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Autore: Eevaa    14/07/2019    4 recensioni
• Dopo otto lunghi anni dall'ultima battaglia contro Thanos, Peter trova finalmente il coraggio e il modo di mettere a posto le cose. Tuttavia riuscirà a sistemare anche il conflittuale rapporto con se stesso? •
Peter aprì gli occhi nuovamente, serrando la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto.
E, proprio per quel motivo, realizzò solo in quel momento come avrebbe dovuto agire.
Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per Lei.

[TonyxPeter] [Spoiler!Endgame] [Spoiler!Far From Home]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Morgan Stark, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer: Questa storia non è scritta a scopo di lucro. 
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte del loro universo sono di proprietà della Marvel.
Le seguenti immagini non mi appartengono e sono utilizzate a puro scopo illustrativo
Nessun copyright si intende violato.

 
PREMESSA
Questo primo capitolo si rifà ad una mia precedente One Shot pubblicata lo scorso maggio. Come avevo anticipato ho deciso ricavarne fuori una long, modificandone alcuni eventi (anche tenendo conto della trama di Spiderman Far From Home) e aggiungendo un'ultima parte che fungerà da collegamento per i successivi capitoli. 
Per chi avesse già letto la precedente One Shot consiglio vivamente la rilettura di questo primo capitolo, specialmente l'ultima parte che è completamente inedita.
Ai nuovi arrivati, invece, auguro una buona lettura!

N.B.
Peter in questa storia è maggiorenne - anzi, ben oltre che maggiorenne. Lo specifico per tutte quelle persone che ultimamente pensano di accusare di reato chi scrive storie in merito a questa coppia - che comunque è formata da personaggi NON REALI, vorrei ricordarvelo.



 
 HIGH
HOPES
CAPITOLO 1 - BUT THE WORLD KEEPS SPINNING AROUND


 
It's time to let it go, go out and start again
But it's not that easy
(High Hopes - Kodaline)

 
•••

 
Abbiamo vinto, signor Stark. 
Peter aprì gli occhi e serrò la mandibola più forte. Non avrebbe mai dimenticato, non lo aveva mai fatto. Non era passato un solo giorno, una sola ora o un solo minuto senza che quegli occhi riaffiorassero dall'angolo più recondito della sua mente. Occhi spenti, occhi che lo avevano guardato forse senza nemmeno vederlo veramente.
Deglutì aria, pregò qualsiasi divinità sopra l'Albero della Vita di prendersi almeno una goccia del suo dolore.
Mi dispiace... Tony...
Tutti odiano i funerali. Peter si scrutò intorno nel tentativo di trovare altri occhi, occhi così simili a quelli da lui sognati, ricordati. Tuttavia quegli occhi erano distanti, volti verso ciò che era rimasto della sua famiglia. Una bara color avorio calata lentamente in uno spiazzo a lei oramai noto. Una bara adornata di petunie profumate e ghirlande allegre, in un giorno che di allegro non aveva proprio niente.
Morgan Stark non pianse quel giorno, ma Peter ne era certo: una tempesta la stava annegando da dentro. Ed era anche certo che lui fosse uno dei pochi, tra la folla di quelle persone silenziose, a capire veramente come potesse sentirsi. Perché anche lui l'aveva vissuto, anche lui l'aveva provato sebbene fosse solo un bambino. Sapeva bene cosa volesse dire essere orfani.
Nessuno meriterebbe di provare sulla propria pelle una simile sofferenza, ma lei meno di tutti. Non Morgan, non la bambina che aveva giurato di proteggere da ogni male otto anni prima.
Cercò il suo sguardo nuovamente e dopo pochi minuti lo trovò, quando oramai la terra umida stava ricoprendo la dimora dove sua madre avrebbe riposato per sempre, accanto a Tony.
Si era ammalata pochi mesi prima e a nulla avevano potuto le cure mediche; le avevano tentate tutte, ma niente aveva funzionato. Alcune malattie del nuovo millennio avevano attuato una resistenza farmacologica spietata. Per Pepper Potts non c'era stato nulla da fare.
Morgan era rimasta sola. Peter la osservò a lungo, sostenne il suo dolore con lo sguardo. C'era Tony in quegli occhi scuri. C'era la sua forza, c'era la sua sfacciataggine e il suo cuore.
Peter Parker aveva vissuto otto lunghi anni sopportando il dolore che la morte del signor Stark aveva provocato. Era riuscito - seppur morendo anch'egli dentro - a vivere in un mondo senza Ironman. Così come ce l'aveva fatta a crescere perdendo entrambi i suoi genitori e poi suo zio Ben. Ma lei no. Morgan non lo meritava, e avrebbe dato persino la sua vita pur di aiutarla. L'aveva giurato sulla tomba di Tony.
E, proprio per quel motivo, si rese conto solo in quel momento di cosa avrebbe dovuto fare. Non aveva mai potuto farlo per se stesso, ma ora l'avrebbe fatto per lei.

L'avrebbe riportato indietro.

