allacciò un orologio al polso di Tony e attivò anche la sua armatura, settandogli la destinazione d'arrivo. 
Ce l'abbiamo fatta, signor Stark. Abbiamo vinto.
Quella volta sul serio. Quella volta avevano vinto per davvero. Loro, il loro universo ce l'aveva fatta.
Ma, se per lui si era concluso un cerchio durato otto lunghissimi anni, un nuovo mondo stava per affrontare la vita senza Ironman.
Peter guardò in direzione di Spiderman, quello più giovane, e si aggrappò ai suoi occhi. Si sentì morire per lui.
«Mi dispiace» sussurrò pochi istanti prima di scomparire nel nulla, lasciando indietro solo una lacrima che cadde sul terreno, spezzando quel silenzio surreale.

 
High hopes, when it all comes to an end
But the world keeps spinning around


L'orologio iniziò a ticchettare i primi secondi di quello che sarebbe stato il lungo cammino verso quel giorno.
27 settembre 2031.
Il giorno in cui il mondo avrebbe riavuto indietro Ironman.


 

 
-27 settembre 2031. Ore 12.01-
 
Orecchie ovattate, suoni confusi. Poco prima migliaia di voci stavano riempiendo la sua testa e in quel momento, invece, regnava il silenzio. Un fischio lungo e acuto. Un dolore dalla base del cranio fino alla tempia destra, pulsante, lacerante.
Provò ad aprire gli occhi ma vide tutto bianco. Troppa luce, troppe scintille. Respirò a pieni polmoni e l'aria aveva un odore strano, diverso. Non c'era più traccia di sangue, polvere e sudore. Solo un odore forte di disinfettante... o detersivo per pavimenti.
«Fallo appoggiare lì, alla parete. Mettilo seduto con la testa appoggiata» una voce lontana lo fece tremare. Si sentì sostenere da mani forti, essere manipolato come un gattino leggero e impaurito. Conosceva quella voce profonda: Bruce Banner. Sì, era senz'altro lui. Allora era al sicuro, era salvo!
«Si sta svegliando» constatò un'altra voce, più chiara, più vicina. Il fischio nelle orecchie sembrava essere diminuito, davanti agli occhi meno luce, qualche ombra, qualche colore.
Un singhiozzo. Un profumo conosciuto ma che non riusciva a catalogare. Qualcosa che lo stava avvolgendo sembrò rompersi - o disattivarsi. Un'armatura?
Sbatté le palpebre tre volte, così si accorse che immagini sfocate iniziarono ad apparire. Rosso e blu. Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata. Si concentrò più a fondo, voleva e doveva capirci di più. Ed ecco che l'immagine iniziò a divenire nitida, sempre più definita fino a quando finalmente vide. Lo vide. Lui.
Cinque anni. Erano passati cinque anni da quando lo aveva guardato l'ultima volta, da quando gli era scivolato via dalle dita come polvere.
Signor Stark, non mi sento molto bene.
Tony chiuse gli occhi, quel ricordo era come una stilettata al cuore. Li riaprì con calma, come per essere certo che non si trattasse di un sogno, di mera immaginazione. Ma perché mai avrebbe dovuto esserlo? Li avevano riportati in vita pochi istanti prima, quindi era naturale che lui fosse lì. Ma lì dove?
I suoi occhi nocciola lo fissarono umidi. Stava piangendo inginocchiato tra le sue gambe.
«P-Pe... Peter» soffiò, con voce rotta. Era come un miraggio vederlo. Solo Dio – ammettendo la sua esistenza - sapeva quanto l'avesse sognato, quante volte si era sentito sull'orlo del baratro a ripensare a quell'ultimo istante in cui l'aveva tenuto tra le braccia guardandolo scomparire.
Peter singhiozzò di nuovo, lasciando cadere lacrime sulle guance coperte di polvere. Perché non ci riuscì. Non riuscì a resistere, a darsi un contegno, a mantenere la compostezza che avrebbe voluto dimostrare. Perché per lui erano passati otto anni, e in otto anni non avrebbe voluto fare altro se non gettarsi ancora tra le sue braccia. E così fece.
Appoggiò il volto contro il petto di Tony, proprio dove era incastonato il reattore ARC ancora funzionante e brillante di luce blu. Singhiozzò ancora più forte, incapace di trattenersi.
Stark spalancò gli occhi e avvolse la schiena del ragazzino con le braccia meccaniche della sua tuta da Ironman malridotta. Lo strinse con incredulità e annusò il profumo dei suoi capelli, collegando finalmente la fragranza a quella sentita poco prima. Bimbo Ragno. Ecco chi.
«Pete... oh, Dio... sei davvero tu. Sei tornato!» gracchiò Tony, esterrefatto, guardando poi oltre le spalle forti del ragazzo per mettere a fuoco altre due figure conosciute.
Bruce e Strange lo guardarono di rimando, spiazzati da quella frase appena pronunciata. Del resto Tony non lo sapeva, ma era lui a essere tornato, per loro. Per quell'universo.
«S-signor Stark!» urlò Peter con la voce rotta dai singhiozzi, aggrappandosi ancora più forte all'armatura, come se avesse paura di vederlo scomparire da un momento all'altro.
«Ehi, ragazzo, calmati... sono qui» sussurrò Ironman con un groppo in gola. Per quale motivo Peter era così disperato? Era lui quello che aveva vissuto cinque anni senza vederlo e senza vedere tutti gli altri scomparsi. Per loro dovevano essere passati pochi secondi, no?
Esercitò una leggera pressione sulle spalle del ragazzo e lo costrinse ad allontanarsi. Fece male. Avrebbe voluto tenerselo stretto ancora un po' – gli era mancato davvero, quel maledetto ragno – ma c'erano troppi dubbi che intricavano la sua mente. Troppe domande nella sua testa, troppa tensione tra i suoi muscoli.
«Mi dispiace, signor Stark» soffiò Peter a testa bassa, sforzandosi oltre ogni modo di smettere di piangere. Si morse il labbro e strinse i pugni sulle proprie cosce.
«Ma di cosa... ma che dici? Che cosa è successo?» domandò Stark, inarcando un sopracciglio. Posizionò mano libera dall'armatura sulla spalla del suo protetto e lo scosse, ma questi strizzò gli occhi e ne fece uscire altre lacrime. «Ragazzo, datti una calmata!»
«Mi dispiace» ripetè, con la mandibola contratta in una smorfia di dolore. Nella sua mente comparvero di nuovo gli occhi dell'altro Peter, di quello che aveva lasciato nel passato solo, ad affrontare il suo stesso dolore.
Si sentiva in colpa, e aveva paura che Tony si arrabbiasse nello scoprire cosa avessero fatto.
«Ehi, respira lentamente. Dimmi cosa è successo. La battaglia? Dove siamo?» domandò il signor Stark, con voce il più possibile tranquilla per tentare di rassicurarlo, cosa che – per inciso – non funzionò proprio alla grande. Fece scorrere la mano dalla spalla fino al suo mento, ed esercitò una leggera pressione per costringerlo a incontrare il suo sguardo. «Peter guardami, cos'è...»
Le parole gli morirono in gola. No. Non poteva essere vero.
«P-Peter... da quando... da quando hai la barba?» domandò a occhi sgranati, e Peter deviò ancora una volta lo sguardo. E proprio lì, attorno al polso della sua armatura, vide un orologio quantico. Anche Peter ne aveva uno. 
Tony avvertì una corda attorno al proprio cuore stringere e stringere ancora fino a farlo esplodere. Strabuzzò ancor di più gli occhi e li incatenò a quelli del dottor Strange. Tutto sembrò acquisire senso. Un senso che gli fece venire la nausea.
«Quando siamo?»



 
Continua...
 

ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti! Come promesso ho deciso di scrivere il continuo della mia precedente One Shot.
Spero davvero che la trama di questo primo capitolo vi abbia intrigato e che la coppia PeterxTony vi piaccia. Personalmente io li avevo sempre considerati come un padre e un figlio fino a qualche mese fa, questo anche a causa della grande differenza di età tra di loro, e anche perché ho sempre shippato Tony e Cap come non mai xD
Ma perché fissarsi per forza su qualcosa di ovvio, quando ci si può sperimentare in qualcosa di nuovo? Così sono andata a leggermi qualche storia su di loro e, incappando nei meravigliosi racconti di Miryel (che ringrazio e vi invito ad andare a seguire), me ne sono letteralmente innamorata. 
Spero di riuscire ad essere almeno un po' all'altezza di quello che vorrei proporvi. Se tutto va bene dovrei riuscire a pubblicare il prossimo i primi di agosto. E' già praticamente pronto ma vorrei correggerlo al meglio! 
Grazie in anticpo a tutti coloro che sceglieranno di seguirmi e a presto!
Eevaa

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Capitolo 2
*** It takes me back to when we started ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
 

HIGH
HOPES



CAPITOLO 2 - IT TAKES ME BACK TO WHEN WE STARTED
 
 
•••
 
 
 
Il silenzio che si era susseguito alla domanda di Tony Stark era penetrato nelle ossa, quasi come il rumore delle unghie sulla lavagna. Fastidioso e insopportabile. Quando siamo? - aveva chiesto.
Peter, con la lingua tra i denti, non era riuscito nemmeno a guardarlo negli occhi. Gli stessi occhi che aveva cercato per otto anni, occhi nei quali aveva sperato di potersi perdere in un senso di tranquillità e pace che tanto aveva agognato.
Di quella pace nemmeno l'ombra. Solo smarrimento e sensi di colpa.
Non fare nulla che io farei. E soprattutto non fare nulla che io non farei.
Temeva davvero di aver combinato un disastro a perseguire la decisione di riportarlo indietro. Era andato tutto come previsto, non era successo nulla di grave, ma aveva il terrore che Tony l'avrebbe odiato. Che Tony non volesse affatto trovarsi lì, nel futuro. E la conferma era stata il tono aspro e intimidatorio con il quale aveva posto quell'interrogativo.
«Qualcuno risponda alla mia cazzo di domanda» ripeté Stark. Si sollevò con il busto per sedersi meglio e supplicò con gli occhi Banner o Strange di prendere la situazione in mano e dargli spiegazioni, dato che Peter sembrava tanto sconvolto da non riuscire nemmeno a parlare.
I due dottori non risposero e, al contrario, attesero che fosse Peter stesso a chiarire la situazione. Sapevano che avrebbe dovuto trovare le forze per farlo, era l'unico in quella stanza in grado di far ragionare quell'egocentrico di Tony Stark. Il dottor Strange lo sapeva bene: l'aveva visto su Titano. Ironman aveva quel brutto vizio di parlare sopra agli altri, a tutti, tuttavia con Peter non sempre aveva avuto l'ultima parola.
«Che anno è? Che fine ha fatto Thanos?» insistette Tony, cercando con occhi disperati qualche indizio che gli facesse intuire dove si trovassero. Quello era senza dubbio un laboratorio scientifico - forse di Banner - ma non se lo ricordava affatto strutturato in quel modo.
«Noi... noi abbiamo vinto la guerra, signor Stark. Thanos è morto» rispose finalmente Peter, una volta trovato il coraggio di iniziare quella conversazione che non aveva mai pensato di poter affrontare.
Abbiamo vinto, signor Stark.
Rabbrividì. Cretino lui! Aveva a lungo ponderato il modo di riportare Tony in vita ma non aveva mai, mai pensato a cosa dirgli per giustificare la sua azione. Si era sempre immaginato di abbracciarlo, di raccontargli tutto ciò che era successo in quegli anni davanti ad una tazza fumante di cioccolata calda, sorridendo e scordandosi di tutto il dolore. Cretino.
«Cristo, Pete! Vuoi deciderti a raccontarmi le cose come stanno o ti devo cacciar fuori le parole di bocca?!» lo spronò Tony, nel maldestro tentativo di mantenere una calma che era evidente non facesse parte del suo attuale stato d'animo.
Se solo fosse facile, pensò Peter. E se lo avesse odiato?
«Siamo nel 2031. Sono passati otto anni dalla guerra. È stato lei a uccidere Thanos, lei ha preso il Guanto dell'Infinito e ha schioccato le dita» spiegò, il cuore dolorante al solo ricordo di quella scena.
Io sono Ironman.
«Non ricordo di averlo fatto!» si intromise Tony, sottecchi, guardandosi poi le mani. Erano integre, a parte qualche contusione.
«Perché è morto! Lei è morto! In questa linea temporale lei si è sacrificato per noi» gracchiò Peter con voce rotta, e fu diffcile ignorare il pizzicore agli angoli degli occhi. «Quello che abbiamo fatto è stato tornare indietro nel tempo a prenderla, così che evitasse di sacrificarsi».
Tony strabuzzò gli occhi. Avevano viaggiato nel Regno Quantico, di nuovo! Avevano creato una nuova linea temporale. Non poteva credere alle proprie orecchie!
«Avete condannato la mia epoca alla distruzione, così facendo!» soffiò Tony, realizzando cosa avrebbe potuto comportare l'essere stato salvato.
«No! Abbiamo dato il guanto a Carol, sono salvi. Sono tutti vivi! Ma lei... lei naturalmente è scomparso da quella linea temporale perché...» Peter si interruppe per pensare a cosa dire, a come dirlo, a come farlo. Qual era il modo migliore per rivelargli il reale motivo per il quale avessero deciso di viaggiare nel tempo? Forse avrebbe dovuto farglielo capire con calma, anche se non sarebbe servito a niente. «Perché volevo che tornasse tra noi, qui».
«E perché non l'avete fatto subito dopo la guerra? Perché siete venuti a prendermi dopo otto dannati anni!?» puntualizzò Tony e, lentamente, tentò di alzarsi in piedi e liberarsi dell'armatura di Ironman, staccando alcuni pezzi rotti con scatti nervosi.
Bella domanda. Non ti sfugge niente, eh - pensò Peter.
«Ho aspettato perché avevo paura delle conseguenze. Non volevo mettere in pericolo questa dimensione solo perché non riuscivo ad accettare la sua scomparsa» si mise a nudo e si alzò anch'egli per fronteggiare il suo mentore, sperando con tutto il cuore che capisse.
Ma Tony non capì. Tony era sempre stato impulsivo, carnale, specialmente quando si trattava di Peter. Si sentiva responsabile nei suoi confronti e non avrebbe mai accettato un simile colpo di testa da parte del suo protetto. 
«MA L'HAI FATTO!» abbaiò. Si avvicinò pericolosamente al viso di Peter, ringhiandogli in faccia con rabbia. «Ti immagini cosa sarebbe potuto succedere se Thanos ti avesse seguito fin qui!? TI RENDI CONTO DEL PERICOLO IN CUI TI SEI MESSO E IN CUI HAI MESSO TUTTI VOI!?»
Peter strinse i denti fino a sentirli scricchiolare. Sapeva che sarebbe successo, ma quel confronto gli fece più male che mai.
E io volevo che tu fossi migliore.
Ancora più male di quella volta.
«Mi dispiace, signor Stark... io ci ho pensato tanto, io...» balbettò, percependo le gote andare a fuoco e le mani tremare di rabbia e tristezza. «Io ho dovuto imparare a vivere in un mondo senza di lei... a resistere. Ma poi...»
«Poi cosa?! Perché non mi hai semplicemente salvato e lasciato là nella mia epoca?»
Tony continuò a fissarlo negli occhi e sostenere il suo sguardo con evidente disappunto. Sperava che in otto anni fosse cresciuto, che avesse imparato a non agire di impulso, che fosse diventato migliore di lui.
«Ora non si tratta più solo di me... l'ho dovuto fare... ho dovuto prendere questa decisione e non per il mio egoismo. Ho dovuto farlo per Morgan» Peter sputò il rospo, si liberò di quel primo peso agganciato alle proprie spalle.
E, solo all'udire quel nome, l'espressione dura sul viso di Tony mutò, e nei suoi occhi iniziò a brillare la scintilla del terrore.
«M-Morgan... Morgan sta bene, vero? Dimmi che sta bene» sussurrò con voce incerta, iniziando ad avvertire i primi sintomi di un attacco di panico.
«Sì! Sì, sta bene!» si affrettò a rispondere Peter. «Ma... ma la signora Potts... io... mi dispiace, signor Stark. Lei è... per questo ho dovuto tornare nel passato. Non volevo che Morgan rimanesse sola al mondo adesso che sua madre... non c'è più» farneticò, con una morsa attorno allo stomaco. Perché, se in quella fottuta stanza erano in tre, doveva proprio essere compito suo dargli la notizia che sua moglie fosse passata a miglior vita?
Tony fece due passi indietro e si appoggiò di nuovo con la schiena al muro per sorreggersi. Sentì le gambe tremare, sentì il proprio corpo cedere.
«Pepper è morta?» domandò con un filo di voce.
Peter quella volta non distolse lo sguardo. Lo affrontò a testa alta, sebbene gli occhi di Tony si fossero appena caricati di sensazioni terribili. 
«Mi dispiace» soffiò. Cercò un contatto che però Tony evitò come la peste, e in quel momento lesse odio puro nel suo sguardo.
Tony evitò il suo contatto e, reggendosi in piedi a malapena, si avviò furibondo verso l'uscita del laboratorio spalancando la porta con un pugno, seguito di corsa da Bruce Banner.
Peter si sentì morire, avrebbe preferito sparire piuttosto che farsi guardare in quel modo dalla persona a cui teneva più al mondo. Si sentì sbagliato, si sentì trafitto, e capì che forse aveva commesso un grave errore a portarlo lì. L'aveva fatto per una giusta causa, ma aveva finito per essere odiato. Stette per parecchi minuti a osservare il muro, ricurvo su se stesso con il cuore in frantumi e la testa pesante ma, quando percepì il dottor Strange avvicinarsi e aprire la bocca per dire qualcosa, alzò una mano per frenarlo e continuò a guardare altrove.
«Lasciami solo».

 


C'erano voluti parecchi minuti per convincere quella testa dura di Tony Stark a calmarsi e farlo desistere dallo spaccare tutto ciò che aveva trovato lungo la strada verso l'uscita. Una fortuna che Hulk fosse grosso il triplo di lui e Stark non conoscesse affatto la planimetria del nuovo quartier generale.
Bruce gli si era piazzato di fronte con le braccia aperte per bloccargli il cammino e, dopo essersi fatto urlare addosso di tutto, era riuscito a placcarlo - complici anche alle vistose ferite che gli stavano debilitando il corpo. Non sarebbe stato affatto così semplice fargli capire che aveva urgente bisogno di medicazioni, se non fosse stato per quel sanguinante squarcio a lato della testa che gli faceva annebbiare la vista a momenti alterni.
L'aveva trascinato con forza nel laboratorio del dottor Strange dopo qualche resistenza – alla quale tutti gli Avenger erano abituati – ma tutto era andato per il meglio. L'assistente di Stephen gli aveva suturato la ferita e medicato le escoriazioni e, ignorando qualsiasi suo tentativo di minimizzare la cosa, il dottore lo aveva obbligato a sottoporsi a una TAC che per fortuna non aveva evidenziato nessun danno se non un lieve trauma cranico. Gli aveva intimato di rimanere a riposo almeno qualche ora per lasciarsi monitorare e, stranamente, aveva accettato.
Il tempo necessario per l'esame diagnostico e i calmanti somministrati agirono sul suo stato di irrequietezza e sui suoi spasmi muscolari ma, ovviamente, non sulla sua emotività.
Ma, a dispetto di ciò che i due dottori si sarebbero aspettati, Stark scoppiò in un pianto disperato alternato a stati di apatia. Normale stress post-traumatico. Si sarebbero aspettati che continuasse a cercare di fuggire o inveire come lo stronzo che era sempre stato, invece si lasciò consolare dalla semplice presenza dei due amici e si lasciò raccontare ciò che era successo a Pepper, reagendo al racconto come una persona normale: disperandosi.
Raggiunse uno stato di calma e rassegnazione dopo circa tre ore, durante le quali Bruce Banner lo aveva reso partecipe di alcuni avvenimenti importanti avvenuti dopo la sua morte nel 2023, poi gli aveva spiegato e mostrato il quartier generale tramite ologrammi.
Tuttavia, non appena la voce dell'assistente vocale di laboratorio di Banner annunciò l'imminente ritorno alla base della vettura di Happy - con a bordo Morgan - la calma e la pazienza di Tony sembrarono svanire come cenere al vento. Voleva vederla, voleva incontrarla seduta stante ma, come pronosticabile, i due dottori gli sconsigliarono di ricomparire di fronte a lei come se nulla fosse. Gli ricordarono che in quell'epoca era morto da ben otto anni e fare la sua comparsa di fronte alla figlia senza la dovuta preparazione, avrebbe senz'altro comportato in lei un trauma e un grave scompenso emotivo. Sembrò accettare le condizioni, fino a che Bruce non contattò Peter per chiedergli di occuparsi della faccenda.
Tony si alzò in piedi dal lettino medico e si strappò tutte le flebo di idratazione, indispettendosi e ringhiando come un animale.
«Peter? Perché dev'essere lui a farlo?!» domandò Stark, velenoso.
«Perché in tutti questi anni è stato come un padre, per lei» spiegò Bruce, posizionandosi di fronte alla porta del laboratorio per impedirgli di uscire.
«Un padre!? È un ragazzino! E comunque mi stupisco come voi gli abbiate permesso di compiere questa sciocchezza» sputò Ironman, incrociando le braccia al petto. Peter era stato senza dubbio l'artefice di quel piano, ma era responsabilità degli adulti quella di impedirglielo.
Ma, al solo pensiero, si diede dello sciocco. Adulti? Forse si stava dimenticando che Peter non avesse più diciassette anni.
«È stata davvero una sciocchezza, Tony? Ti ha salvato la vita. Saresti morto se non fosse stato per lui. E, come vedi, non ci sono state conseguenze» asserì Hulk, senza riuscire a trattenere un sorrisetto d'orgoglio. Aveva provato a fermare Peter eccome, ma era grato di non averlo fatto. Aveva avuto ragione e, sebbene fosse stata una missione potenzialmente pericolosa, tutto era andato per il meglio. Proprio come Strange aveva previsto.
Tony ignorò quella sensazione di morsa allo stomaco. 
Peter gli aveva salvato la vita. Gli aveva davvero salvato la vita rischiando la sua. Maledetto ragazzino!
«E se ci fossero state?» 
«Non è successo! Ha fatto la cosa giusta e lo ha fatto per tua figlia. Ha seguito il suo istinto... non ti ricorda qualcuno?» chiese retorico il dottor Banner, con un sopracciglio malizioso sollevato. Da che pulpito Stark stava rimproverando il giovane Parker, sapendo che egli avrebbe fatto la stessa cosa a parti inverse!? Era stato lui a ideare il portale per viaggiare nel Regno Quantico e recuperare le Gemme dell'Infinito, per tutti gli Dei! E, a giudicare dal volto di Tony - rosso almeno tanto quanto l'armatura di Ironman - se ne era reso conto anch'egli.
«Ma-»
«Niente ma, Tony. Peter ha quasi venticinque anni, ora. Non è più un ragazzino, e ha difeso il nostro mondo con coraggio. Come avresti fatto tu» concluse Stephen Strange, per mettere la parola fine a quell'oramai inutile dibattito.
Oramai ciò che era stato fatto non avrebbe potuto essere cambiato, una nuova linea temporale era stata avviata e non c'era niente che l'avrebbe impedito. Nemmeno se Tony avesse deciso - stupidamente - di tornare nella sua epoca. Ma era certo che non l'avrebbe fatto, non dopo che aveva appreso di Pepper e di Morgan.
Con un sorriso complice - insomma, avevano appena messo a tacere quella lingua velenosa di Tony Stark! - i due dottori fecero apparire un ologramma che mostrava l'esterno dell'edificio. Telecamere di nuovissima tecnologia progettate da Peter in persona, grazie alla sua laurea in ingegneria scientifica al MIT.
E, alla vista di ciò che quelle immagini mostrarono, Tony sentì di nuovo le proprie gambe cedere. Morgan. La sua Morgan, otto anni più grande di come la ricordava, che scendeva dall'auto di Happy correndo incontro a Peter Parker, seduto sui gradini dell'edificio pronto a darle quell'incredibile notizia.


 


Se c'era una cosa su cui tutti erano d'accordo era che la piccola Morgan Stark – oramai dodicenne – avesse preso la testardaggine di suo padre, la sua grinta, l'intelligenza, la sua sfacciataggine, il colore degli occhi e dei capelli. Ma da Pepper aveva preso l'incredibile bellezza, la dolcezza, il sorriso e la forza d'animo.
Erano passati pochi giorni dalla morte di sua madre, ma stava facendo di tutto per dimostrare a se stessa e agli altri di non farsi abbattere. Non aveva saltato più di due giorni di scuola, studiava, nel tempo libero adorava suonare la chitarra elettrica e componeva musica rock per distrarsi. Quel giorno, dopo la scuola, era stata con Happy in centro a Manhattan per comprare un nuovo pedale distorsore che, era convinta, sarebbe piaciuto tanto a Rhodey. Era il suo primo grande fan.
Scese dall'auto con il sacchetto di Sam Ash nella mano destra e corse in direzione dell'ingresso, dove un pensieroso Peter l'accolse con un sorriso e una luce negli occhi ben diversa dalla solita. E, per altro, non era da lui sostare a lungo all'ingresso della T.S.M.A.F: era più tipo da starsene sul tetto a contemplare l'infinito e oltre.
«Zio Peter, che ci fai qui fuori?» domandò Morgan, fronteggiandolo con il suo consueto entusiasmo. I suoi capelli castani lisci e lunghi fino alle spalle vibrarono al vento e le sferzarono sul volto.
«Ciao, Morgan. C-come è andata oggi?»
Peter si alzò dai gradini ma quasi faticò a mantenere l'equilibrio. I suoi sensi erano talmente tanto assopiti dall'ansia da non riuscire nemmeno a sostenere la posizione eretta con dignità. E la signorina Stark se ne accorse eccome! Non le poteva nascondere niente, a quella maledetta furba.
Lei alzò un sopracciglio, poi parlò. «Che hai?»
«Niente... niente, Morgan» asserì Peter, poi scompigliò i capelli castani con una mano. Nonostante fossero passati anni e anni, non aveva ancora imparato a tenerli a posto. Erano ribelli, fin troppo lunghi e mossi sui lati.
«Non mentirmi, Parker» insistette lei, dopo aver fatto schioccare la lingua.
Quando lo chiamava per cognome significava solo una cosa: stava per perdere la pazienza.
«È che... c'è una sorpresa per te» confessò Peter, abbassando lo sguardo fino alle All Star nere della ragazza.
«Oh no!» sbuffò lei, con gli occhi al cielo. «L'ultima volta che mi avete preparato una sorpresa è stato al mio undicesimo compleanno, ed è stato imbarazzante!»
Peter rise al solo pensiero.


«Oh sì, lo è stato eccome. Ma non è stata colpa mia, dai! Lo sai che zio Thor è sempre eccessivo con le sorprese» puntualizzò Peter, prendendo Morgan per un braccio e invitandola a seguirlo per le scale, fin dentro all'ingresso.
«No, no per nulla eccessivo, sul serio. Presentarsi davanti alla mia scuola con tanto di palloncini cantando stonato "tanti auguri a te" è stato davvero sobrio» scherzò la ragazza, imitando il tono basso e roco del figlio di Odino.
Tony, con lo sguardo fisso sull'ologramma raffigurante i due ragazzi, deglutì affamato d'aria. Morgan era così bella, bellissima. Spiritosa, allegra. Sentì gli occhi pizzicare e fece davvero, davvero fatica a non lasciarsi andare di nuovo al pianto. Questo Bruce lo capì e, posandogli una mano sulla spalla, cercò di infondergli la forza sufficiente per farcela.


«Non c'è da ridere, zio Peter! Dimmi che non è una sorpresa del genere». Morgan incrociò le braccia al petto e nascose così il logo della sua maglia bianca degli ACDC. Uno dei suoi gruppi preferiti. Antiquato, lo definivano i suoi compagni di scuola, ma a lei non importava proprio niente.
«No, pulce. Niente di imbarazzante, promesso» sussurrò Parker camminando lento verso il piano superiore della base, piano dove sapeva si trovasse il laboratorio medico del dottor Strange e quindi... e quindi Tony Stark.
«Ehi... hai gli occhi lucidi. Sei sicuro di stare bene?» domandò Morgan. Frenò suo zio per un braccio, costringendolo a guardarla. Peter non aveva ancora avuto il coraggio di farlo, non da quand'era arrivata. Era certa che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa di molto grosso.
E non aveva certo tutti i torti a crederlo. Ma come avrebbe fatto Peter a dirglielo? Come agire per non farle prendere un colpo? Ok, il suo cuore giovane avrebbe senz'altro retto, ma prepararla un pochino sarebbe stata di gran lunga un'idea migliore.
Peter le poggiò entrambe le mani sulle spalle. «Morgan, mi devi promettere che non darai di matto».
Il volto di lei si illuminò. «È un'armatura? Oh, porca vacca! Zio Pete, mi hai costruito un'armatura!?» trillò, iniziando a saltellare sul posto come una molla.
Era il suo sogno da quando era bambina avere una tuta simile a quella di sua madre, di Rhodey e di suo padre, ma magari più leggera e dinamica come quella di Spiderman. Aveva anche steso qualche progetto, ma tutti le avevano categoricamente negato la costruzione fino a data da destinarsi.
«No, no, no, frena, signorina. Niente armatura!» intervenne Peter. L'entusiasmo scemò dal viso minuto della ragazzina, ma ripresero subito a camminare fino a quando si trovarono a pochi passi dal laboratorio. «Ma è molto di più. Senti... so che potrà sembrarti strano, che forse non crederai ai tuoi occhi. Ma c'è... c'è qualcosa che devi vedere. Ed è reale, lo giuro».
«Zio... zio Pete» balbettò lei, al limite dall'essere spaventata.
Non l'aveva mai visto così. Nei suoi occhi brillava una luce strana, intensa, ed era certa che avesse pianto. Non riuscì a comprendere, non aveva proprio la minima idea di cosa potesse rendere uno dei supereroi più forti di tutta la Terra così vulnerabile, non riuscì proprio a immaginarselo... fino a che il rumore di una porta scorrevole la fece voltare. E anche la sua testa, in quel momento, iniziò a vorticare.
Tony non era riuscito a resistere, non a saperla così vicina. Non dopo aver capito che c'era una sola porta a separarli. Aveva scansato Bruce ed era uscito, trovandosela a pochi metri di distanza. Non era riuscito nemmeno a trattenere quelle lacrime che aveva cacciato indietro fino a quel momento.
Morgan lo guardò con occhi strabuzzati e si appoggiò con una mano al braccio muscoloso di Peter. Guardò prima quell'uomo di fronte a sé, poi suo zio che, annuendo lentamente, le diede la conferma che fosse tutto vero.
Suo padre era lì.
«P-papà...» balbettò lei, le ciglia nere che sfarfallarono nell'incredulità di potersi specchiare negli stessi occhi che si erano spenti otto anni prima.
«Maguna...» soffiò lui, appellandosi a sua figlia con quel tenero soprannome senza significato. Fece un passo in avanti proprio nel momento in cui lei prese la rincorsa per fiondarsi tra le sue braccia.
«PAPÀ!»
La strinse. La strinse così forte che non riuscì quasi a dosare la sua potenza, e ringraziò il cielo di non essere un supereroe con poteri fisici. La sentì singhiozzare contro il suo petto proprio come aveva fatto Peter poche ore prima e annusò il profumo dei suoi capelli che sapevano di fresco e di lavanda. Non era cambiata. A malapena un paio di giorni prima l'aveva baciata sulla testa e le aveva augurato la buona notte che era solo una bambina, e invece per lei erano passati otto anni. Poteva solo immaginare che strazio dovesse essere stato per attenderlo per tutto quel tempo, piangere la sua morte, vivere senza di lui.
Ma ora era lì. Era lì per lei e avrebbe tanto voluto non staccarsi più da quell'abbraccio. Tony pianse contro la sua testa e poi sollevò lo sguardo, cercando finalmente gli occhi di colui che l'aveva portato lì. Guardò Peter ed egli rispose al suo sguardo per pochi secondi, poi se ne andò.
Tony tornò a immergersi in quella testa profumata di lavanda e ci versò dentro altre lacrime fino a quando, chissà dopo quanto tempo, i due si staccarono.
«Ma come... com'è possibile? No, aspetta, non lo voglio sapere ora!» cinguettò Morgan asciugandosi gli occhi e stringendosi ancora, un'altra volta a lui per pochi secondi, per poi voltarsi. «Grazie. Grazie, zio Peter, è stata la sorpresa più be... ma dov'è?»
Lo sguardo di Morgan si accigliò e scrutò attorno con curiosità. Altro che armatura! Quello sì che era stato un regalo!
«Lo zio ha bisogno di riposare, ora. Ha faticato tanto per portare indietro tuo padre, Morgan. Lo ringrazierai stasera» disse Bruce, dandole una pacca sulla spalla, poi fece l'occhiolino a Tony. «Ora tu e questo ragazzone dovete raccontarvi un sacco di cose!»
Morgan guardò Strange e Banner allontanarsi con un sorriso che da anni non dipingeva i loro volti e poi, radiosa, tornò a incatenare gli occhi a quelli di suo padre. Le sorrise e lei lo prese per mano.
Da dove cominciare, se non mostrandogli come aveva sistemato bene tutta la sua collezione di dischi in cameretta?


 


Il tramonto di quel piccolo scorcio sulla penisola Kings Point Park era una delle meraviglie dello stato di New York, a detta di Peter, e c'era un solo luogo per ammirarlo in tutta la sua magnificenza e splendore.
Sul tetto al settimo piano della T.S.M.A.F vi era una piccola scala a pioli che conduceva a una sorta di torre di vedetta, un luogo in cui era solito far vagare la sua mente verso dimensioni sconosciute, sogni reconditi e fantasie. Si perdeva in quelle nuvole, nel rosso di quel tramonto e nel mare irrequieto in lontananza.
Ma, ora che il sogno proibito più ricorrente che lo teneva ancorato a quel posto da otto anni si era avverato, il suo cuore non era mai stato così pesante. Era lì, appollaiato sulla balaustra in muretto con le gambe a penzoloni da chissà quante ore. Aveva visto aerei passare sopra la propria testa, le nuvole cambiare forma e dimensione, la luna comparire velata nel cielo ancora azzurro e poi l'orizzonte tingersi dello stesso rosso fuoco delle sue guance. Pioveva, su quelle guance, ma non dal cielo. Si lasciò accarezzare il volto dal vento per farsi asciugare tutte le lacrime e lasciò che l'imbrunire si riflettesse nei suoi occhi castani.
Non sapeva quante ore fossero passate. Non aveva fatto niente, se non tenere gli occhi fissi all'orizzonte e respirare l'aria frizzante di fine settembre, fino a che un brivido percorse la propria pelle.
I suoi sensi di ragno - acuti e sensibili all'ambiente circostante - avevano captato ciò che stesse succedendo prima che Peter potesse avvertire dei passi lenti e incerti provenienti dalla scala a pioli.
Sapeva chi fosse, una morsa gli strinse lo stomaco fino a provocargli la nausea. Dopo chissà quante ore, chiuse gli occhi per un tempo più lungo di un millesimo di secondo. Inspirò con il naso un profumo diverso dalla brezza marina. E, quando finalmente riaprì gli occhi, trovò Tony seduto al suo fianco intento anch'egli a contemplare l'orizzonte. Sembrava un miraggio.
La sua espressione era seria, ma non più contratta. Cosa doveva aspettarsi da lui? Un'altra ramanzina sul fatto che avesse compiuto una sciocchezza e avesse messo in pericolo tutti? Non ebbe il coraggio di guardarlo a lungo, di incrociare quegli occhi che poche ore prima l'avevano ucciso per quanto odio ci avesse messo dentro. No, non potrei sopportarlo ancora.
Stettero in silenzio per un po', un silenzio carico e denso di emozioni che nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio di esternare. Poi, così come era logico che accadesse, fu Peter a far scoppiare quella bolla di sapone.
«Allora... le piace il nuovo quartier generale?» 
Tony sorrise e si guardò intorno, battendo con una mano sul marmo del parapetto. «Oh sì, moltissimo. Sembra quasi che l'abbia progettato io». 
Doveva ammetterlo: era stato fatto veramente un ottimo lavoro, sia in architettura che in tecnologia. E, sarebbe stato pronto a scommetterci, c'era senza dubbio lo zampino di Peter.
«Beh, diciamo che mi sono rifatto a molti dei suoi progetti per idearla. Ma è tutto dichiarato! Giuro di non aver violato nessun copyright» si apprestò a esplicare Peter.
Perché "l'ho realizzata per lei" sembrava troppo azzardato da dire.
Stark sorrise sghembo e orgoglioso. E come avrebbe potuto non esserlo? In otto anni le cose erano cambiate, ma era davvero un sollievo che persone come quel ragazzino avessero lottato con le unghie e con i denti per garantire al mondo un futuro migliore. Da quel che aveva potuto vedere, era un mondo ben più pacifico di come l'aveva lasciato. Si sentì un po' inutile, solo per qualche secondo. Avevano tutti svolto un ottimo lavoro anche senza di lui, e questo erodeva il suo ego smisurato. Aveva però sempre pensato che, se mai avesse dovuto chiudere baracca e burattini, Spiderman sarebbe stato senza dubbio un ottimo sostituto. Ma nel suo mondo Spiderman era scomparso da cinque anni, perciò non aveva affatto avuto l'idea di abituarsene per davvero. Nonostante tutto, però, non poteva che essere fiero di lui. Di Peter.
Così, emergendo da quella bolla di pensieri deliranti, finalmente trovò il coraggio di parlare al ragazzo faccia a faccia, mettendo da parte il proprio orgoglio e la propria indole egocentrica da maestro so tutto io.
«Sono stato pessimo, Peter. Perdonami» mormorò Tony, in uno sbuffo di aria bollente. Alzò le iridi al cielo e pregò di non sprofondare, non lì. L'aveva trattato di merda quando Peter non aveva fatto altro che salvargli la vita e restituirlo a sua figlia oramai orfana. Per quale motivo? Solo perché aveva rischiato di combinare un disastro? No. No, non era per quello. Perché, non importava in quale mondo in quale epoca o quanti anni avesse Peter in quel momento, ma lui si sarebbe sentito sempre responsabile nei suoi confronti. E il solo pensiero che quel ragazzo, il suo protetto, avesse rischiato la sua vita per salvarlo lo aveva mandato in escandescenza.
Peter strabuzzò gli occhi. Non se lo sarebbe aspettato affatto, soprartutto perché era lui stesso il primo a non riuscire a perdonarsi. «N-no. Era sconvolto e... e ha ragione. Sapevo che fosse una mossa azzardata e che avrei messo in pericolo tutti» rispose afflitto, più che convinto che ci fossero un ma e un però ad attenderlo dopo quelle scuse.
«Mi hai salvato la vita. L'avrei fatto anche io» puntualizzò Stark, facendo girare i pollici delle mani appoggiate sulle proprie cosce. Il sole si era oramai tuffato nell'oceano e i loro volti si dipinsero del viola dell'imbrunire.
«Appunto, lei mi ha sempre detto di non fare nulla che lei fa-» si apprestò a ribattere Peter, interrotto però da qualcosa di inaspettato, qualcosa che aveva sempre sperato succedesse, qualcosa che l'aveva tormentato per tutto il pomeriggio.
«Taci» lo zittì Tony e, con vigore, lo trascinò verso di sé lasciandogli affondare il volto contro la propria spalla, facendo lo stesso a sua volta.
Lo abbracciò forte, fortissimo, trattenendosi a malapena di versare di nuovo lacrime troppo salate. Dio, Dio! Cinque anni prima gli era scomparso dalle braccia e si era sentito morire ogni notte, quando sognava i suoi occhi che lo supplicavano di non lasciarlo andare.
Non voglio morire signor Stark, la prego.
Tony rabbrividì e lo strinse ancora più stretto. E Peter... beh, Peter si lasciò abbracciare senza proferire più parola alcuna. Aveva sognato così tante volte che ciò accadesse e, per tutte le stelle, sembrava un sogno anche quello.
Mi dispiace, Tony...
No, no, no. Non avrebbe più dovuto pensarci. Era passato. Passato! Quel dolore faceva parte del passato. Il signor Stark era lì, lo aveva riportato a casa e, a giudicare da quanto forte lo stesse stringendo, era reale e assolutamente intenzionato a non andarsene. Si sentì stupido, sciocco come un bambino bisognoso di affetto. E si sentì ancor più cretino quando non riuscì più a trattenere le lacrime e iniziò a piangergli addosso un'altra volta. Ma, se quello era stato un pianto liberatorio e a tratti colmo di terrore, in quel momento pianse lacrime di gioia. Ce l'aveva fatta davvero.
«Mi è mancato, signor Stark. Da morire... da morire» singhiozzò Peter. Non c'era alcuna armatura a separarli. Beh, tolta la volta in cui il suo mentore stava aprendogli la portiera e lui aveva scambiato quel gesto per un abbraccio. Che imbarazzo!
«Anche tu, Bimbo Ragno» ammise Tony. A Peter e a se stesso.
Si rese però conto di quanto in realtà fosse strano appellarsi a lui ancora con quel nome ridicolo. Quel ragazzino si era ormai fatto un uomo in tutto e per tutto. Lo poteva sentire dalla consistenza dei suoi muscoli, dalla larghezza delle sue spalle. Lo poté vedere con i propri occhi quando si staccò da quell'abbraccio. Lo guardò da più vicino e si soffermò sugli zigomi e la mascella più pronunciata, da quelle guance una volta paffute ora più scavate, dal tono di voce più maturo, da quella cortissima barba che gli costellava la pelle un tempo liscia e glabra. Lo guardò e si compiacque di ciò che era diventato.
«Dio mio. Non ti vedo da cinque anni!»
«E io da otto!» rimbeccò Peter, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Un anno. Otto anni. Una vita intera. Gli sarebbe mancato sempre. Non sarebbe mai stato realmente pronto a vivere in un mondo senza Ironman.
«Ok, hai vinto tu» ridacchiò Tony, lasciandogli finalmente libere le braccia. Non era il tipo da dimostrare così tanti sentimentalismi tutti insieme, ma niente avrebbe potuto dimostrare appieno quanto grato gli fosse per avergli salvato la vita e per esserci stato per la sua Morgan.
«Grazie, Peter».

