Inverni da ricordare

di crazy lion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I bambini e la renna ***
Capitolo 2: *** Lezioni di pattinaggio ***
Capitolo 3: *** Demi e lo spirito del Natale ***



Capitolo 1
*** I bambini e la renna ***


Ciao a tutti e buon Natale, anche se in ritardo!
Mi sembra più giusto iniziare con l'angolo autrice qui anziché alla fine di questa prima storia. Mi scuso per essere sparita dal sito per mesi, soprattutto con i lettori di "Cuore di mamma". (Per chi non stesse leggendo la mia long potete comunque farlo con questa raccolta, le due hanno solo il fandom e alcuni personaggi, anche originali, in comune, ma qui spiegherò in ogni storia chi sono questi ultimi così, se qualcuno volesse leggere per esempio solo la seconda one shot, riuscirebbe comunque ad orientarsi). Come ho spiegato nell'avviso in fondo al capitolo 108 di quella storia e nella mia pagina autore, vari problemi molto gravi in famiglia e alcuni di salute mi hanno tenuta, con mio gran dolore, lontana dalla scrittura, facendo in modo che la mia ansia fosse, e in realtà sia ancora, così forte che riesco solo a scrivere one shot. Credetemi, questa è una cosa che fa male a me quanto a voi che leggevate, ci faccio tanti di quei pianti che non potete immaginare. Ma non potevo certo sapere che il problema di mia mamma avrebbe avuto un peggioramento e che anche mio padre non sarebbe stato bene, né che la mia depressione di cui soffro da anni sarebbe peggiorata così come l'ansia. Ho mezzo capitolo pronto, dopo l'operazione di mio papà a gennaio sarò più tranquilla e tornerò a scrivere. Questo non per lamentarmi o altro, ma per spiegarvi che non ho abbandonato quella storia o il sito così, perché non mi andava più di scrivere o non avevo ispirazione, ma per motivazioni serie che non sono dipese dalla mia volontà.


Come ho detto riesco a scrivere le one shot, così ho deciso di fare un'altra raccolta di racconti di Natale. Avrebbero dovuto essere quattro ma l'ultima idea non mi convinceva per una storia natalizia, per cui la terrò per una futura one shot che publicherò a parte. Questa serie di storie è già completa e sì, so che è da pazzi iniziare a pubblicare nel bel mezzo della notte ma non dormivo, così ho pensato che farlo mi avrebbe aiutata, poi, a riposare meglio.


Le prossime due storie arriveranno nel corso della giornata di oggi.
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
INVERNI DA RICORDARE

 
 
DEDICA
 
Questa serie di storie è dedicata alla mia amica Emmastory, una persona speciale che sa ascoltarmi, capirmi, farmi ridere e starmi accanto nei momenti belli come in quelli difficili.
Un grazie grandissimo anche per l’aiuto che mi dà nel tradurre in inglese le mie FanFiction.

 
 
INTRODUZIONE
 
Non mi sarei mai aspettata di fare una seconda raccolta natalizia, non so perché, forse pensavo che le raccolte non fossero nel mio stile.
Il 13 dicembre da me è nevicato, pochissimo purtroppo, e dato che ero triste per questo Emmastory mi ha mandato dei prompt per ispirarmi. Non in tutti, comunque, sarà presente la neve.
Dei cinquanta ne ho scelti tre che mi piacevano particolarmente, ambientati in momenti diversi della vita di Demi ma sempre nel periodo natalizio o delle feste.
Saranno storie più leggere rispetto al mio solito, anche se ci saranno comunque i problemi di Dianna, in particolare l’anoressia, spiegazioni di quanto Patrick ha fatto a lei e alle figlie e il bullismo subito da Demi.
Come sempre, anche se le vicende sono inventate e il clima di questi racconti è un po’ più felice di altri che ho scritto, non mancherò di fare riferimento a fatti realmente accaduti nella vita di Demi riportando le note, nelle quali ripongo molta importanza e che vi consiglio di leggere. Inoltre tutte le mie storie sono ambientate a Los Angeles, perché ho sempre fatto così ancora prima di sapere che Demi da piccola avesse vissuto in Texas.
 
Volevo spiegarvi la scelta del titolo. Come suggerisce la trama, “Inverni da ricordare” si riferisce al fatto che queste storie sono ambientate durante l’infanzia di Demi e l’infanzia o l’adolescenza di altri tre personaggi: Dallas, Andrew e Carlie, gli ultimi due amici di Demetria e inventati da me, e che tutti in futuro ricorderanno, chi più chi  meno, ciò di cui parlano questi racconti.

 
 
NOTA INIZIALE:
questa prima storia può essere considerata un sequel di “Cronaca di un felice Natale”, scritta a quattro mani con Emmastory e pubblicata qui a gennaio. Si ambienta infatti pochi giorni dopo, ma questa può essere letta anche senza averlo fatto con la precedente.
 
 
 
 
 
