I discovered the Sun

di Elis9800
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Un imperfetto scambio di idee ***
Capitolo 2: *** II. Opposte considerazioni ***
Capitolo 3: *** III. La vista dal trono ***
Capitolo 4: *** IV. Oltre il muro ***
Capitolo 5: *** V. Incatenato ***
Capitolo 6: *** VI. Fissione ***
Capitolo 7: *** VII. Puzzle mancanti ***
Capitolo 8: *** VIII. Occhi cangianti ***
Capitolo 9: *** IX. Fino all'osso ***
Capitolo 10: *** X. Ambigue contraddizioni ***
Capitolo 11: *** XI. Fatalità ***
Capitolo 12: *** XII. Punto di rottura ***
Capitolo 13: *** XIII. Hard Reset ***
Capitolo 14: *** XIV. I discovered the Sun... inside me ***



Capitolo 1
*** I. Un imperfetto scambio di idee ***



I

Un imperfetto scambio di idee





 
“Si può sapere quanto diavolo debba ancora aspettare? Ho un’arringa in tribunale tra poche ore e non posso certamente presentarmi in queste condizioni! Quanto ci vuole perché qualcuno si decida finalmente a riaggiustarmi il braccio?!”

Gli strepiti di Kageyama si fecero sentire per tutta la sala d’aspetto del pronto soccorso, provocando l'esponenziale aumento dei singhiozzi di parecchi infanti in braccio alle loro mamme.

“Vuole abbassare un po’ la voce? Spaventa i bambini in questo modo” sbottò con tono schietto e sbrigativo una signora sulla quarantina, che stringeva al petto un fagottino di coperte pesanti da cui sbucava un piccolo visetto piuttosto pallido.
“D'altronde è inutile che si lamenta tanto, qui aspettiamo tutti il nostro turno” intervenne stancamente un’altra, il volto sfiancato fisso sui due gemelli di circa tre anni ricoperti di pustole, che parevano non essere intenzionati a rimanere fermi un singolo istante.

Il viso dai lineamenti ben definiti di Tobio assunse un’espressione sprezzante.

“Peccato che i suoi bambini non debbano vincere una causa che sarà di fondamentale importanza per il loro studio legale” pronunciò velenoso, lanciando un’occhiata gelida alle faccine martoriate e spensierate.
La donna rimase interdetta a quelle parole e non seppe cosa ribattere a quel giovane uomo vestito di tutto punto, dalla camicia bianca inamidata ai neri pantaloni attillati, con quei gelidi occhi blu capaci di perforare persino un muro di cemento.
Certamente era una figura che stonava all’interno del rumoroso e fin troppo movimentato reparto ospedaliero di primo soccorso, in cui venivano convogliati potenziali pazienti di tutti i generi: da coloro che non si reggevano in piedi a causa di uno svenimento fino alle vittime di traumi, sanguinanti con estrema copiosità.
Più che scomporre o turbare il giovane, tuttavia, la vista di quell'ambiente lo infastidiva.  
Persone assolutamente banali racchiuse in un comunissimo ospedale urbano. 
Niente che potesse anche solo minimamente stimolare il suo interesse.
Se avesse avuto possibilità di scelta, non sarebbe nemmeno giunto in quella struttura. 
Avrebbe certamente selezionato una clinica con personale altamente qualificato, in cui venisse perlomeno assegnata una stanza a ciascun paziente, non come quel raduno di malati pericolosamente contagiosi.
Chissà se avrebbe potuto intentare una causa contro l’ospedale, rifletté cupamente.
 


Dopo ulteriori venti minuti trascorsi a incenerire con lo sguardo ogni individuo finalmente ricevuto dai medici di turno, il giovane esaurì ogni briciolo di pazienza, già limitata, rimastagli in corpo.
Si alzò di scatto dalla poltroncina color crema, custodita gelosamente per tutta la durata dell’attesa, e si diresse a passo minaccioso verso la postazione dell’infermiere di guardia, piazzandosi davanti alla spessa lastra in vetro che ne divideva gli ambienti.
“Le hanno già assegnato un codice, signore?” chiese con molta gentilezza il ragazzo dal camice verdino e un grazioso neo sotto l’occhio.
“Certo, esattamente un’ora e mezzo fa!! Si può sapere cosa diamine aspettate a chiamare qualcuno dei vostri medici per procurarmi un gesso?! Non credo ci voglia poi molto, no?!” sbraitò, le vene che pulsavano sulla fronte semi scoperta dai liscissimi capelli corvini. 

L’infermiere mutò il sorriso cortese in un’espressione imperturbabile. 

Si portò i capelli argentei dietro le orecchie con estrema compostezza, come se non avesse appena udito nessuno urlargli proprio davanti al naso.
“Se non dovesse averlo notato, signore, la sala è colma di casi molto più urgenti della sua… frattura al braccio, presumo? I nostri medici staranno sicuramente occupando il loro tempo a salvare qualche vita, mentre a me lei sembra che stia benissimo… anche se, personalmente, le prescriverei un calmante, sembra piuttosto nervoso. Ah, e se le appare come una cosetta da niente, perché non prova ad aggiustarsi le ossa da solo? Risparmierebbe certamente molto del suo preziosissimo tempo” cinguettò con un candidissimo sorriso a trentadue denti, che si conficcò come una lama affilata nello stomaco di Tobio, riuscendolo perfino a zittire per qualche secondo.
Prima che potesse riaprir bocca per protestare, un uomo dalle spalle larghe e corti capelli castani sbucò dalla porta a due battenti che collegava la sala d’aspetto del pronto soccorso ai reparti interni, entrando poi con foga nel cubicolo in cui sedeva il grazioso infermiere. 

"Suga! E' in corso un’epidemia, tutti i bambini arrivati qui provengono dallo stesso asilo… ho bisogno di personale in più, non riusciremo mai a visitare tutti i pazienti in tempo” esalò concitato e con tono esausto quello che doveva essere il medico, asciugandosi la fronte imperlata di sudore con il grande avambraccio color caffellatte.
Tobio poté percepire un senso d’autorità non indifferente nonostante la statura non troppo elevata e gli stanchi occhi scuri.

“Finalmente qualcuno se n’è accorto! E’ da ore che lo ripeto” sbottò dunque il corvino dopo qualche secondo, nuovamente furente e sul piede di guerra.
La sua presenza fu notata solo in quel momento dal nuovo arrivato che, dopo avergli scoccato un’occhiata indagatrice, chiese sottovoce a Sugawara “Ci sono problemi?”
Venne però udito ugualmente dalle orecchie fin troppo sensibili di Kageyama, che ripartì con il suo mantra.
“Sì che ci sono problemi! Non so se si è capito bene, ma è di vitale importanza che io sia in tribunale tra meno di un’ora! Non sono uno che non ha nulla da fare comequesti qui” abbaiò, indicando con la mano sana la calca di persone malaticce che colmavano il salone.
Se avesse avuto a disposizione qualche altro secondo per elaborare la frase, sicuramente il medico non avrebbe lasciato correre quell’enorme mancanza di rispetto, ma fu preceduto dalla donna con il fagotto di coperte tra le braccia, che strillò esasperata. 
“Per l’amor del cielo, cedo volentieri il mio turno a questo qui se me lo levate di torno! Non fa altro che sbraitare come un isterico da quando ha messo piede qua dentro!”
Kageyama le avrebbe volentieri risposto a tono se non avesse udito con le proprie orecchie l’infermiere rispondere con un sospiro “Va bene, va bene, non si preoccupi signora, farò il possibile” e non avesse afferrato il telefono, premendo numeri a lui sconosciuti.
 
Dopo aver discusso per vari minuti con diversi interlocutori, alla fine Suga riattaccò l’apparecchio, espirando rumorosamente ma lasciando intendere un’espressione vagamente vittoriosa.

“Sono riuscito a trovare Shimizu e Hinata, saranno qui a minuti. Non è certo un’intera squadra di medici, ma è il massimo che ho potuto rintracciare, Daichi. Senza contare ovviamente che sono entrambi molto qualificati!” esclamò con un sorriso e il suo intero volto parve emanare tranquillità.
Anche il viso del castano sembrò più sollevato.
“Meglio di niente. Shimizu ci sarà di grande aiuto, essendo un’infettivologa. Credo che riuscirà a scovare la causa dell’epidemia in men che non si dica…” stava riflettendo ad alta voce, quando si accorse che non solo il corvino si trovava ancora lì davanti a loro, ma sul volto aveva stampata un’espressione omicida. 
Non che lo spaventasse davvero, ci voleva ben altro per intimorire Sawamura Daichi… solo che, in quel frangente, non aveva né il tempo né la voglia di perdere la pazienza. 
Anche perché avrebbe certamente terrorizzato i bimbi lì presenti.
“Di lui, invece, si occuperà Hinata” sbottò quindi in modo conciso, degnando quel prepotente a malapena di un’occhiata.
Suga, tuttavia, parve perplesso.
“Non avresti più bisogno del suo aiuto qui? E’ pieno zeppo di bambini… e poi, non credo che si troverebbe molto bene con questo qui” sibilò sottovoce al medico che, però, sollevò una mano come per scacciar via quella possibilità.
“Hinata è in grado di cavarsela con tutti. Non sarà un problema, per lui, trattare con uno scorbutico” sentenziò Daichi uscendo rapidamente dal cubicolo dopo un cenno di saluto al collega, per poi sparire nuovamente dietro la porta a doppio battente.
“Sempre che questo tizio accetterà di farsi curare da Shoyo" rifletté l’infermiere, grattandosi il mento con le dita sottili, pensieroso.
 

 
Mentre Tobio si mordeva il labbro dall’impazienza, controllando e ricontrollando il suo orologio per scorgere l’ora e stringendo di tanto in tanto i denti quando si ricordava del dolore pulsante all’avambraccio destro, udì una vocetta squillante chiamare il suo nome.
Si voltò di scatto, trattenendosi dall’emettere qualche verso sconnesso per il sollievo…
E per poco non prese la drastica decisione di sistemarsele davvero in autonomia le ossa, scappando via da quella gabbia di matti.
A qualche metro da lui si ergeva in piedi un’esile figura, una folta zazzera color carota e un sorriso allegro sul volto dai lineamenti delicati.
Dovette sforzarsi per evitare che i propri occhi fuoriuscissero dalle orbite.
L’unico dettaglio che distingueva quel… quel ragazzino dall’essere scambiato per uno studente delle medie, o del primo anno delle superiori se proprio voleva essere generoso, era il camice bianco che indossava e che quasi strisciava sul pavimento lucido.
Il medico, poiché dedusse che doveva trattarsi di lui, dovette scambiare lo stato di trance in cui era piombato il corvino per qualche strano sintomo, considerando che gli si avvicinò subito con un movimento fulmineo, afferrandogli il polso e contandone i battiti con lo sguardo rivolto all’orologio colorato sul braccio.
Le iridi blu di Tobio si posarono su quella mano rosea che a malapena arrivava a circondargli il polso.
Dannazione, ma quanto era piccola? 
Confrontata con la propria, sarebbe stato come porre a paragone il palmo di un padre con quello del figlio.
“Sembra tutto regolare” trillò quella creatura dai capelli rossi, sollevando il capo e sorridendogli incoraggiante.
Tobio non riusciva proprio a comprendere se si trattasse di uno scherzo.
Spostando appena il capo, riuscì ad adocchiare una donna dal camice perfettamente stirato uscire dalla medesima porta da cui era sbucato fuori il medico dalle spalle larghe di poco prima. 
La scorse dirigersi verso i bambini dalla faccia coperta di pustole e parlare pacatamente con la madre dal viso provato mentre carezzava la testolina mora delle due creaturine esagitate con tocco esperto.
Ecco, quella sì che possedeva l’aria di un dottore, asserì mentalmente Tobio, assegnando punti bonus agli occhiali discreti poggiati sul piccolo naso e l’elegante coda di cavallo che le raccoglieva i capelli corvini.
Mentre si domandava se fosse stato possibile proporre un cambio, udì la voce squillante sotto di sé esclamare in tono stranamente serio “Mi scusi, ma lei non parla, per caso? Perché sa, non sono molto bravo con il linguaggio dei segni… dovrei chiamare un interprete”
“Ma mi prende in giro?!” sputò immediatamente fuori, pizzicato nell’orgoglio da quella dichiarazione totalmente inappropriata. 
Istantaneamente il nanerottolo rosso ebbe un guizzo e indietreggiò celermente di qualche passo.
“Chiedevo soltanto, signor… Kageyama, giusto?” domandò un po’ timoroso, riavvicinandosi appena di qualche centimetro.
“Viene con me? Così vedo che posso fare per quella che sembra una brutta frattura?” aggiunse poi con tono vivace. 
Il legale rimase interdetto per qualche secondo. 
Pareva che quel rosso strambo stesse chiacchierando con un amico e non con un paziente piuttosto isterico.
Non avendo altra alternativa, comunque, Tobio si ritrovò suo malgrado a seguirlo.
 


“Ahia!” si lamentò Kageyama mentre il medico gli esaminava il braccio tumefatto e dolorante.

Gli occhi nocciola dell’altro si posarono sul volto iracondo del corvino, inarcando le sopracciglia fini.
“Ma come, uno grande e grosso come lei si fa male per così poco? Ahh, se avessi io la sua statura! Potrei sopportare di tutto!” esclamò scherzoso, muovendo l’arto del paziente in alcune strane angolazioni.

Almeno ne era consapevole, pensò un po' malignamente Tobio, squadrando per l’ennesima volta quello strano piccolo uomo.
Insomma, lui era ben conscio della propria altezza un po’ sopra la media, ma quello lì rasentava proprio il suo opposto. 
Poteva esser alto un metro e sessantacinque… costringendo lui di conseguenza a squadrarlo dall’alto in basso.
Non che solitamente guardasse le persone in maniera differente. 

“Che ha combinato per procurarsi una frattura dell’ulna, probabilmente composta?” trillò a un tratto il pel di carota, riscuotendolo dai suoi pensieri.

Tobio lo fissò in tralice. 
Come diamine era riuscito a diagnosticare la frattura se ancora non aveva ottenuto l’esito della radiografia eseguita solo pochi minuti prima?
E poi, a che importavano a quel nanerottolo i fatti suoi?

“Non sono affari che la riguardano” grugnì ostile, cercando di scacciare prepotentemente via l’immagine di lui che volava letteralmente dalle scale del proprio appartamento, scivolato su un giocattolo che la fastidiosa bambina del piano di sopra aveva sbadatamente dimenticato sull’orlo del primo gradino, causando a Kageyama un volo dell’intera rampa di scale.
Non a caso quel giorno ogni bambino che incontrasse gli dava su i nervi ancor più del solito. 
“E comunque, come fa ad esser così sicuro della diagnosi?” rincarò la dose, scettico.
Shoyo parve non scuotersi minimamente da quell’atteggiamento ostile e, anzi, assunse un sorriso ammiccante.
“In questi anni ho visto così tante fratture che sono arrivato a riconoscerle con un solo tocco!” spiegò con una naturalezza disarmante che, per chissà quale bizzarra ragione chimica, provocò l'accelerarsi improvviso del battito cardiaco del giovane avvocato.
“Ma lei è sempre così sorridente?” borbottò, dopo aver trascorso qualche minuto a osservare l’espressione rilassata e pacifica che quel tipo aveva stampata in volto mentre gli articolava l’avambraccio. 

Fu proprio mentre studiava i suoi movimenti che notò la targhetta bianca posta sulla tasca destra del camice all’altezza del cuore, su cui svettava inciso a caratteri cubitali in un rosso sgargiante “Dr. Hinata”, avvolto da tanti puntini colorati.
Ma che razza di professionalità era la sua?!

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?” rispose il medico con la stessa spontaneità di poco prima, provocando nel corpo di Tobio nuovamente quella strana e inspiegabile sensazione.

Perché quel tizio pareva così maledettamente felice? 
Insomma, stava solo mettendo a posto il braccio di un paziente sconosciuto.
Quell'atteggiamento, a lui incomprensibile... sì, lo infastidiva. 

“In questo momento mi irrita ogni cosa che possa causarmi un ulteriore ritardo. Quindi si sbrighi” ribatté brusco, distogliendo lo sguardo da quegli occhi sgradevolmente luminosi.
Il viso del rosso, inaspettatamente, non si scompose a quella frase tagliente. 
Al contrario, divenne curioso e piantò le iridi nocciola in quelle dell'altro, il quale fu vivamente colpito che quel ragazzetto non si fosse offeso per i suoi modi risaputamente sgarbati.
“Non deve tardare per via del suo lavoro? Di cosa si occupa?” chiese genuinamente interessato mentre stringeva delicatamente il gesso intorno alla pelle morbida di Kageyama.
Tobio lo fissò attentamente per qualche altro secondo, prima di grugnire lapidario “Cause legali, sono un avvocato.”
“Wooow, già così giovane? Deve essere bravo” sciorinò il rosso con una semplice e immediata deduzione.
“Così dicono” commentò soltanto il corvino, distogliendo lo sguardo.

Era la verità. 
Kageyama Tobio era sia il più giovane avvocato del suo studio legale, sia il più promettente. 
Gli erano già state affidate numerose cause, la maggior parte delle quali brillantemente vinte. 
Solo in alcune determinate circostanze il loro esito pareva cambiar rotta vertiginosamente…

“Che modesto! Quindi ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?” domandò, un po’ ingenuamente a dire il vero, Shoyo, guardandolo entusiasticamente negli occhi.

Tobio dovette sopprimere una risatina ironica.
Desiderava sbrigarsi... per andare ad aiutare il tizio che gli era stato assegnato?

“M’interessa vincere la causa, signor Hinata” ribatté, sprezzante.
Il rosso assunse un’espressione strana, che Tobio non seppe decifrare.
Abbassò rapidamente lo sguardo, dedicando improvvisamente tutta la propria attenzione alla fasciatura.
“Quindi… lei considera il suo mestiere solo un modo per ottenere merito personale?” domandò sommessamente.
Kageyama storse la bocca. 
Ma di che diavolo ciarlava quell’idiota?
“Beh, è normale voler vincere” saettò, seppur, inaspettatamente, con minor sicurezza del consueto.

In fondo, aveva sempre funzionato così. 
Gli unici interessi di Kageyama consistevano nel mettere in mostra tutto il proprio potenziale, escogitando perfette strategie per far crollare la parte avversaria dando sfoggio di tutta l'arte appresa durante gli studi mista al suo personale talento, per poter schiacciare miseramente la controparte.
Che soddisfazione più bella doveva esservi, nella sua professione?

“Non dovrebbe essere il suo unico scopo” osservò Shoyo mentre trafficava con alcuni strani strumenti sanitari.

Tobio ripensò rapidamente alle cause vinte, all’appagamento immenso derivato dall'aver conseguito l'obiettivo, dall’aver battuto l’avversario… e alle volte in cui aveva penosamente fallito, sopraffatto sia da colui che si rivelava sempre il migliore in quel campo, sia dalla propria inadeguatezza.
Strinse i denti e il sangue tornò a circolargli con maggior impeto nelle vene al pensiero di come Oikawa Tooru, quello strabiliante avvocato nato dal nulla, che aveva sputato sangue per riuscire a costruirsi una strada all’interno della carriera forense… lo battesse sempre.
Ogni. 
Dannata. 
Volta.
In ogni maledetta occasione in cui ci fosse lui a occupare il ruolo della difesa o dell’attacco… Kageyama poteva sempre considerarsi vinto.
Doveva ancora migliorarsi, studiare di più, esercitarsi maggiormente per raggiungere il suo livello…
 
“Certo che no. Bisogna anche voler battere con tutto se stesso l’avversario” sibilò dunque al termine di quell'impetuosa riflessione.

Resosi conto che il medico non accennava a sollevare lo sguardo dal suo braccio ormai quasi interamente ingessato, aggiunse “Insomma, per voi non funziona allo stesso modo con le malattie? Non v'importa sconfiggerle e proseguire con la ricerca?” chiese, come se il paragone fosse abbastanza ovvio.
Il rosso sollevò finalmente i grandi occhi nocciola.
“Sì, quello è un aspetto importante…” mormorò piano, tanto che il corvino dovette quasi chinarsi verso di lui per udirlo chiaramente.
“Ma il nostro compito non è soltanto curare una malattia. Lì o si vince o si perde, senza possibilità di scampo. Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!” rispose con ardore e gli occhi gli brillarono di un’intensità tale da poter rimanere folgorati.
Tobio non riuscì tuttavia ad afferrare quel concetto astratto.
Notando lo sguardo confuso del giovane legale, Shoyo cercò di spiegarsi meglio.
“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”
Il corvino storse il naso, sbuffando.
“Nel lavoro non c’è bisogno di certi sentimentalismi” sputò acidamente.
“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?” esalò Shoyo con espressione atterrita.

Kageyama aggrottò la fronte, percependo uno strano peso sul petto palesarsi fastidiosamente. 
Perché diavolo quelle parole suonavano tanto cacofoniche da quello strambo con i capelli rossi? 
Non aveva mai assegnato rilevanza a inezie come quelle, prima d'allora.

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici” sentenziò.
“Quindi… non ricorda nemmeno uno dei loro volti?” quasi gemette il medico, la faccia contratta in una smorfia troppo deforme per poter adattarsi al suo visino delicato.
A Kageyama quella sì che parse una domanda assurda.
“Non ho mica una macchina fotografica al posto del cervello” borbottò, stranamente sulla difensiva.  
“Eppure ricorda tutti i codici giuridici a memoria, no?” ribatté Hinata con semplicità.
Okay, adesso Tobio ne aveva abbastanza.
“Senta dottore, il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
Poi però aggiunse, ridacchiando sarcasticamente e con un sorriso un po’ inquietante, “Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”
Shoyo rimase in silenzio, ma la sua espressione divenne improvvisamente di ghiaccio.
“No. Non di qualcuno. Li ricordo tutti” sibilò con inaspettata freddezza, allontanandosi dal lettino in cui era seduto il corvino e porgendogli un foglio con su scritte le indicazioni per il rilascio e i farmaci da assumere.

“Ho terminato. Adesso può tornare al suo lavoro. Spero che vinca la causa, signore” si congedò con distacco.

Ma prima di uscire dallo studio, scoccò a Kageyama un’occhiata di appena qualche istante.
Un’occhiata che, tuttavia, Tobio non seppe scrollarsi di dosso per molto, molto tempo. 
Quegli occhi nocciola… non freddi, non sdegnati come ci si poteva aspettare da una rivelazione del genere… 
Solo tanto, tanto tristi.
Alla fine, il corvino era davvero riuscito a offenderlo, quello scricciolo di medico. 
Non nel modo in cui ci si sarebbe aspetto, però.
Hinata Shoyo non era scappato a gambe levate appena resosi conto del caratteraccio innato di Kageyama Tobio. 
Non si era incupito per qualche battuta tagliente e priva d’ogni senso del tatto.
No, sembrava ferito nel profondo, a livello persino personale… per quel suo attribuir poca rilevanza alle persone?
Mah, che persona stramba.

Comunque, per le ore a seguire, a Tobio sarebbe soltanto importato d'aver finalmente il braccio ingessato.
 
Aveva fretta di scontrarsi con il suo acerrimo rivale.
Aveva una causa da vincere.
 
 






 
Note finali: si vede che non ne capisco nulla di medicina? Si vede così tanto? (Credo che mi ispirerò non poco a Dr. House...) 
Non credo proprio che in Giappone il pronto soccorso funzioni come da noi (per noi io intendo la mia città, i cui ospedali sono tipo una bolgia infernale). 
Ho quindi mischiato un po’ di roba e continuerò sicuramente a combinare pasticci, dunque perdonatemi i probabilissimi errori che compirò. 
Okay, detto questo… emh, non credo nemmeno io di aver incominciato una storia a più capitoli. Non è assolutamente nel mio stile… però mi son detta che, prima o poi, tutto si deve provare, no? (No, forse no in effetti).
Alcune delle frasi pronunciate da Hinata sono tratte dal film "Patch Adams", dunque non sono (sfortunatamente) farina del mio sacco. 
Ci terrei tantissimo a ricevere il vostro parere su questo primo capitolo un po' sperimentale, va benissimo qualsiasi tipo di feedback! 
Bacini.

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Capitolo 2
*** II. Opposte considerazioni ***



II

Opposte considerazioni




 

“Non posso credere che abbia di nuovo vinto lui!”
 
Il sibilo di Tobio era tanto sommesso da esser appena udibile, sebbene la carica di rabbia fosse tale da poter tranquillamente causare l'esplosione un intero edificio.
Le dita sottili della mano sinistra erano artigliate tra i capelli lisci e parevano volerseli strappare uno ad uno, mentre la fronte picchiava malamente contro il tavolino di legno scuro su cui erano appoggiati un bicchiere dalle tinte pastello colmo di yogurt bianco, ancora intoccato, e una tazza di ceramica fumante, attorno alla quale erano posti con grazia dieci pallidi polpastrelli.
“Sono un buono a nulla, un incapace… dovrò imparare da capo tutti gli articoli del codice civile e ripeterli a memoria senza commettere un singolo errore…” grugnì con la bocca a un centimetro dalla superficie.
“Servirà davvero a qualcosa autoimporti punizioni del genere?” domandò con un piccolo sospiro esasperato, ma pur sempre composto, il ragazzo seduto proprio davanti a Kageyama, schiena dritta come un chiodo e gambe elegantemente accavallate.
“Altrimenti non riuscirò mai a migliorare” biascicò il corvino con tono abbattuto, alzando appena il capo sul volto mite dell’altro.
“Non è autodistruggendoti che riuscirai a battere Oikawa-san” rispose quest’ultimo, prendendo una lunga sorsata rigenerante del suo tè alle erbe.
“Proprio spingendosi sempre più al limite Oikawa-san è riuscito a diventare ciò che è adesso!” protestò subito Kageyama quasi fosse un bambino cui stessero negando una verità assoluta, alzando di scatto la testa e mettendo in bella mostra il solito cipiglio irritato.
“Siete semplicemente… diversi. Non dovresti invidiarne le abilità. Tu possiedi altre doti, a differenza sua” ribatté il giovane senza batter ciglio.
“Non lo invidio affatto” borbottò Tobio, chinando un po’ la testa per tentare di celare il rossore che si accingeva a nascergli sulle guance.

Non valeva certamente la pena ammettere apertamente che il motivo per cui non sopportasse quel maledetto damerino non riguardasse soltanto l'imperterrita volontà di batterlo ogni singola volta... ma la profonda ammirazione che pareva covare nei suoi confronti da ormai anni.
A questo, d'altronde, si aggiungeva che Oikawa Tooru paresse assolutamente perfetto.
Dannatamente bello, intelligente, perspicace, manipolatore nato, venerato e al contempo temuto.

“E comunque, Akaashi-san, anche tu dedichi la maggior parte del tempo allo studio” precisò Kageyama con ostinazione, sviando il precedente spinoso discorso.
Il corvino dai freddi occhi sottili emise un piccolo sbuffo.
“Io devo necessariamente studiare per poter anche solo sperare di accedere alla magistratura… anzi, mi sembra già di perdere fin troppo tempo” borbottò, massaggiandosi pigramente gli occhi contornati da leggere, ma evidenti, occhiaie violacee.
“Però, Kageyama, io ammetto i miei limiti. Sono conscio che… ci siano alcune cose che vadano semplicemente oltre le mie capacità” concluse con una scrollatina di spalle, sorseggiando la bevanda calda e accennando un sorriso.
Tobio rimase per qualche attimo a guardare il volto serio dai lineamenti definiti del ragazzo, non potendo non invidiare la sua straordinaria ragionevolezza e razionalità.
 
I suoi senpai di Legge erano proprio dotati… o era lui ad esser ancora immaturo?
 
Il flusso confuso dei pensieri di Tobio fu interrotto dall’arrivo di un’imponente figura, la cui camicia bianca, contornata dal cravattino nero tipico delle uniformi da cameriere, non faceva altro che valorizzarne i bicipiti e le spalle possenti. 
Nonostante la stazza, tuttavia, i grandi occhi ambrati erano limpidi e sinceri, privi d'ogni traccia di cattiveria.
“Gradite qualcos’altro, signori?” domandò in tono esageratamente formale.
Gli occhi di Akaashi guizzarono verso il nuovo arrivato e le sopracciglia si arcuarono interrogativamente.
Aveva colto la stranezza di quell’inflessione vocale, tuttavia riuscì subito a comprendere il motivo di tanto formalismo non appena adocchiò il direttore della pasticceria gironzolare fra i tavolini per una rapida ricognizione.
Non appena si fu allontanato, il ragazzo dai capelli neri e le eccentriche punte argentee sparate in aria espirò tanto forte da far pensare che avesse trattenuto il respiro fino ad allora.
“Che fatica lavorare quando c’è il capo in giro! Comunque, ti porto qualcos’altro di buono, eh Akaashi? I biscottini al miele che ti piacciono tanto? Li hanno appena sfornati, sai?” pronunciò allegramente tutto d’un fiato, guardando con occhioni luminosi il corvino dall’espressione indecifrabile… che, inaspettatamente, si lasciò sfuggire un piccolo risolino al prorompente entusiasmo del ragazzo.
“Se sono ancora caldi, beh, ne accetterei di buon grado un paio, grazie Bokuto-san” rispose pacatamente, sebbene anche i suoi occhi si accesero di una scintilla vitale al vigoroso cenno d’assenso del ragazzone e al suo sorriso a trentadue denti.
“Per te… beh, non hai ancora toccato nulla” osservò Bokuto, occhieggiando lo yogurt ormai mezzo sciolto del secondo cliente seduto al tavolo.
“Non credo che Kageyama desideri altro al momento… se non battere disperatamente Oikawa-san” osservò sardonico Keiji e il corvino sbuffò sonoramente.
Ormai quella era divenuta una barzelletta nel mondo dell’avvocatura.
“Il tipo super bravo? Quello che era nel corso un anno avanti a te, eh Akaashi?” chiese concitato Koutaro, curioso.
Al suo cenno d’assenso, il cameriere, portandosi la grande e robusta mano sul mento, iniziò, stranamente, a riflettere.
“Sai che lo nomina piuttosto spesso anche Iwaizumi, il tipo iper atletico che si allena la sera in palestra da me? Credo che siano piuttosto amici! Una volta l’ho visto perfino venirlo a prendere all’ingresso, sai? Io stavo chiudendo la sala attrezzi e Iwaizumi era uscito dallo spogliatoio dopo la doccia… e Oikawa era lì, appoggiato allo stipite della porta ad aspettarlo!” spiegò con entusiasmo.
“Piuttosto amici, eh… sai essere davvero ingenuo, Bokuto” sospirò Keiji, scuotendo piano la testa.
Eppure, in fondo, lo amava proprio per la sua limpidezza d’animo.
Alla faccia confusa di Koutaro, comunque, si sommò quella perplessa di Kageyama.
“Lo attendeva fuori dalla palestra? Perché mai Oikawa-san farebbe una cosa del genere?” borbottò incredulo con la fronte estremamente corrugata, come se fosse impegnato a sbrogliare il filo di una matassa piuttosto intricata.

Sul viso di Akaashi nacque un sorrisetto ambiguo e i suoi occhi color cobalto si assottigliarono ancor più del solito.
Non sapeva, onestamente, per chi dei due ragazzi dovesse provare più rassegnazione.

“Sai, Kageyama… forse ciò che realmente ti occorre, è un po’ di studio sul campo” proferì enigmatico mentre terminava il suo tè e Bokuto si affrettava a riempirgli nuovamente la tazza, volatizzandosi poi in cucina per portargli i biscotti.
Al grugnito incomprensibile di Tobio, Keiji sorrise ancora una volta.

Poco dopo, cambiando discorso, gli chiese “Come va il braccio? Sei tornato in ospedale per una seconda visita?”

Lo sguardo del corvino palesò il suo piombare inevitabilmente dalle nuvole.
Akaashi sospirò sconsolato.
A volte si chiedeva se il suo destino fosse prendersi per sempre cura di bambini fisicamente troppo cresciuti.
“Faresti meglio ad andare se non vuoi che la situazione peggiori” lo ammonì, ringraziando con un piccolo sorriso il fidanzato per avergli poggiato il piattino di biscotti sul tavolo, per poi riprendere a guardare l’altro con una sfumatura di rimprovero.
“Quell’ospedale è pieno di gente strana…” cercò di restare sul vago il corvino, abbassando lo sguardo e azzardandosi ad assaggiare il suo yogurt, che di cremoso manteneva ormai solo il vago ricordo.  
All’occhiata interrogativa di Keiji, Tobio decise di ribattere, seppur un po’ titubante.
“Sai se è necessario che mi visiti lo stesso medico che ha eseguito la prima medicazione?”
“Sarebbe consigliato farsi seguire da qualcuno che sia a conoscenza della tua storia clinica, quindi sì. Perché me lo chiedi? Non ti trovi bene con il dottore che ti ha ingessato il braccio? Mi sembra che abbia eseguito un buon lavoro” osservò l’aspirante magistrato, scorgendo la fasciatura perfettamente avvolta.
“È un tipo strambo, ecco” sbottò Tobio, evitando lo sguardo indagatore di Akaashi.
“In che senso?”
Kageyama provò ad assegnare una parvenza d’ordine a tutte le strane sensazioni che gli ingarbugliavano il cervello da quando aveva fatto la conoscenza di quel piccolo, particolare pel di carota.
“Non so come spiegarlo, ma è come se… mi mettesse a disagio. Ha uno sguardo…”

La risata un po’ troppo rumorosa di Bokuto proveniente dal bancone del locale attirò improvvisamente la sua attenzione.
Fissò gli occhi sul ragazzo dalla stazza imponente mentre si teneva la pancia per una battuta del collega incredibilmente alto e dall’insolita crestina mora.
Non seppe spiegarsi inizialmente il motivo, eppure gli occhi dorati di Koutaro, sempre così arzilli e vispi, gli ricordarono...

“Ha uno sguardo cristallino” sussurrò infine Tobio, non staccando lo sguardo dal viso vivace del cameriere.

Akaashi non seppe inizialmente cosa rispondere, ma poi voltò anch’egli il capo verso il giovane dai capelli bicolore… e un sorriso nacque sul suo volto.
Forse, Kageyama stava iniziando a compiere qualche progresso.

 
 
***


 
“C’è qualcosa che non va, Hinata-kun?”
 
Una voce delicata e un po’ apprensiva giunse ai timpani di Shoyo similmente a una scossa elettrica, provocandogli un sussulto che fece allentare la presa sul sandwich stretto tra le dita, che ricadde sul piatto vuoto con un piccolo tonfo.
I grandi occhi nocciola del medico si posarono sul viso della graziosa infermiera dai lisci capelli biondi, leggermente china sopra al tavolo della mensa davanti a lui.
Provò a sorridere come suo solito, agitando nervosamente le mani, adesso vuote, in avanti.

“Va tutto benissimo, Yacchan!”
La ragazza aggrottò le sopracciglia sottili e fissò con attenzione il volto dell’amico, storcendo lievemente la bocca.
“Ne sei sicuro? Mi sembri un po’ giù di tono ultimamente… l’hanno notato anche i tuoi pazienti” osservò cauta come sempre, sedendosi proprio a fianco del giovane dai folti capelli rossi, la cui espressione mutò repentinamente.
“L’hanno notato davvero?” si affrettò difatti a trillare in modo fin troppo acuto, tradendosi.
Hitoka sospirò.
Shoyo non era proprio capace di mentire.
“Un po’ sì. Mi hanno chiesto con preoccupazione cosa ti fosse capitato, per esser tanto distratto…”
Hinata abbozzò un sorriso, chinando piano la testa.
“Si accorgono proprio di tutto, eh…”
“Hanno occhi solo per te perché ti adorano!” sottolineò allegramente la ragazza.
Ci fu qualche attimo di silenzio in cui Shoyo parve esser profondamente impegnato a fissare la superficie chiara del tavolo.
“E’ solo che… aaargh non mi dà pace, Yacchan!” esclamò improvvisamente tutto d’un fiato, infilandosi le mani sottili fra le frange color carota e scuotendo la testa in maniera drammatica.
Hitoka assunse un’espressione confusa, affatto nuova durante le sue conversazioni con Shoyo.
Il piccolo medico era solito seguire un filo tutto proprio dei pensieri, utilizzando termini privi di senso per descrivere una determinata situazione o sensazione provata che lasciavano spesso i suoi interlocutori interdetti.
“Di chi stai parlando, Hinata-kun?”
Il ragazzo smise di gesticolare e fissò come pietrificato la collega davanti a sé, che lo guardò spaventata da quella reazione inconsueta.
“Di lui, naturalmente! Di quel gigante antipatico che odia le persone!” sbottò poi a un tratto, facendo sussultare l’infermiera.
“Pensi ancora all’uomo cui hai ingessato il braccio?” chiese, un po’ titubante.
“Non riesco a togliermelo dalla testa! E’ come se fosse una presenza fastidiosa che mi martella nel cervello, capisci?” si lamentò, sbattendo la testa sul tavolo in maniera tanto rumorosa che molti seduti ai tavoli vicino a lui si voltarono per osservarlo straniti.
Però, in fondo, il dottor Hinata era rinomato in ospedale per gli atteggiamenti quantomeno bizzarri e oramai nessuno si stupiva più di tanto per le sue azioni inconsuete.
“Vorrei davvero dirgliene quattro…” borbottò, con la bocca a pochi millimetri dal legno economico della mensa ospedaliera.
“E’ raro vederti arrabbiato con qualcuno” osservò affettuosamente Yachi da sopra la sua testa rossa.
“Sono più che arrabbiato, sono… furioso!” esclamò Shoyo con fervore, dopo aver pensato per qualche istante alla parola più azzeccata per descrivere il proprio stato d’animo.
“Ha davvero screditato così tanto il nostro lavoro?”
“Ci guardava tutti dall’alto in basso, eccome! Però… non è stato solo quello” spiegò, abbassando improvvisamente il tono di voce.
“Non mi era mai capitato d’incontrare una persona come lui. Così… insensibile, quasi senza sentimenti. Sembrava davvero senza cuore!” aggiunse ritrovando la tipica verve, battendo il pugno sulla mano come se fosse giunto a una conclusione drastica.
“Come se non gli importasse di nessuno… se non di se stesso” mormorò poi, fissando un punto imprecisato dinanzi a sé.
“Mmm… non è che, per caso, questo ragazzo non ha mai avuto amici?”
La voce delicata di Hitoka riscosse Hinata dalla sua trance.
“Sicuramente, se li tratta come ha fatto con me l’altro giorno” osservò stizzito il rosso, incrociando le braccia al petto e serrando gli occhi con nonchalance.
“Quello che voglio dire, è che forse non ha nessuno che tiene davvero a lui. Per questo si comporta come se esistesse solo la sua persona” continuò e Shoyo dischiuse fugacemente una palpebra.
“Sai, quando all’università seguivo le lezioni di psicologia, veniva spesso ripetuto che il comportamento delle persone è quasi sempre una diretta conseguenza di come vengono trattate. Non avere amici e non aver nessuno che ti apprezza, porta a chiudersi molto in se stessi… in questo modo si è condotti a credere che nessuno sia degno di considerazione” spiegò la ragazza, su cui adesso erano fissi i grandi e attenti occhi di Hinata.
“E’ come se non capisse l’importanza delle persone” sussurrò d'istinto.
“Forse nessuno gliel’ha mai dimostrata” suggerì Hitoka con un sorriso.
Shoyo annuì distrattamente, perso in quella nuova nuvola di riflessioni.

Era vero che nessuno mai gli aveva provocato tanta frustrazione prima d’ora…
Eppure, inaspettatamente, quel corvino dagli occhi blu lo aveva colpito, in qualche modo.
C’era una strana sicurezza che emanava, una capacità di controllo che lui non aveva mai posseduto del tutto e che, ancora dopo anni di studi ed esperienze, faticava a mantenere.

“Invece che dirgliene quattro, perché non provi a essere cordiale come sempre quando lo rivedrai?”
Il consiglio di Yachi, pronunciato con un sorriso, riscosse Shoyo dai suoi pensieri.
Mugolò qualcosa di vagamente incomprensibile aggrottando lievemente la fronte.

Gli costava non poco ammetterlo, ma più che essere arrabbiato… era incuriosito da quel tipo.
Probabilmente l’aveva presa sul personale, ma sapere che quel Kageyama non provasse la benché minima emozione nei confronti di chi gli stesse attorno… gli causava un moto di tristezza difficile da ignorare.
Forse… Hitoka aveva ragione.
Alzò la testa e, con lo sguardo pregno di determinazione, annuì con fermezza.
 
“Shoyo! Meno male che ti ho trovato! Il piccolo Akio non fa che chiedere di te, non permette a nessun altro di avvicinarsi durante la terapia!”

La voce perforante di Nishinoya, schizzato all'interno della mensa con un salto degno di un canguro, si riversò nei timpani dei due amici al pari di un ultrasuono.
“Noya-san, quante volte ti ho ripetuto di non urlare in questo modo?” lo riprese Yachi, guardando l’infermiere con una sfumatura di rimprovero.
“Scusami Yacchan, ma si tratta di un’emergenza!” si giustificò concitato il ragazzo, guardando poi Hinata con una certa apprensione.
“Arrivo subito!” trillò Shoyo, alzandosi immediatamente e salutando Hitoka con la mano.
 
Mentre seguiva l’infermiere e si dirigeva con una rinnovata espressione sorridente verso il terzo piano dell’ospedale, dalla matassa di pensieri che il suo cervello stava riordinando ve ne sfuggì uno per un singolo istante.

Rivedere quel Kageyama, sarebbe stato… interessante.
 
 





 
 
Note finali: non mi sembra vero di aver ripreso in mano questa fic, archiviata da ormai mesi.
Bene, che dire?
E’ una storia che, io per prima, sto cercando lentamente di costruire.
Diciamo che il mio intento iniziale è lievemente cambiato e probabilmente continuerà a evolversi per tutta la durata della fic.
L’unica cosa che mi sento per adesso di precisare è che le professioni di entrambi non sono casuali, ma giocheranno un ruolo molto importante nel corso della narrazione, specialmente quella di Hinata.
Non so che altro aggiungere, se non ringraziare tutte le persone che abbiano inserito questa storia fra le seguite e le preferite e che, diciamo, sono state sempre un po’ un monito per riprenderla in mano.
Ci terrei molto a ricevere la vostra opinione in merito e a segnalarmi possibili errori/orrori.
Al prossimo, si spera non in tempi biblici, aggiornamento.
Bacini. 

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Capitolo 3
*** III. La vista dal trono ***




 
III

La vista dal trono





 
“Considerando i bilanci delle ultime settimane...”
“La causa Otomashi è ancora in bilico, il processo avrebbe dovuto tenersi il 24 ottobre, eppure…”
“Ecco il suo caffè, Kunimi-san, poco zuccherato e senza latte!”
“I fascicoli Sasaki, qualcuno li ha visti? Li avevo appoggiati proprio qui accanto…”
“Andresti a comprarmi le sigarette al tabacchino all’angolo, Fujita-kun?”
“L’appuntamento con i clienti Goto è alle 10.30, si può sapere dove sono finiti i fascicoli del loro caso…”
 
La testa di Kageyama Tobio sarebbe esplosa a breve.
Le voci concitate e stridule degli avvocati e rispettive segretarie dello studio legale Kitagawa Daiichi, ventiduesimo piano grattacielo F del quartiere metropolitano di Tokyo, si sommavano e amplificavano a vicenda, generando un’onda sonora talmente acuta da martellare le orecchie del legale corvino fino a penetrargli nei meandri più profondi del cervello.
 
“Certamente, Oritsume-san! Gradisce le solite Marlboro rosse oppure preferisce…?”

“Maledizione, volete chiudere tutti quelle inutili bocche per cinque minuti?!”
 
Come se fosse stata scossa da un improvviso tuono, l’intera sala piombò nel silenzio più assoluto. 
Dodici paia d’occhi si fissarono sulla figura impettita di Kageyama, emettendo le più varie sfumature di fastidio.
“Se non fosse abbastanza ovvio, Kageyama, questo è un meeting mattutino, ergo discutere è uno dei suoi scopi primari” ribatté sardonico Kunimi, seduto alla destra del corvino con in mano il bicchiere di caffè ancora fumante.
Se fosse stato possibile, le orecchie di Tobio avrebbero iniziato a emettere fumo esattamente come la bevanda di Akira.
“Dibattere di qualcosa di sensato magari, e non del pacchetto di sigarette che è meglio acquistare per Oritsume!” abbaiò con sguardo carico d’ostilità al suddetto avvocato e alla sua segretaria, che abbassò subito il capo, rossa d’imbarazzo.
“Ooh, e da quando con te sarebbe possibile discutere?” s’intromise Kindaichi, gettandogli un’occhiata velenosa dall’altro capo del lungo tavolo.
“Il Re del Kitagawa Daiichi non ha tutto sotto controllo? Non riesce sempre in ogni intento da solo?” aggiunse con vivo disprezzo.
Risatine sardoniche si levarono attorno a lui.
Tobio deglutì e assottigliò gli occhi, irritato.
“Non sono minimamente interessato a parlare con gente priva di qualsivoglia capacità o, peggio, utilità” sibilò, tagliente come una lama.
Se prima il silenzio era stato riempito da risolini sbeffeggianti, in quel momento il gelo cadde tutt’attorno Kageyama, isolandolo dagli altri legali esattamente come se risiedesse in una dimensione totalmente differente.
Le gote di Yuutarou si arrossarono vigorosamente mentre al suo fianco, Hashimaki, il più anziano fra loro, ruggì un “Come ti permetti, moccioso” che risuonò per l’intera sala riunioni dalle pareti in vetro.
Nonostante il totale disinteresse verso i commenti dei suoi coetanei, l’ammonimento di una persona con più anni del corvino sortì l’effetto sperato.
Serrò le labbra in una linea dura e abbassò appena i grandi occhi blu.
“Ah, davanti ai senpai cali la testa, faccia di bronzo?” sputò tuttavia Oritsume, implacabile.
“E’ un rispetto fittizio. Tutti coloro che, secondo il suo giudizio, sono degli idioti, non hanno alcuna distinzione d’età” sottolineò con tono incolore Kunimi.
“E, sempre secondo il suo modesto parere, tutti noi qui dentro siamo degli idioti. Non è forse così, Re?” aggiunse con una sfumatura più maligna del solito.
Il silenzio carico di scintile che precedette il suo verdetto poteva essere tagliato in due con un coltello.
L’espressione di Kageyama si tramutò in una maschera di ghiaccio.
“Non è colpa mia se le vostre abilità siano al di sotto di quelle socialmente accettabili per poter essere anche solo dei buoni avvocati” sciorinò senza alcuna inflessione di voce.
“Ma chi ti credi di essere, piccolo bastardo!” strillò Kindaichi, ergendosi dalla sedia di scatto e facendo scivolare il fascicolo di carte che reggeva ancora tra le dita.
“Yuutarou, calmati” sibilò Kunimi, il quale lo tenne saldamente per un braccio per evitare eventuali disastri.
“No che non mi calmo! So bene che Kageyama non può essere mandato via per tutte le cause che vince, ma lavorare con lui è diventato insostenibile!” sbraitò.
Con uno strattone si divincolò da Akira e si posizionò proprio di fronte alla sedia di Tobio, che non voltò nemmeno il capo per sostenere il suo sguardo furente.
“Non ti sopporto, non ti tollero dai tempi dell’Università! Sempre il solito perfettino, tutto memoria e giochetti di strategia. Ti odiavano tutti, tutti, me compreso! Però almeno noi avevamo una ragione valida! L’unico, singolo torto che abbiamo mai arrecato a te, è stato semplicemente quello di esistere!” tuonò, ergendosi in tutti i suoi 190 centimetri.
Attorno a loro i restanti legali non aprirono bocca, guardando alternativamente prima Yuutarou e poi Tobio.
Dopo qualche attimo di tesissimo silenzio, con Kindaichi che ansimava per la foga di quelle rivelazioni, alla fine Kageyama alzò lentamente la testa.
“Posso semplicemente affermare che concordo con il tuo punto di vista” fu la secca e arida risposta del corvino, che si alzò dritto come un fusto, raccattò con la mano sana le sue cartelle dal tavolo e uscì dalla stanza, come se nulla lo avesse minimamente scomposto.
Yuutarou, così come la maggior parte dei presenti, rimase con gli occhi fuori dalle orbite.
“Ma che razza di problemi ha quello lì” sbottò Hashimaki, massaggiandosi le tempie per tutto quel frastuono.
“Ed è vistosamente peggiorato da quando Oikawa-san ha ricevuto l’offerta dello studio Seijo e ci ha lasciati un anno fa” rincarò la dose Tashiro.
Kunimi non si pronunció.
Continuò soltanto a guardare il corvino uscire dalla porta a vetri della sala, sbottare qualcosa alla sua segreteria che sussultò annuendo freneticamente e che, come un automa, lo seguì in direzione del suo ufficio.
Non seppe esattamente il motivo per cui decise di seguirlo.
 
“Continua con quest’atteggiamento, Kageyama”
Tobio, sorpreso dal tono duro che era certo provenisse dalla bocca di Kunimi, si fermò di scatto nel mezzo del corridoio deserto.
La sua segreteria mormorò a testa bassa qualcosa d’incomprensibile e si affettò a dileguarsi, la coda di capelli scuri che ondeggiava via nervosamente.
“Continua così, allontanando qualunque persona provi anche solo ad accostarsi al tuo campo visivo”
Si avvicinò lentamente, finché le sue parole non colpirono proprio il retro del padiglione auricolare dell'altro.
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente. Solo” sillabò, tanto sommessamente che nessuno al di fuori di loro due avrebbe mai potuto udire quella conversazione.
Tobio non ribatté.
Ricominciò semplicemente a muovere le lunghe gambe dinanzi a lui come se, anche quell'ennesina volta, nulla l’avesse minimamente scalfito.
“Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?” sussurrò Akira, più rivolto a se stesso che al dorso oramai distante di Kageyama, sostando un altro istante nel corridoio per poi ritornare in sala riunioni, dove il dibattito era ancora molto acceso.
 
Ormai al sicuro seduto dietro alla grande e imponente scrivana in legno di noce del proprio ufficio, davanti a pile e pile di scartoffie da analizzare, con la sua segretaria spedita in archivio a recuperare chissà quali documenti di chissà quale caso, il cuore di Tobio batteva più velocemente del normale.
Le parole di Kunimi, che sarebbero dovute scivolargli addosso come obbedienti goccioline d'acqua…
Erano penetrate silenziosamente e a passo felpato in fondo alla sua coscienza.
 
 
                                                                                     
 
Una convocazione dal giudice, due tramezzini e quattro appuntamenti più tardi, Kageyama sbucó dalle grandi porte a scorrere del grattacielo con un gran mal di testa.
Alzò distrattamente il capo verso il cielo cupo.
Le stelle si scorgevano a malapena con tutte le luci artificiali prodotte dalla capitale e l’aria era fin troppo pregna di smog.
Strinse tra le dita della mano sinistra la sua ventiquattrore e s’incamminò velocemente alla ricerca di un taxi.
Il gesso all’avambraccio destro gli rendeva difficoltoso prendere il treno senza che qualcuno gli sbattesse contro e lo facesse imprecare per le successive ore.
Dopo averne fermato uno, si sedette e aprí bocca solo per fornire le basilari indicazioni da seguire al tassista, che da parte sua cercò di coinvolgerlo in qualche facile conversazione, ma ottenendo a stento qualche piatta risposta monosillaba, decise di lasciar perdere scuotendo la testa.
Non che Tobio volesse essere sgarbato.
Semplicemente, non amava perdersi in futili chiacchiere e convenevoli.
 
Pagò e scese dall’autovettura.
Le luci colorate della pasticceria “Murakami” e i suoi grandi vetri illuminati gli provocarono un piccolo sorriso.
Quel luogo era insolitamente capace di rilassarlo, senza contare poi che i dolci fossero davvero squisiti.
Abbassò la maniglia dell’ingresso e il piccolo campanellino dorato posto sopra alla porta avvisò il personale dell’arrivo di un cliente.
“Benvenut… oh, ma sei tu Kageyama! Prego, accomodati!” esclamò Bokuto allegramente da dietro lo spazioso bancone, accogliendolo con un sorriso a trentadue denti.
Tobio sbattè le palpebre più volte e si sforzò di non agitarsi di fronte a tutto quel calore che Koutaro era capace di emanare in una singola frazione di secondo.
“Stasera vado di fretta, Bokuto-san. Uno yogurt doppio da portare via, per favore” borbottò sommessamente.
Gli occhi ambrati di Bokuto brillarono.
“Vai proprio matto per lo yogurt, eh? Beh, ti do ragione, quello che prepara Kuroo è stranamente buonissimo” asserì con convinzione.
“Stranamente?”
Un uomo molto alto, slanciato e dai lineamenti accattivanti si materializzò accanto a Koutaro, provocando a Kageyama un mezzo infarto.
Non credeva che si sarebbe mai abituato a quel beffardo ghigno felino.
“Cosa vuoi insinuare, testa di gufo?” lo provocò bonariamente con espressione fintamente minacciosa.
“Nulla, cara la mia massaia. Staresti benissimo con il grembiulino rosa a cuoricini, sai?” ribatté Bokuto, assottigliando gli occhi dorati e gongolando.
Il ghigno di Tetsuro si acuì.
“Vuoi la guerra, Bo-”
“Emh emh”
Il richiamo non troppo velato del direttore, la cui testa fece capolino dal retro della bottega, fece scattare sul posto entrambi i ragazzi.
“Vado a prendere le ordinazioni” ci tenne a sottolineare con voce tonante Tetsuro, recuperando il piccolo tablet e fiondandosi tra i graziosi tavolini del locale, mentre Bokuto si premurò di acchiappare il bicchiere dello yogurt e iniziare a riempirlo con precisione.
“Stasera hai il turno serale, Bokuto-san”
Quella di Kageyama non era una domanda, bensì una semplice constatazione, finalizzata nemmeno lui sapeva a cosa.
Anzi, la sua affermazione non possedeva affatto uno scopo.
Allora, perché mai rivolgergliela?
 
Koutaro comunque, da sempre un gran chiacchierone, sorrise allegramente.
“Ho avuto il turno in palestra questa mattina, quindi adesso sono qui fino alla chiusura. Domani invece attacco alle 8, dovrò sorbirmi tutti i liceali che verranno per comprare le loro colazioni” sciorinò melodrammatico, e Kageyama annuì.
“Continuerai con questo doppio lavoro finché non ti assumeranno anche in un’altra palestra?” chiese ancora senza riflettere, ricordando vagamente una conversazione passata in cui Akaashi-san gli spiegava brevemente l’impiego del proprio fidanzato.
Un istante più tardi le sue sinapsi incominciarono a mandargli impulsi discordanti.
Perché diavolo stava facendo a Bokuto-san tutte quelle domande?
Che gliene importava a lui della sua occupazione?
Prima che potesse trovare un'adeguata risposta, Koutaro ricominciò a parlare con verve.
“Sai, lavorare in palestra è sempre stato il mio sogno e quando mi hanno assunto come Personal Trainer alla One Fit non potevo davvero crederci! Però mi servono un bel po’ di soldi al momento, mantenere casa non è semplice e la mia famiglia non è proprio benestante… lavorare qui è figo, mi piace. Sarebbe meglio cercare un secondo lavoro in una palestra, lo so, ma qui è vicino l’appartamento e, beh, ho anche le torte scontate!” esclamò con le iridi che gli brillavano mentre terminava la preparazione del dolce.
Tobio, suo malgrado, sorrise.
Era stato inevitabilmente trascinato dal calore di quel ragazzone, i cui bicipiti enormi quasi scoppiavano dalla camicia bianca da cameriere, ma dagli occhi limpidi come quelli di un cucciolo.
“Ecco qui il tuo yogurt doppio e, scusami, ho parlato troppo” si corresse mestamente quasi si trattasse un’abitudine, eppure Tobio, inaspettatamente, scosse vigorosamente la testa.
“Non scusarti, Bokuto-san. Anzi, vorrei domandarti… ecco, il ragazzo che avete nominato tu e Akaashi-san la settimana scorsa, Iwaizu-”
“Bo, ecco le ordinazioni per il tavolo 5” troncò tuttavia le sue parole Kuroo, piazzandosi davanti al ragazzone con un vassoio carico di torte e gelati.
“Arrivanooo. Scusami Kageyama, devo tornare a lavoro! Se aspetti un attimo posso…”
“Nono, scusami tu, Bokuto-san. Buona… buona serata” si congedò velocemente e, dopo aver pagato, uscì dalla pasticceria con una strana sensazione in prossimità del petto.
 
Che diamine aveva combinato?
Cosa significavano quei tentativi di conversazione?
E quell’inappropriata curiosità nei confronti di Iwaizumi-san, poi.
Bokuto-san gli era simpatico, nella misura in cui qualcuno poteva essere simpatico a uno come Kageyama, ma non si era mai interessato alla sua vita prima d’ora.
Eppure, quegli occhi limpidi, quel sorriso sincero… gli avevano suscitato il desiderio irrefrenabile di parlare con qualcuno.
Scosse vigorosamente la testa, mettendosi in cammino verso il suo appartamento, non molto distante dal colorato locale.
Aveva sempre disdegnato i convenevoli e le discussioni voluttuarie.
Se non vi era un reale significato, uno scopo dietro alle parole scambiate…
La conversazione poteva anche non avvenire.
 
Continuò a camminare, guardandosi distrattamente attorno.
Occhieggiò uomini discutere al telefono, amici scherzare con altri amici, madri consolare figli, fidanzati sussurrare alle fidanzate.
Parevano non far tutti altro che blaterare.
Sempre, senza interruzione.
Il bisogno, più che la voglia effettiva, di interagire sempre e in qualsiasi momento della giornata… Tobio non lo comprendeva.
Forse, perché lui non era mai stato un grande comunicatore.
Fin dalla più tenera età.
Ricordava bene come sua madre fosse sempre in pensiero quando lo accompagnava all’asilo.
Le maestre le avevano riferito un po’ preoccupate che quel piccolo bimbo dai lisci capelli corvini e dai grandi occhi svegli non cercava mai la compagnia di nessuno.
Alle scuole elementari la storia non era cambiata di una virgola.
Un bambino dalle abilità intellettive eccellenti, ma dalle scarse, o quasi nulle, capacità emozionali.
Tobio non credeva d'aver mai avuto un vero amico.
Al liceo c’erano stati i compagni con i quali studiare occasionalmente, ma tutto terminava lì.
Pareva che nessuno fosse davvero intenzionato a intraprendere un'amicizia con lui e la situazione era assolutamente reciproca.
Del resto, potevano essere contate sulla punta delle dita le persone da lui considerate degne di vera considerazione.
I suoi colleghi di corso all’Università erano tutti un branco d’idioti e se li era dovuti ritrovare persino nel luogo di lavoro, con suo grande disappunto.
Pareva che solo lui scorgesse le loro profonde incapacità.
L’unico essere umano con il quale pensava di possedere un certo feeling, era Akaashi-san.
Intelligente, pacato e razionale.
Una persona davvero meritevole del suo rispetto.
Probabilmente la più simile a un amico che Tobio avesse mai avuto.
 
Giunto al proprio condominio, salì con l'ascensore fino al quinto piano.
Sfilò le chiavi dalla tasca, aprì la porta e, un po’ a fatica data l’inutilità del braccio destro, si tolse le scarpe all’ingresso.
Si diresse verso il frigorifero e vi ripose lo yogurt prima che si sciogliesse del tutto.
Si lavò le mani, si allentò il nodo della cravatta scura e recuperò del ramen istantaneo dalla dispensa, preparando il necessario per poterlo mangiare.
Dopo poco più di tre minuti, era seduto sul divano nero del suo salotto minimalista a sorseggiare noodles al manzo.
Nell’appartamento regnava il silenzio.
Il rumore del traffico proveniente dalla strada sembrava appartenere a un’altra dimensione.
Mandò giù un boccone piuttosto ingombrante, fissando indistintamente il televisore a cristalli liquidi dinanzi a sé.
Silenzio.
Silenzio.
Silenzio.
Come controllato da una volontà autonoma, si ritrovò a guardare lentamente attorno a sé.
Aveva il lavoro che voleva da sempre.
Possedeva la casa confortevole e in pieno centro che desiderava.
Guadagnava abbastanza da potersi permettere piccoli lussi.
I suoi genitori erano entrambi in salute e risiedevano felicemente a Sendai, ove si recava diligentemente per ogni festività.
Lui stesso era in salute, eccezion per quell’inconveniente all’avambraccio destro.
Poteva affermare di aver ottenuto quasi tutto dalla vita.

Eppure, perché si sentiva a quel modo?
 
Espirò rumorosamente, infrangendo lo statico silenzio che prepotentemente lo circondava e pareva volerlo inglobare.
 
In che modo, esattamente, si sentiva?
 
Come se…
Come se non avesse ottenuto ciò che davvero importasse, forse?
 
Digrignò i degni, irritato.
 
Quell’insoddisfazione lo braccava come un segugio fin da quando riuscisse a ricordare.
Dapprima si trattava di una sensazione oscura e confusa, ma con il tempo aveva assunto come una consistenza solida al centro del suo sterno.
Un giorno di molti anni prima, Tobio le aveva attribuito un nome.
Smania.
Smania di non essere abbastanza…
E di non essere ancora degno di superare il grande Oikawa-san.
 
Stritolò involontariamente il contenitore del ramen, che si accartocciò inevitabilmente su se stesso.
 
Oikawa-san.
Ecco la risposta da anni attribuita a quella sensazione sgradevole e opprimente.
L’uomo che più di tutti gli appariva perfetto.
L’uomo che, appena entrato all’Università con il solo scopo di divenire avvocato, aveva ammirato per classe, intelligenza, carisma, bellezza.
L’uomo che prima l’aveva guardato con interesse, ma che poi l’aveva scartato, infastidito e quasi intimorito.
 
Abbassò il capo e si perse a guardare i filamenti del tappeto sotto di lui per quelli che gli parsero secoli.
 
Aveva innalzato Oikawa Tooru come un modello da seguire.
Aveva cercato di studiarne le abilità, le caratteristiche per poterlo al meglio eguagliare.
Aveva assistito segretamente ai suoi esami, lo aveva quasi spiato durante le sessioni di studio massacranti cui si sottoponeva notte e giorno, senza una singola pausa.
C’era stata persino un’occasione in cui l’aveva scorto in aula studio per 12 ore consecutive, senza mai lasciare la sedia, né per mangiare né per recarsi al bagno.
Era stata quella la prima volta in cui aveva adocchiato quel tipo, Iwaizumi-san.
Ricordava di averlo sentito chiedere in giro dove Oikawa si trovasse, per poi aprirsi strada senza molti complimenti fino alla scrivania isolata del giovane, prenderlo di peso dalla vita e trascinarselo via in spalla, sordo agli acuti “Iwa-chan, i miei libri, fammi prendere almeno i codici!” che ne accompagnarono il rocambolesco tragitto fino all’uscita.
Probabilmente, quello era stato il momento in cui aveva compreso che la determinazione e forza d’animo di Oikawa fossero maggiori dei suoi…
Ed era giunto alla conclusione che avrebbe dovuto batterlo, per potersi sentire finalmente in pace con se stesso.
Eppure, ciò non era mai avvenuto.
Dopo l’agognata laurea, aveva lavorato per due anni in diversi studi legali per farsi un nome e mai aveva avuto la possibilità d’incontrarlo.
Poi, la grande occasione.
Entrare alla Kitagawa Daiichi era stato un enorme passo avanti per la sua carriera, considerando che si trattava di uno degli studi legali più rinomati della città…
Sebbene fosse il luogo in cui Oikawa Tooru lavorasse da ben due anni.
Rimanere a contatto con quell’uomo ogni giorno era stato per certi aspetti snervante e tedioso, ma d’altro canto sarebbe risultato un ipocrita se non avesse ammesso che lavorare fianco a fianco con colui che aveva rappresentato il suo tutto non fosse stranamente esaltante.
Desiderava ardentemente batterlo, ma era naturale che non potessero affrontarsi apertamente sul suolo di un tribunale lavorando nel medesimo studio.
E poi, nonostante fosse dura confessarlo… in quel singolo anno di collaborazione, Tobio si era sentito ancora un bambino immaturo di fronte al grande Oikawa-san, un moccioso con ancora così tanto da apprendere.
Il suo carisma innato stregava inevitabilmente chiunque gli stesse vicino.
Ogni causa che riportava il suo nome era vinta.
I clienti ormai telefonavano per chiedere sempre e solo di lui.
Ma non era semplicemente bravo.
No, Oikawa Tooru era anche e soprattutto un grande manipolatore.
Tobio aveva avuto molte occasioni per studiarlo, durante gli anni accademici, e aveva potuto apprendere, sebbene con molta fatica, che le espressioni di quell’uomo non sempre erano del tutto veritiere.
Ce n’era una, in particolare, che lo aveva sempre colpito.
Che gli aveva insegnato ancora una volta quanto grande fosse la distanza che li divideva.
Il brillante Oikawa Tooru, ogniqualvolta ricevesse un cliente in lacrime o in piena crisi, non rimaneva imperturbabile o annoiato, come spesso accadeva a lui.
No.
Oikawa Tooru era capace di metter su un’espressione di compassione e, perché no, empatia nei confronti di quelle persone.
Pareva davvero in pena per i suoi clienti.
Pareva davvero volerli aiutare dal profondo del cuore.
Che cosa stupida, aveva sempre pensato Kageyama.
Come se un avvocato volesse davvero aiutare il proprio cliente per spirito d’umanità.
Aveva sempre ammirato quelle doti recitative, sebbene non si fosse mai sforzato minimamente per imitarle.
A lui, in fondo, non gliene importava un bel niente di apparire sensibile.
Comunque, dopo un singolo anno trascorso assieme, Oikawa era stato chiamato al Seijo.
Tutti si erano dimostrati sinceramente contenti per lui.
La fama dello studio legale era conosciuta a livello nazionale.
Si era tenuto un intero giorno di festa negli uffici del Kitagawa Daiichi per quell’occasione.
All’età di 28 anni, Oikawa Tooru era entrato nella ristretta cerchia degli avvocati con cui si sa già in partenza che si avrà vinta la causa.
 
Tobio appoggiò il contenitore deformato ormai vuoto e freddo sul tavolino di vetro dinanzi a lui.
 
Oikawa Tooru era la sua ossessione.
A lui era, consciamente o meno, ricondotta ogni insoddisfazione della propria vita.
Dunque, anche il senso di vuoto che stava provando in quel momento, era colpa del brillante avvocato?
Quello strano e implacabile desiderio di conversare con qualcuno quella sera, il calore di Bokuto-san da cui era stato contagiato…
Che volevano dire?
 
Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?"
 
Un brivido gli percorse improvvisamente la schiena al ricordo imprevisto di quella mattina.
Infilò la mano libera tra i capelli, strizzandosi la tempia destra.
Non doveva ascoltare quelle idiozie.
Erano tutte stronzate, pronunciate da stupidi privi di talento e utilità.
Erano tutti degli idioti, irrimediabilmente degli…
Spostò appena gli occhi che si scontrarono con la fasciatura perfettamente bianca dell’avambraccio.
 
“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?”
“Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”
 
Il pensiero di quello scricciolo di medico dai folti capelli rossi gli provocò uno strano senso di confusione nel petto.
Ecco, quello era un idiota, senza alcuna ombra di dubbio.
Un idiota con i fiocchi per giunta, di quelli senza speranza.

Eppure, perché l’idea di rivederlo lo metteva tanto in agitazione?
 
“Non lo capisco quel tizio” sbottò ad alta voce, che risuonò per l’intero appartamento deserto come amplificata.
 
No, non lo comprendeva.
Che fosse per caso quella, una delle ragioni del suo stato d’animo attuale?
Di qualunque cosa si trattasse, comunque, ci avrebbe pensato a tempo debito.
In quel momento, aveva solo voglia di una bella dormita per cancellare quella tediosa e confusa giornata dalla sua memoria.
 
 
 
***
 
 
 
“Buon pomeriggio, in cosa posso esserle uti-”
 
Il sorriso candido e gentile di Sugawara si spense non appena si accorse con chi stesse parlando attraverso la lastra di vetro.
“Chi si rivede. Cosa desidera, signore? Mi sembra che il suo braccio sia molto migliorato” sciorinò con una patina d’ironia non troppo celata.
Tobio s’impose di non sbuffare.
“Va meglio in effetti, grazie” borbottò soltanto.
Le palpebre dell’infermiere sbatterono più volte sulle iridi nocciola.
Che quello fosse un tentativo di esprimersi garbatamente?
“Di cosa ha bisogno, dunque?” chiese, più cordiale.
Il corvino guardò attentamente il viso delicato e gentile di quell’infermiere e si vergognò un po’ per come si era comportato la settimana precedente.
Era infuriato con il mondo e rischiava di perdere una causa per colpa del ritardo della loro organizzazione… però, in fondo, quel ragazzo dal sorriso candido non aveva alcuna colpa.
Tentò di porre da parte l’ostilità che caratterizzava ogni suo gesto.
“Vorrei… ecco” farfugliò, chinando la testa e guardandosi l’avambraccio ingessato.
Sul volto di Koushi nacque un piccolo sorriso.
“Vorrebbe una visita per controllare la gessatura?” lo aiutò con tono docile, come se stesse parlando ad un bambino.
Con le guance un po’ arrossate, Kageyama annuì.
Suga trattenne un risolino proveniente dal cuore.
“Non ha prenotato, giusto?”
Tobio alzò la testa di scatto.
“N-no, ecco io… non credevo si dovesse prenotare per farsi visitare da un medico del pronto soccorso” mugugnò confusamente e il sorrisetto di Koushi si aprì maggiormente.
Era lo stesso uomo che l’altra volta aveva terrorizzato mezzo ospedale?
“Questo accade solo se il medico si occupa soltanto del pronto soccorso, tutti gli altri hanno degli orari ben precisi in ambulatorio… ma non credo che oggi Hinata sia di turno lì. Perché lei vuole vedere il dottor Hinata, no?” domandò come se la sua fosse una risposta ovvia.
Le orecchie di Tobio divennero color porpora.
“N-non è indispensabile, ovviamente. M-mi hanno solo riferito che è sempre meglio farsi seguire da…” balbettò, ma Suga venne magnanimamente in suo aiuto.
“Certamente, è consigliabile. Vuole che lo chiami e chieda se è reperibile per una visita?”
 
Il sorriso di Suga nascondeva in realtà un ghigno divertito.
Shoyo gli aveva raccontato tutto in merito alla visita con “l’avvocato insensibile che odia le persone”, come l’aveva letteralmente definito, e lui non poteva non essere curioso in merito agli sviluppi che quel nuovo incontro avrebbe potuto produrre.
Dall’espressione e dal comportamento dell’uomo che aveva dinanzi, tra l’altro, poteva dedurre con una punta di soddisfazione che non era rimasto indifferente al piccolo rosso.
 
Kageyama guardò il grazioso infermiere in attesa di una risposta.
“Certo che voglio quel medico dagli assurdi capelli rossi, che domande sono, per quale altro motivo sarei venuto qui allora!” sarebbe stata tentata di urlargli la parte più recondita del suo cervello, ma il cosciente Kageyama glielo impedì fermamente.
“P-per favore” seppe solo replicare mestamente.
Mio Dio, che fine aveva fatto l’avvocato sicuro di sé che dominava le arringhe in tribunale?
 
“Un attimo solo, allora” cinguettò Suga con una scintilla negli occhi.
Tobio lo vide trafficare nel cubicolo per qualche minuto.
Poi, si girò nuovamente nella sua direzione con un gran sorriso.
“Primo piano, quarto corridoio a destra. Lì il dottor Hinata la riceverà”
“Grazie” borbottò soltanto il corvino e stava per girare i tacchi, quando un moto di coscienza gli impedì di muoversi.
“Ecco” iniziò, corpo girato esattamente a metà.
“Mi… ecco, mi… disp… per l’altra volta, mi disp-”
“Accetto le sue scuse, Kageyama-san”
Tobio fissò stralunato il viso sincero dell’infermiere che gli sorrideva lievemente.
Abbassò gli occhi e s’incamminò rapidamente.
Era stato… gentile.
Gentile nonostante lui si fosse comportato in maniera riprovevole.
“Quest’ospedale è pieno di gente stramba” rifletté fugacemente mentre tentava di non perdersi tra i corridoi bianchi del primo piano.
 
Con l’avvicinarsi della fatidica porta, la gola di Tobio si faceva sempre più stretta.
Che diavolo, aveva forse paura di un ulteriore confronto con quello scricciolo rosso?
“E’ solo una visita, niente di più, niente di meno” si forzò a pensare insistentemente.
“Perché mai dovrei essere agitato per una visita? E’ ridicolo, ridicolo. Io, agitato? Mah, non scherziamo. Chi mai dovrebbe agitarmi poi? Un medico incontrato una sola volta? Sciocchezze. L’unico che, forse, può mettermi in agitazione è Oikawa-san, non di certo un piccolo idiota dal sorriso…”
 
“Kageyama-san, buon pomeriggio! Faccia scura come sempre, eh!”
 
Per la seconda volta nel giro di 24 ore, il cuore di Tobio iniziò a battere più velocemente del normale contro la sua cassa toracica.
 
 
 



 
 
 
Note finali: è stato difficile, ma alla fine ce l’ho fatta!
Mi scuso infinitamente per il ritardo, ma la puntualità non è mai stata, né mai sarà, il mio forte.
Capitolo quasi interamente dedicato al nostro Kags e alla sua psiche lievemente contorta.
Posso solo preannunciare che siamo ancora all’inizio delle sue turpi mentali, eheh.
Vi prego di segnalarmi possibili errori e, in particolare, se notate passaggi poco chiari o se proprio vi sfugge il significato di qualcosa, non esitate a chiedere (e vi sarà dato?)
Okay, scherzi a parte, ci tengo tantissimo a ringraziare tutte le persone che hanno inserito questa storia tra le seguite (mi ricordate sempre di non mollare!) le preferite e, naturalmente, chi mi ha lasciato una recensione.
Un vostro commento mi renderebbe felicissima, considerando che questo è il mio primo esperimento come long.
Bacini a tutti coloro che leggeranno, ci si sente al prossimo (ancora ignoto) aggiornamento.
 

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Capitolo 4
*** IV. Oltre il muro ***



IV

Oltre il muro





 
 
Shoyo inalò quanta più aria possibile a pieni polmoni, espirando poi con estrema lentezza.
Si costrinse con una certa fatica a vincere il tremolio che gli aveva agguantato prepotentemente le piccole mani.
Deglutì e raddrizzò la schiena, mettendo in mostra tutti i suoi 165 cm con una certa fierezza.
Era un professionista, un medico rispettabile e ben voluto dalla maggior parte dei suoi collaboratori.
Sconfiggeva le malattie, diamine.
Un gigante dalla faccia burbera e gli occhi gelidi non avrebbe potuto, e dovuto, minimamente intimorirlo.
Insomma, l’aveva già incontrato una volta ed era anche riuscito a non scappare via spaventato a quell’espressione feroce.
Senza contare che il desiderio di dirgliene quattro per il suo comportamento della volta precedente gli fomentava ancora in petto.
Non aveva certo dimenticato la rabbia nei confronti di quel bellimbusto!
Tuttavia…
“Le brutte abitudini non muoiono mai” pensò, vagamente frustrato per il modo in cui il suo cervello reagiva sempre dinanzi a un viso minaccioso.
Prendendosi infine di coraggio, s’incamminò verso l’alta figura spaesata che vagava per i corridoi bianchi del primo piano del Karasuno Hospital mentre occhieggiava le varie porte con espressione vivamente corrucciata.
Nonostante il timore interiore, Shoyo non poté evitare la piega divertita che si materializzò sulle sue guance morbide.
Le sopracciglia sottili del giovane si aggrottavano con prepotenza contro la fronte semi coperta dai lisci capelli corvini e un broncio infantile si disegnava sui lineamenti fini.
Trattenne a fatica una risatina.
In quel momento, nonostante il caratteraccio, quel gigante pareva un bambino confuso.
Qualcosa, dunque, a lui assolutamente non nuovo.
 