 


Inutile dire che quel giorno, non appena si diffuse la notizia del ritorno di Tony Stark, un fermento mai visto prima si creò all'interno e nei dintorni della T.S.M.A.F. I giornalisti erano stati liquidati dai membri dello S.H.I.E.L.D dopo una brevissima conferenza stampa che confermò la notizia trapelata, ma che Stark aveva bisogno di riposare e avrebbe tenuto lui stesso un tour di conferenze nelle successive settimane.
Tutti gli Avengers ancora operativi avevano lasciato qualsiasi missione a metà per poter tornare alla base, compresi i Guardiani della Galassia, i quali rientrarono di tutta fretta dal cosmo con tre giorni di anticipo.
Antman e The Wasp furono gli unici a non riuscire a giungere in tempo al quartier generale, in quanto impegnati in un affare davvero molto importante dall'altra parte del mondo. Li avrebbero raggiunti subito il giorno dopo.
Morgan giurò di non aver mai visto tanti giornalisti tutti insieme, nemmeno all'inaugurazione della T.S.M.A.F. L'eccitazione non fu contenibile, i pianti di gioia nemmeno. Tutti erano scioccati, felici, senza parole. Ma l'apice del fermento si raggiunse all'arrivo di Thor. Beh, perché naturalmente Thor non è contenibile nemmeno in situazioni di normalità.
Spalancò la porta della sala riunioni con un rumore sordo, e tutta la gente all'interno della stanza si zittì. I due Avengers si guardarono per parecchi secondi, si squadrarono come se si vedessero per la prima volta e poi, con un urlo degno di un semi-Dio, Thor si avvicinò di corsa al vecchio amico sollevandolo da terra in un abbraccio vigoroso.
«Per fortuna ti sei rimesso in forma, panzone!» lo stuzzicò poi Tony, battendogli una mano sul ventre.
«Brutto figlio di puttana, non sei cambiato di una virgola!» ringhiò lui senza contenere un ghigno entusiasta, poi trascinò ancora una volta Stark verso di sé con delle sonore pacche sulla schiena.
«In compenso voi siete invecchiati parecchio!» constatò Tony squadrandoli uno per uno, notando ogni singolo capello bianco in più, ogni ruga, ogni meraviglioso cambiamento sui visi dei propri alleati. C'erano tutti, erano tutti lì per lui e si sentì davvero, davvero sollevato. Ogni cosa era tornata al proprio posto. Certo, non poter avere Pepper accanto in un momento così gioioso gli fece stringere il cuore, ma avrebbe dovuto essere forte almeno per quella sera - ci avrebbe pensato il giorno dopo a lasciarsi andare al dolore. 
Lì c'era Morgan. C'era Peter. C'erano tutti, tutti per lui.
C'erano tutti?
Tony inarcò un sopracciglio, dubbioso, e iniziò a squadrarsi ossessivamente intorno alla ricerca dell'unica persona della quale ancora non aveva avuto notizie.
«Ehi, ehi, ehi!» richiamò l'attenzione con un tono di voce più alto. «Ma... ma dov'è Cap?»
E, in quel momento, nella stanza calò il gelo.




 
Continua...



ANGOLO AUTRICE:
Buongiorno a tutti e bentornati qui! Come procede questo caldo agosto? Avete letto questo intenso capitolo da una spiaggia con un bel bicchiere in mano, da una fresca vetta alpina, o dal comodo divano di casa vostra? 
Io sono appena tornata dal mare e non vedevo l'ora di pubblicare, quindi eccomi qui. Bene, Tony Stark è tornato per davvero. Che poi tornato non so se sia il termine più esatto, insomma. I nostri eroi hanno preso in prestito il Tony di un'epoca passata e diciamo che per Tony è stato un lungo salto in avanti. Meglio in un altro tempo piuttosto che morto, no?! 
La sua reazione e quella di Peter sono state strane, come giusto che sia del resto. Morgan invece è stata la ragazzina più felice della Terra. Vi è piaciuto come ho scelto di caratterizzarla? Sarà senza dubbio una presenza importante in questa storia.
Non preoccupatevi: non lascerò affatto che la morte di Pepper passi inosservata per Tony, anche se dal finale di questo capitolo potrebbe sembrare. Adesso però c'è un altro quesito al quale far fronte? Dov'è l'amore mio Steve? A fine Endgame l'abbiamo visto un po' decrepito. Cosa gli sarà accaduto in questi otto anni?
Nel prossimo capitolo farò fronte a nuovi interrogativi e metterò più in luce i sentimenti e l'introspettività dei due protagonisti. Credo che pubblicherò a fine agosto! :) intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo secondo capitolo!
Un bacione e buone vacanze a tutti!
Eevaa
 

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Capitolo 3
*** It's time to go out and start again ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.
 


HIGH
HOPES



CAPITOLO 3 - IT'S TIME TO GO OUT AND START AGAIN

•••


 
Gli occhi di Tony si fecero due fessure. Si guardò intorno, incrociando gli sguardi seri di tutta quella congrega di eroi rinchiusa nella sala conferenze della T.S.M.A.F. Nessuno aveva risposto alla sua domanda, e non era la prima volta quel giorno.
Persino Morgan, la quale non aveva smesso per un secondo di parlare in tutta la serata, aveva chiuso la bocca e serrato le labbra in un sorriso mesto.
Tony tentò di incrociare il suo sguardo, ma non ci riuscì. Thor allargò le braccia in direzione di Rhodey, il quale gli mostrò di rimando un'espressione che era volta a fargli intendere che, no, non avevano ancora trovato il modo di dirglielo.
Ma dirgli cosa? Dove cazzo era Steve? Il cuore di Tony iniziò a martellare all'impazzata. Che fosse...? No, impossibile. Non Captain America. Eppure gli occhi di tutti coloro che considerava suoi amici non riuscivano a celare qualcosa che doveva essere per forza difficile da digerire.
«Rhodey... dov'è... dov'è Rogers? Non sarà...» Tony percepì le parole morirgli in gola, interrotto però dalla voce sommessa del suo amico.
«No! No, no, no, lui sta bene! Ecco...» si affrettò a rispondere questi. «A proposito del fatto che ci trovi tutti molto invecchiati, beh... lui potrebbe essere invecchiato un po' più del previsto».
Tony trovò a stento le forze per riprendersi da quello spavento. Rogers stava bene, quello era l'importante. Ma cosa significava quella cosa?
«Cos-ma che? Ma che cazzo vuol dire che-» balbettò, incapace di comprendere quanto riferitogli da Rhodey. Venne però interrotto dal rumore metallico della porta automatica scorrevole alle sue spalle.
E, non appena vi ci guardò attraverso, il fiato gli morì in gola. Percepì la propria lingua secca contro il palato, le gambe tremare come quelle di un bambino alle prime armi con la deambulazione tant'è che, per essere sicuro di riuscire a rimanere con i piedi per terra, si dovette aggrappare con una mano al bancone argenteo del bar della sala conferenze. Non riusciva a credere ai propri occhi. Se non fosse stato solo al secondo bicchiere di Gin sarebbe stato certo di avere le allucinazioni ma no, non era ancora ubriaco. Purtroppo.
«Non avrei mai pensato che nella vita sarei riuscito a far tacere quella linguaccia lunga di Antony Stark».
La voce roca di Captain America risuonò flebile nella stanza, mentre veniva trasportato all'interno dalla carrozzina automatica progettata dal signor Parker in persona. Al suo fianco, Bucky camminava lentamente, porgendogli poi il bastone nero laccato che ogni tanto consentiva all'uomo oramai troppo attempato di poter alzarsi in piedi. Il volto di Steve, solcato da rughe ben visibili, si accese in un sorriso composto, mentre Bucky gli dava una mano ad issarsi sulle gambe stanche. Tremò leggermente, ma quella era una di quelle occasioni per le quali non sarebbe potuto affatto rimanere seduto. Tony lo guardò di rimando, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati di chi aveva appena visto un fantasma - quando in realtà il fantasma in quella stanza era sempre stato lui, da otto anni. Capitan America era lì, davanti a lui, ma non aveva per niente l'aspetto e le sembianze del bel ragazzone spallato e muscoloso con il quale aveva combattuto fino a... beh, fino a quella mattina, per quanto gli riguardava! Possibile che in otto anni fosse invecchiato così tanto? Che l'effetto del siero fosse sparito? O che altro?
«Cristo» biascicò Tony, in preda a seri scompensi neuronali.
«No, sempre Steve Rogers» puntualizzò questi, avvicinandosi a passi lenti e incerti al vecchio amico. «E comunque... linguaggio!»
Al suono di quell'ammonimento, Tony non poté fare a meno di sentirsi scaldare il cuore. Era sempre lui. Solo che adesso aveva un apparente buon motivo per poterlo sgridare per il linguaggio. Insomma, a dispetto di come l'aveva sempre preso in giro chiamandolo nonnetto, adesso lo era per davvero!
Mosse due passi nella sua direzione, con l'innato istinto di dargli quel maledetto abbraccio e quella pacca sulla spalla che aveva sempre desiderato dargli dopo quei maledetti accordi di Sokovia, ma ebbe una gran paura di romperlo. Era ancora un super-uomo?
Si limitò a sorridergli di rimando. Cacciò indietro le lacrime che mai si sarebbe potuto permettere di lasciare andare di fronte al suo miglior nemico di sempre, e allungò una mano verso di lui. Egli l'afferrò con la sua libera, stringendola più forte di quanto si aspettasse.
Steve gli era mancato. Non lo vedeva da poche ore, ma gli era mancato – tuttalpiù che da quando si erano rivisti dopo Sokovia non avevano ancora passato un momento del tutto pacifico e tranquillo insieme. Si erano riconciliati, sì, ma erano stati comunque tempi duri.
«Ma cosa... come...? Cosa ti è...» balbettò Tony, senza riuscire a mollare la presa su quella mano tiepida.
Steve gli sorrise di nuovo, poi raccontò. «Ho fatto quello che mi hai suggerito tu». Raccontò poco, quanto bastasse per fargli comprendere la sua decisione e il suo agire. 
Steve disse che, nell'epoca alternativa in cui era vissuto – in una dimensione differente, dovuta allo squarcio temporale causato da lui stesso tornando indietro e interferendo con la storia[1] - l'aveva visto nascere. L'aveva visto crescere, aveva parlato con lui, era diventato il suo... mentore, forse? Una sorta di fratello maggiore, o zio. Del resto lui e Peggy non avevano potuto avere figli. L'aveva aiutato a sconfiggere Thanos prima che diventasse potente, aveva salvato i suoi genitori liberando Bucky dall'Hydra prima che diventasse il Soldato d'Inverno. Ma, nonostante tutte le differenze dovute ad una dimensione sottratta da Steve stesso alle catastrofi della vita, era stato pur sempre Tony Stark, un arrogante viziatello dall'animo sensibile. Steve l'aveva salutato otto anni prima per tornare nel suo mondo, un mondo senza Ironman, ma che forse aveva ancora bisogno di un attempato Captain America, vedovo e rugoso.
Steve aveva sentito la mancanza di Tony come sentiva ogni giorno la mancanza del Tony con cui era invecchiato, ma quel pomeriggio di settembre aveva ricevuto la notizia che Peter Parker l'aveva riportato lì. E non era riuscito a contenere la gioia, lo stupore, la commozione che in quel momento stava trattenendo nel raccontargli solo parte di ciò che aveva fatto, con la mano ancora imprigionata tra quelle nodose del suo vecchio amico.
Tony capì due cose da quel racconto: capì quanto ci tenesse e volesse bene a quel bastardo decrepito di Steve Rogers, e capì che Cap era la prova vivente che vivere in un'epoca o dimensione diversa dalla propria fosse consentito e lecito. E possibile, per lui, solo grazie a Peter.
 


Trascorsero tre settimane da quel giorno, da quella sera in festa dove tutti gli Avengers si erano riuniti di nuovo, dopo otto lunghissimi anni.
Inutile dire che Nick Fury aveva voluto fare le cose per bene, quando si era trattato di rivelare al mondo del grande ritorno di Tony Stark. La questione del viaggio nel tempo di Spiderman era rimasta celata e segreta, per questioni logistiche e soprattutto etiche. Quante persone avrebbero voluto sfruttare il Regno Quantico per poter riavere indietro i propri cari defunti?
Aveva organizzato un tour di convention della durata di tre fottutissime settimane per poter spiegare alle nazioni di come Antony Edward Stark era giunto lì da una dimensione alternativa andata distrutta da Thanos, e l'unico modo per salvarsi era stato quello di compiere un viaggio inter-dimensionale nel Regno Quantico che casualmente l'aveva condotto fino alla loro casuale epoca. Pura fortuna, quindi. Una paraculata delle dimensioni di un satellite. 
Tony non si era mai piegato alle convention e a quel tipo di cose, in passato, ma Nick Fury era stato categorico. Si era convinto che fosse l'unico modo per mantenere quella sorta di pace che finalmente si era creata sul pianeta Terra, e non avrebbe mai voluto che tale pace venisse scalfita proprio a causa sua. Sarebbe stato un vero smacco, per Dio! E quindi, per proteggere il mondo, gli Avengers ma soprattutto la sua Morgan, si era piegato al volere dello S.H.I.E.L.D e aveva fatto le cose per bene, anche a costo di passare poco tempo con la sua Maguna. E con Peter. Se il se stesso dei tempi dell'Afghanistan avesse potuto vedere tutta quell'assertività nei confronti delle istituzioni, gli avrebbe riso in faccia. O sputato in un occhio. Ma anche i più ribelli maturano, no?
In quel tempo lontano dalla T.S.M.A.F un giorno sì e l'altro no, ne aveva approfittato per rielaborare il lutto per Pepper, quando si trovava solo con la sua bottiglia di Champagne d'annata nelle lussuose stanze d'albergo. I primi giorni si era arrabbiato con se stesso per non aver trovato un modo di salvare il mondo senza lasciarla sola (in ogni caso, in quel mondo o quello dal quale era provenuto), ma riflettendoci Stephen Strange era stato piuttosto schietto: una possibilità su quattordici milioni. Dalla rabbia verso se stesso era passato a incolpare uno ad uno tutti i medici e scienziati di quel tempo per non aver trovato una cura alla sua malattia. Compreso Strange. Poi, dopo qualche giorno, era passato allo sconforto e alla tristezza; aveva pianto tutte le lacrime che gli erano rimaste e dato di stomaco più volte addormentandosi abbracciato alla tavoletta del gabinetto. Tra una convention e l'altra – adibite anche per poter rimettere in ordine le Stark Industries – era riuscito a passare alla base per starsene un po' in santa pace con Morgan, la quale gli aveva dato la forza per non morire dentro. Quindi era passato alla rassegnazione e poi, come d'incanto, all'accettazione.

Non seppe come, non seppe per quale oscuro motivo, ma un giorno si svegliò e vide tutto più chiaro, più limpido. Sentì l'aria nei polmoni meno pesante e il cuore riprendere a battere per vivere, non per continuare ad autocommiserarsi. Si recò sulla tomba di Pepper con una rosa bianca e - per prendersi un po' in giro - delle fragole. La ringraziò per tutto ciò che era stata per lui, dichiarandole e promettendole solennemente che sarebbe andato avanti. Aveva Morgan con sé. Aveva gli Avengers. Aveva un vecchio bacucco Captain America da riscoprire e aveva Spiderman.
Già, peccato che le occasioni che aveva avuto per poter parlare con Peter, in quelle settimane, si potevano contare sulla punta delle dita di una mano. Il ragazzo era sempre impegnato a fare l'amichevole Spiderman di quartiere, solo che il quartiere era diventato tutto lo stato di New York.
Era il diciannove di ottobre quando finalmente Nick Fury lasciò libero Tony dagli impegni dello S.H.I.E.L.D, incaricandolo però di rinnovare il progetto Avengers con dei nuovi accordi in vista di una riunione importante. Insomma, una palla colossale. Tutto ciò che avrebbe voluto fare quel giorno sarebbe stato rinchiudersi nel suo nuovo laboratorio – allestito per lui dal dottor Banner – e lavorare a una nuova armatura con le tecnologie di quel tempo. Ma, nel cercare ispirazione tramite delle ricerche olografiche, si lasciò tentare da qualcosa di succulento: i ricordi.
Tutto ciò che era accaduto in quegli anni all'interno e nei dintorni della T.S.M.A.F era stato immortalato in un file apposito da telecamere in 4D, le stesse che gli permettevano di spiare tramite ologramma tutte le aree comuni della base.
Si perse. Si perse nelle memorie, assetato dalla curiosità che lo spinse ad analizzare ogni momento importante delle vite dei suoi cari in quegli anni, specialmente i momenti riguardanti la crescita di sua figlia. Un breve riepilogo degli otto anni che aveva trascorso sotto terra, insomma. Anche se lui, per fortuna, sotto terra per davvero non ci era mai stato. Si fece guidare da FRIDAY – collegata a EDITH - in un tunnel di frammenti di vita, di avvenimenti frivoli, buffi o anche tristi. Fu grato di avere la possibilità, seppur da esterno, di rivivere la vita di Morgan.
I suoi compleanni, in particolare il settimo - quando i Guardiani della Galassia le avevano regalato la possibilità di andare a fare un giro nello spazio; con una Pepper preoccupata che aveva minacciato il figlio di Odino che, se non l'avesse riportata sana e salva, gli avrebbe ficcato il martello su per posti indicibili. Il suo primo giorno di scuola, con lo zainetto rosso di Ironman sulle spalle; lei che usciva trotterellando tutta felice mano nella mano con Pepper e Peter, e Happy commosso che l'aspettava in macchina. Le cene di Natale tutti insieme, i racconti di Cap ascoltati con interesse seduti accanto al fuoco. Il fortino di ragnatele che Peter aveva fatto alla piccola Stark per nascondersi da un violento uragano che aveva colpito la costa orientale degli Stati Uniti.
Vide Peter aiutare Morgan nei compiti più difficili, insegnarle ad allacciarsi le scarpe, rincorrerla per tutto il quartier generale insieme a Pepper per obbligarla ad andare alla recita di fine anno. Lo vide comprarle dei regali, mangiare ghiaccioli con lei seduto all'ultimo piano della base, guardare programmi stupidi alla TV e consolarla perché il primo giorno della scuola media un ragazzo le aveva detto che era bassa.
Poi, in un particolare ricordo, la vide oscillare su e giù per il palazzo con addosso una vecchia tuta da Spiderman ma, d'improvviso, cadere per un errore di valutazione nel lancio delle ragnatele. Il cuore gli martellò quasi fuori dal petto nel vederla precipitare nel vuoto, ma tirò un sospiro di sollievo quando Peter la prese all'ultimo per le braccia.
«Ma sei impazzita!? Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?» urlò Peter, mettendola giù a terra paonazzo. L'ologramma del ragazzo lasciava trasparire il suo sgomento. Il ricordo era recente, risaliva solo a sette mesi prima.
«Io... io volevo solo provare... imparare» balbettò lei ancora spaventata, facendo tremare il labbro inferiore e passandosi una mano tra i capelli castani, sull'orlo di un pianto nervoso.
«Avresti potuto morire, Morgan! Dannazione!» gridò di nuovo Peter, prendendosi la testa tra le mani con uno sbuffo. Tony lo guardò agire, con il cuore in gola, in estremo accordo con lui.
«Io voglio diventare un Avenger!» insistette lei, e Tony sentì le gambe cedergli.
«A dodici anni?! Tu non ti rendi conto di quanto sia pericoloso fare quello che facciamo noi». Peter strinse con le dita l'attaccatura del naso, tentando di calmarsi in gesto fin troppo tipico di Tony.
«Mio papà ti ha preso con lui che eri poco più grande di me!» puntualizzò Morgan, con le mani sui fianchi. Dannata Maguna testarda!
«Non so se l'hai notato, ragazzina, ma io ho dei poteri! Forza, entriamo in casa. Non ti azzardare mai più a prendere una tuta di nascosto». Peter la rimproverò ancora e, con un gesto secco, le disarcionò dal polso il bracciale a nano-particelle dell'armatura. 
«Allenami! Portami in missione, una facile! Perché non mi lasci provare!?»
«PERCHÉ SEI SOTTO LA MIA RESPONSABILITÀ!» ringhiò lui, esarcerbato, con le braccia larghe e la fronte corrugata. «Non posso fare il mio lavoro se perdo tempo a fare il baby sitter!»
Tony sussultò. Peter si stava comportando con Morgan esattamente come aveva fatto lui con Peter. Guardò l'ologramma del ragazzo allontanarsi e il volto di sua figlia rabbuiarsi, deluso e rigato dalle lacrime.
«FRIDAY, voglio sapere di più» mormorò Tony. L'assistente sostituì quell'ologramma con un altro, registrato appena fuori dalla stanza di Morgan.
Peter dovette bussare tre volte prima che la ragazza gli aprisse la porta, con i capelli spettinati e gli occhi gonfi e rossi. Era notte fonda.
«Morgan, senti... mi dispiace di aver alzato la voce» mormorò Peter, con entrambe le mani in tasca. «Ma io mi preoccupo per te. Tuo padre, se fosse qui, mi spezzerebbe l'osso del collo se ti mettessi in pericolo».
Tony deglutì. Altro punto per Bimbo Ragno. Era stato severo, sì, ma non aveva avuto torto. Si era comportato esattamente come avrebbe fatto lui, e la cosa gli riempì l'animo di leggerezza.
«Lo so...» soffiò lei a testa bassa, appoggiandosi con la spalla allo stipite della porta.
«Guardami, pulce» le disse dolcemente, costringendola a incontrare il suo sguardo. Le scompigliò ancora di più i capelli in un gesto affettuoso che la fece sorridere un poco, poi Peter continuò a parlare.
«Ti prometto che quando sarai più grande ti insegnerò tutto ciò che so, ma fino ad allora non devi fare niente che io farei. E soprattutto non devi fare niente che io non farei» mormorò, porgendole il mignolo come promessa solenne.
Tony si sentì sciogliere, avvertì gli angoli degli occhi pizzicare e le labbra tremare. Era così... così fiero di lui. Così felice per lei che avesse avuto l'occasione di crescere vegliata da una persona così straordinaria.
«Mi ricorda qualcosa!»
Una voce alle sue spalle che lo costrinse a voltarsi di scatto con un sussulto. Non l'aveva sentito arrivare, ma ora Peter Parker non era più solo un ologramma ad alta tecnologia al centro del laboratorio, ma una persona fisica e sorridente all'ingresso. Tony soffiò con il naso e sorrise.
«Spiacente di aver violato il suo copyright, signor Stark» continuò Peter, indicando se stesso nell'ologramma ancora acceso e messo in pausa. Mosse passi lenti verso di lui. Erano settimane che non avevano occasione di parlare con calma, da soli.
«Sei stato come un padre per lei» constatò Tony, dando adito a ciò che Banner gli aveva detto tre settimane prima, qualcosa a cui lui stupidamente non aveva creduto. Lo aveva ritenuto impossibile - del resto Peter era solo un ragazzino l'ultima volta che l'aveva visto. Ma aveva potuto osservare con i suoi stessi occhi ciò che aveva fatto per sua figlia e poteva guardarlo ora, così cresciuto a pochi passi da lui, con un accenno di barba incolta e le spalle larghe. Non era più un ragazzino per davvero, ma per lui lo sarebbe stato per sempre.
«Non ho mai voluto sostituirmi a lei, signor Stark». Peter si morse il labbro inferiore in preda a un lieve senso di colpa. Temeva che Tony potesse esserne geloso.
«Non ti stavo accusando, Pete. Sono davvero molto felice che tu le sia stato vicino durante la mia... ehm... assenza. Hai fatto un ottimo lavoro con lei» confessò Tony e, senza smettere di sorrise, scacciò via l'ologramma con una mano.
Non c'era amarezza nelle sue parole, solo sincerità, eppure Peter non riuscì nemmeno per un secondo a non sentirsi in parte responsabile, nonostante l'orgoglio per quanto si fosse sentito dire. 
«Mi dispiace che si sia perso tutte queste cose. E mi dispiace di non averle dato la possibilità di trascorrere questi ultimi anni insieme a Pepper» disse, pronunciando quell'ultimo nome con voce tremante. Gli mancava tanto, in fin dei conti. Era molto affezionato a lei. 
«Non è colpa tua, Peter! Non pensare che sia colpa tua!» Tony si avvicinò di un passo verso il ragazzo e gli mise una mano sulla spalla.
Peter rabbrividì a quel contatto. E sì, in effetti forse era diventato fin troppo egocentrico da poter pensare che ogni cosa fosse responsabilità sua. Esattamente come il suo Obi-Wan, del resto. «Come... signore, lei come sta, a proposito?» domandò, riferendosi alla perdita che Tony aveva dovuto affrontare in modo del tutto inaspettato.
Non doveva essere stato facile: seppur vero che avesse ritrovato tutti loro - gli scomparsi - aveva dovuto rinunciare a una persona importante. 
«Beh, Pepper mi manca... sono riuscito a farmene una ragione, più o meno. Sono felice di avere Morgan e di poter continuare a crescerla. E qui sto... bene» dichiarò Tony. Sorrise mesto e, con gesti teatrali, esibì e indicò tutti i nuovi giocattoli che Banner gli aveva procurato per il suo laboratorio.
Peter sorrise. La maggior parte di quegli aggeggi li aveva inventati lui, ma non avrebbe voluto dimostrarsi troppo impettito e montare un pippone su come e quando aveva avuto le idee per i nuovi macchinari.
«Non pensa di voler tornare nel suo tempo?» domandò Peter, colto dall'improvvisa paura che lui potesse andarsene. In quelle settimane non gli aveva mai più dato modo di pensarlo - dopo quel 27 settembre di fuoco - ma quel tarlo aveva comunque rosicchiato un angolo della sua mente.
Tony aggrottò le sopracciglia e riflettè sulla domanda di Peter. Ci aveva pensato, all'inizio. Inutile negarlo. Aveva pensato che avrebbero potuto salvarlo e lasciarlo lì dove fosse, a crescere la sua famiglia, a godersi quegli ultimi anni con Pepper. Ma poi... beh, non avrebbe mai potuto lasciare sola Morgan dopo la morte di sua madre. La piccola Maguna del suo tempo avrebbe avuto Pepper, Peter, e tante persone con cui crescere anche senza di lui... fino a quel 27 settembre 2031. 
«No, a dire il vero. Sono sicuro che Peter del mio tempo farà quello che hai fatto tu, quando Pepper se ne andrà tra otto anni. E poi ho visto che Morgan è in buone mani, è cresciuta bene grazie a voi. Grazie a te» spiegò Stark con un sorriso sghembo, rispecchiandosi negli occhi sollevati del suo protetto.
E, tra le altre cose, come diavolo avrebbe mai fatto ad abbandonarlo di nuovo, dopo tutto ciò che Peter aveva fatto per lui? Sarebbe stato un vero ingrato. E uno sciocco. 
«Sono un po' dispiaciuto che Peter non abbia avuto la possibilità di salutarla, signor Stark. Sa, io ho potuto farlo sul campo di battaglia prima che... beh, prima di ciò che è successo» confessò, ripensando al se stesso dell'altra epoca, alla sua disperazione nel vederlo andare via. Provò un brivido lungo la schiena, ma si rischiarò la mente nell'aggrapparsi di nuovo agli occhi castani di Tony.
«Beh, un giorno ce l'avrà. La pianterai mai di chiamarmi signor Stark, ragazzino?!» lo ammonì Tony incrociando le braccia al petto, con una serietà che venne però tradita da un angolo della bocca rivolto all'insù.
Peter rise e scosse la testa. Era così felice che fosse tornato!
«La pianterà mai di chiamarmi ragazzino, signor Stark?»
 


Trascorsero altre due settimane da quel giorno, e Tony non smise neanche per un attimo di ritagliarsi attimi di tempo tra una saldatura e l'altra per potersi godere dei piccoli frammenti di vita di sua figlia e tutti i suoi amici; mentre la sera, quando Morgan tornava da scuola, dedicava il suo tempo per aiutarla a fare i compiti ed essere il padre di una ragazzina adolescente che – per quanto fosse matura e intellettualmente spiccata – sempre adolescente era. A volte Tony faticava a restare al passo con i suoi ritmi. Non conosceva quasi nulla delle nuove tendenze, si era perso otto anni di vita e non poteva immaginare quanto fosse stato repentino il cambiamento delle abitudini dei teenagers; a volte sembrava che Morgan parlasse una lingua differente dalla propria. Persino Captain Geriatria sembrava comprendere meglio le usanze di quel nuovo decennio - e non aveva tardato a prenderlo in giro. Nonostante ciò, sentiva una connessione profonda con Morgan, l'adorava, avrebbe passato ore e ore ad ascoltarla cantare e suonare quella meravigliosa Fender Telecaster modello Giapponese. L'ascoltava fare il resoconto delle sue lunghe giornate di scuola, con quegli occhietti vispi e il sorriso dolce di sua madre, la guardava pettinarsi i capelli con le mani, la sentiva rispondere a tono agli altri Avengers con un senso dell'umorismo made in Stark Industries. Aveva iniziato a truccarsi la mattina, poco poco, giusto un velo di mascara. E quel lucidalabbra color caramello regalatole da Wanda che finiva spiaccicato sulle guance di Tony quando, entusiasta, Maguna lo salutava e si dirigeva zaino in spalla verso l'auto di Happy.
In quelle due settimane aveva appreso le sue routine e se ne era creato a sua volta di nuove. Adorava pranzare nel primo pomeriggio gustandosi i prelibati manicaretti di Sam Wilson - il quale aveva scoperto una vera e propria dote culinaria. Trascorreva le serate a recuperare gli ultimi film usciti, seduto comodo sul divano con sua figlia e gli altri malcapitati del caso. Scott – il quale si definiva un grande esperto di cinematografia – gli presentava ogni sera un nuovo spunto da vedere. Poi, una volta accompagnata Morgan a dormire, si immergeva di nuovo nel laboratorio, a volte solo, a volte con Banner fino a tarda notte.
E, proprio una fredda notte di inizio novembre, riuscì a saldare l'ultima parte di una nuovissima armatura dotata delle più moderne funzionalità. Una notte frenetica, fatta di viti, bulloni e software installati tra la fretta e la voglia di presentare al mondo il nuovo-vecchio Ironman.
Tony si accarezzò il pizzetto sotto al mento, osservando l'altra mano avvolta dall'armatura fino all'avambraccio. Aprì e chiuse le dita soddisfatto, controllando poi con la coda dell'occhio l'orario. Le due del mattino. Un orario perfetto per mettere alla prova quel gioiellino.


Tony camminò veloce e sicuro lungo i corridoi della T.S.M.A.F, come se conoscesse la mappatura della base da sempre, come se l'avesse costruita lui stesso. Non avrebbe mai immaginato di sentirsi così tanto a casa in un luogo del quale non aveva progettato né arredato quasi nulla, ma non se ne sorprese: chi l'aveva ideata era forse l'uomo – che strano chiamarlo in quel modo! - più simile a lui in fatto di gusto tecnologico. E poi gliel'aveva proprio dichiarato che si era ispirato ad alcuni vecchi progetti, per realizzarlo. Salì a due a due i gradini che lo avrebbero portato sul tetto. Il cuore martellante contro la cicatrice interna lasciata dal suo vecchio reattore, le mani tremanti dalla curiosità nello stringere tra le dita quella sorta di orologio contenente la sua armatura nuova di zecca, e un sorriso compiaciuto dipinto tra le leggere rughe del suo volto.
Era una notte tersa e stellata, in quella periferia lontana di New York. L'aria profumava di novembre e di fresco, di Halloween appena passato, del conto alla rovescia verso il giorno del ringraziamento. Il freddo gli pizzicò le guance e gli avambracci appena scoperti dalle maniche del maglione arrotolate fino ai gomiti, ma non vi badò. Si guardò intorno e, inalando curiosità e coraggio, si allacciò l'orologio al polso, assetato dalla voglia di tornare al mondo come colui che era sempre stato. Tuttavia, giunto il momento di premere quell'agognato pulsante, un movimento furtivo attirò la sua attenzione. Non si sentì minacciato, ma sorpreso. Di cosa, poi? Sapeva bene che le probabilità di incontrare qualcuno su quel tetto fossero ben alte, specie con tutti quei supereroi che non aspettavano altro che le notti per poter pattugliare il crimine in giro.
Peter si affacciò dall'alto del tetto rialzato e, dopo averlo osservato per qualche secondo, incrociò le braccia al petto. Tony sorrise sghembo e alzò gli occhi al cielo. Probabilmente Bimbo Ragno l'aveva avvertito sin da quando aveva iniziato la sua ascesa verso il tetto, nonostante avesse cercato di fare il meno rumore possibile.
«È il tuo posto preferito, quello lì?» domandò Tony ad alta voce, volgendo il proprio sguardo verso l'alto, lassù, dove lui e Peter avevano parlato al tramonto più di un mese e mezzo prima, appollaiati sul muretto.
Il ragazzo annuì e sorrise mesto. 
«È il posto dove venivo sempre per essere più vicino al cielo» ammise, con le labbra strette. Vicino al cielo, vicino a Tony. Non che ce ne fosse più bisogno, visto che il signor Stark era lì tra loro, ma non avrebbe mai perso l'abitudine di recarsi in quel luogo per pensare. E poi, da qualche parte lassù, c'era pur sempre un altro Tony. Quello della sua epoca.
Peter rabbrividì ma decise di ricomporsi. Con un agile balzo scavalcò il muretto e atterrò con un sorriso forzato a un metro di distanza dal signor Stark, il quale prese a guardarlo con aria sospetta. Probabilmente le sue occhiaie tradivano ciò che nascondeva. L'insonnia, eredità che Tony Stark gli aveva lasciato.
«Non riesci a dormire?» domandò quest'ultimo con una certa sicurezza. Avrebbe potuto riconoscere un nottambulo anche ad occhi chiusi.
Peter si avviò verso la ringhiera seguito da Tony, ci si appoggiarono con i gomiti l'uno di fianco all'altro.
«Sono otto anni che non riesco a dormire» sospirò Peter. Con la coda dell'occhio vide Stark irrigidirsi, ma che senso avrebbe avuto mentirgli? Oramai gli era ben noto come la sua dipartita aveva segnato per lui un trauma non indifferente. Era poco più che un ragazzino!
Tony se ne dispiacque, sebbene la decisione presa dal Tony di quell'epoca fosse stata necessaria per salvare tutti. «Ti capisco, sai?» sussurrò. Era talmente abituato ad avere notti insonni! «Incubi?»
Peter sospirò, chiuse gli occhi per un attimo e deglutì alla ricerca di un appiglio per farsi un po' di forza. Non aveva più motivo di pensarci, non aveva più motivo di ricordare eppure, nonostante Tony fosse lì vicino a lui, una parte di se stesso lo obbligava a svegliarsi nel bel mezzo della notte, madido di sudore e con il cuore che palpitava a una velocità fuori dal normale.
Io sono Ironman.
«Sempre lo stesso» ammise Peter, scuotendo la testa per scacciare via l'immagine di quello schiocco di dita. Possibile? Non riusciva a levarselo dalla testa. Mai.
«Ti va di raccontarmelo?» 
«Non credo. Non voglio metterle in testa qualcosa che fortunatamente non ha vissuto». Peter ne aveva già parlato in abbondanza con il suo analista, di quell'incubo. O meglio, di quel ricordo che non riusciva a togliersi dalla mente, sia dal conscio che dall'inconscio. Non ne poteva più di ripercorrere quei duri momenti, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere Tony da quella cosa. Forse era per quel motivo che continuava a evitare di ritrovarsi solo con lui da un mese e mezzo. Affrontare l'argomento avrebbe voluto dire scoprirsi fin troppo e dare lui un peso insostenibile.
Mi dispiace... Tony...
Tony strinse le labbra. Pensare a ciò che Peter aveva dovuto trascorrere - alla sola età di diciassette anni - lo fece rabbrividire. Non solo era stato ridotto in cenere da un pazzo scriteriato con manie di distruzione ma, appena tornato nel mondo dei vivi, aveva dovuto combattere una delle battaglie più difficili della sua vita durante la quale... beh, durante la quale aveva dovuto vederlo morire. Sapeva quanto quel ragazzo lo vedesse come un... padre? No, forse un mentore, un amico. Beh, qualsiasi cosa fosse, sapeva di essere stato importante per lui. E solo il pensiero della sofferenza che doveva aver provato – lui come Morgan, come Pepper - lo fece rattristire parecchio.
«Pete... m-mi dispiace per quello che hai dovuto sopportare» balbettò. Non era ancora abituato a quei discorsi ma, a giudicare dalla reazione di Peter, che  riprese a guardarlo in faccia, non era poi così negato ad essere empatico. Cielo, era invecchiato per davvero!
«È stato orribile guardare i suoi occhi spegnersi, signor Stark» rivelò il ragazzo di getto. Non avrebbe dovuto mostrarsi così debole di fronte a lui, ma a quanto pareva non era l'unico ad avere delle debolezze.
«È stato orribile guardare il tuo corpo ridursi in cenere, Peter. È stato il mio incubo ricorrente per cinque anni» confessò Tony nella speranza di dare un minimo di... conforto? Sì, conforto. O rendergli meno difficile il confidarsi con lui riguardo a quelle cose. Dal giorno in cui era tornato non ne avevano più parlato. Avevano parlato di Morgan, di come se la fossero cavata bene, della nuova base, di alcune missioni o quant'altro.
Tony era certo che Peter avesse fatto apposta ad evitarlo per quasi un mese e mezzo, o quantomeno a vederlo lontano da qualsiasi possibilità di rivelarsi le loro debolezze. Raccontarsi il fatto che no, non fosse affatto stato tutto facile. Per nessuno dei due.
E, nonostante Tony sapesse quanto fosse stata dura per Peter e Peter sapesse quanto fosse stata dura per Tony (Pepper gliel'aveva raccontato spesso che Tony, durante i suoi cinque anni in cui era stato pulviscolo spaziale, non aveva trascorso notte senza guardare la loro foto insieme), non avevano mai trovato il coraggio di parlarne per davvero. Parlarne con calma, rivelarsi tutte le sfaccettature del loro dolore. Era difficile, troppo difficile e doloroso. E forse Peter non era ancora pronto a raccontargli di tutte le notti passate a piangere, quando invece Tony forse sarebbe stato pronto a raccontagli che l'unico motivo per il quale aveva accettato di viaggiare nel Regno Quantico era stato riportare indietro lui. 
Si guardarono per qualche istante come se si trovassero appesi a un filo – o ad una ragnatela – ma fu lo stesso Peter a salvarsi. A tirare il filo e aggrapparsi a un porto sicuro, ancora troppo fragile e troppo coscienzioso per rivelare tutte le proprie debolezze all'uomo che per anni aveva voluto solo compiacere. Al quale aveva sempre voluto mostrarsi grande, forte e determinato. Perché mai, ora che era grande forte e determinato per davvero, avrebbe dovuto rovinare tutto (tutta l'immagine che era riuscito a dare di sé fino a quel momento) scomponendosi e mostrandosi fragile come quel ragazzino spaventato di una volta?
E io volevo che tu fossi migliore.
Era finita, giusto? Era tutto passato. Erano salvi. Niente più Thanos, niente più pericoli alieni. E ora era migliore per davvero, Peter. Era un adulto! 
«Ma ora siamo qui, giusto?» sdrammatizzò Peter. Mostrò i denti in un sorriso largo.
Tony comprese che per Peter fosse troppo difficile mettersi a nudo. Lo rispettò e gli diede probabilmente quello che voleva: un gran sorriso e un ulteriore riconoscimento per ciò che era diventato.
«Sei cambiato così tanto, Pete! Parli meno, e soprattutto meno velocemente. Non hai ancora attaccato con una filippica, insomma!» ironizzò.
«Le dispiace?» si sincerò Peter, preoccupato che il suo mentore non lo riconoscesse davvero più. E per un attimo si sentì stupido, quando il signor Stark si mise a ridere.
«Oh, no. Voglio dire, ero tanto affezionato a quel ragazzetto impulsivo che ogni tanto ancora vedo in te. Tipo adesso nei tuoi occhi sgranati dalla curiosità di ciò che ho da dirti. Ma sono tanto orgoglioso di ciò che sei ora» disse Tony, un po' più serio in quell'ultima confessione. «Si vocifera del fatto che tu sia diventato per davvero il nuovo Ironman».
«Ho sempre smentito quelle voci, nonostante sia stato lei stesso lasciandomi quegli occhiali a dare il via ad esse. Io sono sempre e solo Spiderman» puntualizzò Peter, fiero. Certo, per il primo periodo successivo ai fatti di Mysterio era stato molto orgoglioso del fatto che Tony avesse riposto in lui tutta l'eredità di Ironman tramite EDITH – ed era stato molto fiero che tutti si appellassero a lui come "il nuovo Ironman" – ma aveva poi provveduto a rimarcare il suo ruolo. Nessuno avrebbe mai eguagliato né sostituito Ironman, ma come Spiderman avrebbe sempre fatto tutto ciò che era in suo potere almeno per proteggere il mondo come avrebbe fatto Tony Stark.
«Ottima risposta, ragazzino» si compiacque Tony, con un occhiolino. «IO sono Ironman».
Io sono Ironman.
Peter deglutì. Il suo cuore si fermò per un istante, giusto il tempo per fagli iniziare a sudare freddo. Quelle parole pronunciate con quella stessa voce furono una stilettata. Sentì il panico mordergli le caviglie e invadere tutti i suoi sensi di ragno. Tony lo notò, lo guardò sbiancare ma non capì cosa diavolo gli stesse accadendo.
«Pete... ho detto qualcosa che non v-» si accertò, interrotto però da una vocetta acuta alle loro spalle. 
«Papà! Zio Peter!» li chiamò Morgan, con un tono sorpreso nella voce. Uscì allo scoperto e si strinse infreddolita nel suo parka verde militare, infilando il naso nella sciarpa di lana color ocra.
«Maguna, che ci fai ancora sveglia?» Tony si staccò dalla ringhiera e si avvicinò alla figlia, tirandole il cappuccio sulla fronte con un gesto affettuoso. Peter li raggiunse altrettanto in fretta e benedisse Morgan per essere arrivata al momento giusto per poterlo distrarre dalle sue ingiustificate crisi di panico.
Da quando Tony era tornato erano addirittura aumentate. Ridicolo! Erano anni che quegli attacchi erano destinati solo ai risvegli notturni, e invece in quel momento bastavano tre parole messe al posto sbagliato per fargli perdere la testa. Non voleva che quella cosa pregiudicasse il fatto di godersi i bei momenti insieme.
«A dire il vero ero così stanca che sono andata a letto senza cena, e ora mi sono svegliata in preda a una fame da lupi!» confessò Morgan, con uno sbuffo.
«Uhm, ora che ci penso anche io ho fame» si ricordò Tony, percependo il proprio stomaco brontolare. Aveva passato la notte in laboratorio e si era dimenticato di ingurgitare cibo.
«Ehi! Andiamo a mangiarci un cheeseburger tutti e tre insieme?» trillò lei, con rinnovato entusiasmo.
«Sono le due del mattino, i mocciosi come te dovrebbero dormire a quest'ora» puntualizzò Peter, con una sonora risata. Non che fosse così una cattiva idea mettere qualcosa sotto ai denti, in quel momento.
«I mocciosi come me non hanno un papà e uno zio così fighi da portarmi in centro volando» sottolineò Morgan, alzando le sopracciglia in modo provocatorio prima verso il padre, poi verso Peter.
E, come se il richiamo del cibo – ma soprattutto di farsi un bel giro sotto mentite spoglie a New York City – fosse qualcosa di irresistibile, ogni traccia di turbamento o paranoia mentale sparì dalla mente dei due Avengers i quali, senza doversi dire niente, presero a guardarsi con l'espressione complice di chi sa perfettamente cosa fare.
 


