I'm Shadow the Hedgehog. This is Who I Am.

di RickishMorty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Faker ***
Capitolo 2: *** Ti vedo. ***
Capitolo 3: *** Per mano mia ***
Capitolo 4: *** Patetica ***
Capitolo 5: *** My Love You Lost and Won ***
Capitolo 6: *** Appartenenza ***
Capitolo 7: *** I commend him to you ***
Capitolo 8: *** Infinite ***



Capitolo 1
*** Faker ***


Eccoci con la seconda flash-fic. Stavolta è incentrata su Sonic e Shadow (chi ci vuole leggere accenni Sonadow può farlo, anche se non lo è in maniera esplicita). E' semplicemente un confronto fra i due. Grazie mille a chi mi segue!

Quel sorrisetto sprezzante, come di chi sapeva che avrebbe vinto comunque.
Un sorrisetto insopportabile. Ma buono.
Non si trasformava mai in un ghigno, come invece faceva il suo. In realtà era raro che ghignasse perfino lui.
“Beh? Paura che io sia troppo veloce per te?” lo provocò il riccio blu.
Evidentemente per lui quella era addirittura una domanda retorica.
Shadow, a braccia incrociate ed appoggiato alla parete, lo fissava torvo.
“Sai benissimo che abbiamo la stessa velocità” sentenziò, definitivo. Sonic gli si avvicinò con gli occhi a mezz’asta, piegandosi verso di lui: “Solo perché hai quelle scarpe a darti la spinta”.
Colpo basso. Colpo basso.
Il riccio ebbe perfino la sfrontatezza di indicarle, incurante degli occhi di Shadow che si assottigliavano sempre di più, omicidi, fino a divenire una lama.
Sonic sapeva di averlo punto sul vivo. La questione delle sue scarpe la tirava fuori spesso. In fondo non era facile trovare un argomento che lo scuotesse.
Era un gioco tra loro: Shadow sapeva perfettamente che Sonic lo batteva in velocità, come Sonic era conscio del fatto che il Chaos fosse dominio del rivale. Spesso quel potere gli risultava ancora ostico. Come Knuckles aveva la forza fisica più devastante e Tails l’intelletto più fino.
Con loro la rivalità era diversa o assente però, con Shadow no. Era naturale, spontanea. Forse l’essere così fisicamente simili li aveva portati a paragonarsi troppo; ed in effetti le loro capacità erano talmente equivalenti che un confronto era inevitabilmente dovuto, voluto.
Colori e caratteri tenevano su quella barriera distintiva che era sacrosanta per loro. Non erano cloni, non erano parenti, anche se se l’erano chiesto.
Faker, Impostore”. Ci si erano chiamati e continuavano a chiamarcisi spesso, ma sapevano di non essere collegati in alcun modo. Forse anche questo li portava l’uno contro l’altro: la paura di perdere la propria unicità, il bisogno di sottolinearla.
“Se perdessi il tuo primato sarebbe un guaio, eh? Cosa ti rimarrebbe?” Shadow lo interrogò, pungente. Ora toccava a lui piegare la bocca in un sogghigno che non arrivava però a colorargli il tono della voce.
Sonic rimase in silenzio, senza smettere di guardarlo. Shadow sapeva essere pesante. Non gli era chiaro quanto se ne rendesse effettivamente conto.
“Sarei comunque Sonic”.
Un brivido corse lungo la schiena del riccio nero. Era la stessa identica risposta che lui aveva dato a Rouge quando lei gli aveva chiesto cos’avrebbe fatto se avesse scoperto di non essere l’Ultimate Life Form, la stessa che aveva dato a Mephiles quando lui gli aveva svelato di come l’umanità gli si sarebbe ribellata contro.
Rimarrei Shadow”.
Forse non erano poi così diversi… Forse no.
“Si…” lo scrutò, studiandone gli occhi verdi, luminosi, decisi, prima di staccarsi dal muro, dandogli le spalle nell’avviarsi.
“Purtroppo si…”.

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Capitolo 2
*** Ti vedo. ***


Comincio questa raccolta con un dialogo immaginario fra Shadow e Maria, ipoteticamente tempo dopo gli eventi visti in Shadow the Hedgehog, in cui il riccio torna sull'ARK, inseguendo i propri fantasmi.
Tutti i personaggi appartengono a SEGA ©


“Mi vedi?”
 
Davanti a quel vetro c’era tutto l’universo.
La Terra sconfinata era impossibile da non vedere, sembrava un lago immenso che viaggiava sospeso nel vuoto. Era bellissima.
Ma a lui non fregava un cazzo della Terra.
Nemmeno la vedeva.
Lui vedeva solo Maria.
Solo lei.
“Certo che ti vedo” rispose a quel riflesso nel vetro, sbiadito e dai contorni sfumati.
Maria sorrise, mentre Shadow mantenne quell’immobilismo facciale che lo caratterizzava.
Quell’apparizione diafana stava accanto al suo riflesso, non era chiaro quale fosse quello più realistico.
“Era un gioco che facevamo sempre ti ricordi?”.
Il riccio annuì, resistendo alla tentazione di voltarsi alla propria sinistra. Lì Maria non l’avrebbe trovata. Ci aveva già provato troppe volte. Lo sapeva.
Maria gli prese la mano, sorridendo ancora.
“Mi senti?”
Shadow contrasse la mascella, facendo fronte a quell’ennesima tortura.
Maria era sempre sembrata un angelo, ora più che mai, ma quelle fitte così profonde che gli infliggeva non erano paragonabili a nessun dolore. Nessun aguzzino l’avrebbe eguagliata.
Sbattè appena le palpebre, abbassando il volto, negando impercettibilmente con il capo.
“No…”
Poteva vederla. Nulla più.
Il sorriso di Maria se ne era andato, anche se Shadow non lo sapeva. Gli posò una mano sulla guancia, nel tentativo inutile di fargli sollevare il viso. Chiuse il suo volto fra le proprie mani, inginocchiandosi davanti a lui. Shadow nemmeno lo sapeva, non stava guardando il vetro.
“Si, invece…” replicò Maria, semplicemente. Non c’era bisogno di aggiungere altro.
Il riccio finalmente la vide, incontrandola ancora una volta nel riflesso. Non distolse più lo sguardo dal vetro. Voleva bersela con gli occhi fintanto che ne aveva l’occasione. Stava diventando sempre più raro.
Aveva cercato di dare un nome a tutto ciò. Allucinazioni? Ricordi? Pazzia? Andavano bene tutte. Erano vere tutte.
Osservò quel riflesso, rivedendoli come cinquant’anni fa. Lui e Maria, identici.
“Mi manchi più di quanto possa sopportare”.
Anche Maria guardò il vetro, incontrando i suoi occhi. Erano duri, lontani, disillusi, ma non erano spenti. Mantenevano quella scintilla che lei aveva sempre ammirato nei suoi occhi rossi, insostenibili. Maria se la fece bastare.
“Grazie per aver mantenuto la promessa”.
Shadow si voltò automaticamente verso di lei, maledicendosi. Non aveva ancora imparato. Forse era masochista. Saettò di nuovo con lo sguardo sul vetro, incontrando la Terra stavolta. La Terra e il proprio riflesso.
Sentiva gli occhi bruciargli, pungergli, ma non versò una lacrima. Anche quello gli riusciva sempre più difficile.
Era come se, scomparendo, lasciandogli quell’immagine sconfinata davanti agli occhi, avesse voluto ricordargli cosa avesse fatto per lei, per tutti.
Un sorriso amaro arrivò quasi a piegargli le labbra.
Neanche un intero pianeta era in grado di sostituirla.
Poteva solo ricordargli i suoi occhi.

