The stars, like dust

di GladiaDelmarre
(/viewuser.php?uid=1117684)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ripped ***
Capitolo 2: *** Bare heart ***
Capitolo 3: *** The stars, like dust ***



Capitolo 1
*** Ripped ***


Pensieri di Crowley in una notte stellata
 
Ha aspettato che la luna sorgesse, che si vedessero le prime stelle.
Ha aspettato in silenzio, su una cengia erbosa di un crinale.

Quasi non ci sono rumori, e Crowley può ascoltare il suo stesso respiro, leggero in una tersa notte di settembre.

Può ascoltare, se fa attenzione, perfino il battito del suo cuore. A volte pensa che il corpo umano sia uno strumento stupido e ne farebbe volentieri a meno: soprattutto di quel cuore, un organo scomodo, che nel tempo ha capito avere ritmi diversi, musiche diverse in reazione al mondo esterno. In reazione a chi incontra.
 


Sono stato un angelo pessimo.

Ancor peggio come demone. Sì, a volte ho svolto il mio “lavoro”. A volte mi sono anche divertito a farlo.


Ma nessun demone, sono pronto a giurarlo, ha vissuto la mia stessa esperienza. Qual è la mia punizione per questo? In quale dei gironi dovrei alloggiare?

Forse il secondo, insieme ai lussuriosi. Ma noi siamo esseri fatti di passioni. Forse il settimo, insieme ai sodomiti. Ma il sesso degli angeli conta forse qualcosa? O quello dei demoni?

No, forse dovrei incatenarmi nel nono. Essere bloccato nel ghiaccio insieme ai traditori e ai fraudolenti. Nei miei desideri ho insidiato la tua purezza centinaia di volte. Tu ti fidi di me. Non so perché. Ma ti tradirei, lo farei mille volte pur di averti. Tradirei l’inferno intero, se solo mi volessi.

 
Ma forse la mia punizione è questa: quella di viverti accanto.


Incontrarti in mezzo alla folla, in una festa inaspettata. Incontrarti in un teatro, quando mi investi con uno dei tuoi sorrisi intrisi di benevolenza. Incontrarti sulla cima di un colle in un luogo caldo, al tramonto, mentre ti nascondi per sentirmi suonare la lira. Incontrarti ovunque, senza che ce ne sia una ragione, perché sono diventati gli unici momenti che valgano la pena di essere vissuti.


Ti ho visto chino su enormi tomi che non comprendo, né mi interessano. Ti ho spiato quando sei concentrato nella lettura, e aggrotti le sopracciglia in un moto di curiosità.

Ho imparato a conoscere il suono delle tue risate, che a volte risuonano come una cascata di monete su un pavimento di marmo. Argentine, spontanee. Ti faccio ridere e sorridere. Anche se non vuoi ammetterlo, e spesso ti ricomponi con quell’aria da educanda.

Ho sorriso insieme a te, quando dentro di me urlavo di desiderio di prendere la tua bocca e succhiarne via le labbra. Ho urlato, dopo. Affogando il desiderio tra braccia che non sono le tue. Oppure da solo, venendo nel mio stesso pugno, mentre soffoco il tuo nome nei singhiozzi. Orgasmi che riverberano in me, senza raggiungerti mai, nelle ossa e nel cranio e nei denti.


La mia punizione è quella di desiderarti così, senza poterti avere.


Mi accontento di avanzi, anche se sono affamato come i corvi. E come loro, prego per un tozzo di pane. Sarò felice di prendere uno dei tuoi sorrisi e sfamarmene quando non posso vederti. Lo terrò da parte, cibo inesauribile per un’anima che non è degna di essere nella tua ombra. Vuoi darmi solo uno sguardo di riprovazione forse. Lo terrò comunque con me.


Conservo la sensazione sulla pelle delle poche volte in cui mi hai toccato. Sconvolgente più di ogni orgasmo io abbia mai provato.
 


Crowley stringe per un attimo le mani sulle spalle e china il capo. La luce delle stelle è troppo fioca per rendere giustizia ai suoi riccioli, quasi del tutto privi di colore nella notte. Gli coprono il viso, per un attimo, finché non torna a guardare davanti a sé.
 


Di cosa hai bisogno, angelo?

Vuoi ancora che la gente ami Amleto? Lo amano, e lo ameranno, così come tutte le altre opere lugubri e tristi di Shakespeare. Non te l’ho detto, ma ho dato una spinta anche a quelle. L’ho fatto per il modo in cui hai alzato le sopracciglia, quel giorno, socchiudendo le labbra.

Vuoi che ti offra il mio cuore? Lo strapperei dal petto, squarciando questa inutile cassa toracica, fatta di ossa spezzate dai sospiri. Eccolo, è tuo.
Non hai che da chiedere.


