Una ballata del mare salato

di syila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I° ***
Capitolo 2: *** Capitolo II° ***
Capitolo 3: *** Capitolo III° ***



Capitolo 1
*** Capitolo I° ***


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Capitolo I°

Navigare necesse est, vivere non necesse.
Il primo ricordo di Sigvard Ohlsen sono le sue mani – mani di bambino – che tesano la scotta della randa. La vela appartiene a un piccolo Sloop che sta fendendo le onde grigie del Kattegat.
Sigvard avrà certo fatto altre cose prima di quella, avrà detto le prime parole, mosso i primi passi, forse ha riso o giocato, ma è come se la sua vita fosse cominciata realmente solo con la capacità di dominare il vento e il mare a bordo di un’imbarcazione.
Poi sono arrivate barche più grandi, orizzonti più ampi.
Al grigio del Mare del Nord si sono aggiunti il verde del Baltico e il color vino dell’Egeo cantato da Omero, il bruno limaccioso del Golfo di Finlandia e il blu profondo dell’Atlantico.
E il turchese pastoso del Mar dei Caraibi, e lo zaffiro dell’Oceano Indiano.
E la furia di schiuma e vento del Capo di Buona Speranza, con le procellarie che gridano e le onde come cavalli impazziti.
La vita di Sigvard è mare e vento.
Arriva il primo viaggio da solo, a quattordici anni, su un vapore della compagnia paterna.
A Macao per caricare spezie e seta.
Lui deve guardare e imparare.
Imparare la navigazione e il commercio, per diventare un degno successore di Gunnar Ohlsen, importatore di merci pregiate.
Ma non fa per lui, non è quel che vuole.
Sigvard non è fatto per stare a guardare.
L’occhio non può comunicargli il fremito della vela che prende vita gonfiata dal vento, o l’esaltazione di volare sulle onde a venti nodi, con gli spruzzi salati che ti arrivano in faccia e il vento che ti stordisce.
Ci sono cose che si percepiscono nel profondo, e solo con il corpo nella sua interezza.
Osservare le cose, atto asettico e distaccato, non equivale a viverle.
E così a Macao scrive una lettera. Poche righe, non è tipo da perdersi in preamboli.
Caro padre, grazie per tutto quello che avete fatto per me, ma voglio trovare la mia strada da solo.
Porta con sé solo i libri di studio e le carte nautiche, tutto il resto se lo lascia alle spalle.
Si imbarca.
È alto, gli è facile passare per sedicenne.
Ogni tanto si sente chiedere se è parente di Ohlsen della compagnia di navigazione, ma invariabilmente risponde di no.
Velieri, vapori, persino una giunca. Equipaggi e merci di ogni genere.
Luoghi lontani, popoli dei quali nemmeno sospettava l’esistenza.
E intanto studia.
Indefessamente, approfittando di ogni momento libero.
Navigazione, trigonometria, astronomia.
A soli diciotto anni supera brillantemente gli esami di ufficiale.
Ne ha ventuno quando si imbarca come ufficiale di rotta sulla Vasa, nave passeggeri partita da Stoccolma per raggiungere Shanghai.
La Vasa è un magnifico piroscafo tutto bianco, al suo viaggio inaugurale.
Qualcuno potrebbe obiettare che il suo nome è sfortunato, ma siamo in pieno Positivismo, e la superstizione è relegata nelle stamberghe delle megere.
Vederlo scivolare sulle onde con la Gran Gala di Bandiere e coi suoi bei fumaioli bianchi e azzurri è una gioia per gli occhi.
E a bordo ci sono gentiluomini eleganti, e signore dai vestiti colorati, e ufficiali con le loro belle uniformi blu dai bottoni dorati.
Non si è mai visto un piroscafo più bello.
E il signor Ohlsen, come adesso viene chiamato, è sicuramente il più bello degli ufficiali.
Alto, biondo, gli occhi cangianti sui toni del grigio e dell’azzurro.
I lineamenti dolci del fanciullo si sono induriti in quelli di un giovane uomo senza però perdere la loro armonia.
Più d’una delle graziose passeggere lo guarda sospirando.
Ma il signor Ohlsen ha occhi solo per la Vasa e per la sua rotta, null’altro gli suscita interesse.
Lo si può vedere a prua, dritto e severo, a scrutare il mare e il cielo, ma mai rivolto verso la coperta a ricambiare gli sguardi timidi delle fanciulle.
Il signor Ohlsen non ha tempo per queste cose.



Diario del Capitano Justus Van Loo.
Domenica 5 di Aprile 1885, Mare della Cina, Pasqua del Signore.

Abbiamo lasciato finalmente Halmahera e l'accogliente baia di Somola dove ci hanno tenuti fermi gli ultimi strascichi del monsone e le operazioni di calafataggio della chiglia che ormai non potevano più essere rimandate.
Facciamo rotta verso Singapore, là dove nubi pensanti e grasse di pioggia si sfilacciano e lasciano intravedere uno squarcio di sereno. Il morale degli uomini è altalenante; favoleggiano di mercantili da depredare e navi passeggeri traboccanti di bellissime “madam” ingioiellate; vogliono rifarsi dei mesi di magra dovuti al maltempo, ma d'altro canto li eccita l'idea di sbarcare presto in una città per così dire “civile” e dare fondo agli ultimi spiccioli in qualche bordello.

Ore 11
Il signor Wu riferisce che avremo ancora aragoste e polpa di granchio a pranzo. Qualche lamentela nell'equipaggio, da tre settimane non si mangia altro; mentre, ironia della sorte, nelle Table d'hote europee la gente è disposta a spendere follie per uno di questi crostacei.
Aristotele dice che è nella natura del desiderio non poter essere soddisfatto e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo; naturalmente i marinai della Seung non sanno chi sia Aristotele, sanno solo che mangerebbero volentieri un bel maiale arrosto e non l'ennesima Langouste.
Nota disciplinare.
Il signor Cardoso è consegnato nei suoi alloggi fino alla fine della settimana.
Motivo: ha approfittato della sua qualifica di capo stiva per sottrarre alcol e altri generi di conforto affidati alla sua custodia.
Alcuni non capiscono la mia decisione, presumo che il fatto di essere pirati giustifichi ruberie e imbrogli anche tra di loro e a ben guardare c'è della logica in questo paradosso; rubare ad un ladro conferisce al furto una parvenza di liceità.

Ore 15
Il signor Lynch trova più divertente arrampicarsi fino al timone e osservarmi scrivere il diario di bordo piuttosto che lucidare il ponte, come le sue mansioni di mozzo gli imporrebbero; ha ciondolato un po' qui attorno fingendo di dare di spazzola, infine mi si è appollaiata dietro le spalle e dopo aver tentato inutilmente di decifrare il testo ha chiesto cosa avessi tanto da scrivere ogni giorno.


La grafia diventa incomprensibile, lo scritto viene ultimato in altra pagina.

Questa specie di scimmietta dai capelli rossi ha posato le mani sull'inchiostro ancora fresco costringendomi a buttare il foglio e alle mie minacce, peraltro non seguite da fatti concreti, è scappata berciando sull'albero più alto e non ne vuole sapere di scendere.
Ha diciotto anni, è semianalfabeta e irlandese, Dio lo perdoni soprattutto per quest'ultima cosa e Dio perdoni la mia ostinazione a voler inculcare nell'equipaggio una qualche forma di disciplina.
Perseverare è diabolico, ma una ciurma addestrata non è peccato, semmai è un peccato che dei gentiluomini di fortuna, quali siamo, si lascino sfuggire un pingue vapore olandese a causa dell'inettitudine e della disorganizzazione.