«WOOOOOOOOOHOOOOOO!»
Morgan si avvicinò alle stelle ed ebbe quasi la percezione di poterle toccare, lanciata con forza verso il firmamento dalle braccia meccaniche del padre. Si immerse nel blu della notte senza alcuna paura, con i capelli scompigliati dal vento e le mani tremanti di freddo, poi si lasciò cadere con altrettanta sicurezza verso il basso dove, ne era certa, ci sarebbero state le calde braccia di Spiderman a prenderla al volo.
Peter la prese per la vita e agganciò una delle sue ragnatele al Queensboro Bridge per darsi lo slancio verso l'alto e passare di nuovo Morgan al padre il quale, afferrandola al volo, la portò ancor più in alto di prima sulle nuvole. Quale modo migliore per Tony di provare la sua nuova armatura – che era stata idolatrata oltre ogni aspettativa dal buon vecchio animo nerd di Peter Parker – se non volando verso Manhattan con le uniche due persone con le quali avrebbe voluto trascorrere la serata?
Fece un'agile piroetta in aria meravigliandosi e auto-compiacendosi della nuova tecnologia molto più agile e scattante del nuovo decennio, poi lasciò cadere la sua Maguna in direzione di Peter. Questi la agganciò con una ragnatela e, tirandosela verso di sé, decise di raggiungere le rive della cinquantanovesima strada a tutta velocità.
«Prepararsi all'atterraggio!» annunciò Peter in picchiata verso il terreno, avvertendo le braccia di Morgan stringersi più forte alle sue spalle poco prima di toccare il suolo.
«WOW! È stato pa-zze-sco! FIGHISSIMO!» urlò lei sovreccitata non appena, con i capelli scompigliati e le gambe tremanti dall'emozione, riuscì a tenersi in piedi da sola. Dall'altra parte della strada un barbone ubriaco sgranò gli occhi nel vedere Ironman in persona atterrare a pochi metri di distanza ma, per l'appunto, con tutta probabilità si considerò troppo ubriaco perché fosse tutto reale.
«L'amichevole Spiderman di quartiere conosce un posto dove possiamo cenare tranquilli in borghese?» domandò Tony, riponendo l'armatura all'interno della nano-tecnologia del suo orologio.
Peter guardò Morgan sorridendo, ed entrambi si spalleggiarono verso quello che era il loro posto preferito.


I tre doppi cheeseburger con aggiunta di salsa barbecue vennero portati al loro tavolo dalla signora Madison in persona, una donna sulla sessantina che aveva preso Peter in simpatia già da parecchi anni. Era stata una delle uniche persone che gli aveva creduto quando era stato diffamato da Quentin Beck dopo gli eventi in Europa e, sebbene ci fosse voluto più di un mese e mezzo per essere scagionato, lei l'aveva protetto e gli aveva dato manforte sin dall'inizio. E inoltre adorava la piccola Morgan. Inutile dire che quella sera - quando avevano bussato tutti e tre alla porta del suo piccolo diner tra la terza e la settantaduesima sull'Upper East Side - la signora aveva quasi dato di matto nel vedere Tony Stark in persona. Oramai lo sapevano tutti che era tornato in circolazione, ma vederlo con i propri occhi l'aveva mandata fuori di sé.
E così, dopo aver autografato tutti i poster sulle mura del diner, Stark e famiglia erano riusciti ad accomodarsi e farsi servire quanto ordinato e quattro porzioni extra di patatine arricciate.
«Non so come, ma nel 2031 i cheeseburger sono ancora più buoni di prima, se possibile» grugnì Tony, addentando il proprio panino con estrema foga. C'erano tantissime cose diverse, in quel futuro, alcune migliori e altre assurdamente bizzarre. Ma di una cosa era certo: la salsa barbecue era molto più saporita.
Mentre la Coca Cola... beh, meglio lasciar perdere. Quello sì che era un lutto vero.
Peter, seduto accanto a lui, lo guardò mangiare di gusto e si ricordò di tutte quelle volte nelle quali, poco prima degli avvenimenti che lo avevano portato a partire per lo spazio, avevano passato intere nottate dei week-end a progettare nuove cose insieme nei laboratori divorando cibo spazzatura. Era stato davvero un bel periodo, quello lì.
Pensa te se per farti stare zitto un secondo devo rimpinzarti di cibo!
Parker sorrise a quel ricordo. In effetti era stato davvero una macchinetta di flussi di coscienza, ma come avrebbe potuto essere altrimenti? Un diciassettenne circondato da macchinari altamente tecnologici con il permesso di usufruirne dall'uomo più famoso dell'intero pianeta! Si sentì sciocco, specialmente quando, alzando lo sguardo verso la sedia vicino, vide Tony fissarlo e ridere della sua espressione sorniona e anche un po' stupida.
Ma di sicuro non poté immaginare che, proprio nello stesso istante, Tony stesse sorridendo per il medesimo ricordo.
«Beh? Quando inizierete a lavorare alla mia tuta?» si intromise Morgan liberando il giovane Parker dal completo imbarazzo, ma ponendolo di nuovo in una posizione di contrasto come quella di diversi mesi prima. Ne avevano già parlato, dannazione!
«Quando avrai diciotto anni».
«Quando avrai quindici anni».
Le voci di Peter e Tony risuonarono all'unisono, diversificate solo da un'evidente discordia sull'argomento principale; cosa che li fece voltare l'uno verso l'altro per guardarsi allibiti. E Morgan, seduta in mezzo di fronte ai due supereroi, non poté fare a meno di alzare un sopracciglio.
«Signor Stark? Quindici anni?» domandò Peter, esterrefatto.
«Ti ho preso con me a quell'età o sbaglio?» rispose con semplicità lui con tanto di spallucce, infilandosi poi una patatina in bocca senza troppi complimenti.
«Io sono stato morso da un ragno! Non le sembra un po' prematuro? Morgan non ha superpoteri» spiegò con ovvietà Peter, non comprendendo se il suo mentore fosse impazzito o stesse cercando solo di non farsi rompere le scatole dall'insistenza di sua figlia.
«Uhm, hai ragione. Facciamo quindici e mezzo» concluse Stark, posizionandosi meglio gli occhiali dal vetro semi-trasparente sul naso. Poi incrociò le braccia al petto, con il volto illuminato da una consueta strafottenza.
«Cosa!? No! Diciassette!» rilanciò Peter, sbalordito.
Morgan, con gli occhi fuori dalle orbite e una patatina imbevuta di maionese tenuta a mezz'aria, non riuscì a credere alle proprie orecchie.
«Ricordati chi è il capo, qui. Ok, te lo posso concedere... sedici anni» convenne Tony, trovando ragionevole la precedente affermazione di Peter. Ma suvvia! Morgan era sua figlia, sarebbe stata portata per certe cose. E poi, almeno un poco, voleva ingraziarsela e far passare Peter per il pesantone, una volta tanto!
«Ma signor Stark!» insistette veemente Peter.
«Torniamo a quindici anni!?» giocò d'astuzia, divertito dall'insistenza del suo protetto.
«Ahhh, ci rinuncio. Andata per sedici, ma almeno per un anno sotto la nostra completa supervisione» bilanciò il ragazzo, portandosi entrambe le mani sulle tempie. A volte dimenticava quanto fosse difficile argomentare e controbattere con Tony. Ma, da quanto ricordava, Happy si stupiva sempre di come Peter fosse l'unico a cui - a volte - Stark dava ascolto.
Nonostante tutto, entrambi si resero conto di quanto quei momenti di spensieratezza fossero loro mancati.
«Ehi, vi rendete conto che io sono qui davanti a voi? Avrò un minimo di potere decisionale in que-» protestò Morgan, interrotta però da entrambi i quali, nel medesimo istante, si voltarono verso di lei per ammonirla.
«Silenzio, ora parlano gli adulti!» dissero all'unisono, con tempismo e coordinazione. Peter arrossì imbarazzato, mentre Tony tirò fuori la sua migliore espressione attonita.
«Sembrate una vecchia coppia di sposi» commentò con voce sarcastica Morgan e, dopo aver scosso la testa con fare contrariato, riuscì finalmente a infilarsi in bocca quella dannata patatina.
A quelle parole, Tony non riuscì proprio a fare a meno di trasalire. Tony Stark che arrossisce? Ma da quando?
I due supereroi si guardarono sottecchi per parecchi secondi, secondi pregni di domande e questioni irrisolte. Per un attimo Peter temette di avere esagerato. In fondo era Tony il padre di Morgan, che diritto aveva di questionare sulle sue scelte educative? Si sentì in colpa. Aprì la bocca come per dire qualcosa – scusarsi, giustificarsi o cos'altro – ma, puntuale come un orologio svizzero, fu il fato disturbare quel momento nel modo più ovvio possibile: un'esplosione assordante in un cantiere a soli tre isolati di distanza.
Tipico, no?

 
Continua...



[1] Ci sono molte teorie riguardanti il viaggio nel tempo compiuto da Steve alla fine di Endgame. Molti sono sostenitori di una linea temporale sola che si può percorrere avanti ed indietro, stando attenti a non modificare o intralciare gli eventi. Secondo molti Cap è tornato indietro ed ha vissuto una vita senza interferire troppo con la storia e, nel 2023, si da Bucky, Hulk e Sam dove sapeva che fosse partito. Io mi sono rifatta invece a quella del nastro di Mobius - che in realtà è la più probabile e sensata, se vogliamo dirla tutta, in quanto Cap ha interferito sì con la storia sposandosi con Peggy! Questa teoria prevede che dal momento in cui Steve è tornato indietro si è creata una nuova linea temporale (chiamiamola B-side), parallela ma diversa a quella originale e - nel 2023 di quell'anno, egli abbia trovato il modo di viaggiare nel regno quantico per tornare alla sua realtà originale. Ecco spiegate le mie scelte stilistiche su cosa abbia fatto Cap nella linea temporale B-side.

ANGOLO AUTRICE:
Ciao a tutti! Eccomi finalmente tornata con il terzo capitolo di questa long. Ho visto con piacere che siete in tanti a seguirmi, sono davvero molto contenta che questo mio primo approccio con il fandom MCU sia gradito. Se avete voglia o se avete dei dubbi non fatevi problemi a lasciarmi un vostro parere. Anche critiche costruttive dato che, sì, sono decisamente perfezionabile :D
Abbiamo assistito in questo capitolo un grande ritorno di scena! Il mio tesoruccio è un po' bacucco, ma fortunatamente ancora vivo e con un grandioso passato alle spalle che spero avrò modo di raccontarvi in modo più approfondito.
Il nostro Tony, dopo aver finalmente elaborato il suo lutto, si è immerso nei ricordi e si sta piano piano rendendo conto che il ragazzino che conosceva è cresciuto ed è stato assolutamente un degno erede. Morgan? Morgan io la trovo un personaggio delizioso.
E Peter... beh, Peter sembra avere fatto un passo a ritroso. E' più fragile, più paranoico e, nonostante sia in un brodo di giuggiole per aver riavuto Tony indietro, è pieno di sensi di colpa e di insicurezze. Come farà a farsi passare gli incubi?
Così, dopo un battibecco da coppia sposata su come educare la ragazzina, è successo un patatrack! Esplosione? Detonazione? DOVE? COME? Possibile che non si possa mai star tranquilli a NY?
Credo proprio che riuscirò ad aggiornare intorno alla seconda settimana di settembre! Nel frattempo vi auguro un buon fine vacanze (T___T mi viene da piangere, non voglio tornare al lavoro!) e buon proseguimento!
Eevaa

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Capitolo 4
*** It's not that easy and I accept it now ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
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Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo

Nessun copyright si intende violato.


 

HIGH
HOPES



CAPITOLO 4 - IT'S NOT THAT EASY AND I ACCEPT IT NOW


 
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Era in quel mondo da a malapena un paio di mesi e già i problemi stavano bussando alla porta di casa sua. Tony si issò in piedi dalla sedia in contemporanea a Peter, entrambi sgranarono gli occhi per osservare meglio la realtà newyorkese fuori dalla vetrina del diner. Fumo verde e altre esplosioni si susseguirono per i successivi secondi. 
Peter premette un tasto del suo orologio a nano-particelle e l'armatura lo avvolse. 
«EDITH, che succede?» domandò Peter, richiamando la propria assistente vocale.
Un nuovo attacco a tre isolati da qui verso nord. Coordinate inserite nel GPS – annunciò EDITH.
«Chissà perché i malviventi decidono sempre di dare spettacolo mentre mangio» protestò Tony, dirigendosi ad ampie falcate verso l'uscita, mentre veniva anch'esso avvolto dalla sua armatura nuova di zecca. 
«Bentornato nella Grande Mela, signore» dichiarò Peter, con evidente sarcasmo. Trascinò Morgan verso il bancone del diner, intimandole solo con lo sguardo di raggiungere la signora Madison per nascondersi.
La vecchia proprietaria accolse la ragazzina con mani tremanti e il volto in bilico tra lo spavento e l'entusiasmo di vedere in azione i suoi supereroi preferiti insieme.
Tony puntò un dito contro sua figlia, ammonendola. «Maguna, se ti azzardi a muoverti di qui, l'armatura te la costruisco tra quarant'anni, come vorrebbe zio Peter».
Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo per la velata frecciatina al fatto che, sì, fosse iperprotettivo nei confronti della ragazza; poi, insieme, si avviarono a passi svelti verso la strada e si lanciarono alla volta del luogo incriminato.
Morgan li guardò sparire con occhi apprensivi, del tutto intenzionata a non disobbedire agli ordini di suo padre. Senza un'adeguata armatura sarebbe stato solo un rischio uscire da quel diner. Era piccola, ma non sprovveduta. Dannazione! Se solo avesse potuto, li avrebbe aiutati.


I due supereroi ci impiegarono meno di un minuto per giungere a gran velocità all'angolo sulla settantacinquesima ma, non appena Tony scorse ciò che aveva causato quelle violente esplosioni, si arrestò a mezz'aria per sgranare gli occhi e guardarsi intorno. Dei giganteschi polipi dal colore verde smeraldo avevano iniziato ad attaccare un grosso grattacielo, sede di una nuova tecnologia all'avanguardia per il controllo e lo spionaggio – la HIDESTAGE - e il cantiere limitrofo. E, sebbene fosse stato nello spazio e avesse conosciuto specie aliene di tutti i tipi, quella razza gli era oltremodo sconosciuta. Ma che diavolo ci facevano quei mostri, lì? Alle due di notte, per giunta!
«Alieni a Manhattan?! Allora le cose non sono cambiate per nulla!» berciò Star.
Spiderman, appollaiato a un paio di metri di distanza su un grosso cartellone pubblicitario luminoso, spalancò gli occhi della maschera in direzione di Ironman.
«Oh, merda!» esclamò, portandosi una mano sulla fronte, provvedendo poi senza indugio a risolvere la questione. «EDITH! Trasferisci immediatamente il software Giù Le Maschere a FRIDAY e procedi all'installazione».
«Il softwaregiùchecos-MA CHE DIAVOLO!?» ribatté Tony, esterrefatto dal comportamento bizzarro del suo alleato. Si interruppe però nel sentire la voce della sua assistente vocale annunciargli il completamento dell'installazione. E fu solo in quel momento che comprese l'atteggiamento di Peter, quando vide gli alieni di fronte a sé perdere di consistenza e mostrarsi per la loro vera natura: droni.
«Mi rincresce che nessuno l'abbia informata della minaccia tecnologica dell'ultimo decennio» intervenne Peter, mentre Tony fluttuava sul cartellone accanto a lui. Era convinto che Nick Fury l'avesse avvertito riguardo a quel piccolo inconveniente avvenuto in Europa, o che quantomeno qualcuno degli altri Avengers gli avesse raccontato qualcosa del fu Quentin Beck e i suoi scagnozzi ancora a piede libero. Evidentemente, però, il programma degli ultimi mesi era stato più incentrato su altro, sul ritorno di Tony, la ripresa delle Stark Industries, i nuovi Avengers e chissà cos'altro.
«Ma quelli sono mia tecnologia! O meglio... sono basati su essa!» analizzò Tony, con l'aiuto dell'intelligenza artificiale. Quei droni erano del tutto simili a quelli che egli aveva costruito per il controllo della Terra tramite EDITH, ma sicuramente modificati e migliorati con le nuove tecnologie. Ma com'era possibile che qualcuno - a esclusione degli Avengers - fosse venuto in possesso di quei droni?
«Per farla breve... anche da morto si è fatto dei gran nemici, signor Stark. E diciamo che ho combinato un gran casino per il quale ancora oggi paghiamo le conseguenze. Provvederò a raccontarle tutto nel dettaglio non appena sventeremo questo attacco» spiegò accigliato Peter, convinto che Tony gli avrebbe senz'altro strappato via la pelle dalla faccia nel sapere che avesse donato i suoi occhiali al primo finto eroe con la boccia da pesce come maschera.
Ma era stato l'errore di un ragazzino, d'altra parte. Del tutto perdonabile, se non fosse per il fatto che gli scagnozzi di Beck avessero continuato a modificare e studiare quella tecnologia per rivenderla a terroristi e malviventi di tutto il pianeta. Anche se erano quasi due anni che negli Stati Uniti non si verificavano attacchi di tale portata. Che il ritorno di Ironman avesse suscitato qualche malcontento nell'industria!?
«Insomma, io e te roviniamo il mondo e poi lo salviamo insieme?» giunse a conclusione Stark, scuotendo la testa nell'apprendere che Bimbo Ragno ne avesse combinata una delle sue, in passato. Ci avrebbe pensato più tardi a scoprire cosa.
«Precisamente» annuì Peter sfoderando una risata sarcastica.
L'ironia scemò poco dopo, con l'attacco di un drone verso la gru del cantiere, che si accartocciò su se stessa e cadde sui primi piani di un palazzo poco distante. Il rumore di vetri infranti fu spaventoso. 
Fecero per avviarsi verso l'epicentro quando, dalla finestra del palazzo colpito, delle grida di terrore si levarono interrompendo la loro corsa. Una madre e tre figli, aggrappati a una trave pericolante del loro vecchio appartamento, penzolavano in procinto di una mortale caduta libera dal decimo piano. Il vento sferzò sui loro volti scompigliando i capelli rossi di tutti e quattro, facendoli urlare ancora più forte quando la trave subì un inquietante scossone.
«Ok, tu pensa a tirare i Weasley giù di lì, io inizio a disattivare quei cosi» dispose Tony, che prese finalmente il volo verso il cantiere. Peter annuì.
Avrebbero salvato vite insieme. Avrebbero combattuto insieme per New York ancora una volta. E questa volta l'avrebbero fatto non più come un maestro e un allievo, ma come colleghi. Peter strinse i denti e i pugni, con il cuore a mille e l'ansia crescente.
Quello non era il momento di pensare a quanto fosse strano non pattugliare da solo quella sera, quello era il momento di salvare vite! Senza esitare, si lanciò appeso alla propria ragnatela in direzione del palazzo, sparandone un'altra verso la famiglia dai capelli fulvi imprigionandoli tutti e tre nella tela. Fece per trainarli verso di sé quando cinque violente esplosioni consecutive lo costrinsero a voltarsi, a controllare che tutto fosse sotto controllo. A verificare che Tony stesse bene.
La trave sulla quale era appesa la famiglia cedette, e ci mancò solo un soffio che la ragnatela venisse lacerata prima che Peter potesse trascinare verso di sé i civili. Una fortuna i suoi riflessi di ragno lo aiutarono e riuscì ad acchiappare la famiglia e portarla in salvo sul marciapiede per indirizzarli alla fuga. C'era mancato davvero poco! Aveva commesso un grave errore. Che idiozia! Perché mai aveva dovuto verificare se Tony stesse bene!? Era Ironman, dannazione, non un gattino indifeso! Peter scosse la testa e si maledisse, ma quello non era nemmeno il momento di autocommiserarsi. Era andato tutto bene, in fondo.
Con un agile balzo si aggrappò a un lampione per darsi la spinta verso l'alto e correre in rinforzo del suo alleato, il quale lasciò che si aggrappasse alla sua armatura per qualche secondo, in modo da spingersi oltre e atterrare su un drone impazzito  distruggerlo.
«EDITH, attiva l'uccisione istantanea!» annunciò Peter con i piedi sul dorso di un drone, e le zampe meccaniche trafissero tutti i dispositivi accanto. 
«Bimbo Ragno, che ne è stato del Protocollo Triciclo?!» gli urlò ironico Tony, dopo aver colpito un nemico con un raggio luminoso.
«È nella lista delle cose da inserire nell'armatura di Morgan!» replicò Spiderman. Arpionò due droni con le ragnatele e li fece collidere l'uno contro l'altro. L'esplosione fu assordante.
L'abbattimento dei droni procedette senza esclusioni di colpi ma, con pieno disappunto di Peter, egli notò che alcuni di essi – forse dei nuovi modelli di prova – fossero di gran lunga più resistenti rispetto agli ultimi da lui combattuti due anni prima a Boston, durante un attacco terroristico all'università di Harward.
Poco prima della sua missione nel Regno Quantico per portare Tony nel loro mondo, Ant-Man e The Wasp erano partiti per Dubai per una conferenza importante alla sede centrale della HIDESTAGE, ed erano stati coinvolti in un attacco simile con dei droni dello stesso calibro. Possibile che la mente dietro ai due assalti fosse la stessa? Probabilmente ai fondatori della HIDESTAGE non avrebbe fatto piacere apprendere di avere dei nemici alle calcagna.
Nonostante ciò se la stavano cavando bene, non senza qualche intoppo, ma bene. Eppure Peter non riusciva a concentrarsi, non riusciva a liberare la zona a dovere. Era distratto, troppo preso a controllare ciò che stava facendo Ironman per focalizzarsi sulla sua buona fetta di nemici. Stupido, stupido Spiderman! Non aveva motivo di preoccuparsi, né di tentare in tutti i modi di difendere più Tony che se stesso - cosa che stava segretamente facendo. Perché aveva così paura di vedere Tony combattere? Che rischio poteva esserci? Erano droni, solo maledetti droni, non un titano pronto a disintegrare l'universo!
Stupido, stupido Spiderman sì, perché se non fosse stato così sciocco e così distratto, forse si sarebbe reso conto di quel nuovo drone potenziato sopra di lui. Forse si sarebbe accorto del suo attacco prima di venire colpito in piena schiena.


Tony se ne accorse subito. Vide Peter precipitare verso il suolo e schiantarsi in malo modo contro un container. Lo chiamò a gran voce, ma egli non rispose, non si rialzò. Tramite la sua intelligenza artificiale verificò il suo stato di salute e, dopo essersi tranquillizzato sul fatto che il suo protetto non fosse passato a miglior vita, si apprestò a difenderlo da tutti gli attacchi degli altri droni che si stavano approfittando del suo svenimento. Non erano troppi, non più oramai, ma avrebbe dovuto farli fuori in fretta e mettere fine a quella storia, e c'era un solo modo per farlo.
«FRIDAY, operazione Piazza Pulita, per favore» intimò Ironman, posizionandosi al centro della battaglia, lontano da Peter a sufficienza.
Signore, l'applicazione è ancora in collaudo -
«Quale migliore occasione per collaudarla, allora?» ghignò, poi spalancò le braccia prima di ordinare all'intelligenza artificiale di procedere con la nuova arma di distruzione installata poche ore prima. Possibili effetti collaterali? L'autodistruzione dell'armatura stessa con conseguenti danni alla propria persona. Ma Tony era assolutamente certo di aver fatto le cose per bene. Al 99,9%.
Chiuse gli occhi e attese qualche istante che l'armatura si caricasse, avvertendo dopo qualche secondo una potente pressione a livello di tutte le giunture. Un rumore assordante gli fece fischiare le orecchie, ma quando riaprì gli occhi si accorse che, per fortuna, aveva ottenuto l'effetto desiderato: la maggior parte dei droni era stato colpito dalla sua esplosione.
Operazione eseguita con successo. Complimenti, signore -
«FRIDAY, andiamo, avevi forse dubbi?!» si compiacque e scosse la testa. Si apprestò ad abbattere manualmente gli ultimi tre o quattro droni rimasti illesi perché troppo lontani.
Ansimò all'ultimo colpo, poi raggiunse Peter più in fretta che poté, trovandolo ancora in stato di semi-coscienza. Senza nemmeno togliersi di dosso l'armatura si chinò per sollevargli il busto quanto bastasse per potergli togliere quel che rimaneva della sua maschera dal volto. Perdeva sangue dalla testa, faticava a tenere gli occhi aperti.
«Ragazzino! Che diavolo ti è successo?!» domandò retorico Tony, preoccupato, controllando tramite FRIDAY il suo stato di salute.
«M-mi dispiace, signor Stark. Mi sono... distratto» sbiascicò Peter, faticando a mettere a fuoco. Dopo essersi accertato che andasse tutto bene, che tutti i nemici fossero distrutti, che Tony stesse bene... chiuse finalmente gli occhi. Era al sicuro.
«Peter! EHI! PETER!» urlò Tony, scuotendolo nel vederlo perdere coscienza. Il cuore gli salì in gola.


 


Dolore. Un dolore lancinante alla base del cranio, come se un martello pneumatico gli stesse sfondando la testa. La schiena gli bruciava da matti, e si ricordò di essere stato colpito. La sua armatura? Oh, merda, gli sarebbe costata almeno una settimana di notti insonni per ripararla! Stava per vomitare, se lo sentiva. Si sentì come in barca, un forte senso di nausea lo pervase nello stesso istante in cui tentò di aprire gli occhi, ma a tenerli chiusi forse la sensazione era persino peggio. Si costrinse ad aprirli con grande sforzo e lottò con tutte le sue forze per non dare di stomaco. Tuttavia, non appena mise a fuoco il luogo in cui si trovasse – ossia il reparto medico e riabilitativo della T.S.M.A.F - e soprattutto la persona al proprio fianco, la nausea scomparve e al suo posto giunse un profondo senso di colpa. E la sensazione di essere un completo imbecille.
«S-signor Stark!» balbettò Peter, trovando la propria voce orribilmente roca. Osservò il proprio mentore adagiato sulla sedia con le mani dietro la testa e con un sorriso gentile dipinto in volto.
«Ehi, Ragnetto!» lo salutò Tony. Nell'assistere a un pessimo tentativo di Peter di alzarsi, si sporse e lo ricacciò contro i cuscini. «No, non ti alzare! Hai un bel trauma cranico con versamento, ma Strange è ottimista. Con la tua guarigione accelerata, in un giorno di riposo tornerai come nuovo».
Peter deglutì e si adagiò con amarezza alla propria brandina, portandosi una mano sulla fronte. Dal sole alto nel cielo al di fuori della stanza doveva dedurre che fosse oramai mezzogiorno passato. Doveva aver dormito per parecchie ore!
«Sono stato una frana» si colpevolizzò, con immensa vergogna. Avrebbe dovuto dimostrare a Tony che fosse cresciuto, che sapesse cavarsela da solo, e invece si ritrovava ospedalizzato con la testa mezza rotta dopo essere svenuto durante una missione.
«Non è da te distrarti in quel modo, non da quello che ho visto nei filmati e nelle analisi. Sono otto anni che non finisci a letto dopo una pattuglia. Sono io che ti porto sfiga?» ironizzò Tony, come se avesse avvertito i pensieri di Peter, come per fargli capire che non dovesse dimostrargli proprio un bel niente. Oramai ben sapeva di che pasta fosse fatto, non c'era bisogno di dimostrazioni. Era solo... preoccupato.
Peter distolse lo sguardo da quello caldo di Tony per ancorarlo al soffitto, non esattamente confortato dalla battuta.
Tony si fece più serio, poi si sporse un poco di più verso di lui per poggiargli una mano sulla spalla.
«Pete... che c'è?» 
«È vero, non è da me distrarmi così. Sono un debole» ammise lui, affranto. Si sforzò di mantenere il contatto visivo, ma gli bruciavano gli occhi per lo sforzo di non piangere. Già si era dimostrato peggio di un bambino! Si era distratto durante una battaglia solo per il semplice motivo che combattere accanto a lui gli aveva fatto rivivere quel momento
Io sono Ironman.
Quanto poteva essere fragile e psicopatico?!
«Debole!? È proprio questo che non dovresti pensare, ragazzino. Tu sei forte. Lo eri già prima e lo sei ancor di più ora» insistette Tony, stringendogli più forte la spalla. Non era mai stato debole, non l'aveva mai giudicato tale. Sconsiderato, forse, a volte persino immaturo tanto da dovergli confiscare la tuta – quando in realtà era solo preoccupato per la sua incolumità - ma era sempre stato forte. 
«Non è così, io so-» riprese Peter, più che convinto delle proprie affermazioni, interrotto però dalla voce calma ma insistente del signor Stark, il quale iniziò a parlargli sopra com'era solito fare durante le discussioni.
«Se ti dico che invece non lo s-»
«No, invece, lei non capisce, io-» si intromise Peter con voce più alta per poterlo sovrastare. Le loro voci, oramai, erano talmente alte che non si stavano nemmeno più ascoltando a vicenda.
«Io capisco benissimo, e so quello che-» articolò Stark, sottecchi, puntandogli un dito contro. 
«Non posso farmi travolgere in que-» le ultime parole di Peter, però, vennero interrotte da un urlo esacerbato. 
«PETER, CRISTO! Ho avuto paura anche io, ok?!»
Tony si alzò in piedi di scatto dalla sedia, facendola cadere dietro di sé con un tonfo secco.
E Peter, finalmente, chiuse la bocca in via definitiva. Si guardarono per qualche secondo con le orecchie frastornate da quel silenzio surreale, poi Tony si appoggiò al letto con le mani, chinando anche il capo come per volersi nascondere.
Non voglio morire, signor Stark!
Deglutì due volte prima di trovare le parole adatte, poi sollevò il volto per poter incontrare di nuovo lo sguardo del ragazzino. 
«Tenerti tra le braccia mezzo morto... mi ha fatto ritornare su Titano per qualche istante» ammise Ton, con voce calma e risoluta, nonostante stesse esternando qualcosa che lo aveva scosso per anni e anni. «Avevo paura di vederti scomparire di nuovo come cenere. Del tutto irrazionale, lo so. La mente umana è una merda» concluse, con un sorriso abbozzato.
Era certo di comprendere come Peter si fosse sentito la notte precedente. Del resto - poco prima dell'attentato - gli aveva confessato di avere costanti incubi che riguardavano la sua morte durante la battaglia contro Thanos. Era ovvio che combattere di nuovo insieme, fianco a fianco, gli portasse alla mente certe questioni. Esattamente come lui, ogni volta che guardava il volto di Peter incupirsi, tornava con la mente su Titano. Erano traumi difficili da superare, ma confessarselo e parlarne aiutava eccome, e avrebbe voluto davvero che Peter si aprisse un pochettino di più riguardo a ciò, senza paura di essere giudicato. Per questo motivo aveva deciso di mettersi a nudo riguardo alle sue irrazionali paure.
«Davvero, signor Stark? Cioè, non che la mente umana sia... intendo, davvero lei ha avuto paura di vedermi...» farneticò Peter, più disteso. Iniziò a balbettare e arrossire come ogni volta che non sapeva cosa dire e quindi diceva tutto e niente. «Cioè, era impossibile ovviamente, però lei ha detto che... insomma... perché anche io non ho potuto fare a meno di pensare a... a quando lei è... per quello che mi sono distratto, ma non volevo ammetterlo, mi dispiace. Però se anche lei mi dice che... ecco...»
Stark iniziò a ridere piano, poi un poco più forte tanto quanto bastasse per far interrompere quel delirio di flusso di coscienza. Peter si ammutolì e gonfiò le guance, imbarazzato – aveva appena fatto la figura dell'idiota. Tuttavia idiota non era esattamente il termine con il quale Tony l'avrebbe definito in quell'istante. Adorabile logorroico, forse.
«Sei sempre tu» sussurrò lui, con il cuore aperto e leggero da quel momento disteso, da quel gioioso clima ritrovato e, come gesto automatico, portò una delle sue mani sulla guancia sinistra di Peter. «Proprio come ti ricordavo».
Un gesto affettuoso. Peter divenne rosso in volto e iniziò a respirare veloce come durante una maratona. No, no, no. Non doveva dare adito a quelle sensazioni, non doveva farsi prendere da qualcosa che stava solo e unicamente nella sua mente.
Percepì il cuore ribollire. Troppe volte aveva immaginato le sue mani addosso, nei sogni reconditi di un ragazzino ossessivo. Tony era e sarebbe rimasto per sempre il suo eroe, il suo mentore, e ora un suo grande amico. Nulla più, nulla meno. Ma allora perché il signor Stark non staccava quella mano dalla sua faccia?
Lo scontro di sguardi si fece interrogativo. Tony alzò un sopracciglio, confuso, mentre percepì il volto di Parker divenire bollente e arrossato sotto la sua mano. Ma che diavolo?
Fortuna volle che, ancora una volta, i loro interrogativi vennero interrotti dal vociare e rumore di passi frettolosi provenienti dal corridoio. Stark ritirò la propria mano dalla guancia di Peter, lasciandola cadere sul letto.
«Dov'è?! Dov'è quello squinternato!?» tuonò una voce roca, prima che la porta venne spalancata con poca delicatezza. 
«Thor! Non ci provare neanche!» rispose Peter, dandosi lo slancio con i gomiti per mettersi seduto e indicare con fare inquisitorio il Dio del Tuono il quale - affiancato da Morgan, Drax e il dottor Strange - raggiunse il letto del povero infortunato, sedendosi con tanta irruenza da far tremare tutto.
«Oh, sì sì, bello mio!» ringhiò di nuovo, con un ghigno ampio e l'espressione compiaciuta. «Questo conta come danno inflitto! Con svenimento, poi! Hai preso un sacco di punti!»
«Ma non è giusto!» si lagnò Peter, allargando le braccia con disappunto. «Signor Stark, glielo dica! Si è trattato di una distrazione accidentale giustificabile!»
Tony aprì la bocca come per dire qualcosa, certo però di non star capendo niente di ciò che stesse succedendo. Inclinò la testa verso sinistra e corrugò le sopracciglia. Ma di che diavolo stavano parlando?!
«Peggio ancora. Le distrazioni sono per i pivelli. Raddoppierei i punti danno» suggerì Drax, con la consueta delicatezza di un orso in un negozio di cristalli. Thor estrasse il proprio palmare olografico, fece apparire una tabella con i volti dei diversi eroi e, selezionando il profilo di Spiderman, aggiunse dodici punti portandolo così in seconda posizione in classifica. Thor salì così al primo posto.
«Oh, andiamo!» protestò Peter, lasciandosi cadere afflitto sul cuscino, con le braccia incrociate al petto. 
Tony strabuzzò gli occhi interdetto e comprese finalmente quale fosse il motivo di tanto fermento.
«State davvero facendo un campionato sulle missioni?!» soffiò esterrefatto.
«Idea di zio Thor. Fanno anche la premiazione di fine anno durante la quale gli ultimi in classifica devono offrire da bere ai primi» spiegò poco entusiasta Morgan, scuotendo il capo con disappunto mentre Thor – tutto fiero e impettito – mostrava sull'ologramma le sue statistiche e la vittoria schiacciante di tre anni prima. Oramai erano due anni che Peter deteneva il primo posto tra pattuglie eseguite e minor danni subiti. Ma le cose sarebbero cambiate, oh, eccome! Thor ne era certo: quell'anno avrebbe vinto lui! 
«Da quando me ne sono andato questo posto è andato davvero a rotoli» commento Tony con disappunto. Lasciò i supereroi con l'amaro in bocca per qualche secondo, proprio fino a quando - con fare serio e stizzito - rincalzò il discorso. «Beh? Che state aspettando a inserirmi in classifica!?»
Morgan e Stephen Strange si guardarono con eloquente contrarietà e, scuotendo la testa, si allontanarono dalla stanza prima che i quattro eroi iniziassero a discutere molto animatamente sul fatto che, diamine, Ironman avesse tutto il diritto di partire da una posizione avvantaggiata perché - per cause di forza maggiore - non aveva potuto entrare in classifica prima di quel giorno.


 


Il successivo mese trascorse repentino e pieno di impegni, almeno per Tony Stark. Durante i primi due mesi dal suo ritorno si era dato da fare soprattutto per giustificare al mondo di essere ricomparso – con un Nick Fury piuttosto pressante sull'argomento – vivere e superare il lutto per Pepper, ritrovare serenità e rapporti con sua figlia e gli altri Avengers.
Quell'ultimo fu invece il mese durante il quale dedicò il suo tempo ad apprendere quante più cose possibili sulla storia di quegli otto anni di vuoto. Si ritrovò costretto a studiare la storia, la politica ed economia del paese a partire dal 2023 dopo il contro-schioppo di Bruce in poi.
Apprese con rammarico che, durante i primi anni dopo che tutti i blippati furono riportati in vita, il mondo era ritornato ancor più nel caos di prima. Non ci avevano mai pensato - lui e gli altri superstiti del primo schioppo di Thanos - che rimettere a posto le cose dopo ben cinque anni sarebbe stato dannoso sotto alcuni punti di vista.
Il meno grave tra tutti era stato che alcune persone rimaste in vita dal 2018 in poi si erano costruite un nuovo futuro, magari con altre persone. E, dopo cinque anni, vedersi tornare in vita i loro defunti partner era stato un vero shock; di rimando, anche per i blippati - per i quali erano trascorsi sì e no una trentina di secondi - era stato terribile e sconfortante tornare indietro e scoprire che i loro cari si fossero rifatti una vita. Fratelli minori che erano diventati improvvisamente maggiori, figli cresciuti di botto, genitori morti di vecchiaia, nuovi nuclei famigliari distrutti dai ritornati. Insomma, gli ospedali si erano riempiti di persone con sintomi da sindrome post-traumatico o depressivo, il tasso dei suicidi era aumentato del 13% e quello degli omicidi del 15%.
Dal punto di vista economico era andata ancor peggio: il fatto che la popolazione mondiale si era raddoppiata nuovamente da un giorno all'altro, aveva determinato una crisi nera per i mercati e per l'industria del lavoro. Il tasso di disoccupazione, prima pari allo 0%, salì alle stelle. Burocraticamente ci vollero poi anni per far ritrovare a tutti il proprio posto nel mondo – dopo la decimazione vi erano stati tantissimi furti d'identità. Taluni erano stati privati di tutti i loro beni, alcune case erano state distrutte o svuotate. E le risorse ambientali, prima abbondanti e a prezzi modici, erano tornate a essere scarsissime.
Senza contare la criminalità! Quella era salita alle stelle, gli Avengers avevano dovuto fare un grandissimo lavoro di pattuglia, specialmente nelle grandi città.
Insomma, ci erano voluti dai tre ai quattro anni per far ritrovare alla Terra una sorta di ri-equilibrio. Talvolta sembravano ancora esserci delle conseguenze nei giorni odierni, ma si poteva dire che il mondo fosse tornato un posto meraviglioso e orribile esattamente come nel 2018.


Inoltre, mentre era intento a recuperare otto anni solari di storia in ventotto giorni, Tony aveva dovuto affrontare più e più volte Nick Fury, il quale gli stava con il fiato sul collo poiché sosteneva che lui fosse l'ultima chiave per poter annientare del tutto il discorso droni.
Derivano da una tua tecnologia – aveva detto il capo dello S.H.I.E.L.D – per questo sono sicuro che riuscirai, insieme agli altri Avengers, ad annientarla una volta per tutte.
Di ciò ne dubitava fortemente; se non c'era riuscito il nuovo Ironman in otto anni, temeva che quello vecchio – seppur originale – non potesse fare qualcosa in merito.
A tal proposito, Tony aveva litigato per un intero pomeriggio con Peter riguardo alla questione degli occhiali e Quentin Beck, ma poi aveva ascoltato in modo ragionevole ciò che il ragazzo aveva avuto da dirgli. Di sicuro l'aveva combinata grossa a consegnare la sua tecnologia a quei farabutti, ma c'era da dire che Tony non l'avesse affatto lasciato in una posizione facile. Del resto erano innanzitutto nemici suoi, Peter non avrebbe potuto certo sapere che ci fosse un intero squadrone preparato da anni ad abbattere e rubare tecnologie alle Stark Industries.
Peter lo aveva reso partecipe del fatto che fosse stato proprio Beck, in un video postero, a rivelare a tutto il mondo la sua identità e al contempo a diffamarlo. Aveva trascorso quasi un mese e mezzo in esilio, a lottare e nascondersi prima che lo S.H.I.E.L.D riuscisse a prendere accordi con il governo per scagionarlo; eppure lo strascico dello Spiderman-assassino si era avvertito per almeno un anno. Alcune persone, nel vederlo per strada sia nelle vesti di Peter che in quelle di Spiderman, si erano dimostrate spaventate o addirittura urtate dalla sua presenza. Per fortuna la questione si era risolta anche grazie agli Avengers, i quali non avevano mai smesso di prendere le parti di Peter in pubblica piazza.
Ad ogni modo, dopo aver trascorso i primi giorni dopo l'attentato a farsi raccontare da Peter ogni dettaglio e conseguenza dell'accaduto, i due eroi avevano indetto parecchie riunioni con lo S.H.I.E.L.D per risolvere il caso HIDESTAGE e trovare quindi il punto di collisione tra gli attentati di Dubai e Manhattan. Erano senza dubbio su una buona pista, almeno secondo Maria Hill.
Tuttavia, se dal punto di vista formale gli accordi e le riunioni stavano procedendo a gonfie vele, a lato pratico gli attacchi e gli attentati avevano subito un forte incremento dal ritorno in vita di Tony Stark in poi. Semplice casualità? Improbabile. Ciò che pensava Tony era proprio che chi possedesse la sua tecnologia stesse facendo di tutto per depistare le indagini, oltre che attuare una provocazione adita a fargli girare le palle. L'opinione pubblica sembrava già risentirne.
Stark è tornato. Con lui, la malavita”, aveva letto su un giornale. Steve Rogers era furioso più che mai! Gli aveva detto più e più volte che se avesse trovato un siero per ritornare giovane e prestante avrebbe agito personalmente contro quelle malelingue. Sì, aveva detto proprio malelingue. Perché il teste di cazzo elargito da Tony aveva pressoché indignato il povero Captain Geriatria.
Malgrado ciò, non era l'opinione pubblica la cosa che più preoccupava Tony – oramai era oltremodo abituato a ricevere ammonimenti o false accuse, ed era altrettanto rodato da poterle affrontare a testa alta – quanto il bizzarro comportamento di Peter Parker in quelle ultime quattro settimane.