Vuoi che io ti stia accanto senza toccarti mai? Accetterei anche quello. Potrei vivere in eterno nell’attesa del sorriso che a volte ti stira gli angoli della bocca, scoprendo i denti e facendo nascere pieghe sottili intorno agli occhi.
Non mi capacito di come possano racchiudere al loro interno il luccichio delle stelle e della luna sul mare. Come puoi averli strappati al cielo stesso, cobalto tra le nubi?


Potrei farti godere, essere tuo. Ringrazierei solo per il fatto che tu possa desiderarmi, anche senza essere mai soddisfatto. Nei miei desideri scuri di passione, ti spoglio pezzo per pezzo, fino a vedere dentro la tua anima.
Mi perdo nella luce, passo la lingua sulla tua pelle e sento il tuo sapore nella bocca.
Sogno di leccare le mie dita dopo essere stato dentro di te, perché solo il pensiero di una parte di me dentro di te è qualcosa che mi sconvolge. Come se potessi di nuovo far parte di qualcosa di divino.

 


Crowley singhiozza.

Non piange. È un lamento che gli sgorga dalla gola, irrefrenabile. Il lamento di centinaia di anni e di centinaia di vite, di centinaia di cuori offerti in sacrificio.

Crowley ha un insetto nero e fremente al centro del petto. Vibra le sue placche chitinose, e come le cicale in estate frinisce in un canto senza fine. A volte è così forte da assordarlo. Come può Aziraphale non sentirlo? Come può un essere fatto per amare a non ascoltare il canto del suo cuore?


Forse il suo non è vero amore. Forse è solo lussuria e desiderio.


Ma si chiede perché gli basterebbe allora una delle briciole che Aziraphale lascia sul suo cammino, mentre sfama le papere o gli usignoli, che a Londra cantano ogni tanto, inascoltati da quasi chiunque.
 


Un angelo patetico, un demone ancora più patetico.
Finché mi sarà possibile. Fino alla fine del mondo.
 


Crowley indurisce lo sguardo e stringe la mascella quando la bocca si piega per un attimo con gli angoli verso il basso. Inghiotte un ultimo breve respiro risucchiandolo tra i denti.


La notte sta finendo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Bare heart ***


(pensieri di Aziraphale un attimo prima di tuffarsi nel vuoto)
 
 
È l’attimo prima di fare qualcosa quello che spaventa di più.
 
Aziraphale è stato a lungo seduto su quella panchina, con Crowley alla sua sinistra, come sempre. Hanno parlato, come sempre.
E, come sempre, hanno una bottiglia di vino in mano.
 
Quando Crowley gli ha proposto di stare da lui Aziraphale ha esitato. Una domanda che forse non esigeva alcuna risposta, considerando che lui non ha più alcun posto dove stare.
Tutto il suo mondo è bruciato via, in quell’apocalisse-che-non-è-avvenuta.

Quasi tutto, si corregge mentalmente. Forse ha perduto la libreria, tutte le sue preziose prime edizioni, tutti i suoi ninnoli e la tazza da the con le ali. Ma non certo i ricordi. Forse è bruciato il suo passato, ma non il suo futuro, che siede accanto a lui e lo guarda con un sorriso tirato, stanco.
Aziraphale lo osserva tendersi verso di lui, come Crowley ha fatto per tutta la vita. La luce radente di un lampione intaglia ombre sulla pelle tesa degli zigomi e sul suo collo scarno, facendogli risaltare i tendini.

Crowley gli sta dicendo la verità: sono rimasti soli, non esistono più fazioni né capi; inferno e paradiso sono più lontani adesso di quanto non lo siano mai stati. Crowley è stato sincero con lui, come mai ci si aspetterebbe da un demone. Da quando si conoscono non gli ha mai mentito.
 
Aziraphale adesso lo sa.
 
Come sa, purtroppo, di essere stato molto meno onesto nei suoi confronti. Si è nascosto per millenni dietro la sua facciata bianca e lustra. Le sue buone maniere, la sua presunzione, nel fondo del suo cuore, di essere migliore di lui. È quella notte, su quella panchina, che tutte le sue barriere cedono. Non riesce più ad ignorare che è Crowley ad essere stato il suo compagno sin da quando il mondo era ancora giovane. È Crowley ad aver pianto la sua scomparsa e ad aver affrontato l’incendio nella libreria per lui. È sempre lui ad essersi ubriacato fino alle lacrime, è lui ad avergli chiesto di scappare insieme su una stella, una volta. Ed è lui ad averlo convinto, tanto tempo addietro, a diventare amici.

Crowley non ha fatto altro che tendergli la mano. Con ogni mezzo, sempre in modo discreto, sempre silenziosamente accanto a lui. Ha messo a sua disposizione ogni fibra del suo essere, fragile e scattante, nervoso e pieno di fuoco. Crowley ha dato tutto. Adesso è stanco, lo può vedere nelle rughe attorno alla bocca che si sono approfondite appena, nel modo in cui le spalle appuntite non riescono più a riempire la giacca impolverata.

