Misery Loves Company

di freddiesghost
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eric Fuckin’ Cartman ***
Capitolo 2: *** It's Cold Outside ***



Capitolo 1
*** Eric Fuckin’ Cartman ***


[South Park, Colorado, 10 anni dopo]
 
 



Si stava inaspettatamente bene, a vivere in quattro.
La casa che avevano scelto era abbastanza piccola, ma una casa piccola significava anche meno spazio da dover pulire e tenere in ordine, prezzo più basso e stanze più calde in inverno.
Kenny e Butters, ora diventati una coppia, avevano progettato di andarsene a vivere per conto proprio altrove non appena avessero avuto la possibilità di farlo ma, ad essere sinceri, la convivenza con Kyle e Stan si era rivelata più piacevole di quanto avessero immaginato, e quel pensiero era lentamente passato in secondo piano.
Secondo Butters dipendeva dal fatto che fossero tutti maturati ormai, i rapporti tra loro erano cambiati solo in meglio e ognuno era pronto ad aiutare l’altro in caso di necessità.
Secondo Kyle, invece, la motivazione era molto più semplice:
 
«È che non c’è più quel grassone di merda di Cartman, tutto qua. Era lui la parte marcia del gruppo.» borbottò mentre erano tutti a tavola per pranzo, in risposta a uno dei discorsi fastidiosamente positivi di Butters.
Stan posò la forchetta in un gesto che diceva chiaramente “ho appena perso l’appetito”, e guardò l’amico seduto accanto a sé come se avesse pronunciato il nome di Adolf Hitler (il che non sarebbe poi stato tanto diverso).
Cartman.
Era letteralmente sparito dopo i primi anni di liceo e nessuno sapeva con esattezza che fine avesse fatto.
Tutto quello che sapevano era che da quel momento si respirava aria più leggera a South Park, e nessuno aveva più sentito l’esigenza di nominarlo, fino a quel giorno.
 
«Lo sapete che è così, qualcuno doveva dirlo.»
 
«Non è una cosa molto carina da dire, Kyle…» lo rimproverò Butters con un filo di voce, in un imbarazzante quanto inefficace tentativo di negare l’evidenza.
 
«“Non è una cosa carina da dire”?! Ti ha rinchiuso in un rifugio antiatomico, ti ha umiliato pubblicamente un centinaio di volte, ti ha fatto picchiare dai tuoi genitori solo per farsi due risate, e questo è solo l’inizio della lista!» rispose Kenny incredulo, ma indossava uno scaldacollo tirato fin sotto il naso, e tutto il suo discorso si ridusse a un «Mmmphh mmhuhmphhmhaamnhh!» che solo il diretto interessato sembrò comprendere.
 
«È vero Ken, ma eravamo dei bambini, le persone crescono e cambiano… e se è per questo ti ricordo che tu mi hai lanciato uno shuriken nell’occhio sinistro giocando ai ninja, eppure eccoci qua.»
E nel dire “eccoci qua” posò una mano su quella di Kenny appoggiata sul tavolo, con la faccia soddisfatta di chi ha appena vinto la discussione del secolo.
 
«Quello… è stato un incidente, e lo sai…» mormorò il biondo, abbassandosi lo scaldacollo quanto bastava per riprendere a mangiare.
 
Stan si decise a proferire parola, spinto solo dal bisogno di mettere fine a quel discorso il prima possibile:
«Ha ragione Kyle, ogni problema che abbiamo avuto e ogni stronzata che abbiamo fatto nella vita è stata a causa di Cartman, e adesso che non c’è più stiamo finalmente respirando! Lo possiamo ammettere, non siamo noi gli stronzi, siamo onesti con noi stessi. E adesso, chiudendo questo argomento per sempre, qualcuno vuole parlare di qualcos’altro?»
 
«Voi… voi non desiderate mai che sia ancora qua per fargliela pagare?» mormorò il rosso come se stesse parlando più con sé stesso che con i coinquilini, frugando con la forchetta nel proprio piatto a testa bassa.
 
«Kyle, NO, basta.»
 