Aprir bocca fu spontaneo come respirare.
 
“Kageyama-san, buon pomeriggio! Faccia scura come sempre, eh!”
 
Come se fosse stato colpito da una vigorosa frustata, Tobio s’irrigidì di colpo.
La ritrovata sicurezza di Hinata vacillò un poco.
Che avesse mostrato una confidenza eccessiva con quell’uomo che non aveva esitato ad apparir tanto implacabile e freddo?
La sua preoccupazione tuttavia si attenuò non appena il legale si girò repentinamente verso di lui.
“C-certo! Questo posto è un assoluto labirinto!” sputò fuori, piccato, premurandosi però di nascondere il volto rosato alla sua vista.
 
“Un bambino permaloso, non c’è che dire” pensò Shoyo sforzandosi vivamente di non ridacchiare, incamminandosi allegramente verso lo studio alla sua destra e indicando all’uomo di precederlo.
 
“La sua guida allora è arrivata” scherzò, aspettando che il corvino entrasse e chiudendosi poi la porta alle spalle.
La collera che covava nei confronti del gigante pareva essersi improvvisamente dileguata.
Kageyama bofonchiò qualcosa di probabilmente offensivo e si sedette sulla poltroncina rossa destinata ai pazienti, nonostante il medico non l’avesse ancora invitato ad accomodarsi.
Shoyo non parve prestar importanza a quell’azione arrogante.
Si sarebbe al contrario stupito se avesse domandato il suo permesso.
Circumnavigò quindi la bianca scrivania e si lasciò cadere sulla poltrona nera.
“Allora, come va il suo avambraccio? Il gesso le ha causato fastidi? Sente dolore in qualche punto particolare?” chiese con un sorriso tranquillo, sfoderando la migliore delle professionalità.
 
E, soprattutto, tenendo per sé la domanda che avrebbe tanto voluto rivolgere all’uomo dal primo momento in cui Suga gli aveva telefonato un quarto d’ora prima per informarlo dell’arrivo del suo inaspettato paziente.
Il quesito che picchiettava impaziente nel suo animo fin troppo curioso.
“Perché ha chiesto espressamente di me?”
 
Tobio parve accigliarsi notevolmente alle parole pacate del medico.
Sollevò scetticamente il sopracciglio destro.
“Non ha bisogno di consultare la mia cartella clinica? Non può certo ricordarsi il mio caso a memoria” sciorinò acidamente.
 
Non sapeva nemmeno lui quale fosse il suo obiettivo in quel momento.
Voleva mettere alla prova quel nanetto dai fluenti capelli color carota?
 
Se così era, Hinata non parve scomporsi.
Anzi, il suo sorrisetto si tramutò in un’espressione sibillina.
“A dir la verità sì, Kageyama-san. Il nostro non è stato proprio un incontro di cui potersi dimenticare facilmente. Ma farò come suggerisce, leggerò la sua cartella ugualmente” cinguettò con leggerezza, afferrando la cartellina turchese che aveva portato con sé e sfogliandola lentamente sotto i grandi occhi nocciola.
La gola di Tobio divenne improvvisamente arida e le sue iridi blu si sgranarono.
 
Che razza voleva dire “Il nostro non è stato proprio un incontro di cui potersi dimenticare facilmente”?
Quel piccolo idiota lo stava meramente prendendo in giro?
Lo stava sbeffeggiando con una frase volutamente ambigua per punirlo?
Voleva ancora propinargli lo sconclusionato discorso del “Ricordo tutte le facce dei miei pazienti e bla bla bla?”
 
Prima che potesse realizzare consciamente, e con estremo orrore, che era lui a ricordare con inquietante esattezza ogni parola pronunziata da quel rosso, Hinata alzò il capo dai fogli bianchi e ridacchiò alla vista della smorfia contorta di Kageyama.
“Intendevo dire che sarebbe ben difficile scordarsi di qualcuno che sorride così poco e con il viso tanto imbronciato” lo rimbeccò scherzosamente, decidendo di tralasciare il “di qualcuno tanto maleducato, inopportuno, freddo e senza sentimenti” che gli rimbombava lontanamente nel cervello.
A quanto sembrò, anche Tobio notò l’assenza dei tradizionali eufemismi sprezzanti rivolti alla sua persona.
Con sommo stupore di Shoyo e dello stesso Kageyama, il corvino abbassò appena la testa, increspando le labbra sottili.
Una strana e non piacevole sensazione stava espandendosi lungo il suo il petto.
 
Si trattava… di una sconveniente consapevolezza?
O era soltanto imbarazzo?
 
“A-avevo un buon motivo” farfugliò con gli occhi ancora arpionati alla scrivania chiara, mentre percepiva le proprie orecchie accaldarsi orribilmente.
Shoyo socchiuse la bocca.
“Un motivo valido per terrorizzare mezzo pronto soccorso e pronunciare frasi tanto meschine nei confronti di persone bisognose d’aiuto?” osò domandare, forse incautamente.
Il volto di Tobio si sollevò di scatto.
La sua espressione era improvvisamente glaciale, così come gli occhi blu.
“Non so di cosa stia parlando” proruppe con voce priva d’ogni traccia d’emozione.
 
Meschino?
Che cosa ridicola.
Lui era semplicemente onesto con se stesso e con chiunque lo circondasse.
Fingere che s’interessasse a qualcosa di tanto futile come i sentimenti e le debolezze della gente non rientrava nei suoi doveri.
Né tantomeno nelle sue volontà.
 
Hinata poté quasi scorgere la pesante barriera che il corvino aveva edificato dinanzi a lui nel giro di un millisecondo.
Aveva parlato troppo, dedusse.
Trattenne uno sbuffo scocciato, richiudendo la cartellina turchese che ancora teneva fra le dita sottili.
“Sarà problematico come dice Yacchan quanto vuole, ma ciò non toglie che questo tizio sia veramente, veramente antipatico” pensò contrariato, alzandosi dalla poltrona.
Tobio lo seguì con gli occhi, socchiusi in strette fessure.
Shoyo non aprì bocca.
Si posizionò soltanto di fronte al corvino, tendendo la mano verso di lui.
Kageyama la guardò come se quello fosse l’arto di un alieno.
Nonostante il fastidio di poco prima, il medico si lasciò sfuggire una risatina.
“Se è venuto qui per una visita di controllo, dovrebbe mostrarmi il suo avambraccio” osservò con un sorriso divertito ma gentile.
“Ah… c-certo” bofonchiò Kageyama, distogliendo nuovamente lo sguardo e alzando lentamente la parte incriminata.
Il rosso strinse le labbra per evitare di ridacchiare nuovamente.
 
Era inutile, non riusciva sul serio a comportarsi in modo distaccato con nessuno.
E, inspiegabilmente, gli veniva ancor più difficile con quello scorbutico lì.
 
“Sa, lei è proprio strano” dichiarò infine candidamente, iniziando a controllare le condizioni della fasciatura.
“Che vorrebbe dire, eh?” scattò subito il legale, iracondo e con la solita faccia scura.
Reazione che Hinata aveva previsto, a giudicare dal sorrisetto che gli nacque sul volto.
“Si scalda tanto o diventa glaciale quando crede di aver ragione, ma non appena qualcosa le sfugge di mano…”
Lasciò la presa sul gesso e indietreggiò di qualche passo, gli occhi nocciola brillanti.
“Diventa docile come un bambino!” esclamò con un sorriso bianchissimo, assolutamente privo di qualsivoglia cattiveria.
 
Eccola di nuovo lì, quella strana e inclassificabile sensazione.
Il petto del corvino doleva e la sgradevolissima impressione di dover vomitare subentrò al malessere iniziale.
Quel sorriso puro…
Cristallino…
Tobio non si accorse subito di star fissando quel piccolo rosso con una strana intensità, perdendosi in quelle iridi scintillanti per alcuni interminabili secondi.
 
Dopodiché, scrollò violentemente e prepotentemente la testa.
Lo infastidiva, ecco cosa gli provocava quella fottuta espressione.
Fastidio, incredibilmente fastidio.
 
“Stia un po’ zitto e faccia il suo lavoro” sbottò, guardando però altrove.
Shoyo sbuffò, rassegnato all’altalenarsi di quell’atteggiamento.
“Non sarebbe esattamente questo il mio lavoro” borbottò sommessamente a denti stretti, tastando nuovamente ogni angolatura del gesso fino a notare una smorfia dolorante sul volto del corvino.
“Le fa male qui?” chiese, improvvisamente serio.
“Un po’… che vuol dire che non è il suo lavoro?” domandò Kageyama con le sopracciglia corrugate in una smorfia di perplessità, occhieggiando il rosso mentre compiva qualche strana manovra con quelle dita incredibilmente flessuose e acchiappava la sua cartella per leggervi velocemente qualcosa.
“Sta seguendo la cura d’ibuprofene che le avevo prescritto?”
“Certo, per chi mi ha preso” borbottò il corvino.
“E sta assumendo dosi adeguate di calcio e vitamina D?” domandò ancora, con occhi grandi e attenti.
Tobio guardò quel medico che, in piedi, era poco più alto di lui seduto sulla poltroncina.
Ripensò ai pasti dell’ultima settimana, composti essenzialmente da cibi precotti e yogurt.
Arricciò le labbra e bofonchiò qualcosa d’incomprensibile.
Hinata sospirò.
“Lo prendo per un no” concluse.
“Che significa che non svolge questo lavoro?” insisté Tobio, ostinato e, suo malgrado, anche incuriosito.
Solo un po’, che sia chiaro.
Shoyo lo fissò per un attimo senza comprendere, poi ricordò cosa si fosse lasciato sfuggire poco prima.
“Non sono un ortopedico, Kageyama-san, non mi occupo abitualmente di ossa rotte” sciorinò semplicisticamente con una scrollata di spalle.
“Le faccio una radiografia di controllo, venga con me” aggiunse subito dopo per troncare ogni altro discorso, indicando la porta con il capo e invitandolo a seguirlo.
 
 
Mentre si dirigevano verso il reparto di Radiologia, gli occhi blu di Kageyama si posarono sulle spalle del medico che lo precedeva.
Non avrebbe dovuto importargliene nulla, si ripeteva più e più volte.
Era una persona che non avrebbe più rivisto, terminata quell’odissea ospedaliera.
Un nanetto fastidioso e invadente con la mania di prendere la vita con allegria, mostrando un amore a lui inaudito nei confronti degli esseri umani, ecco tutto.
Eppure…
 
“Se non si occupa di ossa, quale sarebbe il suo ambito?”
Il tono prepotente mal celava in realtà una crescente curiosità.
Shoyo continuò a camminare tranquillamente, ma al corvino sembrò che abbassasse appena il capo.
“Oh… malattie del sangue…” borbottò evasivo, girando all’improvviso in un angolo e salendo l’imponente rampa di scale che si trovarono dinanzi quasi saltellando.
“E’ un bambino delle scuole elementari?” pensò Tobio con una punta di sbigottimento.
 
“Ma non esiste l’ascensore in questo dannato ospedale?” protestò con un po’ di fiatone quando si accorse con sgomento che il pel di carota aveva a iniziato a intraprendere la terza rampa.
Hinata ridacchiò e voltò il capo per mostrare al giovane un ghigno.
“Non mi pare che si sia rotto la gamba, Kageyama-san. Un po’ di esercizio le potrà solo giovare!” commentò allegramente, aumentando il passo di proposito.
“Che vorrebbe insinuare, dannato d’un medico?” saettò subito Tobio, che con pochi balzi fu al fianco del piccolo rosso.
Stava per aprire nuovamente bocca quando notò la sua espressione divertita e sorridente.
“Vede che le sa utilizzare quelle lunghe gambe?” lo prese in giro, mettendo piede al quarto piano e ricominciando a camminare lungo il corridoio sinistro, in cui appeso al soffitto svettava il cartello indicante i simboli “Radiologia”.
 
Il legale non parlò per alcuni minuti.
Squadrò quel piccoletto con occhi sospettosi, nemmeno si trattasse di un animale feroce pronto a tendergli un agguato.
Spostò le iridi dagli spettinati capelli dall’assurdo colore, alla targhetta colorata e sgargiante recante il suo nome, al lungo camice bianco che quasi strisciava a terra e infine al viso glabro, dai lineamenti delicati come quelli di un fanciullo.
Giunsero alla sala indicata da Hinata, che gli chiese subito di rimuovere eventuali oggetti metallici dalle tasche prima di cominciare la preparazione del macchinario per i raggi.  
Alla fine, Kageyama decise di dar voce ai propri pensieri con spietata schiettezza.
 
“Non sembra affatto un medico”
 
Shoyo allargò gli occhi e interruppe per un attimo la propria attività.
Poi, fece un piccolo sorriso.
“Non è il primo che me lo dice” ribatté soltanto con semplicità, terminando la sua operazione e avvicinandosi a Tobio.
“Ecco, si metta così” lo istruì, piazzandolo di lato al macchinario e consentendogli d’appoggiare l’avambraccio affinché i raggi potessero immortalare il radio e l’una.
Kageyama continuava imperterrito a guardarlo.
Il suo volto non pareva mostrare alcun segno di turbamento alla sua tagliente osservazione.
“Non… non si è… offeso?” chiese confusamente, forse più rivolto a se stesso che a quello scricciolo.
 
Ogni suo commento veniva sempre accolto negativamente da chiunque lo ascoltasse, nonostante l’appurata veridicità.
Era abituato a crisi di nervi e improperi d’ogni genere alle sue parole, specialmente quelli di Kindaichi fin da quando aveva iniziato a lavorare alla Kitagawa Daiichi.
Eppure…
 
Shoyo si voltò a guardarlo con stupore.
I suoi occhi brillavano come due fari in mezzo a una tempesta oscura ed emanavano un’intensità tale che il corvino faticò a sostenere il loro accecante sguardo.
Non seppe assolutamente il motivo, ma il suo cuore si ritrovò a dover accelerare i battiti per star dietro a quelle perle nocciola.
“Perché dovrei? Ha solo espresso la sua opinione”
Si allontanò per attivare la macchina, ma poi si fermò, girandosi nuovamente con aria furba.
 
“E poi, l’importante è che non lo pensi io”
 
Fu come se una vampata d’ignota consapevolezza fosse piombata nella mente intricata di Tobio, rimescolandogli i fili della ragione in una trama a lui ancora sconosciuta.
 
 
“Ha proprio una bella frattura, eh” commentò Hinata, occhieggiando le lastre non appena ritornarono nella stanzetta bianca al primo piano.
Ciò non prima d’aver messo su praticamente una gara su chi fosse riuscito a scendere le scale il più velocemente possibile e aver quasi provocato la rottura del braccio sano di Kageyama, che aveva corso a perfidiato per poter star dietro ai salti disumani di quel che si stava rivelando più una molla impazzita che un rispettabile medico di un grande ospedale.
“Se non assume i giusti quantitativi di calcio dovrò prescrivergliene tramite farmaci” lo ammonì con un’aria tremendamente seria.
Tobio storse il naso.
“Se cerca di spaventarmi, sta fallendo miseramente”
Shoyo parve colto alla sprovvista da quelle parole, ma poi rise allegramente.
“Su questo ha ragione. Non sono capace di spaventare nessuno” ammise, scrollando le spalle magre.
“E’ troppo basso anche solo per provarci” convenne Kageyama con la solita punta d’acidità, lasciandosi tuttavia sfuggire… un piccolo sorriso.
Il corpo di Hinata s’immobilizzò di colpo e gli occhi quasi gli fuoriuscirono dalle orbite.
“Ha… sorriso?” sussurrò, cercando di articolare la mascella improvvisamente troppo rigida.
“Ha sorriso? Kageyama-san ha sorriso!” quasi strillò, occhi e bocca spalancati e dito puntato proprio sul viso del corvino, similmente a un bambino dinanzi a una scoperta sconvolgente.
Le guance del legale s’imporporarono in un millesimo di secondo e raggiunsero probabilmente la temperatura del Sole.
“Non lo dica come se fosse una cosa tanto assurda, idiota!” sbraitò, alzandosi in piedi e inveendo contro il piccolo rosso che scoppiò a ridere davanti alla faccia paonazza di Tobio, non curandosi minimamente dell’offesa subita.
“Ma lo è, davvero!” trillò, ridendo ancora.
“E’ la prima volta che le vedo un sorriso sul volto” aggiunse poi, con voce più dolce.
Kageyama si corrucciò ancor di più.
“Perché mai avrei dovuto farne” sbottò allora, afferrandosi l’avambraccio con l’arto sano e imitando due braccia ostinatamente incrociate sul petto.
Shoyo lo guardò interrogativamente.
“Beh, si sorride quando si è felici!” sottolineò, come se fosse piuttosto ovvio.
Poi però, scorgendo l’espressione semi nascosta dai capelli corvini dell’uomo davanti a sé, parlò troppo impulsivamente.
 
“Lei… non è felice, Kageyama-san?”
 
Gli occhi blu del giovane si allargarono e il cuore sembrò perdere improvvisamente la propria efficacia.
Felice?
Felice…?
Guardò il vuoto dinanzi a sé come se non riuscisse a scorgere null’altro.
Scomodi quesiti iniziarono a pizzicargli le sinapsi temporaneamente in stand-by.
 
Quand’era stata l’ultima volta che era stato felice?
E l’ultima che aveva sorriso di cuore?
 
Non seppe per quanto tempo rimase in silenzio, immobile come in una specie di trance.
Realizzò solo che, all’improvviso, si ritrovò il piccolo corpo di Hinata praticamente sotto la faccia.
“Kageyama-san?”
Capì che doveva aver ripetuto il suo nome parecchie volte.
Indietreggiò di qualche passo, stringendo i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
 
Quel tizio.
Quel maledetto medico dai capelli rossi…
Perché ogni cosa che gli uscisse dalla bocca doveva apparire tanto naturale?
Tanto…
 
Tanto giusta, forse?
 
“Merda, no!” urlò aggressivamente la parte conscia del cervello a quell’ombra che, lentamente, gli stava avvolgendo le sinapsi.
Le sue erano domande inopportune, maleducate e al limite della decenza.
Presupponevano il diritto a una confidenza che non avrebbe mai dovuto accaparrarsi.
 
“Mi dia la cura” sibilò a denti stretti, gli occhi scuri che dardeggiavano pericolosamente.
Shoyo sbatté le palpebre, interdetto.
 
“E’ come se non capisse l’importanza delle persone…”
“Forse nessuno gliel’ha mai dimostrata”
 
Yacchan aveva ragione, rifletté il rosso con rassegnazione mentre scribacchiava su un fogliettino medico i farmaci che il giovane legale cocciuto avrebbe dovuto assumere.
 
“Ecco qui. Anche se le ho prescritto dosi di calcio extra, non significa che può sforzarsi a suo piacimento! Immagino che lavori tutto il giorno, ma il gesso non la proteggerà dallo stress che andrà a intaccare l’osso” spiegò, cercando di far comprendere a quel testone quanto il riposo fosse fondamentale per la guarigione.
“Non può farsi aiutare in qualche attività da… che so, la sua ragazza?” ipotizzò Hinata.
Kageyama sollevò repentinamente la testa e assunse un’espressione di sincera confusione.
Shoyo assottigliò gli occhi, improvvisamente malizioso.
Ce l’ha una ragazza? O con il suo caratteraccio…”
“Basta così” strepitò il corvino, strappandogli il foglio azzurrino dalle dita e allontanandosi di gran carriera da quel medico demoniaco.
“Aspetti un momento” lo richiamò tuttavia Shoyo, avvicinandosi velocemente all’uomo e guardandolo da sotto in su.
“Se le dovesse servire qualcosa…”
Tobio guardò la piccola mano porgergli un cartoncino bianco, con su scritto…
Le grandi iridi blu si sgranarono.
“I miei contatti. Se dovesse avvertire ancora dolore, la prego di informarmi. Non si tenga tutto per sé” lo ammonì con occhi seri e tono di voce condiscendente, nemmeno stesse parlando con un bimbetto cocciuto.
Kageyama si ritrovò ad annuire docilmente, le labbra prepotentemente serrate.
Come un automa, si diresse via dal corridoio, girandosi appena per scorgere il rosso con un lieve sorriso sul volto.
 
Fu solo all’ingresso dall’ospedale, sotto lo sguardo incuriosito dell’infermiere Suga, che Tobio realizzò finalmente una cosa.
Con il battito accelerato per qualche assurda motivazione fisiologica, fissò nuovamente il pezzetto di cartoncino che ancora stringeva tra le lunghe dita.
Proprio sotto al tradizionale indirizzo email, svettavano dei numeri scritti a mano con una grafia sottile.
Il dottor Hinata gli aveva lasciato il numero di telefono personale.
 
 
 
***
 
 
 
“Insomma gli hai dato il tuo numero”
Le frizzanti e piuttosto divertite parole di Suga riassunsero in quattro e quattr’otto il discorso non sempre comprensibile proferito da un concitato Shoyo nell’ultima mezz’ora.
Hinata, in piedi in una delle salette relax dell’ospedale con le mani sollevate in aria intento a spiegare un ragionamento con l’intero corpo, s’immobilizzò di colpo.
Si mordicchiò il labbro inferiore e distolse velocemente lo sguardo dal suo interlocutore.
“Umh… sì” borbottò infine, con le guance appena rosse e le dita infilate tra i folti capelli color carota.
L’infermiere dal grazioso neo scuro sotto la palpebra assunse un sorrisetto malizioso.
“Ecco spiegato il mistero di quella faccia totalmente stralunata” ridacchiò, ricordando l’immagine del gigante che usciva dalla struttura con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Le iridi nocciola di Shoyo si allargarono.
“Davvero aveva una faccia strana? Più del solito, intendo?” chiese curioso, dimenticandosi dell’imbarazzo precedente e avvicinandosi al divanetto color miele su cui erano seduti Sugawara e Yachi, che aveva ascoltato il discorso dell’amico con estrema attenzione pur non avendo ancora espresso la propria opinione.
La smorfietta di Suga si ampliò.
“Non smetteva di guardare quel foglietto come se avesse appena scorto un fantasma” sottolineò con occhi vispi.
Il viso di Hinata assunse un’espressione immediatamente preoccupata.
“Vuol dire che ho fatto una stupidaggine e l’ho spaventato?” squittì, portandosi le mani alla bocca con le iridi sgranate.
Koushi non trattenne una risata proveniente dal cuore per l’ingenuità di Shoyo.
Poi, però, assottigliò gli occhi scuri.
“Dimmi un po’… c’è, per caso, qualche ragione particolare che ti abbia spinto a scrivere il tuo numero a quell’avvocato dalla faccia cupa?”
 
“Shoyo ha dato il suo numero a qualcuno???”
 
La voce a dir poco urlante proveniente dall’ingresso della sala per poco non provocò un mezzo infarto a Hinata.
Koushi aggrottò le sopracciglia chiare e assunse un’espressione lievemente contrariata.
“Noya, devi per forza far udire la tua voce all’intero ospedale? Ci sarebbero dei pazienti all’interno”
Il piccolo infermiere dai grandi occhi castani e il ciuffetto biondo che spiccava sopra la fronte, saltellò dalla soglia fino al divanetto su cui era accoccolato Suga in un sol balzo.
“Scusa Suga-san, ma è una notizia super eccitante! Non è così, Ryuu?!” trillò in direzione del giovane che si era attardato all’ingresso per spingere un carrello portapacchi stracolmo di scatoloni bianchi.
Una testa rasata apparve da dietro la montagna d’imballaggi.
“Altroché, Noya! Voglio tutti i dettagli!” esclamò esuberante, parcheggiando il carrello blu accanto alle macchinette di snack all’angolo della saletta e avvicinandosi agli amici.
Si passò la manica della tuta da lavoro sulla fronte per asciugarsi le goccioline di sudore sulla pelle.
“Sono in pausa, posso sentire anch’io?” domandò il magazziniere allegramente, mettendosi seduto sul pavimento con le gambe incrociate, seguito a ruota da Yuu che annuiva di gran carriera.
 Le guance di Shoyo divennero in pochi istanti rosse come i suoi capelli.
“N-non è come pensate” si difese con voce acuta, alzando le braccia dinanzi a sé e scuotendole energicamente.
Tanaka assunse un’espressione di uno che la sa lunga.
“Non vergognarti, Hinata, noi ne sappiamo qualcosa di questione amorose” esalò con aria sognante.
Sugawara arcuò un sopracciglio.
“Shimizu ti ha finalmente rivolto la parola?” commentò divertito.
L’espressione di Ryuunosuke non mostrò segni di cedimento mentre scuoteva il capo e sciorinava estatico “Mi ha ignorato con più vigore del solito!”, al che Koushi si schiaffò la mano sulla fronte e Hitoka trattenne a fatica una risatina.
“Tornando alle questioni serie” trillò l’infermiere, occhi di nuovo puntati su Shoyo che tremò all’istante, convinto di averla scampata.
“Vuoi spiegarci il motivo del tuo gesto? Siamo tutti curiosi” saltò su, riprendendo quell’aria maliziosa che nascondeva fin troppo bene sotto all’espressione tipicamente angelica.
Il viso di Hinata si precipitò a guardare Hitoka, sperando di trovare un aiuto per evadere da quella domanda spinosa, ma con orrore si accorse che l’amica lo stava guardando con occhi fermi, come se anche lei volesse conoscere la sua risposta.
 
In fondo, aveva cercato il loro parere in più occasioni per parlare di quella situazione ed era stato proprio lui quella sera a riunire gli amici per raccontare l’accaduto.
 
Percependo la confusione nella mente del piccolo medico, comunque, la magnanima Yachi venne in suo soccorso.
“Hinata-kun, non avevi detto che quel ragazzo ti suscitava molta antipatia?” gli chiese con tono gentile.
Shoyo la guardò.      
“Mi sta ancora antipatico” precisò, imbronciato.
“E’ scontroso e per nulla gentile. Si arrabbia per la minima cosa ed è offensivo” sottolineò ancora con le sopracciglia fini aggrottate.
“Però?” lo aiuto Suga.
Il rosso si mordicchiò il labbro.
“Non lo so. Ecco, io… è stato più forte di me scrivergli il mio numero, non so spiegare il motivo” mugugnò Shoyo con aria quasi afflitta, come se non comprendesse nemmeno lui cosa gli stesse passando per la mente.
Prima di poter esprimere qualsiasi opinione, i due infermieri seduti sul divanetto furono bruscamente preceduti.
 
“Ma insomma, questo tizio è carino almeno?”
 
Le guance del medico avvamparono dinanzi alla domanda canzonatoria di Yuu.
“N-non ci ho nemmeno fatto caso” squittì nervosamente e fin troppo repentinamente.
“Beh, Shoyo, sarà pure antipatico fino al midollo” ridacchiò Suga con le dita che gli coprivano le labbra disegnate.
“Ma quegli occhi blu sono davveeero belli. Per non parlare di quanto sia alto e del bel fisico che abbia, non trovi?” aggiunse strizzandogli l’occhio e Hinata per poco non sputò fumo dalle orecchie.
“Beh, è un bel ragazzo” concordò Hitoka con sincerità.
“Anche se per me è troppo cupo” aggiunse poi, arricciando il naso.
Tanaka sogghignò.
“Non a caso stai con Yamaguchi, che è praticamente la persona più tenera che abbia mai incontrato” scherzò dandole di gomito e la bionda arrossì, chinando appena la testa per nascondere le guance colorate, ma non trattenendo un sorriso al pensiero del dolce viso del fidanzato.
“Comunque, la vedo bene accanto a te una persona misteriosa, Shoyo” esclamò Noya alzando il pollice in direzione del medico, il cui viso era totalmente frastornato per tutti quei commenti.
“Il tuo essere spumeggiante basta e avanza per due” sentenziò con un ampio sorriso e, suo malgrado, Hinata abbozzò un sorriso.
“Troppo entusiasmo non fa bene a una sola coppia” annuì Suga con aria grave.
Il cuore di Shoyo accelerò i propri battiti.
“C-c-coppia? Ma di che state…”
Gli acuti del rosso furono però interrotti da Tanaka.
“Assolutamente! Ve lo ricordate coso, come si chiamava… Teru qualcosa? Quello con il piercing sulla lingua?”
Gli occhi vispi di Nishinoya ebbero un guizzo.
“Terushima! Ah, come dimenticare quel…”
 
“Basta così!” sentenziò a quel punto Shoyo con le guance decisamente imporporate, frenando le lingue dei due ragazzi prima che fosse troppo tardi.
“La pausa è finita, si torna a lavoro!” squittì con fermezza, dileguandosi poi dalla porta e chiudendosela alle spalle con un sospiro di sollievo.
 
Non era mai stata una persona timida, questo era più che palese.
Eppure…
 
 
S’incamminò lungo i corridoi del quinto piano, salutando con un sorriso i colleghi che stavano cenando o prendendo un attimo di respiro nelle salette adiacenti, tra cui Daichi ed Ennoshita che, nonostante il break, stavano consultando con estrema attenzione cartelle cliniche stracolme di fogli, sparsi sui tavolini della sala ristoro. 
 
Erano dei gran lavoratori, rifletté con un moto di ammirazione verso i suoi senpai.
Non avrebbe potuto chiedere luogo lavorativo migliore per crescere e maturare.
Aveva raggiunto grandi traguardi da quando era ancora un novellino, appena giunto in quell’enorme struttura che lo aveva terrorizzato da morire al primo sguardo… ma in cui aveva trovato una vera e propria famiglia.
Era consapevole dell’enorme aiuto che tutti, nessuno escluso, gli avevano dato in quell’ospedale.
Del conforto, della sicurezza e della stabilità dell’esser parte di una grande squadra.
Di un posto in cui, finalmente, potersi sentire a casa.
 
Continuò a camminare lentamente in avanti con le mani infilate nelle tasche del camice, fissando come in trance le mattonelle chiare della lunga ala dell’ospedale.
 
La paura di non riuscire a trovare un luogo in cui appartenere lo aveva perseguitato fin da bambino.
Il non riuscire…
 
A raggiungere la dannata vetta di quel muro altissimo che gli si parava davanti, che lo opprimeva e schiacciava contro il pavimento freddo.
 
Non era un muro costruito in mattoni o in cemento.
Sarebbe stato semplice da scalare, per uno come lui.
Era il muro formato dagli ostacoli che, fin da quando i suoi giochi preferiti non erano macchinine e costruzioni, ma l’Allegro Chirurgo e il kit medico formato baby, aveva incontrato sul suo cammino.
Sua madre lo aveva messo in guardia dalla lunga e impervia strada che avrebbe trovato dinanzi a sé, in cui avrebbe dovuto proseguire soltanto con le proprie forze.
E per un minuscolo bambino che stentava a crescere, quella pareva un’impresa a dir poco titanica.
I suoi insegnanti lo avevano stroncato fin dall’inizio medie.
Quello che sognava era un mestiere che richiedeva troppo studio e, per un ragazzino dalla testa fra le nuvole che non riusciva a concentrarsi per più di due minuti consecutivi durante le lezioni, sarebbe stato uno sforzo assolutamente impossibile.
I suoi senpai delle superiori avevano cercato di distoglierlo da quella folle aspirazione e lo avevano anzi incitato a sfruttare le proprie abilità fisiche nelle attività pomeridiane scolastiche.
Lo avevano praticamente supplicato d’iscriversi al club di atletica non appena lo avevano scorto arrampicarsi agilmente su un altissimo ciliegio del cortile, per aiutare un uccellino che pareva non riuscisse a volare.
Era stata una sorpresa anche per lui l’iniziare a vincere gare sempre più importanti, portando il nome della propria scuola fin a livelli Nazionali.
Shoyo era sempre stato un ragazzino elastico e veloce, ma non aveva mai pensato di poter impiegare quella sua peculiarità in attività serie che non fossero correre e saltare sugli alberi come una piccola scimmia.
Eccelleva nel salto in alto, nonostante fosse solo uno scricciolo di allora 162 cm.
Non poteva dire di non essersi divertito durante quegli anni.
Era sempre stato un ragazzo amante del movimento, iperattivo, come lo definivano i suoi docenti, ed era naturalmente portato per l’atletica leggera.
 
Tuttavia, per quanto saltasse, per quante sbarre bianche superasse…
Il suo obiettivo si trovava ancor più in alto.
 
Nonostante la medaglia di bronzo ai Nazionali del suo secondo anno di superiori, accolta con estrema gioia dal suo club e dalla scuola, Hinata aveva deciso, per lo sbigottimento generale, di ritirarsi da ogni attività extracurriculare.
L’esame per accedere alla facoltà di Medicina era uno dei più tosti e, sebbene negli ultimi anni si fosse impegnato più del solito nello studio, quello sforzo non era stato sufficiente.
Avevano tutti scoraggiato quella sua decisione.
Lo davano tutti come un caso senza speranza.
“Potrai studiare quanto vuoi, ma è la testa che ti manca” gli dicevano, scoccandogli una pacca confortante sulla spalla.
 
Eppure, lui non aveva mai demorso.
 
Non gli era mai importato diventare un luminare della medicina.
Lui voleva solo… riuscire a raggiungere la sua personalissima cima.
Non desiderava davvero altro.
 
Eppure…
 
I muri che gli erano sempre apparsi davanti al viso, parevano divenire più insormontabili e minacciosi che mai, per quanto lui riuscisse a saltare in alto.
“Non ce la farai mai!” gli urlavano, sbeffeggiandolo per i suoi sogni stupidi e infantili.
Si era quasi dato per vinto, a un certo punto, quando gli avevano offerto una borsa di studio sportiva per un’Università di Sendai.
“E’ ciò che di meglio tu possa sperare di ottenere” gli avevano consigliato caldamente i professori, incoraggiati dai genitori e i compagni di classe.
 
Ciò che di meglio poteva sperare di ottenere…?
 
Era forse stato quell’ennesimo muro a spingerlo definitivamente giù, scaraventandolo prepotentemente con la faccia a terra.
 
“Non sei portato per fare il medico, è una professione troppo impegnativa per te”
 
“Come credi che ti possano prendere sul serio i pazienti?”
 
“Sei troppo sensibile per poterlo diventare”
 
“Troppo debole”
 
“Sorridi troppo per saper affrontare i dolori che ti ritroverai davanti”
 
A quell’ennesima martellata al petto, Shoyo era stato come percorso da un’imprevedibile scarica elettrica dalla testa i piedi.
 
Sorrideva troppo per poter diventare un buon medico?
 
Ricordava nitidamente che, dopo aver sentito quella frase tagliente proveniente da chissà chi, si era rinchiuso in camera, affondando la testa sul cuscino per vagliare ogni possibile memoria che contenesse il perché che stesse alla base del suo sogno impossibile.
 
Aveva cinque anni ed era un minuscolo bambino iperattivo, non molto differente dalla versione attuale.
Un giorno però, aveva scoperto di non riuscire più a scorrazzare per i giardini come sempre.
Ansimava, tossiva e un doloroso mal di gola non gli dava tregua.
I suoi genitori l’avevano fatto visitare da vari medici delle cittadine vicine e tutti, nessuno escluso, avevano provocato al piccolo Shoyo uno spavento apparentemente immotivato.
Non si erano comportati da maleducati con lui, naturalmente.
Eppure, il modo in cui lo guardavano… era talmente estraneo da provocargli irrimediabilmente sonori singhiozzi disperati.
Quegli occhi vacui e privi di calore, quelle espressioni indifferenti e frettolose, quelle mani fredde… erano immagini e sensazioni che si erano impresse nella memoria del piccolissimo bambino.
Ogni volta che doveva entrare nello studio di un dottore, Shoyo si accucciava al petto della madre e iniziava a piangere incontrollabilmente, incurante delle occhiatine strane che gli lanciavano gli altri infanti seduti vicino a lui.
Non appena scorgeva quel lungo camice, bianco e sterile, desiderava soltanto scappare via il più lontano possibile.
Quando la sua malattia aveva iniziato a peggiorare e i suoi genitori lo avevano portato in una enorme struttura grigia chiamata “Ospedale”, il terrore del piccolo Hinata era schizzato a livelli prima sconosciuti.
Tutti coloro che si erano avvicinati a lui lo avevano guardato con occhi piccoli e sfuggenti, visitandolo con guantini dal tocco appiccicoso e infilandogli disgustosi bastoncini di legno in gola senza alcun riguardo.
Nessuno di loro aveva mai parlato con lui.
Erano i suoi genitori, gli interpellati.
Quella tortura era durata ben tre giorni, finché…
 
“Hai dei bellissimi capelli rossi! Come ti chiami, giovanotto?”
 
Shoyo aveva alzato timidamente il visino rigato di lacrime a quella voce calda e gentile.
La prima cosa che aveva distintamente scorto dalle sclere appannate, era stato un grande, bianchissimo sorriso.
Ricordava di averlo fissato per qualche istante prima che una piccola piega si fosse disegnata sulle sue morbide guance rosa.
“Mi… chiamo Shoyo” aveva risposto, allargando le iridi nocciola per poter meglio guardare la figura davanti a sé.
Si trattava di un uomo dai lunghi capelli bianchi legati in una treccia e dai buffi occhialini tondi.
Aveva parlato con lui senza imbarazzi, ridendo come se non si trattasse di una persona adulta, ma di un semplice compagnetto di scuola.
L’uomo l’aveva visitato con gentilezza, scombinandogli i capelli non appena terminato e regalandogli perfino un lecca-lecca alla fragola, per sua grande gioia.
 
Ma ciò che più aveva colpito la mente del piccolo Shoyo… era che quella bizzarra figura non aveva perso il sorriso per un singolo attimo, durante il corso della visita.
 
 
Il dottor Otonashi era stato il suo medico per tutta la permanenza in ospedale per curare quella che, aveva scoperto, era una mononucleosi infettiva.
Tanti altri medici passavano ogni giorno dalla stanzetta che condivideva con altri tre bambini, ma ogni volta rifiutava categoricamente di essere visitato finché il suo dottore non sarebbe arrivato, portando cestini di caramelle e un sorriso caldo sul volto contornato dai capelli lisci e bianchi.
 
Era stato allora, guardando quell’uomo chino sui lettini di tanti bambini sorridenti, nonostante le flebo attaccate alle piccole braccia e la malattia che segnava le pelli delicate, che la mente di Shoyo aveva urlato, come colta da una trascendente illuminazione...
 
“Voglio essere anch’io come lui!”
 
Ed era stata proprio quella convinzione l’unica fonte che gli aveva permesso, tredici anni dopo, di rialzarsi dal letto con rinnovata energia.
Quel pensiero a fargli sbattere la testa contro il muro più e più volte, consentendogli di affrontare quei muri colossali e minacciosi.
Era stato il dolce sorriso di quell’uomo buffo, a portarlo alla laurea in Medicina, per lo sconcerto di tutte le persone che lo avevano conosciuto in passato.
Era stato per quel sorriso, che adorava il suo lavoro più di ogni altra cosa al mondo.
 
 
“E’ stato quel sorriso a cambiarmi la vita” rifletté Hinata con espressione nostalgica ma colma di dolcezza mentre varcava la soglia del suo studio al terzo piano del Karasuno Hospital, chiudendosi poi la porta alle spalle.
Si sedette sulla poltrona rossa dietro la propria scrivania, stiracchiandosi la schiena e fissando per qualche attimo un punto indefinito davanti a sé.
 
“Ma lei è sempre così sorridente?”
“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?”
 
“Si sorride quando si è felici!”
 
“Lei… non è felice, Kageyama-san?”
 
Ripensò alle parole che aveva rivolto in entrambe le occasioni a quell’avvocato scorbutico, alla sua reazione prima brusca e poi… gelida.
Razionalmente, sapeva che non doveva immischiarsi con le faccende di quel ragazzo dai lisci capelli corvini.
Le volte in cui aveva tentato, si era solo guadagnato rispostacce e riscontri scortesi.
Eppure, nonostante quello…
 
Giocherellò con le penne sparse lungo la scrivania in vetro, mischiandole ai colori a spirito che qualche suo piccolo paziente aveva lasciato in disordine.
 
Non sapeva definire il motivo specifico, ma qualcosa in quel giovane lo attraeva in una maniera particolare.
Se l’oscurità delle parole rivoltegli al loro primo incontro l’aveva profondamente ferito, quel minuscolo sorriso che gli aveva scoccato qualche ora prima lo portava a pensare che, forse, quell’uomo non era solo buio.
 
“E poi, è davvero figo”
 
Gli occhi di Shoyo si spalancarono e le dita che muovevano i pennarelli s’immobilizzarono di colpo.
 
Ma che razza di pensieri futili andava a formulare?!
 
Scosse la testa con forza e, afferrando a casaccio una cartella clinica, iniziò a sfogliarla forsennatamente.
Non era rilevante che quel Kageyama avesse degli splendidi occhi blu come il mare, come aveva osservato Suga.
Erano sempre duri e freddi, si ricordò, annuendo energicamente.
 
Si perse per un attimo tra le fitte righe del foglio bianco dinanzi al suo viso.
 
Aveva anche delle bellissime mani, grandi e dalle dita sottili…
 
“Basta così!” squittì per zittire il proprio cervello, alzandosi di scatto dalla poltrona e iniziando a rimettere in ordine quel manicomio che era il proprio tavolo, sentendo la concreta necessità di dover impegnare la propria mente in qualsiasi attività che non fosse il riflettere.
 
Poi, il ricordo delle parole provocatorie che aveva rivolto al ragazzo gli imporporò le guance dall’imbarazzo.
Da come aveva reagito, non credeva affatto che il corvino avesse una ragazza.
 
Non che lui potesse permettersi di parlare, comunque.
 
Si mordicchiò il labbro inferiore mentre impilava i foglietti azzurri delle cartelline aperte negli appositi spazi trasparenti.
 
Nonostante il carattere aperto ed espansivo, poteva dirsi non altrettanto estroverso nelle relazioni sentimentali.
Non perché fosse una frana negli approcci o qualcosa del genere.
Sapeva di non essere interessato alle ragazze da tanto tempo ormai e, a dir la verità, non era mai stato un problema ammettere a se stesso di covare simpatie per i ragazzi.
Soltanto…
 
Pareva non esserci alcun individuo capace di attirare il suo interesse.
Forse era proprio per quel motivo che avesse, inconsciamente scritto il suo numero a…
 
Il trillo invadente del cercapersone all’interno del camice bianco fu accolto con sollievo, interrompendo così gli scomodi pensieri che avevano già iniziato ad aleggiare dispettosi nella sua mente.
 
 
 
***
 
 
 
“Ce l’ha una ragazza? O con il suo caratteraccio…”
 
Disteso sopra al morbido copriletto blu cobalto dello spazioso letto a due navate, illuminato solo dalla lieve luce gialla dell’abat-jour sul comodino, Tobio rimuginava sugli eventi di quella giornata.
“Come si permette quel medico da strapazzo di rivolgere a me una domanda tanto personale” inveì mentalmente alla memoria di quella frasetta pronunciata con ironia.
Fissò il soffitto bianco per alcuni minuti.
 
In verità, non aveva mai avuto una ragazza in vita sua.
Le aveva sempre considerate come uno spreco di tempo, per lui essenziale al raggiungimento dei propri obiettivi.
Senza contare che…
 
Sbuffò nel silenzio della stanza e si girò di lato, stando ben attento a non premere il peso del proprio corpo sul braccio ingessato.
 
Sarebbe stato più semplice se gli fosse bastata una ragazza per considerarsi fisicamente soddisfatto.
 
Le poche avventure, tutte risalenti al periodo universitario, intraprese con il sesso femminile non erano state degne di nota.
Non che disdegnasse le ragazze, era stato anche attratto da alcune belle curve che avevano dimostrato interesse per la sua figura un po’ cupa e rigida, solo che...
Semplicemente, non lo appagavano poi un granché.
 
Aveva persino creduto che la sua fosse una condizione normale, finché, nel caos di una festa in discoteca di alcuni anni precedenti cui Akaashi aveva insistito per andare, perché a sua volta vi era stato trascinato da Bokuto, un ragazzo esile e dal bel viso non aveva inaspettatamente attirato la sua attenzione.
Mezzo ubriaco e stranamente attratto da quei lineamenti delicati, dopo vari minuti in cui lo sconosciuto gli aveva sensualmente parlato a pochi centimetri dal viso, l’aveva seguito fino a casa sua, dove aveva scoperto, per la prima volta, cosa volesse dire fare veramente sesso.
 
Da quel momento in poi, aveva iniziato a frequentare almeno qualche volta al mese discoteche e locali affollati, in cui avrebbe potuto incontrare con una certa semplicità giovani attraenti ben disposti ad andare a letto con lui.
La facilità derivava dall’assenza di convenevoli non necessari… o, più che altro, da un’interazione verbale che non andasse oltre il “Mi piaci bel tenebroso” e il “Casa mia è proprio a due passi”.
 
Tuttavia, anche solo pensare di poterne incontrare uno al di fuori delle luci stroboscopiche, da lui tanto odiate ma grazie alle quali era possibile nascondere le guance imporporate…
Era assolutamente fuori discussione.
Per di più, non ne aveva mai avvertito l’esigenza.
Gli bastava una sana scopata a cadenza regolare per soddisfare il suo fisico.
Per il resto, il suo lavoro aveva sempre operato da compensatore.
 
Naturalmente, la rigida sistematicità della mente di Tobio non aveva mai nemmeno preso in considerazione elementi esterni a quel ferro ragionamento.
Così, le immagini che la sua mente aveva spesso colto con uno strano sentimento che esseri umani normali avrebbero definito invidia, raffiguranti gli occhi stanchi e solitamente freddi di Akaashi illuminarsi non appena scorgevano il suo imponente ragazzone sorridergli con calore, si limitavano ad esser conservate con cura dall’inconscio nei meandri più nascosti della sua memoria.
 
Si stiracchiò la schiena un po’ indolenzito e lo sguardo gli cadde sul moderno comodino alla sua destra.
 
Accanto all’Iphone di ultima generazione, svettava il cartoncino chiaro consegnatogli dal medico quel pomeriggio.
Si accigliò a guardare quei numeri scribacchiati a mano, su cui aveva rimuginato per tutta la serata.
La domanda che gli rimbombava in testa era sempre la medesima.
 
Perché mai scrivergli il suo numero personale?
 
In casi come quelli, l’indirizzo email era più che sufficiente o, se proprio doveva pensare più in grande, al contatto del cellulare lavorativo.
 
Assottigliò le palpebre, fissando l’oggetto incriminato come se dovesse esplodere da un momento all’altro.
 
Dopo un tempo apparentemente interminabile, afferrò lo Smartphone con la mano sinistra, rimettendosi con la schiena supina.
Con gli occhi ancora arpionati a quella scritta, digitò con le dita qualcosa sulla tastiera.
Riportò gli occhi al luminoso display.
Un numero adesso svettava sullo schermo.
 
Mordendosi l’interno della guancia, lo memorizzò sotto il nome di “Medico idiota”.
 
Appoggiò il cellulare sul mobiletto e si rimise comodo, infilandosi sotto le coperte e preparandosi per una bella e riposante dormita.
 
Stava quasi per spegnere la luce, quando un pensiero lampo gli si proiettò nel cervello.
 
Maledizione.
 
Con estrema lentezza e non pochi tentennamenti, riacchiappò il cellulare, sbloccò lo schermo scuro e aprì Line.
Ignorò le pochissime chat esistenti e digitò nella barra “Cerca” il contatto appena memorizzato.
Gli apparve in pochi istanti.
 
Con le labbra contratte in una smorfia quasi dolorante per quel che stesse per fare, vi premette, cosicché potesse accedere al profilo.
Non c’era molto da vedere, ovviamente, non era certo un social network.
Tranne…
 
La curiosità aveva ormai avuto totalmente la meglio su di lui e, fremendo appena, cliccò sulla foto profilo del medico.
Non sapeva esattamente cosa aspettarsi, ma l’ultima idea che poteva anche solo minimamente ipotizzare…
 
Era la faccia di quel tipo accanto a una ragazza.
 
Percepì improvvisamente qualcosa di spiacevole premergli sulla bocca dello stomaco.
Non ne comprese la causa scatenante, ma seppe solo che era… fastidiosa.
Un po’ come quell’immagine.
 
Aspetta, cosa??
 
Prima che potesse approfondire le sensazioni che gli stava confusamente inviando il cervello, le pupille si focalizzarono meglio sulla foto davanti ai suoi occhi.
 
Il rosso teneva il braccio avvolto alla vita di una ragazza più bassa di lui, mentre questa gli circondava le spalle magre con l’avambraccio.
Un ampio sorriso disegnava il volto di entrambi che, si accorse con sorpresa Kageyama…
Era terribilmente simile.
Allargò le iridi blu appena si accorse di un minuscolo dettaglio fino a quel momento ignorato.
Quella giovane aveva fluenti capelli rossi che le accarezzavano i fianchi.
Assolutamente identici a quelli del ragazzo.
 
Sua sorella, realizzò la mente di Tobio e i muscoli contratti del suo stomaco, magicamente, si distesero.
 
Adesso che la riguardava con attenzione, poteva avere al massimo sedici anni.
Quel medico aveva la foto profilo con la sorellina minore.
Chissà perché, ma quadrava perfettamente con l’immagine caratteriale che si era prefigurata nella mente del legale.
 
Con occhio critico, ignorando totalmente solo allora quella ragazzina, si soffermò a guardare invece la figura maschile.
 
Indossava una t-shirt casual che gli vestiva morbidamente il busto e jeans aderenti che gli fasciavano le gambe magre.
Outfit davvero poco consono per un medico, rifletté accigliato.
I capelli color carota sembravano scompigliati dal vento e gli ricadevano dolcemente sul viso, i cui occhi nocciola brillavano alla luce del sole.
E poi, vi era il solito, smagliante sorriso che gli dava su i nervi.
 
Con le labbra contratte e le sopracciglia aggrottate, non seppe per quanto rimase con le dita sollevate davanti alla faccia per studiare quella fotografia.
Realizzò solo che, all’improvviso…
 
“Certo che è proprio carino”
 
Spalancò le palpebre e staccò la mano dal telefono tanto repentinamente che quello gli ricadde con un tonfo sonoro sul naso, strappandogli un ringhio dolorante.
 
Sedendosi di scatto e quasi lanciando il cellulare dall’altra parte del letto, massaggiandosi nel contempo il punto in cui aveva subito la botta, imprecò almeno un milione di volte per quell’assurdità che il suo cervello aveva osato pensare.
 
“E’ solo un deficiente senza speranza” ribadì con forza, ficcandosi poi nuovamente sotto le coperte e immergendo la testa contro il cuscino.
“Non importa quanto carino sia, e tanto non lo è mica!, rimane un idiota invadente e inopportuno” concluse con uno sbuffo stizzito, serrando le palpebre e lasciando che quella giornata gli scivolasse addosso come qualunque altra prima d’allora.
 
Purtroppo, però, quella volta senza successo.
 
 
 
 
 

 

 
Note finali: penso sia l’aggiornamento più veloce fatto finora, sono soddisfatta di me stessa (ma non cantate vittoria troppo presto, chissà i prossimi quando arriveranno).
Dopo lo scorso capitolo, era d’obbligo approfondire il personaggio di Shoyo e il suo punto di vista.
A differenza di Kageyama, con cui ho un feeling più immediato, è stato un tantino più difficile immergermi nei panni di Hinata.
Avrei dovuto evidenziarlo fin dal primo capitolo, ma per la stesura del suo personaggio mi sto ispirando alla figura di Patch Adams, che ho conosciuto grazie all’omonimo film con Robin Williams (di cui ho rubacchiato alcune frasi contenute sempre nel primo cap e mi sono dimenticata di precisarlo, vado di corsa a porre quest’aggiunta).
Faccio una piccola parentesi: come avete notato, questa è una storia prettamente introspettiva e, come tale, sto cercando di svilupparla (prendendoci anche molto gusto a dir la verità).
Di conseguenza, la trama è molto importante per l’evoluzione delle interazioni fra i personaggi, ma ci saranno sempre lunghi spazi dedicati alla pura analisi dei loro pensieri.
E’ un tipo di scrittura che mi piace particolarmente, ma vi sarei grata di farmi notare se mi perdo troppo in alcuni passaggi o se trovate lo stile poco scorrevole.
Ah, e se la narrazione vi sta interessando, naturalmente.
Le vostre opinioni sarebbero davvero apprezzate.
Detto ciò, gli ingranaggi hanno iniziato a muoversi, sebbene un po’ a rilento, lo ammetto (il capitolo è risultato più lungo del previsto, ma non avevo voglia di spezzare in due la narrazione).
Se avete domande, non esitate a chiedere.
 
Ringrazio tantissimo le persone che abbiano inserito la storia tra le preferite, le seguite (siete molti di più di quel che mi aspettassi, questa cosa mi rende muy muy feliz) e chi mi lascia una recensione (mi spronereste molto con i vostri commenti).
Bacini a tutti coloro che abbiano letto fin qui, ci si sente ^-^

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Capitolo 5
*** V. Incatenato ***


V

Incatenato






 
“Dalle nove alle dieci appuntamento con gli ex coniugi Yamamoto, dalle dieci alle dieci e trenta con la dottoressa Suzuki, dalle dieci e trenta alle undici e quindici con il signor…”
 
“Perché mai hai segnato ben un’ora di tempo con quei tizi lì?”
 
La netta e tagliente interruzione di Kageyama provocò un accentuato singulto alla ragazza dal discreto tailleur grigio, ritta in piedi dinanzi alla pregiata scrivania in noce del legale.
Con gli occhi ostinatamente fissi sull’imperiosa agenda di pelle nera aperta proprio davanti al viso, come si trattasse di un sicuro riparo per potervisi nascondere, si raddrizzò nervosamente la montatura scura degli occhiali sul ponte del naso.
“P-perché tutte le altre volte che sono stati ricevuti da lei, hanno sempre occupato il doppio del tempo previsto dalla scaletta giornaliera, causando lo slittamento di tutti gli appuntamenti. Sa, litigano sempre per ogni piccolo cavillo…” cercò di spiegare con voce docile, sollevando le iridi scure dagli spessi fogli e lanciando al corvino un’occhiata a modo suo eloquente.
Quando si accorse tuttavia che il volto di Kageyama era rimasto impassibile a quella notizia, gli occhi blu perennemente distaccati e la curva della bocca dritta come un’inflessibile retta, si premurò d’aggiungere balbettando “S-sono i signori che, e-ecco, le fanno perdere la pazienza un tantino più del solito… hanno una causa di divorzio aperta da tempo senza riuscire a giungere a un comune accordo”
La mente di Tobio, fino a quel momento piatta come la linea di un encefalogramma, ricevette un piccolo impulso solo a quell’ultima rilevante informazione.
“Ah, intendi la pratica 1324Y3, in sospeso da ben quattro mesi… allora sì, è inevitabile riservare più tempo del necessario per far decidere quei due. Va’ avanti con gli impegni di oggi, ma non ti soffermare sui nomi dei clienti, non potrebbe importarmene di meno” le intimò con un secco cenno del capo, la schiena ben impettita sulla pelle lucida della poltrona.
 
La segretaria trattenne a fatica un tremulo sospiro di sollievo per non aver commesso un errore di valutazione sul comportamento dei clienti.
Si azzardò ad abbassare appena l’agenda per scoprire parte del viso, contornato da lievi lentiggini chiare.
 
“In totale, ha in programma sette appuntamenti questa mattina, fino alle tredici in punto. Alle quindici e trenta, il giudice Sato l’ha convocata per un approfondimento sul caso Kuzu… cioè, volevo dire, sulla pratica 6532T4 e il relativo processo. Vi è un ultimo cliente alle diciannove e trentacinque, ma per le venti e dieci dovrebbe aver terminato” concluse diligentemente, le lenti appena scivolate sul lungo naso adunco.
“Bene. Va’ a prendere i fascicoli di tutte le cause della giornata e poi ritorna alla tua postazione” sciorinò Kageyama senza alcuna inflessione vocale particolare, abbassando poi gli occhi sulla scrivania colma di scartoffie per scovare tra le varie cartelline multicolori quella che avrebbe dovuto analizzare con il magistrato nel pomeriggio.
“Certo, vado immediatamente” squittì subito la giovane, chiudendo l’agenda voluminosa con uno scatto e dirigendosi verso la porta scorrevole dell’ufficio a passo svelto.
“Ah, Naka…mura?” la richiamò Tobio, indugiando un momento per scovare il cognome della brunetta fra le mille informazioni stipate nella sezione del cervello adibita a tutto ciò reputato non indispensabile e, per la maggior parte dei casi, alquanto noioso.
La ragazza si bloccò istantaneamente, come pietrificata sul colpo, e voltò il capo con apprensione.
“S-sì, Kageyama-san?” pigolò, reggendo stretta al petto la rubrica finemente rilegata.
Il legale si soffermò a guardarla con strana attenzione per qualche secondo, prima di borbottare, distogliendo lo sguardo…
“Hai una ciocca fuori posto. Sai che bisogna presentarsi al meglio di fronte ai clienti, no?”
La leggera sfumatura rosata sulle guance magre della donna sbiancò al pari di un lenzuolo fresco di bucato.
Sollevò la mano destra sulla crocchia di capelli scuri e agguantò la piccola manciata di peli scombinata tanto repentinamente da sembrare che se la stesse quasi sradicando.
“M-mi di-dispiace infinitamente, K-Kageyama-san, non ho avuto il t-tempo di controllarmi allo specchio dell’ingresso… mi perdoni, non succederà mai più, vado immediatamente a ricompormi!” quasi singhiozzò, il volto divenuto improvvisamente rovente e le falangi che ancora nascondevano la ciocca dispettosa.
Sulla fronte di Tobio apparve una rughetta interdetta.
“A-aspetta, Nakamura…”
Ma il tentativo di fermarla fu anticipato dalla corsa fulminea della ragazza in direzione della toilette nel corridoio opposto all’ufficio.
 
Si grattò la nuca con le lunghe dita, interdetto.
 
Non aveva mica intenzione di provocarle un attacco d’ansia del genere.
Voleva, semplicemente, farle notare che avesse una piccola ciocca…
 
“Oh, al diavolo” pensò poi con uno sbuffo scocciato, rimettendosi a cercare la pratica con l’ausilio della sola mano sinistra.
 
In fin dei conti, ogni parola che gli fuoriusciva dalla bocca riusciva ormai irrimediabilmente nell’intento di ferire qualcuno.
Persino le rare volte in cui non ne aveva la minima intenzione.
 
Quell’ultimo, fugace pensiero, provocò l’arresto della sua operazione di ricerca in favore di un’inavvisata riflessione.
 
La reazione delle persone che lo circondavano e con cui aveva, volente o nolente, un minimo d’interazione, erano sempre le medesime, sfumatura più sfumatura meno.
Tralasciando i colleghi, se proprio doveva definirli a tal modo, con cui si scontrava un giorno sì e uno pure e che lo fissavano con disprezzo o malcelata ira, i restanti componenti dello studio legale parevano comportarsi in maniera a dir poco peculiare in sua presenza.
 
Nakamura, ad esempio.
 
Ogni volta che soleva rivolgersi a lui pareva camminar sempre sull’orlo dell’incertezza e, nelle frammentate occasioni in cui lo guardava negli occhi, Tobio aveva potuto scorgere un lieve tremore imperniarla da capo a piedi.
Le assistenti degli altri avvocati, invece, parevano proprio saltare per aria non appena incrociavano i suoi passi.
Rammentava, a tal proposito, un particolare episodio che vedeva come protagonista la segretaria di Kunimi.
La donna, che si accingeva a lasciare la struttura avendo terminato il turno, aveva distrattamente dimenticato il portafoglio sulla propria scrivania, posta dinanzi quella di Nakamura.
Il corvino, accortosi dell’oggetto lasciato incustodito, aveva cercato con lo sguardo la proprietaria e, occhieggiandola sulla soglia d’ingresso mentre si apprestava a chiudersi la porta alle spalle, le aveva urlato a gran voce “Ehi, segretaria dalla treccia bionda!”
Non avrebbe mica potuto prevedere che, per lo spavento dell’udire la voce imperiosa di quel legale, si sarebbe rovesciata sulla camicetta perlacea il caffè bollente che stringeva in mano, strillando poi per il dolore un millisecondo più tardi.
 
Dannazione, voleva soltanto restituirle il fottuto portafoglio.
 
Gli pareva una reazione per lo meno eccessiva, quella imbastita dalla tizia.
Non che gliene fregasse qualcosa, naturalmente.
Potevano considerarlo alla stregua d’un tiranno crudele e dispotico.
Per lui non vi era la minima differenza.
Era abituato a ignorare ed essere ignorato, fine della storia.
 
Anche se…
 
La mano, ancora immersa in mezzo ai fogli sparsi per il tavolo, ebbe un tremito inatteso.
 
La persistente sensazione provata quando quello scricciolo non era rimasto offeso dalle sue parole volutamente insolenti, scoccategli in ben due occasioni, non conteneva in sé mero disinteresse nei suoi confronti.
Si trattava di…
 
Si morse l’interno della guancia, vivamente accigliato.
 
Possibile che fosse una specie di sollievo?
 
Sbuffò con ostentata ilarità.
 
E perché mai si sarebbe dovuto sentire addirittura sollevato per una faccenda d’infinitesima rilevanza come quella?
Sarebbe già dovuta essere archiviata e sotterrata nella sezione del cervello riservata alle corbellerie.
 
Scrollò fermamente la testa e acchiappò finalmente l’oggetto del proprio interesse da sotto una pila di documenti dall’aria piuttosto antica.
 
Certo, non poteva negare che interagire con persone che lo considerassero anche qualcosa di lievemente diverso da uno spietato dittatore… non fosse un tantino piacevole.
 
Fissò il materiale plastico giallino che stringeva tra le dita.
 
Akaashi-san, per esempio.
Trascorrere del tempo con lui era gradevole.
Ciò perché il ragazzo lo riteneva, se non propriamente un amico, almeno un suo… pari?
Trattare con qualcuno allo stesso livello, era un concetto quasi sconosciuto, per Kageyama.
Insomma, quasi nessuno poteva ritenersi degno della sua stima.
Allora…
 
La testa di Tobio lavorò più velocemente della volontà di trattenere gli scomodi pensieri e ficcarli a forza nel consueto oscuro meandro del cervello.
 
Dato che parlare con quello strambo non era sgradito, ne conseguiva che lo considerasse un pari degno di rispetto?
 
Quel pensiero folgorante gli paralizzò i movimenti del corpo rendendolo di pietra, stato che perdurò per un lasso temporale che non riuscì a classificare con certezza.
 
 
Fu Nakamura a scuotergli le sinapsi quando varcò con cautela la soglia dell’ufficio, la crocchia scura perfettamente ravvivata, e appoggiò le cartelle recuperate in archivio sulla scrivania inchinandosi piano, per poi congedarsi senza emettere il minimo fiato.
 
Dopo aver occhieggiato come in trance i movimenti centellinati della segretaria, Tobio mosse lentamente le iridi blu verso il cellulare, accuratamente posto a lato del pregiato tavolo.
 
Quell’idiota, degno di rispetto?
Gli parevano due concezioni di mondi diametralmente opposti, mai destinati a collimare in alcun modo.
 
Quel rosso altro non era che un microscopico dottoruccio dal ridicolo camice esageratamente lungo, che si divertiva ad andarsene in giro con un’inconcepibile targhetta colorata recante il nome a spessi caratteri purpurei.
“Chi mai dovrebbe prenderlo sul serio, andiamo” pensò con uno sbuffo di scherno.
Per non parlare poi dell’inaudita filosofia di vita riciclata dal magico mondo delle fate.
Pareva che non conoscesse la vita vera, quello stramboide lì.
E ciò lo faceva notevolmente incazzare.
 
Farsi coinvolgere dai sentimenti sul lavoro?
 
Si lasciò sfuggire una risatina priva di gioia.
 
Il requisito fondamentale per ogni tipologia di mestiere, avrebbe sempre dovuto essere la pura professionalità.
Soprattutto dinanzi a situazioni ostiche e dolorose.
Insomma, quanti clienti dal volto disperato e piagnucolante si era trovato di fronte?
Se si fosse lasciato intenerire da ognuno di loro, chissà quanto tempo prezioso avrebbe perso fra un appuntamento e l’altro, senza contare che un possibile coinvolgimento emotivo avrebbe sicuramente determinato una distrazione dallo scopo principale della causa.
Stronzate belle e buone, quindi.
Non avrebbe mai potuto mostrare rispetto nei confronti di qualcuno totalmente mancante di serietà.
 
Però…
 
Guardò nuovamente lo schermo scuro dello Smartphone.
 
Non poteva non ammettere di non essere, in qualche modo astruso e assolutamente fuori da ogni logica, almeno un pizzico attratto da quell’essere dal fottuto sorriso brillante.
 
Sì, perché quel fottuto sorriso splendeva, almeno nei suoi ricordi.
 
Grugnì non poco sonoramente.
 
Ultimamente il suo cervello somigliava a una matassa di pensieri attorcigliati e confusi.
Lui detestava le complicazioni prive di una connessione sensata.
E qualcosa nell’animo gli suggeriva che, quel rosso, fosse tutto fuorché semplice.
Per uno come lui, abituato ad analizzare dati e adoperare le più svariate strategie vincenti per aggirare anche il più microscopico ostacolo, quel tizio rappresentava…
 
Un’incognita.
 
Una variabile non ancora definita all’interno di un’equazione che, almeno a livello teorico, non sarebbe stata affatto complicata da svolgere.
Eppure, quell’unica, maledettissima x, gli stravolgeva l’intero procedimento perfettamente ragionato.
Era assolutamente scontato che mai e poi mai avrebbe dovuto provare attrazione nei confronti di un medico da strapazzo con la morale di un moccioso.
Avrebbe potuto immergervi la mano tra braci ardenti.
Nonostante ciò, il risultato di quella lapalissiana operazione…
Non combaciava con la realtà dei fatti.
Da quello scricciolo, lui…
 
Ma perché?
Perché, perché, perché, maledizione??!
 
Non c’era senso, non esisteva una singola motivazione valida.
Più cercava di applicare un metodo razionale a quel ragionamento, più falliva miseramente e i propri pensieri intraprendevano direzioni totalmente scollegate.
Sentieri che conducevano tutti verso un’area del cervello a lui oscura e… profondamente celata.
Il traguardo brutalmente tagliato, indicavano un’unica possibile soluzione.
 
Ma diavolo, perché cazzo aveva voglia di rivedere quell’idiota??
 
Se i suoi occhi dardeggianti avessero posseduto qualche distruttivo superpotere, a quest’ora avrebbero già incenerito l’Iphone che continuava a fissare da almeno cinque minuti buoni.
 
Si ficcò le dita tra la chioma corvina e strinse i capelli tanto forte da percepire la cute pizzicare dolorante, ma non vi badò minimamente.
 
C’era un’idea, una minuscola e spinosissima ipotesi che, ormai da qualche giorno, gli solleticava le suscettibili sinapsi.
 
Ponendo anche il caso che avrebbe voluto, in una remotissima supposizione mai e poi mai realizzabile nemmeno nei mille anni successivi…
 
Con quale diavolo di scusa avrebbe potuto scrivergli?
 
Non necessitava d’informazioni mediche, poiché la nuova cura prescrittagli una settimana prima aveva agito similmente a un miracolo e l’avambraccio non gli aveva più causato alcun problema, fuorché ovviamente gli inconvenienti derivanti dalla gessatura.
Non aveva  bisogno di un ulteriore appuntamento all’ospedale, giacché erano appunto trascorsi soltanto sette giorni dal precedente e non credeva che per una frattura composta fosse da ritenersi normale recarvisi più di un paio di volte al mese.
Avrebbe dovuto ritornarvi a inizio Ottobre, probabilmente, o al massimo nelle ultime date di Settembre.
 
Merda.
 
Erano trascorsi solo sette fottuti giorni e pensava a quel dannato molto più spesso di quel che fosse comunemente concepibile.
A volte, quando era particolarmente incazzato, ricordandosi quel bel sorriso ampio, avrebbe solo desiderato strapparglielo dalla faccia con un poderoso pugno.
Quando era stressato pensava a come sarebbe stato soddisfacente prenderlo in giro e, immaginando quella molla umana agitarsi e dibattersi con espressione da bambino offeso, si sentiva conseguentemente meglio.
In altri momenti, invece, la sua faccia fottutamente carina gli appariva in mezzo al cervello senza una cazzo di ragione apparente.
 
Ringhiò sommessamente, il capo che quasi sbatteva contro il duro legno della scrivania.
 
Scocciatore, inopportuno e invadente persino nei suoi pensieri.
 
Tentò di inspirare profondamente ed espirare con estrema lentezza per permettere all’ossigeno accumulato con frenesia di defluire completamente verso l’esterno.
 
Forse, l’unico metodo per togliersi quella pulce fastidiosa dalla testa… sarebbe stato affrontare la situazione di petto.
Forse, se gli avesse inviato un messaggio… quella tentazione malsana sarebbe finalmente scemata.
 
Sbatté le palpebre e sollevò con estrema lentezza la testa, una strana congettura che stava prendendo corpo nella sua mente.
 
Forse, se quel medico strambo si fosse comportato come un banalissimo dottore…
 
L’equazione sarebbe stata finalmente risolta.
 
Sì, forse aveva solo bisogno di confermare che quell’essere non possedeva nulla di anomalo, che non avrebbe mai e poi mai potuto causargli alcun effetto.
Che non avrebbe mai potuto superare o scalfire quel muro che lo divideva dal resto della marmaglia che gli si accalcava attorno.
Non sarebbe potuto succedere a lui.
Non certo a colui che aveva sempre disdegnato rapporti sentimentali e cazzate del genere.
 
Annuì forsennatamente con un’espressione risoluta disegnata sul viso.
Era decisamente la decisione più opportuna.
 
Afferrò il cellulare e, velocemente, pigiò il contatto dell’idiota.
 
Pensò qualche attimo a qualcosa di assolutamente neutrale da poter inviare.
Qualcosa che avrebbe solo potuto prevedere una risposta prettamente medica, senza prediche e commenti invadenti.
Doveva spodestare quell’immagine che si era, e stava continuando, a costruirsi nella sua testa e che dipingeva quell’idiota come qualcuno di… differente dalla massa.
Necessitava della prova inconfutabile che fosse stato il proprio cervello a creare meramente un mastodontico castello di sabbia.
Una testimonianza dimostrante che si fosse trattato di un insulso errore di calcolo ciò che non gli aveva permesso di scovare quell’incognita chiave per la risoluzione di un’equazione altrimenti dimenticabile e non degna di alcuna nota.
 
Ripensò improvvisamente alla cura prescrittagli.
 
Abbozzando un ghigno già vittorioso, digitò con cura la stesura di un ineccepibile messaggio.
 
 
-Kageyama Tobio- 08:45
“Buongiorno, sono Kageyama Tobio, un suo paziente. Non si ricorderà certamente chi io sia, ma la contattavo in merito alla prescrizione da lei consegnatami una settimana orsono.
La mia domanda riguarda le vitamine D in pillole da lei suggeritemi.
Vorrei sapere se è possibile interromperne l’assunzione se a esse sostituisco una dieta più equilibrata che ne reintegri le quantità necessarie.”
 
 
Premette il tasto “invia” con un inquietante sorrisetto stampato sul volto.
“Non si ricorderà mica chi sono ovviamente e, pur supponendo la totale idiozia che rammenti persino il viso dei suoi pazienti, è assolutamente impossibile che un comunissimo medico possa addirittura riconoscere il nome di…”
 
Il trillo della notifica indicante l’arrivo di un sms scosse il corvino dalle sue mirabolanti teorie.
 
 
-Medico Idiota- 08:49
“Se ha iniziato a seguire un’alimentazione che compensi la carenza di vitamine da me prescritte, può interrompere la cura.”
 
 
Il corvino non trattenne il proprio sogghigno trionfante, da cui fuoriuscì una risatina distorta.
Come aveva pronosticato, non vi erano segni che lasciavano intuire un suo riconoscimento da parte del rosso.
Aveva vinto lui, come sempre.
Quel tizio altro non era che un medico da quattro soldi, un essere umano noioso così come tutti quelli che aveva avuto la sfortuna d’incontrare nella sua intera esistenza.
Un comune ometto dalla mera apparenza fuori dall’ordinario.
Un insignificante esemplare di uomo il cui sorriso cristallino…
 
Inaspettatamente, una sgradevole pressione all’interno della cassa toracica gli premette sul muscolo cardiaco.
Con occhi sbarrati, percepì il proprio sangue rallentare il flusso nelle vene, come se miriadi d’ostacoli invisibili gli stessero ostruendo lo scorrimento.
 
Non seppe identificare subito a cosa fosse dovuta quella razione fisica soffocante.
 
Insomma, aveva confermato ciò che voleva, no?
 
Desiderava che l’idiota gli inviasse una risposta medica sterile, priva d’ogni possibile peculiare stramberia.
Voleva la concreta dimostrazione che quel rosso alla fine altro non fosse che un banalissimo medico esattamente come tutti gli altri.
Sì, gli aveva lasciato il numero, ma forse si trattava di una mera consuetudine da parte del dottore e non vi era dietro alcun intento differente da quello che lui, forse, aveva colto in quella settimana.
Quei sorrisi accecanti e splendenti non possedevano alcun significato esistente, erano solo il riflesso di una persona sempre allegra, sì, ma priva di reale spessore.
 
Quel singolo messaggio per lui significava la prova della risoluzione dell’incognita.
 
E allora, perché quella realizzazione gli feriva il cuore e i polmoni come se una cocente delusione avesse iniziato a scavargli gli organi interni?
 
Un secondo trillo riportò l’attenzione di Tobio sullo schermo illuminato del cellulare.
 
Assottigliò le palpebre, perplesso.
 
Chi mai avrebbe potuto scrivergli a quell’ora del mattino?
Poi, però, sgranò tanto gli occhi che per poco non gli schizzarono fuori dalle orbite.
 
 
-Medico Idiota- 08:53
“Solo se però mi sta raccontando la verità! Non posso capire facilmente se mente come quando è davanti a me, quindi sia almeno onesto con se stesso!”
 
 
Le membra di Kageyama rimasero pietrificate così come le sue pupille.
Cosa?
Si ricordava davvero di lui?
Soltanto dal nome?
Ma com’era possibile…?
 
Il terzo squillo per poco non causò l’esplosione del cuore stressato del corvino.
 
 
-Medico Idiota- 08:54
“Cos’ha mangiato per colazione? :D :D”
 
 
Non seppe per quanti minuti rimase a fissare il display senza sbattere minimamente le palpebre.
Forse per troppo considerando che, a un certo punto, le sclere quasi gli seccarono all’interno delle cavità oculari.
Quei segni…
Quei segni apparentemente sconnessi, eppure posti a distanza strettamente ravvicinata…
Realizzavano una…
Faccina?
 
Tobio non riuscì a deglutire la saliva che gli si stava condensando copiosamente sulla lingua.
 
L’idiota gli aveva appena mandato un’emoticon?
L’emoticon di un…
 
Il povero cuore accelerò repentinamente i propri battiti.
 
Di un ampio sorriso?
 
Prima che le sinapsi potessero ingranare la produzione di un pensiero razionale, Tobio sbatté con violenza il cellulare sulla scrivania, incurante delle possibili ripercussioni sullo schermo. Digrignò i denti con forza e puntò le iridi sulla parete di fronte, fissandola come se in realtà non la scorgesse.
 
Quell’idiota gli aveva sorriso anche in un messaggio.
In.
Un.
Fottuto.
Messaggio.
 