Anche Aziraphale è stanco. Non può più nascondersi dietro mura che sono diventate fragili e sottili come carta di riso. Crowley potrebbe guardarvi attraverso e capire ogni cosa, se non avesse imparato, col tempo, a distogliere lo sguardo. A mascherare sé stesso sotto strati e strati di sarcasmo e autoironia.
 
E quando Crowley gli dice che può stare da lui, se vuole, Aziraphale tenta un’ultima difesa. Forse più per abitudine che altro: d’altronde sono migliaia di anni che lo fa. Ma perde ogni determinazione nel vedere come il demone, il suo demone, lo guarda di rimando. Da come il tono della sua voce gli carezzi il volto, la nuca, il collo. Da come, senza aggiungere altro, allunghi il braccio per fermare l’autobus che li riporterà a Londra, nonostante l’insegna luminosa indichi Oxford. Crowley non sta chiedendo, in questo momento. Per una volta, sceglie per entrambi.
 
Aziraphale per un attimo guarda il cielo e si stupisce di quante stelle ci siano, nonostante siano vicini a Londra. Gli sembra incredibile di poterle vedere ancora.  
 
Mentre sale quei due gradini e si aggrappa al corrimano, comprende quanto Crowley abbia camminato in salita, sempre, per secoli. Non ha fatto altro che raggiungerlo. Mentre lui se ne stava in un palazzo dorato, circondato dalle sue cianfrusaglie e i suoi tesori, fiero della sua natura. Comportandosi da bravo angelo, pieno di sciocche regole e affettazione, solo quando era più semplice. Indulgeva sui suoi peccati quando gli faceva comodo, concedendosi piccoli piaceri, piegando le regole senza avere mai il coraggio di opporvisi davvero.  

Aziraphale ha sempre saputo di Crowley,  o almeno lo ha capito da molto tempo. Ha sempre saputo quanto fosse importante, quanto non potesse fare a meno di lui, ma non lo ha mai confessato nemmeno a sé stesso. E ora che lo vede di spalle, scivolare sinuoso tra i sedili di quell’autobus traballante, sente il sangue pulsare violentemente nel petto e martellargli i timpani, fino a farlo vibrare.
 
Crowley é un po' curvo e si appoggia pesantemente ad una delle maniglie, per poi lasciarsi cadere su di un sedile. 
 
Aziraphale ha atteso e atteso, e ora semplicemente non lo può più fare.
Non ha più alcuna scusa, nessuna opzione. In quel giorno ha visto un bambino, il figlio di Satana, l’Anticristo, scegliere una vita ordinaria in mezzo agli esseri umani piuttosto che regnare sugli Inferi. Aziraphale, in quel giorno, è morto e poi rinato e ha scelto anche lui il mondo degli uomini, piuttosto che i suoi simili e una guerra insensata.
 
Crowley gli ha detto che ormai hanno una sola fazione, e sono loro due. Insieme.
 
Aziraphale salta nel vuoto, perché dietro di lui non ha più terra a sorreggerlo (ti prego, prendimi al volo, non farmi cadere).
C’è solo Crowley, davanti a lui, seduto mollemente su quel sedile, che lo sta attendendo (cadi con me, ti amo).
 
Quando Aziraphale si siede, stavolta accanto a lui, senza pensare allunga la mano e gliela prende. Incastra le dita e i loro palmi caldi si toccano.
In quel momento, sancisce il patto e la sua appartenenza all’altro (mi hai preso, mi hai scelto) .
 
Non hanno bisogno di parlare.
 
Sono tornati al giardino dell’Eden in quel momento, a quando il mondo era giovane, e loro con lui. Segni del tempo e di secoli e millenni spazzati via da un contatto infantile, dolce, intimo.
E come due ragazzini si tengono per mano, mentre tornano a casa.  
 
 
 
 
 
 
 
 
Setsuna, spero che tu sia un poco più felice <3

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** The stars, like dust ***


È un gesto semplice, eppure racchiude in sé ogni promessa fino a quel momento sfuggita, negletta, o dispersa.
Questa è la prima volta che si toccano così. Lo desiderano, entrambi. È una scelta.
 
 

Quando ti ho preso per mano ho sentito la tua tremare.
Poi hai rafforzato la stretta, come se dovessi dimostrarmi qualcosa.
Lo hai già fatto, per tutta la tua esistenza. Ed io, cieco, non ho saputo capire, non ho voluto vedere.
Lascia che sia io, per una volta, a tenerti stretto. Lascia che sia io il tuo sostegno.

