Quelle Maledette Caramelle Alla Fragola [P.jm+M.yn]

di Colpadellestelle_394
(/viewuser.php?uid=1011102)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - La maledizione delle caramelle alla fragola ***
Capitolo 2: *** 2 - Sguardi sfuggenti al gusto di cupcake alla fragola ***



Capitolo 1
*** 1 - La maledizione delle caramelle alla fragola ***


Capitolo 1
"La maledizione delle caramelle alla fragola"

 


"Allora, che farai questo weekend?" Posai il mio hamburger con doppie patatine sul piattino, girandomi a scoccare un'occhiataccia al ragazzo seduto al lato opposto del tavolino.

"Stai scherzando?" sibilai, portando un dito a rialzare gli occhiali sul ponte del naso, ma sbagliando fatalmente direzione e così stampando l'impronta del mio indice unto di olio su una lente.

Imprecai, togliendomi gli occhiali e maledicendo me stesso e la mia miopia non appena, senza di questi, le mie mano si trovarono irrimediabilmente alla disperata ricerca di una salvietta. Cercai a tentoni sul tavolo sotto i miei occhi, stando attento a distinguere la superficie di quest'ultimo da un bicchiere traboccante d'acqua, così da evitare il solito bagno freddo per me e la solita scocciatura per la signora del MC in cui eravamo.

Alla fine, la tanta ricercata salvietta arrivò alle mie mani, ma purtroppo la sua comparsa fu accompagnata da una risata che le mie orecchie conoscevano molto bene.

"Jungkook..." sospirai, obbligandomi ad allontanare dalla mente l'allettante pensiero che, forse, quello che aveva bisogno di un bel bagno freddo era proprio il ragazzo davanti a me.
Una volta aver nuovamente acquisito la capacita di vedere grazie a quella spessa montatura verde che mi accompagnava dal mio primissimo anno di università, guardai con occhi languidi il bicchiere davanti a me, desiderando ardentemente di alzarmi da quella sedia di plastica scricchiolante che mi stava torturando il posteriore e rovesciarlo interamente sulla ciotola castana che il mio migliore amico portava in testa.

"Sei proprio una talpa, 'Minie" Gli scoccai un'occhiataccia, respirando con forza dal naso e afferrando con rabbia il telefono posto a qualche centimetro dal piatto.
Immaginai già la signora Choi sbuffare, prendere con fare annoiato mocio e secchio e dirigersi verso di me, ovviamente non dopo di avermi rivolto la solita occhiataccia.
Scossi la testa, dovevo resistere alla tentazione.
Avrei dovuto posticipare il momento in cui mi sarei goduto il suo bagno freddo con ghiaccio e limone.
Dopotutto, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Sorrisi fra me e me, arricciando il naso sotto lo sguardo curioso di Jungkook.

L'abitudine condusse il mio indice a cliccare sull'icona colorata di Instagram, e come nulla fosse successo la mia rabbia sfumò in un sorriso non appena un viso fin troppo familiare comparve sotto i miei occhi.

Jungkook alzò gli occhi al cielo, sospirando contro l'alluminio rosso della sua lattina di Coca-Cola prima di portarsela alle labbra.

"Chi è? Il rincitrullito per cui mi hai fatto spendere 6 mesi di paghetta?"

Ignorai completamente le sue parole, continuando a guardare il taglio a mandorla degli occhi raffigurati in quell'immagine.

"Ah, a proposito" Alzai gli occhi su di lui, staccandoli a fatica dal ragazzo in foto.
"Devo scappare subito dopo la fine del  concerto, ho un appuntamento con  Ji-eun"

Aggrottai le sopracciglia.
"Ji-eun? La ragazza del corso di economia?"

Jungkook annuì felicemente, addentando l'ultimo morso del suo cheeseburger.

"Mercoledì le ho chiesto di uscire alla fine della lezione, e ha semplicemente accettato" fece le spallucce.
"Ho almeno rimediato il suo numero" sorrise a denti scoperti, alzando il suo telerono ed esibendolo come fosse un trofeo.

Scossi la testa, limitadomi a sorridere.
"Non ti smentisci mai, Jeon Jungkook"

Misi in bocca l'ultima patatina, prima di sfregare le mani contro un fazzolettino e prendere la tracolla contenente i miei pesanti volumi di storia della letteratura.

Ma, una volta in piedi, il peso di quest'ultima mi fece sbilanciare ed ebbi per l'ennesima volta la conferma che la sorte non mi voleva affatto bene, ma anzi, impegnava tutte le sue forze per rendermi la vita un inferno.

Urtai accidentalmente con la tracolla il bicchiere d'acqua che, di conseguenza, cadde rovinosamente sulla superficie del tavolo, rovesciandosi.

«Neanche tu ti smentisci mai, Park Jimin»

Mi girai con gli occhi che supplicavano perdono verso la signora Choi, che mi fulminò di rimando.

***

 

"Sabato alle 18 fatti trovare pronto davanti il portone di casa.
Annuii energicamente, prima di rivolgere l'ultimo sorriso al mio migliore amico e scendere dal Pick-up grigio metallizzato.


Jungkook non attese nemmeno che facessi un passo verso il marciapiede; ripartì sgommando, e quando volsi lo sguardo verso la strada di lui potei scorgere solo il gomito che sbucava dal finestrino al lato del guidatore.

Sospirai, incamminandomi verso il vialetto di casa mia, che dalla strada appariva fiancheggiato dal giardino di cui quotidianamente si occupava mio padre.
Camminai sulla ghiaia della stradina, non provando nemmeno a nascondere la gioia che, come una mano, mi stritolava il cuore, affondando in esso con tutte le cinque dita.

Era appena pomeriggio, il sole splendeva raggiante nel cielo azzurro e l'afa estiva sembrava investire i sensi e arrossarmi le gote. La caramella alla fragola che avevo rubato dalla macchina di Jungkook mi si era sciolta sulla lingua, travolgendo e anestetizzando le papille gustative col suo gusto delizioso ma stucchevole, che donava a quel momento una nota dolce, come lo glucosio che di conseguenza mi scorreva violentemente nelle vene.