Benedici la Seung e i suoi uomini buon Dio.
E metti sulla nostra strada un bel mercantile se puoi.
Amen




Con il suo bello scafo nuovo e liscio e le moderne turbine a vapore, la Vasa fila a diciotto nodi, con punte di ventuno.
Il Kattegat, lo Skagerrak, la Manica, Gibilterra, il Canale di Suez, il Mar Rosso, il Golfo di Aden, l’immensità dell’Oceano Indiano e infine lo Stretto di Malacca e il Mare di Giava disseminato di isole.
Lì la corsa della Vasa rallenta: i fondali sono bassi, le coste infide.
Gli eleganti passeggeri nei loro abiti chiari non sanno nulla di pirati e scogli, guardano fuori appoggiati alle murate, si indicano l’un l’altro il salto dei pesci volanti e il lussureggiare delle coste tropicali.
Fiori magnifici, uccelli dai mille colori.
E i profumi che la brezza porta da terra, e l’incanto dei tramonti tropicali.
E canoe che sfilano silenziose, a bordo ragazze ridenti, dagli abiti di seta colorata.
Abituati a paesaggi di tenue dolcezza o di gelido rigore, i passeggeri sono storditi e affascinati.
L’acqua è di un blu profondo, il cielo è turchese, le selve sono esplosioni di verdi, i fiori sono carminio, giallo, porpora, rosa e un bianco denso come latte.
L’unico che rimane di ghiaccio è il signor Ohlsen.
Lui non ha tempo per il paesaggio, deve pensare alla rotta della Vasa e ai pericoli che l’elegante piroscafo potrebbe incontrare durante la navigazione.

Tramonto infuocato.
Rosso aranciato laddove il sole sta scomparendo dietro l’orizzonte, azzurro cupo a Oriente.
Le prime stelle sulla volta ormai nera.
La Vasa procede piano, in coperta grappoli di luci che brillano su una festa danzante.
Stralci di musica e risate, signore e signorine ingioiellate, con abiti vaporosi come nuvole.
L’acqua è uno specchio cupo, appena increspato da onde lievissime.
Il signor Ohlsen è inquieto.
Così addobbata e rutilante, piena di gente che fa chiasso, la Vasa gli sembra la Nave dei Folli di Brant.
Non lo sanno che il Mare di Giava è zona di pirati?
Ma lui non è il comandante, è solo l’ufficiale di rotta.
Suo compito è portare il piroscafo verso il Golfo di Thailandia, e da lì nel Mare della Cina, non preoccuparsi dei pirati.



Diario del Capitano Justus Van Loo.
Martedì 15 Aprile 1885, Mare della Cina

Dopo giorni di nulla assoluto in cui, tenendo la rotta del caucciù tra Giava e Sumatra, le uniche imbarcazioni che abbiamo incontrato erano le piccole giunche dei pescatori locali, finalmente si è profilata all’orizzonte la sagoma massiccia di un mercantile Olandese, il Kristina.
L’entusiasmo per l’avvistamento è dilagato rapidamente tra la ciurma come un’epidemia di colera, tuttavia, mantenendo il sangue freddo, gli uomini hanno notato subito qualcosa di strano nella linea di galleggiamento della nave; troppo sopra il pelo dell’acqua per un’imbarcazione di quella stazza, troppo leggera, perciò troppo vuota.
Quanto al Kristina è bastato che sparassimo alcuni colpi di avvertimento in aria, perché il loro equipaggio arrestasse le macchine facendoci salire a bordo senza opporre la minima resistenza.
E questa fu la conferma definitiva che le loro stive erano vuote.
“Spazzolate fino all'ultima balla di seta e fino all'ultima oncia di cannella” come puntualizzò solerte e non privo di una rassegnata ironia il capitano davanti ad un bicchiere di Cognac, nella conversazione più diplomatica e cortese che mi sia capitata da un anno a questa parte.
L'equipaggio aspettava solo di raggiungere il primo porto munito di telegrafo per comunicare l'avvenuto furto alla Compagnia di navigazione, la quale del resto aveva prudentemente assicurato il carico.

La concorrenza ci aveva preceduti ed è ingiusto chiamarla “concorrenza sleale” perché non esiste un simile concetto nella pirateria, dove chi primo arriva meglio alloggia.
Gli uomini della Seung non l'hanno presa bene e sono fioccate diverse proposte: la più misericordiosa prevedeva l'affondamento del mercantile, con tutto il suo equipaggio, naturalmente.
Alla fine sono riuscito a spuntare un onorevole compromesso dopo una breve trattativa con la ciurma, che ha accettato parte dei viveri e dei generi di prima necessità di cui siamo sprovvisti come “risarcimento” del mancato abbordaggio.
È incredibile cosa possono fare patate, scatolette di carne e una collezione di fotografie licenziose requisite all'aiuto cuoco del Kristina.
Dio perdoni la mia ambizione e il mio orgoglio, però non me la sono sentita di unirmi agli altri e festeggiare una volta tornati sulla giunca.
Se ci accontentiamo delle briciole che cadono dalla tavola del ricco vivendo in casa sua alla ventura non è filibusta, ma elemosina.

Ore 16,00
Quattro ore dopo aver abbandonato il mercantile olandese il signor Lynch è venuto a chiamarmi in coperta manifestando un notevole grado di eccitazione, al mio arrivo c'erano già una decina di uomini, che indicavano un punto bianco sull'orizzonte.
Una nave passeggeri.
Strano.
Totalmente fuori dalle rotte mercantili, da cui anche noi ci siamo allontanati per dirigerci a Celebes, sembra andare alla deriva, forse a causa di un'avaria.
Dopo una scrupolosa osservazione col cannocchiale ho dato l'ordine di avvicinarci, tenendoci fuori dalla portata di tiro delle armi, una trappola è una circostanza da tenere nella dovuta considerazione.
Dalla nostra abbiamo che una giunca pirata è simile a qualsiasi altra giunca di pescatori, dalle Indie Olandesi al Mar Giallo e passa inosservata, almeno finché non tiriamo fuori i fucili.
La cosa che ci lascia più perplessi, però, è la sinistra mancanza di movimento a bordo; nessuno sui ponti, né marinai,né passeggeri, molti uccelli marini appollaiati sui fumaioli e qualcosa di rosso che macchia vistosamente le murate candide.
Tenderei ad escludere che si tratti di ruggine.
Caleremo in mare una scialuppa e con un piccolo gruppo di uomini cercherò di salire sulla “Vasa”.




Quello che macchia le murate è sangue secco, sgrondato giù dagli ombrinali come pioggia durante un acquazzone.
La coperta è un raccapricciante mattatoio sul quale grava il lezzo dolciastro della putrefazione.
I corpi, a decine, giacciono contorti dopo gli spasimi dell’agonia, con la gola tagliata, addosso brandelli di vestiti.
Una mano di donna penzola priva di dita, evidentemente amputate per asportare più facilmente gli anelli, un uomo supino rivolge al cielo l’agghiacciante ghigno della bocca spalancata per strappare i denti d’oro.
Una ragazzina a gambe aperte, la biancheria e le carni lacerate, testimonia che non erano solo le ricchezze materiali ad attrarre gli assalitori.
Dappertutto segni di una lotta disperata quanto inutile.
Buchi di proiettili, bruciature, ufficiali e marinai, ma anche passeggeri di sesso maschile, trucidati a colpi di fucile o machete.
E poi un’immagine grottesca.
Un corpo nudo appeso per i polsi, incrostato di sangue, che dondola lentamente seguendo il rollio della nave alla deriva.
È un giovane uomo dai capelli biondi, col capo reclinato all’indietro e i piedi che sfiorano le assi insanguinate della coperta.

Su onde che la luna rende argento e giaietto, la Nave dei Folli scivola spensierata, lasciandosi dietro musica e risate.
Occhi rapaci la seguono, fissando avidi le dame ingioiellate che volteggiano allegre in coperta.
Dalle coste vicine si staccano pian piano piccoli battelli neri che cominciano a seguire la scia della Vasa, aspirando con voluttà ferina l’odore di benessere che essa si lascia dietro.
L’assalto arriva in piena notte, quando anche le ultime coppie si sono ritirate nelle cabine per dormire e in coperta non ci sono che pochi marinai di guardia.
Figure senza volto saltano sulla nave silenziose, dilagano, uccidono. L’onda mortifera invade la coperta, si divide in rivoli nei corridoi, giù per le scale e passa di cabina in cabina seminando terrore e devastazione.
Echeggiano spari, i lampi delle esplosioni lacerano le tenebre fitte.
Il signor Ohlsen se l’aspettava. Aveva parlato con il comandante, non facciamo la festa qui, non è prudente, ma si era sentito rispondere di pensare alla rotta e lasciare il comando a chi aveva più esperienza di lui.
Quando sente in coperta lo scalpiccio soffice dei piedi nudi capisce subito cosa sta succedendo. Corre a dare l’allarme, ma ormai i pirati sono ovunque. Organizza una difesa, non sa dove siano gli ufficiali più anziani, se siano vivi o morti, ma non c’è tempo di cercarli, fa distribuire armi, lui stesso combatte disperatamente, ma è troppo tardi.
La Vasa viene conquistata, i passeggeri uccisi l’uno dopo l’altro come pecore al macello, i corpi spogliati, ogni avere depredato.
A Ohlsen, ferito e immobilizzato dopo un’eroica resistenza, non tocca il privilegio di una morte rapida, sono troppi i pirati che ha mandato all’altro mondo.
Deve morire dopo un’atroce agonia, torturato dai raggi spietati del sole, di fame e sete se non lo uccideranno prima le ferite.
Viene appeso per i polsi ad una catena che pende da un pennone, unico e ultimo cuore pulsante sulla Vasa, e abbandonato alla deriva con la nave mentre i pirati immaginano ghignando i gabbiani che beccheranno quei begli occhi blu dal volto che ancora freme negli ultimi sussulti di vita.


