Di cosa profuma Richie Tozier?

di beep beep richie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una bugia per mammina ***
Capitolo 3: *** Stacey ***
Capitolo 4: *** Le peggiori corse in bici di Eddie ***
Capitolo 5: *** Sono solo stronzate! ***
Capitolo 6: *** Rip, Eddie Kaspbrak ***
Capitolo 7: *** Eddie-Freddie ha uno strano muso triste ***
Capitolo 8: *** Il piccolo, sporco segreto di Richie ***
Capitolo 9: *** Chi è gay finisce all'inferno? ***
Capitolo 10: *** Il piano di Stacey ***
Capitolo 11: *** Houston, abbiamo un problema! ***
Capitolo 12: *** Finché ti va ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Di cosa profuma Richie Tozier?

 
 
Di cosa profuma Richie Tozier?
Un quesito simile, prima di quel momento, Eddie non se l’era mai posto. Se ne stava in piedi davanti allo specchio del bagno a fissare il proprio riflesso ed aveva appena finito di constatare che la camicia con le palme di Richie fosse molto, anzi tremendamente larga, cazzo. Continuava a ripetere ai suoi amici che non fosse basso, a mandare a fare in culo Boccaccia perché principalmente era lui il problema, quello che lo faceva sentire un nanetto, che a volte gli dava persino del nanetto, ma i fatti parlavano chiaro: la camicia di Richie gli arrivava quasi alle ginocchia. Forse l’ha presa di qualche taglia più grande, aveva provato a giustificarsi, ma non c’era niente da fare: era innegabile che quella camicia fosse troppo grande perché Richie fosse troppo grande e Eddie troppo piccolo. E ci si sentiva pure, lì dentro, troppo piccolo. Non sapeva ancora se fosse una bella od una brutta sensazione.
Da poco aveva allungato il naso verso il colletto della camicia ed aveva incominciato ad inspirare.
Di cosa profuma Richie Tozier?
Chiuse gli occhi, si strinse in quella camicia e si rispose.
Di stupido, innanzitutto. Aprì gli occhi e si rese conto di star sorridendo, piuttosto soddisfatto, ma farlo in assenza del suo amico gli sembrò un attimo dopo un po’ sciocco. Che gusto c’era ad insultare Richie se quello non poteva sentirlo? Se lo figurò proprio: s’immaginò quello che, ridendosela, quella sua risatina del cazzo, gli diceva che insultarlo in sua assenza fosse poco producente e poi faceva un’imitazione di qualcosa che Eddie non conosceva.

«Sta’ zitto, Richie!»

Un. Attimo. Cavolo.

«Oh, perfetto, adesso per colpa tua mi metto anche a parlare da solo!»

Era peggio di un’infezione, Rich gli avrebbe fatto venire una malattia mentale e non andava bene, oh, non andava proprio bene. Continuava a ripeterselo, ma stavolta lo pensò soltanto: sta’ zitto Richie, sta’ zitto Richie, sta’ zitto! Se gli avesse fatto venire una malattia, sua madre ne sarebbe uscita pazza.
A proposito di sua madre...
Ormai erano dieci minuti che stava in bagno a guardarsi allo specchio con indosso la camicia del suo amico, a toccarne delicatamente il tessuto, si sarebbe presto preoccupata. Solo due minuti ancora, si disse, chiudendo di nuovo gli occhi.
Di cosa profuma Richie Tozier?
Inspirò una nuova volta, strusciando con la punta del naso contro il tessuto della camicia, fino anche a toccarlo con le labbra, e si trovò costretto ad espirare.
Di stupido. Rich sa di stupido, ripeté. Si ritrovò a sorridere, lo fece contro la camicia stessa, ma proseguì. Puzza di fumo, si rese conto e le labbra si storsero in una smorfia. Sa di buono, però. Sa di corag...

«AAH!» urlò alzando in fretta la testa per allontanare le labbra dall’indumento, indietreggiando e quasi inciampando sui suoi stessi piedi quando sentì qualcuno bussare alla porta del bagno. Non poteva essere beccato quasi a limonare con un oggetto di Richie! Praticamente poi già sentiva sua madre chiedergli con tono spaventato se gli fosse accaduto qualcosa, dopotutto la maggior parte degli incidenti domestici avvenivano in bagno. Pisellino... Già lo sentiva, cazzo se lo sentiva! Anche se non aveva davvero sentito la voce di sua madre. «Sto bene, mamma, s-sto... sto bene! Ora esco dal bagno, un minuto!» Suonò forse come una bugia, il panico d’essere scoperto ad indossare la camicia di uno dei suoi amici, tutti i germi che si scambiano, i perché a cui rispondere... L’inalatore, cazzo! Però non arrivò alcuna risposta, neanche una minuscola da parte di una signora Kappa rassicurata o, più probabilmente, ancora preoccupata. Eddie provò a prendere un bel respiro e lanciò allo specchio un’ultima occhiata prima di uscire dal bagno. Si guardò intorno fuori dalla porta e di soppiatto rientrò nella sua camera. Si chiuse la porta alle spalle, molto più tranquillo d’averla scampata con sua madre, quando una voce in un angolino gli fece perdere almeno dieci anni di vita.

«Abbiamo appena risolto il caso: è Eduardo il nostro ladro!»

Come cavolo è entrato in casa? Questo l’avrebbe pensato soltanto dopo, in quel momento il problema era un altro, ossia: Richie Tozier era in camera sua e l’aveva visto con quella camicia indosso. La sua camicia.

«Che... che cazzo dici, sei stato tu a dimenticare qua la tua camicia!»

«E tu il coglione ad averla messa!» rispose prontamente Richie con tono asciutto, prima di iniziare a ridacchiare ed avanzare verso l’amico. «Avevo questa sensazione che indossassi almeno dieci taglie in meno a me, ma vederlo fa anche più ridere!»

«Sta’ zitto, Rich!» Stavolta lo disse al Richie in carne ed ossa, quello che si era appena fermato ad un passo da lui ed ora lo affiancava. Quello di Eddie era un po’ un temporeggiare, doveva pur spiegargli perché indossasse la sua camicia. Iniziò a sembrare infastidito. Dopotutto lo era: era infastidito dal fatto che fosse appena stato scoperto così. Non doveva accadere. Non doveva proprio accadere. «Volevo solo controllare di avere ragione! Mi sembrava un tessuto che a contatto con la pelle facesse prurito perché troppo ruvido e -» In realtà la camicia di Richie era così morbida...!

«Tutto questo è divertente, anche se elementare, Watson!» lo interruppe l’altro con una delle sue Voci.

Eddie sembrava non capire. Richie... Richie aveva capito perché l’avesse indossata? Non era possibile, eppure... eppure a lui sembrava di essere stato così credibile! Per tutto questo tempo.

«Vaffanculo, adesso me la tolgo! Tanto puzza di fumo ed ora per colpa tua avrò dei polmoni più deboli perché sono pur sempre frammenti di fumo passivo, questi, e mia madre se la prenderà anche con te e-»

Eee... un’altra volta non terminò la frase, perché, tentando di spogliarsi, tragicamente la camicia si impigliò da una manica al gesso. Cazzo, che tempismo!
Richie rise un’altra volta ed allungò una mano in avanti per raccogliere tra due dita (indice e pollice) la guancia di Eddie e la strizzò, costringendolo a smetterla coi tentativi di spogliarsi della sua camicia.

«Carino, carino, carino!» disse con quella che sarebbe potuta sembrare ironia alle orecchie di chiunque. Sicuramente a quelle di Eddie, che mise su un broncio, ma lui lo ignorò. «Non ti ho mica detto di dovertela togliere, Eds!»

«Lasciami!» si oppose, divincolandosi e riuscendo a liberare sia la sua guancia dalle dita dell’amico, sia il braccio ingessato dalla camicia finalmente. «E smettila di chiamarmi Eds

Richie colse l’occasione: «Ma non mi lamento nemmeno se ti spogli davanti a me, Eds!»

Ma che cazzo vuole?! Insomma... Arrossì. Eddie arrossì di brutto. Forse era il fastidio, o così doveva sembrare, ma più probabilmente era un’altra cosa. Decisamente era un’altra cosa. Lanciò la camicia addosso al suo proprietario e il suo broncio divenne ancora più brutto. Carino, secondo Richie. Il fatto era che gli dava fastidio che fosse pure arrossito davanti a lui. Perché... sapete cosa? Non voleva che Richie si lamentasse perché si spogliava davanti a lui. Moriva dalla voglia che gli toccasse o anche solo sfiorasse per sbaglio il petto. Di cosa profumava Richie Tozier? Di qualsiasi cosa profumasse, voleva avere lo stesso profumo. Voleva Richie sulla sua pelle, la sua camicia non era abbastanza. Lo voleva sempre. E mai... mai... Non si accorse che il broncio fosse sparito, un’espressione triste gli era comparsa in volto. Richie doveva essersene accorto, perché, nonostante si fosse pure messo a ridere come lo stupido quale era, si era corretto. Aveva detto...

«Ovviamente ti prendo per il culo!»

Già... Mi prendi sempre per il culo.

«Con questa addosso in realtà sembri uscito dall’armadio di tua madre, ti sta come un vestitino!»

«Sta’ zitto, Richie! Sta’ – zitto! Mia madre è di sotto!»

Richie alzò in alto le mani in segno di innocenza, una a stringere la camicia e l’altra col palmo aperto. Eddie sospirò, andando a cercare una maglietta da indossare e ritrovò sul letto quella di cui prima s’era spogliato per indossare la camicia. Richie Boccaccia rimase inaspettatamente zitto per tutto il tempo a guardarlo, non osò neppure fischiettare. Alla fine, non seppe neppure perché, ma disse: «Comunque potevi tenerla.»

«Perché dovrei tenere una tua camicia?»

«Per vestirti da tua madre per Halloween! Woo!» Alzò il cinque in attesa che l’altro glielo battesse, ma quelle non lo fece. Invece da Eddie si beccò soltanto un’occhiataccia.

«Non mi stava così male!»

«Infatti.» concesse l’altro, non sembrava neppure prenderlo così tanto in giro a giudicare dal tono. E questo era un problema per Eddie. Perché ci sperava. Ci sperava segretamente da un po’. «Ho detto che sei carino!»

«Hai detto che mi prendevi per il culo!»

«Non posso fare entrambe le cose?»

«No...? O mi prendi per il culo o non lo fai, deciditi!» Gesticolando, alzò la mano, piatta, per metterci più enfasi.

Richie però non si decise: vederlo così spazientito lo divertiva ed un’altra volta gli rise in faccia senza dire niente. Avvicinò le labbra ad una sua guancia e gli lasciò un bacetto. Doveva sembrare una bella grossa presa per il culo. Praticamente lo era. Teoricamente... «Così carino!» ripeté, e la cosa fece arrabbiare Eddie, che si lasciò scappare un verso pieno di quel fastidio che provava. «E se tieni la camicia sembrerai mio figlio! Mi sono pur sempre fatto tua madre...!»

«Basta, Richie! Fi – niscila!» rispose, spazientito. «Ora vai, devo fare i compiti!» mentì, raggiungendolo alle spalle e posandogli le mani sulla schiena per spingerlo verso la porta. Questo era l’unico genere di contatto che gli era concesso. Quello che potevano avere due amici. Solo due amici, due migliori amici.

«Posso farli con te?»

«Mia madre ci uccide se ti vede qui!»

«È perché devo comprarla! Sicuramente vuole un bacino pure lei!»

Eddie lo aveva spinto fino alla porta e si era fermato. Sbuffò, lasciandolo stare.

«Oppure devo farle vedere il pisello!» insistette Richie, l’altro finse di vomitare, ma la visione era davvero tragicamente disgustosa.

«Va’ via, Rich!» Stava davvero cacciando di casa il suo migliore amico? Sì.

«Okay, okay, figliolo!» si arrese l’altro. Gli diede una pacca sulla spalla e varcò la soglia della porta, andandosene. «Ci vediamo domani!»

«A domani!»

Eddie corse alla finestra per spiare segretamente il suo amico che tornava a casa. Prima che cominciasse a pedalare, questo indossò la sua camicia, vide. Rimase alla finestra per un po’, prima di tornare sul proprio letto ed annusare la maglietta. La odiava, cazzo. Non sapeva affatto di Richie Tozier.
Di cosa profuma Richie Tozier?
Ora anche un po’ di Eddie Kaspbrak.
 
Finalmente Richie profumava di ciò che più amava al mondo, anche se Eddie non lo sapeva.

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Capitolo 2
*** Una bugia per mammina ***


Una bugia per mammina

 

Due anni dopo

 
DRIIIIIIIIIIIIIIIINN!!!!!
Come cazzo era possibile che la campana dell’ultima ora fosse già suonata?! Eddie non aveva ancora cancellato dal suo banco quella R scritta a matita, cazzo cazzo cazzo! Sentì il suo compagno di banco chiudere con un tonfo il libro di storia, le sedie strusciare violentemente contro il pavimento dell’aula, tutti gli studenti mettersi in piedi e le voci alzarsi, mentre lui stava cercando in fretta la gomma da cancellare per nascondere ogni prova. Cazzo, cazzo, cazzo! Nessuno deve leggere! C’era anche scritto che non si scrive sul banco, perché l’ho fatto?!  Ogni suono, ogni rumore del cazzo nella sua testa veniva amplificato perché non c’era abbastanza tempo, quella dannata eppure benedetta lettera continuava a restare lì, peggio di un segno indelebile, e nessuno, nessuno doveva vederla. Poteva essere l’iniziale di qualsiasi parola, ce n’erano molte che cominciavano per R, ma la paranoia lo portava a credere che, se qualcuno avesse letto, avrebbe capito immediatamente. Avrebbero capito perché Richie era sempre la soluzione, la sola. Era il suo migliore amico, ma chi, quale sano di mente avrebbe scritto il nome del proprio migliore amico sul banco? Gli avrebbero dato della fighettina.
Erano passate alcune ore da quando aveva lavato le mani nel bagno della scuola per l’ultima volta e il polpastrello ormai era entrato in contatto con troppi batteri, non poteva farsi una passatina sulla lingua per cancellare la scritta con la saliva. Non importava, però. Morire per quello sarebbe stato meno tragico che far sapere agli altri che gli piaceva Richie.
Nel momento in cui si passò un polpastrello sulla lingua, chiedendo scusa all’Eddie del futuro, probabilmente malato o morto, una mano si posò sulla sua spalla. SANTISSIMO GES–

«Ci s-, c-c-ci sei, E-Eddie?» domandò Bill senza far caso a cosa, sul banco, il suo amico stesse coprendo non con un dito, ma con ben due mani intere. Le gambe di Eddie tremavano più di quanto facessero le pupille, ma era sicuro che non si notasse restando seduto. Il problema era che si doveva alzare.

«Sì, sto... Arrivo!»

Bill attese un solo istante e cominciò ad avviarsi quando vide Eddie tirarsi su. Per fortuna! Quest’ultimo si guardò attorno e quando fu sicuro che nessuno avrebbe letto del suo piccolo peccato si impegnò a sfregare per bene il polpastrello sul banco. Ti odio, Richie. Mi farai ammalare. Tirò un bel sospiro e finalmente uscì dalla classe. Nel corridoio si mischiò a qualche studente degli altri anni e presto riuscì a raggiungere i Perdenti.

«Ho una sorta di dono! Non devo far altro che ripetere nonchiedermiCarloMagno-nonchiedermiCarloMagno-nonchiedermiCarloMagno e boom, Carlo Magno scampato!» sentì dire a Richie.

«Certo, non ti ha chiesto Carlo Magno perché non ha proprio interrogato te.»

«Non c’entra niente, Stanley, mio caro! Non mi ha comunque chiesto Carlo Magno! Ripeto nel caso qualcuno non avesse sentito: ho un dono, io! Oh, eccoti, Eds! Dove eri finito? Pensavamo ti fossi chiuso in bagno a controllare di non esserti bagnato i tanga quando ti ha quasi chiamato!» Alluse all’interrogazione del Kaspbrak scampata nei primi minuti della lezione.

«S-s-solo tu lo pensavi, Richie!» commentò Bill. Dopotutto, Eddie non aveva tardato a raggiungerli poi così tanto, era solo quella Boccaccia che a quanto pare aveva dato troppa importanza alla sua assenza. Forse per noia. Forse perché era semplicemente di Richie Tozier che si trattava e doveva trovare ogni maniera di molestare il suo amico. Come avrebbe potuto pensare Eddie, invece, che quello contasse ogni secondo senza di lui? Come avrebbe potuto pensare che, se lui mancava, Richie lo sentiva? E ne soffriva?

«Mio giovane amico!» riprese Richie, rivolgendosi a Bill. «Non vorrai far credere al nostro Eds che non conti niente per noi?» Prima che Bill potesse rispondere, Richie proseguì, stavolta rivolgendosi direttamente ad Eddie.

«Perché in effetti è vero! L’unica cosa che bisognerebbe contare, qui, sono i tuoi centimetri e non parlo del tuo pisello! Sei così piccolo che potresti passare per Sue Storm senza neanche usare il suo potere!» Gli diede due pacche sulla spalla.

«Vaffanculo!»

Stan sbuffò.

«Allora si sta da me oggi?» domandò Ben.

«Io mi sa tanto che passo!» rispose Richie. «Non ho intenzione di anticiparmi un compito per la prossima settimana come voi Perdenti!»

«S-sei u-un Perdente a-a-anche tu, Richie!»

E Richie lo sapeva. Scherzava, scherzava sempre.

«Sì, Big Bill! Ma, e qui mi correggo dandoti ragione, bisogna essere più che Perdente per anticiparsi un compito così lontano, dico bene?»

«Io in realtà non sono d’accordo.» disse Ben. «Prima lo facciamo, prima ce lo togliamo. E poi è sempre meglio farlo in anticipo che in ritardo.»

«Ben – B-Ben ha-a ragione!»

«Come volete, Perdenti! Vorrà dire che io e Eds ci ridurremo all’ultimo! Faremo un ottimo lavoro di coppia, amore mio!»

Eddie spalancò gli occhi, irrigidendosi quando, chiamandolo con quel nomignolo, quello osò anche mettergli un braccio attorno al collo.

«In realtà io ci sono per studiare oggi!» ribatté.

«Sì, mia madre!» gli rispose Richie ridendo. S’azzardò a continuare a camminare con quel braccio ancora lì, cazzo. «E la sua anatomia!» concluse. Alzò la mano libera per farsi battere il cinque, ma nessuno gli diede corda.

«Andiamo, non vorrai anche tu fare il secchioncello, tesoro

Ancora?!
Per la cronaca: sì, Eddie voleva farlo eccome. Non perché avesse tutta quella voglia di studiare, a dire il vero, ma perché sarebbe stato molto più semplice fare il compito con i suoi amici questo pomeriggio piuttosto che un’altra volta da solo o, peggio, solamente con Richie. Quello lo avrebbe sicuramente distratto. Anche solo respirando.
Probabilmente lo compresero solo Stan e Bill il motivo per cui, nonostante questa volontà, Eddie scosse il capo dando ragione a Richie. O forse, in fondo, lo sapevano tutti. Era così palese.

«Ottimo!» risolse il Tozier con allegria, imitando una Voce che forse nessuno del gruppo conosceva. «Quest’oggi allora io e il mio prode cavaliere Eds ce ne andremo in giro per il nostro regno mentre voi Perdenti vi farete il culo sui libri! Ahimé, vi mancheremo come l’aria, dopotutto chiunque morirebbe senza l’adorabile presenza del nostro Eds, ma non piangete per noi!»

«AVEVI DETTO CHE NON CONTAVO NIENTE!»

«HO DETTO CHE DA CONTARE NON CI SAREBBERO NEANCHE I TUOI CENTIMETRI!»

«APPUNTO!»

«APPUNTO!»

«Mi è tornato il mal di testa.» disse Stan a Bill.

Ci vollero parecchi minuti, ma alla fine la coppia sposata uscì dalla loro crisi, i ragazzi dalla scuola e tutti salirono sulle biciclette. Pedalarono verso le loro case, chi avrebbe poi raggiunto Ben qualche ora più tardi e chi...

 
Richie bussò più volte alla porta di casa Kaspbrak, imitando un jingle dalla dubbia provenienza.

«Piselliiiiino! Vedi tu chi è alla porta?»

Sonia Kaspbrak se ne stava spaparanzata sulla poltrona del salotto e da lì aveva la perfetta visuale su suo figlio che eseguiva gli ordini ed andava a vedere chi avesse bussato. Non aprì la porta prima di chiedere chi vi fosse dietro.

«Il tuo paparino!» rispose scherzosamente Richie, perdendosi da lì fuori l’occhiata di Eddie alla quando-siamo-fuori-ti-ammazzo-lentamente-ma-anche-velocemente-va-bene. Le battute che l’amico faceva su sua madre erano già abbastanza disgustose così, ma era grave che lui gliene propinasse qualcuna anche quando c’era il rischio che proprio sua madre sentisse. Idiota!

«Idiota.» gli sussurrò aggressivamente, per l’appunto, quando gli ebbe aperto la porta. «Che ci fai qui?» chiese sempre a voce bassa. Lo sai che a mia madre non piaci!

«Come che ci faccio qui?» Richie invece non si curava di usare un tono altrettanto basso. «Ti sei già scordato del nostro appuntamento, amore mio

Eddie fece roteare gli occhi.

«Non possiamo stare qui, a mamma non piaci e crede che studio, tu faresti sicuramente un gran casino, conoscend-»

«Eddie? Chi è alla porta?» lo interruppe sua madre.

Merda. L’idea di rispondere nessuno lo allettava, ma...

«È solo Richie!» la informò lui, prendendo per un braccio l’amico e spostandolo a suo piacimento in modo che entrasse in casa e sua madre lo vedesse. E lei lo vide, perciò Richie pensò bene di alzare una mano in segno di saluto.

«Salve, signora Kappa!»

«Io e Richie andiamo a studiare a casa sua!» inventò Eddie. Qualsiasi cosa per non avere Richie e sua madre nello stesso posto! All’inizio non era così, ma più il tempo passava, più c’era qualcosa che gli faceva scattare un allarme e lo convinceva che non fosse una buona idea tenere nello stesso territorio i due. Forse era solo la paura che sua madre scoprisse quali fossero i suoi sentimenti per l’amico. Forse, invece, semplicemente chiunque avrebbe considerato saggio tenere lontano una Boccaccia come Richie da una donna su cui faceva battute anche spinte. Forse era che a sua madre non piacevano i suoi amici.
Eddie gli lasciò il braccio e fece per uscire di casa, quando sua madre, di nuovo, lo interruppe. Per un attimo pensò che gli vietasse di stare col Tozier.

«Non dimentichi qualcosa?»

Menomale! Cioè, no, cazzo, come al solito! Almeno, però, nessun divieto.
Effettivamente Eddie dimenticava lo zaino con i libri, se doveva studiare insieme all’altro, e con sé aveva soltanto il solito marsupio con l’inalatore e tutti i medicinali essenziali per la sua sopravvivenza, almeno secondo Sonia Kaspbrak. Non era però lo zaino di cui parlava lei. Eddie la raggiunse alla poltrona e le posò un bacio sulla guancia, così tornò alla porta.

«È sicura che anche questa volta non ne vuole uno da me?» riuscì a chiedere Richie prima che Eddie lo spinse fuori casa sua. Libero, poté finalmente insultarlo a voce alta.

«Non fare l’idiota, idiota!»

«Non è di certo colpa mia se tua madre è una donna timida e si vergogna di dimostrare il suo amore per me davanti a te! Sai, la verità è che vogliamo andarci piano con questa relazione e non ci sembra saggio informare tutto il mondo, per quanto sia dura portare avanti il segreto viste le sue urla di notte...»

Eddie gli rispose con uno sbuffo infastidito.

«Comunque potevamo anche restare in camera tua! In fondo oggi dovevamo girare per il nostro regno e casa tua è il mio regno, mia principessa!» Da prode cavaliere a principessa era un attimo.

«Neanche per sogno!» gli andò contro Eddie. «Sei troppo fastidioso, mia madre si accorgerebbe che non studiamo! In realtà, per come sei tu, se ne accorgerebbe anche se stessi zitto!»

Però era solo una scusa, Sonia non si sarebbe accorta di niente.

«Sarà!» rispose Richie stringendosi nelle spalle. «Sei fortunato che in casa mia non ci sia nessuno!» Non sarebbe stato un problema se ci fosse stato qualcuno, comunque. «Comincio a pensare che dal principio il tuo piano fosse quello di restare solo in casa con me, birbantello! Ah, queste principesse di oggi, così monelle!» Gli strizzò una guancia.

«Oh, stai zitto, Rich!»

«La mia principessina... col pisello!» sghignazzò lui, salendo sulla bici e partendo per la meta. Quando arrivarono in casa, poco dopo, si chiusero direttamente in camera sua.

«Beeeene, Piselliiiino!» esordì Richie sdraiandosi comodamente sul proprio letto, per non dire saltandoci proprio sopra. «Hai appena mentito alla tua bella mammina, questo come ti fa sentire? Affranto? Pentito? Finalmente un uomo con un pisello abbastanza lungo da far concorrenza al mio?»

«Dovresti smetterla di vantarti tanto delle tue lunghezze, dato che qui nessuno le ha mai viste!» incominciò Eddie, riuscendo magicamente a non sentirsi a disagio nel pronunciare una frase del genere, dato che, insomma, stava parlando pur sempre del sesso del ragazzo per cui aveva una cotta. Cioè. Del suo migliore amico. Anche se poi in realtà il suo migliore amico era Bill, invece Richie era su un altro livello, naturalmente superiore. «E no!» capì di dover aggiungere, gesticolando. «Non è un invito a mostrarmelo!» Anche se... Si lasciò cadere sullo stesso letto, ma seduto, lì dove trovò un po’ di spazio e per averne un po’ di più con le mani spostò le gambe del padrone di casa. «E poi hai già dimenticato che due anni fa le ho praticamente raccontato solo bugie?!» Con It...

«Complimenti!» rispose Richie, modulando la voce, mentre cercava di resistere alle braccia di Eddie che volevano spostarlo. «Abbiamo il nostro vincitore! Signore e signori, la ruota stasera è girata per Edward Kaspbrak! Eduardo, non ti starai scordando i ringraziamenti ai tuoi cari?»

Eddie capì subito che stesse imitando il presentatore di un programma famoso che faceva in tv. Non gli rispose e Richie lo prese come un invito a continuare.

«Quante balle avrai raccontato a tua madre in tutta la tua vita?»

«Troppe?» buttò lì Eddie.

«Spara un numero!»

«Tu quante gliene hai raccontate alla tua?»

«Almeno venti al giorno!»

«Allora io molte meno!» ribattè l’altro lasciando perdere le gambe dell’amico, ma afferrandogli una sola caviglia. Richie ignorò apparentemente la cosa.

«Eduardo sta forse cercando per la prima volta di perdere di proposito una sfida? La ruota ha smesso di girare?» chiese imitando nuovamente quella Voce.

Eddie tornò all’attacco, tirandogli la caviglia per prendersi più spazio sul letto. Richie lo lasciò vincere e spostò l’intero corpo su un lato perché Eddie potesse sdraiarsi. Questo non si sdraiò però, invece spostò solo un po’ il sedere verso il centro del materasso.

«Non sto perdendo, sto vincendo!»

«Non mi sembra! Credevo sapessi contare e se la matematica non è un’opinione, allora molte meno sono molto meno ed i numeri più bassi perdono!»

«Guarda che non vince chi dice più bugie a sua madre, semmai il contrario!»

«Eds, mio dolce angioletto, questo è perché tu sei un fottutissimo leccaculo!»

«Io non sono leccaculo con mia madre!» gridò, arrabbiato, il dolce angioletto.

«Hai ragione! Per carità!» gli concesse, teatrale. «Sono io che lecco il culo a tua madre e per la precisione anche... –»

«NON LO DIRE!» lo rimproverò subito Eddie, tappandosi le orecchie e colpendolo con un calcio ad una gamba. «SEI DISGUSTOSO, CHIUDI QUELLA FOGNA!»

Richie rise.

«SMETTILA DI PARLARE IN QUESTO MODO DI MIA MADRE!» continuò Eddie.

«E non sai neanche il sapore che...»

«OH CAZZO, CAZZO CAZZO CAZZO, BEEP BEEP RICHIE!» lo sgridò ancora, prima di colpirlo nuovamente.

Richie continuò a ridersela finché le acque non si calmarono. Si tolse le scarpe e coi calzini ai piedi andò a molestare una guancia dell’amico. Sempre meglio di Eddie che i calci glieli tirava pure con le scarpe, almeno!

«Qual è la cazzata più grossa che hai sparato a tua madre?» domandò all’improvviso, quasi serio.

E questa domanda del cazzo? Perché? Forse glielo chiedeva per noia. Stette al gioco, dunque. Ci pensò per qualche secondo ed alla fine si strinse nelle spalle. «No, mamma, non ho mai fatto un bel bagno nelle acque nere.»

Richie rise silenziosamente. «Non le hai mai detto una cosa simile!»

«È vero.» gli diede ragione Eddie. «Ma non le ho mai detto neanche di averlo fatto!»

«Allora nell’ultima settimana!»

Quali balle ho raccontato a mia madre nell’ultima settimana?

«“Torno a casa alle due e mezza”?»

«A che ora sei tornato?»

«Due e trentacinque!»

«Ma vaffanculo!» Richie gli mollò un calcio sulla nuca ed Eddie si grattò immediatamente il punto colpito.

«Vaffanculo tu!» Per il calcio. Si vendicò tirandogliene un altro.

«Ci vuole un’evoluzione del personaggio qui!» dichiarò Richie. «Bisogna passare al livello successivo o finirai a quarant’anni sposato con una donna uguale a tua mamma ed anche a lei non racconterai mai balle! Non grosse, almeno! O peggio!» aggiunse, ripensandoci. «Finirai sposato direttamente con tua madre!»

«Non ho capito e non so se voglio capire!» Non voleva capire, avrebbe realizzato appena dopo.

«Dobbiamo inventarci una bella balla da raccontare a tua madre così finalmente potrai dire di essere quell’uomo con un pisello abbastanza lungo da far concorrenza al mio di cui parlavamo prima!» spiegò.

«Non mi va di mentirle solo per far divertire te!»

«Quanto sei noioso, Eds!»

Questo bastò a fargli cambiare idea. Mise su un broncio e domandò: «E che tipo di bugia dovrei raccontarle?»

«Non lo so!» rispose Richie. «Sii fantasioso! Sorprendimi!»

Eddie iniziò a pensarci, ma non gli venne in mente nessuna buona idea. Non prima di Richie, sicuramente. Anche se le sue, poi, non erano affatto buone idee.

«Puoi dirle che fumi!»

«Sei pazzo?! Mi uccide prima che possa farlo il fumo!» Fu così che Richie si prese un altro calcio. «Se fumassi e lo scoprisse, non mi farebbe uscire di casa per i prossimi cinque anni, in cui starei all’ospedale a curare i miei polmoni rovinati per colpa di quelle sigarette del cavolo! E tua!»

«Te la fai con Beverly!» propose nuovamente, stavolta ridendosela sommessamente.

«Tu non riesci ad avere una buona idea che sia una

«Puoi dirle che te la fai con me!» fu l’ultima proposta di Richie.

«Certo, ammazzerebbe anche te!»

«Pensaci!» continuò a scherzare il coglione. «Io e il mio amore che ci sbaciucchiamo nel salotto della signora Kappa e facciamo anche rumori molesti! Mmmhh! Oooohhh! Uhh, sì, Eds!»

«Finiscila!» Stavolta Eddie gli tappò letteralmente la bocca con le mani e lo sovrastò col corpo reggendosi sulle proprie ginocchia. «E poi, geniaccio, se ci sbaciucchiamo davanti a lei, allora non è più una bugia che me la faccio con te, no?!»

Richie parve analizzare e prendere come esatta la frase detta dall’amico, così quando gli spostò le mani dalla propria bocca rispose: «Hai proprio ragione, Eds. Allora il tuo cervellino, anche se piccolo, funziona ancora abbastanza bene!»

Eddie sbuffò, spostando l’intero corpo e lasciandosi cadere al lato dell’amico, ora sdraiato sulla schiena, ma il volto non verso il soffitto, bensì il Tozier.

«Vuol dire che dobbiamo farcela veramente! E mentire a tua madre sostenendo che non ce la facciamo!» continuò Boccaccia.

Che scherzo di cattivo gusto per uno a cui piaci, coglione. Questo pensò il Kaspbrak, che però – sebbene nessuno l’avrebbe detto mai – non s’incupì in volto stavolta, invece sorrise.

«Forse devo evitare di dire bugie a mia madre e basta.»

Detto ciò, Eddie inclinò un po’ la testa e riuscì a poggiare la fronte contro la spalla di Richie. Da lì iniziò a trattenere il fiato per evitare di sentire il profumo di Richie Tozier e morire per colpa di quello.

«Oppure, mio piccolo angelo, potremmo...»

DRIIIIIIIIIIIIIIIINN!!!!!
Richie saltò e senza volerlo fece allontanare l’altro. Si tirò in piedi in fretta per uscire dalla camera e raggiungere l’ingresso, domandandosi, infastidito ed un po’ anche preoccupato: «E ora chi cazzo è?»
 
MA... COSA?!? POTREMMO COSA?!??!?!?!?!

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Capitolo 3
*** Stacey ***


Stacey


 
«Arrivo!» gridò Richie quando raggiunse l’ingresso di casa sua. Aveva Eddie alle calcagna che gli chiedeva continuamente se aspettasse qualcuno, ma come poteva – non faceva altro che pensare l’altro – se l’unico appuntamento che aveva organizzato fosse quello con lui? Gli rispose soltanto alla fine di no, quando dovette domandare alla porta: «Chi è?»

La risposta arrivò veloce ed inaspettata: «Stacey!» Una voce affabile, ma poco conosciuta.

Intontiti, i due ragazzi si guardarono con una certa preoccupazione.

«Chi cazzo è Stacey?» chiese Richie a voce bassa, come un ladro nella sua stessa casa.

«E io cosa ne so, dovresti saperlo tu!» rispose l’altro Perdente con lo stesso tono.

«Perché dovrei saperlo io?»

«È casa tua!»

«Mi casa es tu c–...»

«Richie!»

Questo scrollò le spalle. «Ma non sarà quella nuova?»

«Si chiama Stacey?»

«Che cazzo ne so, mi pare di sì!» rispose il Tozier, per niente certo.

«Che dovrebbe farci a casa tua?!»

«Che vuoi che ne sappia?»

Stacey bussò di nuovo alla porta, zittendoli. «Richie? Ci sei?»

I due continuarono a guardarsi con del leggero panico negli occhi.

«E tu quando ci avresti parlato con lei?!» chiese Eddie a voce ancora bassa, ma Richie lo sentì praticamente urlare.

«Che cazzo ne so! Io parlo con tutti, lo sai!»

«Ci credo, non chiudi mai quella Boccaccia! Le hai detto anche dove abiti?!»

«Sono una calamita, tutte le ragazze sanno dove mi trovo! Vengono tutte!»

«Richie!»

«Heeey, lo so che ci sei! Se è un brutto momento, torno un’altra volta!» disse intanto da fuori Stacey. Bussò una terza ed ultima volta in Casa Tozier e Richie decise di mandare a far benedire quella conversazione con l’amico sbuffando e, senza la sua approvazione, aprendo la porta alla sua  nuova ospite. Quella che si trovarono davanti fu una bella ragazza mora, alta poco più di Eddie, con due enormi occhi verdi anche troppo vispi ed un sorriso più che appena accennato sulle labbra dipinte di un mandorla opaco. Proprio come a scuola. Guardandola meglio, Richie avrebbe giurato che avesse le stesse identiche curve di una modella che aveva visto su un cartellone pubblicitario di intimo. Eddie, invece, guardandola meglio avrebbe giurato che avesse il naso storto e veramente grosso. Non gli piaceva affatto.

«Hey!» li salutò lei finalmente con lo stesso tono affabile con il quale si era annunciata.

«Ciao.» ricambiò Eddie senza alcun entusiasmo, quasi con tono sgradevole, tanto per farle capire che non fosse la benvenuta e li avesse interrotti. Effettivamente li aveva interrotti. Venne messo da parte da un Richie che con una bella ragazza non voleva essere maleducato, allora mosse un passo davanti a lui per nasconderlo a Stacey. Insomma, Eds, non è con questo faccino poco amichevole che si accoglie un’ospite! Si aspettava quasi che l’amico gliela dicesse, adesso, una cosa del genere, invece questo pensò soltanto a salutare la compagna di scuola con aria allegra, ma anche un po’ sorpresa. In fondo Eddie aveva ragione: quando mai le aveva dato il suo indirizzo di casa? E perché la nuova arrivata a scuola era andata proprio da lui?

«Ehilà, miss! Richie Tozier al tuo servizio! Cosa ti porta da queste parti?» domandò perciò, senza neanche accorgersi dell’occhiataccia che gli stava riservando il suo Eds. L’accoglienza del padrone di casa fece ridacchiare Stacey.
Ma che cazzo si ride?!
Eddie spostò lo sguardo su di lei, tanto avrebbe avuto tutto il giorno, tutto il giorno solo lui e Richie senza nessuna ragazza, per guardarlo con ostilità. Questa quindi era l’unica occasione per guardare male quella... Stacey.

«Posso giurare sul mio onore che non sono una stalker!» Facendo questa premessa, rise di nuovo, portando con teatralità le mani sul petto. Sciocca, se volevi puntare al cuore, dovevi mettere la mano più a sinistra, è lì che sta il cuore!  «Dopo la scuola ti ho visto tornare a casa! Abito lì!» Si voltò ed indicò una delle case di fronte a quella del Tozier.

Fantastico, anche vicina di casa!

«Ah, la casa del vecchio pazzo!» commentò Richie con la stessa teatralità usata prima da lei, ridendosela anche lui.

«Eh?» Timorosa, non seppe più se continuare a sorridere o meno.

«Non preoccuparti!» rispose il Tozier poggiando una mano allo stipite della porta. «Non pazzo del tipo che ci ha nascosto sotto delle bombe, direi... pazzo che parlava con gli uccelli! Cazzo, potevamo presentarlo a Stan!» aggiunse, voltandosi verso Eddie. Quello, sentendosi il suo sguardo addosso, decise di ricambiarlo e, ancora, non lo fece nel migliore dei modi. Questa volta però non lo fece neanche Stacey, un poco stranita dall’umorismo di Richie.

«Per fortuna...» Tentò di sorridere di nuovo. «Comunque... Mio padre mi ha detto “Oh oh, tu stasera non cenerai se prima non ti sarai fatta degli amici!” e così...» Ridacchiò un’altra volta. Ma quanto caspita ride?  «...ho pensato a te!»

Le Voci le sa fare meglio Richie e come vecchio scorbutico fai schifo, nuova arrivata! E comunque io a lui ci penso ogni secondo, quindi che vuoi?!

«Ed hai pensato benissimo, dolcezza!» Richie si allargò per farla entrare. «Prego, entra pure! Mi casa es tu casa!» Espressione che avrebbe dovuto rivolgere soltanto al Kaspbrak, massimo agli altri Perdenti.

Con un’ultima risata – Ma che cazzo si ride un’altra volta?!  – Stacey mosse un passo per entrare in Casa Tozier. A fermarla fu il più basso, che con uno slancio si lanciò verso la porta e gliela chiuse in faccia. Richie ne rimase stupefatto. E non in senso buono.

«Ma che cazzo... Che diavolo hai fatto?!» gli domandò.

«I tuoi si fidano a lasciarti solo a casa e tu tradisci la loro fiducia facendo entrare una sconosciuta?»

«Sei pazzo? Viene in classe con noi, non è nemmeno una sconosciuta!»

«Sì!» insistette il Kaspbrak. «Viene in classe con noi da due giorni! Non puoi lasciarla entrare! Sarebbe una pessima idea!»

«Che carino che sei quando ti preoccupi per me, amore mio!» lo prese in giro il Tozier, pizzicandogli una guancia. «Fidati di me, Eddie.» decise, afferrandolo per le spalle e spostandolo affinché non bloccasse il passaggio. «È una buona idea.»

Sì, se ci vuoi provare con lei, forse!, si ritrovò a pensare fastidiosamente.

Richie riaprì la porta e si scusò con la sua ospite. «Perdona il mio amico, prima di venire qui ha ricevuto una botta un po’ troppo forte in testa da sua madre ed ora non sa bene quello che dice, non risponde delle sue azioni.»

«Io rispondo benissimo delle mie azioni!»

«Ssssh!» risolse Richie, coprendogli con un dito la boccuccia per pochi secondi con fare teatrale e poi facendo un mezzo inchino alla sua ospite. «Vieni pure, madame!»

Stacey finalmente entrò, ignorando lo strano comportamento del primo e muovendosi dentro casa dell’altro. Richie prese a seguirla e Eddie afferrò una manica della sua camicia per chiamarlo a sé. In risposta ottenne un cenno con la mano che voleva dire “dopo!”. La tirò più forte per fargli capire che dopo era troppo tardi, ma venne ignorato.
Cazzo, Richie!
Sicuramente era la sua gelosia a giocargli brutti scherzi, ma Eddie voleva credere che Stacey fosse sospetta e che non ci fosse da fidarsi di lei. Insomma, chi è che si presenta a casa tua per fare amicizia dal nulla?! Quella di suo padre doveva essere sicuramente una scusa. Di certo era la sua cotta (“cotta”) per l’amico a giocargli brutti scherzi, ma secondo Eddie non prometteva nulla di buono, quella ragazza non gli piaceva. Effettivamente nessuna ragazza gli piaceva, soprattutto se girava attorno a Richie. Non c’erano, però, troppe ragazze a girare attorno a lui, per questo lo vedeva così entusiasta di avere in casa una pollastrella.
Richie fece salire Stacey in camera sua e addirittura si scusò con lei per il disordine, ma lei non badò a questo. Eddie si guardò intorno e notò che effettivamente la stanza era parecchio in disordine, era strano che non ci avesse mai badato prima. Le fece da guida turistica spiegando l’origine di alcuni oggetti che ornavano la stanza ed alla fine la fece accomodare sul letto, lui si sedette al suo fianco. Eddie, tra uno sbuffo e l’altro, decise di starle alla larga, per quanto poi fosse allettante l’idea di sedersi proprio in mezzo ai due per tenerli separati, così s’andò a sedere sulla sedia davanti alla scrivania. Li fissò in silenzio e finse di ascoltare la conversazione per sì e no dieci minuti, finché ad un certo punto non tornò sul pianeta Terra.

«Non mi dire!» esclamò la ragazza con un entusiasmo che fece rabbrividire il Kaspbrak. «Li amo anche io!»

«Wow, dici sul serio?!» Richie sembrava colpito. Da cosa era colpito? Eddie decise di prestare loro molta più attenzione. «Sei la prima ragazza che io conosca con questa passione e fidati, ne conosco tante!» Questa frase fece alzare gli occhi all’altro, ma divertì parecchio quell’oca (questo era per Eddie) di Stacey.

«Non ci posso credere!»

Ma cosa?! A cosa non puoi credere, brutta stupida?!

La risposta arrivò presto, lei continuò così: «Non mi manca neanche un numero! Una volta se vuoi possiamo leggerli insieme, non ho mai avuto un amico di fumetti!»

Ah... UN AMICO DI FUMETTI?!?!??!?!?
Eddie era l’amico di fumetti – come l’aveva chiamato lei – di Richie Tozier e nessuno gli avrebbe rubato quel posto. Strinse i pugni e si alzò, camminò verso di loro e fu in quel momento che il sorriso mandorlato della brutta stupida venne rivolto a lui.

«Piacciono anche a te, Freddie?»

FREDDIE?!?!?!?!?!??!?!!?!?!?!?!??!!?

«È Eddie!» sghignazzò il Tozier, divertito tanto da quel soprannome quanto dal suo caro Eds immobile ora davanti al loro, evidentemente offeso. «Ma Freddie mi piace molto di più, potrei seriamente pensare di chiamarti così!»

«Se lo fai, sei un uomo morto!» Ci pensò un attimo e si corresse. «Un coglione morto!»

Eddie non scherzava, mai al mondo avrebbe voluto che il suo Richie smettesse di chiamarlo Eds per cominciare invece con quel Freddie del cazzo, eppure nessuno sembrava prenderlo sul serio ed entrambi risero. Stacey credette di essere libera di scherzare con lui (diritto che nessuno le aveva dato) e per questo gli si rivolse amichevolmente un attimo dopo.

«Insomma, Eddie, quindi piacciono anche a te? Così siamo in tre!»

Ma veramente noi Perdenti siamo già in sette, numero fortunato, e per niente al mondo diventeremo otto, e non siamo i soli a cui piacciono i fumetti, ma in ogni caso bastiamo io e Richie!
Eddie prese un bel respiro, perché sapeva che sarebbe risultato molto scontroso altrimenti, ma il rischio non venne corso affatto, perché fu Richie, ancora, a rispondere per lui.

«Eddie ed io siamo amici da una vita...» Stava forse arrivando la friendzone? «...e siamo sempre stati io e lui a leggerli insieme. È una sorta di tradizione.» Ottimo inizio...
...finale pessimo tra tre, due, uno... «Ma grazie alla qui presente Stacey io e Eds saremo salvati dalla noia pronta ad incombere su di noi!» Questo significava che... «Siamo ufficialmente amici di fumetti! Finalmente un nuovo membro del club!»

Silenzio.
No, silenzio neanche per il cazzo, i due se la ridevano. Richie e Stacey, no?
Ma Eddie... oh, Eddie... Eddie no.
Ci rimase male. Ci rimase così male che le sue mani, da questo momento morte, non erano nemmeno più serrate in due pugni. Ci rimase così male che morti risultarono anche i suoi occhi. Così male che, morta, lo sembrò anche la sua voce quando confermò: «Già, la nostra salvatrice.» Dopodiché Eddie tornò a sedersi sulla sedia. Possibile che Richie si annoiasse tanto a leggere i fumetti assieme a lui? Pensava che fosse importante, il Kaspbrak ci teneva più di quanto tenesse al Natale, più di tutto. Solo che era una cosa loro, un momento tanto... tanto... cavolo, che stupido che era Eddie, doveva essere ovvio che fosse veramente speciale solo per lui, era lui quello innamorato del suo amico, non viceversa. Che stupido. Proprio uno stupido.
Non ebbe voglia di partecipare alla conversazione per i successivi venti minuti, anche se più volte i compagni cercarono di coinvolgerlo, in particolare l’amico. Arrivò un momento in cui si arresero e lo tagliarono completamente fuori, anche se non mancavano mai le occhiate che, d’accertamento, il Tozier gli lanciava ogni due minuti.
Stacey si allungò verso una sua guancia per baciarlo e lì, un’altra volta, Eddie sembrò ricominciare a stare attento. Capì che l’ora di andarsene per l’ospite fosse arrivata e presto tutti e tre scesero all’ingresso per salutarla. Di nuovo lei si sporse verso Richie, ma non per baciarlo, invece per sussurrargli che il suo amico fosse veramente silenzioso.

«Fidati!» rispose quello, ridendosela. «Lo dici perché non lo conosci! Se lo sentissi... come urla Eddie, non urla nessuno!» Poi si ricordò di fare una battuta. «Forse solo sua madre!»

Stacey la prese sul ridere e finalmente gli disse che doveva proprio scappare.

«Ciao anche a te, Eddie-Freddie!» salutò con tono amichevole. Almeno, a chiunque sarebbe apparso un tono amichevole, a Eddie sembrava solo la voce di Satana.

«Ciao!» Basta così.

«Ci vediamo domani, Richie!» Perché ovviamente un saluto non bastava...

«Adiós, señorita!»