«Io lo vorrei!» rispose con entusiasmo Kenny, come se qualcuno avesse proposto di organizzare una festa.
 
«Se lo meriterebbe, non riesco neanche a pensare che quella testa di cazzo in questo momento potrebbe essere in una bella casa, con un bel lavoro e una bella ragazza, circondato da cose che non si merita! Secondo voi che gli è successo?»
 
«Kyle basta, sul serio, ti interessa davvero?! Tanto non lo saprai mai! Cambiamo argomento!»
 
«Forse ha detto qualcosa a Craig prima di andarsene, negli ultimi tempi avevano messo su una specie di Fight Club…»
 
«Kyle!»
 
Il ragazzo ebreo infilzò un pezzo di hamburger con il coltello, probabilmente immaginando di infilzare il faccione sghignazzante di Eric Cartman, e per qualche momento ci fu il silenzio più pesante di sempre.
 
«Qualcuno vuole parlare di qualunque altra cosa?» fu l’ultimo disperato tentativo del moro, che aveva ormai finito di mangiare il suo hamburger vegano ma restava seduto a tavola solo per tenere compagnia agli altri.
 
«Come va con la tua ragazza?» provò Butters, ma si rese conto di aver toccato un tasto dolente vedendo Stan cambiare espressione e stappare la bottiglia di birra al centro del tavolo.
 
«È… non lo so, non so nemmeno se questo mese siamo fidanzati o meno. È un continuo tira e molla, ed è strana. Le ragazze sono strane. Beati voi…»
 
«Beh, ci siamo passati anche noi.» fece spallucce Kenny, lanciando un’occhiata a Butters che si limitò ad annuire.
Avevano avuto entrambi delle ragazze prima di avvicinarsi, brutte esperienze, ma comunque esperienze.
 
«Però dovete ammettere che voi bisessuali siete fortunati, sarà pure vero che il mare è pieno di pesci, ma voi avete un fottuto oceano in cui pescare! Il doppio delle possibilità!»
 
L’espressione di Kenny al momento era un misto tra “no, non è proprio così” e “eeww, per favore riprenditi la tua etichetta, grazie, prego, e non attaccarmela mai più”.
Non disse niente però, sapeva bene che Stan non intendeva mai dire qualcosa di stupido e che la sua era semplice mancanza di informazione.
Inoltre aveva cominciato a bere la sua birra, e niente di quello che avrebbe detto di lì a poco sarebbe contato granché.
 
 
Kyle si era appena alzato di scatto per portare il proprio piatto e quello di Stan nel lavandino, e nessuno aveva bisogno di guardarlo in faccia per capire che era ancora irritato.
Il campanello suonò proprio in quel momento.
Butters, che nel frattempo aveva appoggiato la testa sulla spalla di Kenny, sobbalzò sgranando gli occhi e tornò a sedersi dritto e coposto, sotto lo sguardo preoccupato del fidanzato: soffriva di una sorta di disturbo post-traumatico da stress, i maltrattamenti subiti da piccolo lo tormentavano ancora e, non avendo fatto il coming out definitivo in famiglia, era terrorizzato dall’idea che i suoi potessero venire a trovarlo senza preavviso e scoprire qualcosa. Kenny gli strinse una spalla per rassicurarlo, sapendo quanto il contatto fisico lo aiutasse in quei casi, e ricevette subito un sorriso un po’ nervoso ma pieno di gratitudine.
Il rosso, arrivato a metà strada tra il tavolo e il lavandino, guardò in direzione di Stan sperando che si alzasse lui per aprire la porta, ma vedendolo con la testa appoggiata sul tavolo, annegato nell’autocommiserazione, alzò gli occhi al cielo sbuffando: «Vado io, già che ci sono…»
 
Fece marcia indietro e, nei pochi secondi impiegati per arrivare alla porta, il campanello suonò una seconda volta, per poi essere premuto ripetutamente in un loop che gli fece saltare i nervi: «Arrivo, porca puttana, un secondo solo!!»
Spalancò la porta con la stessa violenza con cui avrebbe voluto spaccarla sulla testa di chiunque ci fosse sul pianerottolo e, da quel momento, tutto accadde a velocità raddoppiata:
Sbiancò sgranando gli occhi, i piatti gli caddero di mano frantumandosi sul pavimento, sbatté letteralmente la porta in faccia all’ospite, vi si appoggiò con la schiena e si lasciò scivolare a terra fino a sedersi, con la testa tra le mani.
 