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Capitolo 3
*** Per mano mia ***


Ecco qui il terzo capitolo. Vorrei ringraziare davvero molto chi sta seguendo questo esperimento/progetto/ispirazione e sopratutto chi ha la voglia e la gentilezza di recensire. Anche chi ha solo letto, inserito la storia fra le preferite o le seguite, grazie; se vi va di commentare, ve ne sarei grata! Questo terzo capitolo è nuovamente incentrato su Sonic/Shadow (riguardo gli accenni Sonadow, possono essere benissimo letti all'interno della storia, come non letti; loro sono anche questo). Alla prossima


In generale non gli piaceva la Terra.
O meglio, non gliene fregava nulla.
O ancora meglio, anche se fosse, non lo avrebbe mai ammesso.
 
Maria ci era quasi riuscita a farglielo dire.
«È bella… ma forse lo scopriremo davvero andandoci. Dici che rimarremo delusi?»
“Impossibile” pensò Shadow, senza dirlo mai.
 
Ora lì su quel pontile, sentiva la brezza marina sul viso che quasi lo infastidiva.
Teneva le braccia incrociate, lo sguardo fisso sull’orizzonte; gli occhi erano assottigliati per via del vento, della salsedine.
I gabbiani stridevano, volando ovunque, asserragliando il piccolo faro alle sue spalle.
Fastidiosi ed insieme necessari. Il mare era fatto anche di loro.
L’ennesimo stridio gli fece inarcare un sopracciglio: sembrava un po’ diverso dagli altri… più insistente.
Si voltò appena, guardando da oltre la spalla l’inizio del pontile. Ecco cos’era.
Una macchia blu saltellava strillando a squarcia gola, sbandierando la mano come un ossesso.
«Shaaaadooooow!!»
Ma come cavolo l’aveva trovato? Oppure non lo stava cercando ed era un caso? Bello strano per essere un caso.
Roteò gli occhi, voltando completamente il corpo nella sua direzione, senza sciogliere le braccia incrociate.
Non sembrava avere intenzione di muoversi, piantato lì com’era. Venisse lui no?
Sonic però continuava a chiamarlo, facendogli larghi gesti per convincerlo a raggiungerlo.
Roba da pazzi, lo disturbava e pretendeva anche che lo raggiungesse, comandato a bacchetta?
Rimase ancora fermo, mentre Sonic cominciava ad infastidirsi, esasperando i gesti come per spiegarsi meglio.
Ma perché non veniva? Se aveva l’occasione di fare due metri in corsa li faceva, figuriamoci un pontile intero. Cosa tramava? Una trappola? Un suo stupido scherzo?
Shadow digrignò i denti all’ennesimo strillo.
«Se vengo la smetti di scocciare?»
Sonic unì pollice e indice, simulando un “OK” con tanto di occhiolino.
Con uno sbuffo irritato Shadow svanì nel nulla, materializzandosi davanti al riccio, sempre nella stessa posizione, con la stessa espressione seria in viso.
Sonic spalancò gli occhi vedendoselo comparire davanti: non se lo aspettava, ma non c’era verso che glielo desse a vedere.
«Era ora!» lo provocò con un sorrisetto «L’ho sempre detto che sei len…».
«Cosa diavolo vuoi?» soffiò Shadow fuori dalle labbra, volendo porre fine alla conversazione il prima possibile.
«La pianti di chiedermelo? Non voglio niente» Sonic piegò la testa; ora toccava a lui inarcare un sopracciglio, muovendo le mani in un cenno di negazione «Non è che uno vuole sempre qualcosa… correvo e ti ho visto. E mi sono fermato».
“E mi sono fermato”.
Quella frase colpì Shadow in maniera strana: ce ne voleva per fermare Sonic. Quando mai si fermava? Una volta che cominciava a correre, partiva per la tangente. Ce ne voleva per fermare Sonic.
Si scosse dai propri pensieri, pensando semplicemente che il riccio si stesse annoiando e che lui potesse essere una distrazione adatta.
«Potevi almeno raggiungermi» tenne il punto Shadow, abbassando le palpebre a mezz’asta. Quella conversazione era già durata troppo.
«Non se ne parla, io su quel coso non ci metto piede» il riccio blu rise quasi nervosamente, agitando le mani davanti a sé, «È una trappola senza via d’uscita».
Shadow lo guardò come se fosse ubriaco, voltandosi verso il pontile per sicurezza, nel dubbio di aver tralasciato qualche dettaglio. Ma che cavolo stava dicendo? Affrontava Eggman almeno dodici volte al giorno e chiamava quella passerella una “trappola”? Lo stava prendendo in giro. Si voltò nuovamente verso di lui, storcendo le labbra sprezzante, come stesse parlando con uno con ritardi mentali.
«Sapevo che era un tuo scherzo idiota. Torna a fare le tue corsette, prima di ritrovarti per davvero in una trappola senza via d’uscita» lo minacciò, voltandogli le spalle, pronto a spiccare il volo.
«Ah, è vero tu non…» Sonic si tappò la bocca immediatamente: Shadow non aveva idea della sua fobia dell’acqua. Ormai lo dava talmente tanto scontato che gli sembrava strano che qualcuno non lo sapesse. Quello purtroppo era un suo punto debole che tutti conoscevano bene. Tutti tranne lui, evidentemente.
Quell’interruzione attirò nuovamente lo sguardo del riccio nero, che si voltò, gli aculei tesi per l’irritazione e per la curiosità insieme.
«Io non…?» assottigliò lo sguardo, avvicinandosi, mettendolo alle strette. Si era stufato di quel gioco. Nel suo palmo una minuscola sfera di Chaos cominciava a brillare, crescendo.
«… Come dicevi tu, me ne torno a fare le mie corsette! Lì sono davvero al sicuro, tanto… non c’è partita» ridacchiò Sonic, provocandolo per fargli dimenticare la conversazione precedente. Amnesie a parte, però, Shadow non era uno che dimentica.
Il sorriso di Sonic svanì immediatamente alla vista  di un bagliore improvviso che avvolgeva il pugno di Shadow, lanciato a velocità inaudita verso il suo volto.
Lo schivò per miracolo, in un salto di almeno tre metri sopra il riccio nero che svanì di scatto dal terreno. Sonic lo cercò a mezz’aria, vedendolo ricomparire davanti a sé nel giro di un secondo, ricevendo un calcio nello stomaco che lo scaraventò al suolo o, per meglio dire, nell’acqua.
Lo schizzo arrivò quasi a lambire le scarpe del rivale, che riportava nuovamente le braccia alla loro solita posizione, incrociate. Guardò quella sagoma ricomparire sotto l’acqua ora che la schiuma dell’impatto cominciava a dissolversi.
«Idiota…» sibilò Shadow, notando quanto fosse insolitamente lento nel risalire in superficie. Solamente piccole bolle di ossigeno tornavano ad increspare l’acqua. Beh? Mica lo aveva colpito così forte.
Inarcò un sopracciglio vedendolo affondare sempre di più, allontanarsi. Atterrò sul pontile, sporgendosi verso l’acqua, notando il suo agitarsi senza senso. Aggrottò le sopracciglia, cominciando a ricomporre i pezzi: non aveva paura del pontile, ma del mare. Dell’acqua.
Non sapeva nuotare.
I suoi occhi si illuminarono, pensando a quanto sarebbe stato semplice. A quanto stava essendo semplice. Stava affogando. Non aveva scampo, Sonic stava… perdendo. Gli occhi rossi del riccio sembravano essersi letteralmente infiammati: tutto qua? Era quello il suo punto debole? Bastava semplicemente un po’ d’acqua alta per sconfiggerlo, per liberarsene definitivamente? Un raro, rarissimo sorriso andò a piegare le labbra di Shadow, che quasi si trasformò in una risata a denti stretti all’idea di starsi sbarazzando dell’eterno rivale, di starlo… battendo?
Quel pensiero lo colpì come una frustrata. No. Sonic sarebbe morto, ma non per mano sua. Stava semplicemente annegando… Lo vide smettersi di muovere. No. Non sarebbe stato quello il modo in cui sarebbe passato all’altro mondo.
Ce lo avrebbe mandato lui.
In un attimo lo raggiunse sott’acqua, avvolgendolo saldamente, quasi stringendolo per un istante, prima di sparire per riapparire sulla spiaggia un secondo dopo. Lo lasciò sulla sabbia, senza guardarlo. Aveva la mascella serrata, lo sguardo duro mentre guardava dritto davanti a sé. Era quasi il tramonto. Lo sentì tossire, abbassando lentamente lo sguardo su di lui. Storse la bocca, forse in un attimo di pentimento.
Si voltò, volando via. Sonic socchiuse una palpebra, riprendendosi, osservando una sagoma familiare sparire nel sole.