Entrambi i Perdenti la guardarono andare via, uno forse per vederle il culo e l’altro perché oramai aveva deciso di lasciarsi trasportare dalla corrente per quanto ancora ci stesse male per una misera battuta fatta dal Tozier.
Quando Stacey fu lontana, Richie riprese a parlare, rivolgendosi al solo interlocutore che gli restava, nonché il suo preferito. Disse: «Allora, mio caro Eds! Dove eravamo rimasti?»

«Non me lo ricordo.» rispose quello privo d’entusiasmo, il che fece inarcare un sopracciglio all’altro. Il bello è che non se lo ricordava più per davvero, un po’ perché era passato troppo tempo da quando erano stati interrotti, un po’ perché s’era distratto coi suoi pensieri che l’avevano buttato giù. «Comunque ormai devo andare anche io, se si fa più tardi mamma mi ammazza.»

«Non avevamo in programma di passare tutta la giornata insieme?»

«Tu avevi questo programma.» disse Eddie. Lui non aveva questo programma, invece aveva solo questa speranza. Era bastata una ragazza a rovinare il loro piano, a far andare bene a Richie quello nuovo, sicuramente a preferirlo pure. «Io dovevo solo studiare.»

Si conoscevano da anni, ormai, e Richie era convinto di conoscere l’altro meglio delle sue tasche, per questo comprese subito che qualcosa non andasse nel verso giusto. Sapeva pure, però, che Eddie in quel momento non glielo avrebbe detto. Non per questo evitò di chiederglielo.

«Che ti prende?»

«Niente. Dov’è la novità per il fatto che mia madre vuole che torni a casa presto?»

«Non c’è.» ammise il Tozier. Non era quella infatti la cosa che lo straniva, ma il suo atteggiamento. «Il fatto è che hai la faccia di uno che è appena stato schiacciato da tua madre e senza offesa per la mia donna, ma tua madre non pesa quanto una piuma, mio caro.»

Eddie sbuffò. «Devo andare e basta prima che l’orario si faccia indecente, okay?»

Non era okay per Richie, avrebbe insistito un’ultima volta. E infatti...

«Neanche per sogno, señor! Sicuramente gli altri Perdenti stanno ancora studiando per il progetto, saresti tornato a casa più tardi se fossi stato con loro, non mi freghi! Resta ancora un po’, possiamo...»

«Allora mettila così!» rispose prontamente il Kaspbrak, interrompendolo. «Preferisco prevenire che curare e se me ne vado adesso sono certo che non ci sarà nulla da curare!»

Una cosa c’era già, ma si trattava di una stupida ferita al cuore di un ragazzo troppo geloso, troppo represso, troppo codardo, troppo innamorato, troppo tutto, troppo e basta. Anche troppo poco.

«Sei il miglior dottore che conosca, Derry dovrebbe vantarsi di te!» Richie stava per aggiungere un’altra stronzata delle sue, una di quelle che non contava niente come non contava niente leggere da solo con Eddie i fumetti, ma venne fermato per tempo.

«Sta’ zitto!»

Forse ci rimase male anche Richie, ma Eddie ormai non sapeva più a cosa desse o meno importanza quello. Allora no: sicuramente non ci era rimasto male.

«Ti accompagno!» propose il Tozier. «Fammi prendere le chiavi di casa e...»

«Non serve! Non è ancora buio e non c’è nessuno lì fuori che mi vuole mangiare, posso andare da solo!»

Richie rimase a bocca asciutta.

Eddie riprese: «Ci vediamo a scuola, okay?» Subito poi superò l’uscio della porta per uscire dall’abitazione. Non diede all’amico alcun abbraccio come faceva abitualmente, tanto magari non aveva alcun importanza per lui neppure quello, e si affrettò perciò a raggiungere la bicicletta.

«Ci vediamo...» rispose insicuro l’altro. Agitò la mano in segno di saluto, ma Eddie pedalò via. Quando non lo vide più, Richie si chiuse in casa.

Sciocco, pensò Eddie. Ci resti male per così poco, è solo una stronzata.
Perché in fondo lo sapeva che era una stronzata. Eppure... eppure era inevitabile, per lui era qualcosa di grosso e quella stronzata gli faceva male. Era una stronzata, lo sapeva, ma non ce la faceva, non ce la faceva a considerarla quello che era. I suoi pensieri tra una pedalata e l’altra mutarono. Non gli importa niente. Sciocco, pensò di nuovo. Non perché l’avesse ferito una stronzata, ma... Sciocco, sciocco, sciocco. Richie è solo un tuo  amico. Non potrebbe mai essere niente di più. Non gli puoi piacere. Come hai potuto sperare nel contrario?! Non sei così importante! Non sei neanche il suo Eds! Lui vuole altro! Non un Perdente con cui leggere i fumetti! Non era importante! Non...
Quando i pensieri non stanno a posto, spesso succede che il cervello mandi i comandi sbagliati. Quando perciò Eddie vide Greta andare nella direzione opposta alla sua, non la ignorò. Accadde invece che pensò che in fin dei conti fosse presto, accadde che non pensò esattamente a cosa avesse intenzione di fare, ma cambiò direzione e basta, così Eddie la seguì in sella alla sua bici. Pedalando si rese conto che stesse facendo proprio la strada di prima, ma al contrario. Arrivò di nuovo davanti casa di Richie, anzi non ci arrivò proprio davanti perché rimase indietro per non farsi vedere, però Greta ci arrivò. Prima la brutta stupida, ora lei... com’era che ultimamente il suo amico stesse diventando tanto popolare?
Richie non stava diventando affatto popolare, comprese Eddie quando la meta si rivelò non Casa Tozier, bensì quella di fronte.
Questa gli era sfuggita. Così come gli era sfuggito che a scuola Stacey avesse fatto già amicizia con Richie. Quando, esattamente, era diventata anche amica di Greta? Questa bussò alla porta e dopo pochi istanti Stacey le aprì. Si salutarono come solo delle oche avrebbero potuto fare e la bionda sparì dentro l’abitazione dell’altra in breve tempo.
Rimase confuso a guardare per la via per oltre un minuto, infine il Perdente di nuovo percorse la strada di casa.
Su una cosa, comunque, Eddie si era sbagliato, anche se non lo sapeva: Richie Tozier stava davvero diventando tanto popolare ultimamente. Ma... non nel senso che pensava lui.

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Capitolo 4
*** Le peggiori corse in bici di Eddie ***


Le peggiori corse in bici di Eddie

 
Era una carognata, Eddie lo sapeva benissimo, e non era solito farne, di carognate, vuoi per la capacità di perdonare facilmente i suoi amici, vuoi per il suo animo in fin dei conti gentile. Il problema era che le nuvole correvano nel cielo assieme al forte vento, i secondi trascorrevano anche troppo velocemente e la mano del ragazzo iniziava a sudare sul manubrio della sua bicicletta. Una parte di lui voleva avviarsi per la scuola senza Richie, ma l’altra sapeva benissimo che fosse una carognata. Il suo amico veniva ogni giorno a prenderlo sotto casa, era una cosa loro come lo erano i fumetti, per lui talmente importante, però forse non così tanto per l’altro – l’aveva pensato per tutta la notte e continuava a pensarlo ancora. La compagnia di Stacey del giorno precedente e quel conseguente piccolo ma così fottutamente grosso tradimento da parte del suo amico l’avevano scombussolato talmente tanto che cominciava a pensare che fosse giusto abbandonarlo solo per oggi, che si fottesse. Ma poi quello cosa avrebbe fatto? Insomma, sarebbe rimasto tutto il tempo ad aspettare Eddie? Avrebbe bussato alla porta per scoprire dove diavolo fosse? Avrebbe rimediato l’ennesima minaccia di sua madre se non fosse stato lontano da suo figlio? Poi a scuola avrebbero litigato? Eddie come avrebbe giustificato il fatto che non l’avesse aspettato? I dubbi lo attanagliavano e l’orologio da polso che scandiva lo scorrere del tempo non faceva altro che farlo sentire ancora più in ansia. Da una parte c’era l’orgoglio, però dall’altra c’era Richie, e le domande che si faceva erano nettamente di più rispetto alle risposte che si dava.
Non aveva ancora preso una decisione, ma ormai era troppo tardi, una voce fin troppo familiare e in quel momento quasi spaventosa catturò la sua attenzione.

«Eccolo qui, il mio aitante uomo che mi aspetta per andare a nozze! Siamo in anticipo oggi?»

Richie era già arrivato, non c’era più tempo per scappare e gli toccava farsi accompagnare a scuola, non aveva proprio alternative. Non aveva ancora deciso se fosse la cosa più giusta, se preferisse far finta di niente o lasciare che l’orgoglio parlasse ed agisse per lui, ma sapeva bene che qualche minuto dopo gli sarebbe arrivata l’illuminazione, così non restava altro da fare che comportarsi da... Eddie.

«È sempre la stessa ora.»

«Ah-ah!» Scosse il capo in diniego e lesse l’orario sul proprio orologio da polso immaginario. «Posso dire con certezza che qui siamo in anticipo di qualcosa come ben cinque minuti!» Richie lo sapeva bene, orologio o non orologio, perché non era puntuale neanche a pagarlo ma per Eddie arrivava sempre prima, non si sapeva mai ci fosse il rischio che quello si sbrigasse e questo significava avere più tempo da passare in sua compagnia! Questo, naturalmente, a meno che non volesse farlo aspettare di proposito per poi sghignazzare... «Ci hai messo meno tempo a titillarti il pisello stamattina? O ti sarai sbrigato perché non hai pensato di lavarti le mani?» Allungò una mano verso il Kaspbrak come a verificare la stronzata che aveva appena sparato e che già lo divertiva.

Eddie, dal canto suo, la mano ce l’aveva sporca per davvero, ma di sudore, quindi la ritirò facendo perdere l’equilibrio alla bicicletta, che quasi gli cadde addosso; la riprese all’istante. Richie rise ancora, l’altro di conseguenza lo guardò in maniera ostile, carina secondo lui.

«Ho risparmiato il tempo che di solito impiego per insultarti!»

«Per cosa?!» domandò Richie, reputandosi innocente.

«Per la tua esistenza.» Eddie non gli diede il tempo di rispondere che allora fosse sempre nei suoi pensieri (o di fargli insinuare che avesse passato troppo tempo con Stan ultimamente per farlo parlare in quel modo), perché impugnando il manubrio della bici anche con l’altra mano e salendo sul sellino aggiunse: «Andiamo? Prima che si faccia tardi!»
Prima che tu continui questa conversazione...

L’amico annuì, ma prima di iniziare a pedalare volle togliersi un dubbio.

«Tutto bene, Eds?» chiese quindi serio.

Allora si vede, pensò Eddie. Bene così, rispose il suo orgoglio, eppure il ragazzo reagì contro questo annuendo più in fretta di quanto dovesse per risultare credibile; poi per non fregarsi da solo e tenersi segreta la sua bugia disse: «Non ho dormito molto bene, sono solo un po’ stanco e il cuscino mi ha fatto venire il torcicollo.» Non era del tutto falso, aveva giusto omesso il motivo per cui non aveva chiuso occhio, ossia Richie stesso. Quello prese quell’ammissione per buona.

«Vuoi che ti faccia un massaggio con le mie mani magiche?» propose. «Non saranno quelle del piccolo Dottor Kappa, ma guarda che lo dice anche tua madre che sono magiche! Anche se devo ammettere che il trattamento a lei riservato è completamente diverso! Diciamo che non è il collo che le massaggio...»

«Non le hai mai fatto alcun trattamento speciale!» ribatté Eddie. «E non mi fido per niente delle tue cosiddette mani magiche, non mi toccare!»

«Come vuoi!» gli concesse. Tornò serio, ma non troppo sicuro delle sue parole quando, grattandosi la nuca, Richie suggerì: «Posso portarti io? Se sei stanco, mammina non vorrebbe che tu pedalassi... Salta su!»

Era sempre stata un’idea piuttosto allettante quella di montare in bici con il ragazzo che gli piaceva, stringersi a lui quando accelerava e lottare col vento per far vincere il proprio olfatto ed a qualsiasi velocità cercare di inebriarsi la mente ed il cuore col suo profumo. Però... Però Eddie non era per Richie quello che Richie era per Eddie. Per lui le loro piccole cose, quelle che erano solo loro, non erano affatto piccole e se per l’altro non era lo stesso, non doveva neanche più sperarci. In loro. Non ci doveva sperare, cazzo. Doveva cercare di amarlo solo come si poteva amare un amico, come amava Bill e gli altri Perdenti, e quell’amore un po’ troppo forte, un po’ troppo sbagliato, doveva sparire. Piano piano però, goccia dopo goccia, Eddie si innamorava sempre di più di Richie ed avrebbe finito per annegare nel suo amore per lui. Sì, annegare, perché sarebbe stata la fine, quel sentimento non portava a nulla di buono. E l’amico col tradimento del giorno precedente l’aveva ferito talmente tanto...
Così, per quanto gli sarebbe piaciuto salire sulla sua bicicletta, dovette dire di no.

«Non preoccuparti, ce la faccio!» A dimostrazione di ciò si avviò. L’altro non poté far altro che seguirlo.

 
Quando arrivarono nel cortile esterno della scuola, nessuno dei Perdenti avrebbe mai detto che per tutto il tragitto i due amici fossero rimasti in silenzio. Richie in realtà aveva provato un paio di volte a fare conversazione (più che altro a punzecchiarlo), ma Eddie lo chiuse ogni volta subito e con dei modi un po’ più bruschi del solito che gli fecero capire che fosse meglio non insistere. La meta poi non era nemmeno così distante, il viaggio fu abbastanza breve.

«La tua ragazza oggi ha deciso di farsi viva!» La Boccaccia si rivolse direttamente a Bill, ma l’occhiata era tutta per Beverly.

Il Denbrough, stanco dell’ennesima presa in giro del Tozier sulla questione, stava per rispondere, ma lei, ridacchiando, precedette la sua balbuzie.

«Per l’ultima volta, Richie, non sono la sua ragazza!»

Bazzecole. Ormai tutti sapevano che stessero insieme, nonostante non si baciassero mai davanti a loro. Anche Ben lo sapeva.

«Già!» provò a darle comunque corda il più bello del gruppo, tingendosi le gote di color ciliegia. «E c-cerca di f-farti gli affari tuoi, R-R-!»

«Porca puttana, Bill, è Richie, e vomitalo un po’ tutto il mio cazzo di nome! Dobbiamo provare con un paio di dita in gola!» Tornò di nuovo a rivolgersi alla ragazza. «Non vorrai marinare di nuovo la scuola senza di me, Bevvie?»

Non aveva marinato la scuola il giorno precedente, però aveva trascorso gran parte dell’ora di storia in bagno a fumare e non aveva chiesto nemmeno a Richie se volesse una sigaretta.
Oh, questo però a quanto pare lo considera un tradimento, invece! Non la cosa dei nostri fumetti!
Beverly rise.

«Oggi mi tocca, Richie!» Non intendeva che le toccasse abbandonarlo nuovamente, ma il contrario. «Ho finito il pacchetto, non mi farà male farmi tutte le ore di lezione!»

«La mia bella signora ha così poca fiducia in me?» continuò il Tozier con una Voce che non gli apparteneva. Mentre questo parlava, Eddie avrebbe giurato di vedere Bill arrossire ancora un po’. «Te le offro io le sigarette!» Fece anche un inchino, teatrale. «A patto che la gentilezza verrà ricambiata!» Smise di fare quella Voce quando, in un sussurro per niente segreto nonostante la mano a coprire la bocca, aggiunse: «Siamo già in riserva!» In poche parole bisognava che entrambi comprassero nuove sigarette. O che con una scusa le fottessero allo spacciatore di Eddie, nonché il suo farmacista, e questo fu proprio quel che, qualche secondo dopo, Richie propose. «Magari più tardi che Eddie prende le sue medicine ci approfittiamo di lui!» Gli lanciò un’occhiata maliziosa. «Tu sei il piccolo e innocente diversivo, noi i ladruncoli! Anche se poi il vero ladruncolo sei tu, sì, ma del mio cuore, amore mio!» Sporse le labbra in avanti come a molestare l’altro con un bacio, ma questo indietreggiò e riuscì ad evitarlo, ponendo anche per sicurezza entrambe le mani davanti al proprio volto, non esattamente... carino.

«‘Fanculo, non contribuirò ad un furto facendo la parte dell’esca! Ve le comprate da soli le sigarette!»

La verità era che si sentiva anche un po’ offeso ad essere considerato solo perché serviva ai suoi amici. Se la giornata di ieri non ci fosse stata, forse solitamente non si sarebbe offeso, anzi sarebbe stato felice di ricevere anche quella stupida attenzione dal ragazzo che gli piaceva e se proprio avesse risposto che se le potevano comprare da soli, le sigarette, avrebbe aggiunto che così era perché non voleva contribuire alla rovina dei loro polmoni, perché Eddie si preoccupava sempre dei suoi amici e della loro salute. Invece ora non gliene fregava niente dei loro polmoni, ora si sentiva solo “quello da sfruttare per rubare un pacco di sigarette”, “amico importante con cui condividere la passione e la lettura dei fumetti” era evidentemente troppo.

«Non preoccuparti, Eddie!» rispose una sorridente Beverly, ma lui non le sorrise. «Ci pensiamo noi!»

«Io voto per lo sfruttamento del mio tesoruccio!»

«Io voto per la cacciata del coglione dai Perdenti.» s’intromise Stan. «Richie, per la cronaca.»

«Rude!» commentò quello.

«Io sono a favore!» scherzò Beverly, alzando la mano. Bill e Ben la seguirono, facendola ridere. In altre circostanze sarebbe stato Eddie ad alzare la mano per primo. Eddie, che si ricordò che non doveva, cazzo, non doveva fare l’offeso, doveva comportarsi in maniera normale, in maniera normale, Eddie, in maniera normale, provaci.

«Allora è ufficiale!» Prese la parola. «Sei fuori!»

«Fottiti! Sapete piuttosto chi dovrebbe essere dentro?»

Oh no. Oh no no no no no.

«La nuova arrivata.»

«Ben donna?» fece Stan.

«Attenzione attenzione, signori! Chi l’avrebbe mai detto, Stan Urina è stato al gioco ed ha fatto la battuta!» Quello alzò gli occhi al cielo, ma non disse niente, così Richie continuò nonostante i non dirlo mentali del più piccolo.

«Stacey.»

A Eddie venne l’orticaria.
Il corvino raccontò i fatti della giornata precedente, entusiasmandosi più di quanto piacesse all’altro ed elogiando un po’ troppe volte la ragazza, ripetendo quante passioni in comune con loro avesse.

«Per di più non ha amici, io dico di offrirci come vittime sacrificali!» concluse.

Eddie non era sicuro che non avesse amici. Era vero che Stacey avesse detto loro, a casa del Tozier, che così fosse, rifilandogli quella brutta imitazione di suo padre, però... Greta? Lui l’aveva vista andare a casa dell’altra e l’aveva visto il modo più che amichevole con cui le due si erano salutate!

«Non lo so, io non l’ho ancora inquadrata.» ammise Stan, avendocela in realtà presente a malapena.

«Beh, io credo che sarebbe carino...» sospettò Ben. In fondo chi meglio lo sapeva del nuovo arrivato di un paio di anni fa? «Possiamo aiutarla ad integrarsi, è sempre più facile se hai degli amici dalla tua parte.»

Bill annuì, però non fu completamente d’accordo. La pensava così: «Io c-credo che basti f-fare amicizia, non deve e-e-entrare per forza a f-f-far parte del club dei P-Perdenti!» Non che servisse sul serio un invito ufficiale per entrare nel loro club, tutti lo sapevano bene – soprattutto Mike, assente come sempre perché studiava a casa – però il Denbrough ci teneva a proteggere i suoi amici e non voleva fare scelte avventate.

«Bill ha ragione!» La voce di Beverly. «Noi siamo amichevoli, cominciamo a conoscerla e vediamo come va, che dite?»

Furono più o meno tutti d’accordo – okay, furono tutti d’accordo tranne Eddie, che storse il naso e per una volta stette zitto.


In classe, cinque minuti dopo, il naso dovette storcerlo ancora di più. Vide Stacey entrare, non degnare Greta di uno sguardo (cosa che non riusciva proprio a comprendere) e andare dritta da loro, anzi da Richie. Lo salutò con entusiasmo e con due grossi baci sulle guance, a lavoro concluso salutò gli altri Perdenti e si presentò a tutti come se non l’avesse già fatto al suo primo giorno di scuola, infine si rivolse a Eddie.

«Ciao Eddie-Freddie!»

«Ciao.» salutò ancora senza troppa allegria, senza preoccuparsi di risultare noioso, scortese o antipatico agli occhi della ragazza. Qualcuno fu stranito dalla poca cordialità di Eddie.

Ebbero soli pochi minuti per conversare prima dell’arrivo dell’insegnante e dell’inizio delle lezioni, ma in quel breve lasso di tempo i Perdenti compresero che a Stacey piacesse la band preferita di Ben, che avesse sempre desiderato di far parte di un gruppo di boy-scout e che per quanto ne sapesse suo padre aveva alcuni richiami per uccelli, e che quando era piccola aveva il sogno di diventare una stilista. Una cosa che sembrò invece capire lei fu che Bill e Beverly stessero insieme, il che bastò a far credere a Beverly che il potenziale ci fosse, che forse una sorta d’intesa le due ragazze l’avessero. Non che Beverly fosse una credulona che si fidava subito delle persone di cui non ci si poteva fidare e di Stacey, era sicuro Eddie, non ci si poteva fidare.

 
La conversazione con la nuova arrivata, non per la gioia del Kaspbrak, continuò dopo la scuola. Uscendo dall’istituto per recarsi alle biciclette, qualcuno la invitò ai Barren, scelta azzardata a cui Richie reagì meglio di come fece quando fu Beverly ad essere invitata, anni prima. La cosa ovviamente non piacque a Eddie.

«Con piacere!» esclamò Stacey, entusiasta. «Non vedo l’ora di-»

«Cosa?! Neanche per sogno!» la interruppe Eddie senza neanche guardarla, rivolgendosi agli altri. «Innanzitutto oggi non dovevamo andare ai Barren, e poi Mike? Chi lo avvisa? E chi dice che lui sia d’accordo che Stacey venga? È il nostro posto!»

«Eddie!» lo rimproverò Beverly, non aspettandosi proprio da lui un intervento del genere e in particolare non davanti a Stacey. «Sono sicura che Mike non abbia nulla in contrario ad invitare una nuova amica a stare con noi e possiamo andare a prenderlo adesso!»

«Ha-h-ha ragione Bev, Eddie! Comunque non-non c’è u-un calendario p-p-preciso per andare ai B-Barren! P-possiamo a-a-andare quando vogliamo!»

«La penso come Bill!» l’appoggiò Ben, mentre Stan si limitò a stringersi nelle spalle.

«Ma-» tentò di opporsi Eddie. “Ma” niente, fu sovrastato da un’altra voce.

«Grandioso, allora!» Richie fu il primo a raggiungere la propria bici. «Tutti in sella alla propria bella, miei giovani amici! Tu dove hai lasciato la carrozza, Cenerentola?»

«Oh...» Stacey, che si sentiva in difetto, parve a tutti un po’ imbarazzata per la prima volta da quando l’avevano conosciuta. «Non vado in bici, non sono molto brava. Anzi, a dirla tutta sono un pericolo pubblico!» Rise e forse lo fece proprio per non sentirsi più in imbarazzo. «Di solito vado a piedi, mi sta bene fare una camminata!»

Eddie si voltò verso Richie, quasi speranzoso che si mettesse a fare una battuta sul fatto che quella non sapesse montare in bici, cosa che secondo lui sapevano fare tutti, invece nessuna presa in giro gli uscì di Boccaccia – la vittima preferita del Tozier restava lui.
In un certo senso gli diede fastidio che non disse niente.
Perché a me prende per il culo e lei già sembra seduta sugli allori?

«Puoi montare su con noi!» offrì Beverly, facendole l’occhiolino. Era già pronta a farle spazio sulla sua bici, ma forse avrebbe dovuto essere più precisa e dire più chiaramente che intendesse invitarla sul proprio sellino.

«Grazie, ragazzi! Allora scelgo di viaggiare insieme all’inimitabile Richie Tozier!» disse ridendo. «Il grande capo!»

«Avete sentito, Perdenti?» Guardò Bill, quello che tutti (anche lui) consideravano il leader del gruppo, vantandosi e godendosi la gloria per poco. «Il grande capo! Dovreste inchinarvi a me, stronzi!»

«Anche meno.» Le parole di Stan.

Il ragazzo comunque non poté rifiutare l’offerta, sempre che fosse un’offerta, e le fece spazio dietro di lui sulla bici.
Eddie sentì l’amaro in bocca. Non avrebbe dovuto rifiutare il passaggio in bici stamattina, cazzo, non doveva, doveva stringersi alla camicia del suo amico e chiedersi durante tutto il tragitto di cosa profuma Richie Tozier? Avrebbe risposto “di spericolato” se fosse andato troppo veloce, poi sempre “di stupido” anche, invece aveva davanti a sé una ragazza che si stringeva forte a lui ora che non erano neanche partiti e già sorrideva come una dodicenne innamorata. Voleva vomitare. Voleva proprio vomitarle addosso, anzi. Quel che più gli diede fastidio, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato, fu che Stacey cercò i suoi occhi. Fra tutti, stretta a Richie, Stacey guardò Eddie. Non riuscì a mantenere lo sguardo su di lei e si precipitò sulla propria bici.
Si avviarono, avrebbero raggiunto prima Mike e poi da lì sarebbero partiti per i Barren.
Silver era in assoluto la più veloce e in testa a quella pedalata, non che fosse una gara, vi era Bill. Poco più dietro, Richie andava più lento del solito, perché Stacey non pesava mica come una piuma. Inaspettatamente non si sentiva in competizione con Stan, che questa volta gli stava davanti e una checca come Stan non poteva affatto stargli davanti, mentre in competizione ci si sentiva qualcun altro e per altri motivi. Eddie, ancora più dietro, aveva davanti a sé questa terribile immagine di Stacey che si stringeva al ragazzo che gli piaceva e aveva deciso dopo qualche minuto che non ne poteva più, era lui che doveva stringersi a Richie.
Beh...
Non respirava a fatica, non aveva problemi con l’asma e non aveva bisogno del suo inalatore. Non sarebbe morto nessuno però se per una volta avesse finto il contrario, si disse. Non credeva di esserne in grado – di mentire tanto spudoratamente, di fingere di stare male a tal punto. Sapeva che avrebbe anche sentito i sensi di colpa, anzi già li sentiva. Però doveva farlo. Aveva un fottutissimo bisogno di ricevere in quel momento attenzioni da Richie, o si sarebbe sentito male sul serio. Quando furono sul ponte si lasciò superare da Ben e finì con l’accostare bruscamente su un lato, iniziando a inscenare sonoramente il guaio.

«Eddie!»
 
 
*
 

Il giorno prima

 
«Non è servito neanche che mi impegnassi più di tanto!» disse trionfante dopo averla informata sull’avvenuto e le altre ragazze risero in camera di Stacey, chi stravaccata sul tappeto, chi sulla sedia alla scrivania e la padrona di casa sul proprio letto.

«Il solito perdente.» Greta gonfiò un palloncino con la gomma da masticare. Tempo due secondi e quello scoppiò. «Richie Tozier di merda, con quegli occhiali di merda, finocchio di merda.»

«Quindi è sicuro che succhia cazzi?» domandò una di loro.

«Non ancora.» rispose il nuovo membro di quel gruppo. «Ma lo è che muore dietro Eddie Kaspbrak. Come urla Eddie, non urla nessuno!» L’imitò.

Qualcuna rise, una di loro fece cadere lo smalto sul pavimento.

«Stronza, prendi qualcosa per pulire!»

«E un attimo!» Eppure scattò in piedi e corse via a prendere l’occorrente per riparare al danno.

«Te l’avevo detto.» Parlò di nuovo Greta, continuando il discorso precedente. «Richie Tozier vuole succhiare il cazzo di Eddie Kaspbrak. Come se li sceglie bene...» Questa frase generò un’altra risata di gruppo. «Ricorda che devi fare.»

Stacey lo ricordava bene. Voleva essere accettata da Greta e dalle sue amiche e con quel giochetto ci stava riuscendo alla grande. Annuì, ma invece di una conferma, optò per una nuova idea: «Lo scrivo nei bagni della scuola che succhia i cazzi.»

«Così rimarrà nella storia.» ne rise qualcun’altra.

«Richie Tozier succhia i cazzi!»

«Dovevate vederlo!» Stacey riprese a parlare, richiamando su di sé ancora l’attenzione. Quanto le piaceva! «Non Richie Tozier, però. Eddie Kaspbrak. Era lui quello che moriva d’invidia.»

«Anche lui?»

«Soprattutto lui! Mi ha chiuso la porta in faccia quando sono arrivata! Voleva restare da solo col suo fidanzatino!»

E altre risa, ancora risa, solo risa per due gay.

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Capitolo 5
*** Sono solo stronzate! ***


Sono solo stronzate!

 

Quando furono sul ponte si lasciò superare da Ben e finì con l’accostare bruscamente su un lato, iniziando a inscenare sonoramente il guaio.

«Eddie!»
 

Si era accasciato a terra e la bicicletta gli pesava parecchio addosso, ma doveva sopportare. Doveva farlo per le attenzioni di Richie. Finse un attacco di panico, sapendo esattamente come, e l’unico vero ostacolo era la menzogna, la consapevolezza di star mentendo a tutti i suoi amici, quindi il fortissimo senso di colpa. Se avessero scoperto che quei respiri tirati e la sua brutta smorfia sofferente fossero finti come finto (fintissimo) era il fatto che odiasse essere chiamato Eds dal Tozier, se ne sarebbe vergognato per tutta la vita. Come se non bastasse, se gli altri si fossero arrabbiati, non avrebbe potuto dare loro torto. Però doveva rischiare. Perché se non rischiava in quel momento, il problema non ce l’aveva ai polmoni, ma al cuore e lo sapeva bene che quello fosse un organo vitale.
Più logorante una bugia o l’idea di farsi fregare il suo amico da una ragazza?
Tutti i Perdenti si resero conto del guaio e frenarono di colpo. Eddie non sapeva chi si fosse accorto per primo di lui, se Ben che era il più vicino, Richie (ci sperava), o Bill, che aveva urlato il suo nome, e non lo sapeva perché la recita lo costrinse a chiudere gli occhi mentre si tastava il marsupio alla ricerca della cerniera e quindi dell’inalatore.
Dopo aver fatto cadere la sua preziosa Silver in mezzo alla strada, Bill corse da Eddie, lo seguì la sua ragazza e pian piano lo fecero tutti. Richie sarebbe stato il primo, anziché l’ultimo, se solo non avesse dovuto prima invitare Stacey a spostarsi (malamente, per giunta, e nemmeno lo fece di proposito). Non importava, però. Non importava che Richie fosse il primo o l’ultimo. L’importante era che alla fine fosse accorso, no? E Richie era lì. Tutti erano lì, lo circondavano, ma mentre Bill lo aiutava a prendere l’inalatore ed il respiro, cercando di calmarlo con la sua voce, con la sua balbuzie, dopo aver spostato assieme a Mike la bicicletta di Eddie Beverly chiese a tutti di fare un paio di passi indietro per... lasciarlo respirare, effettivamente.

«Non accalchiamoci, per favore! Così è peggio!»

Le ubbidirono all’istante. Richie si tirò indietro un po’ contrariamente, poiché avrebbe preferito occuparsi lui di Eddie invece che lasciarlo fare a Bill, ma in fondo la cosa più importante era che l’amico stesse bene e Bill era sempre stato il migliore a salvare qualsiasi situazione, no? Grazie a lui tutto si sarebbe aggiustato. Guardò allora in silenzio il povero Kaspbrak con preoccupazione per... quanto, dieci secondi? Eddie non li contò, in realtà nessuno lo fece e per via della tensione neppure un Perdente badò proprio al fatto che stranamente la Boccaccia di Richie non avesse emesso alcun suono, però ben presto il corvino gli si avvicinò e si piegò sulle ginocchia.
Eccoti finalmente, idiota, si ritrovò a pensare l’altro. Per un momento tentennò, distratto, rischiando di rovinare il suo teatrino, ma riuscì a continuare la farsa e sprecò per due volte la carica dell’inalatore prima di inspirare.
Ci fu un attimo in cui Ben ebbe paura che gli sarebbero venute le convulsioni, ma ricordò quando il Denbrough lo rassicurò la prima volta. Niente convulsioni.

«È-È tutto okay, E-Eddie! F-forza, ancora uno!» fu incoraggiato intanto quello.

Tentò di credere a Bill, anzi finse di farlo, annuendo, e continuò a mostrare irregolare il suo respiro, doveva regolarizzarlo solo a poco a poco.

«Io...» rispose il bugiardo. «Sto...» Prese un grosso respiro. Era teso in volto, non per la finta sofferenza, la sua finta impossibilità di respirare, bensì per la menzogna. «Sto bene, scusate, ho avuto un...»

«Lo sappiamo, Eddie, non preoccuparti!» fece la rossa per lui.

L’altra ragazza, che non aveva ancora detto niente, prese per la prima volta la parola durante questo piccolo dramma. Chiese con curiosità: «Gli succede spesso?»

Richie avrebbe tanto voluto rispondere, ma non solo non gli venne data la possibilità di farlo in quanto Bill lo precedette spiegando a Stacey che avesse l’asma, ma non gli venne dato neanche il permesso. Il permesso consisteva in un’occhiata d’intesa da parte di Eddie, poiché Richie, e lui lo sapeva, non avrebbe detto semplicemente che l’altro avesse l’asma. Oh no, Richie non avrebbe detto che Eddie avesse l’asma perché secondo lui non ce l’aveva. O meglio, sì, ce l’aveva, ce l’aveva, aveva l’asma. Perché Eddie credeva di avercela per colpa di quella brutta vacca di sua madre. Ma quello stesso Eddie non gli disse tramite alcuna occhiata okay, Rich, glielo puoi dire se vuoi. Perciò Richie, sebbene avesse una pericolosa Boccaccia, non lo disse. Così Eddie aveva semplicemente l’asma.

«Oh.» comprese Stacey. «Bella merda!» Non pensò davvero bella merda però, anzi si disse che non avrebbe dovuto scordare un dettaglio così utile. Conosci il tuo nemico, scopri i suoi segreti. Anche se il nemico di Stacey, a conti fatti, non era Eddie Kaspbrak. Il nemico di Stacey si chiamava Phineas Lewis e non abitava a Derry. Il nemico di Stacey l’aveva gettata sul fondo come spazzatura, l’ultimo anello della catena alimentare, quello più debole, e tutti se l’erano mangiata. Non sarebbe potuto accadere di nuovo, questa volta Stacey doveva essere in cima, non poteva rischiare. Ecco perché era essenziale per lei l’amicizia di Greta e delle altre. Ecco perché era essenziale far sprofondare quelli che già erano i Perdenti. Niente di personale, Eddie-Freddie, ma io ho bisogno di essere il lupo e tu ed i tuoi amici siete le più tenere pecorelle mai viste in questa piccola città.

«Cosa è successo?» domandò Ben, che prima mentre pedalavano era proprio davanti a lui e non si era accorto di nulla. Il che, a dirla tutta, lo fece persino sentire in colpa. Il bello, venne in mente all’Hanscom, anche se non era propriamente bello, era che quella non fosse neppure la prima volta in cui aveva i sensi di colpa per un attacco d’asma del Kaspbrak.

Il bugiardo non seppe come rispondere, ma non poteva farsi scoprire. Ci ragionò per qualche secondo, però nessuno lo vide vacillare, tanto pareva loro una normale esitazione causata dal piccolo incidente.

«Penso di aver accelerato nel momento sbagliato, per un attimo ho creduto di sbandare, ribaltarmi e finire col cadere giù dal ponte, ma è...» Posò gli occhi sul corvino per controllare che quello avesse i propri su di lui, poi distolse lo sguardo e lo posò su Ben. «... è tutto okay, davvero. Come vedete sono vivissimo! Scusate, ragazzi.»

«Ne sei sicuro, Eddie?»

«Sì, Mike! Mi fermo un minuto e ci sono, sapete, per precauzione, per... per essere certo di riprendere tutto il fiato!»

Qualcuno annuì.
Sperò con tutto se stesso che Richie proponesse di aspettare assieme a lui, che gli altri andassero pure avanti nel frattempo e loro li avrebbero raggiunti poco più tardi. Sperare qualcosa del genere, però, era veramente troppo e lo sapeva in fondo. Perché cose simili succedevano solo nei film. Ecco perché in realtà non ci sperava neanche sul serio, il suo era solo un sogno che mai si sarebbe realizzato. Uno dei tanti riguardanti il Tozier. Sapeva che lui si sarebbe tirato su, Bill si sarebbe assicurato un’ultima volta che Eddie stesse bene e nessuno di loro sarebbe ripartito finché con lui non fosse per certo tutto okay.
Sapeva che l’avrebbero incoraggiato, che sì, l’avrebbe fatto a modo suo anche Richie, ma sarebbe montato in sella alla sua bici con Stacey e... e niente di più, fine.
Però, una volta tanto, Eddie fu fortunato.
Non ci credette subito, infatti il volto lo tradì e mostrò esageratamente il suo stupore, ma Richie propose davvero di aspettare assieme a lui.
Ecco, come minimo It è tornato e me lo sta facendo immaginare. Cavolo, non può essere, non...
E invece era così.

«Andate pure avanti!» erano state le parole sante del Tozier. «Resto io con Eds per un altro minuto! Il bimbo ha bisogno di qualcuno che badi a lui ed in questi casi io dico che gli ci vuole il paparino, mica la nonnina che è vecchia decrepita e non capisce un fico secco!»

Stan, che aveva capito benissimo l’ambaradan e che per la cronaca era la nonnina in questione, fu il primo a tornare al manubrio della propria bicicletta, la sola rigorosamente in piedi.

«Mi dispiace, dolcezza!» si rivolse un secondo dopo a Stacey. «Mi sa tanto che dovrai cambiare cavaliere per il prossimo viaggetto!» Dato che il paparino, invece, era proprio lui, poiché sosteneva sempre di essersi fatto Sonia.

«Ti consiglio di montare dietro chiunque tranne Stanley, persino la mia tris tris triiisnonna andrebbe più veloce di lui! Ed è bella e morta!»

Stan alzò gli occhi al cielo, serio come se nessuno avesse appena fatto una battuta molto divertente, una battuta per cui invece Beverly aveva riso. Segretamente l’avevano fatto anche Mike e Ben. Bill no, le sue orecchie erano tutte per Eddie, così come su di lui erano i suoi occhi.
Richie avrebbe potuto essere molto più teatrale di così e soprattutto avrebbe potuto parlare molto di più, ma il suo amico aveva appena avuto uno dei suoi attacchi d’asma e gli importava del suo stato soltanto. Stacey lo capì, vedendo con più curiosità del dovuto come in un attimo Richie smise di rivolgere a lei la sua attenzione. O a chiunque altro, in realtà.
Lo capirono tutti e sapevano che non ci fosse neppure bisogno di insistere con Richie a fare diversamente: avrebbe fatto di testa sua e sarebbe rimasto a tutti i costi con il suo Eds.
La nuova arrivata montò in bici dietro Mike e dopo una raccomandazione di Bill ed un’ultima occhiata da parte sua e di Beverly a Eddie i Perdenti sparirono.
Richie andò a togliere la propria bici dalla strada, portandola vicino a dove, a terra, stava l’altro. Ci mancava solo che un’automobile la prendesse sotto e suo padre non gliene avrebbe comprata più neanche mezza. No, anzi, non gli avrebbe comprato nemmeno un triciclo, porca puttana, neanche il più brutto e vecchio dei modelli.
Eddie sapeva di dover fingere di cominciare a calmarsi, ma prima si tranquillizzava e prima avrebbero dovuto raggiungere gli altri. Ironicamente fu proprio questo pensiero, l’idea di non poter stare nemmeno cinque minuti solamente in compagnia del corvino, a non renderlo del tutto tranquillo – ottimo, no?
Un coro angelico cantò nella sua testa quando Richie gli si sedette accanto, già dimentico ormai Eddie di quanto solo poche ore prima avesse detestatolo per la minimizzazione dei loro momenti insieme e per la gelosia che provava nei confronti della nuova arrivata. Dio, voleva soltanto le attenzioni del Tozier. Le voci del canto s’incrinarono non appena una mano gli venne posata su un ginocchio e si mosse avanti e indietro come una carezza. Però era un po’ impacciata per essere una carezza.
Pensa se ora me lo fa venire sul serio l’attacco di panico, si disse tra sé e sé.

«Nessuna pressione, Eds.» incominciò Richie, ma prima di continuare sbuffò qualcosa di molto simile ad una risata. Non era allegra, ma era pur sempre una risata, e almeno il sorriso che l’accompagnava era vero, per quanto tenue. «Ma credo che sia già tutto okay.»

Ohporcadiquellaputtana. Mi ha scoperto! Questo pensò Eddie, paranoico e rosso come un pomodoro, voltandosi in fretta verso il suo amico e fissando gli occhi scuri nei suoi. Mossa azzardata, perché nel caso Richie non avesse scoperto un bel niente, invece, avrebbe comunque potuto capire la verità che rischiava di trasparire dal suo sguardo. Ma ha capito per forza! Oh merda!
Incominciava a pentirsi. Incominciava a pentirsi di aver mentito ai suoi amici e soprattutto alla persona più cara che aveva, incominciava a pentirsi di aver trattatolo male stamattina, incominciava a pentirsi di essere scappato da casa sua il giorno precedente ed anzi incominciava proprio a pentirsi di tutte le sue scelte sbagliate da quindici anni e mezzo a questa parte. Dannazione, se Richie avesse intuito la beffa, le opzioni erano o di litigare di brutto, o di rivelargli i motivi che l’avevano spinto ad agire così, cosa che non avrebbe mai e poi mai voluto fare, piuttosto sarebbe stato meno spaventoso affrontare quel clown di merda un’altra volta.
Per fortuna, però...

«Sai?» continuò, scambiando la paura del suo amico per confusione e pensando che forse quello avesse bisogno di una spiegazione. Anche se Richie onestamente credeva non ci fosse bisogno di alcuna spiegazione. Gli rubò facilmente l’inalatore perché Eddie, troppo spaventato da quello che gli sarebbe stato detto, non tentò neppure di opporsi. «Quando ti spruzzi le stronzate in gola, poi è difficile che non ti riprendi!»

Parla più chiaramente, chiese disperatamente una vocina nella testa di Eddie, sperando che quelle stronzate di cui parlava Richie non fossero le sue.
Per fortuna, però... Richie non aveva capito un bel niente. Una botta di culo dietro l’altra. Perché le stronzate di cui parlava erano d’altro genere. Le sue debolezze, per esempio. La sua asma. Il suo cazzo di inalatore. Il corvino se lo mise in bocca e premette una volta.
Prima che l’amico potesse opporsi perché le cariche non erano certo gratis, quello ancora proseguì.

«Cazzo, Eds, sono solo stronzate!» fece ridendo alla stessa maniera di prima.

Curioso, notò Eddie, il modo in cui Richie lo guardasse comunque con occhio attento per stare sicuro che lui stesse bene, perché si preoccupava sempre per lui, anche quando sapeva che in fondo stava bene.

«Ridammelo!» Si oppose finalmente, riprendendosi ciò che era suo con altrettanta facilità.

Richie si strinse nelle spalle.
Era vero, sapeva che stesse bene in fondo, ma continuava a stargli accanto perché... perché era più forte di lui. Non lo faceva neppure per proteggerlo, perché meglio di chiunque altro sapeva che Eddie fosse bravissimo a proteggersi anche da solo, avrebbe potuto proteggere proprio il Kaspbrak chiunque, ma che ne sarebbe stato della sua vita se gli fosse successo qualcosa? Le sofferenze del più piccolo erano le sue. E le sue gioie erano le sue. E lui stesso era anche la sua gioia. Naturalmente la sua Boccaccia qualsiasi cosa avrebbe detto, ma mai nulla del genere, troppo miele per i suoi gusti.
Richie non rise una terza volta, sorrise e basta.

«Inutile che cerchi di nasconderlo, lo sappiamo tutti che hai quasi rischiato un incidente con annesso immancabile attacco d’asma perché ti sei distratto ed invece della strada ti sei visto davanti due belle grosse poppe e il tuo cervello ha fatto-» Mosse la testa a zig-zag. «-WUUUUOOOMMMM!»

«Io non ho immaginato un bel niente, sei tu quello che si immagina le poppe, fai schifo!»

«Sì, bello mio, ma almeno io confesso i miei peccati!» rispose Richie e alla fine rise davvero per la terza volta. Poi continuò quello che stava dicendo. «Così, come la tua testolina, hai fatto WUUUUUOOOOM con la bici, sei caduto come tua madre ai miei piedi quando ha voglia di ciucciarmi il pisello e sappiamo tutti come è finita!» Ossia con questo teatrino.
Pur con il cuore un po’ più leggero, perché per il momento sembrava averla scampata, Eddie assottigliò lo sguardo affinché riservasse al suo amico uno dei peggiori del suo repertorio.

«È tutto il giorno in effetti che sei distratto...» aggiunse Richie, abbassando gli occhi sui propri piedi e cancellandosi dal volto quel sorriso. Si era stretto nuovamente nelle spalle, come se la cosa non fosse importante, ma Eddie si era accorto di come si era aggiustato gli occhiali dietro un orecchio e di come improvvisamente avesse un’aria più seria.
Non seppe che dire: lui non reputava di essere stato esattamente “distratto”, oggi, ma infastidito e tante altre cose, questo sì. Tutti sentimenti negativi, tutti per colpa di quella stupida ragazza, la nuova arrivata. Tutto per te, Richie, tutto per colpa tua. Per colpa di quello che provo per te. Per di più non avrebbe mai pensato che quello potesse accorgersene, credeva che l’attenzione di Richie fosse ormai tutta per Stacey, credeva che a scuola non l’avesse mai guardato.
Qualcosa però doveva pur dirla, non poteva stare zitto in questo modo o sarebbe parso sospetto. Stranamente Richie non gli lasciò molto tempo per far commenti, evidentemente non aveva finito di parlare. (Anche se il Tozier in realtà era solo frettoloso. La verità era che avrebbe volentieri sentito una spiegazione al riguardo, perché era curioso, anzi no, di più, era preoccupato.) Gli occhi smisero di star bassi sui propri piedi e tornarono sul viso dell’amico. Il momento di serietà sembrò terminare.

«Ma adesso il nostro Eduardo è sano e salvo, neanche un graffio, signore e signori! Che razza di culo è mai questo?! Santo Dio, devi avercelo proprio bello!»

«Sicuramente è molto meglio del tuo.»

«Ahiii, si mette pure ad insultare, l’ingrato! Allora di certo i graffi non ce li ha sulla lingua. Fa’ vedere, apri la boccuccia, tesoro, di’ “aaaaa”!»

Eddie non disse “aaaaa”, prevedibilmente. Disse: «Finiscila!» Però rise anche. Senza che potesse accorgersene, aveva smesso di recitare o di avere l’ansia di poter essere scoperto bugiardo, ed ora sembrava stare molto meglio.

«Però di graffi non ne hai davvero, no? Vediamo un po’, caro!» s’assicurò Richie, modulando al finale la Voce per imitare una mammina premurosa, prima di afferrargli le braccia e muoverle come fosse una marionetta. Infatti, voleva proprio assicurarsi che il suo Eds stesse bene, per quanto sapesse che ci stesse, bene.

«Richie, sul serio, sto bene!» si oppose quello mentre l’altro ora gli alzava pure le gambe. «Lasciami!» ordinò, ma gli sfuggì una risata.

Sentendo la risata, Richie non poté far altro che credergli e si convinse a seguire la sua volontà.