Il corpo dondola lentamente sotto lo sguardo inorridito di van Loo.



Saccheggio, stupro, esecuzioni sommarie; tutto, tutto ciò che il Capitano olandese aveva visto in anni di addestramento militare e in seguito come pirata si ammassa ora sul ponte della Vasa come un campionario grottesco e caotico di devastazione.
Nonostante abbia maturato una specie d'insensibilità al dolore altrui, un vaccino che gli permette di tenere testa testa a situazioni estreme, quella vista, complice l'odore nauseabondo della decomposizione e il caldo soffocante, gli prende lo stomaco come un mozzo alla sua prima tempesta.
“Kap'tin!” l'esclamazione che in malese rende approssimativamente la sua qualifica lo riporta alla realtà “Kap'tin, questo è ancora vivo!”.
Il signor Lynch, la scimmia dal pelo rossiccio che si era intrufolata all'ultimo momento sulla lancia, fa dondolare il povero cristo attaccato al pennone.

Gli altri stanno già sciamando attorno ai corpi, frugano negli stracci in cerca di qualcosa che i predoni hanno dimenticato nella concitazione dell'assalto.
Così non va.
“Signor Xiao, signor da Silva, Signor Yazici, prendete due uomini ciascuno e ispezionate la nave da cima a fondo: stive, cabine passeggeri e del personale, sala macchine; entro un'ora vi voglio sul ponte di comando.”
“Ma Kap'tin non è rimasto niente da prendere!”
“Già, siamo arrivati tardi anche qui, mala suerte que te follen...” verseggia lo spagnolo sputando sul sangue rappreso.
“Niente? La Vasa vi sembra niente? Lasciamo ai nostri colleghi il bottino, al mare i corpi di questi disgraziati, noi ci prendiamo la nave!”
L'idea d'impossessarsi di un vascello grande quasi il doppio della Seung suona abbastanza folle e audace da elettrizzare i sottoposti, che si guardano tra loro e poi esplodono in un triple “hurrà” per l'olandese, prima di disperdersi, armi cariche e orecchie tese, nella pancia della Vasa.

“E questo qui?” Insiste petulante il signor Lynch dando un'altra spinta al corpo appeso al gancio, che oscilla in modo più marcato strappandogli un lamento dal limbo dell'incoscienza.
L'avevano lasciato in vita perché il sole, il caldo e gli uccelli finissero il lavoro al posto loro e nonostante ciò si erano presi la briga di divertirsi parecchio con quel ragazzo biondo; chissà perché, ma c'è davvero un perché e un limite alla crudeltà umana?
Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza...
“Aiutatemi a tirarlo giù, lo portiamo nella cabina del comandante.”
“Ma... è praticamente morto kap'tin! O lo sarà tra poco!”
Analfabeta, giovane, irlandese e pignolo per giunta! Ma da qualche parte devo cominciare a pagare per i miei peccati no?
“Se muore, morirà come un cristiano, non come un'offerta sacrificale e se sopravvive ci spiegherà come sono andate le cose, forza andate all'argano e calate il gancio.”
“Signorsì signor Kap'tin!”



Sigvard Ohlsen rimane per giorni abbandonato in un limbo, alla deriva come la Vasa.

Ha contemplato la propria morte.
L’ha fatto per ore, forse per giorni.
L’ha vista crescere come una pianta infestante, come un parassita che si gonfia lentamente di sangue.
Ad ogni tentativo fallito di liberarsi, ad ogni fitta dei polsi straziati dalle catene, ad ogni respiro inalato con caparbia volontà nonostante i muscoli tesi e doloranti.
L’ha vista fissarlo in agguato, e poi muoversi lenta, sinuosa verso di lui, man mano che la sua esausta volontà lo abbandonava.
Aveva sempre pensato che sarebbe morto in mare, ma non immaginava che sarebbe morto così.
O forse nessuno immagina di morire nel modo che gli viene proposto.
Tutti hanno in mente qualcosa di diverso, di più eroico, di più consono.
Ma è raro che la Morte tenga conto dei gusti altrui quando giunge.
La Morte prende senza chiedere permesso.
Esita, con Sigvard.
Forse vuole giocare.
Si avvicina, lo tocca con le sue dita gelide, poi si scosta per fargli vedere una nave che scivola all’orizzonte, esattamente come il leopardo allenta le mascelle per consentire un ultimo disperato respiro alla sua vittima.
È l’ultima vita della Vasa, la Morte ne ha già mietute tante lì sopra, e forse non è più affamata.
O forse se la vuole conservare come una specie di cioccolatino a fine pasto.

“E questo qui?”
Una voce si sovrappone allo stridio degli uccelli accorsi al richiamo della Morte, li scaccia.
Il Mietitore si ritrae in un angolo: non è ancora giunto il suo momento, non può ancora portarsi via l’ultima vita della Vasa.
Ma rimane a contemplarla, non permetterà che gliela sottraggano.
Rimane a vegliarla, fedele e silenziosa come un cane.



Fine prima parte


⋆ La voce dell'intraprendenza ⋆

Questo racconto in tre capitoli è frutto di un lavoro a quattro mani con un amico-di-scrittura di vecchia data, che forse alcuni di voi già conoscono e apprezzano: Old Fashioned.
Vi invito caldamente a visitare la sua pagina https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=934147 dove potrete trovare una produzione letteraria variegata e sempre di altissima qualità.
Il soggetto fa parte di una "Galassia Vittoriana" da cui era già uscito "La traversata" e da cui non escludo possa venir fuori anche altro.
Dopo un leggero restyling, necessario ad eliminare il velo di polvere che il tempo aveva depositato su questi due soggetti e le loro avventure, abbiamo deciso di pubblicarlo e di condividerlo con voi ^-^
Qualsiasi riscontro sarà gradito e molto apprezzato!

NB: il titolo è un prestito del grande Hugo Pratt, autore di magnifiche tavole a tema marittimo, ricche di fascino, mistero e avventura.



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Capitolo 2
*** Capitolo II° ***


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Capitolo II°



Il Capitano Van Loo da cristiano battezzato era un credente, magari sui generis, ma di certo più sincero di tanti baciapile che andavano in chiesa tutte le domeniche, perciò considerava la Morte un avversario di tutto rispetto.
Fosse toccata a lui la sorte del ragazzo avrebbe accettato serenamente il suo destino, il rischio faceva parte del mestiere che, un po' per caso, un po' perché costretto dalle circostanze, aveva scelto; ma quel giovane aveva solo compiuto il suo dovere: difendere come un leone la nave e i passeggeri che gli erano stati affidati.
Sguattero, cuoco, macchinista, ufficiale cambiava poco per il comandante della Seung, aveva accettato la sfida con la Morte pur di strapparglielo dalle mani, perché un cuore in cui pulsava tanto ardimento non doveva smettere di battere.
Al riparo di una delle baie di Celebes, protese sul mare come dita uncinate, mentre la ciurma spolpava la Vasa di tutto quello che c’era ancora da rubare, il Capitano e il signor Wu si alternarono al capezzale del moribondo per giorni.
Il cuoco era l’unico dell’equipaggio a possedere qualche cognizione medica, più che altro in virtù del suo mestiere, che gli imponeva di saper maneggiare erbe e coltelli affilati.
Ripulì le ferite infette del giovane con la stessa maestria con la quale estraeva la polpa del granchio dal suo carapace, ma l’infezione si propagò e venne la febbre.