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Capitolo 4
*** Patetica ***


Ciao, eccoci col nuovo capitolo. Questa volta è un punto di vista di Rouge sul nostro Shadow, per come la vedo io. Spero sia chiara la maniera in cui la interpreto, in caso contrario sarò felice di spiegarmi nei commenti :) grazie ai fedelissimi che mi seguono e commentano, mi piacciono moltissimo le vostre recensioni. Poche, ma buone. 

A volte si meravigliava di se stessa.
Si guardava allo specchio e non poteva fare a meno di storcere le labbra, ogni tanto.
Lei, Rouge… Quel fisico mozzafiato, gli occhi da gatta, la voce vellutata da diva del cinema anni ’30… Tutto ciò non valeva niente nel momento in cui capiva che lui non lo vedeva. In cui capiva di morirgli dietro.
Presa dai suoi pensieri lo guardava parlare con Omega, serio in viso, come sempre, distaccato. Era l’ennesima missione insieme. Storse nuovamente le labbra nel rendersi conto che quel giorno aveva messo più profumo del solito.
Patetica. Dio mio, patetica. Si mise una mano sul volto, stringendo gli occhi, trattenendo l’imbarazzo per se stessa a cui non era abituata. Non era da lei. Non era da Rouge. Non si riconosceva.
«Sveglia» una voce ferma riuscì a scuoterla, strappandola dai suoi pensieri.
Rouge riaprì gli occhi, trovandosi di fronte a quelli rossi di Shadow. Chissà se era stato calcolato quel preciso colore nella sua progettazione genetica. Chissà se l’avevano scelto apposta per intimidire chi aveva di fronte. Con lei funzionava. E non era affatto facile.
«Mmh… Pardon. Troppe chiacchiere mi annoiano. Sono più per l’azione» strizzò l’occhio al riccio che non colse o non volle cogliere il riferimento, dandole le spalle come se nulla fosse.
«Tu e Omega andrete a cercare lo Smeraldo a nord, mentre io finirò di controllare questa zona».
Che novità. E quando mai non voleva stare da solo?
Alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi ad Omega, «Hai visto? A noi la parte più pesante. Neanche un po’ di riguardo per le donne…». Nel tentativo di farlo accorgere di lei, del suo essere una maledetta donna, se ne usciva addirittura con frasi sessiste che non le si addicevano minimamente. Patetica, di nuovo.
«Io non ho preferenze…» disse Shadow, guardandola di sottecchi «Scegli la zona che preferisci» concesse con indifferenza.
“Io non ho preferenze” pensò  Rouge… già. Sembrava quasi una sua caratteristica. Indifferenza. Ampliò quella frase all’intera figura di Shadow. A differenza di lei, le sue frasi gli si addicevano perfettamente.
Nulla lo scuoteva. O quasi. Quella misteriosa Maria, Sonic ed Eggman… loro riuscivano a strappargli reazioni. Anche Omega. E lei?
«L’importante – è – la – missione – ed – il – suo – esito. Il – resto – è – irrilevante. Agente – Rouge – andiamo». Omega mise in moto i jet posteriori, sollevandosi da terra insieme ad una nuvola di polvere.
Il resto è irrilevante. L’indifferenza di un robot sembrava pari a quella di Shadow. Il pensiero le diede un brivido quasi impercettibile, mentre Omega la riportava alla realtà, al presente.
Shadow la fissò, ancora con quella domanda sospesa. Stava davvero aspettando una risposta? Era davvero una proposta e non una provocazione?
Rouge si ritrovò intrappolata in quello sguardo. Troppo intrappolata. E lei odiava sentirsi alle strette.
Si girò, sbuffando altezzosamente, rifiutando uno di quei rari contatti. Anche a lei non fregava nulla della zona da ispezionare, chiaramente… Si alzò in volo, senza guardarlo, seguendo Omega. Shadow la guardò allontanarsi, inespressivo, prima di svanire nel nulla.
Il pipistrello sospirò: spesso facevano battute e pronostici sul suo rapporto con Knuckles. I battibecchi erano all’ordine del giorno, non c’era momento in cui Rouge non perdeva occasione per infastidirlo, punzecchiarlo. Era normale, erano entrambi cercatori di tesori, e lei voleva ciò che l’Echidna proteggeva, il Master Emerald, più di qualsiasi altra gemma. Tutto li portava a scontrarsi.
Però per lei tutto ciò non andava oltre. C’era qualcosa di particolare fra loro, non l’avrebbe mai negato. Ma non era abbastanza. Knuckles non aveva quel qualcosa in più, quel “non so che” che… che invece aveva Shadow.
Patetica.

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Capitolo 5
*** My Love You Lost and Won ***


Mi spiace la fanfiction sia sempre meno seguita e commentata, nonostante ciò voglio ringraziare moltissimo f9v5 per le bellissime recensioni sempre presenti che dedica alle mie storie.
Questo capitolo è incentrato sulla battaglia di Shadow e Sonic (trasformati nelle loro versioni Super) che fermano l'ARK dallo schianto imminente sulla Terra. Vi sono accenni Sonadow lievemente più consistenti dei precedenti capitoli, spero che nonostante questo possiate apprezzare la descrizione che ho dato di questo momento intenso e difficile per entrambi. Grazie a tutti e spero a presto!