Sorrisi, calpestando il marmo dei gradini dell'ingresso con la suola delle mie converse di tela bordeaux.
Stavo ancora contemplando il mieloso sapore dolce delle caramelle alla fragola che mi occupava la bocca e scendeva giù per l'esofago quando, una volta superata la soglia di casa ed essermi chiuso la porta alle spalle, gelai sul posto.

"Ah caro! Sabato è prevista pioggia, quindi dovresti prendermi lo stendi-panni dal terrazzo"

Mia madre pronunciò quella frase inconsapevolmente, con le mani impegnate nella ciotola bibimbap, la televisione accesa e la giornalista stretta in un tubino rosa confetto che annunciava le previsioni metereologiche che le parlava dietro. Il mio campo visivo mi permise di vedere mio padre annuire dal suo posto nel divanetto color carta da zucchero.

"Jimin, che ci fai lì impalato?"

Persi cinque secondi a fissare il rosa del vestito della ragazza in TV prima di prendere fiato ed aprire bocca per rispondere a mia madre.

Feci davvero per risponderle, davvero, ci provai.
Ma la sorte mi fece l'ennesimo sgambetto della giornata, e io lo presi in pieno.

Non avevo neanche pronunciato la prima sillaba quando il succo della caramella prese la via sbagliata, obbligandomi a sbarrare gli occhi e a tossire con tutte le mie forze.
Il sapore dolciastro mi inondò la gola, irritando le pareti della faringe e costringendomi alla ricerca di un bicchiere d'acqua che mia madre si sbrigò a porgermi, una volta camminato fino al tavolo della cucina.

"Ah, Jimin..." Ella sospirò, togliendosi i guanti di gomma e guardandomi con rassegnazione.

***

Il venerdì passò in fretta tra le pagine dei volumi di letteratura e quelle dei fumetti di Iron Man che Jungkook mi aveva prestato.
Fortunatamente sarei dovuto andare alla mia prossima lezione in università solamente il lunedì dopo, quindi avrei avuto tutto il tempo necessario per studiare meglio quel Jacopone da Todi che proprio si rifiutava di entrarmi in testa.

Sospirai, sdraiandomi sulle coperte color panna della mia camera e buttando il libro di letteratura a qualche metro da me.
Erano le 9 in punto del sabato mattina e nessuna persona sulla faccia della terra era più felice di me.
Mi limitai a stamparmi in faccia un sorriso da ebete e a fissare i piccoli fasci di luce che filtravano nella stanza attraverso le tende a pois neri che mia madre aveva appeso.
La trepidazione mi faceva formicolare la punta delle dita e l'ansia mi faceva tremare le gambe; mancavano ancora 10 ore, ma la gioia fermentava dentro il mio animo e sgorgava attraverso grandi sorrisi e guance arrossate.

Non mi trattenni dal puntare gli occhi sulla scrivania laccata di bianco a qualche metro dal letto, sopra la quale erano posati due biglietti che mi erano costati un doppio turno alla caffetteria vicino all'università per ben 4 settimane.

Mi alzai dal letto, non resistendo alla tentazione di prendere uno dei biglietti, rigirandomelo tra le mani e stringermelo al petto con un sorriso che mi arrivava fin sotto gli occhi. Osservai per l'ennesima volta la figura del ragazzo stampata su di esso con occhi increduli.

"Sto davvero per incontrarti, Agust D?"

Il ragazzo sul biglietto continuò a fissarmi in muta risposta e io sorrisi, alzando lo sguardo verso il cielo azzurro che pian piano andava riempiendosi di nuvoloni grigi, preannunciando la violenta tempesta che avrebbe scosso il mio animo.

Le ore passavano e io non avevo fatto altro che girovagare per la casa senza una precisa meta, rischiando di far inciampare mia madre che dopo la quarta volta mi inveì contro, urlandomi di andare in camera e chiudermici fino al momento in cui Jungkook avesse suonato il campanello di casa. Cercai allora di aiutare mio padre con il giardino, ma egli non fu paziente quanto mia madre e al secondo girasole calpestato a causa della mia goffaggine mi intimò di rientrare in casa, le narici contratte in una smorfia di rabbia e un rivolo di sudore a percorrergli la tempia destra.
Così non mi rimase altra scelta che rinchiudermi in camera e aspettare che si facesse l'ora giusta per iniziare a prepararmi.

Il concerto sarebbe iniziato alle 19.00 e finito alle 21.00. Presupponevo Jungkook mi avrebbe accompagnato a casa prima di andare all'appuntamento con Ji-eun; e se così non fosse stato mi sarei preso la libertà di tirargli le orecchie fino a fargliele sanguinare, come facevo quando era alle superiori e invece di studiare passava le giornate alla playstation.

Mi aggiustai gli occhiali, constatando che ormai di studiare non se ne parlava proprio.

Il libro mi fissava dal letto, posto in cui lo avevo abbandonato ore fa, con rimprovero, ricordandomi che il prossimo esame sarebbe stato tra meno di una settimana.

Vi chiederete chi è quel pazzo che va ad un concerto in piena sessione di esami... beh io. Ma chi potrebbe mai biasimarmi? Dopotutto si tratta del concerto di Agust D... Jacopone de Todi poteva ben aspettare.

Quando le lancette dell'orologio segnarono le 16.00 mi catapultai giù dal letto, che a causa della mia agitazione era diventato un ammasso informe di lenzuola e coperte, e impegnai le mie gambe nella disperata corsa verso il bagno che, una volta abbassata la maniglia della porta, constatai essere chiusa.

"Park Byul-yi, apri questa fottuta porta" Mia sorella rise, machiavellica, mentre accendeva il soffione della doccia e si apprestava a rispondere alle mie parole con un tono dolce, che ne preannunciavano una delle sue.

"Certo Jiminie, solo 5 minuti"
Trascorsi la successiva mezz'ora a imprecare contro la porta del bagno, a sbattere i pugni contro la superficie lignea e a minacciarla in tutti i modi possibili.

"Ti rimedio un appuntamento con Jungkook" Esclamai al limite della disperazione, gli occhi fissi sul pavimento e la fronte poggiata sulla porta, ben consapevole del punto a cui Byul-yi puntava.

"Okay" Disse semplicemente, prima di girare la chiave nella toppa e superarmi fischiettando.

Mi catapultai all'interno del bagno senza neanche degnala di uno sguardo, troppo occupato a pensare al mio esagerato ritardo e al fatidico (e per me fatale) momento in cui avrei detto a Jungkook di avergli programmato un appuntamento a due cuori con la mia dolce sorellina quindicenne.