 
I know it's crazy to believe in silly things
But it's not that easy

 


Ci aveva riflettuto a lungo su cosa fare e come farlo. A dire il vero ci aveva pensato già otto anni prima - giusto dopo aver risolto la catastrofe causata da quel farabutto di Quentin Beck. Aveva elaborato un piano infallibile basato anche sui princìpi fisici che avevano utilizzato gli Avengers per riportare indietro tutti i blippati. Ma, ogni volta che aveva provato anche solo a pensare di mettere in pratica il suo piano, una voce profonda e risoluta l'aveva riportato con i piedi per terra.
Non fare nulla che io farei. E soprattutto non fare nulla che io non farei.
Tony era una presenza indistricabile dalla sua mente. I suoi consigli, il suo modo di ragionare gli si era radicato nel profondo e non riusciva più ad agire da solo. Lui c'era sempre. Anche se Tony, se fosse stato al suo posto, avrebbe agito d'impulso e avrebbe operato allo stesso modo. Tuttavia c'erano le vite dei suoi amici e della sua famiglia, in ballo. Sarebbe stato davvero saggio tornare indietro nel tempo alla battaglia contro Thanos?
E se fosse rimasto ucciso? Chi avrebbe difeso Manhattan? Tony non avrebbe mai voluto che lui rischiasse la vita per salvare la sua. E se - ipotesi ancor più amara - Thanos avesse approfittato del collegamento per saltare nella loro epoca? E se avesse ucciso Morgan?
Troppi se. Troppi pericoli racchiusi in quel piano. Allora aveva rimandato, aveva desistito, aveva stretto i denti, aveva imparato a vivere con il peso sulle spalle di dover difendere il mondo al posto di Tony e con il peso nel cuore di non poterlo più riabbracciare. Mai più. Fino a quel momento.
Fino alla morte di Pepper Potts, fino a quando non aveva percepito l'esistenza di Morgan andare in frantumi. E allora non era più solo un suo fardello, non era più egoismo.
Voleva troppo bene a Morgan Stark, così tanto bene da sentirsi in dovere di rischiare. E se fosse morto, beh, sarebbe morto cercando di fare qualcosa di veramente buono. Come l'eroe della sua infanzia. Come Ironman.
Per una volta avrebbe ignorato la voce di Tony Stark dentro la sua testa per poter agire indisturbato. Aveva elaborato un piano studiato nei minimi dettagli, ma per metterlo in pratica gli sarebbe servito più che un semplice aiuto. E chi se non Bruce Banner avrebbe potuto aiutarlo nella sua missione? Chi se non lui avrebbe potuto accettare?


«MA SEI IMPAZZITO!?»
Appunto. Ebbene, non sempre lo svolgersi reale dei fatti era andato nella stessa direzione delle sue fantasie.
«Ti rendi conto di che follia sia mai questa?» soffiò Bruce, con ambedue le mani poggiate sulla scrivania e gli occhi verdi spalancati. Lo sapeva. Aveva sempre temuto che ciò accadesse, che Peter corresse da lui con un'idea simile, ma con il passare degli anni aveva tirato un sospiro di sollievo. Aveva sperato che il ragazzo non fosse così intelligente da architettare un vero e proprio viaggio nel tempo. Proprio per quello non gli aveva mai parlato nei dettagli di come avessero fatto a radunare tutte le Gemme dell'Infinito per riportare in vita tutti, ma evidentemente si era sbagliato. Il ragazzino aveva capito tutto e aveva elaborato qualcosa di geniale. E pericoloso. Proprio come avrebbe fatto Tony.
«Sono pazzo? Sì, sono pazzo. Ma è davvero una follia? È così infattibile?» domandò Peter, sventolandogli ancora una volta il progetto davanti al muso verde, prima che il dottor Banner glielo strappasse di mano senza troppi complimenti.
«Lo so che sai perfettamente che questa roba è fattibile. Al cento per cento. È questo il problema: tu non mi stai chiedendo se si può fare, tu mi stai chiedendo di darti il modo di farlo» insinuò Bruce sottecchi, appallottolando il foglio degli appunti e sbattendolo con violenza nel cestino.
«Sono così un libro aperto?» domandò Peter, stretto tra le spalle in un sorriso di scusa.
«Sei un libro che ho già letto!» precisò Banner, alzando gli occhi al cielo. Maledisse Tony e l'influenza che aveva esercitato su quel ragazzino. Era tale quale a lui. «Parker, la mia risposta è no. Rischieresti di mettere in pericolo te stesso e tutto questo mondo».
«Sì, e avrei dovuto farlo tempo fa! Dannazione, se ci fosse una possibilità, anche solo una di riportarlo qui...» Peter alzò il tono temendo che, quella volta, avrebbe dovuto persino usare la forza per ottenere qualcosa. Sperò davvero di non giungere a tanto. Bruce Banner era un membro della sua famiglia; lo stimava, lo ammirava e, soprattutto, gli voleva bene. 
«Non ti darò i miei strumenti e soprattutto il mio consenso per suicidarti!» lo rimbeccò Hulk. Gli puntò un dito in volto e iniziò a ringhiargli in faccia, interrotto però da una voce dirompente che proveniva dall'ingresso del laboratorio.
«Ma io sì».
Peter strabuzzò gli occhi. Il dottor Stephen Strange aveva appena realizzato il suo ingresso trionfale con indosso una delle sue migliori espressioni indecifrabili. Da quanto era lì? Stava origliando o aveva utilizzato uno dei suoi mistici poteri per scardinare il lucchetto delle loro menti?
«Strange, per favore! Lo sai che è pericoloso!» sibilò Banner, con entrambe le mani sulle enormi tempie. Ci mancava solo quel visionario per rendere ancor più folle quella giornata! 
«Non eri tu quello che diceva che mettere mani nelle linee temporali è sbagliato?!»
«Credo che oramai la frittata sia fatta, no? Siamo già in una linea temporale alternativa da quando avete compiuto il primo viaggio nel tempo. E... ho visto nella mia mente i piani del ragazzo. Mi sembrano sicuri. Ci sono molte probabilità di buona riuscita» spiegò atono, posizionandosi a fianco del giovane Spiderman, le quali mani iniziarono a tremare d'impazienza.
«E... e quante probabilità di fallimento?» domandò Peter, pregando le sue gambe di non cedere. 
Sapeva che il dottor Strange - dopo il contatto con la Gemma del Tempo - avesse interiorizzato alcuni poteri premonitori. Buona riuscita, aveva detto. Questo significava che Stephen avesse visto Tony, lì. L'aveva visto a casa
«Altrettante» precisò Strange con un sorriso mesto.
Peter non seppe dire se si trattasse di una delle sue magiche abilità – telepatia, controllo della mente o cos'altro – ma ciò che gli occhi di Stephen Strange stavano suggerendo era senza dubbio un incoraggiamento. Perché, sebbene ci fossero più che irrisorie possibilità di fallimento, il gioco sarebbe valso eccome la candela.
Gli occhi del giovane Avenger si illuminarono di attesa, ansia, gioia ed entusiasmo. Fremette al solo pensiero, ma dovette trattenersi dal manifestarlo liberamente. Si limitò a sorridere orgoglioso e, volgendo il proprio sguardo verso Bruce, trovò qualcosa di inaspettato.
Hulk serrò la mandibola e i pugni, trovando quel coraggio che pensava di aver perduto. Un coraggio inflitto dall'entusiasmo di un ragazzino – che poi ragazzino più non era. Un nuovo fuoco, una nuova luce da seguire. Una nuova speranza.
«Andiamo a riprenderci quel figlio di puttana».