Lo guardava splendere come una stella all’apice del suo sviluppo e della sua potenza, il momento in cui è più vicina alla distruzione.
Le mani sollevate sopra di sé, gli aculei tesi e sollevati, la bocca spalancata in un urlo di sfogo, di rabbia. La sfera di energia che cresceva sopra le sue mani aperte diventava sempre più grande, imponente, governata alla perfezione dal suo creatore, per cui il Chaos era come sangue nelle vene.
Era un Dio.
Un Dio della Distruzione, che ora aveva scelto di salvare loro. Di salvarli tutti.
I suoi occhi rossi cercarono Sonic, con un imperativo stampato nelle iridi, che il riccio blu colse al volo. Si avvicinò a lui, sollevando entrambe le mani verso la sfera di energia, controllandola insieme a lui, ampliandola, scaturendo un potere incontenibile persino per loro.
La luce nascondeva tutto, avvolgendoli: sembravano pura luce anche loro, trasformati com’erano. Anche in quel momento si differenziavano appena: Sonic giallo oro, Shadow di un colore quasi bianco.
Il tempo stava finendo e l’ARK era sempre più vicina alla Terra, a loro; in qualche secondo sarebbe finito tutto, il bagliore si sarebbe esaurito, restituendo l’universo alla propria oscurità senza fine.
I due ricci si guardarono, con le mani che quasi prendevano fuoco, ormai al limite nel contenere quella quantità spaventosa di energia. Sonic cercava il suo sguardo, vedendolo perso lontano, distante.
“Shadow, ti prego…”
Il riccio nero pronunciò fievolmente il nome di Maria, senza che Sonic riuscisse a sentirlo, leggendogli a malapena le labbra. Perché? Perché ora era lì? Perché stava rischiando la vita aiutandoli, proprio lui, l’Ultimate Life Form?
Gerald Robotnik era il suo creatore (si poteva parlare di padre?), perché non far parte del suo piano, perché ostacolarlo? C’era qualcosa che non sapeva, che non conosceva del suo rivale, qualcosa nel suo silenzio che parlava, ma che non era riuscito ad interpretare. Forse la risposta era in quella parola pronunciata in un soffio ad un momento della fine.
Shadow si voltò verso di lui, restituendogli lo sguardo che Sonic aveva cercato, abbassando appena il capo in un cenno di assenso che Sonic ricambiò. Era il momento. Ora o mai più.
«CHAOS… CONTROL!!» all’unisono urlarono quel comando, mentre la sfera di luce avvolgeva completamente l’ARK, inglobandola in un accecante bagliore. I guanti di entrambi i guerrieri si lacerarono, mentre la pelle si ustionava; gli occhi venivano stretti per il dolore e lo sforzo, i denti digrignavano fra loro in uno spasmo di resistenza.
Non ce l’avrebbero fatta. Sonic se ne rese conto in un attimo di smarrimento; aveva sottovalutato quella sfida, pensava che lui e Shadow al massimo delle loro possibilità sarebbero stati in grado di controllare quell’immensa quantità di Chaos. In un grido di frustrazione liberò ancora il proprio potere, non sentendo alcuna differenza. Era troppo, era incontrollabile: Sonic sentiva le forze venirgli meno, il respiro farsi accelerato, i muscoli allo stremo. Sapeva che Shadow aveva la stessa dolorosa consapevolezza: avevano fallito. Imprecò, stringendo gli occhi, mentre nella sua mente si affollavano veloci le immagini di Knuckles, Tails, Amy. Shadow lo guardò, lo sguardo duro, impenetrabile. Incredibilmente, un impercettibile sorriso gli piegò le labbra: «Non ti facevo così arrendevole, Faker…».
Sonic sollevò il viso, incredulo nel notare la sua sicurezza; aggrottò le sopracciglia, senza capire. Shadow abbassò le mani, chiudendo gli occhi, mentre i Rings che gli facevano da bracciali cominciarono a brillare intensamente, prima di staccarsi, liberandogli i polsi e le caviglie. Il riccio aprì gli occhi: le iridi rosse come il magma fuso catturarono quelle verdi di Sonic; un sorriso, ancora, prima di sollevare di scatto le mani, liberando un infinito quantitativo di energia che allargò la sfera di luce, facendo sparire l’ARK e loro stessi.

Dalla Terra sembrava quasi possibile percepire un grido di giubilo collettivo, un sospiro di emozionata speranza realizzata; la salvezza era negli occhi di tutti, la gioia sulle labbra di ognuno. Ignara di chi la avesse salvata, l’umanità festeggiava la vita per un momento; i compagni di Sonic scrutavano il buio dello spazio alla ricerca delle due figure scomparse, senza trovarle.
Sonic aprì gli occhi; l’oscurità quasi lo infastidiva ora che tutta quella luminosità era sparita. Sorrise, incredulo, sentendo come persino i muscoli facciali fossero doloranti. Scosse la testa: «Bastardo… mi avevi fregato, eh? L’avevi nascosto bene il tuo asso nella manica». Si girò, aspettando di trovarselo accanto, ma del rivale non c’era traccia.
Il suo sguardo si incupì, mentre si guardava attorno frenetico. Come avrebbe trovato Shadow in mezzo a tutto quel buio, alle ombre dello spazio siderale? Non poteva essere sparito, non ora; non ora che aveva visto qualcosa in lui che non avrebbe potuto dimenticare.
Guardò sotto di sé, la Terra, trovandolo: Shadow sembrava quasi galleggiare sopra il Pianeta, come in un infinito oceano sospeso, ancora color del platino. Non si muoveva, sembrava quasi dormire. Il respiro di Sonic si mozzò all’idea che potesse non essere svenuto. Con la velocità che lo contraddistingueva lo raggiunse in un secondo, portando le proprie braccia sotto il corpo del rivale, sostenendolo.
«Ehi… Shad. Ehi, Shad, non me lo puoi fare, eh… non puoi morire così, fregandomi la parte dell’eroe. È il mio campo, no? Tu stai meglio come cattivo ragazzo…» la leggerezza di quelle parole era tradita dalla voce rotta, il tono sommesso e spezzato dalla paura dell’inevitabile. Non stava aprendo gli occhi. Non stava rispondendo. Sonic si morse le labbra a sangue: non ricordava l’ultima volta che gli occhi gli si erano bagnati in quel modo, offuscandogli la vista, pronti a rigargli le guance. Quell’infame non poteva fargli questo…
«Ti ho salvato il culo e questo è tutto ciò che sai dirmi…?» Shadow sorrise, prima di sollevare una palpebra, incontrando lo sguardo annebbiato di Sonic che represse a stento un singulto. Ma non poteva nascondere il rilassamento che i muscoli delle braccia ebbero, come di sollievo, al suono della sua voce.
Sorrise a sua volta, reprimendo una lacrima che stava quasi per sfuggirgli: «Intanto ci sei tu qui fra le mie braccia, a far la parte della damigella in pericolo…». Shadow storse le labbra, abbassando la palpebra sollevata, senza però togliersi da quella posizione, dalle braccia dell’altro.
«Goditela finché puoi…» minacciò il riccio, senza la solita durezza però, mentre tornava ad essere nero, con gli aculei che tornavano alla loro posizione normale. Aprì entrambi gli occhi, girandosi finalmente verso di lui; Sonic non seppe dire se si accorse dei propri occhi lucidi, né Shadow ne fece alcun accenno.
«Abbiamo vinto» disse semplicemente il riccio blu, che tornava anche lui normale. Senza parole osservava la serenità sul volto di Shadow, nel suo sorriso, scoprendo come persino lui potesse esserne capace. Un silenzio che non aveva bisogno di parole si posò su di loro, avvolgendoli in un attimo che durò per sempre.
Sonic avvicinò il volto al suo, sentendo il suo respiro sulla propria pelle, sfiorandolo col proprio. Shadow lo guardò, senza dire una parola, mentre il sorriso spariva e lui ritornava serio, come sempre.
«Non ci vedremo per un po’, Sonic».
Il riccio blu si abbassò ancora, chiudendogli le labbra con le proprie in un contatto che durò un secondo: il calore sparì, così com’era sparito Shadow dalle braccia di Sonic, scomparendo chissà dove. L’eroe sentiva ancora la sua presenza sulle proprie braccia, ora libere e vuote. Abbassò il viso, prima di sorridere, appena. Guardò la Terra, dove un attimo prima c’era lui, ringraziandolo in silenzio per quello spettacolo bianco e azzurro.
 
