Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Segui la storia  |       
Autore: Colpadellestelle_394    10/03/2020    0 recensioni
L'università agguanta con le sue luride mani la tua vita sociale, la frammenta in mille pezzi e poi te la restituisce, ma solo al termine dei tre anni di quello che Park Jimin definiva "un vero e proprio inferno".
Tra le infinite lezioni e le pagine dei libri di letteratura, Jimin non avrebbe mai potuto immaginare che una delle caramelle rubate dalla macchina del suo migliore amico sarebbe stata l'impersonificazione del destino, destino che l'avrebbe spinto tra le braccia del rapper più famoso di Daegu.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1
"La maledizione delle caramelle alla fragola"

 


"Allora, che farai questo weekend?" Posai il mio hamburger con doppie patatine sul piattino, girandomi a scoccare un'occhiataccia al ragazzo seduto al lato opposto del tavolino.

"Stai scherzando?" sibilai, portando un dito a rialzare gli occhiali sul ponte del naso, ma sbagliando fatalmente direzione e così stampando l'impronta del mio indice unto di olio su una lente.

Imprecai, togliendomi gli occhiali e maledicendo me stesso e la mia miopia non appena, senza di questi, le mie mano si trovarono irrimediabilmente alla disperata ricerca di una salvietta. Cercai a tentoni sul tavolo sotto i miei occhi, stando attento a distinguere la superficie di quest'ultimo da un bicchiere traboccante d'acqua, così da evitare il solito bagno freddo per me e la solita scocciatura per la signora del MC in cui eravamo.

Alla fine, la tanta ricercata salvietta arrivò alle mie mani, ma purtroppo la sua comparsa fu accompagnata da una risata che le mie orecchie conoscevano molto bene.

"Jungkook..." sospirai, obbligandomi ad allontanare dalla mente l'allettante pensiero che, forse, quello che aveva bisogno di un bel bagno freddo era proprio il ragazzo davanti a me.
Una volta aver nuovamente acquisito la capacita di vedere grazie a quella spessa montatura verde che mi accompagnava dal mio primissimo anno di università, guardai con occhi languidi il bicchiere davanti a me, desiderando ardentemente di alzarmi da quella sedia di plastica scricchiolante che mi stava torturando il posteriore e rovesciarlo interamente sulla ciotola castana che il mio migliore amico portava in testa.

"Sei proprio una talpa, 'Minie" Gli scoccai un'occhiataccia, respirando con forza dal naso e afferrando con rabbia il telefono posto a qualche centimetro dal piatto.
Immaginai già la signora Choi sbuffare, prendere con fare annoiato mocio e secchio e dirigersi verso di me, ovviamente non dopo di avermi rivolto la solita occhiataccia.
Scossi la testa, dovevo resistere alla tentazione.
Avrei dovuto posticipare il momento in cui mi sarei goduto il suo bagno freddo con ghiaccio e limone.
Dopotutto, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
Sorrisi fra me e me, arricciando il naso sotto lo sguardo curioso di Jungkook.

L'abitudine condusse il mio indice a cliccare sull'icona colorata di Instagram, e come nulla fosse successo la mia rabbia sfumò in un sorriso non appena un viso fin troppo familiare comparve sotto i miei occhi.

Jungkook alzò gli occhi al cielo, sospirando contro l'alluminio rosso della sua lattina di Coca-Cola prima di portarsela alle labbra.

"Chi è? Il rincitrullito per cui mi hai fatto spendere 6 mesi di paghetta?"

Ignorai completamente le sue parole, continuando a guardare il taglio a mandorla degli occhi raffigurati in quell'immagine.

"Ah, a proposito" Alzai gli occhi su di lui, staccandoli a fatica dal ragazzo in foto.
"Devo scappare subito dopo la fine del  concerto, ho un appuntamento con  Ji-eun"

Aggrottai le sopracciglia.
"Ji-eun? La ragazza del corso di economia?"

Jungkook annuì felicemente, addentando l'ultimo morso del suo cheeseburger.

"Mercoledì le ho chiesto di uscire alla fine della lezione, e ha semplicemente accettato" fece le spallucce.
"Ho almeno rimediato il suo numero" sorrise a denti scoperti, alzando il suo telerono ed esibendolo come fosse un trofeo.