«Va bene, ma chiariamoci: la prossima volta che cadi come tua madre ai miei piedi quando ha voglia di ciucciarmi il pisello» ripeté quasi a macchinetta, «e ti metti ad usare questo cazzo di inalatore, inutile che te la fai nei pantaloni per paura di cadere di sotto perché ti ci butto direttamente io giù dal ponte!»

«Avevi detto nessuna pressione!»

«Umh... L’ho detto davvero?» finse di non ricordarselo.

Oh, ma Eddie sapeva benissimo che in effetti Richie se lo ricordava.

«Sì, lo hai detto.» pronunciò a denti stretti.

«Oh, accidenti!» finse altra sbadataggine, ma la cosa finì lì perché giusto un secondo dopo si mostrò malandrino, sorridendo proprio come uno stronzo. «Ho detto una cazzata, allora.»

«Sì, ne dici parecchie, tu.»

«Che ci vuoi fare, sono fatto così. Sei tu che me le tiri fuori! E sai che altro mi fai venire voglia di tirare fuori?» Richie ammiccò in sua direzione.

«Idiota!» sbuffò Eddie, più divertito di quanto apparisse. «Tu a me tiri fuori il nazismo. La vuoi smettere di fare il pervertito ventiquattro ore su ventiquattro?!»

«Pervertito?!» Spalancò occhi e bocca, teatrale, come se gli fosse appena stato fatto chissà che affronto. Poi assunse la Voce d’una donna che per certo molto teneva alla sua verginità. «Schifoso!» Ecco il falsetto. «Pensavi forse al mio pisello?! Santo cielo, ragazzaccio, sai quanto io tenga alla mia virtù?!» Lo schiaffeggiò. «Voi maschi pensate soltanto ad una cosa, siete voi i veri pervertiti, dovrebbero rinchiudervi tutti! Aaahh, se il mondo fosse pieno di persone più come me e la mia cara amichetta Sonia bella!»

Per la prima volta oggi Eddie si mise a ridere forte. Non tanto per le cazzate dette dall’amico, quanto più per il fatto che fossero pessime, che avesse sbagliato proprio tutto, perché nello stesso periodo aveva detto praticamente di avere il pisello e poi di non averlo ed un errore così non stava né in cielo né in terra. E veder ridere così tanto il Kaspbrak finalmente fece riempire il cuore del Tozier di gioia e le sue risa furono contagiose. Risero allora entrambi come due idioti per un lungo minuto ed alla fine Eddie scosse la testa.

«Sei un vero idiota.» disse solo.

Era questo ciò di cui aveva bisogno. Era questa l’attenzione che aveva bramato per tutto il giorno, nonostante lui stesso, da bravo coglione qual era stato, si fosse privato di quella che gli aveva proposto permettendogli di montare in bici assieme a lui e stringerglisi forte, stamattina. Ma la rabbia e la delusione ormai erano passate. Forse in un momento di debolezza la delusione sarebbe tornata, ma sicuramente non ce l’aveva più con lui, non voleva e non ce la faceva, non per così troppo tempo.
Quella mano che all’inizio Richie aveva posato sul ginocchio di Eddie venne battuta un paio di volte lì. All’inizio pensò che fosse un bene, ora che abbiamo finito, possiamo andare, ma si rese conto in un istante che significasse solamente okay, abbiamo appurato che non ci sono morti, ne sono felice, perché nessuno dei due si alzò e propose di raggiungere gli altri. Sorrisero entrambi verso la staccionata che avevano di fronte, e per un lungo istante nessuno disse niente. Strano per due chiacchieroni come loro. Poi Eddie pensò che avesse bisogno di una scusa per restare solo assieme a lui, avrebbe detto qualsiasi cosa pur di non andarsene. Avrebbe letteralmente elemosinato un po’ di tempo con la sua persona preferita. Ma lo pensò anche Richie e fu più veloce di lui a prendere per primo la parola.

«Sai che pensavo?»

«Non penso proprio di volerlo sapere.» ammise Eddie, la felicità addosso e tutta concentrata sulle sue labbra sorridenti. «Anzi, ne sono certo.»

«La prof. di biologia se la fa con quello di educazione fisica. Cazzo, Eds, ne sono sicuro!»

Eddie scoppiò a ridere, pensando no, non volevo proprio saperlo.

«Ti stai immaginando tutto!»

«Fidati!» insistette. «È per forza così! Tu non hai visto il modo palese in cui flirtavano!» Più palese del modo in cui avessero sempre flirtato loro. «In aggiunta si mangiano praticamente con gli occhi!»

«E tu scusami tanto ma quando è che li avresti visti insieme?» domandò legittimamente Eddie.

«Durante la ricreazione! Va bene, va bene, ammetto che non mi trovavo esattamente in un posto in cui sarei dovuto essere, ma non puoi fumare in bagno se vuoi farlo con la bella Bevvie ma tu hai il pisello più lungo di Derry e lei non ce l’ha affatto!»

Eddie inarcò un sopracciglio chiedendosi dove fossero allora, ma l’unica domanda che gli porse fu: «E non potevate fumare in cortile allora?»

«Cortile?!» Esterrefatto, Richie Tozier. Esterrefatto. «E dai, Eds, sii più fantasioso!»

Passarono due minuti circa e gli amici risero ancora, risero talmente tanto che venne un momento in cui Eddie si piegò, si piegò dal ridere e piegò pure la testa, sì, di lato, fino a poggiarla sulla spalla dell’altro. E poi passò ancora un minuto, poi un altro. Quattro minuti non erano così tanti, ma se sommati ai precedenti...

«Si chiederanno se siamo morti o no.» Contro la sua volontà, fu lo stesso Kaspbrak a pronunciare queste parole. Il Tozier dovette dargli ragione: per forza i Perdenti li avrebbero spacciati per morti. Per quanto ad entrambi dispiacesse, era giunto il momento di levare le tende. Richie si tirò su per primo.

«Pacchia finita, Spaghetti!» Gli porse una mano per aiutarlo a sollevarsi da terra. Eddie non ne aveva bisogno, avrebbe potuto alzarsi da solo, ma l’accettò ugualmente. Usando la mano del Tozier come leva ci volle solo un attimo per ritrovarsi in piedi, la schiena non più premuta contro la staccionata, un’incisione sul legno non così straniera all’altro scoperta finalmente. R+E. «Tempo di congiunzione!»

«Al massimo di ricongiungimento!» lo corresse Eddie.

«Ed io che ho detto?!» se la rise Richie, che stupido non era di certo, per quanto da tale si comportasse il più delle volte. In fondo bastava vedere i suoi ottimi voti a scuola...

Rise anche Eddie, che strofinò le mani tra loro, dopodiché con quelle si pulì un po’ a casaccio i pantaloni prima di salire sulla propria bici.

«Ti proporrei una sfida a chi arriva primo, ma visti i recenti-»

«Non infierire, Rich!» lo ammonì il più piccolo.

Richie mise un piede su un pedale, ma prima di partire chiese: «Quasi dimenticavo! Che pensi di fare per la gita?»

Questa mi è nuova!

«Quale gita?»

«Come quale gita? Cazzo, Eds, allora oggi eri proprio su Marte! Ti dice niente settimana bianca? Hey, se entro due settimane non porti l’autorizzazione firmata da tua madre, tra un mese ti scordi la neve!»







 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Buona giornata a tutti! Vorrei scusarmi taaaantissimo per la mia sparizione, ma tra i vari impegni, vita sociale ed università... il mio tempo va svanendo! Un po' come i precedenti, questo capitolo è stato scritto praticamente a frammenti e al tempo stesso in modo talmente frettoloso che anche stavolta non so bene che mostruosità ne sia uscita fuori, ma spero un minimo apprezziate. A PROPOSITO DI APPREZZAMENTI! Non sono riuscita a rispondervi (ma lo farò, giurin giurello!), però ho letto tutte le vostre recensioni ad entrambe le storie fino ad ora e aaaaaaaaaaaaaww, siete stati talmente carini! Vi mando un abbraccio, grazie mille! Grazie anche a tutti quelli che in silenzio hanno aggiunto le storie tra i seguiti o i preferiti! Alla prossima, sperando di riuscire ad aggiornare più in fretta! (⁎˃ᆺ˂)

 

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Capitolo 6
*** Rip, Eddie Kaspbrak ***


Rip, Eddie Kaspbrak

 

La giornata ai Barren con Stacey alla fine non era andata così male. Ovviamente Eddie aveva preferito che lei non ci fosse stata, ma aveva già avuto troppo culo a trascorrere del tempo da solo insieme a Richie grazie a quel suo finto, piccolo incidente, perciò non poteva lamentarsi. Aveva constatato che in fondo sarebbe potuta andare molto peggio per il semplice fatto che lei avrebbe potuto starsene costantemente appiccicata al ragazzo di cui era innamorato e invece non l’aveva fatto. Perché? Perché per entrare nel gruppo e fare in modo che il suo piano non finisse nella spazzatura doveva entrare nelle grazie di tutti i Perdenti, così aveva riso e scherzato con ognuno di loro.
 

Il giorno dopo, a scuola, Stacey si era attaccata di nuovo ai ragazzi e lì – appena Eddie riuscì a notarlo, forse perché, vista la sua gelosia, solo lui pensava male di lei – aveva messo in atto il suo nuovo piano dentro al piano più grosso: lavorarsi tutti e sette uno alla volta. Eddie Kaspbrak sarebbe stato l’ultimo. Quel giorno era toccato a quella che le era parsa la preda più semplice: Ben Hanscom. Il vecchio nuovo arrivato, si era informata, ed apparentemente il più docile, il più Perdente. Per forza, aveva pensato Stacey, è il più grasso.
Era entrata in classe con due grosse cuffie attorno al collo e casualmente aveva “scordato la musica in riproduzione”, casualmente si riusciva a sentire che casualmente fosse un brano dei New Kids on the Block, casualmente – a detta sua – il suo gruppo preferito.
Avevano parlato allora della band, delle loro canzoni preferite, si erano messi a discutere su gruppi musicali che si avvicinassero a quel genere e per tutto il tempo Ben era stato, come previsto, molto gentile, oltre che in fibrillazione... per quanto tentasse di non darlo a vedere. Quando Stacey aveva compreso che non ci sarebbe stato molto altro da dire, se ne era uscita con una frase tipo “chissà se c’è un loro libro, una sorta di autobiografia, la leggerei volentieri!”, perché da lì, poi, avrebbe continuato su quell’altro lato nerd del più grasso del gruppo. Aveva proposto Stacey stessa di recarsi insieme in biblioteca e Ben aveva accettato volentieri, internamente elettrizzato. Per lui era stata già una grande sorpresa (ed un grande onore, oltre che un gigantesco miracolo) trovare degli amici come i Perdenti ed avere nel gruppo la ragazza di cui era follemente innamorato, ma... una seconda ragazza che parlava con uno dei ragazzi più grassi della scuola? Ed in modo così amichevole? Aveva del magico! Per questo aveva trascorso l’intera giornata unicamente in sua compagnia, lei gli aveva mostrato il cosiddetto “angolo segreto della biblioteca”, che non era affatto un angolo segreto, ma il suo preferito, quello in cui erano riposti, sugli scaffali, quei libri che nessuno – nemmeno Ben – conosceva e che più l’affascinavano. Naturalmente Ben le chiese come facesse a conoscere quel suo “angolo segreto della biblioteca” se era appena arrivata a Derry e lei gli aveva dato una risposta ammirevole, rivelandogli come avesse trascorso lì le intere giornate prima di conoscere loro. In verità si era recata in biblioteca giusto qualche giorno prima per sapere esattamente come muoversi per non rovinare il suo giochetto. Se però era stata una stronzata il suo amore per il gruppo musicale, non era una bugia che Stacey avesse letto molti libri, dopotutto nella vecchia città non aveva avuto molti altri amici a parte quelli. A dire il vero, di amico ne aveva solo uno.
Quando l’orologio di Ben gli aveva ricordato che ormai mancasse poco alle otto e che sua madre lo stesse aspettando in casa, lei aveva annuito e ammesso che anche suo padre l’aspettasse. In quel momento Ben aveva realizzato una cosa: aveva trovato una nuova amica. Si sentiva felice come un bambino.
Non era il solo ad essere felice di avere tra loro Stacey. Il giorno dopo era toccato a Beverly, quello dopo ancora a Stan, che sembrava essersi fatto finalmente una precisa idea di lei e non era stata così malaccia dopotutto, Venerdì andarono nuovamente tutti insieme ai Barren, dopodiché fu la volta di Mike (fu un’ottima idea quella di sfruttare il week-end per poter avere a disposizione tutte le ore della giornata per stare assieme all’unico del gruppo che non frequentava la scuola, poiché studiava a casa). Si era resa conto che come persona, alla fine, Mike non le dispiaceva affatto, ma di un Perdente, vedete, Stacey non se ne faceva niente. Era solo che le ricordava un vecchio amico, il solo che aveva avuto. Ma non importava. Non era questo il punto, lei aveva un piano. Non avrebbe avuto un solo amico come prima, ne avrebbe avuti tanti e tutti fighi. Non uno sfigato che era stato sopraffatto da... non importava.
Il giorno dopo, secondo questo piano, le era toccato lavorarsi Bill. Aveva fatto un ottimo lavoro e si era impegnata parecchio dal momento che aveva capito che il Denbrough fosse considerato in qualche modo il capo del gruppo. Praticamente si sentiva già una Perdente. Anche se detta così non le piaceva affatto. Stacey voleva stare con i vincenti.
 

Se Eddie si era fatto bene i conti, quel giorno sarebbe toccato (di nuovo, se non si considerava la prima volta quella in cui era andata a trovarlo a casa) a...

«Richie Tozierrrrrrr!»

Il che era decisamente disgustoso. Più delle battute di lui su sua madre.
Stacey lo raggiunse al suo banco, quella mattina, con un po’ troppo entusiasmo per una che avrebbe appena cominciato una nuova settimana di lezioni. Chi cazzo era così sveglio di Lunedì mattina?! Eddie stava praticamente dormendo in piedi. (Un bene per il suo istinto omicida!)
Gli gettò le braccia al collo e l’abbracciò spiaccicandosi contro la sua schiena. Richie non parve affatto contrariato.

«Buenos días, chica bonita!»

Spero che “chica bonita” non voglia dire... YAAAAAWWWWWN, quello che penso, si disse Eddie sbadigliando, una minaccia che il suo amico non colse. Se Richie fosse stato girato verso di lui, si sarebbe beccato la prima occhiataccia della mattinata. Non la peggiore del repertorio di Eddie, certo, certo.

«Buongiorno!» Dopodiché si voltò verso gli altri Perdenti e salutò anche loro, venendo ricambiata in un istante – da tutti tranne uno. Un secondo dopo già tornava a rivolgersi a Richie. «Oggi ho un grandissimo compito per te! Non mi puoi assolutamente deludere!»

Eddie tese le orecchie verso di loro per sentire meglio, anche se quella conversazione non sembrava affatto segreta. Ognuno di loro stava ascoltando, curioso.

«Si tratta della mia prima volta e voglio che tu sia compreso!»

Eh?
Quasi tutti furono straniti dalla richiesta, Eddie aveva la faccia che sembrava come stata compressa per dieci minuti contro un tostapane acceso e Richie Tozier, che si era sempre vantato tanto del suo lungo pisello, della sua popolarità tra le ragazze e della sua figaggine in generale, ne era rimasto semplicemente sbigottito. Oh, e a lui invece sembrava che il tostapane l’avesse proprio colpito in testa! Boom!

«Oh, beh, dolcezza...» fece Richie, che di parole ne aveva sempre tante, ma ora ne aveva un po’ meno. «Sono onorato, ma non mi aspettavo tanta audacia...!»

Stacey scoppiò a ridere. Eddie non ci trovò nulla da ridere, neanche Stan. Gli altri erano semplicemente confusi e curiosi di vedere dove la ragazza volesse andare a parare.

«Ma che pensavi, scemo?!» E rise, quella risata che a Eddie continuava a fare schifo. E poi chi diavolo ti ha dato il permesso di chiamarlo “scemo”?! Solo io posso farlo! «Parlavo di queste!»

Tutti videro la mano della ragazza muoversi verso la tasca posteriore dei jeans di Richie e qualcuno si domandò cosa esattamente volesse toccare, Ben trattenne persino il fiato, ma quando Stacey tirò fuori il nuovo pacco di sigarette del corvino capirono. Ben rilasciò quell’aria e Beverly si lasciò sfuggire una flebile risata. Voleva solo fumare allora, sembrò infatti dire quella risata quasi sospirata. Agitò il pacco di sigarette in sua direzione e domandò:
«Allora? Me ne offri una e sarai clemente con me se non farò altro che tossire la prima volta?»

Richie si sentì molto più tranquillo e riuscì a ridacchiare. Anche Eddie si sentiva di gran lunga più sereno sapendo che la ragazza non avesse chiesto al suo amico di praticare nulla di sessuale insieme, solo di fumare, ma a conti fatti i sentimenti non cambiavano: la gelosia restava, quella c’era sempre. E non c’era solo quello! Beverly gli prese delicatamente il braccio per richiamare la sua attenzione e Eddie scosse semplicemente la testa, come ad assicurare che fosse tutto okay. Pensò semplicemente che dovesse essere molto rosso in viso, ma agli occhi di Beverly non era solo quello: sì, era rosso, ma sembrava anche molto geloso, molto infastidito, molto... cotto di Richie Tozier – e dunque sofferente? Certo. Certo, non lo avevano capito praticamente tutti? Quasi...
Nello stesso momento in cui Beverly si preoccupò per Eddie, l’insegnante fece il suo ingresso in classe. Richie rubò in fretta a Stacey il pacco di sigarette per impedire che l’insegnante lo vedesse e fu mentre lei, che non gli aveva staccato gli occhi di dosso, raggiunse il proprio banco che lui le sussurrò: «Durante la pausa in cortile!»
Beverly lo sentì (e Eddie come lei), ma non li avrebbe seguiti (e... neanche Eddie.)
 

Poche ore dopo, infatti, la rossa sparì nel nulla assieme a Bill, lasciando soli Eddie, Stan e Ben in un angolino della scuola.
Non l’avesse mai fatto, pensò Stan, maledicendo poi lei e il suo ragazzo per aver preferito baciarsi chissà dove anziché stare lì ad aiutarlo a sopportare Eddie. O meglio, l’isteria di Eddie.

«Io non riesco a capire come faccia a piacervi!» si arrabbiò per la sesta volta in soli cinque minuti.

Stan alzò gli occhi al soffitto. Per la decima volta in cinque minuti.

«Eddie,» tentò di andargli incontro Ben, «potresti spiegarci cos’è esattamente che non ti piace di lei?» Non gli chiese di abbassare la voce solo perché l’aveva già fatto e l’altro non gli aveva dato mai ascolto.

«Non lo capite?!» Ben e Stan si guardarono, uno con aria persa e l’altro con l’aria di chi più che altro aveva perso la voglia di vivere. A quanto pare no, non lo capite! «Ci sta chiaramente prendendo per il culo!»

«Perché dici così?» domandò ancora Ben in risposta.

«Non ti sembra strano che il tuo gruppo preferito siano i New Kids on the Block e per puro caso lei arrivi a scuola ascoltandoli e dicendo di amarli anche lei? Andiamo, quante persone ci saranno che li ascoltano!?»

«In realtà...» provò l’altro a replicare, ma Eddie lo interruppe.

«E casualmente una delle sue passioni più grandi è leggere?! E non solo! Si scopre che ha anche gli stessi hobby di Richie, di Mike, di Bill! E gli stessi hobby di Stan!» Qui lo indicò. «E di Bev! A te sembra normale?!»

Effettivamente era un miracolo, ma a Ben non sembrava così strano. Certo, gli fu comunque difficile rispondergli. Fu con insicurezza che provò a farlo: «Sì, Eddie, ma... può succedere... Le eccezioni esistono, sai, persino quelle estremamente belle...»

Stan stava cercando un modo di scappare.

«Può succedere?! E tu credi che possa succedere proprio a dei Perdenti come noi?!»

Effettivamente era strano e la situazione sembrava farsi sempre più difficile per Ben, ma lui era ottimista.

«Pensi che l’amica perfetta arrivi dal nulla, così, come caduta dal cielo?! Ci sta fottendo, ragazzi! Non può essere vero che ama fare proprio tutte le cose che amiamo noi e noi siamo tutti diversi!»

Però non aveva tutti i torti. L’amica perfetta, in effetti, non spuntava all’improvviso nella tua classe, non quando eri così sfigato da abitare in una cittadina di merda come Derry. Stan ci pensò e ci avrebbe anche potuto ragionare sopra a lungo, avrebbe davvero potuto finire col dare ragione a Eddie almeno lui, ma... ma poi quello mise in mezzo Richie. Come poteva non pensare allora che fosse soltanto una scenata di gelosia? Ecco che alzò di nuovo gli occhi al soffitto. E undici!
Se solo l’avesse informato su quello che aveva visto, se solo gli avesse raccontato di aver scoperto Greta recarsi a casa della nuova arrivata, forse...

«E poi sembra avere questa ossessione per Richie, neanche fosse il più figo della scuola! Insomma, cosa vuole!?»

«Io vado in bagno.» annunciò l’Uris sparendo. Ben lo guardò allarmato andare via. Come poteva lasciarlo solo con un Eddie così incazzato?

Lo spaventoso piccoletto continuò a lamentarsi per due lunghi minuti, sempre più rosso, rosso fino alla punta del naso e delle orecchie, rosso fin sotto al collo, fino a quando, dopo aver sospirato, l’altro Perdente non dovette rispondergli.

«Scusami, però a me piace. Sinceramente anche per me è strano che una ragazza che non sia Beverly mi rivolga la parola, ma è successo e lo apprezzo, mi fa sentire bene, va bene?»

A Eddie parve di scorgere del leggero, leggerissimo, ma leggerissimissimo risentimento nelle parole di Ben, come se attraverso le proprie contro Stacey avesse dato dello sfigato al suo amico, ma forse se lo stava solo immaginando – forse era una delle tante paranoie che si stava facendo, come secondo gli altri si stava facendo inutili paranoie sulla nuova arrivata. Comunque fosse non era quello il problema più grande. Il problema restava Stacey.

«A me non piace! Non piace per niente!»

Andò avanti così fino alla fine della ricreazione. Per quanto Ben volesse bene a Eddie e si fidasse di lui, non riusciva proprio a concepire come potesse pensare tanto male, come potesse credere che ci fosse qualcosa che la ragazza stava nascondendo loro quando era stata talmente carina con tutti...
Quando la pausa finì, con essa non passò mica la sua incazzatura! Macché! Divenne pure più grande! Sapete perché? Oh, ma perché Richie e quella stupida Stacey non erano ancora tornati in classe! PRONTOOOOO, RIIIICH, È ORA DI TORNARE A LEZIONEEEE!!!!!! DOVE CAZZO SEI!?!?! CAVOLO,  'FANCULO STACEY!

 
Il ritorno sghignazzante del suo amico e di quell’altra, un paio di minuti dopo, non migliorò la situazione. Bill, che si era fatto vivo solo al suono della campanella, accorgendosi dello stato d’animo del suo amico gli chiese perché non fosse andato con loro. La risposta fu “non mi piace la puzza del fumo”. Eddie non aggiunse altro, ma Bill sì, perché l’Eddie che conosceva lui non si sarebbe fatto fermare neppure da un po’ di fumo pur di stare assieme a Richie.

«Io-io però s-sono s-s-sicuro che se fossi a-a-andato con-con loro, a-avresti trovato u-una s-s-soluzione.»

Per far smettere di fumare Richie? O Bill alludeva ad altro? Non ne era certo, ma non volle chiederglielo, preferì tenersi il suo segreto (non poi così segreto) malessere per sé e sbuffare sonoramente.
Non vide Bill aprire la bocca per chiedergli dell’altro, ma non cambiò niente, perché la lezione cominciò. Neanche oggi il povero Kaspbrak riuscì a seguirla, troppo impegnato a scarabocchiare sul quaderno insulti contro la nuova arrivata, però lo sentì chiaro e forte l’insegnante ricordare a tutti che mancavano ancora molte autorizzazioni per la gita. Tra cui la sua.
Fantastico, pensò, un altro problema.
Perché la gita era un problema.
Voleva andarci, diamine se voleva andarci! Sonia Kaspbrak, però, non lo avrebbe mai lasciato partire, ne era sicuro tanto quanto era sicuro che, se fosse rimasto a casa, avrebbe corso il pericolo di non poter impedire un bacio tra Richie e Stacey, dato che... insomma, si diceva che alla gita della scuola succedeva sempre... succedeva sempre qualcosa, ecco. Per paura di ricevere un no da sua madre allora aveva evitato di chiederglielo nei giorni precedenti, ma avrebbe dovuto darsi una mossa o sarebbe rimasto lì come un coglione a rompersi il cazzo e soprattutto a torturarsi psicologicamente mentre i suoi amici si divertivano sulla neve e la nuova arrivata ci provava col Tozier.
Insomma, che vita di merda, eh?
Ma poteva andare persino peggio!

 
Questa, come Eddie aveva avuto modo di capire, era la giornata di Stacey riservata a Richie. Beh, significava che sarebbe rimasta con lui anche dopo scuola, no? Al termine delle lezioni, infatti, uno scorbutico Eddie Kaspbrak assistette all’ennesimo tentativo della ragazza di lavorarsi il gruppo dei Perdenti ed in particolare di flirtare (secondo lui) con Richie Tozier. Perché guarda un po’!, casualmente qual era un’altra passione che aveva la stronza? GIOCARE AI VIDEOGIOCHI! MA CHI LO AVREBBE DETTO MAI! Anche se ancora non aveva compreso come quella facesse a sapere così tante cose su tutti loro. Li aveva spiati? L’aveva fatto Greta?

«Allora, Rich!» fece lei.

OOOH NO NO NO, CHI CAZZO TI HA DATO IL PERMESSO DI CHIAMARLO COSÌ, CHI CREDI DI ESSERE?!

«Ti va di venire con me alla sala giochi?»

Eddie aveva i pugni serrati per il fastidio ed una smorfia che in qualche modo gli aveva creato delle... adorabili fossette in viso, sebbene la sua espressione non sarebbe mai e poi mai risultata adorabile per nessuno, forse solo per Richie. Questa volta non solo non si intromise, ma neppure sperò che l’altro desse una risposta negativa a quella proposta, perché Richie amava trascorrere il suo tempo nella sala giochi. Doveva soltanto far finire questa giornata, poi l’indomani... chissà come sarebbe andato l’indomani, non ci voleva pensare. Ma ora doveva resistere!

Come previsto, comunque, Richie rispose: «Questa è muuuuusica per le mie orecchie!»

Come non previsto, però, quella frase non fece serrare ancora di più i pugni di Eddie. Invece, inaspettatamente, il ragazzo rilassò i muscoli prima delle mani e, in seguito ad un sospiro di resa, della faccia.

«Fantastico! A quella di Derry non ci sono mai stata!» In realtà non era mai stata neanche in quella della città dove abitava prima.

«Vuol dire che ti farò da guida turistica, pupa! Un’altra prima volta di Stacey col grande Richie Tozier! BOOM!» Come non previsto, inoltre, Richie aggiunse: «Vuoi venire, Eddie?»
Non era Eds, ma gli aveva chiesto comunque di stare con lui! Cioè, con loro!

«Sì, Eddie-Freddie, vieni anche tu!»

Mh? Stacey gli dava manforte? Credeva di rovinarle i piani aggregandosi, che lei volesse solo fare bella figura? Eddie ci pensò per un momento e quando rispose ancora non era molto sicuro sul da farsi. «Non lo so, devo stare a casa per una certa ora o mia madre...» Ovvio che voleva unirsi, ma se poi si fosse rivelato il terzo incomodo? Sarebbe stato un tormento. Eddie... Eddie non sapeva cosa dire o cosa fare.

Bill fece due colpi di tosse e capì quanto fossero voluti e intendessero di’ di sì.

«Forza, giuro che sarai a casa per tempo!» insistette Stacey.

«Tua madre non potrà dire niente, mi basterà farle vedere il pisello e diventerà una bestia mansueta!» disse Richie, sorridendogli in un modo che doveva essere speranzoso, una speranza celata non troppo bene da una leggera rassicurazione, ma Eddie non colse niente di tutto ciò. Se non lo colse, forse era perché, nonostante non si sentisse più arrabbiato o deluso dal Tozier, non aveva dimenticato lo stesso quello che era accaduto a casa sua e chissà... magari la sua presenza non avrebbe fatto differenza, alla sala giochi, tanto aveva Stacey. Però l’aveva invitato comunque!

Se era una trappola, non voleva cascarci, ma era così curioso e... e avrebbe avuto un’opportunità per stare con Richie e per separarlo, se necessario, dalla nuova arrivata. Come poteva dire di no? Il tentennamento di prima sembrò sparire.

«Okay, okay, ci sto!» risolse.

 
Stacey si rivelò una giocatrice di Street Fighter indecente (e anche dei pochi giochi che avevano provato prima, a detta del corvino “per allenarsi prima di arrivare al miglior gioco mai inventato prima d’ora”), tanto che Richie non si fece problemi a far notare quanto persino Eddie se la cavasse meglio di lei. Dopo due misere partite, la perdente non volle continuare. Richie, al contrario, avrebbe continuato all’infinito e per fortuna c’era il suo caro Eds, lì, con cui giocare (e vincere) ancora moooooolte volte. Prima, però, gli onori di casa, no?

«Beh, mia cara Donovan, dato che la sconfitta brucia e non vorrei mai che una pupa come te si bruciasse di più...» Era qualche giorno che Richie aveva preso a chiamarla Anastasia o, meglio ancora, Donovan. “C-chi diavolo è D-Donovan?” aveva chiesto Bill. “Cazzo, Big Bill! Non conosci la più grande attrice di questi tempi?! Fatti una cultura, amico! Cribbio, possibile che ci debba pensare sempre io?!” Stacey Donovan, per la precisione, era una pornoattrice. Una pornoattrice che dalla fine degli anni '80 era stata inserita nella lista nera da parte dell’industria di film per adulti e naturalmente, chissà come, Richie sapeva anche questo. Non che qualcuno glielo avesse chiesto, ma la curiosità non poteva non essere raccontata agli amici dalla sua Boccaccia. «Potremmo cambiare genere! Sono sicuro che nessuno vi prenderà mortalmente a pugni durante una partita di Tetris! Certo, a meno che non siate così sfigati da rompere il sistema e lasciarvi fottere da un virus di gioco...»

Eddie rise per primo, ma quando lo fece anche Stacey, si zittì. Inasprirsi gli pareva molto più semplice.

«Qui sei tu l’unico che rompe le cose, soprattutto le scatole!» disse.

Stacey rise anche stavolta e non gli diede poi così fastidio. Insomma, aveva riso per qualcosa detta da lui, non da Richie, quindi andava quasi bene.

«Non è colpa mia se gli spaghetti si rompono con un morso!» rispose l’altro, battendo i denti per mimare quel morso di cui aveva parlato a distanza ravvicinata rispetto al viso del suo amico. Viso che prevedibilmente andò a fuoco. Per il fastidio, doveva sembrare. Mica... mica per altro, Gesù! Richie continuò: «Ma in fondo, pensandoci, sono sicuro che voi due principesse non farete danni giocando a qualcosa di tanto innocuo come Tetris! Ho piena fiducia in voi!»

Quel sorriso sghembo, indice del fatto che Richie li stesse sfottendo, non andò affatto a genio a Eddie. A Stacey, ancora, fece ridere invece.

«Giocaci tu allora se ti sembra tanto un gioco per femminucce!» si accanì, senza indietreggiare di neanche un passo ed anzi... quando era successo che i loro volti fossero tanto vicini?!

«Tesoro mio, devo forse ricordarti chi è l’uomo di questa coppia? Vuoi che ti rinfreschi la memoria? Perché il mio pisello-»

«Non preoccupatevi!» li interruppe Stacey, divertita dalla scenetta. «Non mi va di giocare a Tetris, ho adocchiato Donkey Kong laggiù, ragazzi! Partita da singola!» chiarì. «Dovrò pur cominciare a stabilire un mio record personale, no?»

Wow! Ci sta lasciando un po’ di respiro? si domandò con stupore e sospetto.

«Come vuoi, bambola! Fai un fischio se ti serve qualcosa! O se arrivi prima in classifica!»

«Come può arrivare prima in classifica in un giorno?!» ribatté Eddie, facendo sghignazzare l’altro.

«Giocando molto meglio di te, ovvio!» Anche se era vero che fosse circa impossibile che salisse in cima alla classifica una come Stacey, che non si era rivelata chissà quale giocatrice di Street Fighter e forse si diceva amante dei videogiochi solo perché non ci aveva mai giocato prima.

«L’unica speranza che ha per vedere il suo nome primo fra tutti è che riceva una botta in testa da Donkey Kong bella forte! Allora vede pure le stelle!»

«Beh, Eddie-Freddie...» Stacey, molto divertita, gli fece l’occhiolino. «Ne riparleremo quando avrò vinto!»

Non mi fido. Non mi fido per niente. Questa doveva essere la sua giornata con Richie, i pensieri di lui.

«Buena suerte, señorita!» le augurò Richie, tirando per la maglietta Eddie per farlo voltare verso il suo più grande amore: Street Fighter. «Y buena suerte, mi amor!» Ironico, non dimenticò di aggiungere: «Te ne servirà molta per farmi essere clemente e lasciarti vincere almeno un round!»

«Sì, certo! Vedremo!»

Per quanto Eddie fosse competitivo... Richie aveva ragione. Caspita, non ne vinceva neanche mezza, di partita! Iniziava a stringere i denti, doveva proprio batterlo, diamine, almeno una fottuta volta. Questo non toglieva che si stesse divertendo. Dio, anzi, quanto si stava divertendo! Ormai era passata una buona mezz’ora o poco più e la ragazza ancora non aveva osato avvicinarsi a loro. Qualche volta aveva urlato da lontano a Richie quanto stesse andando alla grande col suo gioco di Donkey Kong, da cui non sembrava essersi mai staccata, ma questo giusto nei primi dieci minuti. Dopo, infatti, Eddie si era completamente dimenticato della sua presenza. Tutto sembrava essere tornato alla normalità, a quando giusto due settimane prima, o anche meno, nessuno sapeva dell’esistenza di Stacey, erano solo loro ed erano felici come dei fottutissimi bambini. Effettivamente, con Richie si sentiva felice proprio come quando erano due fottutissimi bambini.

«Okay, Eds, cominci a farmi un pochino pena!» scherzò il corvino, eppure dal tono pareva serissimo. Tanto in ogni caso l’altro lo avrebbe incenerito con lo sguardo. «Qui la situazione precipita proprio!»

«Sei tu che usi mille trucchetti speciali-»

«Trucchetti speciali? Non ci sono trucchetti per vincere! Capisco che io sia un grande e non ti faciliti le cose, ma tu devi fare molto schifo per perdere tutte queste partite di seguito! O forse invece hai proprio un talento a perdere tutte queste partite di seguito...»

Prima che Eddie potesse offendersi di brutto, Richie inserì nel buco l’ultimo gettone.

«Lascia che ti dia una dritta paparino! Ti insegno un trucchetto.» Usò quella parola di proposito, dato che aveva detto non ci fossero trucchetti per vincere. Lo fece perché avrebbe fatto sbuffare adorabilmente il suo amico e infatti... la sua reazione fu proprio come se la immaginò. Riprese a parlare: «Un colpo di genio è prevedere le mie mosse, ma questo è un po’ difficile per un piccoletto come te alle prime armi.» Prime armi nel senso che erano anni che perdeva contro di lui. «Per ora cerchiamo di...»

La partita cominciò. La mano destra di Eddie era sui propri tasti, mentre la sinistra era sul joystick. E sopra c’era quella del suo amico.

«Rich, ma che stai-»

Le guance gli andarono a fuoco. Sperò che non bruciassero anche le sue mani.

«Qui! Veloce, colpisci!» gli fece il corvino in risposta mentre colpiva il proprio personaggio al posto di Eddie col suo. Esatto, Richie stava con una mano alternando i movimenti e le mosse del suo lottatore, mentre con l’altra stava usando il personaggio di Eddie per... combattere da solo. E farlo vincere, seppure non... facilmente, altrimenti dov’era il divertimento? Era praticamente un’ardua sfida con se stesso. Il che a Eddie sembrava insensato, ecco perché non riusciva a dargli corda e a muovere le mani su quei pulsanti o attorno a quel joystick, sotto il palmo dell’altro.

«Coglione, ti stai prendendo a pugni da solo!» constatò.

«Cazzo, sì, ci sto dando dentro!» Oh sì, se le stava dando e se le stava prendendo di santa ragione!  «Mai sentito parlare di sacrificio per amore?» rispose un po’ distrattamente il Tozier, prima di far terminare in fretta quel round mettendosi KO. Si voltò verso il ragazzo per puntare gli occhi nei suoi più scuri. «Potrei prendere a pugni chiunque per te, Eddie. Persino me stesso.»

Per essere un attore, purtroppo, era proprio bravo. Peccato solo che fosse un comico e che tutto ciò che diceva fosse solo una stronzata. Non importava, però: quelle parole a Eddie fecero effetto lo stesso e credette che Richie se ne accorse, perché lo vide arrossire. Durò poco, giusto un istante, perché iniziò il secondo round di quest’ultima partita e lo sguardo di Richie tornò sullo schermo. Quello di Eddie non ci riuscì immediatamente.

«Forza, Eds, datti una mossa! Non vorrai far fare tutto a me?!»

Lo stava già facendo. Però scosse vigorosamente il capo e decise di mettersi al lavoro e, con la mano dell’amico che ancora teneva la propria, il pomodoro formato gigante (cioè Eddie) riuscì a vincere quel round. Il terzo round, quello finale, Richie decise di vedere come quello avesse imparato dal maestro e tolse le mani per giocare per conto proprio come suo avversario. Forse lo lasciò vincere, perché Eddie faceva ancora abbastanza schifo contro di lui, il mago di Street Fighter, invincibile, e sulla schermata comparve dal suo lato una grossa scritta verde che lo nominava WINNER. E va bene, niente forse: Richie lo aveva lasciato vincere.

«Beh, in fondo sono un Perdente di nome, non potevo non esserlo pure di fatto!» Gli diede una pacca sulla schiena così leggera e così lenta che parve più una carezza. «Sei stato bravo, Eds!»

Bazzecole. L’aveva lasciato vincere. Eddie – pur competitivo come nessun altro – lo sospettava, ma era l’unica occasione che aveva per vantarsi della sola vittoria che gli era stata concessa, perciò non poté che sorridere con fierezza. Gonfiò il petto come facevano i galletti, ma parve un pulcino.

«Già! Non poteva andarti di culo tutte le volte! E non chiamarmi Eds!» Più che soddisfatto di sé, però, si sentiva miseramente e banalmente... felice, felice di aver giocato con Richie e di aver avuto per un intero round la sua mano sulla propria. Per questo dopo essersi stretto nelle spalle riuscì ad aggiungere, carino: «Ho imparato dal maestro, in fondo...»

«Dal migliore, vorrai dire!» lo corresse l’altro, poiché maestro non gli bastava.

«'Fanculo!» fece quindi Eddie, ma ridendo. «Ricordami di non farti più complimenti! Io ti do la mano...», l’averlo chiamato maestro, «... e tu... e tu ti prendi il braccio!», la nomina del migliore. Così dicendo fece ridere anche Richie.

«Mano, braccio... non vuoi che sia tutto tuo?!»

«No grazie!»

Ecco, finiva ogni volta così. Sempre allo stesso modo, due ottimi amici che ridevano come due idioti per le cazzate che sparavano. Ed entrambi, in momenti come quelli, sentivano che non sarebbero mai stati male, perché era semplicemente impossibile immaginare il peggio quando si viveva il meglio. Eddie era talmente nel meglio che ancora non gli era tornata in mente Stacey, era talmente nel meglio... che si dimenticò che, una volta raggiunto il limite, una volta riempita la brocca d’acqua fino all’orlo... poi, a continuare, usciva tutto fuori.

Spesso Richie si arrampicava alla sua finestra per stare in sua compagnia quando sua madre non lo lasciava uscire dalla sua camera. Una volta si era fatto molto tardi ed era impensabile, visto il pericolo che il Tozier sosteneva comunque di poter correre, che tornasse a casa da solo a quell’ora. No, Rich, è troppo buio, non posso lasciarti andare da solo! Piuttosto resti qui! Quella era stata la prima volta che Eddie, chiusa a chiave la porta perché sua madre non lo scoprisse, invitava il suo amico a restare per la notte. Dormivano nello stesso letto, erano piccoli e c’entravano. Crescendo, l’abitudine non se l’erano tolta. Ora nel letto ci stavano più stretti, ma quelle notti con Richie non avevano prezzo. Né per Eddie, né per lui. Forse, in fondo, soprattutto per lui. Perché Eddie dormiva profondamente e non se ne accorgeva di come nel sonno lo stringesse, la testa posata contro il suo petto. Richie aveva il sonno più leggero, eccome se se ne accorgeva!
Erano oltre due settimane, forse tre, che non dormivano insieme e in quel momento sembrava tutto così perfetto, tutto così... nella quotidianità, in realtà, che Eddie si buttò.

«Perché non vieni da me stasera?» Nascose le mani tremanti dietro la schiena, sperando con tutto se stesso che il ragazzo che gli piaceva accettasse. Insomma, però, come poteva rifiutare? Non rifiutava mai! Neanche una volta!

Solo che quella era la giornata di Richie e Stacey.

«Ouch! Scusami, Eds!» fece con enfasi, ma Eddie non riuscì a capire se fosse dispiaciuto sul serio o meno. Immaginava che stesse per rifiutare perché i suoi genitori gliel’avessero proibito per chissà quale motivo, anche se di solito neanche quello lo fermava, Richie non rifiutava mai. Però... però sembrava stesse per rifiutare e non riusciva proprio a immaginare perché. Perché Stacey non esisteva, non esisteva più. «Stanotte sto con Anastasia!»

Gli ci vollero tre lunghi secondi per realizzare.

«Cosa?» Gli tremò un po’ la voce. Meno di quanto ancora stessero tremando le mani dietro la schiena.

«Beh...» Richie spostò lo sguardo sulla ragazza, impegnata poco lontano a giocare allo stesso gioco da quando aveva cominciato, e quando tornò a Eddie gli fece l’occhiolino, come a intendere che certe cose non bisognasse neanche spiegarle. Infatti non gli raccontò, ad esempio, di come e quando lei gli avesse chiesto di trascorrere la serata insieme, dopo aver scoperto durante la ricreazione a fumare come lui e Eddie spesso dormissero insieme. Anche se, avrebbe potuto dire, ironico, a un bimbo come te vanno spiegate effettivamente. Oh, Eds, sei ancora troppo piccolo per certe cose, ne riparleremo tra qualche anno! Non vorrei traumatizzarti spiegandoti cosa in realtà abbiamo fatto per anni io e tua madre in camera sua! Ma non disse questo, per fortuna. Per sfortuna però, perché al suo adorato Eddie non piacevano i ragazzi ed in fin dei conti Richie non poteva far altro che cercare di fare con lui bella figura, disse: «Credo che fosse seria quando ha parlato di prime volte, alla fine! Domattina ti racconterò tutto!»

Ora del decesso: 16.49

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Capitolo 7
*** Eddie-Freddie ha uno strano muso triste ***


Eddie-Freddie ha uno strano muso triste

 

Quel Martedì mattina cominciò nel peggiore dei modi. La sveglia trillò puntualissima nelle orecchie di Eddie come un’allarmante sirena dell’autoambulanza facendolo saltare e sbattere col capo contro la testata del letto. Solitamente non gli avrebbe fatto alcuno spavento, era abituato a svegliarsi ogni giorno allo stesso orario, drinnn o non drinnn, ma quella volta gli sembrò di non aver chiuso occhio neanche per un attimo, ecco perché non gli funzionò la sveglia biologica. In effetti aveva dormito molte meno ore rispetto al normale e in quelle poche ore il suo cervello gli aveva giocato dei brutti scherzetti, facendogli immaginare il suo amico e la nuova arrivata a casa di lei a limonare nei modi più sporchi e fantasiosi. E – peggio ancora – non li aveva immaginati solo a... limonare. Le stesse orribili fantasie che aveva avuto prima di addormentarsi, mentre si rigirava fastidiosamente tra le lenzuola. Ma se aveva avuto una nottataccia, avrebbe avuto anche una giornataccia, no?
 
«Cazzo.» borbottò, grattandosi la testa nel punto in cui si era fatto male. Era un cazzo, però, più riferito al resto dei suoi problemi che a quella stupida botta. Le palpebre gli pesavano, non riuscì ad aprire gli occhi e capendo di sentirsi più morto che vivo nemmeno provò a farlo. Avrebbe volentieri fatto a meno di alzarsi per andare a scuola, ma non aveva voglia di fingersi malato, non quando si ritrovava Sonia Kaspbrak come madre – la donna si sarebbe preoccupata più del dovuto e l’avrebbe fatto restare a letto non per una giornata, ma per un mese intero, e non solo il ragazzo non avrebbe più rivisto per un po’ i suoi amici, ma il suo stomaco non avrebbe visto niente di buono, solo brodini e medicinali. Controvoglia si tirò su per trascinarsi in bagno e fu mentre mise il piede dentro una delle pantofole che tirò su col naso. Ecco, si disse, non dovrei nemmeno fingere di essere malato. Se avesse avuto la forza di concentrarsi per capire come aveva fatto a raffreddarsi, o avesse anche solo messo gli occhi sul piumone che lo teneva ogni notte al calduccio o sulle finestre tappatissime da cui non sarebbe mai potuto entrare neanche uno spiffero gelido, si sarebbe reso conto di aver pianto durante la notte. Come il più sciocco dei deboli. Come un innamorato col cuore infranto. Come il ragazzino fragile che sua madre da sempre gli diceva che lui fosse.
 
Girata la manopola del lavandino, stravolto, passò le mani sotto l’acqua fredda, le strofinò per bene senza usare il sapone e poi si stropicciò gli occhi. Non riuscì a fare un lavaggio migliore, così come non riuscì a guardarsi allo specchio. Si vestì con i primi indumenti puliti che trovò nell’armadio e fu quando andò a fare colazione che si rese conto di apparire moribondo... perché glielo disse sua madre.
 
«Eddie, amore! Hai un aspetto spaventoso! Cosa ti è successo?» si preoccupò la donna. Corse a mettergli una mano sulla fronte per vedere se scottasse, ma non scottava affatto. Il figlio restò inerme sotto quel palmo tozzo, sotto quella gigantesca preoccupazione. «Sei rovente! Pisellino, avrai preso freddo! Non ti sarai scoperto nel sonno?»
 