Da qualche parte, in Paradiso, Maria sorrideva.

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Capitolo 6
*** Appartenenza ***


Eccoci con un nuovo capitolo! Lo uso per festeggiare la mia laurea qui su EFP con voi  :)
Questa volta è un piccolo scorcio del rapporto fra il Dottor Eggman e Shadow.
Dò via a un piccolo sondaggio: qual è il vostro capitolo preferito? Quale personaggio vi piacerebbe vedere nel prossimo? Non importa se è già apparso oppure no. Buona lettura a tutti, e ancora grazie per la vostra preziosa presenza in questo piccolo esperimento.
A presto.
Marta


«A volte mi domando se io possieda per davvero la genialità di mio nonno».
La voce di Eggman gli arrivò lontana, quasi ovattata, perso com’era nell’osservare i combattimenti degli androidi nel cortile recintato sottostante. Gli tornarono in mente quelle miriadi e miriadi di suoi cloni robotici che aveva incontrato nella base di Eggman tempo prima. Difficilmente la sua identità era stata messa così tanto in discussione come in quel momento critico in cui aveva temuto di essere semplicemente un’unità meccanica difettosa e fuori controllo, capace di costruire una volontà propria.
Non si voltò verso lo scienziato, continuando a dargli le spalle, guardando fuori a braccia incrociate, serio in volto.
«Non è da lei dubitare del proprio genio inventivo, Dottore».
Eggman lo studiò, assottigliando lo sguardo, stropicciandosi un baffo, spettinandolo ancora di più: com’era riuscito Gerald Robotnik a creare dal nulla una forma di vita così perfetta ed invincibile, senza ombra di difetti o effetti collaterali quale era Shadow? Era scienza di cinquant’anni fa, eppure, paragonandola ai propri risultati (eccelsi, in ogni caso), sembrava provenire da un futuro lontano.
Si alzò, portando le mani a stringersi dietro la propria schiena, guardando a terra, pensieroso. L’Ultimate Life Form non era opera sua, e per quanto la stima per i propri antenati fosse assoluta, sentiva quel peso genetico su di sé. Confronto a Shadow, i suoi robot erano ferraglia inutile e rumorosa.
Shadow aveva smesso di interessarsi ai robot, inarcando un sopracciglio nel seguire il rumore del movimento del Dottore, senza guardarlo ancora. Era stato contattato per una missione, e non lo aveva stupito: non sarebbe stata la prima volta in cui collaboravano. Sebbene in un rapporto conflittuale e molto spesso a senso unico, entrambi  si stimavano e rispettavano tacitamente, ma senza alcun dubbio.
Se così non fosse stato, non si sarebbe mai rivolto a lui con l’appellativo “Dottore”.
Andava detto che l’odio comune verso Sonic aiutava quel sodalizio occasionale.
«Solo tu e Sonic sembrate immuni dall’autocritica, Shadow. Altro punto in comune».
Il riccio assottigliò gli occhi, chiedendosi per un attimo se, tirando fuori il nome del rivale, non gli avesse letto nel pensiero. Si voltò verso di lui, torvo, sciogliendo la stretta delle braccia, lanciandogli uno sguardo affilato: «La mia sicurezza non ha nulla a che fare con la presunzione di quel megalomane blu».
Strano. Eggman se avesse dovuto descrivere Shadow avrebbe usato fra i tanti aggettivi proprio megalomane. Non l’avrebbe risparmiato nemmeno a Sonic, comunque.
Ridacchiò appena sotto i baffi, scuotendo la testa, mentre Shadow stringeva ancora di più gli occhi, arrivando a quel limite di sopportazione che concedeva alle conversazioni in generale.
«Mi è chiaro l’obiettivo della missione, quindi non vedo perché portare avanti questo sterile colloquio» dichiarò perentorio, oltrepassando il Dottore e tornando a dargli le spalle, pronto a teletrasportarsi lontano da quello spreco di tempo.
«Un giorno vorrei parlare con te della nostra famiglia».
Quella frase immobilizzò il riccio lì dov’era, portandolo a spalancare gli occhi, ringraziando il cielo che Eggman fosse dietro lui, impossibilitato nel vederlo: se l’avesse guardato si sarebbe reso conto di uno sguardo inedito negli occhi del riccio rosso e nero. Lo aveva lasciato senza parole, per una serie infinita di motivi: aveva detto “nostra”? Voleva parlare davvero con lui di qualcosa che non riguardasse missioni, obiettivi o strategie? Ne era in grado?
Avrebbero parlato anche di Maria?
Shadow serrò la bocca, in un disagio misto a morbosa e masochistica curiosità. Voleva solo fargli delle domande? Non gli risultava che li avesse conosciuti, in fondo… Deglutì silenziosamente, stringendo i pugni nel sentire Maria ridere nella sua testa. Perché voleva riportarlo a quei ricordi?
Immagini confuse e sfocate di un corridoio percorso in corsa e di un vetro macchiato di sangue gli colpirono la testa come spilli. Shadow digrignò i denti, sollevando lo sguardo, ora furioso, carico d’odio. Eggman non vide nemmeno quello, ma dopotutto non era così raro.
Shadow non disse nulla, sparendo all’improvviso, lasciando Eggman nel suo studio e nel silenzio più totale.
Il Dottore si accarezzò di nuovo i baffi, voltandosi verso la larga finestra di fronte la sua scrivania. Shadow non era una sua creazione, ma non aveva mai potuto fare a meno di sentirlo Suo in qualche modo.
Guardò il cielo, immaginando in un punto indefinito l’ARK, Gerald, Maria e Shadow insieme, come cinquant’anni fa.