 
I BAMBINI E LA RENNA
 
Era il 31 gennaio e Demi, a cinque anni - o cinque e quattro mesi, come amava precisare - era felice. Aveva trascorso giorni tranquilli con la sua famiglia, senza audizioni né altri impegni. Le piaceva fare tutto ciò, ma amava molto di più la tranquillità casalinga e soprattutto, come ogni bambino, in quel periodo dell'anno adorava lo spirito del Natale. Se la notte della Vigilia non era caduta molta neve il Natale era stato meraviglioso: aveva ricevuto molti regali ma soprattutto un cucciolo, Buddy, un Cocker Spaniel bianco che in quel momento era seduto accanto a lei sul letto. Con la schiena leggermente incurvata e le zampe davanti dritte, si guardava intorno e scodinzolava, battendole ogni tanto la testina sul braccio alla ricerca di coccole. A quello che le aveva detto la mamma, aveva due mesi.
"Adesso devi essere tu la sua mamma" le ricordava spesso.
Quando Demi, il giorno prima, le aveva chiesto dove Babbo Natale l'avesse preso, lei le aveva risposto che il vecchio signore dalla barba bianca le aveva mandato una lettera per spiegarle che l'aveva trovato abbandonato in un canile del polo nord assieme ai suoi fratelli, che aveva regalato ad altri bimbi. Demi ovviamente ci aveva creduto - la storia del canile era vera, comunque, ma si trovava lì a Los Angeles - e aveva pensato che adottare un cane da uno di quei posti fosse ancora più bello e importante. Immerse le mani nel folto pelo del cagnolino, passandogliele poi sopra le lunghe orecchie morbide. Lui abbaiò piano, attento a non svegliare nessuno.
“Bravo” mormorò la piccola, che stava cominciando ad educarlo.
A volte Buddy non la ascoltava, ma del resto nemmeno lei dava sempre retta alla mamma, per cui cercava di essere paziente e di non arrabbiarsi con quella dolce palla di pelo, anche perché quando la guardava il suo cuore si scioglieva e non riusciva più a sgridarla.
Era mattina presto e la bambina era stata svegliata dal balzo del cane sul suo letto pochi minuti prima. Sentendo dei rumori in cucina si infilò le calze di lana e le ciabatte e scese, seguita dal suo piccolo amico che zampettava allegro dietro di lei. L’ambiente non era molto grande ma accogliente, con al centro un tavolo rettangolare, quattro sedie tutt’intorno, un frigo e una dispensa a poca distanza e un piccolo tappeto davanti al lavello. Ma la cosa che alla bambina piaceva più di tutto era il lungo ripiano di marmo lì accanto, sul quale si trovavano i fornelli, il microonde e un piatto con della frutta. Quando Eddie era venuto a vivere con loro, lui e Dianna avevano rifatto la cucina della casa, arredando di nuovo tutta l’abitazione e ridipingendo alcune stanze, e avevano comprato quel ripiano che a Demi aveva sempre dato la sensazione di qualcosa di antico e importante.
"Ciao, mamma!" esclamò, vedendola già in piedi e ai fornelli.
"Buongiorno tesoro. Dormito bene?" le chiese Dianna, che poi le sorrise e si avvicinò per darle un bacio.
"Molto, tu?"
"Abbastanza."
Come succedeva da tempo si alzava alle quattro di mattina, non aveva mai molto sonno, e iniziava a pulire cercando di fare il meno rumore possibile. Se dovevano uscire si pettinava, truccava, vestiva e faceva di tutto per essere perfetta. Doveva esserlo. Era sempre molto stanca ma cercava di non darlo a vedere, soprattutto a Dallas o al compagno Eddie. Farsi aiutare avrebbe significato essere debole, e lei non voleva dare quest'immagine di sé. Nessuno ama chi è debole e non voleva certo perdere Eddie, un uomo che le dava così tanto affetto e stabilità. Scosse la testa per scacciare quei pensieri.
"Che stai cucinando?" chiese ancora la piccola con voce melodiosa.
"Pancake ai frutti di bosco."
A Dianna veniva la nausea nel vedere tutto quel cibo, le sembrava molto più di quanto era in realtà. Purtroppo la sua malattia, l’anoressia, che l’aveva intrappolata da tanti anni, di cui nessuno si era ancora accorto, che lei nascondeva e che negava a se stessa con tutte le forze, le faceva vedere il cibo in maniera distorta. No, si disse, non li avrebbe mai mangiati. Demi iniziò a saltare per la gioia, inebriandosi del profumo delicato che saliva dai fornelli, ma Dianna le disse di fare piano per non svegliare gli altri. Eddie e Dallas arrivarono poco dopo e, quando tutti furono seduti, iniziarono a mangiare. aLa donna prese uno yogurt magro dal frigo, controllò le calorie e decise che anche se a suo parere erano tante, avrebbe dovuto mandarlo giù per non far insospettire nessuno.
“Non ti vanno i pancake?” le domandò il marito.
“No, preferisco questo. Sto bene, solo non ho molta fame.”
Eddie le lanciò uno sguardo preoccupato, ma quando Dianna gli sorrise si tranquillizzò. Capita a tutti di non avere molto appetito, a volte.
I pancake erano buonissimi, avevano un sapore delicato ma non troppo che li rendeva davvero invitanti. Dianna mandava giù cucchiaiate a forza, passando quella sostanza densa da una parte all’altra della bocca e sperando che sarebbe scomparsa o si sarebbe sciolta. Ma non poteva continuare a succhiarla per minuti interi o qualcuno se ne sarebbe reso conto, così ad un certo punto ingurgitava e le pareva che il suo corpo volesse rigettare tutto subito dopo. Solo con uno sforzo immane, non seppe nemmeno lei come, riuscì non solo a terminare il suo pasto, ma anche a non correre in bagno a vomitare.
"Cosa facciamo stasera?" domandò Dallas.
A soli nove anni non aveva certo l'età per andare a qualche festa dell'ultimo dell'anno con i suoi amici, cosa della quale i genitori erano in un certo senso contenti. La loro figlia era già molto responsabile ed erano sicuri lo sarebbe stata anche in futuro, ma speravano che sia lei sia Demi non sarebbero cresciute troppo in fretta. E chissà, si dissero con un sorriso, magari avrebbero allargato la famiglia prima o poi.
"Ci troviamo con Andrew e i suoi per festeggiare, facciamo da loro quest'anno ma portiamo un paio di torte salate e della pasta al forno" spiegò Eddie.
Ma dobbiamo sempre parlare di questo maledetto cibo? Mi fa ingrassare, se mangio non sarò mai perfetta, e se non lo sarò nessuno mi vorrà più, anche Eddie pensò Dianna, che pregò Dio che qualcuno cambiasse argomento.
Non era perfetta in niente, comunque, né come moglie, né come donna, né tantomeno come mamma. Lei si sforzava, ci provava, ma falliva. Perlomeno, controllando il proprio peso e il suo aspetto in quel modo, le sembrava di avere anche un po’ di controllo sulla propria vita.
Andrew era il migliore amico di Demi praticamente da sempre e i sei anni di differenza dei due bambini non avevano impedito loro di legarsi molto profondamente sin dalla tenera età.
"Guardate fuori!"
Il grido di Demetria spaventò tutti, compreso Buddy che andò a nascondersi sotto il tavolo dietro i piedi di Dallas.
"Che succ…" iniziò la mamma con l'intento di sgridarla ma si bloccò quando, osservando dalla finestra, notò che stava nevicando molto abbondantemente e che almeno tre centimetri di neve erano già per terra.
"Una vera e propria tempesta!" esclamò Eddie. "Eppure il meteo diceva che sarebbe piovuto."
Di sicuro era cominciata poche ore prima quando ancora tutti dormivano, e dato che i giorni precedenti c'era stato bel tempo a parte pochissima neve caduta la notte della Vigilia, quella che ora stava venendo giù si attaccava subito e bene al suolo. Nonostante i fiocchi fossero abbondanti, si depositavano con delicatezza e parevano leggiadre ballerine che danzavano in punta di piedi per non far rumore.
"Posso giocarci?" domandò ancora la più piccola di casa, battendo i piedi elettrizzata alla sola idea.
La neve si vedeva così poco a Los Angeles, una città in cui quella stagione di solito era mite, che quando avveniva il contrario per i bimbi era un miracolo.
"So che muori dalla voglia, cara" iniziò Eddie.
"Anch'io, eh!" si intromise Dallas, tanto per puntualizzare.
"Okay, signorine, immagino non vediate l'ora, ma prima finite la colazione" ridacchiò l'uomo.
Le bambine obbedirono sbuffando appena e sperarono che i genitori non se ne fossero accorti. Sapevano che a loro non piaceva quando si comportavano in quel modo, ma a volte la voglia di giocare era troppa. Terminato di mangiare, tutti andarono a pettinarsi e si vestirono con una tuta pesante, dei doposci, un paio di guanti e uno spesso cappotto con il cappuccio per proteggersi dalla neve e dal freddo. Dianna tirò l’ennesimo sospiro di sollievo stando attenta a non farsi sentire: grazie al cielo era arrivata quella roba bianca a distrarre tutti dal cibo.
“Arrivo subito” disse, poi andò in bagno, chiuse la porta e si tolse le ciabatte per mettersi sopra la bilancia.
I secondi che dovette attendere prima di vedere quel numero sembrarono non passare mai, i battiti del suo cuore erano impazziti.
Quarantasei chili? Come ieri, in pratica.
Durante le vacanze natalizie aveva mangiato troppo rispetto ai suoi standard e aveva preso un chilo che ora non riusciva più a perdere.
“Che schifo” mormorò. "Se Eddie si accorgerà di quanto sei grassa e imperfetta in tutto non ti vorrà più e, se chi ti conosce lo noterà, ti odierà."
Lui l’aveva sempre vista molto magra e non le faceva domande, da un po' perlomeno, il che significava che non aveva più dubbi e che era abituato alla sua magrezza, che essa non lo preoccupava per ora. A volte si era accorto che mangiava poco, ma lei era sempre riuscita a trovare delle scuse credibili. La donna si toccò le cosce, i fianchi, la schiena, si guardò allo specchio e si vide orribile, grassissima, le pareva che ogni parte del suo corpo stesse per scoppiare.
E poi, a dirla tutta, non si sentiva nemmeno una buona madre. Solo pochi mesi prima le maestre l’avevano chiamata perché Demi si era fatta la pipì addosso, cosa che non era mai successa prima, e quell’episodio si era ripetuto per diversi giorni fino a quando Dallas aveva fatto notare alla madre che ciò avveniva da quando avevano visto il film “It”, che Dianna non ricordava nemmeno di aver lasciato guardare loro e si era stupita della sua disattenzione. Se fosse stata più attenta non avrebbe mai permesso loro di vederlo. Ogni volta che era andata in un bagno che non fosse quello di casa sua, le aveva spiegato Demi quando ne avevano parlato, si era spaventata perché aveva ricordato la scena in cui un clown, nascosto nelle fogne, tira qualcuno giù per il tubo di scarico. E quindi, ogni volta che si era avvicinata al bagno della scuola, aveva visto un clown pronto a fare lo stesso con lei. Dianna aveva parlato a lungo con la figlia riguardo ciò che era reale e quello che non lo era riuscendo a calmarla, ma si era sentita male per settimane per non essersi accorta di nulla. Come aveva potuto?
Riguardandosi, si disse che era solo una cicciona. Ma non c’era tempo per vomitare. Si mise le mani davanti alla bocca ed urlò, ma le aveeva premute così tanto sulle labbra che nessuno udì niente. Qualche lacrima sfuggì al suo controllo, ma la asciugò con un rapido gesto della mano, poi raggiunse la sua famiglia.
Stavano per uscire quando suonò il campanello: si trattava proprio di Andrew con i suoi genitori Frank e Joyce e la sorellina Carlie, che aveva quasi la stessa età di Demi.
"Nevicaaa!" urlò questa ancora prima che gli altri avessero la possibilità di salutare e come se i vicini non se ne fossero già resi conto.
I suoi occhi azzurri erano illuminati da un sorriso che non pareva lasciare mai il suo viso dolce.
"Abbiamo visto, piccola" le rispose Dianna accarezzandole i capelli biondi. "Copriti o ti bagnerai tutta" aggiunse poi abbassandole il cappuccio.
Dopo i saluti, fu Joyce a parlare. Assomigliava molto alla figlia nell'aspetto e anche lei era magra e piuttosto alta.
"Stavamo pensando di andare in macchina fino ad un bosco e poi fare una passeggiata. Vi va di venire con noi? Possiamo usare una sola auto, la nostra è grande, c'è spazio."
Aveva un’espressione serena e tranquilla e anche il suo volto trasmetteva calma. Dianna la invidiò, lei non si sentiva così da tantissimi anni. Aveva sofferto troppo, tra la relazione con Patrick che si era trasformata in un rapporto abusivo, il suo problema con l'anoressia che cercava di nascondere a tutti, il fatto che voleva essere la migliore delle madri, sempre perfetta, e mangiare poco e a volte vomitare la aiutava a sentire che aveva un po' di controllo sulla propria esistenza. Per ora Eddie non si era accorto di nulla, si ripeté, lei cercava di non dimagrire troppo e resisteva con sforzi sovrumani per non contare le calorie di ogni cibo e capire come avrebbe potuto smaltirle, perlomeno lo faceva quando lui era presente. Si  riscosse.
"A me sì, voi che dite?" domandò.
"Tesoro, abbiamo già detto di sì" mormorò il marito circondandole le spalle con un braccio. "Ti senti bene?"
"Sì, ero solo soprappensiero."
Davvero si era isolata così tanto dagli altri da non udire niente? Partì con tutti sentendosi strana, sicura che non sarebbe riuscita a godersi il momento. Chissà perché le venne da pensare a Patrick. Le figlie lo vedevano pochissimo e lui chiamava spesso dicendo che voleva incontrarle e insultandola, a volte lo faceva tanto nel giro di pochi giorni, altre Dianna non lo sentiva più per mesi. Non gli lasciava vedere le figlie praticamente mai perché capiva che poteva essere pericoloso per loro, sicuramente ubriaco o drogato e, cosa di cui si sarebbe resa conto in seguito, l’uomo soffriva anche di qualche disturbo mentale. La sensazione di non essere al sicuro e che nemmeno le sue bambine lo fossero la metteva in uno stato di agitazione continua.
“Amore, che ti succede?”
La voce dolce di Eddie la distrasse e sembrò accarezzarle il cuore e l’anima facendola sospirare di sollievo.
“Niente, niente. Godiamoci questa mattinata” disse, decisa a farlo.
Ci avrebbe provato, almeno.
"Come mai stai in silenzio, oggi?" chiese Andrew all'amica e i loro occhi si incontrarono, verde nel marrone. "Ti senti male?"
"No, va tutto bene. Solo, non so cosa dire. Sono stati giorni bellissimi e sono felice."
Andrew sorrise.
Era bello sentire la sua migliore amica pronunciare quelle parole. Il bambino sapeva benissimo che Patrick, il padre biologico di Demi e Dallas, non era stato un uomo buono, gliel'avevano spiegato i suoi genitori. Lui ricordava di aver passato dei bei momenti con quel signore, ma anche se Frank e Joyce non erano entrati nel dettaglio nascondendogli tutta la violenza che aveva perpetrato nei confronti di Dianna, lui, i genitori e la sorella avevano sentito spesso litigare i due. Demi non gli aveva parlato un granché di quello che era successo, forse non si sentiva pronta o era stato troppo brutto e il ragazzino lo rispettava, ma era felice che nonostante questo lei fosse contenta. Andrew era ancora troppo piccolo per rendersi conto che traumi come quelli che aveva vissuto Demi lasciano segni molto più profondi che un po' di lacrime e di tristezza, segni che sarebbero emersi pian piano, negli anni a venire.
"Anch'io sono felice. E tu, Carlie?" le chiese il fratello, che trovava giusto includere anche lei nella conversazione.
"Sì, certo. Sono le vacanze di Natale" replicò, come se questo rendesse ovvio che l'unica emozione che si poteva provare era la gioia.
Demi sorrise amaramente.
Se Carlie avesse saputo quanto erano stati difficili gli anni precedenti prima che incontrassero Eddie, anche durante il periodo natalizio nel quale la mamma continuava a mangiare poco e a rimettere e lui tornava a casa ubriaco e lanciava in giro cose urlando come un pazzo, forse la bambina avrebbe capito che non per tutti era così bello e facile. Ma anche lei era piccola, ed era giusto che non sapesse certe cose per il momento. Non che Patrick fosse stato sempre cattivo, anzi, voleva molto bene a lei e a Dallas, solo che a volte era stato… beh, non trovava la parola giusta ma di certo non poteva definirlo buono se pensava a quelle situazioni. Andrew, che si rese conto del cambiamento d'umore della bambina, le strinse una mano per confortarla.
"Adesso passa" gli sussurrò, ma i suoi occhi erano ancora tristi.
"Non vedo l'ora di tornare a scuola, sapete?" fece allora lui, per cambiare argomento, passandosi una mano fra i corti capelli castani per pettinarli meglio.
Gli adulti stavano parlando fra di loro, i bambini non prestavano attenzione alle loro parole.
"Ma sei scemo o cosa?" si intromise Dallas, seduta in uno dei tre sedili in fondo, tra i genitori.
"Dallas, il linguaggio!" la rimproverò bonariamente la mamma. "Ci sono due bambine piccole, qui."
"Scusa. Comunque dai, come accidenti fa a piacerti la scuola? Sì, si imparano un sacco di cose, ma è noiosissima a volte."
"Vero, certe materie lo sono, però almeno si sta con i propri compagni. O preferiresti studiare a casa?"
"No, per carità!" esclamò mettendosi le mani davanti alla bocca per enfatizzare il concetto.
"Ecco, appunto. Fare i compiti non è sempre il massimo, però."
"Anche noi vogliamo fare i compiti" dichiararono le bambine all’unisono.
“Sono sicuro che quando saprete cosa sono non sarete più così entusiaste all’idea” si intromise Frank.
“Sì, appunto” borbottò Andrew, poi il viaggio proseguì in silenzio mentre le piccole non facevano che pensare a quanto sarebbe stato bello studiare come lui.
Risalirono una collina e lungo la strada videro solo qualche casa. Ormai erano usciti dalla città da un pezzo, abbandonando il continuo traffico, per immergersi in luoghi più tranquilli. Con le catene che Frank aveva messo alle ruote della macchina il tragitto non era stato difficile, ma per sicurezza l’uomo rallentò dato che stava facendo una salita. Arrivato in cima si fermò e tutti scesero, trovandosi davanti una lunga strada dritta alla fine della quale iniziava il bosco. Intorno a loro tutto era silenzio o quasi, si sentiva ogni tanto qualche uccellino da lontano ma quei cinguettii sembravano insicuri, timidi, come se i rari passeri che cantavano si rendessero conto che d'inverno il bosco era addormentato e non andava disturbato. Era proprio così che appariva a tutti, anche alle due bambine, che se lo figuravano come un vecchio stanco e assonnato che era giusto lasciare in pace. Demi si sentiva un po’ male all'idea di doverci entrare, quasi che farlo avrebbe disturbato i tanti animali che, lo sapeva, erano in letargo.
"Perché non giochiamo a palle di neve qui, prima di andare?" propose ancora Frank. "Non c'è molta neve, è vero, ma ci si può comunque divertire e non daremo fastidio a nessuno."
A quelle parole i quattro bambini si illuminarono.
"Sì!" gridarono praticamente all'unisono.
Gli adulti stabilirono delle regole: la neve non andava tirata in testa, in bocca o in altre parti troppo sensibili del corpo e bisognava lanciare solo quella, non il ghiaccio, o si rischiava di fare del male agli altri. Lasciarono che fossero i figli i primi a colpire loro, del resto sembrava la cosa più giusta. Andrew raccolse un po' di neve da terra, più volte perché non ce n'era molta e con una sola manciata non era possibile fare una palla vera e propria e colpì il padre ad una gamba, anche se questi tentò di scansarla. Ogni volta che li vedeva, sia vicini che non, Demi non faceva altro che notare quanto si somigliassero - non solo nel fisico e nell’altezza - non erano di certo bassi -, ma anche per i lineamenti del viso e il sorriso dolcissimo. Dianna ne tirò una a Dallas che fece un salto all'indietro, scivolò e cadde a terra, ma riuscì a proteggersi la testa e non si fece male, anzi, scoppiò a ridere sguaiatamente e con lei tutti gli altri, quando si sincerarono che stava bene. A Demi toccò la terza palla, lanciata questa volta non da un adulto ma da Carlie, e fu colpita alla pancia. La bambina allora partì al contrattacco e riuscì a prendere la propria avversaria su un braccio, ma quando ci riprovò questa si gettò a terra di lato e la schivò. Iniziò così una battaglia di tutti contro tutti, dove nessuno vinceva o perdeva, ma ognuno si divertiva un mondo nel giocare con gli altri. Ad un certo punto però i bambini formarono una squadra ei genitori un'altra e allora cominciò una vera e propria guerra. Tutti gridavano, ridevano come pazzi, battevano le mani o i piedi se riuscivano a non essere colpiti. Vinsero i bambini dopo interi minuti di fervente combattimento, un po' perché erano bravi e un po' perché i genitori li lasciarono vincere, come fanno tutti quelli del mondo con i loro figli, soprattutto se piccoli. Si sa, per una mamma e un papà non c'è niente di più bello che vedere il proprio bambino sorridere, ma erano anche felici che i figli avessero imparato ciò che avevano insegnato loro, ovvero che l'importante non è vincere ma divertirsi.
Dopo tanto giocare gli otto, stanchi, tornarono in macchina e si sedettero con il riscaldamento acceso per asciugarsi e scaldarsi un po'. Nel frattempo Joyce tirò fuori un termos.
"Cosa c'è dentro?" chiese Dallas.
"Cioccolata calda, ho portato anche dei bicchieri. Ce n'è per tutti, ora ve la do."
"Ti aiuto a servire" si offrì Dianna, felice di dare una mano all'amica che già era stata così gentile ad invitarli.
Le pareva giusto almeno fare questo per lei anziché rimanere lì con le mani in mano. Decise he avrebbe bevuto la cioccolata per farla contenta, ma che per i giorni successivi avrebbe mangiato il meno possibile e anche fatto più movimento.
Felici come non mai, i quattro bambini attesero con trepidazione il loro bicchiere. Poco dopo tutti gustarono uno o, nel caso di Demi, Carlie, Andrew e Joyce, due bicchieri di quella deliziosa bevanda dal sapore delicato e non troppo dolce, leccandosi addirittura le labbra una volta finito da quanto era piaciuta loro. Demetria pensò che avrebbe fatto volentieri lo stesso anche con l’interno del contenitore, ma non si azzardò per non risultare maleducata. Dianna fu l’unica che non la apprezzò, perché l’avrebbe fatta diventare una balena e quindi il sapore era schifoso. Più volte fu tentata di sputarla e, ancora, si sforzò per non farlo.
"Ora possiamo andare nel bosco? Possiamo? Possiamo?" domandò Demi a ripetizione, tanto da far male alle orecchie dei grandi.
Ci era stata solo un'altra volta, forse, non ricordava e, anche se temeva di svegliarlo, era comunque curiosa di vederlo.
"Certo, adesso faremo una bella passeggiata" le assicurò Eddie.
Fu così che, prendendo la mano di Andrew, la bambina partì con lui in testa alla fila.
"Conosci bene questi posti?" chiese all'amico.
"Molto, ci vengo spesso con mio padre durante tutto l'anno" rispose il bambino e la bimba lo invidiò.
Era felice di cantare e recitare, anche se non l'avevano presa per fare "Barney And Friends" pochi mesi prima. Bisognava avere sei anni e saper leggere, e anche se lei ne aveva cinque aveva voluto provare. Si era allenata per giorni con Dallas che aveva inventato un metodo per insegnarle a leggere ma quando al provino, ad un certo punto, le avevano dato cose che non aveva mai visto, i giudici avevano capito che non sapeva farlo e l’avevano squalificata. Una volta in macchina, Demi aveva detto però alla mamma che avrebbe voluto continuare a fare audizioni. Comunque, a volte le sarebbe piaciuto avere un po' più di tempo per giocare o, come nel caso dell’amico, fare cose così belle come andare nel bosco. La mamma le diceva sempre che avrebbe potuto smettere se avesse voluto, tuttavia a lei piaceva ciò che faceva e non se ne lamentava mai, perché sapeva già che il canto e la recitazione erano le sue passioni. Certo, era stata Dallas quella che aveva recitato di più, ma lei almeno stava tentando.
La neve che si posava con un tic delicato sopra i loro cappucci e quella soffice che calpestavano creavano una sinfonia perfetta. Ora nevicava meno di prima, ma comunque quella sostanza bianca - Demi sapeva che era acqua ghiacciata, ma le pareva troppo bella e non voleva credere che si trattasse solo di quello - restava asciutta e farinosa, segno che le temperature non si erano alzate. Una volta entrati nel bosco, tutti smisero di chiacchierare e rimasero ad ascoltare il leggero vento che, alzatosi, friniva fra gli alberi.
"Possiamo andare un po' più in là?" chiese Andrew ai genitori.
"Per me sì, ma bisogna vedere cosa ne pensano Eddie e Dianna" rispose Joyce.
"Va bene," assentì quest'ultima, "ma non allontanatevi troppo, vogliamo vedervi; e state attenti, d'accordo?"
I quattro annuirono e cominciarono a camminare a passo più sostenuto, con Andrew che li guidava. Il terreno era sconnesso, anche sotto quel sottile strato di neve si potevano sentire aghi di pino caduti a terra e radici che affioravano e bisognava fare attenzione se non si voleva cadere e storcersi una caviglia. Allontanatisi di circa un centinaio di metri, i bambini si fermarono e si guardarono intorno. Vedevano molti pini, qualche abete e altre piante di cui ora non ricordavano il nome. Ce n'erano di piuttosto basse, ma anche di molto alte che, ovviamente spoglie, sembravano giganti che protendevano le braccia verso di loro per proteggerli. Ogni tanto si udiva qualche scricchiolio, ma per il resto nulla.
"Si sta benissimo qui, ci credo che tuo padre ti ci porti spesso!" esclamò Dallas estasiata.
"A volte lo fa anche con me, raccogliamo le fragole" disse Carlie tutta contenta. "Sono buonissime, le avete mai assaggiate?"
"No" dissero insieme le sorelle.
“O almeno, non quelle di bosco” precisò la più grande.
"Possiamo prenderle, Andrew?" chiese Demi, che non vedeva l'ora di sentirne il sapore.
"Ora no, fa freddo e bisogna andare molto in là per trovarle. Di solito si trovano da maggio a ottobre, adesso non credo proprio ce ne siano. Vi prometto però che una volta vi porteremo con noi."
"E poi le nostre mamme faranno la marmellata" disse ancora Demi con voce sognante cominciando a fantasticare. "Sapete cosa mi piacerebbe vedere? Anzi, chi?" continuò.
Gli amici e la sorella la esortarono a proseguire perché non ne avevano idea.
"Una renna vera. Ma non, per dire, in uno zoo o in un… come si chiamano quei posti dove ci sono gli animali?"
"Circhi?" provò Andrew.
"No!" esclamò la bambina quasi inorridendo: la mamma le aveva insegnato che spesso quelli erano brutti posti.
"Parchi naturali?" chiese Dallas.
"Esatto, quelli."
"E dove allora?"
Stavolta fu Carlie a parlare, quell'argomento la incuriosiva. Aveva sempre e solo visto le renne in televisione o da alcune immagini legate al Natale, a Babbo Natale e alla sua slitta, non aveva mai pensato di volerne incontrare una vera, ma sarebbe stato bellissimo.
"Nel bosco" rispose l'altra bambina con una semplicità e una naturalezza disarmanti.
Dallas, che dato che era più grande capiva certe cose, e Andrew che aveva un anno e mezzo più di lei, si lanciarono uno sguardo interrogativo come a dire:
"E adesso come glielo spieghiamo?"
Fu lui a prendere la parola dopo essersi schiarito la voce.
"Beh, le renne qui non ci sono in natura, fa troppo caldo."
“Non ci credo. E se qui ci fosse proprio una renna? Anzi, ne sono sicura. È bianca, bellissima, sta in questa zona e noi saremo i primi a vederla, lo so. Chissà, magari è stato proprio Babbo Natale a portarcela e a fare che riesce a vivere anche qui, aspettando che la vedono dei bambini.”
Demi, di solito sempre molto attenta nel parlare, aveva sbagliato alcuni verbi e saltato un paio di parole, cosa che fece sorridere la sorella e il suo amico, che però non la corressero. Aveva raccontato la storia con talmente tanto fervore, con una convinzione così forte, che per un momento li aveva rapiti e tutti, lasciando da parte ciò che poteva accadere nella realtà, si erano fatti prendere la mano dalla fantasia e dall’immaginazione e si erano figurati quell’animale candido che camminava lasciando impronte nella neve. Qualcuno stava per dire qualcosa, ma si bloccarono tutti. Avevano sentito un rumore nella neve, come se qualcosa con gli zoccoli stesse camminando verso di loro. Non vedevano ancora niente perché avevano la visuale coperta da alcuni alberi che si trovavano davanti a loro, ma si paralizzarono all'istante con i cuori che battevano all'impazzata e il respiro corto, mentre alle più piccole un sudore freddo correva giù per la schiena. I più grandi sapevano che avrebbero dovuto prenderle per mano e correre via, ma la paura li immobilizzava. E se quelli non fossero stati zoccoli? Se si fosse trattato per esempio di un lupo? Anche se tali animali vivono molto in alto, per cui era praticamente impossibile che uno di quei bestioni fosse arrivato lì. Con la testa confusa, non sapendo né cosa pensare né che fare, i bambini si guardavano intorno come spaesati. La creatura, grande quanto un puledrino, si avvicinò a passi lenti annusando l'aria. Tutti si rilassarono vedendo che era piccola.
"Una renna" sussurrò Demi.
Non poteva crederci, ne aveva appena parlato. A Carlie sembrava diversa, più brutta di quella che aveva visto in tv o nelle foto ma Andrew, Dallas e Demi parevano essere d’accordo, per cui si fidò. La guardarono meglio non muovendo un muscolo. Era completamente bianca, una rarità quindi, dato che le renne hanno per la maggior parte il pelo bruno anche se sono bianche intorno al collo e alla coda. Ce l'aveva molto folto e il corpo era robusto, anche se non certo come quello di un adulto.
"Stiamo fermi" sussurrò Andrew a voce più bassa possibile. "Non dobbiamo spaventarla."
La creatura fece qualche altro minuscolo passo verso di loro, ora era a circa un metro e mezzo di distanza. Era meravigliosa, se la neve fosse stata più alta si sarebbe mimetizzata benissimo con essa e con il paesaggio circostante. Li guardava con i suoi occhietti blu scuro e non sembrava impaurita, anzi. Vedendo che i quattro erano calmi lei si sentiva allo stesso modo ed era curiosa nei loro confronti.
"Voglio avvicinarmi" disse Carlie a voce alta, tanto che la renna fece diversi passi indietro.
"Shhh, ferme. È comunque un animale selvatico e non sappiamo cosa potrebbe fare. Inoltre non possiamo toccarla, può essere pericoloso" spiegò Dallas.
"Ma io voglio farlo!" insistette Demi.
I più grandi faticavano a credere a quello che stavano vedendo, sia perché le renne abitano in Scandinavia, Lapponia, a Terranova quindi in Canada, e in Alaska, non certo a Los Angeles, sia perché sapevano che partoriscono in giugno e quel cucciolo sembrava avere solo qualche giorno. Non li stupiva che camminasse, i piccoli di quella specie imparano a farlo già nella prima ora di vita e ben presto riescono anche a correre. Le bambine, invece, non avevano dubbi: quella renna esisteva davvero, era troppo bella per essere solo frutto della loro immaginazione.
"Dovremmo dargli un nome" propose Demi. "O darle. Come facciamo a sapere se è un maschio o una femmina se non la vediamo da vicino?"
"Io ho il nome perfetto in ogni caso" disse Dallas. "Che ne dite di Snowflake? Ci sta, no? In fondo è bianca come la neve e sì, forse suona più come un nome maschile, ma non è detto."
Tutti furono d'accordo e sorrisero e la renna, quasi avesse capito che stavano parlando di lei, si avvicinò stavolta a lunghe falcate. Pareva aver perso tutta la sua iniziale timidezza. Piegò la testa quando fu a pochi centimetri dai bambini, tanto che i quattro potevano sentire il suo fiato caldo e si abbassò per annusare loro le scarpe e le gambe. La sensazione del suo muso morbido e peloso che li toccava fu qualcosa di meraviglioso, trasmise a tutti un senso di calore e dolcezza senza eguali che fece sciogliere i loro cuori.
"Ciao, Snowflake" disse Demi con tutta la tenerezza di cui fu capace.
La renna bramì, e a tutti il suo verso parve una sorta di muggito ma più delicato di quello delle mucche, era un verso strano. Li aveva salutati e li guardava respirando tranquillamente, segno che si fidava di loro. Inoltre restava vicina, vicinissima, quasi che non si volesse staccare mai più da quel gruppetto di visitatori. Forse aveva capito che anche loro erano dei cuccioli come lei, o semplicemente lo percepiva da qualche sorta di vibrazione del loro corpo, dal fatto che non si muovevano in modo brusco o magari, anche se questa era una spiegazione più fantasiosa alla quale credevano solo Demi e Carlie in quanto bambine, sapeva grazie al suo cuoricino che loro erano buoni e non volevano farle del male. Bramì ancora una volta, più a lungo.
"Proviamo a darle qualcosa da mangiare" disse Carlie e, chinandosi, scavò nella neve con la mano guantata e tirò su una manciata di erba.
Non sapeva che le renne si nutrono specificatamente di alcuni tipi di piante come i licheni o i funghi e che quella prendeva solo il latte materno essendo ancora così piccola, per cui quando allungò il cibo verso di lei questa alzò la testa ma non lo assaggiò nemmeno. Le sfiorò la mano col muso come per ringraziarla comunque e la bambina rise.
Andrew e Dallas non dissero nulla, ormai non sapevano nemmeno loro a cosa credere. Una parte di loro urlava che ora Carlie avrebbe potuto prendere la rabbia o altre malattie terribili, l'altra mandava a fanculo la razionalità in quella situazione che di normale non aveva proprio niente.
Demi provò ad allungare una manina per toccare Snowflake ma, dopo aver fatto lo stesso gesto riservato all'altra bambina e averle leccato la mano con la sua lingua calda e umida per darle un bacino facendo spuntare un sorriso sul volto della piccola, la renna sparì. Non nel senso che scappò via spaventata, né che iniziò a camminare per allontanarsi. Scomparve proprio, un secondo prima era lì davanti a loro e quello dopo al suo posto restava solo la neve.
"Si è… volatilizzata o cosa?" chiese Dallas.
"Ce la siamo solo immaginata" sussurrò Andrew per non farsi sentire dalle piccole. "Demi ne ha parlato e ci siamo immersi tutti nelle loro fantasticherie. Ma è stato bellissimo lo stesso. E poi, per un momento potremmo credere anche noi che sia stato tutto vero e che ora sia tornata dalla sua mamma. Non costa nulla, no?"
La più grande sorrise e si ritrovò d’accordo mentre le piccole, un po' dispiaciute per non essere riuscite ad accarezzare il suo pelo soffice, erano altrettanto eccitate all'idea di aver incontrato una renna vera e di esserle state tanto vicine.
"Io l'ho detto e il mio desiderio si è avverato!" esclamava Demi saltellando di qua e di là. "Forse me l'ha mandata Babbo Natale, anche se non sembrava una delle sue."
Sì, decise, doveva essere stato lui, o forse la Befana le aveva fatto una specie di regalo in anticipo prima della calza. Quale che fosse la verità, era comunque felice di aver vissuto quei momenti magici ed era sicura che, come aveva detto Andrew, ora quella renna era tornata dalla sua famiglia.
Ritornate dai genitori, le bambine raccontarono quello che era successo fin nei minimi dettagli non tralasciando nulla, nemmeno le loro emozioni parlando senza sosta per tutto il viaggio di ritorno e gli adulti stettero al loro gioco, perché non c'è niente di più bello della fantasia e dell'immaginazione di un bambino.
Quella notte, dopo la festa di Capodanno, Demi si mise a letto pensando che ora erano entrati nel 1998 e chissà cos'avrebbero vissuto in quei lunghi, dodici mesi. Si addormentò sognando di poter incontrare di nuovo Snowflake, ma quando si svegliò si rese conto che forse non sarebbe mai accaduto e il suo umore precipitò all’improvviso. Restò sveglia a lungo girandosi e rigirandosi sotto le calde coperte senza riuscire a trovare più pace e si riaddormentò dopo un tempo indefinito cadendo in un sonno senza più sogni e sentendo ogni parte del suo corpo pesare immensamente. Era come se la tristezza non avesse attaccato solo il suo animo ma anche il fisico.
Il giorno dopo chiese alla mamma di portarla di nuovo nel bosco. Era mezzogiorno quando si svegliarono e la donna acconsentì dopo che ebbero pranzato. Demi la portò esattamente nel punto dove avevano trovato la renna descrivendole di nuovo tutto, ma di lei nessuna traccia.
"Mamma, perché non c'è? Era mia amica!" si lamentò la bambina, mentre la sua bocca si curvava all'ingiù.
Sentiva il suo piccolo petto alzarsi e abbassarsi con difficoltà, come se un grande sasso lo stesse schiacciando e aveva voglia di piangere. Gli occhi le pizzicavano, ma non voleva scoppiare lì davanti alla sua mamma. Non era colpa sua se Snowflake non si era fatta vedere e poi lei era stata gentile a portarla lì nonostante la stanchezza.
Dianna seguì il ragionamento della figlia, non volendo farla stare peggio.
"Non lo so, tesoro, ma sono sicura che si ricorda di te e di tutti voi. Forse è da un'altra parte del bosco o è andata in un altro con sua mamma."
Ma non è giusto! pensò l’altra.
Eppure non poteva farci nulla. La bambina si accontentò di quella risposta ma, con il cuore addolorato, una volta in camera scoppiò a piangere con il cuscino sulla faccia. Vi restò a lungo, guardando fuori dalla finestra come se la piccola renna potesse venire a bussare proprio lì da un momento all’altro, ma non vide nessuno se non persone e automobili, come al solito. Quel giorno poi c’era il sole, la neve che era caduta si stava sciogliendo e ciò acuiva il dolore della piccola.
Dianna venne a sapere da Joyce, quel giorno, che anche Carlie aveva avuto la medesima esperienza, solo in un altro momento e che era tristissima come Demi.
Il giorno dopo quest'ultima fece un disegno che mostrò ai genitori.
"È Snowflake" chiarì, alzandolo come fosse stato un trofeo.
Lì in salotto c'era anche Dallas che, guardandolo, sorrise.
"È un disegno bellissimo, brava!" si complimentò. "L'hai fatto proprio bene."
Non esistendo un pennarello bianco, Demi aveva disegnato una renna rosa anche se sapeva che non ce n’erano di quel colore. Certo era pur sempre uno schizzo infantile, ma lo sguardo, le zampe piantate per terra, il muso piegato, tutto questo lo faceva assomigliare ad una renna vera.
"Appendiamolo in salotto" propose Dianna e così, poco dopo, quel foglio fu attaccato al muro, vicino alla porta della cucina.
Demi passò la maggior parte del tempo in camera a osservare fuori come il giorno prima e giocò distrattamente con alcune bambole che si portò su. Non si divertì sul tappeto del salotto come faceva di solito, riempiendo la casa di risate e allegria. Fare quel disegno l’aveva alleggerita un po’, ma non tanto quanto avrebbe voluto.
 