Non sapeva affermare se dentro di lui, al momento, prevalesse l’istinto omicida di cancellarglielo a forza il sorriso da quelle labbra a cuoricino, e che cazzo ne sapeva lui della fottuta forma che assumevano le fottute labbra di quel fottuto idiota?!?!, o di…
 
Si riscosse così repentinamente dalla sua trance che gli sembrò di esserne stato risputato fuori con violenza.
 
O di… cosa?
 
Mordendosi il labbro inferiore quasi a sangue, recuperò nuovamente il telefono con mano instabile.
 
Non doveva andare così.
Il suo intento avrebbe dovuto servire a eliminare quel tipo una volta per tutte dalla propria testa.
Perché quel bastardo gli aveva rovinato di nuovo i piani??
 
Okay, niente panico.
 
Si trattava un semplice messaggio.
Un messaggio… degno dell’idiota, non c’era davvero che ribattere.
Aveva sbagliato a poterlo classificare come scontato, Tobio lo ammetteva.
Bene.
E… adesso?
Non gli avrebbe risposto?
Ma così avrebbe fatto la figura del…
 
Interruppe il flusso scoordinato dei propri pensieri con brutalità.
 
E allora?
Che gliene importava se avesse fatto la figura del cafone?
Cosa gliene era mai fregato?
Quel rosso poteva pensare ciò che più voleva di lui, no?
Non era forse così?
Non era stata perennemente quella la propria filosofia di vita da anni a quella parte?
 
Si portò i palmi delle mani sul viso, premendoli con forza sulla fronte.
 
Dio, gli stava letteralmente implodendo il cervello.
 
 
“Kageyama-san, sono arrivati i… s-si sente bene?”
 
Lo squittio apprensivo di Nakamura fece sollevare di scatto le ridi blu al corvino e causò alla donna un nuovo sussulto di paura.
Il suo volto doveva apparire come una maschera dall’espressione deformata.
“Oh, emh... falli entrare, sì” tossicchiò dopo qualche istante di spaesamento, riacquisendo la perfetta postura impettita e ponendo l’Iphone di lato alla scrivania, le cui cartelline, sparse dal movimento nervoso delle sue dita, avevano creato un bizzarro gioco di colori su tutta la superficie scura.
La segretaria, non molto convinta, annuì comunque alle parole di Tobio, trattenendo ulteriori domande scomode.
 
Dieci minuti dopo, Kageyama si trovava davanti a una litigiosa coppia di mezz’età che starnazza ogni volta che uno dei due apriva bocca, con un terrificante mal di testa che gli stava uccidendo le poche sinapsi funzionanti rimastegli.
Il cellulare, impostato in modalità non disturbare, risiedeva abbandonato all’angolo del tavolo.
La chat di Line del “Medico idiota” si concludeva con due messaggi, il cui ultimo non ancora letto.
 
 
-Kageyama Tobio- 9:01
“Una bevanda energetica. Ma a lei cosa gliene importa???”
 
 
-Medico idiota- 9:05
“Deve fare colazione come si deve, altrimenti la ricovero non appena la vedo!! :P”
 

 
 
***
 
 
 
“Allora, com’è andata la giornata?”
 
Il tono calmo del ragazzo davanti a sé arrivò alle orecchie del corvino come una nenia confortante.
Sospirò pesantemente, portandosi vicino alla bocca la tazza fumante con latte e miele che gli riscaldò giocosamente la punta del naso.
 
Nonostante fosse ancora Settembre, un inatteso vento freddo aveva pervaso la capitale nipponica, provocandone l’abbassamento drastico della temperatura.
Fortunatamente l’interno della pasticceria Murakami conservava un tepore che ristorava gli avventori come un buon bagno caldo.
Non a caso era uno dei pochissimi luoghi pubblici in cui Tobio si recasse settimanalmente con sincero e profondo piacere.
 
“Tediosa come solo discutere con dieci clienti diversi può renderla” borbottò alla fine di una lunga sorsata del dolce liquido caldo, capace di rinfrancargli l’intero organismo in pochi istanti.
Dall’altra parte del tavolino, Akaashi ridacchiò discretamente.
“Immagino” commentò semplicemente, sorseggiando anch’egli il consueto tè verde con una movenza terribilmente raffinata.
“Star sempre a contatto con persone dalle mille esigenze può essere davvero stressante” aggiunse con un piccolo sospiro, massaggiandosi poi le tempie con un lento movimento dei polpastrelli.
“Però non deve certamente esser stata stancante come la tua, Akaashi-san!” proruppe subito il corvino, accortosi in quell’istante di aver pronunciato troppe lamentele.
Keiji emise un piccolo sbuffo.
“Le mie giornate sono oramai quasi tutte uguali” sciorinò con una lieve scrollata di spalle.
Tobio scosse forsennatamente la testa.
“Studi tanto per uno scopo ben preciso! E’ solo questione di tempo e vincerai il concorso per la magistratura!” affermò con tanta sicurezza e fermezza che Keiji non trattenne un sorrisino intenerito.
“Di sicuro non mi manca l’incoraggiamento necessario” osservò e un po’ di calore giunse ai freddi occhi blu cobalto.
Tobio lo guardò senza capire.
“Tra te e Bokuto non ho proprio scampo” aggiunse con una smorfietta.
“Oh… giusto” sussurrò il corvino, senza tuttavia accorgersi realmente, almeno a livello conscio, del significato di quelle parole.
“A questo proposito…”
Akaashi interruppe i suoi pensieri, pigiando il bottone posto sul tavolino per richiedere i servizi dello staff.
“Koutaro voleva chiederti una cosa” lo informò con un accenno di sorriso.
L’espressione di Kageyama divenne confusa.
“Bokuto-san?” ripeté perplesso, degustando poi la bevanda tiepida.
Keiji annuì senza annettere altro.
 
“Serve qualcosa, gentili signori?”
 
Il tono canzonatorio dell’alto cameriere dalla crestina mora giunse alle orecchie dei due con un sobbalzo.
Il viso stanco di Keiji assunse una smorfia scocciata.
“No, Kuroo-san… volevo soltanto che ci raggiungesse Bokuto” snocciolò senza particolari inclinazioni di voce, lasciando tuttavia trasparire una lieve nota di fastidio.
Il ghigno sul volto affilato di Tetsuro si acuì.
“Pardonne-moi Akaashi-kun, ma il tuo tenero fidanzatino è alle prese con la macchina dello yogurt che non funziona. Non c’è bisogno di mostrare tutta quella delusione sul tuo bel faccino” cantilenò ridacchiando e Keiji roteò gli occhi al cielo.
“Risparmiati le moine, sono disgustose” sibilò, sorseggiando il tè in modo assolutamente impettito.
Il moro assunse un’espressione terribilmente ferita e si portò con aria drammatica la mano destra in prossimità del cuore.
“Mi ferisci terribilmente, Akaashi-kun, cosa ti ho fatto mai di male?” recitò, melodrammatico.
“La tua esistenza porta con sé dolore” ribatté l’altro impassibile con le palpebre abbassate e le iridi rivolte verso il liquido dall’invitante tonalità verde mela.
“Come resisterà mai il mio bro assieme a una persona tanto crudele?” continuò la sua recita Tetsuro, mano che adesso copriva l’ampia fronte in segno di rassegnazione.
“Io mi chiedo invece come faccia Kenma a continuare a stare con te” ribatté Keiji pacatamente, scoccando al moro una rapida occhiata.
Il teatrino di Kuroo parve improvvisamente terminare lì.
“Ehi! Guarda che Kenma mi ama follemente!” saltò su con le mani sui fianchi e incurvando un po’ la schiena, in una posa meno imponente di quel che in realtà possedesse.
Suo malgrado, Akaashi ridacchiò e scoccò all’uomo un’occhiata come per chiocciare “Ho vinto io questa volta”.
“Eh va bene, mister so come rigirare la frittata” sbuffò difatti il moro, rimettendosi dritto e recuperando dignitosamente tutti i centottantasette centimetri.
“Ti chiamo Bo” borbottò con gli occhi socchiusi in due fessure, che li rendevano più oblunghi del consueto.
“Grazie mille, Kuroo-san” fu la fin troppo gentile risposta di Keiji, che assunse un lieve sorriso sibillino non appena il cameriere si fu allontanato con la coda fra le gambe.
 
Tobio, per tutta la durata di quella peculiare conversazione, era rimasto a osservare i due che si punzecchiavano con una strana percezione in prossimità del petto, che tuttavia non riusciva, come al solito, ad identificare.
Nonostante l’ostentata antipatia che mostravano l’uno nei confronti dell’altro, c’era un forte feeling che pareva legarli…
A lui assolutamente sconosciuto.
 
Il concetto stesso di feeling, a dir la verità, altro non era che un’astrazione ignota per Tobio.
 
Mentre la mente del corvino processava incessantemente quelle lambiccate riflessioni, sul loro grazioso tavolino in legno piombò un’ingombrante ombra scura.
 
“Akaaaashi, non sapevo fossi qui!!” quasi strillò il cameriere con la camicia fin troppo stretta sui bicipiti, abbassandosi di scatto verso Keiji e, prima che l’aspirante magistrato potesse anche solo pensare di fermarlo, gli aveva già scoccato un travolgente bacio a stampo sulle labbra sottili.
“B-bokuto, siamo in pubblico… nel tuo luogo di lavoro” sibilò il giovane con le guance un po’ imporporate per quel gesto repentino, allontanando il viso gioioso del ragazzo dalla propria bocca con il palmo della mano.
Prima che Koutaro potesse assumere la tipica espressione da cucciolo ferito con quegli enormi occhioni dorati, che ben sapeva fossero capaci di farlo crollare in pochi secondi, si affrettò ad aggiungere sommessamente “Appena finisci il turno te ne do quanti ne vuoi”
Gli zigomi di Bokuto si colorarono istantaneamente di rosa e, dopo aver aperto più e più volte la bocca per tentare di mormorare qualcosa, alla fine si decise a deglutire soltanto l’aria che aveva inglobato, provocando una leggera risatina nel compagno.
 
Nonostante fosse piuttosto difficile da gestire, Keiji non poteva non ammettere di trovare fin troppo tenero quell’altalenarsi da uomo sicuro e sfacciato a timidone patentato che caratterizzava il suo super palestrato fidanzato.
 
“Volevi dire qualcosa a Kageyama, Kou?” lo riportò infine alla realtà con voce gentile.
Il ragazzone parve scuotersi e notare il corvino di fronte a lui solo in quell’istante.
Gli rivolse un larghissimo sorriso dei suoi e la punta delle orecchie di Tobio arrossì sfacciatamente.
“Scusami Kageyama, non ti avevo proprio visto!” si discolpò in maniera concitata, agitando le mani.
“Volevo chiederti se ti andasse di venire alla festa che organizzerò per il mio compleanno!” trillò allegramente, guardando il legale con quegli enormi occhi calorosi.
 
Tobio sbatté le palpebre, non cogliendo subito il significato della domanda.
 
Era… davvero stato appena invitato al compleanno di qualcuno?
 
Colto totalmente in contropiede, riuscì soltanto a rimanere in silenzio con le labbra schiuse.
 
Per quale stravagante ragione Bokuto l’aveva invitato?
Non erano amici.
Lui era, forse, amico del suo fidanzato, non certo di Koutaro… e poiché forse non era nemmeno un vero e proprio amico di Akaashi, perché mai…
 
“Sai, mi farebbe davvero piacere che venissi” aggiunse ancora il ragazzone, come per spronare Tobio a dirgli di sì, mantenendo quel sorriso ampio e… cristallino.
 
Fu proprio quell’espressione a infrangere il filo delle congetture di Kageyama, che puntò le iridi blu verso il volto gioviale di Bokuto e…
 
“C-c-certo che… certo che fa-farebbe piacere anche a… me” mormorò, incespicandosi confusamente con le parole.
 
Il sorriso di Koutaro si allargò fino a mostrare tutti e trentadue i denti mentre Keiji soffocò un risolino.
“Allora è deciso! Sarà il venti settembre, Kageyama! Akaashi, puoi spiegargli tu i dettagli? Devo tornare di là, quella stupida macchinetta dello yogurt non ne vuole sapere di funzionare” spiegò impetuosamente Bokuto con espressione triste per doversi separare da loro, soprattutto dal suo Keiji, e con l’aggiunta di una punta d’ansia quando Kuroo iniziò a mandargli da dietro il bancone segnali che lo avvisavano di un certo direttore che si aggirava furtivamente fra i tavolini.
“Certo, vai Bokuto-san” assicurò il ragazzo e il cameriere gli sorrise riconoscente, per poi dileguarsi in direzione del collega.
 
“L’hai rallegrato” osservò Keiji, riprendendo fra le mani il suo tè e distogliendo solo in quel momento le iridi dalla possente schiena del suo uomo.
Tobio, ancora un po’ scosso per quell’avvenimento fuori dalla norma, fissò gli occhi cobalto del senpai senza comprendere.
“Rallegrato? Io?” ripeté meccanicamente.
Akaashi annuì.
“Koutaro è una persona semplice da rendere felice” puntualizzò con un piccolo sorriso, nascondendolo poi con il bordo della tazza bianca.
 
Tobio non rispose.
Non sapeva sinceramente come ribattere a qualcosa che non riusciva a elaborare con razionalità.
Lo stesso Bokuto-san era una persona che non riusciva a concepire.
Aveva avuto la medesima sensazione qualche settimana precedente, ma, se vi rifletteva con maggior attenzione, Koutaro gli ricordava terribilmente...
 
“Invece, Kageyama, non abbiamo più parlato del tuo controllo medico. Sei andato per un accertamento?” cambiò discorso Akaashi, occhieggiando la gessatura all’avambraccio destro del corvino.
Kageyama dovette trattenere a fatica un grugnito.
 
Pareva che quel dannato fosse perennemente presente in ogni situazione o conversazione della sua intera esistenza.
 
“Sì, una settimana fa” rispose soltanto, sollevando il polso sinistro per terminare il latte e miele, ormai freddo.
“Non te l’ho chiesto prima, ma in che ospedale ti stai facendo seguire?” domandò ancora Keiji, guardandolo quietamente.
Tobio, in quel caso, dovette adoperare un notevole sforzo di memoria.
La mattina in cui si era disgraziatamente rotto il braccio ed erano magicamente cominciate tutte le sue irragionevolissime peripezie, non aveva prestato attenzione al nome della struttura ospedaliera, bensì alla vicinanza da essa fino al tribunale in cui avrebbe partecipato al processo nella medesima mattinata.
“Emh… Karasuno Hospital, mi sembra”
Le palpebre di Keiji si sollevarono appena all’udire quelle parole.
“Ho un amico che lavora lì” commentò e le orecchie del legale si drizzarono istantaneamente.
“E’ il direttore amministrativo, Tsukishima Kei” lo informò Akaashi, notando gli occhi improvvisamente vigili di Kageyama.
“Ah, allora dovrei scambiare con lui quattro chiacchiere relative all’organizzazione del pronto soccorso” sbottò acidamente, rammentando la propria odissea e tutte quelle pesti urlanti altamente contagiose proprio a un palmo di naso da lui.
 “La gestione dei reparti è compito del direttore generale” ribatté però Keiji, giocherellando con il delicato pizzo bianco del centrotavola.
“Ti assicuro che Tsukishima è più che competente nel suo lavoro. Una specie di pilastro portante dell’intero Karasuno” proferì, tono di voce che non lasciava intendere alcuna sfumatura particolare.
“Sarà” borbottò Tobio, mordicchiandosi l’interno della guancia per non lasciarsi sfuggire altri commenti offensivi su quel complesso ospedaliero.
“Possono sembrare un po’ stravaganti per tipi che, come noi, sono abituati a un ferreo rigore, ma c’è davvero molto personale capace che vi lavora” aggiunse infine, con occhi inaspettatamente tiepidi.
 
In effetti, l’aggettivo stravagante calzava più che bene per la gente che aveva avuto modo di scorgere in quel luogo.
E sì, forse qualcuno di valido c’era, rifletté, ripensando alla dottoressa dai lunghi capelli corvini legati in un’elegante coda di cavallo e i discreti occhiali appoggiati sul piccolo naso, direttasi con imperturbabile calma in direzione di quei mostriciattoli malaticci.
 
Lo stesso non poteva certamente esser detto del suo medico, naturalmente.
 
Un momento.
Una piccola lampadina scattò all’interno del suo cervello.
 
Se Akaashi conosceva a grandi linee il personale di quell’ospedale, un tipo idiota come quel rosso non sarebbe passato sicuramente inosservato.
Dunque, chissà se…
 
“Akaashi-san, non è che, ecco, per caso, conosci un… ecco, medico, per così dire, che si chiama…”
 
L’acuto squillo del cellulare di Keiji interruppe bruscamente la frase del legale.
 
Alzando gli occhi al cielo e scoccandogli un’occhiata di scusa, il giovane acchiappò il telefono dalla tasca del proprio cardigan nero e rispose alla chiamata, mentre Tobio si premurò di distogliere discretamente lo sguardo.
Dopo qualche minuto d’infervorate voci sommesse provenienti dall’apparecchio telefonico, Akaashi sospirò pesantemente.
“Okay, va bene, sto arrivando” proferì soltanto, grattandosi stancamente la nuca.
“Scusami, Kageyama, ma devo proprio andare. Sembra che il proprietario dell’appartamento sopra al mio abbia improvvisamente deciso di allagare casa propria, inondando così l’intero palazzo” sbuffò ironicamente, massaggiandosi gli occhi contornati dalle ormai caratteristiche occhiaie violacee.
“Ci vedremo direttamente al compleanno di Bokuto, immagino. Si terrà venerdì venti da “Yakiniku-sama”, un ampio ristorante all’aperto. Si trova un po’ in periferia, ma non è difficile da trovare. Abbiamo prenotato per le venti e trenta, ma è un orario orientativo, considerando che molti lavorano fino a tardo pomeriggio, quindi non preoccuparti se dovessi tardare. Contattami se hai bisogno di ulteriori indicazioni” lo informò frettolosamente congedandosi, alzandosi e salutandolo con un cenno della mano.
Si diresse verso il bancone della pasticceria, dove un trafelato Bokuto stava ancora combattendo invano con la dannata macchina dello yogurt.
Gli scoccò un veloce bacio sulla guancia, con grande stupore dell’uomo che quasi non comprese cosa fosse accaduto, per poi dileguarsi dall’accogliente locale a passo svelto.
 
Tobio rimase qualche attimo immobile, rimuginando sulle ultime parole pronunciate da Akaashi.
“Yakiniku-sama”.
In effetti sarebbe stato tipico di Bokuto festeggiare in un luogo con un nome tanto semplice e al tempo stesso efficace.
Non l’aveva mai sentito menzionare prima d’ora, ma se avrebbe potuto divorare quantitativi industriali di succulenta carne alla brace, non ci avrebbe pensato due volte a recarvisi di corsa.
 
Per il momento, dunque, il possibile senso di disagio derivato dal trovarsi in un ristorante colmo di amici di Koutaro che lui non conosceva minimamente, non fu nemmeno contemplato in favore della trepidante aspettativa della cena.
Perfino il pensiero martellante della chat in sospeso da ben due giorni con un certo rosso accantonò momentaneamente il centro delle sue riflessioni febbrili.
 
Pescando il portafoglio con la mano sana dalla tasca dei pantaloni, lasciò qualche banconota sul tavolino e, di umore stranamente allegro, si diresse verso l’ingresso.
Salutò con un lieve inchino Bokuto-san, che gli rispose sventolandogli il cacciavite che reggeva tra le dita e con il solito sorriso disarmante, per poi uscire sulla strada percossa ancora dal freddo vento di benvenuto all’autunno.
 
 

 
***
 
 
 
“Le costine di manzo! Le costine sono pronte!”
 
“Sarukui, bastardo, molla quel vassoio!”
“Chi ultimo arriva mal alloggia, Kono-kun”
“Komi, tu non dici nulla?!”
“Eh, cosha hai detcho?”
“Dannato, hai fregato anche tu una porzione di carne senza avvertirmi?!”
“Susu, non litigate…”
 
Compostamente seduto con la schiena all’angolo del mastodontico gazebo bianco che proteggeva cinque enormi griglie, occupate da svariate prelibatezze succulenti cotte sul momento, con un affusolato bicchiere di birra stretto nel palmo e un piatto di plastica contenente rimasugli di pancetta pregna d’olio appoggiato sulle ginocchia, Tobio osservava la scena che veniva proiettata davanti ai propri occhi come un attento e distaccato spettatore.
 
Il locale “Yakiniku-sama” si era rivelato un rustico agriturismo in stile occidentale, il cui giardino prevedeva un’enorme sezione adibita a zona barbecue, con moderne griglie da cui gli stessi commensali potevano usufruire, cucinando carne fresca fornita dallo staff.
Sotto il gazebo, che proteggeva l’aera cottura, erano posti eleganti tavolini in legno decorati da un azzurro centrotavola in pizzo, al cui centro svettavano candeline profumate dalle tonalità pastello, mentre tutt’attorno s’estendevano verdi e rigogliosi prati ben illuminati da graziosi lampioni a forma sferica, emananti calda luce gialla.
La struttura era talmente estesa che, nell’area retrostante, erano stati persino montati una lunga rete da pallavolo e un canestro da basket, i cui clienti avevano libero accesso senza alcun limite di tempo.
Insomma, quel luogo sprizzava l’essenza di Bokuto Koutaro da ogni possibile e minuscolo poro.
 
“Ehi, labbra a pesce! Fai spazio anche a me, non vorrai spazzolarti tutte le salsicce!”
“Se non arrivi a prenderle non è mica colpa mia, testa a broccoli”
“Come mi hai chiamato, dannato?!”
 
“Quei ragazzi sono così rumorosi…”
 
Una donna dai capelli castani raccolti in una bassa coda laterale stava scuotendo il capo, rassegnata.
Un’altra dalle simpatiche codine scure ridacchiava, ondeggiando con la mano destra un bicchiere dal contenuto ambrato.
“Si comportano così da anni, ormai. Litigano sempre ma, in fondo, Gora e Ogano sono inseparabili” ribatté con un sorrisetto.
“Un po’ come Bokuto e Kuroo?” scherzò una terza ragazza dall’alta coda di cavallo biondo cenere, occhieggiando i suddetti omaccioni chini sulla piastra rovente a contemplare un’enorme bistecca sfrigolante.
“Tipo, anche se il livello d’idiozia di quei due è difficile da battere” ragionò Eri, picchiettandosi il polpastrello sul mento mentre scorgeva Bokuto strofinarsi improvvisamente la faccia a causa di uno schizzo bollente finitogli sulla guancia, considerato il quasi nullo distacco tra essa e la griglia, e Tetsuro ridere sguaiatamente con le lunghe braccia avvolte attorno al ventre.
 
“E’ arrivato il nuovo giro di onigiri!” trillò tutt’a un tratto Ogano, indicando un inserviente dall’impeccabile grembiule blu cobalto reggere almeno otto piatti di ceramica colmi d’eleganti triangoli bianchi e neri.
“Il salmone di quelli di poco fa era davvero delizioso” commentò con l’acquolina in bocca Konoha, già puntando con sguardo avido la tavolata bianca sulla quale il cameriere stava diligentemente disponendo le pietanze.
“Un po’ di contegno, Aki” lo rimproverò ironicamente Sarukui, appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Proprio tu parli?” ringhiò il giovane dalla zazzera biondina in direzione dell’amico sogghignante.
“Ragazzi, ragazzi, su non litigate”
L’ingombrante figura di Tetsuro si materializzò dietro alle schiene dei due uomini.
“Ce n’è per tutti, no? Prima, però, tocca al migliore amico del festeggiato” cantilenò con un occhiolino, svincolandosi da entrambi e ponendosi in prima fila davanti al lungo tavolo, sordo all’unisono “Bastardo d’un felino” che gli giunse sonoramente alle orecchie.
Stava quasi per appropriarsi di un grande piatto bianco con cinque deliziosi onigiri perfettamente disegnati…
 
“Ma che cazzo”
 
Un fulmineo movimento indistinguibile fece sparire da sotto il naso del moro l’agognata preda.
Tetsuro voltò il capo di scatto appena in tempo per scorgere una testa ramata inghiottire in un sol boccone e poi sorridere beatamente.
 
“Hai sottovalutato le capacità di Yukie, Kuroo-san” esalò Kaori dal tavolino poco dietro prima  di scoppiare fragorosamente a ridere, seguita a ruota dalle ragazze sedute accanto a lei.
“Shirofoku colpisce ancora!” esclamò Bokuto, giunto in quel momento con la bocca lievemente sporca di sugo e un’espressione gioviale sul volto, ridacchiando alla smorfia di disappunto comparsa sul viso di Testuro.
 
“Eeehi, per essere una ragazza tanto carina mangi che è una meraviglia!”
 
Un’improvvisa voce ammiccante fece voltare i ragazzi in direzione di un’ossigenata testa bionda.
Koutaro ghignò incrociando le muscolose braccia al petto, coperto da una stravagante camicia a quadretti bianchi, blu scuro e dorati.
“Non farti ingannare dalle apparenze, Teru, Shirofoku è molto più virile di quel che appare” squillò, annuendo fermamente.
“Bokuto-san…” mormorò Akaashi, magicamente apparso al suo fianco, schiaffandosi sconsolato una mano sulla fronte.
L’uomo dalla testa bionda ridacchiò e, quando aprì la bocca per replicare, Tobio da lontano poté scorgergli sulla lingua una strana pallina nera.
Inizialmente pensò si trattasse di un residuo di cibo, ma osservandola con maggiore attenzione…
 
“Ah! Meglio così allora, si avvicina alle mie preferenze” trillò con espressione ambigua, avvicinandosi all’affascinante ragazza dai soffici capelli ramati, che ancora mangiava i suoi adorati onigiri, e strizzandole sfacciatamente l’occhio mentre si umettava le labbra.
 
Era un piercing, realizzò il corvino sbattendo le palpebre.
Un piercing sulla lingua.
Una cosa alquanto disgustosa, rifletté storcendo il naso, avvicinando poi la bocca al fedele bicchiere di birra e bevendone un gran sorso, persistendo comunque nel guardare la scena.
 
“Se fossi in te gli starei lontano, Shirofoku-kun” s’intromise nella conversazione Kuroo, esibendo il suo classico ghigno sardonico e poggiandole amichevolmente una mano sulla spalla, occhieggiando gli onigiri che reggeva in mano forse per un secondo di troppo.
“Teru-kun è un cattivo ragazzo. Un vero bad boy” la informò con espressione misteriosa.
Yukie sollevò gli occhi cioccolata in direzione di Kuroo e guardò alternativamente prima lui e poi Terushima.
“Scusate ma… di che state parlando?” mugugnò, le guance ancora stracolme di riso.
Konoha e Komi scoppiarono a ridere.
“Yukie resta fedele al primo amore” commentò Sarukui, ridacchiando.
Terushima guardò un po’ stranito quella donna mentre si allontanava dal gruppetto e, con il bottino tra le braccia, ritornava al tavolino su cui erano attorniate le tre amiche, che si erano gustate lo spettacolino con ilarità.
“Lascia perdere Teru, pensa piuttosto ad animare la serata, da bravo festaiolo che sei” gli consigliò bonariamente Sarukui con una pacca sulla schiena, trascinandolo davanti alla postazione del Dj.
 
“Chi è quel tizio?” chiese Ogano, avvicinatosi assieme a Gora alla tavolata degli onigiri da cui si stavano finalmente servendo Akinori e Haruki, alludendo al biondo ossigenato apparso poco prima.
“Terushima è un nostro vecchio compagno d’Università” spiegò il più basso fra i due mentre si riempiva generosamente il piatto.
Daiki sollevò le sopracciglia.
“Università? Non sembra affatto il tipo” osservò con un sogghigno.
“Perché, Bokuto sì invece?” ribatté Akinori con parecchia enfasi, ma il sorriso che gli apparve sul volto era gentile.
“Beh, lui è un caso a parte” concordò Gora, mangiucchiando le verdure grigliate dal piatto che reggeva sull’enorme palmo olivastro.
“Nonostante la testa vuota, è quello che in palestra tutti prendono più sul serio” aggiunse.
“E’ dannatamente vero! Non sono sempre in sala come labbra a pesce, eppure ogni volta che scendo per mostrare la palestra agli aspiranti iscritti, quella testa di gufo è continuamente circondata da ragazzi che pendono letteralmente dalle sue labbra” borbottò Ogano, scombinandosi i capelli castani.
Komi annuì con aria consapevole.
“Già. Anche noi tre, quando veniamo ad allenarci, lo becchiamo sempre con un sacco di gente attorno. Non si può certo dire che non susciti simpatia… ma a prescindere, all’atto pratico, è estremamente competente. Nonostante riuscisse a superare gli esami teorici a stento, nella pratica ha sempre eccelso” spiegò il ragazzo, rammentando con un sospiro le innumerevoli notti insonni trascorse assieme agli amici, tentando sia di studiare sia di spiegare a un Bokuto totalmente svampito i principi di Scienze ortopediche e neurologiche, che avrebbero dovuto dare come ultima materia prima dell’agognata laurea in Scienze Motorie.
“Lo dimostra anche il fatto che gli chiedano consiglio assidui frequentatori di palestra abbastanza esperti in materia. Come quel tizio mostruoso che si solleva settanta chili di bicipiti, Iwaizumi o qualcosa del genere…” commentò Akinori, non celando l’invidia per quel ragazzo dalla muscolatura scolpita che poteva davvero competere con quell’altra statua di marmo che era Koutaro.
“Mi ricordo che ha spesso domandato a Bokuto quali fossero i metodi migliori per poter aumentare la mole di peso issabile con le braccia. Come se 70 kg non gli bastassero... chissà che cosa solleva abitualmente quel tipo. Che sia un montacarichi umano?” confabulò con un borbottio.
“Chi lo sa, forse è un fanatico del culturismo. Comunque sia, sta di fatto che quello lì non glielo vedo per nulla all’Università” ribadì Ogano, indicando l’eccentrico uomo alle prese con le casse in fondo al gazebo.  
“Ma difatti non ha mica terminato gli studi. Si è iscritto perché pensava sarebbe stato divertente, ma alla fine del primo anno si è ricreduto” ridacchiò Komi, stappando una bottiglia di birra.
“Però è rimasto molto in contatto con Bokuto. Soprattutto da quando gli ha fatto conoscere Kuroo…” aggiunse il biondino con espressione rassegnata.
“Già quei due messi assieme non creano nemmeno un cervello, se poi vi aggiungi Terushima…”
“Il casino è assicurato” concluse Sarukui con una risatina, arrivato vicino al gruppetto nel momento in cui una potente musica rock squarciò l’atmosfera.
“Che vi dicevo?” sghignazzò in direzione del biondo alla postazione del Dj con le cuffie in mano, mentre Bokuto gli alzava i pollici esultando “Ehi ehi ehi!” in segno d’apprezzamento.
“Meno male che Akaashi è stato previdente ed ha affittato l’intero esterno…” osservò Komi.
“A proposito di Akaashi, dove si è cacciato?” domandò Akinori, sporgendo la testa per scorgere tra tutta quella folla, Bokuto era esagerato come sempre anche dallo spropositato numero degli invitati, una familiare zazzera corvina.
“E’ laggiù” indicò Gora, il più alto fra tutti, e le teste dei ragazzi, compresa quella di Tobio le cui orecchie, inevitabilmente, avevano udito l’intera conversazione, si girarono verso un piccolo angolo raccolto del gazebo, in cui attorno a un tavolino illuminato da una profumata candela bianca erano riuniti con aria tranquilla Kenma, i cui occhi si staccavano solo di tanto in tanto dal luminoso schermo del cellulare, e Keiji che, con uno spiedino stretto fra le dita sottili, parlava pacatamente con un piccolo ragazzo dai capelli castano chiaro.
La loro quiete, tuttavia, fu interrotta da un’altissima e dinoccolata figura saltellante che s’intromise nella discussione trillando “Yaku-san! Questa musica non è fighissima?” e ricevendo in risposta un sospiro sconsolato.
 
Tobio distolse lo sguardo dal curioso quartetto.
 
Nel corso dell’ultima ora, ovvero dall’istante in cui aveva messo piede con dieci minuti di ritardo nell’affollatissimo gazebo, non aveva fatto altro che assimilare per inerzia innumerevoli informazioni provenienti dalle bocche degli invitati.
Non che gliene fregasse qualcosa delle ciance insulse di quella gente.
Si andavano naturalmente tutte ad accumulare nello scompartimento del cervello dedicato alle piccolezze futili e prive di reale valore.
Contemporaneamente, tuttavia, una familiare sensazione si stava espandendo nelle viscere accaldate dell’alcool.
 
Il desiderio di cogliere ciò che lo circondasse, di tentare di comprendere le interazioni fra quegli esseri umani, di...
 
Forse, non atteggiarsi soltanto a mero spettatore?
 
Operò una scandagliata panoramica dell’ambiente attorno a sé per l’ennesima volta.
 
Erano presenti i colleghi, e amici, della palestra in cui Bokuto lavorava.
Gli amici dell’Università.
Gli amici del liceo.
Gli amici del migliore amico, che a propria volta erano diventati suoi amici.
Koutaro, da grande comunicatore nato, lo aveva introdotto a tutti con uno smagliante sorriso sulle labbra non appena era arrivato.
Aveva anche tentato di farlo conversare con qualcuno di loro e il mezzo russo dalla spropositata altezza gli aveva persino rivolto entusiastiche domande riguardo alla sua brillante carriera.
Eppure, lui si era defilato a passo felpato, preferendo defilarsi in una zona relativamente nascosta, gustando ottima carne…
In silenzio.
Esattamente ciò che accadeva quasi ogni sera nel suo modernissimo appartamento dai mille comfort.
Akaashi, gentile come sempre, lo aveva raggiunto per salutarlo, chiedendogli se gli andasse di unirsi a lui, Kenma e Yaku, ma lui aveva cortesemente declinato, quasi per riflesso incondizionato.
 
Riflettendoci attentamente in quel momento, però, non avrebbe saputo spiegarsi razionalmente il motivo del suo gesto.
 
Capiva il non voler avere a che fare con gente petulante e rumorosa come quel Lev, o tantomeno immischiarsi nelle dinamiche di un gruppo che si conosceva già da tanto tempo come quei tre amici di Bokuto, però…
Akaashi, Kenma e Yaku erano tipi tranquilli, no?
 
Forse troppo tranquilli, in effetti.
 
Ma, allora, lui cosa cercava?
 
Si guardò nuovamente intorno.
 
Le ragazze, i ragazzi, tutti parevano divertirsi, mangiando a volontà e ondeggiando a ritmo della pazza musica che stava remixando quella testa ossigenata.
Si conoscevano tutti e, nonostante le grandi differenze comportamentali, parevano andare decisamente d’accordo, stuzzicandosi a vicenda magari, ma mai con cattiveria.
Sebbene vi fossero tanti caratteri differenti con cui potersi rapportare, lui…
 
La verità era che si sentiva orribilmente fuori posto.
 
Fissò i grandi occhi blu sul liquido ambrato in fondo al bicchiere.
 
Che ci faceva lui a quella festa?
 
Perché aveva accettato quell’invito?
 
Perché Bokuto gliel’aveva chiesto con quell’entusiasmo da cui lui, scioccamente, era rimasto irrimediabilmente e fatalmente travolto.
 
L’hai rallegrato” gli aveva assicurato Akaashi qualche sera precedente.
 
Abbozzò un sorriso amaro.
 
In realtà lui non provocava alcuna differenza per un tipo come Bokuto che, oltre ad esser circondato da una miriade d’amici, era profondamente amato da Kuroo e Akaashi.
 
Lui…
 
Trapassò il contenuto del bicchiere con lo sguardo e, per diversi istanti, non vide assolutamente altro che vuoto.
Le pupille, nere come l’inchiostro, non riuscivano a cogliere nulla.
Perché…
 
Lui non determinava la minima differenza per nessuno.
 
Indugiò in quella medesima posizione per un tempo che non seppe in alcun modo definire.
 
Non avrebbe dovuto sentirsi sorpreso da quella realizzazione.
Insomma, ne era sempre stato a conoscenza.
Anche tutti coloro che lo attorniavano non comportavano la benché minuscola discrepanza per lui, no?
Dunque, perché mai avrebbe dovuto aspettarsi il contrario?
 
Era un discorso logico, razionale e ragionato.
 
Allora, perché il petto gli doleva come se qualcuno gli avesse appena dilaniato la pelle con un pugnale rovente?
 
Perché si sentiva così…
 

“Koutaro, che ti è preso così all’improvviso…”
 
Quasi spaventato per quel troncamento improvviso del flusso dei propri pensieri, ruotò di scatto la testa in direzione del retro del gazebo e, dalla sua posizione seminascosta, poté scorgere le figure di Akaashi e Bokuto accanto a una siepe piuttosto alta, che li celava parzialmente alla vista della maggior parte degli invitati.
 
“Volevo stare un po’ con te” borbottò il ragazzone dai capelli argentei, che quasi brillavano alla dolce luce lunare che vi si specchiava.
“Da solo” precisò subito dopo aver scorto il perentorio sopracciglio inarcato del compagno.
Keiji abbozzò un sorrisetto.
“Il festeggiato non può scappare dagli ospiti, Bokuto-san” spiegò, con una formalità che fece ridacchiare il maggiore.
“Se ci sono dei buoni motivi, però…” proferì con tono basso, smettendo improvvisamente di ridere e avvicinandosi sommessamente al più minuto.
“Ovverosia?” fu la velata risposta ironica del corvino.
“Questo, per esempio” sussurrò lentamente Bokuto, avvolgendo con le mani ruvide dai calli le guance vellutate di Keiji e premendo la bocca contro la sua.
Le labbra di Akaashi non persero tempo ad accogliere quelle di Koutaro, abbandonandosi a scambiare dolci carezze per un tempo apparentemente infinito.
“Dovresti imparare a controllare le tue voglie, Kou, non sei più un bambino ormai” mormorò giocosamente il corvino non appena interruppe il tenero contatto.
“Oggi hai compiuto 28 anni” lo stuzzicò bonariamente, pizzicandogli il naso con i polpastrelli.
Koutaro assunse un’espressione di pura indolenza.
“Non me lo ricordare” uggiolò, insinuando le dita tra ciocche bicolore con melodrammaticità.
“Se non l’hai notato, c’è un’intera festa per rammentartelo” osservò sardonicamente il corvino con un accenno di sorriso sugli zigomi.
Gli occhi ambrati di Bokuto si fissarono sui lineamenti delicati di Akaashi, lievemente appesantiti dalle consuete occhiaie violacee, di cui però il ragazzo sembrava cieco alla vista.
“Sei bellissimo quando sorridi, Keiji”
Akaashi deglutì involontariamente, percependo un brivido risalirgli la schiena e le guance accaldarsi all’udire quel tono baritonale.
“Kou…” gemette dolcemente quando le labbra carnose di Bokuto iniziarono a baciargli il collo con lentezza, premendo sulla pelle diafana e creando ghirigori con la lingua.
Il corvino reclinò la testa e infilò le dita fra i capelli morbidi nonostante il gel del compagno, accostandosi con il corpo a quello ben più ingombrate dell’altro.
 
Tobio sentiva le orecchie avvampare.
Avrebbe voluto, avrebbe dovuto, voltar il capo, smettere d’osservare a velocità immediata l’intima scena che si stava prospettando dietro di lui.
Lo sapeva benissimo.
Lo sapeva, maledizione, eppure…
Per una qualche scriteriata motivazione, non riusciva a staccare minimamente gli occhi di dosso da quei due uomini, dal modo in cui sembravano indissolubilmente legati, dai gesti che si scambiavano con naturalezza, come se fosse qualcosa di giusto, qualcosa di…
 
Una nuova, penosa morsa, gli attanagliò con veemenza il petto.
 
Indispensabile.
 
“Kou… abbiamo tutta la notte per…”
Le orecchie di Tobio udirono la voce di Akaashi, interrotta tuttavia quando le braccia di Bokuto gli avvolsero la schiena con maggior fermezza, mentre i palmi delle mani scendevano imperterriti verso i suoi glutei sodi.
“Per stare assieme” sottolineò l’aspirante magistrato con fermezza, nonostante il tono incrinato.
Bokuto si disgiunse dal lobo morbido dell’orecchio del ragazzo con palpabile sforzo.
Un broncio infantile gli decorava adorabilmente il viso.
“Akaaaashi” piagnucolò infantilmente.
“Anche perché se continuiamo così, non credo riuscirò più a toglierti le mani di dosso” puntualizzò Keiji sollevando un sopracciglio con eloquenza, provocando l’arrossamento immediato, e paradossale, delle guance di Koutaro.
Curioso come le posizioni si capovolgessero sempre nel giro di un millisecondo, in quella coppia.
 
“Booooo, dove ti sei cacciato?”
L’improvvisa voce di Kuroo proveniente da sotto il gazebo scosse i timpani di entrambi.
“Il tuo compare ti richiede. Non puoi farlo aspettare, no?” lo prese in giro con un sorrisetto sibillino e Bokuto si lamentò come un bambino, ma seguì comunque Akaashi immergersi nuovamente tra gli invitati.
 
Sebbene la coppia si fosse già allontanata da parecchi minuti, Kageyama persisteva nel fissare il punto in cui si erano appartati, senza tuttavia focalizzarsi su alcun dettaglio in particolare.
 
La parola indispensabile perdurava a rimbombare come un disco rotto all’interno della sua mente.
 
Keiji e Koutaro erano indispensabili a vicenda?
 
Se così fosse stato… aver accanto qualcuno d’imprescindibile…
Era necessario, per lui?
 
Per qualche folle ragione, l’immagine del sorriso schifosamente cristallino dello strambo medico violò con arroganza gran parte del suo cervello.
Ripensò alla breve conservazione avvenuta via chat qualche tempo prima.
Era insensato, eppure provava il fervete impulso di continuarla, quella fugace conversazione.
Anche se il suo contenuto sarebbe stato certamente puerile…
 
Ma che diamine stava confabulando?
 
Si specchiò nuovamente sul liquido, ormai tiepido, che stazionava all’interno dell’affusolato bicchiere.
 
No.
No, lui era diverso.
 
Akaashi-san era un senpai eccellente, ma molto diverso da lui.
Lui…
 
Lui non aveva bisogno di sciocchezze come quelle.
 
Dissolse quello schiacciante peso sul petto e cancellò sistematicamente quei dubbi persistenti dal cervello come se possedesse un potente cancellino innestato nella mente, spintonando indietro e con violenza fino a rinchiuderla dietro a una porticina sprangata quella parte di lui che non riconosceva.
O forse, semplicemente, sconosceva.
 
Lui era diverso, lui era forte.
 
Forte e perfettamente in grado di non contare su anima viva.
Si era creato da solo e seguitava in quell’intento ogni giorno, no?
 
Esattamente come Oikawa-san.
 
Sì esatto, annuì fermamente, in maniera febbrile.
 
Oikawa-san non aveva mai ricercato l’aiuto di nessuno.
Non aveva mai chiesto nulla, aveva sputato sangue ed era sempre riuscito nei propri obiettivi autonomamente, privo d’alcun sostegno.
Senza qualcuno che fosse indispensabile, no?
 
Avere qualcuno da cui dipendere…
 
Era una debolezza.
 
“Un’enorme debolezza!” fu l’urlo rabbioso del suo cervello e, come obbediente a un tacito ordine, un filo invisibile percorse l’intero corpo di Tobio, stritolandone le carni.
Era un avvertimento.
Un segnale che intimava al proprio sé d’indietreggiare, di ripristinare le redini del proprio autocontrollo.
 
Se Oikawa-san riusciva a contare sulle sue sole capacità, senza necessitare d’alcuna figura essenziale, allora era ovvio che lui, aspirante da anni a scavalcare il Grande Re, ne avrebbe dovuto imitare l’atteggiamento.
 
I forti non ricercano l’aiuto di nessuno.
Al contrario dovrebbero essere loro, tramite il proprio talento, a guidare con maestria i meno fortunati.
Peccato che tutti coloro con cui Tobio avesse provato, si fossero sempre rivelate delle delusioni, il più delle volte indisciplinate.
Ecco perché Oikawa gli appariva talmente grande.
Lui non faticava a crearsi un seguito.
Lui, con quel bel volto carismatico e quell’espressione di circostanza, dirigeva tutto e tutti come un perfetto direttore d’orchestra, vincendo cause, ottenendo risarcimenti, troneggiando sullo stesso studio legale.
E a Kageyama tutto quello appariva come il paradiso.
 
“Ma per chi vuoi essere forte, Tobio?”
 
Il filo che lo avviluppava si tramutò in una catena che gli stritolò tanto le membra da spezzare il ghiaccio che aveva improvvisamente assunto la forma del suo sangue a quell’agghiacciante quesito proveniente dalla porticina sprangata della sua mente.
 
Non aveva tempo per simili fesserie non spiegabili tramite la logica.
Non aveva senso perdersi in quelle lambiccate riflessioni che a nulla lo avrebbero portato.
Forse, la vita per chi era forte e determinato, era semplicemente fatta così.
 
Un’ondata di prepotente musica rock gli ferì improvvisamente i timpani.
 
Fissò con astio la postazione del Dj con al comando quell’individuo dai folti capelli ossigenati.
 
Non gli piaceva già a un primo sguardo.
Non che fosse un amante abituale delle persone, ma quel tipo con quel disgustoso piercing sulla lingua gli era ancora meno gradevole del resto della marmaglia.
Forse si trattava dell’atteggiamento volutamente malizioso, forse quegli sguardi ammiccanti…
C’era qualcosa d’indefinibile in quell’uomo che gli dava su i nervi.
Una sensazione quasi paranormale gli suggeriva che sarebbe stato meglio guardarsene dallo stargli vicino.
Una specie di sesto senso?
 
Scrollando la testa, si rassegnò alla palese evidenza d’essere una totale frana nell’interpretare i comportamenti della gente.
 
Con la consapevolezza del dover trascorrere altri interminabili minuti semi nascosto dalla folla, si alzò per cercare almeno il conforto di un’altra birra.
Era ormai giunto alla zona bar, quando udì la squillante voce di Bokuto sovrastare tutti i suoni condensati nel gazebo.
 
“Ormai non ci speravo più! Ce l’hai fatta ad arrivare, piccoletto!”
 
Riflettendovi a posteriori, Tobio non seppe mai con esattezza il motivo per cui drizzò la testa di scatto, le orecchie e gli occhi repentinamente vigili.
 
“Oooh, è arrivato il piccoletto finalmente! Kenma, vieni qui!”
Quella volta fu la voce di Kuroo a squarciare l’aria.
La testa mezza bionda di Kenma sollevò gli occhi dorati dal cellulare con un guizzo.
“Shoyo è qui?” chiese docilmente.
 
Tobio osservò la scena da dietro il piano bar come immerso in una trance.  
 
Shoyo?
Chi diavolo era?
E soprattutto, perché gli era vagamente familiare?
 
“Bokuto-san! Buon compleannooo! Ho fatto tardi, ma spero che non vi siate già divorati tutto!”
 
Il cuore di Tobio perse cinque battiti.
O forse sei.
 
Quella voce.
Quella squillante voce acuta.
 
Fu come se il suo corpo non rispose più alla volontà che lo governava e rifuggì dall’inflessibile catena che lo cingeva saldamente.
 
Si mosse d’istinto, abbandonando il bicchiere di birra riempito a metà e facendosi largo fra la folla finché non si trovò a una considerevole distanza dall’ingresso del gazebo da poter assistere senza esser scorto.
 
“Eheh piccoletto, la festa non sarebbe stata la stessa senza di te” ammiccò Kuroo, circondando con il lungo braccio le spalle magre di un giovane…
 
Un ragazzo con una cascata di capelli rossi.
 
Gli occhi blu di Tobio si spalancarono.
 
La fulminea visione di quella dannata targhetta colorata a caratteri cremisi gli apparve in mente.
Hinata…
 
“Shoyo”
La pacata voce di Kozume si rivolse al nuovo arrivato, regalandogli un timido sorriso che venne ricambiato da un’espressione di pura contentezza.
“Kenma! Sono così felice di vederti!”
 
Hinata Shoyo.
 
Hinata Shoyo, il suo medico, si trovava lì.
E lui era paralizzato ad appena qualche metro di distanza…
 
Incatenato al suolo dal suo stesso cuore, quella volta.
 
“Ehi ehi, chi si vede”
La cantilenante voce del biondo ossigenato che si trovava qualche istante prima davanti alla consolle e che si era come materializzato accanto al gruppetto, provocò a Kageyama un misterioso senso di nausea.
E non appena vide Hinata, il suo medico, irrigidirsi a quella voce e girarsi verso quel tizio, pronunziando un sommesso “Teru… ci sei anche tu” con un tono che non gli aveva mai sentito proferire, nonostante le sole due volte in cui si erano visti… percepì le budella attorcigliarsi inspiegabilmente.
Era una sensazione stupidissima, lo sapeva bene, quindi non c’era bisogno di…
 
“Rilaaassati Sho, anche se il nostro bel tempo assieme è finito, non vuol dire che non possiamo continuare a frequentare gli amici in comune, no?” scherzò il biondo con un occhiolino… ammiccante.
Se un risolino nervoso fuoriuscì dalle labbra a cuoricino di Hinata…
 
Bel tempo assieme?!?!
Cosa?!?
 
Forse per il totale sbigottimento che quelle ultime affermazioni avevano causato all’ipersensibile sistema nervoso, forse per l’involontario urto che gli arrivò dalle spalle, l’equilibrio di Tobio tentennò fino a farlo barcollare in avanti, dove fu definitivamente perduto.
Si ritrovò, prima che potesse pienamente realizzarlo, lungo disteso sul piastrellato pavimento.
 
“Ehi laggiù, non spingete! Oi, Kageyama, ti sei fatto male?”
 
Udì il tono concitato di Bokuto sopra la sua testa e seppe a quel punto d’esser piombato proprio davanti alle persone riunite all’ingresso.
Storse il naso per l’impatto alla spalla sinistra su cui era atterrato, sebbene il gesso parve non aver fortunatamente risentito della botta, quando…
 
“K-kageyama-san?”
 
Una vocina colma di stupore gli si insinuò nei timpani come il peggiore degli ultrasuoni.
 
Sollevando appena il capo, non fu il volto di Bokuto quello che si ritrovò dinanzi.
Ma due luminosi occhi nocciola colmi di sorpresa.
 
 
Okay, era ufficiale.
A quella festa, lui non avrebbe mai dovuto presentarsi.
 
 
 
 
 

 
Note finali: sì, lo so che cosa volete dirmi: ma quanto è luuungo ‘sto capitolo!
E avete ragione, è davvero lunghissimo. Però volevo davvero iniziare a descrivere gli avvenimenti della festa di Bokuto (il cui compleanno è passato da un po’, ma spero mi perdonerà) senza interruzioni.
Pensate che abbia pasticciato troppo?
A questo proposito, con tutta la buona volontà di questo mondo, conto di aggiornare almeno una volta al mese, impegni permettendo (ovvero itinere ed esami di cui ho il calendario pieno fino a febbraio, vi avverto già da adesso).
Per dirla in parole povere: rispetto ai primi due capitoli, scritti a distanza di tipo sette mesi, d’ora in poi vi sarà maggiore regolarità perché, essenzialmente, non ho più assolutamente intenzione di abbandonare questa storia.
Anywayyy, basta con le info di servizio.
Cosa mai dovrà sollevare Hajime con così tanto impegno? O chi dovrà sollevarsi? (riferimenti porn IwaOi in agguato, il vizio non muore mai).
Il titolo “Incatenato” è un ovvio riferimento allo stato d’animo di Tobio che, al momento, è come se compisse un passo avanti per poi esser rispedito tre indietro dalla sua stessa mente maniaca dell’autocontrollo.
Yakiniku invece significa letteralmente “carne grigliata” e indica un vero e proprio metodo per cucinare la carne, tipico dei giapponesi. Non ho molta fantasia, lo so.
Non so sinceramente cosa aggiungere su questo cap, quindi facciamo che se avete dubbi o domande mi chiedete direttamente <.<
Non potete capire quanto mi abbiate spronata e incoraggiata con le vostre stupende recensioni!! E’ anche (e soprattutto) per tal ragione che l’aggiornamento è arrivato così presto. Non scherzo quando dico che un parere mi carica a mille.
Spero che la storia stia continuando a interessarvi, ci terrei un sacco se me lo faceste sapere.
Concludendo, ringrazio infinitamente tutte le meravigliose persone che mi hanno lasciato una recensione e chi ha aggiunto la storia fra le preferite, ricordate e seguite (il vostro costante aumento mi fa bene al cuoricino).
Un super bacio a tutti coloro che continuano a leggere!
Spero di risentirvi, see you soon ^-^
 

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Capitolo 6
*** VI. Fissione ***


VI

Fissione






 
“Voi due… vi conoscete?”
 
Lo squillante tono stupito di Bokuto ruppe quel silenzio carico di mille variegate sfaccettature, insinuatosi non appena Kageyama si era risollevato dal pavimento e aveva iniziato a fissare il volto di Shoyo come se si trattasse di un alieno piombato da chissà qualche galassia sconosciuta, la gola arida e la lingua completamente incollata al palato.
 
“Emh, ecco… sì. Gli ho ingessato il braccio qualche settimana fa” mugugnò Hinata con lieve imbarazzo, grattandosi la nuca e occhieggiando l’arto bendato di Kageyama come a valorizzare la propria tesi.
 
La voce sottile del medico causò il riassemblamento delle sinapsi apparentemente scollegate di Tobio.
 
Sfoderando la miglior espressione d’alterigia che potesse pescare, sbottò un “Conoscersi non è proprio l’espressione più adeguata”, scagliando poi un’occhiata di sufficienza al rosso dinanzi a sé, che alzò repentinamente le iridi sul suo volto.
 
“In effetti è meglio dire che i nostri siano stati incontri assolutamente casuali” ribatté per le rime Shoyo, il cui pizzico non velato di stizza sembrò esser colto dal corvino, che sbatté le palpebre più volte per metabolizzare il concetto.
 
Se Kenma e Kuroo erano impegnati a studiare la scenetta con particolare attenzione, lo stesso non poté dirsi di Bokuto che, con la solita espressione bonaria, scoccò al legale un largo sorriso.
“Che coincidenza! Le nostre uscite sembrano esser sempre un luogo di ritrovo, non è vero Akaashi?” chiese allegramente al compagno, appena giunto accanto al gruppetto e in procinto di assimilare celermente le informazioni perdute.
 
In quel momento, tuttavia, Tobio sembrava non prestare eccessiva attenzione allo svolgimento dell’azione che lo circondava.
Nonostante ostentasse una facciata d’altezzosità, v’era una domanda che gli bruciava impellente in testa e che stava causando lo sbobinamento di pellicole di ricordi ben conservate dentro ai suoi scompartimenti mentali.
 
Insomma, Akaashi gli aveva riferito del suo amico al Karasuno Hospital, ma aveva solo menzionato il tizio che lavorava nell’ambito amministrativo.
Il medico non poteva dunque essere un intimo conoscente dell’aspirante magistrato.
Allora…
 
“Perché non spieghi a Kageyama com’è che avete stretto amicizia?”
 
Tobio non sapeva se Keiji possedesse l’arte della telepatia o lo leggesse semplicemente come un libro aperto, ma gli fu comunque estremamente riconoscente d’avergli evitato quello scomodo quesito.
Mentre gli scoccava un’occhiata, però, si chiese intimamente quale ragione potesse mai esservi dietro al minuscolo, eppur visibile, luccichio che colse negli occhi cobalto del maggiore mentre terminava di pronunziare quelle parole.
 
Che Akaashi stesse intuendo qualcosa a lui precluso?
 
Bokuto, come prevedibile, si gasò in pochi istanti alla possibilità d’esplicare qualcosa di cui solo lui potesse mostrarsi portavoce.
 
“Certo! Il piccoletto qui presente” e assestò una sonora pacca sull’esile spalla di Shoyo, che fu interamente scosso dalla potente vibrazione, “è un grande amico di Kenma” continuò allegro, indicando il ragazzo con il telefono perennemente stretto fra le dita sottili e appoggiato con la schiena al torace di Kuroo.
“Si conoscono fin dal liceo! Un’amicizia quasi equiparabile alla mia e del mio bro…”
“Bokuto, vai al succo” lo interruppe subito Keiji, troncando sul nascere qualunque sproloquio sarebbe sicuramente fuoriuscito dalla bocca di Koutaro e da quella del felino accanto a lui, già pronto a ribattere tempestivamente a tal dichiarazione d’eterno affetto.
“Akaashi-kun è un guastafeste” esalò con tono mortalmente offeso Tetsuro, stringendo le braccia con aria innocente attorno alla vita di Kenma, il quale sembrava totalmente intento a giocherellare con il proprio Smartphone.   
Keiji roteò gli occhi, ma non si curò di ribattere.
“Stavo dicendo… ah, sì! Conoscendo Kenma, è stato inevitabile che Shoyo arrivasse a incontrare Kuroo, considerando che quei due sono sempre appiccicati” evidenziò Bokuto con un occhiolino e Tetsuro gli rispose con un sorrisetto sornione mentre si congiungeva maggiormente con il corpicino di Kozume, che alzò solo allora gli occhi dorati sul volto affilato dell’altro per capire cosa stesse accadendo.
“E iniziando a frequentare Kuroo, non ha potuto non conoscere il sottoscritto” proclamò infine con tono trionfante, indicandosi con i pollici con aria estremamente vittoriosa.
 
“Il tutto suona piuttosto familiare, non trovate?”
 
La voce festaiola che s’inserì senza preavviso nella conversazione fece rizzare i peli sulle braccia di Tobio.
Agganciò gli implacabili occhi blu alla figura slanciata avvicinatasi nuovamente al gruppo e, notò con malcelata avversione, accostatasi fin troppo in prossimità del piccolo rosso, le cui iridi nocciola guizzarono proprio in direzione del nuovo arrivato.
 
“Non è così, Sho?” domandò ancora ammiccante, umettandosi le labbra e lasciando così trasparire la sferetta nera che gli svettava orgogliosamente sulla lingua.
 
Assolutamente disgustosa per un uomo di quell’età, pensò il corvino con espressione nauseata…
Sebbene non fosse soltanto quella riflessione, l’unica che occupasse i suoi processi cognitivi.  
 
Perché quel tizio ossigenato dall’insopportabile ghigno stampato in faccia aveva affermato che quella situazione sembrasse familiare?
Perché era ostinatamente appiccicato al suo medico?
Quei due erano davvero stati insieme?
E se anche fosse stato, perché diavolo ciò avrebbe dovuto provocargli talmente tanto fastidio?
 
“Perché, voi due com’è che vi conoscete?”
 
La bocca di Tobio si era mossa come dotata di volontà autonoma.
 
Fu, forse, una delle poche volte nella sua vita in cui non si curò minimamente di mantenere la caratteristica facciata di ostentata indifferenza.
Fu, forse, una delle rare occasioni in cui il desiderio d’entrare più in contatto con un’altra esistenza umana si palesasse in tutta la sua irruenza, ignorando la consueta nulla considerazione per vite al di fuori della propria.
Fu cieco persino agli occhi lievemente stupiti di Akaashi, che lo guardavano di sottecchi, e a quelli assottigliati di Kuroo e Kenma, che parevano analizzarlo con dovizia da sotto le rispettive frange.
L’unico elemento su cui le iridi blu si focalizzarono pienamente fu il volto stupito del rosso che lo guardava, la bocca schiusa e gli occhi colmi di… vita.
 
Sì, avrebbe potuto descriverli solo come traboccanti di una vitalità… a lui estranea.
 
Fissò quel volto delicato per un tempo indefinito.
 
Forse si trattava di mera immaginazione, ma l’espressione assunta da Hinata, l’intensità con cui avevano iniziato a studiarlo le sue iridi nocciola…
 
Possibile che quel medico avesse inteso che, quell’apparente semplice frase proferita con astio, costituisse uno sbilanciamento inaudito per lui?
Un oltrepassare un confine intaccato?
 
Davvero due esseri umani avrebbero mai potuto comprendersi con un unico, singolo sguardo?
 
Non furono tuttavia le labbra a cuoricino del piccolo rosso a emettere il suono che Tobio avrebbe, inconsciamente, desiderato udire.
 
“E perché mai t’interesserebbe? Tu chi saresti?”
 
Una scarica elettrica gli attraversò di netto la spina dorsale.
 
Assorto nella contemplazione degli scintillanti occhi del medico, non si era reso conto che la testa bionda di quel tizio si era voltata a guardarlo con un sorrisetto irridente inciso sulle guance.
Lo squadrava con aperta strafottenza, un sopracciglio inarcato a palesare lo scetticismo per una richiesta del genere.
 
E in effetti…
Chi era lui per pretendere un’informazione del genere?
 
In pochi millisecondi Kageyama si sentì colpito e affondato.
 
Percepì le orecchie accaldarsi e pregò intensamente qualunque divinità esistente che il rossore non lo tradisse proprio dinanzi a tutta quella gente che pareva aver improvvisamente deciso di puntare gli occhi su di lui, proprio per coglierlo nel mezzo del suo imbarazzo, pronti a rilevare quel madornale e imperdonabile errore.
Sentì il battito cardiaco accelerare.
Il nervosismo d’esser colto in fallo, di perdere nuovamente le redini della razionalità…
 
Si accorse solo dopo qualche lunghissimo ed estenuate istante che il biondo ossigenato era scoppiato in una fastidiosa risata burlesca e lo stava scrutando con occhi ambigui.
 
“Beh, amico, chiunque tu sia è il tuo giorno fortunato! Ho deciso d’accontentarti” proruppe con tono condiscendente, come se si stesse rivolgendo a un bimbetto capriccioso.
 
Se prima il corpo di Tobio si era irrigidito dalla tensione, in quel momento divenne un vero e proprio fascio di nervi.
 
Come osava quella mezza cartuccia apostrofarlo a tal modo?
Chi si credeva di essere per ridicolizzarlo?!
 
Quasi fumando di rabbia, specchiò le proprie iridi contro quelle castane dell’uomo, pronto a mangiarselo in un sol boccone…
E, inaspettatamente, fu colto da un nauseante senso di disagio.
 
Quello sguardo… quello sguardo bonariamente ammiccante…
 
Che avesse colto qualcuna delle innumerevoli sensazioni che si agitavano impazzite nella sua mente?
Se così era, non ebbe modo di comprenderlo ulteriormente.
 
“Ci siamo conosciuti proprio tramite Bokuto” iniziò Terushima, indicando con un cenno del capo il ragazzo alle proprie spalle che sorrise soddisfatto del proprio imprescindibile operato.
“Io e Bo abbiamo frequentato la stessa facoltà per un po’ e capitava che uscissimo piuttosto spesso insieme a Kuroo… e proprio in una di queste occasioni ho conosciuto Sho” confessò con tono esageratamente sognante, rifilando un sorrisetto ammiccante a Hinata, che però distolse lo sguardo.
 
Tobio non si fece sfuggire quell’esiguo apparente dettaglio.
Che il medico fosse… un po’ contrariato?
 
“Sai, non era la prima volta che lo vedevo. Quando ero al liceo avevo assistito alle sue performance. Sono sempre stato un appassionato di sport, quindi non potevo non perdermi il piccolo saltatore dalle mille prodezze. Sai che Shoyo è stato un campione di salto in alto, no?”
 
La sua era una domanda retorica, ma Tobio non seppe identificare se contenesse sarcasmo o meno.
Che volesse testare il livello d’intimità fra lui e Hinata?
 
Nonostante la possibile provocazione, i suoi occhi si spostarono sul viso del medico, le cui guance erano lievemente arrossate e un borbottio somigliante a un “Piantala, Teru” stava fuoriuscendo dalle labbra ben disegnate.
 
Chissà perché, eppure l’immagine di quello scricciolo che sfidava un ostacolo improponibile… non era così assurda come avrebbe previsto.
Fu anche abbastanza semplice figurarsi l’aspetto del suo medico in età adolescenziale.
Forse ancor più minuto, magari con qualche accenno d’imperfezione sul viso…
 
Gli occhi, però, ricolmi della medesima energia che lo abbagliava nel presente.
 
Digrignò i denti fino a farli stridere fra loro.
Si stava perdendo in futilità, come sempre.
 
“Non riuscivo a crederci! Non potevo farmi scappare l’occasione di conoscere meglio l’artefice di quelle millanterie che avevo ammirato per anni. Così ho cercato in tutti i modi di conquistarlo”
I suoi occhi furbi si posarono sul volto ancora un po’ imporporato di Hinata, prima di sibilare con un occhiolino “E alla fine ci sono riuscito”.
 
Tobio non capì esattamente come fosse possibile, eppure percepì nitidamente le proprie viscere attorcigliarsi in una morsa inscindibile.
Non sapeva nemmeno cosa ritenesse più insopportabile, se il tono lascivo con cui quel tizio si fosse rivolto al suo medico, l’idea che quei due fossero stati assieme o il modo in cui il piccolo rosso fissasse imbarazzato il pavimento, morsicandosi le labbra.
 
“Suvvia gentil signori, basta rivangare il passato”
L’intervento di Kuroo fece distogliere per un momento l’attenzione di Kageyama dal viso di Terushima, distraendolo dalle bizzarre manie omicide che si erano insinuate tra i propri pensieri.
 
“C’è un’intera festa con quintali di cibo che ci aspetta” aggiunse con il solito ghignetto affabile eppure, chissà per quale stravagante motivazione, sembrava che si stesse riferendo quasi esclusivamente a Tobio.
Prima che il legale potesse aprir bocca, Akaashi gli scoccò due gentili colpetti sulla schiena e lo invitò ad addentrarsi tra la folla per raggiungere il piano bar, ponendo così le distanze da Tetsuro e gli altri.
 
Forzandosi a voltare la testa e a smettere di scrutare in giro per scorgere la peculiare chioma rossa, seguì Keiji fino al colorato bancone pregno d’alcolici e strampalate bottiglie, davanti il quale si fermarono per due bicchieri di birra.
Tobio teneva le iridi fisse sul liquido ambrato che andava riempiendo il vetro affusolato, finché le parole di Akaashi non lo colsero di sorpresa.
 
“Non ti piace Terushima, vero?”
 
Le spalle del corvino guizzarono in un lieve sussulto e le dita si strinsero involontariamente attorno alla base del boccale.
Tutti segnali che furono colti con attenzione dagli occhi cobalto di Keiji.
 
“N-non posso dire che non mi piace se non lo conosco…” tentò di tergiversare, squadrandosi le mani.
“Eppure, dal tuo atteggiamento di poco fa, si direbbe proprio il contrario”
 
La voce di Akaashi era calma come sempre, cionondimeno una nota divertita faceva capolino con discrezione.  
Gli occhi di Tobio schizzarono repentinamente verso il viso del maggiore, le punte delle orecchie arrossitesi contro la propria volontà.
Cercò di mettere assieme una frase che potesse confutare quell’infantile teoria, ma nulla al di fuori di qualche verso strozzato fuoriuscì dalla sua bocca.
 
Keiji ridacchiò sommessamene, in maniera del tutto bonaria.
 
Non era nuovo alla totale incapacità di mentire di Tobio.
Tuttavia, qualcosa nel suo comportamento stonava visibilmente con il Kageyama che era abituato a conoscere.  
Approfittò pertanto d’averlo colto in fallo per, magari un po’ sadicamente, affondare lievemente il dito nella piaga.
In fondo, era davvero curioso.
 
“Dunque… il famoso medico di cui mi hai parlato tempo fa è Hinata”
 
Le orecchie di Tobio rizzarono immediatamente all’udire quel nome.
 
Si mordicchiò il labbro inferiore, conscio di non poter sfuggire al quesito del ragazzo.
 
“Sì, esatto” borbottò lapidario, premurandosi poi di tapparsi la bocca con un lungo sorso di birra.
“Posso capire perché tu l’abbia ritenuto un po’ eccentrico” ribatté Keiji, che ricordava alla perfezione le parole spese da Kageyama nei confronti di Hinata.
Si perse per qualche istante a rimescolare il contenuto del bicchiere di vetro, soppesandone il contenuto con aria pensierosa.
“Ti assicuro, però, che si tratta di una persona eccezionale” aggiunse infine, sollevando lentamente gli occhi e puntandoli sul legale con intensità magnetica, nonostante Tobio evitasse prepotentemente il suo sguardo.
 
Eccezionale?
 
“Ridicola, semmai” sputò il legale con fin troppa acidità…
Che, in realtà, non avrebbe avuto motivo di esistere.
 
Ammettere l’eccezionalità di quel rosso avrebbe significato lo sconquassarsi di ogni suo ragionamento.
Non vi erano eccezioni alla regola.
Non esistevano individui verso cui avrebbe mai riversato deboli sentimenti da pappamolle.
 
Akaashi non si disturbò a rispondere.
Si limitò semplicemente a guardarlo, studiandone con estrema minuzia la severità della mascella, la lieve ruga che gli corrugava la fronte e gli occhi…
 
Percependo la nuca bruciare per la persistenza dello sguardo di Keiji, Tobio fu infine costretto a ricambiare l’occhiata.
 
Le iridi cobalto di Akaashi lo trapassarono come un’acuminata lama.
 
Si sentì istantaneamente a disagio, quasi in soggezione.
 
Perché lo stava fissando così?
Cosa voleva esprimere quell’espressione fin troppo penetrante?
Sembrava che Keiji intendesse scavare con gli occhi in fondo alla sua anima.
Ma cosa avrebbe preteso di trovare?
 
Deglutendo forzatamente, il cuore di Tobio accelerò i propri battiti per appena qualche istante, bensì sufficienti affinché le proprie sinapsi producessero un’ostica realizzazione.
 
Menzogna.
Ecco a cosa mirava, Akaashi.
 
Un brivido gli percorse celermente la spina dorsale.
 
Stava, a dir poco palesemente, mentendo a se stesso.
 
Con una scusa appena mormorata, s’affrettò a porre quanta più distanza possibile tra sé e l’aspirante magistrato.
 
Avvertiva un nodo attorcigliarsi alla sua gola come un roveto affilato, avviluppandolo tanto da impedirgli di respirare. 
 
Era tutto così fottutamente assurdo.
 
Perché la propria percezione della festa era tutto d’un tratto mutata non appena giunto quel piccolo medico?
Perché si sentiva inquieto, incapace di star fermo?
Perché gli tremavano leggermente le mani?
Perché sentiva l’esigenza di rintracciare quella testa rossa fra la calca?
Perché la sua presenza non lo infastidiva, ma anzi… lo rendeva trepidante?
Cosa adduceva quello scricciolo nella sua mente perfettamente ordinata e priva della benché minima traccia d’anarchia?
 
 
“Come te la passi, Sho?”
 
Eccola, quella voce ghignante.
Poté udirla nitidamente, nonostante il chiacchiericcio persistente all’interno dell’affollato ambiente.
 
Sollevando la testa dalla propria postazione, tentò di sfruttare la propria altezza per individuare il biondo ossigenato, scorgendolo infine con il gomito mollemente appoggiato al pilastro bianco del gazebo e lo sguardo rivolto verso il viso del piccolo rosso…
A una distanza fin troppo ravvicinata. 
 
Ignorando il sentore di malessere generatogli nelle viscere e la bislacca voglia d’afferrare la faccia di quell’individuo e calciarla il più distante possibile, si mosse cautamente verso l’angolo in cui quei due parevano star discutendo.
 
 “Tutto bene, non ho così grandi novità”
 
A circa dieci metri dalla posizione del medico, un campanello d’allarme rimbombò nella mente di Tobio.
 
Riuscì nitidamente a cogliere nella sua voce qualcosa di… strano.
In tutte le conversazioni che avevano intrattenuto, persino in quelle telematiche maledizione!, il tono del rosso era sempre stato schifosamente pimpante.
Vispo, allegro, frizzante.
Insomma, avrebbe potuto definirlo con una gamma innumerevole di lemmi.
Se, invece, avesse riflettuto sugli aggettivi meno appropriati che avrebbero mai potuto, o dovuto, venarne la melodia…
Flebile, sommesso, pacato.
 
Quel medico, incarnazione vivente dell’iperattività…
Perché appariva talmente tranquillo in quel frangente?
 
“Mi meraviglio di te, di solito ami raccontare la tua vita”
 
La risposta di Terushima era scherzosa, eppure Hinata apparve ugualmente a disagio.
Yuuji l’aveva praticamente rapito mentre stava chiacchierando allegramente con Kenma dinanzi al tavolo del buffet.
Sebbene non si vedessero da un bel po’ di tempo e non gli dispiacesse del tutto parlare con lui…
Conversare con il proprio ex gli provocava sempre un po’ d’agitazione.
Eppure, nonostante ciò, non riusciva mai a rifiutare di netto le sue richieste.
 
Essendo una totale frana a mentire, Terushima non impiegò più di qualche secondo per leggere le emozioni contrastanti che apparvero sul volto fanciullesco di Shoyo. 
 
“Di solito amavi raccontarla a me” precisò con un sorrisetto difficilmente fraintendibile.
 
Gli occhi nocciola di Hinata si allargarono e una nuova ondata d’imbarazzo lo travolse, imporporandogli le guance.
 
“T-teru…” balbettò sommessamente, mordicchiandosi il labbro inferiore e tentando d’ignorare lo sguardo penetrante di Yuuji.
 
Detestava ammetterlo, ma era assolutamente incapace di prendere decisioni con il pugno di ferro che non riguardassero strettamente il suo ambito professionale.
 
La vigorosa risolutezza nel perseguire obiettivi quasi inimmaginabili pareva letteralmente dissolversi non appena si trattava di fronteggiare una persona in carne e ossa, totalmente vinta dalla sua anima gentile ma ingenua.
Dinanzi a un comportamento persuasivo si lasciava spesso convincere, immischiandosi in situazioni non sempre encomiabili.
 
“Sai... mi sei mancato”
 
Il calore delle guance di Shoyo arrivò probabilmente alla temperatura d’ebollizione.
Non ebbe nemmeno la necessità di alzare le palpebre per percepire la vicinanza del viso di Yuuji a pochi centimetri dal suo.
 
Affondò i canini sul labbro inferiore, tentando di ripristinare un minimo di calma.
 
Yuuji sapeva bene che Shoyo fosse abbastanza semplice da incitare e non perdeva mai occasione per tentare un approccio diretto.
Vero era che in passato, nonostante non stessero più insieme, Hinata aveva ceduto alle proposte di un “ritorno di fiamma”, come l’aveva denominato Terushima, e i due erano finiti a letto più volte di quel che fosse accettabile.
Però, adesso era diverso.
 
Munendosi di coraggio, puntò le iridi verso l’uomo dinanzi a sé, che sembrava scrutarlo con vivo interesse.
 
“E’ passato un po’ di tempo, è vero. Però…”
 
Si forzò a essere diretto, a essere duro.
Gli occhi di Yuuji, però, erano così ardenti…
 
“Non ho sentito così tanto la tua mancanza” sussurrò infine, abbassando la testa.
Ciuffi di capelli rossi gli ricaddero sulla fronte pallida.
 
Maledizione.
 
Strinse i pugni fino ad affondare le unghie sui palmi.
 
Perché non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia?
Perché non riusciva mai a essere sicuro come avrebbe desiderato?
Si sentiva così… così…
 
“Così mi ferisci, Sho” esalò con tono mortalmente ferito Yuuji ma, riprendendosi in un millisecondo, avvicinò la mano fino a sfiorargli la guancia accaldata, riportandone il viso verso l’alto.
“Però… se lo pensi davvero, perché non me lo dici guardandomi negli occhi?”
 
Debole.
Ecco cos’era.
 
 
“Mi sembra di comprendere che Hinata non gradisca la sua presenza”
 
Una voce tagliente sferzò improvvisamente i suoi processi cognitivi, provocando lo scatto involontario del suo volto.
 