Scossi la testa, limitadomi a sorridere.
"Non ti smentisci mai, Jeon Jungkook"

Misi in bocca l'ultima patatina, prima di sfregare le mani contro un fazzolettino e prendere la tracolla contenente i miei pesanti volumi di storia della letteratura.

Ma, una volta in piedi, il peso di quest'ultima mi fece sbilanciare ed ebbi per l'ennesima volta la conferma che la sorte non mi voleva affatto bene, ma anzi, impegnava tutte le sue forze per rendermi la vita un inferno.

Urtai accidentalmente con la tracolla il bicchiere d'acqua che, di conseguenza, cadde rovinosamente sulla superficie del tavolo, rovesciandosi.

«Neanche tu ti smentisci mai, Park Jimin»

Mi girai con gli occhi che supplicavano perdono verso la signora Choi, che mi fulminò di rimando.

***

 

"Sabato alle 18 fatti trovare pronto davanti il portone di casa.
Annuii energicamente, prima di rivolgere l'ultimo sorriso al mio migliore amico e scendere dal Pick-up grigio metallizzato.


Jungkook non attese nemmeno che facessi un passo verso il marciapiede; ripartì sgommando, e quando volsi lo sguardo verso la strada di lui potei scorgere solo il gomito che sbucava dal finestrino al lato del guidatore.

Sospirai, incamminandomi verso il vialetto di casa mia, che dalla strada appariva fiancheggiato dal giardino di cui quotidianamente si occupava mio padre.
Camminai sulla ghiaia della stradina, non provando nemmeno a nascondere la gioia che, come una mano, mi stritolava il cuore, affondando in esso con tutte le cinque dita.

Era appena pomeriggio, il sole splendeva raggiante nel cielo azzurro e l'afa estiva sembrava investire i sensi e arrossarmi le gote. La caramella alla fragola che avevo rubato dalla macchina di Jungkook mi si era sciolta sulla lingua, travolgendo e anestetizzando le papille gustative col suo gusto delizioso ma stucchevole, che donava a quel momento una nota dolce, come lo glucosio che di conseguenza mi scorreva violentemente nelle vene.

Sorrisi, calpestando il marmo dei gradini dell'ingresso con la suola delle mie converse di tela bordeaux.
Stavo ancora contemplando il mieloso sapore dolce delle caramelle alla fragola che mi occupava la bocca e scendeva giù per l'esofago quando, una volta superata la soglia di casa ed essermi chiuso la porta alle spalle, gelai sul posto.

"Ah caro! Sabato è prevista pioggia, quindi dovresti prendermi lo stendi-panni dal terrazzo"

Mia madre pronunciò quella frase inconsapevolmente, con le mani impegnate nella ciotola bibimbap, la televisione accesa e la giornalista stretta in un tubino rosa confetto che annunciava le previsioni metereologiche che le parlava dietro. Il mio campo visivo mi permise di vedere mio padre annuire dal suo posto nel divanetto color carta da zucchero.

"Jimin, che ci fai lì impalato?"

Persi cinque secondi a fissare il rosa del vestito della ragazza in TV prima di prendere fiato ed aprire bocca per rispondere a mia madre.

Feci davvero per risponderle, davvero, ci provai.
Ma la sorte mi fece l'ennesimo sgambetto della giornata, e io lo presi in pieno.

Non avevo neanche pronunciato la prima sillaba quando il succo della caramella prese la via sbagliata, obbligandomi a sbarrare gli occhi e a tossire con tutte le mie forze.
Il sapore dolciastro mi inondò la gola, irritando le pareti della faringe e costringendomi alla ricerca di un bicchiere d'acqua che mia madre si sbrigò a porgermi, una volta camminato fino al tavolo della cucina.

"Ah, Jimin..." Ella sospirò, togliendosi i guanti di gomma e guardandomi con rassegnazione.

***

Il venerdì passò in fretta tra le pagine dei volumi di letteratura e quelle dei fumetti di Iron Man che Jungkook mi aveva prestato.
Fortunatamente sarei dovuto andare alla mia prossima lezione in università solamente il lunedì dopo, quindi avrei avuto tutto il tempo necessario per studiare meglio quel Jacopone da Todi che proprio si rifiutava di entrarmi in testa.