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Capitolo 7
*** I commend him to you ***


Buona Vigilia a tutti! Scusate il capitolo lungo, ma c'era un po' da dire... è un "confronto" (in realtà no) fra Shadow, Sonic e Maria. Scriverò ancora di loro tre, sono le chiavi di Shadow, per come la penso io. Grazie a tutti, a The Visored Storyteller per aver selezionato la mia storia fra le storie scelte, a f9v5 per seguirmi sempre e per le recensioni da paura (questa definizione stavolta ci sta :p) che mi lascia sempre, a ladyzaphira per seguirmi e per appoggiarmi un po' di Sonadow (:p) e a Vicarious10 per aver iniziato a seguire questo progetto.
Grazie a tutti e Buon Natale!!


Andare avanti.
Questa frase rimbombava da anni nelle menti di entrambi, una ancora alla vita, ai respiri e ai battiti. L’altra in una dimensione diversa, che seguiva quell’ombra sulla Terra, incessantemente, da… sempre.
I pensieri che scatenava in ognuno di loro erano diversi, quasi antitetici.
“Vai avanti. Ricordati di me solo per sorridere di noi”.
“Non passerà mai. Non è possibile ricominciare senza di te”.
Maria lo guardò, invisibile, mentre Shadow faceva a pezzi l’ennesimo avversario. Non facevano che arrivargli addosso, nel tentativo inutile di arrestare quella potenza senza controllo, venendo spazzati via con un solo pugno, come mosche. Lo guardò afferrare l’ultimo soldato per la camicia, ormai privo di sensi; nonostante questo Shadow lo colpiva, spaccandogli la faccia, riversando la rabbia su quel volto sconosciuto, serrando i denti come spesso gli accadeva di fare, nascosto.
Maria era dietro di lui, guardando quei lineamenti ormai tumefatti  smettere di contorcersi, nel momento in cui Shadow lasciava cadere il corpo a terra. Lo sentiva ansimare per lo sforzo, l’adrenalina, notando come il rosso della sua pelliccia si confondesse a quello del sangue che non era suo.  Shadow si voltò verso di lei, senza poterla vedere: Maria fissò i suoi occhi rossi come lava, irriconoscibili. Non erano quelli gli occhi che aveva conosciuto lei.
«Cosa ti ha fatto il mondo per cambiarti così?»
Una domanda che si perse, impossibile da ascoltare. Shadow aveva spostato lo sguardo a terra, finendo di riprendere fiato, stranamente immobile: sembrava star sentendo per un solo singolo attimo il peso del sangue su di sé. Si sedette su un masso, continuando a guardare in basso; Maria sollevò una mano, passandola con una carezza sulla sua chioma di aculei: non poteva sentirli, ma ricordava come erano fatti.
Shadow rabbrividì, sollevando lo sguardo nel punto in cui era lei, senza vederla: sembrarono quasi starsi guardando reciprocamente, perfettamente allineati com’erano. Per un attimo Shadow sembrò avere lo sguardo di cinquant’anni prima.
Maria sorrise, bevendosi quell’espressione con gli occhi, prima che scolorisse velocemente, tornando cupa, inaccessibile. Shadow piegò le braccia, come prendendo la spinta prima di distaccarsi da terra, prendendo il volo ed allontanandosi a velocità supersonica da quel bagno di sangue. La ragazza lo seguì con gli occhi, vedendolo scomparire fra le nuvole.
 