Meno di un'ora e mezza dopo, quando non ero nemmeno arrivato a metà del mio trucco, il mio telefono trillò sul mobiletto e gelai sul posto quando la notifica di un messaggio di Jungkook comparve sotto i miei occhi.

From_Jungkook: Sto arrivando, fatti trovare pronto.

E lì il panico prese possesso del mio corpo, portandomi ad accelerare un processo che solitamente compivo in una mezz'ora abbondante in cinque minuti. Con l'aggiunta, però, di imprecazioni e pianti isterici mal trattenuti per non far scolare il trucco dagli occhi.

Quando sentii il campanello suonare, il terrore mi fece gelare il sangue nelle vene. Una miriade di piccoli e disordinati passi accompagnarono la mia uscita dal bagno e non ebbi neanche il tempo di arrivare all'ingresso che un "Jungkook Oppa!" rimbombò tra le pareti domestiche.

Quando arrivai davanti il portone, mia sorella aveva già aperto la porta e stava appoggiata in equilibrio precario proprio su questa, gli occhi sognanti fissi sul mio migliore amico e un sorriso da ebete stampato in faccia.

"Oh, ciao Byul-yi" Disse Jungkook, regalandole un sorriso grazie al quale ella sospirò, estasiata.

Esausto di quella situazione, sbuffando tirai per un braccio mia sorella, minacciandola con la scusa del "altrimenti niente appuntamento con Jungkook Oppa" e le ordinai di rimanere in camera finché nostra madre e nostro padre non fossero tornati dal negozio di alimentari dietro l'angolo.

Jungkook mi guardò con un ghigno fastidioso dall'atrio mentre facevo avanti e indietro per la casa, sistemandomi per bene gli occhiali sul naso e prendendo il giubbetto di pelle nera.

"Andiamo" Ordinai con voce ferma, uscendo di casa e tirando Jungkook dalla manica del suo giubbotto.

"Agli ordini" replicò quest'ultimo, schioccando la lingua contro il palato e rigirandosi le chiavi del Pick-up tra le dita.

***

La soffocante aria dell'anfiteatro in cui ci trovavamo mi riempì la trachea quando respirai a fondo, ritrovandomi poco dopo ad urlare a pieni polmoni contro il nulla. Le luci laser colorate riempivano l'ambiente, già colmo di persone di ogni genere e età, si rincorrevano l'un l'altra per tutto il perimetro dello stadio, a volte mischiandosi e altre volte allontanandosi per brevi ritmi di tempo.

L'atmosfera surreale e il caldo afoso di quella serata di Luglio irretirono i miei sensi, sigillandosi nella mia memoria con timbro e ceralacca rovente per il resto dei miei giorni.

La calca obbligava i nostri corpi a sudare più del dovuto; io stesso constatai che la mia adorata maglietta VERSACE era succube del sudore del mio petto.
Maledissi il me di poche ore prima per aver avuto la geniale idea di indossare la mia unica e maledettamente bianca maglietta costosa.

Jungkook, a pochi centimetri da me, urtò la mia spalla a causa di uno spintone ricevuto da una ragazza dai capelli fucsia, che sembrava aver perso il controllo del suo corpo. Mi imprecò nell'orecchio, inveendo contro di me e il "rapper rincitrullito" che cantava a pochi metri da noi, sopra il palco.

"Dai, tanto lo so che ti stai divertendo" replicai ai suoi improperi, voltandomi a guardarlo e rivolgendogli un colpo di fianchi, a cui rispose nascondendo un sorriso tirato sotto la mano destra.

"Jimin, tanto lo so che ti divertirai un sacco quando ti lascerò qui, col tuo amato rapper, che sicuramente correrà in tuo aiuto." 

In quel momento non diedi importanza alle sue parole, troppo impegnato a godermi quelle sensazioni che investivano a pieno i miei sensi, non curandosi delle conseguenze che il mio animo avrebbe riscontrato.

Lui era davanti a me, e sostava sul palco come un angelo nero a cui erano state appena strappate le ali. Ogni parola pronunciata da quelle labbra rosee mi esplodeva nel petto e si amplificava per chilometri, travolgendomi il corpo e l'anima.

La sua figura si muoveva leggiadra per tutto il perimetro del palco, dando le spalle alle luci laser, che gli conferivano un'aura oltremondana.

Avevo speso tutti i guadagni del mio lavoro in caffetteria per accaparrarmi quel posto sotto il palco, e non me ne pentivo affatto.

Cantai ogni canzone a squarciagola, maledicendo i condotti lacrimali che mi riempivano gli occhi di uno strato velato di lacrime, così impedendomi di visualizzare al meglio la figura di Agust D. Lo guardai il più possibile, soffermandomi sui suoi occhi a mandorla che volavano fuggitivi da una parte all'altra dell'anfiteatro e godendo della sua voce rauca che mi riempiva le orecchie e mi faceva tremare i muscoli delle gambe a più non posso.

Cercai di imprimere la sua figura a fuoco nella mia mente, ma la felicità è effimera: in un secondo ti da tutto e in quello a venire completamente niente.

Neanche una volta i suoi occhi indugiarono sui miei, arrossati e depredati dalle lacrime, che cercavano disperatamente il suo sguardo. Per lui sarei stato solo uno dei tanti fan; unico nel suo genere ma allo stesso tempo identico a tutti gli altri.

Mi crogiolai nel dolore della delusione, abbassando lo sguardo sulle punte delle scarpe e ripetendomi nella mente come un mantra che non avevo più 15 anni, ma 24, e che quelle insulse fantasie erano solo riservate ai ragazzini.
Solo ai ragazzini era permesso sognare, e io non lo ero più.

Mi diedi dello stupido per aver esternato in maniera così ovvia ed evidente i miei sentimenti; cosa che non avrei dovuto neanche fare nell'intimità della mia camera, ma che avevo fatto davanti a centinaia di persone, compreso lui.

Mi ero dato delle aspettative che nessuno avrebbe potuto soddisfare, mi ero illuso.

Tolsi gli occhiali dal naso, prendendoli tra le mani, e cercai di pulirli con la stoffa della mia t-shirt, mandando a quel paese i buoni propositi di non rovinare quella maglietta; già estremamente impregnata di sudore.