 
 
Dallas, al contrario, era tranquilla perché sapeva la verità, ovvero che tutti erano stati intrattenuti nel parlare della renna e dovevano essersela immaginata più o meno simile e avevano fatto un gioco con quelle immagini mentali. Certo era stato molto strano, comunque, perché ci avevano perfino parlato. Non era stato un gioco come gli altri, questo era poco ma sicuro. Demi, però, era piccola e non poteva capire tutte quelle cose. Era giusto che continuasse a credere in ciò che voleva, ne aveva tutto il diritto e poi, se non si fosse lasciata prendere la mano dalla fantasia e dall'immaginazione e non avesse creduto a ciò adesso che era piccina, quando l'avrebbe fatto? Mai più, semplice e tristemente vero, perché crescendo si cambia e si smette di farlo, anche se Dallas credeva che bisognasse conservare dentro di sé un pizzico di magia per restare sempre un po' bambini. Lei, per esempio, credeva ancora a Babbo Natale anche se sapeva benissimo che non esisteva perché accidenti, farlo era bello.
Si diresse in camera della sorella, bussò e ricevuto il permesso di entrare aprì.
"Dem, la mamma sta facendo la cioccolata. Ne vuoi una tazza?" le chiese, sapendo che la bimba non avrebbe rinunciato a quel dolce per nulla al mondo, lo adorava.
"No" rispose lei un po' assente.
Se ne stava in piedi davanti alla finestra e non guardava nemmeno la sorella maggiore, anche se si rendeva conto che era maleducato.
L'altra provò a convincerla, a chiederle se voleva giocare insieme a lei e cose simili, ma Demi continuò a negare con la voce o la testa. Inutili furono i tentativi dei genitori di farle tornare un sorriso anche quando, quella sera, scese per cena. Demi non sapeva perché fosse così triste. O meglio, sì, ma non capiva il motivo dato che aveva visto quell'animale soltanto una volta e per pochi minuti. Non ci era così legata come lo era, per esempio, a Buddy. Eppure stava in quel modo, non poteva farci nulla. La notte, dopo un altro pianto, si addormentò con gli occhi che bruciavano e il suo cane vicino che, resosi conto dello stato d'animo della padroncina, la consolava con piccole leccate sulle mani e sul viso.
Passarono così due giorni. La mattina del 5 gennaio si alzò e scese per colazione, e quando passò vicino all'albero - che di solito smontavano dopo l'Epifania - vide un pacchetto di carta gialla chiuso da un nastro argentato. Era strano, non si era mai accorta di quel regalo e vederlo lì solitario le fece domandare fra sé a chi fosse destinato. Forse i genitori avevano deciso di regalare qualcosa ad Andrew? Ma allora perché non anche alla sorella? E Joyce e Frank sarebbero restati senza doni? E il motivo di quel pacchetto, poi, visto che Natale era già passato, qual era? Restò a guardarlo fino a quando fu raggiunta dalla mamma che uscì dalla cucina.
"Ti stai domandando di chi è, vero?" le chiese la donna abbracciandola.
"Sì."
"Come ti senti oggi?"
"Un po' meglio, grazie."
Aveva la sensazione di essere più leggera, ma era ancora triste. Sorrise per far felice la mamma, ma era sicura che il suo sorriso non fosse stato convinto.
Poco dopo arrivarono anche Eddie e Dallas, e solo allora la ragazza si decise a parlare.
"Babbo Natale ci ha scritto che ha saputo che sei triste" cominciò.
"E come ha fatto a saperlo?"
"È magico, lui sa sempre tutto."
Demi ci credette e lasciò che l'altra proseguisse.
"Quindi mi ha fatto sapere che, in via eccezionale, meritavi un altro dono. Coraggio, aprilo."
Demetria prese il pacchetto con mani tremanti, sentendo di nuovo il cuore battere all'impazzata contro la cassa toracica come la mattina di Natale. Guardava quel regalo con gli occhi sbarrati e restava con il fiato sospeso, non riuscendo quasi a muoversi. Si sedette sulla poltrona e tolse il nastro, poi cominciò a scartare strappando la carta in tanti pezzi come fanno i bambini, perché voleva sapere subito di cosa si trattava.
"Ma…" Il suo viso si aprì in un sorriso che parve illuminare la casa intera e poi la bimba impallidì tanto che Dallas credette che sarebbe svenuta. "Ma è il peluche di Snowflake!" esclamò la piccina avvicinandoselo per guardarlo meglio. “Cioè, sembra proprio lei.”
Era uguale in tutto e per tutto: il colore, l'espressione, ogni cosa era identica.
"Lo è. Babbo Natale sa chi è quella renna e ha scritto che anche se non potremo vederla più ti ha fatto fare questo pupazzo apposta dai suoi folletti. Potrai averla comunque accanto, sei contenta?"
La piccola non riusciva a smettere di sorridere e una solitaria lacrima di gioia le bagnò una guancia.
Dallas si commosse nel vedere la sorellina tanto felice e così i genitori. Per qualche giorno la ragazza aveva girato vari negozi della città con Andrew per trovare un peluche identico e alla fine, non sapeva nemmeno lei grazie a quale miracolo divino o a che fortuna più che immensa, ne avevano trovati due che erano le copie perfette di quello del bosco.
Senza nemmeno riuscire a parlare, Demi abbracciò con calore tutti quanti.
"Grazie, grazie, grazie!" esclamò, pur sapendo che avrebbe dovuto ringraziare Babbo Natale. “E Carlie? Se non l’ha ricevuta, giocheremo insieme con la mia.”
“Sei molto gentile tesoro ma no, tranquilla, ne ha una anche lei” la rassicurò la mamma.
La piccola guardò Snowflake decidendo che sarebbe stata una femmina e, mentre accarezzava il suo pelo soffice come la neve, mormorò:
"Tranquilla, Snowflake, da adesso in poi staremo per sempre insieme."
 
 
 
NOTE:
1. Demi aveva davvero un Cocker Spaniel, ma si chiamava Trump ed era nero. L’ho letto nel memoir di Dianna, “Falling With Wings: A Mother’s Story”. L’ho chiamato Buddy perché questo cane era stato inventato da me ed Emmastory nella storia “Cronaca di un felice Natale”.
2. Nel mio immaginario era stato Patrick ad andarsene dopo l'ennesima delle loro furiose litigate, mentre nel libro di Dianna - letto dopo aver scritto diverse fanfiction - ho scoperto che è stata lei a farlo. Non volendo cambiare tutto quello che avevo scritto, però, ho lasciato questa mia invenzione, facendo quindi in modo che Eddie andasse a vivere da loro e non il contrario. La donna, comunque, aveva cercato di andare via già quando Demi era molto piccola (otto mesi), ma il marito ridicolizzandola era riuscito a farla restare.
3. Tutte le cose che ho scritto su Dianna sono vere (soffriva di anoressia anche se non so se vomitasse, suppongo di sì però, depressione, depressione post partum, PTSD ovvero disturbo post traumatico da stress - anche se qui non ne parlo - e, più avanti, di dipendenza dallo Xanax. Dopo la nascita di Madison ha anche sofferto di ADHD, Sindrome da deficit di Attenzione e Iperattività). Ho cercato di descrivere dei comportamenti tipici delle persone anoressiche, non so se lei li avesse tutti o solo alcuni.
Ecco un passaggio del memoir che descrive bene come la donna si sentiva più o meno nel periodo in cui la storia si ambienta:
I tried my best to be the perfect mother. Rising a full two hours before my kids, I still washed and styled my hair and applied makeup each morning like I was stepping on stage. Looking good and being skinny were essential to my self-esteem. Although I felt happy and secure in my new life, I was still tormented by the need to look and be perfect. God might love me as I was, but other people surely wouldn’t.

Traduzione fatta da me:
Facevo del mio meglio per essere la madre perfetta. Alzandomi due ore prima delle mie bambine, mi lavavo e acconciavo i capelli e mi truccavo ogni mattina come se stessi salendo sul palco. Apparire bella ed essere magra era essenziale per la mia autostima. Sebbene mi sentissi felice e sicura nella mia nuova vita, ero ancora tormentata dal bisogno di apparire ed essere perfetta. Dio poteva amarmi per com’ero, ma altre persone sicuramente non l’avrebbero fatto.

Spero si capisca che l’anoressia non è solo una questione di ossessione per la magrezza o per il non mangiare, ma parte tutto dalla testa, da problemi, dolori, bassa autostima, e questi ultimi accomunano tutti i disturbi alimentari.
Non so se Dianna abbia mai pensato che se non fosse stata abbastanza magra e perfetta Eddie non le avrebbe voluto più bene, in fondo sapeva che la amava, ma è possibile che a volte ci abbia riflettuto in quanto queste malattie fanno vedere le cose in maniera distorta.
Anche l'episodio della paura di Demi, il fatto che Patrick le telefonasse spesso e alcuni suoi comportamenti come lo svegliarsi presto sono reali. Ho letto tutto ciò nel suo memoir. Non so, però, quanto avesse Demi quando lei e Patrick si sono lasciati. Avevo scritto tre anni in un'altra storia prima di leggere quel libro, ma alcuni articoli e anche il memoir sembravano suggerire un anno e mezzo o poco più, benché la biografia di Dianna non lo dica esplicitamente. Dato che volevo che avesse dei ricordi più vividi della situazione ho continuato a scrivere tre anni.
4. Vero, Dallas aveva fatto più esperienza rispetto a Demi, anche perché era più grande, ma comunque anche se non è stata presa per "Barney And Friends" per i motivi che ho spiegato, Demi ha detto veramente alla mamma di voler continuare con le audizioni. Anche queste informazioni sono state tratte dal memoir.
5. Ho trovato le informazioni sulle renne su internet, su vari siti italiani e stranieri.

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Capitolo 2
*** Lezioni di pattinaggio ***


LEZIONI DI PATTINAGGIO
 
Era il 26 dicembre e a Demi, che aveva poco più di nove anni, pareva che solo in quel momento potesse finalmente tirare un gran sospiro. In particolare negli ultimi mesi, ma non solo, per lei e Dallas la vita era stato un continuo di audizioni, in particolare sin da quando avevano vinto il "Cinderella", ovvero un concorso di bellezza per bambine e ragazzine qualche anno prima, nel quale tra l’altro entrambe avevano anche cantato. Mantenendo la promessa fatta alla mamma ma soprattutto a se stessa, quell'anno Demi aveva provato di nuovo a partecipare a "Barney And Friends" e finalmente era stata presa, e anche gli ultimi giorni di dicembre erano stati pieni di impegni in quanto la loro insegnante di recitazione, Cathryn Sullivan, aveva mandato lei e la sorella in un'agenzia di moda e, dopo un paio di settimane, Dallas era stata presa per lavorare in una pubblicità. Per ora a lei non era successo, ma la reputava comunque una bella esperienza.
Seduta sulla poltrona del salotto, guardava la mamma dormire sul divano, avvolta in una coperta di lana. Il pancione era davvero grosso e si vedeva benissimo. Il bambino - Dianna non aveva voluto sapere il sesso, così com'era stato nelle gravidanze precedenti - sarebbe dovuto nascere il 12 gennaio 2002, o almeno questo era quanto aveva previsto il dottore. Nel pensare a quella data, Demi sospirò.
Ti prego, non nascere proprio quel giorno pensò.
L'importante era che stesse bene, certo, ma Demi non faceva altro che ripetersi 12 gennaio nella mente e ogni volta le veniva quasi da piangere. Sentì gli occhi pizzicare e si girò dall'altra parte, quasi che avesse paura che la mamma potesse vederla, per prendere un gran respiro e sciogliere il groppo che le si era formato in gola.
 
 
 
In una casa a poca distanza, un ragazzo di quindici anni stava studiando seduto alla scrivania della sua camera. Sbuffò e sbatté il quaderno di storia sul tavolo. Perché dovevano esserci tutte quelle stramaledette date? L'insegnante aveva dato parecchie pagine da studiare e delle domande alle quali rispondere, e ovviamente non erano le uniche cose che avrebbe dovuto fare.
"Tutto a posto, fratellone?" chiese una bambina che, come sempre, non si degnò nemmeno di bussare. Andrew però adorava Carlie, non la sgridava quasi mai per questo. La piccola gli si avvicinò e si sedette sulla sedia accanto a lui. "Cosa stai studiando?" domandò con voce squillante, dato che il fratello non le rispondeva.
"Storia" mugugnò il ragazzo in risposta.
"Bella!"
"Eh, certo, fantastica. Darei a te tutte queste pagine se solo avessi l'età giusta per capirle."
"Ehi! Ho nove anni, io!"
Era nata a settembre. Aveva un mese in meno di Demi, migliore amica del fratello praticamente da sempre.
"Posso leggere?"
"Certo."
La bambina cominciò a guardare gli appunti del fratello, passando poi al libro aperto lì vicino.
"In effetti sembrano cose molto difficili" disse girando una pagina, "però comunque interessanti."
I capelli biondi della piccola sembravano quasi risplendere bagnati dalla luce del pallido sole di quel pomeriggio. Erano bellissimi. Andrew invece li aveva castani  e li teneva sempre corti a differenza di qualche suo compagno di scuola che se li lasciava crescere, perché si sentiva meglio così. Era anche felice di somigliare molto al padre un po' in tutto.
"Se lo dici tu."
"Dai, devi trovare un po' d'entusiasmo! Altrimenti non finirai più."
"Su questo hai ragione" concordò e le sorrise.
Ma quella camera, nella quale c’erano una libreria piena di libri di scuola e uno zaino che usava per andarci, non trasmetteva molta positività. Le uniche cose che riuscivano a farlo erano i poster dei suoi cantanti preferiti appesi alle pareti, che tra l’altro davano un tocco di colore all’ambiente e la playstation, con la quale amava giocare, su un lato del tavolo che sembrava chiamarlo e invitarlo ad utilizzarla con tono dolce e insistente. L’avrebbe usata presto, decise, anche perché non vedeva l’ora.
Passò le successive due ore a studiare e, verso le sedici, raggiunse la mamma in cucina, dalla quale i bambini sentivano arrivare un buon profumo.
"Mamma, che stai preparando?" chiese Carlie alla donna.
Joyce, una signora magra e alta con i capelli legati in una coda di cavallo e sempre un bel sorriso stampato in volto, si girò a guardare i figli e poi rispose:
"Marshmallow. Ho pensato che, visto che siamo in periodo di festa, potrebbero andare benissimo con la cioccolata calda e chissà, magari a Demi farebbe piacere riceverne un po'. Andrew, potresti portarglieli tu, per favore?"
"Ma mamma," iniziò il ragazzo, "credo che non sia il momento più adatto, no? Dianna partorirà tra quasi tre settimane, vorranno stare tranquilli."
"Li ho appena chiamati. Dianna mi ha detto che puoi passare; Demi oggi è un po' triste e le farebbe bene avere compagnia."
La sua migliore amica era triste? E come mai? L'espressione di Andrew cambiò per lasciare il posto ad una profonda inquietudine. Forse Patrick aveva ancora chiamato insultando Dianna, oppure era venuto a casa loro e aveva distrutto ancora il giardino com'era successo anni prima. In quell'occasione, tra l'altro, aveva lasciato sulla strada i segni delle frenate dell'auto che erano ancora presenti e Demi e Dallas, a casa con un'amica di famiglia che faceva loro da babysitter mentre Dianna e Eddie erano via, si erano nascoste dopo aver chiuso ogni porta, finestra e spento tutte le luci. Demetria aveva raccontato ad Andrew che erano stati momenti terribili nei quali Patrick non aveva fatto altro che urlare insulti contro sua madre e lei aveva temuto di fare anche il più piccolo rumore mentre il cuore le batteva sempre troppo forte. Immerso in quei ricordi, non immaginando nemmeno lontanamente cosa la sua amica dovesse aver passato, Andrew quasi non si accorse che la mamma gli aveva messo parecchi marshmallow in un cestino coperto con un tovagliolo, mentre Carlie si era già riempita la bocca.
"Sono ottimi, mamma!" stava esclamando, ma le sue parole si capivano appena.
"Non si parla a bocca piena, tesoro" la rimbrottò la donna in modo bonario, poi ne assaggiò qualcuno anche lei.
Non resistendo, Andrew fece lo stesso; poco dopo, però, andò vicino al bagno, aprì la scarpiera, tirò fuori un paio di scarpe, i suoi pattini a rotelle e qualche altra cosa e, dopo aver salutato Joyce e Carlie, uscì e partì.
 