Eddie odiava le attenzioni che sua madre gli riservava, ma oggi non era in grado neanche di farlo – di odiarle. Era altrove con la testa, era nel mondo dei morti. Avrebbe solo voluto dormire qualche ora di più e poi al risveglio scoprire che Richie (sempre, sempre, sempre il primo pensiero, il primo cazzo di pensiero) non avesse trascorso la notte con Stacey, che non fosse successo niente tra loro. Però non era così. I due avevano dormito insieme e quante probabilità c’erano che non fosse accaduto niente? Andiamo! Un bacio doveva esserci scappato per forza e si era parlato di prime volte. Cazzo, quei due sicuramente avevano fatto sesso. Eddie non sapeva neppure come si facesse, il sesso. Non l’aveva mai fatto, se non si contava il legame sancito con Beverly dopo la sconfitta di It ed in un certo senso, aveva avuto modo di accorgersi, non lo contava
 
 
«L’hai fatto?»
«Fatto che cosa?»
«Quel che si dovrebbe fare. Non so bene neanch’io.»
Lui scuote la testa. Lei lo sente perché gli tiene la mano posata sulla guancia.
«Non credo che sia proprio come... be’, dicono i ragazzi più grandi. Ma è stato... è stato veramente bello.» Parla a voce bassa perché gli altri non lo possano udire. «Ti amo, Bevvie.»
 
 
e non credeva che nessuno dei suoi amici, quindicenni ormai, l’avesse fatto – neppure Bill che era tanto figo, anche se ora che stava con Beverly cominciava ad avere dei dubbi, neppure Richie che si vantava sempre delle sue conquiste, ma poi l’unica pupa che aveva un nome era sua madre e non era esattamente una pupa. Però, anche se di sesso non ne sapeva niente, sapeva che dove c’era il sesso, spesso, oltre a quella malattia di cui una volta gli aveva parlato Richie, la sifilide, c’era anche l’amore, o se non c’era magari dopo nasceva. O se non nasceva... beh, comunque se Richie aveva fatto sesso con Stacey, non l’avrebbe fatto con Eddie, questo era poco ma sicuro. Così come era sicuro che tanto al suo amico piacevano le ragazze, il che era un problema in teoria più grande di quanto lo fosse Stacey. Però (l’ennesimo però) anche se a Richie non piacevano i ragazzi, se non fosse arrivata quella brutta stupida, tutte le sue attenzioni le avrebbe rivolte ugualmente a lui. Era per questo in fondo che Eddie non si era mai disperato troppo per via della propria omosessualità che contrastava con l’eterosessualità dell’amico, invece da quando era arrivata Stacey sembrava la fine del mondo. Era la fine del mondo, del suo, se la notte precedente avevano fatto sesso.
Non ci stava, non ci stava proprio con la testa. Si sentiva stanco e forse la stanchezza non derivava neppure dal fatto che non avesse chiuso occhio. Se anche avesse dormito, Eddie si sarebbe ugualmente sentito stravolto. Stravolto dall’amore – faceva schifo, non se l’aspettava.
 
Odiava, allora, le attenzioni di sua madre, ma non riuscì ad opporsi per convincerla che andasse tutto bene, così come nemmeno – volendo – avrebbe fatto in tempo a rispondere alla domanda che lei stessa gli aveva posto, dato che volò fuori dalla cucina. Sonia sparì in fretta, il suo palmo ancora impresso sulla fronte del ragazzo, perché doveva prendere il termometro per misurargli la febbre. Era molto agitata. Quando la donna controllò la temperatura segnata sul termometro, Eddie però riuscì a leggere cosa vi fosse scritto. 36,9. Aveva la temperatura corporea media.
 
«Dio mio, hai la febbre!» Sonia era già pronta ad improvvisarsi dottoressa. Si lanciò verso un mobile per recuperare qualcosa che avrebbe potuto essere utile al suo povero bambino malato. «Adesso chiamo la tua scuola per avvisare che rimarrai a casa, devi stare a letto! Finisci di fare colazione e-»
 
«Neanche per sogno!» Fu in quel momento che Eddie sembrò svegliarsi, gli occhi finalmente aperti, anzi spalancati. Si tirò su trascinando rumorosamente la sedia sul pavimento e se ne fregò. Non finì la sua colazione come gli venne ordinato, ma prese un biscotto che avrebbe mangiato fuori da quella cucina, nonostante di norma gli fosse vietato perché non doveva fare briciole. «So leggere benissimo e non mi pare proprio che ci sia scritto che ho la febbre, ma’! Smettila di immaginarti le cose!» Io vado a scuola! «Non c’è bisogno che chiami nessuno!» Non fece altro rumore perché la sedia non venne trascinata al suo posto sotto al tavolo, a trascinarsi via invece fu lui.
 
La ribellione del figlio fece sbiancare Sonia: era impensabile che reagisse così, ma lei era davanti al mobile più lontano dalla porta della cucina e lui si era già diretto in camera sua, anzi lei l’aveva pure sentito sbattere la porta, perciò come poteva fermarlo? Dargli tregua, però, era altrettanto impensabile.
Eddie aveva appena finito di mangiare il suo biscotto quando vide la maniglia della porta, che aveva chiuso con la chiave, alzarsi ed abbassarsi in maniera continua, cigolando pericolosamente.
 
«Pisellino, per favore, apri la porta! Non voglio più che ti chiudi a chiave dentro, mi hai sentita? Potresti restare bloccato! È pericoloso, lo sai!»
 
Aveva le braccia morte, lo sguardo fermo sulla porta e l’aria vuota. Non disse una parola, volle aspettare che sua madre finisse. Ma Sonia non finì. Peggiorava, peggiorava se Eddie non le rispondeva. È più pericoloso se fai così con la maniglia, potrebbe rompersi, pensò soltanto.
 
«Dio mio, amore! Sei vivo?» Aveva cominciato a piagnucolare. «Rispondimi, ti prego! Eddie!»
 
Così Eddie si degnò di rispondere, alla fine.
 
«No.» disse.
 
«Cosa?!»
 
«Sì, ma’. Sì.» Sospirò pesantemente mentre lei ancora tentava di aprire la porta.
 
«Oh, grazie a Dio, tesoro! Aprimi, per favore! Non puoi lasciarmi fuori!» E ancora, e ancora, e ancora. Nominò persino i vigili del fuoco ad un certo punto, poi concluse così: «Eddie, io non riesco a capire perché tu mi faccia questo, lo sai che voglio aiutarti! Sono tua madre, per favore! Aprimi!»
 
Non si arrende? Non vede che è chiusa a chiave? Non capisce che non aprirò?
 
E infatti avrebbe potuto non aprire mai più. Richie spesso entrava ed usciva dalla finestra, Eddie poteva fare lo stesso, anche se nessuno glielo aveva mai insegnato e c’era il pericolo che scivolasse di sotto e si facesse molto male. Ma Eddie non aveva paura. Poteva farlo davvero. L’unico problema, ora che riusciva a tenere le palpebre alzate, era che i denti se li poteva pure lavare e per raggiungere il bagno la finestra diventava inutile. Perciò, pur potendo non aprire mai più quella porta, Eddie lo avrebbe fatto.
 
«Devi lasciarmi andare a scuola!» Parlò attraverso la porta, ancora chiusa. «Devi, o... o io... posso sempre scappare dalla finestra!»
 
Sonia si allarmò e ricominciò ad urlare, ma suo figlio la interruppe. La interruppe con una fermezza che era essenziale affinché lei capisse quanto facesse sul serio.
 
«Scusami, mamma, scusami tanto, ma non sono malato!» Non di febbre, almeno. Perché per quanto riguardava le altre stronzate... In quel momento sentì il bisogno di stringere il suo inalatore. Non lo fece, invece portò una mano alla propria fronte. Aveva ragione: non scottava per niente. «Devo uscire di casa, d’accordo? Lo farò dalla porta, ma tu lasciami andare a scuola. Non ho la febbre, ero solo stanco, ma adesso...»
 
Il telefono di casa squillò e Sonia dovette allontanarsi. Eddie ne approfittò per andare a lavarsi i denti e prima di uscire dalla porta del bagno si assicurò che la donna fosse ancora in chiamata. Sia lodata Eleanor Dunton!, pensò. Zaino in spalla, riuscì a raggiungere la bici.
Era presto, dato che si era preparato in maniera meno minuziosa del solito (non si era neppure spazzolato o pettinato i capelli!), così presto che Richie non era ancora arrivato. Pensandoci però Richie non sarebbe mai arrivato, non se aveva trascorso la notte in compagnia di Stacey. Probabilmente si era anche dimenticato dell’esistenza di Eddie, magari lei gli aveva fatto un succhiotto sul collo che aveva lasciato un segno talmente grosso da imprimergli, oltre che sulla pelle, il suo nome anche nella testa. Stacey, Stacey, Stacey. Non Eds, niente Eds. Fu per questo che mise un piede sul pedale e si avviò. Andò lento, ma non si fermò per strada neanche una volta, gli occhi in avanti sull’asfalto da percorrere e la mente ancora al suo dramma, indietro.
 
 
Una volta arrivato a scuola, Eddie attese in solitudine il suono della prima campanella per dirigersi verso la classe coi paraocchi, senza salutare né Stan né Ben. Quest’ultimo parlò al compagno solo con uno sguardo, uno sguardo preoccupato, molto preoccupato, ma Stan non poté che rispondergli con un’alzata di spalle. Quando poi in classe Eddie si sedette al proprio banco, Bill gli diede il b-b-buongiorno e notò con quanta poca vitalità quello lo ricambiò. Stessa cosa accadde con Beverly appena un minuto dopo.
I fidanzatini parlottarono, complici, scambiandosi idee e tirando fuori teorie abbastanza verosimili su quale potesse essere la causa del malessere del loro amico. Eddie non si accorse né di questo né di come i due si zittirono nel momento in cui arrivò quella che stesso loro avevano compreso fosse la causa, per l’appunto, del suo malessere: Richie in compagnia di Stacey.
E come poteva accorgersene? Era come se il risveglio causato dalle stupide premure di sua madre fosse avvenuto in un passato ormai troppo remoto e fossero nuovamente tornate le tenebre. In poche parole, se Bill gli avesse chiesto come si sentiva, la sua risposta sarebbe stata: non lo so, mi sento più di là che di qua. Anche se poi, in realtà, lo sapeva molto bene.
 
Di fortuna o sfortuna che si trattasse, alle sue orecchie non arrivò alcuna dichiarazione da parte di Richie sulla nottata trascorsa a casa della nuova arrivata – nonostante i Perdenti non stessero chiacchierando neppure tanto lontano da lui. Di fortuna o sfortuna che si trattasse, inoltre, la solitudine di Eddie non durò tanto a lungo. Fu proprio Richie ad avvicinarglisi e con l’intenzione di non andarsene immediatamente – gli arrivò alle spalle e poggiò fastidiosamente un gomito sulla sua testolina.
 
«Buenos días, mi princesa!» Sembrava contento. Anche troppo.
 
«Hey.» Invece Eddie sembrava morto. Anche troppo. Ci volle una frazione di secondo a Richie perché se ne accorgesse e subito spalancò gli occhi: CHI HA FATTO DEL MALE ALLA MIA PRINCIPESSA?!
Proprio lui.
Eddie cercò di allontanare il braccio di Richie e altrettanto sconvolgente per il corvino risultò quanto per niente lo stesse rimproverando. Solo... hey...
 
«Hey è un saluto troppo noioso persino per quella vecchietta di Stanley!» Lasciò perdere la testolina di Eddie e scivolò al suo fianco, anche se quello non era il suo posto. «Mi aspetto un saluto tipo buongiorno, Rich, mio unico dio e re del mondo! Anzi, sta’ fermo!» Come se Eddie si stesse muovendo – in realtà se ne stava ancora a fare il morto con gli occhi spenti posati sulla superficie del proprio banco, quello su cui spesso aveva scritto il nome del ragazzo che... non importava. «Se tu sei la mia principessa, io sono il tuo principe! Porca vacca, e quando la prendiamo questa corona, tesoro?! Ci vogliamo dare una mossa?! Ci tocca uccidere tua madre!»
 
Richie si aspettò che Eddie ridesse, sperò che lo facesse, ma non accadde assolutamente nulla. Attese un secondo scarso una reazione in ritardo da parte sua, ma oltre, oh, oltre non poteva attendere. Anche se era seduto al banco accanto, Richie si stese in avanti per posare su quello di Eddie entrambi i palmi ed il mento sui propri dorsi. Giusto per guardarlo più da vicino e meglio in faccia. Giusto per farsi udire una volta sussurrato: «Eds...»
 
Eds, dal canto suo, si sentiva troppo debole per reagire e troppo debole ci si sentiva anche il suo cuore, che non fece nemmeno un balzo per quell’appellativo e per il modo in cui Richie aveva sussurrato, un modo che sembrava dire mi importa di te, Eds, mi importa tantissimo di te. Era troppo stanco anche solo per azzardare un sorriso che tanto sarebbe apparso profondamente amaro, se non triste. E lui non si sentiva esattamente... triste. I morti in fondo non provavano tristezza, no? Erano già morti! Non si sentiva triste, né si sentiva arrabbiato – e comunque non voleva arrabbiarsi col suo amico solo perché magari aveva fatto sesso con Stacey o perché magari se l’era solo baciata, non voleva perché a conti fatti non era colpa sua. Oppure sì, insomma. Era colpa di Richie perché voleva Stacey, era colpa di Eddie perché non era come Stacey ed era colpa di Stacey perché era arrivata. E le colpe erano così tante quindi che il solo pensiero lo stancava.
Rimase zitto a fare il morto, rimase zitto a sentire il vuoto. Rimase zitto a sentirsi vuoto – e Richie, che vuoto vedeva il suo sguardo, cominciò a credere che per Eddie fosse vuota l’intera aula. Sperò lo stesso che gli rispondesse, lo sperò fino all’ultimo questa volta – sperò anche magari che Eddie dicesse una cazzata, come: ieri ho visto un film sugli zombie e volevo provare ad essere uno di loro! Porca puttana, andava bene qualsiasi cazzata! Ma Eds continuò a fare il morto. Perché cazzo continuava a fare il morto?!
Richie aprì la bocca per fare un altro tentativo, ma venne anticipato da Stacey. Anche lei sembrava troppo contenta.
 
«Buongiorno, Eddie-Freddie!»
 
Eddie non si mosse ancora di una virgola, non spostò neppure lo sguardo sulla ragazza che era andata ovviamente a poggiarsi con le mani sulle spalle di Richie. Avesse avuto la forza di pensare, avrebbe pensato di non volerla salutare, di non volerla vedere, di non volerla sentire, di non volere proprio la sua esistenza... ma questa forza non ce l’aveva, perciò senza sentimento rispose: «Buongiorno.»
 
La ragazza usò le mani posate sulle spalle di Richie per spingerlo via e soffiargli il posto. Fu contro la sua volontà che il ragazzo venne allontanato e cercò gli occhi di Eddie fino alla fine – però non servì a niente.
 
«Oggi c’è proprio un bel sole!» disse lei. Lui non l’aveva visto. «Gli uccelli cantano!» Questo poteva andare a dirlo a Stan. «E tuuu, piccolo Eddie-Freddie, hai uno strano muso triste! Sai, mi ricordi un cucciolo di cane ferito! Abbandonato, direi!» Osò allungare un dito verso la punta del suo naso. Il tocco destabilizzò il ragazzo, che finalmente distolse gli occhi dal banco e la vide. Stacey ne approfittò per continuare ora che aveva sicuramente la sua attenzione. Fosse stata un’amica, avrebbe insistito per sapere cosa non andasse con lui, ma lei non era un’amica. Se parlava con Eddie, la ragione era una sola: completare il suo piano. Quella, dopotutto, era la giornata riservata totalmente al Kaspbrak. «Oh, mi sento proprio... elettrizzata, tu no?!»
 
Non avesse avuto l’umore sotto ai piedi, Eddie avrebbe fatto caso a quanto quella parola, elettrizzata, sembrasse studiata, o avrebbe fatto caso a come, prima di pronunciarla, Stacey avesse studiato proprio lui con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
Avrebbe dovuto farci caso, gli sarebbe convenuto.
Beverly, più dietro, non tolse gli occhi di dosso a Stacey neanche per un attimo. L’insegnante aveva appena fatto il suo ingresso nell’aula, ma era una di quelle sante che lasciava agli studenti i primi dieci minuti liberi per permettere a quei pochi ritardatari di non perdersi l’appello, per cui non avrebbe cominciato la lezione nell’immediato e quasi nessuno aveva raggiunto il proprio banco. L’arrivo della donna, però, aveva fatto sì che Stacey abbassasse la voce e Beverly non poté sentire niente di quello che avrebbe detto a Eddie. Nessuno avrebbe sentito mezza parola.
 
«Sarà che ho dormito proprio bene. Oh cazzo!» disse a voce bassa e rise. «In realtà avremmo dormito sì e no tre ore!» Capì di dover ridere di nuovo – perché anche queste risate erano studiate. «Lo sai, Eddie-Freddie?»
 
Eddie avrebbe voluto tenere il cervello scollegato per tutta quella conversazione, ma persino da morto si rese conto di una cosa: stava per arrivare il peggio. Forse non era ancora arrivata la pena, forse era ancora assieme a Caronte ed ecco che adesso stava raggiungendo il suo girone all’inferno. Perché i ragazzi innamorati dei propri migliori amici, gli omosessuali, quella parolaccia!, finivano per forza all’inferno, l’aveva sentito dire una volta a sua madre. E stava arrivando, era lì, Stacey ce l’aveva proprio sulla punta della sua lingua biforcuta. Ne avesse avuto la forza, Eddie avrebbe stretto i pugni, ma ebbe soltanto la forza di ascoltare che...
 
«Il tuo amico è il miglior baciatore di questo cazzo di mondo!»
 
!
...
 
Pensava si sarebbe sentito molto peggio. Invece, scoprì, non poteva sentirsi peggio di così. Quanto male poteva fare una lama su una ferita già tanto grave?
 
«Forse dirtelo è un po’ imbarazzante, infatti pensavo l’avrei raccontato innanzitutto a Bev, ma siamo amici ed io... cazzo, devo assolutamente raccontarlo a qualcuno, mi tremano le mani!» Continuò Stacey agitando le dita. «E tanto anche Richie te l’avrebbe raccontato vista la vostra grande amicizia, perciò... Oh, Eddie-Freddie, è successo! Cioè lui... io... oh mio Dio!» Abbassò ancora di più la voce, ma non per questo parve meno esaltata. Tutto il contrario. «Capisci, l’abbiamo fatto!»
 
L’abbiamo fatto.
Il sesso. Per forza!
L’abbiamo fatto.
 
Capiva. Capiva benissimo.
Capiva che non c’era più niente da fare, ormai – ma che l’aveva già capito durante la notte. Capiva che aveva tirato su col naso quella mattina perché aveva pianto nel letto, capiva che persino adesso aveva gli occhi lucidi, anche se non si sarebbe fatto scappare neanche una lacrima. Perché aveva capito, ma questo l’aveva capito da molto tempo già, che amava Richie. Capiva che, per quanto logorante alcune volte, ma perlopiù nei giorni già tristi, poteva amarlo senza essere ricambiato perché non era così egoista, poteva amarlo non come un amico poteva amarlo però accettando di esserlo per lui. Capiva pure che al tempo stesso era troppo geloso per amarlo se lui stava con un’altra. Allora non si poteva fare. Capiva perciò che doveva trovare il modo di andare avanti, di amare Richie solo come un amico, per quanto fosse difficile. Capiva... capiva un cazzo. Niente.
Capiva che in ogni caso avrebbe trascorso le seguenti giornate come questa: come un morto.
Fosse stato vivo, avrebbe capito che non era vero che non ci fosse più niente da fare, ormai – perché prima di tutto, nei giorni precedenti, Eddie aveva capito una cosa: che Stacey nascondesse qualcosa. Fosse stato vivo, avrebbe messo da parte il suo malessere per aiutare il suo amico e togliere di mezzo Stacey – per Richie, non per se stesso. Perché Eddie, prima di tutto, doveva sempre salvare i suoi amici. Ma morto o morente... come poteva salvarli?
 
La nuova arrivata non smise di tediarlo, ma Eddie non smise di fare quello che stava facendo: non reagire. Poco importava che la sua non-reazione fosse per lei inaspettata: il piano di Stacey procedeva comunque liscio come l’olio. Sarebbe continuato più tardi, poiché l’insegnante chiese agli studenti di prendere ciascuno il proprio posto. Stacey osò: si azzardò a lasciare sulla guancia del morto un bacio di Giuda e zampettò via. La mano del compagno di banco a paccare la schiena di Eddie non servì a nulla: la mattinata proseguì come un funerale. Persino la ricreazione. Si giustificò coi suoi amici dicendo sono solo stanco e poi non parlò più. Prima Richie e poi Beverly avrebbero voluto portarsi via Eddie, ma Stacey sembrava non volersi scollare e lui sembrava non volersi far rallegrare.
 
L’ultima ora fu quella di disegno e miracolosamente la giornata sembrò prendere un’altra piega – un po’ per la leggerezza della lezione, un po’ perché a Bill fu permesso di spostarsi accanto al suo amico. Non gli domandò cosa gli passasse per la testa, ma gli chiese di aiutarlo col suo disegno e fra una cosa e l’altra riuscirono persino a scherzare. Eddie non si sentiva improvvisamente una Pasqua, era naturale, ma l’intervento di Bill ebbe lo stesso effetto di quello di Sonia: lo svegliò. E una svegliata serviva per forza nella giornata di Stacey dedicata a Eddie.
 
 
«Senti, Eds-» fece Richie al gruppo, appena fuori dalla classe, quando l’ora fu terminata. «...Dove cazzo è andato?!»
 
Alcuni dei Perdenti si guardarono attorno con aria confusa. Eddie era sparito, eppure...
 
«Un secondo fa era qui!» esclamò Ben.
 
«L-l’ha portato via S-S-Stacey!» rassicurò Bill, che aveva visto la ragazza prendere a braccetto l’amico e trascinarlo chissà dove. Si era preoccupato di seguirli, ma l’ultima ora di lezione era la peggiore: masse di studenti rischiavano di travolgere chiunque pur di scappare da quell’inferno che era la scuola. Così li aveva persi di vista.
 
«Ma vaffanculo!» s’infastidì Richie, lasciando sconcertati i Perdenti. In particolare, Bill lo guardò con aria torva, come se a fare in culo ci fosse stato mandato lui.
 
«Che c’è, Richie?» domandò Beverly.
 
«Ma niente! Oggi lo stronzo è più irraggiungibile della luna!» “Oggi lo stronzo mi ha detto solo hey e sto morendo di preoccupazione, porca vacca. Ed è con Stacey!”
 
«Sembrava molto giù.» tentò Ben. «Tu sai che gli è preso?»
 
«Ti pare! Che cazzo ne so, Covone, non dice niente!»
 
«Hey, calmati!» Beverly riprese la parola. «Non prendertela con noi, ne sappiamo quanto te, okay?» Fece una piccola pausa, durante la quale lui sbuffò. «Senti, Richie, dobbiamo chiederti una cosa.» La rossa andò dritta al punto e fissò negli occhi l’amico per scorgere la più piccola briciola di verità. «Puoi dirci cosa è successo davvero a casa di Stacey?»
 
Ben inarcò un sopracciglio, non trovando il nesso tra ciò e il pessimo umore di Eddie, ma Beverly, oh, Beverly aveva cominciato a schiarirsi le idee, e Bill con lei. E Stan? La sua espressione era indecifrabile, chi avrebbe potuto dirlo!
 
«Che cavolo c’entra!?» Aveva persino iniziato a gesticolare, confuso e infastidito. No, anzi, il tempo che scorreva lo faceva sentire incazzato. «Abbiamo parlato del più e del meno, che vuoi che abbiamo fatto?!»
 
Bugia.
 
«Ne sei sicuro, Rich?» insistette lei.
 
Richie strabuzzò gli occhi.
 
«Che avremmo dovuto fare, un omicidio e poi nascondere il cadavere?! E comunque questo che c’entra con Eddie?» Se Beverly non avesse perso quei due secondi a guardare in maniera complice Bill, come a chiedergli il permesso di parlare, Richie da lei avrebbe sentito più di un “Noi crediamo che...” prima di annunciare: «Vado a cercarli!»
 
E così Beverly rimase a bocca asciutta. Ben ribadì di dover fare qualcosa per Eddie, tanta era la preoccupazione che provava per lui, e gli altri furono d’accordo. Fu Big Bill a rassicurarli, dicendo che ci avrebbe pensato lui – qualcosa si sarebbe inventato per il suo migliore amico! L-lasciatemi p-pensare! Ma Richie di tutto questo non aveva udito neanche un’a, era ormai lontano.
 
 
«Potresti rallentare?» domandò una voce amica. Richie si fermò all’improvviso in mezzo al corridoio, non aspettandosi un inseguimento. «So che le regole non sono il tuo primo amore, ma ne esiste una che dice che non si corre nei corridoi ed io ci terrei a rispettarla.»
 
«Wow, Urina, allora non ti comanda solo la Torah! Addirittura il regolamento della scuola!» Gli uscì con un tono più sarcastico del solito, ma la cosa non sembrò toccare minimamente il suo interlocutore. Non aveva problemi se Stan voleva seguirlo, ma era un problema il tempo, Richie aveva decisamente fretta. «Scusa, ma non è il momento di fare Tom e Jerry, voglio solo trovare Eddie!»
 
«Lo so.» Ripresero insieme a camminare, ma lo facevano troppo lentamente per i gusti del corvino. Questo allora provò ad accelerare un po’, sperando di venire imitato. Stan non lo deluse poi molto, ma gli stava comunque dietro di due passi. «Perché?»
 
«Che vuol dire perché?!»
 
«Vuol dire perché.» Non faceva una piega. «Eddie non è solo, c’è Stacey con lui.»
 
«E questo ti preoccupa di meno?» Cazzo, Stanley, almeno tu! «Stacey non lo conosce così bene, lei non lo sa come come tirarlo su di morale, porca vacca, lei non ha la più pallida idea di come far ridere quel coglione!» Non lo sa nemmeno Big Bill, lo so solo io, si ritrovò a pensare, agitato, talmente agitato che senza accorgersene aveva preso a camminare più veloce.
 
«Quello che intendevo è che non si trova in cattive mani e che per questo potresti anche evitare di rimetterti a correre.» Fu con questa frase che Richie si rese conto di aver cambiato andamento. «Non raccontare bugie, Tozier. Non a me.» Ma fu questa a farglielo cambiare di nuovo – ebbe il potere di far rallentare il corvino fino a fermarsi del tutto.
 
Puntando gli occhi in quelli di Stan, Richie capì... ricordò che quello in qualche modo stava sempre un passo avanti, non sapeva dirsi se così fosse perché era il più saggio, era l’Uomo, o perché semplicemente era il suo migliore amico. Che Richie si preoccupasse da morire per Eddie ormai era chiaro a tutti ed a Stan era stato direttamente riferito, una volta. Non voglio che Eddie stia male. Mai. Che però l’agitazione del ragazzo non fosse dovuta solo a questa voglia matta di consolare il suo amico sembrava chiaro soltanto all’Uris. Sì, il Tozier aveva paura per il Kaspbrak, ma aveva paura anche di qualcos’altro, o per qualcun altro. Puntando gli occhi in quelli di Stan, Richie convenne che l’avrebbe scoperto, ma non riuscì a dirglielo ancora.
 
«Sta una merda.» Questa era la più semplice da rifilargli tra le verità. «Ed io non so perché. Stamattina arriva e sembra Mr. Depressione, se scopro che sua madre gli ha detto qualche stronzata io giuro che...!» Si infastidì di più, serrò i pugni.
 
«Gli occhiali non eliminano la tua cecità, suppongo.»
 
«Mh?» I pugni chiusi durarono meno del previsto. «Che vuoi dire?»
 
«Che forse per una volta non è sua madre il problema e lo sai anche tu.»
 
«Eh no, Stanny, se hai deciso di giocare a fare gli indovinelli proprio oggi hai sbagliato giorno!»
 
Stan alzò gli occhi.
 
«Non mi sembra molto difficile, visto che tu stesso ti sei preoccupato quando Bill ha detto che Eddie fosse con Stacey.»
 
«Io non sono geloso di Stacey!»
 
«Non ho mai detto questo, infatti.» Continuava a non fare una piega.
 
E Richie continuava a non capire niente. E ad irritarsi, dato che stava perdendo tempo prezioso che avrebbe potuto utilizzare per cercare il suo Eds.
 
«Parli chiaramente o no? Sto per lasciarti da solo in questo fottuto corridoio!»
 
Con molta, troppa calma per i gusti del Tozier, l’Uris non lo informò che quasi sicuramente le scorse crisi di nervi del Kaspbrak e il suo pessimo umore di oggi derivavano dalla sua palese gelosia nei confronti della nuova arrivata, ma rispose: «Sono certo che tu voglia consolare Eddie e sono anche certo che lui ti manchi, Rich.» Cosa che non riusciva a concepire, non era che non si vedessero da anni, ma non volle soffermarsi su questo punto quasi sdolcinato. «Ma conoscendoti, e ti conosco, sembra quasi che tu non voglia lasciarli da soli.» Si corresse: «Che tu abbia paura di lasciarli da soli. A questo punto ieri notte deve essere successo qualcosa che non mi hai detto.»
 
Qualcosa che ormai, capì Richie, era costretto a rivelare. (Qualcosa che lo avrebbe distratto dalla sua caccia al tesoro.)
Se da un lato questa Boccaccia sperava di non dir niente, dall’altro c’era qualcuno che invece parlava troppo...
 
 
Stacey non aveva dato tregua a Eddie nemmeno per un secondo e quando era riuscita a portarselo dietro agli spalti di fronte alle piste della scuola, scuola che ormai si stava svuotando quasi completamente, ancora non aveva smesso di tediarlo con la sua voce da gallina.
 
«...Finché non è arrivato il momento di vestirci!» era stata finalmente la conclusione di quell’agghiacciante racconto. Perché evidentemente il povero Kaspbrak meritava di conoscere i dettagli più inutili e disgustosi – succulenti, avrebbe detto la ragazza – della “magica notte con Rich”. «Allora?! Non dici niente?»
 
Poiché nell’ultima ora aveva avuto modo di darsi una svegliata, , qualcosa Eddie l’avrebbe detta, ma questo non voleva dire che avesse sul serio voglia di continuare quella conversazione. Già era un miracolo che non l’aveva mandata a cagare e non se ne era andato. Anzi, in realtà c’era stato un momento in cui aveva perso la calma ed aveva sbroccato, roba tipo “Senti, Stacey, non me ne importa niente di quello che avete fatto tu e Richie! Raccontalo a Beverly se proprio vuoi, va bene?”, però lei aveva insistito di avere bisogno di un parere maschile. Come se poi gli avesse lasciato un momento di silenzio per dire la sua prima di quel momento...!
 
«Non lo so, che sono contento per voi?» Ovvia bugia.
 
«No no no, bimbo!» Bimbo. Cribbio, quasi era meglio Eddie-Freddie! Agitò un indice davanti al suo viso e si lasciò cadere per terra sull’erba secca. «Tu non sembri contento neanche un pochino, sei il peggiore degli amici!» Lo disse ridendo, ma Eddie tanto non si reputava suo amico. «O forse sei solo il più timido!» E non si reputava affatto il più timido, a dirla tutta.
 
«Il fatto è che non sono affari miei con chi fanno o non fanno sesso i miei amici!» Arrossì violentemente nel pronunciare davanti a lei la parola sesso. «Quindi se devi raccontarlo a qualcuno semplicemente non lo raccontare a me! E poi-» Stava per aggiungere giusto che non fosse suo amico, ma lei lo interruppe.
 
«Che fai, mi lasci sola?» Batté un palmo sul terreno. «Siediti con me!»
 
Le rispose con una smorfia di disgusto innanzitutto, poi disse: «No, qui sotto non batte nemmeno il sole, fa persino più schifo!» Scosse vigorosamente la testa. «E comunque me ne stavo andando a casa, no grazie!»
 
«Dai, Eddie!» provò ad insistere. «Ho voglia di farti sorridere un po’!» Frase che gli fece arricciare il naso, perché al massimo lei era la ragione per cui si era ritrovato sia a piangere di notte, sia a sentirsi come pupù di cane per tutta la mattinata. «Ecco, puoi sederti sulla mia felpa!» La sistemò giù accanto a sé.
 
Per quanto il gesto non fosse malvagio, Eddie continuava a ritenere che, gelosia a parte, lei lo fosse, malvagia, con quel suo piano. Scosse di nuovo la testa. Incrociò le braccia sul petto per darsi un certo tono quando provò a ribattere, ma di nuovo non ci riuscì. «Forse tu non l’hai capito, ma non m-» i piaci neanche un po’? Ogni volta che Eddie stava per rivelare di detestarla, di insinuare che stesse nascondendo qualcosa a tutti loro Perdenti rischiando fra l’altro di farsi un nemico ed infine liberarsi con un bel vaffanculo, quella gli parlava sopra.
 
«La verità è che non riesco a parlarne con Bev. Lei è... lei è troppo, capisci?» Che Beverly fosse fantastica si sapeva...? «Nel senso: lei sta con Bill, che è figo, è – è tipo il capo, no? Mi sentirei in soggezione a raccontarlo a loro, sicuramente l’hanno già fatto e sono più esperti di me, finirei col scoprire che con Richie ho fatto solo casini e mi sentirei una stupida! Stan mi fa sentire in soggezione circa... sempre, se devo essere sincera,  fa un po’ paura, figuriamoci a parlare di queste cose! E Ben... Ben non credo che voglia parlarne, Mike non viene a scuola e tu, invece... Tu sei così simile a me.»
 
«Noi due non siamo simili.» E se lo fossimo, Richie sceglierebbe comunque te. Bello. Talmente bello che ora si sentiva di nuovo di merda. Strinse i pugni.
 
«Invece io credo di sì, tu s-»
 
Stavolta fu Eddie a parlarle sopra, annunciando: «Io credo di no! Ora scusa ma vado davvero!» Si avviò persino, quando...
 
«Eds!»
 
... il richiamo di Stacey lo fece rabbrividire. Fermo e rivolto verso di lei, rispose: «Non chiamarmi Eds. Solo Richie lo fa, solo lui può farlo e tu non hai un cazzo di diritto di copiarlo!» “Finalmente” riuscì ad arrabbiarsi con lei senza essere interrotto. Gesù santo.
 
Stacey aveva più volte sentito Eddie rimproverare Richie dicendogli che non dovesse chiamarlo con quel nomignolo perché gli dava fastidio, ma ora aveva la prova che non era così. Per quanto la cosa la soddisfacesse, si mostrò rammaricata.
 
«Scusami, io credevo... scusami, Eddie, non volevo copiare nulla, mi dispiace! Se ti dà fastidio non lo farò più!»
 
Bene, convenne lui, accorgendosi solo in quel momento di avere i pugni chiusi per il fastidio. Annuì e decise di tornare sui suoi passi e abbandonare lì quella brutta stupida, ladra di ragazzi e pure di soprannomi.
 
«Eddie?» lo chiamò cautamente quest’ultima volta e per l’ultimissima volta Eddie decise di darle corda, ma poi basta, poi se ne sarebbe andato: non gliene fregava un cazzo se era la giornata riservata a lui, ne aveva già abbastanza. Proprio mentre le dedicava per l’ultima volta la sua attenzione, pensò: ho i coglioni girati. «Prima che tu te ne vada, conosco un modo per liberarsi la testa. Sai, dai pensieri brutti.» Il ragazzo la guardò con aria esortativa, quella concessione serviva dopotutto più a lui che a lei. La nuova arrivata si tirò in piedi e incominciò a legarsi i capelli in una coda. «Correre.»
 
«Non ho le scarpe giuste.» ribatté il castano.
 
«Siamo in due, allora. Facciamo una gara. Io e te.»
 
Una gara...
 
Messa così sembrava tutta un’altra cosa. Eddie era veloce e lo sapeva, Eddie odiava perdere ed Eddie... Eddie voleva vincere contro Stacey, per una volta. Se non poteva avere Richie, almeno vincere una corsa. Magari l’avrebbe davvero aiutato, in fondo, correre, si sarebbe schiarito i pensieri e si sarebbe sentito di nuovo vivo.
 
«Però!» riprese Stacey. «Devi lasciare qui quel tuo marsupio! Non puoi correre con quello, andiamo!»
 
Non aveva voglia di lasciare le sue medicine, ma avrebbero potuto appesantirlo sul serio e lui voleva vincere. Tentennò, non del tutto convinto di voler correre per davvero e per di più senza l’inalatore, però alla fine posò sulla felpa della ragazza il marsupio. «Okay.»
 
«E ora voltati, Eddie-Freddie! O mi vedrai il seno!»
 
«Cosa?!» Ma si era già girato.
 
Gay panic!, pensò lei, ridacchiando, mentre si spogliava della sua felpa pesante. La ragione? «Non posso mica correre con questa! Ho una canottiera nello zaino!»
 
«Okay, ma sbrigati! Potrebbe passare qualcuno e vederti! Ci si cambia negli spogliatoi, qui è poco consono, cazzo!»
 
«Quanto sei lamentooooso, Eddie-Freddie!»
 
Inoltre non c’era niente da temere: la canottiera, in verità, la indossava già sotto la felpa. Quella della sua seminudità era una scusa come un’altra per infilare le mani dentro il marsupio del ragazzo.
 
«Ancora un attimo, non ti girare!»
 
«E chi si gira!»
 
Fatto, concluse soddisfatta del suo lavoro.
 
«Fatto!» trillò pure, prima di correre verso la pista. «Forza, Eddie-Freddie, vediamo se mi batti!»








 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Ehilà, amici! Mi prendo questo piccolo spazio per dire due cose di fondamentale importanza! La prima è SCUSATEMI: so che questo capitolo è un po' un cagotto e per di più Eddie e Richie praticamente non interagiscono, ma FIDATEVI, mi serviva per la trama, giuro che nei prossimi capitoli vi darò qualche gioia in più! Scusatemi anche se spesso sono andata ooc, cercherò di migliorare! La seconda è che mi sono scordata di precisare che ho scelto a dire il vero la versione del... remake, ecco? Nel senso che siamo negli anni '90, che i protagonisti hanno sconfitto It a tredici anni e (lo dico perché ho visto che si è creata un po' di confusione) due anni dopo (quindi in questa fanfiction, come è precisato nel primo capitolo) sono quindicenni!
Grazie ancora se mi leggete e SIETE CARINISSIMI QUANDO MI MANDATE LE FANART CHE VI FANNO PENSARE ALLA MIA FANFICTION, AW! Un bacio a tutti! Passo e chiudo! (⁎˃ᆺ˂)

 

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Capitolo 8
*** Il piccolo, sporco segreto di Richie ***


Il piccolo, sporco segreto di Richie

 
Correre si stava rivelando il migliore dei rimedi alla malattia chiamata pessimo umore (o cuore spezzato) di Eddie Kaspbrak. Non era come scappare dai problemi, non era neanche come superarli o dimenticarli. Era solo correre, correre così forte da rischiare di perdere il respiro, ma correre così forte da sentirsi forte, talmente tanto da non aver nemmeno bisogno dell’inalatore, talmente tanto da credersi invincibile. Persino con l’impatto considerevole dell’aria contro il proprio volto, il vento nella sua corsa opposta che cercava di frenarlo, Eddie riusciva a correre senza dannarsi l’anima per un altro rischio che stava correndo: prendersi un bel malanno. In fondo quale idiota correva in inverno con quella felpona indosso, il sudore che scendeva a rivoli lungo la schiena e dalla fronte, senza neanche prima fare un po’ di riscaldamento?
Stacey si era rivelata una degna avversaria, gli stava alle calcagna, ma Eddie era più veloce. Aveva l’adrenalina a mille e sapeva che avrebbe vinto, però non si sarebbe adagiato sugli allori per non rischiare di venire sconfitto sul finale con uno sprint della nuova arrivata. Negli ultimi dieci metri, così, decise di mettere il turbo ed a sole tre falcate dall’arrivo riuscì a sorridere, fiero. A quelle tre falcate dall’arrivo, però, un tonfo ed un grido lo fecero fermare all’improvviso e voltare indietro. Mancava così poco per vincere...
Stacey doveva essere inciampata con un volo appena laterale, era a terra un po’ dentro ed un po’ fuori dalla pista e si teneva un ginocchio con un’espressione sofferente. Eddie esitò per un momento pensando quasi di lasciarla lì a soffrire, ma si maledisse non appena si rese conto di aver pensato una cosa troppo cattiva e corse da lei.
 
«Che è successo?» si preoccupò allora, inchinandosi verso il corpo della ragazza e studiando la situazione. Notò che il pantalone in un punto s’era insozzato con un po’ d’erba e dava a pensare che il ginocchio di Stacey – sotto il tessuto – si fosse bello che sbucciato.
 
«Mi si è slogata una caviglia!» informò, alludendo all’altra, quindi si morse il labbro per il bruciore del ginocchio. «Correndo avrò messo male il piede e sono scivolata! Cazzo, mi brucia il ginocchio!»
 
«Stai tranquilla!» prese allora in mano la situazione quello che secondo Richie era il miglior dottore di tutta Derry. «So che ci vuole, ho l’occorrente nel marsupio!» Perché ormai le ore di lezione erano finite e non avrebbero trovato nessuno a poterli medicare. «Poggiati a me!» fece, aiutandola a tirarsi su, ma lei mostrò di riuscire comunque a camminare per conto proprio andando piano. «Mi fai vedere la ferita e ti passa con una velocità assurda! Ci so fare, gli altri si fanno sempre male!» Soprattutto Richie ed era sempre lui a curarlo.
 
Quando furono sotto gli spalti, Eddie accovacciato sulle ginocchia e Stacey seduta sull’erba secca, le vennero arrotolati i pantaloni su di una gamba fino alla ferita – per essersi solo sbucciata il ginocchio, ci era andata giù pesante – e lì il cervello del ragazzo in automatico elencò l’occorrente per curarla come un’eccellente prescrizione medica.
Aprì il marsupio e tirò fuori l’inalatore, le sue pasticche, alcuni medicinali di cui nemmeno i suoi amici conoscevano il nome, alcuni cerotti e... dov’erano finiti? Cacciò tutto fuori e continuò a non trovare quello che aveva in mente. Dov’è finito?! Non l’ho mai tolto di qui! E ora come... Non solo sembrava spaesato, ma Eddie si sentiva in colpa per non avere ciò che serviva e non poteva aiutare Stacey solo con un po’ d’acqua, un fazzoletto ed un cerotto.
 
«Io... io credevo... erano qui!» Continuò invano a cercare nel marsupio. «Lo so che erano qui, sono sempre qui! Non è possibile!»
 
«Cosa?» domandò Stacey.
 
«Il rotolo di bende ed il mini-flacone di acqua ossigenata! Io... Non è possibile!»
 
Prima che potesse trovare metodi alternativi per risolvere la situazione o suggerire di provare ugualmente a passare nell’infermeria della scuola, altrimenti dritti in farmacia, Stacey fece un verso di dolore per via dell’incidente e poi uno che sembrava più quello di un’adolescente in crisi per... beh, cose da adolescenti, qualsiasi quelle fossero.
 
«Non posso presentarmi a casa così, mio padre mi uccide! Quando ero piccola mi facevo sempre male con i pattini ed è per questo che me li ha tolti, le ferite gli fanno senso e da quando...» Si interruppe e scosse la testa. «Non ci torno a casa, neanche per sogno! Non mi importa se è solo un ginocchio sbucciato, Eddie, tu non conosci papà, io non posso!»
 
A chiunque sarebbe potuta sembrare esagerata una reazione del genere, ma lui la capiva benissimo. Sua madre impazziva per la febbre del figlio persino quando non ce l’aveva. Sospirò.
 
«Mi dispiace tanto.» concluse, riponendo tutto nel marsupio. «Forse...» iniziò, non avendo ancora pronta in verità alcuna proposta. Però ce l’aveva Stacey.
 
«Posso venire a casa tua?»
 
«Eh?!» Eddie si allarmò. «Assolutamente no! Scusa, ma anche mia madre mi uccide se io o chi passa le giornate con me ci facciamo male, al massimo ti posso accompagnare in farmacia!»
 
«È che mi servirebbe anche un po’ di sapone bello efficace per i pantaloni!» Puntò ad essi col mento, facendo notare quanto fossero sporchi. «Papà potrebbe fare due più due!» Nel frattempo si massaggiò il piede che aveva detto essersi slogato e fu quel gesto a far capire a Eddie una cosa orribile: avrebbe dovuto accompagnare Stacey a casa. Di fronte a Richie, per di più, perché era lì che abitava. Diavolo, non poteva imparare ad andare in bicicletta?!
 
«Non lo so...»
 
«Eddie!» parlò subito lei. «Per favore! Per favoore per favore per favooore! Non mettermi in questa situazione!» Sì, però sei stata tu a proporre questa gara. «Ti assicuro che non ti metto nei guai con tua madre, le dico che tu mi hai solo assistito perché sei premuroso e gentile e un ottimo amico, ero solo io a correre e sono inciampata! Per favoooore!»
 
Che situazione di merda.
 
Non bastava aver avuto una mattinata da suicidio per colpa di Stacey, ci mancava che quella si autoinvitasse a casa sua mettendolo per di più a rischio. Eddie, però, non poteva lasciarla lì. O forse poteva? Si sentì nuovamente una persona del cazzo per averci anche solo pensato prima di invitarla sulla propria bici. Lei si strinse a lui e gli venne quasi da vomitare, ma era solo una sensazione (una brutta sensazione) e si sforzò di ingoiarla. Iniziò a pedalare. Correre con la bici non era come farlo con le proprie gambe e farlo con un peso dietro ed un altro sullo stomaco in quel momento risultava più complicato, ma doveva farcela.
 
Quando raggiunsero casa Kaspbrak, Eddie si raccomandò alla compagna di parlare il meno possibile con sua madre e di non stupirsi se quella sembrasse un pochino fuori di testa. Effettivamente Stacey ebbe la sensazione che Sonia avesse qualche rotella fuori posto quando, entrati, la donna (più grossa di quanto lei potesse immaginare) ne fece un dramma perché stamattina suo figlio era scappato di casa per andare a scuola.
 
Stacey sembrava avere lo stesso problema del Tozier, quello di avere la Boccaccia, perché nonostante le raccomandazioni dell’altro fece un commento non richiesto. Disse: «È buffo, signora. Mio padre di solito si lamenta di me perché voglio restare a casa, non il contrario.»
 
Fu in quel momento che il cazziatone a Eddie per la ribellione di quella mattina terminò e la donna spostò tutta la sua attenzione su una ragazzina che non aveva mai visto.
 
«E tu chi sei, signorina?»
 
«Mi scusi.» rispose lei, alludendo alla maleducazione di non essersi presentata prima. «Mi chiamo Stacey, sono una compagna di classe di Eddie!»
 
Sonia la studiò per bene, accorgendosi anche dello stato dei suoi pantaloni, quindi concluse: «Eppure conosco tutti i compagni di scuola di mio figlio e non mi sembra di averti mai vista né sentita prima!»
 
«Oh...» Stacey rise come se si sentisse in imbarazzo. «Sono arrivata in questa città da poco, sono nuova!»
 
Eddie già si immaginava sua madre a fare un altro dramma perché non la conosceva e magari quella ragazzina era una poco di buono e non poteva stare con lui (per una volta avrebbe dato volentieri retta a sua madre), perciò convenne tra sé e sé che fosse il caso di mettere fretta ad entrambe.
 
«Si stava allenando in campo, ma è inciampata! La aiuto a disinfettarsi la ferita e torna a casa!»
 
«Allenando a che cosa?» volle informarsi la signora Kaspbrak.
 
«Cento metri!» rispose Stacey, ma Eddie l’aveva già trascinata via.
 
Non gli sembrava molto gradevole l’idea di lasciare il nemico solo nella propria stanza, ma dovette farlo mentre prendeva in bagno l’acqua ossigenata e le bende. Quando tornò in camera Stacey era seduta sul letto proprio dove l’aveva lasciata ad attenderlo zitta zitta.
 
«Carina la tua stanza! È proprio il tuo ritratto!» disse, dopodiché aggiunse: «Comunque ti ringrazio, Eddie-Freddie! Sei il migliore!»
 
Sì, certo.
 
«Figurati.» rispose mettendosi al lavoro. Però pensò fosse d’obbligo precisare: «Ma quando abbiamo finito te ne vai davvero.»
 
«Mh mh!» concesse lei prima che lui iniziasse a medicarla. Un “Ahi!” di qua, tanti “Cazzo, brucia!” di là e la ferita fu pulita, disinfettata e coperta.
 
«Brucia tanto adesso così non brucerà dopo!» informò Eddie alla fine, raddrizzando la schiena e tornando a posare i materiali in bagno. A questo punto non restava che pulire i pantaloni dall’erba! Di nuovo nella propria stanza, disse: «Bene, fra qualche ora puoi togliere tutto, ora d-... Stacey?» Corrugò la fronte. Dove... dove cazzo era?! Sicuramente non stavano giocando a nascondino. Oh no. Anzi: «Merda.»
 