Sentii Jungkook tirarmi per il braccio, ed io annuii, senza guardarlo negli occhi.

"Jimin, il concerto è finito"

Mi ritrovai di fronte alla pura e semplice verità, e desiderai essere cieco, più di quanto non lo ero già, per rifiutare per l'ennesima volta la veridicità dei fatti.

Le luci si accesero, la calca ci spingeva sempre più in fondo.

Rimasi fermo nel posto in cui mezz'ora prima ammiravo la sua figura volteggiare nel palco come un cigno nero; fissai il palco, vedendo pian piano il mio campo visivo riempirsi di piccoli puntini neri.

Le persone mi prendevano a spallate nel tentativo di uscire da quell'indistricabile groviglio di individui, io rimasi fermo al mio posto, subendo.

Jungkook cercò di urlarmi qualcosa, che non capii a causa del vociare.
Cercai di dirgli che stavo arrivando, che avevo finito di crogiolarmi nei miei inutili sentimenti e che una volta uscito da quell'anfiteatro non avrei mai più fatto i conti con la mia subdola immaginazione, che mi aveva inferto un colpo più doloroso delle ventitré coltellate di cui Cesare era stato vittima.

Ma anche quella volta la sorte si dilettò a tirarmi un brutto tiro, che io presi in piena faccia.

Un lampo illuminò il cielo e il conseguente tuono rimbombò nello stadio, facendo tremare le grandi vetrate.
L'ultima cosa che vidi prima che la luce venisse a mancare furono gli occhi preoccupati di Jungkook che mi intimavano di raggiungerlo.

E lì scoppiò il putiferio.

Non ci capii molto, sentii soltanto il mio corpo strattonato e la presa delle mie dita sull'asta degli occhiali venire meno. Qualcuno mi diede una gomitata nelle costole, qualcun'altro cercò di scavalcarmi. I miei timpani chiedevano pietà a causa delle miriadi di urla che le persone emettevano, prese dal panico.

Cercai di rialzarmi, notando per quanto potessi il perimetro del palco grazie alle piccole luci di emergenza poste ai lati dell'anfiteatro. Riuscii nella mia impresa, raggirando il palco e cercando di dirigermi verso l'uscita di emergenza.

Ma qualcuno aveva avuto la mia stessa idea. Mi ritrovai per terra, completamente succube degli spintoni della gente, troppo presa dal panico per accorgersi del corpo di un gracile ragazzo steso per terra.

Quando la folla sembrò essere lontana qualche metro da me, gattonai fino al corridoio che pensavo mi avrebbe portato all'uscita di emergenza.

Maledii la sorte per avermi cacciato in quella situazione.
I muscoli delle gambe mi facevano male, ed ero sicuro che tra poco sulla pelle lattea del mio costato sarebbero comparsi dei lividi.
Era tutta colpa della mia caparbietà e della mia sconsideratezza.
Se non avessi insistito così tanto per assistere al concerto di Agust D , in quel momento non mi sarei trovato in una situazione inimmaginabile come quella.

Quando arrivai davanti la porta che credevo essere l'uscita di emergenza, mi alzai, facendo presa per l'ultima volta sulle mie gambe. Una volta aver abbassato la maniglia la porta si spalancò e l'oscurità mi accolse.

Fu tutta colpa mia e della mia miopia acuta, ma entrai nella stanza, camminando a tentoni nell'oscurità.

Non c'era altro da fare, avrei aspettato lì fino al momento in cui la luce non fosse ritornata. Era sicuramente meglio che aspettare in uno stadio pieno di tori inferociti pronti a fare a botte per uscire indenni dall'edificio.
Sospirai, cercando con una mano la superficie della porta che poco prima avevo aperto, e subito dopo appoggiando la schiena su di essa. Mi lasciai scivolare a terra, rassegnandomi al fatto che avrei dovuto sostare su quel pavimento angusto finché la luce non avesse fatto la sua ricomparsa. Non che cambiasse qualcosa, non avrei visto niente comunque, ma sarei almeno riuscito a distinguere i contorni delle porte.

Ero incazzato col mondo, con me stesso, con quel bellissimo rapper che mi aveva assoggettato e stregato con lo sguardo, convincendomi così a comprare dei biglietti che costavano un occhio della testa, e col mio migliore amico che sembrava avermi abbandonato lì.
Frugai nelle mie tasche, constatando che il cellulare non c'era, e repressi un urlo di frustrazione, immaginando di averlo perso in mezzo a quella calca, quando ero finito per terra.

Non mi rimase altro che rovistare nelle tasche e constatare che l'unica cosa presente in esse fosse un pugno di caramelle alla fragola che ore prima avevo preso dalla macchina di Jungkook sotto lo sguardo sospettoso del proprietario, quando ancora l'agitazione e la felicità mi facevano contorcere le dita dei piedi.

Arrendevole, me ne ficcai una in bocca, sperando che il familiare sapore chimico e dolciastro della fragola agisse da calmante e alleggerisse il peso della rabbia che mi comprimeva il torace.

Aspettai lì per minuti che mi parvero ore, continuando ad ascoltare il ticchettio della pioggia che batteva sulle vetrate e recependo che, al contrario di come sperato, la caramella alla fragola che avevo in bocca non avrebbe affatto aiutato contro i nervi.

Un paio di attimi dopo, quando ancora pensavo che probabilmente sarei morto lì, nutrendomi di caramelle dal sapore chimico, e che nessuno avrebbe rinvenuto il mio corpo, finalmente le luci si accesero.

Ringraziai Dio e tutti i santi, prendendo un sospiro di sollievo.

Ma il sollievo ebbe vita breve.
La porta dietro alla quale ero appoggiato si aprì, e io non fui così lesto da togliermi prima che quella si spalancasse completamente.

Mi sentii spintonare verso l'interno della stanza, e mi ritrovai in ginocchio prima che potessi alzarmi.
Volsi lo sguardo verso l'alquanto maleducata persona che, per l'ennesima volta in quella giornata, mi aveva fatto sbattere le ginocchia per terra. Ero sicuro che tra poco sarebbero spuntati dei lividi anche lì.

Cercai di mettere la figura a fuoco, assottigliando gli occhi e sforzando la vista più di quanto potessi, ma la persona davanti a me mi presentò la risposta che cercavo su un piatto d'argento prima che potessi scoprirlo da me.