 
 
Dianna si alzò dal divano per posare il telefono e la figlia più grande le diede una mano. Certo avrebbe potuto farlo anche da sola, ma le costava un grande sforzo.
"Grazie, Dallas" disse la donna sorridendole.
"Figurati, mamma."
L’altra sospirò stancamente, portandosi le mani al ventre ormai molto pronunciato.
"Sono felice che questo bambino nasca d'inverno e non d'estate. Con il caldo sarebbe tutto più difficile."
E comunque non è che quell'estate per lei le cose fossero state semplici, soprattutto quando aveva dovuto aspettare con le figlie, in fila mentre altre ragazzine provavano, fuori dagli studi dove avrebbero girato "Barney And Friends". Aveva chiesto ad un'altra mamma di dare un'occhiata alle bambine mentre lei faceva avanti e indietro dalla macchina per avere un po' di ombra e refrigerio ed era stato allora che Demi aveva conosciuto la figlia di quella signora. La bambina era Selena Gomez e aveva la sua età.
"Dallas?" domandò Demetria con voce quasi inudibile.
"Sì?"
L'altra si bloccò. Non sapeva se porre quella domanda, gliel'aveva già fatta tante volte e conosceva la risposta. Decise comunque di ritentare.
"Mi insegneresti a usare i pattini a rotelle?"
L'altra, che teneva un libro di scuola in mano, lo chiuse per un momento.
"Mi dispiace, Demi, ma sono molto stanca. Non ce la faccio, davvero."
Avrebbe voluto, ma tra il suo lavoro - perché di questo si trattava - per quell'agenzia, le lezioni di recitazione, la scuola finita qualche giorno prima e tutto lo studio che avrebbe dovuto fare in quei giorni, non aveva proprio tempo per concentrarsi su altro. Non poteva ritagliarsi qualche momento per se stessa, figurarsi per la sorella, per quanto questo le facesse male al cuore.
"Capisco."
Il volto di Demi ora era una maschera di tristezza. Sentiva gli occhi pesanti ma non voleva piangere; il fatto era che a parte chiacchierare con lei non condivideva molto altro con Dallas. Era un po' che le due non giocavano più insieme tranne durante i weekend, e anche se capiva che la più grande doveva essere ancora più stanca di lei, non riusciva a comprendere come mai non potesse fare uno sforzo in più. Era comunque consapevole che ad entrambe piaceva cantare e recitare, che la loro non era una famiglia normale e che bisognava fare dei sacrifici. Si alzò e andò in camera sua chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Non fece caso ai poster appesi, allo stereo appoggiato sulla scrivania e nemmeno alla piccola torre di CD che negli anni era riuscita ad avere, in parte regalati, in parte comprati con la sua paghetta. Si sdraiò sul suo morbido letto a una piazza e mezza e dalle lenzuola colorate e rimase lì a fissare il soffitto, pensando che l’unico colore che vedeva dentro di lei in quel momento era il grigio. Inutili furono i richiami della sorella maggiore che decise di lasciarla un po' in pace. Parlarle in quel momento sarebbe stato inutile, anche perché non avrebbe potuto dirle un granché.
Dianna, che era stata in cucina a mangiare un mandarino, frutto che il bambino sembrava aver gradito parecchio dato che ora scalciava con forza, decise di provare a risollevare il morale della figlia. Bussò alla sua porta e quando questa le aprì disse:
"Scalcia. Vuoi sentirlo?"
Demi sorrise appena e appoggiò una mano sul pancione come aveva fatto tantissime altre volte non stancandosi mai.
"Non si muove" mormorò dopo poco sentendosi, se possibile, peggio di prima.
"Devi…" iniziò la donna, ma in quel momento suonò il campanello.
"C'è Andrew!" chiamò Dallas dal salotto e andò ad aprirgli.
"Ciao, Dianna. Come vi sentite tutti e due?" domandò lui, gentile.
"Bene, grazie. Un po' stanchi. O almeno, io lo sono. Lui penso stia molto comodo lì dentro. A casa tutto okay?"
"A posto. Ho portato questi."
Appena vide di cosa si trattava, Dallas si illuminò e anche Demi non restò indifferente, anche se la sua reazione fu molto più contenuta a causa dei sentimenti che provava in quel momento. Ne mangiarono qualcuno tutti insieme seduti sul divano, anche Dianna benché la sua dieta consistesse in cibi molto leggeri visto l'avanzato stato di gravidanza. La donna soffriva di anoressia da molti anni ma continuava a negarlo a se stessa e a nascondere tutto, nessuno sapeva, e da quando era rimasta incinta aveva cercato di mangiare in modo più sano per il bene del piccolo, ma con il suo disturbo era stata una battaglia quotidiana e lo era ancora, una delle più dure e sfiancanti. Guardò quel marshmallow come se fosse stata la cosa più schifosa del mondo e lo vide molto più grande di quanto era in realtà, pensando a quante calorie potesse avere e al fatto che una volta partorito avrebbe dovuto smaltire tutto quel peso in più, perché se fosse stata grassa Eddie non l’avrebbe più amata, lei avrebbe perso definitivamente il controllo sulla sua vita e si sarebbe sentita ancora più uno schifo. Non se ne rese conto, ma se Andrew non aveva notato niente, Demi e Dallas si erano accorte del suo sguardo strano così come del fatto che avev mangiato quel marshmallow lentamente, dividendolo in piccolissimi pezzi e succhiandolo. Sapevano da tempo che la mamma mangiava poco, in modo diverso da loro soprattutto quando Eddie non c’era e che poi correva in bagno a vomitare e quando le avevano chiesto spiegazioni lei aveva risposto loro:
“Non è niente, non ditelo a nessuno.”
Ora che era cresciuta Dallas non credeva più che non fosse nulla, ma non sapendo ancora bene cosa fossero i disturbi alimentari non identificava quello della mamma come uno di essi, attribuendo il suo comportamento allo stress. Demi non sapeva cosa pensare. Per lei, come per Dallas, era normale vivere in una casa in cui le abitudini alimentari della mamma non erano di certo sane. E questo la stava già influenzando. Da qualche anno si guardava la pancia e si vedeva grassa, ma in futuro le cose sarebbero peggiorate.
"Cosa ti succede?"
Andrew avvolse le spalle di Demi con un braccio attirandola leggermente verso di sé. La sua espressione affranta e il suo innaturale silenzio non gli erano sfuggiti. Non le chiese come stesse o se si sentisse bene, erano domande sciocche in particolare in quella circostanza e gli appariva evidente che stesse male, anche peggio di come si era aspettato.
"Non sono in gran forma" ammise la bambina in tono stanco.
"Perché? Se mi spieghi magari posso aiutarti."
Lo condusse in camera sua dove spesso i due si ritiravano a parlare e Dianna, che lo sapeva, non disse niente né si preoccupò. Non ne aveva motivo. Una volta chiusa la porta in modo che nessuno li udisse i due si accomodarono sul letto di Demetria, poi ci si sdraiarono sopra.
"Partiamo dal più importante: mio fratello o mia sorella potrebbe nascere quando inizierò le riprese e ci sto malissimo. Continuo a pensarci e a sperare che nasca prima, anche se non vorrei che ci fossero problemi per questo."
Gli spiegò che aveva parlato con la mamma delle sue preoccupazioni e lei le aveva risposto:
"Mi dispiace, amore, ma non puoi essere esonerata dal lavoro per questo. È un lavoro e devi prenderlo seriamente."
"Capito? Come se le importasse solo di questo e non di quello che provo io" concluse, con le mani chiuse a pugno.
Si piantò le unghie nei palmi, ma erano corte e non si fece male, anche se avvertì comunque un leggero dolore, come se qualcosa la stesse pungendo piano.
"Sono sicuro che non è così, Demi, e non lo dico tanto per. Io non vivo con voi tutti i giorni, ma credo che Dianna sia una brava mamma."
"Lo è."
"Appunto, e penso che anche lei ci rimanga male nel pensare a quest'eventualità. Sta solo cercando di responsabilizzarti, ma onestamente credo sia un po' troppo presto."
Disse quell'ultima cosa tanto sottovoce che Demi la comprese a fatica.
"Cosa intendi?"
"Non è mia intenzione offendere nessuno. Penso solo che, per quanto quello che fai sia considerato effettivamente un lavoro, tu sia comunque ancora una bambina e sì, hai ragione quando dici che avrebbe dovuto capirti un po' di più."
Andrew rispettava molto Dianna e concordava con lei sul fatto che le figlie avrebbero potuto smettere in qualsiasi momento; ma a loro piaceva, e sapere che una ragazza più giovane di lui come Dallas o una bambina come Demi facevano già un… beh, lavoro, era ancora strano per lui. Immaginava che per le due dovesse essere difficile fare quella vita per quanto a loro piacesse, perché comportava un sacco di pressione e temeva che sarebbe stata ancora più dura per la sua migliore amica quando avrebbe lavorato a "Barney And Friends". Ma non poteva certo immaginare che questa sarebbe stata una delle micce che avrebbe fatto scoppiare in Demi delle bombe, ovvero che avrebbe scatenato, in parte, tutti i suoi problemi futuri.
"Sono molto stressata" ammise la piccola.
Se era vero che non parlava di cose profonde con la mamma e spesso nemmeno con Dallas, con Andrew riusciva ad essere più sincera riguardo alcuni suoi sentimenti.
"Mi pare il minimo, cara" le rispose accarezzandole i capelli.
"Questi giorni sono stati un continuo viaggio a quell’agenzia e poi c’erano anche la scuola, le lezioni di recitazione, un continuo. Sono stanca” riprese, chiudendo per un momento gli occhi.
“Riesci a dormire bene?”
“Abbastanza. E poi vorrei imparare a usare i pattini a rotelle, ma Dallas è stanca e non ce la fa ad insegnarmi."
Andrew capì perché ci tenesse tanto: quello poteva essere uno sfogo, un modo per incanalare lo stress, stare meglio e divertirsi come una bambina normale.
"Ti insegno io."
Gli venne spontaneo dirlo, tanto che per qualche secondo non si rese conto nemmeno di aver pensato quelle parole.
"Davvero?"
Il tono di voce di Demi si alzò di alcune ottave e il suo viso si aprì in un sorriso luminoso che sembrò abbracciare l'amico con il proprio calore. Andrew se ne sentì avvolto, fu una sensazione difficile da descrivere ma gli piacque da morire.
"Certo che sì! Anche subito, se vuoi."
La bambina si alzò in piedi, allargò le braccia, lanciò un grido e gli si gettò letteralmente addosso, tanto che rischiarono di cadere entrambi dal letto.
"Grazie, grazie e ancora grazie! Sei il migliore amico del mondo" seguitava a ripetere, mentre il suo cuore faceva le capriole.
Lo era non solo per questo, ma per mille e più motivi; lo sapevano entrambi, non c'era bisogno di spiegarlo a parole.
Dianna diede il suo consenso dicendo che avrebbero potuto pattinare davanti alla casa, tanto lì passavano pochissime macchine e, se fossero rimasti sui marciapiedi, non sarebbe accaduto nulla. Oltre a portare alla figlia i pattini, però, le fece indossare anche un casco e delle ginocchiere e polsiere.
"Perché serve tutta questa roba?" chiese la bimba.
"Io pattino da quando ho sei anni" le spiegò Andrew, "ma li porto, vedi?" Glieli mostrò, li aveva appoggiati all'entrata vicino ai pattini che si era tolto e Demi non ci aveva fatto nemmeno caso. "Tutti cadono, ma soprattutto i principianti. La cosa fondamentale prima di imparare ad andare sui pattini è sapere come proteggersi e quindi evitare contusioni o graffi, ricordalo."
E così, Demetria capì di aver già imparato una lezione a riguardo. Dianna sorrise al ragazzo, sicura che sarebbe stato un bravo insegnante.
"Perché non andate fuori e non le fai indossare i pattini, caro? Io vi raggiungo subito, le prime volte voglio vedervi nel caso vi serva una mano."
"Copriti bene, mamma" le raccomandò Demi, preoccupata che prendesse freddo e si ammalasse.
Il clima non era proprio rigido ma tirava un venticello fresco che poteva far prendere un raffreddore e nel suo stato non era il caso che la donna rischiasse.
Dianna le sorrise.
Da quando la madre era rimasta incinta Demi si era informata molto sulla gravidanza leggendo un libro per bambini a riguardo, le chiedeva spesso come stava, le aveva consigliato dei rimedi contro le nausee mattutine pensando che non li conoscesse e la donna l'aveva ascoltata con molto interesse anche se sapeva già tutto, e spesso si preoccupava per lei ma senza assillarla. Era sicura che Demi avrebbe amato il fratellino o la sorellina con tutto il cuore.
La donna si accomodò sulla sedia a dondolo in giardino e cominciò a fare avanti e indietro per rilassarsi facendo anche respiri profondi. Andrew, intanto, aveva allacciato bene i pattini alle scarpe di Demetria e ora la teneva per mano in modo che non cadesse o che non finissero a terra tutti e due.
"Ho paura" confessò la piccola stringendo convulsamente la mano dell'amico.
Tremava e ogni suo muscolo era in tensione, tirava e faceva male.
"È normale le prime volte. Purtroppo però tremando si fa fatica a pattinare. Ci sono qui io, non ti succederà niente, sei anche protetta. Inspira ed espira, piano, come faccio io."
All'inizio non fu facile seguire quel consiglio, il respiro di Demi era accelerato e irregolare a causa della paura, ma ascoltando quello calmo di Andrew riuscì a regolarizzarlo nel giro di qualche minuto e grazie ad uno sforzo non indifferente. I suoi muscoli si rilassarono un po' e il tremore diminuì.
"Ce la sto facendo" mormorò, incredula.
"Visto? Adesso posso insegnarti qualcos'altro."
Le disse di tenere le spalle ben aperte e piegare le ginocchia, poi di abbassare il sedere verso terra e piegarsi in avanti. Non essendo abituata a stare in quella posizione Demi tremò ancora e, se il ragazzo non l'avesse tenuta, sarebbe caduta di sicuro.
"Uffa!" si lamentò. "Ci vuole molta pazienza, vero?"
"Parole sante."
"Mi fai vedere come pattini tu?"
Andrew fece avvicinare Demi ad un muro e le disse di stare piegata in avanti, tenersi su di esso e non lasciarlo in modo da non perdere l'equilibrio, poi cominciò a scivolare lungo il marciapiede con una naturalezza e una tranquillità impressionanti per la bambina. Sembrava che l'avesse fatto sin dal giorno della sua nascita, o che quello di pattinare a rotelle fosse un dono innato. Mentre ascoltava i suoi pattini muoversi a velocità piuttosto sostenuta, Demi sorrideva e Dianna applaudiva. Quando pattinava, Andrew si sentiva bene. Provava una sensazione di libertà che nemmeno correre durante educazione fisica a scuola gli trasmetteva. Respirando a pieni polmoni, scivolando con lunghe falcate, si sentiva come se la strada fosse stata sua, se avesse potuto esplorare il mondo intero sui pattini vedendo luoghi meravigliosi, anche se sapeva che questo era impossibile. Inspirava ed espirava non perdendo mai la concentrazione, poi tornò da Demi e le riprese la mano.
"Allora, come sono andato?"
"Sei stato magnifico!" si congratulò battendogli una mano su una spalla.
Anche lei avrebbe voluto pattinare subito, scivolare con le rotelle su quella strada, ma iniziava a capire che ci sarebbe voluto molto tempo per diventare brava come lui. Doveva avere la stessa pazienza di quando andava alle audizioni e aspettava il proprio turno.
"Grazie. Ti va di riprovare la posizione?"
"Certo."
Lui la lasciò andare quando si mise nel modo corretto. Demi si resse per alcuni secondi ma poi si spinse appena in avanti senza rendersene conto e cadde. Il casco le protesse la testa e grazie al cielo non si fece nulla, ma l'impatto con il duro suolo non fu di certo piacevole.
"Tutto a posto?" chiese Dianna, alzatasi di scatto e pronta ad andare dalla figlia.
"Sì mamma, non ho niente, tranquilla" la rassicurò lei e anche Andrew si affrettò a farlo dopo aver dato un'occhiata a Demi.
Quel pomeriggio provarono e riprovarono la posizione iniziale, un gesto solo apparentemente semplice perché era fondamentale per partire e, come le spiegò il ragazzo, evitare che cadesse in seguito. Demi finì a terra molte altre volte non riuscendo a mantenere l’equilibrio, ma anziché rimanerci male cercò ogni volta di diminuire l'impatto con il terreno piantando più saldamente i piedi e quando cadeva rideva come una pazza seguita a ruota dall'amico, felice che lei la prendesse a quel modo e non si rattristasse o, peggio, pensasse di essere un fallimento com’era successo a lui in passato.
Il giorno dopo, non appena entrambi ebbero fatto un po’ di compiti, si ritrovarono per continuare i loro allenamenti stavolta con Eddie come guardia in caso di necessità. In breve tempo la bambina riuscì a stare in posizione per alcuni secondi - del resto, come confessò all'amico, si era allenata con Eddie anche quella mattina prima dei compiti - e poterono proseguire con la fase successiva.
"Sei stata grande, Demi! Impari molto in fretta."
"Sono una brava allieva?"
"Assolutamente. Ora cammina come una papera."
"Eh?" chiese scoppiando a ridergli in faccia e tenendogli  sempre la mano, anche se a volte si staccava per provare a stare in equilibrio da sola.
"Non ti sto prendendo in giro, è proprio così che devi fare. Tieni i talloni vicini e le punte in fuori iniziando a camminare lentamente. Ti tengo io perché non sei ancora pronta per farlo da sola, ci vorrà un po' di più per acquisire quest'abilità."
La ragazzina cominciò a fare passi da formica, ma almeno procedeva. Teneva una mano lungo il fianco e l'altra stretta più salda ad Andrew e, quando questi provò a lasciarla andare, tremò con violenza e finì a terra come il giorno prima.
"Stai comunque facendo passi in avanti, in tutti i sensi. Pensa a questo" la incoraggiò lui aiutandola a rialzarsi.
Si allenarono tutto il pomeriggio, ore nelle quali Demi cadde infinite volte e rimase spesso senza fiato per lo sforzo. Non sembrava, ma anche se non faceva molto quegli allenamenti erano stancanti sia dal punto di vista fisico che da quello mentale, in quanto la concentrazione era molta. Inoltre si ripeteva spesso:
"Non cadrò, non mi farò male",
ma crederci davvero era un po' difficile, per cui era come se metà della sua testa continuasse a lavorare su ciò e l'altra si concentrasse per pattinare, mentre le due parti faticavano per trovare un equilibrio e un punto d'incontro.
Dato che quel giorno aveva sudato di più, una volta terminata la dura lezione corse a farsi una bella doccia calda. Il getto d’acqua sul suo corpo e il profumo dello shampoo al lampone e del bagnoschiuma alle erbe la rilassarono facendola sospirare di piacere.
"Mamma?" chiese dopo cena, quando la donna stava sparecchiando la tavola con il suo aiuto.
"Sì?"
"Cosa volevi dirmi ieri prima che arrivasse Andrew? Il bambino non scalciava quando ti ho toccato la pancia e stavi dicendo che avrei dovuto fare qualcosa, ma non cosa."
"Ah, quello. Scusami, poi non abbiamo più ripreso il discorso. Come ti ho insegnato altre volte devi accarezzare la pancia e parlargli, così si muoverà. Su, prova."
In precedenza le aveva anche detto che in questa fase della gestazione il bambino sente i suoni, come per esempio quello prodotto da un carillon che ogni tanto la donna si appoggiava sul pancione la sera per rilassare se stessa e lui, o il tocco delle mani e che è molto importante che tutti, ma in particolare la mamma, comunichino con il piccolo attraverso le parole e i gesti.
Dianna le si mise di fronte e Demi allungò una mano, quando la mise sul pancione cominciò a muoverla a destra e a sinistra con movimenti lenti e delicati.
"Ciao, piccolo. In questi giorni sto imparando a usare i pattini a rotelle" iniziò, avvicinando la bocca alla pancia e dicendo la prima cosa che le veniva in mente e raccontò al fratellino o alla sorellina ciò che aveva fatto in quei due pomeriggi. Mentre parlava non sentì niente, ma qualche secondo dopo la fine del discorso il bambino si mosse un paio di volte. Furono calci delicati, del resto il bimbo non aveva più molto spazio per muoversi, sembrava che la stesse salutando e fosse felice di ciò che gli aveva appena detto.
"Si è mosso!" disse la bambina saltellando di gioia.
"Hai visto? Guarda, qui c'è la testina e qui ci sono i piedini" continuò Dianna mettendole la mano in quei due punti. “Oh, ora ha il singhiozzo, senti” continuò.
Era vero, adesso il movimento era strano, sembrava un po’ più deciso.
“Come fa a venirgli?”
“Ogni tanto ingerisce un po’ di liquido amniotico, è normale in questo periodo.”
Entrambe sorrisero, poi arrivò Dallas che disse che ora era il suo turno di parlare al fratellino. Demi glielo concesse, era giusto.
Quella sera, come la precedente, andò a letto presto sentendosi felicissima e si addormentò come un sasso.
Il giorno seguente, il 28 dicembre, Dallas e Demi si alzarono presto. Dopo colazione stavano guardando la televisione con Eddie accanto. Erano tutti e tre sul divano, in silenzio, a  godersi un documentario sui leopardi. A Demi piaceva molto scoprire cose nuove sugli animali selvatici e l'edicola vicino casa vendeva delle cassette su di loro. Ne usciva una a settimana che conteneva nella confezione anche un animale in plastica, il protagonista di quella sorta di puntata. In quel momento, la bambina aveva sulle gambe il leopardo e non vedeva l'ora di giocarci e di metterlo assieme alla tigre, all’elefante e all'orso che già possedeva. Buddy, il cane che Eddie e Dianna avevano regalato a Demi il giorno di Natale di quattro anni prima, era sdraiato ai piedi di Dallas e si godeva le sue coccole. La ragazza gli passava le mani sul pelo candido e pulitissimo mentre lui, in estasi, restava immobile.
"Eddie?" chiese Demi a quello che considerava un secondo padre.
"Sì?"
"Quando il bambino nascerà ci potrò giocare insieme?"
L'uomo sorrise.
"All'inizio no perché sarà troppo piccolo, ma dopo sì! In ogni caso potrai riempirlo di coccole, sono sicuro che gli piacerà."
Il sorriso di Demi si allargò a dismisura. Non vedeva l'ora di poterlo fare e più la data del parto si avvicinava, più diventava impaziente. In quei mesi aveva aiutato la mamma a mettere via i vestitini, alcuni rosa e altri azzurri, negli armadi e Eddie a dipingere, per quanto la sua età e l’altezza glielo permettessero, la cameretta che in futuro sarebbe stata del bimbo, che per un po' avrebbe dormito con i genitori. Stava pensando a tutto questo quando il cellulare dell’uomo si fece sentire con la sua suoneria forte e allegra. Buddy alzò la testa e abbaiò piano, ma Dallas lo calmò subito sussurrandogli parole dolci e grattandogli il collo.
"Pronto, Dianna?"
Le due figlie staccarono la schiena dal divano  e rimasero, immobili e dritte, in ascolto. Non riuscirono a captare nessuna parola della madre, però.
"Cosa? Davvero? Arrivo subito!"
Eddie sembrava felice, per cui dovevano essere buone notizie. Fece un'altra telefonata, non capirono a chi e poi tornò da loro.
"La mamma avrà il bambino un po' prima" cominciò.
"Perché?" chiesero insieme le due.
Non sorridevano più, adesso. Se partoriva prima significava che qualcosa non andava.
"La sua pressione sta salendo, devono indurle il parto cioè darle dei farmaci per farle avere prima il bambino" cercò di spiegare l'uomo in modo piuttosto semplice.
Non sempre l'induzione si fa somministrando farmaci, ma era più facile dirlo in quella maniera.
"Ed è… è pericoloso che nasca prima del tempo, vero?" riuscì a domandare Dallas con la voce che le tremava.
"Mancano meno di tre settimane, il bambino è comunque ormai pronto per venire al mondo. Dovranno stare in ospedale per qualche giorno, com'è normale, ma vedrete che andrà tutto bene. L'induzione potrebbe durare alcune ore o anche più, ma sono sicuro che non ci saranno problemi."
"Davvero?" domandò Demi, bisognosa di essere rassicurata come la sorella.
"Sono convinto di sì. Preghiamo e vedrete che ogni cosa andrà a meraviglia. Per mia tranquillità vi porto da Joyce e Frank, almeno per oggi."
Le sorelle si vestirono, presero il loro zaino con i libri e i quaderni di scuola - anche se erano sicure che non sarebbero riuscite a studiare fino a quando non avessero avuto notizie positive - e seguirono Eddie. Portarono anche Buddy con loro.
Una volta in casa, Joyce le fece accomodare sul divano e Frank preparò un caffè per Eddie che lo trangugiò in un solo sorso scottandosi la lingua e lo ringraziò.
"Figurati, amico" gli rispose l'uomo con la sua voce profonda e calda, battendogli una mano sulla spalla.
"Io vado. Tranquille, mmm?" fece, indicando le due figlie, quando era lui il primo ad essere agitato.
Loro annuirono, in parte eccitate per ciò che stava per accadere, in parte provate da tante altre emozioni.
"Volete un po' di marmellata di fragole?"
Carlie, con la sua voce dolce, lo chiese sia per educazione sia perché vedeva che erano preoccupate.
Le due risposero di sì e Joyce andò in cucina a fare un panino per tutti, anche per Andrew che li raggiunse in salotto in quel momento. Dallas si offrì di aiutarla ma lei negò con gentilezza, dicendo che non c'era bisogno.
Dopo aver mangiato sul tavolo in legno della sala, molto antico perché appartenuto alla nonna di Joyce e lavorato con fiori, foglie e piccoli alberi le sorelle provarono a fare i compiti, stettero sui libri qualche ora ma con scarsi risultati.
"Non è necessario li facciate oggi" disse loro Frank passandosi una mano fra i capelli castani. "Ho appena parlato con Eddie che mi ha detto che la mamma ha iniziato il travaglio da poco, cioè ad avere le contrazioni" spiegò, temendo che Demi non potesse capire.
"Grazie, ma so cos'è" lo informò la piccola.
Bisognava solo aspettare, ma non era facile. Sia durante il pranzo che dopo, spesso le due sorelle guardavano fuori dalla finestra come se Eddie avesse potuto tornare da un momento all'altro, poi osservavano il telefono di casa, i cellulari di Frank e Joyce appoggiati sul tavolo del salotto e pestavano i piedi o gesticolavano in continuazione. Andrew e Carlie erano preoccupati quanto loro, ma il più grande provava a  rimanere calmo per non far stare più male la sua amica. Buddy, che avvertiva agitazione nell’aria, scorrazzava per il salotto e la cucina e a volte abbaiava muovendo freneticamente la coda.
“Smettila” gli diceva spesso Dallas scusandosi poi con i padroni di casa, che le rispondevano che non c’era nessun problema.
Loro non avevano animali, non ancora, ma li adoravano e Joyce portò fuori il cane per una passeggiata in modo da tranquillizzarlo e fargli fare i bisogni.
Anche gli adulti erano in ansia, ovviamente, però quando la donna tornò provarono a distrarre tutti facendo varie partite a carte.
Ad un certo punto Demi chiese ad Andrew se avrebbero potuto pattinare.
"Voglio raccontare al mio fratellino che sono riuscita a fare qualche passo in più" dichiarò.
Uscirono tutti, Dallas compresa che, avendo le chiavi, tornò a casa a prendere i suoi pattini e quelli di Demi assieme alle loro protezioni. Anche Carlie infilò quelli che aveva e così i quattro si misero sul marciapiede, mentre i genitori e il cane li osservavano dal giardino. La sorella di Andrew e quella di Demi  scivolavano senza difficoltà, facendo anche passi molto lunghi. Demetria li invidiava, chissà se un giorno sarebbe diventata brava come loro. A volte si diceva di sì e che anzi, sarebbe stata la migliore, altre invece la sua sicurezza vacillava. L’importante comunque era divertirsi, pensò a un tratto per calmarsi. Nel frattempo le due ed Andrew incoraggiavano Demi che, dopo aver riprovato varie volte la posizione, provò a fare qualche passo da sola.
Fallo per il tuo fratellino pensava per darsi più coraggio.
"Lascia la mia mano solo quando ti senti in sicurezza" le raccomandò Andrew.
"Va bene."
Continuarono ad avanzare, piano, avanti e indietro, avanti e indietro per parecchio tempo. Demi ascoltava il proprio corpo, ogni singolo movimento delle gambe, la schiena immobile e curvata in avanti, i piedi piantati a terra, le ginocchia un po’ in tensione per lo sforzo, il rumore delle ruote sul ruvido asfalto. Aveva la sensazione che questo la aiutasse a concentrarsi. A un tratto la ragazzina lasciò andare piano la mano del suo migliore amico. Si concentrò nel mantenere esattamente quella posizione e portò in avanti il piede sinistro, poi quello destro e proseguì così.
"Pensa di stare imparando a camminare, è qualcosa di simile" le disse Dallas per darle forza.
Funzionò, perché riuscì a fare qualche metro da sola prima di sbilanciarsi indietro, dato che si era tirata su a causa di un dolore alla schiena. Andrew fu subito lì per sorreggerla e tutti applaudirono e la abbracciarono, festeggiando con lei quel piccolo traguardo.
Diverse ore dopo, Dianna dovette sottoporsi ad un cesareo d'urgenza a causa del fatto che il bambino stava nascendo trasversalmente. Eddie telefonò per avvisare e disse a Joyce di raccontare ogni cosa alle figlie, per cui la donna cercò di spiegarlo in termini semplici e senza farle agitare troppo in modo che anche Demi potesse comprendere.
"Le fanno un taglio sull'addome per tirare fuori il bambino?" chiese la piccola, stranita.
Nel libro riguardo la gravidanza non aveva letto niente di simile.
"Sì, esatto" rispose Frank. "Ma state tranquille. Ora diremo una preghiera tutti insieme e vedrete che andrà tutto bene."
"Ma se la tagliano morirà!" esclamò la bambina allarmata, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Non voleva perdere nessuno dei due. Com'era possibile che sopravvivessero dopo una cosa del genere? Prese la mano di Dallas e gliela stritolò cercando conforto, mentre il suo petto era scosso da sussulti a causa dei singhiozzi. Il suo sguardo saettava sui presenti come impazzito.
"Demi, Demi, calmati." Joyce si inginocchiò davanti a lei, che era seduta sul divano, e le prese l'altra mano. "Ascoltami, non succederà niente di tutto questo. Il cesareo è una procedura che i medici eseguono molto spesso, non morirà nessuno. Una volta fatto si prenderanno cura del bambino e metteranno dei punti alla mamma per chiudere il taglio. Le daranno qualcosa per non sentire tanto dolore e starà bene, te lo assicuro."
"Dici davvero?"
Demi aveva sentito ancora parlare di interventi chirurgici, ma quella nuova procedura la spaventava perché non la conosceva, per questo aveva avuto una reazione che, ad occhio esterno, avrebbe potuto apparire esagerata. Joyce la abbracciò, quella bambina le faceva tenerezza e le dispiaceva averla terrorizzata. Forse lei e Frank avrebbero dovuto aggiungere subito quella cosa così importante per non farle paura.
"Ma certo."
Poco dopo Eddie richiamò per dire che era nata una bambina e che l'avevano chiamata Madison. Demi e Dallas volarono l'una tra le braccia dell'altra urlando:
"È nata Madisoooon!"
con i sorrisi più raggianti che Andrew avesse mai visto. Entrambe speravano che sarebbero andate a trovare lei e la mamma prestissimo, avevano tantissima voglia di vedere la piccola e di sapere come fosse, a chi assomigliasse di più, ma soprattutto di prenderla in braccio e coccolarla. Era nata due settimane in anticipo, certo, e c'erano stati problemi, ma tutto era andato per il meglio e Demetria avrebbe potuto godersela per diversi giorni prima dell'inizio delle riprese.
"Grazie, Signore" mormorò, così piano che nessuno la udì.
Lo ringraziò per quel regalo, il più bello che avesse mai ricevuto e per tutto il resto, anche per aver ascoltato ogni sua preghiera che gli aveva rivolto nei giorni precedenti.
Frank portò dell'aranciata per i bambini in modo che potessero brindare, mentre lui e la moglie si concessero un bicchiere di champagne. I calici tintinnarono e, dopo qualche secondo di silenzio, Andrew chiese a Demi a cosa stesse pensando, dato che la vedeva un po' assente.
"Sono riuscita a pattinare pensando a mio… a mia sorella" rispose con un sorriso. "Non vedo l'ora di raccontarglielo. Non ho fatto molto, ma almeno ho imparato un po' e mi piacerebbe continuare. Chissà se sarà fiera di me."
"Lo sarà di sicuro" le rispose il ragazzo e gli altri convennero.
Eccitate, Dallas e la sorellina non stavano più nella pelle. Aspettando di poter parlare con Eddie per domandargli di persona notizie sulla mamma e la bambina, ognuna si immerse ancora nei propri pensieri mentre gli altri parlavano del fatto che quella piccolina sarebbe stata sicuramente viziata un sacco. Quei tre giorni, per Demi, erano stati stranamente felici. Non aveva pensato a cose tristi, né che a scuola non aveva avuto amici, né al fatto che i suoi compagni l'avevano spesso presa in giro per il suo peso - a quel tempo non era molto magra -, né alla pressione di tutte quelle audizioni, un peso che, nonostante cantare e recitare le piacesse, gravava comunque su di lei da parecchio. L'arrivo di Madison l'aveva aiutata, ma l'avevano fatto anche Andrew e le sue meravigliose lezioni di pattinaggio, non solo perché si era divertita un mondo ma anche in quanto aveva ritrovato un po' di fiducia in se stessa.
 