 


Non fu semplice mantenere la segretezza della questione, non in quella gabbia di matti. La nuova base degli Avengers pullulava di supereroi notte e giorno. Era dimora fissa di molti di loro e porto di mare per tutti gli altri, anche eroi "minori", amici e familiari prossimi.
La T.S.M.A.F (Tony Stark Memory Avenger Facility) era stata stata erta nei pressi di Kings Point Park, a due passi dal Queens in direzione Long Island. In principio l'idea era stata di costruirla dai resti della vecchia base distrutta da Thanos e le sue truppe, ma molti degli Avengers si erano categoricamente rifiutati di vivere nei pressi dell'Hudson River. Troppi ricordi, troppo dolore. Perciò, dopo un consiglio con lo S.H.I.E.L.D durato settimane, avevano deciso di collocare il loro nuovo quartier generale in un luogo differente, limitrofo all'accademia militare e abbastanza vicino a Manhattan. Peter si era trasferito nella sede non appena aveva saputo che anche la signora Potts e Morgan avrebbero vissuto lì. Gli era dispiaciuto lasciare sola zia May, tuttavia aveva convenuto che - essendo oramai un Avenger in veste ufficiale - avrebbe dovuto prendersi tutte le responsabilità e vivere come tale. E così avrebbe potuto tenere la sua protetta sott'occhio.
Con il passare degli anni erano stati sempre di più gli eroi che si erano trasferiti in pianta stabile in quel posto ma, sebbene la compagnia fosse piacevole, a volte subentrava il problema della privacy. Specialmente da quando erano arrivati i Guardiani della Galassia e avevano fatto della T.S.M.A.F il loro primo quartier generale.
Peter li adorava in tutto e per tutto ma, quando si trattava di segretezza e basso profilo, Quill e Thor erano una vera e propria spina nel fianco. C'era da dire che l'alcool non mancava mai nelle dispense, quando c'erano loro nei paraggi.