«Che succede?!» chiese Butters, alzandosi in piedi come se avesse voluto scappare dalla finestra in caso di pericolo.
Gli altri, allarmati quanto lui, si alzarono a loro volta per andare incontro all’amico:
«Tutto bene? Che cazzo ti è preso?!»
«Chi c’è alla porta?!»
 
Il ragazzo ebreo si teneva ancora la testa tra le mani e fissava dritto di fronte a sé, stava letteralmente delirando: «Perché non sto mai zitto?! Perché non mi tengo mai per me quello che penso?! L’ho… l’ho praticamente evocato, è Satana in persona! Dev’essere un incubo, deve per forza-»
 
«Kyle, chi c’è alla porta?!» insistette il moro, che in fondo poteva già immaginare la risposta, ma che sperava con tutto il cuore di sbagliarsi.
 
«È… è tornato Cartman.»

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Capitolo 2
*** It's Cold Outside ***


«Che facciamo?» chiese Stan; in qualsiasi altra situazione la domanda sarebbe sembrata ridicola, ma alla porta non c’era una persona qualunque, c’era un incubo in carne ed ossa, ed era più che legittimo avere dubbi sul da farsi.
 
«Chiamiamo la polizia.» propose Kenny con convinzione, «Possiamo accusarlo di qualsiasi reato, tanto li ha commessi tutti!»
 
«Violazione di domicilio?» provò a suggerire Butters, ma il rosso, ancora a terra e in preda a una crisi di nervi, non voleva sentire nessuno:
«Silenzio cazzo, un po’ di silenzio! Devo pensare! Abbiamo delle armi in casa?»
 
Il campanello riprese a suonare ininterrottamente, seguito dalla voce più fastidiosa sulla faccia della Terra:
«Stronzo di un ebreo, è così che si accolgono gli amici che vengono a farti visita?!»
 
Seguì qualche secondo in cui Kyle finse semplicemente di essere morto e desiderò contemporaneamente di esserlo davvero ma, rendendosi conto che la situazione andava affrontata, prese una lunga boccata d’aria e si fece forza per tirarsi su, aiutato da Stan.
Kenny era ancora convinto della propria proposta e teneva il telefono in mano, pronto a chiamare le forze dell’ordine una volta ricevuto l’ok dai coinquilini, mentre il fidanzato iniziava già a cedere;
aveva un animo troppo gentile e compassionevole per lasciare un ex amico fuori casa al freddo.
 
«Forse dovremmo almeno sentire cos’ha da dire, Kyle…»
 
«Forse dovresti chiudere quella cazzo di bocca, Butters!»
 
«Forse dovrei aprirti il culo se gli parli così, Kyle!» si intromise il biondo, per poi indicare con un cenno il proprio cellulare. «Allora, chiamo o no?!»
 
Stan scosse la testa fra sé e sé, anche lui sull’orlo di una crisi: «Dio, ma vi rendete conto? Non è neanche entrato e ci sta già facendo discutere come non facevamo da anni!»
 
Un lungo scambio di sguardi tra tutti e quattro decise le sorti di quella giornata e delle loro vite; il ragazzo ebreo fece cenno agli altri di restare indietro, come se avesse dovuto disinnescare una bomba, e con tutta la cautela possibile aprì la porta quanto bastava per farsi vedere, ma non abbastanza da lasciar entrare il nemico.
 
«Cartman.»
 
«Kyle.»
 
«Cosa sei venuto a fare?»
 
Eric fece spallucce, con fare distaccato e un’espressione impassibile stampata in faccia: la tipica espressione che aveva quando, da piccolo, recitava per metterlo nel culo a qualcuno. Indecifrabile.
 «Mah, sai, passavo di qui con la mia limousine e mi sono detto “ma guarda, quella non è la baracca di merda dove sono andati a vivere i miei amiconi d’infanzia?” e, come tu sai, è buona educazione fermarsi a portare i propri saluti in questi casi.»
 