Si precipitò in salotto e lì trovò la brutta stupida a parlare a sua madre. A giudicare dallo sguardo di sfida che le stava rivolgendo e da quello contrariato che stava ricevendo, Stacey aveva detto qualcosa di molto sbagliato, o stava per dirlo. Qualsiasi cosa fosse... non prometteva bene.
 
Dio, ti avevo chiesto di stare zitta!
 
«Non tutti hanno questa possibilità! Non mi sembra che Eddie abbia un padre per esempio!»
 
Sicuramente Sonia ne aveva approfittato ed aveva chiesto a Stacey della sua famiglia, sensato. Meno sensato pareva ciò che la ragazza aveva detto, anche perché nemmeno Eddie sapeva niente della famiglia di lei.
 
«Non ti permetto di parlare di certe cose in questo modo in casa mia e soprattutto davanti a Eddie! Suo padre è venuto a mancare per una terribile malattia molto tempo fa!» Quella con la lettera C che mai veniva nominata, poiché terribile. Ora infuriata, la donna continuò: «Questo è un discorso ben diverso!»
 
«Onestamente, signora, a me sembra esattamente lo stesso discorso! Sarebbe un discorso diverso se mettessi in mezzo mio zio!»
 
«E cosa dovrebbe c’entrare tuo zio in questa storia?»
 
«Lui ha un compagno! Due uomini, una casa! Oh, e pure un cagnolino!»
 
...
Cazzo.                                                                                      
 
«Se hai intenzione di metterti a profanare questa casa, signorina, fuori!» Il crocifisso appeso al muro effettivamente aveva il suo perché. Sonia era rossa di rabbia ed aveva un grosso dito puntato verso la porta del salotto.
 
«Non mi dica che le fanno schifo gli omosessuali!» Certo che le facevano schifo ed in realtà facevano schifo anche a Stacey, o meglio le facevano ridere per quanto facessero schifo, ma perché il suo piano non fallisse non dovevano farle schifo. «Non siamo mica nel Medioevo! Anche se dopo questa potrei benissimo scambiarla per una strega! Sa, in quel periodo le donne-»
 
Sonia interruppe Stacey, avvicinandosi pericolosamente a lei affinché questa indietreggiasse. Furiosa ed imponente, doveva sembrare molto minacciosa.
 
«Tu, piccola indisponente!» fece. Nello stesso istante Eddie spalancò la bocca. «Questa conversazione è finita e se ti avvicini a mio figlio sarò costretta a farti punire da qualcuno!»
 
«Ecco un’altra cosa strana.» osò Stacey, senza arrendersi. «Non le piace che le venga dato della strega, eppure da quello che ho studiato era soprattutto la Chiesa a voler uccidere le streghe e se lei è fissata con la Chiesa ed odia tanto gli omosessuali...!» Quanto si tratteneva dall’usare termini come froci o finocchi!
 
Lì Sonia non resse e la prese per un braccio per trascinarla verso l’ingresso e sbatterla fuori di casa.
 
«Non parlare più con Eddie, sono stata chiara?»
 
«Mamma!» urlò suo figlio. Per quanto volesse Stacey fuori dalla sua vita tanto quanto la madre, non poteva permettere che quella la maltrattasse così. Insomma, perlomeno non la toccasse così malamente! Inoltre non c’era bisogno che sua madre lo aiutasse, ci poteva benissimo pensare Eddie alla propria vita.
Stacey si liberò dal braccio ma acconsentì ad avvicinarsi all’uscita, nonostante neppure avesse lavato i pantaloni ed aveva detto che non voleva presentarsi in casa propria in quello stato.
 
Cazzo, ti avevo detto di non parlare troppo, pensò Eddie quando l’altra ebbe però di nuovo parlato.
 
«Troppo tardi, signora.» “Ormai Eddie è mio amico” era inteso, anche se non era così. Questa frase avrebbe rischiato di far saltare la gita in montagna al ragazzo, Sonia sarebbe stata capace di non mandarlo solo per farlo stare lontano dalla compagna e già lui era convinto che in ogni caso lei non ce lo volesse mandare proprio, in gita. Che palle, Dio! «E comunque fossi in lei aprirei un po’ di più la mente del cazzo che si ritrova! E se suo figlio fosse omosessuale?»
 
«Mio figlio non è quella cosa!» s’infuriò di più lei.
 
«Cosa? Gay? Le fa schifo anche solo pronunciarlo?» Stacey rise amaramente. «Mettiamo che Eddie sia gay!»
 
Non c’era niente da mettere, in particolare l’uso del congiuntivo perché Eddie era gay. Aveva appurato da un po’ di tempo che le ragazze non gli piacevano, ma se anche fosse... lui era innamorato del suo amico. Questo lo rendeva comunque gay, no? E questo lo fece sentire chiamato in causa. Lo fece diventare in volto bianco come una mozzarella dal terrore di sentire il continuo di questa conversazione del cazzo e iniziò a fargli mancare il respiro. Ecco che respirava male.
 
«Mio figlio non ha nessun problema al cervello! Lui sa benissimo cosa è giusto e cosa è sbagliato e mai, mai avrà per la testa un ragazzo, l’ho tirato su io e non ammetto che si pensi che abbia fatto un brutto, sporchissimo lavoro!»
 
«Sporco? Quindi le farebbe schifo se suo figlio fosse gay!»
 
Sonia non ci vedeva più dalla rabbia perché la signorina continuava a parlare come se a suo figlio potesse piacere un ragazzo, cosa che non stava né in cielo né in terra, ma rispose, avrebbe risposto fino alla fine perché doveva vincere lei, questa storia doveva concludersi con un ragazzino eterosessuale in ogni periodo pronunciato, anche nel più ipotetico. E lui lo aveva capito, perché stava per avere il più silenzioso dei suoi attacchi d’asma. Oltre che di cuore.
 
«Naturalmente! È una cosa sporca e forse lo sapresti se non lo fossi anche tu! Mi potrebbe venire un infarto se mio figlio entrasse in casa con un fidanzato e preferirei mi venisse piuttosto!»
 
Chissà se era vero che lo preferisse, l’infarto al figlio col fidanzato. Forse no, secondo Stacey lo diceva solo per farle capire meglio il concetto, ma a lei andava bene così. Anzi, la signora Kaspbrak le stava persino facilitando il lavoro. Non restava che voltarsi verso Eddie e finalmente scoprire la sua reazione.
In quel momento il ragazzino stava stringendo con quanta più forza possibile il suo inalatore, rischiando quasi di spappolarlo con le sue stesse dita, neanche fosse l’Incredibile Hulk. Stava tremando ed aveva la bocca spalancata, ma l’aria sembrava non entrare e fare comunque il cazzo che voleva.
 
Eddie sapeva quanto religiosa fosse sua madre e sapeva pure quanto ritenesse sbagliato l’amore tra due persone dello stesso sesso, ma sentirglielo dire faceva più male. Sentirglielo dire mettendo che proprio lui fosse gay e non un ragazzo qualunque, no, proprio lui, suo figlio, era un duro colpo. Era come se qualcuno gli avesse strappato via un polmone e l’altro fosse tenuto stretto in un pugno alla base, se sei gay te lo stringo più forte, se sei etero te lo lascio, era permesso così poco passaggio d’aria ed il cuore da solo non ce la faceva a tenerlo in vita, batteva sempre più piano anche lui e gli occhi iniziavano a vedere solo buio attorno. Eddie lo sapeva, cazzo, lo sapeva già. Non era che il tempo trascorso servisse a rendere sua madre meno omofoba, sapeva anche questo. Però sentirsi dire che avrebbe preferito morire piuttosto che avere un figlio così... che razza di delusione era Eddie per lei? Che razza di delusione sarebbe stato se lei avesse saputo? Quanto doveva far schifo? Dio, quanto? E non solo a lei, doveva far schifo a tutti, avrebbe fatto schifo anche a Richie se lui avesse saputo, anche ai suoi amici. No, tentò di ripetersi, i miei amici non sono come mia madre, loro capirebbero. Spero. Una parte di lui si era rotta, voleva urlare a sua madre che lui lo fosse, omosessuale. Cazzo. Ce l’aveva il coraggio, Eddie era coraggioso, Eddie poteva urlarlo a tutta Derry che amasse Richie Tozier. Ma l’altra parte di lui gli diceva: cosa credi? Tu non ce le hai le palle. Non le avrai mai. Sei debole. Tu fai schifo. Meglio se stai zitto e la smetti di deludere tutti. Vuoi fare schifo, Eddie? Vuoi che tutti sappiano che fai schifo? Se non fosse stato un lebbroso, se fosse stato Richie Tozier, glielo avresti succhiato l’uccello? Eddie, Eddie, Eddie, disgustoso Eddie... Nessun Richie Tozier ti chiamerà più Eds. Forse Schifeds. I suoi occhi gli bruciavano. Anche le dita che stringevano l’inalatore.
 
«Eddie!» esclamò Stacey, come sorpresa da quello che vedeva, come un’amica che voleva aiutarlo, ma invece aveva parlato solo affinché anche la donnona qual era sua madre spostasse gli occhi su di lui. «Stai bene?»
 
Sonia mollò la presa e si preoccupò del suo bel bambino.
 
«Tesoro, non ti preoccupare! Usa l’inalatore, Eddie, va tutto bene!» Sotto l’ordine della madre, lui lo fece. Click. Una, due volte. Ma lei aggiunse: «Lo so che non sei così, non c’è problema!» Perché secondo Sonia lui stava andando nel panico per via delle sciocche alternative di un Eddie Kaspbrak gay. Questa supposizione non lo fece sentire meglio, ma Sonia si era già voltata nuovamente verso Stacey per intimarle di sparire e per sempre.
La ragazza fece come le venne detto e aprì la porta si casa.
Caso volle che fuori qualcuno stesse per bussare – qualcuno che non bussava quasi mai perché a Sonia non piaceva, era meglio infilarsi in casa Kaspbrak entrando dalla finestra di Eddie. E allora perché diavolo proprio questa volta doveva presentarsi alla cazzo di porta?!
Richie doveva aver convenuto con Stan che i due fossero andati via dalla scuola e forse avrebbe trovato Eddie in casa sua. E infatti...
 
Il corvino ebbe un solo istante per guardare negli occhi del suo amico, che lo ricambiava, ed ebbe un solo istante per accorgersi che fosse in corso una catastrofe.
 
«Guardi un po’! Magari proprio con lui!» continuò Stacey con le sue frasi... ipotetiche. «Se suo figlio se la facesse con Richie? Che farebbe?! Li ammazzerebbe o si ammazzerebbe allora?»
 
La porta venne sbattuta in faccia a Stacey e Richie. Il secondo confuso, la prima soddisfatta, ma non lo dava a vedere, finse del disappunto. Gli disse che forse la madre di Eddie la odiava, ma venne rassicurata dal fatto che neanche Richie, che era suo amico da anni, le piacesse. (E il sentimento era ricambiato.) Mostrò al corvino le sue ferite e gli chiese di accompagnarla a casa, una volta arrivati gli avrebbe un po’ spiegato cosa fosse accaduto in quella stramba giornata. Titubante, Richie si ritrovò costretto ad accettare. Lo fece solo perché la ragazza sentiva dolore a camminare troppo, ma prima venne pregato.
 
Eddie non ebbe neppure il tempo di chiedersi cosa ci facesse lì Richie, perché Sonia lo tormentò.
 
«Amore, queste non sono le compagnie giuste per te, riesci a capirlo?» E intanto la stretta delle dita attorno all’inalatore si faceva più debole. «Sono brutte influenze, non voglio che tu pensi che improvvisamente diventi giusto qualcosa che invece, lo sai, è sbagliato, sbagliatissimo, così sbagliato che persino Dio manda all’inferno chi lo fa! Ma tu lo sai, lo so che lo sai, tesoro! Voglio solo che te ne ricordi e che per favore non parli più con questa Stacey!» “Neanche con quel Richie Tozier” avrebbe potuto benissimo aggiungere, ma ormai persino lei ci aveva quasi rinunciato: quel mostriciattolo fastidioso dell’amico di suo figlio era peggio del prezzemolo e alla fine c’era sempre.
 
Eddie guardò negli occhi sua madre per lunghi istanti e Sonia si sentì come letta dentro. Solo che Eddie non stava leggendo dentro lei. Stava leggendo dentro se stesso. All’inizio rispose semplicemente: «Stacey non è mia amica.»
 
«Oh, bene così! Lo sai che lo faccio per te! Voglio che tu stia bene e che-»
 
Ma poi disse altro.
 
«Però non era sbagliato quello che ha detto.» Amo Richie.
 
«Pisellino! Ti ha già condizionato?! Lo sai che è sbagliatissimo! Lo sai che sono sbagliate le persone così!»
 
«Non riesci proprio a dirlo, ma’?»
 
Sonia, scioccata e soprattutto terrorizzata, domandò: «Cosa, amore mio?»
 
«Gay. O omosessuale, se preferisci. Ti fa schifo anche solo dire quella parola? Come se... come se fosse maledetta?»
 
Sì. Come se fosse maledetta. Come quella città del cazzo in cui abitavano.
 
«Eddie...»
 
Scosse la testa, decidendo di lasciar perdere. Se avesse continuato... sapeva benissimo come sarebbe andata a finire, sarebbe esploso e la verità sarebbe saltata su tutti i muri di quella cazzo di casa, l’avrebbero sentito pure i vicini. Decise di lasciar perdere e di cambiare argomento anche prima di scoppiare di nuovo a piangere. Come quella notte.
 
«C’è la gita con la scuola. È una settimana bianca. Non è molto lontano e le montagne non sono neanche così alte, non ci sono nemmeno piste nere su cui sciare. Non si scia solo, comunque. Ho tutto scritto nel diario. Puoi firmarmi l’autorizzazione?»
 
Sonia non trovava alcun nesso tra questo discorso ed il precedente ed in effetti non c’era. Bisognava solo lasciar perdere e andare avanti. Eddie posò l’inalatore nel marsupio.
 
«Lo sai benissimo che non puoi sciare!» rispose lei.
 
«Va bene.» concesse per ora, tanto se anche avesse sciato lei non lo avrebbe saputo. «Posso fare attività alternative mentre gli altri sono in pista.»
 
Ma dopo cinque minuti Sonia non si era lasciata convincere ed aveva spiegato innumerevoli cazzate per cui fosse pericoloso e lui non potesse andare in gita coi suoi amici. E dopo quei cinque minuti Eddie aveva dato segno di arrendersi ed era tornato in camera sua.
Avrebbe dovuto fare tanti di quei compiti, ma non sarebbe riuscito a farne neanche mezzo. Così, sotto le lenzuola, cercò di dormire. Sonia non se ne accorse per fortuna, ma aveva di nuovo chiuso la porta a chiave, così se ci fosse stato il pericolo di piangere nuovamente non sarebbe stato scoperto.
 
 
*
 

Un'oretta prima

 
Era difficile zittire Richie Tozier, non per niente lo chiamavano Boccaccia. C’erano tre cose, però, che lo facevano ammutolire: i beep-beep, Eddie quando ci si impegnava e infine le situazioni belle gravi. Quelle durante le quali se avesse detto qualcosa di stupido per sdrammatizzare sarebbe apparso così dannatamente insensibile che probabilmente avrebbe dovuto tirarsi un pugno in faccia da solo. O quelle in cui era stesso lui a sentirsi talmente a disagio da arrossarsi in volto e sperare che improvvisamente i suoi occhiali da vista si trasformassero in occhiali a specchio. In questo momento Stan sapeva molto bene che il suo amico si sentisse a disagio, per questo attese in silenzio che si facesse coraggio e riprendesse a parlare. Sapeva che avrebbe parlato, sapeva che lo avrebbe fatto a lui e l’aveva già invitato abbastanza a farlo. Lunghi istanti dopo, infatti, Richie si aggiustò gli occhiali sul naso e aprì quella Boccaccia. Lo fece con gli occhi tenuti bassi sul pavimento del corridoio della scuola.
 
«Ieri mentre fumavamo in cortile Stacey mi ha chiesto di dormire da lei.» iniziò. L’idea era di cominciare dal principio per temporeggiare (ora che doveva dire la verità, la fretta che aveva di trovare Eddie pareva scomparsa), ma in fondo, per quanto Richie fosse bravo a parlare, non era da lui temporeggiare. Stan sapeva già che lui aveva dormito a casa di Stacey, non poteva ripetere le stesse cose solo perché aveva una fottuta paura. Prese un bel respiro e sbuffò. «Beh, che vuoi che sia successo, abbiamo parlato, fatto cose, letto un fumetto.» Mosse una mano come a dire eccetera. «E poi ci siamo messi nel letto.» Alzò lo sguardo per controllare che Stan lo stesse seguendo, non che avesse dubbi. Lui infatti era attento.
 
«Nello stesso letto?» chiese solo.
 
«Sì.» rispose Richie. «Ufficialmente dovevo dormire nel sacco a pelo da campeggio che abbiamo tirato fuori per non far spaventare suo padre, però non lo so, mi sono messo nel letto con lei.» Si strinse nelle spalle. «Così.» Abbassò di nuovo lo sguardo. «Mentre facevamo i coglioni lei ha cercato di baciarmi ed io mi sono tirato indietro.» E ancora una volta lo rialzò – lo sguardo. Inarcò un sopracciglio quando notò che Stan non fosse sorpreso. Lui al posto suo lo sarebbe stato! Insomma, era così da lui baciarla! Stupito perciò del fatto che l’altro non lo fosse, Richie rimase in silenzio per qualche secondo di troppo e l’Uris lo invitò a procedere con un’occhiata. «Le ho detto che avevo le labbra screpolate e quindi niente.»
 
Stan non gli credette e si capiva benissimo dall’occhiata che gli rivolse, quella da poliziotto durante un interrogatorio.
 
«Che c’è?» fece il finto tonto.
 
«Perché non mi racconti la versione vera dei fatti?»
 
«Cristo.» si lamentò l’altro, poi sbuffò. «Sei proprio una palla, Stanley!»
 
Quello però gli rispose solo incrociando le braccia al petto.
 
«Okay, okay!»
 
Richie si avvicinò al muro si lasciò scivolare sul pavimento. Stan lo studiò per un istante, poi lo imitò, mettendosi composto con le gambe conserte.
 
«Mi sono tirato indietro.» disse di nuovo. «E le ho detto che non potevo. Lei mi ha chiesto perché, bla bla bla e niente, gliel’ho detto.» Quel bla bla bla l’aveva detto per far sembrare meno seria quella conversazione, per sentirsi meno spaventato, anche se poi quello con cui stava parlando era il suo migliore amico, ma l’argomento era delicato. Era il suo più grande segreto, cazzo. «Le ho detto che non potevo perché mi piace già qualcun altro.» Stan non gli chiese chi, ma il suo silenzio era un invito a farlo. Anzi, Richie se l’immaginò proprio quel “Chi?”, ecco perché disse: «Come chi?! Ovviamente la mamma di Eddie!»
 
Stan non rise. Non era Eddie, certo. Non era Stan quello che rideva ai suoi stupidi scherzi, non era lo stesso. Considerò inutile allora continuare con quella cazzata, decise di buttare lì una risata che gli uscì amarissima e poi di nuovo si strinse nelle spalle.
Ormai toccava dirlo. Eh sì. Mi piace Eddie. Stan era lì che aspettava solo il nome, in fondo. O no? Sì, porca puttana, era il momento. Ma faceva così tanta paura. Più di un pagliaccio assassino.
 
Non se ne era reso conto, ma erano passati ancora più secondi di quando era stato zitto prima. Aveva sempre lo sguardo basso e la sua testa, molto lentamente, veniva scossa. Aveva preso a giocare con un’estremità della propria camicia. Spesso si stringeva nelle spalle, neanche fosse un tic. Neanche dovesse costantemente scusarsi per qualcosa.
 
«Eddie è una grandissima testa di cazzo.» Non lo disse con fastidio. «Siete tutti delle grandissime teste di cazzo, ma Eddie un po’ di più. Tipo quando mi sgrida per roba di scuola, quando fa il saputello perfettino e dice che non bisogna copiare perché è sbagliato.» Rise. «E poi mi prega di copiare matematica durante i compiti in classe. Pssst, Riiiichie! Rich, mi passi l’ultimo? Fa proprio schifo a matematica.» La risata era terminata ma gli era rimasto un sorriso sul volto. «Tipo quando ci compriamo i gelati ma il bis non si può fare perché la carta di credito è della mamma e lui è un fottutissimo tirchio, ma almeno ce li ha i soldi con sé e io non c’ho neanche uno spicciolo in tasca. Piccolo stronzo.»
 
Stan non lo interruppe e Richie andò avanti.
 
«Tipo quando mi minaccia in tutta la sua grandezza perché si rompe il cazzo che arrivo sempre pieno di ferite, cazzo Richie non è possibile che cadi sempre come un coglione! Ti butti a terra di proposito o cosa, e poi è il primo che ferma il sangue e sia mai che qualcun altro se ne occupi. Ti pare, ci deve pensare lui a me.» Ebbe il coraggio di alzare lo sguardo su Stan, ma resse pochi secondi e gli occhi tornarono al caro e vecchio pavimento. «O tipo quando parla, parla, parla, parla, parla, parla, e lo stafilococco e questo, cribbio, è petulaaaante!» Rise di nuovo. Smise. «È la più coraggiosa tra le teste di cazzo. Molto più di quanto creda o di quanto gli voglia far credere quella stronza di sua madre.» Porca puttana, la odio, pensò di Sonia. «È così carino, ha delle lentiggini fottutamente adorabili.» Smise anche di sorridere. Era il momento della verità: «Mi piace.»
 
Non ebbe il coraggio di volgere nuovamente lo sguardo al suo migliore amico per scoprire la sua reazione, anzi, cominciò a straparlare copiando lo stile dello stesso Kaspbrak così che Stan effettivamente non potesse dire niente. Inoltre, se andava avanti, magari lui si concentrava sulla questione di Stacey e non tanto sul fatto che SORPRESAAAA, STANNY, MI PIACE EDS!!!
 
«E quindi niente mi sono trovato fregato perché tanto che ha fatto Stacey ha insistito ed ha voluto saperlo e allora ‘fanculo Stan gliel’ho detto e porca puttana a conti fatti ho paura che glielo possa dire cazzo e-» Come un flusso di pensieri. Senza prendere fiato.
 
«Innanzitutto respira, Tozier.»
 
«Eh, respiro.» fece quello, considerando che non fosse così facile.
 
«Perciò non ti fidi di Stacey e temi che possa riferirlo a Eddie?»
 
A quel punto Richie riuscì ad alzare lo sguardo sul suo amico. Non gli aveva fatto nessuna domanda scomoda e tutto sembrava... così dannatamente... normale... come se non ci fosse alcun problema se a lui piacesse un ragazzo, proprio uno dei Perdenti, proprio Eddie. Improvvisamente tutto era più facile, almeno per quanto riguardava Stan. Il problema con Stacey e Eddie restava.
 
Scosse la testa.
 
«Lì per lì mi sono fidato, non lo so, me l’ha proprio tirato fuori di bocca. Poi va beh, era praticamente notte, lo sai, Stanny, che di notte il cervello si scollega e la Boccaccia parla da sola.»
 
«In realtà pensavo che succedesse anche di giorno, ma grazie per l’informazione.» disse Stan, senza porla come una battuta. «Sai cosa, Rich?»
 
«Cosa?» domandò quello, sperando in una delle perle del più saggio del gruppo. O magari sperando che gli dicesse che in realtà stava sognando e Stacey non aveva mai saputo niente di Eddie.
 
«Ti sei dimostrato il solito coglione, avresti dovuto dirlo prima a me.»
 
Quindi no, non era un sogno purtroppo e Stacey continuava a sapere della sua cotta per Eddie e porca puttana, si trovava ancora con Eddie e il rischio che spifferasse tutto per errore restava e lo spaventava da matti. Sospirò, poggiando bruscamente la testa contro il muro e chiudendo gli occhi.
 
«Che palle.» L’ennesimo errore per Richie Tozier.
 
«Comunque lo sapevo.»
 
Richie non sembrò scomporsi, rimase a dannarsi l’anima lì per terra. Ah no, ad un certo punto cominciò pure a sbattere la testa contro il muro.
 
«’Fanculo ‘fanculo ‘fanculo.»
 
«Finiscila, o ti si romperà l’unico neurone che hai.» Così Richie smise. «Ha promesso che non dirà niente?» domandò Stan.
 
«Diciamo che non abbiamo giurato coi mignoli o col sangue, Urina.» Sbuffò di nuovo. «Sì, insomma, siamo amici e lo sa che non lo deve dire, quella conversazione non è mai esistita.» (Se non era mai esistita, al posto di quella conversazione poteva esserci altro. Sesso, ad esempio. Stacey aveva detto a Eddie che avevano fatto sesso. Ma Richie non ne aveva idea.)
 
«Se è tua amica e non è una sciocca, non credo urlerà il tuo segreto ai quattro venti.»
 
Richie non sembrava tanto convinto. Cioè, magari Stan aveva ragione, ci sperava, però aveva troppa paura.
 
«Ci fidiamo?» chiese all’improvviso.
 
«Eh?» Stan alzò un sopracciglio.
 
«Sì, dico... ci fidiamo di lei?»
 
«Da quando il tuo giudizio dipende dal mio?» Non gli sembrava una cosa da Richie Tozier.
 
«Mi fido di te.» ammise quello, che tanto ormai aveva ammesso troppe cose che solitamente non avrebbe ammesso neanche sotto tortura, stringendosi per l’ennesima volta nelle spalle. «Sei tu l’Uomo, dopotutto.» Quello saggio. E il mio migliore amico. «Se tu ti fidi di lei, mi fido anche io.» Era quello che sperava di sentire: che Stan si fidasse di lei. Altrimenti avrebbe continuato a pentirsi di essersi confidato con Stacey e si sarebbe dato il tormento all’infinito, sperando che lei e Eddie non restassero mai da soli a parlare.
 
Il problema era che Stan non aveva mai detto di fidarsi di Stacey.

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Capitolo 9
*** Chi è gay finisce all'inferno? ***


Chi è gay finisce all'inferno?

 
Le serate della settimana bianca in albergo Eddie se le sognava di notte durante quell’attesa che sembrava eterna – e forse sarebbe stata eterna davvero per colpa di sua madre. Le avrebbe trascorse in camera coi suoi amici a giocare a quei giochi che facevano gli altri ragazzi e che spesso Beverly e Richie proponevano: il gioco della bottiglia, obbligo o verità, cose così. (Poi però non ci giocavano mai perché Bill trovava giochi più divertenti.) Una volta si era parlato anche di un certo... “dieci minuti in paradiso”? Nove? Otto? Sette? Beh, erano comunque tanti secondo lui e gliene bastava anche soltanto uno di minuto in paradiso con Richie, in particolare dopo che Sonia gli aveva ricordato che quelli come lui, gay, non ci finiscono in paradiso.
I Perdenti stavano sempre insieme e una normale serata trascorsa alla clubhouse magari non sarebbe stata diversa da quella in gita, eppure c’era questa magia, questa aspettativa... Per forza, lo dicevano tutti che durante la settimana bianca succedeva qualcosa e se succedeva a qualsiasi ragazzo allora doveva succedere anche a dei Perdenti come loro. Fuori Derry, magari, poteva essere diverso. E allora ci sperava, ci sperava così tanto... Anche se Richie poi aveva fatto sesso con Stacey, anche se a lui piacevano le ragazze, anche se a conti fatti non c’era speranza. Però lui nella gita, solo nella gita, come fosse qualcosa di divino e ben lontano dalla realtà, ci sperava...
 
 
Ce l’aveva fatta alla fine.
Le camere dell’albergo erano per tre studenti e c’era la possibilità di tenere insieme classi differenti, ma non ragazzi e ragazze. Beverly e Stacey si erano scelte come compagne di stanza ed a loro si era aggregata una ragazzina un po’ emarginata di un’altra classe. Stessa cosa era accaduta con Stan e Richie, mentre Ben, Bill e Eddie condividevano un’altra stanza. Il coprifuoco era a mezzanotte, quando alcuni docenti avrebbero girato per i corridoi intimando a tutti di essere già nei propri letti, ma dalla fine della cena alla mezzanotte c’era ancora molto tempo. I cinque ragazzi, Beverly e Stacey potevano avere tutto il tempo del mondo per giocare a quei giochi che andavano tanto di moda. Poteva esserci la magia tanto attesa da Eddie.
O un disastro.
Lui sperava nella magia.
La magia cominciava con Richie che si spaparanzava sul letto di Eddie, fatto ma mai in modo preciso quanto quello di Stan, di là.
 
«Allora è qui che riposeranno le belle chiappette di Eds per il resto della vacanza!» disse un Richie molto divertito sedutogli davanti sul materasso. Si lasciò cadere indietro con la schiena su di lui ed alzò il viso verso il suo, sorridente e malandrino. «Massaggiami, amore!»
 
Eddie mise sì le mani sulle spalle del Tozier, ma per toglierselo di dosso e spintonarlo su di un lato, quel coglione non poteva certo stargli davanti nascondendolo agli altri Perdenti. Questi comunque vedevano benissimo entrambi, se li guardavano proprio per benino come fossero due creature molto interessanti per via della loro estrema stupidità.
 
«Non ci penso neanche! Levati dai coglioni!» Letteralmente. «E non chiamarmi Eds! Detesto quando lo fai!» Si ricordò di dover aggiungere: «E neanche amore
 
Quel disappunto non era per niente credibile, Richie lo vedeva quanto era divertito sotto sotto. Si spostò lo stesso e gli si sedette accanto.
Ben era sul proprio letto assieme a Stan e Stacey, Beverly era comodamente sdraiata sul letto di Bill e dal modo in cui era poggiata a lui non sembrava fossero solo amici. Non che infatti fossero solo questo, ormai era abbastanza ovvio.
 
«D-dovremmo finire di bere prima di-di u-usare la b-b-bottiglia!» convenne Bill dopo che fu deciso a cosa giocare. «Q-qualcuno ha s-sete?»
 
Era solo acqua, non gli era permesso portare alcolici in camera né uscire dall’albergo per comprarne. Anche se, secondo Richie, in cucina qualche birretta c’era per forza e potevano pure prenderne in prestito un paio.
 
«Sì, grazie! Da’ qua!» fece Ben, ma non riuscì a finirla tutta.
 
Anche Eddie aveva sete, dopo averci pensato su per qualche attimo di troppo pulì il collo della bottiglia e ne bevve l’ultimo sorso. Mentre gli altri decidevano a chi spettasse il primo turno e ripetevano le regole del gioco, Richie rubò a Eddie la bottiglia vuota e si attaccò ad essa. Nessuno al di fuori di Eddie badò a lui (a parte Stan, abbastanza schifato) mentre muoveva le labbra attorno al collo della bottiglia come a succhiare un... beh, un pene (era palese!), lo sguardo malizioso spostato lateralmente su di lui. Il castano sapeva perfettamente che lo stava facendo di proposito, infatti rise prima di togliergli di mano la bottiglia. Lo fece più che altro per non eccitarsi.
 
Avevano deciso che Stacey, in quanto “quella nuova”, potesse girare la bottiglia, poi l’avrebbe fatto chiunque quella avesse puntato. Si era deciso che la posta in gioco fosse a scelta tra: bacio, carezza, schiaffo, pizzicotto e lettera.
 
«Ci andrò piano per il primo turno: carezza!» esclamò Stacey. Il collo della bottiglia indicò Ben, che arrossì violentemente. Bill sorrise complice, le due ragazze risero piano e Richie...  beh, Richie fece una battuta.
 
«Hai capito Covone! Già al primo turno si becca le avances di una pupa!»
 
«Smettila, così lo metti in imbarazzo!» disse Beverly ridendo.

Effettivamente Ben si sentiva in imbarazzo, ma non gli dispiacque troppo quando Stacey allungò una mano verso un suo zigomo per accarezzarglielo delicatamente. Se possibile, a quel punto arrossì anche di più.
 
«OOH OOOOHHHH!» Eddie  diede una gomitata a Richie, ma quello non si stette zitto. «Forza, è il tuo turno! Che scegli?»
 
Ben ci pensò ed alla fine, incerto, propose: «Pizzicotto?»
 
«Okay, ma se esce Spaghetti ti obbligo a cedermi il turno!» scherzò ancora quello.
 
«C-cerca di rispettare le r-regole!»
 
«Già!» fece Eddie, indispettito, con l’appoggio dei Perdenti.
 
Ancora prima che Ben potesse girare la bottiglia, però, Richie andò a pizzicare una guancia dell’amico.
 
«Carino carino carinooo!»
 
«Richie!!!!!»
 
Fra risa, sciocchi battibecchi, momenti imbarazzanti e occhiate maliziose, il gioco andò avanti. Beverly si ritrovò a baciare Bill, Ben e Stacey, Richie non poté far altro che farci sopra una battuta, ma fu molto più divertente quando lui scelse bacio e uscì Stan.
 
«Uuuuhhh, vieni qui, uccellinoooo!» Fischiò pure.
 
Stan non aveva la minima intenzione di farsi baciare dal Tozier, si voltò e si coprì persino le labbra con una mano, ma quello gli salì praticamente addosso e alla fine fu inutile divincolarsi: Richie riuscì a prendersi un veloce bacetto a stampo.
 
Fu meno divertente quando Stacey dovette schiaffeggiare Eddie e quando dovette accarezzarlo, ma il divertimento tornò quando Bill schiaffeggiò talmente forte Richie da farlo stare zitto per un turno intero. Poi Richie per una volta scelse lettera e proprio quella volta uscì Eddie. Ci rimase di merda. Aveva praticamente sempre scelto bacio fino a quel momento, non era possibile che proprio a quel turno avesse dovuto scegliere lettera. Ma questo era.
 
«Forza, alzati, tesoruccio! È tempo di scriverti una bella letterina!»
 
Eddie gli diede la schiena e lì Richie scrisse con le dita.
Aveva avuto modo di capire quanto Eddie fosse idiota a non capire le scritte sulla schiena perché già Beverly ci aveva scritto “ti voglio bene” e lui aveva capito che ci fosse scritto “tridente”, perciò poteva osare. Eddie non capiva mai un cazzo.
Scrisse “ti amo luce dei miei occhi”.
 
Eddie rispose: «Ma quanto cazzo hai scritto?!»
 
«Non rompere e indovina!»
 
Qualcuno fece il tifo per lui, ma Eddie sparò parole a caso. Allora Richie fu costretto a rivelare: «Mi sembra ovvio, no?! “Mi sono fatto tua madre!”» E rise. In fretta terminò il turno dandogli una pacca sulla spalla ed un leggero calcio nel sedere, esclamando: «Lettera spedita!»
 
Il castano si infastidì e lo aggredì fisicamente, tentando di buttarlo prima sopra e poi giù dal letto. Qualcuno rise, Stan alzò gli occhi al soffitto. Alla fine Ben fece tornare tutti coi piedi per terra: «Eddie, tocca a te a girare la bottiglia! Che scegli?»
 
Eddie si calmò e si rimise composto, mentre Richie ancora rideva sotto i baffi. Fece passare lunghi secondi. Aveva già scelto carezza, schiaffo, pizzicotto e lettera più volte. Mancava solo bacio. Non aveva il coraggio di farlo, benché avesse questo forte desiderio di baciare Richie. Ma non c’era solo Richie, no? Avrebbe potuto baciare Bev, gli altri amici o la brutta stupida qual era Stacey. Pensò che teoricamente non era nemmeno la fine del mondo, ma conoscendosi sarebbe morto dalla vergogna. Pensò anche che il regolamento non aveva precisato che i baci si dovessero dare per forza in bocca. Pensò che comunque doveva rischiare, se voleva baciare il ragazzo che gli piaceva. Anche se non sarebbe stato un vero bacio, ma solo un gioco. Pensò...
 
«Bacio!»
 
Qualcuno ne rimase stupito.
Eddie girò la bottiglia e in quel momento il tempo sembrò rallentare. La bottiglia stava girando più volte rispetto a prima e con una lentezza quasi logorante, gli sembrava di sentire rimbombante entro le quattro pareti il battito cardiaco che nei film mettevano nelle scene di suspense. Magari lo sentiva proprio. Il suo. E sentiva lo stomaco fare i capricci. Sentiva un silenzio assordante e come a rallenty la bottiglia si fermò su...
 
«Richie!»
 
 
Che fervida immaginazione, eh, Eds?
 
Alla fine non era riuscito ad addormentarsi, però sognare ad occhi aperti sì. Se avesse continuato avrebbe giurato che gli si sarebbe persino indurito il sesso, ma l’Eddie della sua fantasia non era arrivato nemmeno ancora a toccare le labbra di Richie.
 
Però quello in carne ed ossa avrebbe potuto. Cazzo, può ancora succedere, si disse. E cazzo, c’era Stacey. Ma non stanno ancora insieme. E cazzo, a Richie non piacevano i ragazzi. Però sarebbe solo un gioco, ripensò. Basta. Doveva fare in modo che succedesse. ‘Fanculo mamma. ‘Fanculo Stacey. ‘Fanculo tutto. Eddie sarebbe partito per quella gita con o senza il permesso di Sonia. Uscì infastidito dal letto e andò a cercare una delle innumerevoli firme di sua madre sul suo diario e cominciò su un foglio ad esercitarsi nel copiarla. Quando vide di averci preso la mano e di essere diventato abbastanza bravo, dato che l’ultima firma pareva uguale all’originale, Eddie si firmò da solo l’autorizzazione della gita. Non l’avrebbe consegnata l’indomani per non correre il pericolo che qualcuno chiacchierando con sua madre chiedesse “Quindi alla fine ho visto che mandi Eddie in gita, eh?”, robe del genere. No, l’avrebbe consegnata l’ultimo giorno, giusto per stare sicuro. Tanto mancava ancora un po’.
Soddisfatto, chiuse il foglio dell’autorizzazione tra le pagine del diario e si mise a studiare. Non aveva neppure pranzato, però non sentiva la fame e per miracolo riuscì a concentrarsi, per una buona mezz’oretta andò circa tutto liscio, finì quasi matematica. Quella matematica in cui faceva tanto schifo. E infatti c’era quell’ultimo esercizio che...
 
«Non... non funziona!»
 
L’ultimo esercizio era impossibile e la pazienza del ragazzo stava venendo talmente tanto a mancare che ora si immaginava Richie lì con lui che faceva una battuta del cazzo in risposta al gioco di parole involontariamente fatto. Dato che... stava svolgendo proprio una funzione...
 
«Idiota!» disse ad un Richie che nemmeno era lì, però la battuta l’avrebbe fatta lo stesso, ed eccolo allora in tutta la sua isteria di nuovo a parlare da solo fingendo di avere l’amico con sé. Come due anni prima, ma come sempre in fondo. Sbuffò.
 
«Che palle, Rich!» Sempre lui, eh?
 
Lo chiamò, praticamente.
 
Richie aveva portato Stacey a casa sua e si era trattenuto con lei per un po’ – più che altro lei  lo aveva trattenuto con sé per un po’. Prima di andarsene stava quasi per chiederle se avesse detto qualcosa di sbagliato a Eddie, la curiosità... no, la paura era troppa. Aprì la bocca per farlo, ma tempo due secondi e perse il coraggio, non chiese niente. Lasciata allora la ragazza, si recò a casa propria per pranzare e prendere un oggetto, poi con quello decise di tornare dal suo amico per capire cosa stracazzo fosse successo. Stacey gli aveva raccontato tutto, informandolo però che suo zio non avesse alcun compagno ed avesse messo in mezzo quel discorso per vedere cosa ne pensasse la signora Kaspbrak della questione, dato che Richie le aveva rivelato quanto gli piacesse Eddie, ma come lui aveva potuto notare era finita molto male. Non c’erano dubbi che quella stronza di Sonia avesse quei pensieri al riguardo, lui era più che altro curioso di capire come l’amico si sentisse e cosa fosse accaduto dopo, quando era stato lasciato solo con lei.
 
Bussò alla finestra così forte che Eddie tornò bambino e pensò che il mostro della matematica fosse venuto a prenderlo, quasi cadde dalla sedia per lo spavento. Si alzò in piedi ed andò ad aprirgli.
 
«Che cavolo ci fai qui?!»
 
I toni soavi di Eddie che lo accoglievano erano sempre adorabili, sì, sì, ma ora un po’ di più se facevano credere a Richie che andasse tutto bene. O perlomeno che ci fosse speranza.
 
«Non lo so, sicuramente per intavolare una conversazione con te mentre faccio il Romeo! Signore mio, alla mia dolce Giulietta non importa un accidenti che le mie povere gambine rischino di cedere facendomi cadere giù dalla finestra! Ahimé!»
 
«Taci prima che mia madre ti senta!» lo rimbeccò facendolo entrare e poi richiudendo la finestra. Pensò di chiudere la porta a chiave per sicurezza, ma si ricordò di averlo già fatto prima di mettersi nel letto. «Che hai lì?» chiese indicando una scatola che Richie teneva con sé. Come aveva fatto ad arrampicarsi fin lì in camera sua con quella sotto il braccio?
 
Studiando l’espressione del Kaspbrak, il suo umore pareva leggermente miglliorato, ma le apparenze spesso ingannavano e bisognava essere sicuri che lui stesse bene.
 
«Questa, Spaghetti?» Gliela mostrò meglio e Eddie notò subito dal disegno e dal nome che si trattasse di Twister, ma lo lasciò comunque parlare. «È una scatola che contiene uno strumento magico, qualcosa che ti farà sorridere come un bambino che si perde al luna park!»
 
«I bambini quando si perdono al luna park piangono.»
 
«Non se hanno tanti gettoni in tasca e dei genitori che non gli permettono di salire sulle montagne russe più belle!»
 
La stronzata di Richie strappò un sorriso a Eddie, ma poteva andare anche meglio, il suo sorriso poteva essere più bello di così e l’altro si sarebbe impegnato per vederlo. Gli fece l’occhiolino e si lasciò cadere sul pavimento. Eddie gli si sedette accanto, tanto sapeva fosse pulito, e lo lasciò fare: quello aprì la scatola, ne tirò fuori la tavoletta con la lancetta ed il tappetino coi cerchi colorati, che sistemò. Nel frattempo, ovviamente, sparò altre cazzate.
 
«Il luna park, però, non lo sa che il gioco migliore di tutti i tempi si trova in questa scatola! Crede di essere il più divertente? Per carità, ragazzo mio! Non lo sa, nossignore!, non lo sa che il massimo del divertimento sta qui quando hai la possibilità di farti piazzare in faccia il culo del tuo adorato Eddie Spaghetti!» Prese il foglio col regolamento e finse di leggere con voce meccanica: «Non adatto ai bambini con un’età inferiore ai tre anni: il culo di Eddie Kaspbrak è porno!»
 
Eddie rise, togliendogli il foglio dalle mani ed andando a posarlo sul proprio letto – bastava solo allungare il braccio.
 
«Non c’è scritto niente del genere, coglione!» lo rimbeccò, realizzando col trascorrere dei secondi che godersi la compagnia del ragazzo che gli piaceva fosse meglio che deprimersi perché quello aveva fatto sesso con una ragazza – che per di più non gli piaceva affatto – o perché sua madre non avrebbe mai accettato la sua omosessualità.
 
«Ah no? E cosa credi che significhi quel “3+”?»
 
«Che quelli come te che hanno lo stesso cervello di un bambino di due anni non potrebbero giocare! E infatti con te non ci gioco!»
 
«Che cosa?!» Sconvolto. «Certo che giochiamo! Non puoi rovinarmi i piani, sono venuto qui con l’intenzione di avere il tuo sederino ad un centimetro dalla mia faccia e ce l’avrò!» Non esattamente, ma... avrebbe apprezzato molto.
 
«Se la freccetta vorrà!» rispose Eddie dandogli corda e sentendo qualcosa nel suo stomaco muoversi per l’ennesima allusione fatta dall’altro. L’ennesimo scherzo, certo, certo. Si appropriò della tavoletta, girò la freccetta e disse: «Comincia con la mano destra sul blu allora!»
 
«Se me lo chiedi con quel tono, la mano te la metto dove vuoi!» sghignazzò Richie, posando la mano in questione su uno dei pallini blu. Ricevette un’occhiataccia dal suo amico, ma quello fece continuare ugualmente il gioco, portandosi la tavoletta dietro.
 
Cinque minuti dopo, la situazione era questa: Richie era finito con la mano sinistra sul cerchio verde in un angolo, la mano destra esattamente nel cerchio giallo accanto, il piede sinistro allungato verso uno dei cerchi gialli e quello destro verso uno di quelli rossi, mentre Eddie aveva il piede destro sul primo cerchio rosso, quello accanto al giallo dove Richie aveva la mano, il piede sinistro sul primo giallo disponibile più vicino, la mano destra su un rosso e la sinistra su un altro giallo. Questo significava una sola cosa: alla fine la freccetta l’aveva voluto! Eddie stava praticamente piegato in avanti e col sedere in faccia all’altro e come poteva quello non ammirare la vista? E non farci battute sopra?
 
«Porca puttana! C’era proprio bisogno di giocare a Twister per metterti a novanta davanti a me, tesoro?» Sì, c’era proprio bisogno.
 
Eddie arrossì all’istante e fece per mollare, dicendo imbarazzato: «’Fanculo, il gioco è finito!»
 
«No!» lo fermò Richie. «Aspetta, facciamo l’ultimo giro!»
 
«L’ultimo!» Eddie tolse per un attimo la mano da uno dei cerchi per girare la ruota. «Mano sinistra sul verde!»
 
«Ce l’ho già!» fece Richie. «Vai tu! Mi raccomando, cerca di farmi finire il tuo bel culetto ancora più vicino alla faccia!»
 
Eddie girò la ruota per l’ultima volta e la freccetta indicò...
 
«Di nuovo mano sinistra sul verde!»
 
Passò un secondo e si rese conto di quanto fosse impossibile quella manovra. Lo capì anche Richie e gongolò.
 
«Uuuh, qualcuno qui sta per perdere, Spaghettino!»
 
«Non sto per perdere!» lo contraddisse l’altro, orgoglioso, sicuro che non sarebbe caduto. Anche se, a giudicare dalla difficoltà, onestamente sarebbe potuto benissimo cadere. Allungò il braccio più che poteva verso il cerchio verde più vicino, ma finì solo col tirare fuori la lingua per lo sforzo invano. Non ci arriva, cazzo.
 
«Sei così piccolo, Eds..
 
Ma Eddie non ci badò, non badò a come, nonostante quella dell’amico fosse una presa in giro, una delle solite, fosse uscita dalla sua bocca con un tono che dopotutto risultava... carino. O di uno cotto a puntino. Non ci badò perché stava facendo l’ultimo sforzo e stava realizzando che c’era solo un modo per vincere: sfruttare il corpo di Richie. Perciò smise di stargli davanti a novanta ed abbassò il sedere, così da arrivare con la mano sul verde, fino a sedersi sopra al cavallo dei pantaloni del corvino.
 
«HAH!» esclamò soddisfatto e pure comodo. «Chi è che non è caduto?!»
 
Richie Tozier voleva piangere: sapete per quanto tempo ancora sarebbe voluto restare in quella fottutissima posizione? Più che appagato, dopo aver ringraziato Dio per non avergli fatto venire un’erezione d’amore e dopo aver lasciato a Eddie i suoi secondi di gloria, rispose: «Il più carino di tutta Derry!» E gli stampò un bel bacetto su una guancia.
 
Fu allora che il rosso (non di capelli, ma di faccia) andò nel panico e con una spinta fece cadere Richie sul tappetino del gioco. Cadde anche lui, ma sopra l’amico, il che gli fece ricordare che...
 