“Sei di nuovo tu, amico? Che posso fare per te?”
 
Il tono di Terushima era palesemente infastidito.
 
Guardava l’uomo dagli occhi blu dinanzi a sé come se si trattasse di una piccola seccatura di cui sbarazzarsi alla svelta, per poi tornare con tranquillità alle proprie occupazioni.
Come convincere il suo ex ad andare a letto con lui, ad esempio.
 
Da aguzza, l’espressione di Tobio si tramutò in artica.
 
“La prego di rivolgersi a me come meglio si confà a un uomo della sua età. Non credo che lei sia più un ragazzino, signore” ribatté con tono glaciale.
 
Il biondo rimase interdetto per qualche attimo.
Un lieve segno d’insicurezza precedette lo sfoggio di una smorfia minacciosa.
 
“Ehi, come ti permett…”
 
“Inoltre gradirei l’uso del lei, considerando che io non la conosco e mai vorrei approfondire la sua conoscenza”
 
Poco importava che mezzora prima avessero intrattenuto una spiacevole conversazione, più dettata dal bisogno impellente di Tobio di carpire il passato di quei due che condotta da raziocinio.
Non avrebbe mai più rivolto la parola a quella specie d’individuo.
 
Yuuji sembrava sinceramente piazzato.
E forse, per la prima volta da anni, letteralmente a corto di parole.
 
“Dunque, glielo ripeto. Il dottor Hinata non gradisce la sua presenza, ergo, se non vuole che la situazioni si complichi, le chiedo di non avvicinarsi più a lui”
 
Nonostante l’oggetto delle proprie sentenze si trovasse esattamente a pochi passi da lui, la sua attenzione era tutta per quel tizio ossigenato dalla disgustosa sferetta nera sulla lingua.
E dire che quell’idiota di medico aveva anche osato venir a contatto con quella cosa riprovevole…
 
Non poté quindi scorgere l’espressione di puro stupore che era apparsa sul viso di Shoyo, occhi spalancati e labbra socchiuse.
 
Quello lì… era davvero Kageyama?
Lo scontroso e intrattabile avvocato che più volte lo aveva denigrato e trattato con irriverenza… lo stava difendendo?
 
Avrebbe potuto ipotizzare che si trattasse di un‘abitudine del mestiere se non avesse saputo quanto indifferente fosse quell’uomo alle cause da lui trattate.
Rimaneva dunque aperta la domanda.
Perché stava agendo in maniera così discordante dalla sua personalità?
 
Malgrado tutti i quesiti che gli frullassero in testa, non poté fare a meno di osservare un po’ incantato lo sguardo ferreo di Kageyama al fronteggiare Yuuji.
Niente e nessuno l’avrebbero mai sradicato dalle sue intenzioni.
Gli occhi erano fissi, impenetrabili. La bocca dritta come una linea retta.
Emanava una spavalda sicurezza da ogni minuscolo poro.
 
Il cuore di Shoyo iniziò a battere con maggior vigore.
 
“Tu sei completamente fuori di testa. Gli vuoi dire qualcosa, per favore?”
 
La voce di Yuuji sembrava lontana anni luce rispetto alle orecchie di Hinata, ancora assorto a soppesare l’uomo davanti a sé.
Proprio poiché lo stava fissando con persistenza, quasi saltò in aria non appena il viso di Kageyama si girò verso di lui, guardandolo dall’alto con quell’aura di controllo assoluto.
I suoi occhi, però, non erano più gelidi.
 
“Cosa vuole fare, Hinata?”
 
Il cuore di Shoyo si trovò inspiegabilmente ad accelerare nuovamente.
 
Kageyama non si era mai rivolto a lui apostrofandolo esplicitamente.
Eppure, il suono del proprio nome sulle sue labbra… pareva quasi naturale.
Come se si trattasse di un’abitudine consolidata.  
 
Forse proprio per la mancanza di una risposta, Tobio perse un po’ di quella fiducia che l’aveva spinto d’istinto a immischiarsi in quella sgradevole conversazione.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia fin quasi a sanguinare.
 
Che avesse totalmente malinteso il comportamento del rosso?
Non sarebbe stata la prima volta che travisasse emozioni e simili.
E se Hinata adesso lo considerasse alla stregua di un impiccione?
Forse sarebbe dovuto rimanere in assoluto silenzio…
 
“Spostiamoci allora, Kageyama-san”
 
Con un sobbalzo, le iridi blu di Tobio si focalizzarono nuovamente sul volto candido del medico.
Non riuscì a interpretarne le intenzioni, ma quelle parole furono tutto ciò di cui, al momento, necessitava.
 
“Ci vediamo, Teru” fu il rapido saluto che Shoyo concesse al ragazzo, la cui espressione, non appena il rosso voltò il capo per scoccargli una rapida occhiata, era di puro sconcerto.
 
Trattenne a fatica una risatina.
Era divertente scorgere la spavalderia di Yuuji venir meno, certe volte.
 
 
 
“Sbaglio o il piccolo Kageyama-kun ha appena messo k.o. il nostro Terushima?”
 
La voce cantilenante di Kuroo giunse alle orecchie del biondo prima ancora dell’impatto della mano, che gli colpì fraternamente la spalla.
“Non lo chiamerei proprio piccolo” commentò Akaashi con un sopracciglio inarcato da dietro il dorso di Tetsuro.
“E’ più alto di Yuuji, infatti” aggiunse Kenma senza la minima inclinazione vocale, gli occhi dorati che non staccavo lo schermo fluorescente del telefonino e il fianco appoggiato a quello del felino.
“Beh, potrebbe metter su ancora un po’ di massa muscolare!” s’intromise allegramente Bokuto, spuntando da dietro Keiji e mostrando a tutti con fierezza il bicipite d’acciaio.
 
Se possibile, l’espressione stordita di Terushima si corrucciò ancor di più.
 
“Ma vi eravate appostati per godervi lo spettacolo?” mugugnò indispettito con la schiena un po’ incurvata.
“Eravamo nelle vicinanze” spiegò con noncuranza Akaashi, scrollando le spalle.
“Il gazebo non è mica enorme” annuì vigorosamente Koutaro.
“Sai com’è, ci si muove” ghignò Tetsuro.
“Ha insistito Kuroo per venire a spiare” concluse Kenma, ignorando il “Mi tradisci così facilmente!” di Kuroo per continuare a giocare con il cellulare.
 
Yuuji scosse la testa, decidendo d’ignorare gli “amici” per concentrarsi sul problema più ingombrante.
 
“Chi diavolo era quello lì, si può sapere?” pigolò come un cucciolo bastonato, indicando vagamente il punto in cui quello spilungone era andato via con Hinata al seguito.
Non sembrava nemmeno la stessa persona che appena cinque minuti prima sarebbe stato pronto a divorare Shoyo in un sol boccone.
 
Kuroo sghignazzò, passandosi le dita fra la crestina mora.
“Ma guardatelo com’è indifeso adesso il povero Teru-kun”
“Io ho sempre detto a Shoyo di trattarlo con il bastone” concordò Kenma da dietro il display.
“La smettete di parlare come se non esistessi?” si lamentò animatamente il biondo, scombinandosi i capelli dal nervosismo.
“Dai Teru, non te la prendere. Era arrivata da un bel po’ l’ora di mollare l’osso” spiegò saggiamente Koutaro, battendogli la mano sulla schiena con forza, a modo suo per apparire confortante, ma finendo per causargli la quasi fuoriuscita degli occhi dalle orbite.
“Perché non ti tiri su remixando qualche bella canzoncina? Non c’è festa senza te alla consolle” suggerì Tetsuro con un sorrisetto, spingendo un ancora frastornato Terushima fra la folla e conducendolo nel piccolo regno che era la postazione del Dj.
 
“Pensi che ci sia rimasto male?” chiese Bokuto dopo qualche minuto, grattandosi la nuca.
Akaashi scrollò le spalle.
“Kageyama avrebbe potuto fare di peggio. Di solito quando parte in quarta arriva anche a far piangere il povero sventurato di turno” osservò, girando poi la testa e scrutando fra la folla.
Koutaro si allarmò sensibilmente.
“Non credi che Shoyo sia in pericolo con lui, vero?”
Un piccolo sorriso arricciò appena le labbra sottili di Keiji.
“Penso che l’unico che abbia davvero paura… sia proprio Kageyama”
 
 
 
Hinata seguì obbedientemente Tobio all’esterno del gazebo, inoltrandosi nella zona in cui l’area verde diveniva maggiormente fitta.
Quando giunsero a un tavolino contornato da graziose panche di legno, costruito su un ampio spiazzo circondato da siepi verdi, il corvino si fermò.
 
“Emh… s-si vuole sedere?” balbettò impacciato, indicando con uno strano movimento della mano la panchina.
 
Hinata trattane a fatica un sorrisetto.
 
Un bambino insicuro, ecco come appariva al momento Kageyama.
In totale e assoluta antitesi con l’adulto sicuro di sé di appena cinque minuti prima.
 
“Certo” rispose, accomodandosi sul legno un po’ fresco, ma non sgradevole.
 
Il clima era perfetto, non molto caldo ma nemmeno paragonabile all’ondata di gelo che aveva travolto la città la settimana precedente.  
Nemmeno un filo di vento rovinava la perfetta serata autunnale.
 
Prima che qualcuno potesse aprir nuovamente bocca, dallo stomaco di Hinata provenne un sonoro brontolio.
 
Fortunatamente la luna era l’unica fonte di luce delle vicinanze, non sufficiente dunque a lasciar trasparire il rossore che s’impossessò prepotentemente delle guance di Shoyo.
Voleva sprofondare per l’imbarazzo.
“Adesso mi prenderà sicuramente in giro, si pentirà d’aver aiutato un inadeguato come me e se ne andrà via tutto impettito” pensò sconfortato, trattenendosi davvero con notevole fatica dallo sbattersi la testa contro il tavolo.
Pareva aver temporaneamente rimosso che Kageyama si nutrisse come tutti gli esseri umani del mondo.
Maledetto il suo rumorosissimo stomaco!
 
“Oh, m-mi perdoni”
 
Per poco Shoyo non scivolò all’indietro.
 
Fissò il legale ancora in piedi con occhi esageratamente sgranati.
 
“C-cosa?” mormorò attonito.
 
“Non ha ancora cenato, dico bene?”
 
Totalmente stralunato, Hinata annuì.
 
Sul viso di Tobio si formò un’espressione risoluta.
“Vado a prenderle da mangiare, allora. Con permesso” e con la miglior espressione di soldato che parte per una missione, s’incamminò a passo spedito verso l’interno del gazebo.
 
Shoyo lo seguì con palpebre spalancate finché poté, prima di riportarli sul tavolo dinanzi a sé quasi meccanicamente.
 
Aveva… davvero sentito bene?
Kageyama prima lo difendeva da Yuuji e poi gli portava volontariamente la cena??
 
Scosse violentemente la testa emettendo qualche versetto frustrato per poi scombinarsi i capelli già arruffati.
 
L’unica risposta contenente un minimo di senso, era che lo stesse prendendo in giro.
Ma era davvero possibile che un tipo come Kageyama sapesse cosa fosse uno scherzo?
 
Prima che potesse proseguire nelle proprie congetture che non stavano molto in piedi, udì un rumore di passi sull’erba e scorse il legale avvicinarsi con un piatto retto dalla mano sinistra e un bicchiere di birra, in precario equilibrio tra il gesso dell’avambraccio destro e il petto.
Si sporse subito per aiutarlo, un istinto ormai indissolubile, ma il corvino scosse la testa, poggiando le stoviglie sul tavolo in completa autonomia.
Dopodiché, schiarendosi nervosamente la gola, si sedette al lato opposto del medico, fronteggiandolo così faccia a faccia.
 
Shoyo occhieggiò il contenuto del piatto e si costrinse a non lasciar scappare dalla bocca un rivoletto di saliva.  
 
Quando Bokuto-san gli aveva comunicato che avrebbe festeggiato il compleanno da Yakiniku-sama si era sentito carico d’aspettative…
Ma non avrebbe mai nemmeno contemplato l’ipotesi di trascorrere una serata talmente surreale.
 
“Grazie mille” ringraziò dunque Kageyama e, con un’ultima occhiata, iniziò finalmente a mangiare con parecchio gusto.
 
Tobio rimase a fissare il piccolo rosso divorare una quantità esagerata di carne con una voracità invidiabile.
 
“Se mangia così tanto, com’è possibile che non sia cresciuto di un millimetro?”
 
La domanda gli sfuggì involontariamente dalle labbra.
 
Maledizione al suo fottutissimo cervello abituato a sputare ogni pensiero sotto forma di parola.
 
Contrariamente a quanto pronosticato, invece, Hinata rise.
Una risata allegra, fanciullesca.
Si rese conto che lo stesse fissando con i suoi grandi occhi nocciola che, alla luce della luna, parevano brillare.
Più del solito, ecco.
 
“Me lo sono chiesto spesso anch’io quand’ero più piccolo” lo informò giocosamente, infilandosi in bocca un intero pezzo di carne di manzo.
“Forse tutto questo cibo va dritto al cervello” aggiunse con un ghignetto prima di avventarsi sul riso.
“Su questo ne dubito fortemente” commentò Tobio, senza però la tipica inflessione sferzante.
Hinata sbuffò, ma non s’infastidì seriamente.
“La prossima volta le ingesso male tutto il braccio” ribatté con un accenno di linguaccia.
 
Suo malgrado, Tobio si lasciò sfuggire un piccolo sorriso.
 
Era infantile, lo sapeva.
Terribilmente inopportuno per un ragazzo della sua età, per lo più medico.
Eppure…
 
Un calore confortante gli invase il petto, sostituendo per un po’ quel senso d’oppressione, di vuoto che aleggiava da… quanto riuscisse a ricordare.
 
Eppure, con tutti quegli innumerevoli difetti, quel rosso era proprio perfetto così.
 
“Come mai è arrivato così tardi?”
 
La domanda avrebbe potuto suonare invadente o arrogante alle orecchie di molti, ma Hinata sembrava ormai essersi adattato al format comunicazionale del corvino.
 
“Ho finito il turno alle ventidue” spiegò semplicemente, sorseggiando la birra portatagli da Kageyama.
In realtà non era solito bere alcolici, ciononostante tentò di sforzarsi un po’ dopo quell’inaspettata gentilezza da parte del legale.
Ciò non ripagava tutte le cattiverie sputate nel corso delle conversazioni precedenti, ma era almeno un buon inizio. 
 
“Ah, giusto, il turno…” borbottò Kageyama, riferendosi più a se stesso che al suo interlocutore.
 
Come diavolo aveva potuto dimenticarsi di un’informazione tanto basilare?
Aveva fatto la figura dell’idiota, lo sapeva.
 
Deglutì bruscamente e incominciò a picchiettare senza rendersene conto i polpastrelli sulla superficie legnosa, producendo un ticchettio persistente.
 
I minuti parvero trascorrere scanditi da un rumoroso orologio a pendolo.
 
Esattamente, cosa gli era saltato in mente quando aveva brillantemente deciso di condurre quel dannato medico, verso cui si sentiva in una qualche astrusa e incomprensibilmente complicata maniera affascinato, sì cazzo l’aveva ammesso okay ne era attratto in qualche stupido stupidissimo modo, fuori dal gazebo?
Come diamine aveva pensato di ficcarsi in una situazione del genere?
Si sarebbe volentieri schiaffeggiato.
 
Si trattenne dall’infilarsi le dita tra i capelli lisci e tirarseli fino a strapparne qualche ciocca, strizzando poi gli occhi e sbattendo la testa sul tavolo.
 
Come bisognava comportarsi in quei casi?
Com’era opportuno agire?
Non aveva mai avuto un vero appuntamento nella sua vita.
Cioè, non che questo fosse da considerare un corrispettivo di uscire insieme, no?
Insomma, si trovavano già a una festa.
Anche se, in effetti, l’aveva fatto uscire fuori da una stanza…
 
“Com’è andata la sua giornata?”
 
Nonostante si trattasse di una banalissima domanda di cortesia, saltò in aria come una molla, i processi cognitivi impazziti come se avesse appena ricevuto una potente scarica elettrica.  
 
“Bene!” quasi squittì, con un tono talmente acuto che se si fosse riascoltato non si sarebbe mai e poi mai riconosciuto.
 
Shoyo scoppiò a ridere, nascondendosi la bocca con la mano per evitare di sputacchiare qualche rimasuglio di riso che ancora stava mangiucchiando.
 
“Perchè sta ridendo, eh? Mi-mi trova ridicolo?” sbraitò Tobio, rosso come un peperone e mortalmente ferito nell’orgoglio.
Gli sarebbero sicuramente crollati i nervi a breve, poteva scommetterci.
 
“In realtà sì, la trovo un po’ buffo” confessò Hinata, ridacchiando ancora un po’ prima di rivolgere nuovamente lo sguardo sul volto scarlatto di Kageyama.
“Però in senso positivo” aggiunse con un sorriso sincero.
 
Il bollore nell’epidermide del corvino diminuì di qualche grado.
 
“Come fa a non essere insulto se la faccio ridere?” mugugnò, titubante.
Non riusciva a concepire come qualcuno che ridesse di lui non lo facesse per scherno o puro disprezzo.
 
Sebbene il legale non lo stesse guardando, Hinata non disgiunse gli occhi dal suo volto, cercando di cogliere i particolari di quella complessa espressione.
Non era ancora in grado di comprenderlo e forse non avrebbe mai raggiunto del tutto un obiettivo del genere, tuttavia…
 
“Ha presente quando i bambini si sforzano per pronunciare una parola che però ancora non riescono ad articolare bene, e ne esce fuori un suono un po’ comico?”
 
Tobio alzò gli occhi sul rosso, il cui sguardo era particolarmente intenso.
 
“Ecco, viene spontaneo ridere affettuosamente a quel buffo tentativo… per poi insegnargli a emettere correttamente la parola che desiderano” continuò, spostando distrattamente qualche pezzetto di carne con i bastoncini.
 
Il corvino sbatté le palpebre, perplesso.
Non credeva di star seguendo il filo di quel ragionamento.
 
“In quel caso non si sta mica prendendo in giro il bambino! Si ride… beh, perché è tenero e suscita una risata dolce” tentò di spiegare con quanta più semplicità possibile, benché non fosse estremamente il suo forte farsi comprendere dagli adulti seriosi.
 
Tobio rimase interdetto per qualche istante, tentando di assimilare quel concetto…
Finché un nuovo, prepotente rossore non gli agguantò le orecchie.
 
“S-sta d-dicendo che io… sono tenero?!”
Non seppe nemmeno se suonò più come una minaccia o una totale esternazione di sorpresa.
 
Hinata si grattò la nuca, tossicchiando per non scoppiare a ridere sguaiatamente e dire addio alla propria testa, poiché dallo sguardo che gli stava scagliando Kageyama comprese che gliel’avrebbe staccata con un colpo solo, se solo si fosse azzardato.
 
“Diciamo che non è proprio l’aggettivo che userei per descriverla... ma almeno ha capito il senso” gongolò annuendo soddisfatto, mettendosi poi in bocca l’ennesimo spiedino di carne.
 
Tobio si corrucciò nuovamente incrociando le braccia al petto, quasi come in una posa difensiva.
Quella conversazione incominciava a non piacergli più.
“E come mi descriverebbe allora?” sbottò inacidito.
 
Hinata sbatté le palpebre, colto in contropiede.
 
Kageyama desiderava davvero conoscere la sua misera opinione?
Lui, il gigante irascibile con l’hobby dell’indifferenza indiscriminata ma la tendenza a comportarsi da impacciato?
Avrebbe potuto stilare una lista intera di epiteti, molti dei quali assolutamente antitetici fra loro…
Però, il vero problema, era che ancora non aveva capito cosa realmente pensare, di quell’uomo.
 
Temporeggiando, bevve un altro lungo sorso di birra, sforzandosi di non arricciare il naso per il sapore amarognolo.
“Diciamo che ho molte teorie sul suo conto…” iniziò con tono sommesso, finché inaspettatamente una realizzazione lo colpì dritto al petto.
 
“Volevo ringraziarla per prima, Kageyama-san”
 
Tobio aggrottò la fronte.
Non era certamente la risposta che si sarebbe aspettato.
 
“Per avermi… ecco, tolto dall’impiccio” borbottò Hinata, mordicchiandosi il labbro inferiore e giocherellando con i rimasugli di cibo.
“Yuuji è un bravo ragazzo, solo che a volte… ecco, sa essere insistente” spiegò, passandosi la mano fra i folti capelli dal color del sole, come a volersi scusare per il comportamento del biondo.
 
“Ciò non mi riguarda minimamente” tagliò corto Tobio, le mani serrate sui bicipiti.
 
Hinata sussultò, stringendo le labbra fra loro e abbassando repentinamente lo sguardo sulle proprie mani.
 
Ovvio che non gli importava della sua vita, perché mai avrebbe dovuto.
Che stupido a pensare che potesse interessargli.
Insomma, nonostante quegli strampalati atti di gentilezza lui era pur sempre…
 
“Sembrava infastidirla, dunque ho agito come meglio credevo” sentenziò il legale con tono piatto, come se stesse enunciando una verità innegabile.
Il solo ricordare la faccia burlesca di quel tizio, poi, gli scatenava un impetuoso senso di violenza.
 
Shoyo sgranò gli occhi.
 
Con lentezza scrutò il volto duro di Kageyama, tentando di non perdersi fra quella matassa labirintica che rappresentava la sua mente.
 
“E comunque, farebbe meglio a evitare di frequentare gente del genere”
 
Tobio si pentì subito per quanto appena enunciato.
 
Ma che aveva nel cervello?
Non era mica il padre di quello strambo rosso, no?
Non avrebbe mica dovuto importagli con chi uscisse.
Difatti non gliene fregava nulla.
Era stato un semplice suggerimento a scopo preventivo.
 
Hinata sollevò un lato del labbro in un sorriso sghembo, quasi…
Nostalgico.
 
“Non mi piace parlare male di Yuuji. Come le ho già detto ha molti difetti, però…”
Socchiuse le palpebre, perdendosi tra frammenti di ricordi di giornate soleggiate al mare, in montagna, in cima alle montagne russe…
“Con lui sono stato molto bene” concluse, quasi in un sussurro.
 
Tobio bramava ardentemente di spaccarsi definitivamente la testa contro il fottuto tavolo di legno.
 
Come diavolo gli era saltato in mente di pronunciare una frase del genere?
L’ultima schifosa cosa che avrebbe desiderato era far rammentare a quel diavolo di medico quanto schifosamente felice fosse stato con quello schifo di rifiuto umano con una schifosa palla appiccicata sulla lingua.
 
Inalò a pieni polmoni, immettendo quanto più ossigeno possibile per arieggiare il cervello.
Stava lievemente perdendo il controllo dei propri fili logici.
Doveva calmarsi.
 
Ma poi, insomma, di solito gli ex non si odiavano tutti indiscriminatamente?
I drama e i film che trasmettevamo alla Tv, e che lui si scopriva a guardare quando era troppo stanco anche solo per cambiare canale, insegnavano quello.
Significava che nella vita reale… gli ex andassero rispettati?
Non ci capiva un accidenti di nulla in quell’assurdo garbuglio chiamato relazioni sociali.
 
“Anche se ciò appartiene al passato”
 
Le parole di Hinata lo ripescarono letteralmente dal fiume di pensieri in cui rischiava seriamente di perdersi.
 
“Ma io spesso non ho la forza di mettere un punto”
 
Il mormorio di Shoyo avrebbe potuto perdersi nella notte autunnale, dolcemente trascinato dalle foglie che la lieve brezza trasportava da un campo d’erba a un altro.
Inudito, impronunciato.
 
Tuttavia, le orecchie di Tobio colsero ogni singola parola.
 
Sapeva bene d’esser negato a comprendere i sentimenti umani, ma c’era qualcosa in quelle parole che lo spinsero a pensare che Hinata non si stesse meramente riferendo a quel tizio.
 
Il suo lato terribilmente razionale stava già apostrofando il medico come debole.
E lo era, certo che lo era, no?
Però…
Decise, almeno per quella volta, d’evitare di ribattere.
 
Accorgendosi solo in quell’istante quanto si fosse lasciato sfuggire di bocca, Shoyo si riconnesse bruscamente alla realtà.
Aveva davvero condiviso informazioni personali, notizie sulla sua vita sentimentale maledizione, con Kageyama?
Davvero si era sentito a suo agio a conversare con qualcosa di tanto privato con lui?
Con un suo… paziente?
Eh già, il legale, in teoria, era un paziente dell’ospedale.
La scelta di farsi seguire espressamente da lui, però, ancora non la comprendeva.
Avrebbe potuto cercarsi un ortopedico di fama nazionale, per quel che ne sapeva.
Non era nemmeno quello, il suo ambito…
 
“Quindi…” tossicchiò Tobio, leggermente esitante.
“E’ stato un campione di ginnastica…?”
 
Tentò di assumere un tono formale, sperando che il contenuto della domanda non suonasse ridicolo.
Dalla risatina emessa da Shoyo, comprese di aver miseramente fallito.
 
 “Oh, maledizione, ma perché deve sempre ridere alle mie…”
 
“Crede di riuscire a darmi del tu?”
 
Le parole del rosso, il cui gomito appoggiato al tavolo e la mano a reggere il mento conferivano un’aria estremamente spontanea, lo interruppero.
 
Le guance di Tobio s’arrossarono appena.
 
“P-perché?”
 
“Beh, se parliamo di avvenimenti personali è un po’ strano continuare con questa convenzionalità, non le pare?”
Inarcò un sopracciglio per assegnar maggior enfasi alle proprie parole.
 
Kageyama mugugnò qualcosa, prima di annuire quasi impercettibilmente.
 
Inspirò a fondo, come se si stesse preparando a compiere un’impresa titanica.
 
“Sei… s-sei stato campione di ginnastica al liceo?” bofonchiò, con tono talmente basso da apparire a malapena udibile.
Peccato che i timpani di quel dannato medico fossero fin troppo prestanti.
 
“Esattamente! Beh, non proprio campione, ma medaglia di bronzo ai Nazionali di ginnastica dell’intero Giappone!” esclamò con occhi scintillanti, incominciando, prima che Kageyama potesse pienamente realizzarlo, un racconto dettagliato del percorso sportivo con relative peripezie da quando aveva quindici anni ed era un ragazzino spensierato con una voglia matta di saltellare ovunque.
Una copia non molto differente dall’originale, insomma.
 
Tobio si ritrovò ad ascoltare le parole di quello strambo rosso con dovizia, perdendosi nelle spiegazioni anche poco comprensibili, osservando le mani che mimavano l’atto di saltare un ostacolo, o arricciando il naso ai versi strani che traboccavano con naturalezza dalla sua bocca ogniqualvolta dovesse illustrare qualcosa di complesso.
A livello conscio non se ne accorse nemmeno, eppure tutti i discorsi di cui Hinata lo stava rendendo partecipe non finivano automaticamente ammucchiati nel consueto scompartimento del cervello, in cui risiedevano ricolmi di muffa discorsi e ciance da lui reputati inconcludenti.
Una minuziosa operazione di messa in sicurezza verso gli angoli più sicuri della sua memoria stava avendo luogo silenziosamente, ma con una tempistica perfetta.
 
 
 
“Non mi sorprende che eri titolare del club di pallavolo al primo anno di liceo! Dovevi essere uno spilungone già da allora!”
 
Il tono di Hinata era pregno di una frustrazione infantile che provocò nel legale un risolino maligno.
“180 centimetri” gongolò, non curandosi d’apparire forse ancor più infantile del rosso.
“Aaargh lo sapevo! La vita è proprio ingiusta” guaì, ingurgitando finalmente l’ultimo sorso di birra.
Doveva ammettere che da metà bicchiere aveva smesso di concentrarsi sul sapore non eccezionale per focalizzarsi sul come l’effetto dell’alcolico gli rendesse ancor più semplice la comunicazione con il corvino.
 
“In realtà credo sia stato anche merito della mia dieta. Ho sempre assunto dosi di latte e yogurt molto superiori alla norma…” rifletté Tobio.
“Quindi ti sono cresciute le ossa più del dovuto? Allora hai sacrificato la resistenza per la lunghezza, a giudicare da quello” ribatté Hinata ridacchiando, indicando con un cenno del capo l’avambraccio ingessato.
 
Non si accorse sfortunatamente di un lieve doppio senso che Kageyama, invece, colse immediatamente.
Arrossì dalla punta dei capelli a quella dei piedi e sbraitò un “Ma cosa dice! Cioè, volevo dire, che cosa dici, idiota!” prima di potersi frenare.
 
Hinata prima lo guardò con occhi un po’ vacui, poi scoppiò nuovamente a ridere per quel comportamento isterico.
Seppur ammettesse di trovarlo vagamente carino.
 
“Ma tu guarda” borbottò fra sé e sé il corvino, ricomponendosi al meglio delle sue capacità.
Fu più per un gesto automatico che spostò le iridi verso l’orologio allacciato al polso sinistro, scorgendone distrattamente l’ora.
Sgranò gli occhi, basito.
 
Aveva trascorso ben due ore e mezza lì fuori con quel medico idiota?!
Come diamine era stato possibile?
 
Scoccò un’occhiata dentro le pareti trasparenti del gazebo, ma la festa era ancora viva, animata dalla musica pazzoide che quel biondo strampalato stava remixando alla pari di un Dj esperto.
Nessuno era venuto a reclamarli, quindi non credeva d’aver speso così tanto del suo tempo.
 
Non che gli fosse dispiaciuto, però.
 
Il suo sguardo vagò fino a posarsi sul rosso, acquattato come un pimpante uccellino sulla panca legnosa… e un sorriso sfuggì inconsapevolmente alle proprie labbra, stirando la pelle in una piccola curva.
 
Avevano parlato senza alcun freno.
Adolescenza, scuola, sport, hobby…
Argomenti superficiali magari, ma non necessariamente noiosi.
Tediarsi sarebbe stato impossibile considerando che battibeccavano ogni due per tre, soprattutto sulle diatribe maggiormente futili.
E nonostante ciò, nel complesso…
 
“Credi che…”
 
S’interruppe, rimangiandosi immediatamente la parola.
 
Era stato bene, non poteva negarlo.
Avevano condiviso piacevoli frammenti di vita, ma tutto terminava lì.
Forse quell’Hinata non era così idiota come aveva pensato, ma nulla di più.
 
“Credo cosa?” riprese però la palla al balzo Shoyo, non demordendo.
 
Tobio si alzò dal tavolo, camminando avanti e indietro con la scusa di sgranchirsi le gambe.
 
Dopo qualche minuto di puro silenzio, riportò lo sguardo sul medico, i cui occhi nocciola l’avevano seguito nelle sue movenze con una certa curiosità…
 
E non seppe se fu per il riflesso della luna, delle stelle, dell’assenza di luci artificiali o per qualche altra strampalata motivazione…
 
Eppure gli occhi di quel piccolo rosso scintillavano, brillavano letteralmente come se fossero loro, le stelle.
 
Soppesò la delicata linea del piccolo naso, la bocca a cuore, le sopracciglia fini dello stesso colore dei capelli scombinati.
 
Forse era un idiota, forse no.
Però, nulla poteva negare che quell’idiota dalle mille debolezze a lui incomprensibili, quell’idiota che gli faceva ribollire il sangue nelle vene dal nervosismo…
 
Gli piaceva.
 
Continuare a negarlo era ormai divenuta una causa persa.
Una causa su cui aveva sbattuto la testa innumerevoli volte…
Ma il cui esito era ormai divenuto evidente.
 
“Credi che potremmo rivederci? N-non in ospedale, intendo” sussurrò, fissando il manto erboso con tanta intensità da desiderare ardentemente di fondervisi.
 
Il cuore gli batteva forte in petto, lo percepiva nitidamente risuonar con forza all’interno dei timpani.
 
Non aveva mai pronunciato una frase del genere.
Era… la prima volta che sentiva il sincero bisogno, o desiderio, che quelle parole si avverassero.
 
Una vocina maligna, però, s’insinuò come una flessuosa serpe tra i meandri oscuri della sua mente.
“Non ti renderà debole, questo stupido sogno?”
Era un sussurro talmente sommesso che però, al momento, fu facilmente ignorato.
 
Il cuore di Shoyo si dilettò in salti talmente spericolati da imitare perfettamente quelli compiuti dal proprio sé adolescente.
 
Non pensò a niente, non ne ebbe nemmeno il tempo.  
 
Si ritrovò semplicemente ad annuire più e più volte, espressione incredula, occhi sgranati.
 
Avrebbe dovuto aggiungere qualcosa magari.
O forse sarebbe stato meglio rimanere in silenzio?
Era troppo stralunato per poter anche solo scegliere fra le due opzioni.
 
Il suono della sveglia automatica del suo cellulare evitò comunque qualunque possibile reazione.
 
Sbattendo confusamente le palpebre, sfilò il telefono dalla tasca dei jeans e si accorse solo in quel momento che fosse molto più tardi del previsto.
 
“Maledizione” borbottò, alzandosi in piedi e stiracchiandosi le spalle.
 
Tobio lo guardò interdetto.
 
“Devo andare a casa a riposare, domani ho il turno di notte” spiegò con una nota triste nella voce.
 
Tobio si morsicò la lingua.
Il fottuto ospedale, perché se ne dimenticava sempre?
D’altronde era lì che l’aveva conosciuto, maledizione.
 
“Sono stato… davvero bene” mormorò poi avvicinandosi appena al legale, che percepì la respirazione accorciarsi drasticamente.
“Hai il mio numero” aggiunse con un sorrisetto che sarebbe potuto essere interpretato come ammiccante se Tobio avesse saputo intendere un po’ meglio gli atteggiamenti altrui.
 
E se non fosse stato troppo occupato a cercare di non iperventilare, naturalmente.
 
Ma che razza di reazione era poi quella?!
 
“Adesso vado. Buonanotte, Kageyama” si congedò cortesemente il medico, prima di schizzare letteralmente come una molla per adempiere i suoi doveri.
 
 
 
Tobio non realizzò l’esatto numero di minuti che spese rimanendo in piedi a fissare il vuoto.
 
Con estrema lentezza, sollevò la mano sinistra e se l’accostò al torace.
Il cuore gli batteva ancora rapidamente.
Cercò di scandagliare i momenti che avevano composto quella serata.
Solo tre ore prima era seduto da solo, isolato dal resto della calca a riflettere su qualcosa che, al momento, nemmeno ricordava…
E tre ore dopo si era ritrovato seduto su una scomoda panca di legno a chiacchierare come se nulla fosse con il suo strambo medico dallo strambo colore di capelli.
 
Se glielo avessero predetto, si sarebbe semplicemente messo a ridere.
 
Come se ancora si trovasse immerso in una specie di trance s’incamminò fino al gazebo, dove la testa per poco non gli scoppiò al contrasto fra il frastuono dell’interno e il silenzio che regnava fra le verdi siepi.
 
“Ehi, ehi, ehi, Kageyama!”
 
La voce di Bokuto gli invase letteralmente i timpani, estromettendo tutti i restanti suoni.
 
“Ti sei perso la torta, sai?” lo informò, ma dal ghigno vivace sul viso non sembrava poi troppo dispiaciuto.
“Mi dispiace Bokuto-san, io…” cercò di scusarsi, tuttavia fu interrotto da un altro sogghigno appena apparso dietro alla possente schiena di Koutaro.
“E bravo il nostro Kageyama-kun” cantilenò Tetsuro, avvolgendogli le spalle con il lungo braccio.
“Non hai perso tempo” gli diede man forte Bokuto, scombinandogli i capelli corvini.
“Voi due, piantatela” li ammonì all’istante Akaashi, individuando subito i due molestatori e sciogliendo dalla morsa un confuso Kageyama.
“Guastafeste come sempre” si lamentò Kuroo mettendo su il labbrino.
“Siete voi che non crescete mai” ribatté Keiji senza batter ciglio.
Nonostante avesse appena ammonito i ragazzi, però, una domanda ben precisa era stampata sul suo viso, le cui iridi erano ancora agganciate a quelle di Tobio.
 
Non seppe se Kageyama avesse compreso la sua espressione facciale o se si trattò soltanto di una banale coincidenza, ma non appena il corvino, sfidando un rossore persistente alla punta delle orecchie, bofonchiò un sommesso “Ho bisogno… di qualche consiglio…”
 
Tre paia di occhi scintillarono sopra a tre ghigni davvero poco rassicuranti.
 
 
 
 
 



 
Note finali: giuro che la smetto di dare indicazioni tempistiche. Tanto non le rispetto mai.
La storia continua a ingranare, ma ci vorrà ancora un po’ per entrare nel climax.
Possiamo dire che qui sembri filare tutto liscio…
O forse troppo liscio, ihih.
Vabbè, basta.
Fissione.
Tobio sta lentamente scindendosi in piccoli pezzettini.
Da che punto di vista, però, è ancora un mistero.
Se avete domande sulla trama non esitate a chiedere.
Ringrazio come non potete nemmeno immaginare tutte le persone che abbiano inserito questa fic fra le preferite e le seguite (la cosa bella è che aumentate, mi fate salire l’ansia perché sono sempre in ritardo) e un mega bacio a chi mi ha lasciato una bellissima recensione.
Sarei felicissima di conoscere il vostro parere sulla storia!

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Capitolo 7
*** VII. Puzzle mancanti ***




VII

 
Puzzle mancanti
 
 
 

 
 
“Non posso credere a quello che ho fatto”
 
La sconcertata confessione di Hinata rimbombò cupamente all’interno dei suoi stessi timpani, riecheggiando nel proprio cervello come vittima di un potentissimo eco indesiderato.
 
“Io non aspettavo altro”
 
La maliziosa risatina di Suga fu lievemente coperta dalle pallide dita sottili, che tuttavia non servirono a renderla meno evidente.
 
“Era ora che mostrassi un po’ di sfacciataggine, Shoyo!” fu il trillo incoraggiante di Noya, corroborato dai pollici ben sollevati in vivace segno d’approvazione.
 
“Perché, hai mai ragionato davvero su qualcosa prima d’ora?”
 
Il tono beffardo del biondo occhialuto, placidamente accoccolato sul divanetto nero posto di fronte al medico, strappò Shoyo dai propri pensieri conturbanti per consentirgli d’assumere una smorfia irritata. 
 
“Non stavo parlando con te, Tsukishima!” saettò agitando i pugni in avanti, desirando ardentemente d’assestarne un paio su quella fastidiosa zazzera color grano.
 
Peccato che la spropositata differenza d’altezza fra i due proibisse fermamente la realizzazione dell’agognata brama.
 
“Sei odioso, Tsukishima” sospirò stancamente Koushi, sistemandosi una ciocca di capelli argentei dietro l’orecchio.
 
Dinanzi al commento poco lusinghiero del quasi sempre gentile Suga, Kei non poté evitare la svettante comparsa di un cipiglio imbronciato sulla fronte.
 
“Che ci fai qui, comunque? Non sarebbe il tuo giorno libero oggi?” domandò poi l’infermiere, osservando con perplessità il ragazzo impegnato a giochicchiare svogliatamente con un bicchiere mezzo vuoto di caffè.
“In teoria. Ukai-san ha però avuto la brillante idea di combinare un pasticcio con alcuni documenti di una certa rilevanza, reclamando poi il mio aiuto per rimediare. Dunque eccomi qui, a lavorare in quest’ospedale anche nel mio auspicato giorno di riposo” sputò sardonico, bilanciandosi gli occhiali scuri sul ponte del lungo naso.
 
“Almeno ti rendi utile. Cosa faresti in casa tutto solo soletto?” chiocciò Tanaka con sguardo canzonatorio, apparendo magicamente da dietro le esili spalle di Koushi.
 
Una piccola vena iniziò a sporgere dalla tempia pallida del dirigente amministrativo.
 
“In effetti, Tsukki, da quando Tadashi si è trasferito dall’appartamento che dividevate per iniziare a convivere con Yacchan…” ghignò Nishinoya scoccando un’occhiata al rosso, concedendogli l’occasione di una rivalsa su un piatto d’argento.
“Non credo tu abbia molto da fare” concluse Shoyo con un’irritante cantilena, tirando fuori la lingua nella perfetta imitazione di un bimbetto di sei anni.
 
Le guance di Kei s’imporporarono lievemente e dagli occhi ambrati sgorgarono vere e proprie scintille.
 
“Beh, te la sei cercata, Tsukishima” commentò in maniera nettamente imparziale Ennoshita, le cui orecchie non avevano potuto evitare d’udire gli alti toni della conversazione, risuonanti in maniera fin troppo squillante fra le pareti della piccola saletta.
“Piuttosto, Tanaka. Non dovresti essere di turno in questo momento?”
Il ragazzo dalla testa rasata tossicchiò qualcosa d’incomprensibile, non osando incrociare lo sguardo del coetaneo che proruppe in un sospiro rassegnato.
“Fossi in te mi affretterei a filarmela. So che Daichi-san si sta dirigendo proprio…”
 
La conclusione della frase fu assolutamente superflua.
 
“Tanaka! Ti ho cercato praticamente ovunque! Si può sapere perché ignori il cercapersone?!”
 
Il tono di Sawamura, saturo di una minaccia malamente contenuta, fece letteralmente rizzare i peli sull’intero corpo di Ryuu.
“Al seminterrato ti sta aspettando Asahi con un enorme carico di medicinali urgenti! Non può mica trascinarsi quel portapacchi da solo!” lo redarguì severamente e, prima che dai suoi occhi potessero fuoriuscire vere e proprie fiamme ardenti, Tanaka non perse tempo a scattare in piedi, accennare un rapido segno di saluto in direzione dei colleghi e sfrecciar via come un razzo in fase di decollo.  
“Ma tu guarda” sospirò stancamente il primario di Medicina Generale, strofinandosi l’avambraccio color caffellatte sulla fronte.
 
Dopo un attimo di riassestamento delle acque e di recupero della consueta tempra mite del medico, Noya intervenne con fervore.
“Sei troppo stressato, Daichi-san!” esclamò con cipiglio intransigente.
“Perché non ti siedi un attimo? E’ tutto il giorno che ti vedo correre da un lato all’altro dell’ospedale” concordò Suga con tono gentile.
Sawamura accennò uno sbuffo.
“Come faccio a rilassarmi se ne capita una al minuto?  Voi poi non mi rendete di certo la vita più facile” ironizzò, squadrando i colleghi con un sopracciglio inarcato.
“E daaai Daichi, non sgridare i bambini” scherzò Koushi con leggerezza, alzandosi dalla poltroncina e scoccandogli una pacca delicata sulla spalla.
“Un nostro pulcino ha appena preso il volo da casa, sai?” esalò con aria esageratamente afflitta, scoccando a Hinata un occhiolino fugace che provocò al rosso l’eccessiva dilatazione delle pupille.
“Che intendi?” indagò il primario con un accenno di malcelata curiosità.
Il grazioso infermiere ghignò.
“Ti ricordi l’uomo che all’incirca tre settimane fa ti ha fatto incavolare al pronto soccorso? Si è anche permesso di alzare la voce con te”
“Suga-san!!” implorò a quel punto Hinata, sperando vivamente che il senpai gli concedesse un piccolo atto di carità.
Daichi parve riflettere per qualche istante prima d’annuire, rabbuiandosi appena.
“Gli avrei riferito volentieri qualche parolina” mugugnò gravemente e Koushi ridacchiò con malizia.
“Beh, pare che entrerà a far parte della famiglia molto presto” sussurrò sibillino.
Shoyo desiderò ardentemente d’esser seppellito vivo.
 
Prima che Sawamura potesse comprendere meglio cosa intendesse il collega, una voce femminile chiamò il suo nome concitatamente.
 
“Michimiya, che succede?” domandò subito, voltandosi verso la donna dagli scuri capelli corti e vispi occhi castani appena comparsa sulla porta della saletta.
“C’è stato un problema con le macchine della ventilazione artificiale nell’ala cinque del reparto Terapia Intensiva. Pare che non abbiano funzionato a dovere per qualche minuto e i familiari dei pazienti ricoverati hanno iniziato a lamentarsi con veemenza, pretendendo di vedere un superiore” informò velocemente, la voce spezzata dal fiatone per aver probabilmente corso su cinque rampe di scale per riuscire a scovare il primario.
Un nuovo, profondo sospiro scosse l’ampia schiena di Daichi, mani che sfregarono celermente il viso per tentare di scollarsi di dosso l’onerosa patina di spossatezza.
“Ci mancava solo lo scoppio di una piccola rivolta. Mentre io mi occupo delle famiglie tu puoi chiamare immediatamente il tecnico per capire quale sia stato il problema? Non voglio che si rischi mai più nulla del genere…”
 
Parlottando a passo spedito i due medici lasciarono la sala relax velocemente come vi erano apparsi.
 
Suga si grattò la nuca, un po’ contrariato.
“Daichi si assume sempre responsabilità che non dovrebbero competere a lui” sbottò irritato, ricadendo con un tonfo sulla morbida poltroncina in pelle.
“In effetti spetterebbe al direttore generale occuparsi delle lamentele. Perché hanno chiamato proprio Daichi-san?” commentò Noya, imbronciato.
“Perché Ukai-san è così tanto incasinato con i suoi affaracci da chiamare persino me per risolverli nel mio giorno libero” proruppe irritato Tsukishima, alzandosi dal divanetto e gettando il bicchiere ormai vuoto di caffè nel cestino.
“Gli unici ad apparire sfaccendati, guarda caso, sembrate solamente voi tre” osservò con le palpebre ridotte a fessure, dirigendosi poi senza guadarsi indietro verso l’ascensore.
 
“Quel brutto…”
“Calma Shoyo, non c’è bisogno di cedere alle provocazioni di Tsukishima” lo interruppe però Suga con voce pacata.
Nishinoya pareva proprio sul punto di cedere a una sonora imprecazione nei confronti di quell’antipatico di Kei quando però il cercapersone trillò rumorosamente dalla tasca dei suoi pantaloni, facendolo guizzare in piedi come una molla e, dopo un prorompente saluto agli amici, schizzare via verso la rampa delle scale come un fulmine.
 
Suga sorrise al comportamento rocambolesco di Yuu, per poi rivolgere nuovamente la propria attenzione verso il piccolo rosso.
“Sappiamo tutti che sei la persona più attiva di quest’ospedale, quindi non agitarti. Anche tu hai bisogno di una pausa, una volta tanto” lo rassicurò con un ampio sorriso rinfrancante.
Hinata sembrò genuinamente rincuorato per qualche istante…
Ma poi assottigliò gli occhi, improvvisamente sospettoso.
“Dici così solo perché vuoi che ti racconti la storia con Kageyama?” borbottò incrociando le braccia.
Koushi assunse un’espressione scandalizzata.
“Non lo farei mai per uno scopo talmente egoistico” sciorinò angelico con le mani giunte sul petto coperto dal camice azzurrino.
Shoyo mugugnò qualcosa di difficilmente comprensibile e l’infermiere si lasciò sfuggire una risatina.
 
“Sul serio, Shoyo” riacquistò poi la serietà incrociando le gambe magre, da cui due caviglie pallide potevano scorgersi tra lo stacco dei pantaloni e le bianche pantofole ospedaliere.
“Ti va di parlarne?” chiese con rinnovata gentilezza, scorgendo il medico mordicchiarsi il labbro inferiore, come in preda a un conflitto interiore.
“Il fatto è…” bofonchiò, torcendosi le dita e fissando il pavimento con intensità tale da sembrare che stesse scrutando la risposta opportuna da una sfera magica celata fra le marmoree mattonelle.
“Che mi sento… mi sento attratto da… Kageyama… in un modo che non capisco” mormorò alla fine, sollevando appena gli occhi per incontrare, con suo grande sollievo, il viso calmo e dolce di Koushi, le cui iridi nocciola rappresentavano un caldo conforto per la sua anima turbolenta.
“Non so nemmeno perché gli ho lasciato il mio numero di telefono qualche settimana fa. Prima della festa di Bokuto-san abbiamo chattato qualche volta e anche se finivamo comunque per battibeccare… mi faceva piacere ricevere un suo messaggio” cercò di spiegare, tentando di operare un po’ di chiarezza nel proprio cervello, ordinando a fatica i pensieri che si azzuffavano prepotentemente fra loro.
Suga lo ascoltava con estrema pazienza, senza la minima traccia di saltare a conclusioni affrettate.
Fu probabilmente tale atteggiamento che lo spronò a continuare, ringraziando mentalmente l’infermiere per quella natura quasi materna che gli concedeva di confidarsi, più volte di quel che avrebbe volentieri ammesso, senza il minimo giudizio e ricevendo sempre in cambio ottimi consigli.
“Alla festa di Bokuto-san è stato come… come trovarsi in un sogno. Non sembrava assolutamente il Kageyama che avevo incontrato settimane fa. Era… diverso, più rilassato. Quando poi mi ha chiesto se avremmo potuto rivederci…” s’interruppe di nuovo, tentando di non soccombere al calore che gli invase le guance al ricordo di quelle parole sussurrate nella notte colma di stelle lucenti, la cui brezza autunnale faceva scuotere dolcemente le siepi attorno a loro.
“Mi sono sentito felice. Felice felice, intendo” precisò annuendo vigorosamente e Suga non poté evitare un tenero risolino.
“Era come se… sentissi un calore premere qui” spiegò, calcandosi il palmo destro contro il petto, abbassando di nuovo gli occhi e forse perdendosi fra le percezioni che si accumulavano imperterrite e disordinate.
“E’ la sensazione che provi quando capisci che ti piace qualcuno?”
Hinata sollevò la testa, ciuffi di capelli rossi ricaddero vaporosi sulla pelle rosea.
“E’ simile… ma al tempo stesso è qualcosa di diverso” descrisse, cercando di concentrarsi su quella vampata espansagli per il torace.
“E’ caldo, ma… sento anche un tremito” sussurrò.
Koushi alzò un sopracciglio, perplesso.
“Kageyama mi attrae, ma al tempo stesso è come se… mi facesse paura” mormorò in tono quasi inudibile.
La linea delle labbra di Suga s’indurì.
“Temi che possa farti del male?”
Hinata parve riflettervi profondamente, solleticandosi il mento con i polpastrelli.
“Anche, sì. Ma non è l’unico aspetto che m’intimorisce. Mi sento… come se mi trovassi sulle sabbie mobili. Al minimo movimento brusco rischio d’esser risucchiato e d’esser guardato con…”
Temporeggiò qualche attimo, in cerca dell’aggettivo maggiormente appropriato.
“Disprezzo?” tentò l’infermiere, inclinando appena il capo.
Il rosso però scosse la testa.
“Fredda apatia”
Koushi allargò gli occhi, sorpreso.
“Non credi che il problema principale di quel tipo sia il guardar tutti dall’alto in basso?”
 
Shoyo si grattò la nuca, radunando le immagini dei loro incontri e facendole scorrere per trovarvi un filo connettore, un comune denominatore.
 
“Io penso che…”
 
“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
 
Non c’è bisogno di certi sentimentalismi”
 
“Ciò che mi spaventa di più… sia la sua totale indifferenza verso tutti” bofonchiò, mordicchiandosi l’interno della guancia.
 
Koushi prestò particolar attenzione a quelle parole.
“A me però pare che il suo atteggiamento freddo sia stato decisamente riscaldato dalla tua influenza” osservò con un sorrisetto.
Le guance di Shoyo si colorarono leggermente.
“Dico sul serio” aggiunse il maggiore con serietà.
“Da quando vi siete visti per la prima volta non avete fatto altro che battibeccare, no? I suoi comportamenti erano tutt’altro che impassibili. Tu non lo rendi impassibile” dichiarò semplicemente con una scrollatina di spalle.
Le iridi nocciola del rosso si allargarono.
“Insomma Shoyo, ti ha chiesto di uscire perché gli piaci, no? Avrebbe mai agito così se ti avesse ritenuto una persona banale?”
 
Il cuore di Hinata parve dilettarsi in capriole piuttosto spericolate.
 
Socchiuse la bocca per pronunciare qualcosa ma si accorse che nessun suono sembrò imboccare la via d’uscita.
Suga gli concesse una risatina, agitando la testa.
“Non l’avevi ancora realizzato?” civettò bonariamente con un luccichio negli occhi.
Le guance di Hinata s’imporporarono violentemente.
Borbottò qualcosa d’incomprensibile e Suga scoppiò finalmente a ridere.
“Come mai arrossisci se gli hai anche lanciato la frecciatina di scriverti per primo?” chiocciò, recuperando l’aria maliziosa occultata alla perfezione dietro all’espressione angelica.
La pelle del medico per poco non incominciò a fumare.
“Sono stato uno sfacciato” guaì, infilandosi le mani tra i capelli folti.
“Quand’è che saresti mai stato discreto?” lo prese in giro Koushi con affetto.
 
“E’ che… ho paura di combinare un pasticcio” sussurrò Shoyo dopo qualche attimo.
 
Si trattava di una sensazione che non riusciva a spiegare a parole, nemmeno a Suga-san.
 
C’era qualcosa in Kageyama che lo attraeva in maniera pericolosa.
 
Sorvolando sull’antipatia e l’irascibilità, che con suo grande stupore trovava sorprendentemente sopportabili…
 
Percepiva un aspetto più oscuro, nel legale.
 
Qualcosa che gli aveva già dimostrato, nelle poche occasioni in cui avevano avuto la possibilità di vedersi.
Eppure, intuiva si trattasse solo della punta di un iceberg ben celato.
 
Kageyama era un uomo alquanto contorto.
Non che lo intimorisse la difficoltà in sé…
 
Ma c’era una strana sensazione inviatagli dal cervello che, almeno a livello conscio, non riusciva ad analizzare.
 
Come un piccolo campanello d’allarme.
 
Un campanello d’allarme che lo avvisava, lo metteva in guardia dalla possibilità che quel legale, quell’affascinante uomo dai gelidi occhi azzurri, capace di arrossire come un bambino...
 
Avrebbe potuto inciderlo profondamente.
 
In che modo, però, non riusciva ancora a pronosticarlo.
 
Un vibrante “bip” dalla tasca dei jeans lo riscosse dai propri pensieri.
 
Pescò distrattamente il cellulare e occhieggiò lo schermo luminoso.
Leggendo il mittente del messaggio, il suo cuore decise di saltare dispettosamente qualche battito.
 
 
-Kageyama Tobio- 18:39
“E’ libero questa domenica?”
 
 
Sbatté più e più volte le palpebre, sforzandosi di metabolizzare quel semplice ma al contempo titanico quesito.
 
Koushi dovette accorgersi dello stato di trance in cui pareva esser piombato il medico poiché si sporse in avanti per adocchiare il contenuto del cellulare, sapendo già per esperienza che al rosso non causasse alcun fastidio quella piccola violazione della privacy.
 
Un sorrisetto contornò immediatamente i delicati lineamenti dell’infermiere.
 
“Conciso e dritto al sodo. Mi piace” cinguettò, causando un sussulto nelle spalle di Shoyo, che probabilmente nemmeno si era accorto della vicinanza di Suga.
Le sue guance erano tinte di un’adorabile sfumatura rossastra.
“Anche se è davvero formale. Non vi date ancora del tu?” aggiunse poi con un pizzico di perplessità.
Shoyo perse l’espressione imbarazzata in favore di un piccolo ghigno.
“Scommetto che si vergogna ancora a inviarmi un messaggio troppo confidenziale. Quando gli ho chiesto di abbandonare la convenzionalità sembrava addentrarsi in qualcosa di sconosciuto” ridacchiò, immaginandosi la faccia del corvino assumere un cipiglio terribilmente concentrato al digitare quell’sms.
“Forse parlare in assenza della barriera del formalismo è qualcosa cui non è davvero abituato” osservò Sugawara.
 
Le iridi nocciola di Shoyo incontrarono repentinamente quelle di Suga.
 
Barriera di formalismo, eh.
 
Ricordava nitidamente il muro eretto dal legale non appena si era azzardato, nel corso del loro secondo incontro, a domandargli qualcosa di maggiormente privato.
Qualcosa verso cui lui pareva… sinceramente in difficoltà.
 
Ma si trattava solo di difficoltà?
 
Shoyo si ritrovò a corrucciare la fronte, meditando attentamente e dimenticando per qualche minuto il messaggio che gli aveva causato l’acceleramento della respirazione.
 
Durante la festa di Bokuto-san, o comunque nelle varie occasioni in cui si erano precedentemente imbattuti, v’erano state indubbiamente parecchie volte in cui Kageyama sembrasse esser teso o brancolante nel buio.
La maggior parte di esse si risolvevano però con una battutina da parte sua e l’ostentata ira del legale culminante con l’arrossamento delle sue orecchie, dettaglio che Shoyo aveva incominciato a trovare segretamente adorabile.
 
Allora, l’assunzione di quell’espressione glaciale, di fredda apatia di cui era consciamente e inconsciamente terrorizzato…
 
Quando appariva?
 
Aveva paura di combinare un pasticcio per tale ragione, no?


Temeva di pronunciare qualcosa di sbagliato, qualcosa per cui Kageyama iniziasse a guardarlo come se improvvisamente fosse disinteressato a lui.
Come se lo stesse…
 
Escludendo.
 
Allargò gli occhi, fissando senza nemmeno accorgersene il nome del legale a caratteri ben nitidi sul display.
 
Temeva che Kegayama lo escludesse?
 
Aveva paura che il legale lo tagliasse definitivamente furi dalla sua impegnata e un po’ misteriosa esistenza?
 
Temeva che lo considerasse assolutamente banale?
 
Ma perché era spaventato da tutto ciò?
 
I suoi ragionamenti, almeno a livello conscio, avevano esaurito i fili logici disponibili per persistere in quel difficoltoso intreccio di fattori.
 
“Shoyo?”
 
Il medico sussultò non appena percepì un tocco gentile sulla spalla.
 
Ancorò lo sguardo un po’ stralunato su Koushi.
 
“Tutto okay?” domandò l’infermiere con una sfumatura d’ansia.
 
Ponendo di lato quei pensieri prepotenti che tanto agognavano un’esaustiva risposta, si sforzò d’annuire e assumere un’espressione serena.
 
“Stavo solo… pensando a cosa rispondergli” spiegò nervosamente.
E, in effetti, si trattava di una bugia solo a metà.
 
Davvero non aveva ancora idea di come ribattere.
 
Doveva essere spontaneo come sempre, no?
Ma se avesse esagerato e Kageyama non sarebbe più voluto uscire con lui…?
 
L’infermiere ridacchiò, scoccando un lieve pizzicotto sulla guancia rosea di Shoyo.
“Non ti complicare la vita. Sii te stesso come sempre e non sbaglierai. A lui, del resto, piaci per questo. No?” cinguettò con un occhiolino e il rosso sorrise, mordicchiandosi il labbro inferiore e recuperando un po’ di fiducia in se stesso.
 
Sì, era la verità.
Comportarsi con estrema naturalezza aveva sempre funzionato con quell’antipatico legale.
 
O almeno, la maggior parte delle volte.
 
 
-Medico Idiota- 18:45
“Inizio il turno alle 19.00 ma la mattina e il pomeriggio sono disponibile ;)”
 
 
Digitò con un lieve sorrisetto maligno.
Con sua sorpresa, la risposta giunse quasi immediatamente.
 
 
-Kageyama Tobio- 18:46
“Le andrebbe di uscire verso le 12:00? Decida lei il posto.”
 
 
Hinata non sapeva se essere sorpreso o basito.
 
Kageyama gli stava concedendo carta bianca su dove andare…?
Si sentì inaspettatamente in mano un sostanziale potere decisionale.
 
Vi rifletté per qualche minuto.
 
Dove portare quel legale che trascorreva la maggior parte del tempo fra uffici zeppi di carte e oscuri tribunali?
 
La risposta fu molto più semplice del previsto.
 
 
-Medico idiota- 18:48
“Che ne dici di una bella passeggiata al Rikugi-en? Potremmo prima mangiare qualcosa nei dintorni e poi prendere un tè lì :D”
 
 
-Kegeyama Tobio- 18:49
“La aspetto davanti alla fermata Komagome.”
 
 
Hinata sbuffò appena.
 
Non si sbottonava proprio, eh.
 
“Ho fatto bene?” chiese un po’ titubante, mostrando la chat a Suga.
 
Dopo aver velocemente letto lo scambio di sms, Koushi annuì con un grande sorriso.
“Per un primo appuntamento direi che è un luogo perfetto” chiocciò con un sorrisetto malizioso e Shoyo guaì con un “Suga-saaan” che fece ridere di gusto l’infermiere.
 
Prima che potessero aggiungere altro il cercapersone di entrambi trillò sonoramente, riportando i due giovani uomini nuovamente con i piedi per terra.
 
 
 
***
 
 
 
Il sole era alto nel cielo contornato da rade nuvole bianche come panna.
La brezza di fine settembre scuoteva dolcemente i rami degli aceri e consentiva alle foglie imbrunite di vorticare allegramente sul terreno.
Un tiepido chiacchiericcio accompagnava il passeggio di eterogenei gruppi di persone lungo i marciapiedi circostanti.
 
Ritto e immobile come un pilastro di cemento, Kageyama si ergeva dinanzi alle porte girevoli della stazione Komagome con la schiena tanto impettita da far sospettare che un manico di scopa si celasse tra le sue spalle.
Gli occhi guizzavano con matematica cadenza all’orologio d’acciaio avvolto al polso sinistro.
 
Le 12:04.
 
Era arrivato dieci minuti prima, abituato a spaccare sempre il secondo nelle aule di tribunale.
 
Cosa significava quel ritardo di ben quattro minuti?
 
Il cuore iniziò a pulsare con irruenza nel petto.
 
E se Hinata avesse deciso di non presentarsi?
Se aveva ritenuto non più interessante un’uscita con lui?
Se se ne fosse dimenticato?
 
Non si erano scambiati alcun messaggio quella mattina, dunque non era un’eventualità da escludere a priori.
 
Insomma, perché diamine non arrivava quel piccolo idiota?
 
Si sforzò di riprendere il controllo della propria respirazione esagitata.
 
Si era documentato, maledizione, in teoria sapeva cosa avrebbe dovuto fare.
 
Aveva riavvolto il nastro delle spiegazioni di Akaashi, Bokuto e Kuroo fino alla nausea, ripercorrendo con estrema minuzia ogni microscopico dettaglio della conversazione svoltasi al termine della festa, avvenuta nove giorni prima.
 
 
 
“Devi assolutamente invitarlo a uscire!! Non è vero, bro??” era stata la a dir poco esaltata risposta di Bokuto non appena Tobio aveva riassunto in maniera stringata, tentando in ogni maniera possibile di nascondere l’imbarazzo, la situazione creatasi fra lui e quello strambo medico.
 
Avrebbe fermamente evitato qualsiasi coinvolgimento esterno che avesse potuto provocargli disagio, ma si rendeva conto autonomamente di non riuscir a combinare poi molto senza il supporto di qualcuno ben più esperto in maniera.
In fondo, prima di divenire capaci in un settore la pratica era sempre necessaria, un po’ come nel suo mestiere.
Chi dunque meglio di Bokuto e Akaashi, coppia fissa da ben otto anni, e Kuroo, cresciuto al fianco del proprio attuale compagno da quando riuscisse a ricordare?
Riteneva che possedessero un’esperienza delle cosiddette “relazioni interpersonali” abbastanza cospicua.
Dal dire al fare, comunque….
 
“Mi sembra evidente che il piccoletto sia interessato a te, Kageyama-kun” aveva concordato con un sorriso sornione Tetsuro, muovendo le mani con gesto eloquente.
“Così com’è palese che tu non sia per nulla indifferente al nostro tenero medico. Non è così, Akaashi-kun?” aveva poi sogghignato con occhi socchiusi, provocando al legale un brivido lungo la spina dorsale.
 
Nonostante costituisse una presenza fissa alla pasticceria Murakami, ove Tobio si recava settimanalmente, e avesse un po’ fatto il callo alle sue espressioni feline, non sarebbe mai riuscito ad abituarsi totalmente ai comportamenti equivoci di quell’uomo.
 
“Per una volta concordo con te, Kuroo-san” era stata la pacata risposta di Keiji, velata tuttavia da una patina di malizia che colpì e affondò definitivamente il legale.
“Se fossi in lui mi aspetterei un invito nel giro di pochi giorni” aveva aggiunto con un sopracciglio inarcato.
Koutaro aveva annuito freneticamente.
“Non bisogna mai aspettare troppo a lungo! Non fare il mio stesso errore, Kageyama! Akaashi mi rinfaccia ancora il modo in cui l’abbia fatto aspettare per mesi prima che io…”
“Bokuto” l’aveva però ammonito fermamente Keiji, scoccandogli un’occhiata che avrebbe potuto letteralmente trafiggere chiunque.
Il ragazzone aveva sussultato e borbottato qualcosa d’incomprensibile sotto lo sguardo terribilmente divertito di Kuroo che, dopo aver chiocciato un “Ti comanda a bacchetta, eh Bo” e aver ridacchiato all’occhiata in tralice di Akaashi, si era rivolto a Kageyama con un “Però concordo con il giudice demoniaco qui presente. Faresti meglio a darti una mossa. Anche perché…” si era interrotto, volgendo lo sguardo alla postazione del Dj da cui ancora perveniva una psichedelica musica remixata “Teru non se ne starà buon per sempre” aveva ghignato con un occhiolino malevolo nei confronti del corvino, irrigiditosi nel giro di un millisecondo.
 
Di certo quell’essere rivoltante non avrebbe più dovuto azzardarsi ad avvicinarsi a quel medico idiota, questo era ovvio.
 
Inaspettatamente, la sicurezza di Tobio aveva avuto un picco notevole a tal pensiero.
 
Sì, aveva concluso, mentre ancora i tre amici battibeccavano animatamente.
 
Chiedere a quello scricciolo di uscire sarebbe stato indubbiamente il passo più corretto da compiere.
 
 
 
“Ma chi me l’ha fatto fare”
 
Il cervello di Tobio pareva urlargli contro con parecchia violenza.
 
Stava sicuramente facendo la figura dell’idiota.
 
Era lì in piedi da ben undici minuti e ancora nessuna zazzera rossa all’orizzonte.
 
Chissà cosa stavano pensando le persone attorno a lui.
 
Immaginavano che stesse aspettando qualcuno?
Qualcuno che gli avesse dato buca?
Lo stavano giudicando?
Lo reputavano un pappamolle?
Davvero altro non era che un debole?
 
Dio, aveva una voglia matta di scappare da quel luogo sempre più opprimente…
 
“Kegeyama! Eccoti finalmente!”
 
La guizzante voce di Hinata provocò il momentaneo black-out delle sinapsi di Tobio.
 
“Non pensavo che uscissi dal lato sud! Sono andato all’ingresso principale della stazione ma non ti ho trovato da nessuna parte”
 
Ah.
 
L’ingresso posteriore.
 
Gli occhi blu si staccarono a fatica dall’asfalto grigio per fissare come un ebete la piccola figura che gli si stagliava dinanzi.
 
Che idiota.
Si poteva essere più idioti di così?
Era tutta colpa di quel medico idiota per avergli contagiato quell’idiozia.
 
Per diamine, sbagliare persino l’uscita di una stazione…
 
“Allora, andiamo?”
 
Fu nuovamente la voce del medico a permettergli di tornare con i piedi per terra.
 
Guardandolo finalmente a tutto tondo, operò una veloce ma terribilmente precisa scannerizzazione totale della sua persona.
 
Indossava degli attillati, molto attillati, jeans chiari che gli sagomavano le gambe magre alla perfezione.
Erano abbinati a una maglietta colorata che gli ricadeva morbidamente sul torso, coperto da un’allegra giacca di jeans del medesimo colore dei pantaloni.
Vans rosso fuoco completavano l’outfit come la ciliegina sulla torta.
 
Nulla di più antitetico rispetto al total black che imperniava il suo, di abbigliamento.
 
Hinata però parve non badarvi minimamente.
Lo stava guardando con espressione gioviale, attendendo pazientemente la sua risposta.
 
Assumendo un cipiglio d’irritazione verso se stesso e la propria lentezza nei riflessi, annuì con uno scatto nervoso, precedendo il ragazzo verso l’opposto marciapiede senza pronunziare nemmeno una parola.
 
Shoyo sbuffò sommessamente, attento a non farsi udire, ma era più un sospiro di rassegnata consapevolezza che un vero e proprio segno di fastidito.
 
Aspettarsi un saluto da normale essere umano sarebbe stato richiedere troppo.
 
Con un balzo lo raggiunse, tentando di adeguarsi al passo veloce che aveva intrapreso il legale.
 
“Hai fame? Conosco un locale in cui cucinano un ramen buonissimo. E’ un posto semplice e senza pretese, ma il cibo è delizioso” propose, occhieggiando da sotto in su il corvino con sguardo appena intimorito.
 
Sperava che uno come lui non fosse abituato a cibi troppo lussuosi.
Non aveva sinceramente idea di quanto potesse guadagnare un avvocato del suo calibro.
 
Con sua grande sorpresa, Kageyama si girò e, guardandolo con espressione imperturbabile, rispose semplicemente con “Allora andiamo”.
 
Con un sorriso allegro e un peso in meno che gravava sul cuore, Hinata guidò il legale per alcune viuzze laterali finché non giunsero a un piccolo e semplice locale dall’espetto rustico, da cui però proveniva un delizioso odorino di noodles tale da suscitare l’acquolina.
“C’è posto solo al bancone. Ti dispiace sederti lì o aspettiamo che qualcuno vada via?” chiese Hinata dopo aver appurato con una singola occhiata l’assenza di posti disponibili nei tavolini in legno sparsi per l’esiguo ambiente.
 
Un’ondata d’insicurezza lo stava nuovamente travolgendo.
 
E se Kageyama avesse preferito un luogo con maggior privacy?
Del resto, un uomo come lui seduto al bancone assieme alla massa di comuni essere mortali…
 
Ciò avrebbe minato già dall’inizio il loro…
 
“Nessun problema. E’ domenica, quindi è normale che ci sia più folla. Se aspettiamo si riempirà ancor di più” osservò il corvino con tono piuttosto pragmatico, dirigendosi a passo spedito verso i due posti liberi sulla destra del lungo bancone in legno di cedro.
 
Shoyo fissò la schiena del legale un po’ interdetto prima d’apprestarsi a seguirlo e abbarbicarsi sullo sgabello al suo fianco.
Furono subito accolti da un gentile signore sulla mezz’età con piccoli occhialini rettangolari che registrò le loro porzioni di tradizionale ramen doppio con un sorriso.
 
Un persistente chiacchiericcio avvolgeva con giovialità lo spazio circostante, cui si sommavano ritmanti ticchettii di bacchette e rumorosi risucchi.
 
Adorava quell’atmosfera.
 
Era praticamente cresciuto tra locali del ramen a conduzione familiare, non a caso i suoi preferiti…
 
Tuttavia, ancora una volta, non aveva idea di come la scelta di quel luogo potesse esser interpretata da Kageyama.
 
Lo detestava, ne era fermamente convinto.
 
Si morse il labbro inferiore, maledicendosi per la pessima scelta.
 
Insomma, quello era un avvocato di chissà quale prestigioso ufficio legale della città.
Come aveva anche solo potuto pensare di trascinarlo in un posto comune come quello?
 
Miseriaccia.
 
Si fissò le mani, non azzardandosi a scoccare nemmeno una fugace occhiatina laterale.
 
Si era sentito un po’ nervoso alla festa di Bokuto-san, eppure tutto gli era apparso terribilmente naturale.
 
Okay, era stato Kageyama a compiere la prima mossa…
 
Però era stato lui a incoraggiarlo, no?
 
Doveva trovare un argomento di conversazione.
 
Conversazione, esatto.
 
Diamine, ma su cosa?
 
Di che potevano discutere così su due piedi?
 
La volta precedente si erano già scambiati alcune informazioni, doveva ripescarne qualcuna da lì?
Oppure doveva improvvisare come suo solito?
E se avesse fatto la figura dell’idiota?
 
Non si sarebbe mai perdonato l’aver sprecato un’opportunità del…
 
“Mi ricorda un vecchio ristorante nei dintorni del mio quartiere natale” parlottò tutto d’un tratto Tobio, riscuotendo violentemente il rosso dalle proprie congetture pessimistiche.
 
Si girò a fissarlo con tanto d’occhi.
 
Il corvino si stava guardando attorno con aria… vagamente incuriosita.
 
“E’ un essere umano anche lui, stupido!” si costrinse a ricordare Shoyo, schiaffeggiandosi mentalmente per quell’immotivato attacco d’ansia.
 
Non poteva negare che quell’aura misteriosa lo rendesse più simile a un alieno che a un normale ventiseienne, ma non doveva assolutamente dimenticare che anche Kageyama era composto di carne e sangue.
 
Mangiava, beveva e respirava… esattamente come lui e chiunque altro.
 
Fu quell’apparentemente banalissima constatazione che consentì ai nervi di Hinata d’acquietarsi notevolmente.
 
“Di dove sei, Kageyama?” domandò dunque con la consueta spontaneità, mandando in frantumi quella catena di paure che si era solamente costruito da solo.
 
“Miyagi. Vivevo in paesino vicino Sendai” mugugnò Tobio, guardandosi un po’ imbarazzato le nocche delle mani.
 
Quando la settimana precedente avevano condiviso ricordi riguardanti le rispettive scuole non avevano mai specificato, stranamente, i rispettivi luoghi d’appartenenza.
 
Le iridi nocciola di Shoyo s’illuminarono dalla sorpresa.
 
“Anch’io vengo da Miyagi!” esclamò quasi saltando dalla sedia.
 
Tobio si girò maggiormente verso il medico.
 
“E anch’io sono di un paese vicino Sendai!” aggiunse concitato.
 
Le sopracciglia di Tobio si arcuarono.
 
“Che coincidenza” commentò, sinceramente stupito.
“Non ci siamo… mai incontrati prima d’ora, nonostante la vicinanza” borbottò sommessamente.
 
Che razza di tono aveva appena utilizzato?!
 
Shoyo assunse un sorriso sibillino.
 
“Vuol dire che era destino doverci incontrare proprio a Tokyo ben dieci anni dopo” proferì solenne.
 
Tobio aggrottò la fronte.
 
“Crede… emh, cioè, credi a una cosa insulsa e inconsistente come il destino?” sputò fuori con una sfumatura non celata di spregio.
 
Non si era ancora abituato ad abbandonare la formalità, Shoyo appurò con una punta di divertimento…
 
Così come poté notare con chiarezza la nota di giudizio negativo che ne impregnava la domanda retorica.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia, spostando lo sguardo sul legno del bancone.
 
La stonatura non risiedeva nella discordante interpretazione del destino, da lui utilizzata come un semplice scherzo.
 
Il punto era…
 
Kageyama doveva necessariamente sminuire o denigrare qualunque opinione non aderente ai suoi principi di pensiero?
 
“Non particolarmente. Ma se ci avessi creduto? Dove sarebbe stato il problema?” proruppe dunque senza peli sulla lingua.
 
Dissimulare il proprio nervosismo non risiedeva fra le abilità di cui poteva vantare.
 
Tobio sbatté le palpebre più volte.
 
“Sarebbe da idioti dar credito a una cosa del genere” ribatté come se stesse affermando una totale ovvietà.
 
Per un intero minuto nessuno dei due proferì parola.
 
“Io odio il natto, mi fa venire la nausea. Ciò vuol dire che chiunque lo mangi abbia qualche disfunzione del senso del gusto?”
 
Gli ingranaggi cerebrali di Tobio vorticarono impazziti per tentare di metabolizzare il senso di tale dichiarazione.
 
“A me il natto piace” fu l’unica risposta che il suo cervello seppe produrre, in un tono a metà fra il difensivo e l’aggressivo.
 
Hinata ridacchiò, appoggiando la guancia sul palmo della mano e inclinando la testa.
 