Strange, Banner e Parker avevano dovuto operare negli orari più improbabili, accampare scuse al limite dell'imbarazzante per poter lavorare al loro progetto segreto senza interruzioni. Come aveva suggerito il dottor Strange, infatti, meno persone erano a conoscenza di quel piano, meno avrebbero rischiato ripercussioni. Probabilmente nelle sue visioni futuristiche aveva previsto rocambolesche disavventure se solo i Guardiani della Galassia avessero partecipato alla missione. Meglio tenerli fuori dai guai.
Per cinque giorni avevano perfezionato la tecnologia oramai datata dei bracciali per viaggiare nel tempo, migliorandone le prestazioni di precisione del percorso nel Regno Quantico e recuperando le particelle necessarie per poterne usufruire.
Banner aveva fatto in modo di entrare nel sistema di spionaggio per dare nuove missioni o meeting agli eroi, per poter rendere la base sicura e vuota in vista della missione. Peter aveva convinto Happy a portare Morgan a fare un giro a Manhattan dopo la scuola, così da dar loro più tempo di mettere in pratica la questione. Non che ne servisse molto, di tempo: a tutti gli effetti il viaggio – cronometrandolo dall'epoca attuale - sarebbe durato all'incirca quindici secondi, nulla più.
«Dati di partenza : 27 settembre 2031. Ore 12.00» registrò come ultima annotazione il dottor Banner, dopo aver settato le manopole della piattaforma. Si guardò intorno e controllò le telecamere di sorveglianza della base. Tutto sembrava tranquillo, ogni cosa al proprio posto.
«Siamo pronti?» fremette Peter, impacchettato nella tuta grigia e rossa che gli avrebbe permesso di viaggiare nel tempo. Sotto ad essa era già pronta quella di Spiderman. Se tutto fosse andato come previsto non sarebbe stato necessario combattere molto, ma la sicurezza non era mai troppa.
«Non essere impaziente, Parker. Ricordati di mantenere la calma, qualunque cosa tu veda» ribadì il dottor Strange, posizionandosi sulla piattaforma in via di attivazione.
Peter annuì nervoso e soffiò con le labbra, nel tentativo di purificare i suoi polmoni dall'ansia e mantenere il respiro regolare.
«11.59. Siamo tutti pronti?» domandò Bruce, dopo aver raggiunto gli altri viaggiatori ed essersi posizionato al loro fianco. Entrambi annuirono.
Si è mai davvero pronti per viaggiare nel tempo?
«Attenetevi al piano e, qualsiasi imprevisto succeda, tornate subito indietro e fate in modo che nessuno si attacchi a voi» ricordò Strange con minuzia, lasciando poi che la maschera protettiva della sua tuta gli avvolgesse il viso, a lui come a tutti gli altri.
I secondi che li separavano da quella che sarebbe stata l'ennesima folle avventura sembrarono perdurare in eterno. Il respiro di Peter si fece più intenso all'interno della maschera, la tensione quasi gli annebbiò la vista.
Non fare niente che io farei.
Il ragazzo chiuse gli occhi e scosse la testa per cacciare quella voce in un angolo remoto della mente.
Non stavolta, signor Stark – pensò Peter. Era il momento di fare esattamente ciò che Tony avrebbe fatto. 
«Si parte».

 
But I've got High Hopes,
it takes me back to when we started

 
 

 
–2023–
 
Il grido degli Avengers e di tutti gli eroi dei mondi risuonò immenso e devastante. Un grido che riempie la pancia e fa vibrare le corde vocali. Un grido che smuove emozioni, paure, pensieri. Una montagna. L'universo.
Quei brividi lungo la schiena, Peter li aveva già provati. Ciò che non si aspettava fu che li avrebbe percepiti di nuovo, intensi, amplificati. Con il panico tra le caviglie, il cuore in subbuglio e la speranza sulle spalle.
Eccoli, tutti gli eroi di quella guerra che da lì a poco avrebbero vinto ad un prezzo troppo alto.
Con una precisione del novantanovevirgolanovepercento, erano giunti proprio nel momento di quel grido, di quell'urlo all'infuriare della battaglia. Nessuno, tra la follia e la confusione, sembrava essersi reso conto della loro presenza. Il vero problema? Quello zerovirgolaunopercento. Erano giunti troppi minuti in anticipo. Ovvio.
La tuta da Time Patroller di Peter si dissolse, rendendo scoperta quella di Spiderman. Si guardò intorno, tutti stavano correndo ma lui rimase immobile, fermo a osservare un punto preciso all'orizzonte. Ironman.
Mi dispiace... Tony...
«Peter, vai! Posizionati! Adesso!» lo incitò Bruce, voltandogli poi le spalle e iniziando a correre nella direzione opposta.
Il giovane Parker scosse la testa, percepì i polmoni bruciare e le dita dei piedi diventare insensibili. No, quello non era il momento per farsi cogliere da un attacco di panico. Proprio no. Tuttavia era come se qualcuno gli avesse aperto in due lo sterno per rubargli l'ossigeno. Non era facile
 vederlo lì, ancora vivo – ancora per poco.
Ma, d'improvviso, una voce familiare alle sue spalle lo colse di sorpresa.
«Bimbo Ragno! Ti sei arrugginito in questi cinque anni?! Andiamo!» ridacchiò Pepper dall'alto della sua armatura. E chi, se non la signora Potts, avrebbe potuto spronarlo a compiere ciò per cui era giunto lì?
La guardò muoversi in direzione della battaglia, lanciarsi tra la folla con il coraggio di una leonessa e la grinta degna di un vero supereroe. Fu bello vederla ancora, viva e in salute. Ma non era quello il momento di piangere di nuovo la sua scomparsa, non era quello il momento di tergiversare. Era il momento di agire.
Si lanciò anch'egli nella direzione prestabilita, saltando e muovendosi leggiadro con un solo vero intento: fermare se stesso.
Sapeva dove si trovasse, sapeva bene che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato accorrere in aiuto di Tony Stark e, infatti, puntuale come un orologio svizzero, eccolo. Ecco Peter. Quel Peter ancora ignaro, giovanissimo, frizzante, entusiasta. Capì perché Tony lo avesse sempre chiamato ragazzino. Un ragazzino molto forte, quello era proprio vero. Guardò se stesso stendere senza difficoltà un avversario, intrappolare tra le ragnatele uno di quei mostri dall'aspetto orrendo e sfrecciare a tutta velocità verso quel luogo. Quel momento.
Tony, come da copione, venne colpito da un nemico e cadde a terra. E Peter, come previsto, fece per agganciare con un ragnatela il grosso avversario che stava per schiacciarlo.
Vieni qui, fatti abbracciare.
Parker, quello più adulto, deglutì. Quel momento. Alzò il braccio nella sua direzione e si preparò. Era il momento di agire senza esitazioni, ma l'esitazione lo prese per i capelli.
Come avrebbe fatto a privare il giovane Spiderman di quel momento? Una delle poche cose che gli erano rimaste di Tony. Il calore di quell'abbraccio, i suoi occhi che gli avevano urlato silenziosamente quanto gli fosse mancato e quanto fosse fiero di lui.
Si sentì male al solo pensiero di non lasciare più nemmeno quello al giovanissimo sé, in quella linea temporale nuova che stavano per andare a creare. Avrebbero portato via Tony, e Peter non avrebbe avuto l'occasione di salutarlo. 
Si morse il labbro inferiore e tremò. Quello era il loro piano e avrebbe dovuto attenersi ad esso, pena il fallimento di ciò che stava progettando da otto lunghissimi anni. E allora cosa rimaneva da fare, se non lanciare quella ragnatela in direzione di se stesso?
Chiuse gli occhi per un attimo, un solo secondo, poi agì. 
«Ehi, ma che diavolo!» urlò il giovane Parker intrappolato a un masso, tentando di districarsi da qualcosa che sapeva bene cosa fosse e poi, d'improvviso, si congelò. Era forse uno scherzo? Una presa in giro di cattivo gusto? Si specchiò negli occhi del suo avversario non capì. Non riuscì a ragionare, non riuscì nemmeno più a parlare.
«Scusami» soffiò Peter mordendosi poi la lingua e, così come era apparso, scomparve dalla vista del suo gemello del passato.