Era dal periodo successivo al contro-schioppo che New York non subiva così tanti attentati in un range di tempo limitato, ma oramai un Avenger di alto rango come Spiderman avrebbe dovuto esserci abituato. Insomma, c'erano stati momenti peggiori! Eppure, inutile rimarcarlo, Peter stava accusando il colpo più di qualsiasi altro. Che fosse invecchiato? Improbabile: a venticinque anni qualunque sportivo è all'apice della carriera.
Non aveva idea di cosa gli stesse succedendo, ma il livello di stress di Peter stava raggiungendo livelli a dir poco spaventosi. Trascorreva le nottate intere appollaiato sui grattacieli di Manhattan in attesa ansiogena di problemi da affrontare, problemi che poi finiva sempre per risolvere qualcun altro al suo posto.
Una volta aveva chiamato in rinforzo War Machine per una dozzina di borseggiatori armati a malapena di quattro super-droni. Bazzecole, per uno come lui. Eppure ogni pattugliamento finiva con un completo fiasco, era distratto, concludeva sempre con qualche danno – per la gioia spropositata di Thor e il suo primo posto in classifica – e ogni volta che Tony provava a chiedergli qualcosa sull'argomento, Peter si volatilizzava nel nulla accampando impegni poco plausibili.
Tentava di tenere fuori Tony da tutto ciò, trovando come scusa che avrebbe dovuto passare più tempo con sua figlia Morgan al posto di andare a fare il supereroe anche di notte. Inoltre giustificava il continuo interpellare di altri Avengers con la scusa di dover raccogliere più informazioni sui casi.
Il vero problema era che non dormiva di notte, ma riusciva a riposare poco di giorno – anche a causa delle riunioni, ma specialmente per colpa della sua crescente ansia e panico ingiustificato. Non era da lui e proprio non riusciva a comprendersi. Non riusciva a trovare una spiegazione logica a tutto ciò, ma poteva dedurre che il ritorno in vita di Tony avesse provocato in lui seri scompensi emotivi. Ansia da prestazione, ad esempio. Più falliva e più gli sembrava di fallire. Un gatto che si morde la coda!
Alcune missioni erano talmente semplici che fino a tre mesi prima le avrebbe affrontate ad occhi chiusi uscendone pulito, mentre in quel momento faticava a tenere sott'occhio un obiettivo senza perdersi nei meandri dei suoi pensieri ossessivi. E quando – per puro caso – c'era anche Tony a partecipare alle missioni, era anche peggio!
E la notte tra il primo e il due dicembre, la situazione precipitò ulteriormente. Sempre per la gioia di Thor, il quale aveva visto Falcon tornare con Peter privo di sensi, con un nuovo trauma cranico e una seria distorsione alla caviglia. Il Dio del Tuono, dopo essersi fatto passare lo spavento ed essersi accertato che Peter fosse fuori pericolo, aveva provveduto ad aggiornare la classifica esultando come non mai, sotto lo sguardo assassino di Morgan e Tony.
Non appena Stephen Strange diede ai vendicatori la notizia del risveglio di Peter, fu lo stesso Stark a far preoccupare tutti. Era incazzato nero, e non perse certo tempo a chiedere ai suoi alleati e a sua figlia di poter parlare con Peter. Da solo.


Quando Peter lo vide addentrarsi nella stanza dell'area ospedaliera con un cipiglio tutt'altro che amichevole, ebbe come la terribile sensazione di essere tornato al giorno in cui aveva quasi ammazzato tutti sulla nave. Il giorno in cui gli era stata confiscata l'armatura.
«Ok, ragazzino, adesso sto perdendo la pazienza. È ora di finirla!» berciò Stark, incrociando le braccia al petto. Aveva tentato in tutti i modi di comprenderlo, di aiutarlo, ma si era sempre fatto negare e la cosa stava iniziando a mandarlo fuori dai gangheri.
«C-che cos-» balbettò Peter, trovandosi però il dito inquisitore di Tony davanti alla punta del naso. 
«No, adesso mi ascolti e mi rispondi. Cosa cazzo ti sta succedendo!?» domandò Stark, nel pessimo tentativo di controllare il più possibile il suo istinto di mentore che attacca con la ramanzina. La cosa, per l'appunto, non gli riuscì per niente bene.
«Nulla! Assolutamente nie-»
«HEEH-HEEH! Risposta sbagliata!» lo interruppe Tony, scimmiottando il suono fastidioso di un allarme. «È da quando sono tornato che sembra che tu sia regredito al quindicenne con bisogno di babysitteraggio. Il fatto che ci sia io in giro non vuol dire che ti puoi adagiare sugli allori. E non puoi aspettarti che io – o qualche altro super-umano nei paraggi – ti salvi sempre il culo».
«Non mi sto adagiando!» sibilò indignato Peter, con un groppo in gola. Tony non aveva torto. Era esattamente ciò che stava dimostrando anche senza volerlo.
«E allora perché stai lavorando così male? Ho visto migliaia di filmati su di te, ho letto di cosa sei capace e di certo non è 'sta roba che stai facendo ultimamente!» Odiava doverlo fare, Peter non era più un adolescente, eppure lo stava rimproverando come se lo fosse. La verità era che Tony aveva paura che fosse davvero colpa sua, che avesse fatto qualcosa di sbagliato nei suoi riguardi. E addirittura – in una notte di egocentrismo smisurato – aveva persino temuto che Peter si fosse pentito di averlo riportato indietro.
«Non ho niente» tagliò corto questi, voltandosi verso la finestra per nascondere gli occhi lucidi.
Tony alzò di nuovo la voce. «Perché cazzo stai cedendo così!? PERCHÉ STAI CEDENDO?» Gli prese l'avambraccio per costringerlo a girarsi, ma venne colto all'improvviso da una risposta che non si aspettò affatto di ricevere, e che gli bucò il petto come un proiettile.
«PERCHÉ NON HO CEDUTO PER OTTO ANNI, SIGNOR STARK!» urlò finalmente Peter con un ringhio e, senza accorgersene, lasciò cadere due lacrime sulle guance. Si sentì bruciare dalla vergogna, ma non avrebbe più potuto evitare l'argomento.
Tony mollò la presa. «Peter...» 
«Perché per otto anni sono stato forte. Era tutto - TUTTO - sotto la mia responsabilità, ogni cosa era sulle mie spalle! Avevo ancora bisogno di lei, ma ho dovuto cavarmela da solo. Perché io dovevo essere alla sua altezza. Ero l'erede di Ironman, no? Non avrei mai potuto permettermi di fallire! Ce l'ho messa tutta, ogni briciolo di energia che avevo in corpo per essere degno, per essere il suo successore, anche se avevo solo diciassette anni... e ora...» si interruppe e avvertì di nuovo gli occhi pizzicare, ma non si frenò. Si portò entrambe le mani sul volto e iniziò a singhiozzare. «E ora non riesco più. Sono stanco, sono... esausto, e me ne vergogno da morire. Ma ho bisogno di cedere...»
Non passarono troppi secondi. Tony non lo avrebbe lasciato in quel modo per un istante di più, si arrampicò sul letto e lo accolse tra le braccia. Lo forzò ad appoggiare la testa contro il proprio petto, trattenendolo con la mano. Proprio là, dove una volta vi era incastonato un reattore che gli aveva salvato la vita.
«Vieni qua...» sussurrò Tony, tenendoselo più stretto, quasi imprigionandolo. «Hai ragione, Peter... cedi».
Portò il mento tra i capelli di Peter e tentò in tutti i modi di non sentirsi in colpa, responsabile. Alla fine se Tony del futuro si era sacrificato per salvare la vita di tutti, per salvare il mondo. Probabilmente era stato certo che Peter se la sarebbe cavata bene da solo, e non aveva avuto torto... ma non poté fare a meno di pensare che sì, l'aveva abbandonato a se stesso quando aveva poco meno di diciassette anni e le responsabilità sulle sue spalle erano state davvero tante.
Forse era stato troppo duro con lui poco prima, ma almeno era servito per farlo aprire una volta per tutte. Tuttavia da quel momento in poi capì che avrebbe dovuto proteggerlo un po' di più. Avrebbe dovuto fargli capire che non era deluso da come si stava comportando, che non lo considerava affatto un debole. Gliel'avrebbe detto, l'avrebbe rassicurato, ma prima lo avrebbe tenuto lì ancora un po'. L'avrebbe tenuto stretto come avrebbe tanto voluto fare in quei dannati cinque anni dopo Titano, come l'aveva sognato ma – essendo solo quel grande egocentrico cinico di Tony Stark – non aveva mai potuto rivelarlo ad anima viva.
«Sono qui... non me ne vado. Ci penso io, da ora in poi».
Glielo disse per davvero. Lo consolò e lo rassicurò come prima mai aveva fatto, sorprendendosi anche di come la vita e gli avvenimenti lo avessero cambiato.
E Peter, finalmente, si sentì tranquillo. Così da tranquillo da addormentarsi lì, così sereno da poter dormire senza incubi per la prima volta dopo otto anni.


 
Continua...


ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti!
Ecco a voi il quarto capitolo di questa long, nel quale abbiamo finalmente scoperto qualcosa in più su questo quasi-decennio senza Tony. Se c'è qualcosa che ho sempre pensato prima dell'uscita di Far From Home era proprio quale sarebbero state le conseguenze del contro-schioppo. Di certo non tutto rosa e fiori, per come l'ho vista io. Siete d'accordo? 
Ho cercato inoltre di dare un possibile sviluppo a lungo termine di tutta la faccenda di Quentin Beck, i droni, la tecnologia Stark e quant'altro. Spero davvero che anche questa parte un po' più "tecnica" e "di azione" sia stata gradita. 
Inoltre, a fine capitolo, si è iniziato ad annusare un po' un avvicinamento particolare tra i due protagonisti, in special modo si è credo capito quali siano stati in passato i sentimenti di Peter nei confronti di Tony. Questo discorso vedrà abbondantemente approfondito nel prossimo capitolo.
Credo e spero di riuscire ad aggiornare entro i primi dieci giorni di ottobre, anche se potrei tardare causa impegni lavorativi. Incrocio le dita che possano essere settimane più leggere delle ultime trascorse :D
Grazie di cuore a chi ha messo questa storia tra le seguite e le preferite, e un ringraziamento speciale a chi mi sta lasciando il proprio parere! Siete preziosissimi! A presto!
Eevaa

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Capitolo 5
*** I know it's crazy to believe in silly things ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
 
HIGH
HOPES



CAPITOLO 5 - I KNOW IT'S CRAZY TO BELIEVE IN SILLY THINGS
 

•••



Odore di ginepro, di fresco, di dopobarba e disinfettante asettico. Ciò che zia May e zio Happy – sì, oramai erano sposati da ben quattro anni - definivano Peter-Prurito erano nient'altro che i sensi amplificati di un essere umano con il DNA geneticamente modificato da un ragno. E nel pacchetto era compreso anche un super olfatto, sviluppato tramite allenamento. Poteva facilmente annusare tutte le sfumature di ciò che aveva intorno, e quella nota dolce-amara l'avrebbe riconosciuta in mezzo a una folla di centocinquanta persone. Il profumo di Tony.
Peter aprì prima un occhio con estrema riservatezza, poi entrambi con incredulità. Non avrebbe voluto muoversi di un solo centimetro, non dopo aver realizzato che si trovava nientepopodimeno che appoggiato con la testa al petto di Antony Edward Stark. Trattenne il respiro quanto bastò per rendersi conto di essere in via di soffocamento, poi si accinse a guardarlo come se stesse osservando un fantasma. IL fantasma.
Spettro di qualcosa che mai aveva né potuto né dovuto vivere, pensare, ipotizzare o immaginare.
Aveva capito di provare qualcosa per Tony - che fosse diverso dalla stima e l'affetto - da dopo che gli aveva offerto di diventare un Avenger e aveva rifiutato. L'aveva scoperto perché, poche ore dopo, aveva letto su un tabloid la notizia del suo fidanzamento con Pepper Potts e ci era stato... di merda. E ne aveva avuto la riconferma quando, durante una delle innumerevole nottate trascorse nei laboratori con lui, si era accorto di non riuscire a mantenere stabile e costante il battito del suo cuore. Ma Peter era sempre stato - a dispetto di ciò che tutti pensavano - una persona assai razionale da quel punto di vista. Lui era un ragazzino e Tony... beh, Tony era Tony. Il signor Stark. Si era sempre accontentato del rapporto che avevano e ne era felice; dare adito alle sue ossessioni avrebbe solo compromesso la loro amicizia.
Da quel momento aveva iniziato anche a porsi grandi interrogativi sulla sua presunta eterosessualità, interrogativi ai quali riuscì a porre la parola fine quando aveva provato ad avere una relazione con una donna ed era stato un vero fiasco. A livello fisico, s'intende. Per fortuna MJ era stata molto comprensiva a riguardo e avevano mantenuto una solida amicizia. Mentalmente lei gli era sempre piaciuta tanto, ma quando si era trattato di procedere sotto le lenzuola era stato un disastro totale.
Si era reso conto di amare veramente Tony solo quando l'aveva visto morire. Non si era dato pace quando tutto ciò che gli era rimasto di lui era racchiuso in una nanerottola alta un metro e una banana schiacciata con i suoi stessi occhi e la sua stessa audacia. Gli ci era voluto davvero poco ad affezionarsi a Morgan. Non era mai stato davvero geloso della signora Potts per ciò che aveva costruito con Tony durante i cinque anni in cui era stato cenere - o forse un poco lo era stato, ma si rendeva conto che fosse irrazionale - anche se mai, mai aveva smesso di amarlo. Nemmeno per un istante.
E come avrebbe potuto non farlo in quell'istante in cui, beato e immerso in chissà quali sogni, Tony se ne stava lì sdraiato su un letto tenendolo stretto a sé? Peter non riuscì a non guardarlo con occhi sgranati, tantomeno a far frenare il suo cuore da esplodergli nel petto. Il suo Peter-Prurito gli stava forse intimando di staccarsi di lì o sarebbe morto di cardiopalma?
Come avrebbe potuto essere razionale ora che aveva dormito sul petto di Tony Stark?! Addosso a Tony Stark. L'iperventilazione si fece insostenibile, tanto che non riuscì più a trattenere un sospiro forse troppo rumoroso per non essere notato. E, quando il suo mentore aprì gli occhi, Peter si tirò di scatto a sedere e arrossì alla tiepida luce di inizio dicembre.
«Oh! Ehi, Peter!» biascicò Tony con la bocca ancora impastata dal sonno, per poi sollevarsi, stiracchiarsi e scrocchiare la spalla indolenzita sulla quale aveva tenuto il suo protetto per tutta la notte.
«B-buongiorno s-signor Stark!» balbettò lui, guardando l'altro ricomporsi dal sonno con il fare più naturale del mondo.
E poi Tony ridacchiò. «Suvvia, Pete! Siamo stati a letto insieme e ancora non mi chiami Tony?» lo prese in giro con apparente audacia, cosa che fece arrossire ancora di più il povero Peter. In verità, con quel doppio senso scherzoso, Tony voleva solo allentare un po' la tensione che stava percependo addosso.
Voleva essere una battuta, Peter lo sapeva, ma in quel momento non riusciva proprio a prenderla come tale; proprio per quello decise di rispondere in modo razionale a quella domanda.
«Ho usato Tony solo una volta. Ed è stata l'ultima cosa che le ho detto» sussurrò, mordicchiandosi il labbro.
Mi dispiace... Tony...
Stark lo imitò nel suo gesto, poi sorpirò e tirò un sorriso vero seppur amaro. Non capì esattamente cosa stesse tentando di dirgli – del resto lui non le aveva mai sentite quelle parole – ma riconobbe che fosse qualcosa di importante.
Se lo domandò. Chissà cosa si erano detti, quando lui era... beh... quando era morto? Peter gli aveva menzionato un abbraccio, un abbraccio che però lui e il Peter della sua epoca non si erano mai dati. Cosa aveva provato il defunto Tony nel vederselo piombare sul campo di battaglia? Era stato qualcosa di forte come quando se lo era ritrovato lui davanti quel 27 settembre?
Perché era stato forte. Sconvolgente. Ancor più sconvolgente nel vederselo davanti così cresciuto. Ed era sconvolgente ogni cosa, di Peter. Ogni giorno di più.
«Magari adesso sarà la prima» sussurrò Tony in un flusso di coscienza che non sapeva da dove venisse. La prima? La prima di cosa? Perché gli aveva detto così? E perché ora Peter lo stava guardando con occhi così sgranati che ancora un po' e sarebbero caduti sul minuscolo lembo di lenzuolo che separava le loro gambe?
Peter trattenne ancora il respiro quasi da divenire cianotico ma, come oramai pronosticabile, ci pensò uno degli Avengers a interrompere - per fortuna - quel momento di imbarazzo sicché Peter potesse tornare a respirare. 
«DRIIN-DRIIN! Sveglia, belli addormentati! Ho portato i croissant!» annunciò Rhodey, entrando nella stanza con un sacchetto color carta da forno che profumava di colazione. «Peter! Hai finito di farti ammazzare o no?»
Peter sospirò e liberò i polmoni di una forte dose di ansia, ricordando quale fosse il motivo per il quale si trovessero lì, quella mattina. Del perché avesse dormito abbracciato a Tony, quale fosse il reale intento del suo mentore.
Ci era riuscito, in effetti. Perché finalmente sentiva di aver ceduto, di essersi aperto e di avere affrontato la questione. Di essersi liberato di un peso. Tony non lo aveva giudicato, l'aveva accolto, l'aveva capito e ora lo guardava con quel gran sorriso soddisfatto e scaltro di chi aveva appena compiuto una gran missione. E, di rimando, Peter fece lo stesso e si scordò di tutte le seghe mentali. 
Tony era lì, per lui, per loro, per Morgan. Non avrebbe più lasciato che qualcosa rovinasse tutto quello. L'avrebbe aiutato, si sarebbe fatto carico di parte di quelle responsabilità che tanto gli erano pesate in quegli anni. Non era più solo. 
«Sì, Rhodes. Definitivamente» annuì Peter, poco prima di allungare la mano verso il premio tanto ambito. Una brioche ripiena di sciroppo d'acero.
 

 
Con il Natale alle porte e lo S.H.I.E.L.D attaccato alle chiappe, gli Avengers trascorsero i successivi otto giorni a schedulare una mappatura di tutti gli attentati per poterne prevedere degli altri. Stranamente, però, la trama sembrava essersi fatta meno fitta e durante quelle nottate c'era stato solo un piccolo caso di attacco a una banca minore nel Queens che Peter era riuscito a sventare con brillantezza. Peter si era preso cinque giorni di assoluto riposo ed era tornato come nuovo, carico di energie e senza troppe aspettative. L'unico grande dispiacere era essere finito secondo in classifica e Thor si stava già pregustando la vittoria alla festa di fine anno.
Tony aveva tirato un sospiro di sollievo nel vedere che Peter fosse tornato sul campo in modo più sereno, e in generale in quei giorni erano riusciti a trascorrere del sano tempo tutti insieme senza tensione né imbarazzo. New York era senza dubbio tornata in ottime mani e, proprio per quel motivo, si sentì abbastanza sicuro dal potersi prendere il primo vero week-end di pausa da quando era tornato.
Aveva bisogno di passare del tempo da solo con Morgan, dedicarle uno spazio per lei e nessun altro intorno. Era bello vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto di fricchettoni e supereroi, ma dopo tre mesi esigeva l'assoluto bisogno di una pausa.
«Ti propongo un bel fine settimana al lago. Solo io e te. Che ne dici?» le disse con un largo sorriso, mentre camminavano fianco a fianco nel lungo corridoio d'ingresso.
Lei, che era appena tornata da scuola, si sfilò cappello e la sciarpa di lana color ocra. Li cacciò entrambi nello zaino adornato di pezze e toppe di band – alcune a Tony conosciute, altre no – e poi, con un largo sorriso, interruppe i propri passi nel bel mezzo del corridoio per osservare suo padre con aria furba.
«Al lago? Papà, a me non piace il lago» confessò Morgan, sempre con un gran sorriso sulle labbra. «Però sì, andiamo da qualche parte! Sarebbe fighissimo! Pensaci tu a dove portarmi» concluse, poi riprese a  trotterellare allegra verso uno degli ascensori. 
Tony la fissò con tanto d'occhi. Non le piaceva il lago? Ma da quando? Vivevano sul lago quando lei era piccola!
Confuso, si voltò indietro per cercare risposte e complicità da parte di Happy, ma egli aveva già fatto prontamente dietrofront per tornare nel suo appartamentino nel Queens nel quale viveva con May. Dannato lui! Avrebbero senz'altro dovuto rivedere gli accordi lavorativi. Non poteva permettersi di andarsene quando il capo si trovava nella merda per affari di adolescenti.
«O... ok?!» commentò Tony con uno sbuffo, allargando le braccia con esasperazione nel vedere Morgan sparire dietro le porte scorrevoli. 



All'alba delle 13.15, per Peter era giunta l'ora della colazione. Aveva pattugliato tutta la notte e, dopo aver dormito beatamente al calduccio delle sue coperte trapuntate invernali, si era svegliato puntuale come un orologio svizzero giusto giusto per poter scendere nell'area comune e godere della tazza di caffè post-prandiale di Steve Rogers.
Era sempre un piacere stargli intorno: nonostante l'età da demenza senile, quel signore era un concentrato di saggezza, educazione e pacatezza. Specialmente perché, appena sveglio, Peter aveva le capacità comunicative di un bradipo in letargo e Rogers non forzava mai troppo i discorsi. Se ne stava lì, seduto all'angolo vicino alla finestra a sfogliare il suo quotidiano concentrato sulle pagine sportive e, di tanto in tanto, lanciava qualche commento di sprezzo per i risultati delle sue squadre preferite.
Peter, con una merendina confezionata infilata per metà in bocca, si versò una tazza di latte, controllando prima che la confezione non fosse scaduta. Poi, alzando le spalle con noncuranza, lanciò sulla grande isola della cucina una scatola di Fruit-Loops e altre merendine alle gocce di cioccolato. Metabolismo accelerato voleva dire anche poter mangiare quel cavolo che gli pareva senza ingrassare di un grammo.
Rimase imbambolato a fissare i cereali roteare nella tazza per parecchi minuti, fino a quando il rumore della porta scorrevole non lo costrinse ad alzare lo sguardo.
«Buongiorno, signor Stark» bofonchiò, dopo essersi portato alla bocca un bel cucchiaio di cereali, vedendo l'uomo entrare in cucina carezzandosi il mento in modo distratto. Cap, con altrettanta noncuranza, salutò l'amico con un cenno del capo e un mormorato ehi, senza però staccare gli occhi dal giornale.
«Mmh» grugnì Tony, poi si prese dal cesto della frutta una mela rossa matura e l'addentò.
Peter alzò un sopracciglio nel vederlo così pensieroso. Sarebbe stata una conversazione del tutto nella norma se entrambi si fossero alzati da cinque minuti, ma Tony avrebbe dovuto essere sveglio almeno da cinque ore. Che motivo aveva di essere così apatico e pensieroso?
Egli masticò la sua mela con non troppa convinzione, iniziando poi a camminare intorno a Peter avanti e indietro con passi lenti e titubanti – cosa che, per inciso, fece quasi innervosire il malcapitato.
«Tutto o-» provò a domandare Peter, prima che quel continuo vorticare causasse lui qualche istinto omicida. Tuttavia la sua domanda venne anticipata da un movimento brusco da parte di Tony il quale, poggiandosi con la schiena all'isola della cucina a braccia conserte a meno di un gomito da Peter, lo indicò e parlò con tono imperativo.
«Peter, tu mi devi aiutare».
Questi, di tutta risposta, sbatté tre volte le palpebre.
«Ne sarei felice, signore. Ma in cosa?» domandò infine, allarmato, iniziando a vagare con la mente verso orizzonti scientifici o, addirittura, bellici. Che avesse finalmente trovato l'origine degli attentati alla HIDESTAGE?
«Mi sono appena reso conto di una... cosa» spiegò Tony, con una lunga pausa drammatica. «Io non so nulla di lei! È come se non la conoscessi davvero. È cresciuta e... e ha cambiato gusti! Morgan ha cambiato abitudini e io non so più un bel niente».
Peter ascoltò quella rivelazione e si obbligò ad aprire un'altra merendina e infilarsela in gola per non iniziare a ridergli in faccia. E lui che aveva pensato si trattasse di un grave problema!
Certo, avere a che fare con una figlia adolescente che non si vede da otto anni non è una passeggiata, ma quantomeno era qualcosa di risolvibile. Ed era parecchio ilare vedere il proprio mentore in difficoltà su un tema tanto sensibile, tuttalpiù che si poteva intravedere sotto la sua ispida barba un velo di rossore.
«E come pensa che potrei aiutarla?» domandò incuriosito Peter, una volta finito di masticare.

Tony strinse con le dita il ponte del naso, per non sprofondare nel completo imbarazzo. «Dovresti dirmi cosa le piace fare. Dove le piace andare... i suoi... gusti?» 
«Non può chiederlo a Morgan direttamente?» obiettò Peter e, con un balzo, scese dal proprio sgabello per iniziare a sparecchiare i resti della propria colazione. Gettò nel grande lavabo nero antracite il cucchiaio e la tazza dell'Hard Rock Café di Barcellona. Regalo di Wanda.
«Voglio portarla un week-end da qualche parte a sorpresa. Ma non so dove!» spiegò Tony con strabordante impazienza, seguendo Peter e i suoi grandi giri in cucina con lo sguardo, fino a costringerlo a fermarsi afferrandolo per un polso «... per favore!»
Peter si fermò all'istante e si posizionò sull'attenti. Era evidente che Tony gli stesse chiedendo più che un semplice piacere. Quello era un vero e proprio grido d'aiuto.
«Uh, vediamo... le piace il mare! Fare surf, oppure snowboard in alta quota. Le piacciono gli sport estremi e i concerti rock. Le piace andare a cavallo, sebbene le situazioni bucoliche la stufino dopo pochi giorni. È curiosa riguardo la scienza e l'arte moderna, ma diventa serena e tranquilla passeggiando tra i vicoli caratteristici delle antiche città Europee. Che altro? Oh, adora Disneyland e i parchi a tema» elencò, contando con le dita e ripensando a tutti i bei momenti che aveva passato con Zia May, Happy, Pepper e Morgan nel corso degli anni. Forse avrebbe dovuto raccomandarsi di non portarla al lago, in quanto la intristiva parecchio. Le ricordava troppo la sua vecchia casa e, beh, il funerale di suo padre.
Tony lo guardò con occhi strabuzzati. Si mise le mani nei capelli e, da poco lontano, Steve osservò la scena divertito.
«Ho come l'impressione di non conoscere più nessuno qui» affermò, sconsolato. Non aveva nemmeno immaginato la metà delle cose elencate da Peter.
«Non dica così, signor Stark! Sua figlia è cresciuta ed è cambiata tanto, sì, ma noi altri siamo rimasti tutti più o meno gli stessi. Beh, a parte Cap che...» spiegò Peter, iniziando a parlare a bassa voce per nominare l'altro presente nella stanza e, accertandosi che fosse ben immerso nella lettura del suo giornale, si mise una mano a lato della bocca per sussurrare. «Beh, è invecchiato».
«Queens, il mio udito funziona ancora molto bene» lo ammonì Steve, senza neanche degnarsi di alzare la testa dal quotidiano, umettandosi le dita per voltare la pagina.
«Mi perdoni, signor Rogers!» si scusò Peter, con l'espressione tipica di chi l'ha appena sparata fin troppo grossa.
Tuttavia la mente di Tony stava oramai galoppando verso l'escalation di paranoia sociale.
«Non so niente di quello che avete fatto tu e tutti gli altri al di fuori del lavoro di vendicatori. Delle vostre vite private non conosco praticamente nulla... ad esempio, tu!» farneticò Stark, con il dito puntato verso Peter. «Cosa hai fatto negli anni del college? Sei stato al campus? Hai combinato cazzate? Con chi sei andato al ballo di fine anno al liceo? Eri in crisi con gli esami? Hai avuto la ragazza? O magari ti sei sposato e hai divorziato? O che ne so... hai dei tatuaggi? Nuove passioni? Hobbies? Animali domestici vivi o deceduti?»
Tony parlò talmente in fretta e con un tono di voce così piatto da sembrare quasi un assistente vocale impazzito.
«Ehi, ehi, ehi! Calma! Non sia maniaco del controllo!» disse Peter allibito, divertito e... no, per lo più allibito. Quasi al limite dell'inquietato, a dirla tutta. Erano anni che non assisteva in prima persona ai segni di squilibrio di Tony.
«Lo sono!» rispose questi, con una certa ovvietà.
«Lo è» confermò Rogers, noncurante.
«Lo sono?!» si indispettì Tony, rivolgendosi al suo amico di vecchia data, dal quale però non ricevette risposta alcuna se non la più totale indifferenza. Steve continuò a sfogliare il gazzettino sportivo come se nulla fosse.
Sì, in effetti si stava comportando come uno squilibrato. E stava per avvertire i primi segni di un attacco di panico ingiustificato, se non fosse stato per il tono rassicurante di Peter che lo costrinse a rimanere attaccato alla realtà.
«Possiamo raccontarci tutto con calma, abbiamo una vita per farlo, signore» fece notare, con un sorriso appena accennato e un sospiro che catalizzò l'attenzione. «Ma, se proprio può farla stare meglio: campus no, cazzate sì, prom con Dean, crisi da esami no, ragazza nì, ragazzo serio no, occasionale sì, sposato no. Ho un tatuaggio sul costato destro, rinnovo ogni giorno le mie passioni nerd. Dopo la morte di Sauron il criceto, ho promesso a Morgan un gatto per questo Natale. Ah, e ovviamente sì... sono gay».
«Eccome se lo è! La checca isterica della peggior specie!» intervenne prontamente Starlord, il quale aveva appena fatto il suo ingresso trionfale in cucina per scaldarsi il suo sandwich al tonno.
«Copriti le chiappe, Quill! E vedi di non chinarti mai!» lo schernì Peter indicandolo con un dito, dito che venne scacciato via con una sberla amichevole e un arruffata di capelli da parte del capitano dei Guardiani. Poi questi rise e passò oltre, dirigendosi verso il microonde. Peter aveva davvero un ottimo rapporto con il suo omonimo del Missouri, e il loro passatempo preferito era prendersi in giro a vicenda. Continuò a sorridere divertito, ricordandosi però di aver appena dato delle informazioni davvero personali all'uomo che non vedeva da otto anni quando questi, deglutendo rumorosamente, attirò l'attenzione di nuovo verso di sé. Beh, era certo che il signor Stark non avrebbe mai avuto problemi in merito alla sua omosessualità.
Tuttavia, Tony non riuscì a nascondere un'espressione sorpresa. Non si era mai posto troppe domande sui gusti sessuali di Peter, ma era sempre stato più che convinto che gli piacessero le ragazze. E chi l'avrebbe mai detto! Non che fosse un problema, anzi... anzi!?
«Oh... ah» soffiò Stark, arrossendo violentemente sul volto, costretto poi a deviare - per estrema necessità - il focus verso il problema iniziale. «Vedi!? Non ne sapevo niente! Non so più niente».
«Ehm, ovviamente scherzavo con Quill. Non... non farei mai niente a nessuno s-senza consens-» balbettò Parker, lasciandosi invadere da una vampata di calore - che, ne era certo, gli avrebbe sciolto la faccia.
Tony, con gli occhi al cielo, lo interruppe con voce esasperata. «Peter, questo l'avevo capito».
«Facciamo così: questo week-end porti Morgan al mare. A Cuba, magari? Settimana prossima noi ci prenderemo entrambi un pomeriggio libero dagli impegni, ci siederemo da qualche parte e le racconterò tutto quello che vuole» propose Peter, nel tentativo di recuperare i pezzi di quel discorso e dare l'aiuto che il signor Stark gli aveva richiesto. Abbozzò un sorriso sghembo, al limite del compassionevole, ma che portò finalmente il suo mentore in una posizione meno rigida. Quasi rassegnata, a dire il vero.
Tony si rese conto di essere andato in escalation per nulla. Come al solito, del resto, quando si trattava di relazioni sociali.
«Mi sento un maniaco persecutorio...» sbuffò Stark poi sorrise. Suo malgrado, Peter era riuscito a dargli le risposte che gli servivano per stare – per il momento – più tranquillo.
«Sembra divertente! Un maniaco persecutorio e una checca isterica! Posso venire anche io al vostro incontro?» commentò Quill, masticando e sputacchiando il suo panino al tonno con estrema raffinatezza. 
«No grazie, Footloose. La presenza di un pervertito non è necessaria!» disse Tony, poi fece l'occhiolino a Peter.
«Woo-hoo!» esultò questi, esaltato dalla risposta prontissima nei confronti di Quill, il quale alzò gli occhi al cielo e fece spallucce come per arrendersi ai fatti.
E, per la prima volta da quando quel lungo dibattito era iniziato, Captain America alzò lo sguardo per mettere a fuoco Tony e il suo pupillo. Doveva proprio ammetterlo: quei due erano proprio strani, ma funzionavano bene. Peter aveva davvero una buona influenza su quella testa di rapa di Stark.
Sorrise e, scuotendo la testa, tornò a leggere il suo giornale.
 

 


Non era prerogativa di Tony Stark quella di seguire i consigli di qualcuno che non fosse se stesso o la sua intelligenza artificiale – progettata su misura su se stesso – ma, quella volta, decise di seguire senza alcuna riserva il suggerimento di Peter.
Si fidava molto di lui, questo già da prima di conoscerlo nella sua versione cresciuta di otto anni. Chi meglio di quel ragazzo poteva conoscere i gusti di sua figlia, visto che l'aveva praticamente cresciuta lui?
E, infatti, non se ne pentì. Il sabato successivo chiamò la scuola di Morgan per avvisarli che avrebbe saltato la mattinata per impegni familiari improrogabili e, dopo un'abbondante colazione e aver preparato gli zaini, la prese in spalla dotandola di tuta e casco e volarono a tutta velocità in direzione L'Avana. Niente jet privato, solo padre e figlia lontano da tutto e da tutti i loro meravigliosi ma a volte invadenti amici.
Trascorsero tutto il sabato al mare insieme in una spiaggetta privata non troppo affollata, bevendo drink tropicali – per Morgan analcolici e per Tony, beh, un po' meno - e mangiando ghiaccioli. La sera uscirono per le strade danzanti del centro e cenarono a spizzichi tra le varie bancarelle di street food. Ballava, Morgan, e per Tony fu una grazia concessa da chissà quali Dei. Si sentì così felice di vederla sorridere che si dimenticò di ogni problema, di ogni catastrofe e di ogni giorno trascorso senza di lei. Nei suoi occhi entusiasti rivide la bambina furbetta e dolce che aveva dovuto lasciare nella sua dimensione, ma non si sentì più tanto distante da lei. Era cresciuta, sì, ma era pur sempre Maguna. Una meravigliosa e radiosa Maguna, con lo stesso sorriso e la dolcezza di sua madre, la voglia di divertirsi e la grinta del padre e l'innocenza e l'entusiasmo di zio Peter.
Fecero tardi quella sera e, come suggerito proprio da Peter, ne approfittarono per parlare di più. Per parlare meglio, per conoscersi. Morgan aveva una mente davvero brillante. Era intelligente, simpatica, arguta, ironica.
Aveva visto tantissimi video su di lei, tramite FRIDAY ed EDITH grazie al sistema di catalogazione della T.S.M.A.F, ma solo nel momento in cui la sentì raccontare capì che tramite quelle registrazioni non l'aveva affatto conosciuta. Aveva assistito ad alcune cose, l'aveva vista ed era stato bellissimo, ma la comprese di più solo dal momento in cui era lei stessa a raccontarsi. A raccontagli di come li aveva vissuti, quei momenti. Le sue emozioni, i suoi pensieri non esternati.
Il giorno dopo, a seguito di un abbondante brunch, approfittarono della giornata ventosa per recarsi a Gibara, su una spiaggia adibita per i surfisti. La lasciò fare, Tony. La guardò dalla spiaggia e, di tanto in tanto, indossava l'armatura per svolazzarle intorno creandole onde più alte con i reattori.
Una giornata all'insegna della spensieratezza che mai avrebbero voluto finisse e così, seduti sul bagno-asciuga a osservare il cielo tingersi di un colore giallo mango, procrastinarono ancora un poco prima di tornare nel freddo stato di New York.
«È stato un week end bellissimo, papà. Grazie!» disse Morgan, strizzandosi i capelli bagnati di acqua e salsedine. «Possiamo rifarlo?»
Tony sorrise compiaciuto. Era contento di aver organizzato qualcosa che era piaciuto a sua figlia, ed era anche merito di Peter.
«Quando vuoi, Maguna. Anche settimana prossima, magari» propose Stark, infilando nello zaino il telo spugnoso e il libro che si era portato dietro ma che non aveva mai aperto.
«Davvero? Wow! Aspetta... e se andassimo in montagna?» cinguettò la ragazza, entusiasta. La stagione dello snowboard era iniziata già da parecchio tempo e ancora nessuno l'aveva portata.
«Tutto quello che vuoi, basta che studi» ridacchiò Tony, intento a scrollarsi la sabbia bianca dai pantaloni.
«Non fare come lo zio Peter!» sbuffò Morgan, roteando gli occhi. «Uh! A proposito, e se portassimo anche lui? Ci siamo sempre divertiti un mondo in montagna insieme!»
Tony alzò lo sguardo verso il mare e inpirò il forte profumo di iodio. A Peter avrebbero fatto bene due giorni lontani dalla T.S.M.A.F e, a dirla tutta, gli avrebbe fatto piacere averlo intorno. A Tony faceva sempre piacere averlo intorno, al contrario di tutti gli altri dai quali, beh, ogni tanto necessitava una piccola pausa.
Succedeva anche prima dello schiocco di Thanos, quando passavano le nottate intere a lavorare a nuovi progetti. Malgrado quel ragazzino parlasse più di una radio e di tanto in tanto aveva desiderato strappargli via le corde vocali, il giorno dopo era sempre pronto ad accoglierlo nel suo laboratorio. Quanto gli era mancato, in quei cinque anni! Solo Pepper sapeva quanto! Aveva persino deciso che, se Morgan fosse stata un maschietto, il suo secondo nome sarebbe stato Peter.
Quindi sì, non vedeva l'ora di trascorrere un po' di tempo anche con lui, lontano da tutti i problemi relativi ai droni, agli Avengers, lo S.H.I.E.L.D e tutto il resto della ciurma.
«Ok, piccola. Ottima idea! Portiamo anche Bimbo Ragno».
 
 
 
 

«Smettetela di deridermi! Non ho mai sciato in vita mia!» protestò Peter, aggrappato saldamente alla ragnatela agganciata al ramo di un pino silvestre. Maledetta Morgan! L'aveva convinto a comprare quella dannata tavola da snow e provare. Cosa vuoi che sia, si era detto. Hai i sensi di ragno e un super fisico, si era ripetuto. E adesso, appena sceso dalla seggiovia, si era dovuto aggrappare agli alberi per riuscire a stare in piedi, il tutto sotto gli occhi sgranati e sbigottiti del signor Stark e le grasse risate di quella peste.
«E come cacchio ci sei stato in montagna fino adesso?!» domandò allibito Tony, sollevandosi la maschera rossa e gialla del casco personalizzato in stile Ironman. Era certo che sua figlia gli avesse detto che lei e Pete erano stati spesso in montagna insieme!
«Ehm, con la tuta alare dell'armatura!? E con le ragnatele. Con questo coso ai piedi mi sento un cretino immobilizzato» si lamentò Peter cercando di muoversi in qualche modo ma, ogni volta che provava ad allentare la presa su quella cavolo di ragnatela, perdeva il controllo e l'equilibrio. Che smacco! Perché si era lasciato convincere?! E soprattutto, perché l'aveva costretto a salire sulla pista più difficile? L'istinto di premere il pulsante e attivare la tuta era alto, ma gli sarebbe costato l'orgoglio. Spiderman che non sa reggersi in piedi su una cazzo di tavola! Ridicolo! Lui che sapeva fare evoluzioni al limite della rottura di collo!
«E dai, zio Pete! È la volta buona che impari! Ci si vede a valle, tartarughe!» li sbeffeggiò Morgan e, con una sonora risata, infilò lo stivale nei ganci e roteò il corpo per scollinare e lanciarsi giù per la pista a tutta velocità.
«SÌ, SCAPPA! PRIMA CHE TI LANCI UNA RAGNATELA!» inveì Parker, trovando il coraggio di sganciarsi dall'albero e procedere a spazzaneve per qualche metro e trovarsi con il sedere per terra, non appena la discesa si fece più pendente. Che vergogna!
Tony trattenne a stento una risata, scese verso di lui e gli si piazzò davanti. Si inginocchiò e incrociò le braccia, fiero.
«Uh, interessante. Allora c'è ancora qualcosa che posso insegnarti!» constatò compiaciuto, porgendogli poi entrambe le mani avvolte da pesanti guanti neri, per aiutarlo a rialzarsi.
Peter sgranò gli occhi sbigottito e poi, con titubanza, afferrò la presa e si alzò cautamente, ma con un poco di coraggio in più.
«Ho ancora tante cose da imparare da lei, signor Stark» disse Peter con convinzione, tenendosi ben saldo alle mani di Tony il quale, con una risata sarcastica, iniziò a farsi scivolare verso destra con le spalle a valle, accompagnando il suo protetto nella discesa. Oscillò a destra, poi a sinistra senza mai invertire le posizioni, osando giusto un poco più di velocità quando Peter iniziò ad acquisire sicurezza.
Non era poi così difficile in fondo, bastava lasciarsi scivolare in diagonale e tenere la faccia verso valle per iniziare. Peter, il quale non aveva smesso neanche un secondo di guardarsi la tavola e gli scarponi, alzò lo sguardo verso il suo maestro, con un gran sorriso.
«Molto bene, Pete» lo incoraggiò Tony, specchiandosi nei suoi occhi castani. Diminuì di poco la velocità di discesa per permettere al suo allievo di provare da solo. «Lascio?»
«NO-NO-NO! Non lasciarmi!» urlò Peter, colto ingiustificatamente dal panico. Del resto, al massimo sarebbe caduto e non si sarebbe fatto un bel niente. Ma, quando si rese conto di ciò che avesse appena detto, si immobilizzò e arrossì violentemente. Aveva appena dato del tu al signor Stark!
E Tony, sorpreso almeno quanto lui, alzò le sopracciglia e abbassò il mento in uno sguardo di presa in giro.
«Come, prego?» commentò. 
Si trattenne dal ridere a stento: la faccia di Peter era davvero impagabile!
«Io... s-signor Stark» farneticò questi, colto dal più totale imbarazzo. Imbarazzo che lo costrinse a mollare la presa dalle mani di Tony, cosa che lo fece sbilanciare all'indietro.
Di riflesso fece per aggrapparsi di nuovo a lui in modo però fin troppo goffo, trascinandolo con sé nella caduta. Ruzzolarono giù per qualche metro, rotolando nella neve fino a uno spiazzo pianeggiante.
Avrebbe voluto sprofondare, Peter. Era preoccupato addirittura che Tony si arrabbiasse ma, il vederlo rialzarsi con tutta la faccia sporca di neve e ridere di gusto, lo fece tranquillizzare.
«Signor Parker! Lei è proprio una schiappa in questo sport!» commentò, lanciandogli una palla di neve fresca dritta dritta sul naso. Lo divertiva parecchio che Peter dopo tutti quegli anni mantenesse quella formalità fin troppo osannata nei suoi confronti, ma non gli sarebbe affatto dispiaciuto se avesse cominciato ad appellarsi a lui per nome.
Risero entrambi e la tensione di Peter sembrò svanire di botto. La prima vera caduta sulla neve, del resto, è quella che ti permette di rialzarti e sciare meglio.