“Secondo il tuo ragionamento allora, dato che a me fa vomitare, dovrei considerarti come affetto da una patologia”
 
Tobio si sentiva confuso e vagamente offeso.
 
Di che diavolo cianciava quell’idiota?
 
“Non ha senso. Il natto è un cibo, a me piace e a lei, cioè te, no. Okay. Il destino è una cosa stupida e basta” sentenziò come se stesse pronunziando un sillogismo incontrastabile.
 
Shoyo dovette sforzarsi per non sbuffargli direttamente in faccia.
 
“Esistono persone che invece pensano sia estremamente importante. E’ lo stesso principio del natto, a te piace e a me no. Si tratta semplicemente di opinioni diverse” spiegò con forzata elementarità, sollevando le mani e facendo spallucce.
 
La testardaggine di quell’uomo iniziava a esser un po’ sfiancante.
Insomma, poteva comprendere quell’orgoglio cocciuto, però…
 
“Se un’opinione è stupida, allora non ha senso d’esistere”
 
In un istante, il puzzle che aveva iniziato lentamente a comporsi per raffigurare la presunta personalità di Kageyama, fu letteralmente smembrato.
 
Inarcò le sopracciglia, studiando attentamente quel volto imperturbabile.
 
La linea della fronte era piatta, così come le labbra sottili.
Gli occhi non lasciavano trasparire il minimo segno d’incertezza.
 
Era davvero sicuro di quanto appena costatato.
 
Davvero convinto che qualunque opinione divergente da quella da lui ritenuta “corretta” fosse da gettar via?
Da non prendere nemmeno in considerazione?
 
Per la seconda volta in quella settimana, uno strano campanello d’allarme trillò tra i meandri dei suoi neuroni.
 
Accecandolo come importuni flash, funeste parole sferzanti si ammassarono sulla superficie delle proprie cornee.
 
Intollerante.
Autoritario.
Dispotico.
 
Simili a prepotenti post-it si appiccicarono violentemente alla figura di Kageyama, che lo fissava ancora con quell’espressione scettica.
 
Fu necessario un notevole sforzo cerebrale per opacizzare quella persistente immagine eccessivamente vivida.
 
Concedeva poco margine alla libertà d’espressione, questo Shoyo non poteva certamente negarlo.
Etichettare però un uomo, di cui ancora sconosceva parecchi aspetti, come un tiranno…
Beh, gli sembrava per lo meno eccessivo.
 
No?
 
Gli ritornarono improvvisamente in mente le parole di Yachi, pronunciate quasi un mese prima.
 
“Sai, quando all’università seguivo le lezioni di psicologia, veniva spesso ripetuto che il comportamento delle persone è quasi sempre una diretta conseguenza di come esse vengono trattate. Non avere amici e non aver nessuno che ti apprezza, porta a chiudersi molto in se stessi… in questo modo si è condotti a credere che nessuno sia degno di considerazione”
 
Sì, aveva ragione.
Doveva soltanto capire come prenderlo per il verso giusto.
 
“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"
 
Tobio parve bizzarramente colpito al petto da quell’affermazione.
 
Non se ne spiegava tuttavia il motivo.
 
Si trattava di un mantra che gli ripetevano fino alla nausea gli inetti che lavoravano con lui allo studio legale, c’era talmente abituato che ormai il suo cervello aveva abilmente appreso come azzerare le loro voci.
 
Perché allora quella stessa critica rivoltagli dallo scricciolo rosso gli aveva causato una sgradevole sensazione?
 
Perché mai avrebbe dovuto assegnarvi importanza?
 
Ne riceveva di peggiori e di nessuna gli era mai importato un singolo accidente.
 
La sua superiorità rispetto a tali trogloditi era sempre stata più che pales…
 
Un momento.
 
L’intero sistema nervoso di Tobio s’arrestò per qualche asfissiante secondo.
 
Non poteva mica significare…
 
No, sarebbe stato assurdo.
 
Quel medico da strapazzo avrebbe consentito alla sua indiscutibile superiorità di vacillare con tanta facilità?
 
Significava che non solo gli stava riconoscendo il merito d’essere un suo pari ma anche quello di trasformarlo in un pappamolla?
 
Il suo esser superiore a certa marmaglia gli aveva sempre conferito il diritto di agire come meglio riteneva opportuno senza elargire spiegazioni a nessuno.
 
La sua parola contro quella del resto della gente comune.
 
E adesso essa era messa in discussione da, da…
 
Da un medico idiota con insulse idee del tutto irrealistiche?
 
Sentiva il corpo ribollire dalla frustrante rabbia che lo accompagnava da ormai anni, che però pareva condensarsi ferocemente per erompere con una violenza che raramente aveva sperimentato prima d’allora.
 
Rabbia d’essere messo in discussione, rabbia di non trovarsi sul podio del proprio personalissimo piedistallo, rabbia di venir contraddetto da un…
 
Da un cosa, esattamente?
 
Come se si fosse improvvisamente schiantata contro una ferrea diga eretta nel giro di pochi millisecondi, la sua ira dovette arrestare la propria corsa furibonda.
 
Non sei stato tu a voler uscire con questo medico, Tobio?
Non sei stato tu ad aver ammesso un interesse nei suoi confronti?
Non sei stato tu ad aver chiesto consiglio su come comportarti per non rovinare tutto?
 
Un’irrefrenabile corrente contro un’inamovibile roccia.
 
La mente inerme del corvino era letteralmente dilaniata in due e la sua espressione ne costituiva il ritratto vivente, talmente corrucciata e contorta da apparire persino comica.
 
“Insomma, quello che voglio dire…”
 
Le orecchie di Tobio registrarono i suoni a fatica, ma riuscirono a ripristinare l’attenzione sulla zazzera rossa.
 
“E’ che per quanto stupida, un’opinione ha sempre il diritto d’esistere. Altrimenti saremmo tutti macchine pre-programmate, non ti pare? Non si può sempre concordare su tutto, ma ciò non vuol dire che la diversità debba essere eliminata. Pensaci. In fondo, non è quello che fai nel tuo lavoro? Una parte vuole avere ragione sull’altra. Non sono altro che idee differenti. E anche se tu non sei d’accordo ti impegni a priori per ottenere la vittoria. Mi sbaglio?”
 
Magari era l’abitudine a semplificare i concetti per i suoi piccoli pazienti, forse era la sua inclinazione a far breccia nelle menti fanciullesche…
 
In qualunque modo stessero le cose, Shoyo capì istintivamente d’aver pronunciato le parole giuste.
 
Vide il viso del legale, costretto in una smorfia disturbante, sciogliersi pian piano, come se che delle ipotetiche contratture venissero finalmente allietate da un benefico massaggio.
 
Non ottenne una risposta verbale, eppure giurò di poter scorgere le sinapsi di Kageyama assimilare quelle nuove informazioni per poterle rielaborare.
 
In che modo però, non era dato saperlo.
 
“Ma in fondo mi basta questo” pensò con un piccolo sorriso, che si espanse entusiasta non appena il cuoco portò loro due imponenti scodelle in ceramica fumanti.
 
O almeno, per il momento.
 
 
 
 
 
“Aaaah guarda come riflettono bene le foglie d’acero sull’acqua! Il sole le rende ancor più splendenti!”
 
Tobio osservava la scena dinanzi a sé come un intrigato spettatore davanti allo schermo luminoso del cinema.
 
O forse più come un minuzioso scienziato con in mano il vetrino di un microscopio.
 
Nonostante l’iniziale straniante dibattito, il pranzo si era rivelato piuttosto tranquillo tra rumorose sorsate dei noodles, lo scricciolo rosso aveva ragione, quel ramen era davvero squisito, e frizzanti conversazioni per lo più pilotate dal medico, che pareva possedere il dono di una parlantina infinita.
Aveva voluto conoscere i casi più eclatanti che gli erano stati assegnati, comprendere meglio il sistema giudiziario di cui sapeva poco e nulla e indagare un po’ sulla quotidianità del suo lavoro.
Il suo resoconto era stato più volte intervallato da versetti d’apprezzamento o meraviglia, come se stesse narrando gesta eccezionali e aveva dovuto trattenersi a fatica dal sorridere da quello strano atteggiamento.
 
Sebbene lo reputasse un po’ troppo rumoroso, come non aveva esitato a fargli malignamente notare, tale caratteristica non gli dispiaceva proprio del tutto.
 
Costituiva una piacevole alternativa all’opprimente silenzio che lo inglobava appena varcata la soglia del proprio appartamento.
 
Ma non doveva abituarvisi.
 
Non disdegnava quel molesto vizio di blaterare incessantemente?
 
I fiumi di convenevoli e conversazioni prive di utilità altro non erano che voluttuarie, no?
 
Sebbene non sembrassero poi tanto un tedio, se enunciate dalla voce squillante di Hinata…
 
Comunque.
 
Era da poco scoccata la terza ora di reciproca compagnia e l’iniziale congettura che quel medico fosse una molla impazzita personificata in un essere umano aveva trovato la sua definitiva conferma.
 
Giunti dinanzi al portone d’ingresso del Rikugi-en, lo scricciolo rosso aveva incominciato ad agitarsi a destra e a sinistra, esagitato per acquistare i biglietti il più velocemente possibile e dirigersi speditamente verso l’interno.
 
Non che Tobio avesse detestato quella reazione, tuttavia non riusciva a comprendere come fosse razionalmente concepibile eccitarsi talmente tanto all’idea di scorgere degli… alberi.
 
L’entusiasmo di Hinata dovette comunque in una qualche astrusa misura influenzare persino lui, poiché quando varcarono il cancello e s’incamminarono sul sentiero principale era rimasto letteralmente imbambolato dallo spettacolo delle coloratissime foglie d’acero, le cui pigmentazioni brillavano come se possedessero luce propria grazie ai penetranti raggi del sole.
 
Ripensando a quella scena, e al sorrisetto che era nato sulle guance di quel medico demoniaco non appena si era accorto del suo stato di trance, si sarebbe volentieri preso a ramate in faccia.
 
Per una buona mezzora poi il rosso non aveva fatto altro che esalare trasognati suoni di stupore e adorazione, indicando con piccoli balzelli contrasti di colori particolarmente degni di nota o qualunque singolo fenomeno attirasse la sua esaltata attenzione.
 
Sembrava proprio un bambino all’interno di un enorme parco giochi.
 
Nonostante l’oggettiva bellezza della natura circostante, Tobio non poté però evitare di soffermare molto più del previsto la propria attenzione su Hinata, sfruttando la distrazione del medico per riuscire a studiarlo in un habitat differente da quello ospedaliero.
 
L’unico aggettivo di senso compiuto che gli soggiunse dopo un’ulteriore buona mezzora di cammino, fu solo uno.
 
Vitale.
 
Non avrebbe saputo definire altrimenti il luccichio persistente in quei grandi occhi nocciola su cui si specchiavano le vivide sfumature del fogliame autunnale, il sorriso genuino che gli contornava i dolci lineamenti alla vista di un dettaglio rilevante, il rossore che gli dipingeva le guance per il calore del sole battente.
 
Una vitalità traboccante, quasi come se la trapelasse da ogni singolo poro.
 
Una vitalità…
 
Che rischiava di travolgerlo.
 
Sopraffarlo, trascinarlo e scaraventarlo in un mondo sconosciuto.
Un mondo che non aveva mai avuto la possibilità d’esplorare.
 
O forse…
 
Non aveva mai voluto indagare?
 
Se mai avesse ottenuto una risposta, essa si sarebbe persa assieme ai propri pensieri mentre osservava il piccolo medico acciambellarsi sul prato e specchiarsi sul laghetto che rifletteva come il più fulgido degli specchi i suoi capelli scombinati dalla brezza.
 
Era quasi tentato dalla voglia d’infilarvi la mano e sentire se fossero davvero morbidi come apparivano.
 
“Ti piace la natura”
 
Era una constatazione inutile, banale, stupida e dannatamente ovvia e si sarebbe sicuramente preso a schiaffi da solo più tardi per quella fottuta ridicoleria, ma fu l’unica frase coerente che in quel momento albergava nel fiume in piena di sensazioni che era divenuto il suo povero cervello.
 
Shoyo alzò lo sguardo verso il corvino che lo sovrastava e sorrise entusiasta.
 
“La adoro. Questi parchi sono l’unica ragione per cui sono in grado di vivere qui a Tokyo, altrimenti credo che annegherei tra il grigiume” spiegò con una smorfietta orripilata, scuotendo la testa.
Nemmeno un secondo più tardi iniziò a picchiettare con il palmo della mano il manto erboso al suo fianco.
 
“Siedi vicino a me?” domandò con un sorriso incoraggiante.
 
Poco mancò che Tobio si strozzasse con la sua stessa saliva.
 
Era una richiesta innocente, dannazione, perché diamine doveva reagire a quella maniera.
 
Celando al meglio delle proprie capacità il nervosismo, si abbassò fino all’altezza del medico e si sedette a gambe incrociate sull’erba morbida.
 
Poteva quasi contare i centimetri che lo distanziavano dal rosso.
 
Erano dannatamente pochi.
 
Cazzo.
 
Calma.
 
Si era trovato vicino a quell’idiota prima d’allora.
Perché dunque il cuore pareva battere con maggior celerità?
 
Controllo, Tobio, controllo.
 
Respira, espira.
 
Puoi farcela.
 
“Sai, casa mia si trovava in montagna, in piena periferia rispetto al centro abitato. Sono sempre stato abituato a vivere a stretto contatto con la natura e gli animali. Arrampicarmi sugli alberi era la mia specialità” raccontò Shoyo con un risolino, soddisfatto della vicinanza che Kageyama gli aveva concesso.
 
Tobio sbatté le palpebre.
 
Così come la settimana precedente, fu fin troppo semplice immaginarsi un mini scricciolo rosso abbarbicato su un albero come una perfetta scimmietta equilibrista.
 
Si lasciò sfuggire un sorrisetto.
 
“Sembra proprio il tuo habitat naturale. Forse il tuo cervellino è diventato così strambo dopo una bella caduta” sogghignò.
 
Hinata assunse un’espressione d’ostentata offesa.
 
“Per tua informazione non ho mai perso l’equilibrio in vita mia. Ho ottimi riflessi, io” si difese con sguardo malizioso, enfatizzando l’ultima parola con talmente tanta eloquenza che persino l’ottuso Kageyama assottigliò gli occhi, punto sul vivo.
 
“Insomma, Kageyama-kun, perché non mi racconti com’è che ti sei rotto il braccio? E’ una storia talmente imbarazzante da non poterla rivelare nemmeno al proprio medico?” chiocciò malignamente ed evitò per un pelo che la mano del legale si abbattesse sulla propria testa.
 
Scoppiò a ridere impunemente.
 
“Potrebbe velocizzare la guarigione l’ammetterne la causa, chissà” rise ancora, godendosi il rossore che imperlava le guance e le orecchie del corvino in maniera adorabile.
 
Tobio digrignò i denti, sbuffando e assumendo un broncio da manuale.
Se si fosse scorto allo specchio, probabilmente non si sarebbe nemmeno riconosciuto.
 
Scoccò un’occhiata omicida al medico, eppure, davanti a quei vispi occhi pregni di curiosità…
 
“Prometto di non proferire parole derisorie se dovesse trattarsi, come presumo, di una storia comica” annunciò solennemente con la mano destra giunta sul cuore.
 
Tobio assottigliò ancor di più gli occhi blu ed emise un versetto frustrato.
 
Poteva negarsi fermamente, in fondo ne aveva il pieno diritto, no?
 
Eppure, sentiva che non fosse il comportamento maggiormente adatto a una situazione come quella.
La condivisione d’esperienze costituiva parte integrante della conoscenza di un individuo e il medico era stato il primo a compiere quel passo.
 
Adesso spettava a lui, no?
 
Inalando a pieni polmoni e trattenendo il presuntuoso calore delle guance, borbottò sommessamente…
 
“Sono… caduto dalle scale”
 
Shoyo adoperò la propria intera forza di volontà per non scoppiargli a ridere in faccia.
 
Fingendo di non aver sentito, il tono del corvino era davvero stato impercettibile, domandò un innocentissimo “Cosa?” che riscosse incredibilmente l’effetto sperato.
 
Sbuffando sonoramente, Tobio ripeté uno scocciato “Sono caduto dalle scale” il cui unico esito fu far scoppiare sguaiatamente a ridere Hinata che, per la violenza delle risate, collassò a terra con la schiena.
 
“Maledizione, quella dannata bambina del piano superiore aveva lasciato i suoi fottutissimi giocattoli sulle scale! E’ già tanto che non si sia ritrovata una lista di denunce sulla porta! La smetta di ridere, idiota d’un medico, aveva promesso di rimanere serio!” strepitò come un isterico, guance roventi per l’imbarazzo e pugni agitati in aria come se desiderasse assestarli tutti sulla testa del dannato rosso riverso a terra.
 
“Nono” esalò tra le risate sconquassanti Shoyo, sollevando una mano verso il cielo terso e gesticolando come se potesse esprimere qualcosa di senso compiuto con le dita.
“Io avevo promesso di non dire nulla per prenderti in giro. Non avevo fatto riferimento alle risate” ghignò con faccia tosta.
 
Tobio rimase completamente immobile per qualche secondo.
 
Hinata parve riassestarsi dall’inarrestabile ondata di risa ma non si rialzò dall’erba, guardando invece il ragazzo con aria interrogativa.
 
Percepì una fitta di senso di colpa nascergli all’interno del petto.
 
Che avesse esagerato…?
 
La sua riflessione fu però interrotta da una domanda a bruciapelo.
 
“Soffri il solletico?”
 
Shoyo ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi con orrore prima che Kageyama gli si gettasse addosso, mandando al diavolo la propria dignità per vendicarsi come un bambino dell’imperdonabile torto subito.
 
“No, p-per favore, basta” fu solo in grado di esalare Hinata con le lacrime agli occhi, contorcendosi al tocco delle dita di Kageyama che gli solleticavano i fianchi, inoltrandosi sotto al giacchino di jeans.
 
Cercò di rotolare via sull’erba ma la vigorosa presenza del corvino pareva non mollarlo.
 
“Basta, basta, mi arrendo” pronunciò ansimante fra un risolino e l’altro, cercando di recuperare una nomale respirazione non appena la mano sinistra di Tobio abbandonò il suo stomaco.
 
“Sei proprio vendicativo, eh” si lamentò con un gran sospiro, schiudendo le palpebre e trovandosi inaspettatamente gli occhi blu di Kageyama a poco meno di venti centimetri di distanza.
 
Il cuore decise prepotentemente di ballargli tra le costole.
 
Se solo la sua mente fosse stata maggiormente lucida, avrebbe persino potuto udire il ritmo impazzito del battito di Tobio, che gli sconquassava imperterrito la cassa toracica.  
 
Si sentiva completamente ipnotizzato.
 
Le iridi nocciola del medico erano screziate da piccole pagliuzze dorate, colpite dai raggi del sole pomeridiano in maniera tale da renderle più luminose di una stella.
 
Erano…
Semplicemente bellissime.
 
“Sei più irruente di quel che mi aspettassi” osservò Shoyo in un sussurro, sperando ardentemente che il legale non si accorgesse della sfumatura purpurea che aleggiava sulle proprie guance.
 
“Come suo medico le dovrei sconsigliare l’eccessivo movimento fisico. Influisce negativamente sulla guarigione delle ossa” aggiunse con un piccolo sorriso.
 
“Come medico non dovrebbe evitare di molestare i suoi pazienti?” ribatté per le rime Tobio, non smuovendosi di un solo millimetro dalla propria posizione, ginocchia e mano sinistra poggiati sul manto erboso, sovrastando così l’esile figura.
 
Shoyo fece una smorfia.
 
“Non le definirei molestie. Sono solo molto premuroso, i pazienti necessitano molte attenzioni” dichiarò con sguardo spavaldo.
 
“Quindi esce anche con altri dei suoi pazienti?” lo stroncò il corvino, assumendo un’espressione scettica.
 
Le guance del rosso si colorarono maggiormente.
 
“Le importerebbe?” sputò fuori senza riflettere, pentendosene però nell’immediato.
 
Che razza di tattica stava utilizzando?
Sarebbe sembrato assolutamente pateti…
 
Il mutamento repentino dell’espressione di Kageyama causò per la seconda volta in quella giornata il brusco dirottamento dei pensieri di Hinata.
 
“Esci con qualcun altro?”
 
Okay, Tobio era un essere patetico.
Ma trattenere quel ringhio era davvero stato impossibile.
 
Se da un lato era rimasto estremamente sorpreso da quell’improvvisa svolta del discorso, dall’altro Shoyo dovette sforzarsi di non apparire troppo soddisfatto da quella rivelazione.
 
Insomma, ciò significava che…
 
No, avrebbe dovuto scoprirlo in maniera diretta, senza congetture mentali.
 
Con un sorrisetto malevolo, decise di volgere la situazione a proprio vantaggio.
Kageyama era sempre stato difficile da far sbottonare e quell’occasione era troppo ghiotta per non sfruttarla.
 
“E se anche fosse?”
 
Tobio, sorprendentemente, si ritrovò il cervello completamente vuoto da ogni possibile risposta.
 
E se anche fosse stato così?
Se quel dannato medico fosse uscito con qualcun altro?
Cosa avrebbe comportato?
In fondo, non c’era alcun contratto scritto che avesse impedito a quella testa rossa di vedere chiunque volesse.
Anche quel disgustoso verme con la cosa sulla lingua…
 
Un momento, Hinata si vedeva con quel tizio?
 
“Non mi vedo con nessuno!” squittì però Shoyo, notevolmente intimorito dall’aura assassina che aveva inaspettatamente circondato il legale nel giro di un singolo istante.  
 
Per diamine, non voleva mica farlo arrabbiare così tanto.
 
Concluse dunque che la soluzione migliore sarebbe stata un cambio di strategia.
Demordere era assolutamente fuori discussione. 
 
“Non mi vedo con nessuno, ma se anche fosse… ti darebbe fastidio?”
 
Si rese conto tuttavia d’essersi spinto troppo oltre.
Cavolo, era il loro primo appuntamento ufficiale, perché poteva considerarlo un appuntamento quello no?, non era troppo presto per provocazioni come quelle?
 
Eppure…
 
Shoyo si mordicchiò il labbro inferiore, abbassando gli occhi dall’espressione improvvisamente seria di Kageyama, non riuscendo a sostenerne lo sguardo.
 
Eppure, forse, quella risposta l’avrebbe aiutato a comprendere la vera natura del legale.
 
Insomma, era stato lui a chiedergli di uscire, no?
L’aveva anche confermato Suga-san.
 
Era la loro prima uscita, certo.
 
Eppure…
 
Eppure quel giorno, contrariamente a quanto avvenuto durante la festa di Bokuto-san, Kageyama non aveva lasciato trasparire alcun palpabile segno che avesse potuto dimostrare un qualche tipo d’interesse nei suoi confronti.
L’aveva seguito obbedientemente, con sua estrema sorpresa, in giro per tutto il parco.
Avevano conversato, tuttavia…
 
Perché volere un appuntamento se non desiderava sbilanciarsi troppo?
Perché chiedergli di uscire se non voleva interagire con maggior confidenzialità?
 
O forse era lui a star esagerando tutto?
 
Nonostante lo mandassero in confusione, quei misteri andavano ad accumularsi in quella grande patina d’ignoto che si stava rivelando essere Kageyama Tobio.
 
Che, chissà per qualche stramba ragione dell’universo, pareva attrarlo come una potente calamita.
 
 
Il legale non rispose subito.
 
Se un peso dal petto si era dissolto per aver scoperto che quel dannato rompiscatole non si vedesse con quel viscido di Teru qualcosa…
 
Non sapeva come replicare a quello scomodo quesito.
Non perché non conoscesse la risposta, ma proprio perché non avrebbe saputo motivarla.
 
Ovvio che l’idea di quella testa rossa saltellante e sorridente accanto a un tizio qualunque, tipo Terushima, gli dava su i nervi.
O meglio, gli faceva rivoltare lo stomaco.
 
Il problema era…
 
Perché?
 
Studiò con inaspettato sangue freddo il viso arrossato dal sole del medico, il cui sguardo era rivolto a un punto imprecisato del prato.
 
Era un uomo dai sorrisi facili, in fondo.
 
Avrebbe potuto elargirli a chiunque.
 
Non ne era solo lui, il privilegiato destinatario.
 
Allora, cos’era?
 
Cosa di quella creatura, da lui stesso definita pregna di vita, non voleva condividere con nessun altro?
 
Cosa lo attraeva in maniera del tutto irrazionale?
 
La bellezza?
Sì, quel medico dai capelli color carota e gli occhi splendenti era fottutamente carino.
Eppure, non era quella la ragione.
 
La vivacità?
Prediligeva le persone attive, certo, ma non era nemmeno quella la risposta.
 
L’umorismo?
Kuroo-san ne possedeva decisamente più del rosso, eppure lo inquietava comunque.
 
La spontaneità?
Ne era pregno Bokuto-san, ma non per questo aveva mai provato alcuna forma di attrazione per lui.
 
La gentilezza?
Stesso discorso.
 
Il suo cervello aveva passato in rassegna ogni possibile aspetto che riusciva a categorizzare.
Ognuna di quelle caratteristiche apparteneva a determinate sezioni con dati acquisiti nel corso della sua intera vita.
 
Che quello scricciolo possedesse qualcosa che Kageyama non aveva mai sperimentato prima d’ora?
O che, forse…
 
Non aveva mai preso in considerazione?
 
Innervosito dal silenzio protrattosi per lunghi minuti, Shoyo girò la testa, tornando a guardare dritto negli occhi il legale.
 
Occhi vispi, allegri, caldi, cristallini…
 
Cristallini.
 
Tobio allargò le palpebre.
 
Possibile?
 
No, era ridicolo.
Assolutamente, definitivamente inverosimile.
 
Ciò che lo attraeva di quel piccolo scricciolo rosso…
Poteva per caso trattarsi di…
 
 
Uno squillo improvviso squarciò in un singolo istante l’intera atmosfera che li avvolgeva.
 
Tobio si rese improvvisamente conto di sovrastare ancora il medico e balzò indietro come se si fosse scottato, mentre Hinata si schiarì acutamente la voce, le guance color pomodoro.
 
“Scusami” mormorò mentre recuperava rapidamente il cellulare dalla tasca dei jeans chiari, maledicendo chiunque fosse per il pessimo tempismo.
 
Non appena scorse il mittente, tuttavia, gelò sul posto.
 
“Pronto” rispose immediatamente, saltando in piedi con un guizzo.
 
Tobio rimase seduto sull’erba, occhieggiando distrattamene il sole pomeridiano riflettersi sull’acqua del laghetto.
 
Rimuginava ancora su quel filo inaspettato dei propri ragionamenti finché non sentì nitidamente “Non scusarti nemmeno Suga-san, arrivo immediatamente”
 
Aggrottò subito la fronte.
 
Che voleva dire “Arrivo immediatamente?”
 
Guardò l’orologio stretto al polso sinistro.
 
Erano soltanto le 15:41.
Il medico non avrebbe dovuto iniziare il turno alle 19:00?
 
“Perdonami Kageyama, ma devo andare” si scusò rammaricato Hinata, chiudendo la chiamata e infilando nuovamente il telefono in tasca.
 
Guardò il volto del corvino, rialzatosi nel frattempo dal terreno, aspettandosi magari un’espressione dubbiosa, sorpresa…
 
Non certamente una di pura ostilità.
 
“Pensavo iniziassi alle 19:00” sbottò il legale, scrollandosi i filini d’erba impigliati sui pantaloni senza distogliere però lo sguardo dagli occhi del medico.
 
Quest’ultimo sbatté gli occhi, interdetto.
 
“Sì, ma sono sempre reperibile per le emergenze”
 
Tobio storse il naso, scocciato.
 
“Quindi non puoi mai essere libero dai quei malati?”
 
Fu un unico, fluido, secco, colpo di frusta.
 
Hinata non riuscì a sbattere le palpebre per quelli che sembrarono interminabili minuti.
Le sclere erano aride, immobili.
Pietrificate.
 
Poteva sorvolare su molti dei comportamenti del legale.
 
Poteva perdonargli la rudezza, la totale assenza di tatto e persino la testarda presunzione.
 
Ma non quel tono.
Non quel tono assolutamente sprezzante, denigratorio e disdegnoso rivolto ai suoi pazienti, ai suoi innocenti…
 
“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”
 
Fu come se in un singolo, interminabile istante, tutti i pezzi del puzzle che aveva arbitrariamente deciso vilmente di oscurare, ricomparvero con prepotenza, componendo un disegno sgradevole alla vista, ma purtroppo…
 
Reale.
 
Come aveva potuto rimuovere quegli elementi talmente evidenti, palesi?
 
Però…
Però…
 
“Sono miei pazienti. Non capisci che è mio compito andare in loro aiuto ogniqualvolta lo richiedano?”
 
Sapeva di aver utilizzato un tono implorante.
Era ben consapevole di apparire ridicolo, ma doveva capire.
 
Capire, capire se Kageyama, dopo quell’intero mese di mordi e fuggi, dopo che gli era apparso tanto diverso soltanto nove giorni prima…
 
“Richiedano? Vuoi dire anche per un semplice attacco emotivo?”
 
Le parole di Tobio erano sempre più cariche di spregio.
 
Il cuore di Hinata, invece, era sempre più pesante.
 
“Soprattutto quando sono emotivamente fragili” sussurrò a testa china, tentando di non soccombere a quell’abisso colmo d’oscurità che minacciava sempre di coglierlo in agguato, inglobarlo e risucchiarlo come un buco nero.  
Non era il momento opportuno per lasciarsi sopraffare anche da quella debolezza repressa.
 
Rialzò allora le iridi verso il legale con maggiore determinazione, quando…
 
Un brivido di timore gli attraversò l’intera spina dorsale.
 
Non aveva mai avuto davvero paura dell’atteggiamento scostante di Kageyama.
Mai aveva temuto i suoi modi sgarbati o la sua prepotenza, ma…
 
Quell’espressione.
 
Eccola, quella che fra tutte paventava.
 
Fredda.
Gelida.
Priva d’ogni traccia di…
 
“Devo andare” ripeté nuovamente con voce incerta, voltando le spalle a quell’uomo e correndo speditamente verso l’uscita del parco, verso la stazione e verso il primo treno disponibile verso il Karasuno Hospital.
 
Era come se il tempo avesse premuto il pulsante del riavvolgimento veloce, sfrecciando impazzito su luoghi e persone.
 
Non riuscì a contare i minuti trascorsi dal suo frettoloso congedo.
Seppe solo che, proprio mentre era mollemente seduto sul sedile del vagone che lo avrebbe condotto in ospedale…
 
Shoyo giunse a una fondamentale consapevolezza.
 
Quell’espressione.
 
Quell’espressione gelida che tanto lo intimoriva, quell’espressione di fredda apatia che aveva già conosciuto in precedenza…
 
“Lei… non è felice, Kageyama-san?”
 
Kageyama la assumeva in una singola circostanza.
 
Quella pesante barriera di ghiaccio veniva eretta ogniqualvolta il legale dovesse…
 
Rifiutare un senso di umanità.
 
Senso di umanità di cui lui…
 
 
“Prossima fermata, Southern Hospital District ”
 
 
La gracchiante voce metallica proveniente dall’altoparlante strappò brutalmente Hinata dal suo stato di trance.
 
 
 

 
 
 
 
 
Note finali: dopo una sessione massacrante, riesco a riprendere in mano questo capitolo, iniziato a esser composto subito dopo la pubblicazione del precedente ma costretto a ristagnare per un mese e mezzo causa esami che paragonarli all’inferno è un eufemismo, credetemi.
Anyway.
Credo di aver speso un intero pomeriggio a fare ricerche sui parchi di Tokyo (sono malata, lo so).
Per quanto riguarda la storia…
Un primo, decisivo, ingranaggio, è stato compiuto.
Sono una frana con i preannunci privi di spoiler, quindi facciamo che vi consiglio di prestare attenzione a ogni singola frase enunciata/meditata da parte di entrambi.
Avrà un riscontro futuro quasi sicuramente.
Ci terrei moltissimo a ricevere la vostra sincera opinione sulle interazioni tra Shoyo e Tobio di questo capitolo.
Sto riscontrando qualche difficoltà nella loro descrizione, dovuta magari in parte al fatto che non credo di aver mai letto una storia incentrata interamente sulla KageHina né su Efp, né su Ao3, né su qualunque altro sito(?)
Sta risultando un’operazione più faticosa del previsto.
Ma basta lamentarsi.
 
Piccola parentesi.
Le età di alcuni personaggi sono poste completamente a caso.
Ovvero, vige ancora la regola di “anzianità” del canon (ad esempio Daichi e Suga hanno la stessa età e sono più grandi di Tobio e Shoyo) ma non sto rispettando assolutamente i pochi anni che separano i vari personaggi se non dove opportunamente specificato (es: Daichi è un primario, quindi non può avere solo due anni in più di Shoyo ecc ecc).
Concedetemi dunque questa piccola libertà narrativa, altrimenti avrei dovuto alzare troppo le età di tutti quanti e sarebbe stato inverosimile con le situazioni interne ai protagonisti.
 
Dio, le mie note sono una palla, devo imparare la saggia arte della sintesi.
 
Un milione di baci a chi mi ha lasciato una recensione (il vostro supporto è meraviglioso guys), a chi continua a seguire questa storia (e a chi si sta ancora aggiungendo, vi adoro) e a chi l’ha inserita fra le preferite<3
 
Alla prossima^-^
 


 

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Capitolo 8
*** VIII. Occhi cangianti ***


 
VIII
 

Occhi cangianti
 
 

 

 
“Insomma, l’assicurazione era tenuta a un rimborso proporzionale al valore dei gioielli rubati! Il loro comportamento è stato assolutamente irrispettoso e non professionale! Sono davvero infuriata per come hanno agito nei miei riguardi, senza tener conto della situazione attuale! Ho appena subito un furto! Non possono affibbiarmi la colpa di quanto accaduto solo per una minuscola dimenticanza nel contratto! Oh buon Dio, non posso pensarci… erano ricordi legati alla mia famiglia da generazioni, non posso davvero sopportare un ulteriore torto come questo…”
 
La donna nervosamente seduta sulla poltroncina di pelle al di là della scrivania in noce gesticolava con parecchia enfasi, voce rotta da tremolii rabbiosi pregni di sconforto.
 
Nonostante l’eccentrico abbigliamento e il tono acuto parecchio arduo da ignorare, il legale sembrava non essersi minimamente accorto di tale presenza all’interno dell’ufficio.
 
La sua mente era completamente deserta.
Uno spianato rettilineo arido e vuoto.
 
Tuttavia, di tanto in tanto, un indistinto eco lontano s’insinuava prepotentemente tra le sinapsi.
 
Non ne conosceva la provenienza, ma guadagnava terreno a gran velocità, riecheggiando tra i propri emisferi come un mantra insistente, distogliendolo sgradevolmente dalla pianura desolata che avrebbe preferito contemplare.   
 
Quella litania, quella cantilena molesta…
Assomigliava orribilmente a uno scomodo quesito.
 
 
Perché?”
 
 
Sbuffò sonoramente, picchiettando rumorosamente le dita della mano sinistra sui fascicoli beige disordinatamente sparsi per la scrivania.
 
Non avrebbe dovuto essere talmente difficile rispondere.
Né tantomeno così frustrante.
 
Maledizione, perché diavolo…
 
“… e adesso si rifiutano persino di contribuire al rimborso per cui erano obbligati! Cosa posso fare, sono disperata…”
 
Una vena iniziò a pulsare pericolosamente sulla fronte di Tobio.
 
Che aveva tanto da ciarlare quella tizia?
Non capiva che quella voce da gallina era assolutamente snervante?
 
Interferiva fastidiosamente con i pochi pensieri sensati che il suo cervello stava faticosamente cercando di generare.
 
Già era arduo ricomporre i pezzi degli avvenimenti della domenica precedente.
Replicare sensatamente alla fottuta domanda che gli assillava l’anima, poi…
 
“Come hanno potuto? Come? Non possono farlo, vero? Mi dica che…”
 
“E stia un po’ zitta, maledizione! Non capisce che la sua voce stridula mi sta perforando il cranio?!”
 
Non si rese immediatamente conto d’aver reagito a quel ronzio lacerante che gli molestava la mente.
L’urlo era fuoriuscito dalle proprie labbra in maniera perfettamente indipendente.
Nemmeno la stava guardando quella tizia, in fondo.
Era solo intensamente concentrato nel non farsi esplodere il cervello in mille brandelli.
 
“C-come?”
 
Alzando distrattamente gli occhi dal legno del tavolo, registrò finalmente la figura della donna vestita di giallo e rosa.
Lo guardava con spalancati occhi vitrei, le cui palpebre erano macchiate da chiazze di mascara sbavato.
Le labbra pallide tremavano flebilmente.
Sullo sfondo, Nakamura svettava immobile, sguardo basso rivolto all’ingombrante agenda stretta tra le braccia.
Nemmeno un singolo muscolo facciale pareva muoversi.
 
Quella visione patetica causò l’innescarsi di un meccanismo imprevisto all’interno delle sue viscere.
 
Non ne comprese l’origine.
Non si disturbò nemmeno di domandarselo.
 
Un’ondata di rabbia anomala lo pervase da capo a piedi nel giro di pochi millisecondi.  
 
“Cosa le fa pensare che m’interessi la sua lagna?! Mi sta solo facendo perdere tempo! Piuttosto che strepitare sterili invettive perché non mi riferisce informazioni più utili? Le pare che blaterare le sue disgrazie m’importi qualcosa, eh!?”
 
Quel ringhio minaccioso non era pronosticato.
La sua etica professionale non prevedeva la perdita della consueta fredda tempra.  
Tuttavia…
 
Quelle lamentele, quelle idiozie senza capo né coda, quello sfogo blando e immotivato di certi sentimentalismi…
 
 
“Ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?”
 
 
“Ma come si permette!?”
 
L’acuto squittio della donna lo riconnesse con il mondo terreno, scollegandolo brutalmente da quel violento ricordo.
 
“Come può denigrarmi così dopo ciò che ho…”
 
“Non me ne frega un accidenti di quello che lei ha passato o provato o cosa diavolo sia stato. Non sono qui per ascoltare i suoi piagnistei! Adesso si sbrighi ad andare dritta al sodo o mi farà tardare per il prossimo appuntamento” sputò con talmente tanto disprezzo che persino la paurosa Nakamura sollevò la testa con espressione accigliata.
 
Trascorsero secondi di tesissimo silenzio, intermezzato soltanto dal fragore dai neuroni impazziti di Tobio.
La parte più ricondita della sua mente era in totale in subbuglio.
 
Non aveva mai perso la propria forzata formalità prima d’ora.
 
Non gliene fregava nulla dei clienti, ma non poteva mica mandarli al diavolo, no?
Era ciò che aveva appreso durante i primi mesi d’apprendistato, non era mica un idiota.
 
Non aveva mai finto, mai simulato una compassione che non possedeva.
Non aveva mai voluto seguito le orme di Oikawa-san, in tal senso.
Scostante lo era sempre stato, eppure…
 
“Me ne vado” mormorò con voce spezzata la donna, alzandosi febbrilmente e afferrando con mano instabile la borsa appoggiata allo schienale della poltroncina.
 
Una risata sprezzante abbandonò le labbra del legale in maniera inquietantemente spontanea.
 
“E chi le risolverà la questione, allora? Gli avvocati della Kobayashi Insurance sono tra i più abili in circolazione. Non se la caverà con gli inetti a basso prezzo che riuscirà a trovare in giro. La sua sarà una perdita al cento per cento”
 
Il volto di Tobio era segnato da una beffarda smorfia di superiorità.
 
Nessuno sarebbe stato in grado di confutare tale verità.
Nessuno sarebbe riuscito a contraddirlo.
 
Quella tizia avrebbe dovuto chinare la testa, esattamente come tutti gli idioti facilmente emozionabili con cui aveva di malavoglia trattato in passato.
 
Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.
 
No?
 
“Non m’importa”
 
Quelle parole lo colsero di sorpresa soltanto per un misero istante.
 
Quella persona si stava comportando da stupida, esattamente come la maggior parte della gente che lo aveva sempre circondato.
 
Idiota, scialba…
 
“Piuttosto che esser rappresentata da un individuo come lei…”
Non concluse la frase, mordendosi le labbra sottili.
 
Debole.
 
 
“Io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”
 
 
Debole.
 
“Non sono il suo psicologo” sputò fuori Tobio rabbiosamente, mutando atteggiamento in modo decisamente straniante.
 
La donna quella volta sostenne lo sguardo del corvino, con una fermezza talmente inaspettata da fargli arcuare il sopracciglio.
 
“No, infatti” sibilò, serrando i pugni che stringevano il manico della borsa nera.
 
“E’ soltanto un uomo senza sentimenti”
 
Non si prese nemmeno la briga d’inchinarsi in breve segno di congedo.
Si girò con uno scatto e si diresse a passo rapido verso la porta a vetri, avvicinandosi la mano al viso per asciugare le dispettose lacrime d’imbarazzo.
 
 
 
Per qualche minuto nessuno in quella stanza d’ufficio parve esalare un singolo fiato.
 
Poi, d’un tratto, una voce sottile, quasi rauca, come se fosse rimasta in silenzio per un tempo indeterminatamente lungo… s’insinuò vischiosa come un serpente nelle orecchie del legale.
 
“Era davvero necessario?”
 
Tobio puntò le iridi blu in quelle scure di Nakamura.
 
Forse per la prima volta da quando quella ragazza era divenuta la sua segretaria personale, prestò davvero attenzione al suo volto.
 
Ammetteva senza riserve di provare pura indifferenza nei confronti di moltissimi individui.
 
Nakamura non costituiva un’eccezione.
Certe volte aveva persino difficoltà a ricordarne il nome.
Tuttavia avrebbe potuto giurare che, in quei quarantotto mesi, la ragazza l’avesse sempre guardato con un certo timore.
 
Eppure, in quel momento…
Quegli occhi, quegli occhi sempre nascosti da spesse lenti d’occhiali scuri…  
Erano velati di una sfumatura molto diversa dal consueto.
Non rabbia, non paura ma...
 
Disgusto?
Possibile?
 
Pietrificato, Tobio scorse la brunetta stringere forsennatamente al petto l’agenda, come se potesse trasmettergli conforto e, con un fulmineo inchino, uscire rigidamente dalla stanza per addentrarsi nel corridoio est, la cui visuale gli era preclusa.
 
Continuò a fissare il punto in cui la segretaria era sparita per minuti indefiniti.
 
Era disgustata da lui?
Nakamura?
 
Una nuova sensazione di confusione stava addentrandosi nel cervello fin troppo saturo di pensieri, attenuando l’ira immotivata che l’aveva travolto come un fiume in piena appena qualche minuto prima.
 
Perché avrebbe dovuto sentirsi disgustata?
 
Lo guardava sempre in preda alla soggezione poiché cosciente del suo atteggiamento scostante, no?
Perché sorprendersi allora della manifestazione concreta della sua risaputa intolleranza nei confronti di stupidi sentimentalismi?
 
Perché diavolo comportarsi come se fosse stato lui il problema e non quella stupida piagnucolante…
 
Interruppe seccamente il flusso dei propri ragionamenti, digrignando i denti.
 
Maledizione, ma cosa gli importava?
 
Quella ragazzetta scialba poteva pensare ciò che desiderava.
Per lui non avrebbe comportato alcuna differenza.
 
Nessuno poteva scalfirlo.
Nessun essere insignificante sarebbe riuscito a metterlo in discussione.
Nessuno poteva fargli cambiare idea su quelle ridicole, stupide baggianate…
 
 
“Ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?”
 
 
“Merda!”
 
La sonora imprecazione di Tobio risuonò come un ringhio tra le pareti in vetro, immediatamente seguita da un vigoroso sbattersi del pugno sulla scrivania.
 
Lo scoppio d’ira furibonda era improvvisamente tornato come un vulcano in eruzione.
 
Che cazzo ne poteva sapere del perché quel fottuto idiota dai capelli rossi aveva reagito a quel modo tre giorni prima?
 
Che ne sapeva del motivo per cui non si sentivano da ben settantadue ore?
 
Che poteva sapere di…
 
 
“Richiedano? Vuoi dire anche per un semplice attacco emotivo?”
“Soprattutto quando sono emotivamente fragili”
 
 
Il ricordo di quella discussione fu simile a un inaspettato colpo di frusta.
 
Una gocciolina di sudore freddo gli percorse l’intera spina dorsale.
 
Quel giorno aveva semplicemente affermato quanto realmente credeva, no?
 
Non aveva mica detto nulla di errato.
Non aveva aggiunto nulla che quel rosso già non conoscesse di lui, no?
Non aveva agito in maniera inesatta.
 
Di sbagliato c’era solo l’idiota, malata convinzione, quella ridicola idea che…
 
 
“Il nostro compito non è soltanto curare una malattia. Lì o si vince o si perde, senza possibilità di scampo. Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”
 
 
“Stronzate… tutte stronzate!”
 
Sapeva già con che razza di persona stava interagendo.  
Era a conoscenza che quel microscopico medico fosse un vero e proprio strambo.
Sapeva che stava uscendo con un…
Con un…
 
Debole.
 
Ecco, sì.
 
Era debole, quell’insignificante scricciolo di essere umano.
 
Fragile in tutto e per tutto.
 
Lui non aveva compiuto nulla a sproposito.
 
Aveva seguito, più o meno, tutti i consigli di Akaashi, Kuroo e Bokuto.
Aveva rispettato ogni norma, ogni comma, ogni piccolo cavillo di quello che poteva esser considerato un “appuntamento”.
 
Aveva lasciato decidere al medico il luogo in cui incontrarsi.
Era giunto in perfetto orario.
Aveva pagato per entrambi pranzo e ingresso al parco.
 
Si faceva così, no?
Glielo avevano insegnato persone con anni di relazione alle spalle.
 
Lui non aveva compiuto alcun errore.
Aveva seguito alla lettera ogni indicazione di quello strano protocollo.
 
Non sbagliava mai nel rispettare un regolamento, per quanto contorto esso potesse apparire.
 
Allora, perché mai…
 
“Fanculo” sibilò tra i denti, alzandosi bruscamente dalla poltrona e facendo scivolare sul pavimento marmoreo qualche fascicolo colorato.
 
Un bel getto d’acqua gelida sul viso gli avrebbe sicuramente consentito di ripristinare la solita tempra imperturbabile.
 
 
 
 
 
 
“Ehi, Naka-kun! Che ti prende?”
“E’ successo qualcosa? E’ raro vederti così agitata”
“Problemi a casa o qualcosa bolle in pentola?”
 
Le due segretarie dal tailleur scuro guardarono la collega entrare come una furia nell’ampia sala ristoro dell’ufficio e sbattere con violenza l’inseparabile agenda sul tavolo al centro dell’ambiente.
“Vuoi che ti prepari un tè?” chiese ancora la ragazza dalla lunga treccia bionda, abbandonando il tono scherzoso e avvicinandosi ai fornellini posti lungo la parete color crema.
“Grazie, Tomomi” mormorò Nakamura con voce malferma, sedendosi stancamente su una delle tante sedie in tessuto.
 
 
Per qualche minuto nessuna aprì bocca.
L’unico brontolio di sottofondo che teneva loro compagnia era il ribollio dell’acqua sui fornelli.
 
“Ecco” mormorò dolcemente Tomomi non appena il tè fu pronto, piazzando dinanzi alla brunetta un’affusolata tazza di ceramica.
“Allora?” indagò senza perder tempo la segretaria dai lunghi capelli corvini, ricevendo un’occhiataccia di rimprovero dalla collega.
Nakamura bevve lentamente un lungo sorso della rigenerante bevanda calda e, dopo un profondo sospiro…
“Non lo sopporto più quell’uomo!” strillò con voce rotta dall’esasperazione.
Le due ragazze sedute al suo fianco spalancarono gli occhi, colte decisamente alla sprovvista.
“Stai… stai parlando di…”
“Sì, esatto. Di lui, di quel… quell’insensibile bastardo!” sputò con voce maggiormente risoluta, stringendo convulsamente la tazza bianca tra le mani.
“Non ce la faccio più, non riesco più a tollerarlo! Non…” s’interruppe, perdendo la verve iniziale per cedere il posto a un senso di spossatezza opprimente.
“Non voglio più lavorare per lui” singhiozzò alla fine, portandosi il dorso della mano destra al viso e scoppiando a piangere convulsamente.
“Oh, tesoro” l’abbracciò la collega dai capelli lisci, stringendola a sé.
“Non piangere così, non ne vale la pena per quel…”
“Invece fa bene a sfogarsi, Yukari” sbottò Tomomi, balzando su dalla sedia e incrociando le braccia sulla camicetta bianca.
“Sopporta quello spocchioso da ormai due anni. Io non avrei resistito nemmeno un mese” sentenziò scuotendo la testa.
“Per non parlare di quanto sia maleducato. Non potrò mai dimenticarmi quando, per lo spavento che ti ha fatto prendere, ti sei rovesciata il caffè sui vestiti e lui non si è nemmeno scusato!” saettò velenosa Yukari.
Tomomi s’incupì violentemente, torcendosi i poveri capelli biondi tra le dita.
“Ha avuto anche la faccia tosta di dire che non era stata colpa sua. Se Kunimi-san e Kindaichi-san non fossero intervenuti gli avrei sbattuto la borsa in testa” sibilò.
“Non ti ha nemmeno offerto di portare a smacchiare la camicetta. E’ un vero cafone” rincarò la dose Yukari, scuotendo i lunghi capelli e strofinando confortante la mano sulla schiena di Nakamura.
“E’ stato Kunimi-san a ricomprartela, vero?” parlò a quel punto, sfilandosi gli occhiali scuri e tamponandosi le palpebre umide di lacrime.
Sul viso di Tomomi nacque un sorriso gentile.
“So che può sembrare quasi apatico la maggior parte del tempo, però… Kunimi-san è davvero una brava persona. Insomma, avrebbe potuto disinteressarsi completamente, non era stato lui a compiere alcun torto. Eppure…”
Lasciò la frase in sospeso, abbassando le iridi chiare sulla camicetta ricamata in pizzo.  
“Si è parecchio arrabbiato quel giorno. Era preoccupato che ti fossi ustionata gravemente” ricordò Yukari con un sorrisetto sulle labbra rosee.
“Anche Kindaichi-san con te si è preso un bello spavento, vero? Quando ti sei accidentalmente conficcata la pinzatrice nel pollice è stato tutto il pomeriggio al pronto soccorso con te e ti ha persino riaccompagnata a casa! Un vero gentiluomo” commentò maliziosa Tomomi con un occhiolino verso la collega, che le rispose con una linguaccia.
Si rivolse poi nuovamente verso Nakamura, appoggiando le mani sui fianchi con aria agguerrita. 
“Ed è così che ci si comporta, non come quel tiranno! Ti tratta come una pezza nonostante tu sia sempre impeccabile! Compi sempre il tuo lavoro alla perfezione, certe volte non so nemmeno come tu faccia a esser così veloce, eppure…”
Troncò la frase, scuotendo violentemente la testa.
“Sopporti sempre ogni fatica, ogni critica… io non ce la farei” concordò Yukari con una smorfia triste.
Nakamura chinò lentamente la testa, fissando il pavimento piastrellato come se potesse vedervi attraverso.
 
Era la pura verità.
 
Aveva sempre tollerato tutto nella sua vita.
Poteva quasi esser catalogato come un suo talento.
Non lamentarsi, non parlare mai a sproposito, non discutere sugli ordini.
Nonostante la stanchezza, aveva persino scoperto di provare una certa soddisfazione nel compiere il proprio lavoro alla perfezione.
Non pretendeva d’esser elogiata, né tantomeno di porsi al centro dell’attenzione.
Desiderava soltanto che ogni ingranaggio funzionasse a dovere.
 
Non appena aveva iniziato a lavorare per Kageyama-san, si era immediatamente scontrata con l’aura tenebrosa di cui era circondato.
Quell’uomo aveva sempre avuto il potere di metterla in soggezione, farla sentire in difetto.
 
Eppure, non aveva mai emesso un fiato.
 
Anche quando le sue colleghe le ripetevano quanto fosse disumano quel trattamento, lei era sempre rimasta in silenzio.
In silenzio…
 
Per paura di un commento offensivo di Kageyama-san?
Di un possibile licenziamento?
Oppure…
 
Semplicemente perché non avrebbe saputo cosa dire per farsi ascoltare da quel legale?
 
Non era stupida, nonostante l’apparenza un po’ insignificante di cui era ben a conoscenza.
 
Sapeva che il suo capo ricordava il suo nome a malapena.
Sapeva anche che la considerazione che aveva di lei era pari a zero.
Aveva smesso di sperare da tempo in un ipotetico gesto d’apprezzamento per i suoi sforzi, nonostante tutti i lavori portati a termine con successo.
Come avevano osservato Tomomi e Yukari, per Kageyama-san lei era uno straccio con cui ripulire le sbavature del suo lavoro.
Né più, né meno.
Allora…
 
Perché continuava a essere la sua segretaria?
 
Era giovane e con un buon curriculum.
Perfettamente in grado di poter intraprendere un nuovo impiego.
Magari un po’ meno retribuito, l’esser parte dell’ufficio Kitawaga Daiichi aveva i suoi indubbi pregi economici, ma maggiormente vantaggioso sul piano umano.
Poteva trovare qualcuno che la apprezzasse, che la ringraziasse per il duro lavoro svolto ogni giorno…
 
Sollevò lo sguardo sui visi premurosi delle amiche.
 
Le chiedevano spesso come diamine facesse a lavorare per un despota del genere.
Le facevano notare il modo in cui terrorizzasse chiunque con una singola occhiata.
 
Abbassò nuovamente gli occhi, pulendosi le lenti della montatura con il bordo della giacca grigia del tailleur.
 
In realtà, a lei Kageyama-san intimoriva per ragioni differenti.
 
Non era la smania di controllo o l’eccessiva durezza dei comportamenti a ferirla.
A quello era abituata.
Non erano le manie di grandezza, la presunzione o prepotenza che mandavano in bestia tutti gli avvocati dello studio.
 
Ciò che l’aveva condotta al limite quel giorno, ciò che aveva provocato la reazione di repulsione verso quell’uomo tanto cupo…
 
Era il totale, gelido distacco nei confronti di ogni persona con cui interagisse.
 
Aveva assistito a tante, troppe scene degradanti.
 
Troppe volte donne o uomini disperati avevano implorato l’aiuto di quel legale tanto intelligente, ricevendo in cambio freddezza e menefreghismo.
Era uno spettacolo talmente desolante da farle desiderare di non possedere orecchie per ascoltare né occhi per vedere.
 
Però…
La reazione di Kageyama-san non era mai stata così diretta, così esplicita.
Senza filtri.
Senza… finzioni.
 
Perché si era talmente sorpresa?
Avrebbe dovuto saperlo, no?
Avrebbe dovuto capire che l’atteggiamento indifferente non fosse solo una corazza, una forzatura, ma nascondesse…
 
La vera natura di quell’individuo. 
 
L’essenza… non di un uomo.
 
Bensì…
 
“E’ un mostro” sussurrò a denti stretti, lo sguardo ancora rivolto al pavimento ma pregno di una rinnovata consapevolezza.
 
Le due colleghe si scambiarono un’occhiata sorpresa.
Non avevano mai sentito Nakamura pronunciare una parola tanto dura prima d’allora.
“Ti ha proprio fatto esplodere, eh” commentò con un sospiro Tomomi, sistemandosi una dispettosa ciocca bionda dietro l’orecchio.
“Ormai… mi disgusta” sentenziò la brunetta con tono velato di rabbia.
“Pensavo che nonostante i modi potesse essere più umano di così, ma…”
Lasciò cadere la frase a metà, scuotendo lievemente la testa e terminando il tè gentilmente preparatole dall’amica.
“Non è niente di diverso da quello che appare” smentì brutalmente Tomomi, scuotendo il dito dinanzi al viso di Nakamura.
“Già. Un egocentrico figlio di puttana!” esclamò Yukari con vivacità.
“Yuka!” la rimproverò la collega trattenendo le risate e persino Nakamura si lasciò sfuggire un sorriso.
 
“Che linguaggio poco consono per delle donzelle come voi”
 
Le tre ragazze sussultarono istantaneamente.
Puntarono subito gli occhi sulla porta della sala, davanti alla quale una figura minuta faceva capolino.
Tomomi sospirò sonoramente, ponendosi una mano sul petto.
“Mi ha fatto venire un colpo, Kunimi-san. Pensavo fosse il direttore”
 
L’uomo mollemente appoggiato allo stipite abbozzò quello che avrebbe potuto definirsi un sorrisetto.
“Akira non mette in soggezione proprio nessuno” lo prese in giro Kindaichi, sbucando in quel momento da dietro la schiena del collega.
“Beh, nemmeno io posso dirmi intimorita da Kindaichi-san” cantilenò Yukari con un occhiolino, giocando con i lunghi capelli corvini e provocando il rossore sulle guance di Yuutaro, che cercò con un colpo di tosse di recuperare un minimo d’autorevolezza.
“Scusate per intrometterci nella vostra pausa, avevamo bisogno di… Nakamura, stai bene?”
Kindaichi non poté non notare il mascara sbavato e gli occhi rossi della ragazza, che chinò il capo in un istante, imbarazzata.
“No, non sta bene per nulla” saettò Tomomi, ancora sul piede di guerra.
“Kageyama-san ha superato ogni limite” le diede man forte Yukari, carezzando la gamba dell’amica.
Le sopracciglia di Kunimi si arcuarono notevolmente.
“Oh. Ecco di chi stavate parlando…”
Si abbandonò poi a un ghigno amaro.
Yuutaro, al contrario, s’infervorò istantaneamente.
“Cosa ti ha fatto quel dannato tiranno? Arrivare a farti piangere così! Come si permette, che razza di uomo farebbe una cosa…”
“Kindaichi-san, sta urlando” gli fece notare la sua segretaria con una risatina.
“Non… è nulla” intervenne però Nakamura, asciugandosi le guance alla bell’e meglio.
“No che non è nulla. Naka, non puoi continuare così in eterno. Non aver paura di Kunimi-san e Kindaichi-san, non direbbero nulla contro di te. Non sono mica come lui” la rassicurò Tomomi, sottolineando l’ultima parola con tanto disgusto da far sogghignare Kunimi.
D’improvviso, un’allettante idea balenò nella mente di Akira.
 
“Ti piacerebbe cambiare legale, Nakamura-kun?”
 
La proposta dell’avvocato colse totalmente alla sprovvista tutti e quattro i presenti, che si girarono a guardarlo un po’ spaesati.
“La segretaria di Oritsume, Fujita-kun, si trasferisce a Kyoto nelle prossime settimane. So che sta iniziando a cercare una ragazza che prenda il suo posto…” informò con voce monocorde, sebbene negli occhi vibrasse una scintilla d’interesse.
A quel punto, Kindaichi s’illuminò.
“Me l’ero dimenticato! Nakamura, sarebbe perfetto per te! Non dovresti nemmeno cambiare ufficio! Certo, Oritsume ha delle richieste un po’, ecco, esigenti…”
S’interruppe, evitando di menzionare come scarrozzasse la povera Fujita a destra e a sinistra nel quartiere sottostante per acquistare sigarette, ramen, sakè...
“Però è sempre meglio che stare con… con quel dannato Re” sputò inacidito.
Tomomi e Yukari si girarono entusiaste verso la collega, ancora seduta con il capo rivolto ai due legali.
“Sarebbe perfetto, Naka!”
“Oritsume-san non è poi così male, Fujita non se n’è mai lamentata più di tanto!”
“Yukari…” la richiamò con un sussurro Tomomi, occhieggiando i due superiori.
“Che c’è? Tanto Kindaichi-san non mi rimprovera mai” chiocciò melensa con un’occhiatina audace a Yuutaro, che tentò in tutti i modi di non avvampare dalla testa ai piedi.
La bellezza della sua segretaria era eccessiva, per diamine.
 
“Dunque, Nakamura-kun? Posso riferire a Oritsume che può interrompere i colloqui?”
 
Gli occhi scuri della ragazza incontrarono quelli color onice di Kunimi, lasciandola interdetta.
 
Non aveva mai davvero pensato d’interrompere il suo contratto con Kageyama-san.
Vi aveva riflettuto fugacemente un paio di volte, glielo avevano consigliato fino alla nausea le colleghe, ma non aveva mai realizzato che avrebbe potuto farlo concretamente.
 
“Ti preoccupa vederlo nei corridoi ogni mattina?” indagò Akira, cercando di comprendere il motivo di quell’esitazione.
“Temi che possa dirti qualcosa di offensivo?” balzò su Yuutaro con il solito temperamento irascibile.
 
Quasi come in trance, la ragazza scosse la testa.
 
Forse, a quel mostro insensibile…
Il suo licenziamento avrebbe consentito di comprendere che non tutto scorreva secondo il suo controllo. 
 
Chissà, magari qualcosina sarebbe mutato.
Piccola o grande, rilevante o meno.
 
Al momento, comunque, fu l’ultimo aspetto su cui si soffermò a riflettere.
 
“Per favore, Kunimi-san, faccia il mio nome a Oritsume-san”
 
Un gravoso macigno parve dissolversi dal suo petto.
 
Trascorse qualche istante di silenzio prima che Tomomi e Yukari saltarono al collo della ragazza, abbracciandola ed esultando “Evviva!” con talmente tanta enfasi che Yuutaro e Akira risero di gusto.
 
“Mi dispiace soltanto per la povera sventurata che dovrà prendere il tuo posto” rifletté Yukari dopo vari minuti di puro giubilo, tornando placidamente a sedersi.
“Non resisterà a lungo come Naka, poco ma sicuro” profetizzò Tomomi, annuendo solennemente.
“Non si potrebbe semplicemente impedire che assuma una segretaria? Non si vanta che può fare tutto da solo?” chiese sfacciatamente Yukari al suo capo.
Kindaichi ridacchiò maligno, ma Kunimi rifletté seriamente su quella frase.
 
“Sai, Nakamura? Non sarebbe una bella idea congedarsi da Kageyama con queste parole?”
Gli occhi della ragazza si sgranarono, spaesati.  
“Fallo, Naka! Ti prego, ti prego, chissà che faccia farà quel… però, pensandoci…” s’interruppe Tomomi, assumendo un’espressione scocciata.
“Quel tizio è terribile proprio perché tutto gli scivola addosso”
“Chissà” proferì Akira con tono misterioso.
Tutti e quattro lo fissarono perplessi.
“Forse il caro Re potrebbe sorprenderci”
 
Assumendo un’espressione ambigua, si chinò verso la brunetta, sussurrandole all’orecchio.
 
“Ti va di prenderti una piccola rivincita sul Re tirannico, Nakamura-kun?”
 
 

 
***
 
 
 
Nei due giorni successivi il cervello di Tobio non aveva smesso un solo istante d’elaborare possibili teorie sul comportamento di quell’idiota di un medico.
 
Non credeva d’essere mai stato tanto distratto prima d’allora.
Aveva persino confuso una pratica di affidamento minorile con una di separazione coniugale e se non fosse stato per la prontezza di Nakamura nel mettergli in mano il fascicolo giusto si sarebbe recato al processo senza…
 
Un momento.
 
Tobio alzò gli occhi blu dalla scrivania stracolma di documenti per fissarsi sulla porta in vetro del suo ufficio.
 
I suoi neuroni operarono una rapida revisione dei ricordi acquisiti nelle precedenti 48 ore.
 
Se vi rifletteva con attenzione, il comportamento della sua segretaria in quell’arco di tempo era stato...
Come dire, un po’ diverso da quello cui era costantemente abituato.
Non che le avesse prestato un reale interesse.
Eppure, nei momenti in cui aveva avuto l’opportunità d’intravederla mentre svolgeva le mansioni tipiche della sua giornata…
 
Aveva notato che il modo di approcciarsi nei suoi confronti era mutato.
 
Era come se…
 
Non fosse più così intimorita da lui.
 
Il tono era stato più fermo e qualunque traccia di soggezione era sparita dai suoi occhi.
 
Ma, in fondo, a chi importava.
 
Era avvezzo a quella ragazza per inerzia.
La sua presenza, così come la sua assenza, non avrebbe comportato la minima differenza per lui.
 
No?
 
 
“Kageyama-san, il meeting mattutino sta per iniziare”
 
A interrompere le sue congetture fu proprio la brunetta dal tailleur blu cobalto, ferma sulla soglia dell’ingresso con la solita agenda tra le mani.
 
Il legale annuì distrattamente, non curandosi nemmeno di guardarla in viso.
 
Era sicuramente colpa della sua immaginazione.
Quella donna era sempre stata intimidita da lui, esattamente come tutte le altre ragazze dell’ufficio.
 
La realtà dei fatti non poteva essere modificata.
 
 
 
 
 
 
“Il caso Goto si è rivelato ben più contorto del previsto, la Corte d’Appello ha deciso di rinviare il giudizio al dieci novembre…”
 
Tobio sbuffò rumorosamente, annoiato.
 
Quei dannati meeting erano una spina nel fianco da quando aveva iniziato a lavorare presso il Kitagawa Daiichi.
Nonostante costituissero parte integrante della propria mansione, li aveva sempre reputati inutili.
 
Del resto, aveva sempre lavorato da solo.
 
Non vedeva il motivo nel riunirsi con inetti del calibro dei suoi “colleghi” per consultarsi su casi o robe del genere.
Il capo ufficio avrebbe potuto benissimo lasciare i suoi incarichi a Nakamura e farglieli recapitare sulla scrivania.
Non c’era alcuna ragione per cui avrebbe dovuto sprecare quaranta minuti della propria giornata in mezzo a quel…
 
“E adesso, una comunicazione urgente”
 
Più per passività che per reale coinvolgimento, il corvino sollevò il capo per incontrare la figura di Kunimi, alzatosi dalla propria poltrona a destra del lungo tavolo rettangolare e con stampata in volto un’espressione… piuttosto inusuale.
Alzando lievemente il sopracciglio, decise per una volta d’ascoltare con attenzione ciò che avesse da dire quel tipo.
 
“Come tutti sappiamo, il nostro lavoro viene quotidianamente supportato dal duro impegno delle nostre collaboratrici”
 
Tobio aggrottò la fronte, notevolmente perplesso.
 
Che razza di discorso stava sputando fuori Kunimi?
 
Un generale cenno d’assenso provenne dagli avvocati.
 
“Senza di loro, probabilmente, le nostre occupazioni sarebbero certamente rallentate. Rispondono a ogni richiesta senza lamentarsi, giorno dopo giorno”
 
Tobio stava perdendo la pazienza.
Quel discorso non aveva senso.
 
Perché mai uno come Kunimi avrebbe sprecato fiato per un argomento tanto banale come quello?
 
“E’ per tale ragione che, nonostante non siano stati rispettati i termini per l’avviso preventivo, chiedo che sia largamente accettata la lettera di dimissioni da parte di una ragazza del personale assistente”
 
Un lieve brusio si levò dalla sala.
 
Quasi tutti i legali girarono perplessamente il capo per incontrare lo sguardo delle rispettive segretarie, in piedi dietro le poltroncine del tavolo.
Tra tutti, solo Yuutaro aveva un ghigno di pura soddisfazione disegnato sul volto, mentre Tomomi e Yukari si scambiarono un’occhiata d’intesa.
 
“Di chi ti stai facendo portavoce, Kunimi?” domandò Hashimaki, responsabile delle problematiche interne all’ufficio.
Akira prese un respiro profondo, cecando in ogni modo di reprimere la smorfia d’enorme compiacimento che sgomitava per sbocciargli sul viso.
 
“Sto parlando della lettera di dimissioni di Nakamura Ume, assistente di Kageyama”
 
Nella stanza calò il silenzio.
 
Tutti gli occhi dei presenti si puntarono su Tobio, la cui mente aveva recepito quelle parole come estranee.
 
Di che stava cianciando quell’apatico?
Che significava che Nakamura aveva scritto una…
 
“Comunica di rinunciare immediatamente al contratto con Kageyama. Ecco la lettera che mi ha personalmente consegnato”
 
Con ostentata nonchalance, Akira pose dinanzi alla postazione di Tobio una busta candida come il latte, il cui centro era però macchiato da segni neri come l’inchiostro.
 
Dimissioni di Nakamura Ume
 
Il corvino sbatté le palpebre più volte.
 
Che specie di scherzo era quello?
Nakamura chiedeva che cosa?
 
Senza nemmeno pensarci, si voltò con uno scatto alla sua destra, squadrando dietro la spalliera della propria poltrona.
 
“Che razza di…”
 
Interruppe la propria frase, fissando, per la seconda volta nel giro di due anni, la brunetta con estrema attenzione.
 
Gli occhi scuri, celati dietro la montatura a tartaruga, emanavano determinazione.
L’espressione del volto era salda, decisa.
Le mani giunte, strette tra loro in una morsa.
 
Quando sollevò il capo e incontrò lo sguardo di Kageyama…
 
Rifiuto.
 
Ecco cosa vi lesse il legale.
 
Un tagliente, netto rigetto.
 
“Posso garantire per lei, Hashimaki-san. Inoltre…”
Akira si girò verso Oritsume, che annuì e prese la parola.
 
“Sarà la mia nuova assistente. Come sapete Fujita-kun si trasferirà a Kyoto nelle prossime settimane. Risparmieremo così il tempo per cercare una nuova candidata che soddisfi le esigenze del Kitagawa Daiichi. Nakamura-kun è una lavoratrice eccellente” illustrò con entusiasmo.
“Così è tutto sistemato” concluse Kunimi con semplicità.
Hashimaki cercò di scrollarsi di dosso l’espressione sorpresa.
“Beh, se così stanno le cose…”
S’interruppe, occhieggiando la ragazza dall’altra parte della sala.
“Però, Nakamura-kun, come mai questa fretta talmente improvvisa da non poter rispettare il protocollo?”
 
Tutti i presenti erano avidi della risposta.
La bruna alzò la testa, compiendo un piccolo passo in avanti.
 
Non stava guardando Kageyama.
Però, forse per la prima volta da quando aveva messo piede lì dentro…
 
Non lo stava facendo poiché impaurita dalla sua presenza.
 
“Mi dispiace molto per il disguido, Hashimaki-san, ma…”
 
Esalò un profondo respiro e, con una rapida occhiata a Kunimi-san e alle due amiche…
 
“Ho lavorato per Kageyama-san per due anni, senza alcuna interruzione. So che può sembrare assurdo, però…”
 
Strinse le mani a pugno, conficcandosi le unghie nei palmi.
 
“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”
 
La sala rimase attonita.
 
“Come non darle ragione” intervenne repentinamente Yuutaro, gote brillanti per la gioia di poter finalmente sfogare il proprio risentimento.
“Insomma, chi reggerebbe anche un solo mese con un despota del genere?”
 
Tra i legali serpeggiarono occhiatine e risatine malevole.
“Dovevi dimetterti molto prima, Nakamura-kun”
“Chi te l’ha fatto fare a rimanere con quel tiranno per così tanto tempo…”
“Ti trattava male, vero? Ti urlava contro spesso?”
 
Tobio non sentiva nulla.
 
Non riusciva a udire nemmeno il minimo suono.
 
Era immerso in una bolla d’acqua, gettata a chilometri di profondità nell’oceano.
 
Tutto attorno a lui, la confusione.
 
Non capiva.
 
Perché?
Perché mai?
 
Alzò nuovamente le iridi e…
 
Nakamura, quella volta, incrociò il suo sguardo.
 
Non c’era disgusto.
Non c’era determinazione.
Solo…
 
Tristezza?
Delusione?
Biasimo?
Un mix di tutte e tre le cose?
 
Con un lieve inchino, la ragazza si congedò definitivamente da Kageyama, che stringeva ancora tra le dita l’intonsa lettera di dimissioni, e oltrepassò la porta di vetro a passo sicuro.
 
Quell’espressione…
 
Cosa gli ricordava?
 
Perché lo incideva così tanto?
 
Perché Nakamura si era dimessa dal suo incarico?
 
Era una segretaria, doveva svolgere il suo lavoro senza lamentele, no?
 
Lo conosceva, sapeva com’era fatto da ben due anni.
Perché andarsene solo ora?
Cos’era accaduto?
Che cosa significava quello sguardo?
 
Perché gli ricordava dannatamente quello rivoltogli dallo scricciolo rosso prima che scappasse via, sparendo per cinque giorni?
 
Quella potente realizzazione colta tra i pensieri che si susseguivano impazziti provocò un potentissimo black out del suo cervello.
 
Nakamura… si era sentita come Hinata?
 
 
“Non è esattamente quello che volevi, Kageyama?”
 
Davanti a Tobio svettava Kunimi con un amaro sorriso divertito sulle guance.  
 
“In fondo, non hai sempre detto di voler fare tutto da solo?”
 
Avrebbe voluto reagire.
Avrebbe voluto mandarlo al diavolo, maledire tutti, lasciarsi scivolare addosso tutto come ogni giorno della propria vita.
Avrebbe potuto inveire, minacciarlo perfino.  
 
Eppure…
 
Non riuscì a muovere un singolo muscolo.
Non riuscì a replicare, perché…
 
 
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente. Solo.”
 
 
Il cuore gli batteva impazzito nel petto.
La respirazione aumentò, s’intensificò fin troppo…
 
Completamente inerme, guardò gli occhi onice di Kunimi.
 
Oltre alla sadica smorfia beffarda…
Poté rivedere, immerse in quelle iridi scure, quelle medesime parole d’avvertimento rivoltegli il mese precedente.
 
“Sai, Akira?”
 
Yuutaro si avvicinò al collega, posizionandosi le dita sul mento come se stesse riflettendo.
 
“Mi domandavo… un Re, un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
All’interno della gabbia toracica di Tobio, il cuore si fermò.
 
Aveva bisogno di fuggire via da lì.
 
Alzandosi talmente di scatto da mandare a sbattere la poltroncina contro la parete della sala riunioni, uscì senza curarsi d’aver lasciato tutto il proprio materiale sul tavolo, senza badare alle risatine dei colleghi.
 
Aveva bisogno di un posto isolato in cui rimettere a pezzi quel qualunque cosa gli si fosse frantumato nel petto, lacerandosi in mille pezzettini e dilaniandolo come mille lame.
 
 

 
***
 
 
 
“Sei sicuro che sia stata una buona idea?”
“Certo che sì! L’abbiamo elaborata nei minimi dettagli io e Kuroo!”
“Ecco, è proprio questo che mi preoccupa…”
 
Seduti attorno a un tradizionale tavolino rettangolare, Akaashi picchiettava ritmicamente i polpastrelli sul legno mentre al suo fianco Bokuto ordinava entusiasta due bottiglie di sakè.
 
“Eri d’accordo con Kuroo anche tu?”
 
La domanda del corvino fece sollevare lievemente la testa di Kenma, i cui occhi ambrati erano ancorati allo schermo del cellulare.
 
“Non proprio, però…” s’interruppe, grattandosi distrattamente il mento con l’indice.
“Non posso dire di non essere un po’ incuriosito da questa storia” concluse con una lieve alzata di spalle.
 
Akaashi si mordicchiò il labbro inferiore, pensieroso.
 
“Hinata non ti ha informato proprio di nulla, quindi?”
 
Kozume scosse la testa.
 
“Niente. Di solito mi riempie di messaggi quando fa qualcosa di nuovo o ha un avvenimento importante…”
Troncò la frase in maniera eloquente.
 
“Non puzza un po’ anche a te questa storia, Akaashi-kun?” s’intromise Tetsuro, materializzatosi in quel momento e abbassatosi per incrociare le gambe sotto il tavolo.
 
Keiji decise d’ignorare per l’ennesima volta il tono sornione del ragazzo, concentrandosi invece sul significato delle sue parole.
 