Il rosso si sporse appena per guardare la strada, voltando la testa a destra e a sinistra, per poi constatare:
«Non vedo nessuna limousine.»
 
«Beh per forza, ora il mio autista se n’è andato! Mi fai entrare o no?»
 
«Cosa ti ha fatto credere che c’è la possibilità che io ti faccia entrare?» ribatté acido, tenendo saldamente la porta per evitare che l’altro potesse farsi strada ed entrare a forza, ma Cartman non fece assolutamente nulla. Restò dov’era, strusciando un piede a terra come per pulirsi la suola della scarpa e fissandolo negli occhi, con entrambe le mani in tasca.
Kyle odiò sé stesso per la propria attenzione ai dettagli, ma non poté fare a meno di notare che Eric tremava un po’ per il freddo. C’era la neve fuori, e lui indossava solo un cappotto che aveva l’aria di essere uno di quegli stracci firmati che la gente compra solo per fare bella figura, non tanto per proteggersi dalle basse temperature.
 
«E vieni a farci visita a mani vuote?» rincarò la dose, sperando di autoconvincersi che era giusto essere duri e freddi con quella testa di cazzo, e che non poteva essere poi tanto diverso dall’ultima volta che ci aveva avuto a che fare, trattandosi di lui.
Butters aveva ragione nel dire che le persone cambiano con il tempo, ma cambiano se hanno la buona volontà per farlo, e nel caso di Cartman c’era una grossa carenza.
 
«Allora?»
 
«Beh non era mica programmato, stupido ebreo! Ho detto che passavo di qui per caso!»
 
«Torni a South Park e capita per caso che ti ricordi che noi viviamo ancora qui?! Non dire stronzate!»
 
«Vuoi farmi entrare, testa di cazzo?!»
 
«No! Non è mai stata un’opzione!» urlò sbattendogli la porta in faccia per la seconda volta, per ritrovarsi faccia a faccia con gli altri: Stan gli mostrava entrambi i pollici alzati, fiero della decisione, mentre Kenny era in posizione di attacco con la bottiglia di birra svuotata poco prima dall’amico, pronto a spaccarla sul comò e usarla come arma di difesa in caso di necessità. E Butters…
Butters lo guardava semplicemente con un’aria da cane bastonato, mentre strofinava nervosamente le nocche di una mano contro l’altra: «Kyle… anch’io ho paura di cosa potrebbe combinare, ma… è quasi Natale… e fuori fa freddo…»
 
«Io non ho paura! Io ho un accumulo di rabbia repressa, ecco cos’ho!»
 
Accidenti a Butters. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era riuscito a fargli provare qualcosa di molto simile al senso di colpa.
Sospirò, si coprì il volto con entrambe le mani per soffocare un urlo di frustrazione, dopodiché riaprì la porta, trovando il proprio acerrimo nemico ancora fermo sul pianerottolo.
 
«Dieci minuti, Cartman. Dopo devi sparire.»
 
In un primo momento l’altro sembrò sinceramente sorpreso, ma impiegò pochi secondi per passare dalla modalità “orfanello abbandonato al gelo” alla sua solita faccia da stronzo soddisfatto.
Si fiondò verso la porta senza neanche un “grazie”, Ma Kyle lo bloccò respingendolo con una mano contro il petto, fulminandolo con uno sguardo che diceva contemporaneamente “non così in fretta” e “ricordati chi comanda qui dentro”.
Nessuna risposta aggressiva da parte sua, neanche un’occhiataccia: sospetto, molto sospetto.
Ma al momento il rosso doveva preoccuparsi solo di stabilire la propria autorità, e non delle intenzioni del nemico, che in ogni caso di lì a poco non sarebbero più state affar suo.
Lo lasciò finalmente entrare in casa, pentendosene amaramente nel momento stesso in cui si richiuse la porta alle spalle.
Quello sarebbe stato il momento che avrebbe rimpianto e maledetto per tutta la vita, ne era sicuro.

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