«Perdonami, Clint!» mormorò Hulk, lapidario, poi prese per le gambe Occhio di Falco e lo fece ribaltare su se stesso, sottraendogli il Guanto dell'Infinito. Corse. Corse con il guanto tra le mani tirando spallate a tutti coloro che avevano intenzione di rubarglielo, per cercare così di custodirlo fino all'arrivo di Carol.
Aveano pensato a tutto, nel loro piano. Non avrebbero certo potuto condannare quella dimensione alla distruzione portandosi via Tony e tanti cari saluti. Captain Marvel avrebbe schioccato le dita senza ricavarne conseguenze, ma l'arrivo di Carol era previsto da lì a cinque minuti. E cinque minuti, in un momento come quello, sarebbero sembrati senza dubbio una vita.


Merda. Merda. Merda. Aveva fatto del male a se stesso. Merda.
Peter balzò in alto nel tentativo di vedere cosa stesse combinando Hulk, e lo vide esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto essere. Questo avrebbe significato solo una cosa: era giunto il momento.
«Qualcuno ha visto un furgone marrone orrendo?!» urlò Steve in lontananza, ma Peter lo ignorò.
Cadde in piedi e si voltò di scatto verso Ironman.
Ma qualcosa era andato senza dubbio storto. Perché Ironman, debilitato dalla caduta di poco prima, non aveva fatto in tempo a rialzarsi. Nessun Peter era andato in suo soccorso per sollevarlo dalla polvere. Non c'era stato nessun abbraccio, nessun contatto e Tony Stark era rimasto a terra, schiacciato dal grosso peso di un nemico ben più grande di lui.
«Oh no!» soffiò Spiderman, accorrendo in suo soccorso.
Con l'aiuto delle ragnatele esercitò una trazione sufficiente per levargli di dosso l'avversario, ma ci vollero tanti, troppi secondi preziosi. Con un tonfo fece cadere la carcassa poco lontano e si avvicinò a Tony di tutta fretta per controllare che stesse bene, ma era evidente che così non fosse.
«Signor Stark!» urlò Peter. Lo scosse e gli tolse dal volto ciò che rimaneva del suo elmo di Ironman, andato parzialmente distrutto. Provò un brivido. Una scossa elettrica nell'averlo lì, vicino a lui, seppur con gli occhi chiusi e una ferita vistosa a lato della testa.
«EDITH!»
Perdita di conoscenza. Possibile trauma cranico. Segnali vitali stabili -
«Porca puttana!» imprecò il ragazzo, smettendo di scuoterlo. Si portò entrambe le mani nei capelli e si maledisse.
Era svenuto. Solo svenuto, nulla di più. Nemmeno quello era il momento di farsi prendere dal panico, tuttalpiù che una mandria di mostri stava giungendo nella loro direzione con un'aria decisamente poco amichevole. No, non avrebbe potuto rischiare di fare il salto temporale in quel momento e trascinarsi dietro uno di quei tizi.
Si alzò sulle gambe e fece l'unica cosa che c'era da fare: difendere Tony Stark con tutte le sue forze.