“Kageyama-kun era palesemente interessato al piccoletto. Ci ha anche chiesto qualche dritta su come poter passare al livello successivo” aggiunse con maggior serietà, versandosi il contenuto dell’alcolico appena portato da un cameriere e sorseggiandolo lentamente.
“Devi assaggiare questo sakè, Bo. E’ delizioso” consigliò poi all’amico seduto dall’altra parte del tavolo, che s’illuminò e iniziò a versare il liquido trasparente nel bicchierino nero riccamente decorato.
“Con moderazione, Koutaro…” mormorò Keiji in direzione del proprio fidanzato, che rispose con un piccolo sbuffo e un broncio infantile.
“Kageyama non è una persona che si sbottona facilmente. Se ci ha raccontato un episodio della sua vita personale significa che è una faccenda seria” rifletté poi, giocherellando con il bordo del piatto.
 
Nonostante si conoscessero da tanti anni, era sempre esistito un velo divisorio fra ciò che il corvino era disposto a rivelare e ciò che custodiva gelosamente per sé.
Non che non si fidasse di lui, questo Keiji l’aveva compreso da molto tempo.
Era solo che…
 
Pareva quasi che lo stesso Kageyama ignorasse gran parte di ciò che realmente provasse.
 
“Per questo è strano” intervenne Kenma, alzando definitivamente la testa e appoggiando il telefono accanto al tovagliolo.
“Shoyo mi aveva detto che avrebbero dovuto vedersi domenica scorsa. Sembrava parecchio nervoso ma anche felice all’idea… però non mi ha più scritto nulla dopo quel giorno. Non ci siamo nemmeno più sentiti su Line” spiegò con voce sommessa.
Tutti e tre i presenti ascoltarono con attenzione.
“Se fosse andata semplicemente male Shoyo non avrebbe esitato a piagnucolarne con me, come tutte le volte in cui è tornato con Terushima”
“Non che è…” indagò Tetsuro, gli occhi stretti in due fessure.
“Kageyama gli ha fatto qualcosa?”
La domanda era per lo più rivota a Keiji, le cui iridi erano ancora fisse sul bicchierino colmo di sakè.
“Sinceramente, non lo so. Kageyama non è famoso per essere una persona accomodante, né tantomeno semplice con cui trattare. Ma credo che Hinata fosse ben a conoscenza della sua personalità. Insomma, ha accettato di uscire con lui” ragionò con raziocinio.
“Però… non ho davvero idea di come possano aver interagito. Sono talmente diversi che è anche solo difficile immaginare una loro conversazione” rifletté ancora, aggrottando la fronte e massaggiandosi le tempie.
“E’ così cupo. Come fa quel raggio di sole del piccoletto a essere attratto da lui?” si chiese Testuro, grattandosi la nuca.
“Ragionando così nessuno di noi quattro dovrebbe stare insieme con il rispettivo compagno” commentò Kenma senza particolare intonazione della voce, tornando a fissare il display del cellulare.
“Kenma ha ragione! Non c’entra il fatto che siano diversi” si aggiunse finalmente Bokuto, rimasto in silenzio per un tempo inaspettatamente lungo.
I ragazzi si girarono a guardarlo con curiosità.
“Shoyo è perfettamente in grado di adattarsi a chiunque. Va d’accordo con tutti, no? E Kageyama…”
S’interruppe un attimo, ricordando qualcosa che lo fece sorridere.
“Anche se a volte mi lascio andare con le chiacchiere, lui sembra davvero ascoltarmi quando parlo. A volte pare solo… un po’ spaventato di non sapere cosa dire, tutto qui”
 
Keiji rifletté sulle parole di Koutaro che scrollò le spalle e scolò il bicchierino di sakè, lasciandosi poi andare a un’esclamazione entusiasta.
“Bisogna solo capire cosa sia successo durante il loro appuntamento, allora” concluse Kuroo con un sorrisetto.
“Invadere la privacy è diventato il tuo nuovo hobby?” proferì sarcasticamente Akaashi e il moro ridacchiò.
“Spiare mi diverte parecchio. Ma se non divertisse anche te, perché avresti accettato di venire qui?” lo provocò con un ghigno beffardo.
Keiji assottigliò le labbra, punto sul vivo.
“Non ho mai detto di appoggiare pienamente la vostra stupida idea di riunire entrambi senza che sapessero…”
 
“Piccoletto! Eccoti finalmente” lo stroncò immediatamente Kuroo, individuando Hinata avvicinarsi fra i tavoli del ristorante.
“Ciao, Shoyo!” lo salutò allegramente Bokuto, agitando la mano con un’ampiezza un po’ eccessiva.
Gli effetti dei due bicchierini di alcool stavano iniziando a comparire.
“Buonasera a tutti!” ricambiò il medico con calore, sedendosi con le gambe incrociate a capotavola con Kenma alla sua sinistra e Bokuto alla sua destra.
“Ho una fame da lupi. Non sono riuscito nemmeno a pranzare oggi” si lamentò sonoramente e stiracchiò le braccia sopra la testa con nonchalance.
Kozume cedette a un sorriso e Koutaro rise sonoramente.
La spontaneità del rosso contagiava chiunque alla velocità della luce.
“Mi hanno detto che il sushi di questo posto è tra i più buoni di Tokyo. Non potevo non riunirvi per provarlo” gongolò Tetsuro, chiamando un cameriere per cominciare le ordinazioni.
“Non vedo l’ora di divorarlo” esalò il rosso con l’acquolina in bocca, fantasticando su ogni varietà di pesce possibile da gustare.
 
“Hai avuto… una settimana impegnativa, Shoyo?” domandò dopo qualche minuto Kenma, i cui occhi felini scambiarono una rapida occhiata con quelli di Kuroo e Akaashi.
Shoyo si portò le dita fra i capelli folti, grattandosi il capo con nonchalance.
“Eccome. Abbiamo avuto tantissime emergenze e ho dovuto più volte collaborare con il personale del pronto soccorso, nonostante in teoria non sia di mia competenza. Tsukishima è diventato ancor più insopportabile del solito…” mugugnò scuotendo la testa e Akaashi ridacchiò.
“Sembra stancante” concordò Kozume, il cui solo pensiero di muoversi come una trottola per tutto il giorno lo faceva letteralmente rabbrividire.
“Sai, Kenma si era un po’ preoccupato” sciorinò abilmente Kuroo, pilotando l’attenzione del rosso su di sé.
“Non gli hai scritto per un’intera settimana. Non è da te, piccoletto” chiocciò con tono leggero, nonostante il velato fine di sottofondo.
Shoyo sbatté le palpebre, mordicchiandosi le labbra con aria colpevole.
“No, è che… davvero non ho avuto molto tempo” cercò di sviare il discorso con una risatina.
Peccato che tutti i presenti seppero cogliere la sfumatura d’incertezza della sua voce.
Dovette comprendere che gli occhi taglienti di Kenma e Kuroo lo stessero trapassando da parte a parte, poiché deglutì nervosamente e agitò le braccia.
“Non sono stato nemmeno tanto bene! Vedete, ecco, emh, ho avuto un’emicrania pazzesca e il troppo lavoro mi ha davvero sfiancato” si giustificò velocemente, bevendo con celerità un sorso di sakè.
 
“Oh, povero piccoletto. Ma dimmi, sei stato male subito dopo domenica o è una cosa più recente?”
 
Alla domanda provocatoria di Kuroo, Shoyo mollò bruscamente il bicchierino che reggeva tra le dita, che ricadde sul tavolo con un pesante tonfo mentre il contenuto trasparente si rovesciò sul suo pullover azzurro.
“Merda” imprecò sonoramente, suscitando le occhiatacce di coloro che erano seduti ai tavoli vicini.
“Aspetta, ti aiuto” intervenne Akaashi, afferrando un tovagliolo e avvicinandosi a Hinata per aiutarlo a tamponare il tessuto.
“Vuoi che ti accompagni in bagno?”
“Nono, grazie Akaashi-san, faccio da solo… sono con la testa fra le nuvole” rise un po’ concitatamente, estremamente grato d’alzarsi dal tavolo per troncare quel discorso spinoso.
“Torno subito” annunciò per poi dirigersi alla toilette.
 
Non appena fu sparito all’orizzonte, Kenma si girò subito verso Kuroo.
“Non c’era bisogno di arrivare al punto così brutalmente” lo rimproverò severamente, fissandolo negli occhi con intensità.
Kuroo assunse un’espressione innocente.
“Non gli ho mica chiesto che cosa hanno fatto domenica, no?”
Guardò Bokuto per trovare un appiglio d’aiuto, ma il ragazzo per sua sorpresa scosse la testa.
“Sei stato troppo diretto, bro. Shoyo ha bisogno di trovarsi a suo agio per parlare” spiegò saggiamente.
Tetsuro sbuffò, ma il malumore durò appena qualche istante.
“Guardate chi è arrivato!”
 
Akaashi si mise le mani nei capelli, pentitosi amaramente d’aver dato corda a quelle due pesti.
 
Che avevano combinato?
 
 
 
Sospirando scocciato, Shoyo strofinò con fin troppa energia il tovagliolo di stoffa inumidito sul pullover turchese, che lasciava trasparire con evidenza una grande macchia in prossimità dello stomaco.
 
Dove aveva la testa?
Reagire a quel modo solo perché Kuroo-san aveva posto quella semplice domanda…
 
Si fermò un attimo, fissando la propria mano con aria trasognata.
 
Non aveva detto a nessuno come fossero andate le cose quella domenica. 
Né a Kenma, né a Yachi, né tantomeno a Suga, che l’aveva travolto con talmente tante occhiate incuriosite da volerlo evitare con tutto se stesso.
Non che biasimasse l’amico.
La preoccupazione nei suoi confronti era genuina.
 
Però…
Quella era qualcosa su cui nemmeno lui aveva desiderato riflettere accuratamente.
Pensarvi avrebbe significato…
 
No, no.
Era decisamente molto più facile ignorare tutto.
Sia lui, sia gli amici.
 
Era un atteggiamento da codardi, lo sapeva più che bene.
 
Certo, non è che quello lì l’avesse cercato, eh.
Era stato lui ad andarsene per primo, però.
 
Strizzò gli occhi e arricciò il naso con espressione di cocente frustrazione.
 
Perché doveva essere così dannatamente difficile?
Perché le cose non potevano mai andare lisce?
Perché aveva dovuto provare interesse per quel… per quel…
 
Inalò una gran quantità d’ossigeno, cercando di calmarsi.
 
Non era più un bambino.
Scappare non era una scelta concepibile.
 
 
 
Terminando di pulirsi al meglio delle sue capacità, lasciando comunque un enorme alone fin troppo visibile sul tessuto azzurro del pullover, si lavò le mani e uscì dal bagno con passo fermo.
 
Aveva accettato l’invito di Bokuto e Kuroo per gustare sushi e chiacchierare tutti assieme.
Se gli amici erano curiosi della sua situazione… non poteva certo incolparli.
Avrebbe cercato di rispondere alle loro domande senza farsi prendere dal nervosismo.
 
Ciò che desiderava più di ogni altra cosa era soltanto non avere a che fare con…
 
I battiti del suo cuore si arrestarono improvvisamente.
Le iridi si sgranarono tanto da bruciare.
 
No.
Non poteva essere.
L’uomo seduto a capotavola accanto a Kuroo e Akaashi…
Non poteva mica…
 
“Kageyama-kun, hai avuto difficoltà a trovare il locale?”
 
Kuroo e Bokuto erano due farabutti.
 
Quella volta avevano davvero oltrepassato il limite.
 
D’un tratto Kenma alzò il mento, individuando Hinata a qualche tavolino di distanza a fissare sgomento la testa corvina che gli dava le spalle.
 
L’amico era palesemente nel panico.
Com’era prevedibile, del resto.
 
Cercando di sopprimere l’impulso di tirare i capelli a Kuroo, tentò di mandare a Shoyo un’occhiata che potesse convincerlo a soprassedere su quella carognata.
 
Lo guardo che il rosso interpretò dal viso di Kenma era a metà tra una richiesta di perdono e una che…
Lo invitata a sfruttare l’occasione?
O stava semplicemente immaginando troppo come suo solito?  
 
Eppure, in effetti…
 
Sarebbe stato un ottimo modo per affrontare il problema di petto.
Non che desiderasse risolverlo al momento.
 
Però…
 
 
Continuerai a rimandare, Shoyo?
 
 
Quell’opprimente vocina risuonò tra le pareti della sua mente come se provenisse da un megafono, nonostante in realtà fu più simile un sussurro.
 
No, doveva risolvere le cose, prima o poi.
 
Strizzando velocemente le palpebre, si avvicinò al tavolo, catturando l’attenzione di Bokuto.
 
“Ehi, Shoyo! Sei riuscito a togliere un po’ di sakè dal maglione?”
 
Merda, doveva macchiarsi proprio quando c’era anche Kageyama nel tavolo con loro?
 
Dalla sua postazione poté chiaramente scorgere la schiena del corvino scuotersi bruscamente in un sussulto.
Si avvicinò al suo posto e, dopo essersi seduto a gambe incrociate e aver sollevato lo sguardo…
 
Gli occhi blu di Kageyama erano talmente spalancati che avrebbero potuto fuoriuscire tranquillamente dalle orbite.
 
Hinata cercò di rimanere calmo.
Almeno quella volta non sarebbe stato lui ad apparire un pesce lesso.
 
“Ecco la cena, finalmente” esultò Koutaro non appena si avvicinarono due camerieri con sei piatti esageratamente grandi colmi di sushi e sashimi, che appoggiarono sul tavolo augurando loro buon appetito.
“Aaaah non vedevo l’ora” esalò Kuroo prima d’avventarsi sulla propria porzione, divorando un pezzo di pesce dopo l’altro.
“E’ davvero ottimo bro, abbiamo fatto bene a venire qui” concordò Bokuto con la bocca piena.
“Dobbiamo sempre farci riconoscere…” commentò sconsolato Akaashi, scuotendo la testa.
“Shoyo, hai assaggiato? Riempiti pure, in fondo oggi non hai nemmeno pranzato!”
 
Il rosso udì le parole di Koutaro un po’ indistintamente, concentrato com’era a cercare di non fissare Kageyama negli occhi.
Impresa piuttosto ardua, considerando che il corvino si trovasse proprio di fronte a lui dall’altro lato della tavola.
 
Annuì un po’ distrattamente e acchiappò con le bacchette scure un trancio di salmone, masticandolo con una lentezza che non gli sarebbe mai appartenuta in circostanze normali.
 
Lo stomaco gli si era completamente chiuso.
 
Percepiva lo sguardo di Kageyama fisso su di sé come la luce di un faro in piena notte.
 
Le guance gli stavano andando a fuoco.
Diamine, che aveva da guardarlo così insistentemente?
 
Non era pronto per incontrare quegli occhi blu.
Non voleva ricordare quei pozzi artici come il ghiaccio.
 
“Allora, Kageyama-kun. E’ stata una giornata pesante, oggi?”
 
Shoyo fu intimamente grato a Kuroo, nonostante ce l’avesse a morte con lui in quel momento, per aver distratto il legale.
La testa altrimenti gli sarebbe sicuramente scoppiata per l’insistenza di quell’occhiata.
 
Si azzardò a sollevare la testa dinanzi a sé, ma con estremo orrore vide che Kageyama non aveva mosso un singolo muscolo.
Continuava a guardarlo…
 
Con occhi fissi, sì, ma non gelidi.
Non freddi.
Non colmi d’ira.
 
Che sfumatura racchiudevano quelle perle color mare?
 
Perché quell’uomo lo confondeva così tanto?
Perché aveva il potere di mutare con un singolo battito di ciglia?
 
Non seppe per quanto sostenne quello sguardo indecifrabile.
A un certo punto, tuttavia, la tensione fu troppa.
 
Spezzò il contatto visivo, pescando un sashimi dal piatto e portandoselo alla bocca.
 
Era un codardo.
Un vile che scappava continuamente dalle situazioni difficili.
 
“Umh… onerosa” mugugnò Tobio dopo qualche infinito secondo.
 
Stava tentando in ogni modo possibile di distogliere l’attenzione dal medico…
Ma era dannatamente complicato.
 
Insomma, che diavolo ci faceva lì quello scricciolo?!
Era vero che Akaashi-san non aveva specificato la presenza di nessuno in particolare, però non avrebbe mai potuto pensare che quel rosso si sarebbe trovato con loro.
 
Maledizione.
Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
Riusciva a stento a trattenersi dall’urlargli in faccia la domanda che lo aveva tormentato per i giorni precedenti.
La domanda che lo aveva mandato fuori di testa.
 
Perché?
Perché, perché, perché, perché….
 
Non aveva sue notizie da sei giorni… e adesso era lì, a nemmeno un metro di distanza.
 
Si sentiva vorticare.
Un senso di nausea gli attanagliò lo stomaco.
 
I terrificanti istanti del giorno precedente iniziarono a tartassarlo incessantemente.
 
La faccia di Nakamura sovrapposta a quella di Hinata.
La sua espressione uguale a quella del rosso.
Gli occhi colmi della medesima espressione.
 
Ma…
Che espressione era?
Che cosa significava?
Se non era disgusto o ira… cos’era, allora?
 
Merda, non riusciva a connettere un bel nulla.
 
“Kageyama”
 
Un lieve tocco sulla mano lo fece trasalire inaspettatamente.
 
Girò la testa per trovare il volto un po’ apprensivo di Keiji che lo squadrava.
“Va tutto bene?” sussurrò, non facendosi udire da nessun altro al di fuori di loro due.
 
Kageyama deglutì a vuoto, annuendo appena.
 
Avrebbe desiderato vomitare tutto ciò che aveva in corpo.
 
Arrischiò una fugace occhiata davanti a sé…
 
E il medico persisteva ostinatamente a non guardarlo.
 
Quella situazione stava divenendo parecchio snervante.
 
“Che programmi avete per domani? Per noi due è una delle poche domeniche in cui non siamo impegnati anche nel pomeriggio” sospirò Bokuto con una smorfia esagerata.
“Di quando in qua un part-time ti costringe a stare tutto il giorno a lavorare?” si lamentò Kuroo accoratamente.
“Sbrigati a raccogliere i soldi che ti servono e non dovrai più stare sotto nessuno” osservò razionalmente Akaashi, scrollando le spalle.
“Se fosse così facile ci sarei riuscito anni fa, non credi?” sbuffò tagliente, incrociando le braccia.
“Beh, il succo però è questo” concordò Kenma senza guardarlo.
Tetsuro gli scoccò un’occhiata oltraggiata.
“Dovresti stare dalla mia parte e non da quella di quest’essere crudele” sbottò, apostrofando Keiji come se si trattasse del diavolo personificato.
“Da che pulpito” osservò Shoyo con una linguaccia.
“Ti scavi la fossa se dici così, bro” ridacchiò Bokuto.
“Okay, siete tutti contro di me”
Il moro incrociò le braccia, imbronciato.
“Non sei capace di mettere il broncio, Kuro” proferì Kenma, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“Dovresti aver finito entro i prossimi due mesi. Smettila di scoraggiarti”
Dal viso di Kuroo nacque un piccolo sorriso genuino.
“Lo so. Non vedo l’ora di aprire una clinica veterinaria tutta mia” gioì, riacquisendo la solita verve.
“Cosa farò senza di te, bro? Le giornate saranno così noiose!” si disperò melodrammatico Bokuto, mettendosi le mani fra i capelli.
“Avevi detto che non appena se ne sarebbe andato Kuroo avresti accettato il lavoro al Tokyo Metropolitan Gymnasium” gli ricordò pazientemente Akaashi.
“Oh, giusto! Fortunatamente uno dei loro personal trainer si trasferirà in quel periodo, così potrò iniziare io! Sarà strano smettere di lavorare da Murakami, però. Non avrò più lo sconto dipendenti…”
Shoyo e Akaashi risero.
 
“Tornando alla domanda originale, io credo che dovrò lavorare”
Kuroo si svoltò di scatto verso Kenma.
“Come lavorare?! Ma è domenica!” protestò vivacemente.
“Stiamo progettando un videogioco piuttosto costoso e il capo vuole progressi giornalieri” spiegò con una scrollatina di spalle.
“Anch’io dovrò studiare, domani” si aggiunse Keiji con un sospiro stanco.
Le bacchette rette da Bokuto caddero rumorosamente sul piatto.
“No! Akaashi, non puoi farmi questo! Studi ogni giorno, perché anche domani quando ho il pomeriggio libero?”
Il ragazzo sembrava genuinamente scioccato dalla notizia.
“Perché il concorso si avvicina, Kou. Non posso allentare il ritmo proprio adesso” spiegò con un sorriso un po’ triste, appoggiando la mano sul braccio di Bokuto.
“Quando sarà la data?” s’intromise Kageyama, appigliandosi all’unico dato conosciuto del discorso. 
“Tra due settimane, il 22 ottobre”
“Ma c’è ancora tempo, Akaashi… domani volevo un po’ di tempo per noi due…” piagnucolò sommessamente Koutaro, facendo scivolare il palmo sulla coscia di Keiji.
Le guance del corvino si colorarono lievemente.
“Di tempo a disposizione ne avremo presto” rispose con un sorrisetto.
 
Shoyo assisté alla scena con un po’ di celata invidia.
 
Quei momenti d’intimità gli mancavano.
Anche se non poteva ammettere che gli mancasse al cento per cento la persona con la quale era solito trascorrerli.
 
Un pensiero malizioso s’insinuò nella sua mente, causando l’imprevisto arrossamento delle guance.
 
Chissà come sarebbe apparso Kageyama in una situazione d’intimità.
 
Oh Dio, ma che andava a immaginare in quel momento?!
 
Era un pensiero inopportuno e fuori contesto.
E per di più inutile, considerando che non progettava di scoprirlo mai.
Non voleva avere a che fare con il legale, no?
 
O almeno, per il momento.
 
Okay, la sua testa aveva esagerato.
 
Gli mancava semplicemente un po’ di contatto fisico, fine della storia.
L’ultima volta che era stato con Terushima risaliva a…
 
Allargò le palpebre, inorridito.
 
Oddio, erano davvero passati sette mesi?
Ecco spiegato il mistero.  
 
Teru, eh…
 
Studiò per un minuscolo istante il volto di Kageyama che, ringraziando il cielo, era impegnato in una conversazione con Akaashi e non si accorse della sua occhiatina.
 
La domenica precedente il legale aveva reagito in maniera completamente inaspettata alla sua provocazione.
Sembrava essersi incupito terribilmente all’ipotesi di un possibile individuo con cui lui avesse potuto incontrarsi.
Anche se…
 
 
“Non mi vedo con nessuno, ma se anche fosse… ti darebbe fastidio?”
 
 
Quella domanda non aveva ottenuto una risposta.
 
Si mordicchiò l’interno della guancia, indeciso.
 
Non voleva comportarsi da bambino.
Non desiderava lanciare frecciatine gratuite, considerando soprattutto la spinosa situazione attuale.
 
Non voleva avere a che fare con Kageyama al momento, però…
 
Una piccola vendetta aveva il diritto di conquistarsela.
 
“Io credo… che mi vedrò con Teru, domani”
 
Dieci occhi strabuzzati si focalizzarono su di lui.
 
Due più di tutti, però, parevano trapassarlo a metà per la loro intensità.
 
Shoyo tentò d’ignorarli.
 
Le iridi feline di Kenma e Kuroo lo scrutarono meglio dei raggi X.
Bokuto, invece, esclamò uno spontaneo e preoccupato “Ma come, di nuovo?”
Keiji avrebbe voluto baciarlo per la sua ingenuità, che però rafforzava la credibilità delle parole di Hinata.
Il rosso aveva deciso di tirar fuori gli artigli.
E, a giudicare dall’espressione ferina di Kageyama…
Aveva fatto decisamente breccia.
 
“Vi siete… riavvicinati?” chiese Keiji rimanendo sul vago, sorseggiando placidamente il suo sakè.
 
Shoyo giocherellò con un pezzo di sashimi, temporeggiando sulla risposta.
 
Okay, non era stata una mossa molto intelligente, considerando quanto fosse una frana nelle improvvisazioni e a inventare bugie.
 
Però…
 
Cercò di sbirciare discretamente davanti a sé, e…
 
Lo sguardo di Kageyama per poco non gli fece sputare il boccone che stava masticando.
 
Era assolutamente terrificante.
 
Abbassò la testa, irritato.
 
Perché era così arrabbiato, quell’antipatico insensibile?
 
Di lui non gliene fregava poi un granché, no?
Come non gli importava nulla di tutte le persone che gli stavano intorno…
 
“In effetti sì. Ci siamo sentiti questa settimana…”
 
Lo sguardo incredulo che Kenma gli rivolse lo fece quasi inciampare nelle sue stesse parole.
 
Era ovvio che stesse mentendo, non aveva contattato nemmeno lui in quei giorni.
Tuttavia…
Quello Kageyama non lo sapeva.
 
“E abbiamo deciso di vederci per prendere qualcosa da bere. Una piccola serata per... ricordare i bei tempi assieme”
 
Oddio, cosa accidenti gli era fuoriuscito dalla bocca.
 
Kuroo per poco non scoppiò a ridere e persino per Kenma e Akaashi fu complicato mantenere un’espressione seria.
Bokuto, fortunatamente, decise di soffermare tutta la propria attenzione sulla bottiglia di sakè dinanzi a lui.
 
Il sangue di Kageyama, invece, stava letteralmente ribollendo.
 
La sola immagine di quel ributtante essere biondo ossigenato assieme al medico…
 
Era istinto omicida quello che provava?
 
Cazzo, l’idiota gli aveva comunicato di non frequentarsi con nessuno!
 
Aveva mentito?
L’aveva ingannato?
 
Anche se…
Lui non possedeva alcun diritto d’interessarsi alla vita di quel rosso.
Poteva uscire con chi desiderava…
 
No.
Hinata gli era sembrato sincero la domenica precedente.
Allora…
 
Perché?
Cosa cazzo era successo quel giorno?
Perché, perché era finita in quel modo?
Perché quell’idiota non lo degnava nemmeno di uno sguardo?!
 
“Buon per voi, allora”
Kuroo si schiarì la gola, occhieggiando rapidamente i due uomini agli opposti del tavolo, percependo la tensione crescente.
Decise di riprendere in mano le redini del gioco.
“Ho sentito che al cinema è uscito il nuovo Avengers. Che ne…”
“Woooo, davvero?? Non vedo l’ora di andare a vederlo!” lo interruppe Bokuto con fin troppo fervore, il bicchierino di sakè pericolosamente in bilico sulla mano.
“Kou, per oggi basta bere, che ne dici?” sussurrò Keiji con il tono maggiormente persuasivo che riuscì a pescare, provocando una risatina ilare in Tetsuro.
“Tu che ne dici, piccoletto?”
Il viso di Hinata riacquistò un po’ della solita allegria.
“Sono curiosissimo! Spero che Iron man faccia qualcosa di super spettacolare! Magari insieme a Thor… è così figo” esalò sognante.
“Andiamo tutti insieme, Kenma? Ti va?” domandò all’amico con occhi brillanti.
“Se ci tieni…” rispose sommessamente, sebbene un piccolo sorriso gli avesse disegnato le labbra.
“Ehi! Ma perché quando te lo chiede il piccoletto sei tutto carino e quando ti propongo una cosa io fai tante storie?” si lagnò Tetsuro con espressione oltraggiata.
“Perché le tue idee sono spesso un fiasco” ribatté con una sfumatura piuttosto eloquente che fece ridacchiare di gusto Keiji.
Il moro s’imbronciò.
“Ehi, vedete che anche voi avevate…”
“E tu, Kageyama?” troncò il discorso Akaashi, rivolgendosi al corvino, la cui attenzione pareva esser unicamente indirizzata al piatto di fronte a lui.
“Ti piace la saga? Io sono stato costretto da Bokuto-san a vedere tutti i film, però non sono affatto il mio genere” spiegò con una smorfietta.
Koutaro spalancò gli occhi, sconvolto.
“Ma Akaaaaaashi! Avevi detto che non ti dispiacevano poi così tanto!”
“Bro, ti avevo avvertito. Akaashi-kun è un essere spregevole” lo consolò Tetsuro con aria vissuta mentre scoccava un occhiolino subdolo a Keiji.
Il corvino roteò gli occhi e mise una mano sulla spalla di Bokuto.
“Vederli assieme a te non mi dispiace, okay? Però i film in sé non sono i miei preferiti” spiegò con pacatezza al proprio ragazzo, calmandone la crisi sul nascere.
“Mmmh” mugugnò senza convinzione, abbatacchiando le voluminose spalle verso il basso che, paradossalmente, lo facevano apparire ancor più massiccio di quanto non fosse.
“Bokuto-san, sei un bambinone” scherzò Shoyo con leggerezza e Keiji sorrise, facendogli una carezza sulla guancia un po’ ruvida per il velo di barba crescente.
“Un bebè di appena ottantacinque chili. Una passeggiata da scarrozzare in giro” ghignò ironico Testuro.
“Basta prendermi in giro” si lamentò Koutaro con il labbrino e Akaashi non resistette alla voglia di scoccargli un bacio sulla guancia.
Le gote di Bokuto si colorarono e il suo buon umore tornò velocemente come se n’era andato.
“Perché non impari un po’ da Akaashi? Mi farebbe bene essere ricompensato quando faccio qualcosa di carino” soffiò Kuroo con un sorrisetto all’orecchio di Kenma.
“Non fai mai nulla di carino” rispose subito il biondo con voce monocorde, giochicchiando con il telefono in maniera impassibile.
“Insensibile. Mi spezzi il cuore così” esalò il moro con drammatica disperazione.
“Un cuore che sembri non avere, però” intervenne Shoyo con un sopracciglio inarcato.
 
Tetsuro sbatté gli occhi, colto in contropiede.
 
Che lo stesse rimproverando indirettamente per avergli causato quello scherzetto?
 
Uno degli scopi impliciti di Shoyo era proprio quello, senza dubbio.
 
Anche se…
 
Nel pronunciare quella frase i suoi occhi nocciola, per una frazione di secondo, si posarono sul volto di Kageyama che, casualmente, in quel momento stava proprio fissando lui.
 
Hinata distolse subito lo sguardo.
 
Ma Kageyama l’aveva adocchiato fin troppo bene, ormai.
 
Che il legale avesse compreso che quella fosse una frecciatina rivolta a lui?
 
Non seppe la risposta, poiché si rifiutò ostinatamente di tornare a sbirciare il suo viso.
 
“Quindi possiamo considerarti un amante dei supereroi o no, Kageyama-kun?”
 
La domanda di Kuroo arrivò alle orecchie di Tobio completamente distorta.
 
Il suo cervello, solitamente tanto in subbuglio per riuscire a catalogare emozioni e sensazioni contrastanti…
 
In quel momento appariva calmo.
Quieto, privo di qualunque rumore.
Tranquillo in maniera inquietante.
 
Non c’era poi molto da comprendere, no?
 
Quello scricciolo l’aveva appena confermato.
 
Tobio poteva essere lento a capire le sfaccettature di significato, ma il senso di quella frase era fin troppo palese.
 
Non aveva un cuore.
 
Non aveva
 
Un cuore.
 
Perché si sorprendeva?
 
Non c’era nulla per cui meravigliarsi.
 
Glielo ripetevano continuamente.
 
Glielo dimostravano continuamente.
 
Solo la mattina precedente la sua ormai ex segretaria aveva dichiarato a tutti che lavorare con lui era impossibile.
 
Non possedeva un cuore, no?
 
Freddo, indifferente, menefreghista.
 
Lui stesso si descriveva così.
 
Lui stesso voleva essere così.
 
Capace di ogni azione senza il minimo aiuto.
 
Invincibile.
 
Inarrivabile.
 
Per tutti.
 
Per Oikawa-san, un giorno.
 
Per…
 
Sbatté le palpebre sulle sclere che, inaspettatamente, non erano aride come si aspettava.
 
Per quel medico rosso.
 
 
Erano un po’ umide, le sue cornee.
Chissà perché.
 
Deglutì un grumo di saliva compatto come sabbia bagnata.
 
Non c’era altro che desiderasse.
 
Essere il primo in tutto.
 
Primeggiare su tutto.
 
Vincere su tutto.
 
Tuttavia…
 
Si focalizzò nuovamente sulla figura di Hinata, indaffarato a mangiucchiare qualcosa.
 
Aveva vinto, su quello scricciolo?
 
Aveva appena affermato che non possedesse un cuore.
 
Dunque?
 
Aveva guadagnato la sua personale soddisfazione nel dimostrare che fosse superiore a lui?
 
Poteva mai essere appagamento, quel vuoto che lo scavava dentro al petto?
 
 
Un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
 
Strinse così forte le bacchette tra le dita da poter giurare d’udire un piccolo “crack”.
 
No, non voleva percepire le emozioni spiacevoli del giorno precedente.
Non sapeva nemmeno il motivo per cui le aveva provate.
 
Non avrebbe dovuto farsi contaminare.
 
Nulla avrebbe dovuto scalfirlo.
 
Lui era superiore, superiore a tutto.
 
Oikawa-san si era mai lasciato intaccare dalle cattiverie sputategli dagli avvocati che bramavano minarne la professione?
 
No.
Oikawa-san era sempre andato avanti a buttar sangue.
Da solo.
 
E lui sarebbe diventato più bravo di lui.
Sarebbe giunto più in alto.
 
Se Oikawa-san era stato senza cuore, lui lo sarebbe stato di più.
 
Non poteva…
 
Non poteva mica fare male tutto quello, no?
 
Perché quelle parole gli stringevano il petto, allora?
 
Perché l’affermazione di Hinata, di quello stupido idiota…
Doveva lasciarlo così scosso?
 
E perché se n’era andato via in quel modo sei giorni prima?
 
Aveva agito così perché lui era senza cuore?
 
Ma non l’aveva sempre saputo, dannazione?!
 
Perché, perché se le persone sapevano fin dall’inizio com’era realmente, si sorprendevano talmente tanto non appena manifestava nel concreto la sua essenza?
 
Perché lo illudevano così?
 
Perché, dannazione?!
 
Crack.
 
Sbatté le palpebre, stralunato.
 
Sentiva la fronte appiccicaticcia.
Nel palmo sinistro, la bacchetta di legno era tranciata a metà.
Trucioli di legno erano sparsi sopra il suo piatto.
 
Gli occhi di Kuroo, Bokuto, Keiji e Kenma erano su di lui.
 
Tranne un paio.
 
Tranne quelli che Kageyama avrebbe segretamente desiderato avere soltanto su di sé.
 
Grandi, cristallini… brillanti occhi nocciola.
 
“Scusate, non mi sento molto bene” mormorò impulsivamente, lasciando di scatto l’oggetto danneggiato e strofinandosi l‘avambraccio sulle tempie.
 
“Grondi di sudore, Kageyama” constatò Kuroo, fissando la fronte madida del legale.
 
“Ti ha fatto male qualcosa? Non è che il pesce è avariato?” si allarmò Bokuto, squadrando con orrore il piatto ormai vuoto.
 
“Non credo sia stato il pesce, Kou” gli sussurrò Akaashi all’orecchio, più per tranquillizzarlo sul fatto che non sarebbero morti a breve che per illustrargli la situazione.
“Non dovresti dargli un’occhiatina, piccoletto? Magari il nostro legale si è beccato un’intossicazione” chiocciò Kuroo, ricevendo sotto il tavolo un pugno ben assestato da Kenma, che scosse la testa, esasperato.
Quell’uomo non si fermava mai nemmeno di fronte all’evidenza.
 
“No, non ce n’è bisogno, sto… sto bene, ora” farfugliò velocemente Tobio.
Non voleva che il medico lo rigettasse platealmente un’altra volta.
 
Soltanto a quel punto Shoyo alzò la testa, pungolato dalla provocazione di Tetsuro.
 
“Se non si sente bene posso controllarla in un attimo, Kageyama-san”
 
Fu come se avessero riempito la stanza di ghiaccio.
 
Terza persona.
Uso dell’onorifico.
Livello di una conoscenza puramente convenzionale.
 
Non era una vittoria.
 
Quella di Tobio era stata una sconfitta su tutti i fronti.
 
“Si è fatto piuttosto tardi” s’intromise prontamente Akaashi, occhieggiando con casualità l’orologio al polso e segnalando al cameriere d’avvicinarsi.
“Domani mattina è una giornata lavorativa e, in teoria, Bokuto è d’apertura” commentò con un sospiro,  guardando il proprio fidanzato mezzo addormentato per tutto il sakè ingerito.
“Vuoi che ti aiuti a trascinarlo in macchina?” chiese Kuroo con il solito sorriso sghembo, che fece venir voglia a Keiji di lanciargli il vassoio in testa.
“E’ meglio che noi torniamo dritti filati a casa” risolse la situazione Kenma con voce piatta, scoccando a Tetsuro un’occhiata capace di azzittirlo all’istante.
 
 
 
Uscirono dal ristorante dieci minuti dopo, Akaashi e Bokuto in testa al gruppo, Kuroo che supportava l’amico sulla spalla di Keiji e Kenma accanto a Shoyo.
Dietro di loro camminava lentamente Kageyama.
 
“Io e Bo abbiamo la macchina proprio lì. Voi come tornate?” chiese Keiji, fermatosi dinanzi a un marciapiede.
“Noi prendiamo il treno, siamo a due fermate di distanza” rispose Kuroo con una scrollata di spalle.
“Io prendo un taxi…” mugugnò Kageyama, fissando l’asfalto.  
“Shoyo?” domandò a quel punto Kenma, guardando l’amico che si grattò la nuca.
“Mi ha dato uno strappo Tanaka per venire qui all’andata. Non preoccupatevi, prendo un taxi” li rassicurò con un sorriso.
La faccia di Kenma non era però molto convinta.
 
“Posso…”
 
Tobio aprì bocca prima che potesse pensare logicamente.
 
Il viso di Shoyo non si mosse, ma i suoi occhi ruotarono di striscio verso la sua direzione.
 
“Posso… accompagnarti alla fermata del taxi. S-se vuoi” quasi balbettò, maledicendo la sua stupida lingua per essersi azzardata a sputar fuori parole non richieste.
 
Hinata avrebbe certamente rifiutato.
L’aveva ignorato tutta la sera.
Perché mai avrebbe dovuto…
 
“Va bene”
 
Come in ogni singola occasione in cui s’incontravano, quello scricciolo rosso lo sorprese per l’ennesima volta.
 
“Sicuro, Shoyo?” gli sussurrò Kozume all’orecchio, cosicché nessuno potesse sentirlo.
“Mmh-mmh, non preoccuparti” lo rassicurò il medico con espressione tranquilla.
“A presto, ragazzi. Buonanotte!”
Salutò tutti con un gesto della mano, girando poi le spalle e incamminandosi verso la strada opposta.
“B-buonanotte a tutti e… grazie per la cena, Kuroo-san” mormorò Kageyama con gli occhi ancora rivolti al terreno, voltando velocemente i tacchi e seguendo la direzione intrapresa dal rosso.
 
 
 
Vi fu qualche attimo di silenzio generale.
 
“E’ stata davvero una pessima idea” sputò finalmente fuori Akaashi, scoccando un’occhiata talmente truce in direzione di Kuroo che il moro fu costretto a distogliere lo sguardo.
“Ehi, perché non te la prendi anche con il tuo fidanzato? Non sono stato mica l’unico a ideare questo piano” si giustificò, scombinandosi i capelli scuri.
“Con lui farò i conti quando sarà abbastanza lucido da capirmi” rispose senza batter ciglio Keiji, raddrizzandosi il braccio di Bokuto sulle spalle, faticando non poco per la mole ingombrante.
“E’ raro vedere Shoyo tanto freddo con qualcuno”
La riflessione di Kenma colse tutti di sorpresa.
“Però, più che esserlo davvero… pareva sforzarsi per apparire così” ragionò ancora con gli occhi assottigliati, rimettendo insieme le immagini della serata appena trascorsa.
“Tu dici?” chiese Akaashi, un po’ incerto.
Il biondo annuì.
“Allora vedi che non è stata poi una cattiva idea? Abbiamo potuto ricavare qualche notizia in più sulla situazione” si difese con forza Kuroo, incrociando le braccia al petto.
“Non sappiamo però cosa è davvero successo domenica scorsa” fece notare Keiji con uno sbuffo.
“Qualunque cosa sia accaduta” troncò il discorso Kenma “Deve aver fatto scattare in Shoyo qualcosa. E non so…”
S’interruppe, aggrottando la fronte in maniera stranamente preoccupata.
“Se sia positiva o meno” mormorò sommessamente, guardando l’ormai vuota stradina in cui i due erano scomparsi.
 
 
 
Camminarono in silenzio per quelli che sembrarono interminabili minuti.
 
Era Hinata a condurre il percorso, procedendo a passo fastidiosamente tranquillo.
 
Guardandolo da quella prospettiva, la loro differenza d’altezza era ancor più pronunciata.
I capelli rossi ondeggiavano lievemente grazie alla brezza serale.
Tobio aveva davvero voglia di sfiorarli.
 
A un tratto, il medico si fermò.
Una lunga striscia gialla disegnata sull’asfalto simboleggiava la fermata del taxi.
 
Il silenzio li avviluppava come un veleno letale.
 
Tobio era solitamente avvezzo al silenzio che lo avvolgeva quotidianamente.
 
Nel suo appartamento.
Nella sua mente.
Nella sua vita.
 
Tuttavia, non era abituato a quel silenzio.
Non al silenzio proveniente da colui che più di tutti avrebbe agognato sentir parlare.
 
I minuti continuarono a scorrere, implacabili.
 
Il taxi sarebbe potuto arrivare in qualunque momento.
Forse nel giro di una quindicina di minuti.
Forse proprio nel secondo successivo.
A quel punto, il rosso se ne sarebbe andato.
Forse, non si sarebbero più parlati fino al giorno, ormai sempre più prossimo, in cui il medico gli avrebbe definitivamente rimosso il gesso dal braccio.
 
Gli andava davvero bene così?
 
Voleva davvero perdere?
 
Ma, cosa più importante…
 
Voleva davvero perdere la possibilità di rivedere quello scricciolo rosso?
 
“Perché?”
 
Fu più forte di lui.
 
Il suo cervello ormai gli sputava quella domanda in ogni singolo momento della giornata.
In ufficio, in casa, durante i processi, le sentenze in tribunale.
 
Era divenuta la sua ossessione, tanto da starne male.
 
Shoyo sbatté gli occhi, colto completamente alla sprovvista.
Si sforzò di non occhieggiare l’uomo al suo fianco.
 
“Perché cosa?” si decise a formulare in un sussurro incerto.
 
“Perché non ci siamo più sentiti?”
 
Dio, che idiota.
Che frase da idiota.
Che schifo.
Kageyama Tobio che si abbassava a elemosinare spiegazioni.
Cazzo, non avrebbe dovuto fregargliene nulla!
 
Decisamente innervosito, Shoyo sollevò il volto repentinamente.
 
“Perché lo chiedi a me, scusa?” sbottò, serrando i pugni.
 
Tobio sbatté le palpebre.
 
“Ho… ho fatto… qualcosa?” farfugliò vagamente, evitando di proposito l’aggiungere “di sbagliato”.
 
Lui non commetteva errori.
Non doveva sbagliare.
Non poteva sbagliare.
 
Hinata emise una mezza risata ironica.
 
“Secondo te?”
 
“Non saprei rispondere”
 
Il medico sbuffò, sprezzante.
 
“Allora è anche solo inutile parlarne”
 
Tobio percepì il battito cardiaco accelerare.
 
No, no, no.
Non… andava bene.
Non…
Non… poteva…
 
“Ho agito in modo tale da farti comprendere che io sia senza cuore?”
 
Non poteva più evitarlo.
 
Mettere insieme quella frase fece male.
 
Male, dannatamente male.
 
E ciò che più lo turbava, era che non ne comprendeva nemmeno il motivo.
 
Shoyo spalancò gli occhi, scrutando il volto di Kageyama per la prima volta da quando si erano seduti allo stesso tavolo un’ora e mezza prima.
 
Gli occhi del legale…
Non erano gelidi nemmeno in quel frangente.
Erano…
 
Liquidi.
 
Cosa?
 
Liquidi?
 
Che fossero davvero un po’ umidi?
 
Ma perché?
 
Non c’era nemmeno così tanto freddo, quella sera.
 
Dannazione.
Quegli occhi, in quel momento, non lo intimorivano affatto.
Anzi, gli…
 
“Che razza di affermazione sarebbe” sputò molto più acidamente di quel che avrebbe desiderato.
 
Gli facevano venir voglia di stringerlo stretto, ecco.
 
Tobio aggrottò la fronte.
 
“E’ quello che hai detto tu prima. Era riferito a me, no?”
 
Il medico si morse il labbro inferiore.
 
“Sì, lo era. Però…”
 
Dannazione.
 
Poteva una singola persona mutare atteggiamento così rapidamente?
Avere occhi…
Occhi così cangianti?
 
Aveva capito la causa scatenate, giusto?
Aveva compreso la vera natura di quell’uomo, no?
 
“Però prende forma solo in determinati momenti” 
 
Oddio, era un idiota.
Hinata Shoyo era il re degli idioti.
Come poteva aver appena affermato che Kageyama non fosse sempre senza cuore?
 
Improvvise immagini della domenica precedente che aveva cercato di rimuovere gli affollarono di prepotenza la mente.
 
Il solletico.
La spontaneità di quel gesto… poteva mai rispecchiare l’assenza di emozioni in un uomo?
Poteva davvero essere sempre senza sentimenti… se era capace di un’azione come quella?
 
Eppure...
Eppure…
 
“Mi hai ferito, Kageyama”
 
Non ce la faceva più a trattenerlo.
 
Aveva bisogno di smettere di comportarsi come qualcuno che non fosse.
Smettere di fingere d’essere disinteressato, o peggio…
Indifferente nei confronti di quell’uomo dagli occhi blu come il mare.
 
Tobio allargò le palpebre.
 
“Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte” sussurrò, distogliendo lo sguardo da quelle iridi blu tanto sgranate, tanto…
 
Perse.
Smarrite in mare sconosciuto, mai solcato prima d’ora.
 
La luce gialla dei fari del taxi interruppe qualsiasi altra possibilità di comunicazione.
 
“Grazie per avermi accompagnato” si congedò Shoyo senza guardare indietro, entrando nell’autovettura e chiudendosi lo sportello con un tonfo.
 
Kageyama rimase fermo, immobile come un fusto finché la macchina non fu sparita all’orizzonte.
 
L’aveva ferito…?
Ma…
Come?
Come, come, come?!
 
Come aveva fatto a ferire volontariamente l’ultima persona che avrebbe desiderato soffrisse?
 
Come aveva fatto a ferirlo senza essersene nemmeno accorto?
 
Improvvisamente, un’immagine venne proiettata al centro del proprio cervello.
 
Fu una semplice connessione di sinapsi.
Una banale associazione libera d’idee.
 
Il viso di Nakamura che lo guardava.
 
Il viso di Nakamura…
 
Che aveva sopportato due anni in cui lui l’aveva guardata con indifferenza…
E, magari, disprezzo.
 
Il volto di chi si era sentito…
Ferito.
 
Spalancò gli occhi dinanzi a quella terrificante realizzazione.
 
Quell’espressione negli occhi di Nakamura la mattina del giorno precedente…
Lo sguardo negli occhi di Hinata sei giorni prima…
 
Altro non erano che simboli di una ferita.
 
Piaga…
 
Che soltanto lui, il Re tirannico, aveva provocato...
Consapevolmente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note finali: sono soddisfatta dai, non vi ho fatto aspettare due mesi questa volta.
Questo capitolo è stato un parto. Scriverlo mi ha letteralmente sfiancata.
Man mano che la storia diventa più lunga mi rendo inoltre conto di quanto sia stancante correggere e ricorreggere il tutto virgola per virgola, dunque se doveste notare refusi o errori di qualche genere non esitate a farmeli notare, per favore.
Nota di servizio. So che gli eventi sembrano andare a rilento e che i monologhi interiori occupino forse più spazio dell’azione in sé, ma è il ritmo che desidero affidare alla storia.
Naturalmente vi prego di segnalarmi se i pensieri dei personaggi mal si amalgamano con la narrazione o se ci sono passaggi poco chiari (come temo sia avvenuto qualche volta in questo capitolo).
La vostra opinione mi è di grandissimo aiuto.
Come sempre ci tengo a ringraziare tantissimo coloro che mi hanno lasciato una recensione, stanno continuando ad aggiungere la storia fra le preferite e chi la continua a seguire con assiduità.
Senza di voi non credo che sarei arrivata a questo punto, non smetterò mai di sottolinearlo.
Avrei probabilmente abbandonato il progetto tra le tante idee troncate sul nascere.
Vi mando un mega bacio.
Al prossimo aggiornamento ^-^

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Capitolo 9
*** IX. Fino all'osso ***


 


 
IX
 
 Fino all’osso
 
 
 
 
 
 
Con un sospiro arrancato, il medico sollevò stancamente gli occhi sul grande quadrante trasparente appeso alla parete.
 
04:49.
 
Erano state parecchio movimentate, quelle ore.
Le acque parevano però essersi fortunatamente calmate alle prime avvisaglie del crepuscolo mattutino.
 
 
“La crisi sembra essersi attenuata, adesso riesce a respirare con un ritmo più sereno”
“E’ il caso di avvisare i genitori, Shoyo?”
“No, non buttiamoli giù dal letto a quest’ora. So che vogliono essere avvisati per ogni minima anormalità, ma si prenderebbero uno spavento per nulla. Akio-chan si sente già meglio”
“Va bene. Tu vai a riposare un po’, ci penso io a controllare che i valori restino nella norma durante la prossima ora”
“Ma…”
“Niente ma, Shoyo. Non rientra fra i tuoi doveri e hai già fatto abbastanza per una sola notte”
“Fai paura con quello sguardo, Suga-san…”
 
 
Riposarsi, eh.
Come se avesse potuto, con quell’immenso macigno che gli gravava sul petto.
 
Si lasciò sprofondare a peso morto sulla soffice poltrona imbottita, consentendo alle palpebre spossate di serrarsi almeno per qualche minuto sulle orbite.
Gli occhi gli bruciavano terribilmente e sottili venature rossastre ne solcavano spiacevolmente le sclere.
Come se non bastasse, due pronunciati segni violacei cerchiavano dispettosamente i contorni dei globi oculari.
 
Contrariamente al comune buon senso, Shoyo portò per l’ennesima volta le mani al viso, strofinando burberamente le palpebre e acuendo di conseguenza la sensazione di prurigine.
 
Era… semplicemente sfinito.
 
Suga doveva certamente averlo intuito e, alla giusta occasione, l’aveva spedito via dal reparto senza troppi complimenti.
Non era stato l’unico però, a ben pensarvi.
Tanaka, eccezionalmente di turno per il trasporto di un grosso pacco di antibiotici, gli aveva riempito la scrivania di bicchieroni di caffè addolciti da latte e quintali di zucchero, la sua miscela preferita.
Probabilmente aveva percepito che il piccolo medico non fosse esattamente in forma.
 
Pur apprezzando sinceramente la premura degli amici, l’esser letto come un libro aperto generava in Shoyo uno sgradevole senso di fastidio.
Non voleva si sapesse che qualcosa in lui non andasse.
Non intendeva far preoccupare nessuno…
 
Sebbene non potesse negare che si trattasse, malauguratamente, della scomoda verità.
 
Si sentiva fiacco, sfibrato.
Come se qualche interruttore al suo interno fosse spento, fulminato.
Un’immagine parecchio differente da quella che tutti, sanitari e pazienti, erano avvezzi a riconoscere quotidianamente.
 
Una fonte inesauribile di scoppiettante energia, sempre in prima linea per risolvere qualsivoglia problema…
Con un sorriso costantemente cucito sul volto.
 
Ecco ciò che era.
Ciò che più aveva aspirato diventare.
Ciò che avrebbe bramato perdurare…
Sfidando, giorno dopo giorno, un oscuro vortice che sembrava desiderare d’inghiottirlo vivo.
 
Le difficoltà non erano mai mancate nella scalata verso quel muro altissimo su cui aveva risieduto originariamente il suo sogno.
Tuttavia, il nuovo ostacolo che di anno in anno persisteva a pararglisi dinanzi, non era una semplice barriera sui cui inerpicarsi.
Non qualcosa da scalare…
Ma una forza ineluttabile da cui sfuggire.
 
Un gigantesco maelstrom.
Nero e tetro come la più oscura sfumatura di disperazione.
Un gorgo all’interno del quale, lui…
 
Era stato risucchiato prima ancora d’essersene consapevolmente accorto.
 
 
Uno sfavillante frammento di memoria balzò improvvisamente nel suo cervello come un piccolo grillo evanescente.
A renderlo radioso non era la luce, bensì un candido sorriso speranzoso indirizzato a lui.
 
 
“Sensei! Hinata sensei! Stai un altro po’ con me, oggi?”
 
 
Una tremenda fitta gli attanagliò il petto con uno scatto metallico.
 
Era uno di quegli inevitabili giorni all’interno del maelstrom, eh…
 
 
“Sensei! Oggi mi sento meglio, posso tornare a casa?”
 
 
“Le condizioni di Rei stanno peggiorando drasticamente”
“Non sarà in grado di sopportare il trapianto”
“Contatta la famiglia, Hinata” 
“E’ ora che tu ti abitui anche a questo lato della medaglia”
 
 
La stilettata al torace si tramutò in un vero e proprio squarcio sanguinante.
La respirazione di Shoyo divenne più frenetica, quasi convulsa.
 
Perché?
Perché la sua mente doveva ripresentargli quelle strazianti, laceranti…
 
Una pungente voce familiare s’introdusse di prepotenza tra lo scorrere implacabile di quelle immagini.
 
 
“Non puoi mai essere libero dai quei malati?”
 
 
Il medico sbuffò con profonda amarezza.
 
Ricordare quelle parole era ricevere ogni dannata volta una pugnalata direttamente al cuore.
Poteva ancora percepire nitidamente gli occhi gelidi che l’avevano trapassato da parte a parte, il volto che lo scrutava imperturbabile, il tono pregno di sprezzo.
Faceva un male cane, tuttavia…
 
Inchiodò le iridi nocciola sul calendarietto variopinto che ingolfava la sua già fin troppo caotica scrivania.
 
Quella frase sferzante, tagliente come la più affilata delle lame…
Corrispondeva a verità.
 
Da quanto tempo non prendeva il treno per rivedere la sua famiglia a Miyagi?
Quante volte aveva dovuto rifiutare le imploranti richieste di Natsu di tornare a casa per trascorrere almeno un Natale tutti assieme?
Quando era stata l’ultima interazione sentimentale seria che non coinvolgesse l’unica relazione della sua intera vita?
 
Poteva ancora sentir risuonare i ridondanti rimproveri che Tanaka e Noya non avevano mai mancato di rivolgergli nel corso degli anni.
 
 
“Shoyoooo, non puoi mica continuare a vivere come un monaco! Con quel faccino adorabile potresti avere tutti gli uomini che desideri ai tuoi piedi!”
“E non provare nemmeno a giustificarti dicendo che per te è difficile perché non sai dove incontrare altri ragazzi e bla bla bla. Non mi pare che i tuoi amici abbiano mai avuto di questi problemi!”
“Veramente Kenma è fidanzato con Kuroo da…”
“Devi uscire, Shoyo!! Uscire e andare a farti una vita oltre queste mura!”
“Sappiamo che noi siamo praticamente insostituibili, ma…”
“Noya, Tanaka! Che ci fate ancora lì a perdere tempo!?”
“Oh merda, Daichi ci ha scoperti”
“Filiamocela!”
 
 
Un accenno di sorriso disegnò le guance insolitamente pallide di Shoyo.
 
Persino Suga gli ripeteva da ormai mesi che avrebbe dovuto mettere il naso fuori da quell’ospedale, concentrarsi sulla sua vita privata e cercare la felicità anche altrove.
 
Inspirò una gran quantità d’ossigeno a pieni polmoni e la rigettò fuori con estrema indolenza.
 
Ma lui, poteva davvero dire di possedere una vita personale?
Lavoro e privato non avevano iniziato a congiungersi ormai indissolubilmente da fin troppo tempo?  
Come sarebbe stato possibile non pensare almeno per un giorno a coloro che lasciava in quell’ospedale, a tutti quelli che…
 
 
“Continuerai a rimandare, Shoyo?”
 
 
Un fremito imprevisto lo fece rabbrividire da capo a piedi.  
 
Lo sapeva.
Ne era cosciente, maledizione.
Eppure…
Come poteva staccarsene?
Come poteva scollarsi da tutto quello?
 
Con mano esitante raggiunse l’ultimo cassetto della scrivania, girando la chiave che ne consentiva l’apertura.
 
Era uno di quei giorni intrappolato nei meandri del maelstrom, però…
 
Non avrebbe dovuto, glielo avevano ribadito più e più volte.
Docenti universitari, colleghi, amici.
Non doveva.
Tuttavia…
 
Con minuziosa cura, estrasse una voluminosa carpetta cartonata rosso fuoco, rigonfia a causa dell’oneroso contenuto.  
La appoggiò cautamente davanti a sé, sopra a cartelle cliniche e documenti dalla disparata provenienza.
Indugiò a fissarla per interminabili minuti.
 
 
“Dovresti farli sparire, Hinata”
“Non è consigliabile tenerli”
“Non puoi mica restare attaccato a queste cose in eterno”
 
 
Alla fine, slegò l’elastico che racchiudeva a fatica i lembi logori.  
 
Con occhi irrequieti sparse il contenuto sul ripiano finché le sue dita instabili si ancorarono a qualcosa.
 
Estrasse dal mucchio un disegno un po’ sgualcito, ma dai colori particolarmente vividi.
Sembrava che fosse stata utilizzata un’intera scatola di pastelli.
Non un singolo centimetro era stato lasciato bianco.
Come se l’assenza di colore…
 
Fosse qualcosa da combattere, da ostacolare ad ogni costo.
 
Figure non nitide s’intrecciavano reciprocamente per l’intera lunghezza della pagina A4, ma fra tutte spiccava un omino stilizzato in maniera assai approssimativa.
Non possedeva definiti lineamenti del volto, tuttavia una sgargiante macchia arancione gli torreggiava sulla testa.
Al margine del coloratissimo foglio, una piccola scritta dalla calligrafia incerta ne decorava l’angolo.
“Rei”
 
Fu come se qualcuno avesse bruscamente gettato il cuore di Shoyo nel congelatore.  
 
Il fugace ricordo di una frase spezzata, pronunciata fra la brezza di una festosa notte autunnale, riverberò come un’eco nel suo cervello.
 
 
“Anche se ciò appartiene al passato…”
 
 
Proprio sotto i segni disegnati con l’inchiostro, svettava una data dai contorni lievemente sbavati.
“Settembre 2017”
 
 
“Ma io spesso non ho la forza di mettere un punto”
 
 
Affondò talmente tanto i denti sul labbro inferiore da inciderne la pelle rosata.
 
Non avrebbe dovuto, eppure…
 
Non poteva.
Non poteva… dimenticarli.
Non poteva semplicemente rimuovere i loro visi, i loro sorrisi…
 
 
“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno!”
 
 
Kageyama, eh.
 
Nonostante Hinata l’avesse sempre contraddetto, quel legale oscuro, quella contorta persona dagli occhi cangianti, capace di trasformarsi da cucciolo docile a belva selvatica nel giro di pochi secondi…
Gli aveva intimato fin dall’inizio, seppur indirettamente, di staccarsi da tutto ciò che lui non sarebbe mai riuscito ad abbandonare.
Kageyama…
 
La smorfia di un amaro sorriso piegò sgradevolmente le labbra del medico.
 
La natura del legale aveva sempre indugiato sotto i suoi occhi, sebbene Shoyo si fosse spesso ostinato a rinnegarla.
Conosceva più che bene la sua impietosa opinione.
Gliel’aveva spiattellata già al loro primissimo incontro, no?
 
 
“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
 
 
Non avrebbe potuto essere più inequivocabile.
 
Un uomo pragmatico, incapace di soffermarsi su futilità e aspetti voluttuari della vita.
Un uomo che non considerava, o meglio disprezzava, le persone da lui giudicate…
Non all’altezza.
 
Un familiare senso di oppressione irruppe nei polmoni di Hinata.
 
Non voleva.
Non voleva che Kageyama lo considerasse un…
Un...
 
Serrò la presa sul foglio che ancora reggeva fra le dita.
 
Debole.
Ecco cos’era.
Una persona fragile.
 
Non voleva che il corvino scoperchiasse quel vaso nascosto.
Che lo vedesse… per ciò che realmente fosse.
 
Sebbene lo avesse ritenuto una persona senza cuore, malgrado cozzasse con tutti i suoi ideali e non avrebbe dovuto importargliene nulla del parere di un uomo che aveva ammesso con spudorata nonchalance che la propria opinione fosse l’unica che realmente contasse…
 
Le mani strette attorno alla carta colorata tremarono fiocamente.
 
Kageyama lo intimoriva.
Gli faceva paura poiché rifiutava quell’umanità di cui lui si nutriva e…
 
E…
 
Abusava.
 
Una tremenda realizzazione colse il cervello di Shoyo impreparato, causandogli un inatteso senso di nausea.
 
I sentimenti che Kageyama negava irremovibilmente…
Erano ciò di cui lui, invece, viveva.
Senza di essi…
 
Hinata non sarebbe stato assolutamente nulla.
 
Le sue viscere erano ormai attorcigliate in una morsa di ferro.
 
Ecco spiegato il motivo di quell’angoscia.
Ecco perché l’espressione gelida e totalmente vuota del legale gli provocava quell’orrenda sensazione.
                                                                                                                                                  
Infilò con irruenza la mano fra i capelli della nuca e affondò le unghie sulla base del collo.
 
Gli aveva confessato di essere rimasto ferito.
Aveva apertamente ammesso a Kageyama che l’atteggiamento di due settimane prima l’avesse lasciato sgomento.
Ed era assolutamente certo che il modo di pensare del corvino avrebbe solo provocato ulteriori discussioni fra loro.
Ciononostante, così com’era consapevole di poter ricevere una cocente delusione da quell’uomo…
 
Non poteva smentire che Kageyama continuasse a piacergli.
 
Contro ogni logica apparente, le ragioni iniziavano pian piano a scorgersi con chiarezza non appena ci s’immergeva fra i labirintici aspetti della personalità di Shoyo.
 
L’attrazione provata nei confronti del legale per la saldezza dei nervi, per la risolutezza delle azioni, per l’atteggiamento intraprendente…
Rappresentava l’esatto specchio delle sue mancanze.
Kageyama era la sua immagine speculare.
Compensava le sue lacune.
 
Non era stato il caratteraccio a scoraggiarlo.
Al contrario, se proprio doveva essere sincero, credeva di riuscire a gestirlo piuttosto bene.
Nonostante la scostante superbia, Shoyo era riuscito a farsi ascoltare, a imporsi sui ferrei ragionamenti del corvino.
Aveva ottenuto la prova che, in fondo…
Kageyama non rimaneva indifferente alla sua presenza.
 
Avrebbe dovuto trattarsi di una conquista.
Avrebbe dovuto sentirsi forte di quel risultato, di quanto il corvino avesse mutato il proprio atteggiamento nei suoi confronti rispetto al loro disastroso primo incontro.
Eppure…
 
Quell’espressione gelida, specchio di un animo che rifiutava il senso d’umanità…
Costituiva il riflesso di tutto ciò di cui lui era intimamente terrorizzato.
Il suo polo antitetico.
 
Non era semplicemente Kageyama a intimorirlo.
La visione dell’arido distacco nei riguardi di coloro che lo circondavano…
 
Creava un persistente monito.
Un pungente avvertimento all’interno del quale era avviluppato il più ardente terrore del medico.
 
La perdita dei sentimenti.
 
Necessariamente indispensabili per la sua sopravvivenza…
 
Ma che, lentamente e inesorabilmente…
 
Gli stavano corrodendo l’animo come un veleno letale.
 
 
 
***
 
 
 
“Sono rimasto sorpreso dalla tua proposta di incontrarci qui. E’ passato tanto tempo dall’ultima volta in cui siamo venuti insieme”
 
La voce di Akaashi era accompagnata da un gradevole sottofondo musicale, diffuso dalle casse impiantate sul soffitto in modo tale da creare una piacevole atmosfera all’interno della lounge.
 
“Non mi dispiace cambiare, ogni tanto” borbottò Kageyama, i cui occhi blu erano impegnati in una celere panoramica dell’elegante saletta, nei cui raffinati tavolini neri erano accomodate svariate coppie del medesimo sesso.
“Mi fa piacere” rispose cortese Keiji, iridi fisse sullo sguardo bizzarramente inquieto del legale.
“Come vanno le cose? Ho saputo da alcuni colleghi che hai vinto la causa contro la Yamada Corporation. E’ davvero un osso duro, la notizia si è sparsa in tempo record. Complimenti”
Le lodi di Akaashi ripristinarono nuovamente l’attenzione di Tobio sul suo interlocutore.
“Sì, ecco… non è stato poi tanto complicato” mugugnò, abbozzando un’espressione goffa.
“Mi sembra quasi di sentire la voce di Oikawa piagnucolare certo, per un genietto come lui nulla è complicato!” ridacchiò con leggerezza Keiji, sorseggiando il suo cocktail trasparente decorato da un grazioso ombrellino verde smeraldo.
Nonostante il cipiglio irritato, Kageyama si lasciò sfuggire un ingenuo “Oikawa-san ha parlato di me?”
Akaashi sollevò un sopracciglio.
“No, stavo solo ipotizzando che avrebbe certamente ribattuto così. Non vedo Oikawa-san da qualche mese, ormai”
“C-certo, ovvio” tossì imbarazzato il corvino, distogliendo nuovamente le iridi dal viso etereo di Keiji e inchiodandole sul calice di vino rosso sotto il suo naso.
“E… oltre il lavoro? Novità? Con… Hinata, ad esempio” buttò lì con nonchalance Akaashi, giocherellando con l’ombrellino sul bicchiere e non staccando gli occhi dal legale, le cui spalle furono scosse da un visibile sussulto.
“H-Hinata? Perché ci dovrebbero essere novità?”
 
Keiji aggrottò la fronte, un’impercepibile linea di fastidio ne rigava la pelle pallida.
Perché continuare a negare dinanzi all’evidenza?
 
“Perché l’ultima volta in cui ne abbiamo apertamente discusso, elemosinavi consigli su come poterti approcciare a lui” ribatté seccamente, bevendo un sorso del suo Martini.
“E-ecco sì, ma…”
“Niente ma. Avanti Kageyama, da quanto ci conosciamo? Puoi evitare di fingere di cadere dalle nuvole, almeno davanti a me” tagliò corto Akaashi, afferrando lo stuzzicadenti che infilzava l’oliva dell’alcolico e portandoselo alla bocca.
Tobio si schiarì la gola, tentando senza successo di sciogliere la tensione incastonata fra i muscoli delle spalle.
 
Maledizione, quello era un argomento di cui non riusciva a discutere con serenità nemmeno con se stesso.
Figuriamoci con un altro essere umano.
 
“Cosa… vorresti sapere?” indagò quasi distrattamente, trangugiando una generosa sorsata di vino.
Keiji assottigliò gli occhi.
“Beh, come procede la situazione? A te Hinata piace e mi era sembrato di capire che fossi ricambiato… almeno fino alla cena della scorsa settimana” sondò cautamente il terreno.
Com’era prevedibile, il corpo del legale si tese come una corda di violino.
“Ti ha detto qualcosa?” proruppe affannosamente, la mano stretta pericolosamente sullo stelo del calice.
“No, assolutamente. Lo sto chiedendo a te perché ne sei il diretto interessato” fu la pacata spiegazione di Keiji.
Passò qualche altro attimo di silenzio prima che il corvino si decidesse ad aprir bocca.
“Non lo capisco”
Akaashi sbatté le palpebre.
Era stato un sussurro talmente sommesso da perdersi nella delicata musica di sottofondo.
“Prego?”
Tobio digrignò i denti.
“Non lo capisco quell’idiota”
Arcuando leggermente le sopracciglia, Akaashi sorvolò sull’epiteto poco lusinghiero rivolto al medico.
“Cosa non capisci, per l’esattezza?”
Tutto! Non capisco tutto di quel tipo! Insomma…”
 
Si fermò per inalare un profondo respiro e tracannare un vigoroso sorso di vino.
 
“Mi confonde! Mi confonde con quella faccia perennemente sorridente, come se la vita fosse sempre grandiosa. Mi confonde con quel suo atteggiamento spensierato, mi confonde con quei suoi assurdi ragionamenti su come la gente sia importante e cazzate varie. Tutto di lui… non ha il minimo senso!”
Nemmeno si accorse d’aver sputato quelle parole con più desolazione che rabbia racchiusa nell’animo.  
Akaashi ascoltò pazientemente lo sfogo di Kageyama con la solita espressione distaccata, sebbene nelle iridi cobalto scoppiettasse una piccola scintilla.
“Tuttavia, nonostante questo… lui ti piace”
“Non dovrebbe”
Quella volta, ciò che fuoriuscì dalla bocca di Tobio fu un ringhio aggressivo.
Keiji inclinò la testa verso destra, perplesso.
“Perché mai non dovrebbe…”
“Perché è un essere debole. Un idiota dalla testa vuota convinto di cose ridicole e fuori luogo”
 
Non è vero, non pensi solo questo di lui e lo sai bene.
 
Come trapassati da un’improvvisa scarica di corrente, gli occhi di Akaashi si sgranarono.
Hinata Shoyo… debole?
 
“Mi fa solo innervosire, vorrei scuoterlo e fargli capire come ciò in cui tanto crede non sia altro che un mucchio di fesserie. Solo perché è un medico, allora bisogna fingere di tenere ai propri pazienti tanto da dipenderne in tutto e per tutto? Manco fosse il loro strizza cervelli! Per quello che fa poi, occupandosi di malattie del sangue o che so io…”
 
Akaashi in quel momento era vivamente frastornato.
Malattie del sangue?
Hinata?
Ma di che cosa stava…
 
“Senza contare la cazzata colossale del prendersi a cuore i pazienti come persone e non come malati. Cosa sarebbe lui, la loro mammina? Come può pensare di fare un buon lavoro senza un distacco professionale! Non dovrebbe importargliene nulla a prescindere…” rise sprezzante.
“Me ne ha anche parlato la prima volta in cui ci siamo conosciuti. Un medico che cura una persona e non soltanto la sua malattia… che idiozia”
 
Ah.
La mente di Keiji operò qualche associazione d’idee.
Hinata non aveva detto nulla.
Era comprensibile, in effetti.
Anche se…
 
“Forse, in fin dei conti, mi manca solo andare a letto con qualcuno”
 
Akashi fu strappato violentemente dalle proprie congetture.
Kageyama che ammetteva così impudicamente, e audacemente, di dover sfogare i propri bisogni fisici?
La lista delle assurdità quella sera non aveva davvero termine.
 
“Non credo sia la soluzione ai tuoi problemi” gli fece notare con oggettività.
“E’ l’unica plausibile. Te l’ho detto, no? Quello lì ha una sfilza di lati negatavi che non so nemmeno perché siamo ancora qui a parlarne. La risposta al perché sono attratto da lui… dev’essere solo una questione fisica” concluse impietoso con la punta delle orecchie leggermente purpurea, scolandosi il secondo bicchiere di vino alla goccia.
Akaashi gli rivolse un’occhiata alquanto scettica.
“Io credo che tu stia compiendo diversi passi indietro, Kageyama. Andare a letto con qualcuno proprio adesso non…”
“Ma è quello che intendo fare”
 
“Ehi, ehi, ehi, ragazzi! Eccovi finalmente! Vi ho cercato per un bel po’! Là fuori è un delirio, c’è un sacco di calca!”
 
L’identificabilissima voce squillante di Bokuto fece balzar su la testa di entrambi gli specialisti in Legge.
 
“Kou, ce l’hai fatta in anticipo”
“Ho chiuso la palestra un po’ prima, stasera non si è fatto vivo quasi nessuno” rispose il Personal Trainer con un sorriso smagliante per poi chinarsi e baciare dolcemente le labbra del ragazzo.  
Distogliendo lo sguardo dalla scenetta smielata che gli si parava dinanzi, Tobio pescò qualche banconota dalla tasca e, alzandosi in piedi, interruppe la coppia con un impacciato “Buonasera, Bokuto-san”
Accorgendosi dei soldi abbandonati al centro del tavolino, Koutaro si girò subito verso il corvino, guadandolo con gli occhioni ambrati colmi di sorpresa.
“Ma come, vai già via, Kageyama?”
“Sto solo… andando dall’altra parte” bofonchiò il legale in modo vago, afferrando la giacca dalla spalliera della sedia.
“Ci vediamo” si congedò con un inchino frettoloso, dando quasi l’idea di star scappando dal suo senpai.
 
Grattandosi distrattamente la nuca, Bokuto rivolse il proprio sguardo dubbioso verso il fidanzato.
“Ehi, Akaashi, è successo qualcosa?”
 
Keiji non rispose subito.
Seguì con occhi ridotti a fessure il corvino camminare a passo spedito lungo la sala soffusamente illuminata.
“Penso che Kageyama non abbia ancora capito esattamente con chi abbia a che fare. E quando lo scoprirà…”
S’interruppe, squadrando il giovane legale uscire dalla porta con aria insolitamente irrequieta.
Assunse un sorrisetto sibillino.
 
“Credo che sarà uno shock, per lui”
 
 
 
 
 
La musica proveniente dalla postazione del Dj era parecchio incalzante, nulla però cui lui non fosse già abituato.
Si recava al Rainbow con cadenza pressappoco mensile da oramai due anni.
Era diventato il suo locale preferito, dopo aver svogliatamente sperimentato fin troppi gay bar nei quartieri più disparati di Tokyo, grazie all’intelligente divisione tra la sala da ballo e la più tranquilla lounge.
 
Due anni, eh.
 
Due anni in cui abbordava ragazzi per notti occasionali di passione destinati sistematicamente a spegnersi entro poche ore.
Nonostante fosse capitato di ritrovarsi faccia a faccia con qualche vecchia conoscenza, soprattutto da quando aveva posto residenza fissa al Rainbow, aveva sempre cercato di eludere nuovi possibili coinvolgimenti.
Non a causa di stronzate sentimentali come il rischio d’affezionarsi o altre puttanate varie.
Andare a letto con qualcuno con cui aveva già consumato…
 
Beh, semplicemente, lo annoiava.
 
Non ci sarebbe stato niente di eccitante in una scialba seconda volta con un tipo che aveva già perduto tutta la sua frizzante novità.
Le persone tendevano malauguratamente a divenire monotone con molta facilità.
Non avrebbe potuto esservi nulla di più spiacevole di un tedioso rapporto sessuale.
 
Doveva comunque ammettere d’essersi imbattuto in alcune, seppur rare, eccezioni.
Il ragazzo di appena ventun anni conosciuto l’estate precedente aveva dimostrato di possedere un innato talento con la lingua, così il legale gli aveva concesso altre tre notti insieme.
Il sesso orale migliore della sua intera esistenza, senza ombra di dubbio.  
 
Tralasciando tali sporadici eventi, Tobio tentava d’evitare le vecchie fiamme, se così potevano davvero esser definite, anche a causa di una grottesca situazione di cui odiava il coinvolgimento.
Che avevano nel cervello quei folli che accennavano alla possibilità di rivedersi al di fuori del locale, parlottando di quanto sarebbe stato carino un appuntamento o robe del genere?
Lui, invischiato in una relazione alla luce del sole?
A impegnare il proprio tempo con qualcuno talmente irrilevante?
La sua risposta sarebbe sempre stata la medesima.
Pa-te-ti-co.
 
Aprendosi un varco fra la folla danzante, raggiunse il bancone piastrellato del bar in cui si accalcavano uomini e donne alla ricerca del cocktail più appropriato per sballarsi.
 