A Shadow ogni tanto sembrava quasi di sentirla. Come una sensazione elettrica, di stranissima tensione, a metà fra il calore di un momento e la paura di sentirne la mancanza. Seduto su un tronco caduto, alzò gli occhi sul lago davanti a sé: persino lui sentiva il bisogno di una nuotata rigenerante, di lavarsi via tutto il sangue di dosso, suo e degli altri. Non che lui riuscissero a farlo sanguinare così spesso, si intende.
Ancora bagnato, gli aculei lievemente riversi all’indietro, sentiva le gocce d’acqua scivolargli sul viso, sulla schiena, ma non provò alcun brivido: rabbrividì nel sentire di nuovo quella sensazione. Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi. Maria era lì. Ed era come se non ci fosse. Rimaneva una sua percezione, di cui non poteva essere sicuro.
La ragazza  lo osservò, sentendo il cuore pesante: bizzarro per qualcuno di incorporeo sentirsi pesante.
«Non volevo questo. Non volevo vederti passare la tua vita lontano da tutto e tutti, incapace di dimenticare e perdonare. Tu meriti di più, meriti di essere felice come lo eravamo insieme, di nuovo, con qualcun altro. Non volevo questo per te, Shadow. Io volevo salvarti».
Era vero. Non era tanto per salvare l’umanità intera che lo aveva spedito via in quella capsula all’arrivo dei militari. Voleva davvero che LUI si salvasse, che vedesse la Terra come dovevano fare insieme, che realizzasse i sogni di entrambi per entrambi. Quanto era evidente che non era così…
Si avvicinò a lui, passando la mano fra i suoi aculei, quasi pettinandoli nel seguire la piega che avevano preso per l’acqua. Shadow strinse gli occhi, cercando di definire meglio quella sensazione, di renderla più uniforme, quasi palpabile, fisica. Trattenne il respiro, concentrandosi… Doveva vederla. Doveva vedere Maria.
«È proprio da te. Persino la Vigilia giochi a fare il Principe delle Tenebre solitario ed isolato».
Shadow aprì di scatto gli occhi, riconoscendo all’istante quella voce arrogante e provocatoria. Si girò, sentendo affievolirsi la sensazione, maledicendo Sonic per questo, appoggiato su un ramo come se niente fosse.
«Ma che bel regalo mi ha mandato Babbo Natale… ed io che pensavo di essere stato un bambino cattivo», sogghignò il riccio nero, sollevando massi intorno a sé con la forza del Chaos, pronto a scaraventarglieli addosso. Maria guardava Sonic, con un piccolo sorriso accennato: le era sempre piaciuto quel riccio blu; diverso da Shadow come fosse la sua nemesi, eppure non poteva fare a meno di apprezzarlo, di stimarlo, di ritenerlo indispensabile per il riccio nero. Se non si fossero incontrati probabilmente la strada presa da Shadow sarebbe stata molto, molto più nera. Le ombre l’avrebbero divorato, portandolo a scegliere la parte peggiore di sé. Shadow non era perduto, però… Maria lo sapeva.
Che fosse stato Sonic a salvarlo?
«Non ci sarebbe mai stato abbastanza carbone per te… Hanno deciso di mandarti me come punizione. Io direi che ti è andata bene» sorrise Sonic, scendendo giù dal ramo, avvicinandosi a lui sicuro.
«A te, invece, non poteva andare peggio» Shadow mosse velocemente le mani, scaraventando i massi contro il riccio, che cominciò a saltare a velocità supersonica da un albero all’altro, in un’impercettibile scia blu. Shadow continuava a muovere le mani, concentrato, seguendo quella scheggia impazzita con gli occhi, anche loro impazziti, frenetici. Sonic si diede una spinta proprio su uno dei massi, rispedendolo al mittente. Shadow lo evitò, saltando, lanciandosi contro il riccio in un combattimento corpo a corpo.
La ragazza li guardava, indifferente agli oggetti che volavano da una parte all’altra, piegando la testa nell’osservarli: ogni volta che si incontravano, finivano per battersi, tranne rarissime eccezioni. Era inevitabile. A dire il vero per Shadow era difficile non battersi; eppure con Sonic era diverso. Di rado vedeva quell’odio e quella rabbia cieca che lo guidavano negli altri scontri; c’era qualcosa di più “sano” nel loro battersi, una voglia di confronto, di sfida. Ossessivo, si, ma in fondo nessuno dei due era molto equilibrato…
Maria guardò Sonic, il suo sorrisetto sprezzante, i suoi occhi verdi che gridavano vita e non poté fare a meno di ringraziare che i loro destini fossero legati. Forse lui… forse…
Forse lui avrebbe permesso a Shadow di andare avanti. Di dimenticarsi di lei.
Sorrise appena, abbassando il volto, chiudendo gli occhi, prima di sparire, il cuore appena meno pesante.
«Te lo affido, Sonic».
«Eh?» il porcospino blu abbassò la guardia, guardando oltre Shadow interrogativo, come cercando di vedere meglio qualcosa. Si distrasse troppo però. Un montante lo colpì proprio sotto al mento, spedendolo qualche metro più in là. Sonic si rimise in piedi, massaggiandosi la mascella dolorante, mentre Shadow incrociava le braccia, guardandolo compiaciuto.
«Per essere così veloce hai i riflessi lenti…» lo provocò, con un sogghigno appena accennato, osservandolo rimettersi in piedi.
«Mi sono solo distratto. Mi pareva di aver visto qualcosa alle tue spalle. Sembrava quasi una ragazza. Bionda», lo disse quasi sovrappensiero, ignaro di cosa davvero significasse quella frase per il rivale.
Il sorriso di Shadow svanì di colpo, mentre le sue pupille si riducevano ad una fessura, nel voltarsi di scatto alle proprie spalle. Che cosa aveva detto?
Scattò verso Sonic, sollevandolo da terra nel prenderlo per il collo: «Cosa?? Che diavolo hai detto, Faker? Cosa faceva, cosa diceva?».
Sonic portò le proprie mani a quelle di Shadow, tentando di togliersele di dosso, spiazzato dalla reazione del rivale: «C-cosa? Nulla, non sono neanche sicuro di averla vista! Lasciami, dannazione!»; fece partire un calcio in sua direzione, che Shadow schivò, lasciandolo.
Il riccio blu si massaggiò il collo, guardandolo di sottecchi: forse ce l’aveva fatta ad impazzire del tutto, non c’era altra spiegazione. Shadow guardava a terra, senza capire, stringendo i pugni: com’era possibile? Allora Maria era davvero lì? E perché quello stramaledetto riccio era riuscito a vederla, e lui no? Continuava a spostare lo sguardo da terra a Sonic, trattenendo la voglia irrefrenabile di dargli un altro pugno in faccia.
Sonic sbatté le palpebre, rinunciando a capire. In fondo, c’erano sicuramente un’infinità di cose sul rivale che era sicuro di non sapere. Ne era certo. Sospirò a lungo, non abituato alla sensazione di sentirsi inutile: eppure con Shadow era così; non poteva domandargli, poteva solo aspettare. E sperare che prima o poi si fidasse di lui.
«Fa freddo. Andiamo via, Shad. C’è una bella cena che stanno organizzando Amy e Cream, verrà anche Rouge. Era per questo che ti stavo cercando» non aggiunse altro, cercandolo con lo sguardo e trovandolo sfuggente. Sembrava combattuto, più del solito. Forse neanche l’aveva sentito parlare.
Rimasero in silenzio per un po’, prima che Sonic sospirasse, scuotendo la testa. Si voltò, pronto ad andarsene.
«Se vuoi, noi siamo lì».
Lo guardò oltre la spalla per un altro po’, prima di arrendersi. Non avrebbe spiccicato un’altra parola. Era chiaro.
Shadow lo guardò saltare via, allontanandosi fra le fronde, scivolando via rapido. Deglutì, prima di portarsi una mano al volto, massaggiandosi le palpebre. Non era pronto. Non era ancora pronto. Ma semmai lo fosse stato, era convinto che sarebbe stato Sonic a sapere di Maria. Lo avrebbe raccontato a lui.
 

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Capitolo 8
*** Infinite ***


“Ti stavo aspettando, Shadow”.
Non aveva idea di chi fosse.
Sembrava quasi uno sciacallo nero, se non fosse stato per la chioma bianca, come la punta della coda. Ciò che veramente lo lasciava spiazzato era quella maschera, però.
Come faceva a riconoscerlo se non riusciva a guardarlo in faccia?
Non era quella però la cosa importante in quel momento.
“Dimmi cosa hai fatto ad Omega”.
L’unico occhio visibile della creatura, giallo e dall’iride rossa, lo fissava implacabile.
Se Shadow non fosse stato com’era, avrebbe avuto i brividi lungo tutto il corpo. Quello sguardo non aveva niente di umano.
“Essere inutili come lui non hanno importanza. Avanti, Shadow… Ora che siamo finalmente qui riuniti, tu continui a sputare fuori cose senza senso”.
Ma di che diavolo stava parlando?
Shadow si preoccupò per un secondo: e se non aveva ricordato proprio tutto, dalla sua amnesia? Se c’era qualcosa del suo passato che ancora non conosceva?
“Non ho idea di chi tu sia. L’unica cosa che non ha importanza è quella tua boccaccia”.
La creatura rise, una risata metallica e crudele che rizzò gli aculei del riccio nero.
“Immaginavo lo avresti pensato”.
Un’altra risata e Shadow strinse i pugni. Stava cominciando ad innervosirsi. Cos’è che sapeva più di lui?
La creatura si calmò, guardando di nuovo verso il basso, verso Shadow.
“Io sono Infinite. Dici di non conoscermi, eppure io mi ricordo benissimo di te”.
Infinite?
Non conosceva nessuno con quel nome.
Il riccio si trattenne dalla voglia di materializzarglisi accanto, piazzandogli un calcio in faccia. Doveva sapere.
“Per te, quella non era altro che l’ennesima base di Eggman, che hai distrutto senza pensarci due volte”.
Shadow assottigliò lo sguardo. Base di Eggman?
Era una delle creazioni del Dottore?
Shadow si sforzò di ricordarsi, ma non c’era verso. Non aveva idea di chi diavolo fosse.
Il suo silenzio sembrò innervosire appena la creatura sospesa sopra di lui, che strinse un pugno, prendendo un profondo respiro.
“Sono diventato ciò che sono a causa tua, e tu nemmeno ti ricordi…”.
Infinite fece una pausa, che frustrò il riccio nero ancora di più. Poi, ad un tratto, un sogghigno.
“Beh, immagino che vada così di solito. Vuol dire semplicemente che il vecchio me era troppo debole, troppo patetico da ricordare”.
La rabbia delle sue parole era in ogni sillaba, ma non sembrava rivolta a Shadow. Piuttosto a sé stesso.
Ad un tratto, una parola risuonò nella mente del riccio, improvvisa: indegno.
La creatura sollevò una mano, indicando Shadow.
“E ora sei diventato poco più che un insetto, che aspetta di essere schiacciato”.
Shadow si mise in una posizione di guardia, pronto a scattare. Aveva aspettato anche troppo. Chiunque fosse quel tipo, era completamente fuori di testa.
E decisamente arrogante per i suoi gusti.
“Grazie al potere senza limiti che ho ottenuto, sono diventato inarrestabile”.
La mano sollevata verso Shadow si mosse violenta, colpendo Shadow con una strana scia rossa, troppo veloce da evitare. Era più veloce di Sonic.
“PRENDI QUESTO”.
Shadow accusò il colpo, venendo spazzato via.
 