Sospirai, sdraiandomi sulle coperte color panna della mia camera e buttando il libro di letteratura a qualche metro da me.
Erano le 9 in punto del sabato mattina e nessuna persona sulla faccia della terra era più felice di me.
Mi limitai a stamparmi in faccia un sorriso da ebete e a fissare i piccoli fasci di luce che filtravano nella stanza attraverso le tende a pois neri che mia madre aveva appeso.
La trepidazione mi faceva formicolare la punta delle dita e l'ansia mi faceva tremare le gambe; mancavano ancora 10 ore, ma la gioia fermentava dentro il mio animo e sgorgava attraverso grandi sorrisi e guance arrossate.

Non mi trattenni dal puntare gli occhi sulla scrivania laccata di bianco a qualche metro dal letto, sopra la quale erano posati due biglietti che mi erano costati un doppio turno alla caffetteria vicino all'università per ben 4 settimane.

Mi alzai dal letto, non resistendo alla tentazione di prendere uno dei biglietti, rigirandomelo tra le mani e stringermelo al petto con un sorriso che mi arrivava fin sotto gli occhi. Osservai per l'ennesima volta la figura del ragazzo stampata su di esso con occhi increduli.

"Sto davvero per incontrarti, Agust D?"

Il ragazzo sul biglietto continuò a fissarmi in muta risposta e io sorrisi, alzando lo sguardo verso il cielo azzurro che pian piano andava riempiendosi di nuvoloni grigi, preannunciando la violenta tempesta che avrebbe scosso il mio animo.

Le ore passavano e io non avevo fatto altro che girovagare per la casa senza una precisa meta, rischiando di far inciampare mia madre che dopo la quarta volta mi inveì contro, urlandomi di andare in camera e chiudermici fino al momento in cui Jungkook avesse suonato il campanello di casa. Cercai allora di aiutare mio padre con il giardino, ma egli non fu paziente quanto mia madre e al secondo girasole calpestato a causa della mia goffaggine mi intimò di rientrare in casa, le narici contratte in una smorfia di rabbia e un rivolo di sudore a percorrergli la tempia destra.
Così non mi rimase altra scelta che rinchiudermi in camera e aspettare che si facesse l'ora giusta per iniziare a prepararmi.

Il concerto sarebbe iniziato alle 19.00 e finito alle 21.00. Presupponevo Jungkook mi avrebbe accompagnato a casa prima di andare all'appuntamento con Ji-eun; e se così non fosse stato mi sarei preso la libertà di tirargli le orecchie fino a fargliele sanguinare, come facevo quando era alle superiori e invece di studiare passava le giornate alla playstation.

Mi aggiustai gli occhiali, constatando che ormai di studiare non se ne parlava proprio.

Il libro mi fissava dal letto, posto in cui lo avevo abbandonato ore fa, con rimprovero, ricordandomi che il prossimo esame sarebbe stato tra meno di una settimana.

Vi chiederete chi è quel pazzo che va ad un concerto in piena sessione di esami... beh io. Ma chi potrebbe mai biasimarmi? Dopotutto si tratta del concerto di Agust D... Jacopone de Todi poteva ben aspettare.

Quando le lancette dell'orologio segnarono le 16.00 mi catapultai giù dal letto, che a causa della mia agitazione era diventato un ammasso informe di lenzuola e coperte, e impegnai le mie gambe nella disperata corsa verso il bagno che, una volta abbassata la maniglia della porta, constatai essere chiusa.

"Park Byul-yi, apri questa fottuta porta" Mia sorella rise, machiavellica, mentre accendeva il soffione della doccia e si apprestava a rispondere alle mie parole con un tono dolce, che ne preannunciavano una delle sue.

"Certo Jiminie, solo 5 minuti"
Trascorsi la successiva mezz'ora a imprecare contro la porta del bagno, a sbattere i pugni contro la superficie lignea e a minacciarla in tutti i modi possibili.

"Ti rimedio un appuntamento con Jungkook" Esclamai al limite della disperazione, gli occhi fissi sul pavimento e la fronte poggiata sulla porta, ben consapevole del punto a cui Byul-yi puntava.

"Okay" Disse semplicemente, prima di girare la chiave nella toppa e superarmi fischiettando.

Mi catapultai all'interno del bagno senza neanche degnala di uno sguardo, troppo occupato a pensare al mio esagerato ritardo e al fatidico (e per me fatale) momento in cui avrei detto a Jungkook di avergli programmato un appuntamento a due cuori con la mia dolce sorellina quindicenne.

Meno di un'ora e mezza dopo, quando non ero nemmeno arrivato a metà del mio trucco, il mio telefono trillò sul mobiletto e gelai sul posto quando la notifica di un messaggio di Jungkook comparve sotto i miei occhi.