E, di fatti, non ci volle molto tempo prima che il signor Parker acquisisse una certa dimestichezza con quello sport. In meno di quattro ore e solo una manciata di cadute catastrofiche, raggiunse un livello tale per cui riuscì a stare dietro a Tony e Morgan in tutte le discese. Del resto Peter era un talento nato in tutto e, prima della chiusura delle piste, era diventato così sicuro da combinare il lancio delle ragnatele con le discese, eseguendo numeri e acrobazie che fecero morire di invidia e rabbia la piccola Stark. Quanto avrebbe voluto anche lei uno spara-ragnatele!
Per la serata avevano noleggiato uno splendido cottage al campo base delle piste, lo stesso in cui alloggiavano ogni anno. Piccolo, ma caldo e accogliente. Ordinarono una grande pizza famiglia e delle bibite e, dopo essersi sfamati a dovere, fecero qualche partita a un gioco da tavolo trovato nella madia d'ingresso. Al quale, naturalmente, vinse Morgan.
Non ci volle molto prima che la ragazzina iniziasse ad avvertire i segni di stanchezza della giornata trascorsa a sciare. Andò a dormire relativamente presto e lasciò i due adulti soli davanti al camino, avvolti in orribili maglioni di lana dalle fantasie natalizie a dir poco imbarazzanti.
Fuori aveva appena iniziato a nevicare ed era troppo freddo per avventurarsi nel paesino poco distante, ma nessuno dei due sembrava dell'idea di andare a dormire così presto. Rimasero zitti per qualche secondo a guardare le fiamme danzare e scoppiettare nel camino ma, per fortuna, ci pensò Tony a stemperare quel silenzio imbarazzante almeno quanto i loro maglioni. Non erano più abituati a starsene soli senza far niente.
«Beh... film e pop-corn?» propose Tony, alzandosi per prendere il telecomando della grande tv appesa sopra al caminetto.
«E birretta!» trillò Peter, sollevandosi con estrema fatica dal divano – le cadute di quella mattina gli avevano distrutto l'osso sacro. Si diresse verso il frigo pieno di quell'alloggio fornito di ogni comfort e prese con sé due Budweiser fresche.
«Ehi, ragazzino! Tu non bevi! Non puoi ancora!» commentò Tony, fingendosi indignato. Sapeva che Peter potesse eccome, oramai, ma era divertente pensare di parlare ancora con quello studentello del liceo, ogni tanto. Soprattutto per prenderlo un po' in giro.
«Credo che lei sia rimasto un po' indietro» rise Peter nello stappare le birre, ripensando con gaudio alle prime libere sbevazzate con Ned ed MJ non appena compiuti ventun anni.
«Oh, sono rimasto indietro anche con i film. Non ne conosco manco mezzo!» Tony si lamentò e storse il naso mentre sfogliava il catalogo di Netflix. Scott gli aveva fatto recuperare qualche serie tv o qualche titolo importante, ma cielo! Possibile che in otto anni avessero sfornato così tante pellicole?!
«Uh, quello è carino» commentò Peter, indicando una delle ultime uscite. Mesi prima aveva promesso a un certo Colin di andare al cinema a vederlo insieme ma, beh, aveva trovato una scusa per non andarci. Pattugliamenti, cose così. Era un anno che non usciva con qualcuno, da quando aveva chiuso la sua relazione con Tom, un ragazzo di origini inglesi. Era anche un bravo ragazzo ma... ma non si era mai innamorato veramente di nessuno. Nessuno al di fuori della sua cotta adolescenziale ed impossibile per l'uomo che aveva di fianco.
«È uno di quei tuoi film da nerd?» domandò Tony, tirandogli una spallata.
«No, è più una commedia. E poi anche a lei piacciono i film da nerd, a quanto ricordo» puntualizzò Peter.
In passato, mentre lavoravano in laboratorio a progetti di minor rilievo, avevano più volte riguardato la saga di Star Wars.
«Oh, guarda. Un titolo che conosco!» soffiò Tony con sarcastica sorpresa. Sherlock Holmes. Quanti anni aveva, oramai, quella pellicola? Si sentì così vecchio!
«Ehi, ma sa che lei assomiglia terribilmente all'attore di quel film?!» si stupì Peter, con gli occhi puntati sull'anteprima fornita da Netflix. Diavolo, erano praticamente identici, non ci aveva mai fatto caso!
«Parker, mi faccia il piacere!» berciò Tony, con estremo disappunto.
«Ma è vero!» insistette Peter, indicando la televisione con gesti plateali che fecero indispettire il suo interlocutore.
«Io sono molto più bello di quel Robert!»


Dopo qualche battibecco e una serie di indecisioni, optarono per riguardare qualche puntata di The Big Bang Theory, una serie televisiva classica che però fa sempre ridere. Soprattutto perché i due supereroi si rivedevano davvero molto nelle passioni del gruppetto di ragazzi nerd.
Trascorsero una serata davvero piacevole tra le risate, il caldo del camino, una coperta di flanella a quadri rossi e verdi sulle gambe, qualche birra di troppo e la spensieratezza quasi irreale di quel momento.
E, stranamente, non successe niente. Nessun attentato, nessun mostro dallo spazio, nessuna chiamata da Nick Fury e soprattutto niente litigi ad alta voce tra Thor e Rocket.
Solo intima quiete e felicità. E un forte batticuore da parte di Peter, il quale però aveva imparato negli anni a tenerlo a bada.
Tony si sentì davvero felice di trascorrere quel tempo con Peter, di starsene seduto accanto a lui con le gambe stravaccate sul tavolino. Felice e tranquillo, così tranquillo che, dopo qualche puntata, cadde tra le braccia di Morfeo senza nemmeno rendersene conto. E a Peter accadde la stessa cosa.
Così, quando Morgan alle tre del mattino si diresse verso il frigo alla ricerca di acqua fresca, li trovò entrambi addormentati sul divano, pacifici come due bambini.
Si sorprese parecchio di vedere suo zio Peter con la testa appoggiata alla spalla di suo padre, ma non riuscì a fare a meno di sorriderne. Si sentì talmente felice di vedere le due persone che amava di più al mondo così serene che, quasi, il suo cuore iniziò a sperare in qualcosa di impossibile.
O forse... improbabile?


 

Continua...


ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti! Un pochino in ritardo rispetto al previsto sono riuscita finalmente a pubblicare questo quinto capitolo, un capitolo molto leggero e forse un poco fluff. 
Che ne pensate? Finalmente qui qualcuno ha vuotato il sacco! Abbiamo scoperto dei sentimenti di Peter verso Tony, e abbiamo scoperto un po' della sua vita privata.
Alzi la mano chi, come me, adora i Guardiani della Galassia alle prese con gli Avengers xD i due Peter insieme mi divertono parecchio. 
Inoltre mi piaceva rendere l'idea di un Peter Parker un pochino più "umano" dal punto di vista fisico, almeno per il primo approccio allo snowboard. Volevo che Tony potesse davvero insegnargli qualcosa di nuovo! Sono così carini alle prese con gli stralci di vita quotidiana :) 
(Se state pensando che la battuta sull'attore di Sherlock Holmes sia geniale, sì, lo è, ma non è proprio tutta farina del mio sacco! Avevo letto tanto tempo fa una storia in inglese su Archive nella quale si creava una situazione un poco simile. Non ricordo però proprio più il contesto né l'autore!)
Ad ogni modo, qui c'è una piccola Maguna che si sta facendo dei meravigliosi film in testa - più o meno quelli che ci facciamo tutti noi - riuscirà a veder coronata la sua speranza?
Spero davvero di riuscire a pubblicare il sesto capitolo i primi di novembre, subito dopo il Lucca Comics (ragazzi, non vedo l'ora di andarci anche quest'anno!). 
Grazie come sempre a chi mi lascia un parere e a chi decide di seguire la mia storia! Vi abbraccio virtualmente uno ad uno!
Eevaa

 

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Capitolo 6
*** High hopes ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.



HIGH
HOPES


CAPITOLO 6 - HIGH HOPES

 
•••
 


Il sonno di Tony era sempre stato costellato da risvegli di controllo repentini. Sempre. Tuttavia, quella notte ebbe la piacevole sensazione di aver dormito come un sasso e, quando le prime luci del mattino penetrarono dalle imposte per baciargli il volto, dovette davvero faticare per aprire gli occhi.
L'ultima volta che era stato graziato da una sensazione simile era... beh, non se lo ricordava. Quindi forse non era mai esistita un'occasione simile.
Tranquillo. Era sorprendentemente tranquillo. Il rumore frenetico dei suoi pensieri era molto meno assordante del solito, e si sentì riposato.
Mentalmente, s'intende. Dall'alto dei suoi cinquant'anni suonati, dormire su un divano non era l'idea migliore per le giunture.
Si stiracchiò in modo distratto, poi si tirò a sedere ancora con gli occhi gonfi di sonno. Si guardò indietro nel sentire un piccolo grugnito da parte di chi aveva condiviso il suo giaciglio e non riuscì a fare a meno di sorprendersi.
Peter era lì, accartocciato nella loro coperta di flanella a quadretti, gli occhi chiusi e i capelli ancor più spettinati del solito. Sembrava ancora un ragazzino, sebbene fosse oramai un uomo a tutti gli effetti.
Le guance gonfie e l'espressione corrucciata di chi sta combattendo mirabolanti battaglie nel sonno.
Sorrise, Tony. Sorrise senza nemmeno rendersene conto. Sorrise perché era così piacevole guardarlo dormire. Sorrise perché non gli sembrava ancora vero, di averlo lì in carne ed ossa. Gli era mancato così tanto!
Non voglio morire, signor Stark.
Rabbrividì. Non riusciva ancora a toglierselo dalla mente, mai. Capiva Peter, i suoi incubi.
Avevano avuto entrambi un triste destino, in quella dimensione. E fu grato a quel ragazzino per aver cambiato le cose. Perché ora erano felici, sereni, tranquilli. Si era risolto tutto.
Felice. Sì, Tony si sentì veramente felice, ma la felicità era qualcosa che lo aveva sempre spaventato.
Il suo sorriso si spense all'improvviso, perché tirarsi la zappa sui piedi era sempre stata la sua specialità; avere paura delle cose positive, delle cose piacevoli ed emozionanti, di ciò che lo faceva sentire bene.
Così tipico di lui!
Si alzò in punta di piedi e sistemò meglio la coperta addosso a Peter, il quale inspirò senza però destarsi.
Quando Tony uscì dalla porta, trovò un quadro dipinto nei suoi occhi. L'alba di un nuovo giorno, un giorno con pennellate di blu, rosso e rosa. Sentì le guance pizzicare per il freddo, il bianco della neve sembrava un sorriso rivolto solo a lui.
Si strinse nelle spalle e strofinò le mani sugli avambracci per scaldarsi. Si appoggiò alla ringhiera del balconcino in legno chiaro del loro cottage e contemplò lo spettacolo naturale di fronte a sé per cercare di calmarsi, per scovare un appiglio dalle sue paure ingiustificate.
Non aveva senso avere paura. Peter era lì, e non sarebbe andato da nessuna parte.
Cosa c'era di male a sentirsi così felici, del resto? Cosa c'era di male ad avere un cuore che batte forte senza reattore ARC attaccato al petto? Cosa c'era di male a sorridere nel guardare una persona a cui si vuole bene? Cosa c'era di male a desiderare di averlo vicino... più vicino?
Tony corrucciò lo sguardo. Beh, forse non c'era niente di male. Ma qualcosa di strano c'era eccome.


 


«Più veloce, papà!» urlò Morgan, sorpassando il signor Stark e spruzzando la neve con la coda dello snowboard.
«Già, più veloce, signor Stark!» incalzò Peter, imitandola e lanciando una ragnatela a un albero più avanti per trainarsi ed aumentare la velocità. Oramai si sentiva sicuro, su quella cavolo di tavola.
«Ehi, Bimbo Ragno! Non fare troppo il gradasso, che ieri hai passato mezza mattina con il culo per terra!» lo sfotté Tony, con un ringhio. Dannato Parker! Tutto ciò che faceva gli riusciva bene, imparava anche fin troppo in fretta. «Troppo facile con i super-poteri!»
Incalzò una dunetta per darsi lo slancio e avere più velocità, ma sia Morgan che Peter erano già fin troppo avanti. Si sentì vecchio, dannazione! Ma non ebbe nemmeno il tempo di crogiolarsi nella frustrazione, che una sostanza collosa gli imprigionò la mano sinistra a tradimento.
«Ma che ca-» imprecò, sentendosi poi trascinare giù per la discesa ad una velocità fuori dal normale. «WOOOOH!» urlò nel percepire la pelle del volto bruciargli per il troppo vento. Veloce. Velocissimo! Anche fin troppo: una caduta a quella velocità sarebbe stata a dir poco rovinosa! 
Peter, però, rise come un pazzo nel vedere il sorpasso del signor Stark. Staccò la prima ragnatela e lo agganciò con un'altra per farlo frenare, affiancandosi poi a lui.
Completamente in balia degli eventi, Tony non riuscì nemmeno a parlare perché Peter – attaccato a lui con quella stracazzo di ragnatela - riprese a scivolare giù per la pista sempre più veloce.
«No, no! NO-NO-NO!» urlò Tony nel vedere una pedana apposita per i salti proprio davanti a loro, ma fu troppo tardi. Insieme la imboccarono in pieno e planarono in aria l'uno di fianco all'altro.
Tony aveva volato una miriade di volte, ma in tutta sicurezza nella sua armatura! Un vuoto d'aria gli morse lo stomaco quando, nel picco della loro ascesa, si trovarono a una decina di metri da terra. Cadere da così in alto gli sarebbe costata la tavola, se non la vita. Fece per urlare, quando Peter affrancò una ragnatela a un altissimo pino silvestre e, prendendolo per la vita, si dondolò fino al fitto bosco per evitare uno schianto al terreno.
Peccato che il bosco, per l'appunto, fosse così fitto che da lì a schiantarsi contro un abete sarebbe stato un attimo. Tony dovette chiudere gli occhi. Non voleva guardare, ma lo schianto non arrivò. Si sentì scivolare verso il basso e cadde dritto dritto in un morbido e freddissimo cumulo di neve. Si sbilanciò in avanti e ci atterò in piena faccia e Peter, cadendo a meno un metro da lui, si lasciò andare in una fragorosa risata liberatoria.
Era stato davvero divertente! Per lui, almeno. Perché Tony sembrava sull'orlo di un collasso.
«Tu sei un folle!» soffiò questi con il cuore in gola e il volto innevato. «MA CHE TI DICE IL CERVELLO?!»
Nonostante il tono minaccioso, Peter non riuscì proprio a smettere di ridere.
«I miei sensi di ragno non avrebbero mai permesso che le succedesse qualcosa di male, signor Stark!» lo tranquillizzò, levandosi dagli occhi il casco e la maschera protettiva, scompigliandosi i capelli con una mano guantata. «Non si fida di me?»
Tony ringhiò e imitò il gesto lanciando il casco pochi metri più lontano, sganciandosi la tavola dai piedi.
Fidarsi di lui? Certo che si fidava di lui. Più di ogni altra persona al mondo. Gli avrebbe affidato tra le mani la sua stessa vita e quella di sua figlia. A ripensarci bene, sotto sotto, era stato quasi divertente. A volte si dimenticava che lui non era solo Peter Parker. Era Spiderman sempre, con o senza la sua tuta. A differenza sua – che era Ironman solo con l'armatura – Peter i super poteri ce li aveva in ogni istante. 
Fece un grosso sospiro e riprese a respirare in modo naturale. Forse era risata di Peter che echeggiava nelle sue orecchie, forse era vederlo così allegro, sereno, con le guance arrossate dalla neve e gli occhi luccicanti di nuova vita, ma proprio Tony non riuscì a mantenere a lungo il cipiglio che aveva montato sul volto. Non poteva fare sempre il mentore, del resto.
Ma, anche complice tutta quell'adrenalina che la folle discesa gli aveva regalato, si sentì in diritto e soprattutto in dovere di fargliela pagare in qualche modo.
«E i tuoi sensi di ragno cosa ti dicono adesso?» domandò Tony, con un sorriso beffardo e vendicativo, dandosi poi lo slancio per caricare direttamente il suo protetto. «Perché sto per ammazzarti!»
«EHI, ASPET-» urlò Peter nel vederselo arrivare contro con due grossi cumuli di neve tra le mani. Se solo si fosse premurato di togliersi la tavola dai piedi avrebbe potuto balzare ed evitarlo, ma oramai era già una partita persa.
Si ritrovò con la schiena nella neve e un Tony Stark dall'aria minacciosa intento a spalmargli in faccia tutta la neve che riuscì a trovare intorno a loro.
«Così impari a sbeffeggiare chi è più grande di te!» ringhiò, nonostante la gran fatica a mantenere quella parvenza di serietà.
«BASTA – PUAH! - MI ARRENDO, MI – PUAH! - ARRENDO! TREGUA!» urlò Peter, sputacchiando neve nel tentativo di divincolarsi.
«Non te la caverai così facilmente!» ridacchio Tony, continuando a colpirlo.
«Ah no?!» disse Peter iniziando quindi a reagire, prendendo dalle mani altra neve e lanciandogliela contro. «E ora come la mettiamo?» domandò retorico. Decise di concludere lì quella battaglia e si diede lo slancio per potersi alzare e sollevare di peso Tony, lasciandosi poi rotolare verso il basso insieme. Perse la tavola rotolando.
Verde degli alberi, bianco della neve, azzurro del cielo. Bianco, verde, azzurro. Azzurro, verde, bianco. Ruzzolarono per qualche altro metro dentro quel fitto bosco, concludendo la loro discesa in un piccolo spiazzo appena illuminato da un raggio di sole.
Risero ancora un poco, fino a quando si accorsero entrambi di un dettaglio fin troppo significativo. Un dettaglio che non avrebbe potuto certo sfuggire, un dettaglio che forse si erano proprio andati a cercare.
Perché Peter, in quel momento, si trovava appoggiato con gli avambracci a lato delle spalle di Tony e, petto contro petto, si rese conto di essere adagiato sopra di lui, schiacciandolo un poco. Peter deglutì e schiuse appena la bocca con timore.
Le risate si fermarono. Tony spalancò gli occhi.
Il volto di Peter era così vicino da poter scorgere sul suo naso quella spruzzata di lentiggini che crescendo non erano scomparse. Se le ricordava, Tony, ma non aveva mai potuto contarle una ad una. I capelli erano umidi di neve, le guance tutte rosse per il freddo. Aveva la pelle delicata. Un timido raggio di sole gli carezzava la fronte, e i suoi denti erano bianchi come la distesa di neve che aveva visto ore prima, durante l'alba. Non si era mai accorto di quella sfumatura ambrata nei suoi occhi castani. Occhi timidi, spaventati forse almeno quanto i suoi.
Si guardarono da vicino, così vicino come non avevano mai fatto. Vicino da far sfiorare i loro nasi, le loro fronti in un contatto molto più intimo di quelli che avevano avuto. Tony si morse il labbro e percepì il proprio cuore battere fin troppo intensamente. Quasi gli fece male. Gli fischiarono le orecchie.
Peter si sentì soffocare, come se avesse bisogno di quella bocca per poter respirare. Era riuscito a farne a meno per anni e anni, a resistervi, mentre in quel momento sembrava un desiderio irrefrenabile. Avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi, sporgersi ancora un po' in avanti e coronare il suo sogno più recondito di sempre. Ma era giusto? Era davvero giusto così?
No, non sarebbe stato rispettoso nei suoi confronti. Tony era... beh, Tony era tutto. Come avrebbe potuto rovinare ciò che di meraviglioso si era creato per prendersi un rischio simile? Un'improvvisa paura lo colse.
Paura di essere rifiutato. Di fare la cosa sbagliata. Di mettere in difficoltà colui che amava in segreto, segreto che forse sarebbe stato meglio fare rimanere tale.
Troppa paura di deluderlo, di cambiare le cose. In fondo stava bene così.
Non era da lui scappare dai problemi, ma quello non poteva affatto considerarsi un effettivo problema. Scappare era l'unica via, l'unica via per difendere quello che aveva.
Con un colpo di tosse si sollevò sui gomiti per allontanarsi, mormorando scuse sconnesse così a bassa voce che Tony non comprese nulla. Non comprese ma capì una cosa: non avrebbe voluto affatto che Peter si sollevasse. Con un colpo di reni si alzò e si aggrappò alla sua giacca a vento, frenandolo dall'andarsene. Un gesto meccanico, senza pensiero. Istinto.
Ma, proprio quando stava per trascinarlo di nuovo a terra verso di sé, una voce acuta si levò da fuori il bosco, probabilmente da uno spiazzo a metà pista non troppo distante.
«PAPÀÀÀ! ZIO PETEEER! MA DOVE CAVOLO VI SIETE CACCIATI!?»
La voce di Morgan li fece sussultare entrambi, riportandoli sul piano del reale. Un reale duro e crudo come uno schiaffo in piena faccia.

 


Non si rivolsero la parola per il resto della giornata. Provarono a mantenere il sorriso, almeno con Morgan, ma la pura verità era che ciò che era successo – o meglio, ciò che NON era successo – li aveva lasciati sbigottiti. Entrambi.
Ovviamente a Morgan non sfuggì affatto l'improvviso cambiamento d'umore di suo padre e di Peter, ma decise di non metterci il becco. Del resto era abituata ai repentini cambi d'umore dello zio Peter negli ultimi tempi.
Quando verso sera Happy li raggiunse con il jet privato per riportarli alla T.S.M.A.F, Peter millantò un violento mal di testa pur di fingere di dormire e non dover affrontare conversazioni forzate lungo il tragitto.
Rincasarono al quartier generale poco prima dell'ora di cena e, a grande sorpresa, May li stava attendendo tutti e quattro con due gigantesche pizze famiglia fumanti. Sebbene Peter fosse sempre felice di avere zia May come ospite alla base degli Avengers, quella sera avrebbe davvero tanto voluto filare dritto a letto con una scusa.
E Tony, invece... beh, Tony non aveva appetito. Si sentì come se il suo stomaco fosse tra le grinfie di un Flerken e, ogni volta che si ritrovò distratto a incrociare lo sguardo di Peter, il Flerken nella sua pancia spalancava le fauci.
Fu un vero strazio quella sera riuscire a sopportare i rituali sociali del quartiere ma, giunto il momento di darsi la buonanotte e dirigersi verso le proprie stanze, il clima si fece ancora più pesante.
Sarebbe stato sì un buon momento per prendersi da parte e parlarne, peccato che nessuno dei due sapeva cosa dire. Sì, buon momento, ma pessima idea. E ancor più pessima idea quella di nascondere la polvere sotto al tappeto.


 


Se la notte precedente era stata una delle più tranquille e riposanti di tutta la sua vita, quella notte era in cima alla lista delle più insonni. In classifica insieme a quelle dopo Titano, quella dopo la morte dei suoi genitori, quelle in Afghanistan, quella dopo la guerra civile e quella prima del viaggio nel Regno Quantico.
Quella sarebbe stata denominata la notte dopo aver quasi baciato Peter Parker. Aveva quasi baciato Peter! Il suo protetto, il ragazzino che aveva accolto sotto la sua ala protettiva.
Tony spalancò gli occhi contro il soffitto e si passò una mano tra i capelli, con uno sbuffo. Il buio della notte lo tormentava, ma ogni volta che chiudeva gli occhi veniva sopraffatto dalla luce. La luce nello sguardo di Peter, le sue lentiggini, i suoi denti.
C'era qualcosa di troppo strano in tutto quello, troppo malato. Non aveva mai pensato a Peter in quel modo, cinque anni prima. Forse perché prima di Titano, Peter era un ragazzino e lui sarebbe stato oltremodo punibile penalmente, o forse perché c'era comunque Pepper nella sua vita. Erano stati amici, si erano voluti bene. Avevano trascorso nottate in laboratorio a lavorare insieme ma non c'era mai stato nulla... nulla di quello che stava accadendo in quelle ultime settimane.
Sei sempre tu. Proprio come ti ricordavo.
Adesso dormivano insieme, si abbracciavano, si sfioravano, si guardavano in modo strano e fino a quella mattina era stato convinto che fosse solo una conseguenza di tutta quella mancanza – per Tony cinque anni, per Peter otto. Ma era davvero così? Nel proprio cuore sentiva qualcosa di nuovo, qualcosa di strano. Sentiva che qualcosa fosse cambiato, ma non riusciva comunque a capacitarsene. Da quando le cose erano mutate? Da quando avevano iniziato a essere più che amici senza nemmeno rendersene conto? Forse già da qualche settimana.
Sembrate una vecchia coppia di sposi!
Quell'incremento cardiaco che percepiva nello stargli vicino avrebbe dovuto fargli venire da tempo dei sospetti. Era un uomo intelligente e colto, cazzo! Com'era possibile che non se ne fosse mai accorto?
Non che se ne stupisse, dal punto di vista fisico non era la prima volta che Tony provava attrazione per un uomo. E Peter era diventato davvero, davvero un bell'uomo.
Da giovane, durante le sue serate alcoliche prive di senso e sobrietà, Tony non aveva mai fatto grandi distinzioni tra i due sessi. E, non avesse mai provato qualcosa di romantico per Rogers, ma non si era mai tirato indietro dal guardargli quel ben di Dio che sfoggiava sul lato B. Beh, non più oramai, data la veneranda età. Sarebbe rimasto solo un bel ricordo nella sua mente. Ma aveva sempre provato troppo risentimento, troppo rispetto e poi risentimento ancora per Cap per provarci con lui. Quello era un uomo d'altri tempi, suvvia! 
Ad ogni modo voleva bene a Peter, così tanto bene che quell'improvviso cambio di rotta lo rendeva agitato. Togliendo il dettaglio che avesse la metà dei suoi anni, non aveva nemmeno idea se anche lui condividesse lo stesso tipo di sentimento. Quell'attrazione. Beh, senz'altro qualcosa sotto c'era, o altrimenti non avrebbe indugiato tanto a sfiorargli il naso con il suo quel pomeriggio. E che a Parker piacessero gli uomini, quello era un fatto risaputo oramai. C'erano tutte le carte in regola perché anche Peter ricambiasse quella cosa.
Mi è mancato da morire, signor Stark.
Trattandosi di Peter - e non di una persona qualunque - non sarebbe stato affatto il caso di fare colpi di testa e rovinare tutto per una notte sotto le lenzuola.
Si sentì d'improvviso accaldato. Con il respiro affannoso e uno strano e inequivocabile formicolio al basso ventre. Sì, decisamente le cose erano cambiate tra di loro, se solo il pensiero di avere lì Peter, nudo sotto le lenzuola, gli procurava quelle sensazioni.
Avrebbe voluto sprofondare nel proprio letto e scomparire, perché più di un'idea malsana gli attraversò la mente quella notte.
Se Stephen Strange fosse stato al corrente di tutto ciò, avrebbe visto almeno quattordicimila scenari possibili nei quali Tony correva nella stanza di Peter per portare a compimento ciò che avevano interrotto quel giorno. Ma Tony doveva resistere, doveva farlo per loro. Per non rovinare tutto.
E allora, in un barlume di consapevolezza, trovò il modo quattordicimilaeuno per evitare di uscire dalla sua stanza. Si sentì parecchio patetico, ma infilarsi una mano nei boxer fu l'unico modo per trovare pace.


 


Mancavano tre giorni a Natale, e da altrettanti tre giorni Peter e Tony evitavano accuratamente di rimanere soli nello stesso perimetro.
Si ritrovarono spesso a guardarsi addosso, arrossendo come due preadolescenti intimiditi.
Inutile dire che Tony si sentì parecchio ridicolo. E completamente in imbarazzo, dato che aveva trascorso le ultime tre notti a farsi le seghe pensando a Peter, piuttosto che parlare direttamente a lui. Che razza di perversione!
Il senso di colpa lo divorava, così come quella sensazione di smarrimento nel vederlo vicino e silenzioso. La mancanza. Gli mancava potergli parlare, poter trascorrere del tempo con lui. Tempo piacevole come l'avevano passato nelle ultime settimane. Ne sentiva il bisogno, una necessità che andava ben oltre al desiderio fisico che si era reso conto di provare per lui.
Ma allora cos'era, tutto quello? Non era solo attrazione. Non era solo amicizia.
Si sentiva un teenager alla prima cotta. C'era qualcosa di forte che lo portava nella direzione di Peter, qualcosa che non avrebbe potuto nascondere. Ed ecco da dove arrivava la paura di parlarci! Perché, se l'avesse fatto, gli sarebbe stato davvero difficile celare ciò che provava.
Con il Natale alle porte sentiva più che mai il bisogno di trascorrere del buon tempo con i propri cari, e il solo pensiero di passare quei giorni con un muro di distanza tra lui e Peter gli faceva salire la nausea.
Ma non si sentiva pronto per affrontare una cosa del genere. Un rifiuto? Forse. E se Peter avesse confermato, invece? Come poteva sentirsi pronto a vivere una situazione simile?! Era vedovo da soli tre mesi!
Si sentiva in difetto nei confronti di Pepper. L'aveva amata così tanto! Possibile che si fosse dimenticato di lei in così poco tempo? O forse, davvero, con Peter c'era sempre stato un legame speciale che non aveva mai saputo tradurre in quel tipo di sentimenti? Un legame pronto a spezzarsi o rafforzarsi alla prima occasione buona.
Gli scoppiava la testa.
Ci era abituato, certo. Il suo cervello non aveva mai smesso di pensare dal momento in cui era venuto al mondo. Ma in quei giorni la cosa si era fatta insostenibile. Non poteva continuare in quel modo. Non poteva continuare a darsi piacere di notte e soffrire di giorno.
Si prese la testa con le mani e lanciò il saldatore elettronico sul tavolo da lavoro. Era stanco, non riusciva nemmeno a concentrarsi.
«Cosa ti affligge, Stark?» la voce di Rogers fu come un salvagente pronto a tirarlo fuori da acque scure. 
Tony lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e si voltò di scatto verso l'entrata del suo laboratorio.
Non l'aveva sentito arrivare, ma ringraziò il cielo che fosse entrato in tempo per evitargli un attacco di panico. Forse avrebbe dovuto ricominciare a pensare alle chiappe del giovane capitano, di notte. E non alle lentiggini di Peter. 
«Niente» mentì Tony, senza però sforzarsi di essere anche solo lontanamente convincente.
Steve sorrise mesto e azionò la carrozzina elettrica per giungere più vicino a lui. Avrebbe tanto voluto alzarsi sulle proprie gambe per poterlo fronteggiare faccia a faccia, ma senza nessun aiuto oramai gli era davvero difficile. Ma tanto quello sguardo lo conosceva bene, fin troppo bene.
«Dire che ti conosco da quasi cento anni è abbastanza?» gli fece notare con sguardo eloquente.
Tony si sedette a braccia conserte sulla sedia girevole, portando poi il mento vicino al collo e alzando le sopracciglia con il suo consueto fare da insopportabile so tutto io.
«Beh, tecnicament-» si apprestò a correggerlo, interrotto però dalla voce rauca ma fin troppo dolce di Rogers. Non gli erano mai piaciuti quei tecnicismi.
«Tony...» lo ammonì Steve, le mani incrociate in grembo e gli occhi azzurri pieni di ricordi. Aveva conosciuto non uno, ma ben due Tony in momenti differenti nella sua vita, e quel volto poteva significare solo una cosa: pensieri intricati.
Tony alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo. Mai una volta che Rogers gli lasciasse l'ultima parola! Eppure aveva ragione: non era mai riuscito a nascondergli un bel niente. E sì, si poteva dire che lo conoscesse come le sue tasche.
Erano stati davvero amici prima della guerra civile. Tra battibecchi, litigate e tutto il resto, c'era qualcosa di Steve che gli aveva sempre ispirato una gran fiducia. Lungi da lui dichiararglielo in passato ma, al momento, quel nonnetto si meritava anche qualche ricompensa da parte sua.
«Ho paura... di stare commettendo un errore» ammise Tony con un altro sbuffo.
Steve inclinò il capo, stupido. «Chi sei tu? Che ne hai fatto dello Stark che non sbaglia mai?» Si trattenne dal ridere. In qualsiasi universo Tony era sempre stato restio ad ammettere i propri difetti e i propri sbagli. Soprattutto non aveva mai gradito dimostrare insicurezza per i propri progetti e azioni. Piuttosto agiva, poi si prendeva la briga di risolvere i pasticci. Cosa lo stava portando a ponderare così tanto prima di commettere un errore? Qualche pensiero se l'era fatto. Dall'alto della sua veneranda età, vedeva molte cose.
«Simpatico, dico sul serio» disse Tony, sarcastico.
«Senti il desiderio di tornare nella tua dimensione? Si tratta di ciò?» domandò Steve, andando per esclusione.
«Dio, no!» si affrettò a rispondere. «Io... sul serio, sto davvero bene qui. E poi Morgan ha bisogno di me. Peter ha bisogno di me».
E io di lui” avrebbe voluto aggiungere, ma si morse la lingua prima di farlo. Aveva così bisogno di Peter, aveva così bisogno di parlare con lui, di averlo accanto.
Steve si sporse un poco più in avanti per osservare meglio quegli occhi color cioccolato. Oh, sì. Aveva ben capito quale fosse l'antifona.
«Peter... è strano anche lui, in questi giorni» commentò Cap con palese finta noncuranza. 
Tony drizzò la schiena, quasi indispettito. Indispettito e parecchio sorpreso, peraltro. Lo conosceva davvero così bene da accorgersi che il problema fosse davvero tra lui e Peter o stava bluffando?
«Cosa vorresti insinuare?» sibilò Tony sospettoso, controllante.
Steve ridacchiò e scrollò le spalle. «Niente, uomo di ferro».
«Sarebbe: ferro, oro e titanio» puntualizzò fastidiosamente Tony, per deviare il discorso. Mettersi troppo a nudo di fronte a Captain Perfettino lo spaventava sempre.
Steve sorrise mesto. La reazione fin troppo rigida del suo amico non aveva fatto altro che confermare ogni suo sospetto. Ma non aveva intenzione di giudicare, lui. Era finito il tempo delle grandi litigate, delle pretese. Dell'attaccarsi alla loro diversità caratteriale per sputarsi addosso e poi fare la pace con una stretta di mano e uno sguardo complice.
Aveva vissuto in una dimensione dove per lui Tony Stark era come un figlio, in un mondo in cui non si erano mai dovuti pestare a sangue per dimostrarsi superiorità, un mondo in cui non si erano fatti del male. Ed era stato bello conoscere quella parte di Stark che lui si ostinava a tenere celata a tutti. La sua sensibilità, la sua gentilezza. Sapeva di non avere di fronte quel Tony, bensì il primo in assoluto che aveva conosciuto, ma era certo che – malgrado quell'aria da strafottente che gli piaceva tanto indossare – fosse maturato.
Ed era altrettanto convinto che oramai non si sarebbero più trovati nella stessa situazione della guerra civile. Si erano perdonati, durante il viaggio nel Regno Quantico. Si erano riavvicinati, poi aveva pianto la sua morte come quella di un fratello. Quel fratello che, dopo più di cinquant'anni, si era ritrovato ad accogliere di nuovo nella sua vita. Avrebbe potuto permettersi, con lui, di compiere un passo in più verso i suoi affari personali. Perché oramai aveva più di una prova che Tony Stark avesse un cuore.
«Ma il tuo cuore è fatto come quello di tutti quanti, no? Usalo. Non è mai un errore» asserì Steve, sollevando una delle sue mani nodose per dargli due deboli pacche sulla spalla destra.
Poi, lento come era arrivato, si voltò per tornare nelle sale comuni. Se ne andò sorridendo, lasciandolo lì impalato con un'espressione da citrullo e il respiro mozzato dalla sorpresa.
«C...Cap!» soffiò Tony, con il groppo in gola. Ma Steve non lo sentì, oramai se ne era andato.
L'aveva lasciato solo, con un prezioso consiglio tipico da uno come lui. Un benestare, non un giudizio.
Forse avrebbe potuto trovare le forze per affrontare tutto quello.

 


Il Natale giunse alle porte di New York più luminoso e bianco che mai. La neve aveva iniziato a ricoprire le strade della metropoli alla vigilia e, lenta e silenziosa, aveva continuato imperterrita la sua caduta fino a sotterrare ogni cosa. Delicata, senza fretta.
La mattina del venticinque dicembre, Central Park sembrava una cartolina, tutto era fermo immobile. Si respirava tranquillità, calma e aria di festa. L'albero più alto, illuminato da migliaia di luci candide, donava alle persone speranza.
Pochi chilometri più lontano, oltre il Queens, i preparativi per il ricco banchetto dei supereroi procedevano allegri. Ognuno si era dato da fare, quella mattina, in vista del consueto pranzo nella più grande famiglia di sempre.
Era oramai tradizione trascorrere il Natale tutti insieme. Tutti gli eroi e le loro famiglie, in una festa immensa ma comunque intima. Bruce, Strange e consorte, Scott, Hope e i suoi genitori, Cap, Happy e May, Peter, Morgan e Rhodey. Thor e tutti i Guardiani della Galassia, compresi Quill, Gamora e Neytiri, la loro bambina di tre anni e mezzo. Wang, Shuri, T'Challa e le loro famiglie arrivate direttamente dal Wakanda per deliziarli di alcuni piatti tipici, Sam, Bucky (che oramai Tony aveva imparato a sopportare), Clint, sua moglie e la loro squadra da calcio di figli in continuo aumento, Wanda, alcuni abitanti di New Asgard e persino Ned e MJ.
Quell'anno, in occasione del ritorno di Tony, le presenze erano aumentate. Persino qualche Skrull, Nick Fury, Maria Hills e Carol Denvers avevano presenziato al pranzo, con la speranza che – almeno quel giorno – non fosse richiesta la loro presenza allo S.H.I.E.L.D o in qualche galassia meno fortunata.
Si sentì davvero felice, Tony, di ciò che erano riusciti a costruire durante i suoi otto anni di assenza. Probabilmente ci era voluta la sua morte per farli unire tutti. Beh, era stato un ottimo risultato.
Alle cinque del pomeriggio non avevano ancora servito il dolce, ma da sempre era tradizione aprire tutti i regali prima del meraviglioso panettone con la crema al mascarpone di May Parker. Tra adulti non era mai stato necessario farsi dei gran regali, solo pensieri, anche magari solo biglietti e lettere di auguri o oggetti di valore simbolico.
Tra tutta la confusione e la gioia, per Tony non ci fu cosa più bella nel vedere gli occhi di Morgan illuminarsi nel ricevere da parte sua – oltre a una nuova tuta da snowboard personalizzata – anche i primi bozzetti della sua futura armatura.
Anche Peter ne rimase sorpreso e, nonostante ancora dopo sei giorni non si era rivolto la parola con Tony, non poté fare a meno di spiare quei prototipi e commuoversene. Ironlady. Un armatura snella, leggera, con stencil in vibranio simili a ragnatele. Blu, rossa e dorata. Come l'armatura di Iron-Spidey. Un omaggio alla protezione datole dai due supereroi che l'avevano cresciuta.
Peter lo colse come un segno di pace, come un messaggio di tregua. Perché, proprio mentre Morgan saltellava in giro per la stanza con in mano quei bozzetti, Tony gli riservò – per la prima volta dopo sei giorni – un sorriso puro, compiaciuto. Un sorriso al quale non seppe non rispondere.
Ma il sorriso più grande - sui volti di tutti - apparve quando Peter uscì per qualche secondo dalla stanza, per poi rientrarci con un grosso scatolone ricoperto di nastri rosa e stelline dorate. Il suo regalo per Morgan. Lo sapevano tutti, cosa fosse. Tutti tranne Morgan, la quale non si sarebbe certo aspettata che suo zio Peter si ricordasse di una promessa sciocca fatta mesi e mesi prima.
Perché, quando dalla scatola tirò fuori un piccolo batuffolino di pelo rosso e bianco, lei non riuscì a trattenere le lacrime.
Inutile dire che Thalos fu l'unico a emettere un urlo spaventato alla vista del povero micio, additandolo immediatamente come un pericolosissimo Flerken.
Beh, Flerken o meno, il piccolo Anakin aveva tutto fuorché l'aria pericolosa.
Fu davvero imbarazzante il momento in cui toccò a Peter e Tony il momento di scambiarsi i loro pensieri. Peter ricevette dal suo mentore una cornice contenente la foto del loro primissimo incontro. Scatto catturato da una telecamera, il giorno dello Stark Expo. Peter era solo un bambino con addosso una maschera da Ironman, mentre Tony era intento a salvargli la vita.
Peter si rigirò la cornice tra le mani e sorrise. Anni e anni prima durante una giornata in laboratorio, quando aveva rivelato al suo mentore che quel bambino era lui, a Tony era venuto quasi un infarto. Sorrisero insieme di quel ricordo, dimenticandosi per un attimo ciò che li aveva portati al silenzio di quei giorni.
Tony ricevette da Peter un modellino telecomandato in miniatura della prima armatura di Ironman, quella che aveva costruito in Afghanistan. Pazzesco quanto gli fosse fedele!
Lo sciopero delle parole venne interrotto con degli imbarazzati “grazie” e “buon Natale”, ma entrambi sapevano che dentro quei pensieri, quei ricordi, si ricamava la storia che li aveva riportati fino a lì.