"E tu chi sei?"

Riconobbi quella voce rauca in un batter d'occhio. Sbarrai gli occhi, boccheggiando davanti alla sua figura che a me si presentava sfocata.
Cercai di rispondergli, dirgli che ero capitato lì per caso, che mi ero perso e la colpa era tutta sua e dei suoi maledetti occhi a mandorla, ma anche questa volta la sorte volle che il succo della caramella prendesse la via sbagliata, inondandomi gli occhi di lacrime e costringendomi ad un improvviso attacco di tosse.

Non avrei mai immaginato che il nostro primo incontro sarebbe stato così imbarazzante. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 - Sguardi sfuggenti al gusto di cupcake alla fragola ***


Capitolo 2
"Sguardi sfuggenti al gusto di cupcake alla fragola"

Se c'era una cosa nella mia vita di cui mai e poi mai avrei potuto fare a meno, quelle erano le caramelle alla fragola.

Me ne sarei accorto giorni, settimane, mesi dopo; quando il sapore mieloso e stucchevole che le medesime lasciavano sulla lingua mi avrebbe ricordato lui, lui e il nostro primo incontro.

Mi guardava con quegli scuri occhi a mandorla che mi avevano fatto perdere la testa per lui, che mai e poi mai avrei immaginato di osservare così da vicino.

I capelli color pece gli decoravano dolcemente le tempie, e il leggero trucco sugli occhi lo faceva sembrare la più meravigliosa creatura sulla faccia della terra; o almeno, questo era quello che io pensavo.

"Tu chi sei?" Ripeté, una volta sicuro che non potessi più spargere la mia saliva in giro per il suo camerino, tossendo.

Perché sì, ero entrato nel suo camerino, e non me ne ero neanche accorto.

"I-io..." Sussurrai, ancora incredulo di cosa la sorte mi aveva spinto ad avere davanti. 
Avrei voluto prendermi a schiaffi finché non sarei stato sicuro di non essere in un sogno, ma i suoi scuri occhi neri che sembravano riflettere il tetro cielo nuvoloso fuori dalla finestra mi diedero tutte le conferme di cui avevo bisogno.

Agust D era davanti a me, e mi stava guardando.

Al mio farfuglio confuso non si scompose più di tanto, piegò le labbra in una linea e fece per prendere il suo telefono.

Osservai le sue mosse con occhi sbarrati, in sacro silenzio. 
La saliva sembrava non voler più inumidire la mia gola, la quale in quel momento mi pareva più arida del Deserto del Sahara.

Si portò il telefono all'orecchio, umettandosi le labbra rosee con la punta della lingua.

"Sicurezza, c'è un--" Lo interruppi con un urlo, quando compresi cosa stava per fare.

"NO, ASPETTA" urlai, gli occhi spalancati e i palmi delle mani rivolti verso di lui.

Mi alzai da terra sotto il suo freddo sguardo, sentendomi intimidito da quella figura.

"Mi sono perso" confessai, puntando lo sguardo sulla punta delle scarpe che neanche vedevo.

Quello sospirò, chiudendo la chiamata senza indugio a chiunque ci fosse dall'altro capo del telefono.

"Questo è il mio camerino" 
Disse con voce piatta, continuando a scrutare la mia figura dalla testa ai piedi.

Istantaneamente incassai la testa fra le spalle, mordendomi le labbra e dondolando sui talloni.

"Scusami, c'era confusione per l'improvviso blackout e..." cominciai, le guance rosse non sapevo se per la vergogna di trovarmelo davanti oppure di raccontare quell' incredibile situazione "e gli occhiali mi sono scivolati di mano"

Pronunciai queste parole piano, con gli occhi che squadravano il pavimento sfocato.

"Non vedo molto senza questi..." Completai, guardando di sfuggita il suo viso.

Egli non disse niente, limitandosi a sospirare un'altra volta e superarmi, chiudendosi la porta alle spalle.

Si fermò all'altra estremità della stanza, sedendosi su quella che presupponevo essere una sedia.

Prese una bottiglietta d'acqua, e buttando indietro la testa bevve sotto il mio sguardo sconvolto. 

Rimasi lì impalato, come se Medusa mi avesse appena rivolto lo sguardo e pietrificato sul posto. 
I pensieri che si affollavano e ingarbugliavano nella mia mente in una una matassa inestricabile.

Rimasi cinque minuti a fissarlo, ancora nel punto in cui sostavo quando gli pochi minuti prima gli stavo rivolgendo parole timide ed esitanti. Lo guardai mentre si stendeva su un divanetto nero e apriva un giornale, cominciando a leggerlo.

Non seppi cosa fare, cosa dire o come comportarmi. 
I primi attimi boccheggiai, pensando che nei successivi istanti m'avrebbe rivolto delle parole. 
Ma quando queste non arrivarono, lasciando intatto quel silenzio che si era creato tra noi, mi ritrovai ad armeggiare con l' orlo della mia maglietta, completamente in pallone.

Avrei dovuto dirgli qualcosa? Chiedergli di prestarmi il telefono per urlare a quel disgraziato di Jungkook di venirmi a prendere? 
No, non potevo. Era un cantante, non poteva prestare il telefono a chiunque.

La parte più sfacciata di me mi esortò ad approfittare della situazione e a chiedergli un selfie, o almeno un autografo. 
Mi piantai i denti nel labbro inferiore.
No, non potevo neanche fare quello. 
Avrebbe pensato che mi fossi inventato tutta quella storia, e mi avrebbe cacciato dalla stanza, impedendomi di assistere per il resto dei miei giorni a un suo concerto.

Cosa avrei dovuto fare allora? 
Sospirai, cercando di raccogliere le idee e capire come comportarmi.

Me ne sarei dovuto andare e basta. 
Avrei affidato il futuro alla sorte, pregando di trovare Jungkook fuori ad aspettarmi con il mio paio di occhiali e il mio telefono.

Mi decisi, non avrei potuto chiedere un favore ad Agust D. Mai e poi mai.

"A-allora io vado..." Dissi con voce bassa e tremante, sperando che il ragazzo dai capelli neri steso sul divano mi avesse sentito.

Credetti di no vista la sua non-reazione nei primi cinque secondi dopo le mie parole.