From_Jungkook: Sto arrivando, fatti trovare pronto.

E lì il panico prese possesso del mio corpo, portandomi ad accelerare un processo che solitamente compivo in una mezz'ora abbondante in cinque minuti. Con l'aggiunta, però, di imprecazioni e pianti isterici mal trattenuti per non far scolare il trucco dagli occhi.

Quando sentii il campanello suonare, il terrore mi fece gelare il sangue nelle vene. Una miriade di piccoli e disordinati passi accompagnarono la mia uscita dal bagno e non ebbi neanche il tempo di arrivare all'ingresso che un "Jungkook Oppa!" rimbombò tra le pareti domestiche.

Quando arrivai davanti il portone, mia sorella aveva già aperto la porta e stava appoggiata in equilibrio precario proprio su questa, gli occhi sognanti fissi sul mio migliore amico e un sorriso da ebete stampato in faccia.

"Oh, ciao Byul-yi" Disse Jungkook, regalandole un sorriso grazie al quale ella sospirò, estasiata.

Esausto di quella situazione, sbuffando tirai per un braccio mia sorella, minacciandola con la scusa del "altrimenti niente appuntamento con Jungkook Oppa" e le ordinai di rimanere in camera finché nostra madre e nostro padre non fossero tornati dal negozio di alimentari dietro l'angolo.

Jungkook mi guardò con un ghigno fastidioso dall'atrio mentre facevo avanti e indietro per la casa, sistemandomi per bene gli occhiali sul naso e prendendo il giubbetto di pelle nera.

"Andiamo" Ordinai con voce ferma, uscendo di casa e tirando Jungkook dalla manica del suo giubbotto.

"Agli ordini" replicò quest'ultimo, schioccando la lingua contro il palato e rigirandosi le chiavi del Pick-up tra le dita.

***

La soffocante aria dell'anfiteatro in cui ci trovavamo mi riempì la trachea quando respirai a fondo, ritrovandomi poco dopo ad urlare a pieni polmoni contro il nulla. Le luci laser colorate riempivano l'ambiente, già colmo di persone di ogni genere e età, si rincorrevano l'un l'altra per tutto il perimetro dello stadio, a volte mischiandosi e altre volte allontanandosi per brevi ritmi di tempo.

L'atmosfera surreale e il caldo afoso di quella serata di Luglio irretirono i miei sensi, sigillandosi nella mia memoria con timbro e ceralacca rovente per il resto dei miei giorni.

La calca obbligava i nostri corpi a sudare più del dovuto; io stesso constatai che la mia adorata maglietta VERSACE era succube del sudore del mio petto.
Maledissi il me di poche ore prima per aver avuto la geniale idea di indossare la mia unica e maledettamente bianca maglietta costosa.

Jungkook, a pochi centimetri da me, urtò la mia spalla a causa di uno spintone ricevuto da una ragazza dai capelli fucsia, che sembrava aver perso il controllo del suo corpo. Mi imprecò nell'orecchio, inveendo contro di me e il "rapper rincitrullito" che cantava a pochi metri da noi, sopra il palco.

"Dai, tanto lo so che ti stai divertendo" replicai ai suoi improperi, voltandomi a guardarlo e rivolgendogli un colpo di fianchi, a cui rispose nascondendo un sorriso tirato sotto la mano destra.

"Jimin, tanto lo so che ti divertirai un sacco quando ti lascerò qui, col tuo amato rapper, che sicuramente correrà in tuo aiuto." 

In quel momento non diedi importanza alle sue parole, troppo impegnato a godermi quelle sensazioni che investivano a pieno i miei sensi, non curandosi delle conseguenze che il mio animo avrebbe riscontrato.

Lui era davanti a me, e sostava sul palco come un angelo nero a cui erano state appena strappate le ali. Ogni parola pronunciata da quelle labbra rosee mi esplodeva nel petto e si amplificava per chilometri, travolgendomi il corpo e l'anima.

La sua figura si muoveva leggiadra per tutto il perimetro del palco, dando le spalle alle luci laser, che gli conferivano un'aura oltremondana.

Avevo speso tutti i guadagni del mio lavoro in caffetteria per accaparrarmi quel posto sotto il palco, e non me ne pentivo affatto.