«EEEHI! LIBERAMI! LIBERAMI, DANNAZIONE!» urlò il giovane Peter Parker ancora intrappolato tra le rocce in una ragnatela viscosa. Guardò con disappunto quella che era senza dubbio la controfigura di se stesso combattere vicino al corpo esanime di Ironman.
«SPIDER-CHIDIAVOLOSEI-MAN! LIBERAMI SUBI-» gridò ancora il Peter di quell'epoca, interrompendosi però alla vista di una saetta, un fulmine nel cielo, un rombo mai udito in vita sua. Alzò gli occhi e il fiato sembrò mancargli dai polmoni. «Oh mio Dio!»
Era stato un secondo. Una frazione di un attimo subatomico nel continum spazio-tempo. La salvezza.
Captain Marvel era giunta – meglio tardi che mai – disintegrando in mille pezzi l'astronave di Thanos.
Scintille, scoppi, grida. Troppa confusione, troppo pericoloso stare in quel luogo intrappolato nella sua stessa ragnatela.
«KAREN! Fa' qualcosa!» supplicò Spiderman nel tentativo di liberarsi. Se non l'avesse fatto, sarebbe potuto finire schiacciato da un rottame o divorato da qualche alieno.
Sono spiacente, il sistema è inibito -
«Porca... oh, merda, merda!» si sforzò ancora una volta il giovanissimo Peter, vedendosi arrivare addosso qualcosa con un peso almeno quattro volte il suo. Chiuse gli occhi aspettando l'impatto ma l'impatto non avvenne e, quando li riaprì, il dottor Strange apparve di fronte a lui intento a manipolare la materia.


Ce l'aveva fatta, aveva resistito fino all'ultimo. Aveva combattuto di nuovo in quella guerra, fino allo stremo delle sue forze. Era scappato da Thanos e i suoi seguaci aspettando quel momento e quel momento era finalmente arrivato: Carol Danvers era giunta sul campo di battaglia, e con lei la speranza per quell'universo di poter continuare a esistere. La loro unica possibilità di vincere la guerra.
Bruce corse nella sua direzione, giunse al suo cospetto con il fiato corto e diverse escoriazioni sulle braccia.
«FALLO SUBITO! FALLO ORA!» le gridò, conferendole il potere dell'infinito. Lei sollevò un sopracciglio, sorpresa e confusa.
«Ma che-»
«NIENTE DOMANDE! ORA!» abbaiò Bruce, costringendola con la forza a indossare il guanto. Una luce abbagliante, accecante, un rombo di tuono.
Bruce si allontanò di qualche metro guardandosi indietro e, come prevedibile, si accorse che tutto ciò non era affatto passato inosservato.
Thanos, molti metri distante, iniziò a tremare di rabbia. E, ineluttabile, iniziò la sua cavalcata nella loro direzione.


«Dottor Strange, mi liberi! Presto!» trillò il giovane Peter con veemenza. Tony Stark era a pochi metri da lui, steso a terra. Aveva bisogno del suo aiuto e, sebbene ci fosse già un suo fac-simile a coprirgli le spalle, avrebbe dovuto comunque fare qualcosa per proteggerlo. Tuttalpiù che era stata quella copia di se stesso a intrappolarlo lì. E se fosse stato un impostore? O peggio ancora, Loki?
«Temo di non poterlo fare, Parker» disse Stephen lapidario, volgendogli poi uno sguardo amaro.
«Ma come! Lei può fare tutto, usi i suoi cerchi magici e mi liberi, presto! Devo salvare Tony, devo anda-» parlò in fretta Peter, interrompendosi però alla vista di qualcosa di strano, di insolito. Il dottor Strange era lì davanti a lui, ma allora com'era possibile che, a molti metri di distanza, ce ne fosse un altro intento a combattere? Li guardò e fece scattare gli occhi prima su una e poi sull'altra figura, a intermittenza. Poi volse lo sguardo verso l'altro Spiderman. Lo guardò bene, con attenzione, e si soffermò sui dettagli del volto di quella copia di se stesso. C'era qualcosa di strano in lui, i suoi occhi erano più stanchi, le sue guance meno piene, le labbra più sottili la mascella più definita. Lo guardò sconfiggere tutti i nemici intorno e poi avvicinarsi alla figura del signor Stark, lasciandosi avvolgere da un'armatura diversa da quella di Spiderman. 
Un colpo al cuore. Una raffica di vento si portò via tutte le nubi della sua mente. Capì.
«C-che cosa... c-cosa... cosa state facendo?» soffiò Peter. Strange rispose al suo sguardo con un'espressione addolorata in volto, poi premette un pulsante su uno strano orologio che attivò lo stesso tipo di armatura indossata dall'altro Spiderman.
«Gli stiamo salvando la vita» sussurrò Strange. Spostò il focus su un punto lontano del campo di battaglia, e attese con impazienza che Captain Marvel facesse quanto Hulk le avesse suggerito.
«Come sarebbe? C-cosa... cosa vuol dire?! Dove...» balbettò Peter, con il cuore martellante nel petto e la gola secca.
«Mi dispiace, ragazzo. Dobbiamo portarlo via. È l'unico modo per far sì che viva» spiegò Stephen, con sincero dispiacere.
Peter sussultò. Portarlo via? Dove? Dove diavolo dovevano portarlo? Quando sarebbe tornato? E... sarebbe davvero tornato? Si sentì morire, percepì il proprio corpo sprofondare in un abisso freddo di ombre.
«Lo... lo rivedrò?» domandò con il groppo in gola, conoscendo però già in cuor suo la risposta.
Strange chiuse gli occhi nel cogliere nel tono di voce di Spiderman il terrore, la disperazione. Una disperazione che aveva già potuto vedere negli occhi del suo gemello dell'epoca futura. E allora perché non dare lui un suggerimento? Perché non fare in modo che egli comprendesse che una possibilità ci fosse? Loro avevano variato la dimensione del tempo, avevano creato un nuovo ordine delle cose. E se quello fosse stato il nuovo ordine?
«No, ragazzo» decretò Strange deglutendo aria, «non nella tua epoca, almeno» aggiunse infine, prima di vederlo crollare in un pianto di angoscia e terrore.
«NO! NOOOO! SIGNOR STARK, SI SVEGLI! NOOOO! LA PREGO... TONY!» urlò il giovane, paonazzo.
Magari, un giorno, quel Peter sarebbe tornato indietro nel tempo per salvare la vita a un altro Tony Stark. 
Ma quello Peter non lo capì, non subito almeno.
Ci sarebbero voluti ancora otto anni.