Il marinaio della Vasa delirava in una lingua che Van Loo ritenne essere del nord Europa, ma lui stesso, che era Olandese, ammise di non capirci nulla; forse era finnico, forse danese.
Annotò puntigliosamente sul diario ogni più piccolo cambiamento o indizio utile per quando si fosse svegliato, perché era certo che prima o poi sarebbe successo; la fibra forte del ragazzo reagiva agli impacchi di foglie medicamentose recuperate dal signor Wu sull’isola e queste si dimostrarono più efficaci dell’intero armadietto medico trovato sul vapore tanto che, nel volgere di una settimana, la febbre cominciò a scendere.
Gli uomini della Seung nel frattempo avevano terminato la loro opera di spoliazione e, avendo prosciugato anche la scorta di vini e liquori della sala ristorante cominciavano a dare segni d’impazienza. In mare come nel deserto le cose per i predoni funzionavano allo stesso modo: assalire e depredare un obiettivo, poi, una volta esaurite le sue risorse, bisognava spostarsi verso quello successivo.

“Kap'tin girano voci” disse una sera di fine aprile il cuoco dopo aver posato sul tavolo la cena del Capitano e le bende pulite per il ferito.
“Ah ha girano sempre voci signor Wu, ma proprio perché girano do loro l'importanza di una corrente d'aria” Justus Van Loo sollevò lo sguardo dal giovane biondo a cui aveva appena cambiato la pezza bagnata sulla fronte e fece un cenno d'incoraggiamento al cuoco perché riferisse comunque ciò che aveva sentito.
“Da Silva dice agli uomini che tu non vuoi più prendere il mare e t'interessa più il moribondo della Vasa, dice che di questo passo perderemo tutti i carichi più ricchi sulla rotta del caucciù e dobbiamo approfittare del mare buono e salpare.”
“Il signor Da Silva ha forse preso il comando della Seung? Perché se è così deve venirlo a reclamare come vogliono le nostre leggi e mi auguro che trovi argomenti più interessanti di un paio di mozzi ubriachi.”
Il cinese annuì remissivo ed uscì lasciando il Capitano alle sue riflessioni; Da Silva ce l'aveva con lui per quella faccenda degli arresti, dannati spagnoli: ragionavano col contenuto delle loro brache piuttosto che col cervello.
Bene, almeno così sapeva che avrebbe dovuto aspettarsi dei problemi nei giorni successivi e per “festeggiare” la decisione che comunque stava meditando da qualche tempo prese la pipa caricandola col tabacco migliore.
Fu allora che sentì dietro alla nuca un leggero formicolio; qualcuno lo stava osservando con insistenza, ma l'unico che poteva farlo era sdraiato mezzo morto sulla branda. Lentamente girò la testa e vide un paio di occhi azzurri che lo fissavano, finalmente lucidi e coscienti. Palesemente il ragazzo aveva sentito tutto, ma chissà se aveva capito qualcosa!



Il ragazzo stava cercando di capire, in effetti.
Si trovava nella cabina del comandante della Vasa, questo lo vedeva bene, ma notava anche che mancavano gli effetti personali del capitano.
Chi era l'uomo seduto accanto al suo letto?
Non comprendeva bene la sua lingua, ma a forza di navigare in quei mari qualche parola nella maggior parte delle lingue locali la parlava. Carichi ricchi, mare buono e salpare. Non molto, ma abbastanza per capire quale fosse l'attività della gente che si trovava a bordo in quel momento
. Erano gli stessi che avevano ucciso e depredato i passeggeri della Vasa?
A Sigvard pareva di ricordare che quelli fossero asiatici. Non aveva visto un solo bianco tra loro. Biondi, poi, nemmeno a parlarne.
E allora chi erano quelli?
La risposta arrivò nuda e brutale come una lama nella carne: altri pirati.
Avevano finito di spogliare il piroscafo e probabilmente stavano tenendo in vita lui solo per venderlo in qualche mercato di schiavi a Bangkok o a Macao.
Tentò di sollevarsi, più che altro per farsi un'idea delle proprie forze, ma ricadde con un gemito di dolore e la sensazione che il suo corpo fosse fatto di pietra.

“E' ancora presto per quello giovanotto.” disse il Capitano in buon francese accompagnando la frase con un sorriso rassicurante.
Il che, ne era ben consapevole, in una situazione del genere, valeva fin lì; ma da come il ragazzo lo seguiva con lo sguardo dedusse comunque che aveva inteso le sue parole.
Il francese funzionava sempre a meraviglia, in Africa come in Asia, un po' come il latino al tempo dei romani.
“Siete rimasto incosciente per molti giorni e ci sono stati momenti in cui ho pensato di perdervi.” l'olandese prese uno sgabello e si sedette vicino al letto del ferito, la pipa spenta emanava una leggera fragranza di tabacco di prima scelta; lui stesso aveva poco del pirata che ci si figura sempre nei romanzi d'avventura, sembrava piuttosto un ufficiale di lungo corso momentaneamente a riposo. “Però avete una fibra robusta, siete un combattente, forse per questo i predoni vi hanno riservato un trattamento speciale.”
L'altro stirò le labbra e contrasse le mascelle, bel trattamento: appeso ad un argano e aspettare di essere mangiato vivo dagli uccelli affamati e questi invece? Quali erano le loro intenzioni?

“Avete già avuto la Vasa, a cosa vi servo io?” domandò altrettanto stringato e asciutto; Van loo non poté fare a meno di notare una sottile piega d'espressione sulla sua fronte, evidentemente si formava quando doveva ponderare decisioni difficili e quella era in effetti una circostanza piuttosto scomoda per lui.
“Speravo poteste chiarirmi le circostanze dell'attacco, una simile brutalità è insolita anche per un mare infestato da pirati come l'Oceano Indiano.”
“Volete dire che se la rotta della Vasa avesse incrociato la vostra nave l'epilogo sarebbe stato diverso?”
Poche storie, il ragazzo aveva capito in che razza di gentaglia era incappato, inutile fare cerimonie se il suo destino era di finire in un bordello o in un campo di papaveri da oppio.

“Ogni gentiluomo di fortuna si arrangia al meglio de
lle sue possibilità, alcuni hanno una sorta di codice morale altri hanno semplicemente l'avidità e l'istinto a guidarli.”
“Deduco che voi facciate parte del primo gruppo.” commentò duro Sigvard senza perderlo di vista.
“Io non faccio media, piuttosto mi colloco in una categoria a sé stante, quella delle buone maniere; ad esempio mi pare giusto presentarsi giunti a questo punto: Capitano Van Loo, comandante della Seung, di stanza sulla rotta del Caucciù e, a seconda della bisogna, in parecchi altri posti.” dichiarò porgendogli la mano con un gesto risoluto “E voi? Non posso chiamarvi sempre giovanotto, nonostante lo veda che siete molto giovane!”



“Buone maniere, signore?” replicò duramente il ragazzo. “Da parte di uno che vive di preda e di rapina mi pare un po' fuori luogo parlare di buone maniere. Comunque il mio nome è Sigvard Ohlsen, sono svedese. Sono... cioè, ero l'ufficiale di rotta della Vasa.”
“Quanti anni avete, signor Ohlsen?” domandò l'altro, all'apparenza indifferente al tono duro del giovanotto.
“Abbastanza per fare l'ufficiale di rotta.”
La piega d'espressione sulla fronte era ritornata, segno che evidentemente Ohlsen era preoccupato. Difficile non esserlo, del resto, con la consapevolezza di trovarsi su una nave pirata. Van Loo sapeva di apparirgli in quel momento più o meno come una specie di mellifluo Jack Rackham che stava cercando di valutare quanti soldi avrebbe fruttato la sua vendita in un mercato di schiavi.
“Potete dirmi cos'è successo alla vostra nave?” gli chiese comunque.
“Dovreste immaginarlo,” rispose lo svedese, “sono arrivati dei vostri colleghi. C'era una festa in coperta, probabilmente le luci e la musica sono servite da guida per le loro lance. Sono saliti a bordo quando i passeggeri si sono ritirati per andare a dormire e hanno ucciso tutti.”
“E voi?”
“Volevano farmi morire lentamente.”
“Perché?”
“Ho combattuto più degli altri.”
Poi tacque. Chiuse gli occhi con un sospiro, forse era stanco, o forse ricordare l'agonia delle ore trascorse appeso per i polsi l'aveva turbato.