«Aspetta...» Il suo volto già riprendeva il normale colorito. «Non ho toccato terra.» Si girò con l’intero corpo e stavolta addosso a Richie si mise proprio a cavalcioni. «Questo vuol dire...» Gli spuntò un grosso sorriso sulle labbra, il migliore di questa giornata di merda. Puntò un dito contro il petto del Tozier e... «... che ho vinto! HAH! HO VINTO!»
 
Così, mentre il più piccolo si vantava di essere il vincitore, con gli occhi chiusi ed un sorriso da stupido in faccia (da sconfitto, credeva l’altro) Richie moriva un po’, beato, perché Eddie gli stava addosso ed era così carino quando era fastidiosamente soddisfatto di una propria vittoria. Oh, e naturalmente anche questa volta ringraziava Dio perché non stava avendo nessuna erezione – d’amore, si ostinava a definirla nella sua testa. Eddie gli stava proprio lì...!
 
«Ho vintoooo, ho vintoooo, ho vintooooo! E tu hai perso!» cantilenò.
 
«Mi hai steso.» ammise Richie, drammatico, segretamente alludendo ad altro.
 
«Oh sì! Letteralmente! Ti ho stesooo!» confermò Eddie, premendo più volte quel dito contro il suo petto. Abbassò il volto verso quello dell’amico ed a quella distanza ravvicinata continuò, fiero di sé: «Steso
 
«Pem!» fece Richie, imitando uno sparo.
 
Quando quello aprì gli occhi, Eddie si rese conto dell’immane cazzata che aveva fatto ad avvicinarsi tanto, le guance presto gli bruciarono e così si tirò su. Non notò che per un attimo fosse arrossito anche Richie, ma tanto lui un secondo dopo pareva già sereno – e se lo tenne, poi, quel sorriso sereno sul volto. Un sorriso troppo sereno per un Richie Tozier che era appena stato battuto ad un gioco.
Una volta in piedi, il castano allungò una mano verso Richie per aiutarlo a rialzarsi. Quello andò a sedersi sul letto, prima di imitarlo Eddie piegò ordinatamente il tappetino e mise il gioco nella scatola.
 
«Oggi mi hai sconfitto, stronzetto di un Kappa, ma la prossima volta ti farò il culo!»
 
«Io non ci giurerei, Rich!»
 
«Ti vedo convinto!» rise Richie, osservando il suo Eddie. Sembrava contento ed era felice che fosse così, però non era del tutto sicuro che fosse sul serio e pienamente contento. Avrebbe voluto conoscere i suoi pensieri, capire cosa non andasse in quella giornata da quando a scuola si era presentato come uno zombie e sapere che diavolo avesse detto sua madre, ma era spaventoso. Era spaventosa l’idea che Eddie potesse piangergli addosso – era spaventosa l’idea di non riuscire a consolarlo, se i suoi stupidi scherzi o giochi non fossero stati abbastanza? Se un suo abbraccio non fosse bastato? Se si fosse messo a piangere insieme a lui perché detestava vederlo triste? Però al tempo stesso voleva esserci, voleva consolarlo proprio lui. Era ancora più spaventoso mettersi a parlare della questione omosessualità quando Richie stesso amava Eddie più di ogni altra persona al mondo. Non era gay, le ragazze gli piacevano, ma Eddie gli piaceva molto di più. Quindi era anche gay. Forse era bisessuale, ma aveva avuto troppa paura a ragionarci sopra. Era troppo spaventoso perché Richie gli chiedesse “Ehy, Eds, come stai?”. «Lo sai che si dice che la convinzione fotte la gente? Se preferisci, ti fotto io!»
 
«Finiscila!» lo rimproverò dandogli una manata e Richie si zittì. Si zittì perché pensò che dopotutto non sapeva se Stacey fosse veramente rimasta in silenzio riguardo la questione in questo momento vorrei baciare Eddie, come le aveva detto quando lei aveva tentato di baciare lui, e magari gli dava fastidio. Magari gli faceva schifo. Però dopo un paio di secondi Eddie rise, ricadendo di schiena sul materasso, e Richie si rilassò, imitandolo. Risero per qualche istante, sdraiati l’uno accanto all’altro.
 
Non amava starsene soltanto... sdraiato. Era noioso. Lui non stava mai fermo, diamine, avrebbe preso Eddie per i polsi e l’avrebbe trascinato al centro della stanza per farlo ballare con lui a ritmo di una delle sue canzoni rock preferite. Però amava stare con Eddie e se lui voleva starsene tranquillo sul letto, allora lo voleva anche Richie. Dio, se necessario, sarebbe diventato un fottuto vegetale pur di stargli accanto. Se necessario, avrebbe scelto di trascorrere la vita intera su una stupida sedia a rotelle, purché l’altro gli stesse accanto. In tutta onestà non amava neanche stare sull’amaca alla clubhouse per più dei dieci minuti che gli spettavano, ma dopo i dieci minuti Eddie arrivava a rompergli le scatole e si sdraiava assieme a lui. Era per questo in fondo che amava quell’amaca. Era per questo che in quel momento amava quel materasso. Ruotò la testa verso l’altro, lo fece anche Eddie e si guardarono dritto negli occhi.
 
«Ti ricordi, prima che arrivasse Stacey?»
 
Sì, Eddie se ne ricordava benissimo: la vita prima di lei era piena di Richie Tozier che gli dava attenzioni ed era bellissima, per essere quella di un ragazzino di Derry gay che soffriva d’asma, doveva stare attento ai bulli ed aveva una madre iperprotettiva che non gli dava alcuna libertà. Se poi si aggiungeva il trauma post-pagliaccio assassino che quasi uccideva lui e i suoi amici... In effetti la sua vita non era per niente invidiabile, ma non ci pensava, i suoi amici la rendevano sopportabile e il ragazzo che gli piaceva più che sopportabile.
Però Richie con quella domanda alludeva a qualcosa di ben preciso – non parlava della loro vita prima di Stacey, ma esattamente del momento in cui lei li aveva interrotti. Eddie lo capì solo quando Richie aggiunse: «Stavamo parlando di fottere tua madre con qualche bugia.»
 
«Non ho voglia di parlare di mia madre adesso.» ammise Eddie.
 
«Se la meriterebbe proprio una bella bugia, cazzo.» continuò Richie ugualmente. Eddie non ripeté che volesse cambiare argomento, forse l’amico aveva ragione. Allora continuò. «La voglio proprio vedere la sua faccia di merda mentre viene fregata, Eds.» E un’idea, in effetti, il Tozier ce l’aveva. La stava per dire prima che il campanello di casa sua, l’altra volta, suonasse, ma di nuovo sembrava che l’universo volesse impedirglielo. Eddie lo anticipò.
 
«Una cosa c’è, in effetti.»
 
Così Richie lasciò perdere.
 
«Cosa?» chiese invece.
 
«Beh...» tentennò.
 
«Beh cosa? Forza, Spaghetti, non tenermi sulle spine!»
 
«Io...» cominciò un po’ incerto, ma più guardava l’altro negli occhi e più prendeva coraggio. «Mi sono firmato da solo l’autorizzazione alla gita.» disse perciò sicuro. Prese lo shock di Richie come un invito a continuare. «Non vuole farmi partire, settimana bianca off limits, per questo non avevo ancora consegnato il foglio! Ci ho pensato io, mi sembra una bugia bella grossa, no?»
 
«Cazzo!» Se lo era! «Ti –» Amo?!?!? «Adoro! Cazzo!»
 
«Sì!» comprese Eddie, improvvisamente strapazzato in un goffo abbraccio. «Okay, lasciami, non respiro! Rich, sul serio!» Sentendolo ridere di nuovo, Richie non lo prese esattamente sul serio, ma allentò comunque la presa per stare sicuro che Eddie respirasse.
 
I loro lunghi abbracci erano strani: più passavano i secondi, più Eddie si sentiva a proprio agio e smetteva di arrossire; più passavano i secondi, più Richie si sentiva in imbarazzo ed iniziava ad arrossire lui. Il castano non lo allontanò, poggiò la testa contro il petto dell’altro e quello pensò che la cosa sarebbe durata ancora per molto.
 
Ancora una volta Eddie si dimostrò tra i due il più coraggioso, quando dal nulla disse: «Mia madre è omofoba.»
 
Richie lo sapeva eppure non si era preparato nessun discorso al riguardo. Non si era preparato neanche psicologicamente per non sentirsi uno schifo e infatti lo ci si sentì. Annuì, accorgendosi di quanto Eddie stesse affondando il volto nel proprio petto. Cazzo, se davvero si mette a piangere? Titubante, portò una mano sul capo di lui. Consolare le persone senza fare l’idiota era così dannatamente difficile! E in questo momento non poteva fare l’idiota! Per sua fortuna fu di nuovo Eddie a parlare.
 
«Lo sapevo. Voglio dire, lo immaginavo, lo sai com’è fatta. Però sentirle dire a voce alta che morirebbe piuttosto che avere un figlio gay è stato schifoso.»
 
Richie non sapeva che fosse schifoso perché Eddie fosse gay, ma poteva immaginare comunque il fastidio. Forse Eddie voleva solo che almeno sua madre non fosse una tipica abitante di Derry: una testa di cazzo. Però lo era anche lei – una testa di cazzo.
 
Richie sapeva invece che allora era lui quello schifoso per Sonia e già spacciandosi per etero a lei faceva schifo, figuriamoci gay. Fantastico.
 
«È solo che io... speravo...»
 
Per l’appunto, pensò il corvino.
 
«È strano quando è proprio tua madre a fare schifo.» continuò sempre Eddie. È strano quando sono proprio io a farle schifo. A fare schifo. «È... è brutto, è...»
 
«Lo sai che le cose che dice tua madre sono solo stronzate, Eds. Come con le medicine. Non devi ascoltarla.»
 
«Lo so, ma lo dice comunque per proteggermi.» rispose, ma poi si chiese: e ti protegge? Proteggerti da cosa, Eddie?
 
«E tu vuoi essere protetto?» domandò invece Richie, pur conoscendo già la risposta.
 
Eddie scosse la testa per dire di no e così facendo strofinò il naso contro il petto dell’altro. Gli fece un po’ il solletico, ma quello non si scompose stavolta.
 
«Dico solo che lo so che non lo fa con cattiveria, mi ama a modo suo.» Anche se poi lo faceva sentire di merda lo stesso.
 
E ti amo anche io. «Okay, Eds.» concesse Richie, osando e provando ad accarezzargli i capelli, ma le sue dita rischiavano di tremare. «Ma devi ricordarti che le sue parole non sono legge. E se sono legge, il mio piccolo Spaghettino riuscirà ad infrangere tutte le regole, dico bene?»
 
«Ma ha messo in mezzo anche la Bibbia! Dio, l’inferno, cose così! Perché chi è gay finisce all’inferno!»
 
«E tu sei gay?» venne spontaneo domandargli, ma si morse la lingua all’istante, pentito, e subito disse qualcosa affinché Eddie non gli rispondesse. Cazzo, non voleva chiedergli se fosse gay, non voleva sentire una risposta che l’avrebbe sconsolato. Anche se poi, in realtà, se Eddie avesse affermato no, Rich, sono etero, sarebbe stato molto meglio. Perché se Eddie era etero, non aveva problemi e smetteva di essere triste – e se Eddie non era triste, delusione d’amore nonostante, non lo era nemmeno Richie. «Ascoltami. Sono solo stronzate, te l’ho detto. La Bibbia è tipo un best-seller.» Questa stronzata fece ridere per breve tempo il castano. «Sai quanti fan ha chi l’ha scritta? Tutti conoscono la Bibbia! Solo che nei best-seller ci deve essere sempre qualcosa di inaccettabile, quell’ingiustizia che ti fa stringere i denti per la rabbia, un po’ come nella vita. Sai, questione di trama, è per l’intreccio... E quindi boom, spariamo merda su chi è gay, un gruppo di persone a caso! Ma poteva andare diversamente, eh? Cazzo, che ne sai, magari ci sta una religione che ha nel libro sacro tipo la stessa storia ma al posto dei gay c’è scritto che all’inferno ci vanno le donne grasse!» Eddie rise di nuovo. «Che è una cazzata, ma in quella versione è tua madre che ci finisce all’inferno, mica tu! E poi...» Sentì Eddie stringerglisi più forte. «Lo sappiamo tutti che all’inferno fa più caldo!» Stava per arrivare la battuta, lo sapeva. «E il più caliente sono io!»
 
«Spari tante stronzate quanto mia madre!» rispose Eddie ridendo, grato, davvero grato e poco più sollevato. Anche Richie si sentì sollevato quando lo sentì, allora sorrise. Lo strinse anche lui.
 
«Io sparo cazzate perché ho un bel cazzo, tua madre spara stronzate peché è una stronza!» disse, facendolo ridere.                                                                                                                       
 
Se da un lato c’era Eddie che era coraggioso e coraggioso ci si sentiva grazie a Richie...
 
«È che...» tentò, tirando su col naso.
 
... dall’altro Richie si cagava in mano.
 
Cazzo, pensò questo. Pensava di aver salvato la situazione con le sue battute, anche se in effetti ce l’aveva questo dubbio di non riuscirci, ma se invece fosse appena ricaduta?! E se – dato che aveva tirato su col naso – all’improvviso il suo amico si stesse mettendo a piangere?! Il tono usato pareva più serio! Porca puttana! Lo sapeva: senza fare l’idiota, in queste situazioni non ci sapeva proprio fare.
 
«Sai una cosa?» fece il corvino prima che Eddie potesse dire qualsiasi cosa. «Dobbiamo farci un pisolino di bellezza!»
 
Eddie rimase in silenzio per alcuni istanti, confuso, e poi chiese: «Eh?»
 
«Ma certo! Quando avrai aperto gli occhi saranno al massimo le quattro o le cinque, che ne so, ma sembrerà un nuovo fottutissimo eppure meraviglioso giorno, ragazzo mio!»
 
«Ma che stai dicendo...»
 
«Come?! Non lo sai che fare un riposino aiuta!? Soprattutto se dormi insieme al bellissimo e fortissimo Richie Tozier! Boom!»
 
Il loro abbraccio era diventato più debole, ma Richie non aveva il coraggio di distruggerlo e guardare il ragazzo in faccia. Quando però Eddie fece per tirarsi indietro e puntargli gli occhi addosso, Richie si girò immediatamente dall’altro lato. Gli guardò la schiena con aria incerta.
 
«Ma io non ho sonno!» Sì, intanto la notte precedente non era riuscito a dormire e nemmeno prima!
 
«Io sì, stronzo! Buonanotte!»
 
«Ma che vuol dire buonanotte?!? Rich!!!!» Si tirò un po’ su e lo scosse per una spalla, ma quello finse teatralmente di russare. Il castano si arrese e si mise nuovamente sdraiato accanto all’amico; stavolta non lo strinse, anche se era girato verso di lui, verso la sua schiena, e a questa era molto, molto vicino.
 
Cinque minuti dopo, Eddie sorrideva e Richie invece sembrava davvero voler dormire alla fine. Non era mai lui il primo tra i due ad addormentarsi quando lo facevano assieme, era sempre più facile farlo quando Eddie era già nel mondo dei sogni, perché così sapeva che stava bene. Questa volta, però, la loro complicità lo portò ad avere la sensazione che Eddie stesse bene e Richie poteva dormire – e togliersi di dosso quei pesi che dopotutto aveva anche lui, ci pensava di meno solo perché erano più importanti i pesi di Eddie. Prima Eds. Sempre. Così in quel momento era lì lì per addormentarsi.
 
Per quanto sereno, però, c’era qualcosa... C’era che Eddie doveva finire di dire quello che stava per dire prima che l’amico lo interrompesse.
 
«Richie?» lo chiamò.
 
Per miracolo quello lo sentì. Più o meno, insomma.
 
«Sì?» Oppure stava sognando e gli stava rispondendo nel sonno, non ne era sicuro. Era difficile ragionare quando si stava per cadere tra le braccia di Morfeo.
 
«Devo dirti una cosa...»
 
«Che devi dirmi, Eddie?» domandò assonnato, lentamente, molto lentamente e senza neanche considerare l’idea di ascoltarlo.
 
Eddie inarcò un sopracciglio, chiedendosi se non si stesse davvero addormentando, e si tirò su per sporgersi oltre le sue spalle e guardarlo in volto. Sorrise quando lo vide con gli occhi chiusi e le labbra schiuse, capace che tra poco gli sporcasse anche le lenzuola con la bava, gli diede mentalmente dell’idiota e pensò wow, sei davvero crollato. Rise silenziosamente, ebbe il coraggio di posargli un bacio sulla guancia e tornò per l’ultima volta a sdraiarsi accanto a lui. Parlare ormai era inutile, constatò, per cui si limitò ad agganciare un braccio attorno al suo corpo, il naso premuto contro la schiena dell’amico, e lì tentò di addormentarsi. Nonostante tutto, ci riuscì presto.

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Capitolo 10
*** Il piano di Stacey ***


Il piano di Stacey

 
Se qualcuno avesse chiesto a Eddie se la sua vita avesse raggiunto finalmente un certo equilibrio, lui non avrebbe risposto di sì. A conti fatti, però, non stava andando tanto male. Da dieci giorni a questa parte Stacey non si era mai allontanata dal gruppo e qualsiasi cosa facessero ed ovunque andassero era sempre lì con loro, ma nessuno l’aveva ancora definita una Perdente. Non era stata neanche definita la ragazza di Richie, quindi la loro doveva essere stata, come si soleva dire, solo una botta e via. Tremendo, sì, ma sopportabile. Eddie poi sentiva di ricevere ancora molte attenzioni dal corvino – certo, ne riceveva un po’ troppe per i suoi gusti anche Stacey, ma almeno non era stato messo da parte. Sua madre inoltre non era tornata sul discorso dell’omosessualità di tre giorni prima e lui aveva finto (per sentirsi un po’ meglio) che questo non fosse mai esistito, e quando esisteva ripensava a quello che gli aveva detto Richie, così andava tutto bene.
 
Se qualcuno avesse chiesto a Richie se la sua vita avesse raggiunto finalmente un certo equilibrio, probabilmente neanche lui avrebbe risposto di sì, ma un lato positivo c’era: a distanza di qualche giorno Eddie non sapeva ancora niente della sua gigantesca cotta per lui e forse c’era da fidarsi davvero di Stacey! Il che lo tranquillizzava.
 
Se qualcuno avesse chiesto a Stacey se la sua vita avesse raggiunto finalmente un certo equilibrio, lei avrebbe risposto di sì. Era convinta che tutto stesse andando per il meglio: il suo piano procedeva liscio come l’olio, come aveva raccontato una sera a Greta e le sue amiche in camera sua davanti a tanti tubetti di smalto, e nel mentre non si annoiava nemmeno. In fondo le piaceva trascorrere i pomeriggi ai Barren coi Perdenti – e le piaceva ancora di più passarli assieme a Mike, fondamentale per il suo piano.
 
 
«Prima le signore!» aveva educatamente permesso lui quel tardo pomeriggio in cui si erano recati da soli al rifugio. Stacey era scesa per prima di sotto e si era sdraiata subito sull’amaca. Aveva riso, lasciando sorpreso Mike, mentre strusciava simpaticamente il sedere sulla superficie.
 
«Ora il mio culo profuma soprattutto di Richie Tozier!» aveva spiegato divertita, alludendo a quanto spesso il corvino stesse sdraiato lì più del dovuto.
 
«E di cosa profuma Richie Tozier?» aveva chiesto Mike ridendo assieme a lei. 
 
«Naturalmente di Eddie Kaspbrak!» Mike sembrava non pensarla troppo diversamente. «Vieni, Mikey!» Aveva fatto segno con una mano di avvicinarsi e con l’altra aveva tamburellato sull’amaca, allora il ragazzo aveva avanzato sin lì, ma non si era seduto perché non voleva rubarle spazio.
 
«Ti scatto una foto, vuoi?»
 
«Sono già in posa!» aveva scherzato lei, per poi mettercisi davvero – in posa – e sorridere. Mike aveva usato la sua macchina fotografica per quello che gli era sembrato uno dei suoi scatti più belli. Aveva sorriso nel vedere quanto fosse carina Stacey anche da dietro quell’obbiettivo. «Sei uscita davvero bene!»
 
«Sicuro, con un fotografo bravo come te!» Gli aveva indicato di nuovo di sedersi accanto a lei. «E soprattutto carino! Ora ti siedi con me o no?!»
 
 
Stacey aveva saputo che alla fine il castano avesse ottenuto l’autorizzazione firmata da sua madre, però non aveva capito perché ancora non l’avesse consegnata. Nel bene e nel male aveva imparato a conoscerlo e non gli sembrava da lui rimandare all’ultimo qualcosa di talmente importante. Scrollò le spalle, concludendo tra sé e sé che non fosse un problema a cui badare troppo. Quei due verranno alla gita, faranno i finocchi e se servirà avranno anche il mio aiuto, infine farò quello che devo fare, era il suo piano. Perfetto, no? pensò Stacey, quella mattina, guardando in cortile i due piccioncini – Eddie si lamentava del fumo della sigaretta di Richie e lui continuava ridente a prenderlo in giro, anche se poi il fumo lo buttava fuori dall’altro lato perché non gli andasse in faccia. Sì, perfetto, confermò, ripetendosi mentalmente il piano. Mike mi sarà di grandissimo aiuto e quando torneremo dalla settimana bianca non...
Si distrasse un momento – Bill aveva baciato Beverly per la prima volta in pubblico e Richie aveva iniziato a strillare, perciò Eddie aveva cominciato a farlo ancora più forte per farlo stare zitto, Stan se ne era andato per non sentirli e Ben l’aveva seguito con la scusa di riportarlo indietro, anche se aveva gli occhi troppo lucidi perché fosse solo questo.
Stacey si ritrovò ad osservare questa scenetta con le labbra schiuse e quando qualche secondo di troppo dopo se ne accorse rise, poi chiuse la bocca.
Dov’ero? Come finiva il suo piano? Con Greta e le sue amiche che la veneravano dopo tutta quella fatica? Quanto tempo occorreva per farsi adorare, oltre che accettare? Quando Stacey era arrivata in quella classe era metà Gennaio, in tempo comunque per l’inizio del secondo quadrimestre, ma la settimana bianca sarebbe stata nei primi di Febbraio. Conclusa questa e conclusi i successivi step, sarebbe arrivato qualcosa come il 15 di Febbraio, se si facevano i conti. Occorreva sul serio tanto tempo per fare in modo di non ricevere lo stesso trattamento avuto nella vecchia scuola, occorreva tanta fatica per non essere sola, tanta cattiveria per sentirsi migliore?
A quanto pareva, sì.
Se solo avesse avuto i Perdenti come veri amici...
Se avesse accettato la loro amicizia e dato loro la propria, nonostante si trattasse di Perdenti...
Se fosse diventata una Perdente anche lei, se avesse accettato di esserlo...
 
«Stai zitto tu, Eds!» fu la frase che interruppe i pensieri di Stacey. Richie ficcò la sigaretta accesa in bocca al ragazzo, che sbiancò. Ci furono questi tre secondi di pace per i Perdenti in cui Eddie parve in coma, ma poi il suo viso, da bianco, si fece sempre più rosso finché non esplose.
 
«COSA STRACAZZO TI SALTA IN TESTA DI FARE?!?!?!?» La sigaretta ovviamente era finita per terra ed era stata anche delicatamente (furiosamente) schiacciata. «Era accesa, coglione! Lo sai che mia madre non vuole che fumo ed ha ragione! Cazzo! Quante volte ti devo ripetere che per un misero tiro ci vogliono anni perché-»
 
«Sì, sì.» lo interruppe Richie, agitando una mano in un gesto di noncuranza ed andando a dargli con l’altra una bella pacca sulla schiena che lo fece avanzare di un passo – e che lo fece infastidire ancora di più. «Ho capito l’ambaradàm, non c’è bisogno che continui!»
 
«Io ti ammazzo!» esclamò, allungando le braccia verso il corvino con l’intento di aggredirlo fisicamente. Fu Beverly a fermarlo mettendosi in mezzo.
 
«Magari più tardi, okay?» Rise. «La campanella sta suonando, ragazzi!»
 
«Ma come, Bevvie? Non lo sai che avere addosso le mani di Eduardo è il mio sogno erotico più grande?»
 
Mentre tornarono in classe, Richie domandò a Beverly come fosse baciare Big Bill e si indignò perché non era stato lui a baciarlo per primo, lo considerava un tradimento.
 
«Beep-beep Richie!» dissero più o meno tutti.
 
Una decina di minuti dopo, qualcun altro fece il suo nome.
 
«Tozier?» Richie non rispose. L’insegnante sospirò e alzò gli occhi dal registro per andare a cercare l’alunno. «Tozier! La lezione non è nemmeno incominciata!» E lui era già distratto.
 
«Mi scusi!» rispose distrattamente, domandandosi perché diamine l’insegnante dovesse fare l’appello se la sua non era nemmeno la prima ora. «Sa, è dura restare sveglio fino al proprio nome quando si è alla fine dell’appello!»
 
Qualcuno rise (tra cui anche Eddie, sommessamente per non farsi scoprire dall’insegnante), ma quei pochissimi schiamazzi vennero messi a tacere presto da una mano sbattuta violentemente sulla cattedra.
 
«Silenzio!» li rimproverò. «Voi piccole canaglie mi farete venire i capelli bianchi prima dei miei cinquant’anni!» Sbuffò, quindi finì l’appello.
«Vorrei ricordare a chi ancora non l’ha fatto di portare l’autorizzazione per la gita! Che stiamo aspettando?» Controllò il foglio su cui si era segnato i nomi mancanti e domandò: «Jones? Kaspbrak? Stewart?»
 
«Giuro che la porto domani, mi sono dimenticato!» si scusò immediatamente Steven Jones. Eddie aveva ancora qualche secondo per andare nel panic-cioè!, per inventarsi una scusa mentre parlava Cassidy Stewart.
 
«I miei non sono ancora molto convinti se lasciarmi andare o no, mi scusi. Tanto la consegna scade tra quattro giorni, non è vero, professore?»
 
«Beh...» Eddie inarcò un sopracciglio quando sentì l’insegnante tentennare. «A dire il vero c’è un problemino coi docenti accompagnatori, io non posso più portarvi per un affare personale e stiamo cercando un sostituto.»
 
«E allora perché tanta fretta?» chiese un alunno, ma il professore lo fulminò con lo sguardo e quello comprese di dover tacere.
 
«Voi pensate a portare l’autorizzazione il prima possibile, noi insegnanti risolviamo questa cosa.»
 
«Ma ci sarà di sicuro la gita, non è vero?»
 
«Sicuro! La maggior parte di voi ha già pagato!» L’occhiataccia stavolta la lanciò ai tre che non avevano portato ancora l’autorizzazione. Eddie cominciò a sentirsi agitato, non aveva pensato ai soldi e avrebbe dovuto prenderli in prestito a sua madre senza farsi scoprire, oh, non mi piace, non mi piace affatto. «Non serve alcun rimborso, la gita si fa! Ciò non toglie che dovete sbrigarvi, ragazzi. Sapete come finisce, altrimenti? Che arriva il giorno della scadenza e voi vi dimenticate l’autorizzazione e non partite più! Parlo per esperienza e perché conosco i miei polli!»
 
«Ma quindi quando scade la consegna?» chiese Steven Jones.
 
«Tu portala domani e basta, Jones.»
 
«Non ha risposto alla mia domanda!»
 
L’insegnante si strinse nelle spalle e sospirò.
 
«Presumo prima della partenza... Ma per voi è come se scadesse tra un paio di giorni, quindi forza! Capito anche tu, Kaspbrak?»
 
Eddie deglutì e annuì. Doveva assolutamente risolvere questa faccenda.
 
«Però di fatto non scade tra due giorni. Né tra quattro...» rifletté qualcuno, facendo sospirare l’insegnante.
 
«Sì, d’accordo, d’accordo... Bene, adesso che abbiamo finito con le burocrazie è ora di interrogare. Toh, proprio Kaspbrak dovevo sentire! Alla lavagna! Ti sei preparato per oggi?»
 
Eddie Kaspbrak in: la mia vita fa schifo.
 
Anche se poi alla fine un voto accettabile lo ottenne, però con moooolta fatica. E molti aiuti.
 
 
*
 
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIINNN!
 
«Grazie ragazzi!» fece Eddie, poco sconsolato.
 
«A che s-s-servono altrimenti gli-gli a-amici?» rispose Bill, sorridendogli in maniera rassicurante. Eddie gli rispose tirando un sorrisetto che doveva mostrargli tanta gratitudine. Si voltò verso Richie e prima che questo potesse uscirsene con il solito Animo, dottor Kappa! gli si rivolse.
 
«Grazie sul serio, Rich...»
 
Richie gli diede una pacca sulla schiena.
 
«Quando vuoi, Eds! Ma cerca di fare più attenzione a cosa ti suggeriamo, non puoi scambiare un cazzo di sei per un sette!»
 
Arrossì, convenendo tra sé e sé di fare veramente schifo in matematica, sì, ma... «Non è colpa mia se tu non sai suggerire!»
 
«Pisellino, perché mi fai questo? Non vorrai comportarti da ingrato, orsacchiotto? L’ho fatto per te, dovresti ringraziare!»
 
Eddie alzò un sopracciglio, Stan gli occhi.
 
«Se stai cercando di imitare mia madre, stai fallendo miseramente. Sentiti, non ci assomigli neanche lontanamente, fai schifo!» Però Richie e Bill lo avevano davvero aiutato con l’interrogazione di matematica, perciò non poteva sul serio fare l’ingrato e per una buona volta lo lasciò vincere. «Però hai ragione, infatti ti ho già ringraziato! Forse dovresti cominciare a darmi un po’ di ripetizioni private...»
 
«Ooh ooh, adesso è così che si chiamano? Ripetizioni private?» Richie gli fece l’occhiolino, procurandosi così una bella manata in faccia. Le ragazze risero, anche Bill e Ben.
 
«Scherzi a parte, ragazzi, dovremmo parlare di cose serie! Eddie!» lo indicò Beverly.
 
«Io?» Eh?!
 
«Che vuoi fare con questa autorizzazione, la porti o no?» continuò la rossa.
 
«Hanno r-ragione!» La sua ragazza e l’insegnante. «Se non ti dai una m-m-mossa rischi di dimenticartela e non p-partire, Eddie!»
 
Gli altri annuirono.
 
«Non preoccupatevi, non me la scordo!» assicurò lui. «Ce l’ho sempre con me!»
 
«Anche adesso?» domandò Ben, confuso.
 
«Certo!»
 
«E allora perché ancora non l’hai consegnata?» chiese pure.
 
«Lunga storia! Tranquilli, ragazzi! È tutto sotto controllo!»
 
«Okay!» si fidò Bill, dunque lo fecero anche gli altri, nonostante solo il corvino sapesse cosa ci fosse sotto. «Ma n-n-non te ne dimenticare, v-va bene? Devi p-partire con tutti noi!»
 
«Senz’altro, Bill!» assicurò nuovamente Eddie.
 
«C-che ne dite di d-decidere le d-d-disposizioni nelle c-camere?»
 
«Possiamo deciderle noi?» fece Stacey, che probabilmente si era distratta con il suo stupido piano (tante erano le volte che se lo ripeteva!) e si era persa questo dettaglio.
 
«Sì!» fu Ben a rispondere. «Hanno detto che possiamo pensarci noi!» Un tempo non sarebbe stato felice di questa notizia, non avrebbe saputo scegliere con chi dormire in gita perché non aveva amici, ma da quando c’erano i Perdenti era tutto diverso. Inizialmente Richie adorava vedere Covone felice perché fra le tante cose sentiva che a essergli amico faceva anche una buona azione, ora invece la sua felicità lo contagiava e basta. Certo, era ben lontana da quella di Eddie, la felicità di Eddie era tutt’altra cosa, molto più grossa, ma quella di Covone non era comunque da buttare.
 
«Io voglio stare in pace.» disse solo Stan, anticipando qualsiasi decisione.
 
«Tu starai con me, Stanny!» fece Richie mettendogli un braccio attorno al collo. Stan gli prese la mano con due dita e la tolse come stesse buttando via una zanzara morta. Magari Richie stesse zitto come una zanzara morta! «E con Eddie, ovviamente!» Quella mano finì direttamente sulla guancia dell’ultimo, stretta tra due dita. «Carino carino caaaa-»
 
«Non mi toccare!» Anche Eddie allontanò la mano di Richie.
 
«-rino.» terminò quello. Stan riprese la parola poi.
 
«Non mi farò problemi a commettere un omicidio se costretto a convivere con voi due.»
 
«Io sono un ottimo compagno di stanza!» ribatté Eddie con tono offeso.
 
«No, non lo sei.» Breve e conciso.
 
«Invece lo sono! E poi lo sai che ci sono persone più disordinate di me tra noi?!» (Come fosse solo una questione di ordine...!)
 
Ben mise su un’espressione un po’ colpevole, ma rimase in silenzio. Non serviva che nessuno desse ragione a Eddie, Stan era comunque convinto di avercela lui e gli bastò ribattere con un’occhiataccia. A Eddie non piacque affatto.
 
«Andiamo, Stanny!» s’intromise Richie. «Capisco che a te piacciano le vecchiette, ma devo ricordarti quanto saresti fortunato a condividere la stanza con un esserino così carino come Eds?» Gli prese di nuovo la guancia.
 
«VUOI LASCIARMI LA FACCIA O NO?!»
 
Beverly e Stacey si scambiarono un’occhiata d’intesa, ridendo. Sembravano tutti divertiti tranne i tre. Due, anzi: Richie se la spassava, solo Eddie pareva infastidito e Stan con le scatole rotte (l’ultima volta che aveva osato dire di avere il cazzo rotto, Richie aveva cominciato a dire che il pisello glielo avessero già tagliato) – fece roteare gli occhi per l’ennesima volta.
 
«In conclusione non ho intenzione di stare in camera con questi due. Quando stanno insieme mi fanno venire il mal di testa.»
 
Bill rise, quindi propose: «P-puoi stare con me e-e Eddie!»
 
«Cosa?!» Richie finalmente lasciò perdere l’altro. «E mi tenete fuori così, traditori?»
 
«B-beh, pensavo che io e Eddie s-s-saremmo stati i-insieme.» Cosa che fece sorridere Eddie. «E dato c-che Stan non-non vuole s-stare con loro, e posso c-capirlo, a-a-allora dovremmo fare che...»
 
«’Fanculo!» Richie tornò ad aggrapparsi a Stan. «Io mi prendo Urina, fate il cazzo che vi pare!»
 
«Noi prendiamo Ben!» fece Eddie, aggrappandosi invece a quello.
 
Nessuno in realtà ribatté: Stan non poteva sopportare Eddie e Richie nella stessa stanza, forse soprattutto Eddie, ma Richie era pur sempre il suo migliore amico e gli stava bene; Ben era contentissimo di stare in camera con Eddie e Bill, ma gli sarebbe andato bene chiunque, non faceva favoritismi; Bill avrebbe voluto con sé anche Richie, ma in fin dei conti neanche lui faceva grossi favoritismi, preferiva  giusto stare con Eddie; Eddie con Ben e Bill ci stava benissimo e sarebbe stato strano se avesse ribattuto per fare in modo di stare in camera con Richie e lasciare gli altri tre per conto loro.
 
«Bene!»
 
«A-allora siamo d-d’accordo!»
 
«Noi due dovremmo trovarci una terza compagna!» fece Stacey a Beverly dandole un cinque a rallenty e finendo semplicemente col stringerle la mano. Quella le fece l’occhiolino.
 
«Passiamo le prossime ricreazioni a conoscere le ragazze delle altre classi!»
 
«Ci sto!»
 
«Nessun altro coglione in camera con noi.» chiarì Stan a Richie. «Basti già tu.»
 
Lì terminò la loro conversazione e cominciò un’altra lezione. Un paio di ore dopo, per grazia divina, arrivò l’ora di pranzo.
 
Eddie rimase sorpreso quando, sempre per grazia divina, la prima a salutare fu...
 
«Ci vediamo domani, meraviglie!»
 
... Stacey?
 
«Dove vai tanto di fretta, dolcezza?» chiese Richie.
 
«Papà mi aspetta per pranzo, abbiamo degli ospiti! Roba da adulti!» Fece un gesto di noncuranza con la mano. «Poi devo andare da Mike, mi aspetta davanti L’Aladdin!»
 
«Andate al cinema senza di noi?!»
 
«No, sciocchino!» rise lei. «Andiamo a dare un’occhiata alle locandine!»
 
«E p-perché?» Bill non era l’unico ad essere confuso.
 
«Io e Mikey ci diamo alla fotografia, bella gente! Prima dobbiamo osservare, poi ci metteremo all’azione!»
 
«Un corso di fotografia?» Stavolta fu Ben a esporre il proprio dubbio.
 
«Poi vi racconto, va bene?» Rise di nuovo, la solita risata che Eddie odiava, ma che stava cominciando a sopportare per il quieto vivere. «Buon pranzo!»
 
«Sicura che non vuoi un passaggio?» le urlò dietro Richie, che era pur sempre suo vicino di casa, ma lei continuò a camminare. Richie si strinse nelle spalle. «Come vuole. Comunque, dove eravamo rimasti?»
 
«A me e te che dobbiamo comprarci un nuovo pacco di sigarette, Richie! Anche la riserva è praticamente finita!» fece la rossa.
 
«Ottimo! Lo vogliamo mettere in atto una volta per tutte questo benedetto piano con Eddie che distrae il suo spacciatore e tu che rubi un paio di pacchetti?! Sono al verde!»
 
Eddie gli rispose con un dito medio, Beverly con una risata.
 
«Credevo avessi fatto un lavoretto per tuo padre l’altro giorno!» rispose lei.
 
«Infatti!» confermò, drammatico. «Ho speso già tutto!»
 
Beverly rise di nuovo.
 
«Io e Eddie comunque non possiamo adesso! Andiamo a pranzo insieme.»
 
«Che vuol dire che andate a pranzo insieme?»
 
«Che andiamo a pranzo insieme, tesoro.»
 
«E non ci invitate neanche?!» Sconvolto. «L’ho detto che state diventando tutti dei traditori!»
 
«Non siamo traditori, poi ci rifaremo!» Sperò di consolarlo così dicendo. «Ci vediamo, ragazzi!» accorciò la rossa, divertita ma anche un po’ intenerita dall’espressione offesa di Richie.
 
«Sì, sì, ci vediamo, quando i traditori si stuferanno e-»
 
Richie si zittì nell’istante in cui Eddie andò ad abbracciarlo per salutarlo, la bocca aperta ed un rossore sulle guance che solitamente vedeva al più piccolo. Sentendolo tacere, Eddie rise, poi si staccò e si avviò con Beverly in bici verso casa di sua zia.
 
«Stai... stai bene, Richie?» tentò Ben, vedendolo di pietra a guardare in direzione di Eddie che si allontanava, un’espressione ebete in volto.
 
«Smettila.» Stan sbuffò, giudicando il livello di sottonaggine dell’amico. «Puoi anche tornare a respirare, se n’è andato.»
 
Ben non capì, Bill ebbe qualche idea. C’era un’altra cosa che Ben non capiva: «Ma perché saltano tutti le lezioni pomeridiane?»
 
 
*
 
 
«Grazie, signora, era tutto squisito!» ringraziò Eddie, alzandosi da tavola appena dopo la sua amica. La zia della rossa ringraziò a sua volta i ragazzi e quando questi si offrirono di aiutare a sparecchiare lei li fece dileguare.
 
Si fiondarono immediatamente in camera di Beverly e lì contemporaneamente si gettarono di schiena sul letto, emettendo lo stesso suono che significava una sola cosa:
 
«Sono piena, cazzo.»
 
«A chi lo dici!» l’appoggiò. «Tua zia cucina per un esercito! Se mia madre scoprisse quanto ho mangiato e soprattutto quanti zuccheri ho assunto, mi vieterebbe di tornare qui una seconda volta!»
 
«Tua madre ti vieta comunque di venire qui, Eddie!» precisò.
 
«Vero...»
 
Beverly rise così che il morale non scendesse a entrambi sotto ai piedi. Sembrò funzionare.
 
«Beh, ti concede di andare da Bill almeno!»
 
«Anche da Ben! Però c’è da dire che all’inizio, da dopo la morte di Georgie, si faceva sempre il segno della croce, credo!»
 
Beverly batté entrambe le mani sulla propria pancia.
 
«Credi che si provi lo stesso?» Pausa ad effetto. «Ad essere incinta?» Vide che Eddie era arrossito, allora rise nuovamente. «Una grossa, gonfia, piena pancia!»
 
«Beh... credo sia un po’ diverso...» Cosa dovrei saperne io?! E non voglio saperlo! C’era da dire, infatti, che Eddie credeva una cosa: fosse stato una ragazza, avrebbe avuto proprio la fobia di rimanere incinta. Le voglie da soddisfare, i dolori, il vomito, l’essere continuamente trattato in modo speciale, come se avere come madre Sonia Kaspbrak non bastasse, e poi soprattutto il parto. Quello gli faceva una paura cane.
 
«Senti, Eddie!» disse Bev, distraendolo fortunatamente dai suoi pensieri, con una teatralità che lo incuriosì parecchio. Prese una mano dell’amico e la posizionò sulla propria pancia. Eddie per un attimo pensò di dover sentire qualcosa per davvero. Attese un secondo e... «Sta scalciando!»
 
Risero, una risata che li faceva sentire leggeri. Non che uno dei due si sentisse la pancia leggera, ma questo non frenò la ragazza dall’alzarsi all’improvviso dal letto afferrando per le mani Eddie e trascinandoselo verso l’armadio.
 
«Zia ha potuto comprarmi la tuta da sci, vuoi vederla?»
 
«Sicuro!» disse lui, ma lei la stava già spostando le grucce vicine per mostrargliela. Quando la ebbe tra le mani, la lasciò cadere verticalmente davanti al proprio corpo, entusiasta.
 
«Che ne pensi?»
 
Pensava che Beverly avesse scelto il miglior colore per far risaltare quello dei suoi capelli, ma quasi sicuramente di tute da sci ce ne erano di pochi colori, perlomeno quelle che sua zia si poteva permettere. Pensava che lui neanche ci aveva pensato alla tuta da sci, ma si sarebbe arrangiato e sarebbe andato sulla neve vestito così come a Derry quando era inverno.
 
«Mi piace un sacco! Scommetto che ti sta benissimo!»
 
«Perché scommettere quando puoi vederlo coi tuoi occhi!» Gli strizzò l’occhio. «Me la provo, anche se devi essere clemente: quando l’ho provata la prima volta non ero incinta!»
 
Eddie rise, lei lo seguì un istante dopo.
 
«Ti sta bene se mi cambio qui? Non posso metterla con la gonna sotto!»
 
Non c’era malizia negli occhi dell’amica, ma non c’era vergogna neppure. Guardandola, Eddie credette per un attimo che, se ci fosse stato qualcun altro, Beverly lo avrebbe fatto uscire dalla stanza per cambiarsi, oppure sarebbe andata lei in bagno a vestirsi. Arrossì comunque.
 
«Sì, posso uscire se v-»
 
«Non preoccuparti!» fece togliendosi le scarpe.
 
«Non credo che Bill... sai...» tentò lui, non sapendo bene come dire che al ragazzo di lei non sarebbe andato a genio saperlo in camera con lei mezza nuda.
 
«In tal caso aspetta fuori la porta, fai la guardia così che non entri mia zia, okay?»
 
Ecco, ora era decisamente meglio! Eddie annuì, prima di sparire chiedendo semplicemente: «Perfetto! Dimmi quando hai fatto!»
 
Quando fu dietro la porta, in attesa, la sua mente cominciò a fargli brutti scherzi: E se Bev non si vergogna perché sa che non mi interessa? Non nel senso che non mi piace, nel senso che non mi piacciono le ragazze. Cazzo, lei sa?! Si vede? Da cosa l’ha capito? Ci si può spogliare davanti all’amico gay, no? Tanto non gli interessa, non gli piace, non mi piace, invece se si spogliasse Richie io... accidenti! Credo che preferirei persino vedere Bill spogliarsi! Cioè, non lo guarderei, però insomma, cazzo, cazzo, cazzo cazzo cazzo, io... Beverly...
 
«Faaattooo!» trillò lei, una nota di soddisfazione nella sua voce.
 
Veloce!
 
Fortunatamente distratto una seconda volta dai suoi pensieri del cazzo, tornò in camera e ammirò la figura che aveva davanti. Sorrise per quanto le stava bene quella tuta. I colori non facevano a botte fra di loro, come aveva immaginato, e chissà da quando era diventato questo esperto di moda.
 
«Ti sta davvero bene! Mi piacciono un sacco i colori!»
 
Frena! pensò. Se Bev ha questa sensazione che sono gay, non posso mostrarmi così attento alla moda, non c’è questo stereotipo per cui...?
 
«Grazie!» La rossa girò su se stessa. «Ma l’importante è che è comodissima! Con questa addosso sarò velocissima e leggerissima sugli sci! A proposito, tu hai già preso la tua? Voglio vederla!»
 
«Oh, sì.» mentì lui. «Però adesso non possiamo andare a casa mia... cioè, non puoi venire a casa mia...»
 
«D’accordo, d’accordo!» Beverly annuì, comprensiva. «Non c’è problema, ti ammirerò in tutto il tuo splendore direttamente in gita!»
 
Questo era un problema, perché Bev avrebbe visto dei normali abiti invernali, non la tuta da sci... però Eddie le sorrise lo stesso.
 
«Ora mi rivesto, prima che ci sudi dentro!»
 
Attese che l’amico uscisse dalla sua stanza, ma stavolta, rosso come un peperone, lui si voltò e basta. Lei lo fissò di schiena per alcuni istanti, ma riuscire ad entrare nella mente di Eddie Kaspbrak era meno facile del previsto, anche se molte cose lei sapeva di averle comprese benissimo anche senza che lui le dicesse, perciò sbuffò una risata e iniziò a cambiarsi.
 
Alle orecchie di lui risultava spaventoso il suono della zip che si abbassava, ma fu proprio quello a dargli coraggio.
 
«Bev?» la chiamò.
 
«Sì?» fece lei, in apparenza distratta e più concentrata sul proprio outfit, invece attentissima al castano.
 
«Perché non mi hai chiesto di uscire dalla stanza?»
 
«Beh, sei voltato di spalle!» fece lei con lo stesso tono di prima.
 
«Sì, ma potrei girarmi all’improvviso e sbirciare!» Questa frase la divertì.
 
«Ma non lo faresti mai, Eddie.»
 
Era vero.
 
«Non ti vergogni? E se invece-»
 
«Non ti interesso.» tagliò corto lei. Anche se non la vedeva, Eddie sentiva dalla sua voce che stava sorridendo.
 
«Non lo sai.»
 
«Oh, invece lo so!» Si era tolta la tuta ed i pantaloni, non restava che rimettersi la gonna e di nuovo le scarpe. «Come so che non potresti mai provarci con la ragazza del tuo migliore amico.»
 
Questa frase lo rassicurò: sembrava dire non ti piaccio io, ragazza di Bill, non uno spaventoso non ti piacciono le ragazze. Gli sfuggì un sospiro, sentendosi un briciolo più sollevato.
 
«Puoi voltarti!» disse finalmente Beverly.
 
Tranquillo, Eddie fece così e si ritrovò davanti il petto nudo di Beverly.
 
«Allora, Eddie? Ti piace?» Il suo tono era malizioso, talmente sensuale il modo in cui si accarezzava da sola un seno da fare terrore.
 
Non riusciva più a respirare, i polmoni si stringevano fino a diventare piccoli come un chicco di mais e tastarsi i fianchi era inutile, era sparito come per magia il marsupio con dentro l’inalatore e cazzo, oh, cazzo...!
 
«Eddie?» lo richiamò un’altra volta Beverly. «Ho detto che ho fatto, puoi voltarti!»
 