Cantai ogni canzone a squarciagola, maledicendo i condotti lacrimali che mi riempivano gli occhi di uno strato velato di lacrime, così impedendomi di visualizzare al meglio la figura di Agust D. Lo guardai il più possibile, soffermandomi sui suoi occhi a mandorla che volavano fuggitivi da una parte all'altra dell'anfiteatro e godendo della sua voce rauca che mi riempiva le orecchie e mi faceva tremare i muscoli delle gambe a più non posso.

Cercai di imprimere la sua figura a fuoco nella mia mente, ma la felicità è effimera: in un secondo ti da tutto e in quello a venire completamente niente.

Neanche una volta i suoi occhi indugiarono sui miei, arrossati e depredati dalle lacrime, che cercavano disperatamente il suo sguardo. Per lui sarei stato solo uno dei tanti fan; unico nel suo genere ma allo stesso tempo identico a tutti gli altri.

Mi crogiolai nel dolore della delusione, abbassando lo sguardo sulle punte delle scarpe e ripetendomi nella mente come un mantra che non avevo più 15 anni, ma 24, e che quelle insulse fantasie erano solo riservate ai ragazzini.
Solo ai ragazzini era permesso sognare, e io non lo ero più.

Mi diedi dello stupido per aver esternato in maniera così ovvia ed evidente i miei sentimenti; cosa che non avrei dovuto neanche fare nell'intimità della mia camera, ma che avevo fatto davanti a centinaia di persone, compreso lui.

Mi ero dato delle aspettative che nessuno avrebbe potuto soddisfare, mi ero illuso.

Tolsi gli occhiali dal naso, prendendoli tra le mani, e cercai di pulirli con la stoffa della mia t-shirt, mandando a quel paese i buoni propositi di non rovinare quella maglietta; già estremamente impregnata di sudore.

Sentii Jungkook tirarmi per il braccio, ed io annuii, senza guardarlo negli occhi.

"Jimin, il concerto è finito"

Mi ritrovai di fronte alla pura e semplice verità, e desiderai essere cieco, più di quanto non lo ero già, per rifiutare per l'ennesima volta la veridicità dei fatti.

Le luci si accesero, la calca ci spingeva sempre più in fondo.

Rimasi fermo nel posto in cui mezz'ora prima ammiravo la sua figura volteggiare nel palco come un cigno nero; fissai il palco, vedendo pian piano il mio campo visivo riempirsi di piccoli puntini neri.

Le persone mi prendevano a spallate nel tentativo di uscire da quell'indistricabile groviglio di individui, io rimasi fermo al mio posto, subendo.

Jungkook cercò di urlarmi qualcosa, che non capii a causa del vociare.
Cercai di dirgli che stavo arrivando, che avevo finito di crogiolarmi nei miei inutili sentimenti e che una volta uscito da quell'anfiteatro non avrei mai più fatto i conti con la mia subdola immaginazione, che mi aveva inferto un colpo più doloroso delle ventitré coltellate di cui Cesare era stato vittima.

Ma anche quella volta la sorte si dilettò a tirarmi un brutto tiro, che io presi in piena faccia.

Un lampo illuminò il cielo e il conseguente tuono rimbombò nello stadio, facendo tremare le grandi vetrate.
L'ultima cosa che vidi prima che la luce venisse a mancare furono gli occhi preoccupati di Jungkook che mi intimavano di raggiungerlo.

E lì scoppiò il putiferio.

Non ci capii molto, sentii soltanto il mio corpo strattonato e la presa delle mie dita sull'asta degli occhiali venire meno. Qualcuno mi diede una gomitata nelle costole, qualcun'altro cercò di scavalcarmi. I miei timpani chiedevano pietà a causa delle miriadi di urla che le persone emettevano, prese dal panico.

Cercai di rialzarmi, notando per quanto potessi il perimetro del palco grazie alle piccole luci di emergenza poste ai lati dell'anfiteatro. Riuscii nella mia impresa, raggirando il palco e cercando di dirigermi verso l'uscita di emergenza.

Ma qualcuno aveva avuto la mia stessa idea. Mi ritrovai per terra, completamente succube degli spintoni della gente, troppo presa dal panico per accorgersi del corpo di un gracile ragazzo steso per terra.

Quando la folla sembrò essere lontana qualche metro da me, gattonai fino al corridoio che pensavo mi avrebbe portato all'uscita di emergenza.