“E non volete sprecare la seconda occasione che Dio vi ha donato vero?”
“Dio ha uno strano modo di offrire una seconda opportunità: dei pirati mi hanno quasi ucciso e adesso sono dei pirati a salvarmi, mi scuserete se non riesco a vedere un disegno divino dietro, signor Van Loo.”
“Capitano Van Loo.” precisò l’altro.
“Non basta tenere il timone di una nave per dirsi suo capitano, signore.”
Di nuovo un bagliore duro e risentito accese gli occhi di quello che per l’olandese era poco più di un ragazzo; inutile cercare lo scontro, non ne avrebbe cavato fuori niente.
Meglio correggere la rotta.
Tornò a sedersi presso di lui e riprese il suo ruolo d'infermiere che l'arrivo del cuoco cinese aveva interrotto.
L'altro, a dispetto delle sue parole sferzanti, non diede alcun cenno d'insofferenza o ribellione e si lasciò cambiare tranquillamente le fasciature.

“Possiamo venire ad un equo compromesso e nessuno avrebbe da rimetterci: un buon ufficiale di rotta che conosce l'area ci farebbe comodo, diciamo fino alla prossima stagione dei monsoni, poi una volta attraccati al primo porto civile potreste scendere e casualmente trovare la strada della vostra compagnia di navigazione. A loro raccontereste solo la verità, che dei pirati vi hanno tratto in salvo mezzo morto, vi hanno tenuto prigioniero e alla prima occasione ve la siete svignata.”
“Mi state offrendo di collaborare con voi e poi di tradirvi?” esclamò indignato “Ma che razza di persona siete!”
“Un pirata signor Olsen... E un gentiluomo.”

Il Capitano era il primo a credere che il giovane svedese avrebbe rifiutato la proposta. Pensava di aver capito qualcosa di quel ragazzo: piuttosto che aiutare dei pirati si sarebbe offerto volontario come schiavo al mercato di Hong Kong.
La cosa in sé non lo infastidiva affatto, anzi apprezzava la fermezza di carattere del giovane ufficiale, il quale pur trovandosi in una condizione totalmente svantaggiata riusciva a far sfoggio di grande autocontrollo e determinazione; tuttavia non si tratta solo di lui, c'erano altri venticinque uomini della ciurma a cui rendere conto, ai quali del nobile gesto di un bellimbusto non importava un bel niente.



“E quindi sentiamo, secondo voi dovrei condurvi lungo le rotte delle navi mercantili in modo che voi possiate abbordarle e con la più grande cortesia, da vero gentiluomo quale siete, depredarle di ogni avere? Ma vi rendete conto di quello che mi state chiedendo? E quando farete quello che è stato fatto sulla Vasa, io come mi dovrei comportare, signore? Dovrei voltarmi da un'altra parte fino a che non avete terminato?” fece una pausa. Ansava leggermente, segno che parlare così a lungo l'aveva affaticato. “Piuttosto buttatemi a mare adesso, io non collaborerò mai con dei pirati,” disse categorico, quindi ricadde esausto.
“Voi dovreste perlomeno simulare un certo interesse per la mia proposta,” rispose van Loo, al solito senza scomporsi, “qui non sono l'unico ad essere interessato a voi.”
“Che intendete dire?” domandò l'altro diffidente.
“Intendo dire che per i miei uomini siete essenzialmente un testimone scomodo, che appena starà meglio fuggirà e rivelerà la nostra posizione.”
“Potete giurarci che lo farò.”
“Certo, so che lo farete. Ecco perché rischiate che qualcuno dell'equipaggio vi tagli la gola se persisterete con questo atteggiamento.”
“Io non collaborerò mai con dei pirati,” ripeté Ohlsen in un soffio. Aveva ancora davanti gli occhi la coperta della Vasa completamente rossa di sangue, coi pirati che si davano a massacri selvaggi, stuprando, torturando e uccidendo ebbri di ferocia.
Meglio morire che diventare complici di una cosa del genere.

Suonava come una decisione definitiva, c’era da scommetterci che il giovane ufficiale di rotta faceva sul serio, sarebbe morto piuttosto di collaborare con dei pirati.
“Comunque non c’è fretta.” ribadì conciliante l’olandese “Finché siete confinato in quel letto nessuno vi obbligherà a mettere in pratica i vostri insani propositi.”
“Conto di rimettermi alla svelta non preoccupatevi.”
“Oh non mi preoccupo infatti.” il Capitano aveva messo via i medicamenti e dopo averlo fatto bere un leggero brodo di verdure si sedette presso di lui con un libro di mano “Fareste la felicità di qualunque dottore signor Olsen. Vi piacciono i resoconti di viaggio? Stavo leggendo di Cook e della sua missione nell’emisfero australe e mi chiedevo se vi andava di ascoltare un paio di capitoli, leggere ad alta voce è un vecchio lascito di gioventù…”
“Se a voi non dispiace, nemmeno a me.” fu la risposta asciutta del giovane che chiuse gli occhi e inspirò profondamente, non erano manuali di tecnica nautica o d’ingegneristica navale, ma si parlava comunque di mare, meglio che ascoltare le risate rauche e gli stridi scimmieschi della degna ciurma del gentiluomo.



Passò un’altra settimana in questo modo.
I miglioramenti di Sigvard progredivano a vista d’occhio grazie alla sua caparbietà; adesso era in grado si stare seduto e si era alzato già due volte, muovendo qualche passo sotto lo sguardo vigile di Van Loo.
Il Capitano non lo lasciava mai solo, se lui era impegnato altrove lo sostituiva il cuoco cinese, ma in quel caso il tenore della conversazione scendeva a zero, visto che il signor Wu era l’uomo meno loquace del mondo.

Accadde dopopranzo.
Nel corridoio dove si trovavano le cabine degli ufficiali della Vasa risuonarono dei passi decisi che ruppero la quiete assolata del pomeriggio tropicale di Celebes.
Il giovane sonnecchiava aspettando che il caldo passasse per poter camminare un po’, ma all’insolito rumore cadenzato e deciso spalancò gli occhi allarmato.
Van Loo probabilmente si aspettava quel genere di visita, perché rimase perfettamente calmo e, impugnando una pistola in ciascuna mano, diede ai visitatori il permesso di entrare.
“Signor da Silva…” disse guardando il marinaio e i suoi compari “Vedo che avete trovato dei sostenitori alla vostra causa.”
Sei uomini in tutto, se c’era da sparare con buona probabilità ne avrebbe fatti fuori almeno tre e forse ferito qualcun altro.
Militari, marinai, ciurmaglia; sedare un ammutinamento era sempre una faccenda dannatamente complicata.

“Ora lui muore,” disse lo spagnolo, puntando una pistola contro Ohlsen, “così la smetterà di crearci problemi.”
“Di quali problemi state parlando, signor Da Silva?” domandò freddamente van Loo.
“State sempre con lui,” replicò l'altro senza abbassare l'arma, “non siete più un comandante, siete un'infermiera. E per ringraziarvi del vostro impegno, questo appena può scappa e ci tradisce, quindi deve morire.”
“Sareste preoccupato per me?” domandò l'olandese sarcastico.
“Sono preoccupato per la nave” fu la veemente risposta “da quando c'è questo qui non ha più un comandante!”
“Piano con le parole, signor Da Silva” lo ammonì minaccioso van Loo, senza abbassare le proprie, di pistole.
“Ah sì? Se no che cosa fate? Non muovetevi o ammazzo il vostro giocattolo come un cane!”
Il giocattolo era Sigvard Ohlsen.
Il giovane si fece avanti lentamente, senza distogliere lo sguardo da quello dell'uomo che lo stava minacciando.
“Avanti, ammazzami,” gli disse in spagnolo, “spara, uccidimi. Pirata. Feccia. Cosa stai aspettando?”
Avanzò di un altro passo.
“Hai paura, vero? Perché appena abbatti me, il comandante ti fa saltare la testa e la cosa non è che ti vada tanto a genio, giusto?” Era arrivato faccia a faccia con Da Silva. “Forza, ammazzami” ripeté freddamente.