Ciò che distingueva la giornata di Natale da tutte le altre, era che si trattava dell'unico giorno che un branco di affamati supereroi saltava la cena. Del resto ci si era alzati da tavola alle sette di sera.
E, quando la maggior parte degli invitati non inquilini della T.S.M.A.F lasciarono il quartier generale, la notte si era già affacciata alle porte di New York. Sempre come voleva la tradizione, però, i festeggiamenti non si sarebbero potuti concludere prima di alcuni giochi da tavolo e qualche partita alla Play Station 6.
Quill si era sempre lamentato molto di come la sua versione digitale nel picchiaduro “Avengers Supreme War” non gli somigliasse proprio per niente, e non aveva proprio per nulla torto: sembrava la controfigura di Neville Longbottom.
«Zio Thor, ti prego! È il quarto controller in due mesi!» si lamentò Morgan, nel vedere il figlio di Odino intento a premere compulsivamente quadrato e cerchio per attaccare la sua avversaria – che, come sempre, utilizzava Ironman come personaggio. Invano, data la fatality appena infertogli dalla piccola Stark.
«Com'è possibile che tu vinca sempre?! In quale universo il Dio del Tuono è più debole dell'Uomo Lattina!?» grugnì Thor esasperato, non badando agli “ehi” di protesta di Tony per l'appellativo poco cortese. 
«Perché tu premi i pulsanti così forte che poi non funzionano più!» sbuffò Morgan, accasciandosi sul grande divano blu notte del salotto. Gli altri spettatori fecero lo stesso, stufi di dover interrompere sempre sul più bello i loro tornei di gioco per colpa di Thor.
«Devo progettare un pad più resistente solo per te» asserì Peter, strappandogli dalle mani il controller oramai conciato da buttare.
«Te ne sarei grato, Pete. Sono stanco di perdere contro una mocciosa» ridacchiò Thor, pizzicando per scherzo i polpacci di Morgan.
«Uh, qualcosa mi dice che perderesti comunque» si intromise Tony, annoiato.
«Non dire fesserie, Stark».
Tony lo guardò un po' sottecchi, quando un'idea apparentemente geniale gli balenò nella mente.
«Peter, sono curioso. Perché non andiamo a costruirgliene uno?» propose Tony, sentendo poi qualcosa muoversi nel profondo delle viscere. In un modo o nell'altro avrebbe dovuto riavvicinarsi a lui.
Peter non poté fare a meno di trattenere il respiro. Era sciocco, incredibilmente stupido continuare a evitare quel confronto, ma forse non se ne sentiva ancora in grado. Andare in un laboratorio con lui, progettare cose... era come un salto nel passato. Un macabro revival.
Erano sei giorni che lui e Tony non si rivolgevano più che qualche timida occhiata.
Aveva trascorso tutte le notti appollaiato sugli alti grattacieli di Manhattan e riflettere, a darsi dello sciocco perché era fin troppo probabile che avesse preso un abbaglio. Ok, si erano avvicinati; ok, avevano dormito insieme DUE volte; ok, Tony lo guardava in modo strano; ok, erano rotolati giù per una montagna finendo uno sopra l'altro, ma da lì a poter credere che tra loro ci fosse qualcosa era davvero troppo, no?
Eppure, quando Peter si era alzato per la troppa vicinanza, Tony l'aveva tirato di nuovo verso di sé. Perché? Cielo, come poteva essere? Non poteva essere successo però tutto solo nella sua testa.
Era confuso, troppo confuso, e trascorrere del tempo nel laboratorio da soli non avrebbe certo contribuito a districargli la mente. In passato non aveva faticato a tenersi tutto quanto per sé, era sempre stato attratto da Tony ma ben sapeva che la questione fosse a senso unico. Non era mai stato un problema passare le giornate a progettare insieme. Ma ora? Sarebbe stato altrettanto facile?
Solo quando si accorse che la pausa dopo quella proposta si stesse  facendo troppo asfissiante, prese un profondo respiro e deglutì. Lo stavano squadrando tutti, Tony compreso.
«O-ok» balbettò il ragazzo e, senza guardarsi indietro, si avviò al piano inferiore con un macigno grosso come un cocomero in gola.


 


«Dobbiamo rinforzare qui» indicò Tony, con un piccolo cacciavite a stella.
«E qui!» aggiunse Peter, spostando un cavo grigiastro dal controller aperto a metà.
Poi, dal nulla, Stark fece apparire davanti a loro un ologramma in scala aumentata del pad e tutte le sue componenti.
«Giusto. Che materiale suggerisci?» domandò Tony dopo aver aperto con le dita una lista virtuale di tutti i possibili elementi.
Peter fece scorrere la lista, con una mano sotto al mento, poi inarcò un sopracciglio come per pensare.
«Titanio?» si chiese a bassa voce, esercitando poi una compressione simulata. «Ma la forza è quella di un Dio, potrebbe non essere sufficiente. Aggiungiamoci della-»
«Fibra di vibranio» lo anticipò Tony, selezionando l'elemento e posizionandolo al suo posto. 
«E se mettessimo qui anche-»
«Una copertura ai cavi? Ottima idea. Sarebbero-» constatò Peter, agendo ancor prima che il suo mentore potesse farlo.
«Protetti» dissero all'unisono, avviando la simulazione in contemporanea. Funzionava.
E non era certo la prima volta che si anticipavano le parole. Non era la prima volta che agivano in modo così efficiente per risolvere un problema. Erano un team che funzionava alla grande, e nessuno dei due se l'era scordato.
Si guardarono soddisfatti e sorrisero. Ma quel sorriso, sul volto di Peter, si tramutò in pochi secondi in una smorfia imbarazzata. Abbassò subito lo sguardo, tradito dal rossore che l'aveva appena colto in volto.
Aveva senso continuare così? Fare finta di niente? Forse era meglio risolvere la questione subito, togliersi da quelle occasioni imbarazzanti e tornare a essere come prima.
«Signor Stark, io...» balbettò Parker, dopo aver lanciato il cacciavite sul tavolo con aria svogliata.
«Peter, è tutto ok» lo interruppe Stark, avvicinandosi di un passo per costringerlo a guardarlo in faccia.
Peter non lo fece. Continuò a fissare il pavimento finché Tony non posò due dita ghiacciate sotto il mento. 
Sollevò lo sguardo. «Lo è?» domandò, con un sorriso amaro.
«Sì, lo è» tentò di rassicurarlo Tony, e lo ammonì scherzosamente corrugando la fronte.
Non molto convincente. Come avrebbe potuto esserlo? Erano ancora lì, vicini, in quella situazione che era tutto fuorché normale, fuorché ok. Non tra loro!
«Ma signor Stark!» protestò Peter.
«Ma ti decidi o no a chiamarmi Tony?!» sbuffò, esasperato.
Peter si morse il labbro. Quante volte gliel'aveva già chiesto, di chiamarlo in quel modo? Possibile che non capisse quanto potesse essere difficile per lui?
Certo, che non lo capiva. Come poteva? Non era lui. Non era mai arrivato a quel punto, nella sua dimensione. Non poteva averlo sentito mentre lo chiamava in quel modo. Tony.
Quale momento migliore per dirglielo, per mostrarglielo? Per fargli sapere anche quell'ultima cosa.
Peter si allontanò di un passo, poi premette sul suo orologio il pulsante per farsi ricoprire dall'armatura di Iron-Spider. Tony arricciò il naso, senza comprendere cosa stesse succedendo.
«EDITH. Cerca tra i file dell'armatura e sblocca la proiezione Tu-Sai-Quale» mormorò con voce tremante. Non aveva più avuto il coraggio di guardarla da tanto, troppo tempo. La tuta aveva registrato tutto quanto, quel giorno. Ma ogni volta che Peter aveva provato a riguardare quei momenti, era stato colto dal panico, quindi aveva deciso di segregarli.
Ne sei sicuro, Peter? - domandò l'intelligenza artificiale.
No che non lo era. Ma avrebbe dovuto, per far capire a Tony cosa fosse successo. Non era mai stato pronto a mostrarglielo sia per non turbarlo, sia per non turbare se stesso. Ma quale momento migliore?
«... procedi. Mostramelo». All'ordine di Peter, il mini-drone sul petto della tuta si attivò e proiettò proprio di fronte a sé quelle immagini.
Dovette resistere dal non chiudere gli occhi.


 
«Si ricorda quando eravamo nello spazio e mi sono polverizzato? Devo aver perso i sensi perché mi sono svegliato e lei non c'era più. Ma il dottor Strange sì, ha detto che erano passati cinque anni e poi ha cominciato a fare quella cosa gialla scintillante e-»
«Vieni qui, abbracciami».
«Oh, che carino!».


Tony deglutì. Aveva il cuore in gola, ma sorrise. Solo in quel momento capì cosa intendesse Peter quando aveva detto di aver sottratto al Peter della sua epoca un bel ricordo. Ma poi lo scenario cambiò, la lotta era incessante.


«Io sono ineluttabile».
«Io... sono... Ironman».


«Signor Stark! Signor Stark, mi sente? Sono Peter! Ehi... abbiamo vinto! Abbiamo vinto, signor Stark. Abbiamo vinto, ce l'ha fatta, signore... mi dispiace... Tony...»
«Tony... guardami. Noi staremo bene. Puoi riposare, ora».



Tony dovette appoggiarsi al banco di lavoro con una mano per non cadere. Le gambe gli tremavano, il respiro si era fatto più intenso, quasi come se gli mancasse l'aria.
Sapeva cosa fosse successo, ma pensava di essersene andato, scomparso, disintegrato appena schioccate le dita. Non che fosse rimasto a terra agonizzante per tutto quel tempo, non che Peter fosse stato costretto a vederlo spegnersi. Non che fosse morto tra le braccia Pepper.
Quando le immagini sparirono, di fronte a sé, l'unica cosa che era rimasta in quella stanza era Peter. Il volto di Peter rigato dalle lacrime come quell'orribile filmato.
E allora trovò le forze di rimettersi in piedi, di ricomporsi e di riavvicinarsi a lui per abbracciarlo forte, più forte di quanto non avesse mai fatto. Peter dovette lottare per non prendere a singhiozzare, per non stare male come quelle rare volte in cui aveva guardato quelle immagini.
«Guardami, Peter. Guardami!» gli ordinò Tony, scrollandolo per le spalle. «Non andrò via, ok? Non mi succederà più niente del genere. Toglitelo dalla testa! Ok? Quando vorrai chiamarmi per nome, non mi succederà niente. Niente di niente. Io sono qui. Per te».
Lo accarezzò sulla testa, tra i capelli, tentò di rassicurarlo. Gli posò un bacio sulla fronte, poi sugli occhi salati, poi sulle guance.
Peter si sentì avvampare. Cos'erano, quei baci? Un modo di rasserenarlo? Un modo di stargli vicino? Di consolarlo? Ma allora perché ogni bacio si avvicinava di più?
«Ma questo... questo è sbagliato» soffiò Peter, trovando così la forza di parlare con voce rotta. Lo guardò negli occhi prima che potesse essere troppo tardi.
E lo era eccome, troppo tardi. Mai, mai provocare Anthony Stark dicendo che sta commettendo un errore. Mai.
Quell'errore venne da sé. Sempre che di errore di trattasse. Facile, fin troppo facile.
«Decisamente» ghignò Tony con un sorriso malizioso.
E, senza che Peter ebbe il tempo di replicare, si ritrovò con un nuovo sapore sulle labbra. Una nuova esplosione di colore.
Un sogno che prese d'un tratto consistenze di realtà.

 
 
Continua...
 


ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti! Come promesso, ho pubblicato questo capitolo puntuale per la fine del Lucca Comics. Diamine, è stato proprio bello! Lungo le mura avrò visto chissà quanti Spiderman e, da brava spendacciona, oltre a vari manga e gadget mi sono pure comprata due action figure, una di Ironman e una di Spiderman. 
Ma torniamo a noi! Beh... capitolo sicuramente molto intenso dal punto di vista emotivo, con un finale che è giunto facile facile. Non si poteva attendere oltre, per questo bacio. 
E adesso? Sarà tutto in discesa? Uhm... :) voi cosa ne pensate?
Vi informo che il prossimo capitolo è già quasi concluso, quindi tra massimo due settimane lo potrò pubblicare. Ringrazio di cuore tutti quelli che mi stanno lasciando delle meravigliose recensioni e anche chi ha messo la storia tra le seguite/preferite! Non fatevi problemi a scrivermi se avete dubbi, se trovate errori o semplicemente se volete darmi qualche suggerimento! Del resto questa storia è pur sempre un grande esperimento :)
A presto!
Eevaa

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Capitolo 7
*** Just scared of never feeling it again ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
 

HIGH
HOPES

 
CAPITOLO 7 – JUST SCARED OF NEVER FEELING IT AGAIN
 


•••


L'immaginazione di Peter era sempre stata contaminata da un preponderante senso di colpa. Sempre.
Ogni qualvolta che la sua mente prendeva il volo o se ne andava a spasso per mondi e situazioni creative, il Peter razionale che albergava in lui lo aveva sempre acchiappato con una ragnatela e costretto a tornare con i piedi per terra.
Beh, a parte nei suoi sogni. E quello aveva tutta l'aria di esserlo, perché da troppi secondi stava percependo sulle sue labbra un sapore che aveva sempre fatto parte solo della sua fantasia. E il suo raziocinio non stava facendo proprio un bel niente per scuotere la testa e tornare alla realtà.
Era un sogno. Per forza! Oppure Tony si sarebbe già staccato, avrebbe già scansato le mani dalle sue guance bollenti e sarebbe già tornato a compiere azioni di quotidianità. E lui si sarebbe dato dell'idiota per aver anche solo osato immaginare uno scenario del genere.
Eppure quelle sensazioni erano così... vivide. Quel sapore era così forte, l'odore di dopobarba della pelle di Tony non l'avrebbe colpito così intensamente e il suo stomaco non si sarebbe messo a fare le contorsioni di un circense del Cirque du Soleil, se si fosse trattato di un sogno.
Avrebbe dovuto aprire gli occhi e comprendere, capire. Ma la paura di schiuderli e trovarsi nella sua stanza - solo e sudato per un semplice sogno – non era affatto ciò che desiderava. Avrebbe voluto rimanere lì per l'eternità a godersi ciò che per anni aveva immaginato e che in quel momento sembrava così... reale.
Peter approfondì quel contatto beandosene in ogni sfaccettatura, percependo sulle papille gustative un sapore nuovo, un sapore che lo mandava in estasi e che lo rendeva leggero e pesante allo stesso tempo.
Solo quando Tony, dopo chissà quanti secondi, decise di rompere quel contatto per poter contemplare ciò che di bello aveva di fronte, Peter fu costretto a realizzare che l'impossibile fosse appena divenuto possibilità.
Aprì gli occhi e si accorse che non fosse alcun sogno, di alcuna immaginazione. Era sul piano del reale, perché le iridi color cioccolato di Tony, velate e luccicanti, viste da così vicino possedevano nuove sfumature che la sua immaginazione non avrebbe mai potuto creare.
Trattenne il respiro nel vederlo lì, ancora con le labbra schiuse, le gote arrossate sotto il pizzetto ispido e le mani che ancora gli sfioravano le guance. Era qualcosa che aveva desiderato in modo ingiustificato per anni, qualcosa che aveva tentato di tenere solo per sé e qualcosa che l'aveva fatto sentire sciocco e irrazionale. Un desiderio che aveva sempre ritenuto ai margini della follia. 
Era accaduto. Lì, in quel laboratorio, con sottofondo il bip incessante del saldatore. Non era giusto che fosse accaduto. 
Per Peter, fu come essere gettato nelle acque più gelide del Mare del Nord. Si allontanò con uno scatto e ruppe quel magico filo dorato che li aveva tenuti uniti fino a quell'istante. Si allontanò con il respiro affannoso e il panico pronto a mettergli le mani attorno al collo. Prese distanza e vide lo sguardo di Tony corrucciarsi indispettito.
«P-Pete?» 
«Oh no... no, no, no!» farneticò Peter, allontanandosi ancora di più, urtando accidentalmente uno dei carrelli per gli attrezzi, ribaltandolo. «Signor Stark, non... questo... non deve accadere» continuò, prima di avviarsi a ritroso verso l'uscita, spaventato più che mai.
No, non era pronto ad accettare che le cose tra loro cambiassero. Tony non sapeva quanto lo avesse amato, da sempre. Quello che per il suo mentore era stato un semplice bacio dettato da chissà quale voglia spasmodica, per Peter aveva significato un mondo intero e no, non poteva illudersi.
Non doveva illudersi, o ci avrebbe sofferto troppo. Non voleva perderlo di nuovo.
«Ma che... aspetta! Io... scusami, Peter, non volevo metterti a disagio» tentò di fermarlo Tony, in preda al panico, sentendosi un completo e perfetto imbecille. Mosse un paio di passi, ma le sue gambe tremavano. 
«No... m-mi dispiace! Mi dispiace!» biascicò Peter e, divorato oramai dalla paura, sparì oltre la porta automatica. 
Tony si lasciò cadere
 con un tonfo sulla sedia girevole e si portò entrambe le mani nei capelli.
Cosa diavolo aveva appena combinato!?


I vendicatori presenti alla festa di Natale non ci avevano fatto troppo caso al fatto che Peter e Tony fossero spariti per ore. Thor e Quill avevano trovato modo di sfidarsi a un semplice gioco strategico da tavolo fino alle quattro del mattino e Morgan, assonnata, si era addormentata sul divano prima che potesse rendersi conto della tarda ora.
Bruce la riportò in camera in braccio e, solo quando lei – mezza addormentata – domandò dove fosse finito suo padre, il dottore si rese conto che Tony e Peter fossero assenti da quando erano andati in laboratorio a lavorare al nuovo controller.
Diede un bacio sulla fronte alla ragazza e poi, incuriosito, scese con l'ascensore fino al seminterrato alla ricerca di risposte. Ma, quando entrò e vide Tony con le occhiaie fino alle caviglie e una compulsiva voglia di mettere a soqquadro l'intero laboratorio per produrre nuovi aggeggi del tutto inutili, capì che dovesse essere successo qualcosa.
Bruce si appoggiò allo stipite della porta con le braccia conserte e guardò l'amico trotterellare nervoso in giro per la stanza in modo casuale, senza scopo. Questi ignorò la sua presenza e brontolò frasi sconnesse adornate di imprecazioni.
«Tony? Stai cercando qualcosa?»
«No! Niente!» rispose, nel tentativo di arpionare con due grosse pinze un bullone di un grosso marchingegno color platino, intimando poi a Ferro Vecchio aiutarlo.
«Mi sembri in difficoltà» constatò Bruce, con le labbra strette in un'espressione di disappunto. Era risaputo che quel genio di Tony Stark fosse solito bazzicare il laboratorio fino a tarda notte, ma il giorno di Natale, alle quattro del mattino, quello sì... era un po' strano. Soprattutto a causa di quegli scatti nevrotici.
«Affatto. Rogers lo è. Dobbiamo farlo visitare» propose Tony, lanciandosi alle spalle la pinza e percorrendo la stanza a grandi falcate per mettersi a lavorare a qualcos'altro, senza obiettivo.
Bruce sgranò gli occhi. «Rogers? Cos'ha?!» Aveva visto Cap durante la cena e non aveva affatto l'aria di essere una persona in difficoltà.
Tony interruppe ogni operato e rimase immobile con lo sguardo fisso davanti a sé per qualche secondo. Poi, come colpito da una geniale intuizione, si voltò verso Bruce e lo indicò con un cacciavite.
«Si è rincoglionito» rispose lapidario, poi iniziò ad armeggiare con un vecchissimo modello di casco.
Brucce alzò le sopracciglia e scosse la testa, con un sorrisetto. Se conosceva almeno un poco Stark e Rogers, era pronto a scommettere che avessero discusso. Era perdurata già fin troppo quella pace!
«Tu dici?» domandò, incrociando le braccia al petto con finta sorpresa.
Tony sbuffò, poi aprì con le dita un ologramma raffigurante dei nuovi materiali e li fece scorrere con poco interesse. Solo pochi giorni prima, Captain Stranamore era giunto proprio in quel laboratorio fingendosi un grande esperto di relazioni sociali e gli aveva intimato di “aprire il suo cuore” a Peter. Il risultato? Un completo disastro. Maledetto vecchiaccio e maledetto il giorno in cui aveva deciso di dargli retta.
«Oh sì! Completamente andato! Kaputt! Temo possa essere l'inizio di un declino cognitivo. Oppure forse lui dispensa consigli di merda perché è un completo incapace, o peggio perché vorrebbe affossarmi. E io che pensavo che avessimo oramai dissipato i rancori! A questo punto preferirei ipotizzare un deterioramento fisiologico neuronale. Ha una certa età, del resto. Quanti anni ha, oramai? Centosettanta? Duecento?» farneticò Tony, selezionando funzioni a caso dall'ologramma del computer e destinandoli alla saldatrice. Non sapeva nemmeno cosa stesse facendo, in realtà. E perché.
«Stark... di che diavolo parli?» domandò Bruce. Sì, era evidente che Cap e Ironman avessero qualche malaffare in sospeso. Come se fosse una novità!
Tony rizzò la schiena, indispettito. Perché diamine ne stava parlando? Tanto nessuno avrebbe potuto risolvere i suoi problemi, men che meno Shrek. Non aveva certo bisogno di altri consigli di merda!
«Niente. Niente di niente! Se vedi Rogers, prenotagli una visita dal neuropsichiatra» sibilò velenoso, incamminandosi poi ad ampie falcate verso l'uscita. «Vado a dormire!»
Bruce lo guardò allontanarsi. Sospirò, ma non si sorprese affatto del comportamento del suo collega: il bipolarismo Stark era una di quelle caratteristiche che quasi gli erano mancate.


 


L'ultimo dell'anno sopraggiunse e trascorse in fretta come un temporale estivo, e con lui anche la celebre e consueta festa con le premiazioni del grande torneo del miglior supereroe. 
Ma, sebbene la “giuria tecnica” fosse ben più che propensa a dare a Peter dei punti bonus per aver riportato indietro Tony Stark il precedente settembre, i numeri parlavano chiaro: i danni subiti portavano Spiderman dritto dritto in seconda posizione nella classifica.
La gioia di Thor – e il suo lungo e incomprensibile discorso durante la festa di Capodanno – si tramutò ben presto in un'interminabile gara di rutti tra lui e i Guardiani della Galassia.
Il tasso alcolemico della serata superò la soglia della decenza addirittura prima dello scoccare della mezzanotte, ma Morgan insistette con il padre che fosse oramai abituata a cotanta ebbrezza. Voleva festeggiare a tutti i costi l'arrivo del 2032 e registrare quanti più filmini imbarazzanti di zio Thor per poterlo ricattare durante l'anno a seguire. Su questo Tony non ebbe nulla da obiettare, anzi contribuì a immortalare lo stato indecente in cui versavano i suoi colleghi. Supereroi, si facevano chiamare! Di Super, in quel momento, avevano solo la Tennent's.
La musica alta e assordante, ma non riuscì affatto a coprire il rumore altisonante dei suoi pensieri catastrofici. Non era riuscito a nascondere un'espressione di completo disappunto nel vedere Peter sparire subito dopo la premiazione con la scusa di andare a pattugliare. Seppur vero che - durante la notte di San Silvestro - Manhattan diventasse sempre un covo di tragedie, secondo Tony quella fuga era un altro dei suoi trecentosettantadue modi di evitare di condividere con lui l'ossigeno. 
E quindi, quando intorno all'una di notte Morgan decise che fosse giunto il momento di andarsene a dormire, Stark non si tirò indietro dall'accettare i drink gentilmente offertogli da Thor. “Antiche ricette di Asgard”, aveva detto. Beh, sicuramente un ottimo modo per mettere a tacere le proprie elucubrazioni mentali.
Che fosse stata un'idea di merda se ne rese conto solo il mattino successivo, quando si risvegliò ancora mezzo intontito sul divano della sala ricevimenti della T.S.M.A.F, con addosso gli occhi intrisi di disappunto di Steve Rogers. Desistette dalla gran voglia di mandarlo a quel paese solo per quieto vivere – dato che, inoltre, era ancora arrabbiato con lui per avergli dato il consiglio peggiore di tutta la sua vita.
Non fece nemmeno in tempo a bersi un caffè nero e bollente in santa pace che la chiamata di Nick Fury gli ricordò che, dannazione, quello stesso pomeriggio sarebbe giunto al quartier generale per discutere delle ultime novità sul caso HIDESTAGE. Gli rammentò di radunare quanti più Avengers possibili e chiuse la discussione con un eloquente invito a far eliminare la foto che quell'imbecille di Peter Quill aveva caricato sul loro gruppo Telegram. La raffigurazione pittorica di Tony Stark intento a dormire scomposto sul divano con una cravatta annodata in testa alla Rambo non avrebbe affatto giovato alla credibilità di quell'incontro.

Da quella riunione se ne susseguirono tante altre con ritmo bisettimanale, riunioni volte a trovare una qualsivoglia soluzione agli attentati che, imperterriti, si stavano tenendo in tutto il mondo e sempre collegate in qualche modo all'azienda di nuove tecnologie.
Solo durante la terza settimana di gennaio, Peter aveva dovuto sventare tre attacchi alle periferie di New York.
La mente degli Avengers era talmente impegnata alla soluzione di quel caso che nessuno di loro, all'apparenza, aveva fatto caso al radicale cambio di rapporti tra Tony e il suo pupillo. Durante le riunioni, se prima erano soliti togliersi la parola a vicenda per proporre soluzioni analoghe, attualmente entrambi evitavano l'uno lo sguardo dell'altro, e se ne stavano ammutoliti quando uno dei due completava un report.
Nella vita quotidiana le cose non andavano molto meglio: si evitavano come la peste e, solo per non far preoccupare Morgan, di tanto in tanto passavano qualche serata entrambi con lei evitando però in qualsiasi modo confronti diretti. Sorrisi di circostanza, qualche battuta senza capo né coda.
Stark era frustrato. Ci aveva provato, i primi giorni dopo Natale, ad avvicinarsi per poterne quantomeno parlare, ma Peter coglieva sempre la palla al balzo per recarsi a Manhattan e Tony, di conseguenza, per chiudersi nel laboratorio a bestemmiare. Così via via passarono i giorni, poi le settimane, poi più di un mese senza darsi la minima spiegazione riguardo a quanto fosse successo la sera di Natale. Nessun confronto, solo un gran fuggi-fuggi da persone immature che non riescono ad affrontare un discorso.
Durante la riunione del tre febbraio, i vendicatori non furono mai così vicini dal risolvere il caso. Avrebbero però avuto bisogno di tecnologie ancor più all'avanguardia per poter captare e resettare i nuovi super-droni utilizzati negli attacchi, tecnologie che però erano ancora in fase di sviluppo nel Wakanda.
Shuri e T'Challa avevano suggerito a Tony, Bruce e Peter di recarsi in Africa per poterci lavorare insieme e ottimizzare le tempistiche ma, un po' per non lasciare sola Morgan e un po' per rimanere a pattugliare nello stato di New York, Peter convenne che sarebbe stato il caso di rimanere lì. Nessuno ebbe nulla da obiettare, ed effettivamente le sue ragioni avevano senso. Ma Tony riuscì a leggerci tra le righe la completa assenza di voglia di intraprendere un viaggio a contatto ravvicinato con lui.
Fece finta di niente e, la sera stessa, lui e Bruce partirono per il Wakanda fino a data da destinarsi.

 



Quando Morgan uscì dalla porta sul tetto della scuola e intravide Peter seduto al bordo della balaustra - con il cappuccio del parka giallo tirato fino alle sopracciglia - il suo volto si accese di un gran sorriso. Non era raro che l'andasse a prendere dopo le lezioni e, dato che Happy era partito la sera prima per l'Africa, quella era senz'altro una buona occasione per farlo. La T.S.M.A.F non era raggiungibile in modo rapido con i mezzi. 
Peter adorava andare a prendere Morgan dopo la scuola, un po' meno essere tormentato dalle ragazzine delle medie per sessioni fin troppo moleste di autografi; proprio per quello le aveva mandato un messaggio intimandole di trovarsi nel solito posto.
Le sorrise e sollevò un sacchetto di In-n-out contenente le migliori schifezze take-away della Grande Mela.
Dopo aver scelto un eccellente parapetto per poter osservare la città viva senza essere notati, si misero entrambi a cavalcioni per gustarsi un bollente e filante cheeseburger doppio cheddar.
Erano momenti magici, imperdibili. Parlarono di scuola, di musica, di quanti ragazzi Morgan avesse dovuto tenere alla larga nelle ultime settimane – lei era ancora piccola per avere il ragazzo, questa era la scusa che rifilava a chi troppo la tampinava - e delle riunioni segrete tra S.H.I.E.L.D e Avengers. La ragazza rise a crepapelle alla perfetta imitazione di Nick Fury montata da Peter, il quale si appoggiò una fetta di lattuga sull'occhio e iniziò a elencare con ostentato disappunto tutte le ottemperanze degli Avengers. 
Parlarono di quanti disastri avesse già combinato il piccolo Anakin alla T.S.M.A.F, tant'è che Stephen Strange era stato costretto a chiudere a chiave tutta la sua ala medico-scientifica. Adoravano tutti quel gatto, ma non era l'incarnazione della leggiadria e la delicatezza. Forse era davvero un Flerken. 
Morgan scattò un selfie con Peter tenendo l'ultima patatina in bocca e poi, dopo aver accartocciato il contenitore e cacciantolo dentro il sacchetto in carta, sospirò in dimostrazione dell'appagamento e la pienezza che tutte quelle schifezze le avevano donato.
Sorrise mesta nell'osservare i piccioni volare sul cornicione del palazzo di fronte, un fitto raggio di sole penetrò dalle nuvole grigie e la colpì in pieno volto. Corrucciò lo sguardo e, finalmente, si decise a vuotare il sacco. Quale migliore momento per farlo?
«Quindi, zio Peter... da quant'è che sei innamorato di mio padre?» domandò candidamente.
A Peter andò di traverso la Coca-Cola. Iniziò a tossire, lacrimando dagli occhi e sforzandosi in tutti i modi di riconquistare una certa padronanza . Ma come...?
«Ma che cazzo s-» bofonchiò Peter, rendendosi conto che Cap gli avrebbe fatto sciacquare la bocca col sapone, nell'udirlo esprimersi in quel modo di fronte a una dodicenne. «Morgan, ma cosa dici?! Non è assolutamente vero!»
La ragazza si passò una mano tra i capelli castani e sollevò le sopracciglia con fare ammiccante.
«Ah, no?»
Peter si sentì sull'orlo di un collasso. Quasi i suoi sensi di ragno si anestetizzarono per il battito troppo accelerato del proprio cuore.
«No, santo cielo. Come ti vengono in mente certe cose?!» soffiò il ragazzo, con le dita talmente strette intorno al bicchiere da farne straboccare il contenuto. 
«Beh, è più che palese» commentò Morgan, con un sorriso che le evidenziava le due fossette sulle guance arrossate dal freddo.
«Non...» farfugliò lui, sbuffando aria bollente e fumo di vapore acqueo. «Non lo è! Tra me e tuo padre non ci sarà mai niente. Mai! Siamo solo amici, ok?» continuò, nel tentativo di convincere forse più sé stesso che Morgan. Cielo, come avrebbe fatto a mentire se nemmeno lui era convinto delle proprie affermazioni?
Morgan si strinse nel giaccone verde e infilò il naso nella sciarpa. «Amici che non si parlano da un mese?» incalzò.
«Ma cos... Morgan, adesso stai esagerando» si spazientì Peter.
Sapeva che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto del bizzarro comportamento tenuto da lui e Tony, ma che proprio fosse la figlia a portare a galla la questione, quello proprio no. Per lo più con argomentazioni e supposizioni al limite del veritiero.
«Guardami negli occhi e dimmi che non è così» insistette Morgan, ma Peter scattò in piedi con un balzo. Quello era troppo.
«Ok, questa conversazione finisce ora! Ti vieto di aprire bocca. Andiamo a casa» disse lapidario lui, infilando il bicchiere nel sacchetto con così tanta foga da romperlo. Azionò la tuta da Spiderman fin sopra il volto per evitare di farsi cogliere in flagrante rossore, e per di più con gli occhi lucidi. Era fin troppo sensibile all'argomento Tony, in quel periodo.
Morgan si imbronciò e corrugò la fronte, come faceva suo padre nei momenti di rabbia.
«Ma-»
«HO DETTO BASTA!»
Peter la prese per la vita e, senza più dire una parola, iniziò la sua folle corsa in direzione di casa.


Quando giunsero alla T.S.M.A.F, Peter lasciò Morgan all'ingresso - senza nemmeno salutarla - per andare a chiudersi nel suo laboratorio e lei, delusa e amareggiata, camminò ad ampie falcate verso gli ascensori per poter recarsi nella sua stanza, mettersi le cuffie e suonare la chitarra elettrica a tutto volume.
Era arrabbiata con Peter per averle urlato contro, era arrabbiata con se stessa per aver insistito troppo in affari che, sapeva, non fossero poi del tutto suoi, ed era triste per la situazione che si era andata a creare.
Le venne da piangere, ma cacciò indietro le lacrime e si morse il labbro inferiore. 
Amava suo padre e Peter più di ogni altra persona al mondo, ed era stata così felice di vederli sereni insieme, di aver passato del tempo con loro nei mesi passati. Quelle giornate in montagna non se le sarebbe mai dimenticate ed era certa che ci aveva visto giusto: tra quei due era successo qualcosa. Ed era altrettanto certa che provassero qualcosa l'uno per l'altro, l'aveva visto da come si guardavano, da come si parlavano.
A chi volevano darla a bere? Lei era Morgan H. Stark, dannazione! Non le sfuggiva mai niente, tantomeno che quei due non si parlassero per davvero da quel fottutissimo week end.
Solo gli Dei potevano sapere quanto lei desiderasse che tornassero quantomeno a parlarsi, a comportarsi in modo normale ed essere la famiglia di cui lei aveva bisogno. Tuttavia era evidente che avessero dei seri problemi di comunicazione. Gli adulti erano loro, diamine! Possibile che si comportassero come bambini?
Morgan camminò accigliata oltre la cucina, il corridoio e il salotto, rimuginando e sforzandosi di non cedere all'effimero pianto di un'adolescente frustrata fino a quando, proprio dalla stanza della televisione, delle voci fin conosciute echeggiarono in una grande risata.
I Guardiani della Galassia erano tornati alla base dopo un mese nello spazio. Beh, se non altro almeno qualcuno si sarebbe sforzato di farla ridere un po', quella sera a cena.
Fece per proseguire oltre, quando un'idea malsana le balenò in testa. Thor conosceva molto bene suo padre, e Quill era davvero in ottimi rapporti con zio Peter. Entrambi erano persone degne di fiducia, ma anche con quel briciolo di sana follia che in quei casi non era da buttare nel cestino.
Entrò nel salotto mordicchiandosi l'unghia del pollice, accolta dai saluti calorosi di alcuni dei Guardiani, i quali non avevano perso tempo nel saccheggiare la dispensa di schifezze e mettersi davanti ai videogiochi.
Morgan si lanciò sul divano incrociando le gambe, ma non dovette attendere molto a lungo prima che qualcuno si accorgesse del suo muso lungo.
«Ehi, piccolo umano femmina, cos'è quell'orribile faccia scura?» domandò Drax, con la consueta delicatezza di una bastonata sui denti.
Morgan sospirò e si accoccolò meglio sul divano, cercando il coraggio per poter esporre i suoi dubbi. Le avrebbe fatto comodo parlare anche con Mantis e Gamora, ma forse erano a riposare nelle loro stanze. La piccola Neytiri faceva sempre passare a Quill e la sua compagna delle gran nottate in bianco.
«Ecco... forse avrei bisogno di un consiglio!» esplicò lei, ottenendo così la completa attenzione dei Guardiani. 
«Che succede, principessa?» domandò dolcemente Thor, mettendo in pausa la partita e fissandola con i suoi occhi di colori differenti.
«Si tratta di papà e di zio Peter. Non si parlano da un mese!» 
I Guardiani si scambiarono occhiate eloquenti, più che intenti però a non lasciarsi andare in spiegazioni che avrebbero però potuto turbare la ragazzina. Beh, tutti tranne Rocket.
«Oh, accidenti. Lo sapevo che tra quei due stava nascendo qualcosa. La si annusa lontano un chilometro, la puzza di testosterone!»
Le reazioni esasperate dei suoi compagni giunsero silenziose; lo ammonirono con lo sguardo, oppure alzarono gli occhi al cielo, oppure allargarono le braccia con eloquenza. 
«Era proprio necessario?» sibilò Quill tra i denti. Ok che lo avevano capito tutti che tra Tony e Peter ci fosse qualcosa, ma era davvero il caso di farlo capire anche alla bambina?!
«Tranquilli ragazzi, ho dodici anni ma so benissimo riconoscere certe cose. Il punto non è questo, però! Il punto è che dobbiamo trovare assolutamente il modo di farli riavvicinare!» spiegò Morgan.
Gli eroi rimasero di stucco, ma tirarono un gran sospiro di sollievo per non aver creato blocchi della crescita o qualsiasi altro trauma infantile alla piccola Stark.
«Uhm, scommetto solo che gli ci vuole una piccola spintarella» ponderò Thor, nel tentativo di acuminare il pensiero carezzandosi la lunga barba bionda.
«Uhuh, mi piace! La checca isterica e l'egocentrico. Sì, potrebbero funzionare» fantasticò Quill, nell'immaginare una possibile relazione tra il suo amico Ragno e Stark. Sarebbe stato davvero felice se Peter fosse riuscito a trovare qualcuno per lui: erano anni che gli parlava di quanto tutti i ragazzi che frequentava fossero scialbi o non adatti.
«Ok, ma come possiamo fare? Nemmeno riescono a parlarsi» rammentò Morgan, interrompendo le fantasie dei suoi consiglieri.
«Li chiudiamo in uno stanzino» propose Drax, convinto.
«Peter ha i superpoteri, idiota, ci metterebbe un attimo a evadere» berciò Rocket di tutta risposta.
«Idea! Li facciamo sbronzare!» suggerì Thor.

Morgan si portò le dita sulle tempie, massaggiandosi. «Ma perché ci provo...» Forse non era stata poi un'idea così geniale rivolgersi a quel branco di bambini troppo cresciuti.
«Già, pezzo di alcolizzato, il giorno dopo la sbronza potrebbero tornare peggio di prima» lo ammonì Quill.
«Forse dovresti dare a tuo padre il benestare, magari lui si sta facendo le paranoie per te» propose un poco più saggiamente Rocket, dopo essersi arrampicato sul divano per sedersi accanto alla ragazza, sorridendole con delicatezza.
«Nah, scommetto che reagirebbe come ha fatto Peter: intimandomi di farmi gli affaracci miei» sbuffò lei, chiudendosi a riccio e poggiando il mento sulle ginocchia, delusa. Forse non c'era una soluzione ai problemi e avrebbe davvero dovuto farsi gli affari propri.
Tuttavia, proprio quando stavano per perdere ogni speranza di cavarne un ragno dal buco, una vocetta roca si levò dalla sedia più lontana nella stanza.
«Io sono Groot!»
Tutti sbarrarono gli occhi. Tutti tranne Morgan, la quale non aveva capito nulla di cosa diavolo avesse detto l'albero.
«Ehi! Grande idea!» esultò Quill a bocca aperta.
Una grande, grandissima idea.

 


Gli affari in Wakanda si erano conclusi in poco più di sei giorni, e gli eroi americani avevano lasciato la regione con la promessa di tornare entro due settimane a recuperare i progetti ultimati. Shuri ci avrebbe lavorato giorno e notte, poco ma sicuro.
I nemici attaccavano con dei super droni? Beh, loro avrebbero risposto al fuoco con il fuoco con degli iper droni, per giungere così fino alla radice del problema e quindi alla mente degli attentati.
Erano stati giorni di brainstorming molto proficui, e Tony era certo che Nick Fury non lo avrebbe più disturbato per qualche tempo. Aveva bisogno di rilassarsi e, possibilmente, di prendersi un momento di pausa da tutto e da tutti.
Non che da Peter ci fosse bisogno di prendersi pause: erano in pausa da almeno un mese e mezzo. Ma forse gli avrebbe fatto bene passare un fine settimana lontano da lui senza dover pensare nemmeno al lavoro.
Le Hawaii erano senz'altro un buon posto per distendere i nervi.
Quando il jet privato di Happy giunse alla T.S.M.A.F, quel pomeriggio, trovò Morgan ad attenderlo e fu come una benedizione del cielo. Era l'unica persona che avrebbe voluto vedere e della quale aveva sentito una morbosa mancanza. L'abbraccio di sua figlia fu come una piacevole ventata d'aria fresca, ma non ci volle molto per accorgersi che Peter avesse accuratamente evitato di farsi trovare alla base per il loro ritorno.
Provò una certa delusione e una certa rabbia, ma cos'altro poteva aspettarsi?
Tuttavia, quando Peter tornò a casa quella sera e si accorse della presenza di Tony al quartier generale, non riuscì proprio a trattenere il suo cuore dal danzargli nel petto. Quella situazione aveva del ridicolo, ma proprio non trovava via d'uscita, modo di parlarci e risolvere la situazione.
C'era sempre qualcosa che lo frenava, nonostante con tutto il suo corpo desiderasse riavvicinarsi a lui e magari riprovare quella meravigliosa sensazione che aveva provato nel farsi baciare. Ma la sua mente gli aveva imposto quel veto e non era davvero il caso di infrangerlo. Ancora sperava che le cose tornassero come prima così, per magia.