Ero pronto a sotterrarmi. Correre fuori di lì, cercare il primo pezzo di terreno (non sarebbe importato neanche se quest'ultimo fosse stato lo spazio di terreno destinato alle piante in autostrada), scavarmi una fossa e sotterrarmici.

Ma come sempre, Agust D era pronto a sorprendermi.

"Aspetta" disse semplicemente, abbassando il giornale e guardandomi dalla sua posizione supina.

"Il mio autista sta venendo a prenderti"

E per l'ennesima volta sentii il cuore scoppiarmi in petto

***

"Tu-COSA??" Urlò Jungkook, sbattendo entrambe le mani sul tavolo in legno della cucina di casa mia, incredulo.

Gli scoccai un'occhiataccia, ancora arrabbiato con lui per la sera scorsa, ficcando il cucchiaio in una tazza traboccante di latte e cereali.

Era una domenica mattina soleggiata, e la tempesta della notte prima sembrava aver spazzato via tutte le nuvole scure e minacciose.

"Maledetto..." sibilai, guardandolo di sottecchi dalle lenti del mio vecchio paio di occhiali rossi e rotondi.

Jungkook mi ignorò semplicemente, rivolgendo il suo sguardo incredulo verso mia madre, che intanto metteva davanti a noi un vassoio di muffin al cioccolato fumanti.

"Giuro" disse mia madre, alzando in aria le mani fasciate dai guantoni da cucina natalizi.

"Mi sono stupita pure io quando l'ho visto arrivare a casa con quella limousine nera dai vetri oscurati"

Jungkook battè nuovamente le mani sul tavolo, rischiando di far traboccare la mia tazza di latte.

Lo guardai male, cercando di resistere alla tentazione di urlagli contro e rovesciargli sulla maglia CHANEL il thè alla vaniglia che stava bevendo.

"Non ci posso credere!" Esclamò il mio migliore amico, buttandosi a capofitto sui muffin come se niente fosse.

Erano le fottute 9 di mattina, e Jungkook si era auto-invitato a colazione da me, con la scusa del "ti onoro della mia presenza per scusarmi di averti lasciato al concerto per andare a correre dietro la gonna di una ragazza".

Sperai che mia sorella non si svegliasse così presto dalla sorta di letargo in cui era caduta; ero sicuro di non poter resistere alla pietosa scena di Jungkook che cercava di fare l'Oppa affidabile ed adulto, quando aveva ancora il cervello di un ragazzino di 13 anni.

Ricordai di non avergli ancora detto dell'appuntamento che aveva con mia sorella. 

Ghignai, portandomi una cucchiaiata di cereali alla bocca.

"Cavolo! Jimin dovrei abbandonarti più spesso allora!" Farfugliò con la bocca piena di Muffin, e potei giurare di aver visto il suo bolo di cioccolato.

Feci un sorriso tirato, prima di ingoiare il boccone e rivolgermi al mio migliore amico.

"Invece tu, Jungkook? Com'è andato il tuo appuntamento con Ji-eun?" Sibilai, contraendo le narici in una smorfia.

"Bene! Siamo andati al cinema e poi abbiamo mangiato una pizza" Mi rispose il ragazzo, sorridendomi a bocca scoperta con i denti intrisi dal cioccolato.

Piegai la bocca in una smorfia disgustata, prima di rivolgere nuovamente gli occhi alla mia colazione e borbottare tra me e me insulti rivolti al ragazzo.

"Suvvia Jimin! Non puoi essere ancora arrabbiato con me!" Esclamò Jungkook, facendo in modo che anche mia madre, occupata nel lavare la tazzina del caffè di mio padre, potesse sentire.

"Hai pur sempre 24 anni! Pensavo potessi cavartela da solo..." Quasi urlò, ridendo sotto i baffi.

Bastardo.

"Beh, Jungkook non ha tutti i torti figliolo..." intervenne mia madre, girandosi verso di noi.

"Sarebbe l'ora che prendessi la patente"

E in quel momento giurai che avrei passato la mia prossima ora a tirare Jungkook per le orecchie trascinandolo per tutto il perimetro della casa.

***

L'autobus che portava dalla fermata vicino casa mia fino al Campus era sempre stracolmo.

Borbottai una scusa verso la matricola che stava cercando di accalappiarsi il posto vicino al mio, distendendo le gambe sul sedile di plastica e buttando placidamente il libro di letteratura sulle mie cosce.

"Scusa, devo ripassare" 
Dissi, aggiustandomi quei ridicoli occhiali sul ponte del naso e cominciando a sfogliare il volume, sino alle pagine dedicate a Jacopone da Todi.

Quello mi guardò male in risposta, sussurrando tra se e se quello che alle mie orecchie giunse come un "Nano malefico".

Decisi di non dargli retta.

Dovevo occupare ogni attimo libero a studiare, dopotutto avrei avuto l'esame quello stesso giovedì e il tempo stava per scadere.

"Nacque tra il 1230 e il 1236 da Iacobello" esclamai a voce alta, disturbando un intero autobus di matricole e facendo così notare al ragazzino che stavo davvero ripassando.

" e studiò legge probabilmente all'università di Bologna" continuai, beccandomi un'occhiataccia da parte di un vecchietto, seduto due sedili prima di me.

Qualcuno si schiarì la gola, e io sorrisi da dietro le pagine del mio libro.

"Jimin!" quasi urlò Jungkook dall'altro capo del telefono, cercando di trattenere le risate.

Mi aggiustai l'auricolare nell'orecchio, mettendomi comodo tra i sedili.

"Mi ha detto nano malefico, ti rendi conto?" soffocai un urlo indignato, guardando di sottecchi il ragazzino davanti a me, e notando le mie parole avevano avuto buon esito. Egli si strinse la cartella al petto, incassando la testa nelle spalle, mentre le sue guance assumevano una colorazione simile al bordeaux della sua camicia.

Schioccai la lingua sul palato, soddisfatto, mentre Jungkook esplodeva nell'ennesimo attacco di ridarella di quella mattinata.

"Suvvia! Sarà un ragazzino del primo anno, non essere così duro con le matricole!" pronunciò ad alta voce, sapendo già che le sue parole non avrebbero avuto un buon esito.