A Sigvard il fegato non mancava, ma la mossa che aveva appena fatto poteva permettersela un marinaio sano e robusto, non un convalescente febbricitante.
Prima ancora di rendersene conto si ritrovò con la canna della pistola dello spagnolo che gli premeva dolorosamente sulla tempia.
“Ah! Le cose hanno appena preso una piega diversa Capitano..:” Da Silva sorrise mellifluo, sentiva di avere già la vittoria in pugno e rispondeva con strattoni sgarbati ai tentativi del ragazzo di liberars.
Van loo dal canto suo non aveva abbassato di un millimetro l'arma, sparando avrebbe centrato in piena fronte l'ammutinato ponendo fine all'insurrezione, ma il rischio di colpire il ragazzo era concreto.

“Ultima offerta per riconsiderare tutto l'affare: ci liberiamo di questo peso morto e torniamo a fare quello che sappiamo fare meglio... Eh? Che ne dite Capitano? Saprei essere un ottimo secondo...”
“Sparategli dannazione! Sparategli!” le grida di Sigvard interruppero il sopraffino ragionamento dello spagnolo che strinse la presa sotto la gola, per farlo tacere “Sparate capitano! O ucciderà anche voi alla prima occasione, lo sapete, vero?”
“Zitto hijo de puta!” gli sibilò all'orecchio e il suo respiro era greve di aglio e rhum, umido e caldo da dare la nausea.
Van Loo, invece di seguire il saggio consiglio, abbassò lentamente la canna della pistola rivolgendola verso terra.



“Perché!?”
“Ci tenete a saperlo signor Olsen? La mia spiegazione potrebbe deludervi, non ha niente di razionale in effetti…”
I due erano stati presi, legati e condotti sul ponte della Vasa ad attendere la loro sorte che, almeno per il ragazzo, non lasciava adito a dubbi.
Gli ammutinati però non riuscivano a mettersi d’accordo su Van Loo, le loro grida alternate a imprecazioni rimbombavano sulle paratie metalliche ancora a notte fonda; nessuno montava di guardia ai prigionieri, ogni pirata della ciurma si riteneva in dovere di partecipare alla riunione e dire la sua; i due sul ponte, legati come salami a una robusta cima, non sarebbero certo riusciti a liberarsi da soli.
Le assi di legno cigolarono appena alle loro spalle e quasi subito il Capitano sentì allentarsi la stretta attorno alle braccia.
“Signor Wu…” disse affatto sorpreso “non siete alla riunione?”
“La compagnia era cattiva Kap’tin e nessuno fa mai caso al cuoco di bordo…”
Poi fu in turno di Sigvard.
“Passerete dei guai!”
“L’alcol è un cattivo consigliere ragazzo, fa fare strane cose, come ad esempio nodi troppo lenti…”
Il giovane ufficiale di rotta capì e annuì serio.

Una volta liberi il cuoco gli mostrò qualcosa oltre le paratie.
Era stata calata una lancia in mare e sopra a sbracciarsi con grandi sorrisi c’era il …
“Signor Lynch…”
“Porta anche me Kapt’in, voglio andare a scuola, imparare a scrivere un diario!”
“Immagino di non avere molta scelta…”
“No, non ce l’hai Kapì’tin! Altrimenti mi metto a urlare!”
“Sta bene, aiutate il nostro ospite a sistemarsi comodo e poi ai remi!”
“Posso farcela anche da solo” mormorò scontroso l’altro che, quando furono abbastanza lontani gli chiese di nuovo perché non avesse ammazzato lo spagnolo.
“Beh, signor Olsen, giudicatemi un sentimentale, ma dopo avermi chiamato capitano io non avrei mai rischiato la vostra vita per uccidere un ammutinato.”
“E avete fatto male…” mugugnò “comunque potete chiamarmi Sigvard.”


Fine prima parte


⋆ La voce dell'intraprendenza ⋆

Il nostro giovane ufficiale di rotta, grazie alle cure di Van Loo e del cuoco di bordo, si è ripreso, giusto in tempo per assistere all'ammutinamento della ciurma pirata, indispettita dal lungo procrastinare del loro Capitano.
Messo alle strette l'Olandese decide di arrendersi, secondo una decisione che lo stesso Sigvard giudica folle.
Sarà stata davvero frutto dell'istinto, oppure il "gentiuomo di fortuna" ha visto in Sigvard l'ultima occasione di riscatto che la vita poteva offrirgli?
Approfittando di un'animata riunione il cuoco e la dispettosa scimmietta irlandese mettono in mare una scialuppa e si danno alla fuga, portandosi appresso i due prigionieri.
Cosa sarà di loro una volta giunti sulla terra ferma?
Si separeranno o il Destino ha in serbo qualche altra sorpresa?
Restate a bordo per scoprirlo ^-^

NB: io e Old Fashioned vogliamo ringraziare tutto coloro che hanno commentato, preferito e letto la nostra avventura marinaresca e vi rimandiamo all'ultimo capitolo per i saluti finali!



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Capitolo 3
*** Capitolo III° ***


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Capitolo III°



La parte vecchia di Singapore era un ammasso di case fatiscenti separate da vicoli così stretti che non permettevano il passaggio di due persone affiancate. Nel caldo soffocante dei tropici, a qualsiasi ora del giorno e della notte, miriadi di persone vi si affaccendavano: venditori di cibo con i loro fornelli, portatori d’acqua, donne che andavano e venivano dal mercato, bambini, viaggiatori di paesi lontani, marinai, tutto in un vociare confuso e in un coacervo di odori e colori di ogni genere.
Sigvard attraversava quel magma imperturbabile. Schivava una donna che passava con un paniere in bilico sulla testa, scavalcava due bambini intenti a giocare e manteneva mirabilmente l’equilibrio sul lastrico scivoloso.
Erano anni che quando non era per mare viveva in posti del genere e ormai li conosceva.

“Volete già lasciarci, signor Ohlsen?”
“Sì, comandante. Le mie ferite ora sono guarite, vi sarei solo d’incomodo. Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me.”


Non era stato un bel commiato. Formalmente corretto, certo, ma Ohlsen non riusciva a liberarsi della sensazione che van Loo si fosse aspettato qualcos’altro, forse qualcosa di più.
Ma del resto che cosa avrebbe dovuto fare? Van Loo era un pirata. Fuggito a stento da un equipaggio ammutinato, certo, ma era solo questione di tempo e poi sarebbe tornato alle vecchie abitudini.
Lo odiava per questo.
Lo odiava perché era il migliore comandante che avesse mai incontrato, eppure preferiva dedicarsi ad attività abiette come la caccia e la rapina.
Avrebbe potuto comandare quello che voleva, la Vasa, i più grandi vascelli della flotta di suo padre, anche una nave di sua proprietà se solo avesse voluto, e invece aveva scelto di fare il pirata.
Sospirò cercando di scacciare il pensiero delle notti passate a bordo della giunca, con van Loo seduto accanto al suo letto a vegliarlo.
Raggiunse il porto. Lì la folla era meno caotica e l’aria, rinfrescata dalla brezza di mare, leggermente meno soffocante. Guardò con l’occhio dell’esperto le varie navi alla fonda selezionando mentalmente quelle su cui sarebbe salito per chiedere se avevano bisogno di un ufficiale di rotta.
O anche di un marinaio, l’importante era togliersi di lì. Magari un bel carico diretto in Europa, quello sarebbe stato l’ideale. E poi un po’ di Baltico, per qualche anno, giusto per essere sicuro di non pensare più ad una certa persona.
Si sedette al tavolino di un locale che si affacciava sul porto e ordinò da bere.



Sta cercando un imbarco, altrimenti perché sarebbe venuto qui?
Ma cosa gli dice la testa, è ancora convalescente!
Il Capitano chinò il capo sulla ciotola di misua e abbassò il berretto sul viso al passaggio di un paio di militari inglesi, fuori dal contesto della Seung era praticamente indistinguibile dalle decine di marinai di ogni nazione che bazzicavano il porto in cerca del prossimo ingaggio, tuttavia era meglio eccedere in prudenza che rischiare un arresto.
Cercò una sistemazione più comoda sul precario sgabello della bancarella di spaghetti cinesi e tornò ad osservare il ragazzo biondo al tavolo della locanda.
Aveva seguito lo sue tracce senza troppa difficoltà, sapeva di andare a colpo sicuro cercandolo tra le bettole della rada; il signor Ohlsen aveva bisogno del mare sotto i piedi esattamente come un contadino ha bisogno della sua terra, perciò, dopo aver accompagnato il signor Wu alla stazione dei treni e il signor Lynch ad una missione evangelica, non gli restava che sorvegliare il giovane ufficiale di rotta per assicurarsi che tutto quanto restava del suo equipaggio fosse in salvo.