Stranita dal suo comportamento, gli girò attorno e quando si ritrovò faccia a faccia con lui vide che aveva la bocca spalancata e stava cercando di prendere quanto più fiato possibile, qualcosa lo aveva spaventato e anche se poi non avrebbe emesso alcun fiato, aveva la faccia di chi voleva urlare dalla disperazione.
 
«Tesoro...» Si risparmiò il “che succede?”, ma gli circondò il corpo con le braccia e posò una mano sulla sua nuca perché Eddie poggiasse il volto proprio contro quel petto e si sentisse al sicuro in quell’abbraccio quasi materno.
 
«Se lo sai...» cominciò Eddie, scoprendosi in lacrime.
 
«Se so cosa, Eddie?» domandò lei, accarezzandogli delicatamente i capelli, ma lui non le rispose.
 
«Se lo sai, non glielo dire, per favore! Per favore! Lascia che sia io, un giorno...» Il pianto gli impedì di continuare.
 
 
*
 
 
«Eddieeeeee!»
 
Il suo nome urlato nelle orecchie rischiò di fargli scappare la rana da sotto la campana. Cazzo.
 
«Sssh!» fece Eddie, portando un dito sulla bocca per zittire Stacey. «Mi hai fatto prendere un colpo, poteva cadermi tutto!»
 
«Scuusa!»
 
Sì, certo, scuse più false non ce ne sono, si disse lui, sbuffando nel sentirla ridere.
 
«Vuoi essere il mio consulente-»
 
«In questo momento non voglio essere proprio un bel niente!» la interruppe, indicando il lavoro da fare per scienze. «A parte uno studente che cerca di non fare danni. Basta Richie per quelli!» Frase che fece ridere la compagna. «E comunque l’ultima volta che ti ho dato retta mi hai messo nei casini, perciò no.»
 
«Dai, non fare l’antipatico, Eddie-Freddie!» Gli rubò la penna e segnò qualcosa sulla scheda di laboratorio che aveva sul banco. Eddie inarcò un sopracciglio.
 
«Quanto hai in scienze?»
 
«Il voto massimo, tranquillo.» disse e almeno in quel caso Eddie si fidò. Insomma, lui di certo era peggio di lei in ogni caso... La ragazza gli rimise la penna tra le dita. «Comunque, ho bisogno del tuo aiuto!»
 
«Non credo di essere la persona più adatta, sinceramente...»
 
«Ma se non ti ho detto nemmeno di cosa si tratta!»
 
«Questa volta non voglio sapere i dettagli dei tuoi...» Arrossì di brutto. «...rapporti sessuali.» continuò a voce più bassa.
 
«No, ma che! Anche se in effetti non è tanto diversa la questione!» Ne rise.
 
«Appunto.» Si scocciò. «C-chiedi a Bev.» Perché tutti dovevano parlare con lui di sesso?! Era imbarazzante, cazzo!
 
«In realtà in questo caso mi serve un aiuto da parte di un ragazzo!»
 
Eddie inarcò un sopracciglio, poi tentò: «Chiedi a Bill...? Lui sa sempre cosa fare!»
 
Stacey fece roteare gli occhi.
 
«No, sciocco, chiedo a te!» Lo seguì da un angolo all’altro del laboratorio, non prendendo affatto i suoi movimenti come un “non voglio starti a sentire”. «Si tratta di Mike!»
 
«Mike?» Niente Richie?
 
«Sai mantenere un segreto?»
 
«No.» mentì Eddie solo per togliersela dalle scatole, ma lei fece finta di non sentire.
 
«Lo trovo molto carino, diciamo.» Questa era semplicemente un’altra delle fasi del suo piano, forse la meno malvagia. Almeno per Eddie e Richie.
 
Il ragazzo lasciò perdere il suo lavoro per un attimo, il tempo di sgranare gli occhi e chiedere: «Ti piace Mike?!»
 
«Fa’ silenzio, sciocchino!» Ancora con questo “sciocchino” fastidioso?! «Sì, circa. Cioè, sì. Mi piace. Devi aiutarmi.»
 
«Ma non ti piaceva Richie?!» Almeno aveva abbassato la voce come richiesto.
 
«Cosa? No, assolutamente no!» rispose Stacey, lasciandolo sorpreso – talmente sorpreso che non riusciva ancora ad esserne felice come una Pasqua. «Che ti salta in mente?!»
 
«Ma... avete fatto... quello che avete fatto!»
 
Lei rise notando come fosse quello un taboo per il ragazzo. E quanto fosse rosso.
 
«Sì, per provare! Ma a me non piace Richie ed a Richie non piaccio io!»
 
“A Richie non piaccio io...”
 
«Ne sei sicura?» Stentava a crederci, sul serio.
 
Stacey sbuffò una risata.
 
«Uffa, ma quante volte te lo devo dire?! Sì! Forza, Eddie, sii un po’ più collaborativo!»
 
«E allora chi gli piace?» Non riuscì proprio a non chiederglielo.
 
Stacey fu colta in contropiede: non aveva preso in considerazione la possibilità di sentirsi rivolgere proprio quella domanda, perciò non aveva studiato una risposta adatta. Le parve più saggio dire: «Pronto, stavamo parlando di me e Mikey!»
 
Questo però era vero e se Eddie avesse insistito, forse sarebbe sembrato che... insomma...! Allora annuì, lasciando perdere e rispondendo sorprendentemente: «Ti aiuto!» Nel senso che avrebbe aiutato Stacey a stare lontana da Richie, non che avrebbe messo Mike nei guai – dopotutto non era solo geloso, non si fidava proprio di lei! Ancora non gli era chiaro perché Greta si trovasse a casa sua, quella volta, quando a scuola invece nemmeno si salutavano.
 
«Wow! Fantastico! Fatti abbracciare!» Neanche il tempo di dirlo che gli stava già addosso. L’insegnante li rimproverò e Stacey si staccò da Eddie.
 
 
*
 
 
Quel pomeriggio nessuno avrebbe lasciato la clubhouse per parecchio tempo ancora. Quando erano arrivati c’era un bel sole in cielo, ma da ormai tre ore l’acquazzone batteva sul suolo che ricopriva le loro teste.
 
«Marzo pazzerello, guarda il sole e prendi l’ombrello!»
 
«S-siamo a f-fine Gennaio, Richie!»
 
Si erano portati diverse coperte su cui stendersi, ma a saperlo ne avrebbero prese altre per coprirsi. Ben era stato più veloce di Bill (e della sua balbuzie) ad offrire alla sua ragazza il proprio giubbotto e a Mike era sembrato carino fare lo stesso per Stacey. Stacey... che a seguito di quel gesto aveva fatto l’occhiolino a Eddie e lui si era curato di forzare un sorrisetto. Stan era fisso a guardare le prevedibili mosse di Richie e dopo neanche due minuti quello ovviamente non si era smentito ed aveva insistito per dare a Eddie il suo giubbotto.
 
«Tanto non ho freddo.»
 
Tipico, aveva pensato Stanley.
 
Il lato positivo era che, sentendosi in debito, Eddie aveva permesso a Richie di stare sull’amaca insieme a lui per i suoi dieci minuti.
 
Tanto sarebbe andata così ugualmente, altro pensiero di Stanley.
 
Anche se non si trattava di soli dieci minuti: già tutti erano stati sull’amaca un paio di volte e ormai erano comodamente sdraiati a terra sulle coperte, a nessuno più interessava starsene sull’amaca e rispettare i turni.
 
Prevedibile, sempre Stanley.
 
Così ecco i Perdenti e Stacey ammucchiati sul cotone e poco distanti Eddie e Richie sull’amaca, gamba contro gamba. Oh!, e Richie aveva una mano sulla caviglia dell’altro ed ogni tanto la muoveva su e giù in una carezza.
 
Grazie a Dio ho i pantaloni lunghi, altrimenti si accorge della pelle d’oca.
 
«C-credo che m-manchi poco!» disse Bill, rispondendo alla questione di cui stavano discutendo.
 
«Fai sentire!» disse Stacey, allungandosi verso di lui e tastandogli prima una guancia e poi il mento con un mano. Le venne da ridere sentendo quanto liscia fosse la sua pelle. «A me sembri liscio come il culo di un bambino!»
 
Qualcuno rise con lei.
 
«S-sì, è vero! Ma p-presto crescerà!» ribatté Bill, riferendosi alla barba.
 
Anche Beverly andò a carezzargli una guancia, ma non per provare chi avesse ragione – il suo doveva essere un gesto romantico. Disse: «A me piaci così!»
 
Non importava quanto sembrasse impacciato il sorriso del ragazzo: in realtà non lo era affatto, lui si sentiva sicurissimo di sé in quel momento e se la sua ragazza lo apprezzava anche senza barba, cosa lo frenava dal tirarsi in avanti per rubarle un bacio? Niente!
 
«G-grazie, Bev!» fece quando le loro labbra si staccarono.
 
Stavolta era lei a sentirsi impacciata.
 
«E ancora osate dire che non state insieme...!» scherzò Mike.
 
«Mikey, Mikey, Mikey, la bella Bevvie è la sola che può dirci quanti gliene crescono di peli al caro vecchio Big Bill, ma non sulla faccia!» parlò la Boccaccia. (Facendo ridere Eddie.)
 
«C-chiudi quella b-bocca, Richie! C-comunque a-al nostro anno solo Jacobson ha l-la b-b-barba!»
 
«Strano che Stan l’Uomo ancora non ce l’abbia! Dove li nascondi i tuoi pelucchi, Stanny?» Sempre Richie che non stava zitto. Lo ignorarono tutti.
 
«Però Dave ha i baffi!» ricordò Stacey e Beverly confermò.
 
«E che baffetti! Pari pari a quelli dell’amichetto di Staniel!»
 
«Beep-beep, Richie!» fece Beverly, ma tanto Stan ignorò felicemente la battuta con Hitler.
 
«Anche Barbara, quella riccia dell’altra classe, avete presente? Cazzo, pure quella ha i baffi!» sghignazzò ancora il corvino, facendo un’altra volta ridere Eddie, ma almeno adesso questo si degnò di colpirlo in faccia con un piede per la cazzata detta. Richie tolse quel piedino profumato dalla propria faccia come se nulla fosse e disse: «Sì, ho capito, ho capito, beep-beep, Richie! Ho sentito!»
 
«Io comunque sto iniziando a radermi, la mattina! Qualche peletto mi esce!»
 
«E bravo Mike!» Ancora Boccaccia. A quanto pareva non aveva proprio capito di dover stare zitto. «Sai che ogni tanto anche io?»
 
«Sì, non ci crede nessuno!» ribatté scherzoso Eddie, colpendolo di nuovo con un piede.
 
«Oh, certo, perché tu, stronzetto, sei proprio un malfidato! Se toccassi, capiresti!»
 
«Non hai un cazzo in faccia!»
 
Ma Richie gli stava già togliendo il calzino per fargli sentire con la pianta del piede quanto non fosse liscia (e invece lo era) la sua faccia.
 
«Che cazzo fai!?» Qualcuno rise, guardandoli. Di certo non Stan. «M-ma sei scemo?! Si crepa di freddo! Lascia il calzino!» Tentò di ribellarsi e Richie alla fine fece come richiesto.
 
«Allora allunga la tua bella manina e senti con quella!»
 
Se gli avesse accarezzato la guancia, Eddie sarebbe morto dall’imbarazzo e pure di caldo, cotto a puntino sulle guance, però sembrava... innocuo, ecco, posare per un istante i polpastrelli sul suo mento. Lo fece dunque.
 
«Come pensavo: sei esattamente come noi, neanche un peletto! Inutile che ti vanti tanto!»
 
«Oh no, tesoruccio! Innanzitutto come voi questo grandissimo cazzo, dato che tu, mio piccolo Eds, sarai l’ultimo ad avere dei peli sulla faccia, sempre che li avrai, e poi devi sentire meglio! Se ci posi sopra le labbra te ne accorgi!» Ridacchiò.
 
Ecco, sta facendo di nuovo il coglione. Lo fa di proposito!
 
Così imbronciato, Eddie era comunque adorabile agli occhi del Tozier. Quello si puntellò il mento con due dita.
 
«Forza, amore, aspetto il mio bacinooo!»
 
«Io non ti bacio!»
 
«Mi stai rifiutando in questo modo?! Oh miei dèi, santissime divinità del cielo e della terra, ma non scordiamoci quelle dell’acqua!, il mio tesoruccio si sta sul serio rifiutando di baciarm-»
 
Un calcio in faccia lo zittì... per un attimo solo.
 
«Ahi...» Diceva? «Si sta rifiutando di baciarmi?! Che triste sorte è questa per...»
 
«Stai zitto, Richie!!!»
 
Gli schiamazzi terminarono circa un minuto dopo, quando Stacey prese la parola: «Andiamo, Eddie! Non la finirà finché non gli darai un bacino! Che ti costa?»
 
«Non ha tutti i torti...» fece Mike, divertito.
 
«BAAAAAACIOOO, BAAAACIOOOO!» Fu Stacey a far partire il coro che fece arrossire Eddie fino alla punta del naso. Anche Richie decise di prendere parte a quel coretto.
 
«Andatevene tutti a ‘fanculo!» borbottò il castano, allontanandosi il più possibile da Richie, ma sempre restando sull’amaca.
 
«Perché non me lo fai tu il culo, Eds?» gli venne chiesto maliziosamente, una delle solite prese in giro.
 
«Dai, Eddie!» insistette Stacey mentre qualcun altro rideva.
 
Beverly, che aveva osservato il castano per tutto il tempo, attese un altro istante ancora e poi concluse: «Lasciatelo stare!»
 
Però poi parlò Stan. Una provocazione che nessuno si aspettava, ma doveva essere stanco del ritardo evidente dei due idioti. Disse: «Eddie è troppo orgoglioso per fare una cosa del genere.»
 
Aveva ragione! Ma era così orgoglioso da volergli andare contro per provare di non esserlo! Tutti stentarono a crederci allora quando Eddie andò a posare un bacetto sul mento di Richie – tutti tranne Stan, aspettandosi esattamente quella reazione, finalmente sereno perché nessuno più avrebbe gridato.
 
 
*
 
 
Dopo due lunghi e grigi giorni di pioggia, finalmente il sole era tornato. Eddie aveva concluso i suoi compiti per casa, aveva usato il telefono per chiamare Richie e chiedergli se in settimana potesse davvero dargli quelle ripetizioni di matematica di cui avevano parlato e quello aveva accettato. Si era infilato in fretta il giubbotto, aveva dato un bacino a sua madre ed era uscito di casa. Ora aveva appena smesso di pedalare, quindi lasciò cadere la bici sul vialetto e guardò verso casa Tozier. La porta si stava aprendo proprio in quel momento, attese un istante e vide uscirne fuori Richie con alcuni attrezzi: sicuramente suo padre gli aveva dato qualche lavoretto da fare in cambio di qualche soldo per comprarsi l’ultimo pacchetto di sigarette prima della partenza per la settimana bianca.
 
«Eds!» Gli occhi di Richie si illuminarono non appena vide l’amico. «Che sorpresa! Che ci fai qui?»
 
«Hey, Rich!» Il sorriso con cui Eddie lo salutò era stra-carino, però era strano che il ragazzo non si fosse avvicinato. «Giusto una visita!» mentì, lasciandolo confuso. Gli piaceva quando Richie aggrottava la fronte e si sentiva una fighetta a pensarlo. Gli piaceva anche di più quando si aggiustava gli occhiali in maniera un po’ impacciata sul naso.
 
«Oh... beh, è sempre un piacere! Adesso dovrei tagliare... ecco... l’erba per papà...» Ma posso farlo dopo! Continuò così la frase nella testa di Richie. «Oggi è particolarmente generoso, ha detto che è disposto a darmi il doppio se la faccio bene! Che cazzo di culo, eh? Ma se vuoi...»
 
«Non ti preoccupare!» lo interruppe Eddie, ancora lontano, capendo come avrebbe proseguito Rich. «Tanto ho da fare! Ci vediamo domani, okay?»
 
«... eh?» Ma non era venuto lì per lui? Che voleva dire che aveva da fare? E perché cazzo sorrideva in modo così fottutamente adorabile? «No, ma guarda che posso sempre-»
 
«Sì, con Stacey! Dobbiamo sbrigare alcune cose, sai...!»
 
Che cazzo?! si domandò il corvino. Lo shock gli procurò dell’evidente ritardo, perché Eddie fu abbastanza veloce da salutarlo con un dolce A domani, Rich! prima di andare a bussare alla porta di Stacey.

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Capitolo 11
*** Houston, abbiamo un problema! ***


Houston, abbiamo un problema!

 
Si narrava di un regolamento non scritto da rispettare per qualunque adolescente volesse sopravvivere a quel luogo abbandonato da Dio chiamato “scuola”, riguardante per tre quarti il fatidico primo giorno – con chi parlare e a quale banco sedersi, per esempio, per fare immediatamente bella figura ed evitare di diventare vittima di bullismo per i prossimi infernali anni. Stacey non ci credeva a queste leggende, le era sempre stato insegnato dalla sua adorabile madre che per fare veramente amicizia non ci si doveva fermare mai alle prime impressioni e soprattutto non bisognava fingere di essere chi non si era: sii te stessa, Stacey. Vai benissimo così, col tuo gioioso sorriso, la tua intelligenza e le tue passioni che ti rendono la persona più interessante che io conosca. Ti farai tanti amici, vedrai.
 
Il primo giorno di scuola si sedette al primo banco, quello davanti alla cattedra, e di fianco le capitò una compagna con una sindrome di cui non conosceva il nome. L’unico nome che riteneva importante conoscere, in fondo, era quello della ragazzina.
 
«Ciao!» Le rivolse il sorriso migliore del suo repertorio e le porse la mano. «Sono Stacey!» Attese lunghi secondi e in nemmeno mezzo di quei secondi il suo sorriso si spense. Attese, paziente, fino a quando non comprese che la compagna non fosse in grado di rispondere. Le sorrise ancora di più e fu stesso lei a posare il palmo su quello della ragazzina per stringerla calorosamente. «È un piacere!»
 
Con quello stesso sorriso ammirò l’intera classe, una ventina di ragazzini scalmanati, non più nella pelle di vivere con loro nuove esperienze. Si disse che durante l’intervallo avrebbe fatto conoscere la sua allegria e le sue passioni a tutti. Per il momento doveva stare seduta al suo posto, l’insegnante era appena arrivata e si stava già presentando.
 
«Sono la signorina Kibbon!» cominciò con un tono più severo di quanto ci si potesse aspettare. «Silenzio!»
 
Silenzio fu la prima cosa che la signorina Kibbon disse, Stacey non l’avrebbe mai dimenticato. Come non avrebbe dimenticato i suoi compagni di classe che alla prima ora del primo giorno di scuola disturbavano la lezione, indisciplinati come non mai. Non avrebbe mai dimenticato Phineas Lewis con quel suo non richiesto mi scusi, signora, ma si studia già da subito? È il primo giorno! e non avrebbe mai dimenticato il secondo Silenzio! della Signorina, ragazzo, non signora!
La signorina Kibbon porse alcune domande di cultura generale alla classe per verificare il loro livello di conoscenze e l’unica che riuscì a rispondere fu Stacey. Fu allora che volò il primo Secchiona! Le prime risa alle sue spalle. Però Stacey non si offendeva, non ancora. Durante l’intervallo raggiunse un gruppetto misto di compagni in un angolo della classe per fare amicizia, ma venne ignorata fino al momento in cui uno di loro chiese se non fosse la secchiona. Quando gli altri risero, lo fece anche lei, allora la considerarono strana e se ne andarono in massa verso la macchinette. Stacey non si perse d’animo e raggiunse il secondo gruppetto della classe formatosi, erano tutti ragazzi. Chiacchierarono un po’, ma nessuno sembrava interessarsi ai gusti di Stacey: lei amava leggere, loro dei libri guardavano soltanto le figure, per dirne una. Però se diventi nostra amica ci fai copiare! Stacey rispose di non aver mai detto di eccellere a scuola, allora loro dissero quindi non ci servi. Ormai mancava soltanto un minuto alla fine della ricreazione e doveva ancora andare in bagno, ma Stacey non era riuscita ancora a farsi un singolo amico e non poteva non riuscirci, non poteva proprio. Vide alcuni ragazzini in disparte, ognuno per conto proprio, e un gruppo tutto al femminile vicino alla finestra – il tempo era troppo poco e sembrava più semplice puntare al gruppo più numeroso, così andò dalle ragazze. Una di loro fece scoppiare la propria gomma da masticare in faccia a Stacey e le chiese, senza neanche ricordare il suo nome, ma tu non lo sai proprio cosa sono i rossetti? deridendola. In fin dei conti era l’unica ragazzina struccata! La campanella suonò. Quel giorno nessun coetaneo le rivolse altre parole fino a quando, alla fine, Phineas Lewis non le urlò per strada Secchioooona! insieme ad altri due. Sospirò, ricordandosi che il seguente sarebbe stato un nuovo giorno e sarebbe andato meglio.
Il secondo giorno qualcuno le lanciò una pallina di carta tra i capelli e lei ne rise.
Il terzo giorno la pallina di carta divenne una gomma di masticare.
Il quarto giorno quasi tutti già appartenevano ad un gruppo, mentre Stacey riceveva sorrisi soltanto dalla sua compagna di banco.
Il quinto giorno le si avvicinò Adam Bay.
 
«Vuoi fare cambio di posto?» le chiese lui. Stacey non si aspettava che qualcuno le rivolgesse la parola e pensò che se per fare amicizia bisognasse fare un favore ad Adam Bay, allora...
 
«Dove sei seduto?»
 
«No, non con me!» Scosse la testa. «Con Fred!» Il suo compagno di banco. Quarta fila, sulla sinistra. Stacey aprì la bocca per rispondere, ma lui continuò. «Non mi piace, parla troppo durante le lezioni e poi non sa neanche che materia sia l’epica, ma dai.» Si strinse nelle spalle. «A te invece ho visto che piace l’epica.»
 
«Wow, da adesso guarderò Fred Clarke con occhi diversi! Sicuro non con gli occhi dell’epica!» Ne rise lei. «Certo che mi piace l’epica e potrei anche spostarmi, ma... aspetta... siamo sicuri che lui sia d’accordo? Insomma, prima fila?!» Sperava in un sì, sperava dannatamente in un sì.
 
«Boh. Non gliel’ho chiesto.»
 
«...»
 
«...»
 
«...»
 
Scoppiarono a ridere nello stesso momento.
 
«Okay, fa niente, poi lo chiedo a qualche professore di cambiarmi di posto dicendo magari che non vedo, così non mi possono dire di no. Sono furbo, io!» Adam Bay poteva anche essere un po’ bruttino, col viso ricoperto d’acne, gli occhiali storti ed un mento grosso quanto una montagna, i capelli d’un rosso troppo opaco per risultare un minimo figo, ma a Stacey sembrava simpatico, le piaceva. «Allora nel frattempo se ti sta bene siamo compagni di banco solo in biblioteca!»
 
«Assolutamente, Furbo!»
 
Quel giorno Stacey e Adam Bay divennero amici. Il sesto giorno fu migliore con lui e così i successivi, nonostante le cose non fossero cambiate col resto della classe. Dopo un mese Stacey aveva compreso che tutte le ragazzine ridessero di lei perché non aveva un filo di trucco in viso, la chiamavano però l’amica dell’handicappata e dello sfigato, mentre i ragazzi la chiamavano secchiona – e poteva accettarlo, in fondo, perché non era sola. Faceva la sfigata con Adam Bay e le andava bene, lui era suo amico, il suo unico vero amico.
 
Qualche mese dopo venne l’ultimo dell’anno.
 
«Divertiti!» le disse Adam Bay in telefonata quel pomeriggio. «Domani chiamami così mi racconti quanto ti sei divertita!»
 
A Capodanno però Stacey non fece nessuna chiamata. I fuochi d’artificio difettosi esplosero tra le braccia di sua madre.
 
Il quinto mese di scuola fu un inferno. Phineas Lewis non fece alla sua compagna le condoglianze, peggiorò solo la situazione chiedendole quanto fosse stato deficiente suo padre a non vedere che fossero difettosi quei dannati fuochi d’artificio. Che padre coglioneee! Un giorno così farà morire pure te, secchiona! Stacey non gli aveva mai risposto, chiusa in se stessa.
 
«Quando è scoppiata in aria i fuochi erano colorati?» domandò l’ultima volta Phineas Lewis, senza un briciolo di sensibilità verso di lei ed il suo lutto, ma con le scatole rotte di essere ignorato da quella sfigata.
 
Da allora iniziarono i disastri.
 
 
*
 
 
Stacey aveva un piano, ma anche Eddie ne aveva uno. Beh... circa. Aveva avuto giusto qualche ora per idearselo, quindi era consapevole che non fosse chissà che, però era sempre meglio di niente. Se la brutta stupida pensava che l’avrebbe fregato in questo modo, si sbagliava di grosso. E se pensava che avrebbe fregato anche Mike... Oh, nessuno prende in giro i miei amici!
 
«E quindi questa è la casa!» concluse così il giro turistico, chiudendo la porta della propria stanza una volta che entrambi furono dentro.
 
«È carina!» ammise Eddie, camminando per la stanza ed osservando nei dettagli ogni oggetto che questa conteneva – alla ricerca di qualche dettaglio che potesse fregarla, alla ricerca della minima, la più piccola, minuscola prova che ci fosse del marcio in lei. Perché doveva esserci per forza. «E anche tuo padre non sembra male! Pare un tipo a posto.» Più che a queste parole, però, Eddie era attento in quel momento alle fotografie incorniciate poggiate sulle mensole e appese al muro.
 
«Naturale, mio padre è un grande! Da chi credi io abbia preso?»
 
«Lei invece è tua madre?» domandò quando vide la ragazzina in posa accanto ad una donna molto simile a lei. «Ti assomiglia un sacco!»
 
«Mi assomigliava.» lo corresse Stacey, mettendo su un sorriso debole che doveva voler dire no, tranquillo, non dire che ti dispiace. Però Eddie lo disse lo stesso.
 
«Oh...» Cazzo, figura di merda! Si sentì tremendamente a disagio, ma nonostante questo dovette voltarsi verso Stacey. «Giusto, scusami, io... mi dispiace, non-»
 
«Tranquillo, Eddie.» rassicurò lei. «È successo un anno fa, non ti preoccupare.»
 
Un anno è molto poco, considerò lui.
 
«Me ne ero scordato, cazzo.» disse più a sé per rimproverarsi che a lei, scuotendo la testa. «Era molto bella, comunque. Anche mio padre è morto.» Gli sembrò giusto dire di essere nella sua stessa barca, così magari dimenticava la sua figuraccia. Stacey però non commentò la cosa, non gli chiese neanche quando fosse successo, invece scosse la testa per far capire che non ci fosse bisogno di parlarne. Allora lui si concentrò sugli altri oggetti. Libri, libri, libri, ancora foto, libri... «Non ce li hai dei poster?»
 
«Mh?»
 
«Sì, che so, non ti piacciono i New Kids on the Block? Ben ha un poster loro sulla porta! Lo abbiamo scoperto un giorno mentre stava in bagno!»
                                                                              
«Non sono tipa da poster!»
 
Sì, beh, non sei proprio tipa da New Kids on the Block perché non ti piacciono, in realtà.
 
Eddie mise il naso più o meno ovunque, persino tra i suoi rossetti, e dopo cinque minuti in cui l’aveva lasciato fare Stacey cominciò a stufarsi.
 
«Hai finito, Eddie-Freddie?! La questione-Mikey aspetta solo te!»
 
«Ho finito!» concesse, andandosi a sedere a gambe conserte sopra il letto, proprio di fronte a Stacey, che era nella stessa posizione. Ovviamente prima si era tolto le scarpe. «Ma prima ho delle domande da farti!»
 
Stacey sbiancò – e fece bene, dato che quello di Eddie sembrava più che altro un interrogatorio.
 
«Non vorrai farmi il terzo grado?»
 
E invece... era proprio così!
 
Dopo venti – cazzo – di – minuti era ancora alla domanda... «E cos’è che ti piace di lui?»
 
«Questo me l’hai già chiesto prima!» esclamò esasperata.
 
«Ah sì?» Il naso all’insù, Eddie fece il finto tonto. «Non me lo ricordo. Che avevi risposto?»
 
Se lo ricordava benissimo. Aveva detto: naturalmente adoro i suoi muscoli! Scherzo, scherzo, però quelli mi piacciono davvero. Beh, non so, si tratta di piccole cose. Mi piace il modo in cui si interessa alle storie che gli racconto, anche se appartengono ad un genere che non è il suo – e oh! Credo sia assolutamente affascinante come sappia davvero collocare ogni storia al suo... posto, riesco a spiegarmi? E pooooi, Eddie-Freddie, ha quegli occhi color cioccolata cheeeee aaaaaahh!!!! Sono belli belli belli! Ed è tenero come mi guarda.
 
«Tenero come ti guarda...?» aveva chiesto Eddie.
 
«Beh, sì. Come se un po’ gli piacessi. Ti è mai capitato? Nessuno ti ha mai guardato con gli occhi dell’amore?»
 
Eddie ci aveva pensato su e alla fine aveva scosso il capo, a qualsiasi conclusione fosse arrivato.
 
Stacey sbuffò.
 
«Ho detto che mi piacciono i suoi occhi e direi che in generale fisicamente mi piace tutto! Su, Eddie: Mike è molto carino! Non credi?!»
 
Arrossì. Naturalmente non aveva alcuna cotta per Mike, ma Eddie restava comunque un ragazzo omosessuale che si spacciava per eterosessuale, in questo modo si sentiva come sul punto di essere scoperto: doveva saperlo se Mike fosse carino o meno?!
 
«Suppongo di sì... perché lo chiedi a me?!»
 
«Ci sei tu soltanto nella stanza!» gli fece notare lei.
 
«VAI AVANTI!»
 
Stacey sbuffò di nuovo e cercò di ricordare cos’altro avesse detto. Ripeté le stesse cose e Eddie si sentì fregato. Non che fosse la fine del mondo: aveva ancora molte domande in serbo per lei.
 
«Fidanzati passati?» chiese allora.
 
«Chi sei, suo padre?!» Eddie inarcò un sopracciglio, segno che non avrebbe mollato l’osso. «In realtà l’ultima volta che sono stata fidanzata ero in prima media, cazzo!»
 
«Quindi prima di Richie e dopo la prima media non avevi baciato nessun altro?!»
 
«Frena, Eddie-Freddie, frena! Hai parlato di fidanzati, non di baci!» Il che lo incuriosiva. «L’ultimo bacio l’ho dato al mio migliore amico della vecchia scuola. Mike me lo ricorda molto, tranne per l’aspetto.» Questo era vero, ma Eddie come poteva esserne certo?
 
«Come si chiamava?» chiese, semplicemente curioso e non perché fosse fondamentale per il suo piano. Ne sapeva qualcosa dell’innamorarsi del migliore amico...
 
«Adam. Adam Bay.»
 
«Cos’è successo poi?»
 
Era successo che se qualcuno avesse scoperto che una sfigata aveva baciato uno sfigato, immediatamente sarebbero diventati lo zimbello della scuola, e Phineas Lewis li aveva scoperti. La coppia di bradipi era il più carino dei soprannomi che avevano, il peggiore non voleva neppure ricordarlo.
 
«Che io non gli piacevo. Non mi guardava con gli occhi dell’amore.» mentì stringendosi nelle spalle. Eddie sentì una nota amara in queste parole e non riuscì a proferire parola. «Fa niente, magari con Mikey mi va meglio. Se no, non sarà comunque la fine del mondo, dico bene?»
 
«Dici... dici bene!»
 
Trascorsero tre lunghe ore assieme su quel letto a parlare e Eddie non riuscì proprio a scoprire quale segreto lei nascondesse, solo quali mosse avesse in mente per conquistare il suo amico senza ingannarlo. Forse la prossima volta avrebbe dovuto studiare un piano più accuratamente. La parte più impulsiva di lui gridava DILLE COSA SAI! DILLE CHE L’HAI VISTA CON GRETA, ma non poteva permettersi di fare errori, non quando Stacey si era fatta amici tutti i Perdenti.
Qualche ora più tardi, dopo essersi affacciato alla finestra e non aver trovato il suo amico di fronte, usò la scusa che sua madre lo stesse aspettando per abbandonare la tana del nemico. Venne accompagnato alla porta e lì salutato. Restò in quel vialetto per poco più del dovuto a fissare casa Tozier ancora una volta, in sella alla propria bici, poi cominciò a pedalare. Richie doveva aver finito da un pezzo di tagliare l’erba per suo padre.
 
 
*
 
 
«Pensavo di piacerti!»             
 
Adam Bay le piaceva molto e non perché lo trovasse carino, non perché fosse il più divertente dei ragazzi della loro età, non perché avessero in comune l’amore per la lettura e neanche per tutte le altre similitudini, alla fin fine. Adam Bay le piaceva molto perché era vero, perché non aveva avuto pregiudizi nei suoi confronti e soprattutto perché c’era sempre stato. In qualsiasi momento, come un’ancora, era lì per lei e la salvava con la sola presenza, col solo affetto che le dava, con l’ascolto che le riservava. E non era solo l’ancora, era anche il timone, era la vela, era l’intera nave. Anche se non era la nave più forte dei mari, la più grande, potente e resistente. E il mare era agitato, Stacey lo sapeva, l’onda di Phineas rischiava di buttare giù la nave, però non ci riusciva mai, la nave non era affondata, non ancora, ma...
Ma c’era uno scoglio.
Stacey pensò allo scoglio, poi alla nave, ancora allo scoglio infine. Allora cambiò idea.
Adam Bay non era la nave. Adam Bay era lo scoglio, lei la nave, e anche se il mare era in tempesta, lei sarebbe sopravvissuta senza quel cazzo di scoglio. Perché non era uno scoglio su cui riposare, su cui salvarsi dalla tempesta, era uno scoglio contro cui schiantarsi. E lei doveva cambiare rotta. Niente scogli. Niente Adam Bay.
 
«Non lo senti quello che dicono?!» Tutto quello che dicevano ormai da un po’ su di loro, qualcosa che la buttava più giù di quanto non volesse. Aveva già i suoi cazzo di problemi da quando sua madre era morta, non serviva quel bullismo gratuito da parte dei suoi compagni di classe. Un amico sì, quello serviva, ma se anche il suo amico era preso di mira, allora che aiuto poteva darle? Non aveva bisogno di qualcuno che la spingesse più a fondo, non aveva bisogno di qualcuno che cadesse con lei, credeva; aveva bisogno di qualcuno che la salvasse, e forse piuttosto poteva salvarsi da sola. Non lo senti quello che dicono?! Forse così suonava come una debolezza. Si corresse: «Non senti quello che dicono su di te? Non ti accorgi di quanto vero sia, di quanto tu sia un cazzo di perdente? Dovrei stare con te? Ma in quale universo, Bay?» Non lo chiamava mai Bay. Lui era Adam, solo Adam, il suo Adam.
 
Il non più suo Adam dal cuore spezzato. E piuttosto incazzato, anche.
 
Quel giorno, oltre che un amico, un tesoro, un amore, Stacey perse se stessa. La cosa peggiore era che proprio su quella se stessa che aveva perso lei aveva deciso di fare affidamento.
 
 
*
 
 
«Hai finito, Tozier?» chiese uno Stan meno disinteressato di quanto sembrasse. «Avevo appena pulito, se continui a marciare dalla finestra alla scrivania con quel sudiciume sotto le scarpe dovrò rifare tutto.»
 
«Io non capisco!» sbuffò Richie, ignorandolo. «Che stracazzo ci faceva Eddie a casa di Stacey?!»
 
Stan fece roteare gli occhi, desiderando di non aver mai ricevuto la confessione del corvino riguardo i suoi sentimenti per il Kaspbrak.
 
«Porca puttana! Voglio dire, ottieni il permesso di uscire e vai da Stacey?! Cosa avrà avuto di tanto importante da fare con Stacey anziché con me?!» Non la smetteva di gesticolare, ma al prossimo braccio che rischiava di sbattere contro la lampada Stan lo avrebbe ucciso sul serio.
 
«Credevo che non ti preoccupassi troppo di Stacey. È nostra amica.» Stan non aveva mai ammesso di fidarsi ciecamente della ragazza, però sino a quel momento lei non li aveva traditi e Eddie, dopo quel pomeriggio trascorso il giorno precedente in sua compagnia, si era comunque presentato a scuola in mattinata. Perciò non l’ha ucciso, finiva così il suo ragionamento. Non l’ha ucciso... purtroppo. «Sicuramente più amica tua che di Eddie.» Effettivamente questo gli sembrava strano: a Eddie non piaceva affatto Stacey, lo aveva ammesso più volte agli inizi.
 
«Questo che vorrebbe dire?»
 
Sì, lo aveva ammesso... in assenza di Richie, più che altro.
 
«Che non credo Eddie faccia i salti di gioia perché Stacey trascorre le giornate con noi.» ammise saggiamente.
                                       
«Ma che vai dicendo, Urina?! L’altro giorno ad una certa Stacey si è mezza sdraiata addosso a Eddie, porca vacca!» E mica si è spostato, quel figlio di puttana!
 
«Prima che tu dicessi che toccasse a Stacey stare sull’amaca. Era il mio turno, Richie.»
 
«Eppure non ti sei opposto!»
 
Stan alzò gli occhi al soffitto per pregare. Richie non si aspettò alcuna risposta solo perché sapeva che l’amico le avesse concesso l’amaca per aiutarlo. Stan era sempre avanti a tutti, un grande, proprio un grande.
 
«Stavolta te lo chiederò: sei geloso?» Credette necessario specificare: «Di Stacey, non Eddie.»
 
«Via, Stanley, che vai pensando! E poi a Eddie non può piacere Stacey! Ti pare!»
 
«Allora è tutto a posto.»
 
«No, cazzo!» Diede un calcio alla sedia. Di Stan. Ricevette un’occhiata orribile. «Scusa.» fece prima che quello potesse dire qualsiasi cosa. «È che... era proprio lì, davanti casa mia, e il coglione... il coglione che fa, va da lei!?! Fine?!»
 
«Ti sei sentito messo da parte.» Non era una domanda, a Richie lo sembrò invece.
 
«Figurati. Cioè, un po’, va beh, è che, chiariamoci, Eddie può fare quello che vuole, però poteva fermarsi anche solo due minuti con me, cazzo!»
 
«Non era una domanda.» Ecco la precisazione in ritardo. «Ti sei sentito messo da parte.» concluse perciò di nuovo. E pensare che secondo Stan fosse soltanto Eddie quello che voleva costanti attenzioni...! «Siete proprio fatti l’uno per l’altro.»
 
 
*
 
 
Una delle parole che più terrorizzavano Eddie iniziava con E e finiva con sami. C’era qualcosa, però, di ancora più terrificante: gli amici che parlavano degli esami. Cazzo, pensava ogni volta, non potete evitare, prima che mi venga un attacco di panico?! Quel giorno in mensa i Perdenti non parlavano di esami, ma di qualcosa che gli procurava lo stesso livello di ansia: la gita. Discutevano di quanto sarebbe stato divertente partire con l’insegnante di educazione fisica e quella di biologia, ora che finalmente era stato trovato il sostituto per il secondo accompagnatore, dato che a quanto pareva non era solo Richie a immaginare una love story tra i due, ma tutti quanti. Quella conversazione in realtà era anche abbastanza leggera, però bastava la parola gita a ricordare a Eddie che non avesse ancora risolto il problema del pagamento. Perché ovviamente sua madre della gita non sapeva proprio niente, non si era fatto scoprire, ma i soldi da utilizzare potevano essere solo i suoi. Che casino, che casino, che casino.
 
«P-pensate capitare nella s-stanza di fianco alla loro, i-in a-a-albergo!» rise Bill.
 
«Mi permetta, le insegno questa posizione che ai miei alunni piace tanto!» aveva osato Richie, imitando la voce del professore di educazione fisica. «In particolare al signor Kaspbrak!»
 
Decisamente: Eddie non era in vena di battute. Ormai mancavano soltanto cinque giorni alla partenza ed il bollettino doveva essere pagato, cazzo. Possibile che fosse talmente codardo da non riuscire a mettere mano sulla carta di credito di sua madre per un prelievo di soldi? O direttamente sui contanti? Se ne accorgerà, diavolo, ovvio che se ne accorgerà.
 
«Con tutti i soldi che spende per le tue medicine, secondo me non se ne accorge, Eds.» aveva provato a rassicurarlo Richie l’altro giorno, ma non era stato abbastanza convincente. Effettivamente neanche il corvino sembrava molto convinto della cosa, si trattava comunque di abbastanza soldi, cifre come trecento, non dieci, venti.
 
«Dobbiamo proprio parlarne mentre mangiamo?» chiese Ben, troppo disgustato dalla scena che si era immaginato per finire il suo pranzo. Anche Stan lo era, infatti aveva già abbandonato la forchetta nel piatto.
 
«Covone caro, anche quei due mangiano qualcosa in fondo!» sghignazzò il Tozier. «Una il pisello e l’altro...!»
 
«Richie!» lo rimproverò Beverly, ridendo. «Beep-beep!»
 
«Sì, b-beep-beep, Richie!» l’appoggio Bill.
 
«Sì, bravi, zittite il povero Richie, proprio voi due che ci andate dentro come conigli! Il dio di Stan vomiterebbe solo a vedervi!» Tentarono di interromperlo, ma Richie continuò. «Oh, ma non temete: più fate gli sporcaccioni, più rendete fiero lo zio Richie!»
 
Stacey nel frattempo diede una gomitata a Eddie, distraendolo dai suoi pensieri e catturando anche l’attenzione del corvino. «Eddie-Freddie?» lo chiamò piano e lui alzò il volto verso il suo. Stacey prima gli sorrise, poi si piegò lateralmente verso il castano per sussurrargli all’orecchio: «Ci sono novità con Mikey.»
 
Eddie non ne voleva sapere niente, non prima di aver scoperto cos’altro avesse in mente quella brutta stupida, ma era sempre meglio quel racconto che sentir parlare della gita.
 
«Mh mh?» la esortò a continuare e lei gli narrò alcuni fatti. A metà racconto Eddie si chiese se non stesse sbagliando, se la stesse lasciando fare un po’ troppo, mettendo così in pericolo Mike – Stacey aveva usato la parola flirtare, era preoccupante.
 
Richie non aveva più parlato per tutto il tempo, fissando il comportamento losco dei due. Al termine del pranzo però la sua Boccaccia era già riaperta.
 
«Ho controllato la mia agenda, sono libero oggi pomeriggio!» fece a Eddie.
 
«Per cosa?» domandò lui, confuso.
 
«Per le ripetizioni di matematica!»
 
«Oh!» Giusto! «In realtà... Rich, non lo so più se posso...» Ho troppe cose per la testa, tentò di dirgli con la sola preoccupazione che aveva negli occhi, e Richie lo capì perfettamente.
 
Proprio perché lo capì perfettamente, dandogli una bella pacca sulla schiena, Richie rispose: «Certo che lo sai, Spaghetti! Ci vediamo alle quattro a casa tua!»
 
«Ma-»
 
«Ah-ah: non hai scuse! Camera tua è il posto preferito di tua madre per te, tesoruccio, sono abbastanza sicuro che ci puoi stare, anzi, ci devi stare!» Tradotto: non inventare scuse del cazzo. Tradotto ancora: lascia che ti distragga io, Eds.
 
Stavolta lo capì perfettamente, così dopo un piccolo tentennamento Eddie annuì.
 
 
Quel pomeriggio, puntuale come non lo era mai stato, Richie si presentò a casa del suo amico.
 
«La devi smettere di fare così, cazzo!» sbottò un Eddie più isterico del solito.
 
«Santo cielo!» rispose Richie con teatralità, poi abbassò la voce. «Sei in quel periodo del mese, ragazzina?»
 
«Fottiti, Rich!» Lo spintonò. «Ti ho detto che mamma era andata a fare la spesa, potevi pure entrare dalla porta di casa per una cazzo di volta invece di sembrare un fuggitivo!»
 
«In teoria non sono fuggito, sono entrato! Questo mi rende un entrativo!»
 
Richie sperava sempre che le sue battute lo facessero ridere, ma ce ne erano alcune migliori ed alcune peggiori ed in fondo lo sapeva quando Eddie avrebbe riso e quando no. Dopo questa cazzata una risatina se l’aspettava, rimase deluso nel non udirla. La dolce risatina del suo malvagio Spaghettino! Non si abbatté, però, e decise di spararne un’altra buona.
 
«Spaghetti non risponde perché non è un esperto di certe cose, ohi ohi! Con tutte le volte che sono entrato dentro tua madre, una lezioncina te la posso pure dare! Peccato che io ora sia qui per altre lezioni, la chiamavano fisica...!»
 
«Matematica.» lo corresse Eddie, spazientito. «Sei qui per le ripetizioni di matematica, non di fisica.»
 
«Non che non ti servano pure quelle di fisica...» aggiunse a voce bassa l’altro.
 
«Va bene, fottiti, okay?! La porta è quella!» La porta, non la finestra. La indicò. «Magari è il momento giusto perché tu impari ad usarla!»
 
«Heeeeeey, hey.» Richie lo fronteggiò e si fermò ad un passo da lui, quindi abbassò la voce e la testa verso il più basso. Anche Eddie aveva la testa e perciò lo sguardo bassi. «Qualcuno qui è molto agitato.» Improvvisamente si sentì agitato anche lui, era sempre nervoso quando trattava con Eddie con modi più seri, senza fare battute. Il castano era uno dei suoi migliori amici e lo conosceva, Eddie lo conosceva più di quanto forse si conoscesse Richie stesso (beh, tranne per un piccolo dettaglio, il suo piccolo, sporco segreto) eppure era comunque difficile togliersi la maschera da clown. Si aggiustò gli occhiali sul naso.
 
«Sì, Rich.» Il sospiro di Eddie fu profondo abbastanza da convincere Richie a rimanere senza maschera, almeno finché necessario. Sdrammatizzare era okay, ma in fondo non voleva essere considerato un vero e proprio stupido, non voleva che Eddie cercasse aiuto altrove solo perché lui era troppo coglione per prenderlo sul serio. Il castano cambiò tono, ma il fatto che più che arrabbiato con Richie o col mondo ora sembrasse stanco non tranquillizzò l’amico. «Ho proprio in questo momento l’occasione di prendere i soldi di mamma per la gita e invece me la faccio sotto. Non ci riesco.» Avrebbe potuto alzare lo sguardo su Richie e ritrovarselo maledettamente vicino, invece non gli capitò di farlo, indietreggiò di un paio di passi e si mise sul letto in maniera scomposta. «Io non sono un ribelle come te, non ci posso venire a questa cazzo di gita. Magari nella prossima vita.»
 
Richie sembrò profondamente offeso.
 
«Non sei un ribelle come me?!» Mai frase tanto falsa era arrivata alle sue orecchie. «Giovincello!» fece con una Voce che Eddie non cercò nemmeno di riconoscere. «Tu sei l’essere più trasgressivo che io conosca!» Gli mise una mano sulla schiena – inizialmente doveva essere una veloce pacca, ma il suo palmo non volle saperne di staccarsi dalla maglia ben stirata del più piccolo. «Vogliamo scherzare? Tu prendi il sole con la protezione cinquanta, Eduardo! Cinquanta! Anziché cento!»
 
Stupido, si ritrovò a pensare Eddie mentre gli scappò una risata alzando gli occhi scuri per incontrare lo sguardo di Richie.
 
«E tua madre vuole che usi la protezione duecento! Questo è l’atto di ribellione più sensazionale che io abbia mai visto!»
 
«Rich-» provò ad interromperlo Eddie invano.
 
«Vogliamo parlare di quella volta, signore e signori, di quella famosissima volta in cui in piscina mamma Kappa ti ha vietato di tuffarti dal trampolino e tu, mio piccolo mascalzone, lo hai fatto proprio davanti ai suoi occhi?!»
 
«Pensavo che non mi vedesse...»
 