"Sì" Dissi con tono aspro, mentre guardavo inespressivo sulle pagine la figura inchiostrata di quel vecchio decerebrato di Jacopone che non aveva avuto nient'altro da fare nella sua vita che dannare la mia.

"Come il caro Seokjin-hyung faceva con me quando ero al primo anno..." 
Sospirai, girandomi verso il finestrino a guardare il paesaggio urbano che 
scorreva sotto il mio sguardo. 
Terribili ricordi dello hyung del corso di letteratura inglese mi invasero la mente come la furia di un fiume in piena, facendomi storcere la bocca in una smorfia di riprovazione.
Ricordai le infinite volte in cui avevo dovuto portargli la merenda -rigorosamente cornetto francese alla panna e caffè all'italiana, sia chiaro – correndo a più non posso per l'intero Campus visto che l'aula di letteratura inglese era completamente d'altra parte rispetto all'aula di scienze umanistiche, in cui io avevo lezione. Ma la merenda era solo uno dei miliardi di incarichi con cui lo hyung mi riempiva le giornate. 
Jungkook sghignazzò, conoscendo bene il modo in cui il me di due anni prima trascorreva le serate, dopo un'estenuante giornata di università.

"Già 'Minie, ricordo ancora quante lacrime versasti sul mio libro di matematica delle superiori, mentre cercavi di aiutarmi con scarsi risultati..."

Tirai su col naso, prendendo il vecchio Samsung bianco di mio padre che non era più grande del mezzo palmo della mia mano e rigirandomelo tra le dita. Avevo dovuto accontentarmi di quello, visto che il mio era chissà dove...

"Ma stai zitto moccioso..." sibilai contro il vetro freddo del finestrino, formando così un alone di vapore su di esso "eri in quarta superiore e non sapevi nemmeno fare 2 + 2, se non ci fossi stato io non avresti nemmeno passato gli esami di metà anno"

"Esagerato!" Esclamò in risposta. Sentii il freno a mano venire tirato e una portiera aprirsi.

"'Minie io sono arrivato davanti la facoltà di Economia, ci vediamo dopo in caffetteria" disse, scendendo dal Pick-up.

"Va bene, a dopo" Annuii, chiudendo il libro di letteratura e cercando di riporlo nella tracolla, insieme agli altri pesanti volumi.

"Ah, Jimin!" Mi urlò nell'orecchio Jungkook, fermandomi prima che potessi staccare la chiamata.

"Potresti mettermi da parte quella torta alle albicocche?" disse piano, mentre io dall'altro capo del telefono alzavo gli occhi al cielo, emettendo un sospiro esasperato.

"Per favore...?" continuò, e dal tono della sua voce potei giurare che in quel momento stesse facendo l'Aegyo.

"Va bene!" sbottai con un finto tono snervato, nascondendo un sorriso.

"Ti voglio bene hyung!" gridò prima di chiudere la chiamata, entrando probabilmente in università, visto il vociare di sottofondo.

"Tsk, hyung quando ti conviene..." bofonchiai, arrotolando le cuffiette di Frozen che avevo trovato nelle patatine intorno al cellulare e mettendomelo in tasca.

Aguzzai la vista, allungando il collo e cercando di vedere dal finestrino se la mia fermata era vicina. 
Ed effettivamente era così. 
Sospirai, mettendo la tracolla sulla mia spalla e preparandomi a scendere.
Un'altra giornata mi aspettava.

*** 

Non pensai più al mio incontro con Agust D. 
Mi ero ripromesso di dimenticare lui e i suoi maledetti occhi, e così avrei fatto. 
Il suo era stato solo un gesto di umanità nei confronti di una persona in difficoltà, niente di più.

Le ore di lezione di filosofia con la professoressa Lee sembravano infinite ed interminabili per via della sua  voce bassa e calma, che ti sfidava senza indugio a cadere in un sonno soave quanto la sua stessa voce.
Le prime volte ero rimasto vittima di quell'affronto, addormentandomi e svegliandomi solamente una volta finita la lezione, con lo sguardo di fuoco della professoressa addosso. 
Ma col tempo e l'abitudine avevo imparato alcuni trucchi del mestiere, come quello di mettere in mezzo alle pagine uno delle più difficile enigmistiche e spremermi le meningi fino ad avere mal di testa per trovare la risposta a quei quasi impossibili quesiti.

Ma fatto stava che finalmente quelle ore si erano concluse, e ora il turno in caffetteria mi stava aspettando.

Presi una boccata d'aria, prima di scendere i gradini della facoltà di Lettere Moderne, così lasciandomi il classico chiasso studentesco alle spalle.

Quella mattina il sole sembrava nascondersi dietro le nuvole, timido, e riflettere sulla piazza del Campus solamente pochi e insicuri raggi di luce. 
Attraversai lo spazio che separava la mia facoltà alla caffetteria, guardando intorno a me la struttura a ferro di cavallo che circondava la piazzetta, formato dai vari edifici dell'università.

Le suole delle mie scarpe calpestavano la pietra grigia, impazienti di raggiungere il piccolo edificio che dava sulla strada principale di Daegu.

Lavoravo lì da poco più di un anno e mezzo, da quando avevo compreso che non potevo caricare sulle spalle dei miei genitori anche la cifra esorbitante dei miei volumi universitari, visto che già i libri di Byul-yi costavano abbastanza. 
Lavorare lì mi metteva tranquillità; non volava una mosca poiché era un luogo di studio alternativo alla biblioteca per gli universitari, c'era sempre la solita musica blouse che piaceva alla proprietaria e non facevo altro che preparare caffè, thè o cappuccini e servire fette di torta o cupcake. 
Certo, la caffetteria non era solamente frequentata da studenti. 
Il locale, nonostante fosse l' edificio incastonato tra la facoltà di ingegneria e quella di design, sfruttava la struttura a ferro di cavallo dell'università, sboccando nel centro di Daegu e attraendo turisti e popolani, che si ritrovavano a raggrupparsi nei piccoli tavolini della caffetteria e gustare dolci leccornie.

Quando entrai nel locale, il solito profumo di torte appena sfornate mi inondò le narici, facendomi istantaneamente spuntare il sorriso sulle labbra.
I faretti led rosa posti sul soffitto illuminavano l'ambiente, donando all'atmosfera tranquilla di quel posto lontano dal caos cittadino un ché di magico e suggestivo. 
Salutai la signorina Jung, sventolando una mano in aria, alla quale lei rispose con un sorriso tutto denti.