Il cuoco tornava al paese natale, coi soldi accumulati in anni di onorato servizio piratesco avrebbe aperto un ristorante o magari una pensioncina e si sarebbe sposato terminando i suoi anni in pace circondato dall’affetto dei figli.
Il moccioso irlandese poteva andare a scuola invece, Van Loo conosceva uno dei missionari per certe faccende che aveva avuto da brigare con lui in passato e si era raccomandato di farlo studiare e di lasciarlo arrampicare sugli alberi quando voleva, in fondo si trattava pur sempre di una dispettosa scimmia dal pelo rossiccio.
Il norvegese invece gli dava un mucchio di preoccupazioni, quel ragazzo sapeva badare a sé stesso, anzi dava l’impressione di non avere bisogno di nessuno e forse era vero; quello che aveva bisogno di qualcuno era lui, Justus, il seminarista, il cadetto, il mercante, il pirata.

Dopo una vita vissuta a stretto contatto coi più svariati consorzi umani (il collegio, l'accademia, le navi di ogni forma e dimensione), provando a ritagliarsi spazi di privato in ambienti che d'intimo e privato non avevano proprio nulla, aveva scoperto con rammarico che la solitudine era una delle condizioni più odiose e deprecabili che potesse augurarsi e non gli sarebbe bastato trovare un nuovo lavoro, inventarsi un'altra vita, a mancargli incredibilmente era proprio quello scontroso ragazzo biondo.
Spiccava si e no dieci parole in un giorno e ne avevano passati alcuni sulla giunca senza che uscisse fiato dalle sue labbra eppure, quando erano insieme, il Capitano si sentiva l'uomo più soddisfatto del mondo.
Gli bastava incrociare il suo sguardo e sapere che era lì con lui.

Abbandonò il filo del suo ragionamento per seguire ciò che accadeva ai tavolini del locale; tre uomini si erano avvicinati a Sigvard e uno aveva preso posto di fronte a lui; aveva i capelli biondi cortissimi, un tatuaggio sul collo e l'aria di chi ha degli affari loschi da concludere alla svelta.
Russo o comunque slavo a giudicare da un rapido esame, mentre i due gentiluomini al seguito appartenevano all'area mediorientale.
Qualunque cosa gli avessero proposto, l'olandese vide il giovane alzarsi e abbandonare degli spiccioli sul tavolo seguendoli poi in uno dei sordidi vicoli dietro il porto.



La gente non era della più raccomandabile, Sigvard se n'era accorto subito, ma sembrava che il lavoro che gli proponevano fosse pulito. Non c'era modo di arrivare in Europa più in fretta, del resto, dal momento che ogni altra nave a vapore sarebbe salpata fra non meno di dieci giorni.
La Zarevna invece cercava un ufficiale di rotta e sarebbe salpata non appena ne avesse trovato uno.
Sembravano fatti per intendersi.
L'idillio durò fino a che il russo non fece sapere a Sigvard che nel caso avessero incontrato altre navi, specialmente se russe, avrebbero dovuto fare un largo giro ed evitarle.
Lo svedese gli rivolse un'occhiata diffidente. “Per quale motivo?” chiese.
“Che v'importa del motivo?” replicò l'altro asciutto, “Fate quello che vi viene detto e sarete pagato bene.”
“Non faccio cose illegali,” fu la lapidaria risposta del ragazzo, “niente contrabbando o cose del genere.”
L'altro assunse l'espressione di chi era appena stato offeso a morte. “Io farei cose illegali? Ma dico, per chi mi prendete?”
“No, non se ne fa niente, mi dispiace. O rispondete alla mia domanda o mi cerco un altro ingaggio.”
A quel punto il russo lo afferrò brutalmente per il bavero, e sbattendolo con violenza contro il muro gli disse: “Ma chi credi di essere? Nessuno si è mai permesso di parlare in questo modo a Maksim Ivanovich Kotenkov!”
Il giovane si svincolò dalla presa e saltò indietro agilmente, sfoderando il coltello con una disinvoltura che denotava una lunga pratica.
“State indietro,” ringhiò, “andatevene e chiudiamo la faccenda prima che qualcuno si faccia male.”
Anche gli altri due uomini, quelli dall'aspetto mediorientale, tirarono fuori i coltelli e in breve Sigvard si trovò circondato. La cosa non lo impressionò particolarmente, era abituato a combattere. Si mise in guardia e attese che i tre si facessero sotto.

All'imbocco del vicolo, Justus van Loo stava osservando la scena. Aveva seguito il ragazzo quando l'aveva visto allontanarsi dal locale dove si era fermato a bere, e ora si congratulava con se stesso per il proprio acume: Ohlsen era circondato e rischiava di uscire dalla colluttazione molto male.
Pensò fugacemente che quel ragazzo aveva un talento speciale per mettersi in situazioni del genere, la sua temerarietà era decisamente pari alle sue competenze nautiche.
Sembrava strano, in un ragazzo dal carattere così freddo e chiuso. Se lo sarebbe aspettato da uno spagnolo, magari da un italiano. Ma da uno svedese? Troppi antenati vichinghi, concluse. Come minimo quello doveva avere nelle vene il sangue di Erik il Rosso.
Si fece avanti.
Sigvard stava già combattendo, e di sicuro non era un bello spettacolo. Menava fendenti in un silenzio inquietante, senza mai mutare l'espressione del volto, che era quella di una persona fermamente intenzionata ad uccidere i propri avversari.
E l'avrebbe fatto, anche, mettendosi probabilmente in un mare di guai, se l'olandese non fosse intervenuto a disperdere i suoi tre avversari con dei meno pericolosi cazzotti.