Maledii la sorte per avermi cacciato in quella situazione.
I muscoli delle gambe mi facevano male, ed ero sicuro che tra poco sulla pelle lattea del mio costato sarebbero comparsi dei lividi.
Era tutta colpa della mia caparbietà e della mia sconsideratezza.
Se non avessi insistito così tanto per assistere al concerto di Agust D , in quel momento non mi sarei trovato in una situazione inimmaginabile come quella.

Quando arrivai davanti la porta che credevo essere l'uscita di emergenza, mi alzai, facendo presa per l'ultima volta sulle mie gambe. Una volta aver abbassato la maniglia la porta si spalancò e l'oscurità mi accolse.

Fu tutta colpa mia e della mia miopia acuta, ma entrai nella stanza, camminando a tentoni nell'oscurità.

Non c'era altro da fare, avrei aspettato lì fino al momento in cui la luce non fosse ritornata. Era sicuramente meglio che aspettare in uno stadio pieno di tori inferociti pronti a fare a botte per uscire indenni dall'edificio.
Sospirai, cercando con una mano la superficie della porta che poco prima avevo aperto, e subito dopo appoggiando la schiena su di essa. Mi lasciai scivolare a terra, rassegnandomi al fatto che avrei dovuto sostare su quel pavimento angusto finché la luce non avesse fatto la sua ricomparsa. Non che cambiasse qualcosa, non avrei visto niente comunque, ma sarei almeno riuscito a distinguere i contorni delle porte.

Ero incazzato col mondo, con me stesso, con quel bellissimo rapper che mi aveva assoggettato e stregato con lo sguardo, convincendomi così a comprare dei biglietti che costavano un occhio della testa, e col mio migliore amico che sembrava avermi abbandonato lì.
Frugai nelle mie tasche, constatando che il cellulare non c'era, e repressi un urlo di frustrazione, immaginando di averlo perso in mezzo a quella calca, quando ero finito per terra.

Non mi rimase altro che rovistare nelle tasche e constatare che l'unica cosa presente in esse fosse un pugno di caramelle alla fragola che ore prima avevo preso dalla macchina di Jungkook sotto lo sguardo sospettoso del proprietario, quando ancora l'agitazione e la felicità mi facevano contorcere le dita dei piedi.

Arrendevole, me ne ficcai una in bocca, sperando che il familiare sapore chimico e dolciastro della fragola agisse da calmante e alleggerisse il peso della rabbia che mi comprimeva il torace.

Aspettai lì per minuti che mi parvero ore, continuando ad ascoltare il ticchettio della pioggia che batteva sulle vetrate e recependo che, al contrario di come sperato, la caramella alla fragola che avevo in bocca non avrebbe affatto aiutato contro i nervi.

Un paio di attimi dopo, quando ancora pensavo che probabilmente sarei morto lì, nutrendomi di caramelle dal sapore chimico, e che nessuno avrebbe rinvenuto il mio corpo, finalmente le luci si accesero.

Ringraziai Dio e tutti i santi, prendendo un sospiro di sollievo.

Ma il sollievo ebbe vita breve.
La porta dietro alla quale ero appoggiato si aprì, e io non fui così lesto da togliermi prima che quella si spalancasse completamente.

Mi sentii spintonare verso l'interno della stanza, e mi ritrovai in ginocchio prima che potessi alzarmi.
Volsi lo sguardo verso l'alquanto maleducata persona che, per l'ennesima volta in quella giornata, mi aveva fatto sbattere le ginocchia per terra. Ero sicuro che tra poco sarebbero spuntati dei lividi anche lì.

Cercai di mettere la figura a fuoco, assottigliando gli occhi e sforzando la vista più di quanto potessi, ma la persona davanti a me mi presentò la risposta che cercavo su un piatto d'argento prima che potessi scoprirlo da me.

"E tu chi sei?"

Riconobbi quella voce rauca in un batter d'occhio. Sbarrai gli occhi, boccheggiando davanti alla sua figura che a me si presentava sfocata.
Cercai di rispondergli, dirgli che ero capitato lì per caso, che mi ero perso e la colpa era tutta sua e dei suoi maledetti occhi a mandorla, ma anche questa volta la sorte volle che il succo della caramella prendesse la via sbagliata, inondandomi gli occhi di lacrime e costringendomi ad un improvviso attacco di tosse.

Non avrei mai immaginato che il nostro primo incontro sarebbe stato così imbarazzante. 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: Colpadellestelle_394