Si dice che si possa cambiare il mondo con uno schiocco di dita.
Quel giorno, in quel tempo, in quel punto preciso dello spazio, cambiò l'intero universo. E a cambiarlo non fu Tony Stark, non fu Ironman a deviare le sorti del cosmo. Non occorse nessun sacrificio, nessuna morte. Perché, proprio pochi istanti prima che Thanos la raggiungesse, Carol schioccò le dita. Salvò tutti da una distruzione certa, tutto questo grazie a Hulk. Hulk ci era riuscito, aveva compiuto il suo dovere senza ripercussioni.
Tutto divenne bianco per un secondo, e Peter capì che quello era l'esatto istante in cui agire, portare a conclusione quella missione folle. Si lasciò avvolgere dalla tuta per il viaggio nel Regno Quantico, allacciò un orologio al polso di Tony e attivò anche la sua armatura, settandogli la destinazione d'arrivo. 
Ce l'abbiamo fatta, signor Stark. Abbiamo vinto.
Quella volta sul serio. Quella volta avevano vinto per davvero. Loro, il loro universo ce l'aveva fatta.
Ma, se per lui si era concluso un cerchio durato otto lunghissimi anni, un nuovo mondo stava per affrontare la vita senza Ironman.
Peter guardò in direzione di Spiderman, quello più giovane, e si aggrappò ai suoi occhi. Si sentì morire per lui.
«Mi dispiace» sussurrò pochi istanti prima di scomparire nel nulla, lasciando indietro solo una lacrima che cadde sul terreno, spezzando quel silenzio surreale.

 
High hopes, when it all comes to an end
But the world keeps spinning around


L'orologio iniziò a ticchettare i primi secondi di quello che sarebbe stato il lungo cammino verso quel giorno.
27 settembre 2031.
Il giorno in cui il mondo avrebbe riavuto indietro Ironman.


 