Trascorsero altri due giorni dal ritorno di Tony e Bruce dal Wakanda e, stranamente, tutto era tranquillo a Manhattan. Nessun attentato, niente di niente. Tony ebbe quasi il profondo desiderio di anticipare il suo viaggio alle Hawaii di un giorno e così, quella fredda mattina di febbraio, si avviò verso la cucina per proporre a Morgan un cambio di programma ma, non appena le porte dell'ascensore si aprirono, il dolce e strafottente viso del Bimbo Ragno gli apparve davanti come un'apparizione mistica. Il cuore a mille.
Si fecero un cenno di saluto distratto, più che intenti a incamminarsi ognuno nella propria direzione ma, proprio in quel momento, un boato e delle urla concitate si levarono appena fuori la porta d'ingresso. Si voltarono entrambi con ansia, facendosi poi segno di avviarsi in fretta e furia a capire cosa diavolo fosse successo.
Rocket entrò nell'edificio con la fronte sudata e gli occhi iniettati di panico.
«EHI! Ehi, voi! Emergenza! ALLARME! Degli alieni sono appena arrivati sulla Terra! Proprio qui nel cortile!» urlò il procione, sbracciandosi e invitando i due supereroi a raggiungerlo.
«Rocket, calma, non sono i soliti droni? Non avete anche voi il sistema di riconoscimento Giu Le Maschere?» domandò Peter, dopo aver premuto il comando della sua tuta per lasciarsi avvolgere da essa, pronto a combattere. Dannazione, un attentato proprio fuori dalla T.S.M.A.F non se l'aspettava proprio!
«Certo che ce l'abbiamo, idiota! Non sono droni, non c'è tempo da perdere! Quill ha tentato... ha tentato di salvarla ma lo hanno rapito... INSIEME A MORGAN!» urlò Rocket, in preda al panico. E il panico, naturalmente, colse anche i due supereroi.
«COSA!?» gridarono all'unisono Tony e Peter, scattando poi insieme a gran velocità verso l'esterno.
Rocket, correndo a loro fianco, gli intimò di salire sulla navicella per correre all'inseguimento delle astronavi nemiche.
Tony aveva il cuore in gola. Non poteva essere vero! Non potevano aver rapito la sua Morgan. Cosa diavolo stavano facendo quella manica di idioti?! Possibile che non ci fosse stato nessuno - oltre a Starlord - pronto a combattere?
Peter, Rocket e Tony salirono sulla navicella dei Guardiani, trovandoci dentro Groot pronto a salpare alla volta dell'atmosfera. Non fecero nemmeno in tempo a sedersi per allacciarsi le cinture, perché il portellone si chiuse e la nave partì a tutta velocità verso il cielo.
Peter si ancorò al terreno con una ragnatela, e acchiappò Tony allo stesso modo per non farlo cadere all'indietro.
«MA SIETE IMPAZZITI? E SE CI SERVISSERO RINFORZI?» urlò poi.
Tony ebbe come l'istinto di vomitare. Si era ripromesso che non sarebbe mai più salpato per lo spazio, non dopo quello che aveva subito al ritorno da Titano. Il solo pensiero lo uccideva, ma per Morgan quello e altro.
Tuttavia Peter aveva ragione: perché diamine non avevano aspettato che anche qualche altro Avenger salisse sulla nave? Sarebbero riusciti a far fronte a una nuova minaccia solo in quattro?
La pressione diminuì dopo una manciata di secondi e, neanche il tempo di rendersene conto, si ritrovarono in orbita nel cielo scuro della via lattea. Tuttavia, al contrario di quello che i due eroi si aspettarono, la navicella rallentò fino a ritrovarsi a galleggiare appena fuori dall'atmosfera terrestre.
«Ma che vi dice il cervello?! Oramai siamo qui, inseguiamoli!» berciò Tony, per intimare al comandante di procedere all'inseguimento dei nemici ma, di tutta risposta, Rocket scoppiò in una fragorosa e irritante risata. «Che diavolo hai da ridere, furetto? Ti sembra il momento di scherzare?!» grugnì, con il cuore in gola e l'intensa sensazione di nausea.
Rocket, di tutta risposta, fece però apparire sugli schermi della nave una foto raffigurante la signorina Stark, Quill, Thor e Drax nella cucina della base intenti a fare colazione.
«Siete proprio due boccaloni! Morgan sta bene, guardate, ci ha inviato proprio ora un selfie!» spiegò Rocket, ingrandendo la foto e mettendo in luce il dettaglio del dito medio di Quill rivolto alla fotocamera.
«Temo di non capire» sibilò Tony a denti stretti, comprendendo però più che bene che si trattasse di un falso allarme. Ciò che non capiva, però, era che cazzo si fossero bevuti per anche solo pensare ideare una cosa del genere.
«Ma che razza di scherzi sono?! Che droghe spaziali avete assunto, stamattina, al posto del caffè? Forza, riportateci subito giù. Ne discuteremo a terra» sbuffò Peter, rabbioso, anche se rincuorato dal fatto che Morgan non fosse in pericolo. Oh, ma gliene avrebbe cantate eccome appena giunto sulla Terra. Gli era quasi venuto un infarto, dannazione!
«Spiacente, ho ordini di non farvi scendere da qui fin quando non avrete parlato» espose Rocket, mostrando tutti i denti aguzzi in un sorriso compiaciuto.
E, solo in quel momento, sia Tony che Peter realizzarono cosa fosse successo. Peter aveva assai temuto che la discussione interrotta con Morgan non fosse affatto finita lì, ma non credeva sarebbe potuta arrivare a tanto pur di farli chiarire.
Mentre Tony, beh, non aveva mai sospettato niente fino in quel momento. Le cose si fecero d'un tratto cristalline. Del resto Morgan era figlia sua, e la perspicacia l'aveva senz'altro presa da qualcuno.
«Brutti figli di-» ringhiò Tony, trattenendosi a stento dal compiere un furetticidio.
«Facci scendere. Subito!» ordinò imperativo Peter, poi si avvicinò minaccioso a Groot e ai controlli per tentare di comprendere come si comandasse quell'affare.
«Io sono Groot!» esclamò però l'albero, allungando le braccia e colpendo entrambi i supereroi al centro del petto per spingerli oltre la sala comandi, con prepotenza. Atterrarono nella sala di riposo con un tonfo, poi Groot procedette con la chiusura ermetica del portellone per imprigionarli.
«TI TAGLIO LE RADICI!» urlò Stark, inveendo contro l'albero. Si alzò di scatto e iniziò a picchiare contro il portellone chiuso. Avrebbe benissimo potuto indossare di nuovo la sua tuta e scagliare un raggio verso la porta ma, trovandosi nello spazio aperto, meglio evitare di danneggiare una nave spaziale che li teneva in vita.
Peter sbuffò e tirò un forte calcio a una delle sedie, inclinandola, poi iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.
Tony lanciò qualche altra maledizione e bestemmia nei confronti dei due Guardiani dalla Galassia nella sala comandi, non del tutto certo però che riuscissero a sentirlo. Aveva tutta l'aria di essere insonorizzata. 
Il silenzio calò in quella stanza per più di un minuto, il silenzio opprimente dello spazio e una navicella con i motori spenti. E, proprio per quel dannato silenzio, Tony si ritrovò ai bordi di un attacco di panico.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, qualsiasi cosa per non rivivere quel dannato ricordo. E, piuttosto, si sentì pronto ad affrontare l'argomento spinoso con Peter.

«Sembra che non abbiamo altra scelta» sospirò infine, allargando le braccia e gettandosi su una delle due poltroncine arancioni. Invitò Peter a sedersi su quella di fronte ma il ragazzo titubò, poggiando la fronte a una delle lastre di metallo delle pareti.
«Non credo ci sia molto da dire» sbuffò Peter, ad occhi chiusi. Non sapeva se essere arrabbiato, deluso, spaventato o cos'altro.
Di certo non si era svegliato quella mattina con le intenzioni di affrontare un discorso e, anzi, no, quella mattina non si era affatto svegliato! Stava rientrando da una pattuglia, prima di incorrere in quel dramma. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stanco.
«Ah, no? Proprio niente?» incalzò Tony, con evidente sarcasmo e un pizzico di veleno nella voce. Fece roteare con il piede la poltrona girevole per intimargli di sedersi subito. Non era più un semplice invito.
Peter alzò gli occhi al cielo, provando una fitta al cuore. Era davvero arrivato il momento, alla fine.
«... ok, forse ci sarebbe molto da dire su quello... che è successo» spiegò, avvicinandosi alla sedia e affondandoci con titubanza. «Ma signor Stark, non possiamo lasciare le cose come stanno e basta?»
«Potremmo, a patto che le cose ritornino com'erano fino a due mesi fa, non come sono adesso» propose Tony, gesticolando. Era più che ben disposto a rimanere solo amico di Peter, a patto che fosse un'amicizia vera, sincera. Senza tutti quei filtri e imbarazzi.
«Giusto. Giusto... ottima idea» accettò Pete. Era quello che sperava, no? Semplice. Semplicissimo.
«Bene» concluse Tony, le mani incrociate in grembo e la schiena appiattita contro la poltrona.
«Bene» ripeté Peter, nervoso.
Si guardarono negli occhi per diversi secondi, entrambi con un forzatissimo sorriso di circostanza stampato in volto. Peter iniziò a far ballare il piede, Tony a scrocchiarsi le dita in modo compulsivo. Tanti, troppi secondi di silenzio.
Semplice un paio di palle.
«No, idea di merda» convenne infine Peter con uno sbuffo, sciogliendosi da quella gelida posizione impostata.
«Sì, decisamente». Tony confermò e si passò una mano tra i capelli.
Non sembrava essere affatto una soluzione funzionale. Non per loro che provavano dei sentimenti così... bizzarri. Contrastanti, forse? Beh, ad ogni modo molto forti.
«Ok, parliamone allora» soffiò Peter, con una certa rassegnazione. Affrontare quel discorso avrebbe significato esporsi. Esporsi per davvero.
«Oh, non saprei da dove iniziare. Uh, forse dal fatto che mi hai allontanato come un appestato?» domandò retorico Tony, alzando le sopracciglia e aprendo le mani come se avesse avuto una trovata geniale. Nelle sue parole un pizzico di malcontento.
«N-non è così, signor Stark». Non l'aveva esattamente allontanato perché non voleva baciarlloma del resto avrebbe potuto risultare fraintendibile.
«Ok, ammetto di non aver ricevuto molti due di picche nella vita. Anzi, forse non ne ho proprio mai ricevuti! Caspita, c'è sempre una prima volta in tutto!» cinguettò con finto entusiasmo Tony, divenendo poi più serio. «Ma, detto ciò, mi sarebbe forse piaciuto di più un no, non sono interessato, signor Stark, grazie ma no grazie piuttosto che... questa cosa» concluse, evidenziando con l'indice una linea invisibile avanti e indietro tra lui e Peter.
«Io sono interessato» rispose Peter, quasi indignato.
«Ah! Oh, wow!» disse Stark, con finto stupore. «Hai davvero un modo singolare di dimostrarlo».
«Non faccia il sarcastico con me».
«Chiedo scusa. Bimbo Ragno non apprezza il sarcasmo?» domandò Tony, lapidario, con un sopracciglio sollevato.
«Sembra che lei... che lei sia arrabbiato con me» mormorò Peter, una nota di tristezza nelle sue parole. Quello scambio di battute era stato davvero... troppo da Tony. Se lo aspettava, del resto. Non si era comportato nel migliore dei modi e non gli aveva dato una spiegazione.
Il vero problema era che la sua spiegazione era troppo difficile, troppo complessa da esternare. E cosa avrebbe potuto dirgli? “Sai, sono innamorato di lei da tutta la vita, quindi non voglio fare il suo puntello”? Che pessima idea. 
«No, Pete. Non sono arrabbiato. Ma ho quasi cinquant'anni e una figlia. Non ho più tempo di rincorrere le persone» sospirò Tony, con un sorriso sghembo. Un sorriso sincero da far stringere il cuore a Peter, il quale abbassò immediatamente lo sguardo per perdersi nelle sue All Star nere.
«L'ho delusa?» mormorò, in preda ai sensi di colpa. L'ultima cosa che avrebbe voluto fare era allontanarlo per davvero. Avrebbe solo voluto che le cose rimanessero come quando era tornato. Erano così felici! E poi... poi non voleva essere un peso. Aveva venticinque anni e ben sapeva che il suo mentore ne avesse il doppio. Non che per Peter fosse un problema, ma temeva davvero che per Tony comunque prima o poi lo sarebbe stato.
«Mi hai confuso. Onestamente pensavo ci fosse qualcosa, qui» ammise Stark, indicando sempre la consueta linea retta invisibile che li univa. «Ho visto male?»
Peter sussultò. No, che non aveva visto male. Anzi, ci aveva visto fin troppo bene, ma non era comunque la cosa migliore per loro.
«I-io... io...»
«Peter, sinceramente. Ne abbiamo passate tante, anche di peggiori, oserei dire. Voglio la verità, tagliente o dolce che sia» lo supplicò Tony, oramai stanco di tutti quei preamboli. Non era affatto uno da mezzi discorsi e quella, per quanto gli riguardava, era davvero la frutta. Se Peter aveva da dirgli qualcosa avrebbe dovuto farlo in quel momento. Non oltre. Era stanco, stufo, così stufo che avrebbe solo voluto prenderlo e stringerlo a sé e dirgli che andava tutto bene, ma quello era un problema da risolvere.
Peter, d'altro canto, era stanco anche lui di nascondersi. Non ne valeva più la pena, oramai si erano messi fin troppo a nudo e non c'era più il motivo né il modo di nascondersi. A costo di sembrare un idiota, un insicuro, un coglione.
Così, dopo interminabili secondi di indecisione, Peter prese il più grosso e intenso respiro della sua vita per confessare tutto ciò che non aveva mai confessato ad anima viva. Direttamente al mittente, a una velocità di eloquio elevata.
E il mittente, per tutto il lungo discorso a seguire, si lasciò oltrepassare da una miriade di espressioni tutte da Stark.
«Vuole la verità? Ok. La verità è che ho paura, una paura fottuta. Perché mi ero ripromesso di non dirglielo mai. Ma la realtà è che... che io sono sempre stato attratto da lei. Pensavo che inizialmente fosse una cosa Padawan/Obi-wan, ma poi mi sono reso conto che non fosse propriamente così. Pendevo dalle sue labbra in tutto e per tutto. La sognavo, di notte, e soffrivo perché sapevo che non avrei mai potuto averla come avrei voluto. Insomma, ero solo un ragazzino, e lei era il grande Tony Stark. Tutte le mie compagne di scuola avevano una cotta per lei, insomma! Ah, è stata “colpa” sua se ho scoperto di essere gay. Sì. Anche se poi per conferma sono dovuto andare con una ragazza per capirlo per davvero. E per capire se lei, signor Stark, non fosse solo una mia ossessione. Ah, non lo era, tra parentesi. Mi piacciono solo gli uomini. E no, non era solo una cotta adolescenziale. L'avrei seguita in capo al mondo e l'ho fatto anche in capo all'universo, sono tornato e poi... poi lei è morto.
È morto e io non mi sono mai ripreso, mai. Mi sono dato dello stupido per non essermi goduto appieno quei momenti con lei perché ero troppo impegnato a costruirmi castelli in aria. Mi sono reso conto che quello che avevamo, la nostra amicizia, quando lei era in vita, era qualcosa di prezioso e meraviglioso e quando è morto non avevo più niente tra le mani, se non quei ricordi. Inizialmente ho sofferto nell'apprendere che si fosse sposato, che avesse avuto una figlia. Una famiglia, che poi però è diventata la mia famiglia. Ma lei non c'era più, era morto e ho vissuto di nuovo per anni nell'ossessione che avevo. E sognavo, sognavo di poter avere almeno un attimo, un minuto del tempo che mi era stato concesso di stare insieme a progettare, a combattere, a ridere.
E poi, come d'incanto, è tornato. È qui, e non posso permettermi di perderla di nuovo perché sì, complicando le cose in quel modo la perderei sicuramente. Insomma... lei è vedovo da poco, io sarei solo un passatempo, un chiodo che schiaccia il chiodo. Lei mi vede ancora come un ragazzino e non voglio di certo fare il toy-boy, rovinerebbe tutto. Non voglio rischiare quel che abbiamo a causa di una nottata, signore. Per me va benissimo rimanere amici, come lo siamo sempre stati. Il resto non mi importa, quello che provo lo posso mettere da parte, l'ho sempre fatto e non mi sarà così difficile. Voglio solo far parte della sua vita ed essere suo amico è il modo migliore. La prego, non roviniamo tutto per-»
Tony aveva tenuto il fiato per tutto il tempo e mostrato a Peter tutto il suo stupore, la sua perplessità, il suo sgomento, il suo disappunto quando aveva anche solo osato citare Star Wars per qualcosa di così importante, e la sua rabbia al termine “toy boy”.
Aveva provato più di una volta a interromperlo nel sentire certe stronzate, specialmente nel finale di quel lungo, lunghissimo discorso che era tutto da Peter, ma convenne infine che l'unico modo di metterlo a tacere sarebbe stato uno e uno soltanto. E così, dopo aver alzato per l'ennesima volta gli occhi al cielo, l'aveva preso per il bavero della maglietta trascinandolo verso di sé per farlo entrare in modalità “silenzioso”, azzerando la distanza tra le loro labbra.
E Peter glielo lasciò fare, oramai con la bocca disidratata e la lingua allappata per le troppe parole confusionarie, il cuore a mille e la mente in tilt. Un bacio che durò poco, pochi secondi, giusto per far frenare l'escalation prodotta dalla mente del ragazzo. Poi Tony si staccò, sorridendogli e ammiccando come solo lui sapeva fare.
«Erano più semplici i tempi nei quali per farti stare zitto bastava un cheeseburger» mormorò Tony, tentando poi di avvicinarsi di nuovo ma, come pronosticabile, venne frenato.
«S-signor Stark, ma ha sentito quello che ho detto?» domandò inebetito Peter, non del tutto certo di voler davvero interrompere quella cosa. Gli era davvero difficile, ma il problema non poteva affatto considerarsi risolto. Per niente, a dire il vero.
«Ok, se proprio vogliamo attaccare con le filippiche, allora...» sbuffò Tony, ben conscio che con Peter non sarebbe stato affatto semplice ottenere quello che voleva. Ma, proprio nel momento in cui stava per dare spiegazioni sul proprio conto, la porta della sala controlli si aprì con un sonoro rumore metallico, e Rocket cacciò dentro la testa con occhi gravi.


«Mi spiace interrompervi, signori, ma temo che il tempo a vostra disposizione sia scaduto» spiegò il procione, intimando loro di allacciarsi le cinture. Groot, nel medesimo istante, azionò i motori per tornare alla base.
«Fate sul serio? Avete mosso un'astronave per farci parlare e ora-» protestò Tony, con evidente disappunto.
«Abbiamo un problema vero, questa volta. Sul pianeta Terra. Precisamente nel vostro cortile. E questo non è uno scherzo» puntualizzò Rocket, sedendosi su una delle poltrone accanto a loro, allacciandosi la cintura in cuoio.
«Un attentato?! Collegabile al caso HIDESTAGE?» domandò Peter, preoccupato. Certo che quegli imprevisti accadevano sempre nel momento meno opportuno!
«Oh, no. Credo proprio che la HIDESTAGE sia il vostro minor problema, ora come ora» spiegò Rocket, con voce affranta.
I due guerrieri si guardarono con espressione preoccupata. Cosa poteva essere accaduto di così imminente da costringerli a un atterraggio di emergenza?
Di sicuro nulla di trascurabile o facilmente risolvibile. Alla T.S.M.A.F erano presenti fior fior di supereroi, se erano stati richiamati anche loro allora era palese che la minaccia fosse pericolosa. O era forse accaduto qualcosa a uno di loro? Qualcuno era stato ferito? Qualcuno era stato male?
La mente di Tony si accartocciò su se stessa, quando il pensiero volò verso... Rogers? Cristo, non avrebbe potuto sopporarlo. 
Si aggrapparono con le mani ai braccioli delle loro poltrone e digrignarono i denti nell'avvertire la pressione dovuta all'attrito con l'atmosfera e poi, in meno di cinquanta secondi, la navicella attraccò non con troppa delicatezza da dov'era partita.
Quando il portellone si aprì, Ironman e Spiderman si erano già lasciati avvolgere dalle loro armature. Ma, al contrario della confusione che si aspettarono di trovare, un gran silenzio regnava in quel cortile, un silenzio e un gelo che mise i brividi.
Molti degli Avengers e dei Guardiani, in completo e rigoroso mutismo, li stavano aspettando con volti pallidi e occhi sgranati.
Morgan, più di tutti, aveva l'aria di aver appena visto un fantasma. Rhodey, al suo fianco, la teneva per un braccio con le sopracciglia aggrottate. Tony cercò con lo sguardo Steve, e tirò un grande sospiro di sollievo nel vederlo lì, in piedi, sostenuto da Bucky; le sue ginocchia tremavano, ma non per la fatica.
«Morgan, che hai? Che... che...» balbettò Peter avvicinandosi alla ragazza fiancheggiato da Tony il quale, con la gola secca, appoggiò una mano sulla guancia della figlia, carezzandola e scostandogli i capelli dal volto. Lei sembrava sull'orlo di scoppiare a piangere.
«Maguna?! Piccola... che diavolo è...» balbettò Tony, non riuscendo proprio a comprendere.
E ci capì ancora meno quando, da dietro il gruppo degli Avengers, una voce fin troppo conosciuta si levò tra la folla. Doveva essere un sogno, un'allucinazione. Credette davvero di aver udito male ma Peter, al suo fianco, sgranò gli occhi e impallidì al suono di quella voce troppo simile alla sua, solo un poco più giovane.
«Signor Stark!»



Continua...
 

ANGOLO AUTRICE:
...toc toc? Qualcuno è riuscito a giungere fin qui?
Mi rendo conto che è stato un capitolo lungo e decisamente intenso e intriso di paranoie al limite del ridicolo. Peter, ma cosa diamine mi combini?
Fortunatamente ci ha pensato Morgan a prendere, a suo modo, dei provvedimenti. Vi avevo avvertiti che sarebbe stata un personaggio assai fondamentale.
Purtroppo, però, i guai sopraggiungono sempre nel momento più sbagliato.
E qui non si tratta di guai risolvibili con qualche scazzottata. Questo finale è decisamente da pugno allo stomaco, me ne rendo conto. 
Ve l'aspettavate? A volte ritornano. Qualcuno si era domandato come mai nel primo capitolo avessi così tanto spinto sul fatto che il povero Peter del passato fosse stato lasciato lì in modo molto triste. Beh, sì, a tutto c'è un perché. 
Peter del passato li ha raggiunti, e le sue intenzioni sono piuttosto palesi.
Vi devo dare una notizia, a questo punto... una notizia che potrebbe essere alquanto sconvolgente: il prossimo sarà l'ultimo capitolo.
Ebbene sì, siamo ad un passo da un dramma bello e buono, e nel prossimo capitolo ci sarà la conclusione. Vi avverto: sarà molto lungo, ma le cose si risolveranno. Bene o male, non posso spoilerarvelo.
Conto di pubblicare entro fine novembre, massimo i primissimi giorni di dicembre. Spero di non avervi sconvolto troppo :D
Vi abbraccio e vi ringrazio, come sempre, per avermi seguito fin qui!
Eevaa

 

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Capitolo 8
*** When it all comes to an end ***


Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.



HIGH
HOPES


CAPITOLO 8 – WHEN IT ALL COMES TO AN 
END



 
•••



«Signor Stark!»
Peter si sentì raggelare.
Tony si voltò verso di lui, con il cuore in gola. Lo guardò con attenzione e studiò i lineamenti farsi più duri e il colorito più lattiginoso. Gli occhi di Peter erano spalancati, ma la sua bocca fin troppo serrata per aver potuto pronunciare quelle parole.
Pensò di aver avuto un'allucinazione, pensò e sperò al contempo di essersi sbagliato, ma era chiaro dai volti di tutti - e specialmente dall'espressione di Peter - che quelle parole fossero state pronunciate per davvero.
Da Peter, sì, ma non dal Peter con il quale era appena atterrato con la navicella.
E, quando la folla dei presenti si aprì per far spazio, quel Peter Parker poté finalmente agganciare i suoi occhi ai due supereroi che stava cercando da più di quattro mesi. Da quel famoso ventisette settembre.
Tony credette di svenire mentre Peter, al suo fianco, persino ci sperò. Sperò di cadere in un sonno così profondo da non svegliarsi mai. Il suo peggiore incubo aveva appena preso forme e consistenze reali.
Si specchiò negli occhi identici di quel ragazzo di fronte a sé, che aveva labbra tremanti di una rabbia palpabile dalla distanza.
«Perché, signor Stark? Perché!?» parlò infine quel Peter, con una smorfia di sdegno che gli irrigidì il viso glabro.
La sua voce tremava come una fiammella al vento, i suoi occhi erano velati e circondati da pesanti occhiaie violacee. Brividi sulle braccia di tutti i presenti.
«P-Peter... ma cosa...» balbettò Tony, anche se sapeva cosa gli stesse chiedendo Peter. Il suo Peter, quello dell'universo dal quale proveniva.
«Perché non ha voluto tornare da noi?» domandò lui, con gli occhi che pizzicavano. Non appena giunto alla T.S.M.A.F, la prima persona che aveva incontrato era stata Rhodey.
Aveva sperato con tutto il suo cuore che Tony stesse cercando un modo per tornare indietro, aveva sperato che tutti si stessero adoperando per riportarlo nella sua dimensione naturale ma, purtroppo, aveva appreso l'esatto contrario. Proprio come aveva temuto in ogni suo incubo da quattro mesi a quella parte. Non aveva voluto credere alle parole del Dottor Strange del futuro, il quale gli aveva detto che non l'avrebbe più rivisto. Poi si era soffermato su una frase, un'unica frase a quanto pare male interpretata.
Non nella tua dimensione, almeno.
Così gli aveva detto. Allora si era adoperato per andarlo a riprendere, e così avrebbe fatto. Così avrebbe agito, perché non poteva accettarlo. Non poteva accettare che il suo Tony rimanesse in quel futuro.
«Come hai fatto ad arrivare fin qu-» si intromise Peter, per domandare al suo sosia del passato come avesse fatto a trovare l'esatta epoca nel quale aveva portato Tony. Questi però lo interruppe.
«Stai. Zitto.» sibilò glaciale l'altro Peter puntandogli un dito contro, le parole scandite con estrema pericolosità.
Le schiene di tutti si irrigidirono di fronte a cotanta ostilità.
«Ok, questo è strano» commentò Rocket, mentre i due Spiderman si osservavano sottecchi, con cattiveria. 
«Senti, so che può sembrare-» tentò di spiegarsi Peter, ma l'altro lo interruppe ancora.
«Tu non hai diritto di parola! TU LO SAPEVI! SAPEVI COSA AVREBBE SIGNIFICATO PER ME E L'HAI PORTATO VIA COMUNQUE!» scoppiò, con il volto paonazzo, nel tentativo di reprimere quelle maledette lacrime che gli stavano ardendo negli occhi.
«I-io...» balbettò Peter, deglutendo a forza il sapore amaro che aveva in bocca. Quante volte si era sentito in colpa, in quei mesi, nei confronti di se stesso? Certo che lo sapeva, il male che gli aveva fatto. Ma sperava che egli avesse compreso. Si fece un esame di coscienza e, ripensandoci, a quel tempo forse sarebbe stato troppo debole per comprendere. Per accettare quella cosa.
Cosa avrebbe fatto se dal futuro fosse arrivato un suo sosia a prendersi Tony? Non riuscì a darsi una risposta. Così come non riuscì a dare una risposta a Peter.
«Peter, sarei morto. Ho visto ciò che mi sarebbe successo e fidati, è meglio che il futuro sia questo» intervenne Tony, trovando chissà dove della ragionevolezza nella sua mente. Quella situazione era al limite dell'assurdo.
«NO! Non è affatto così. Il Dottor Strange del nostro tempo aveva previsto che quello era l'unico modo, ma quando siete arrivati voi si è aperto un nuovo arco di possibilità» ringhiò il ragazzo del passato. Volse lo sguardo anche verso Bruce e Strange, i quali abbassarono le palpebre consapevoli di aver preso parte anche loro a quella missione. «Carol ha schioccato le dita, e avreste potuto lasciare Tony lì. Perché non l'avete fatto!?»
«Per me» intervenne coraggiosamente Morgan, compiendo un passo in avanti per fronteggiare quello che non era affatto suo zio Peter. Percepiva in lui una minaccia, una minaccia vera. Quel tizio era giunto fin lì per portarsi via ciò che rimaneva della sua famiglia.
E, di tutta risposta, ricevette dall'altro Peter un'occhiata colma di rancore.
«Morgan, vieni qua. Non t'impicciare» la tirò indietro Thor, per proteggerla dietro le sue braccia muscolose.
«Per lei?!» sbuffò Peter con una risata nevrotica, riprendendo poi a fronteggiare il suo sosia, con sprezzo. «LEI HA QUATTRO ANNI, NEL MIO MONDO. ED È ORFANA DI PADRE!»
«E qui ne ha dodici, e cinque mesi fa è diventata orfana pure di madre! L'ho fatto per lei, per non lasciarla sola!» si indispettì Peter, perdendo ogni barlume di senso di colpa. Si ricordava quale fosse stata la ragione principale della sua missione. Non aveva più intenzione di farsele dire da quel moccioso colmo di rancore, non dopo l'occhiata minacciosa che aveva lanciato alla sua Morgan. A Morgan, colei per la quale avrebbe smosso il mondo intero, colei che era stata la sua forza in quei dannati otto anni. Era come una figlia, per lui.
«Tu l'hai fatto PER TE. Io lo so! Io ti conosco perché SONO TE!» urlò Peter. Spintonò la sua copia del futuro con sdegno, mandandolo a sbattere contro il portellone dell'astronave dei Guardiani. 
Tutti trattennero il fiato. Tony, il quale ebbe come l'istinto di restituire il colpo a colui che aveva appena oltraggiato il suo protetto, si bloccò sul posto ricordandosi che, in qualche modo, anche quel ragazzo era il suo protetto. Si sentì andare in frantumi, al solo pensiero. Erano entrambi Peter, e ciò bastava per mandarlo nella confusione più totale.
Peter rialzò lentamente e tremò, ma non per il dolore. Ma per una rabbia, una rabbia incomparabile nei confronti di colui che l'aveva colpito. Perché il concetto di odiare se stessi non era mai stato più tangibile di così.
«No, Peter Parker. Tu eri ME prima di diventare completamente IRRAGIONEVOLE!» berciò Peter. Si avvicinò all'altro e lo prese per il bavero ma questi, come scottato da un marchio da bestiame, reagì scattando nella sua direzione attivando l'armatura di Iron-Spider, e lo colpì con un pugno dritto in volto. Un pugno che diede vita a una vera e propria lotta di prevaricazione. Peter balzò all'indietro, gli lanciò una ragnatela lo scaraventò per terra ma, naturalmente, ben sapeva che non si sarebbe arreso. Non si sarebbe mai arreso.
E così, sotto gli occhi sbigottiti degli Avengers e dei Guardiani della Galassia, i due Spiderman iniziarono a darsele di santa ragione.
«Sì, questo è davvero strano» confermò Quill, strabuzzando gli occhi.
«Oh, non lo puoi lontanamente immaginare» dichiarò Steve Rogers, ricordando quanto fosse stato bizzarro e al limite del ridicolo combattere contro se stesso nel viaggio del passato volto a recuperare le Gemme.
«Io lo sapevo che sarebbe stata un'idea del cazzo!» commentò Bruce, maledicendo il giorno in cui aveva dato il permesso al ragazzo di andare nel passato.
Nessuno fece nulla, nulla per intervenire. Erano tutti bloccati a guardare due Spiderman intenti a lottare e picchiarsi per qualcosa di tanto irrazionale.
Tuttavia, dopo un grave pugno nello stomaco incassato da Peter - il loro -, capirono tutti che la cosa stesse degenerando.
«ZIO PETER!» urlò Morgan, nel vederlo ripiegarsi in avanti dal dolore. Egli la guardò per qualche secondo con il respiro affannoso, poi arpionò il suo avversario con una ragnatela e lo fece sbattere contro un albero poco distante.
Non voleva fargli davvero troppo male, ma quel ragazzino stava davvero esagerando. Era giunto il quel posto sconvolgendo tutto, tutto ciò che aveva costruito fino in quel momento, demolendo quelle che oramai erano divenute certezze.
Con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio, deviò uno dei suoi colpi per afferrarlo per le braccia, contorcendogliele fino a farlo urlare.
«Tony, fa qualcosa!» supplicò Rhodey, riportando il suo amico in una condizione meno catatonica.
Tony rabbrividì di nuovo. Che fare? Quel che stava accadendo era così sconvolgente da mandarlo in tilt.
«I-io...» balbettò, strabuzzando gli occhi, ancor troppo indeciso sul da farsi.
Per fortuna non era solo. Per fortuna c'era una persona, tra tutti loro, in grado di riportarlo alla saggezza, a un pensiero concreto, a un livello superiore. Perché, se non ci fosse stata Morgan, Dio solo sapeva cosa ci sarebbe voluto per dare la forza a Tony di intervenire, di fermare quella disputa ai limiti dell'assurdo.
«PAPÀ! TI PREGO!» urlò Morgan, portandosi le mani sugli occhi per nascondere il proprio pianto. Aveva paura, troppa paura che Peter gli portasse via ciò che di più prezioso aveva, ciò che il suo Peter gli aveva riportato indietro dopo otto lunghi anni. Era terrorizzata all'idea, e questo Tony lo capì.
Avrebbe dovuto rompere quel momento. Con le labbra strette balzò tra i due Peter e, facendo forza con le braccia meccaniche della sua armatura, li divise con la forza bruta. Anche se non fu semplice.
«EHI, EHI, EHI! BASTA COSÌ!» urlò Tony, deglutendo coraggio e consapevolezza. Così interruppe quell'irragionevole combattimento per fare l'unica cosa che avrebbe avuto senso, in quel momento.
Con il fiato corto e le guance tumefatte dai pugni, entrambi gli Spiderman si placarono, continuando però a guardarsi in cagnesco. Avrebbero voluto piangere, tutti e due.
Tony li guardò con occhi gravi fino a quando smisero di fare resistenza.
«Peter, per favore... parliamo. Vieni con me» propose Tony, rivolgendosi a Bimbo Ragno. Il suo Bimbo Ragno, quello che aveva visto scomparire tra le sue braccia. Quello che sapeva appartenesse al mondo in cui era davvero cresciuto, nella sua dimensione originale.
Peter adulto aprì la bocca come per dire qualcosa, ma il fiato gli morì in gola. Si sentì cedere, si sentì ucciso. Specialmente quando li vide incamminarsi all'interno della T.S.M.A.F insieme, vicini spalla a spalla, e Tony non si guardò indietro.
Si lasciò cadere sulle ginocchia e si portò le mani tra le curve morbide dei suoi capelli.
Apatico, non sentì più niente. Nemmeno le mani di Morgan che, delicate, gli carezzarono la schiena.



Camminarono fianco a fianco fino a quella che era una delle tante sale conferenze dei vendicatori, laddove si erano tenute la maggior parte delle riunioni con lo S.H.I.E.L.D. La stanza profumava di detergente, le persiane automatizzate semi-oscuranti si aprirono al loro arrivo.
Peter tremava ancora e, quando Tony lo invitò a sedersi al grande tavolo in vetro, questi negò con la testa e si appoggiò con una spalla al muro chiudendo gli occhi. Il suo respiro pesante si affievolì a poco a poco e, solo quando Tony ritenne che fosse pronto a parlare, gli portò una mano sulla spalla per costringerlo a farsi guardare.
Il ragazzo sussultò, come se quello fosse l'unico appiglio a tenerlo ancorato alla realtà. E Tony, per un attimo, si dimenticò di ogni cosa.
Non voglio morire, signor Stark.
L'ultima volta che l'aveva visto era stato quel giorno, su Titano. Sapeva che non aveva senso, Peter di quel futuro era in fondo la stessa persona, ma solo sapere che quel ragazzino che aveva di fronte fosse beh, quel Peter, lo rendeva agitato. Sconcertato.
«Inizia col dirmi come diavolo hai fatto ad arrivare fin qui» lo invitò Tony, cercando il più possibile di rimanere fedele al mentore che era sempre stato con quel ragazzino. Lui era IL ragazzino. Lo era ancora, lo poteva vedere dalle sue guance gonfie e glabre, dalla sua mandibola meno pronunciata, le spalle meno larghe. 
Peter deglutì, trovando chissà dove la forza di rispondere.
«L-la sua armatura. L'armatura che indossava durante la battaglia era connessa con il suo dispositivo per il viaggio nel regno quantico che ha usato lo stesso giorno. Ha un localizzatore quantico, nel casco. Mi ci è voluto molto tempo per calcolare il luogo e il tempo esatto, più di quattro mesi, ma alla fine sono riuscito» svelò il ragazzo, tornando con la mente a tutti quei calcoli, quelle assurde sperimentazioni che aveva messo in atto dopo quella battaglia. Aveva trascorso giorni e notti nella casa sul lago di Tony a svolgere le più disparate sperimentazioni di nascosto, poiché nessun'altro aveva creduto che fosse possibile. Si erano arresi tutti al fatto che dovessero accettare che Tony fosse dovuto rimanere in un'altra dimensione per forza, o sarebbe morto. Avevano creduto alle parole del Dottor Strange del futuro. "Se ce l'hanno detto dal futuro vuol dire che è l'unica cosa giusts da fare" avevano pensato tutti. Tutti tranne lui.
Era partito da solo.
Era stato un viaggio lungo, il suo. Erroneamente aveva puntato le coordinate spaziali alla vecchia Avenger's Facility, pensando che in quel futuro fosse stata ricostruita lì, ma ci aveva trovato solo dei vecchi resti e un memoriale. Aveva impiegato parecchie ore per trovare l'indirizzo del nuovo quartier generale, tuttalpiù che in quel futuro tutti sembravano conoscere la sua identità. E poi, quando era giunto lì, aveva trovato un mondo nuovo dove Starlord, Drax, Thor e Morgan se ne stavano seduti a far colazione ridendo e scherzando, e un vecchio Steve Rogers leggeva il giornale accanto. Sereni, tranquilli. Aveva provato rabbia, troppa rabbia per quel mondo così fortunato.
Beh, chiaramente non era a conoscenza degli otto anni che avevano trascorso.
Tony sorrise mesto, sospirando a lungo.
«Sei sempre stato un genio, Pete...» convenne con un sussurro. Era tutto così strano.
«Signor Stark, perché non è tornato? Noi... noi abbiamo bisogno di lei» disse Peter, mordendosi l'interno della guancia.
«Lo so... lo so, ragazzo» mormorò Tony, buttando all'indietro la testa con uno sbuffo. Cielo, avrebbe voluto tanto abbracciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma poteva mentirgli in quel modo? Sapeva cosa avesse trascorso Peter durante quegli otto anni. Non era stato tutto rose e fiori.
«Allora torni, venga con me!» insistette, afferrandogli un avambraccio. Si sentì avvampare, ma mantenne la presa salda.
«Non è così semplice, Pete...» soffiò Tony, mettendogli una mano sopra la sua. La strinse delicatamente, stando attento alle ferite dovute alla scazzottata con la sua copia.
«Lo è! Deve esserlo! Guardi le cose come stanno... passerà gli ultimi anni accanto a Pepper, vedrà crescere Morgan... aiuterà... me» lo imploròmentre due grosse gocce di diamanti gli caddero sulle guance arrossate. «Le offro la possibilità di tornare alla sua vita, adesso».
Non sperava davvero di convincerlo a tornare per stare accanto a lui, ma la sua famiglia... sua moglie, sua figlia, avrebbero dovuto essere una motivazione più che convincente. Cos'aveva, lì? Una moglie defunta, una figlia oramai grande. Nella sua giusta epoca aveva tutto, tutto come l'aveva lasciato quattro mesi prima.
Tony abbassò lo sguardo e sospirò. La sua vita, aveva detto.
Era forse la cosa giusta da fare?


 


Quello sguardo basso, quel sospiro, lo fecero morire ancor di più dentro. Perché Peter adulto, appostato nel corridoio osservando nell'ologramma ciò che vedevano le telecamere, aveva sentito tutto. Aveva visto tutto, e non poteva fare a meno di pensare che quel dannatissimo Peter avesse ragione.
Tony apparteneva a quel mondo, ed era un fottutissimo errore credere di poter competere. Gli era stata appena offerta la possibilità di riportare ogni cosa a posto, e per quale dannato motivo avrebbe dovuto rifiutare?
Provò un conato di vomito. L'aveva perso. Lo stava perdendo di nuovo e non c'era più niente che potesse fare.
Cacciò via con una mano l'ologramma e si trascinò sulle gambe verso gli ascensori. No, non avrebbe potuto sopportare un altro addio. Tutto, tranne quello. Si sarebbe nascosto in un angolo di Manhattan e avrebbe atteso la notte e chissà, forse il giorno dopo.
Mosse passi lenti come verso il patibolo, con la vista offuscata dalle lacrime e una rabbia incontenibile nel cuore. E pensare che non si erano parlati per quasi un mese! Idiota, idiota! Avrebbe dato qualsiasi cosa per godersi al meglio quei pochi mesi che il destino gli aveva concesso di nuovo.
Svoltò l'angolo con poche forze, imbattendosi però nella figura che meno si aspettò di vedere lì, per lui.
Stephen Strange lo guardò di rimando, e allora Peter comprese.
«Lei lo sapeva, vero?» soffiò Peter, con il cuore in gola. «Lei lo sapeva e me lo ha lasciato fare comunque!» esclamò con un ringhio, accorgendosi però che non avesse nemmeno le forze di arrabbiarsi.
Strange tirò le labbra in un sorriso di circostanza. Certo che lo sapeva, come avrebbe potuto non saperlo? Da quando aveva usato la Gemma del Tempo la prima volta, qesta gli aveva lasciato il potere di intravedere nell'ambito delle possibilità.
«Ho sempre visto solo due possibili futuri a tutto questo» svelò, lapidario.
«E in che futuro siamo?» domandò il ragazzo, appoggiandosi stanco alla parete. Era così stanco da sentirsi cadere. Due futuri, aveva detto. Poteva ancora crogiolarsi nella speranza?
«Ancora non so. Sarà la scelta che compirà Tony a decretarlo» rispose Strange. Gli diede due deboli pacche sulla spalla, poi si allontanò con le braccia conserte lungo il bianco corridoio.
Speranza. Ce ne era per davvero?