«Oh sì! Qual era stata la scusa? L’avevo scambiata per un’altra signora! Bazzecole, piccolo figlio di puttana! Punto primo, ogni figlio che si rispetti sa riconoscere la sua adorabile mammina e punto secondo... come cazzo si fa a scambiare tua madre per un’altra donna?!» Eddie pensò che stesse per arrivare una battuta su quanto sua madre fosse grassa, invece... «La mia Sonietta è unica! Sono profondamente offeso, povero l’amore della mia vita, sigh!»
 
Eddie rise un’altra volta, più debolmente.
 
«Okay, Richie, ma manca veramente poco. Si parte tra quanto, cinque giorni? I professori mi ricordano di portare i soldi a tutte le ore, se non li porto domani sono praticamente finito...»
 
«Allora tu li porti domani!»
 
«Ma come?! Non so dove mettere le mani, anzi lo so, ma se poi mamma mi scopre?! Mi mette in punizione per tutta la vita! E se mi disereda?! E se non mi dà mai più la paghetta?! E se-»
 
«Respira, ragazzo!» Richie lo bloccò per le spalle, guardandolo dritto negli occhi e sperando in cuor suo che l’amico potesse davvero calmarsi soltanto essendo guardato tanto intensamente. Ambiva a troppo, decisamente. «Tua madre non ti diserederà, ama troppo il suo pisellino per fargli un torto simile! E poi che dovrebbe lasciarti in eredità? Le medicine? Una misteriosa collaborazione con una ditta che fabbrica inalatori di cui ancora non sai l’esistenza?»
 
Eddie sapeva che Richie aveva ragione: al massimo sua madre lo metteva in punizione, quindi in prigione dentro casa, solo per proteggerlo. Però non si sentiva ancora tranquillo.
 
«Sì, ma è un furto, capisci! Sono soldi rubati! Tanti soldi rubati!»
 
«Presi in prestito! Glieli restituirai fino all’ultima monetina e pure con gli interessi se preferisci! Ma meglio senza interessi, se ti avanza qualcosa ci facciamo un gelato.» Comunque! «E poi è tua madre, cazzo! Te li darebbe i soldi della gita!»
 
«Gita a cui nemmeno mi manda.» gli fece notare Eddie.
 
«Dettagli, Eds! Futili dettagli! Ora, se permetti, io e te ci mettiamo a giocare alle spie, d’accordo?»
 
«Non abbiamo più dieci anni.» ricordò il castano, non riuscendo a comprendere cosa avesse l’altro per la testa.
 
 
“L’altro”, però, rispose con un ghigno. «Oh, lo so bene!» Un ghigno indecifrabile. «Ma a te piaceva da matti giocare a fare le spie!»
 
«Veramente non era neanche il mio gioco preferito!» ribatté il guastafeste.
 
Richie lo ignorò e mimò una pistola con le mani, poi furtivo si mosse verso una delle pareti della camera dell’amico.
 
«Che cazzo stai facendo?»
 
Non gli rispose, ma si guardò intorno come ad assicurarsi che nessuno potesse vederlo e mosse alcuni passi laterali con la stessa pistola ancora “carica”.
 
«Richie?!» insisté Eddie, avendo però un’idea di cosa avesse in mente, adesso.
 
«Sssh!» lo rimbeccò quello. «Sono in missione, Agente 00-nano!» sussurrò, facendogli sbuffare una risata.
 
«Non ti darò corda!»
 
«Ho detto sssh, agente!» insistette a voce bassa. Mise una mano sulla maniglia della porta, la aprì silenziosamente e senza far rumore controllò pure che Sonia non fosse in corridoio – pur sapendo già che non ci fosse. «Via libera!»
 
«Richie-» Ma Eddie stava già praticamente ridendo.
 
«Cosa fai?!» lo rimproverò quello con teatralità. «Devi strisciare contro i muri, cazzo! O farai fallire la nostra missione!»
 
«Mamma non tornerà prima di mezz’ora, lo sai?»
 
«Dio, Eds, abbassa la voce!» Gli stava togliendo tutto il divertimento. Poi Richie tornò nel personaggio, continuando a muoversi per casa Kaspbrak come una spia. «Proseguire, agente, proseguire! Agente 00-nano, mi sta seguendo?! Agente, mi riceve?! Cazzo! Eddie?!»
 
Così alla fine gli aveva dato corda.
 
«Forza, prendili!» fece finalmente Agente 00-occhialuto, riferendosi ai soldi che Agente 00-nano aveva sotti gli occhi. Le sue mani ancora mimavano una pistola, c’era bisogno di un’arma in caso Sonia tornasse prima.
 
Eddie continuava a chiedersi da ormai un minuto lunghissimo se ne avesse ancora per molto con quel gioco, ma espose altri dubbi: «Non lo so, sei sicuro?» Lui non lo era per niente, continuava a dirsi mamma mi ammazza, mi ammazza, mi ammazza.
 
«Io sono sempre sicuro di quello che faccio!» E invece Richie Tozier non era mai sicuro di quello che faceva. «Andiamo, sbrigati, prima che tua madre decida di tornare proprio per prenderti con le mani nel sacco! Anche se più che sacco questo è un-»
 
«Me ne pentirò, già lo so!»
 
«Esattissimissimo! Solo che questo sarà un problema dell’Eddie del futuro!»
 
«Non sei affatto incoraggiante!»
 
«Ci vuoi venire in settimana bianca sì o no?»
 
Certo che ci voleva andare in settimana bianca. Amare segretamente ed ogni giorno un amico anche senza essere ricambiato non era la fine del mondo se quello gli dava costantemente attenzioni, ma in molti momenti non era abbastanza, e certe volte Eddie aveva bisogno di speranze. La gita era una speranza, la speranza che potesse accadere a lui quello che succedeva a tutti, che potesse arrivargli la felicità come caduta dal cielo, puff, tra i monti. In fondo sarebbero stati ad una diversa altitudine... La gita era l’unica possibilità di essere con Richie altrove, appena fuori da Derry, e forse fuori da Derry lui poteva guardarlo con gli occhi di cui parlava Stacey: quelli dell’amore. Ottimistico, veramente tanto, per uno come lui. O forse non era ottimismo, il suo. Era disperazione. Ogni tanto Eddie Kaspbrak non era ottimista, era disperato. Poiché disperatamente innamorato.
 
«Certo.» rispose allora, prendendo quei soldi di cui aveva bisogno.
 
 
Mezz’ora dopo, come previsto, Sonia era a casa.
 
«Piselliiiiino!» chiamò dall’ingresso. «Sono a casa! Tutto bene?»
 
«Eccola.» dichiarò a Richie con lo stesso tono che avrebbe usato se solo avesse detto: “Eccola, la fine dell’estate”. L’arrivo di Sonia Kaspbrak, in effetti, era sempre molto poco atteso come quello della fine della stagione più divertente. (Tranne nell’anno in cui avevano sconfitto It.) «Sì, ma’, sto studiando!» aggiunse a voce più alta per farsi udire dalla camera sua.
 
«Vedo che diventi sempre più bravo a raccontare bugie alla tua mammina!» ne rise Richie, seduto... sotto di lui. Erano davanti alla scrivania, pronti da almeno un quarto d’ora a cominciare quegli esercizi di matematica che Eddie non aveva capito e l’altro invece sì, e nessuno dei due in tutto quel tempo aveva insistito per prendere un’altra sedia dalla cucina. Richie era seduto su quella di Eddie e Eddie sulle sue ginocchia, comodissimo...
 
«Guarda che non è una bugia, stiamo davvero davanti ai libri!»
 
«Infatti, ma più che i libri stai studiando i peli delle mie braccia!»
 
... e gobbo, il mento piantato sul quaderno di matematica ed il viso ad un centimetro dal braccio dell’amico a cui aveva alzato la manica e su cui stava passando un dito avanti ed indietro, giocando coi suoi peli. Richie aveva ringraziato per tutto il tempo Dio e anche il dio di Stan per non avere la pelle d’oca.
 
«È perché non ci capisco un cazzo!» sbottò quello, prima di sbuffare e di tirarsi su con la schiena. «Che palle!»
 
«Non ci capisci un cazzo dei miei peli o della matematica?» sghignazzò ancora quello.
 
«‘Fanculo.» sembrò a Eddie la migliore conclusione. Si alzò in piedi e si avviò verso la porta della sua stanza.
 
«Dove vai?»
 
«Ssh! Cerco di scoprire se mia madre sta ancora in cucina o te ne devi andare subito.»
 
«Poi ti incazzi se mi comporto come fossi un fuggitivo! Cazzo, lo sono!»
 
Una volta messo l’orecchio vicino alla porta, Eddie sentì il telefono di casa squillare. Sua madre finì di sistemare qualcosa sul tavolo della cucina e s’affrettò a rispondere. La sentì salutare la sua amica e il ragazzo sospirò – quella donna la tratteneva sempre molto tempo a telefono.
 
«Torni dal tuo maestro di matematica&peli o vuoi origliare tutta la chiamata della mia donna al telefono? Oh, guarda che se scopri che ha un amante me lo devi dire, cazzo! Nessuno mi fotte Sonia bella!»
 
Eddie lo zittì con un cenno della mano: voleva sentire se quella della madre sarebbe davvero stata una conversazione lunga o meno, di solito si capiva presto dal tono che usava, se era frettoloso oppure no.
 
Cosa mi stai dicendo?! sentì dirle.
 
«Eds, allora?»
 
Lo zittì con un altro cenno della mano.
 
No, figurati, non ho potuto accendere la tv, sono tornata appena adesso a casa!
 
«Spagheeeettiiiii!»
 
«Zitto un po’, cazzo!»
 
Richie sbuffò, ma si decise a dargli ascolto.
 
Non mi sembra affatto una novità, cara! Non mi stupisce affatto! Questo mese è la seconda notizia che sento su questi incidenti! No, certo, certo! Hai assolutamente ragione! Io per fortuna posso stare tranquilla con Eddie!
 
«Ha fatto il mio nome!»
 
«Beh, che sta dicendo?»
 
Ma Eddie rimase in silenzio ad ascoltare, attento.
 
Questi ragazzini non capiscono che questo è il loro destino, non c’è niente da fare! Ma che, non sto dicendo che hanno fatto bene a morire, per me che muoiono ora o muoiono dopo non cambia niente, tanto in Paradiso non ci finiscono comunque! Per carità, la morte non si augura a nessuno, no no! Sto dicendo che questo è comunque il loro destino, dove vai vai finisce che ti prendono e vieni ucciso di botte! Ma è colpa dei genitori, non li hanno educati a dovere! Sì, infatti, potevano portarli al prete prima che facessero questa brutta fine! Esattamente, esattamente!
 
«Beh?! Me lo dici o no?!» insistette ancora Richie, ma capì che avrebbe fatto prima a raggiungerlo e sentire lui stesso con le proprie orecchie, così affiancò Eddie e si mise ad origliare Sonia assieme a lui.
 
Vero anche questo! L’influenza che possono avere sugli altri è la cosa peggiore! L’altro giorno una birbante è venuta a casa mia ad ipotizzare che Eddie fosse quella cosa!
 
Eddie lo capì subito: gay.
 
Mio figlio non è omosessuale, santo cielo! Dovrei avrei sbagliato? No, ma te lo dico io, cara! Se non sono mode da seguire, allora è direttamente il diavolo! Gesù, mi togli le parole di bocca! Quel Richard Tozier, per esempio! La ragazzina ha messo in mezzo lui! L’ho sempre detto che fra gli amici di mio figlio il figlio dei Tozier fosse il peggiore! Eh, cara, le voci! Se scopro che non sono ipotesi, quel ragazzino in casa mia non ci entra più! No, ma che, già non ce lo voglio, ma in un modo o nell’altro ci finisce sempre! Cristo, tu dici? Dio, aiutaci tu! Benedetta donna, ma non sia mai! Mio figlio non ce li deve avere proprio gli amici pazzi! Guarda, non farmelo neanche dire per scherzo! Ah sì? Al telegiornale di che ora?
 
Eddie deglutì.
 
«Non c’è bisogno che tu dica niente, Eds. Lo sai, è il solito.»
 
Sì, la solita merda.
 
E la solita merda non era solo una madre omofoba, erano i ragazzini omosessuali pestati o uccisi in quella città di merda. La seconda volta in un mese.
 
«Grazie per l’aiuto, Rich, ma continuo da solo.» Matematica, la giornata...
 
La risposta di Richie arrivò in un istante, per niente studiata, semplicemente la prima cosa che gli veniva in mente pur di non andarsene e lasciarlo solo.
 
«Neanche per sogno, ci mancano ancora una montagna di esercizi e da solo farai un fottuto disastro, hai bisogno del maestro!»
 
«Lo so.» ammise, non ebbe neanche la forza di rispondergli sarcasticamente. «Ma farò comunque del mio meglio, non preoccuparti.» Si strinse nelle spalle. «Vai, dai.»
 
«Ma- ma possiamo finire gli ultimi esercizi sul serio! Guarda, te li faccio direttamente io! Anzi-»
 
«Domattina sarò in classe con i compiti finiti, i soldi e l’autorizzazione per la gita.» provò a dire questo per convincerlo ad andarsene, mentre lo spingeva verso la finestra per cacciarlo. «Mi hai aiutato abbastanza, va bene così.» Non mentiva: l’aveva aiutato a prendere quei dannati soldi per la gita, l’aveva distratto con i suoi stupidi scherzi per un buon quarto d’ora e poi aveva cercato di insegnargli qualcosa di matematica. Certo, di matematica alla fine non avevano fatto praticamente niente, però Richie ci aveva provato lo stesso e Eddie apprezzava molto lo sforzo. «Magari la prossima volta studiamo da te.» Per essere più convincente forzò un sorriso un po’ deboluccio.
 
«Vieni qui, Spaghetti.» Richie si era lasciato pure convincere allora, ma non se ne andava senza prendersi il suo abbraccio. Fortunatamente, Eddie non sembrava in vena di ribellarsi e stava già per stringerlo forte con le braccia, prima che...
 
«Tesorooo!»
 
... Sonia non lo chiamasse. Dalla voce pareva che si stesse avvicinando e infatti...
 
«Eddie, sei ancora in camera tua?»
 
... stava proprio recandosi lì.
 
«Non era a telefono?!» s’innervosì Richie – un po’ perché non aveva ricevuto il suo abbraccio ed un po’ perché semplicemente Sonia gli rovinava tutti i cazzo di piani e la odiava, Dio!, se la odiava!
 
Eddie dal canto suo si agitò.
 
«Oh no no no no no cazzo no! È meglio se non ti vede qui adesso!» Non dopo quella telefonata, non voleva sorbirsi un altro discorso disgustoso come l’altra volta. «Vattene, veloce!» Lo spinse freneticamente fuori dalla finestra, sentendo il cuore salirgli in gola man mano che i passi di sua madre sulle scale si facevano più pesanti.
 
Cazzo, sta arrivando.
 
«Vado, vado!» Stava praticamente già scappando, l’intero corpo ormai era fuori. Eddie si sbrigò a chiudergli la finestra in faccia quando Sonia toccò la maniglia della sua porta. Solo che nel momento in cui di nuovo il telefono squillò e lei gli disse Un attimo! per andare a rispondere ad esso, un altro suono arrivò alle orecchie di Eddie. Un tonfo. Ed un lamento. O se l’era immaginato?
 
Corse alla finestra, poiché il primo pensiero fu...
 
«Richie!»
 
OH, PORCA PUTTANA!

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Capitolo 12
*** Finché ti va ***


Finché ti va

 

Vi fosse stato il terremoto, Eddie Kaspbrak non se ne sarebbe mai accorto. Un po’ perché il banco lo faceva tremare lui stesso con quella gamba che non riusciva a stare ferma, un po’ perché per la testa aveva problemi ben peggiori di stupidi terremoti, non ci stava proprio. Era altrove, era sotto la propria finestra, sull’erba umida che era stata tagliata appena quella mattina, poi era in casa Tozier, sicuramente sul letto di Richie sempre sfatto nonostante Maggie chiedesse un po’ d’ordine, era – nella peggiore delle ipotesi – nell’ospedale di Derry. Ancora.
 
«E-E-Eddie!» lo chiamò a voce bassa Bill, chi poteva dire se più preoccupato per l’eccessiva quantità di ansia del suo amico o per le occhiatacce che l’insegnante aveva cominciato a rivolgergli da due minuti. «Stai facendo t-tremare t-t-tutto, porcaccia!»
 
Non stesse pensando in quel momento allo stato di Richie, l’avrebbe rimproverato per aver balbettato il suo nome. Andiamo, Bill, sono il tuo migliore amico! Non balbettare il mio nome, odio quando lo fai! Invece non riusciva a smettere di figurarsi la scena del giorno precedente: Richie atterrato sul terreno che si piegava per il dolore su un lato, pur assicurandogli di stare bene, poi all’improvviso Sonia, le urla, il divieto al povero ferito di arrampicarsi nuovamente fino alla finestra del figlio, l’arrivo dei signori Tozier in seguito alla telefonata e di nuovo Richie che, prima di sparire assieme ai genitori, ma prima anche che Sonia tirasse via Eddie per un braccio, gli donava un sorriso rassicurante affinché Eddie smettesse di guardarlo con aria terrificata. Però non stava bene, cazzo. Richie si era fatto male.
 
«E-Eddie, cazzo!» sussurrò con forza ancora Bill.
 
«Denbrough.» lo richiamò l’insegnante, pur accortosi che lo studente stesse cercando soltanto di richiamare il... «Kaspbrak, per favore, attenzione.»
 
Bill gli diede una gomitata, facendolo tornare tra loro.
 
«Eh? Oh. Mi scusi.» fece Eddie, avvampando sulle guance per il rimprovero, muovendo ancora con agitazione quella dannata gamba.
 
«Cercate di pensare ai fatti vostri più tardi, grazie.» L’insegnante non si dilungò troppo, quindi tornò alla sua lezione di geografia.
 
«S-se continui in q-q-questo modo, f-finirà che dovremo chiamarti M-ma-M-Magnitudo!» disse Bill a voce più bassa rispetto a prima, a malapena udibile dal compagno di banco.
 
«Non riesco a concentrarmi!» rispose Eddie, ma per evitare di essere caotico come sapeva essere decise praticamente di mimarle con le labbra, queste parole.
 
«Si vede!» Bill si voltò verso l’insegnante per assicurarsi che non stesse badando a loro e quando fu certo che la sua attenzione fosse tutta per il Congo tornò a Eddie. «È normale che d-dopo q-q-quello che è successo s-salti scuola, o-oggi!»
 
«E se è grave?!»
 
«N-non ha fatto chissà che v-volo, f-fidati che ha... a-abbiamo passato di peggio di-di una c-caduta del genere, o-okay, E-»
 
«Allora perché cazzo non è venuto a scuola?!» lo interruppe Eddie, spaventato dalla sola idea che potesse essere lui la causa dell’incidente del suo caro Richie.
 
«Kaspbrak oggi non ha molta voglia di seguire la lezione, vedo.» commentò l’insegnante, oramai spazientito.
 
«C-ci scusi, p-problemi familiari!» rispose Bill per l’amico. Eddie guardò con tanto d’occhi prima lui e poi l’insegnante, quindi annuì con estrema, fintissima convinzione.
 
«Come ho detto, i problemi lasciateli per dopo! Alla prossima vi assegno un capitolo da studiare in più!»
 
«Ci scusi.» conclusero all’unisono i due. La gamba di Eddie però continuò ad agitarsi per il resto dell’ora.
 
Le lezione successiva fu quella di matematica, il momento perfetto per continuare quella conversazione. Beh, secondo Eddie, perlomeno! L’insegnante lo rimproverò per non essere attento durante la correzione degli esercizi assegnati per casa, gliene fece allora correggere un paio, ma senza Richie, il giorno precedente, Eddie non aveva fatto un granché e non fece una bella figura. Poi però, per fortuna, cominciò la mezz’oretta di interrogazioni, il momento davvero perfetto per i bisbigli tra Kaspbrak e Denbrough.
 
«Secondo te quanti metri sono?»
 
«Dalla tua f-finestra al t-t-terreno, d-dici?»
 
«Sì! Secondo me si è rotto una gamba, o tutte e due! Magari sta già sulla sedia a rotelle, per questo non può entrare!»
 
«G-g-guarda che la scuola c-ce l’ha un’e-un’entrata ap-p-posita!» Storse le labbra. «E n-non essere c-così esagerato, non p-p-può essere finito su una cazzo di sedia a r-r-rotelle!»
 
«Ma le stampelle sì!»
 
«P-può darsi, ma se ci è f-f-finito, allora vuol dire che s-si rim-rimetterà! Con le s-stampelle non si v-vive per-per sempre!»
 
Eddie emise un mugolio e posò la testa sul banco. Bill gli batté una mano sulla schiena.
 
«N-non sentirti colpevole, è s-stato Richie a inciampare, n-non l’hai mica s-s-spinto tu, E-Eddie!»
 
Ma io l’ho spinto fuori perché se ne andasse subito. Perché avevo paura.
 
Eddie scosse la testa, l’umore giù, la testa giù.
 
«Sono stato uno stupido, Bill! Avrei dovuto farlo uscire dalla porta... Stupido, stupido, stupido!»
 
«Dopo s-scuola andiamo a t-trovarlo, ci stai?»
 
«In teoria devo tenere le distanze da Rich...» Ma in pratica ci stava sicuramente, perciò alzò finalmente il capo dal banco per annuire. «Non volevo che si facesse male per colpa mia.» ripeté, incapace di sostenere quel peso sulle sue spalle.
 
«L’ultima c-cosa che Richie farà s-s-sarà darti la c-colpa, comunque.»
 
«Ma io so che è lo stesso mia!» Lo sguardo di Bill doveva valere più di mille parole, perché Eddie annuì di nuovo e disse, più sicuro: «Mi farò perdonare. Ci penserò io. L’aiuterò io.»
 
La loro conversazione venne interrotta dal cigolio della porta dell’aula che si aprì. L’inaspettato volto del bidello fece capolino nella classe, salvando Jordan Rees da una tragica F.
 
«Mi scusi, professore, c’è un genitore al telefono!»
 
Era impensabile che ogni giorno ci fossero problemi in quella dannata scuola e che almeno una volta a mattinata l’insegnante si trovasse a dover lasciare la propria cattedra per via di problemi esterni alla classe. Ci mancano i genitori dei ragazzi che si lamentano, pensò il poveretto, prima di chiedere al bidello: «Puoi badare a loro finché sono via? Niente pacchia, ragazzi!»
 
Niente pacchia, ma quasi tutti gli studenti si raggrupparono per fare due chiacchiere. I Perdenti e Stacey ne approfittarono per raggiungere Eddie e Bill.
 
«Tutto bene, Eddie-Freddie?» domandò la ragazza.
 
«Già!» fece Ben. «Ad un certo punto mi hai mischiato l’ansia e ho cominciato a pensare che sarei stato interrogato...»
 
«In effetti me ne ero accorta!» disse Beverly, facendolo arrossire.
 
«È per Richie, ragazzi.» rispose Eddie, troppo provato per inventarsi una scusa, ma doveva essere abbastanza ovvio che fosse quella la ragione. «Io non credo che stia in punizione, io credo che sia-»
 
«P-praticamente morto a-a-ammazzato!»
 
Quando Eddie sbuffò sconsolato a queste parole, Beverly prese ad accarezzargli la schiena.
 
«Caro, siamo tutti preoccupati per Richie, ma vedrai che si rimetterà presto. È Richie! È una roccia!»
 
«Già!» Di nuovo Ben, sempre pronto a sostenere le parole di Beverly.
 
«L’erba cattiva non muore mai!» continuò Beverly, scherzosa, con la speranza di strappare un sorriso al suo amico.
 
«Purtroppo.» Stan.
 
«È che ha fatto un brutto volo e non vorrei mai che restasse ferito per colpa mia ma sono stato io a farlo uscire dalla finestra, ho avuto paura di mia madre perché-»
 
«Non tormentarti, Eddie-Freddie, tutto si risolverà!» l’interruppe Stacey, facendogli spostare lo sguardo su di lei. Dapprima comprensivo, poi... Un momento... di fuoco.
 
«In realtà è anche colpa tua.» l’accusò, ritrovandosi a stringere i pugni per l’improvviso fastidio. «Sì!» continuò, autoconvincendosi pian piano ed assumendo un’espressione sempre più irata. «Tu! E i tuoi stupidi giochetti!»
 
Se avesse alzato il tono, il bidello sarebbe intervenuto, ma quella conversazione sarebbe rimasta solo in quella cerchia.
 
«Eddie, che stai-» tentò Beverly davanti a quella insinuazione, notando l’espressione ferita di Stacey.
 
«N-non r-ricominciare, p-per favore!»
 
Sì, Eddie! Non ricominciare, per favore! Avevi smesso di pensare male di Stacey, no? No, magari no, però avevi imparato a conviverci, perché ormai Stacey è parte del gruppo e di positivo c’era che a lei piacesse Mike e non più Richie, Richie poteva essere tutto per te! Ora non ricominciare ad insinuare che ci sia del marcio in lei, che non ti fidi, che nasconde qualcosa, che ogni male del mondo sia colpa sua!
 
«Senti...» cercò di difendersi Stacey, però lui riprese la parola.
 
«Quella volta in cui sei venuta a casa mia e hai dato a mia madre una ragione in più per volere Richie lontano dalla mia vita supponendo che io fossi omosessuale! Beh, sai cosa?! Notizia dell’ultimo minuto, tu-»
 
«Grazie, grazie, può andare.» La voce dell’insegnante lo zittì improvvisamente. Il bidello annuì e sparì, chiudendo la porta dell’aula alle sue spalle. Durante l’assenza dell’insegnante la classe non era stata rumorosa e la parte migliore era che nessuno avesse iniziato a tirarsi il cancellino o i gessetti, però i gruppetti per chiacchierare, come quello dei Perdenti e Stacey, si erano formati ed ora dovevano sciogliersi. «Tutti al proprio posto, per favore!» ordinò, raggiungendo la cattedra. I Perdenti si lanciarono un’occhiata preoccupata, ma non poterono fare diversamente da quanto avesse ordinato l’insegnante, così ognuno tornò al proprio banco. Bill notò quanto Eddie stesse cercando di trattenersi dall’urlare stringendo i denti. «E così...» riprese l’insegnante, parlando alla classe o forse tra sé e sé. «Uno in meno! Va detto agli altri due docenti, perché chiamano proprio me?!» Gli alunni lo videro prendere un foglio per segnare qualcosa.
 
«Che vuol dire uno in meno, professore?» parlò Steven Jones a nome della classe.
 
«Che il vostro compagno, il signor Tozier, ha avuto un piccolo incidente e non potrà sciare con le stampelle, perciò si ritira dalla gita. A proposito, ho visto che finalmente ha portato l’autorizzazione, i miei complimenti.» gli disse con sarcasmo. «Sì, sì, i commenti dopo, per favore!» disse poi per mettere a tacere le voci sconvolte degli amici di Tozier. Bill sussurrò a Eddie qualcosa che quello non udì. L’insegnante, nel frattempo, di questioni personali non si interessava perciò s’intromise fra quei poveri tormenti del Kaspbrak. «Kaspbrak, manchi solo tu! Credo di doverti dare un ultimatum, a questo punto!»
 
Eddie aveva i soldi, aveva l’autorizzazione – si era procurato tutto con Richie il giorno prima. Esitò per qualche secondo, poi pronunciò parole che nessuno dei suoi amici si aspettava: «Mi scusi, alla fine non posso venire.»
 
«Potevi pure dircelo prima, ragazzo!» fece l’uomo, segnando qualcos’altro su quel foglietto. «Bene, Rees, dov’eravamo? Nel frattempo qualcuno ti ha suggerito la risposta o hai avuto un’illuminazione divina su come si risolva questa funzione?»
 
Dal proprio banco, qualcuno dei Perdenti si oppose a voce bassa alla decisione di Eddie. Solo il suo compagno si diresse direttamente a lui.
 
«Pss, Eddie! P-pensavo che-»
 
«No, Bill. Se Richie non va, non vado nemmeno io.»
 
«M-m-ma è l-la g-gita sulla n-neve, cazzo!»
 
M-m-ma Eddie era irremovibile.
 
E il piano di Stacey di far mettere insieme Eddie e Richie, di fotografarli con la macchina fotografica di Mike e sputtanarli davanti a tutta la scuola per farsi accettare – ed oltre questo anche adorare – da Greta e le altre, così, era rovinato.
 
 
 
*
 
 
 
Quando le lezioni terminarono, i ragazzi non ebbero la possibilità di terminare la conversazione precedente con Stacey perché lei se la diede a gambe per un motivo oscuro mascherato da una scusa un po’ sciocca. Loro ne rimasero confusissimi. Qualcuno pensò che fosse rimasta offesa per prima.
 
«Eddie, c-credo sia il c-c-caso di parlare di-di come hai t-trattato Stacey, p-prima!» esordì Bill quando furono nel cortile della scuola. «S-sappiamo che-che non è da te r-reagire così, v-vuoi p-p-p-parlarcene?»
 
No, sembrava dire il broncio che aveva messo su il ragazzo.
 
«S-sul serio!» insistette Bill. «N-non sei stato a-affatto gentile, non p-p-puoi trattarla c-così!»
 
«Non posso?!» sbottò. «Forse voi non ve ne siete mai accorti perché eravate troppo impegnati, ma da quando è arrivata Stacey non ha fatto altro che creare problemi! Non a voi, magari, ma a me! E credevo di essere vostro amico, credevo che vi importasse se mi facesse stare male o meno, ma nessuno di voi mi ha creduto quando ho detto di non fidarmi di lei! Nessuno di voi mi ha ascoltato quando ho detto che non mi piacesse nemmeno un po’! Nessuno di voi-»
 
«Tesoro...» La voce di Beverly uscì insicura dalle sue labbra. Sembrava stesse cercando di fare molta attenzione a quali parole usare. Doveva essere così, visto quanto tenesse a Eddie. Oppure, doveva essere così, visto cosa... pensasse. «A noi importa di te, lo sai.»
 
«Lo so? So che prima di sconfiggere It eri tu a dire di dover restare uniti e non ti accorgi... non vi accorgete che Stacey sta cercando di separarci!»
 
I ragazzi si lanciarono delle occhiate preoccupate. Se Eddie non fosse stato tanto infastidito, forse avrebbe compreso, soltanto guardandoli, che ci fosse qualcos’altro – che ci fosse del non detto. E quello che i Perdenti non stavano dicendo, alla fine, venne detto.
 
«Caro,» caro, caro, caro, non c’era bisogno di indorare la pillola, Eddie ne prendeva un sacco di pillole, «noi non credevamo che... noi pensavamo che a te non piacesse Stacey soltanto perché eri geloso, perché...» Esitò, spaventata di poter sconvolgere il suo amico. «... a lei sembrava piacere Richie.»
 
Eddie sentì il terremoto di prima. Veniva da dentro di sé.
 
Sapeva che Beverly avesse già compreso i suoi sentimenti per Richie e forse in fondo sarebbe stato okay se si fosse aggiunto Bill, tanto era il suo migliore amico... Ma scoprire che tutti si fossero accorti del suo segreto e nessuno avesse detto niente lo fece sentire molto sciocco, e l’idea che forse anche Richie lo sapesse già e non avesse detto niente perché non ricambiava e sperava che Eddie non si dichiarasse lo spaventò. Essere poi messo così all’improvviso alle strette... Si ritrovò a spostare freneticamente gli occhi su tutti i Perdenti e si accorse di avere la bocca aperta, ma di non riuscire a sputare fuori nulla di sensato. Era già tanto che respirasse, un attacco d’asma non poteva averlo proprio adesso, non voleva.
 
«Che... che cosa?»
 
Stan annuì e Beverly rispose ancora con cautela: «Ce ne siamo accorti, Eddie. Tutti quanti.» Gli sorrise per tranquillizzarlo, ma Eddie in quel sorriso decise di vederci solo pena... sì, quella che dovevano star provando per lui. Pena.
 
«A me non... io...»
 
«T-ti a-abbiamo l-l-lasciato tutto il tempo di c-cui avevi b-bisogno e t-te ne lasceremo ancora, s-se v-vorrai! Anche se d-dovesse trattarsi d-di a-a-a-anni! Ma è... è evidente, Eddie, e s-siamo i-i Perdenti, siamo i t-tuoi migliori amici! C-con noi n-non hai b-bisogno di n-nasconderlo! Noi n-non ti giudichiamo e non ti ab-abbandoniamo! Mai!»
 
In quel momento, anche se nessuno di loro lo disse, si pentirono di aver trattato in quella maniera questa situazione.
 
«Tesoro, » riprese Beverly, «vogliamo che tu sappia che è una cosa carina, sai?»
 
«Ma a me non piace-» insistette fino a quando non sentì di doverla smettere. Quando la smise, però, gli venne da piangere. Troppe emozioni tutte insieme. Non voleva neppure piangere, non pensava che l’avrebbe fatto, e invece successe all’improvviso, pianse copiosamente. Non si tirò indietro quando Beverly lo abbracciò, e quando gli altri poi si unirono all’abbraccio.
 
«Perché non avete detto niente?» domandò alla fine.
 
«Perché tu non hai detto niente.» disse Stan.
 
«N-n-nessuna p-pressione!» Sì, nessuna pressione, come diceva Richie prima di punzecchiarlo lo stesso.
 
«Io davvero non so come sia possibile, vi giuro che non so come è successo!» cercò di giustificarsi Eddie, ma le occhiate degli amici gli fecero capire che non avesse bisogno di farlo. Anzi, un secondo più tardi si sentì un codardo ed uno stupido per aver cercato di giustificare la sua cotta per Richie.
 
«Ci si nasce col cattivo gusto.» disse Stan, visto che si parlasse di Boccaccia, e Bill e Beverly risero.
 
«Ci dispiace che la cosa sia uscita così...» si scusò timidamente Ben.
 
Tutte queste parole servirono a calmare pian piano il Kaspbrak, che alla fine annuì e si pulì gli occhi col dorso di una mano.
 
«Tanto se lo sapevate già...» Non aveva più importanza. «Prima o poi doveva uscire fuori...» Sì. Sì. Prima o poi avrebbe comunque dovuto avere il coraggio di dirlo ai Perdenti. Certo, anche Richie era un Perdente, però! «Mi giurate lo stesso che non glielo direte voi?»
 
«Sul nostro onore!» disse Beverly con tono scherzoso, ancora speranzosa che il suo amico le facesse un sorriso.
 
«Giuratelo voi sul vostro onore!» fece Stan, facendoli ridere, ma dovette concludere: «Non gli dirò niente ovviamente.» Perché ovviamente aveva già detto a Richie quello che doveva dirgli.
 
«Però dopo a Mike glielo diciamo, vero?»
 
Nella sua testa intervenne Richie a fare una battuta: Certo, perché no?! Mica è nero!
 
 
 
*
 
 
 
Nel pomeriggio, i Perdenti avrebbero dovuto far visita a Richie tutti insieme, ma avevano deciso di lasciar andare Eddie un paio di ore prima per farli stare un po’ da soli. Dopo aver chiamato casa Tozier, avevano scoperto che grazie al cielo Richie fosse lì e non all’ospedale, quindi la personificazione dell’ansia (Eddie) si era tranquillizzato un po’.
 
Si era presentato nell’abitazione con due grossi lecca-lecca che avevano fatto storcere il naso al padre dell’amico, ma quello l’aveva fatto entrare e adesso davanti a sé c’era solo la porta della sua camera. Prese un bel respiro e, viste le mani occupate, chiese: «Toc toc?»
 
«Chi è? Il lupo mangiafrutta?» rispose Richie, riconoscendo immediatamente la voce dell’essere più adorabile della Terra. A detta sua, almeno. Il suo tono scherzoso fece sorridere Eddie, fuori. «Che frutta vuoi? Perché qui ho solo una bella banana da offrirti!»
 
Il ragazzo aprì la porta facendo pressione sulla maniglia col gomito e quando vide la figura di Richie nel letto si sentì pervaso da mille emozioni diverse: quella unica di vederlo, a prescindere, che era sempre molto simile alla gioia, ma era più della gioia; il sollievo di vederlo vivo, anche se con un paio di stampelle, in quel momento poggiate vicino al letto; ancora i sensi di colpa per essere stato la causa dell’incidente; la gratitudine verso Richie per non odiarlo a morte nonostante le sue colpe, o almeno così appariva; il timore che anche lui conoscesse i suoi sentimenti, anche se si sentiva rassicurato dal fatto che tutto sembrasse... normale, e molte altre.
 
«Eddie Spaghetti è venuto a controllare che io sia vivo e vegeto? Aw, my love!» fece Richie mentre l’altro chiudeva la porta col piede e gli rispondeva ridendo. «Ora che sei qui, vorrei stare peggio solo per dire di poter morire felice!»
 
«Coglione.» l’appellò Eddie, nonostante con queste parole l’altro fosse riuscito a strappargli un sorriso, mentre andava ad accomodarsi al suo fianco. Non era mai stato tanto cauto quanto in quel momento, ma aveva paura di fargli male ed anzi lo avrebbe ucciso se solo Richie avesse finto di soffrire più del reale – se avesse finto che Eddie gli stesse schiacciando le sue povere gambe, per esempio. «Mi dispiace tanto per quello che è successo. Come ti senti?»
 
L’ultima cosa che Richie farà sarà darti la colpa, aveva detto Bill, e sperava che il suo amico avesse ragione, accidenti.
 
«Un po’ disabile!» ammise quello, scherzoso. «Ma sta’ a sentire, nessuno che mi dice di aiutare a pulire casa! Non è grandastico?!» improvvisò un mix tra grandioso e fantastico. «Mi basta chiamare MAMMAAAAAAAAAAAA e Maggie Tozier arriva al mio servizio!»
 
Aspettarono qualche istante e poi Eddie alzò un sopracciglio.
 
«A me non sembra!»
 
«Beh, signorino, è perché non si lascia fottere, sa che ci sei tu e che non ho bisogno di altro quando ci sei tu!»
 
 «Sì, usa la bocca per qualcosa di più utile, tipo mangiare, invece di dire cazzate!» Gli mise praticamente il mano quel lecca-lecca, sperando vivamente che non badasse a quanto iniziasse ad assomigliare alla Torcia Umana.
 
Maggie Tozier bussò alla porta e la aprì subito, chiedendo se fosse successo qualcosa. Avrebbe chiesto all’amico di suo figlio se gradisse del cibo, ma vide che a quanto pare si erano già serviti.
 
«Niente, nulla e nessuno!» sghignazzò Richie. «Davo a Eds una piccola dimostrazione di come vengono serviti i principi!» Quella frase gli costò un’occhiataccia di sua madre.
 
«Quando potrai tornare ad usare le tue gambe, sarai in punizione per una settimana!» la donna disse anche, prima di sparire.
 
«Beh... io te l’avevo detto che correva qui al mio richiamo!» cercò il lato positivo.
 
«Bella Boccaccia che hai!» lo rimproverò Eddie.
 
«Grazie!»
 
«Guarda che non era un complimento!»
 
Un paio di minuti di leccatine al dolce dopo, Eddie decise di fregarsene dei suoi sensi di colpa che sarebbero tornati a tormentarlo, doveva far uscire il discorso della settimana bianca.
 
«Ti hanno ridato i soldi della gita?»
 
«Fino all’ultimo spicciolo! O papà mi avrebbe tolto la paghetta per i prossimi tre anni! Slurp!» fece, prima di leccare ancora il dolce.
 
«Volevi tanto andarci e ora è tutto andato in fumo.» Ecco, stava per cominciare.
 
E Richie l’aveva capito!
L’avrebbe fermato in tempo.
 
«Oh no, Spaghetti! Non starai qui a piangerci addosso perché non posso venire alla prima di tante gite, hai capito? Altrimenti giù dal mio letto! E lascia pure qui il tuo lecca-lecca, bricconcello!»
 
Eddie ci pensò su per qualche secondo e risolse che preferiva stare lì con lui su quel letto. Storse il naso.
 
«Resta comunque mia la colpa e ora voglio rimediare!»
 
Richie gli rivolse un sorriso preoccupante.
 
«Sono sicurissimo che ti farai perdonare.» Nella sua testa si era già creata un’immagine paradisiaca del suo Eddie Spaghetti in gonnellina che ballava per lui. Però in realtà... «Anche se lo stai già facendo! Sai, i miei non mi hanno lasciato nemmeno una caramella! Tu ed il tuo lecca-lecca siete le cose più dolci che io abbia visto da quando mi sono svegliato!» Poi inarcò un sopracciglio, assunse per un istante un’espressione pensierosa che a Eddie non piacque affatto e gli leccò una guancia. «Che io abbia assaggiato!» si corresse.
 
Dopo il casino che aveva creato, il minimo da parte del Kaspbrak era non urlargli contro. Mise comunque su una smorfia disgustata e si pulì la guancia col dorso della mano. «A forza di leccare» disse, «fidati che divento meno dolce!»
 
«Dovrei provare per crederci!» sghignazzò Richie, ma continuarono a mangiare entrambi il proprio lecca-lecca. Eddie si stupì che l’amico non avesse ancora fatto alcuna battuta usando il verbo leccare. «L’unica cosa che mi dispiace davvero è non poter ammirare il mio tesorino a costruire pupazzi di neve mentre i suoi amichetti fottono con le piste più terribili della montagna, ma potrei chiedere a Studio-a-casa di partire in missione solo per scattarti delle foto!»
 
«In realtà non vado neanche io.»
 
«Che cosa?!» Quasi si strozzò col succo del lecca-lecca. «Eravamo riusciti a fottere tua madre! Certo, io sono esperto nella cosa, ma tu ci eri riuscito! Come diavolo ha fatto ad accorgersi dei soldi mancanti? Li ha cercati per comprarsi un abito da sposa dell’ultimo minuto per il matrimonio col sottoscritto?! Cazzo, Richie, troppo charme, troppo charme...!»
 
«No, idiota.» lo corresse, cercando di non ridere per quelle cazzate. «Ho deciso di non consegnare l’autorizzazione, semplicemente!»
 
Richie rimase a bocca aperta per qualche secondo di troppo e poi gli scappò un teatralissimo singhiozzo. «Sigh! Il mio dolce, dolcissimo Eds si è ritirato dalla gita per stare con me!» Sì, in effetti. Ecco perché Eddie sbuffò guardando altrove, avvampando di nuovo. «Aaawwww, così devoto!» Cercò di abbracciarselo per benino, rischiando di fargli attaccare il dolce ai capelli.
 
«Non l’ho fatto per te, l’ho fatto perché era giusto!» Pft!
 
Come no!
 
«Non è vero, l’hai fatto per me, amore mio! Il miooo Eds!»
 
CHE CALDO!
 
«Richie, lasciami, prima che fai casini col lecca-lecca!»
 
«Ti lascio, ti lascio!» Mantenne la parola. «Solo perché dopo questo atto eroico meriti un bacino!»
 
Fece per avvicinarsi, ma Eddie lo allontanò prima che le sue labbra appiccicose potessero toccargli il viso.
 
«Sei tutto sporco, un’altra volta!»
 
Un’altra volta?! Musica per le orecchie del Tozier, infatti, tutto contento, rispose: «Ci conto.»
 
Trascorsero un’ora insieme – dopo aver mangiato il lecca-lecca, Eddie raccontò a Richie come fosse andata la giornata (tralasciando accuratamente la parte in cui aveva insinuato che Stacey fosse una stronza doppiogiochista ed avesse scoperto che gli altri fossero a conoscenza della sua cotta per Richie), infine si misero a chiacchierare di un film che sarebbe dovuto uscire a breve al cinema e di cui avevano già letto il fumetto.
 
«Però appena esce andiamo a vederlo, mi raccomando!» terminò Eddie, annuendo con convinzione alle proprie parole.
 
«È un appuntamento?» scherzò Richie, facendolo arrossire.
 
«Solo se finisce che invece delle stampelle devi usare la carrozzella, principessa!» rispose, sorprendendolo.
 
«La principessa che dà della principessa al principe?» Richiuse la bocca ed annuì. «Niente male, Eds, niente male. In effetti siamo due principesse, io e te.»
 
Dopo una soddisfazione come questa, Eddie sentì di avere il permesso ed il coraggio di accoccolarsi a Richie. Sdraiato al suo fianco, lo abbracciò con un braccio solo e poggiò la fronte al suo petto – stette comunque attento perché non voleva causare altri danni alle sue gambe, non avrebbe sopportato altri sensi di colpa.
 
«Che facciamo mentre siamo soli?» domandò, riferendosi ai giorni successivi, mentre tutti gli altri sarebbero stati in gita. Anche Stacey, per fortuna. Quella ragazza non sarebbe stata in mezzo ai piedi.
 
«Ah, io ho tante idee, pasticcino, ma tu puoi sempre sorprendermi!» Eddie rispose solo con una risata. Richie continuò: «Per quanto mi riguarda, comunque, puoi anche trasferirti direttamente qui.» Certo, Sonia non avrebbe mai permesso una cosa del genere, ma... «Puoi restare qui finché ti va, Eds.» Richie lo sentiva sorridere contro i propri vestiti e questo lo spinse a parlare ancora. «Puoi riempire tutto del tuo profumo da bimbo di borotalco e se proprio non puoi separartene puoi portare i tuoi medicinali, allestire un’intera farmacia nella mia stanza o lo studio del Dottor K.» Fece trascorrere in silenzio giusto una manciata di secondi per godere della piega delle labbra di Eddie contro il proprio petto. E perché stava sorridendo anche lui. «Puoi restare qui finché ti va, pisciare nel mio letto così è come se restassi per sempre...»
 
«Richie!» lo rimbeccò Eddie, ridendo.
 
«... finché mamma non cambia le lenzuola, hey! Ma io non le laverei mai se ci pisci tu sopra!»
 
«Che schifo!»
 
«Io non mollo il mio Pisellino!» imitò la Voce di Sonia Kaspbrak e si misero entrambi a ridere.
 
 
Puoi rimanere qui finché ti va
Riempire tutto dei vestiti tuoi
Anche se questo non lo dico mai
Puoi rimanere qui finché ti va
Questo momento sa di eternità
Ti resta addosso e poi non se ne va
Porti luce in mezzo al mio disordine
E mi spingi a fare meglio e non demordere
Vedo il versante scordato della vita
Mi rialzo e finisco la partita
Quanta gente ormai ho lasciato perdere
Mi portava confusione e tanta polvere
Hai presente quando vuoi cambiare strada
E decidi che ritorni tu alla guida?
Puoi rimanere qui finché ti va
Riempire tutto dei vestiti tuoi
Anche se questo non lo dico mai
Puoi rimanere qui finché ti va
Questo momento sa di eternità
Ti resta addosso e poi non se ne va
 
(Tiromancino)
 
 
 
 
*
 
 
 
«Non è colpa nostra se quei perdenti ti hanno rovinato i piani, vedi di fare in altri modi! Se non ci riesci, non entri nel nostro gruppo perché vuol dire che sei una perdente anche tu.» Una voce stronza.
 
«Infatti!» Altre voci stronze.
 
Annuì, lo squalo – o il pesce intrappolato nella rete? Pensò che a volte, per uscire dalla rete, bisogna nuotare verso il basso... fino a raggiungere il fondo.








 
 
 
ANGOLO DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! NON VI SIETE DIMENTICATI DI ME, VERO??? So di essere morta per mesi e mesi e meeeeesi ma eccomi risorta! Ho avuto tantissimi impegni, tutti insieme poi!!!!, e mettiamoci l'ansia della situazione attuale, guuuuuu (a proposito, spero che stiate tutti bene!!! Nel caso vi lascio un abbraccio e se siete tristi pensate ai Reddie!!!) Devo assolutamente riprendere la mano con queste cose, non scrivo da mesi e si vede, abbiate pietà, però piano piano mi rimetterò in carreggiata e spero anche di aggiornare un po' più in fretta per arrivare al benedetto finale di questa storia! (⁎˃ᆺ˂)

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