 
 
credits:
Dianna de La Garza, Falling With Wings: A Mother’s Story
 
Ecco il passaggio che contiene le parole di Dianna che ho riportato:
“Sorry, honey, but you can’t be excused from work for something like that,” I told her, not wanting to make any trouble with the director. “It’s  a job, and you need to take it seriously.”
 
Traduzione fatta da me:
"Mi dispiace, amore, ma non puoi essere esonerata dal lavoro per questo” le dissi, non volendo creare problemi al direttore. “È un lavoro e devi prenderlo seriamente."
 
 
 
NOTE:
1. vero. Dallas e Demi hanno vinto quel concorso e quest’ultima è stata selezionata per “Barney And Friends” ad agosto 2001 dato che ha voluto riprovare. È vera anche la storia dell’agenzia e delle pubblicità. Tutte informazioni prese dal memoir di Dianna De La Garza, “Falling With Wings: A Mother’s Story”.
2. Non so se Dianna sapesse o no il sesso del bambino, ma non credo in quanto il medico le dice che è nata una femmina, quindi presumo non ne fosse a conoscenza.
3. Patrick chiamava spesso Dianna per lanciarle insulti e sì, purtroppo è vera anche la storia del giardino. Inoltre l’incontro con Selena è avvenuto proprio così. Anche queste informazioni prese dal libro. Anche qui, come nella storia precedente, ho descritto un po’ l’anoressia di Dianna. In alcune interviste Demi ha fatto sapere che si era accorta fin da piccola delle abitudini alimentari della mamma, nel senso che lei le ha cresciute (e questo l’ha detto anche Dianna in “Simply Complicated”) dicendo loro che era importante essere magre e perfette e lei, appunto, fin da quando aveva tre anni si guardava la pancia e si vedeva grassa, anche se non so cosa lei e Dallas pensassero esattamente di tutta quella situazione. Per quanto riguarda i pensieri di Dianna ho mischiato ciò che lei scrive nel libro a quello che di solito pensa chi soffre di questo disturbo.
4. In “Simply Complicated” e anche nel libro viene detto che Dianna non affrontava mai argomenti particolarmente profondi con le figlie perché, questo lo spiega nel memoir, era cresciuta in una famiglia in cui ciò non veniva fatto.
5. Mi sono documentata molto sulla gravidanza, in particolare sull’ultimo mese, prima di scrivere questa storia, ma ricordo molte cose ripensando a quella di mia mamma quando aspettava mio fratello.
6. La vicenda dei documentari e gli animali in plastica è personale, quand’ero piccola ne avevo tantissimi e mi piaceva l’idea di inserire un po’ di me anche attraverso questo dettaglio.
7. Non so come mai Eddie non fosse andato con Dianna il giorno dell’appuntamento con il dottore, nel libro c’è scritto solo che l’ha chiamato per dirgli che avrebbero avuto il bambino. Forse era al lavoro e le figlie a casa da sole o da una vicina. Per questa storia ho immaginato che la donna avesse preferito che lui rimanesse a casa, dato che si trattava solo di un controllo e che tutto procedeva bene e che Eddie il quale, sempre nel mio immaginario ma spero anche nella realtà, era andato a tutte le visite precedenti, avesse accettato dopo un po’ di reticenza, com’è normale. È vero anche che a Dianna sono stati fatti induzione e cesareo d’urgenza, la prima a causa della pressione alta, il secondo perché Madison stava nascendo trasversalmente.
8. Anche se Demi è stata bullizzata più pesantemente quando è tornata a scuola dopo le riprese di “Barney And Friends” (nel frattempo ha studiato a casa con un tutor), la situazione non era molto buona nemmeno prima. La chiamavano con diversi nomignoli, Dianna non scrive quali nel memoir, già prima dell’inizio dello show, offendendola principalmente per il suo peso.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ed eccoci alla seconda storia. Come vedete ho approfondito ancora di più il rapporto tra Demi ed Andrew, su cui la bambina sa di poter sempre contare. Ho anche parlato un po’ dell’anoressia di Dianna spiegando brevemente, per quel poco che so, come le figlie vivevano questo problema, in parte riferendomi a cose che hanno detto, in parte immaginando. Spero che si sia capito che, anche se ne ho parlato poco, non ho trattato l’argomento con superficialità perché non mi permetterei mai. Ho appena accennato il bullismo di Demi perché so veramente pochissimo di quanto ha subito in questa fase della sua vita, ma nella prossima storia approfondirò un pochino di più inventando qualcosa, non per offendere ma perché, davvero, le informazioni a riguardo sono minime.
E niente, spero che anche questa storia vi sia piaciuta.

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Capitolo 3
*** Demi e lo spirito del Natale ***


NOTA INIZIALE:
questa storia è il seguito di "Lezioni di pattinaggio". Si ambienta pochi giorni dopo, ma non è fondamentale aver letto quella per capire questa.
 