Storse il naso all’odore penetrante degli alcolici dalle tonalità disgustosamente fosforescenti che il barman miscelava con agilità nei bicchieri sul ripiano.
A lui tutte quelle improbabili combinazioni provocavano la nausea.
Non sopportava i sapori stucchevoli, ma lo ripugnavano ugualmente quelli amarognoli.
Il vino era sempre stato il suo migliore alleato, in tal senso.
 
Ordinò il terzo calice rosso della serata, costringendosi a urlare per sovrastare la musica affinché il tizio dietro il bancone lo sentisse.
Tentò un’occhiata approssimativa in giro.
 
L’alcol non gli era ancora giunto alla testa, ma poteva iniziare a percepire un piacevole pizzicore alle tempie.
La tensione radicata nei muscoli delle spalle sembrava pian piano sciogliersi come soffice burro.
Era una bella sensazione, per una volta.
Non essere costantemente rigido, ecco.
E poi aveva bisogno di smettere di pensare, per almeno una notte, a quel qualcuno che gli aveva scombinato la vita e le certezze in soli due mesi. 
Quel qualcuno che…
 
 
“Mi hai ferito, Kageyama”
 
 
“Fanculo” sibilò tra i denti, ghermendo il calice che il barman gli aveva celermente posto dinanzi al viso e trangugiandone il contenuto in un’unica sorsata.
 
Non lo comprendeva quel pel di carota, era la pura verità.
Era vero che lo reputava alla stregua di un bambino ingenuo, incapace di relazionarsi con il mondo degli adulti.
Era anche vero che sarebbe dovuta essere l’ultima fra le persone al mondo da cui sentirsi... attratto.
E non poteva nemmeno negare che, a quel piccolo medico, lui aveva fatto del male.
 
Poggiò il bicchiere sul bancone piastrellato e segnalò al barista di riempirlo nuovamente.
 
Mentre confessava il suo stato d’animo la settimana precedente, gli occhi di Hinata erano stati…
Tristi.
Sofferenti.
Quelle brillanti e splendenti perle nocciola, costantemente colme di un calore a lui estraneo…
Gli avevano provocato una dolorosa fitta in prossimità del cuore.
 
Sorbì il liquido scuro dal sapore fruttato.
 
Aveva sbagliato, dunque?
Lui, Kageyama Tobio, aveva compiuto un errore?
Uno sbaglio volontario?
Da ciò che aveva dedotto dalle dimissioni di Nakamura e dalla loro somiglianza al comportamento del medico…
Sembrava proprio di sì.
 
Grugnì infastidito, terminando rapidamente il contenuto del bicchiere.
 
Come si agiva in quelle circostanze?
Cos’è che aveva tentato d’inculcargli sua madre per tutti gli anni della scuola elementare?
 
 
“Tobio, tesoro, se fai qualcosa di sbagliato devi ricordarti sempre di chiedere scusa, hai capito?”
“Ma io non sbaglio, mamma”
“Beh, a tutti può capitare di commettere errori qualche volta, no? Anche se non ce ne rendiamo conto, con il nostro atteggiamento possiamo far male a qualcuno”
“E io come faccio a saperlo?”
“Magari la persona che hai ferito sarà arrabbiata con te, oppure solo molto, molto triste”
“Allora è difficile”
“Difficile?”
“Mmmh-mmh. Quando ci sono io, sono sempre tutti tristi o arrabbiati”
 
 
Scusarsi, ecco.
 
Rimirò per qualche secondo la sala gremita di gente felice e scanzonata.
 
Non che non fosse avvezzo a chiedere perdono, ovviamente.
Aveva sempre cercato di apparire al meglio dinanzi ai giudici e ai suoi docenti universitari, profondendosi in compunte scuse per mancanza di esperienza o robe simili.
Tuttavia, giustificarsi poiché aveva equivocato nel comportarsi con qualcuno…
Era tutto un altro paio di maniche.
 
 
“Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte”
 
 
Fanculo, non voleva pensarci.
O almeno, non per il momento.
 
Si fece stillare ulteriormente dell’alcol, senza però degustarlo.  
 
Era davvero convinto di quanto comunicato ad Akaashi poco prima.
Non poteva smentire la sua attrazione nei confronti di quel piccolo ciclone…
Ciononostante, le reali motivazioni del perché quello scricciolo gli piacesse sul serio erano ancora enigmatiche.
Non poteva dunque escludere che si trattasse di una comune, primitiva attrazione fisica.
Soprattutto perché…
 
Poggiò le labbra sul bordo di vetro e assaporò qualche goccia di vino.
 
Tobio era consapevole di possedere gusti… peculiari.
Akaashi lo aveva bonariamente preso in giro qualche volta, mentre Kuroo adorava metterlo a disagio con le sue odiose frecciatine.
Insomma, non era mica colpa sua se gli piacevano i ragazzi giovani.
 
Anche fin troppo giovani, mugugnò a se stesso con lieve imbarazzo.
 
Lo avevano sempre ammaliato i lineamenti delicati, fanciulleschi.
I volti glabri, senza un accenno di peluria.
Non gli importava un granché del colore degli occhi o dei capelli, ritenuti quisquilie insignificanti.
Una corporatura esile, su cui poter facilmente incombere con la propria forza, lo spediva in visibilio.
Gli doleva ammetterlo, ma si era sentito invidioso di Kuroo quando il moro gli aveva presentato Kenma per la prima volta.
Quel ragazzo dai capelli simili a un crème caramel aveva un corpo che appariva ancor più minuto se accostato a quel colosso di Tetsuro. 
Se non avesse posseduto dei terrificanti occhi felini inquietantemente simili a quelli del fidanzato, Tobio avrebbe anche potuto definirsi leggermente affascinato dal biondino.
 
Riflettendovi, forse l’impossibilità di sostenere a lungo lo sguardo di Oikawa-san non era mai dipesa unicamente dai sentimenti contrastanti covati nei suoi confronti.
Tralasciando il fisico ben impostato, aveva avuto un debole per quel viso fanciullesco e quei grandi occhi cioccolata fin dai primi tempi dell’univer…
 
Si morse la guancia con irruenza, furente.
 
Perché Oikawa-san doveva costantemente infettare i suoi pensieri?
Credeva che l’ossessione, cioè l’ammirazione, cioè l’odio verso il Grande Re si stesse almeno un poco affievolendo.
 
Scosse forsennatamente la testa.
In quel momento, Oikawa-san era davvero l’ultimo dei suoi turbolenti ragionamenti.
 
Sfruttando la propria altezza per torreggiare sulla folla, riuscì a districarsi dalla confusione sulla pista da ballo.
 
Se avesse preso in considerazione la mera estetica, la motivazione per cui quel medico non abbandonava la sua testa non sarebbe più stata un irrisolvibile mistero.
Era sorprendente che condividessero la stessa età.
Quel viso delicato era solitamente comune fra i ragazzi sulla prima ventina.
Aveva indugiato a lungo su quelle labbra a cuoricino, su quelle mani piccole e morbide, su quel corpo tanto flessibile…
 
“Ho bisogno di scopare”
 
Poteva manifestarsi come una conclusione semplicistica, eppure poteva proprio rivelarsi la soluzione ai suoi problemi.
Non intratteneva un’interazione sessuale da più di tre mesi.
Quel dannato scricciolo aveva sicuramente innescato una tempesta ormonale non richiesta.
 
Gli sarebbe bastato scrollarselo dalla testa con un ragazzo altrettanto carino.
Elementare, no?
 
Adocchiò una zona vuota della spaziosa sala e, tenendosi ai margini della pista, s’incamminò verso l’angolino appartato che godeva di un’ottima panoramica dell’ambiente circostante.
 
E poi, durante quella fatidica cena, il maledetto rosso aveva sfacciatamente comunicato che fosse sua intenzione rivedersi con il disgustoso biondo dalla lingua bucata.
Chi era Tobio per impedirlo?
Che si divertissero pure.
Che “ricordassero i bei tempi passati assieme”.
A lui andava bene, ovviamente.
Doveva semplicemente tenere a freno un lievissimo istinto omicida nei confronti di quell’essere, nulla di più.
Se lo scricciolo dalle belle labbra desiderava spassarsela con il suo ex, allora Tobio si sarebbe intrattenuto con qualcuno ancor più grazioso del medico.
Facile, no?
 
Percepì il sangue pulsargli violentemente nei timpani e il petto irradiarsi di calore.  
L’alcol aveva finalmente iniziato a manifestare la propria presenza.
Perfetto.
 
Appoggiando la schiena sul muro, sorseggiò placidamente il vino con gli occhi intenti a scrutare tra la gente.
Adocchiò un gruppetto di ragazzi ballare allegramente a diversi metri da lui, un’aria spensierata dipinta sui volti.
O perlomeno era ciò che Tobio poteva intuire dalle ingerenti luci stroboscopiche provenienti dal soffitto.
La sua curiosità fu inizialmente agguantata da un tizio del gruppo, riccio e dal bel sorriso, ma un’occhiata più accorta rivelò due bicipiti troppo pompati per i suoi gusti.
Ben diversa sarebbe stata l’opinione di Akaashi, la cui palese venerazione per i muscoli aveva condotto Bokuto a indossare quotidianamente magliette attillate pur di ammirare un’espressione adorante negli occhi del fidanzato.
 
Sopprimendo uno sbuffo dentro il calice, Tobio rialzò distrattamente il capo…
 
E incrociò uno sguardo turchese indirizzato a lui.
 
Spostando il bicchiere dal volto, si soffermò con maggior oculatezza su chi lo stava osservando da poco distante.
Un ragazzo appollaiato su un divanetto, apparentemente solo.
Non poteva analizzarlo in viso con chiarezza, le luci psichedeliche non consentivano un’occhiata talmente scrupolosa, eppure riuscì subito a notare una folta chioma di capelli ondulati.
 
Quell’imprevisto gioco di sguardi si protrasse per qualche altro minuto, finché lo sconosciuto saltò in piedi per primo.
Gli si avvicinò con passo rilassato, sfruttando il ritmo della musica per ondeggiare sensualmente i fianchi, e si arrestò non appena fu a pochi centimetri dal suo naso.
 
“Ciao, signor faccia cupa”
 
Come prevedibile, il viso di Kageyama si corrucciò in un lampo.
Con una smorfia stizzita e una loquacità che non avrebbe posseduto senza cinque bicchieri di vino, sbottò “Come puoi dire che ho la faccia cupa se siamo circondati dal buio?”
 
Il ragazzo ridacchiò e i denti bianchi scintillarono come perle nella penombra che li avvolgeva.
 
“Ne ho avuto la conferma giusto adesso” chiocciò con quello che a Kageyama sembrò un occhiolino.
 
Il corvino roteò ostentatamente gli occhi, ma non era seriamente infastidito.
 
“Che ci fai tutto solo soletto con l’aria del bello e dannato?”
 
Tobio ringraziò l’ambiente oscuro che gli permetteva di non sfoggiare le guance color porpora.
Nonostante l’alta considerazione che riponeva in se stesso, un complimento sul suo aspetto esteriore gli induceva sempre un bel po’ d’imbarazzo.
 
“Potrei dire la stessa cosa. Anche tu non eri vicino a nessuno, seduto laggiù” rispose con un cenno in direzione del divanetto.
 
Il giovane allargò gli occhi, ma sorrise nuovamente con aria ammiccante.
 
“Allora non ero l’unico ad averti notato” ribatté, appoggiando la schiena sulla stessa parete su cui si reggeva il legale, assumendo una posizione rilassata.
“Non sono da solo, comunque. Sono venuto con due amici ma… sembra siano abbastanza impegnati al momento” sghignazzò in maniera eloquente e puntò gli occhi su due ragazzi alla sua destra.
Il primo ballava appassionatamente con un uomo dalle spalle larghe, l’altro scoccava languidi baci sul collo a un tizio alto con i capelli rasta.
Impegnati, eh.
 
“Sei carino a preoccuparti”
 
Tobio corrugò la fronte e ripristinò l’attenzione sul suo interlocutore.
 
“Cosa ti fa credere che sia preoccupato?”
 
Il ragazzo rise e, a guardarlo di profilo, la sua avvenenza aumentava.
 
“Mi piace pensarlo” rispose, girando un po’ la testa in direzione del corvino.
“Sembri uno… forte”
 
Tobio sollevò le sopracciglia, interdetto.
Sembrava cosa?
 
“Sei carino anche quando sei confuso” ridacchiò di nuovo, alzando la mano per piazzare un dito in mezzo alle sopracciglia del legale.
“Posso?” chiese poi con tono simile alle fusa di un gatto, facendo scendere le dita dalla fronte del corvino fino alla mano che reggeva il calice.
Senza spiccicare parola, Tobio avvicinò il bicchiere di vetro alle labbra carnose del giovane che, prontamente, appoggiò la bocca sul bordo e sorseggiò il liquido scuro senza sganciare le iridi turchesi dagli occhi blu di Kageyama.
 
Quanto era facile non comunicare tramite le parole.
 
“Perché non mi offri qualcos’altro da bere?” cinguettò il ragazzo, intrecciando le dita con la mano del legale e dirigendosi fuori dalla sala troppo rumorosa per imboccare il più tranquillo lounge bar.
 
Tobio si trattenne dall’emettere un grugnito.
 
Non era proprio fra le modalità da lui predilette.
 
Aveva sempre detestato i convenevoli e avrebbe indubbiamente preferito saltare la tediosa trafila per arrivare al sodo.
Era ciò che volevano entrambi, no?
Perché indugiare in futili conversazioni pre amplesso?
Non comprendeva perché in molti avessero bisogno di superare quello step per concedersi.
Si piacevano, fine della storia, perché temporeggiare?
 
Nonostante l’avversione, seguì comunque il giovinetto addentrarsi nello spazioso salone alla ricerca di un tavolino libero.
Non appena si sedettero e il ragazzo ordinò per sé un Caipiroska alla fragola, Tobio avvertì uno sgradevole formicolio sulla nuca.
 
Voltò il capo alla sua sinistra, e…
 
Trovò ad accoglierlo il penetrante sguardo di Akaashi.
Poteva apparire freddo e distaccato come consuetudine…
Tuttavia, gli occhi cobalto lasciavano trasparire un’ulteriore sfumatura.
Biasimo, forse?
 
“Che guardi?” domandò il moro con tono frizzante, seguendo l’occhiata di Tobio.
“Un imprevisto ex?” lo punzecchiò divertito mentre squadrava il volto di Keiji.
“Hai gusti più raffinati di quel che pensassi… anche se lo stesso non può dirsi per quello lì” commentò con un sorrisetto mentre spostava gli occhi chiari sulle spalle possenti di Bokuto.
“Preferisco i tipi più longilinei. Come te, ad esempio” soffiò arricciando le labbra e sorseggiando in maniera sensuale il cocktail appena portatogli da un cameriere elegantemente vestito.
 “Cos-? Lui non… sono miei amici! Sono venuto con loro due” precisò Tobio rocambolescamente, terminando con un sorso il vino rimastogli nel calice.
“Non dovrebbe riguardarti, comunque” aggiunse con tono tagliente.
Il giovane sollevò le sopracciglia fini, ma la sfumatura divertita non abbandonò i suoi occhi.
“Siamo suscettibili, eh” scherzò con leggerezza.
Scorrendo lo sguardo sul corpo del corvino, notò solo allora che l’avambraccio destro dell’uomo fosse avvolto da una fasciatura bianca.
Allargò le iridi chiare.
“Non mi ero accorto del tuo braccio, scusami se ti ho strattonato troppo” si affrettò a giustificarsi, sinceramente dispiaciuto.
L’espressione dolce causò a Tobio un piccolo dolore al petto.
“Non fa nulla, non è così grave. Non manca molto a… alla rimozione del gesso” bofonchiò sommessamente, adoperando un enorme sforzo mentale per evitare che il suo cervello potesse compiere qualunque associazione con la parola “gesso” e i suoi conseguenti significati sconvenienti.
 
Il giovane dovette comprendere che non si trattasse di un argomento di agevole conversazione, dunque spostò rapidamente l’asse del discorso su qualcosa di maggiormente familiare.
“Di cosa ti occupi?”
Tobio raddrizzò la schiena.
“Leggi e ordinamenti. Non sai nemmeno come mi chiamo e t’interessa il lavoro che svolgo?” ironizzò mordacemente, provocando un inaspettato risolino deliziato nell’altro.
“Il mestiere svela l’identità più del nome” profetizzò enigmatico, succhiando la cannuccia rossa immersa nel liquido rosato.
Gli occhi di Kageyama rimasero fissi sulla bocca piena del ragazzo anche mentre si umettò con estrema lentezza il labbro inferiore.
“Sei un uomo in carriera, immagino” aggiunse, poggiando il mento sulla mano e inclinando la testa verso destra, cosicché i voluminosi capelli neri come l’inchiostro rimbalzassero sofficemente verso il basso.
“Diciamo di sì” rispose con un borbottio, giocherellando con il bicchiere vuoto.
“Tu? Sei uno studente?”
Il moro abbozzò un’espressione un po’ timida.
“Si vede tanto che sono più piccolo?”
“Non è qualcosa di cui dispiacersi” ribatté Kageyama senza tentennamenti.
Il ragazzo sembrò essere preso in contropiede per la prima volta.
Un piccolo sorriso gli decorò graziosamente le guance.
“Sono al primo anno di Chimica”
Tobio sbatté le palpebre, improvvisamente cauto.
Primo anno? Non dovresti…”
“Ho compiuto vent’anni il mese scorso” informò rapidamente con una smorfia spensierata e una sorsata del cocktail.
“Non preoccuparti, signor tutore della legge. Non ti sto mettendo in una situazione scomoda” lo prese in giro con un occhiolino.
 
Il petto di Kageyama si alleggerì notevolmente.
Flirtare con ragazzini che nascondevano la loro minore età non era affatto una piacevole esperienza.
Ricordava ancora nitidamente la notte in cui era stato suo malgrado affascinato da uno studente che, soltanto prima dell’inevitabile, aveva confessato di frequentare ancora le superiori.
Il loro ingresso nel locale non sarebbe dovuto essere vietato, dannazione?!
 
“Sono *Jun comunque, se te lo stessi chiedendo” cinguettò il giovane, mostrando giocosamente la lingua.
“Sembri tutto tranne che un ragazzino *obbediente” osservò il legale con un sopracciglio inarcato, bevendo un sorso dal calice riempitogli nuovamente da un cameriere.
Dopo un’occhiata interdetta, Jun scoppiò a ridere.
“E io che pensavo che non possedessi il senso dell’umorismo” chiocciò, spostandosi una ciocca voluminosa dalla fronte.
Incrociò le braccia sul tavolo e assottigliò leggermente gli occhi celesti.
“Però ti sbagli. Posso essere anche molto disciplinato, se lo voglio” sibilò con tono improvvisamente sensuale.
Il sopracciglio di Tobio si arcuò ancor di più, un’espressione di finto scetticismo a disegnargli i lineamenti.
“Dipende molto da chi mi trovo davanti. In pochi riescono davvero a farmi comportare bene” continuò Jun, con quella sfumatura erotica della voce che stava provocando un evidente effetto sul corvino.
Certamente non aiutavano a porre un freno ai suoi pensieri quei languidi occhi color del cielo e quella bocca carnosa oscenamente umida.
“Essere messo in riga da un affascinante e misterioso esperto di legge mi…”
“Sei uno che parla tanto” lo interruppe burberamente Tobio, sporgendosi con l’intero busto dall’altra parte del tavolino.
“Te l’hanno mai detto?” snocciolò sbrigativo, fissando apertamente la linea della bocca, che non aveva smesso un singolo istante di essere inumidita, dello studente.
“E a te hanno mai detto di essere eccessivamente pragmatico?” rispose per le rime Jun, sebbene l’occhiata famelica del corvino gli avesse incendiato le gote.
“Fin troppo spesso” ribatté Tobio che, ringraziando l’alcol per l’allentamento dei freni inibitori, allungò la mano fino a sfiorare con le dita le labbra fottutamente allettanti del giovinetto.
Dopo qualche attimo di sincero spaesamento, Jun parve recuperare il temperamento provocatorio.
“Però… anche tu mi sembri impaziente” mormorò con lentezza e, inchiodando gli impudichi occhi turchesi al suo volto, avvolse i polpastrelli di Tobio con la lingua in un estenuante movimento languido.
 
Una scarica di calore imperversò con veemenza nel corpo di Kageyama.
 
Il giochino poteva ufficialmente concludersi.
 
“Vieni” decretò seccamente, scattando in piedi senza preavviso e afferrando la mano del ragazzo per trascinarlo fuori dalla sala bar.
Con una risatina maliziosa, Jun si lasciò condurre volentieri da Kageyama e, accostando pericolosamente le labbra al suo orecchio, sibilò “Chi è adesso a essere trepidante?”, intrecciando poi le dita con quelle affusolate del corvino.
 
Tobio non ribatté.
Sia perché si trattava di una domanda retorica, sia perché era futile rimarcare l’ovvio, sia perché…
 
La sensazione di due perforanti occhi cobalto che bruciavano prepotentemente sulla sua nuca, svanì soltanto quando ebbero messo piede fuori dalla lounge improvvisamente divenuta soffocante.
 
 
 
 
 
Il bagno del Rainbow non era male.
O meglio, era discreto per un gay bar in cui il cinquanta per cento dei clienti finiva quotidianamente o per scopare o per vomitare all’interno dei cubicoli.
Erano sempre abbastanza puliti, per lo meno.
Non era tuttavia un requisito che aveva mai canalizzato particolarmente l’interesse di Kageyama.  
Consumava sporadicamente le sue scappatelle nella toilette.
Prediligeva un letto comodo e un ambiente confortevole in cui trovarsi a proprio agio.
Non era nemmeno arduo svignarsela all’alba dalla casa del suo ospitante, approfittando del sonno che, immancabilmente, coglieva tutti i suoi giovani amanti.
Quella sera, però, aveva fretta.
 
“Di qua” lo guidò Jun non appena entrarono nel bagno degli uomini che, per chissà quale miracolo divino, era vuoto.
 
La luce gialla del neon sopra lo specchio a parete palesò nella sua interezza lo splendido viso del ragazzo.
Gli occhi erano due grandi sfere turchesi che lo guardavano con aspettativa, esaminandolo da capo a piedi esattamente come Tobio stava operando nei suoi confronti.
Lesto come un gatto, si acquattò a pochi centimetri dal viso di Kageyama e, sbilanciandosi verso il suo padiglione auricolare, sussurrò “Ti piace ciò che vedi?”
Il legale raddrizzò la schiena, sovrastando Jun di parecchi centimetri.
“Abbastanza” rispose con tono basso.
Il ragazzo arricciò il delizioso naso all’insù e fece una smorfia, mettendo in mostra le belle labbra umide.
“Hai gusti difficili” commentò sommessamente, giocherellando con il colletto azzurro della camicia.
“A me, invece, tu piaci parecchio” confessò alla fine di quel giochetto sospeso, mordicchiandosi il labbro inferiore con studiata malizia.
 
Fu la spinta necessaria a far reagire Kageyama.
 
Con la sola mano sinistra afferrò il giovane dalla vita e lo spinse dentro un cubicolo, sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle.
“Ehi, ehi” esalò Jun quando il corvino lo pressò senza troppi complimenti contro la parete e iniziò a baciargli con foga il collo pallido.
 
“Sei più irruento di quel che mi aspettassi” soffiò con un risolino.
 
Il corpo di Tobio gelò in un singolo istante.
 
Perché?
 
Perché quella frase, proprio ora…?
Perché quell’effetto spiazzante?
Perché quella fulminea visione delle foglie autunnali che svolazzavano allegramente attorno al medico, sdraiato sul prato del Rikugi-en?
Perché la voce che aveva appena mormorato quelle parole non apparteneva più al bel giovane tra le sue braccia ma al piccolo uomo con…
 
Strinse con forza la mano fra le morbide ciocche del ragazzino e, senza riflettervi troppo, si avventò con i denti nell’invitante sporgenza della clavicola.
 
Un pigolio meravigliato abbandonò le labbra di Jun.
 
“E anche aggressivo” aggiunse con tono compiaciuto nonostante il fiato corto, suscitatogli dal volitivo strofinamento dei fianchi di Tobio contro il proprio inguine.
Avvolgendo le braccia al collo del corvino, il ragazzo consentì all’uomo di divorargli senza impedimenti l’epidermide, gemendo impudicamente non appena la mano di Kageyama si fece strada fino all’erezione costretta fra i jeans stretti.
 
I sensi di Tobio erano ottenebrati.
Sentiva la testa leggera dall’alcol e le tempie pulsargli a ritmo del proprio battito cardiaco.
Quella pelle levigata lo stava facendo impazzire.
Cionondimeno…
 
C’era qualcosa che stonava.
 
Affondò ancor di più il naso sulla nuca del giovane.
 
L’odore simile alla lavanda era indubbiamente travolgente, eppure…
Era come se non quadrasse.
L’aroma che le sue narici avevano imparato a riconoscere e a memorizzare prontamente… era più dolce.
Più…
 
“Mmmh sì… così”
 
No, nemmeno la voce andava bene.
Troppo poco acuta, poco squillante…
 
Non voleva sentirla.
 
“Aspetta un attimo, pantera”
 
Tobio allontanò le labbra dalla pelle del moro che, ansimando, lo spinse gentilmente verso la parete opposta.
Ammiccando soddisfatto, si fletté lentamente sulle ginocchia.  
 
Kageyama osservò imbambolato la folta chioma disordinata proprio davanti al suo bacino e le mani diafane che gli slacciavano agilmente i bottoni dei pantaloni scuri.
“Vediamo se rimani impassibile anche così” lo provocò con un sorrisetto e contemporaneamente gli abbassò i boxer neri, scoprendone la mezza erezione.
Bilanciandosi con i palmi sulle sue cosce, appoggiò con straordinaria delicatezza quelle erotiche labbra carnose sulla punta del membro, strappando al legale un flebile grugnito.
La bocca di Jun si aprì in un sorriso e, gradualmente, consentì alla lunghezza del corvino di accomodarglisi in gola.
 
Con un prolungato sospiro liberatorio, Tobio dimenticò finalmente dove e con chi si trovasse, inarcando la testa e deponendola sulla parete.
 
Ecco ciò che desiderava.
Puro piacere fisico che lo svuotasse da ogni stronzata emotiva o ingarbugliato processo mentale.
Un ragazzo dalla bocca talentuosa e dal bel faccino che gli permettesse di rimuovere per una singola notte chi fosse, suggendo via ogni stress dal suo corpo così come stava succhiando il suo…
 
Un gemito rauco riverberò tra le strette mura, fomentando la voglia di Jun che assunse un ritmo più incalzante, spingendo la testa fino a sfiorare con la punta del naso i peli pubici di Kageyama.
 
Le pareti bollenti della gola dello studente erano l’unico appiglio con la realtà che Tobio percepiva.
 
Era questo che gli serviva.
Non aveva bisogno di nessuno in particolare per raggiungere quel piacere.
Il godimento che gli donava un ragazzo non dipendeva da alcun fattore specifico se non dal suo personale canone estetico.
 
Infilò le dita tra gli ondulati capelli soffici che si muovevano avanti e indietro.
 
Erano piacevolmente vaporosi.
Gli ricordavano…
 
Aprì le palpebre, stralunato.
 
Il torpore dell’alcol pareva avergli lambito le membra, appesantendogli incredibilmente il cranio.
 
Puntò lo sguardo verso il basso, laddove la sua erezione scompariva dentro la bocca di Jun, i cui occhi appagati non avevano smesso un solo istante di ispezionare il suo viso corrucciato dal piacere.
 
Sforzandosi di mettere a fuoco, indirizzò la propria concentrazione proprio su quelle iridi ferventi.
E…
 
Un asfissiante bruciore al torace lo colse alla sprovvista, mozzandogli letteralmente il fiato.
 
Non erano nocciola.
 
Quei grandi occhi non erano di quella calda e rassicurante sfumatura.
Non erano di quel brillante e vivido marrone chiaro su cui si rifletteva nitidamente il mondo intero.
Non causavano al cuore di Kageyama l’immersione in un caldo oceano rinfrancante.
 
Quelli erano occhi celesti.
Seducenti e ipnotici, tuttavia…
Insignificanti.
 
Merda.
 
Non voleva vederli.
 
Affondò le unghie sullo scalpo del ragazzo e schiacciò brutalmente il bacino contro la sua bocca.
 
Un sussulto sorpreso accompagnato da un suono strozzato fuoriuscì dalla laringe di Jun, che parve però accettare di buon grado quel cambio di redini e consentì al corvino di gestire l’intensità delle spinte.
 
Tobio era furioso.
 
Non riusciva a guardare quel ragazzino…
Ma non auspicava nemmeno di fantasticare su quel maledetto medico!
Non voleva pensare assolutamente a nulla, maledizione!!!
Desiderava solo un fottuto orgasmo, un piacere grezzo fine a se stesso, niente di più!
 
Pressò il proprio inguine con foga crescente dentro la gola del moro, che si lasciò violare la bocca senza opporre la minima resistenza.
 
Il calore iniziò a propagarsi dal basso ventre, rendendo i suoi ansimi più concitati.
 
Strizzò gli occhi, recludendo al suo cervello strapazzato ogni possibilità di scorgere alcunché.
 
Hinata, quello scricciolo incomprensibile, aveva invaso i confini della sua mente e aveva posto pianta stabile tra i propri pensieri in maniera definitiva.
Aveva provato tutto, ma non era riuscito a liberarsene.
Il ricordo di quel viso candido, di quella risata genuina, di quel rossore autentico sulle gote…
Non aveva nessuna intenzione di immaginarlo.
Eppure…
 
Serrò le dita come una morsa in quei capelli che non erano rossi, si concentrò soltanto sulla bocca che lo inglobava perfettamente, quelle labbra che però non possedevano il bel disegno a cuoricino, e…
 
L’immagine di un sorriso cristallino fu l’ultimo sprazzo cosciente di Tobio prima di essere prepotentemente travolto dal climax.
 
Venne abbondantemente direttamente nella gola del ragazzo che, impreparato, si sforzò d’inghiottire il tutto tossicchiando.
 
 
 
Per qualche infinito minuto, i suoi timpani recepirono soltanto pesanti sospiri rantolati.
 
“Sei… decisamente molto più impetuoso di quel che pensassi”
 
La voce rauca di Jun scosse improvvisamente il legale dal suo statico intorpidimento.
 
Spalancò le palpebre e, dopo una dolorosa frustata di luce gialla sulle pupille sensibili, chinò il capo indolenzito sulla fluente cascata di capelli scuri.
 
Gli occhi celesti del ragazzo erano lucidi.
Svariate lacrime ne avevano rigato le guance accaldate a causa della sollecitazione fisica.
 
Un’orribile sensazione di nausea attanagliò le viscere di Tobio.
 
“Io… m-mi disp-piace io non… stai bene? Io… io non volevo essere così…”
 
“No, no, non… non scusarti. Mi è piaciuto” gracchiò debolmente Jun, abbozzando un sorriso impacciato e distogliendo lo sguardo dal viso del legale, che solo in quel frangente si accorse dei pantaloni sbottonati del giovane e la sua mano pregna di liquido biancastro.
 
Il viscido senso di colpa non abbandonò però il petto di Kageyama.
 
Non era mai stato tanto aggressivo con qualcuno prima d’ora.
Amava naturalmente concedersi del sesso più animalesco, solo però quando espressamente richiesto dall’amante di turno.
Potevano reputarlo un tiranno sotto molteplici aspetti, ma non si era mai avvalso di libertà che non gli appartenevano.
Non gli piaceva, non lo appagava.
Non era giusto, legalmente e soprattutto…
Moralmente, ecco.
 
Osservò il volto arrossato di Jun, le spalle esili alzarsi e abbassarsi freneticamente per esalare profondi respiri.
 
Non si era trattato di un rapporto sessuale.
Non era stato un rapporto in alcun senso.
Non aveva voluto godere né del corpo di quel ragazzino, né tantomeno dalla visione del suo bel viso.
Aveva meramente sfruttato l’orifizio orale di un ingenuo ventenne come strumento di masturbazione…
Sull’immagine del volto di Hinata stampata in testa.
 
Il battito del cuore di Tobio accelerò come una furia.
 
Non aveva mai provato disgusto nei confronti di se stesso.
Si era sempre considerato superiore, su un gradino più alto rispetto alla mediocrità che lo attorniava.
Eppure, in quel momento…
Si sentiva schifato, ripugnato dalla sua totale e inopportuna perdita di controllo.
 
Aveva sempre affermato di non aver bisogno di menzogne.
Lui era quel che era, non importava ciò che gli inetti presupponevano.
Non gli occorrevano maschere puerili dietro cui nascondere le proprie azioni, per quanto crude esse potessero apparire.
Tuttavia, l’interazione con quello studente…
 
Era stata una fandonia.
Una gigantesca bugia al fine di camuffare ciò che realmente provava, ciò che concretamente nutriva nei confronti di…
 
“No io… mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace sul serio”
 
Si accorse di star ansimando e di avvertire le guance completamente in fiamme.
Con mano instabili si rialzò freneticamente i pantaloni.
 
Riportò gli occhi su Jun, ancora immobile sul pavimento piastrellato.
Il volto frastornato, gli occhi smarriti…
 
Avrebbe voluto provocare quell’espressione in Hinata?
Avrebbe davvero anelato afferrare violentemente la testa del medico e violargli la bocca fino a strappargli guaiti strozzati?
Avrebbe desiderato… che dai suoi bellissimi occhi nocciola fuoriuscissero spiacevoli gocce d’acqua?
 
 
“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio…”
 
 
Kageyama, perennemente impassibile dinanzi alle più svariate manifestazioni di dolore…
 
Sarebbe rimasto turbato se avesse nuovamente realizzato l’impresa di ferire Hinata Shoyo?
 
Si mosse di scatto dalla sua posizione stazionaria, strappando diversi pezzi di carta assorbente dal contenitore accanto al wc.
 
“Ecco… tieni” borbottò con sguardo sfuggente, chinandosi sulle mattonelle.  
 
Jun sbatté le palpebre.
Accettò con lieve esitazione e, con gli zigomi arrossati, si pulì alla bell’e meglio, riabbottonandosi poi i jeans.
 
“Io… non so davvero come scusarmi. N-non è da me… agire… così” balbettò impacciato il corvino.
Certi discorsi non riusciva proprio ad articolarli.
 
Le iridi celesti di Jun lo osservarono stordite.
Quell’inaspettato atteggiamento remissivo… cozzava definitivamente con la condotta incarnata dall’uomo nel corso dell’intera serata.  
 
“Posso almeno… riaccompagnarti a casa? Se-se non ti da fastidio, ecco”
 
Il volto del moro a quel punto guizzò letteralmente dalla sorpresa.
Era super convinto che il tizio misterioso l’avrebbe mollato dentro la toilette senza nemmeno riflettervi un secondo.
 
“Dici… sul serio?” domandò con titubanza.
 
Non era un segreto che gli uomini gli ronzassero attorno essenzialmente per la bellezza.
Era stata dura accettarlo durante l’adolescenza, ma ormai vi aveva fatto il callo.
Non avrebbe biasimato quel tipo per la mancanza d’interesse nel suo stato fisico o emotivo.
Se durante le sue nottate nei gay bar qualcuno si fosse candidato per scortarlo casa, Jun avrebbe sempre inteso la proposta come un esplicito invito ad andare a letto.
Eppure, il corvino non sembrava minimamente intenzionato a…
 
“Certo. Perché non dovrei?” ribatté Tobio con perplessità.
 
Un piccolo sorriso a quel punto si disegnò sulle guance ancora purpuree di Jun.
 
“Che aspettiamo, allora?” cinguettò con rinnovato buonumore, alzandosi dal pavimento e scrollandosi la polvere dalle gambe.
 
Tobio fissò il giovane, stranito.
Non era… scombussolato?
Arrabbiato?
 
“Come… come fai a essere così spensierato?” chiese senza trattenersi mentre oltrepassavano la soglia del bagno.
“Non dovrei esserlo? Dai, un uomo figo come te mi sta scortando a casa. Non dovrei esserne felice?” constatò candidamente lo studente, schivando la calca sulla pista da ballo e puntando verso l’uscita del Rainbow con straordinaria tranquillità.
Tobio arcuò le sopracciglia.
“Ma non… non sei scosso nemmeno un po’ dopo… dopo quello che…” s’interruppe, non conoscendo il modo in cui continuare a esprimere intellegibilmente il discorso.
Jun guardò il legale con aperta confusione.
“No? Non capisco perché ti stia agitando più di tanto. Insomma… mi è piaciuto il tuo atteggiamento irruento” spiegò con un sorrisetto che però, nonostante la superficie disinvolta, celava qualche pudica sfaccettatura.
 
Attraversando la porta a due battenti sorretta prontamente da un colossale buttafuori, Tobio assunse un’espressione sconcertata.
“Non avrei assolutamente dovuto esserlo”
La fermezza della voce del corvino causò a Jun un sussulto inaspettato.
“Nessuno dovrebbe essere violento con te senza la tua specifica autorizzazione”
Quella volta la spina dorsale del ragazzo fu scossa da un brivido.
Avrebbe potuto attribuirlo all’aria frizzante della sera, oppure…
“E’ l’esperto di legge che è in te a parlare?” tentò di ironizzare, ma gli occhi blu dell’uomo non gli permisero di avvalersi del tono giocoso desiderato.
 
Tobio si soffermò con estrema serietà su quelle parole.
Continuò a camminare dritto dinanzi a sé finché non raggiunse la fermata del taxi a un centinaio di metri dal gay bar.
 
“Forse la legge mi ha influenzato” commentò alla fine.
“Ma faccio solo ciò che ritengo giusto”
Jun ridacchiò nervosamente, scombinandosi i capelli folti.
“Mi hai dato un’impressione molto diversa mentre eravamo seduti al tavolo”
 
Un rapido flash di una conversazione, avvenuta settimane prima alla festa di Bokuto, si affacciò per qualche istante nella mente di Tobio.
 
 
“Diciamo che non è proprio l’aggettivo che userei per descriverla”
 
 
“Come pensavi che fossi, allora?” chiese con tono inaspettatamente attutito.
 
Il giovane si mordicchiò la guancia, pensieroso.
 
“Ecco… mi sei sembrato un uomo intransigente e saccente, che potesse ottenere tutto quel che volesse con facilità. Parecchio egocentrico, non pensavo prestassi attenzione a quel che dicessi io… ma che fossi soltanto concentrato sul mio aspetto. Tranquillo, non c’è bisogno di negarlo” si affrettò a precisare.
 
La fronte di Tobio s’increspò appena.
“Non lo avrei fatto”
 
Jun fissò interdetto il volto impassibile del legale per diversi istanti prima di scoppiare sonoramente a ridere.
“E non hai peli sulla lingua, questo mi pare ovvio”
Continuò a ridacchiare finché le punte delle orecchie di Kageyama non si arrossarono e il corvino non riuscì più a trattenere un’imprecazione, che provocò una nuova ondata di risolini nello studente.
 
“Però…”
Riacquistò la compostezza, accennando un timido sorriso.
“Sei anche gentile, signor faccia cupa. Mi è capitato spesso di essere usato da uomini che non si sono nemmeno curati di chiedermi se andasse tutto bene. Tu, invece… hai fatto qualcosa che, seppur semplice, non mi sarei aspettato”
 
Tobio lo guardò con occhi sgranati.
Lui…
Gentile…?
 
“Sei davvero diverso rispetto a un’ora fa, come se fossi diventato un’altra persona. Cosa ti ha spinto a cambiare così all’improvviso?”
 
Tobio rimase in silenzio.
Sapeva che la risposta fosse racchiusa a grandi linee dentro il suo animo, ma esplicarla a parole, davanti a un ragazzo appena conosciuto…
 
La comparsa di un taxi risparmiò Kageyama, almeno per il momento, dall’onere di fronteggiare la propria coscienza.
 
“Dopo di te” borbottò, facendo segno al moro di precederlo nell’autovettura.
 
Il labbro di Jun guizzò piacevolmente verso l’alto.  
 
“Che galantuomo” lo stuzzicò bonariamente, sedendosi sul sedile posteriore e lasciando poi spazio a Tobio, che entrò roteando gli occhi al cielo con uno sbuffo.
 
 
 
 
 
La corsa in taxi non durò più di venti minuti.
 
Sostarono dinanzi a un palazzo appartenente a un’ampia zona residenziale, destinata principalmente ad alloggio per studenti grazie alla prossimità del polo universitario.
 
“Arrivato!” comunicò spontaneamente Jun, spalancando la portiera verde e balzando fuori dall’automobile.
 
Tobio seguì il ragazzo all’esterno, ma non abbandonò la presa sullo sportello con la mano sinistra.
Tracciò il profilo dell’edificio con un’occhiata veloce.
“Sembra… carino” mugugnò, sebbene avesse preferito non spiccicare parola.
Non aveva idea di cosa dire, odiava i convenevoli.
 
“Sì, il quartiere è abbastanza confortevole. Non sarà perfetto, però mi sento a casa” rispose Jun con un sorriso.
Poi, con espressione improvvisamente timida…
“Vuoi… salire?”
Tobio tentennò visibilmente.
“Però, ecco, non per quello che intendi! Cioè… se capita, okay. Non dev’essere la nostra priorità. M’incuriosisce conoscerti un po’, sembri un tipo intrigante, signor faccia cupa” precisò Jun con un occhiolino, nonostante le gote pennellate di rosa.
 
L’offerta dello studente condusse Kageyema a riflettere.
 
Sarebbe stato fuori discussione salire a casa di un ragazzo se non avesse avuto l’assoluta certezza di andarvi a letto.
Cosa mai poteva interessargli della conoscenza reciproca?
Che gliene sarebbe fregato di condividere esperienze con qualcuno che non avrebbe più avuto motivo di rivedere?
Perché mai rivelare dettagli della propria vita privata a uno sconosciuto?
 
Tuttavia, prima ancora che potesse aprire bocca…
Il ragazzo lo interruppe con strana serietà.
“A una condizione, però”
 
Il legale lo guardò un po’ stralunato.
 
Dopo qualche attimo di silenziosa attesa, le labbra di Jun schizzarono in un sorrisetto.
 
“Il tuo nome”
 
Tobio si accorse solo in quel momento di non essersi debitamente presentato.
Non gli era nemmeno balenato per la mente.
Comunemente non costituiva un requisito fondamentale per giungere al sodo della serata…
 
“Kageyama. Kageyama Tobio” ribatté, grattandosi maldestramente la nuca.
 
“Bene, Kageyama-kun, ti faccio strada” cantilenò il giovinetto, girando le spalle e incamminandosi a passo allegro verso il portone del palazzo.
 
Il legale fissò la schiena del moro senza neanche sbattere le palpebre, spiazzato.
 
Non aveva neanche avuto il tempo di rispondere.
Perché mai quello studentello era convinto che volesse seguirlo?
 
Eppure, nonostante le flebili proteste provenienti dal suo integerrimo emisfero…
Non comprese perché decise effettivamente di andargli dietro.
 
Probabilmente si trattava del senso di colpa per averlo trattato al pari di un sex toy.
Forse era seriamente intrigato da quel ragazzino dagli occhi celesti, timido e ingenuo nonostante l’apparenza sfrontata.
Magari scorgeva in quella situazione una rigenerante novità nella sua monotona esistenza sistematica e solitaria.
Oppure, possibilmente, aveva soltanto bevuto troppo.
 
Pagando rapidamente il tassista e occhieggiando distrattamente la vettura sparire fra le strade cittadine, Tobio s’affrettò ad accodarsi al moro in quell’eccentrica, bizzarra nottata.
 
 
 
 
 
“Eccoci!”
 
La soglia dell’appartamento in cui avevano appena messo piede si apriva con un piccolo, disordinatissimo salottino.
“Emh, scusa la confusione” si schiarì la gola Jun con imbarazzo.
“Vivi da solo?” domandò Tobio con un sopracciglio inarcato, squadrando decine di buste della spazzatura sparse per il pavimento, contenitori vuoti di ramen istantaneo abbandonati sul tavolino al centro della stanza, vestiti spaiati per il divanetto in velluto rosso…
“No, abito con altri due ragazzi” informò lo studente, guidando il legale per un corridoio ai cui si affacciavano tre porte giallastre serrate.
“Inoue è a posto, è un buon amico e rispetta le regole della casa… Mori invece mi fa uscire di testa” sbottò irritato, entrando nella stanza al termine del corridoio che si scoprì essere la cucina.
“Non fa altro che mangiare, sporcare e scopare con la sua ragazza, che porta sistematicamente qui una sera sì e una no. Fosse almeno una poco rumorosa…” commentò stizzito, accendendo l’interruttore della luce.
“Potrebbero almeno limitarsi le notti prima degli esami, ripassare diventa impossibile con quei due che urlano e… oh, scusami, mi sono lasciato trasportare” si arrestò bruscamente, le guance lievemente tinte di rosso.
“Posso… offrirti da bere? Ho vodka, chuhai, birra… scegli quel che ti va”
 “Una birra va bene” concesse Tobio, sufficientemente saturo dai litri di vino già ingeriti che ancora danzavano allegramente nel suo cervello.
Il ragazzo pescò dal frigorifero due lattine color argento.
“Andiamo nella mia stanza? Il letto è decisamente più comodo di queste sedie” propose Jun, guidando il corvino fuori dalla cucina.
“Ti avrei indicato il divano ma… hai visto anche tu in che stato è quel salotto” esalò con un sospiro.
 
 
 
“Entra entra”
Tobio si addentrò nella camera da letto del ragazzo, grande appena da ospitare un futon, una scrivania stracolma di libri e un armadio sbeccato.
“E’ davvero piccola, lo so” commentò il moro con una nota di biasimo.
 
Tobio scrollò le spalle.
Era uno studente, no? Si era trasferito lì per studiare, non necessitava mica di chissà quanto spazio.
 
“Siediti pure sul materasso”
 
Dopo essersi accomodati uno di fianco all’altro con la schiena appoggiata al muro e aver aperto le loro birre, fu Jun a spezzare l’atmosfera tesa che aleggiava sopra le rispettive teste.
 
“Aspetto ancora la tua risposta, Kageyama-kun”
 
Il corvino corrugò le sopracciglia, non cogliendo subito l’argomento cui si stesse riferendo il ragazzino.
Il molesto quesito rimasto a mezz’aria al fatidico arrivo del taxi non impiegò però molto per ripiombargli in mente.
 
“Non c’è un motivo” sbottò, trangugiando quasi mezza lattina in un unico sorso.
Il suo stomaco non l’avrebbe sicuramente ringraziato il giorno seguente per quella scriteriata trasgressione.
 
“Non si dicono bugie, signor faccia cupa. Eri così intransigente fino a quando siamo finiti in bagno” osservò Jun con una smorfietta.
 
Tobio emise un grugnito irritato.
 
Perché era così ficcanaso quel tizio?
Non si era già opportunamente scusato per il suo atteggiamento?
Non avevano pareggiato i conti?
Perché dovevano tutti stressarlo a quel modo?
Perché diamine era salito da quel mocciosetto se non era più interessato ad andare a letto con lui?!
 
“Però… c’è anche un’altra cosa che ha catturato il mio interesse” aggiunse Jun con tono flebile, sorseggiando la bevanda e tenendo gli occhi chiari ancorati al pavimento.
“Ho notato che ti ostinavi a non guardarmi mentre… ero inginocchiato e…” lasciò cadere la frase in sospeso.
Si schiarì la gola, risoluto a dar voce ai suoi pensieri.
“Non è qualcosa che mi capita spesso. Il viso è una delle parti del corpo che mi rende tanto appetibile”
Abbozzò un sorriso che permetteva d’intravedere qualche traccia di auto compatimento.
“A cosa stavi pensando con così tanta determinazione?”
 
Tobio fu preso in contropiede e dovette allontanare le labbra dalla lattina per evitare di sputacchiare squallidamente su tutto il materasso.
 
A che pensava?
Su cosa diamine poteva mai rimuginare?
Che cosa, o meglio, chi aveva in testa ventiquattr’ore su ventiquattro da ormai mesi a quella parte?
 
“A nulla” proruppe, strofinandosi il dorso della mano sul viso per asciugare la schiuma condensatagli sulle labbra.
 
Jun lo squadrò di traverso per quelli che parvero infiniti secondi.
Alla fine, gli occhi si dilatarono in un’improvvisa consapevolezza.
Modellando la guancia in un sorrisetto sghembo, domandò a bruciapelo…
 
“Chi è il fortunato?”
 
Quella volta Tobio non poté impedire il violento attacco di tosse che gli percosse burberamente il torace.
 
“C-c-c-che cosa??!”
 
Jun roteò gli occhi al cielo, emettendo un verso d’impazienza.
 
“Non fare il finto tonto, signor faccia cupa. Hai qualcuno per la testa, non è così?” chiocciò poi, avvicinandosi pericolosamente al volto di Tobio, la cui espressione orripilata tradiva la consueta imperturbabilità.
“Non c’è nulla di male ad ammetterlo. Non mi offendo mica”
“N-n-non è come… non dire idiozie!” sbraitò trafelato e Jun non poté trattenere una risatina alla vista di quell’uomo tanto rigido perdere il controllo a tal modo.
“Sai, nonostante fossi piuttosto… impegnato ai piani bassi, ho notato che paressi davvero combattuto” lo informò con spensieratezza.
“Non provare a negare. So riconoscere una cotta quando la vedo” cinguettò quando il legale dischiuse la bocca con l’intenzione di uno sfogo iracondo che, tuttavia, fu stroncato sul nascere da quell’impertinente ragazzino di appena vent’anni. 
 
Perché?
Avrebbe potuto ribattere con tutte le argomentazioni che avrebbe desiderato.
Maledire quel moccioso, insultarlo, costruire una difesa perfetta come solo lui era in grado, balzare in piedi e andarsene da quell’appartamento da due soldi senza neanche doversi giustificare.
Avrebbe potuto chiamare un taxi e tornarsene dritto filato a casa.
Alla sua solita vita.
Nessuno lo avrebbe fermato.
Nessuno avrebbe potuto contraddirlo.
 
Eppure…
 
Eppure rimase seduto sul materasso bianco, dentro quel caotico alloggio studentesco, accanto a quel ragazzo di cui a malapena conosceva il nome.
 
Per quale motivo?
 
“Non è che… mi hai adocchiato perché mi assomiglia?”
 
Tobio strabuzzò gli occhi, fissandoli sulle iridi sinceramente incuriosite del ragazzino.
 
Distogliendo nuovamente lo sguardo, Kageyama…
 
Chinò mestamente il capo.
 
Non era una visione di cui molti erano stati privilegiati.
Il legale dall’inavvicinabile e freddo sguardo blu, appariva…
 
Abbattuto.
 
“Ha gli occhi… nocciola”
 
Jun dovette sottoporsi a un notevole sforzo fisico per non emanare un acuto squittio.
Non immaginava che quell’uomo avrebbe seriamente rivelato qualcosa riguardante la propria vita privata.
Sembrava inaccessibile, barricato da un portone di ferro a doppia mandata.
 
Neppure Tobio, d’altro canto, aveva idea di cosa diavolo gli stesse accadendo.
 
Perché l’aveva confessato?
Perché non era rimasto in silenzio?
Perché aveva concesso al ragazzino quel dettaglio fondamentale?
Perché?
 
Perché…
 
“Profuma di pesca”
 
Era… stanco.
 
Sfibrato da quella finzione, inscenata persino nei confronti di stesso.
Logorato da quel segreto, da quell’accumulo di verità che gli perforavano il torace, che…
 
Lo avevano ormai scavato fino all’osso.
 
“Ha le labbra a cuore”
 
Voleva sbarazzarsene.
Voleva liberarsene.
Voleva…
 
“E i capelli rossi…”
 
Appoggiando la lattina sul pavimento, allungò la mano sinistra e sfiorò con esitazione le ciocche scure di Jun.
“Folti e ondulati come i tuoi”
 
Voleva rivederlo, ecco cosa.
Parlargli, guardarlo ridere…
Sorridere con lui.
 
“Ti piace sul serio, eh”
 
Quasi come un automa, Tobio risollevò le iridi sul volto di Jun.
 
Il ragazzo accennò un sorriso.
 
“Hai un’espressione trasognata. E’ davvero strano vederla su dei lineamenti tanto seri come i tuoi” spiegò, bevendo un sorso di birra.
Dopo qualche attimo, però, un dubbio s’insinuò nella mente dello studente.
 
“Non che mi riguardi, ma se ti piace così tanto… perché sei venuto con me?”
 
Il volto di Kageyama si rabbuiò.
“Non è semplice”
 
“Perché non dovrebbe? Ti piace sì o no questo tipo dai capelli rossi?” saltò su il giovane allargando le braccia con vigore.
 
Un broncio infantile disegnò la fisionomia del corvino.
“Sì…” bofonchiò.
 
 
“E allora? In fin dei conti, se non sei neppure riuscito ad ammirare il mio bel faccino, è ovvio che t’interessi parecchio” ironizzò con una smorfia.
 
Corrucciandosi tangibilmente, Tobio rimase in silenzio per diversi secondi.
Alla fine, con estrema fatica, riuscì a cincischiare…
 
“Io non… non mi sono mai… trovato in una… in una situazione…”
 
“Non sei mai stato innamorato?”
La domanda di Jun fu pronunciata con aperta meraviglia.
 
Uno sbuffo pregno d’inaspettata amarezza scaturì dalle labbra arricciate del corvino.
 
Lui?
Innamorato?
 
Non prendiamoci in giro.
 
Tobio non sarebbe stato capace di provare qualcosa di neanche lontanamente simile.
Odiava quelle cose, i…
Sentimenti, ecco.
Li aveva sempre reputati superflui, privi di qualsivoglia utilità.
Aveva visto gli effetti arrecati alle persone che gli stavano attorno.
Rallentavano i processi cognitivi, causavano un dispendio temporale ed energetico del corpo umano assolutamente scandaloso.
Altro non erano che endorfine, stimoli cerebrali, astrazioni che lui…
Lui, però…
 
Non…
 
Conosceva.
 
Un tonfo sordo risuonò nella sua cassa toracica come amplificato da migliaia di altoparlanti.
 
Perché aveva continuato a mentire a se stesso?
Perché aveva persistito in quell’inganno che lo avviluppava similmente a del filo attorcigliato a un fuso?
Perché era così fottutamente difficile ammettere che provasse qualcosa di vero per Hinata Shoyo?
 
“Io non so nemmeno cosa voglia dire… essere… innamorato”
 
Era sempre stato disinteressato alle emozioni.
Non lo avevano mai riguardato.
Non le aveva mai comprese.
Emanavano quasi un’aura spettrale, poiché…
 
“Non ho idea di cosa… siano i… sentimenti”
 
Perché facevano parte dell’ignoto.
 
Jun lo fissò con espressione genuinamente disorientata.
“Che vuoi dire?” chiese con spontaneità, cambiando la sua posizione e sedendosi a gambe incrociate proprio davanti al corvino, le mani giunte attorno alla lattina di birra.
 
Sembrava un bimbetto avido di ascoltare lo sviluppo di una storia.
Forse Kageyama aveva alzato troppo il gomito, ma gli ricordava Hinata, per certi aspetti.
Magari anche per quello sembrava così facile parlare con lui.
 
“Che non so nulla di queste cose, né essere i-innamorato né… provare affetto per qualcuno”
sussurrò.
 
Si morse l’interno della guancia con notevole forza.
 
Detestava che esistessero fatti a lui sconosciuti.
Odiava non conoscere una risposta.
Sentirsi in difetto, non abbastanza in alto…
Aveva sempre mirato alla cima, e in un modo o nell’altro avrebbe dovuto raggiungerla.
Quelli, però…
Erano discorsi che non aveva mai affrontato con anima viva.
 
Non era un’ipocrita, lui odiava gli ipocriti.
Non aveva senso discutere di qualcosa di cui neanche lui aveva consapevolezza, no?
E poi…
Discuterne con chi?
 
Lui…
Non aveva veri e propri amici.
Non li aveva mai desiderati, non li aveva in alcuna occasione giudicati una priorità.
Non ne aveva mai avuto necessità.
Era un lupo solitario.
Non lo interessavano i convenevoli, le chiacchiere sconclusionate, le risate immotivate.
Sebbene…
Non potesse realmente definirsi dispiaciuto dei momenti trascorsi in compagnia degli amici di Akaashi-san.
 
Akaashi-san…
Era la persona più somigliante a un amico che avesse mai avuto.
Perché simile, però?
Non era davvero un suo amico?
 
“Non sai cosa si prova o… ne hai paura?” domandò cautamente il ragazzino.
 
Tobio reclinò il capo.
 
Sarebbe stato semplice averne timore se avesse avuto coscienza di cosa si trattasse.
Ma disgraziatamente…
 
“Non so cosa fare perché non li ho mai provati prima d’ora e non so… gestirli. Non ho mai sentito… attaccamento nei confronti di nessuno”
 
Che significava essere amico di qualcuno?
Uscire insieme?
Parlare senza freni?
Apprezzarne le qualità?
 
Tobio stimava indubbiamente il suo senpai.
Riteneva gradevole la sua compagnia, la sua mente razionale e raffinata, il suo buon senso.
Ciononostante…
Akaashi-san era comunque un senpai.
E, pur non badando a quel non piccolo dettaglio…
Non riusciva a sentirsi libero di poter parlare senza freni.
Ammetteva di aver chiesto, seppur sporadicamente, aiuto ad Akaashi, ma per quanto concernesse il campo dei sentimenti…
 
Non gli avrebbe mai potuto confessare quelle verità.
Nonostante lo rispettasse, non era in grado di spingersi a tanto.
Non poteva mostrarsi a carne viva, senza nemmeno un velo di protezione, a colui che sarebbe diventato un giorno il suo superiore.
Nessuno sarebbe mai dovuto venire a conoscenza delle sue enormi lacune.
Non poteva permettere di sentirsi talmente mancante di fronte ad Akaashi.
Certo, l’aspirante magistrato non era cattivo, non avrebbe mai pronunciato nulla di offensivo…
 
Jun lo fissò con occhi spalancati.
“Mai… mai? Nemmeno… che so, amici d’infanzia? O un legame speciale con qualcuno?”
 
Tobio scosse lentamente la testa.
 
Ed era anche vero che Akaashi lo aveva sempre apprezzato pur conoscendo il suo difficile carattere, il suo peculiare modo di essere.
Era probabilmente uno dei motivi per cui si fosse tanto avvicinato a qualcuno per la prima volta.
Fin dai primi tempi dell’università, Akaashi-san aveva compreso la sua essenza e…
L’aveva accettata.
Sapeva bene quanto fosse scostante, dunque non si aspettava che Kageyama si comportasse diversamente da ciò che fosse.
Un atteggiamento che, invece, nessun altro pareva aver assimilato.
 
Non lo sopportava.
 
Perché la gente costruiva illusioni nei suoi confronti?
Se lui si dimostrava fin dal primo istante come una persona fredda, pragmatica, inflessibile…
Perché le persone si sorprendevano se nel lungo termine continuava a comportarsi in tal modo?
Perché non capivano che lui non si atteggiava, ma era davvero così?
Pensavano si trattasse soltanto di una fase momentanea?
Perché a un certo punto parevano improvvisamente non tollerarlo più?
Perché Nakamura, dopo ben due anni in cui sembrava esser consapevole del suo carattere, aveva improvvisamente deciso di non lavorare più per lui?
Non avrebbe potuto dimettersi prima?
Se non lo sopportava, perché non l’aveva sputato fuori subito?
Perché persistere con quel teatrino per due fottuti anni?
Lei così come…
 
Quel medico.
 
Quel fottuto medico dagli strabilianti capelli rossi.
Perché, perché era stato così deluso da lui se aveva compreso con chi stesse avendo a che fare?
Se Tobio era riuscito a ferirlo, nonostante il medico fosse conscio della sua natura…
Allora non aveva senso sperare di rivederlo, no?
 
Anche se…
 
Hinata non aveva accennato a una definitiva rottura del loro rapporto.
Che cosa voleva dire?
Che avrebbe ancora desirato ricontrarlo?
 
“Sai, un po’ ti invidio”
 
Il ragazzino interruppe bruscamente la frenetica riflessione del legale.
 
Si era disteso sul futon, il braccio sinistro sotto il capo e la mano destra a reggere la lattina sopra il viso.
“Io credo di avere… il problema opposto”
“Tendo a farmi travolgere fin troppo dalle situazioni in cui mi trovo e… spesso non riesco a uscirne senza farmi male” sorrise un po’ amaramente, sorseggiando distrattamente la birra.
“Credo di essermi preso fin troppe sbandate per uomini che erano interessati solo a una cosa, da me”
“Ho cercato allora di sfruttare la bellezza a mio vantaggio. Ho tentato di essere io quello che usasse gli uomini. Ho cercato volutamente di catturare il loro interesse. Anche per ricercare solo un po’ di conforto, calore umano. Però…”
 
Sospirò profondamente, chiudendo gli occhi con indolenza.
 
“Mi sono reso conto che, per quanti ragazzi ci provino con me… mi sento sempre solo”
 
Una lunga pausa aleggiò placidamente tra le mura della piccola stanzetta.
 
“Sai, io detesto stare da solo. Penso sia un mio grande difetto. Continuo a ricercare la compagnia di qualcuno che, però, alla fine... si rivela sempre, totalmente, disinteressato a me”
Dischiuse le palpebre, umettandosi le labbra con la punta della lingua.
“Ecco perché mi hai incuriosito, Kageyama Tobio. Nonostante mi fossi sembrato come tutti gli altri, forse anche peggiore per certi versi, hai mostrato alla fine un riguardo che… non mi sarei aspettato. Come se… ci tenessi veramente, a me”
Emise un leggero risolino.
“Hai detto di essere estraneo ai sentimenti, signor faccia cupa. Però…”
Si girò su un fianco in direzione di Tobio, guardandolo dritto negli occhi scuri.
 
“Non ti sei mai sentito… solo?”
 
Il corvino aggrottò le sopracciglia.  
 
Sentirsi solo?
 
La sua quotidianità prevedeva uno stato d’isolamento perenne.
Viveva da solo.
Mangiava da solo.
Dormiva da solo.
Lavorava da solo.
Aveva sempre prediletto la solitudine a qualunque astrusa forma di cameratismo.
Vi si era sempre trovato a proprio agio.
Nessuna conversazione inopportuna, nessuno scocciatore sul piede di guerra, nessun cicaleccio irritante.
Solo il silenzio.
Pacifico, quieto.
 
Un silenzio…
 
Che stava faticando a sopportare, in realtà.
 
“Sono sempre stato solo” mormorò, stringendo le dita attorno alla lattina argentata e provocando un flebile scricchiolio dell’alluminio.
 
Jun parve riflettere per qualche istante.
 
“Non intendo non avere qualcuno accanto come… semplice presenza fisica. ‘Solo’ non inteso come unica persona all’interno di una stanza” cercò di spiegare il ragazzo, corrugando la fronte sommersa dai capelli folti.
“Ma sentirsi solo… nel profondo dell’anima. Come se ti trovassi in un luogo desolato, in un deserto senza nessuno su cui contare. Senza un amico, senza una famiglia. Senza nessuno… che sappia della tua esistenza”
 
Tobio non comprese il motivo per cui quelle parole scavarono un profondo solco nel suo petto.
 
Ne era consapevole, no?
 
Non era indispensabile per nessuno.
Nessuno era essenziale per lui.
Era quella la regola.
Gli era sempre andata a genio.
Non gli era mai importato nulla di talmente…
Talmente…
 
 
“Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?
 
 
“Io non potrei sopportarlo. Ho bisogno di qualcuno che mi stia accanto” confessò Jun con un sospiro.
 
Il bisogno di qualcuno al fianco…?
No.
Lui non aveva bisogno di anima viva.
Era forte.
 
 
“Un Re, un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”
 
 
Ma allora, se era così forte…
Per quale ragione quell’orrenda sensazione di oppressione aveva iniziato a tartassarlo con frequenza sempre maggiore da quando…
Da quando…
 
“Tu però sembri aver trovato questa persona. Si può sapere perché non sei da lui?” Jun mise il broncio.
 
Un fremito percorse la schiena di Tobio.
Perché non era da lui…?
 
“Non ci sentiamo da una settimana. Non saprei come… ricontattarlo”
“Siamo nel ventunesimo secolo, matusa. Hai il suo numero? La sua email?”
Tobio sbuffò un “Sì” piuttosto indispettito.
“E allora che aspetti, scrivigli un messaggio ed è tutto risolto”
Alla conseguente immobilità di Tobio, Jun ghignò malizioso.
“Ti atteggi tanto da duro e poi in realtà sei un fifone? Questa non me l’aspettavo proprio”
“Non sono un codardo!” sbraitò il legale mentre le orecchie s’imporporavano rapidamente.
“Allora forza! Che aspetti? Su, su, qui davanti a me” chiocciò sagacemente, abbandonando la lattina vuota sul pavimento e sdraiandosi a pancia in su con le braccia conserte sopra al materasso.
 
Kageyama guardò quel mocciosetto con un diavolo per capello.
 
Come si azzardava a parlargli così sfacciatamente?
Dargli ordini impunemente?!
E poi, perché stava veramente prestando ascolto a uno studentello squattrinato?
Cosa avrebbe contato la sua opinione, in fin dei conti?
 
“Non è così semplice” sbottò, nonostante fosse intimamente inferocito.
“Sei tu a far diventare le cose complicate” cantilenò il moro roteando gli occhi al cielo.
 
Dio, quel ragazzino lo stava facendo uscire fuori dai gangheri.
Perché si comportava come se si trattasse di una questione basilare?
Perché lo stava facendo sentire un idiota?
Perché il suo atteggiamento scanzonato gli rammentava…
 
Una realizzazione lo colpì in pieno petto.
 
“Non è così… è che…” tentò di spiegare con tono inaspettatamente più tenue.
“L’ultima volta in cui ci siamo visti, io… l’ho ferito”
 
Le sopracciglia scure dii Jun schizzarono agilmente verso l’alto.
 “Ah, questo cambia le cose. Mmmh” rifletté, picchiettandosi il polpastrello sul mento.
“Beh, dovresti farti perdonare…”
“Anche se dalla tua faccia penso che tu non sappia come fare, giusto?” dedusse con espressione eloquente.
Tobio borbottò qualcosa d’incomprensibile, voltando la testa di lato per tentare di nascondere l’imbarazzo.
“Alloooora” iniziò Jun, voltandosi sulla schiena e tamburellando le dita della mano destra sul palmo della sinistra.
“Hai capito il motivo per cui il tuo uomo dai capelli rossi è offeso o comunque deluso da te?”
 
Tobio guardò quel viso dai lineamenti delicati per diversi secondi.
 
Stava continuando a confidare delicate parti di sé, di cui nessuno probabilmente contemplava l’esistenza, a un ragazzino conosciuto appena qualche ora prima.
Nemmeno con Akaashi-san era mai giunto a un livello di confidenza talmente intimo.
Aveva sempre pensato di non riuscire a sbottonarsi.
Non voleva che il senpai lo considerasse un debole.
Eppure, benché non potesse sostenere di discuterne fluentemente...
Stava sorprendentemente conseguendo nell’impresa di confessare a quel tipetto dai folti capelli scuri, senza morire dall’imbarazzo, alcun dei suoi segreti più intimi.
 
Lentamene, il legale annuì.
 
“Allora la cosa migliore che potresti fare è parlarne a tu per tu con lui. Spiegargli il motivo delle tue azioni…”
S’interruppe per riflettere attentamente.
“Però, se fossi in lui, mi piacerebbe qualcosa d’inaspettato da parte tua. Uuh, ci sono! Perché non gli fai una sorpresa?” propose entusiasta.
 
Kageyama sbatté le palpebre.
 
Stava davvero prendendo in considerazione l’opinione di quel ragazzetto?
Dalla mente vivace, senza ombra di dubbio, ma…
Avrebbe veramente ascoltato il suo parere in modo costruttivo?
 
 
“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"
 
 
“Io adoro le sorprese e apprezzerei tanto che il mio… cioè, la persona che mi piace me ne facesse una. Soprattutto se è per chiedermi scusa”
I lineamenti di Jun assunsero un’espressione morbida.
“Può sembrare un po’ superficiale, però… mi farebbe capire che ci tiene sul serio”
 
Forse, quel ragazzino insperatamente sensibile, stava mostrando a Kageyama una nuova prospettiva da cui esaminare la situazione.
Proprio come gli aveva spiegato il piccoletto…
 
“Potresti presentarti sotto casa sua all’improvviso! Magari facendogli un regalino o qualcosa del genere” propose Jun con sincero coinvolgimento.
 
Tobio parve rimuginarvi.
Non era poi un’idea talmente esageratamente balorda.
La complicazione era…
 
“Non so dove abita”
 
Il giovane scrollò le spalle con noncuranza.
“Non è un problema. Non avete conoscenti in comune a cui poter chiedere? Oppure potresti spiegare la situazione a un suo amico cosicché possa darti l’indirizzo. Sono sicuro che capirà. L’importante è mostrarsi sincero del tuo pentimento” illustrò con l’espressione di uno che la sapeva lunga.
 
Tobio si mordicchiò il labbro inferiore.
 
In effetti, quel ragazzino non aveva del tutto torto.
Perché non ci aveva pensato prima?
Non era un ragionamento così difficile.
Dio, era veramente una frana.
Avrebbe avuto bisogno di un corso intensivo sulle relazioni sociali…
 
Sollevò il viso sul giovane, sedutosi nel frattempo a gambe incrociate davanti a lui.
“Ecco… gr-grazie. Per i… consigli… e…”
Riabbassò gli occhi, guardandosi distrattamente l’avambraccio ingessato.
“Per avermi ascoltato” mugugnò con le labbra appena dischiuse.
 
Le pupille di Jun si dilatarono.
“Sai, alla lista di aggettivi con cui ti ho descritto prima, aggiungo l’essere maldestro. Non sembri poi così stronzetto quando fai quella faccia lì” ridacchiò con un occhiolino.
 
La momentanea calma che aveva avvolto Tobio parve dissolversi, sormontata dall’usuale atteggiamento iracondo.
“Ehi, mocciosetto! Ti avevo anche ringraziato! Come ti permetti di-”
 
Le parole del legale furono bruscamente interrotte da morbide labbra al sapore di birra.
 
Un brivido freddo percorse la spina dorsale di Tobio, che si sentì paralizzato sul posto.
 
Con occhi spalancati, guardò il ragazzino pressare la bocca sulla sua e percorrerla appena con la lingua.
Riaprendo le palpebre, Jun si distaccò quel tanto che bastava per poter emettere qualche suono.
“Non ho mai detto che mi dispiaci, però” sussurrò con un piccolo ghigno.
 
Suo malgrado, Kageyama fu costretto a guardare il giovane a distanza super ravvicinata.
 
Le labbra carnose erano decisamente invitanti e quei languidi occhi celesti sembravano attirarlo come una nenia confortante.
Era bello.
Davvero bello, quel ragazzino.
Eppure…
 
“Adesso che hai risolto il problema che ti disturbava, ti va di pensare al tuo caro uomo dai capelli rossi domani?”
 
L’immagine del candido sorriso del medico fu proiettata nella mente volteggiante del corvino.
 
Quei brillanti occhi nocciola, caldi, rassicuranti, traboccanti di…
Emozioni…
 
“Allora, Kageyama-kun?”
 
Era dannatamente avvenente, quello studente.
Sexy, seducente, abile con la lingua…
Però…
 
Un mesto sorriso permise alle labbra di Tobio di sollevarsi all’insù.
“L’ho messo da parte per fin troppo tempo”
 
Non era Hinata.
Semplicemente, non era il suo scricciolo dai capelli color carota.
 
“Mi dispiace” pronunciò guardando il giovane dritto negli occhi.
 
Successivamente a diversi attimi d’immobilità, Jun, inaspettatamente, sorrise.
 
Allontanò il volto dal legale e si risedette a qualche centimetro di distanza.
“Sarei stato parecchio deluso se non mi avessi respinto, signor faccia cupa” rivelò con una smorfietta ammiccante.
Le sopracciglia di Tobio guizzarono dalla sorpresa.
“Anche se, da un lato, sono un po’ geloso” ammise, giocherellando con i bottoni della camicia.
“Nessun uomo si comporterebbe in questo modo… per me” mormorò con un sorrisino triste.
 
Uno strano moto di empatia smosse il torace di Tobio.
Forse, in fondo, lui e quel ragazzino… avevano qualcosa in comune.
Prima che potesse pienamente rendersene conto, si trovò ad aprire bocca.
 
“Quando hai parlato… degli uomini che sono stati con te solo per l’aspetto… non sembrava che ti andasse davvero bene, no?”
 
Jun fu colto alla sprovvista.
Le sue guance si colorarono di scarlatto e gli occhi si abbassarono vergognosamente.
 
“Perché non smetti allora?”
 
Razionalmente sapeva che sarebbe stato preferibile impicciarsi degli affari suoi.
Era il suo precetto di vita.
Tuttavia…
Non poteva negare che quel ragazzino gli fosse stato utile.
O meglio, per essere più garbati…
Lo aveva aiutato.
 
Jun si mordicchiò la guancia, titubante.
 
Però, dopo qualche minuto…
 
Un piccolo sorriso speranzoso si disegnò nuovamente sul suo bel viso.
 
“Ci proverò, signor faccia cupa”
 
 
 
 
 
La prima azione che intraprese Tobio non appena mise piede sul taxi in direzione del proprio appartamento, fu scrivere freneticamente un messaggio.
 
 
3:31
A: Akaashi Keiji
“Akaashi-san, scusami per l’orario inopportuno, ma ho bisogno del contatto di Kozume Kenma. E’ una questione urgente… per favore, rispondimi non appena leggi”
 
 
Sospirò profondamente, accasciandosi mollemente sul sedile dell’autovettura.
 
Auspicava vivamente che Akaashi-san fosse ancora sveglio, nonostante l’ora tarda.
Magari era da poco rientrato dal Rainbow con Bokuto-san.
Era sabato, in fin dei conti.
 
Un grugnito frustrato stridette dalle pareti della sua gola.
 
Se non stavano già dormendo, c’erano però alte probabilità che la coppia stesse divertendosi sotto le lenzuola.  
Erano spesso impegnati con i rispettivi obblighi, quindi non vi sarebbe stato da meravigliarsi se avessero trascorso un sabato notte a recuperare il tempo perduto…
 
E poi, a ben pensarvi, non era neanche sicuro che Akaashi gli scrivesse il numero dell’amico di Hinata.
Avevano raramente scambiato qualche parola.
Sarebbe potuto sembrare invadente.
Insomma, chi diavolo cerca il contatto di qualcuno con cui non si ha quasi mai comunicato alle tre e mezza di un sabato notte?
Era ovvio che Akaashi non avrebbe rivelato così alla leggera il numero del fidanzato del più caro amico di Bokuto-san.
Prima ne avrebbe sicuramente dovuto discutere con Koutaro, che poi forse avrebbe riferito a Kuroo che quasi sicuramente lo avrebbe preso in giro a vita per quella fanfaronata inopportuna.
 
Era tutta colpa di quel ragazzino.
Perché aveva prestato ascolto alle sue parole?
Perché…
 
Un inatteso, fievole ronzio vibrò dalla tasca dei pantaloni del legale.
 
Con un rumoroso ansimo, pescò il cellulare con foga.
Sbloccò il display luminoso e…
 
 
3:43
Da: Akaashi Keiji
“Ricordati di parlargli con calma e di spiegare le tue ragioni con chiarezza. Se lo convincerai, ti aiuterà di sicuro”
 
 
Allegato al messaggio, c’era un contatto email.
 