"Buongiorno Jimin, sei arrivato!" esclamò lei, sistemando sul bancone un vassoio con la torta alle gocce di cioccolato proprio in quel momento. 
Annuii in risposta, posando la mia tracolla sulla sedia dietro la cassa e avviandomi sul retro per lavarmi le mani nel piccolo bagno rosa.

Una delle cose che avevo apprezzato fin da subito, una volta entrato in quella caffetteria, era il clima pacato e la quiete che l'ambiente trasmetteva a chiunque si addentrasse in quel pezzo di paradiso terrestre. 
Poi, certamente la dolcezza della signorina Jung e dei suoi dolci riusciva a sciogliere qualunque cuore torbido. 
Quella ragazza aveva le mani di fata, non capivo il motivo per cui rimanesse chiusa in quelle quattro mura invece di partecipare a qualche concorso di cucina e lavorare accanto ad un pasticciere famoso in una città ben più grande di quella.

"Spezzerei la tranquillità e la quotidianità di ragazzi come te, che vengono a studiare qui mangiando i miei dolci" Mi rispondeva lei, quando la sera rimanevo ad aiutarla a pulire il locale. 
"E poi non voglio essere ambiziosa, guadagno quanto basta per vivere serenamente e mi piace lavorare qui." Aggiungeva dopo, guardandomi e sorridendo mentre strofinava un panno bagnato sul bancone dove ore prima preparava i suoi cupcake.

La raggiunsi poco dopo, uscendo dal bagno e mettendo i guanti sulle mani, pronto a servire e sistemare i vari dolci secchi negli scaffali.

"Ah, signorina Jung!" La chiamai, quasi dimenticando la richiesta del mio amico.

Ella si girò e io le sorrisi, imbarazzato.

"Jungkook mi ha chiesto se potessi mettergli una fetta di torta all'albicocca da parte, arriverà tra poco..." dissi piano, mentre ella sorrideva dolcemente davanti alle mie guance rosse.

"Ma certo! Stavo proprio per mettergliela io da parte, sapendo quanto ne va matto!" esclamò, dirigendosi subito verso il vassoio della suddetta torta.

Le ore in caffetteria trascorrevano serenamente, avevo preparato tre thè ai mirtilli e altrettanti cappuccini, servito biscotti alle mandorle e cheesecake ai frutti di bosco.

E ora sostavo placidamente sulla sedia di fronte al bancone dei cupcake, scrutando con tranquillità l'atmosfera cittadina del primo pomeriggio fuori dal locale. 
Sospirai, passando la lingua sulle mie labbra e sistemandomi per l'ennesima volta gli occhiali, che sembravano proprio voler scivolare, sul ponte del naso.

Fortunatamente, da quel punto, dietro il bancone e davanti la porta dalla parte della città, sembrava piuttosto arieggiato. 
L'aria condizionata sparata proprio sulla testa mi offriva una pacata pausa dall'afa estiva.

Feci girare gli occhi per il locale, prima guardando le pareti color carta da zucchero, poi le sedie alla francese abbandonate vicino i tavoli, ma, disgraziatamente, i miei occhi caddero sui deliziosi cupcake alla fragola che sembravano invitarmi con lo sguardi.

Mi contorsi sulla sedia, ripetendomi che quei cupcake erano destinati ai clienti, e non a me.

E allora perché diavolo la salivazione nella mia bocca stava aumentando?

Repressi un sospiro frustrato, continuando a divorare con lo sguardo morso per morso quei dolci che sembravano attentare la golosità delle mie papille gustative.

Ed ero così assorto in quella perigliosa lotta contro me stesso, cui ero sicuro avrebbe vinto la parte di me che prediligeva il peccato di gola, che non mi accorsi neanche la campanella attaccata all'estremità della porta, sfociante nella via urbana, emettere il suo dolce tintinnio e la stessa spalancarsi.

Solamente dopo, quando sentii la signorina Jung chiamarmi e vidi due paia di Vans entrare nel mio campo visivo, mi riscossi da quell'attimo di imbambolamento e mi alzai dalla sedia con un sospiro, rimettendomi i guanti che pochi minuti prima mi ero tolto.

Ero ancora nel mezzo di quell'azione, quasi combattendo contro il guanto di plastica destro che le stava proprio provando tutte per non infilarsi, quando una voce rauca mi inondò le orecchie, facendomi gelare sul posto.

"Potrei avere due cupcake alla fragola?" Disse, mentre il respiro mi si bloccava in gola e le mie guance perdevano immediatamente il loro colore roseo.

Alzai lentamente gli occhi verso di lui, cercando tutt'altro che una conferma, perché era assurdo che lui fosse lì, nella piccola e modesta caffetteria della mia università.

Sperai le mie orecchie si fossero sbagliate, perché se così non fosse stato il mio cuore avrebbe nuovamente cominciato a battere speranzoso in qualcosa che non sapevo nemmeno io.

Ma quando incastrai le mie pupille nelle sue, ebbi la mia non-voluta conferma. Sentii una sensazione familiare salire fino al petto e cominciare ad ardere proprio al centro di questo, il cuore cominciare a pompare sempre più forte e le mie vene venire investite dalla furia del sangue, che scorreva violentemente nelle medesime.

Agust D, con gli occhi sfuggenti ombreggiati da un cappellino nero, non resistette molto al mio sguardo scioccato, che sembrava non volersi schiodare dalle sue pupille.

Nonostante la sua mascherina stesse lì a nascondergli la bocca e buona parte del naso, riuscii a notare le sue guance che, a differenza delle mie totalmente sbiancate, assunsero una velata sfumatura rosea.

Schiodò gli occhi dai miei, continuando a vagabondare con lo sguardo per il locale, sotto lo sguardo ignaro degli altri clienti e della signorina Jung.

Alla fine, dopo che ebbe ispezionato a fondo il colore del muro dietro di me, (così tanto che temetti avesse scoperto del viola che prima ricopriva quelle pareti), e il bancone dei dolci fino all'ultima prelibatezza, si schiarì la gola, puntellandosi sui piedi.

"Allora, questi cupcake?" 




P.S: Apprezzerei sapere che ve ne pare <3 <3 xoxoxoxo

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3890700