 
-27 settembre 2031. Ore 12.01-
 
Orecchie ovattate, suoni confusi. Poco prima migliaia di voci stavano riempiendo la sua testa e in quel momento, invece, regnava il silenzio. Un fischio lungo e acuto. Un dolore dalla base del cranio fino alla tempia destra, pulsante, lacerante.
Provò ad aprire gli occhi ma vide tutto bianco. Troppa luce, troppe scintille. Respirò a pieni polmoni e l'aria aveva un odore strano, diverso. Non c'era più traccia di sangue, polvere e sudore. Solo un odore forte di disinfettante... o detersivo per pavimenti.
«Fallo appoggiare lì, alla parete. Mettilo seduto con la testa appoggiata» una voce lontana lo fece tremare. Si sentì sostenere da mani forti, essere manipolato come un gattino leggero e impaurito. Conosceva quella voce profonda: Bruce Banner. Sì, era senz'altro lui. Allora era al sicuro, era salvo!
«Si sta svegliando» constatò un'altra voce, più chiara, più vicina. Il fischio nelle orecchie sembrava essere diminuito, davanti agli occhi meno luce, qualche ombra, qualche colore.
Un singhiozzo. Un profumo conosciuto ma che non riusciva a catalogare. Qualcosa che lo stava avvolgendo sembrò rompersi - o disattivarsi. Un'armatura?
Sbatté le palpebre tre volte, così si accorse che immagini sfocate iniziarono ad apparire. Rosso e blu. Il suo cuore iniziò a battere all'impazzata. Si concentrò più a fondo, voleva e doveva capirci di più. Ed ecco che l'immagine iniziò a divenire nitida, sempre più definita fino a quando finalmente vide. Lo vide. Lui.
Cinque anni. Erano passati cinque anni da quando lo aveva guardato l'ultima volta, da quando gli era scivolato via dalle dita come polvere.
Signor Stark, non mi sento molto bene.
Tony chiuse gli occhi, quel ricordo era come una stilettata al cuore. Li riaprì con calma, come per essere certo che non si trattasse di un sogno, di mera immaginazione. Ma perché mai avrebbe dovuto esserlo? Li avevano riportati in vita pochi istanti prima, quindi era naturale che lui fosse lì. Ma lì dove?
I suoi occhi nocciola lo fissarono umidi. Stava piangendo inginocchiato tra le sue gambe.
«P-Pe... Peter» soffiò, con voce rotta. Era come un miraggio vederlo. Solo Dio – ammettendo la sua esistenza - sapeva quanto l'avesse sognato, quante volte si era sentito sull'orlo del baratro a ripensare a quell'ultimo istante in cui l'aveva tenuto tra le braccia guardandolo scomparire.
Peter singhiozzò di nuovo, lasciando cadere lacrime sulle guance coperte di polvere. Perché non ci riuscì. Non riuscì a resistere, a darsi un contegno, a mantenere la compostezza che avrebbe voluto dimostrare. Perché per lui erano passati otto anni, e in otto anni non avrebbe voluto fare altro se non gettarsi ancora tra le sue braccia. E così fece.
Appoggiò il volto contro il petto di Tony, proprio dove era incastonato il reattore ARC ancora funzionante e brillante di luce blu. Singhiozzò ancora più forte, incapace di trattenersi.
Stark spalancò gli occhi e avvolse la schiena del ragazzino con le braccia meccaniche della sua tuta da Ironman malridotta. Lo strinse con incredulità e annusò il profumo dei suoi capelli, collegando finalmente la fragranza a quella sentita poco prima. Bimbo Ragno. Ecco chi.
«Pete... oh, Dio... sei davvero tu. Sei tornato!» gracchiò Tony, esterrefatto, guardando poi oltre le spalle forti del ragazzo per mettere a fuoco altre due figure conosciute.
Bruce e Strange lo guardarono di rimando, spiazzati da quella frase appena pronunciata. Del resto Tony non lo sapeva, ma era lui a essere tornato, per loro. Per quell'universo.
«S-signor Stark!» urlò Peter con la voce rotta dai singhiozzi, aggrappandosi ancora più forte all'armatura, come se avesse paura di vederlo scomparire da un momento all'altro.
«Ehi, ragazzo, calmati... sono qui» sussurrò Ironman con un groppo in gola. Per quale motivo Peter era così disperato? Era lui quello che aveva vissuto cinque anni senza vederlo e senza vedere tutti gli altri scomparsi. Per loro dovevano essere passati pochi secondi, no?
Esercitò una leggera pressione sulle spalle del ragazzo e lo costrinse ad allontanarsi. Fece male. Avrebbe voluto tenerselo stretto ancora un po' – gli era mancato davvero, quel maledetto ragno – ma c'erano troppi dubbi che intricavano la sua mente. Troppe domande nella sua testa, troppa tensione tra i suoi muscoli.
«Mi dispiace, signor Stark» soffiò Peter a testa bassa, sforzandosi oltre ogni modo di smettere di piangere. Si morse il labbro e strinse i pugni sulle proprie cosce.
«Ma di cosa... ma che dici? Che cosa è successo?» domandò Stark, inarcando un sopracciglio. Posizionò mano libera dall'armatura sulla spalla del suo protetto e lo scosse, ma questi strizzò gli occhi e ne fece uscire altre lacrime. «Ragazzo, datti una calmata!»
«Mi dispiace» ripetè, con la mandibola contratta in una smorfia di dolore. Nella sua mente comparvero di nuovo gli occhi dell'altro Peter, di quello che aveva lasciato nel passato solo, ad affrontare il suo stesso dolore.
Si sentiva in colpa, e aveva paura che Tony si arrabbiasse nello scoprire cosa avessero fatto.
«Ehi, respira lentamente. Dimmi cosa è successo. La battaglia? Dove siamo?» domandò il signor Stark, con voce il più possibile tranquilla per tentare di rassicurarlo, cosa che – per inciso – non funzionò proprio alla grande. Fece scorrere la mano dalla spalla fino al suo mento, ed esercitò una leggera pressione per costringerlo a incontrare il suo sguardo. «Peter guardami, cos'è...»
Le parole gli morirono in gola. No. Non poteva essere vero.
«P-Peter... da quando... da quando hai la barba?» domandò a occhi sgranati, e Peter deviò ancora una volta lo sguardo. E proprio lì, attorno al polso della sua armatura, vide un orologio quantico. Anche Peter ne aveva uno. 
Tony avvertì una corda attorno al proprio cuore stringere e stringere ancora fino a farlo esplodere. Strabuzzò ancor di più gli occhi e li incatenò a quelli del dottor Strange. Tutto sembrò acquisire senso. Un senso che gli fece venire la nausea.
«Quando siamo?»



 
Continua...
 

ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti! Come promesso ho deciso di scrivere il continuo della mia precedente One Shot.
Spero davvero che la trama di questo primo capitolo vi abbia intrigato e che la coppia PeterxTony vi piaccia. Personalmente io li avevo sempre considerati come un padre e un figlio fino a qualche mese fa, questo anche a causa della grande differenza di età tra di loro, e anche perché ho sempre shippato Tony e Cap come non mai xD
Ma perché fissarsi per forza su qualcosa di ovvio, quando ci si può sperimentare in qualcosa di nuovo? Così sono andata a leggermi qualche storia su di loro e, incappando nei meravigliosi racconti di Miryel (che ringrazio e vi invito ad andare a seguire), me ne sono letteralmente innamorata. 
Spero di riuscire ad essere almeno un po' all'altezza di quello che vorrei proporvi. Se tutto va bene dovrei riuscire a pubblicare il prossimo i primi di agosto. E' già praticamente pronto ma vorrei correggerlo al meglio! 
Grazie in anticpo a tutti coloro che sceglieranno di seguirmi e a presto!
Eevaa
  
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