Rimasero ansanti a guardarsi mentre un trapestio di passi precipitosi si perdeva verso la fine del vicolo.
Sigvard rinfoderò lentamente il coltello, sempre in un silenzio mortale. "Vi ringrazio per il vostro intervento." disse semplicemente dopo un po'.
L'altro gli si avvicinò e gli scostò i capelli per dare un'occhiata ad un'escoriazione che il ragazzo aveva sulla fronte.
"Sto bene, sto bene," disse lo svedese, piegando la testa per sottrarsi al tocco dell'altro.
Van Loo abbassò la mano e disse: "D'accordo. Intanto però medichiamo quel taglio sullo zigomo, ho preso una stanza in una pensione, da un amico fidato"
"No, grazie, capitano. Non è il caso. Non è la prima volta che faccio valere le mie ragioni in un vicolo. Vi ringrazio per il vostro aiuto, comunque."
Di fronte a quell'uomo Ohlsen si sentiva a disagio. Provava una sensazione strana, che gli impediva di ragionare con la solita freddezza, e la cosa non gli piaceva.
"Cos'è tutta questa fretta?" gli chiese il capitano. "Il vostro ingaggio è appena scappato a rotta di collo e non credo che si farà rivedere, se non volete usare il rum per medicare la ferita ve ne offro un bicchiere, così penserete al da farsi..."
"Vi ringrazio ma non bevo quasi mai. Ora devo proprio andare, scusatemi." Si incamminò verso l'uscita del vicolo.
Van Loo rimase a guardarlo per un attimo, poi raccolse il berretto e lo spazzolò. "Signor Ohlsen ho come l'impressione che mi stiate evitando..." gli disse raggiungendolo.
Sigvard, che non era uno cui piacesse perdersi in preamboli, lo fissò negli occhi e rispose: "È così."
"E' per qualcosa che ho detto o fatto...?"
"È perché siete un pirata, signore. Come vi ho detto, vi ringrazio di tutto quello che avete fatto per me, ma non posso dimenticare chi siete."
"Ah." Van Loo si fermò e lasciò che andasse un po' avanti per i fatti suoi. "E continuerete a rimproverarmelo in eterno? Anche se domani passassi a fare il contadino o il predicatore?"
Sigvard si girò lentamente. "Perché volete saperlo? Cosa vi importa di quello che penso di voi?"
"M'importa molto della vostra opinione, meritate tutta la mia stima e la mia ammirazione anche se per voi non è chiaramente la stessa cosa. Prego Dio che vi conservi la possibilità di mantenere integri i vostri ideali signor Ohlsen, ma la vita è una puttana da quattro soldi e onestamente se ne frega se davanti ha un ragazzo ingenuo o un navigato pervertito."
"La vita forse, signor van Loo, ma io no. A me importa chi ho davanti."
Lo fissò con rabbia e duramente proseguì: "Voi siete il miglior comandante che abbia mai incontrato, potreste comandare la nave che volete e vi buttate via rapinando le giunche nel Mar della Cina. Vi odio!"
Nel parlare si era insolitamente alterato, abbandonando per un attimo il suo contegno algido in favore di un'ira appassionata che gli accese lo sguardo di un bagliore ferino.
L'altro sospirò stringendosi nelle spalle. "E' già qualcosa, pensavo di non suscitarvi particolari emozioni se non quelle del disgusto, l'odio è una passione molto intensa invece e così simile all'amore."
"Voi suscitate passioni intense, signore."
"Anche voi signor Ohlsen." Si avvicinò.
"Cerco solo di essere un buon marinaio, signore, e di vivere in linea con i miei principi."
"Sono... dei bei principi, erano anche i miei una volta e... M'è venuta voglia di andarli a riscoprire."
"Un uomo deve avere dei principi. È ciò che ci distingue dalle bestie."
L'olandese si avvicinò fino a fermarsi davanti a lui. "Nel caso, cosa dovrei fare per dimostravi che sotto un lenzuolo impolverato ho anche io questi principi?"
"Perché..." Sigvard esitò, più che mai imbarazzato. "Perché ci tenete tanto a dimostrarmelo, signore? Io non sono nessuno per voi."
"Siete stato un naufrago e poi membro del mio equipaggio anche se solo per pochi giorni." La sua voce si abbassò. "Se... e dico se... arrivassi a comandare una nave di nuovo, una nave di linea, un mercantile o magari anche solo un pontone, voi vorreste..."
“Solo se fosse una nave onesta, signore" Lo interruppe categorico il ragazzo, poi distolse lo sguardo. Fece per indietreggiare, ma era già spalle al muro.
Van Loo, che aveva paventato un secco rifiuto, sorrise sollevato. "Ah io posso garantire per il mio equipaggio signor Ohlsen e per me stesso! Gli utili che il proprietario della nave ricava con la merce sono un'altra storia!"
Preso dall'entusiasmo sollevò la mano per accarezzargli la guancia, ma si fermò poi all'ultimo momento a poca distanza dal suo viso.
Sigvard lo guardò stupito, come se il gesto lo cogliesse completamente alla sprovvista. Ebbe un fremito, e l'olandese temette che stesse per balzare via come una specie di animale selvatico spaventato.
"Quindi non sono un irrimediabile relitto della società?" mormorò van Loo, "Dite che posso ancora fare qualcosa di buono e di onesto? Che sono una persona recuperabile? Se me lo dite voi ci crederò di nuovo, diventerò quella persona." Lo fissò negli occhi.
"Non devo dirvelo io," balbettò Sigvard confuso, "dovete volerlo voi. È la volontà l'arma più forte."
"Ma è l'amore verso qualcuno che ci spinge ad essere migliori."
"C'è forse qualcuno che vi aspetta da qualche parte?... che voi amate?" chiese il ragazzo vagamente ansante, guardandosi intorno a disagio.
"Che dio mi perdoni ma credo di avercelo davanti agli occhi..." Van Loo gli sollevò il mento per guardarlo meglio alla poca luce che filtrava nel vicolo.
"Oh... Io..." Sigvard non riuscì a dire altro. Rimane a guardarlo con gli occhi sgranati, senza nemmeno fare il tentativo di liberarsi dalla sua mano.
"Mi dispiace se vi ho deluso signor Ohlsen, vi avessi incontrato prima a quest'ora probabilmente saremmo su un mercantile a lottare insieme contro le onde del Capo di Buona speranza..." Gli posò un bacio leggero sulle labbra socchiuse. "Ma per ora che ne dite se rientriamo in Europa a darci una ripulita in un paese civile?"
Il ragazzo lo guardò in silenzio, poi accennò vagamente di sì con la testa. Van Loo allora si spostò in avanti con un movimento gentile ma deciso, e aderì a lui col corpo. Gli afferrò i capelli in una stretta delicata e lo baciò di nuovo. Dapprima un contatto leggero con le sue labbra, come a chiedergli il permesso, poi, visto che Sigvard non faceva nulla per liberarsi, lasciò che le loro bocche si unissero in un contatto più profondo e intimo.
Il giovane rispose al suo bacio. Lo abbracciò, anzi, e si strinse a lui.
Era come se un torrente a lungo costretto avesse rotto gli argini e dilagasse sulla pianura: una volta abbandonata la gelida ritrosia che fino a quel momento l'aveva tenuto lontano dall'olandese, il ragazzo lasciava che i suoi sentimenti si esprimessero liberamente.
I due rimasero a baciarsi nel vicolo semibuio dimentichi di qualsiasi cosa a parte la reciproca vicinanza.



“Ti fidi a lasciargli il timone? Ho notato che gli tremavano le mani.”
Appoggiato al parapetto del ponte di coperta Sigvard, che osservava il cielo tingere l'acqua d'oro e porpora fino farsi indaco verso Occidente, avvertì la presenza del Capitano al suo fianco dall'odore buono del tabacco da pipa di cui era impregnata la sua giacca.
“Si vedono le luci del faro di Port Said, se sbaglia a infilare il Canale ho detto che lo porterò a calci nel sedere dall'armatore per fargli consegnare le sue dimissioni.”
“Tu sai essere molto persuasivo.”
Il ragazzo non distolse gli occhi dalla superficie serica delle onde, ma sorrise.

La Fortuna a Singapore aveva girato dalla loro parte quasi improvvisamente, quando avevano saputo che un cargo francese cercava dei marinai e un sostituto per l'ufficiale di rotta, ammalato di febbri malariche.
Lo svedese aveva provato a rifiutare quando Justus si era reso disponibile per il posto di marinaio esperto timoniere, lo avvertiva come una specie di svilimento della sua esperienza e delle qualifiche che di certo possedeva, ma il Capitano era stato irremovibile.
Di fatto una volta a bordo aveva preso in mano il timone e da un mese e mezzo non l'aveva più lasciato; l'ufficiale in comando, un novellino fresco di accademia, affrontava per la prima volta un lungo viaggio e per giunta al ritorno gli si prospettava il passaggio del Canale di Suez.
La via d'acqua inaugurata da una manciata d'anni, faceva venire i sudori freddi perfino ai vecchi lupi di mare, figurarsi a chi aveva ancora la bocca sporca di latte.
“L'unica cosa che mi preoccupa è il pescaggio, dai miei calcoli saremo a filo dei limiti imposti dai gestori delle chiuse.”

Lasciarono passare altro mare tra loro e rimasero in silenzio spalla a spalla, finché del tramonto rimase solo un sottile segno scarlatto al confine tra terra e cielo.
Sembravano persi dietro lontane scie di sogni che andavano verso Oriente, sulla cresta bianca e sbuffante del vapore; due mondi chiusi e inconciliabili eppure mai come in quei momenti così vicini.
“Andrà bene, tra meno di un mese rivedremo le coste dell'Europa, saremo a casa.” disse il giovane riprendendo il filo di un ragionamento niente affatto interrotto.
L'uomo al suo fianco aspirò profondamente dalla pipa e poi si girò verso la nave, studiò a lungo i marinai che s'affaccendavano tra il sartiame e i ponti, poi fissò il suo sguardo pungente e malinconico sul ragazzo.
“Io sono già a casa.”
Sigvard capì.
Senza bisogno di altre spiegazioni, i due tornarono a guardare il mare e ad aspettare le prime stelle della sera.

Fine


⋆ La voce dell'intraprendenza ⋆

Carissimi così si conclude questa piccola avventura in salsa marinara, ma non sono finite le movimentate vicende della coppia navigante.
C'è ancora qualcosa da raccontare sulla loro permanenza a Singapore e il successivo rientro in Europa!
Io e Old Fashioned contiamo di editare e pubblicare in tempi ragionevolmente brevi, ma nel frattempo vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno commentato, preferito e letto la nostra storia e speriamo di ritrovarvi a bordo anche per le prossime avventure! ^-^



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