Aprì gli occhi: Green Hill.
Cosa diavolo era successo?
Ad un tratto sentì la voce di Rouge che lo chiamava.
“Shadow? Shadow, mi senti?”
“C-cosa? Dov’è finito Infinite?”
Shadow cominciò a correre, facendo a pezzi qualsiasi robot si trovasse davanti. Green Hill, com’era possibile? Un secondo prima era in tutt’altro luogo.
Rouge stessa non sapeva di cosa stesse parlando.
“Siamo venuti a prendere Omega, ricordi? È stato distrutto tre mesi fa… Ritorna in te!”
Il riccio nero osservò qualcosa di diverso nel panorama della valle. Una scia rossa, simile… simile a quella che l’aveva colpito. Che diavolo era? Non era niente di naturale.
Doveva starne lontano, poco ma sicuro.
Shadow continuò a correre, distruggendo qualsiasi macchina gli sbarrasse il cammino. Una furia cieca lo muoveva e la sensazione di non essere padrone della situazione gli fece ribollire il sangue. Non era abituato a quella sensazione.
“Qui è dove Omega è stato distrutto, ma non c’è segno di lui”.
Una risata di Rouge, totalmente fuori luogo.
“Sì, è vero. Forse perché non è mai realmente successo”.
Cosa?
Poi la voce di Omega, metallica, robotica.
“Non sono mai stato sconfitto”.
Omega? Era vivo?
“Non sono debole. Non sono debole. NON SONO DEBOLE. NON SONO DEBOLE”.
La voce di Omega si perse nel vuoto, sembrando quasi che si stesse sciogliendo.
Shadow si fermò per un istante, evitando all’ultimo una di quelle scie rosse e mettendosi una mano sulla fronte.
Oddio, la sua testa… gli pulsava, dolorosamente.
Che cazzo stava succedendo e perché Rouge e Omega si comportavano così?
Shadow si piegò su sé stesso, stringendosi il volto con entrambe le mani, in un gemito di frustrazione e dolore.
No.
Non era assolutamente preparato ad una situazione in cui non era lui ad avere il controllo.
Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi.
 
Quando li riaprì, Infinite era di nuovo davanti a lui, sospeso nel vuoto.
“C-cosa? Ma dove…”
Gli occhi gialli e vitrei dell’avversario lo scrutavano, ora che erano di nuovo lontano da Green Hill.
“Sono… di nuovo qui?”
Ad un tratto, comprese.
No.
“È… un’illusione?”
Di cosa diavolo era capace quel tizio?
Sembrava addirittura più forte di Silver la prima volta che lo incontrarono.
“Questa è la realtà, Shadow. La tua. Non mi aspettavo di vederti tornare vivo, ma devi ammetterlo, è stato uno spettacolo magnifico, non è vero?”
L’orgoglio che traspariva dalle sue parole fece venire voglia al riccio di disintegrarlo in quell’istante. Il potere del Chaos Control stava fermentando in tutto il suo corpo, facendogli pulsare le vene di rabbia.
Infinite rise, senza freni.
“Oh, questo potere… prima ancora che lo mettessimo a punto. Proprio come pensavo…”
Shadow serrò i pugni.
“… non ha rivali. Nemmeno Sonic potrà fare niente contro di me adesso”.
Sonic?
Infinite rise ancora, una risata psicotica e folle, mentre Shadow provò per un momento più unico che raro una sensazione che non provava dall’ultima volta in cui aveva visto Maria.
Paura.
Che cosa c’entrava Sonic? E cosa voleva da lui?
“Sonic? Di cosa stai parlando?”
Il rimbombo di un’esplosione fece voltare Shadow di scatto.
“Che cos’è stato?”
Quando tornò su Infinite, la creatura si stava già allontanando. Shadow si preparò a scattare.
“Fermo! Dove credi di andare, Infinite?”
La risata malefica esplose di nuovo, promettendo di popolare i suoi incubi.
Shadow balzò in aria, voltandosi di scatto per assestargli un calcio in faccia ed incontrando… il vuoto.
Infinite era sparito.
Completamente svanito nel nulla.
Shadow si ritrovò a fissare il vuoto davanti a sé, completamente impotente.
Serrò la mascella, trattenendo un urlo in fondo alla gola.
Lui non era impotente. Non era possibile che lo fosse, di fronte a nessuno.
All’improvviso la voce vellutata di Rouge lo scosse dai suoi pensieri.
La ascoltava a malapena, calcolando la prossima mossa da fare: Eggman aveva scatenato un attacco sulla città, bombardandola dall’alto.
“Diamogli una A per l’impegno, ma non c’è niente di cui preoccuparsi. Siamo in vantaggio. Anche Sonic è lì, perciò non penso sia un problema così grande da scomodare te”.
La voce melliflua di Infinite risuonò nella testa del riccio nero, pungente.
Nemmeno Sonic potrà fare niente contro di me adesso.
I brividi tornarono a rizzare gli aculei di Shadow.
No. Qualcosa non andava. Un brutto presentimento portò il suo cuore a battere più veloce: il Dottor Eggman non avrebbe mai fatto una mossa così azzardata, a meno che…
La voce di Rouge tornò, terrorizzata: “S-Shadow! N-non va bene! C-corri, vai lì!”
Shadow digrignò i denti, prima di teletrasportarsi via.
Avevano a che fare con qualcosa che non avevano mai affrontato prima.
Il motivo per cui sentì l’urgenza di correre lì, però, non fu quello di salvare il mondo.
No, l’aveva già fatto una volta, mantenendo la promessa che aveva fatto a Maria.
L’unica ragione per cui importava essere lì in quel momento era solo una.
Sonic.
Se qualcuno doveva sconfiggerlo, non sarebbe stato Infinite, né nessun altro.
Sarebbe stato solo e solamente lui.



Nota dell'autrice:

Ciao ragazzi!
È passato un bel po', vero? Ho iniziato questa raccolta tre anni fa, interrompendola nel momento in cui non ho trovato più nulla da dire su un personaggio che ho amato tanto e che ancora adesso tengo nel cuore.
Ultimamente ho giocato a Sonic Forces e, sebbene non mi abbia particolarmente colpito, ho apprezzato il brevissimo capitolo su Shadow e l'antagonista del gioco, Infinite. La voglia di scrivere una piccola flashfic mi è tornata, avendo qualcos'altro da dire.
Spero l'apprezziate come avevate apprezzato i capitoli precedenti.
Ci tengo a salutare e ringraziare i meravigliosi lettori che mi avevano seguito in questa raccolta: Rae_01, shinichi e ran amore, f9v5, ladyzaphira, Vicarious10 e The_Visored_Story_Teller. Spero tanto di rivedervi anche qui, vecchi amici :)
Un saluto a tutti!

 

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