 
La tua mano è sempre stata tanto calda? E la tua presa tanto salda?
Hai perso tutto, eppure sembra che sia tu a volermi dare forza, adesso.
Innumerevoli volte ho sognato e urlato il desiderio che avevo di te.
Alla fine del mondo, sei arrivato.
 

 
Le ampie finestre dell'appartamento a Myfair lasciano filtrare le luci di Londra, rumorosa come sempre, caoitica e affollata, che esiste ancora per merito loro. In un attimo fugace, Crowley si domanda se qualcuno glielo riconoscerà mai.
 
 
 
Non so cosa fare, angelo.
Sei venuto qui perchè te l'ho chiesto, perchè non hai più un posto dove stare.
Non ho neanche un divano dove farti sedere. Il mio appartamento non è accogliente, credo. Rappresenta me.
Tutto qui è spigoloso. Come le ossa che mi spuntano dalle anche e dalle spalle.
Spoglio e scarno, come la gola che sento tremare, ancora, guardandoti nella penombra.

Cosa ho io da offrirti? Hai già il mondo ai tuoi piedi, ricco e caldo e pieno di bellezza come sei.
Come sei sempre stato.
 
Sei rimasto in silenzio ed io non so cosa dire.
La verità è che io non potrò mai eguagliare quello che tu hai fatto per me. Seimila anni sono tanti, perfino per noi.
Ti ho fatto attendere troppo e non ho sentito una sola parola di biasimo nei miei confronti.
Non mi hai mai chiesto nulla. Come posso meritare tutto questo? Come posso meritare te?

 


 
Non riescono a parlare, né l'uno né l'altro.
Aziraphale si lascia scivolare a terra, con la schiena appoggiata a un muro. Il suo sguardo cade sulla grande scrivania e sul trono. Infine indugia per ancora un poco su Crowley, che è rimasto rigido e impettito di fronte a lui. Gli tende di nuovo la mano, e Crowley la prende come fosse l’unico punto fermo dell’intero universo.
 
Sono seduti spalla a spalla, adesso. Sono stanchi e allo stesso tempo infinitamente leggeri, perché il peso del mondo intero ora non grava più sulle loro spalle.


 
 
Sento il tuo calore. Se potessi toccare la tua pelle nuda, brucerei.
Sei così vicino e così lontano, nello stesso momento.
Non ci siamo ancora detti una parola da quando ti ho preso la mano sull’autobus. Mi chiedo cosa pensi.
La tua mente è rapida, scattante, nervosa come i tuoi movimenti. Non ho il coraggio di guardarti, perché ho paura di cosa potrei leggere in te, per una volta.

Mi hai accolto qui nonostante io non lo meriti.
Vorrei ringraziarti, ma le parole mi muoiono in gola.

 
Vorrei stringerti. Vorrei dirti cosa provo.
Non rinnego quello che sono, ma so di non poter aspirare ad averti.
Mi accontento di sentire il tuo peso sulla spalla, appena percettibile, il tuo calore, la tua presenza.
Come ho sempre fatto. Non ho bisogno di altro che della tua luce.
 
Ora comprendo.
Ho avuto fin troppo tempo per riflettere, ma non ho capito mai nulla.
E in questa prima notte di un nuovo Eden e una nuova vita, finalmente realizzo che il Paradiso e Dio non sono la perfezione, e che l’Inferno non è il ricettacolo di ogni male.
Conta solo quello che abbiamo vissuto. Conta solo quello che abbiamo fatto. Conta solo quello che siamo.
Insieme.


 

 
Aziraphale non può più aspettare.

Non ha mai lasciato la mano di Crowley e ora porta le sue dita alla bocca. Le bacia con reverenza, perché sono le sue mani. Quelle di chi ha combattuto con lui. Quelle che lo hanno spinto con rabbia contro a un muro, qualche giorno fa. Quelle che ha sentito pizzicare le corde di una lira, millenni prima. Quelle che gli hanno sfiorato il petto, una volta, quando hanno sentito l’uno il battito del cuore dell’altro.
Quelle che non ha più intenzione di lasciare.
Mai più.


 
Lo stai facendo, lo stai facendo davvero.
Mi marchi a fuoco l’impronta della tua bocca.

 
Crowley non può più aspettare.

Per un attimo si sono guardati negli occhi, ed è stato sufficiente. Crowley legge nello sguardo puro e liquido di Aziraphale un amore traboccante, denso, vischioso come miele, che lo inghiotte e lo avviluppa, lo fa cadere ancora e ancora, migliaia di volte, nell’attimo infinito che separa le loro labbra. E quando si baciano, quello che Crowley prova, più di tutto, è la meraviglia dell’essere accettato, di nuovo, a far parte del Paradiso.
 

Le stelle, fuori, non sono altro che polvere.
Tutto quello che conta è la Terra che hanno scelto.

Tutto quello che conta, ora, sono loro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3883287