 
 
[…] I was relieved to hear the doctor say, “It’s a girl, and she looks perfect.” It was  December 28, 2001, and we couldn’t have asked for a better post- Christmas surprise.
(Dianna De La Garza, Falling With Wings: A Mother's Story)
 
 
 
 
 
 
DEMI E LO SPIRITO DEL NATALE
 
Seduta sulla poltrona accanto al letto dalle lenzuola bianche come le pareti di quella stanza, Dianna teneva in braccio Madison con mani esperte e sicure. Nonostante avesse avuto altre due figlie, ogni volta che stringeva quei frugoletti all’apparenza fragili ma in realtà forti, si stupiva sempre di quanto fossero piccoli. Eddie era seduto di fronte a loro, le guardava con gli occhi lucidi e ogni tanto scattava qualche foto con il telefonino. Le poltrone non erano molto comode, Dianna aveva chiesto già giorni prima che le venisse portato un cuscino a causa del mal di schiena, ma i due erano più concentrati sulla piccola che su altro.
"Siete bellissime" disse, allungando una mano per accarezzare i loro visi.
Come facevano le guance dei neonati ad essere tanto lisce? Sarebbe rimasto a toccarle per ore, a sfiorare con le dita il viso della sua bambina, le manine, i piedini, si disse mentre il suo sorriso si allargava.
A quel tocco Madison sollevò la testa e aprì i piccoli occhietti blu, ma li socchiuse subito dopo.
"Come mai non hai portato Dallas e Demi, stasera?" chiese Dianna al marito.
Faceva un po’ fatica a stare dritta a causa del dolore provocato dal taglio del cesareo e dai punti, ma dopo essere stata a letto con la morfina dalla sera del 28 alla tarda mattinata del 29 aveva cominciato ad alzarsi, benché con difficoltà.
"Domani torni a casa, preferiscono godersi la sorella lì. Le ho portate da Joyce e Frank."
"I nostri amici sono molto gentili, ci aiutano spesso. Quando avremo fatto il vaccino a questa piccolina mi piacerebbe invitarli a cena per ringraziarli."
"Sono d'accordo con te."
Per il primo giorno dopo il parto le erano anche state fatte una flebo di morfina per contrastare il dolore ed una di ossitocina per aiutare l'utero a contrarsi, ma adesso la donna cercava di resistere. Ogni tanto le venivano dati degli analgesici, che però non le impedivano di allattare a differenza di altri, e quand'era in piedi il taglio tirava parecchio. Si faceva anche aiutare dalle ostetriche in quanto l’allattamento non era così semplice a causa della ferita. Indossava una fascia addominale per sentire meno dolore e avere la sensazione di essere più protetta e sostenuta. Nonostante tutti i problemi che c'erano stati - prima l'induzione a causa della sua pressione alta due settimane prima del termine della gravidanza, poi il cesareo d'urgenza - la donna ammetteva che a quattro giorni dal parto si sentiva discretamente. Tuttavia, se pensava a quello che aveva passato, alla sensazione che qualcosa non andasse, a ciò che le era stato detto riguardo la sua situazione, alla corsa in sala operatoria, le venivano ancora i brividi.
“Avremmo potuto perderla” mormorò mentre la voce le si spezzava; sembrò frantumarsi come un bicchiere di cristallo gettato a terra e la donna fu colta da un violento tremore.
Madison alzò la testa ma non disse niente.
Partorire un bambino in posizione trasversale è praticamente impossibile per via vaginale a causa dei troppi rischi, lo sapevano entrambi; e se il piccolo è messo in quel modo al termine della gravidanza o durante il travaglio, il taglio cesareo è la soluzione. Eddie aveva parlato con un dottore che era venuto dopo un po’ a dirgli che tutto stava procedendo bene, che in pochi minuti il bambino sarebbe stato tirato fuori e l’uomo, con voce strozzata, gli aveva chiesto quali sarebbero stati i rischi se non fossero intervenuti subito. La risposta l’aveva lasciato senza respiro.
“Nel caso specifico di Dianna, visto che il bambino si è messo in questa posizione durante il travaglio, rottura dell’utero, ma ci possono anche essere il prolasso del cordone ombelicale, ovvero esso passa attraverso la cervice prima del bimbo e quindi, durante ogni contrazione, viene compresso al posto della testa, ma anche emorragia post parto.”
Quelle parole gli avevano mozzato il fiato e fatto saltare più di un battito. Tutto ciò poteva portare, come il medico aveva dovuto dirgli per avvertirlo dei rischi, gravissimi danni al piccolo, se non addirittura la morte e serie complicazioni o la perdita della vita della madre, soprattutto se si fosse verificata un’emorragia.
L’uomo cercò di tornare alla realtà. Alla fine tutto era andato bene, l’importante era quello, ma nessuno dei due avrebbe dimenticato una tale esperienza. Nemmeno Dallas e Demi, in realtà, anche se non erano state presenti.
“Lo so, tesoro. So che hai avuto tantissima paura, io ho provato lo stesso” continuò, accogliendo i suoi sentimenti e non respingendoli. “Ti capisco, credimi. Quando sei stata in sala operatoria, anche se sono passati pochi minuti, a me è sembrata un’eternità. Ho temuto di perdervi entrambe, è stato orribile. Ora però siamo qui insieme, Madison sta bene e domani ci saranno anche le sue sorelle. Siamo una bellissima famiglia.”
Dianna sorrise ed entrambi si rilassarono un po’, cercando di concentrarsi sul futuro e non sul passato anche se non pensarci era difficile.
I gorgogli di Madison si abbassarono di tono, come se la piccola fosse preoccupata e avesse capito che qualcosa non andava.
“Va tutto bene, cucciola” le disse la mamma. “Abbiamo passato dei brutti momenti, ma ora è tutto finito. Vuoi prenderla in braccio?" chiese poi al marito.
La bambina aveva terminato la poppata da un po', ora era tranquilla. Presto un'infermiera l'avrebbe riportata nella nursery e Dianna sperò che quel momento arrivasse il più tardi possibile. Non si sarebbe mai voluta separare da quella piccola, meravigliosa creatura alla quale aveva dato la vita. Eddie, guardando come lei la figlia con occhi adoranti, allungò le braccia e la sollevò, un po' insicuro, con una mano a sorreggerle la testina, la parte più delicata, e l'altra il sedere. Era incerto, tremava, anche se la donna dovette riconoscere che lo vedeva già più tranquillo rispetto a un paio di giorni prima. Dal canto suo, mentre se la poggiava in grembo l’uomo non faceva altro che pensare:
Non devo farle male, non devo farle male.
Aveva paura di sbagliare, ma al contempo si diceva che tanti altri padri erano e sarebbero passati per quella metaforica strada, provando emozioni simili e che quindi non era solo.
"Ricorda di tenerle sollevato il collo"  gli raccomandò la moglie.
Ecco, se non gliel’avesse rammentato gli sarebbe sfuggito. Com’era possibile? Era risaputo ormai che bisognava fare così, con i neonati, i quali non sono ancora in grado di sostenersi da soli.
"Sì, tranquilla."
Madison indossava una tutina rosa in pile con il disegno di un coniglietto bianco sul davanti. Il tessuto era morbidissimo. La piccola sollevò lo sguardo sul padre e per alcuni secondi i loro occhi si incontrarono. Se la bambina era semplicemente curiosa ma riuscì, come tutti i neonati, a guardare il genitore solo per qualche secondo, gli occhi di Eddie traboccavano d'amore come il suo cuore.
"Domani andiamo a casa, sai cucciola?"
Fu Dianna a parlare e Maddie, che si stava abituando alla sua voce, la osservò per un po'.
"Vedrai come saranno felici le tue sorelle di incontrarti di nuovo!" riprese l'uomo e la bambina fece qualche gorgoglio, come se avesse capito e fosse contenta di stare ancora con loro, cosa che fece sciogliere il cuore dei due adulti. Demi e Dallas erano venute tutti i giorni, la mattina prima di pranzo o la sera, durante gli orari di visita. Madison si appoggiò ancora di più contro il corpo del padre e poco dopo chiuse gli occhi mentre il suo respiro rallentava e i muscoli si rilassavano del tutto. "Si è addormentata" constatò l’uomo con un sorriso adorante.
E i due rimasero così, ad ascoltarla e a guardarla dormire, pensando che Dio aveva dato loro una figlia stupenda.
 
 
 
Seduta di fronte al tavolo del salotto della casa del suo migliore amico, Demi stava disegnando. Non era molto brava, se ne rendeva conto, di sicuro scrivere canzoni o comporre le veniva più facile e naturale.
"Posso vedere?" le domandò Andrew, seduto vicino a lei.
La bambina gli passò il foglio. Il ragazzo che aveva quindici anni, sei più di lei distinse la sua amica, i genitori, Dallas e un frugoletto che doveva essere Madison. C'era anche Buddy.
"È davvero bello" commentò, "hai disegnato tutti quanti bene."
"Sul serio o lo dici solo per farmi felice?"
"No no, è la verità. Emozionata per domani?"
"Non puoi immaginare quanto!"
La sua voce si incrinò, si sentiva sudare e tremava appena mentre non faceva altro che battere la punta di una scarpa sul pavimento di marmo.
"Posso, invece. Ho anch'io una sorella minore."
Andrew aveva sei anni quando Carlie, nata un mese dopo rispetto a Demi, era venuta al mondo e ricordava benissimo il momento in cui l'aveva presa in braccio la prima volta e tantissime altre cose bellissime che aveva vissuto insieme a lei e che non avrebbe più dimenticato.
"Hai ragione, scusa."
“Figurati, non hai niente di cui scusarti. Comunque, stai sicura che non sarai tranquilla fino a quando non la vedrai di nuovo. Ma è un’ansia positiva, no? Cioè, è per una cosa bella” cercò di farla ragionare.
“Sì, stupenda.”
Demi sorrise.
I due erano soli in quel momento. I genitori di Andrew e Dallas e Carlie erano in cucina a chiacchierare del più e del meno, forse anche a giocare a carte, mentre gli amici si erano spostati per stare un po' più tranquilli per qualche minuto e anche perché, per disegnare, Demetria aveva bisogno di silenzio.
Andrew fissò i suoi occhi verdi in quelli di lei e la guardò a lungo, serio ma allo stesso tempo non del tutto presente, o almeno così parve alla ragazzina. Era come se stesse pensando a qualcosa che Demetria non riusciva a comprendere ma che non pareva turbarlo, anzi.
"Un penny per i tuoi pensieri" disse lei con un gran sorriso.
"Stavo pensando alla mia foto preferita con Carlie, o meglio ad una di quelle che preferisco e al momento che abbiamo vissuto insieme."
"Me la fai vedere?"
Andrew le indicò una cornice appesa alla parete alla loro destra e la bambina si alzò e vi si avvicinò per guardarla meglio. Sullo sfondo c'era il mare. I due bambini erano sulla sabbia, seduti su un asciugamano. Andrew avrà avuto otto anni, Carlie due e lui le circondava le spalle con un braccio in un gesto protettivo mentre la piccola, con gli occhi arrossati, faceva un mezzo sorriso.
"I miei genitori ci avevano portati al mare, a Venice Beach mi sembra. L'anno dopo ci siamo andati d'estate. Per carità, il posto era sempre bellissimo, spiaggia immensa, sul lungomare c'erano tanti negozietti, gente che giocava a volley, artisti di strada, ma era tutto troppo confusionario. Comunque, dicevo, quella volta ci hanno portati in primavera, per cui la spiaggia era più vuota e mi sono reso subito conto del fatto che fosse davvero grandissima. Siamo andati a camminare in riva anche se Carlie avrebbe voluto fare il bagno, l'acqua però era un po' freddina e quando un'onda più forte delle altre l'ha colpita, si è spaventata da morire benché fossimo sulla riva. È scoppiata a piangere e non la smetteva più, così dopo che la mamma l'ha asciugata me la sono coccolata un po'. Quel mezzo sorriso è bellissimo, mi ricorda che anche se era stata terrorizzata, con me si sentiva al sicuro."
Demi sorrise accarezzando i contorni della fotografia come se avesse potuto farlo con quei bambini che erano da sempre stati suoi amici, anche se era più affezionata ad Andrew che a Carlie e reputava la bambina più una conoscente, benché molto cara.
"Chissà se anche mia sorella avrà bisogno di essere protetta così da me, un giorno."
Lo disse con voce vellutata, più a se stessa che a lui, ma Andrew rispose:
"Non lo so, però di sicuro sarai un punto di riferimento per lei."
"Non vedo l'ora che venga domani!"
Eppure, come Dallas, era anche in ansia. La loro vita sarebbe cambiata con quel nuovo membro della famiglia, e poi quando il 12 gennaio lei avrebbe iniziato le riprese di "Barney And Friends" avrebbe potuto vedere un po' di meno la sorellina.
"Vedrai che saprà lo stesso che le vuoi bene" disse Andrew leggendole nel pensiero e stupendola. "Comunque goditela più che puoi in questi giorni."
Demi avrebbe voluto chiedergli come aveva fatto a capire ciò a cui stava pensando, ma non era la prima volta che capitava per cui restò in silenzio. Era così, ormai, fra loro, il legame che avevano creato era tanto forte da arrivare fino a quel punto.
Un’ora dopo, mentre tornavano a casa a piedi con Eddie, Dallas e Demi continuarono a parlare.
"Io le insegnerò a recitare" diceva la prima, "o almeno, a fare quello che riesco per ora."
Da ottobre andavano da Cathryn Sullivan, un'insegnante di recitazione molto in gamba e Dallas era stata presa da poco da un'agenzia di moda per fare delle pubblicità.
"Io invece a cantare, diventerà bravissima, ne sono sicura" rispose Demi, immaginando già di fare un duetto con la sorella. “Magari scriveremo anche qualche canzone insieme.”
Quando le figlie furono a letto, Eddie bevve un bicchiere di ginger seduto sul divano per rilassarsi, dopodiché mandò un messaggio alla moglie spiegandole tutto ciò di cui avevano parlato durante il breve tragitto di ritorno e nel leggerlo Dianna sorrise. Quelle tre sarebbero state affiatate, ci scommetteva, e comunque era evidente che Demi e Dallas amassero Madison con tutte loro
stesse.
Come ogni bambino, Demetria credeva tantissimo nello spirito del Natale. Sapeva che Babbo Natale non esisteva, ma da quando l'aveva scoperto aveva deciso che per come la pensava lei quel signore arrivava comunque su una slitta con le sue renne a portare i regali. Ogni anno faceva con i suoi genitori l'albero di Natale e il presepe. Non l'aveva fatto solo il suo terzo compleanno, perché in quel periodo e per una buona parte dell'anno seguente la mamma non aveva avuto tanti soldi e non si era potuta permettere delle statuine nuove e un albero finto, dato che Patrick aveva distrutto quelli che avevano durante uno dei suoi attacchi d'ira. Non avrebbe mai potuto dimenticare tutto ciò che aveva visto e udito, ogni cosa che il papà aveva fatto alla mamma e non sapeva nemmeno lei cosa provare nei confronti di quell'uomo che non era mai stato molto presente nella sua vita ma che a suo modo le voleva bene. Scosse con forza la testa per scacciare quei pensieri. Insomma, lei credeva a Babbo Natale, punto. Quando l'aveva detto a scuola quell'anno i suoi compagni l'avevano presa in giro per settimane, ma era solo uno dei tanti episodi accaduti. Quelle offese, però, anche se l'avevano fatta piangere e stare male, non l'avevano mai indotta a pensare il contrario.
"Tu hai il diritto di credere in tutto quello che vuoi" le aveva detto la mamma quando Demi le aveva parlato di ciò che pensava riguardo a Babbo Natale.
Ma se era vero che la gioia e lo spirito del Natale, anche dal punto di vista religioso, raggiungevano l'apice il 25 dicembre, la bambina era altrettanto convinta che il clima natalizio si prolungasse anche nei giorni a venire e che anzi, dovesse includere tutto l'anno, in quanto si può essere più buoni tutti i dodici mesi e non solo a Natale. E quell'anno c'era un altro motivo per cui lo spirito del Natale sarebbe rimasto con loro.
"È oggi, è oggi, è oggi!" urlò la bambina la mattina dopo entrando in camera di Dallas.
Nessuna delle due aveva dormito quella notte continuando a girarsi e rigirarsi nel letto. Le coperte erano sembrate a entrambe troppo pesanti, ogni posizione scomoda, ed erano sicure che nemmeno Eddie l'avesse fatto. La piccola batté le mani e stava per saltare sul letto della sorella, ma decise di non farlo. Non voleva rischiare di prendersi una cuscinata o di essere sgridata, per cui si contenne.
"Demetria, sono le sette di mattina. Non urlare così, accidenti!"
Eddie si affacciò alla porta piuttosto infastidito, con la voce e gli occhi impastati dal sonno.
"Scusami, è che oggi…"
"È il gran giorno!" concluse Dallas, baldanzosa, alzandosi in piedi.
"Esatto."
Buddy, il loro Cocker Spaniel bianco, saltò sul letto della padrona e cominciò ad abbaiare felice.
"Avete ragione, e immagino non abbiate dormito molto nemmeno voi. Comunque potrebbero dimetterle anche stasera, ci vorrà un po'."
"Io voglio vedere Madison adesso" si lamentò Demi.
A volte stentava ancora a credere di avere una sorella minore.
Eddie le diede un bacio.
"Lo so, tesoro, lo vorrei anch'io, ma l'orario di visita è più tardi. Dai, oggi bisogna festeggiare. Vestitevi, mettiamo il cane al guinzaglio e andiamo a fare colazione fuori. Potete prendere ciò che volete."
"Evvai!" esclamarono le due all'unisono, indossando poi dei semplici jeans bianchi e una maglia e una felpa blu, abbinati a scarpe e calze degli stessi colori.
Eddie le portò in centro a Los Angeles, da Starbucks.
"Starbucks? Porca miseria" se ne uscì Dallas.
Quello che avevano davanti era un bar di lusso, non ci erano mai venute perché non se lo potevano permettere.
"Conosco il proprietario da un po', sono sicuro che ci farà uno sconto" disse Eddie.
L'ambiente era molto carino, con le pareti dipinte di giallo e i tavolini tondi da quattro persone. Le sedie imbottite erano comodissime.
Eddie bevve un caffè e mangiò una pastina alle mandorle, mentre le due bambine un latte con il cacao e una brioche enorme stracolma di nutella. Il fatto strano fu che, prima di portare ogni cosa, il cameriere chiese i loro nomi. Eddie spiegò che servivano a lui e ai suoi colleghi per non confondersi con le ordinazioni. Quel giorno, forse perché era ancora presto, c'era poca gente, tutta - a parte loro - vestita con abiti firmati. Molte persone li guardavano, probabilmente domandandosi cosa ci facessero lì dato che non sembravano, e in effetti non erano, ricchi.
"Non preoccupatevi di loro" mormorò l'uomo. "Mangiate e pensate solo che oggi Madison e la mamma torneranno a casa."
Le sorelle, in particolare Demi, si sentivano fuori posto in quel luogo, ma il commento di colui che considerava a tutti gli effetti un papà aiutò la minore a non sentirsi in colpa per esserci andata. In fondo, ognuno ha il diritto di andare dove gli pare e di fare ciò che più gli piace.
Mentre tornavano a casa Dianna chiamò dicendo che sarebbe stata dimessa quel pomeriggio. Tutti lanciarono un urlo di gioia e vissero male l'attesa, non vedevano l'ora di riabbracciare entrambe. Dallas e Demi si distrassero giocando con il cane o fra loro, rincorrendosi in giardino o lanciandosi il pallone, ma in fondo la loro mente era sempre là.
Dianna fu dimessa a metà pomeriggio e, poco prima che uscisse, tutta la sua famiglia entrò nella stanza.
"Amori miei!" esclamò sorridendo a tutti e tre, poi corse ad abbracciarli.
O almeno ci provò, perché la ferita le rendeva difficoltoso muoversi in fretta.
"Come stai, mamma?" le domandò Dallas.
"Meglio, grazie. Ho ancora i punti che in effetti fanno male, ma ormai è un dolore discretamente sopportabile e tra due giorni verrò a toglierli."
Il marito la aiutò a mettere nel borsone i vestiti che aveva utilizzato in quei giorni, sia perché gli faceva piacere sia in quanto con i punti la donna faticava a piegarsi per prendere gli abiti. Strinse i denti quando si mise perfettamente dritta: la ferita sembrava bruciare come il fuoco da quanto tirava, ma ci mise una mano sopra accarezzandola piano e la sofferenza sembrò diminuire.
"Eccoci qua" disse una dottoressa, entrando con Madison in braccio.
Demi e Dallas lanciarono un piccolissimo urletto eccitato per non spaventarla. La bambina era sveglia e, appena il medico la diede alla madre, sbarrò gli occhi e la guardò.
"Ciao tesorino della mamma! Ciao!" ripeté Dianna con voce dolce.
Come tutti, aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
La dottoressa, una donna sulla cinquantina e con i capelli castano scuro raccolti in una coda di cavallo, si commosse per la tenerezza che le ispirava quella famiglia. Fece firmare alla donna le carte per la dimissione, poi le spiegò alcune cose, per esempio come prendersi cura del taglio una volta a casa ricordandole di farsi aiutare se avesse avuto bisogno e di non vergognarsi nel chiedere. Le prescrisse anche alcuni analgesici per il dolore, gli stessi che aveva preso in ospedale, dicendole quanti prenderne al giorno e quando e che, se la sofferenza fosse aumentata o ci fossero stati segni di infezione, come pus o cattivo odore, avrebbe dovuto tornare immediatamente in ospedale. Eddie, accanto a lei, ascoltava con attenzione. Dianna la ringraziò, poi chiese alle figlie di uscire un momento.
Accompagnandole fuori, la dottoressa rimase un po’ con loro e parlarono di come si sentivano. Le due le spiegarono che erano eccitate, Demi batté le mani un po’ di volte ed entrambe avrebbero voluto alzare la voce e urlare, ma trovandosi in un ospedale lasciarono perdere.
Intanto, Dianna controllò che la bambina avesse il pannolino pulito e aiutata da Eddie le fece indossare un body a manica lunga, un paio di calze di lana e una tuta in ciniglia dato che la temperatura esterna, a quanto le aveva detto il marito, era un po' fredda. Eddie andò a prendere la carrozzina e, quando Madison ci fu dentro, i cinque poterono uscire.
Una volta arrivati alla macchina Dianna mise la piccola nell’ovetto, controllando che fosse in direzione del guidatore. Lo fermò con la cintura di sicurezza e si sedette accanto alla figlia. Demi si mise dall'altra parte e Dallas salì davanti, vicino a Eddie.
"Madison va per la prima volta a casa il 2 gennaio 2002" disse la mamma facendole una foto.
"Possiamo prenderla in braccio quando torniamo?" domandò Dallas, che si sentiva prudere le braccia e le mani per l'impazienza.
Non lo sapeva, ma Demi aveva la medesima sensazione.
"Se non dorme sì" rispose Eddie guardando la strada.
Il viaggio fu tranquillo, il silenzio spezzato solo dai lievi lamenti della bambina a cui ogni tanto la mamma dava la mano perché le prendesse il dito e si calmasse. Demi, invece, le accarezzava la testina e le manine.
“Attenta alla fontanella, ricordalo” disse Dianna alla figlia.
“Certo.”
Le aveva spiegato che si tratta di uno spazio tra le ossa della testa del neonato, normale e dato dal fatto che esse non sono tutte saldate per permettere più agevolmente alla testina di passare nel canale del parto. Gliel’aveva fatta toccare, piano, quando Demi aveva preso in braccio Madison la prima volta, e la bambina aveva scoperto che la sua consistenza era morbida e fibrosa. Le aveva fatto un po’ paura sfiorarla e la mamma le aveva spiegato che, anche se è una parte resistente ad ogni contatto, è sempre meglio toccarla con molta attenzione e delicatezza, e che si sarebbe chiusa verso i diciotto mesi.  
Una volta arrivati, forse a causa del fatto che la macchina si era fermata, Madison scoppiò in pianto. Strillava così forte e tanto a lungo che rimaneva sempre senza fiato e Dianna la tirò su dall’ovetto iniziando a dondolarla, mentre Eddie chiudeva a chiave l'auto dopo che Dallas ebbe preso il borsone dell'ospedale della mamma.
"Lo porto in camera vostra" disse la ragazza.
"Grazie, tesoro" le rispose l'uomo.
"Io che faccio?"
A Demetria come a tutti faceva male al cuore sentire che la sorellina strepitava in quel modo, sembrava proprio inconsolabile. Non si calmò nemmeno quando Dianna le cantò una canzoncina o nel momento in cui, una volta in salotto, le fece sentire il suono di un carillon.
"Tienimela un attimo mentre mi tolgo il giubbotto."
Demi si sedette dritta e con un cuscino dietro, poi prese la sorellina sostenendole la testa e la schiena con un braccio e mettendole l'altra mano fra le gambe per sorreggerla meglio.
"Brava, impari in fretta" osservò Eddie.
"Va bene così?"
"Benissimo."
Strinse piano il corpicino caldo della bambina al suo petto.
"Su, non piangere" mormorò con dolcezza, poi cominciò ad alzare e abbassare leggermente le gambe per fare quello che sua madre definiva "il cavallino".
Entrambe sapevano che di solito questo movimento aiuta i bimbi, anche più grandi di Madison, a distrarsi e tranquillizzarsi.
"Provo a cambiarla" disse Dianna non appena tornò e lei e il marito si diressero in bagno.
A Demi dispiacque, ma se Maddie era bagnata o sporca era giusto che i genitori cercassero di farla stare meglio. In ogni caso l'aveva stretta fra le braccia per così poco, quel giorno, che non riuscì bene a capire cos'aveva provato.
 