 


Tony si sentì intrappolato in quello sguardo color nocciola che non riusciva a smettere di contemplare. Peter lo intrappolava come nessun altro sapeva fare. Di qualsiasi Peter si trattasse.
Si sentì così sciocco, così debole. Ma quello sguardo era fin troppo simile a quello del Peter a cui aveva rubato un bacio poco prima. A quello sguardo che l'aveva fatto impazzire nei mesi addietro.
Stupido, idiota. Quel Peter non era lo stesso. Era un ragazzino, con lui non era mai accaduto e non sarebbe potuto accadere mai niente... mai?
Rabbrividì. Era sull'orlo della follia e, non che fosse mai stato completamente sano di mente, ma era certo che gli sarebbero serviti più di un paio d'anni di terapia per rielaborare quella storia. O la reclusione forzata.
Perché la possibilità che gli stava offrendo quel ragazzino era più che concreta, più che giusta, più che allettante. Ma c'erano troppi se, troppi ma. Troppe cose erano cambiate in quei quattro mesi. Aveva appreso troppo, aveva vissuto troppo.
Frastornato e pallido come il sole di novembre si avvicinò alla grande vetrata che dava sul cortile. Sospirò e si prese del tempo per pensare. Peccato solo che tutti i suoi pensieri fossero intricati come i nodi nella lana. Uno, dieci, cento minuti, non riuscì a contare quanto tempo stette lì, con lo sguardo perso nel vuoto cosmico e la mente divagante in universi lontani.
Come avrebbe fatto a tornare indietro e amare Pepper allo stesso modo dopo aver affrontato il lutto per la sua morte? Come avrebbe fatto ad amarla ugualmente dopo ciò che era successo con Peter?
Come avrebbe potuto avere a che fare con quel Peter ragazzino senza pensare a quell'altro? Al ragazzo che aveva rapito la sua mente, il suo istinto, la sua coscienza?
Un brivido gli percorse il dorso nel guardare quel giovane, trovandosi in errore a essere rapito dagli occhi di un ragazzino di diciassette anni. Come poteva provare attrazione per un ragazzino?! Per tutti i Titani!
E, cosa ancor più importante di se stesso e dei suoi problemi di cuore, come avrebbe fatto a lasciare Morgan da sola? Come avrebbe fatto ad abbandonarla dopo tutto ciò che avevano vissuto insieme in quella dimensione?
Sapeva che la piccolina della sua epoca originaria avrebbe avuto un futuro meraviglioso, con un sacco di zii che le avrebbero voluto bene, una mamma meravigliosa e quel Peter. Un Peter ancora sperduto, ma che sapeva che ben presto avrebbe ritrovato la strada. Conosceva le sue potenzialità e sapeva, sapeva che sarebbe stato in grado. Non sarebbe stato facile, ma sarebbe stato un ottimo padre.
E così, tornando con la mente ai video che aveva guardato durante le prime settimane dopo essere stato portato lì, ritrovò il cielo sereno dentro di sé. Si ricordò di tutti quei filmati, di tutte quelle cose meravigliose che la sua Maguna aveva vissuto dopo la sua morte. Si ricordò di come Peter l'aveva cresciuta, accudita, si ricordò di come lui, Pepper, Happy e May erano stati una squadra meravigliosa. L'aveva visto con i suoi stessi occhi, in quei filmati.
Quindi si ricordò perché aveva deciso di restare. Si ricordò perché non aveva mai voluto tornare e, nonostante non fosse sicuro che quel giovane ragazzo che aveva di fronte avrebbe compreso, trovò in quei ricordi la sua risposta. La risposta alla domanda “perché non è tornato?”.
Erano tanti i perché, ma trovò in Peter stesso la risposta. Peter che aveva sistemato tutto, Peter che aveva fatto da padre a Morgan, Peter che era diventato il nuovo Ironman, Peter che l'aveva riportato indietro solo nel momento più opportuno e Peter che gli aveva preso il cuore tra le mani e l'aveva tenuto al sicuro.
La risposta, in tutto quello, sarebbe stata sempre e solo “Peter”.
Si voltò verso colui che era solo un ricordo e, avvicinandosi, gli posò una mano sulla spalla. 
«Mi dispiace, ragazzo. Mi dispiace davvero... ma io non posso tornare» disse Tony con voce calda, convinto fino al midollo. Convinto anche quando il giovane iniziò a tremare, a piangere, a disperarsi a tal punto da lasciarsi cadere sul pavimento.
Convinto da trovare le forze per riprenderselo, per sollevarlo.
«N-no... no, la prego, la pre-» balbettò, in preda a un attacco di panico. Uno dei molti negli ultimi mesi.
«Calmati, calmati. Ascoltami, Pete. Ascoltami bene» lo rassicurò Tony, tenendolo saldo per le braccia. «Qui c'è un nuovo futuro per me, per te, per tutti. Te lo giuro, te lo garantisco, sarà un futuro meraviglioso. Devi solo lasciare che accada, e sarà splendido anche per te».
Amava quel futuro. Lo amava. Ed era quello che si augurava per tutti. Purtroppo, non per Pepper. La sua dolce, cara, forte signorina Potts. Ma, se tanto bene la conosceva, sapeva che anche lei avrebbe voluto questo per tutti loro, dopo la sua morte.
«Come può essere... come...» singhiozzò Peter, aggrappato al suo mentore. Come poteva dirgli una cosa del genere?
«Te lo giuro, ne varrà la pena! Te lo giuro Morgan. Su tutto ciò che ho. Devi solo avere... pazienza» sussurrò Tony, carezzandogli una guancia con una mano tremante. Dannazione, quelle guance. Quegli occhi, quelle lentiggini. Come poteva provare attrazione per un diciassettenne? Era da ricovero!
Doveva ricomporsi e ricordarsi che quello che aveva davanti non era colui che credeva.
«... tanta pazienza» continuò Tony, «e tanta forza, ma io so che tu ne hai, ne hai sempre avuta e ne ho la prova concreta».
Peter assottigliò lo sguardo a quel contatto, a quella mano sul volto in un gesto che mai Tony si era permesso di fare con lui. E il suo cuore andò in subbuglio.
Beh, certo, perché lui non avrebbe mai potuto immaginare che le cose tra loro sarebbero cambiate in futuro. Che i suoi sogni reconditi sarebbero divenuti un poco più reali.
«Otto anni... otto anni!» realizzò il ragazzo, portandosi le mani nei capelli. Otto anni erano un lasso di tempo enorme.
«Sì. Sì, Peter. Ma tu ce la farai» lo rassicurò, con un sorriso e una mezza risata nervosa, quasi isterica. «Guardami. Bimbo Ragno, devi promettermelo. Promettimelo!»
Peter alzò lo sguardo verso quello color cioccolato di Tony. Sembrava così... convinto, così assoluto nella sua decisione. Così assoluto che stava iniziando a credere anche lui che avrebbe potuto funzionare, che sarebbe stato il compromesso migliore da prendere.
«Non posso andare subito nel passato? A quattro mesi fa e cambiare subito le cose?» domandò impaziente il ragazzo.
«NO! No, o il futuro cambierebbe troppo. Tutto ciò che dovrà accadere sarà necessario. Necessario, ok, Peter? Necessario perché tutto sia uguale a ora. Tu saprai in cuor tuo che sarà il momento giusto. Ventisette settembre duemilaetrentuno, ricorda» si raccomandò Tony, con estrema accuratezza. 
Se quel Peter non avesse vissuto il dolore, non sarebbe mai diventato colui che Tony ora conosceva. Un giorno tutto quel dolore sarebbe stato utile, per lui.
E non sapeva come sarebbero potute andare le cose, tornando prima nel passato. Ma non poteva prendersi il rischio di acconsentire a una missione differente. Per andare al meglio, tutto sarebbe dovuto accadere com'era accaduto. Già c'erano state fin troppe variabili che avrebbero potuto fare la differenza. Il fatto che lui non fosse morto ma stato “rapito”, ad esempio. Il fatto che Peter fosse tornato a riprenderselo. 
«Me... me lo promette?» domandò insicuro Peter, lasciando cadere altre lacrime. Il solo pensiero di non rivederlo per otto anni lo uccideva, ma al contempo quegli occhi gli stavano infondendo così tanta sicurezza da convincerlo.
«Lo prometto. Prenditi cura di Morgan, amala come se fosse tua. Prenditi cura di Pepper, costruisci questo posto e per Dio, lascia le cose come stanno fino a quando... beh, fino a quando lei non se ne andrà. E non dire niente a nessuno di questo incontro» ripeté Tony, deglutendo nell'immaginarsi la morte della sua povera Pepper. Non doveva pensarci. Non in quel momento.
Peter rise nervoso e scosse la testa. Tutto ciò aveva dell'incredibile, ma stava acquisendo una forma interessante.
«Dovrei tornare alla normalità, accettare... come posso? Ovunque io vada, vedo la sua faccia! Come posso stare con la gente... andare... a quella maledetta gita scolastica, o che cazzo ne so!» sbuffò lui, senza comprendere come avrebbe potuto fare.

«Oh, a proposito della gita!» disse Tony in un momento di poca lucidità, ricordandosi poi che però non avrebbe dovuto affatto svelare l'identità di Beck, o sarebbero cambiate ancora troppe cose. «Ehm... divertiti!» concluse lui, con un sorrisetto un poco beffardo. Oh sì, quella sì che sarebbe stata una gran bella gatta da pelare per il povero Peter. Ma ce l'avrebbe fatta, eccome!
«Eh?» soffiò il ragazzo, senza comprendere quell'affermazione.
Non ebbe tempo di rifletterci: venne però travolto in pieno dall'abbraccio inaspettato e profondo del suo mentore. Lo abbracciò a sua volta, pensando che fosse carino.
«Ci vediamo tra otto anni, ragazzino. Uh, e non scoraggiarti se all'iniziò sarò un osso duro. Capirai solo... oggi! Già, solo oggi perché ne varrà tanto la pena» svelò Tony, sornione, dopo essersi staccato da quell'abbraccio.
«Perché arriverà me stesso del passato per prendermi a pugni? Perché lei deciderà di restare?» sorrise sghembo Peter, asciugandosi le lacrime e attivando la sua tuta del viaggio nel Regno Quantico.
Non era proprio il caso di tornarsene nel cortile e salutare tutti come se nulla fosse accaduto.
«No, perché - se tutto andasse esattamente uguale - tra pochi minuti uscirò da questa stanza e andrò da Peter per dirgli una cosa. Una cosa importante» concluse Tony, mostrandogli uno sguardo beffardo tutto da Stark.
«C-che...» Peter si rizzò sulla schiena incuriosito ma, prima che potesse dire altro, il suo mentore gli premette il pulsante dell'apertura automatica del casco. Non riuscì a proferire altro, non riuscì a capirci niente, ma comprese nel profondo del suo cuore di avere una nuova, importantissima missione. L'attesa.
«Lo capirai, quando lo vivrai». E, detto questo, Tony attivò il GPS spazio-temporale già impostato per il ritorno a casa e, poco prima di vederlo scomparire, gli fece l'occhiolino. «Ciao, Bimbo Ragno».


 


Il sorriso di Strange si fece largo nella penombra. Nessuno lo vide, nessuno. Tutti in quel salotto erano troppo impegnati ad attendere, attendere una risposta che forse non avrebbero mai voluto sentirsi dare.
Peter, affacciato alla finestra, avrebbe voluto solo nascondersi e nascondere gli occhi arrossati e ancora velati dalle lacrime.
Ma quando alle sue spalle avvertì il rumore della porta automatica... fu in quel momento che pensò di avere un infarto.
Tutti i presenti si alzarono in piedi in religioso silenzio, ad aspettare un verdetto e sperare che non fosse amaro. Bucky strinse forte l'avambraccio di Cap. Perché lui sapeva, sapeva quanto egli tenesse a Tony. Rhodey si morse il labbro e pregò in tutti i modi di non perdere di nuovo il suo amico. Lo stesso fecero Happy, Thor, Bruce, Sam, Wanda, Quill, Gamora, Mantis, Drax, Rocket. A Groot tremarono persino le foglie.
Ma l'unica che riuscì a emettere un verso strozzato, fu Morgan.
«P-papà...» balbettò avvicinandosi al padre il quale, di rientro in quella stanza, la accolse tra le proprie braccia fornendole il porto sicuro di cui aveva bisogno.
«Maguna!» sussurrò Tony, affondando il naso nei capelli profumati di miele, trovando la pace in quell'esatto momento. Ma, alzando gli occhi, l'unica persona che vide in mezzo a quella folla di persone fu Peter. Peter, con gli occhi rossi dal pianto e il respiro mozzato di chi attende una condanna a morte. Peter che avrebbe solo voluto stringere come stava facendo con Morgan.
«Tony... dove... dov'è lui?» domandò Rhodey con il cuore in gola, non vedendo comparire il Peter Parker del passato.
Tony prese sua figlia per gli avambracci e la staccò delicatamente da sé per guardarla negli occhi. Le sorrise, genuino più che mai, e lei comprese ancora prima di udirlo parlare. Capì e chiuse gli occhi sorridendo e ringraziando qualsiasi divinità sopra l'Albero della Vita.
«Se ne è andato. È tornato nel suo mondo» annunciò Tony, guardando negli occhi una sola persona. Peter. Peter che dovette appoggiarsi al davanzale per non cadere, per non sciogliersi.
E così, dopo un grosso sospiro di sollievo, tutti ripresero a respirare. Qualcuno esultò, qualcuno rise, qualcuno pianse dalla commozione, perché il sentimento di felicità di quell'attimo non si poteva spiegare affatto a parole.
«Papà... sei rimasto... SEI RIMASTO!» singhiozzò Morgan affondando di nuovo il volto contro il petto di suo padre, inzuppandogli la maglietta di lacrime.
«È la soluzione migliore. Pensavi davvero che ti avrei abbandonata, pulce? MAI!» ringhiò Tony, raggiunto in cerchio da tutti gli Avengers e i Guardiani, i quali acclamarono a gran voce. Tutti, tranne Peter. Peter non trovò la forza di camminare. Aveva creduto davvero di poter morire dal dolore, e sentiva di avere bisogno di qualche minuto per riprendersi.
Volse lo sguardo verso Strange, appoggiato con una spalla allo stipite della porta, ed egli rispose al suo sguardo con un sorriso e un cenno del capo. Era felice, Stephen, ma non avrebbe mai detto al ragazzo che, nell'altro futuro possibile che non si era fortunatamente avverato, Peter sarebbe morto da lì a pochi giorni in un attentato a New York. Si sarebbe lasciato andare, troppo depresso per combattere, distratto dai troppi pensieri negativi, e gli sarebbe costata la vita.
No, decisamente non gliel'avrebbe detto, ma si sentì davvero felice che il futuro fosse l'altro. E ci vide dentro cose... meravigliose e bizzarre.
«Oh, papà, non preoccuparti: in ogni caso avrei costruito la mia armatura e sarei venuta a riprenderti per salvarti da Peter-cattivo» annunciò Morgan risoluta, e combattiva più che mai, facendo sorridere tutti i guerrieri.
Beh, sicuro sarebbe giunto presto il giorno in cui la piccola Stark sarebbe divenuta una preziosa alleata nelle missioni.
«Penso che non fosse cattivo, tesoro. Solo... fuori di sé» disse Tony con un sorriso amaro. Gli dispiaceva davvero, per quel ragazzino. Sperò davvero con tutto il cuore che sarebbe andata bene, nel suo mondo. Che tutto fosse filato per il verso giusto nonostante le piccole divergenze create. Pregò che mantenesse la promessa, che si riprendesse da quello stato, che trovasse le forze di andare avanti.
Peter, dalla distanza, si morse l'interno della guancia. Non sapeva davvero cosa pensare, di lui. Il senso di colpa era tornato a divorargli le interiora, ma non avrebbe dovuto badarci. Andava tutto bene. Tony aveva scelto di restare e, con tutta la probabilità, aveva fatto in modo che il giovane Peter capisse, che si convincesse.
«Beh?! A me è venuta fame. Ordiniamo del sushi?» propose Thor per stemperare quel momento di tensione.
«Fai schifo, sono le undici del mattino!» commentò Falcon, storcendo il naso.
«Ok, ok, facciamo messicano» si lagnò il Dio del Tuono, ricercando sul suo palmare il menù del ristorante più vicino.
«Per me delle quesadillas, grazie!» intervenne Morgan, seguita poi a ruota da tutti gli altri supereroi.
Tony sorrise e si guardò intorno e contemplando quel futuro. Amava quel posto, amava quel mondo, amava quella mandria di idioti che erano i suoi amici, amava la vita che gli era stata donata. Poteva essere morto, in quell'istante, e invece era lì. Lì, circondato da tutti coloro che lo amavano nonostante tutti i suoi innumerevoli difetti.
«Stark, tu cosa vuoi?» domandò Quill, intento ad annotare gli ordini.
Tony si morse il labbro e volse uno sguardo verso colui che, tra tutti, non aveva aperto bocca ed era ancora pallido come un cencio.
«Ehm... credo... credo che prima io e Peter dovremmo finire un discorso» mormorò, socchiudendo gli occhi. Era giunto il momento di mantenere la promessa fatta al giovane Parker.
Peter, dal canto suo, si irrigidì ancor di più. Quella giornata era al limite dell'incredibile. In ordine era tornato da una pattuglia finendo nello spazio aperto, aveva confessato il suo più grande segreto all'uomo che amava da sempre, poi si era ritrovato a fare a pugni con se stesso proveniente dal passato, aveva rischiato di perdere il signor Stark un'altra volta e ora... ora tutti erano riuniti a ordinare fajitas come se nulla fosse e Tony gli stava domandando di allontanarsi per parlare. Di nuovo.
Indugiò per qualche secondo, giusto il tempo per creare ancora tensione tra loro.
«Io sono Groot!» esclamò l'albero, rivolgendosi ai suoi compagni di avventure.
«No, Groot, penso che non sia necessario rapirli di nuovo» commentò Rocket il quale, con un balzò, si affiancò a Peter dandogli la spinta necessaria per togliersi da quella benedetta finestra e darsi una svegliata.
Ne aveva pieni i peli della coda di quella tensione tra quei due!
E così, trovando la scintilla per potersi riprendere da quella lunga serie di eventi da cardiopalma, Peter si avviò verso l'uscita. Verso l'unico posto che avrebbe potuto tranquillizzarlo, quel posto vicino al cielo dov'era solito rifugiarsi nei momenti di crisi. Il posto in cui lui e Tony avevano parlato davvero per la prima volta, mesi e mesi prima.
Tony lo seguì in silenzio, senza proferire parola alcuna, lasciandosi così alle spalle quel gruppo di eroi e amici che, ne era certo, si sarebbero divertiti un mondo a tramare alle loro spalle.


 


Tony si sedette accanto a Peter sul cornicione ad ammirare il cielo nuvoloso di inizio febbraio. Le piante spoglie, qualche cumulo di neve ancora non sciolta qua e là. Presto avrebbe nevicato di nuovo.
I loro respiri caldi formarono vapore, gli occhi contornati da occhiaie si persero all'orizzonte alla ricerca di parole, di spiegazioni, di qualunque cosa per iniziare di nuovo a parlare.
«Signor Stark... mi dispiace. Mi sono comportato come un folle» ammise Peter, trovando il pretesto per aprirsi a lui. Il sopracciglio contuso e tagliato dalla lotta contro se stesso gli bruciava da matti, ma poco poteva importargli.
«Eccome! Ma è stato uno spettacolo grandioso, dico sul serio» ridacchiò Tony, con il senno di poi. Al momento, nel vedere i due Spiderman lottare, si era congelato.
Peter si strinse nelle spalle, imbarazzato, cosciente però di aver ripreso forse un colore più simile a quello di un essere vivente. Era rimasto così traumatizzato da ciò che era successo che ancora non aveva realizzato che Tony avesse scelto di rimanere.
Non avrebbe mai pensato che potesse rifiutare quella proposta ma, con tutta probabilità, doveva ringraziare Morgan per la sua scelta. Beh, se non altro ora lui e la ragazza erano alla pari: Peter gli aveva riportato suo padre, Morgan aveva fatto sì che egli rimanesse.
Eppure era ancora tremante e terrorizzato, al solo pensiero che aveva rischiato di guardarlo andare via. E non poteva non essere sincero, a riguardo. Perché tanto, oramai, gli aveva detto tutto, si era messo a nudo per davvero.
«Ho avuto davvero paura di perderla di nuovo» ammise Peter, con un groppo in gola grande come lo scudo di Captain America.
Tony chiuse il ventaglio di ciglia scure per una frazione di secondo e, per quell'attimo, riuscì a percepire sulla sua stessa pelle il dolore provato da Peter.
Lo capiva bene, ma cosa avrebbe potuto dirgli? Ogni parola sarebbe stata vana, vuota, priva di significato. Decise, al contrario, di allungare un braccio verso di lui per trascinarlo a sé, contro di sé, chiudendo in quell'abbraccio ogni speranza di poter placare il terrore del ragazzo. Peter chiuse gli occhi e tentò oltre ogni limite di cacciare indietro le lacrime, afferrando il giaccone del suo mentore per tenersi aggrappato a lui, ispirando profumo di dopobarba proveniente dal suo collo.
E Tony lo strinse di più. Tony non voleva lasciarlo andare, non riusciva. Gli era mancato da quel Natale, da quei due splendidi giorni in montagna che avevano dato inizio a un distacco fin troppo drastico.
Capì che erano stati così sciocchi, così infantili, ma oramai aveva ben compreso le motivazioni che avevano portato Peter a staccarsi. Non erano così stupide, erano... mature. Eppure...
«Pete...» lo chiamò con un sussurrò, costringendolo ad alzare lo sguardo. Stark ringraziò il cielo di trovarsi davanti lui, in quel momento, e non quel ragazzino con cui aveva parlato fino a poco prima. Perché altrimenti sarebbe stato perseguibile penalmente per ciò che fece d'istinto, senza pensare oltre, senza riuscire a trattenersi.
Lo baciò di nuovo senza nemmeno aspettare che egli si avvicinasse di più, troppo attratto da quella bocca rosea scalfita da una ferita fresca. Lo baciò e si domandò come aveva fatto a resistere fino a quel momento, ma ancor di più si domandò come diavolo fece Parker a riuscire a staccarsi in quel momento, esercitando una pressione forte sulle sue scapole.
Beh, quello se lo domandò anche Peter. Dannazione alla sua razionalità. Si schiarì la voce, auto-costringendosi a mettere altri insopportabili puntini sulle i.
«Il discorso è lo stesso di prima, signor Stark» puntualizzò Peter, sospirando.
Tony strabuzzò gli occhi, quasi impressionato.
«Ah sì? Devo farti notare che sono rimasto qui?» denotò con dei gesti plateali.
«P-per Morgan» balbettò Peter, con ovvietà.
«Sì, per Morgan. Ma anche per tutto... questo» disse Tony indicando con le mani il posto in cui erano seduti, la T.S.M.A.F ai loro piedi e, infine, con il dito, puntando direttamente al petto del ragazzo.
«Signor Stark, davvero, non è necessario. Le giuro che possiamo essere amici. Gliel'ho già detto, non voglio essere un rimpiazzo di Pepper, non voglio finire nel dimenticatoio. È molto meglio lasciare le cose com'erano, mi cre-» si apprestò a dire il giovane scuotendo la testa, ma Tony lo interruppe con voce tagliente.
«Hai finito? Posso parlare io, adesso? Sei davvero logorroico, quando ti ci metti. Devo dirti una cosa importante, una cosa che ho promesso al Peter del passato che avrei fatto. Però vorrei avere la possibilità di dirla, visto che fin ora hai parlato solo tu» lo ammonì Tony.
Possibile che quel testardo di un ragazzino non lo stesse mai ad ascoltare e dovesse sempre arrivare a fare l'adulto che sgrida l'adolescente, con lui?
Peter si morse la lingua. L'aria fredda di febbraio gli punse il volto caldo e arrossato.
«Sì, s-signore...» soffiò lui con il cuore in gola. Una cosa importante, aveva detto.
Tony si intenerì a quello sguardo da cucciolo, quello sguardo che conosceva fin troppo bene.
E io volevo che tu fossi migliore.
Ma migliore lo era stato eccome, Peter. Persino migliore di lui. E per quello non poté affatto attendere oltre per dirgli tutto, tutto ciò che provava. Tutto ciò che sentiva. Era il suo turno di montare una filippica, quella volta! Solo che, a differenza del suo protetto, egli parlò lentamente. Chiaro, con voce vellutata, ma fin troppo consapevole che i suoi Stark-monologhi non avessero nulla da invidiare a quelli di Peter, in fatto di delirio.
«Peter, io sono... sono un egocentrico, ricchissimo uomo dal fascino inequivocabile, nonostante non sia più di primo pelo. E poco modesto. Per me basterebbe schioccare le dita – perdona il brutto paragone – e potrei avere donne e uomini ai miei piedi, devi riconoscerlo. L'ho sempre fatto! Oh, sì, anche con gli uomini, per me non ha mai fatto nessuna differenza. Poi ho scelto Pepper, grazie a Dio. L'amavo davvero e mi ha fatto diventare un uomo migliore. E mi sono convinto che sarei stato con lei per il resto dei miei giorni... purtroppo mi sono sbagliato. A volte, nella vita, accade.
Ad ogni modo, Peter, quando ti ho scelto ho visto davvero qualcosa in te, avevi solo quindici anni ma eri... sorprendente! Da tutti i punti di vista. Ovviamente non provavo attrazione fisica nei tuoi confronti, eri solo un ragazzino. Ma ti volevo bene, ma bene sul serio come mai a nessuno prima allo stesso modo. E quando sei scomparso sono stato... male. Da morire, mi sentivo responsabile e mi mancavi per davvero, mi mancava persino il respiro. Sei stato per cinque anni il mio primo pensiero ogni giorno. Non avrei mai immaginato che un bel giorno sarei riuscito a portarti indietro, come non avrei immaginato che tu comparissi dal futuro e mi salvassi da morte certa. Mi hai salvato la vita, hai fatto da padre a mia figlia e ti ho ritrovato... cresciuto. Questa cosa mi lascia tutt'ora senza parole! Sei molto più maturo di me, e questa costante ricerca di razionalità lo dimostra. Ripeto, io sono un egocentrico, miliardario playboy filantropo e ora pure uomo di mezza età... ma non sono stupido. E, che tu ci creda o no, sono maturato pure io. Quello che voglio dirti è che avrei mille e miliardi di modi per scacciare chiodo... ma perché mai dovrei farlo con la persona più importante della mia vita? - Morgan a parte, s'intende. E avrei anche avuto modo di tornare indietro oggi, ma ho scelto di rimanere e ciò che mi ha tenuto qui... sei tu. Sei tu, Peter. Sempre».
Quando Tony finì di parlare, una folata di vento gli scompigliò i capelli scuri. Era maestoso, risplendente di una nuova forza d'animo.
Peter, ricurvo su se stesso, non poteva credere alle proprie orecchie. Fin troppo stupito per comprendere davvero cosa stesse accadendo.
«I-io non... non capisco...» tentennò.
«E sì che ti reputo intelligente!» commentò Tony, sarcastico, sbuffando aria calda in direzione opposta al vento. Fece penzolare le gambe giù dal cornicione e gli sembrò di volare.
Un piccolo raggio di sole illuminò timido il quartier generale, facendo risplendere quello spiazzo in mezzo al bosco di una luce sovrannaturale. Sovrannaturale come ciò che stava accadendo, secondo Peter.
«C-cosa sta cercando di dirmi?» domandò.
Tony alzò gli occhi al cielo senza però trattenere un sorriso sghembo.
«Cristo, Peter! Che provo qualcosa di forte per te! Qualcosa di smisurato! E, anche se non posso prometterti che le cose tra noi andranno sicuramente bene... io ci voglio provare. Anche se ho una ferita fresca nel cuore. Voglio stare con te, perché so che tu potresti aiutarmi a guarire. Stare con te per davvero. Seriamente» rivelò Tony, aggrappandosi con le mani ai bicipiti del suo protetto, stringendoli e scuotendolo per farlo rinsavire da quella condizione catatonica. Comprensibile, del resto, a giudicare da ciò che gli aveva rivelato prima sull'astronave.
Peter, dal canto suo, non sapeva se ridere o piangere. Così, condannato a essere ridicolo, fece entrambe le cose. Era tutto vero. Era tutto vero?
«Non... non posso crederci... è... è vero? Ne è sicuro?» domandò Peter, con il respiro così accelerato che sembrava stesse correndo una maratona.
Tony sorrise, si avvicinò di più e gli posò sulle labbra un bacio veloce, casto. Come quei baci delle fiabe, come quelli che servono per svegliare coloro che dormono da cent'anni.
«Solo se la pianti di darmi del lei» si raccomandò, a pochi centimetri dalle sue labbra. «E solo se mi chiamerai Tony» continuò, contemplando da vicino quegli occhi umidi color nocciola che sapevano infondergli serenità.
Peter rise e si morse il labbro. Sentì il proprio cuore esplodere di una gioia mai avvertita in precedenza e finalmente decise, solo in quell'istante, di fidarsi. Di affidarsi, di crederci per davvero.
Gli occhi di Tony erano così sinceri e cristallini da illuminargli la strada, da rendergli fin troppo facile lasciarsi andare.
«Ok, signor Stark» sibilò Peter, con un ghigno e una strafottenza degna del suo mentore il quale, socchiudendo gli occhi per ammonirlo, si ritrovò le sue labbra sulle proprie.
Per la prima volta. La prima volta che Peter trovò le forze e il coraggio di coronare ogni suo sogno e prendersi ciò che desiderava da dieci anni.
E Tony, quindi, si perse. Si perse in quelle labbra e si ritrovò in un mondo nuovo, fatto di speranza, fatto di nuovi sapori, di disillusioni e illusioni. Si sentì amato e desiderato più di ogni altra volta e comprese fino in fondo perché Peter avesse titubato così tanto, fino a quel momento. Ma gliene fu grato, perché altrimenti mai avrebbe capito quanto profondo fosse il sentimento di quel ragazzo, quanto cuore ci stava mettendo dentro quel bacio e quanto amore avrebbe potuto dargli.
Un amore quasi incondizionato, maturo come quello di un vero uomo ma forte come l'amore adolescenziale di un ragazzino.
Si assaporarono l'uno entrambi con le mani nei capelli dell'altro, quella volta senza frenarsi e, solo quando capirono che stavano per giungere a un punto di non ritorno, si staccarono. Prima di trascinarsi l'uno addosso all'altro e cadere da quel parapetto, possibilmente.
«Oh, Tony...» sussurrò Peter abbassando lo sguardo, in imbarazzo ma così felice di poter raggiungere davvero il cielo. Un cielo che, proprio in quell'istante, decise di lasciar cadere dei fiocchi di neve.
Un segno, forse? Un segno che Tony – quello veramente morto otto anni prima – stesse dando a Peter una sorta di benedizione? Era bello pensarlo.
Peter sollevò le palpebre verso l'uomo che aveva di forte e, non troppo sorpreso, si rese conto che non fosse successo niente. Tony era lì, nonostante l'avesse chiamato per nome.
«L'ultima volta che l'ho chiamata per nome, beh, è stata l'ultima cosa che le ho detto».
«E se fosse la prima?»

Quelle parole acquisirono di senso. La prima. La prima di molte, l'inizio vero di un nuovo capitolo della loro storia.
«Non ti azzardare a evitarmi ancora, Bimbo Ragno» si raccomandò Tony sentendosi scaldare il cuore dal suono del suo nome pronunciato da Peter. Era bello, bellissimo.
«Glie... te lo prometto» annuì questi, sentendosi un poco sciocco. Sciocco per non avergli parlato un mese prima, sciocco per aver giocato a nascondino dalla sera di Natale in poi.
«Uh, e spero che non giunga qui un'altra versione più giovane e più incazzata di te per reclamarmi. Non ce la posso fare a provare attrazione per un ragazzino» grugnì Tony, tirando le labbra in un brivido.
«Oh, devi ammettere che ero così carino!» mormorò Peter ammiccando con le sopracciglia e, in men che non si dica, si ritrovò una mano di Tony dietro la nuca pronta a trainarlo verso di sé.
«Mai come adesso...» soffiò l'uomo, approfondendo poi meglio il contatto che avevano interrotto in precedenza.
Ma, quella volta, non lo interruppero più.


 


L'imbrunire arrivò così in fretta da far perdere loro la cognizione del tempo. Si amarono così tanto da non ricordare più nemmeno che giorno fosse, in che universo fossero, in che luogo, in che pianeta.
Si amarono come se non avessero desiderato altro per una vita intera e, beh, per Peter forse era così per davvero.
Si amarono così a lungo da non accorgersi che la luce aveva lasciato posto al buio e la neve, fuori dalla stanza di Tony, aveva iniziato a cancellare le orme di ogni passaggio. Un bianco splendente come i loro sorrisi tra quelle lenzuola di seta color indaco.
Si scoprirono poco a poco, gustandosi ogni minuto e ogni angolo sulla mappa dei loro corpi. Il nervosismo passò così in fretta da lasciare spazio a contatti ben più approfonditi. Tony trovò un Peter molto più esperto e intraprendente di ciò che si era immaginato. Forse perché, nella sua testa, avrebbe continuato a chiamarlo ragazzino per il resto della sua vita, quando ragazzino più non era.
Peter, dal suo canto, scoprì l'incredibile meraviglia di fare l'amore per amore, non solo per gioco o per passare una serata. Non aveva mai amato nessuno in quel modo, nessun'altro oltre a lui.
E quando, finalmente, si ritrovarono stanchi a stropicciarsi gli occhi l'uno contro l'altro, si lasciarono cullare dal silenzio che solo le giornate di neve sapeva offrire.
Si svegliarono chissà quanto tempo dopo, realizzando che – finalmente – non fosse più solo un sogno.
«Dobbiamo trovare il modo di dirlo a Morgan» disse Tony, dopo ore di silenzio e altri tipi di sussurri, carezzando dolcemente i morbidi boccoli castani chiari di Peter.
Egli sollevò la testa dal suo petto e lo squadrò con aria fin troppo eloquente.
«Oh, credo proprio che lei sia la nostra più grande fan. Insieme a Thor e Quill» svelò Peter sorridendo radioso, felice però che il piano di Tony non fosse affatto quello di tenere celata la cosa.
Beh, del resto Morgan non stava aspettando altro da quel giorno in montagna.
«Dici? Oh, allora entro domani la notizia sarà già di dominio pubblico» constatò Tony, facendo spallucce. Il Dio del Tuono non era esattamente il migliore nel mantenere la segretezza dei loro affari, di vita privata o di lavoro che si trattasse. Uguale, quel vecchio pettegolo del capitano dei Guardiani.
«Almeno ci toglierà dal pensiero di dirlo a Nick Fur-» commentò Peter, ma si interruppe spalancando gli occhi e sollevando di nuovo la testa dal petto di Tony. Egli rispose al suo sguardo spaventato allo stesso identico modo.
Dannazione, il capo dello S.H.I.E.L.D li avrebbe ammazzati, per tale scandalo in un momento già teso. Il caso HIDESTAGE era ancora in corso, del resto. E ben presto ci sarebbero state nuove riunioni, nuove conferenze, nuove missioni da affrontare. Insieme.
«Siamo fottuti!» dissero all'unisono, scoppiando poi in una fragorosa risata. Tony cinse Peter più forte tra le braccia, donandogli l'ennesimo bacio tra i capelli profumati.
Beh, Fury avrebbe solo dovuto farsene una ragione.
Perché mai Ironman e Spiderman non avrebbero potuto avere una relazione, del resto? L'opinione pubblica li avrebbe adorati. C'erano già un sacco di fanfiction, in internet, di loro due insieme!
Risero, poi decisero che ancora non fosse arrivato il momento di uscire da quel fortino che si erano costruiti. Si sfiorarono il naso a vicenda, e tornarono di nuovo ad amarsi e respirare insieme sotto alle lenzuola.


 


Quando, spalla contro spalla, ritornarono nel mondo dei vivi, era oramai quasi ora di cena.
Il consueto fermento all'interno della T.S.M.A.F ricordò loro che non sarebbero mai stati per davvero soli, che condividevano la loro casa con altrettanti supereroi i quali, quando li videro addentrarsi nella grande cucina bianca, non risparmiarono loro occhiate maliziose e qualche fischio d'approvazione.
Tony alzò gli occhi al cielo, Peter arrossì. Entrambi ringraziarono ogni divinità che il loro quartiere generale fosse abbastanza grande da potersi ritagliare degli spazi e dei tempi in completa tranquillità, come quel pomeriggio.
Si scrutarono attorno alla ricerca della medesima persona, trovando la pace per i loro occhi non appena volsero le loro attenzioni alla veranda appena oltre al salotto.
Morgan Stark era là fuori di spalle, seduta sui gradini in marmo che davano sul cortile, a contemplare la neve che ancora, imperterrita, danzava e cadeva lenta giù dal cielo oramai scuro. Era avvolta in un doppio maglione di lana cotta color panna.
Steve, per tenerle compagnia, si era appostato a pochi passi da lei con una trapunta blu scuro sulle gambe. Nonostante avesse passato tanti anni nel ghiaccio, adorava guardare la neve.
Da quanto tempo erano lì fuori? Non avevano freddo?
Peter e Tony sorrisero a quella vista, e si imbambolarono per qualche istante a pensare a quanto fossero fortunati ad avere Morgan nella loro vita. Morgan che, nonostante tutto, era sempre una bomba di allegria, di euforia. Morgan che era stata in grado di affrontare le difficoltà nella vita con coraggio, Morgan che aveva dato loro così tanto che non potevano nemmeno immaginarselo.
Anche perché, forse, se loro erano giunti insieme a quel punto, era solo grazie a lei.
Si infilarono nei loro cappotti in tutta fretta, poi raggiunsero la ragazza sui gradini. Si affiancarono a lei e si sedettero uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, mettendole un braccio intorno alle spalle. Entrambi con un sorriso soddisfatto dipinto in volto.
Lei sorrise di rimando, contemplandoli con una nuova luce di speranza negli occhi e lasciandosi stringere in un abbraccio sincero d'amore. Capì, in quel momento, che ciò in cui sperava si fosse davvero realizzato.
Steve, poco distante, guardò il trio abbracciarsi trattenendo a stento la commozione. Era ciò che di più bello potesse augurare a tutti e tre, ed era davvero felice che fosse accaduto per davvero. Ci aveva visto lungo, più lungo addirittura del dottor Strange.
Morgan chiuse gli occhi e si lasciò scaldare ancora un poco dalle braccia di suo padre e di suo zio Peter, immaginando come sarebbe potuta essere la sua vita ora che aveva una nuova famiglia, ora che le persone che amava più al mondo avevano trovato finalmente l'equilibrio che sperava.
«Allora... mi merito la costruzione anticipata dell'armatura?» propose lei con un gran sorriso sornione, sbattendo più volte le lunghe e folte ciglia nere.
«Uh, forse forse...» ponderò il padre, carezzandosi il pizzetto sotto al mento.
«Tony!» lo redarguì Peter, con uno sguardo dolce e severo allo stesso tempo. Avevano già discusso di quel fatto. E contrattato.
Forse era stata proprio in quell'occasione che, agli occhi di Morgan, erano sembrati una vecchia coppia di sposi per davvero.
«Ok, ok. Eravamo rimasti a quando avrai sedici anni e sedici rimarranno. Altrimenti Parker mi tiene il muso!» sbuffò Tony dando un buffetto sulla guancia della figlia e facendo l'occhiolino a Peter. Egli, di rimando, scosse la testa e sorrise.
Sarebbero stati una famiglia meravigliosa.
Lei incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo, in un gesto che la rendeva identica a suo padre. «Che palle!» Beh, perlomeno ci aveva provato. Oh, ma avrebbe operato tecniche di convincimento spietate per riuscire a guadagnare anche solo qualche mese di anticipo.
Desiderava quell'armatura.
«Linguaggio, signorinella!» l'ammonì  Cap il quale, divertito, stava assistendo a qualcosa di assolutamente magnifico.
«Scusa, zio Steve» ridacchiò lei distendendo nuovamente il viso mostrando al paesaggio quella fila perfetta di denti bianchi e drittissimi. Un sorriso dolce come quello di sua madre.
«Incredibile, ha l'udito di un ventenne!» convenne Tony a bassa voce.
Peter, dal canto suo, avrebbe voluto davvero che quel piccola piccola bolla di serenità durasse per sempre, ma sapeva che quella notte sarebbe dovuto tornare tra le strade di New York ad affrontare il crimine. Era pur sempre l'amichevole Spiderman di quartiere!
Si beò dei sorrisi delle persone che più amava e si scaldò così il cuore in quella serata gelida di inizio febbraio. Sì, decisamente il Peter del passato si sarebbe reso conto bene, quel giorno, quanto ne sarebbe valsa la pena aspettare otto anni per poter avere tutto quello.
Quando la porta-finestra dell'ingresso al salotto si aprì, ne uscì fuori un Thor piuttosto trionfante con il suo pad rinforzato nuovo di zecca.
«Allora, mocciosa, rivincita?» propose, rivolgendosi alla piccola Stark.
«Ri-perdita vorrai dire! Zio Peter, mi aiuti tu? Io uso Ironman e tu Spidey». Morgan scattò in piedi, allungando una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Peter ghignò beffardo. Il crimine avrebbe potuto aspettare almeno il tempo di una sfida!
«Subito, pulce. Andiamo a fargli il deretano a strisce» ringhiò, ben certo che l'accoppiata di personaggi scelti da Morgan fossero letali almeno quanto nella vita reale. E così, avviandosi verso l'ingresso, Peter si voltò giusto qualche secondo per poter lanciare un'occhiata d'intesa a lui. A Tony.
Egli rispose allargando le braccia e alzando le sopracciglia.
Nel vederlo entrare con il braccio attorno alle spalle di Morgan, Tony ebbe un fremito e si rese conto di quanto fosse fortunato ad avere Peter nella sua vita.
Bimbo-Ragno era cresciuto. Era un Avenger con i contro fiocchi, un uomo coraggioso, un padre amorevole, un amico leale e il compagno di vita che ogni persona al mondo avrebbe meritato di avere.
Con le mani nelle tasche del giaccone e il naso infilato nella sciarpa grigia, Tony si deliziò della vista di quel branco di super-bambini troppo cresciuti che ridevano ed esultavano davanti alla televisione. Li vide ridere.
Peter gli aveva donato la vita, lui l'aveva accolta e ne aveva saputo fare ciò che di meglio avrebbe potuto fare. Era un miracolo, un autentico miracolo.
«Allora... vedo che hai seguito il mio consiglio» mormorò Steve, affiancandosi a lui guardandolo dal basso della sua carrozzina, con i grandi occhi azzurri brillanti di gioia. Un lieto fine.
Tony ridacchiò e pensò che il mondo fosse davvero, davvero cambiato se doveva essere costretto a dar ragione a Captain Ghiacciolo. Gli posò una mano sulla spalla e la strinse, estasiato.
«Esattamente come tu avevi seguito il mio» annuì Tony, rispondendo allo sguardo con tenerezza, amicizia. Si sorrisero di nuovo, poi ripresero a scrutare all'interno di quelle vetrate mezze appannate che, però, offrivano loro lo spettacolo migliore in tutto l'universo.
La guerra civile era finita da un pezzo, ma mai come in quel momento si poteva affermare che tutti i pezzi del puzzle fossero tornati al loro posto. Anche tra i due più acerrimi nemici-amici della storia degli Avengers.
«Grazie, Tony» mormorò il Capitano. Posò la mano nodosa su quella del suo amico, stringendola con la forza che rimaneva a un povero vecchio.
Tony Stark strinse le labbra tremanti e avvertì il proprio cuore gonfiarsi di orgoglio.
Contemplò ciò che aveva costruito e si sentì grato. Vide tutti i suoi amici ridere e il petto gli si riempì di gioia. Li amava tutti, dal primo all'ultimo.
Ma Morgan e Peter... beh, loro li amava tremila.
«Grazie a te, Steve».


 
Fine
 
ANGOLO AUTRICE:
... da non crederci, no? Siamo giunti così al gran finale. Direi un gran, grandissimo finale, per i nostri due protagonisti.
Per il povero Peter del passato, invece, è solo l'inizio dell'attesa. Che dite, le cose andranno per lui come sono andate per Peter? Voglio lasciarvi con questo dubbio, nel quale ci sto bene pure io. Chi sono io per saperlo, del resto? Quello che credo è che qualcosa potrebbe senz'altro cambiare. Non c'è stato nessuun "Io sono Ironman", in quella dimensione. Ma voglio restare nell'incognita. Sarei molto curiosa di sapere le vostre teorie su come potrebbe andare :)
Avete invece apprezzato il destino che ho scelto per i nostri amati personaggi della dimensione attuale? A loro, del resto, è andata molto bene. Come sono carini! *-* 
Mi mancherà tanto scrivere di loro, mi mancherà in generale portare avanti questo "esperimento", la mia primissima storia in questo fandom. Ma, come avevo già detto ad alcuni, mi piace sperimentarmi sempre in nuove questioni.
Al momento mi prenderò una piccola pausa dalle pubblicazioni, ma con i primi mesi dell'anno nuovo credo che pubblicherò, nel fandom di Harry Potter, la mia primissima long Drarry. 
Se avete piacere seguitemi sulla mia pagina Fb o Instagram: Eevaa Fanwriter. Sarei felice di rimanere in contatto con voi :) lì vi terrò anche aggiornati sulle future pubblicazioni.
Ci tenevo in particolar modo a ringraziare tutti coloro che hanno speso del tempo per recensire questa storia, tutti coloro che l'hanno messa tra le seguite e le preferite e anche chi ha letto quieto ed in silenzio! Siete stati tutti preziosissimi! In particolar modo ci tengo a ringraziare Miryel, sei stata una vera ispirazione! Grazie, grazie, grazie!
Vi mando un forte abbraccio uno per uno, e a presto!
Eevaa

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