 
 
Eddie era ancora un po' spaesato. Quella era la prima figlia biologicamente sua e, non avendo mai avuto a che fare con un neonato tanto da vicino, non sapeva ancora come comportarsi.
"Ti ricordi come si fa?"
"Uhm… credo… credo di sì" rispose, incerto e arrossendo appena.
Tenendo bene la piccola in modo che non cadesse dal fasciatoio, Eddie la mise in posizione supina e si allungò a prendere un pannolino pulito che aprì prima di cambiarla, in modo da averlo già pronto. Dopo averlo messo da una parte le sfilò i pantaloncini e il body, le tirò su la maglia, le tolse il pannolino sporco e la pulì con una salviettina umidificata adatta alla pelle dei bimbi così piccoli passandola dalle parti intime verso l'ano, come Dianna gli aveva ricordato e sottolineato centinaia di volte fino alla nausea, spiegandogli che è molto importante per non far andare batteri nelle parti intime.
“Come sto andando?” chiese l’uomo, temendo di strofinare troppo forte o piano.
Non avrebbe mai voluto farle male, ma la bambina si metteva le mani in bocca e quasi non si lamentava, perciò forse era un buon segno.
“Benissimo!”
“Dio, che schifo” non poté astenersi dal commentare.
“Fa parte anche questo del nostro lavoro di genitori.”
Dopo aver gettato il pannolino già usato, la donna mise un po’ di crema alla piccola per evitare eritemi e poi insegnò a Eddie come pulire il moncone del cordone ombelicale, un'operazione un po' delicata che richiedeva attenzione. Eddie lo deterse appena con acqua e sapone perché si era leggermente sporcato e lo coprì con una garza in cotone.
“Bisogna cambiarla tre volte al giorno e metterne sempre una asciutta. Non serve detergere il moncone se non si sporca, più secco rimane prima cade. Dovrebbe restare molto all’aria, ma dato che non possiamo lasciarla mezza nuda tutto il giorno va bene anche così” spiegò la donna.
“Perfetto. Niente disinfettanti?”
“No, tra le altre cose possono ritardare il distacco, e soprattutto niente alcol perché può ustionare.”
In ogni caso nel giro di alcuni giorni, massimo otto o nove, il moncone si sarebbe staccato. All'uomo la cosa fece abbastanza impressione, non ebbe problemi ad ammetterlo più che altro perché temeva di far male alla piccola, ma Dianna gli assicurò che era una parte morta e la bambina non sentiva niente. Il cambio durò diversi minuti e Dianna dovette intervenire qualche volta, ma alla fine tutto andò per il meglio. Il pianto di Madison era andato scemando anche se non era stata ferma un secondo, continuando a muovere braccia e gambe e complicando le cose al padre senza volerlo.
"Presto ci riuscirai senza il mio aiuto" gli assicurò la moglie. "E comunque, anche se all'inizio ci metti cinque o sette minuti non è un problema. L'importante è farlo nel modo corretto e aiutare Madison a sentirsi, per quanto possibile, a suo agio. In futuro potremmo appendere dei giochi sopra il fasciatoio per intrattenerla."
"Che bravo papà sono!" si congratulò Eddie con se stesso mentre la moglie sorrideva.
"Visto? Te lo dici anche da solo, il che è positivo, ma è proprio vero."
Una volta tornati in salotto dalle figlie, Dianna disse di essere stanca e che forse sarebbe stato meglio per lei e Maddie andare a riposare. Per i primi giorni le era stato consigliato molto riposo. Tutti le accompagnarono, poi Eddie disse a Dallas e Demi di fare silenzio in casa e a Buddy, che fino ad allora era stato un po' in disparte e in silenzio a guardare cosa stava succedendo e chi era quel nuovo esserino, di fare il possibile per non abbaiare. Non che capitasse spesso, comunque. Una volta nella culla, Madison si addormentò dopo una ninnananna della mamma e Dianna crollò dopo aver toccato il cuscino. Anche se in quei giorni si era riposata, erano stati molto stancanti visto tutto quello che era accaduto.
 
 
 
Intanto, in salotto, Buddy aveva pensato bene di andare ad annusare il porta enfant, appoggiato sul divano. Si tratta di una cesta di vimini in cui il neonato può essere adagiato nei primi mesi.
C'era un odore nuovo che non riconobbe ma che gli piacque parecchio e sarebbe rimasto lì se Eddie non gli avesse detto di andare via per poi, per sicurezza, disinfettare quella sorta di culla. Dallas e Demi, invece, facendo meno rumore possibile sistemarono  nella camera dei genitori i vestiti di Dianna e della piccola presenti nel borsone. Pareva loro un modo per aiutare, per alleggerire i genitori di alcune incombenze. Fu un compito un po' difficile da portare a termine, soprattutto per la più piccola, ma con l'aiuto della sorella e un po' di tempo ci riuscì. Dianna, che si era svegliata appena sentendole entrare, le aveva ringraziate mentalmente quando aveva capito che non volevano disturbare ma aiutare.
"Ha sorriso! Ha sorriso!" esclamò Demi non riuscendo a trattenersi.
Dianna si tirò su di scatto e Dallas si voltò come le altre due verso la culla. Madison aveva gli occhi socchiusi e stava sollevando per la seconda volta le guance.
"Oh mio Dio" mormorò la donna, mentre il cuore sembrava volerle saltare fuori dal petto e chiamò subito Eddie per dirglielo.
I due sapevano benissimo che quello non era un sorriso sociale, rivolto cioè alle persone, perché esso si sviluppa tra le sei e le otto settimane di vita del bambino.
"Questo sorriso, che si chiama sorriso riflesso, scompare a due mesi di età" spiegò loro Eddie. "Si presenta spesso quando il piccolo è assonnato o durante le fasi REM e non viene fatto con gli occhi."
"Ma Madison lo fa perché prova qualche particolare emozione?" domandò Dallas.
Fu Demi a rispondere, dato che aveva letto qualcosa a riguardo.
"No, è un sorriso spontaneo, automatico, non esprime emozioni. Ma è bellissimo lo stesso, non vi pare?"
Tutti non poterono che concordare, pensando che non avrebbero più dimenticato quel momento conservandolo nei loro cuori.
"Oddio, hai visto quanto sono piccoli quei vestitini?" chiese Demi a Dallas, una volta che si furono ritirate nella stanza della più grande.
"Sì, sono bellissimi!" esclamò l'altra, intenerita.
Per loro era impossibile non commuoversi di fronte ad un paio di scarpette in lana da neonato, che Dianna aveva fatto a mano la sera, lavorando nei mesi precedenti e alcune delle quali erano in quella borsa. Calde e morbidissime, erano tanto minuscole da sembrare quelle di una bambola. Ma Demi aveva sentito le lacrime salire soprattutto quando aveva toccato, per l'ennesima volta in quei mesi, le tutine e gli altri vestitini, anche quelli già presenti nell'armadio, piccolissimi anch'essi e fatti di tessuti lisci e soffici come cotone o ciniglia. Dallas aveva inoltre visto un berrettino di lana bianca molto grazioso che non ricordava la madre avesse comprato. Le loro lacrime, che in parte non riuscirono a trattenere, erano di pura gioia per l'arrivo della sorella e anche per il fatto che quella piccolina portava loro alla mente tantissimi pensieri. Chissà se anche loro sarebbero diventate mamme, un giorno. Dallas non era sicura di volere dei figli, Demetria invece ci sperava tantissimo. Da quando era più piccola, quattro o cinque anni, non faceva che dire che avrebbe voluto dei bambini e adorava giocare con le bambole proprio per considerarle dei figli. A volte addirittura metteva quelle un po' più piccole sotto la maglia, poi infilava il bordo di quest'ultima nei pantaloni ed esclamava:
"Sono incinta!"
Parole molto convinte e fatte con un sorriso che andava da un orecchio all'altro che facevano ridacchiare la sorella maggiore, ma alle quali allora Eddie e Dianna prestavano molta attenzione stando al gioco. Ora la bambina era un po' grande per queste cose, anche se ogni tanto divertirsi con le bambole le piaceva ancora. I suoi compagni, quando l'avevano scoperto un giorno in cui, poco tempo prima, se n'era portata una a scuola perché era un po' triste e voleva almeno la sua compagnia, dato che non aveva amici, l'avevano presa in giro chiamandola "poppante" o "ritardata". Parole che l'avevano fatta correre in bagno a piangere dopo essersi chiusa dentro a quel piccolo stanzino e che, assieme a molte altre, cominciavano a scatenare in lei sentimenti negativi verso se stessa.
"Credi che sarò una brava sorella?" chiese a Dallas riscuotendosi da quei pensieri.
"Certo, perché non dovresti?"
"Non lo so, hai ragione" concluse.
E se non lo fossi? E se facessi schifo?
Del resto, i suoi compagni gliel'avevano fatto capire abbastanza bene. Nessuno stava mai con lei e voleva conoscerla davvero, chissà, forse perché stava cominciando a fare audizioni e a diventare un po' famosa, e la offendevano per il suo peso. Si portò le mani al viso paffuto e ai fianchi pieni. Forse avevano ragione a chiamarla così.
"Demi? Tutto a posto?" si informò la sorella, vedendo che l'altra era come in trance.
"Sì, a meraviglia!" mentì, nascondendo il dolore che le si allargava nel petto come un fuoco ardente dietro un falso sorriso. "Vado a vedere una cosa" disse poi e scese in salotto.
Buddy dormiva nella sua cuccia accanto al divano, Eddie in quel momento non c'era. La bambina si avvicinò al presepe, appoggiato su un tavolino accanto all'albero di Natale. Le luci di quest'ultimo erano spente a quell'ora, le accendevano solo la sera, e i nastri argentati, dorati e rossi e le palline bianche lo rendevano bellissimo. Ma per quanto lo fosse, non era su quello che voleva concentrarsi. Demi conosceva il significato religioso del Natale, la sua famiglia era cattolica e credente e, anche se si era avvicinata alla Chiesa da pochi anni e si era battezzata con la mamma e Dallas solo quando lei, la più piccola, ne aveva cinque, credeva davvero in Dio e nel suo amore infinito. Guardò nella grotta, fatta con alcune pietre, e vide la culla con Gesù Bambino tra Giuseppe, Maria, il bue e l'asinello e sorrise. Non era solo perché il 25 il bimbo era nato, c'era una motivazione più profonda che non vedeva l'ora di dire a tutti.
"Che combini?" le domandò Dallas apparendo all'improvviso alle sue spalle.
"Vuoi farmi prendere un colpo? Niente, guardavo e basta."
Per il momento tenne quelle osservazioni nel segreto del proprio cuore, le avrebbe rivelate una volta che tutti fossero stati svegli.
 
 
 
Un vagito improvviso ridestò Dianna che, stropicciandosi gli occhi, si alzò.
"Eccomi" biascicò, ancora assonnata.
E quello era solo l'inizio, avrebbe dovuto prepararsi ad un periodo di pianti frequenti, soprattutto nelle prime settimane di vita della bambina. Più di ogni altra cosa temeva un disturbo molto comune nei neonati: le coliche. Erano terribili, sia per i piccoli che per i genitori, anche se ormai lei sapeva come farle passare. Ci sarebbe voluta molta pazienza, comunque, e con l'inizio delle riprese di "Barney And Friends" le cose sarebbero state più complicate. Beh, non era il caso di pensarci adesso. Tirò giù il lenzuolo bianco e la coperta rosa, entrambi morbidissimi, prese in braccio Madison e chiamò Eddie perché in ospedale il medico aveva spiegato loro che nei primi giorni dopo il ritorno a casa sarebbe stato necessario il suo aiuto per facilitare l'allattamento al seno della piccola. Grazie al cielo suo marito era a casa fino a metà gennaio perché aveva molte ferie arretrate. L'uomo arrivò subito e, dopo che Dianna gli ebbe passato la bambina che ancora si lamentava, si sdraiò e girò su un fianco come aveva fatto anche in ospedale.
“So che hai fame, tesoro, il latte arriva subito” le sussurrò il padre.
Nei giorni precedenti Dianna aveva provato diverse posizioni e alla fine si era resa conto che stando distesa si sentiva meglio, almeno per il momento. Prese un cuscino che aveva lì da una parte e lo appoggiò sopra la zona della ferita del cesareo per proteggerla da eventuali calci della bambina.
"Cavolo, che razza di polmoni!" esclamò Eddie guardando la figlia e Dianna  rise.
Ridere le fece male al taglio che tirò, ma il dolore fu sopportabile. Eddie appoggiò la piccola su un altro cuscino e questa, pancia contro pancia con la mamma e sostenuta da lei, si attaccò al seno con un po’ di sforzo, dopo che Eddie ebbe controllato che avesse il nasino libero per respirare nel modo corretto. Per fortuna la cosa non richiese molto tempo e Madison cominciò a succhiare affamata. Per diversi minuti la stanza si riempì del suono della suzione della piccina. Ogni volta che la allattava, a parte il primo risucchio che le faceva un po’ male, Dianna provava la meravigliosa sensazione di star costruendo con la sua bambina un legame sempre più forte che niente e nessuno avrebbe mai potuto spezzare e che, anche se date le circostanze non era stato possibile fare diversamente, era stato interrotto durante il cesareo. Non aveva sentito niente nel corso dell’operazione, ovvio, ma aveva comunque provato una sensazione di strappo, come se le stessero portando via la sua piccola, un pezzo di sé. Ne aveva parlato con il marito e lui l’aveva tranquillizzata dicendole che la cosa importante era che Madison stesse bene, ed era vero, ma Dianna non si toglieva di dosso quanto provava perché si sentiva violata, come se il loro legame fosse stato in parte reciso. Deglutì a vuoto. Le ci sarebbe voluto del tempo. Fece un vigoroso cenno di diniego per scacciare quegli orribili pensieri e si concentrò su Madison che succhiava avidamente, erano insieme e nient’altro contava.
"Se penso che i neonati mangiano ogni due, tre ore massimo mi spavento, sinceramente" confessò l'uomo alla moglie a un certo punto.
Lei sorrise.
"Dovremo prepararci a tanti pianti notturni. Mi darai una mano, vero?"
"Ma certo, te l'ho detto tante volte, non sarai sola. Abbiamo voluto entrambi questa bambina, la cresceremo insieme come facciamo con Demi e Dallas."
Il sorriso di Dianna si allargò a dismisura, Patrick da un certo punto in avanti non era stato molto presente nelle vite sua e delle figlie, ma con Eddi era tutto diverso. Lui la amava sinceramente, nel modo corretto, la rispettava come moglie, mamma e donna e le stava sempre accanto.
"Ti amo" gli disse, con la voce che si spezzava.
"Ti amo anch'io!"
Poco dopo li unì un bacio lungo e intenso che mandò loro le guance e i cuori in fiamme e solo un lieve lamento della bambina li divise.
"Sì, sì, Maddie, la mamma è tutta tua, perdonami" rise il padre accarezzandole la testolina.
Dopo che ebbero eseguito lo stesso procedimento per l'altro seno Madison finì il suo pasto, e in seguito ad un altro cambio di pannolino la bambina era sazia, pulita e profumata. Dianna decise di stare un po' su.
 
 
 
Quando Madison fu nel porta enfant sul divano con mamma, papà, Dallas e Demi accanto e infagottata in una copertina sempre di colore rosa, sembrava stesse davvero bene.
“La avvolgo sempre per farla sentire più contenuta e protetta, come se fosse ancora nella mia pancia” spiegò la donna alle figlie, che trovarono la cosa di una tenerezza incredibile.
La piccina aprì ancora di più gli occhi e si guardò un po' intorno. Per il momento non riusciva a vedere che ad alcuni centimetri di distanza, ma era bellissimo osservarla mentre pareva concentrarsi su quel poco di mondo esterno che i suoi occhi riuscivano a catturare.
"Avete deciso di darle il ciuccio, alla fine" commentò Dallas.
Era stata una questione molto dibattuta in quei mesi. Eddie aveva sostenuto che, se non fosse stata la pediatra a dire loro di darglielo, lui non gliel'avrebbe fatto usare perché personalmente non l'aveva mai utilizzato, mentre Dianna era stata di tutt'altro avviso.
"Il ciuccio è importante per dare al bambino il piacere di succhiare qualcosa quando non ha il seno" gli aveva spiegato, "serve per rilassarlo. Certo non bisogna darglielo solo per farlo stare buono, ma Demi e Dallas l'hanno utilizzato per cui mi piacerebbe lo usasse anche lui."
E, alla fine, più perché lei era già stata mamma che per una vera e propria convinzione, Eddie gliel'aveva data vinta.
"Già" disse. "E sembra piacerle."
"Per forza" aggiunse la moglie, "non ho mai visto un bambino che non lo apprezzi."
"Posso farvi vedere una cosa?" domandò Demi, impaziente.
Tutti acconsentirono e in quel momento Madison sputò il ciuccio che cadde nella cesta accanto a lei. Dato che non pianse, però, nessuno lo raccolse. Buddy era sdraiato sul tappeto davanti a loro, guardava la piccola ma non si muoveva.
Demi si inginocchiò di fronte alla bambina e la guardò con occhi adoranti per alcuni secondi.
"Ciao" le disse, con il cuore che batteva all'impazzata.
Aveva una sorella minore, era meraviglioso. Certo sarebbe stata felice anche se si fosse trattato di un maschietto, ma lei aveva desiderato tanto una femminuccia.
La bambina fece un gorgoglio piuttosto buffo e la guardò quando Demi avvicinò il viso a quello di lei fino a stargli praticamente sopra. Le toccò un angolo delle labbra con un dito e Maddie si girò verso di lei con la bocca aperta. Dianna capì e sorrise, mentre gli altri la guardarono un po' straniti.
"Che stai facendo?" le chiese Eddie.
"Vi mostro il riflesso di suzione, ce l'hanno tutti i bambini ancora prima di nascere. Spesso nella pancia li si vede succhiarsi il pollice o farlo con il liquido amniotico. Serve loro per andare verso il seno della mamma e prendere il latte."
"Che figata assurda!" esclamò Dallas a voce un po' troppo alta. Madison si mise quasi a piangere, ma Demi riuscì a calmarla con qualche carezza sulla testina - Dio, aveva dei capelli morbidissimi! - e alcune parole dolci. "Scusate, non riesco a trattenere l'entusiasmo. Non lo sapevo, come l'hai scoperto?"
"L'ho letto in un libro. Oltre a quello sulla gravidanza ne ho anche uno sui primi mesi del bambino."
Non era molto dettagliato, non quanto avrebbe voluto, ma le stava facendo imparare alcune cose interessanti. Ad ogni modo, se un giorno fosse diventata madre, di sicuro sarebbe stato necessario rifarlo, non sapeva quante informazioni sarebbe riuscita a trattenere e per quanto tempo.
"Vorrei leggerli anch'io. Me li presteresti, Demi, per favore? Mi sento un'ignorante."
Dallas lo disse con un sorriso amaro, segno che in parte ci credeva.
"Certo, e non dire così. Io ho voluto documentarmi, ma non significa che sono migliore di te."
La sorella la ringraziò.
"Mi fai vedere altre cose?"
"Conosco solo questo e poco altro, ma quando crescerà un po' sicuramente."
A turno le due vollero prenderla in braccio. La prima fu Dallas, dato che l'altra l'aveva già tenuta in precedenza.
"E se le faccio male? E se mi cade?" iniziò a chiedere la ragazza.
Era felicissima di coccolarla, l'aveva già fatto, ma mentre la stringeva tremava. Il viso era tirato così come i suoi sorrisi,, ogni altro muscolo del corpo teso e in allerta, le faceva male tutto. La paura di essere troppo poco delicata, o di non tenerla in modo abbastanza saldo, non la lasciava mai.
"Non succederà, la stai tenendo bene" le assicurò Dianna. "Rilassati. Fai dei bei respiri profondi. So che hai paura e non te ne devi vergognare, non sei né la prima né l'ultima persona che prova questa sensazione e non è una colpa o uno sbaglio."
Dallas provò a fare come le era stato detto, ma non fu facile. I battiti del suo cuore parevano incontrollabili e la testa non riusciva a formulare pensieri positivi.
Ora mi cadrà e si farà male, malissimo per colpa mia. Magari la sto tenendo troppo stretta, o il contrario…
Respirò ancora a fondo continuando a guardare la sorellina negli occhi e sentire quel frugoletto stretto a lei, ascoltarne il respiro calmo unito al proprio, sentirne la morbidezza e il calore, la aiutò a diminuire i battiti del proprio cuore. La paura non sparì, ma si calmò anche grazie al fatto che Madison non pianse mai né si lamentò e anzi, sembrava stare bene, segno che forse stava facendo qualcosa di buono. Dallas invidiò Demi quando, poco dopo, fu lei a tenere la bambina. Aveva solo nove anni, poco più, eppure la stringeva con una naturalezza incredibile. Non c'era paura nei suoi occhi, il suo sguardo non saettava dall'uno all'altro dei familiari come, invece, era stato per lei. Il sorriso di Demi era luminoso, stava appoggiata al cuscino del tutto rilassata e si concentrava solo su Madison. Era proprio così, infatti. Per lei era come se ci fossero state soltanto loro due in quella stanza, non udiva altro, non percepiva nessun'altra presenza.
"Ma sei dolcissima" mormorò la bambina, passandole una mano sulla guancia liscia come velluto.
Era tanto vicina a lei che poteva percepirne il profumo dolce e delicato, un profumo che avevano solo i neonati e i bambini piccoli, il più buono del mondo. Le braccia, le manine, le gambe, i piedini, era tutto minuscolo. Ora lei era una sorella maggiore, aveva qualcuno di più piccolo che avrebbe dovuto e voluto non solo amare, ma anche proteggere. Era una grande, enorme responsabilità, se ne rendeva conto ancora solo in parte, ma anche un’immensa gioia. Il suo intero essere fu attraversato da un calore e una scarica di energia fortissimi e improvvisi, come se qualcuno le avesse dato una scossa ma senza dolore, lasciandole dentro una sensazione meravigliosamente piacevole. Si era sentita così già la prima volta in cui l’aveva stretta a sé, ma di giorno in giorno quel calore cresceva, il legame tra di loro si rafforzava. Chissà se Madison avvertiva che il cuore della sorella batteva come se avesse voluto saltare fuori dal petto, si chiese Demi, se capiva quant’era felice e ciò che stava avvenendo fra loro.
“È una sensazione bella, vero Demetria?” le chiese Dallas in un sussurro.
“Sì, molto, molto bella” rispose anche lei piano.
Ma entrambe sapevano che quella o qualsiasi altra parola non sarebbe mai riuscita a descrivere a pieno un’emozione del genere, perché era una felicità troppo grande per la quale forse non potevano esistere parole, un po’ come quella, anche se vissuta in modo diverso, che doveva aver provato la loro mamma quando le aveva strette fra le braccia. Amore, un sentimento più grande di lei, del suo cuore, di qualsiasi altra cosa, persino del mondo intero. Forse era proprio in quella parola, “amore”, che si racchiudeva tutto. Non serviva altro per descrivere tale insieme di gioia e incredulità, di affetto e batticuore, di sorrisi, lacrime e parole.
La piccina incontrò gli occhi di Demi e fece qualche gorgoglio, cosa che provocò la sua risata sommessa.
Buddy saltò in braccio a Eddie e si avvicinò a Madison per poi annusarle una manina, i genitori lo lasciarono fare ma stettero attenti che non accadesse nulla. Dopo averlo fatto il cagnolino corse nella sua cuccia, felice.
"Voi credete nello spirito del Natale?" sene uscì Demi, mentre Madison si appoggiava ancora di più al suo braccio.
"Dal punto di vista religioso sì" disse Dianna "e credo che gli altri saranno d'accordo con me."
"Assolutamente" risposero i due in coro.
"Mentre per quanto riguarda Babbo Natale, insomma, diciamo che mi piace ancora crederci per tenere con me un po' di magia. Perché ci fai questa domanda?"
"Beh…" Magari era una cosa stupida da dire e arrossì al solo pensarci. "Ecco, Madison è nata il 28 dicembre e, anche se Natale è stato il 25, ho pensato che quest'anno lo spirito della festa da noi si prolunga. Io credo che si debba essere sempre buoni, non solo a Natale, e che anche se Gesù nasce il 25 e si festeggia solo quel giorno o, a a volte, la Vigilia a seconda dei casi, da noi Madison abbia prolungato il Natale. In parte perché ce l'ha mandata Dio, in parte in quanto è un regalo di post Natale, se così si può definire, fatto sempre da lui. Voi ci avete detto che i figli sono un dono anche per i genitori, che questi ultimi sono solo i mezzi con cui i bambini vengono al mondo, giusto? E allora, se come credo Madison è stato per tutti un bellissimo regalo, cosa che spero ci troverà d’accordo, e se non è nata in questo periodo dell'anno per caso, forse significa che l'anno prossimo le cose andranno ancora meglio per noi, che saremo sempre più felici, che lei porterà ancora più amore, vita e freschezza nella nostra esistenza."
Quel discorso, semplice ma bello e maturo per una bambina della sua età, fece sorridere e al contempo commuovere Dianna, Eddie e Dallas che non se l'aspettavano. Avevano pensato anche loro al dono post natalizio, soprattutto Dianna, ma era stato solo un momento, di certo non ci aveva riflettuto con quella profondità.
"Hai detto delle cose bellissime, amore mio" mormorò Eddie, colpito come le altre, non sapendo come risponderle.
"Era per questo che prima guardavi il presepe?" chiese Dallas. "Ci stavi ragionando?"
"Sì, e non vedevo l'ora di dirvelo. Anche se in parte mi è parso un discorso stupido."
"Non lo è, è stato molto vero, invece, e dimostra ancora una volta che sei una bambina sensibile. Non cambiare mai, non lasciare che la vita, per quanto dura potrà essere, ti porti via questo dono."
Le parole della mamma toccarono Demetria nel profondo, facendo vibrare corde del suo cuore e della propria anima che nemmeno sapeva di avere, scatenando in lei emozioni che non comprese del tutto. Era contenta di quel complimento e della riflessione della donna, ma al contempo pensava che se fosse stata meno sensibile, forse i commenti dei suoi compagni avrebbero fatto meno male. Magari, però, era meglio essere così che essere freddi e non provare nulla.
"Grazie."
Non riuscì ad aggiungere altro.
In quel momento Madison si mise di nuovo a piangere.
"Forse avrà di nuovo fame" suggerì l'uomo, anche se gli sembrava strano.
Demetria, senza dire niente, iniziò a cantare.
The first Noel the angels did say
Was to certain poor shepherds
In fields as they lay,
In fields where they lay
Keeping their sheep
On a cold winter's night
That was so deep.
 
Noel Noel Noel Noel!
Born is the King of Israel!
 
They looked up and saw a star
Shining in the East beyond them far,
And to the earth it gave great light,
And so it continued both day and night.
[…]
La sua voce melodiosa echeggiò per la casa e quelle parole cantate con molta dolcezza fecero quasi addormentare la bambina, che prese anche un dito della sorella e glielo strinse nella sua manina.
La sera, una volta sotto le coperte, Demi pensò che quel primo pomeriggio con Madison era stato meraviglioso. Lei era stato un bellissimo regalo che Dio aveva deciso di fare loro, migliorando la vita di tutti quanti e la ragazzina non vedeva l'ora che venisse il giorno dopo per poterla stringere di nuovo a sé e di vivere con lei, da quel momento in avanti, mille avventure. Già pensava a tutto quello che le avrebbe insegnato, si chiedeva se avrebbero avuto interessi in comune e si poneva altre mille domande delle quali sperava di conoscere presto la risposta.
"Ti voglio bene, Madison" mormorò guardando verso la porta. "Te ne vorrò per sempre."
 
 
 
credits:
The First Noel
 
Su vari siti internet ho letto che diversi storici credono le sue origini risalgano al 1200 in Francia, ma che sia diventata popolare in Inghilterra nel 1800. Gli inglesi William B. Sandys e Davies Gilbert la misero in musica e aggiunsero alcune parole e il primo la pubblicò con il titolo che conosciamo oggi nel suo libro “Christmas Carols Ancient and Modern” nel 1823.
 
 
 
NOTE:
1. il colore degli occhi dei neonati non è definitivo. Dopo la nascita li hanno grigi o azzurri perché i melanociti rispondono alla luce. Nei primi mesi di vita il colore si modifica a volte poco, altre molto, dipende da quanto i melanociti si impegnano a produrre melanina. Questo cambiamento dipende dalla quantità di tale sostanza che si trova nell’iride, determinata dai geni ereditati dal bambino e da altri fattori. Madison, ad esempio, dato che ha solo cinque giorni in questa storia, li ha ancora blu. Non sono sicura li avesse così, ma l’ho scritto per dire che da neonata doveva averli di un colore diverso. In realtà i suoi sono color miele e si saranno modificati con il tempo. Nella mia fanfiction “Ritrovata” avevo scritto che Demi da neonata li aveva marroni e che sua madre se ne innamorava perché è questo che ha scritto nel memoir “Falling With Wings: A Mother’s Story”, ma in realtà anche i suoi all’inizio non saranno stati di quel colore.
2. Ho trovato le informazioni sulla posizione trasversale del bambino su www.news-medical.net. Nell’articolo c’è scritto che nel caso in cui il bambino si metta in questa posizione durante il travaglio, quindi come nel caso di Dianna, è necessario fare subito un cesareo perché tale condizione può causare la rottura dell’utero. Ci sono dei casi in cui si può girare il bimbo, ma solo se non c’è rischio di rottura delle membrane.
3. Fino ad alcuni anni fa si tendeva a lasciare a letto le donne dopo l’intervento chirurgico del cesareo, oggi invece le si fa alzare il più presto possibile. Ho pensato che, essendo la fine del 2001 e pur trovandosi negli Stati Uniti, potesse essere plausibile che Dianna si tirasse su un po’ dopo. La morfina viene data spesso nelle prime ore dopo l’intervento per tenere sotto controllo il dolore, così come l’ossitocina. Dopo si può controllare la sofferenza con altri farmaci che non rendano impossibile l’allattamento. La fascia addominale può aiutare perché sostiene la pancia e la zona ferita dando sollievo. I dolori del post parto cesareo sono più leggeri dopo il primo, più forti se se ne hanno di più, tanto che si definiscono anche “morsi uterini”. Ho preso tutte queste informazioni da vari siti internet.
Nel suo libro Dianna non spiega come si è sentita dopo l’intervento, passa dal giorno della nascita di Madison al 12 gennaio, queste sono tutte cose che ho aggiunto io per rendere la mia storia realistica.
4. Le informazioni che ho dato su ciò che Demi e Dallas facevano da ottobre di quell’anno sono tratte dal memoir della madre.
5. Come ho scritto in altre mie storie, e lo ripeto per chi magari legge solo questa fanfiction, Buddy è un cane inventato, anche se Demi aveva veramente un Cocker Spaniel di nome Trump, nero però, cosa che ho scoperto dopo aver inventato questo con la mia amica Emmastory.
E parlando d’altro, dal memoir non era molto chiaro quanti anni avesse Demi quando Patrick e Dianna si sono lasciati, forse un anno e mezzo o due, ma comunque, anche per fare in modo che la piccola ricordasse più cose, ho aumentato l’età a tre, senza voler offendere nessuno. Comunque, è vero che per un po’ Dianna non ha avuto tanti soldi, la loro situazione non era buona e solo quando hanno incontrato Eddie le cose sono andate meglio. La vicenda dell’albero di Natale distrutto è inventata. È vero invece che Demi fosse bullizzata a scuola, anche se soprattutto per il suo peso.
6. So che il discorso sulla pulizia del moncone può fare un po’ senso, ma volevo aggiungerlo per dare più realismo. Ho trovato le informazioni sul sito www.nostrofiglio.it, che tra l’altro rimandava ad altre fonti come l’American Academy of Pediatrics e l’Organizzazione mondiale della sanità.
7. La riflessione sulle bambole è personale. Io mi comportavo proprio così, da piccola e alle elementari sono stata presa in giro più volte, con quelle e altre parole peggiori.
8. Ho preso le informazioni sul sorriso dei neonati da vari siti: www.pianetamamma.it, www.periodofertile.it e www.IlTuoBimbo.it.
9. Vero, Dianna, Demi e Dallas si sono avvicinate alla Chiesa e battezzate solo quando la più piccola aveva cinque anni. Dianna proveniva da una famiglia molto religiosa, comunque, non so come mai non fosse stata battezzata. Anche queste informazioni sono state prese dal memoir. Non ha mai detto se loro siano cattolici o meno, è una cosa che ho supposto.
10. Dopo il cesareo si può allattare anche se la prima poppata è ritardata, il bambino può perdere in parte il riflesso di suzione e la fuoriuscita del latte può ritardare. È importante farlo il più presto possibile anche se l’anestesia epidurale fatta più di frequente, o totale può dare un po’ di sonnolenza al bambino. Non so quale tipo di anestesia sia stato fatto a Dianna, quindi ho inventato che sia stata epidurale.
Non tutte le donne durante l’intervento vivono la sensazione di strappo, lei non ne accenna quindi non so cos’abbia sentito, ma siccome ho letto parecchie testimonianze che parlavano di questo turbamento mi sembrava importante scriverne. Non so nemmeno cos'abbia provato prima dal punto di vista emotivo, dice solo che c'è stato questo problema e che l’hanno portata d'urgenza in sala operatoria, poi che si è sentita sollevata udendo le parole del medico, per cui ho cercato di interpretare i suoi sentimenti precedenti nel discorso che hanno fatto lei e Eddie, aggiungendo qualcosa anche riguardo quelli dell'uomo perché in questi casi non è solo la mamma ad essere coinvolta.
La guida è vietata per alcune settimane dopo l’operazione, ma il 12 gennaio Dianna era già in macchina per accompagnare la figlia allo studio di “Barney And Friends”, leggendo il libro si capisce. Spero solo che abbia fatto attenzione e che non abbia disobbedito ai medici.
11. La vista dei neonati all’inizio è molto ridotta, si sviluppa nel corso dei mesi. Non tutti i genitori danno il ciuccio ai loro figli, su quest’ultimo ci sono molti falsi miti che dovrebbero essere sfatati.
12. Le sensazioni provate da Demi mentre tiene Madison sono le mie quando prendevo in braccio mio fratello.

 
 
RINGRAZIAMENTI
 
E così, sono riuscita ad arrivare anche alla fine di questa raccolta. Scrivendola ho provato tante emozioni diverse: allegria, felicità, ma anche tristezza e dolore, soprattutto se penso al fatto che Demi e la sua famiglia, quelle vere, hanno davvero vissuto alcune delle situazioni citate. Non è giusto, ma purtroppo penso che cose del genere accadano a molte più persone di quante immaginiamo e mi riferisco soprattutto ai casi di violenza domestica. Anche i disturbi alimentari e il bullismo, comunque, sono fenomeni più comuni di quanto si pensi. Il problema è che tanti passano sotto silenzio e se ne parla ancora troppo poco.


Come ho scritto, queste storie sono state più leggere di altre che ho pubblicato, ma leggero non significa superficiale e ho cercato di parlare anche di tematiche importanti nonostante il clima abbastanza sereno, tranne in questa storia nella quale l'ho fatto di meno per concentrarmi sull'intimità familiare e sulla bambina.
Ho dato valore alla famiglia e all’amicizia raccontando, anche per quanto riguarda i personaggi famosi, le persone e non le celebrità, inventando sì, ma senza voler offendere e restando anche fedele a ciò che hanno vissuto per quanto possibile. Spesso scordiamo che oltre ad essere personaggi famosi sono anche persone con una vita, problemi e sentimenti che vanno rispettati.
Sono molto soddisfatta di come sono venuti i racconti, spero che siano piaciuti anche a voi.


Ringrazio Emmastory per avermi passato quei prompt, senza di te questa raccolta non esisterebbe, e tutte le mie amiche che leggono e recensiscono ciò che scrivo supportandomi sempre, in particolare _FallingToPieces_, JustBigin45, Ciuffettina e Fujiko91.


Un grazie speciale a Demi Lovato per tutto l'aiuto che dà a tante persone, me compresa, a Dianna e alla sua dolcezza, a Madison che ha una voce bellissima come la sorella (a proposito, auguri cara, anche se in ritardo di un giorno) e a Dallas e Eddie, benché li conosca di meno.
Grazie a tutti i miei personaggi originali e anche a quelli famosi che qui rappresento e che mi hanno seguita nelle avventure che ho fatto vivere loro.

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