 
 
***
 
 
 
Un dispettoso raggio di sole filtrò dalle palpebre placidamente serrate di Shoyo.
Un debole grugnito ovattato ne abbandonò le labbra parzialmente dischiuse.
 
Tentò di contrastare la penetrante ondata di luce strizzando gli occhi e girando cocciutamente la testa verso il lato opposto.
 
Avrebbe desiderato dormire per le successive dieci ore consecutive.
 
Abbracciò il morbido cuscino, cercando di ricongiungersi al mondo dei sogni cui era stato burberamente sradicato.
 
Purtroppo per lui, il suo esigente stomaco aveva ben altri piani.
 
Un sonoro brontolio risuonò sfacciatamente per le quattro mura della camera da letto.
 
Sbuffando scocciato, Shoyo si costrinse ad aprire gli occhi e a sedersi mollemente sul materasso.
 
Il bagliore del sole pomeridiano aveva fatto capolino fra le tende accostate della finestra, assurgendo al compito di un’amichevole sveglia.
Dall’angolazione dei raggi, il rosso dedusse che fossero più o meno le due.
La sua pancia non aveva eccessivamente torto a ribellarsi, in effetti.
 
Con un poderoso sbadiglio, stiracchiò vigorosamente i muscoli intorpiditi della schiena sollevando le braccia in direzione del soffitto.
 
Gli ultimi due giorni lo avevano completamente stremato.
Non credeva di essere rimasto immobile per più di qualche minuto, correndo tra emergenze nel reparto e gravi nuovi arrivati al primo soccorso.
La pressante carenza di personale stava incidendo gravemente su tutti i colleghi del Karasuno, causando perfino all’imperturbabile Shimizu-san un inaspettato attacco di nervi.
Scovare il tempo per concentrarsi su un argomento che non riguardasse il lavoro, sarebbe stato assolutamente impossibile.
Avendo terminato il turno appena alle sette di quella mattina, avrebbe sinceramente preferito ributtarsi tra le coperte e consentire al suo corpo di recuperare le energie perdute…
Ma era ben conscio che il suo stomaco non gli avrebbe concesso tregua finché non fosse stato debitamente nutrito.
 
Gattonando fino al margine del letto, poggiò i piedi sul tatami e si alzò con un piccolo balzo.
Stropicciandosi gli occhi camminò a tentoni, sperando vivamente di non inciampare sul disordine sparso per il pavimento, fino alla finestra, spalancandola.
 
La prepotente luce pomeridiana invase la stanza, investendola di rinnovata vitalità.
 
Ispirando profondamente, Shoyo permise alla frizzante arietta ottobrina di avvolgergli garbatamente i polmoni.
Socchiuse le palpebre e guardò verso il basso, dove una sconfinata distesa di arancione, giallo e rossiccio s’intrecciava tra loro in uno strabiliante amalgama di colori.
Un sommesso chiacchiericcio fungeva da sottofondo a quella visione suggestiva che si espandeva a perdita d’occhio.
 
Sul viso del medico si tratteggiò un morbido sorriso.
 
Aveva scelto quella casetta proprio per la prossimità a uno dei più estesi parchi della città, nonostante la struttura piuttosto datata delle fondamenta.
Dal suo secondo piano poteva scorgere ogni giorno un’enorme macchia di vegetazione, dai cui rami provenivano pigolii delle più svariate razze di uccelli.
L’aria che aleggiava nei dintorni era pregna di ossigeno, nulla a che vedere con lo smog imperniato nelle massicce zone urbane della metropoli.
Non avrebbe sopportato di vivere circondato dall’inquinamento e dagli imponenti grattacieli grigi.
 
Dopo un’ultima affezionata occhiata, sfregandosi distrattamente i capelli scombinatissimi, ciondolò fino in bagno.
 
Una rapida doccia e una lavatina ai denti più tardi, s’incamminò a passo spedito nel piccolo open space comprendente cucina e soggiorno.
 
“Buongiorno, Ai-chan” salutò in direzione di una cocorita di un bel verde brillante, schiudendo la porticina della spaziosa gabbia appesa alla parete e ricevendo come risposta uno strascicato “Buongiorno, buongiorno!” che lo fece sorridere di cuore.
“Bacino, bacino” trillò il pappagallino volando fuori dal suo nido notturno e poggiandosi sulla spalla di Shoyo, picchiettandogli amorevolmente le labbra.
“Scusami se sono stato fuori così tanto in questo periodo” si giustificò il medico con espressione colpevole, ricambiando il bacio del piccolo coinquilino.
“Hai fame? Vuoi un po’ di frutta fresca?” chiese massaggiandogli dolcemente la testolina gialla e ridacchiando al “Fame, fame!” che cinguettò la cocorita.
 
Spostando con la gamba un paio di buste nere dal contenuto non identificato abbandonate sul tatami, domandandosi internamente da quanto tempo non ripulisse a dovere l’appartamento, si accinse ad aprire il frigo.
 
“Che tristezza” mugugnò mogio mogio, prendendo nota di quanto non ci fosse tra i ripiani.
 
Aveva davvero procrastinato così tanto per una spesa adeguata?
Non mancavano di certo i conbini dislocati per il quartiere.
Possibile che non consumasse un pasto decente da giorni?
 
“Te la passi meglio di me, Ai-chan” brontolò, pescando una pera dallo scompartimento inferiore e richiudendo tristemente l’elettrodomestico.
“Fame, fame!” squittì il volatile mentre Shoyo lavava minuziosamente il frutto e lo tagliava in piccoli spicchi.
“A chi lo dici” sospirò mentre con una mano porgeva una fetta di pera ad Ai-chan e con l’altra si liberava la fronte dai ciuffi di capelli.
 
Dopo aver spalancato ogni singolo sportello della dispensa, appurò che in casa non rimanesse altro che due sacchi di riso, alghe nori, frutta, carote e uova.
Il suo stomaco protestò animosamente alla penuria di alimenti veri.
 
Si lasciò cadere sul divanetto bianco davanti alla tv, mentre Ai-chan sgranocchiava felicemente il proprio pasto sulla sua clavicola.
 
L’unico piatto contemplabile da poter preparare era il Tamago kake gohan.
L’aveva sempre adorato come colazione, ma in quel momento…
Bramava qualcosa di decisamente più sostanzioso.
Senza considerare che si trattasse piuttosto d’ora di pranzo
Dubitava che un misero tamagoyaki avrebbe potuto saziarlo, ipotizzando che avesse ancora a disposizione un po’ di zucchero.
 
Sbadigliò sonoramente.
 
L’insolita stanchezza pregressa dell’intera settimana si era sommata a quelle ultime quarantottore di pura frenesia, facendolo sentire al pari di uno straccio avvizzito.
Persino l’idea di scendere in strada per comprare un pasto già pronto lo sconfortava.
Non aveva voglia di mettere neanche un piede fuori di casa, quel giorno.
Per quanto lo riguardava, avrebbe potuto dormire fino all’indomani mattina.
 
Alla fine però, vinto dai morsi della fame, si decise ad alzarsi e a mettere a cuocere del riso.
 
Nonostante Ai-chan svolazzasse per la stanza canticchiando allegramente, producendo la sua buona dose di chiasso giornaliero, Shoyo accese la tv sintonizzandosi sui canali sportivi, beccando provvidenzialmente una qualche replica del campionato mondiale di pallavolo.
Il trambusto di sottofondo lo rilassava mentre disponeva le ciotole sul tavolo e improvvisava un pasto che lo avrebbe sicuramente lasciato con lo stomaco gorgheggiante.
 
Detestava essere circondato dal silenzio.
 
Mentre trangugiava avidamente il riso avvolto dal sapore dolciastro dell’uovo, il trillo acuto del campanello scosse la sua mente ancora mezza addormentata.
 
“Campanello, campanello!” gracchiò allegramente Ai-chan, ondeggiando davanti la soglia.
 
Shoyo aggrottò la fronte, vivamente perplesso.
 
Chi mai poteva essere?
 
Non aveva degnato il cellulare di un’occhiata, ma dubitava che Kenma, Yachi o qualcun altro potesse fargli un’improvvisa visita alle due e trenta del pomeriggio.
Un pacco era altrettanto improbabile, non ricordava di aver ordinato nulla.
Posta urgente?
Perché non citofonare allora?
Che avessero trovato il portone d’ingresso già aperto?
Oppure era solo un vicino venuto a chiedergli in prestito qualcosa…
Come se lui possedesse una grande varietà di cibo.
 
“Vieni Ai-chan, aspetta qui un attimo” richiamò la cocorita alzandosi controvoglia dalla sedia, prendendola dalle zampine e appoggiandola delicatamente su uno dei posatoi in legno della voliera, lasciando comunque socchiusa la porticina.
 
Scoccò una veloce occhiata al proprio riflesso sullo specchio a parete della camera da letto.  
 
Non che gli importasse che qualcuno lo vedesse con il pigiama di flanella, ma almeno sperava che i capelli non sparassero impazziti da tutte le direzioni.
 
Tentando di cacciare indietro qualche ciocca ribelle, si diresse verso la porta con un sospiro e con la pancia che emanava fragorose richieste di nutrimento. 
 
“Sì?” aprì senza molto entusiasmo, grattandosi distrattamente la nuca.
 
E…
 
Una paralisi temporanea costrinse il cuore di Shoyo all’immobilità assoluta.
 
L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato in quel sonnolento pomeriggio autunnale, sarebbe stata ritrovarsi due intensi occhi blu come il mare sbattuti impetuosamente sul volto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note finali: ebbene sì, non sono morta (non ancora, almeno).
Se da una parte mi sento di essere “giustificata”, dall’ultimo aggiornamento di aprile fino al trenta giugno sono stata in balia di un esame dopo l’altro, dall’altra devo ammettere che quando è arrivato luglio me la sono presa fin troppo comoda.
C’è anche da dire che questo capitolo non ne voleva proprio sapere di uscire dalla fase di gestazione. Non esagero quando confesso di aver impiegato un intero mese tra ideazione, stesura e correzione. Probabilmente mi sono “scollegata” troppo dalla storia, oppure ho proprio perso l’abitudine di scrivere (tragedia).
Starà a voi giudicare il risultato di tanto sforzo psicofisico.
Spero che almeno mi sia fatta un pizzichino perdonare con la lunghezza del capitolo, venuto fuori come il più lungo (finora) della storia.
Per quanto riguarda invece la narrazione nello specifico:
-Il nome del locale… lo so, è davvero banale. Sono una frana nell’inventare ‘ste cose, scusate c.c
-Il significato di *Jun è obbediente. Sì, Tobio è pessimo a fare battute e io sono più pessima di lui perché gli metto in bocca cose pessime.
Devo essere sincera, questo neo ventenne me lo immagino un po’ come una versione giovincella di Oikawa. Sarà perché adoro pensare a un piccolo Tooru che prenda in giro Kags, sarà perché nonostante lo neghi a Tobio il visetto di Tooru piace parecchio, sarà perché tendo a mettere Oikawa ovunque (no, non si vede che lo amo alla follia, nooooo), fatto sta che è stato naturale per me caratterizzarlo in questo modo.
-La parte hard, chiamiamola così, spero non risulti eccessivamente spinta. Scrivere scene esplicite mi è sempre piaciuto, ma considerando che non è la priorità di questa storia mi sono voluta un po’ limitare nei dettagli. A voi il giudizio.
-Ho sperimentato per esperienza diretta che discutere dei propri problemi (sentimentali e non) con persone cui con non si è particolarmente legati, è sorprendentemente produttivo. Aiutano a ottenere più prospettive oggettive da cui guardare una situazione. Jun non è stato posto a caso, se ve lo stavate chiedendo.
-Il nome ‘Ai-chan’ così come l’idea di un animaletto domestico per Shoyo le ho rubate al pappagallo presente nel manga ‘Suki Toka Arienai!’, letto su MyReadingManga in queste settimane.
-In parole molto povere:
Tamago kake gohan= riso cotto cui si aggiunge un uovo crudo misto a salsa di soia;
Tamogoyaki= frittata arrotolata composta da uova, salsa di soia e zucchero.
-Sono maledettamente lenta, lo so, mi dispiace, cercate di sopportare con me.
 
Che dire di più, siete un sacco a seguire questa storia con assiduità, vi ringrazio dal primo all’ultimo (anche se con questo stacco di quattro mesi non so quanti abbiano ancora voglia di leggerla…).
Se avete dubbi, errori o refusi da segnalarmi fate pure, tenterò di migliorare al meglio delle mie capacità.
La vostra opinione mi fa tirare avanti<3

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Capitolo 10
*** X. Ambigue contraddizioni ***





X

Ambigue contraddizioni






I battiti del cuore di Shoyo si arrestarono bruscamente.

La sua respirazione si spezzò, come se un vigoroso calcio gli fosse stato assestato sullo sterno.

“Ka…Kage…yama?”

Non seppe il modo in cui fu in grado di emettere quell’unico, rauco suono, con la saliva condensatagli in gola similmente ad arido cemento.

Fissò l’uomo con sguardo allibito per quelli che gli apparvero interminabili minuti.  

Non credeva di essere mai rimasto talmente scioccato da qualcosa, prima d’ora.

Frenetiche e deliranti domande iniziarono a vorticargli impazzite nel cervello, regalandogli l’aspetto di una centrifuga priva d’ogni controllo.  

Che ci faceva Kageyama sulla soglia di casa sua?
Come conosceva il suo indirizzo?
Perché lo stava cercando?
Perché era lì??!

Improvvisamente, la bocca del legale si aprì e la voce profonda che ne uscì lo percorse come una scarica elettrica.

“Io… ecco, perdona l’invadenza. Forse… sono stato… inopportuno…”

Tobio s’interruppe, scoccando un’occhiata all’abbigliamento casalingo del medico.  

Il persistente stato di shock di Hinata fu repentinamente rimpiazzato da un terribile senso d’imbarazzo.
La temperatura della sua pelle crebbe vertiginosamente e le guance assunsero presto la colorazione di un pomodoro fin troppo maturo.

Chinò colpevolmente gli occhi sui morbidi pantaloni di flanella a righine azzurre.

Si sentiva veramente… mortificato.

Tobio percepì nello sguardo desolato del rosso qualcosa di profondamente stonato.

Si maledisse internamente per la propria mancanza di tatto.

Possibile che non ne faceva mai una giusta?
Era lì da appena una manciata di minuti e aveva già combinato un casino?
Perché doveva comportarsi sempre in maniera talmente inadeguata?

“Non che mi dispiaccia!” abbaiò con foga, agitando forsennatamente la mano in avanti nella speranza di correggersi.
“Ti sta davvero… cioè trovo che tu… che le righe ti donin… cioè sei, sei… insomma, sei carino con questo dannato coso addosso!!”   

Gli occhi di Shoyo guizzarono verso l’alto, inaspettatamente divertiti nonostante le gote ancora arrossate.

Kageyama stava cercando di…
Rivolgergli un complimento?

Tobio cercò di riacquisire un normale ritmo respiratorio, sebbene avvertisse distintamente il battito cardiaco tra le tonsille.  

“Quello che vorrei dire, è che… mi dispiace per… l’improvvisa intrusione ma… ecco, volevo… volevo solo… vederti”

Un silenzio pregno d’aspettativa colmò l’esiguo spazio che separava i due uomini l’uno dall’altro.

Imbambolato sulla soglia, Shoyo era completamente a corto di parole.
Riusciva solo a scrutare con occhi sconcertati la figura che gli si ergeva dinanzi.
I suoi neuroni erano stati nuovamente risucchiati in un ossessivo loop d’interrogativi privi di risposta.

Kageyama…
Si era scusato?
Aveva desiderato rivederlo?
Mettendo da parte l’orgoglio?
Raggiungendolo persino nella sua abitazione?

Il tenace silenzio perpetrato da Hinata provocò nel corvino la perdita d’ogni briciola di risolutezza rimastagli in corpo.

Si schiarì la voce con espressione abbacchiata, distogliendo goffamente lo sguardo.

“Se… se la mia presenza non è gradita… posso… togliere il disturbo”  

Forse fu quel tono mesto, quasi… sconfitto, a far finalmente reagire le sinapsi di Shoyo.

Sbatté le palpebre, risvegliandosi dalla torpida trance che l’aveva avvolto tra le sue labirintiche spire.

“No! No, io… non voglio che tu…”

Esalò un profondo respiro, tentando di riassestare i nervi in fibrillazione.

Non voleva che Kageyama se ne andasse.
Non voleva che quel titanico gesto d’avvicinamento andasse sprecato.

Riaprì le palpebre e rilassò le spalle rigide.

“Sono soltanto… sorpreso. Davvero sorpreso, Kageyama. Non mi sarei mai aspettato di aprire la porta e... trovarti qui” concluse con voce sommessa, abbassando gli occhi.

Non riusciva pienamente a metabolizzare che il legale si trovasse solo a qualche centimetro da lui.
Era una situazione talmente…

“E’ così assurdo?” domandò Tobio in un borbottio a malapena udibile.

Sì, eccome se lo era.

“Devo essere sincero?” ribatté ironicamente Shoyo con le sopracciglia inarcate.

Compresa l’antifona, Kageyama non si scomodò nemmeno a replicare.
 
Indirizzando nuovamente la propria attenzione sul medico, si soffermò sul vestiario casalingo, i capelli rossi spettinati e…

“Ti ho svegliato?!” chiese improvvisamente trafelato, colto da una terribile realizzazione.

Era un disastro.
Maledizione.
Non poteva credere di averlo disturbato per il suo stupido…

“Nono, mi sono alzato già da un’oretta” lo rassicurò però il medico, abbozzando un’espressione ilare a quell’atteggiamento apprensivo.

Scorgere Kageyama talmente nervoso… era strano, ma gli infondeva tranquillità.
Forse, gli ricordava che anche lui, in fondo, fosse un comune essere umano.

“Te l’ho detto, non mi…”

“Bacino, bacino!”

Il sangue di Tobio gelò inaspettatamente all’interno delle sue arterie.

“Shoyo, Shoyo! Bacino, bacino!”

L’espressione di Shoyo balzò dalla sorpresa.
Voltò velocemente la testa, nascondendosi alla visuale dietro la sbiadita porta in legno.

Il viso del legale s’incupì spaventosamente.
Una familiare sensazione omicida gli avviluppò prepotentemente le viscere.

Ovvio che il medico fosse stato colto tanto alla sprovvista dalla sua impensata apparizione.
La sua reazione adesso appariva perfettamente plausibile.
Perché non aveva considerato quella a dir poco scomoda possibilità?
Credeva di avere davvero il primato sul medico?
Era stato lo stesso Hinata a comunicare con assoluta franchezza il suo desiderio di rivedere l’essere dal rivoltante piercing sulla…

“Ai-chan, stai buono”

Le macchinose congetture di Tobio subirono una rude interruzione.

Ai…?
Cosa?

“Ti ho detto mille volte di rimanere in cucina quando sono alla porta”

Strabuzzò gli occhi, colto alla sprovvista.

Il rosso stava rivolgendo la propria attenzione a qualcosa di colorato che si agitava in maniera inusuale, quasi…
Svolazzando?

Tobio assottigliò le palpebre, interdetto.

Un…

“Campanello, campanello!”

Uccello?

“Insomma, ti sembrano modi?”

Le pupille dilatate di Tobio seguirono lentamente la direzione degli occhi di Shoyo e…

Uno strambo volatile dai colori accesissimi aveva arbitrariamente deciso di rendere la folta chioma del medico il proprio nido.

“Non ci si comporta così davanti a degli ospiti, Ai-chan”

Nonostante il perentorio rimprovero di Hinata, il volatile pareva essere concentrato a fissare con impertinenza Kageyama, che si accigliò infastidito.
Possibile che quell’assurdo pennuto gli stesse rivolgendo un’occhiataccia con quegli antipatici occhietti neri?

All'improvviso il becco giallastro si spalancò emettendo uno stridio acuto, da cui però si riuscirono a identificare due parole.

“Bacino, bacino!”

Shoyo sospirò con rassegnazione.

“Scusami se ti sto ignorando, Ai-chan” si difese, districandosi il pappagallo dai capelli e posizionando le piccole zampine sull’indice della mano destra.
“Ma non sei l’unico a pretendere la mia attenzione per oggi” spiegò con un sorriso, mentre la cocorita gli picchiettava affettuosamente la guancia.

Lo sguardo inebetito di Tobio indugiò su quella scenetta per diversi minuti.

Era un idiota.
Poteva essere più stupido di così?
Si era sul serio ingelosito di un fottutissimo…

“Scusami, dicevamo?”

Non ottenendo risposta, Shoyo si accorse che lo sguardo del corvino fosse ancorato sull’uccello variopinto appollaiatosi sulla spalla.

Una risatina abbandonò vivacemente le sue labbra.

“Kageyama, ti presento Ai-chan. Sembra essere un po’… geloso della tua presenza” ridacchiò allegramente all’espressione buffa del legale.

Ah, era il pappagallo a essere geloso di lui?

“E’ una cocorita di due anni, è molto intelligente e…”

Un sonoro brontolio echeggiò inaspettatamente per tutto l’ingresso.

Le guance di Hinata si dipinsero nuovamente di rosso fuoco.
Per coronare l’imbarazzante situazione, Ai-chan garrì allegramente “Fame! Fame!”

Grazie Ai-chan, grazie davvero.

“Ecco, a dir la verità… stavo pranzando” mugugnò grattandosi impacciato la nuca, non scollando le iridi dal pavimento dell’atrio.

A essere del tutto sinceri, stava letteralmente morendo di fame.

Gli occhi di Tobio, però, mal celavano un bizzarro luccichio.

“Ecco, io… immaginavo che stessi pranzando e… quindi ti… ti ho portato questi” bofonchiò mangiucchiandosi le parole e porgendo al rosso con il braccio teso come un fusto un sacchetto, nascosto fino a quel momento dietro la schiena.

Non riusciva a essere più naturale di così, dannazione?!

Le spalle del medico sobbalzarono dalla sorpresa.
Studiando di sottecchi il viso del corvino, accettò con circospezione la busta offertagli, e...  

Un inatteso odore familiare gli fece strabuzzare gli occhi.

“Nikuman??” esclamò con voce pregna di gioiosa aspettativa.

Non perse tempo a spalancare la busta e a sospirare estasiato, pescando un caldo fagottino bianco e addentandolo voracemente.

L’espressione a dir poco sognante stampata sul volto del medico mentre masticava il morbido panino di carne, stregò l’attenzione di Tobio più di quel che avrebbe potuto immaginare.

Era così strano che degli occhi potessero brillare con tanta intensità per qualcosa di talmente irrilevante, banale.
Faceva persino sembrare che fosse…
Semplice, essere felici.

Lo squisito sapore di carne di maiale aveva ottenebrato i sensi di Shoyo per qualche minuto, permettendogli di dimenticare che si trovasse ancora sull’uscio d’ingresso, in pigiama con Ai-chan sulla spalla e con davanti…

Un singulto strozzato gli sfuggì dalla bocca prima d’ingoiare speditamente il boccone.
Bastava un semplicissimo nikuman a scollegarlo totalmente dalla realtà?

Focalizzandosi nuovamente su Kageyama, si rese conto che il legale lo stava scrutando attentamente.

Gli occhi blu non erano freddi, bensì…
Tiepidi.
Le labbra erano piegate in un…
Sorriso?

Possibile…?

Le gote di Shoyo si colorarono appena.
Non per l’imbarazzo però, quella volta.

Umettandosi il labbro inferiore, spazzando via ogni rimanente briciola, prese finalmente una decisione.

“Vuoi… entrare?” domandò nonostante la trapelante punta d’insicurezza, spostandosi verso il cornicione della porta.

Il cuore di Tobio si cimentò in una spericolata acrobazia.

Hinata l’aveva appena invitato in casa?
Le sue graziose labbra a cuore avevano davvero proferito tali parole?
Il medico aveva seriamente posto da parte il risentimento nei suoi confronti…?

Annuì con vigore, tentando di racimolare la determinazione che l’aveva condotto lì quel pomeriggio, ma che pareva essersi letteralmente volatilizzata non appena aveva pigiato il campanello dell’abitazione del medico.
Era rimasto a fissare per interminabili istanti la targhetta sbeccata recante il nome “Hinata” come se avesse potuto trapassarla con lo sguardo.
Era sembrata l’attesa di un condannato a morte sul patibolo.

Abbozzando un sorrisino, Shoyo indietreggiò, permettendo al legale di entrare.
Si fermarono nel genkan, dove Kageyama s’inginocchiò per sfilarsi i mocassini neri.

Le iridi di Shoyo non riuscivano a staccarsi dal capo chino del corvino nemmeno per un singolo istante.

Era una situazione oltremodo surreale.
Mai, mai avrebbe potuto nemmeno contemplare che Kageyama, quel Kageyama, avrebbe messo piede in casa sua.
Non riusciva a credere che l’interesse del legale… si spingesse a tal punto.


“Insomma Shoyo, ti ha chiesto di uscire perché gli piaci, no? Avrebbe mai agito così se ti avesse ritenuto una persona banale?”


Le pizzicanti parole d’incoraggiamento di Suga gli risuonarono nel cervello come un ammiccante mantra, rasserenando almeno un po’ il suo cuore ballerino.

Riponendo il fagottino sfregiato dal suo enorme morso dentro il sacchetto, al cui interno appurò con estrema felicità vi fossero altri cinque nikuman pronti per esser divorati, Hinata si guardò velocemente intorno.

Non aspettava certamente di ricevere visite.

Passò vergognosamente in rassegna la tavola con il pasto non ancora consumato, il tatami bisognoso di una ripulita, le buste dell’immondizia accatastate accanto al frigorifero…

“E’ piccolo qui” fu la prima constatazione di Tobio non appena si addentrò nell’open-space con ai piedi soltanto i calzini scuri.

Hinata si mordicchiò il labbro inferiore.

“Non… non ho bisogno di molto spazio” si giustificò, mentre un’estranea sensazione di disagio gli fermentava astiosamente dentro il petto.   

Gli occhi di Kageyama sembravano scandagliare il modesto ambiente con particolare interesse.

“Non ho detto che sia una cosa negativa” replicò distrattamente, osservando l’enorme parete a vetri che si affacciava su una moltitudine di alberi dalle rossicce tonalità.
“E’ un posto che ti si addice” osservò pacatamente, lo sguardo smarrito in quella vista autunnale.

Shoyo aggrottò scetticamente le sopracciglia.

“Il disordine?” borbottò ironicamente.

Tobio ritornò a scrutare il viso del medico.

“No” pronunciò con sincera semplicità.

Sollevò appena la mano sinistra e additò la vetrata.  

“Avevi detto che non saresti riuscito a vivere senza un contatto con la natura, quindi è coerente che la tua casa sia accanto a un parco”

Il torace di Shoyo fu pervaso da un sussulto.

Kageyama…
Lo aveva davvero ascoltato?
Si ricordava con precisione la conversazione, avvenuta ormai il mese precedente, al Rikugi-en?
Possibile che l’egocentrismo del legale gli avesse ritagliato un po’ di spazio nella sua mente tanto individualista?

“Anche il disordine è… ecco, parte della tua… estetica?”
 
Il medico sbatté le palpebre, interdetto.

Poi, come se si fosse finalmente risvegliato da quella trance guardinga e circospetta che non lo aveva mai rispecchiato, scoppiò in una fragorosa risata spontanea.


“Non ti complicare la vita. Sii te stesso come sempre e non sbaglierai. A lui, del resto, piaci per questo”


Perché non imparava ad ascoltare i consigli di Suga più assiduamente?

Aveva sperimentato a proprie spese che con Kageyama fosse sempre meglio comportarsi in maniera estremamente genuina.

“Estetica? Ma ti senti quando parli?” lo prese in giro, incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena sulla vetrata della cucina.
“Puoi smetterla di utilizzare questi paroloni quando sei fuori dal tuo studio. Ti fanno sembrare ancora più buffo” sogghignò bonariamente.

Le guance di Tobio s’incendiarono dall’imbarazzo…
Tuttavia, non osò ribattere.  
Sentiva di meritarlo, quel trattamento sardonico.

“E poi, in fondo sei una persona semplice quanto me” considerò il medico scrollando le spalle, facendo alzare in volo Ai-chan.

Tobio corrugò la fronte.  

Semplice come lui…?

“Che vorresti dire?!” obiettò accoratamente, ma il frastuono prodotto dall’animale che gli svolazzava sopra la testa lo distrasse dal tentare di far valere il suo orgoglio.

“Ma non ha una gabbia questo pennuto?” inveì con esagerata veemenza.

Shoyo ridacchiò sotto i baffi.

Nonostante le varie incomprensioni e problematiche trascorse… quell’atteggiamento da testa calda gli era lievemente mancato.

Puntò la mano verso l’alto e in pochi istanti la cocorita si appoggiò sulle sue dita.

“La gabbia di Ai-chan è lì” spiegò, indicando un’imponente voliera accostata nell’angolo tra la televisione e la piccola libreria.
“Ma la utilizza soltanto la notte e quando io non sono in casa. Da solo tutto il giorno potrebbe combinare qualche guaio e farsi male” chiarì, guardando l’animaletto con affetto.
Ai-chan gli rispose strofinando le piume del capo contro la sua guancia.
“Anche se è un uccello, è comunque un essere vivente. Ti piacerebbe vivere rinchiuso in una gabbia tutto il giorno, Kageyama?” chiese in tono stranamente serio.
Come se avesse perfettamente compreso la conversazione, Ai-chan squittì sonoramente “Libero, libero!” e ricominciò a volteggiare graziosamente per la stanza.

Il legale si mordicchiò la guancia, riflettendo sull’implicazione di quella domanda.

“Ha senso” mugugnò alla fine, provocando un sorrisetto vittorioso nel medico.  
Tuttavia, prima di poter aprir nuovamente bocca, fu interrotto da un assordante fischio proveniente dalla tv, che causò come immediata conseguenza l’inizio di una serie di stridenti garriti da parte della cocorita.

Aveva notato, non appena entrato nell’appartamento, che la televisione fosse accesa a un volume decisamente superiore alla norma, ma in quel momento, con l’aggiunta dell’acuto verso del dannato uccello, la situazione stava divenendo intollerabile.

Resistette con uno sforzo alla tentazione di tapparsi le orecchie.  

“Come fai a vivere in mezzo a questo putiferio?” strepitò con voce dolente.

Celando un risolino divertito, Shoyo recuperò in mezzo ai cuscini del divano il telecomando e abbassò il volume della tv di qualche tacca.
“In realtà il rumore mi piace” svelò con un occhiolino, spostandosi poi distrattamente verso la cucina.

Seguendolo, Tobio scorse solo allora il pasto lasciato in sospeso sul tavolo rettangolare.  

“Oh, io… scusami, stavi mangiando e…”

“Non preoccuparti” scosse via il problema il medico, sedendosi per terminare il suo pranzo prima che diventasse del tutto immangiabile.
“E’ un po’ tardi per pranzare, ma ho finito il turno alle sette di questa mattina e ho praticamente dormito fino a poco fa” spiegò mentre afferrava le bacchette e trangugiava la rimanenza di riso nella ciotola azzurrina.
“E in realtà stavo proprio morendo di fame” confessò con la bocca piena.

Tobio arricciò il naso.

Non sapeva se essere disgustato dal modo di mangiare del rosso, di cui aveva già avuto esperienza diretta alla festa di Bokuto-san, o di trovarlo piuttosto…
Carino.

“Non avevo quasi nulla in frigo e anche se adoro il tamago kake gohan non ne avevo proprio una voglia pazza oggi, però non potevo fare altrimenti” continuò quasi senza prendere una pausa tra una parola e l’altra mente persisteva nell’ingurgitare mucchi di riso avvolti nell’uovo.

Il cervello di Tobio lavorava all’impazzata per raccogliere quante più informazioni possibili dalle parole di Hinata, cercando freneticamente di stare al suo passo.
Adorava il tamago kake gohan?
Non aveva nulla da mangiare?
Perché…?

“Quindi la mia domanda è…”

S’interruppe per inghiottire il boccone finale di riso.

“Sei un veggente per caso, Kageyama?”

Le sopracciglia di Tobio schizzarono verso l’alto.

“No, davvero” rise il rosso, passandosi con nonchalance la manica del pigiama sulle labbra.
“Come facevi a sapere che fossi così affamato? E’ anche una bizzarra coincidenza che tu mi abbia portato i nikuman, uno dei miei cibi preferiti… non trovi?” osservò sarcasticamente.

Le guance di Tobio si velarono di uno strato color porpora.

“Siediti e mangia i nikuman con me” esclamò Shoyo d’un tratto, intuendo il disagio crescente nel legale.
Afferrò con entusiasmo il sacchetto ancora tiepido e lo porse a Kageyama, che accettò con un cenno del capo un fagottino di carne e si piegò per sedersi davanti al rosso.
“Puoi sederti anche qui, Kageyama” pronunciò Shoyo con nonchalance mentre arraffava il proprio nikuman e ne divorava con foga la metà rimanente.

Il respiro di Tobio divenne improvvisamente rantolante.

Gli aveva appena chiesto… di sedersi accanto a lui?

Inghiottendo un grumo di saliva e tentando di non lasciar trapelare il proprio nervosismo, Tobio si sedette sulla sedia proprio accanto al medico, addentando il nikuman con maggior pacatezza rispetto al padrone di casa.

In realtà, non comprendeva perché il proprio cuore battesse tanto speditamente.

Si era già trovato a una certa distanza ravvicinata rispetto a Hinata.
Quando erano andati al Rikugi-en erano stati vicini e… diamine, era anche finito con lo stare sopra al medico!
Aveva avuto modo di scorgerne ogni connotato in maniera nitida, ogni piccola lentiggine…
 
Non era una situazione nuova per lui, allora perché reagire così?

Il suo cervello non avrebbe dovuto essere avvezzo a quelle sensazioni?
Al dolce odore di pesca, al modo in cui la sua mascella si muoveva, alle adorabili fossette sulle guance…

“Sono davvero squisiti! La carne è così tenera!” la squillante voce di Hinata giunse ai timpani di Tobio in maniera approssimativa.

Perché gli batteva poderosamente il cuore?

Non era in ansia, il difficile di quella situazione l’aveva passato, no?
Era arrivato lì, aveva racimolato il coraggio necessario per suonare a quel maledetto campanello.
Aveva ammesso le sue colpe, stava cercando di… rimediare, no?
Hinata non aveva detto niente di speciale.
Non aveva pronunciato nulla in grado di ribaltargli lo stomaco e fargli crollare le certezze che aveva sempre posseduto, come molte volte era riuscito in quei due mesi.

Allora…
Perché il solo essere seduti accanto a lui gli provocava quel palpito incalzante?
 

“Ti piace sul serio, eh”


Era per quello?
Era per quella ragione che si sentiva tanto stralunato?
Era così che ci si sentiva quando…

“Questo devo chiedertelo però, Kageyama. Come hai fatto ad avere il mio indirizzo?”

La voce cristallina di Hinata fu come un colpo di frusta per la mente del corvino.

Come aveva fatto a sapere…?

Sbatté le palpebre, incrociando gli occhi con le iridi nocciola del medico, vispe come non mai.
L’espressione curiosa sembrava incoraggiare Tobio a svelare tutti i suoi più intimi segreti.
Non che fosse mai stato complicato interagire con il rosso…

“Io… ecco…” si arrestò, scrutando il fagottino stretto tra le dita come in trance.

Era troppo mortificante rivelare l’effettivo svolgersi degli eventi.
Non poteva mica confessargli d'aver letteralmente implorato Kozume Kenma di…

“Prometto di non prenderti in giro se è una storia imbarazzante” lo precedette Hinata, terminando il nikuman in un boccone e scoccando un occhiolino al corvino.

Tobio assottigliò gli occhi.

“L’ho già sentita questa promessa” sibilò mordace.

Il rosso si lasciò scappare una risatina al ricordo di come l’avesse preso in giro al parco.

“Stavolta non userò trucchetti. Sono davvero curioso di saperlo” assicurò, annuendo con vigore.
“E daaai, Kageyama. Ti ho anche invitato a entrare. Non merito qualche piccola informazione?” cinguettò in tono innocente, allargando gli occhi e inclinando la testa.

Cazzo.
Era esageratamente carino.

Sbuffò simulando fastidio, sebbene in realtà sperasse di non lasciar trasparire il suo rossore.

“Ho chiesto a Kozume Kenma” sputò fuori tutto d’un fiato.

Il viso del medico fu attraversato da un’espressione di sorpresa, seguita da una appena oltraggiata ma imperniata di malizia.

“E come l’avresti convinto a farlo parlare?” domandò perfidamente.

Non era mica stupido.

Kenma non l’avrebbe mai venduto così facilmente senza un adeguato scotto da pagare.  
Soprattutto dopo che la loro ultima interazione era stata l’assoluto disastro della settimana precedente…

Tobio parve preso alla sprovvista da quella domanda.
Non pensava mica che il medico avrebbe preteso di conoscere la modalità con cui fosse venuto a conoscenza di quei dettagli

“Allora, Kageyama?” lo rimbeccò Shoyo  con un sorrisetto diabolico, provocando in Tobio la voglia di affondargli la testa nel sacchetto dei nikuman e soffocarlo.



La verità era che dopo aver ricevuto la risposta di Akaashi ed essere tornato a casa, Kageyama era rimasto sdraiato sul letto a fissare il contatto email di Kenma per interminabili minuti.
Scrivere un messaggio al biondino alle quattro del mattino sarebbe stato assolutamente inappropriato.
Era ben diverso dal rivolgersi ad Akaashi, che, nonostante non riuscisse ancora a considerare un amico nel senso stretto del termine, era decisamente più avvezzo al comportamento di Tobio.
D’altro canto però temeva che se avesse fatto trascorrere troppo tempo avrebbe perso la sua fatidica occasione.
Si sentiva particolarmente motivato dopo le parole di quel ragazzino, Jun, che ancora gli riecheggiavano nel cervello e lo incalzavano a darsi una mossa.


“Potresti spiegare la situazione a un suo amico cosicché possa darti l’indirizzo. Sono sicuro che capirà. L’importante è mostrarsi sincero del tuo pentimento”


Alla fine, con la mente frastornata da tutti gli eventi di quella bizzarra serata, aveva gettato al vento la razionalità che gli impediva di compiere quel piccolo, ma fondamentale, passo in avanti.


4:03
A: Kozume Kenma
“Kozume-san, sono Kageyama Tobio. Ci siamo visti l’ultima volta all’incirca una settimana fa, alla cena con Bokuto-san, Kuroo-san, Akaashi-san e… Hinata. Mi scuso per l’ora, ma ho urgentemente bisogno di un’informazione, ovvero l’indirizzo di Hinata. So che può sembrare una richiesta inopportuna… ma ho davvero la necessità di parlare con lui”




“Ho solo… spiegato le mie motivazioni”

Shoyo emise un tenue sbuffo.

“Non è che non voglia crederti, Kageyama, ma ci vuole ben altro per convincere Kenma a schierarsi momentaneamente dalla tua parte. Soprattutto considerati gli ultimi avvenimenti”

L’allusione del medico non passò certamente inosservata e il legale quasi si strozzò con la sua stessa saliva.

Dio, odiava quello scricciolo.
Ma al tempo stesso…

“Ci prendi gusto a umiliarmi così?” bofonchiò a testa china, non osando incrociare lo sguardo del rosso.

Shoyo parve rimuginare su quella domanda, prendendosi il mento con le dita ed emettendo un mugugno pensieroso.
“Sarei tentato a rispondere di sì solo per prendermi una rivincita, ma la verità è che trovo il tuo imbarazzo piuttosto carino”

Tobio sgranò gli occhi, impreparato a un’osservazione del genere.

Vincendo le proprie resistenze, sollevò il capo sul volto di Hinata e trovò ad attenderlo un’espressione decisamente divertita.

“Allora, me lo dici o no come hai fatto?” rincarò la dose, avvicinando pericolosamente con fare giocoso il viso a quello del corvino, che da parte sua percepì un certo calore espandersi sulle sue gote.

Le iridi nocciola lo guardavano con fervente aspettativa, luccicanti come non mai.

Sospirando sconfitto, quante volte doveva sentirsi sbaragliato da quel pel di carota?!, rammentò malvolentieri lo spinoso scambio di messaggi con Kozume Kenma nel cuore della notte di sabato.



04:05
Da: Kozume Kenma
“Non c’è bisogno di presentazioni, so bene chi sei. Perché dovrei darti l’indirizzo di Shoyo?”


04:07
Da: Kageyama Tobio
“Ho bisogno di parlargli faccia a faccia. Vorrei scusarmi”


04:08
Da: Kozume Kenma
“Non credo allora sia necessario il suo indirizzo di casa. Potete sempre vedervi in ospedale”


04:11
Da: Kageyama Tobio
“Ho bisogno di vederlo al più presto, non posso aspettare la prossima visita. Per favore, Kozume-san”


04:12
Da: Kozume Kenma
“Potevi pensarci prima, Kageyama”


04:14
Da: Kageyama Tobio
“Kozume-san, sto cercando di rimediare. Sono… davvero pentito del mio comportamento e voglio dirlo chiaramente a Hinata. Ho già fatto passare troppo tempo”


04:15
Da: Kozume Kenma
“La colpa è solo la tua”


04:17
Da: Kageyama Tobio
“Lo so, ne sono consapevole. E’ per questo che ho bisogno di vederlo e… ecco, vorrei sorprenderlo in positivo per una volta”


04:18
Da: Kozume Kenma
“Perché dovrei aiutarti?”


04:19
Da: Kageyama Tobio
“Perché sei una delle persona più vicine a Hinata e ho bisogno del tuo consiglio”


04:20
Da: Kozume Kenma
“Ripeto, potevi pensarci prima, non credi?”


04:22
Da: Kageyama Tobio
“Ho sbagliato, Kozume-san, ho sbagliato va bene? Cosa posso fare più che ammetterlo?”


04:23
Da: Kozume Kenma
“Convincermi che non farai soffrire Shoyo un’altra volta.”


04:26
Da: Kageyama Tobio
“Non posso dartene la certezza, Kozume-san. Sono fatto così, non posso cambiare chi sono”


04:29
Da: Kageyama Tobio
“Però conoscere Hinata mi ha fatto riflettere su cose che non avevo mai preso in considerazione… tra cui capire di aver sbagliato nei suoi confronti. Ho bisogno di rivederlo, per favore Kozume-san. Quando sono con lui sento qualcosa di diverso, che non avevo… mai percepito prima”


04:30
Da: Kageyama Tobio
“Voglio vederlo e cercare di spiegargli perché sono fatto così, quello che provo quando sono con lui… e se allora non vorrà più vedermi, va bene. Però… prima voglio provarci, Kozume-san”


04:32
Da: Kageyama Tobio
“Per favore”


04:34
Da: Kozume Kenma
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“Gli ho detto che avevo bisogno di vederti per scusarmi con te…”

S’interruppe, mordendosi con veemenza l’interno della guancia e percependo l’amarognolo sapore del sangue.

“Ed è bastato solo questo?” chiese scetticamente Hinata con un sopracciglio inarcato, non smettendo di scavare con quei suoi occhioni brillanti nemmeno per un istante l’anima di Kageyama.

Tobio sbuffò scocciato, nonostante internamente stesse letteralmente bruciando di vergogna.

“E che ti avrei confessato come mi sento quando ti sto accanto, okay?! Contento adesso, idiota d’un medico?!”

Shoyo sbatté le palpebre più volte, interdetto da quell’improvvisa e fomentata dichiarazione.

Se da un lato percepì la temperatura corporea aumentare vertiginosamente, dall’altro non poté trattenere una smorfia compiaciuta che gli disegnò i lineamenti in pochi secondi.

“Che hai da guardare in quel modo, eh?!” sbottò istericamente Kageyama, le guance in fiamme e l’acuto desiderio di sotterrarsi all’istante.

Una risatina abbandonò con naturalezza le labbra di Shoyo, che si coprì il volto con le mani.

“Kageyama, sei davvero incorreggibile, non c’è che dire”

“Come hai detto scusa?!”

“Sì, hai sentito bene. Come fai anche solo a negare di essere un maldestro omaccione che non sa esprimersi senza arrossire e strillacchiare?”

Tobio lo guardava con un’espressione talmente oltraggiata da provocare nel medico un’ulteriore ondata di risatine.

“Sembra quasi un déjà vu della prima volta che abbiamo parlato come si deve… alla festa di Bokuto-san” mormorò alla fine, un piccolo sorriso che rispecchiava l’espressione morbida del viso, come se fosse immerso in un dolce ricordo nostalgico.

Il nervosismo di Kageyama si acquietò e fissò il medico per qualche minuto.

“Che ne è dell’uomo senza cuore, allora?”

Gli occhi di Shoyo guizzarono sorpresi, riconcentrandosi sull’uomo a pochi centimetri da lui.

A una prima occhiata, il volto del corvino indossava la solita espressione impassibile.
Linea della bocca dritta, occhi freddi.
Tuttavia, se lo si scrutava con maggior attenzione come aveva imparato a fare sue spese…

Poteva chiaramente scorgere una sfumatura di amarezza in quelle iridi scure.
Una tinta di rammarico nella linea delle labbra.
Un ruga di insicurezza nella fronte pallida.

Non seppe esattamente perché, ma avvertì distintamente un moto di emozione all’interno del petto, di natura sconosciuta.

“Penso che all’uomo senza cuore piaccia giocare a nascondino” commentò il medico con un tono di voce difficilmente interpretabile.

Kageyama gli restituì uno sguardo perplesso.

Lo stava prendendo in giro?
O le sue parole celavano un significato ben più profondo?
Che ci fosse una punta di dispiacere…?

“Soprattutto quando è con me” aggiunse con una pizzico di sfacciataggine.

Il legale abbozzò un ghigno scettico.

“Ne sei così convinto?”

“Decisamente, altrimenti non saresti qui”

Le pupille di Tobio si dilatarono, basite.

“Ah, invece è stato Kenma a dirti che mi piacciono da morire i nikuman, vero?” chiocciò Hinata con un occhiolino, afferrando un altro panino di carne dal sacchetto e addentandolo ferocemente.

Il suo stomaco non aveva del tutto dimenticato la fame repressa.

Tobio si grattò distrattamente la nuca.

“Sì” mugugnò, osservando Hinata divorare uno dopo l’altro i nikuman.
“Come è possibile che nonostante tutto il cibo che ingurgiti sei rimasto così piccolo?” ridacchiò senza trattenersi, indugiando più del previsto sulla bocca adornata di briciole del medico.

Shoyo abbozzò, nonostante la bocca piena, un’espressione di ostentato fastidio assottigliando gli occhi e scagliandogli, a suo avviso, un’occhiataccia.

Ingoiò rumorosamente l’enorme boccone.

“Perché, la mia statura ti dispiace, Kageyama?” ribatté con espressione scettica.

Ma perché ogni cosa che proferiva doveva sempre ritorcerglisi contro?!

“Non ho detto questo” squittì Tobio con le guance lievemente purpuree.

Hinata ridacchiò divertito.

“Quindi ti piace?” rincarò la dose con un ghigno malevolo che a Kageyama ricordò vagamente una delle smorfie di compiacimento tipiche di Oikawa.

Si maledisse immediatamente anche solo per aver ipotizzato una cosa del genere.
Perché quell’uomo sembrava avere residenza fissa nei suoi pensieri, cazzo?!

Assottigliando gli occhi con espressione infastidita, si decise a ribattere.

“Sì, ti trovo carino, e allora?”

Hinata fu colto alla sprovvista dall’inaspettata ammissione e quella volta fu il suo turno di avvampare.

Kageyama ridacchiò compiaciuto.

“N-non mi hai ancora detto come hai davvero fatto a convincere Kenma”  tentò di sviare il discorso, chinando gli occhi e simulando nonchalance mentre terminava il quarto nikuman.

Tobio roteò gli occhi e incrociò le braccia al petto, stanco di quell’inutile temporeggiamento.

“Gli ho detto che avrei cercato di spiegarti il mio comportamento e quello che provo quando sono con te”

Hinata si bloccò con il nikuman a mezz’aria e la bocca spalancata, gli occhi quasi fuori dalle orbite.

Dopo qualche istante di assoluta immobilità, in cui prevalsero soltanto il rumore di sottofondo della cronaca della partita in tv, il cinguettio degli uccelli fuori dalla finestra e i garriti sommessi di Ai-chan, Shoyo si azzardò a girare di qualche centimetro la testa.

“E cosa proveresti quando sei con me?” sussurrò in modo a malapena udibile.

Tobio addentò il proprio labbro inferiore, studiando attentamente la mimica facciale del rosso.

“Mi sento… strano”
“Penso a cose che non avevo mai considerato prima. Mi metto quasi in discussione” continuò con voce fioca mentre Shoyo perseverava a non batter ciglio.

“Mi chiedo se il modo in cui abbia sempre affrontato la realtà sia… davvero giusto” mormorò lentamente.

Le spalle del medico sussultarono appena.

“Ma forse mi sto facendo troppo influenzare da un medico idiota con i capelli rossi” concluse con un sorriso dolceamaro.

Il respiro di Shoyo era tremolante.
Il cuore gli batteva all’impazzata contro la cassa toracica.
Le mani che reggevano il nikuman tremavano appena.
Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa…

Quando un acuto garrito stridente risuonò per le pareti della casa, seguito a ruota da molti altri.

Shoyo parve riscuotersi mentre Kageyama non riuscì a impedire l’imprecazione a denti stretti per la frustata ai timpani.

“Ai-chan, stai buono” tentò di richiamarlo il medico, ma la cocorita appariva impegnata nel bel mezzo di un’accesa discussione con un paio di passeri al di là della finestra.

“Come fai a vivere con questo pennuto, si può sapere?!” sbottò nervosamente il corvino, massaggiandosi le tempie per tentare di non sopprimere il volatile nel giro di pochi minuti.

“Te l’ho detto, il rumore mi piace” spiegò Hinata facendo spallucce, alzatosi per accarezzare la testa del pappagallo appoggiato sul davanzale della finestra.
“Mi ricorda casa mia a Miyagi, la mia famiglia è davvero rumorosa” spiegò con un sorriso.

Kageyama corrugò appena la fronte.

“Ho una sorella più piccola che è vivace e movimentata come me, a mia mamma piace cantare e mio padre ha la passione per gli animali, quindi abbiamo sempre avuto cani, gatti, criceti… insomma, a casa mia non ci si annoia mai”

Kageyama non faticò a immaginare il medico in quel frizzante contesto familiare.
Da quella descrizione, sembrava creato appositamente per lui.

“E avete tutti i capelli rossi?” domandò lievemente incuriosito, nonostante cercasse di sopprimere  quell’istinto al meglio delle sue capacità.

Gli occhi nocciola di Shoyo si illuminarono.

“Certo, è una caratteristica di famiglia!” esclamò vivacemente, trottando verso la parete attrezzata della tv per cercare qualcosa tra gli scaffali.

“Accomodati pure sul divano!” lo istruì mentre aveva la testa praticamente all’interno di una delle mensole a scomparti della libreria.

Kageyama obbedì senza ribattere, affondando sui morbidi cuscini del divano bianco e gettando un’altra fugace occhiata intorno a sé.

Era davvero un piccolo open-space, però estremamente confortevole.
Tutto sembrava a portata di mano, dalla modesta cucina al semplice e funzionale soggiorno.
Ciò che però rendeva speciale l’appartamento, era proprio la grande finestra a vetri che inondava gli interni di una meravigliosa luce e specchiava il panorama circostante.
Spostò lo sguardo all’estrema destra del soggiorno che affacciava su un piccolo corridoio, dove presupponeva si trovasse la camera da letto e un piccolo bagno.

Era sempre stato completamente disinteressato alla vita altrui, eppure, in quel momento, provava un irrazionale desiderio di andare a esplorare il rifugio dello scricciolo.
 
“Trovata! Ecco, questi siamo noi qualche anno fa. Natsu, mia sorella, aveva più o meno tredici anni”

Hinata porse a Kageyama una cornice variopinta con all’interno una foto raffigurante quattro volti sorridenti, sullo sfondo di uno sconfinato prato verde puntellato da fiorellini bianchi.

Il primo dettaglio che Tobio notò immediatamente furono i loro sorrisi, praticamente identici, per poi scorrere con maggior attenzione i lineamenti dell’allegra famiglia.

Il padre, un uomo robusto probabilmente sulla cinquantina, aveva un principio di calvizie che gli lasciava scoperta una rilevante zona della fronte pallida, ma i capelli erano ancora di un bel rosso brillante.
La madre, più giovane e decisamente minuta, aveva una cascata di ricci rossi, due grandi occhi nocciola, il volto coperto di lentiggini e le braccia avvolte attorno a un piccolo Spitz bianco con la lingua di fuori.
Accanto c’era Hinata con un sorriso radioso sul volto mentre reggeva un paffuto gatto tigrato e al suo fianco c’era un’esile ragazzina con due lunghe trecce rosse ai lati del viso e lentiggini sul naso proprio come la madre.

“Vi somigliate molto” commentò con voce sommessa mentre continuava ad osservare la fotografia.
“Soprattutto con vostra madre”

Shoyo stentava a credere che Kageyama stesse osservando la sua famiglia con un tenue sorriso stampato sul volto.

“Sì, abbiamo preso entrambi da lei sia la corporatura sia la statura, ma anche gran parte dei lineamenti” concordò, trattenendo la sua palpabile euforia.
“E adesso che Natsu è più grande le somiglia ancora di più”

“Sì, ho notato” osservò distrattamente Tobio con lo sguardo ancora fisso sull’atmosfera felice che aleggiava intorno a quella bella famigliola.

“Hai notato?” chiese perplessamente il medico, inclinando la testa a destra.

Kageyama sollevò il viso verso di lui, non comprendendo la domanda.

“Come hai fatto a notare che le somiglia, se non l’hai mai vista?” ripetè incuriosito.

“E’ la ragazza che è accanto a te in una tua vecchia foto di Line, no?”

Shoyo sbatté le palpebre più volte, ma poi il suo volto si illuminò.

“Oh, è vero! E’ stata la mia foto profilo qualche mese fa, l'avevo dimenticata… ma come fai tu a ricordarla?” domandò con un sopracciglio inarcato e un’espressione maliziosa.

“Era la foto che avevi quando mi hai dato il tuo numero, non è normale ricordarla?” ribatté Tobio come se fosse una cosa assolutamente normale.

Hinata aggrottò la fronte.

“Beh, di solito si rammentano le cose che ci importano di più…” commentò con tono flebile e uno sguardo a metà tra l’aspettativa e la sorpresa.

“Ho una memoria fotografica” si difese il legale abbassando gli occhi e auspicando che i capelli gli coprissero a sufficienza le punte arrossate delle orecchie.

Shoyo trattenne una risatina felice.

Sapeva che quello era il massimo che poteva sperava di ottenere da Kageyama… o almeno, per il momento.

“E tu invece? Com’ è la tua famiglia?” chiese spezzando il disagio del legale, sedendosi sul tatami dinanzi al corvino.

Ancora con la cornice tra le mani, Tobio scrollò le spalle.

“Nella norma, penso. Sono figlio unico”

“Quindi i tuoi genitori si sono dedicati completamente a te” dedusse il medico con sguardo intrigato.
 
“Immagino di sì” mugugnò il legale.

“Non essere timido, deve pur esserci qualcosa di interessante!” saltò su il rosso con il consueto entusiasmo, mentre sulla sua spalla si posava Ai-chan che, a quanto sembrava, aveva smesso di battibeccare con gli uccelli al di là della finestra.

“Sono persone… normali”

Shoyo roteò gli occhi.

“Sei noiosooooo” sbuffò sonoramente, nonostante non vi fosse traccia di fastidio nella sua voce.

“Mia mamma è una maestra d’asilo, le piacciono tantissimo i bambini, giocare con loro e prendersene cura… è una caratteristica che mi ha trasmesso senza nemmeno accorgersene. Avrebbe voluto avere altri figli, però con mio papà non sono mai riusciti… ah, mio papà invece è un biologo, ed è per questo che abbiamo una casa in campagna. A prescindere dal suo lavoro ha sempre amato stare a contatto con la natura… e in effetti è un’altra peculiarità che mi rispecchia. Ho preso tantissimo dai miei genitori” rifletté con espressione pensierosa e il mento fra le dita.

Kageyama non riusciva a raccapezzarsi di quanto speditamente parlasse il medico, con una disinvoltura che lui, nonostante la dialettica fosse uno dei requisiti indispensabili per la sua professione, non possedeva minimamente.

“Sei parecchio legato a loro” fu solo capace di constatare, travolto da quel fiume di indomite parole.

Hinata annuì con vigore.

“Moltissimo! Si sono sempre preoccupati per me e a modo loro hanno sempre cercato di darmi una mano, anche se… beh, qualche volta hanno provato a dissuadermi da ciò che volevo fare”

Kageyama arcuò un sopracciglio, confuso dall’inatteso cambio di tono di Hinata.

“In che senso?”

“Ecco… mi hanno consigliato di valutare altre alternative, oltre quella della medicina” spiegò con voce flebile, pentendosi immediatamente d’aver trascinato la conversazione a quel tedioso punto.

“Perché? E’ una buona professione, dà abbastanza rilievo sociale” ragionò il legale.
“O forse anche loro erano convinti che fossi ridicolo con addosso un camice il triplo della tua statura?” ironizzò con la solita vena indisponente.

Hinata abbozzò un sorriso, memore della loro seconda conversazione in ospedale quando il legale gli aveva spiattellato in faccia senza mezzi termini che non sembrasse assolutamente un medico.
Il ricordo tuttavia non riuscì a strappare il velo di inquietudine che si era adagiato malignamente sul suo cuore.

“Erano preoccupati che, ecco, non facesse per me” pronunciò cercando di rimanere il più vago possibile, carezzando la testa di Ai-chan che gli si era accucciato in grembo.

Nonostante non lo stesse guardando, poteva chiaramente avvertire gli occhi blu di Kageyama trapassarlo in due come una fetta di burro.

“Perché… sono troppo sensibile”

Il suo fu un mormorio talmente fievole da udirsi a malapena, eppure Kageyama lo colse con una nota di familiarità.
Aveva già sentito il rosso parlare con quella sfumatura di tristezza e insicurezza così innaturale, considerata la sua esuberante personalità, e anche allora si era sorpreso.
Era stato…


“Anche se ciò appartiene al passato”
“Ma io spesso non ho la forza di mettere un punto”



Alla festa di Bokuto-san.
Ma a cosa si stava riferendo…?

“Ma la storia più interessante dei miei genitori è il modo in cui si sono conosciuti!”
Shoyo cambiò agilmente discorso, recuperando in un baleno l’abituale verve.

Tobio però aggrottò le sopracciglia, ancora parecchio dubbioso.

Perché quell’atteggiamento restio?
Perché Hinata Shoyo, che avrebbe potuto tranquillamente intraprendere qualsiasi conversazione senza il minimo indugio, aveva specificatamente sviato su un argomento del genere?
C’era qualcosa che non sapeva?
Qualcosa…
Che il medico intendeva fermamente mantenere celata?

“E’ stato davvero un incontro casuale, mio padre stava per finire l’università mentre mia madre, che stava per diplomarsi a scuola, lavorava come baby sitter per arrotondare. Beh, il caso ha voluto che il fratello di mio padre e sua moglie siano dovuti partire per lavoro e abbiano lasciato loro figlio a mio papà per qualche giorno. Il problema però era che mio padre stava studiando come un matto per uno degli ultimi esami prima della laurea e non poteva mica occuparsi di un bimbetto di due anni giorno e notte! Così ha deciso, senza dire nulla a mio zio per non farlo preoccupare, di chiamare una baby sitter e farla lavorare per quei giorni a casa sua, cosicché potesse darle un occhio senza doversi occupare del suo nipotino ininterrottamente” spiegò con euforia e una luce affettuosa negli occhi che incantò Tobio come se si fosse trovato sotto ipnosi.
“Vide il numero di una tata su un giornale e la chiamò subito, aspettandosi di ricevere una donna imponente e autoritaria con parecchia esperienza alle spalle, ma quando aprì la porta di casa… si ritrovò di fronte la mia mamma, che all’epoca aveva appena diciotto anni e la stessa corporatura esile che vedi in quella foto” ridacchiò con un sorriso tenerissimo, che fece letteralmente mancare un battito al cuore del legale.
“Ovviamente non se l’aspettava mica! Però, più che essere colpito per quanto carina fosse mia madre, papà era preoccupato che non fosse in grado di tenere testa a mio cugino, che era un vero e proprio terremoto. Era poi stressato dallo studio e non andò subito d’accordo con mia mamma che invece, nonostante fosse gentile e premurosa, era un peperino! Insomma, non andarono subito d’accordo, mio papà era un tipo un po’ più serio… però mamma si mostrò subito all’altezza delle aspettative e fece vedere che con i bambini ci sapeva proprio fare” puntualizzò con aria orgogliosa.
“Così alla fine tutto filò liscio come l’olio. Mio cugino aveva subito legato con mia mamma e si vedeva che era felice di rimanere con lei e mio papà, nonostante fosse davvero impegnato a studiare e fosse piuttosto scettico… beh, alla fine ha dovuto ricredersi. Mi ha raccontato che l’ha iniziata ad osservare di nascosto mentre giocava con mio cugino e si prendeva cura di lui e si è anche fatto contagiare dal suo buonumore… insomma, quei giorni hanno fatto scattare una scintilla tra loro due” sintetizzò, mettendosi le mani sotto il mento e contemplando il divano con aria sognante.

Razionalmente parlando, a Kageyama non avrebbe dovuto importargliene nulla di quella storia.
In fin dei conti si trattava di persone che non conosceva e che sicuramente non avrebbe mai visto.
Che gliene fregava di come si fossero conosciuti i genitori di Hinata?
Eppure…

“E poi?”  non riuscì a trattenersi dal chiedere con una sfumatura di curiosità.

Ma perché, cazzo?!

Gli occhi di Shoyo guizzarono verso il viso di Tobio, guardandolo dal basso verso l’alto e apparendo ancor più grandi e brillanti.
Un ghigno felice gli adornò le guance.

“Dopo aver dato l’esame mio papà la chiamò di nuovo, dicendole che gli sarebbe servita una mano con mio cugino. Quella volta però rimase con loro e giocarono tutti assieme. Mi ha raccontato che non riusciva a smettere di guardare mia mamma e che era rimasto incantato dal suo sorriso” ricordò con affetto.

Se è come quello del figlio, lo capisco fin troppo” meditò vergognosamente Tobio.

“Fece così per altre tre volte, finché non fu proprio mia mamma ad invitarlo a uscire. Mi dice sempre che non ce la faceva più ad aspettare che mio padre si decidesse a prendersi di coraggio” spiegò ridendo.

“Somigli molto a tua mamma”

Tobio si rese conto troppo tardi d’aver effettivamente dato voce ai suoi pensieri e avvampò dalla testa ai piedi.

Shoyo lo osservò per qualche secondo prima di ridacchiare compiaciuto.

“In realtà… la loro storia sembra familiare, non trovi?” domandò con quell’espressione furba che provocava sempre sentimenti contrastanti nel cuore del legale, che si morse il labbro senza aprir bocca, distogliendo imbarazzato lo sguardo.

“Anche se io ho avuto un po’ più di pazienza” sussurrò il medico tra un falso colpo di tosse e un altro.

Sgranando gli occhi e quasi soffocando nel calore che gli divorava le guance, Tobio abbaiò con irruenza  “Io non sono venuto in ospedale fingendo di aver bisogno di un controllo!”

Shoyo cercò di sopprimere in ogni modo la risata che premeva per sgorgargli dalle labbra.

“Non ti ho minimamente costretto a richiedere espressamente di me, però” gli fece notare astutamente.

Tobio dischiuse la bocca per controbattere con una buona giustificazione, una scusa o qualsiasi cosa, cazzo era la sua fottuta professione se non inventava una salda difesa che avvocato era?!, senza tuttavia riuscire a scovarne neppure l’ombra.

“Non c’è bisogno che ti discolpi” lo risparmiò infine Hinata, impietosito.
“Non mi sono mica dispiaciuto” bisbigliò poi in maniera sfuggente, chinando appena lo sguardo.

Tobio percepì la respirazione perdere il proprio ritmo regolare.

Dio, tra loro due era un continuo tira e mola, un perenne mordi e fuggi.
Come si sarebbe concluso…?

“Quindi? Adesso ti è venuto in mente qualcos'altro sulla tua famiglia? Su, sono curioso, chissà come sono i genitori di un musone cone te” cinguettò Hinata, raddrizzando la schiena e abbracciandosi le ginocchia con le braccia, in una posizione molto simile a quella di un bimbo in attesa di una favola.

Beh, non che Hinata non assomigliasse a un bambino anche per ulteriori aspetti…

“Te l’ho detto, nulla di speciale… mio padre lavora in banca e mia madre nell’amministrazione comunale”

Shoyo emise un verso di assenso.

“Lavorano tutti e due in un ufficio, quindi sarà stato naturale seguire questo modello lavorativo” rifletté.
“E sono persone così serie? Non si spiega altrimenti il motivo per cui tu sia venuto fuori così” lo prese bonariamente in giro, ignorando la rispostaccia infuriata di Kageyama.

“Mio padre probabilmente lo è” sbuffò scocciato.
“Mia madre… è una persona abbastanza dolce, immagino”

Shoyo assunse una smorfia perplessa.

“Ma che significa ‘immagino’ scusa? Non sai capire se una persona è dolce o austera?”

Il silenzio perpetrato da Tobio quella volta non rifletteva né imbarazzo né nervosismo.

Si agitò sul divano, a disagio.

Ripensò alla conversazione della notte precedente con quel ragazzino e alla sua presa di coscienza su certi ostici argomenti.
Forse, se davvero desiderava rispettare la promessa garantita a Kozume, il modo migliore per illustrare le sue ragioni sarebbe stato…

“Faccio fatica a… comprendere i sentimenti delle persone”

Hinata parve pietrificarsi sul posto.

L’intero ambiente della casa sembrava essersi ridotto al silenzio più tombale, come se annullasse persino i vivaci garriti di Ai-chan e il chiasso di sottofondo del televisore.

“Spesso non riesco a intendere le loro reazioni, né interpretare i loro gesti e sguardi”
“E’ come se fossero tutti uguali” mormorò mestamente.
“A volte, quando apro bocca, non capisco davvero perché la gente mi detesti. Cioè, ho afferrato che mi evita la quasi totalità della gente che mi sta intorno, ma spesso non ne capisco il motivo”
“Mi sembra di non dire nulla di male” bofonchiò abbattuto.

Merda.

Shoyo avvertì che un’enorme e oscura area ignota, che costituiva la persona di Kageyama, finalmente prendesse una forma e si costellasse di minuscole luci.

Kageyama non era soltanto uno stronzo patentato che non dava considerazione ai sentimenti ma…
In realtà si comportava in quel modo perché semplicemente non li capiva?!

“Quindi ignori completamente tutta la prossemica” commentò con voce inaspettatamente roca, come se in realtà fosse rimasto in silenzio per molto più tempo di appena qualche minuto.

Tobio corrugò la fronte.

“Pross… cosa?”

Hinata roteò gli occhi.

“Prossemica, Kageyama. Lo studio dei gesti e della distanza delle persone durante un tipo di comunicazione. Non ve la insegnano nelle vostre strambe scuole? Eppure dovrebbe essere una caratteristica importante per un avvocato, no?”

“Perché dovrebbe essere importante capire come gesticola la gente?!”

Shoyo sospirò esasperato.

“Perché da questo si deduce un’enorme componente delle persone, di come si sentono o reagiscono, mi pare ovvio. E da quanto poco tu ne sappia si capisce il motivo della tua ignoranza” scattò con più irruenza di quanto intendesse.

“E perché le persone non parlarono invece di tutte queste cazzate complicate?” reagì con altrettanta veemenza il corvino, affondando le unghie della mano sinistra sul palmo.

“Perché le persone non sono macchine, Kageyama! Sono esseri umani e in quanto tali si comportano! Non tutti riescono a esprimere i loro sentimenti e i loro stati d’animo con le parole e le parole stesse non hanno poi tutto questo gran significato se non riescono ad esprimere come si deve una sensazione, il nostro corpo è molto più onesto!”

Con l’alzarsi dei toni, Ai-chan iniziò a schiamazzare con rinnovata energia, svolazzando sopra le teste dei due uomini quasi atteggiandosi a giudice della loro discussione.

“E’ esattamente per questa ragione che certe volte ho pensato di avere davanti a me una specie di robot piuttosto che una persona in carne e ossa!”

Tobio sentì d’aver ricevuto una sferzata in pieno viso.

Il suo corpo si paralizzò, incapace di muovere un singolo muscolo.
Persino il suo cuore pareva aver cessato di pompare sangue nelle arterie.
Cuore che, però…


“Un cuore che sembri non avere, però”


Era naturale che Hinata non volesse aver più a che fare con lui, no?
V’era abituato, del resto.
Andava bene così.
Esattamente come aveva riferito a Kozume.
Ci aveva provato.
Quel risultato non condizionava minimamente la sua essenza.
Quella minuscola sconfitta non intaccava la sua brillante e immacolata sfilza di vittorie.
Nulla sarebbe cambiato, sebbene avesse ormai ammesso apertamente di provare qualcosa, nei confronti dello scricciolo.
Un risultato calcolato, in effetti.
Andava bene così.
Andava bene così…
No?!

“Però… adesso che conosco la ragione, penso di riuscire a comprenderti un po’ meglio, Kageyama”

Andava bene…
Un momento.
Cosa?
Non…
Non lo stava…
Allontanando?

Percependo lo stato di shock del legale, Hinata ammorbidì l’espressione seria con un sorriso sghembo.

“Cosa, pensavi che non avrei sentito ragioni? Per tua fortuna sono molto più accomodante di te” commentò ironicamente.
“Se avessi voluto troncare i rapporti… non credi che l’avrei già fatto settimane fa al Rikugi-en?”

La voce di Shoyo si era inaspettatamente ridotta a un mero sussurro pregno di differenti sfumature di significato.

Kageyama inglobò quella nuova informazione con sentimenti contrastanti.

Da un lato, v’era la cognizione d’aver ferito oltremodo il medico con qualche suo commento inopportuno sulla futilità dei rapporti umani, schierata accanto alla concreta possibilità d’aver ormai perso ogni diritto di vederlo.
Tuttavia, dall’altro lato della bilancia, si aggiungeva la forza con cui Hinata non lo aveva solo banalmente perdonato, ma aveva incominciato a comprenderlo…
E non aveva intenzione di tagliare i ponti con lui?

“Sei venuto qui perché credevi che non avrei più voluto rivederti?”

Alla domanda del rosso, Tobio riuscì solo ad abbozzare un cenno d’assenso.

Hinata sospirò rassegnato.

“Ne abbiamo ancora di strada da fare, eh…”

Tobio non realizzò subito il motivo, eppure l’udire quella frase fece scattare nel suo cervello qualche assurdo meccanismo.
Forse era colpa della promessa di una sorta di futuro insieme?
Di quella comprensione apparentemente immotivata?
Della fiducia…?

“Sei un enigma, Kageyama Tobio”

“E a me non sono mai piaciuti i puzzle. Si raggiunge la soluzione dopo tanto tempo e pazienza, mentre io preferisco i giochi dinamici. Però…”

Sorrise, un ghigno un po’ inquietante sul suo viso dolce.

“Ho sempre voluto superare i miei limiti”

Senza nemmeno riflettervi, Tobio restituì al medico un sogghigno scaltro.

“Qualcosa in comune allora l’abbiamo”

L’atmosfera di reciproca sfida creatasi attorno ai due venne bruscamente spezzata dalla cocorita che svolazzò proprio davanti il viso del medico garrendo energicamente…  

“Cibo! Cibo!”

“Ai-chan, hai di nuovo fame?”

Shoyo balzò su per prendere il mangime per l’animaletto, ma quando aprì la credenza la desolante vista dei ripiani vuoti lo riportò al dilemma del pranzo.

“Devo sbrigarmi a comprare qualcosa da mettere sotto i denti per questi giorni…” meditò sconsolato ad alta voce, spostando lo sguardo all’enorme finestra che si affacciava sul parco.

I raggi del sole si apprestavano a tramontare all’orizzonte, tingendo il cielo di un meraviglioso arancione rosato.

“Hai altri impegni oggi?” chiese all’improvviso Tobio, alzandosi dal divano.

Shoyo flesse la testa verso destra.

“No, ieri ho fatto il turno di notte quindi rimango a casa fino a domani a pranzo, salvo emergenze impreviste” spiegò mentre imboccava Ai-chan.

“Se vuoi… posso accompagnarti nelle tue commissioni” propose il corvino, grattandosi nervosamente il collo.

Dopo un istante di spaesamento, il viso di Hinata si aprì in un ampio sorriso.

“Certo, se sei disposto a esser trascinato su e giù per il quartiere per riempire come si deve questa casa!”

“Non mi tiro indietro davanti a una sfida”

Shoyo ghignò compiaciuto.

“Dammi qualche minuto” asserì, accennando al suo abbigliamento che, sebbene in un primo momento gli avesse provocato uno smisurato moto d’imbarazzo, per l’intero pomeriggio non gli aveva più arrecato alcun fastidio.  

Dopo essersi cambiato in un paio di jeans stretti e un pullover colorato e aver accompagnato la cocorita all’interno della voliera, il medico si girò verso Kageyama e, con un sorrisetto degno di un bimbetto furbo, propose…

“Facciamo a gara a chi arriva prima al pianterreno?”

Inutile sottolineare che Kageyama, un metro e ottantotto di uomo con una delle reputazioni più spaventose degli studi legali giapponesi, si precipitò fuori dall’appartamento per battere sul tempo quella molla impazzita dai capelli rossi.



 
***



“Fammi capire”

Kuroo allungò le mani in avanti, come se cercasse di aggrapparsi fisicamente a qualcosa.

“Kageyama, il Kageyama che tutti noi conosciamo, ti ha praticamente implorato per ottenere l’indirizzo di Hinata?”

“Esattamente” commentò staticamente Kenma, mangiucchiando una fetta di torta di mele.

“Roba da pazzi” borbottò incredulo, grattandosi i capelli scuri.

“Allora sarà sicuramente successo qualcosa sabato notte!” esclamò con enfasi Bokuto, sbattendo energicamente il pugno contro il tavolo e facendo conseguentemente schizzare come una molla il gatto nero accucciato nello spazio sottostante.

“Koutaro…” sospirò Akaashi, massaggiandosi le tempie con aria stanca.
“Perché ti lamenti che Kaida e Kiku ti graffiano sempre quando ti avvicini a loro se li spaventi ogniqualvolta veniamo qui?”

Bokuto assunse all’istante un’aria contrita e cercò subito di scusarsi con Kaida, saltata nel frattempo in braccio a Kuroo, stendendo la mano per accarezzarla, ma la gattina reagì soffiandogli aggressivamente.

“Quello che non capisco” continuò Tetsurou, ignorando l’interazione fra l’amico e la gatta accovacciata sul suo grembo “è il tempismo. Cosa è cambiato adesso rispetto a una settimana fa?”

“Come dice Koutaro, il suo comportamento dev’essere legato agli avvenimenti di sabato notte, quando eravamo al Rainbow” spiegò Keiji sorseggiando il suo tè verde.
“Era… come dire, abbastanza agitato” osservò soprappensiero.

“In che senso agitato?”

Keiji roteò gli occhi.

“Nervoso, confuso. Quasi non mi sembrava lui… le rare volte in cui mostra uno stato simile all’agitazione sono sempre legate al coinvolgimento di Oikawa-san, quindi stavolta mi sono sorpreso”

“Sembrava non vedesse l’ora di andarsene” aggiunse distrattamente Bokuto, alternando una parola e l’altra a vigorosi morsi su paste dolci ricoperte di panna e fragole.

“Andarsene da noi, più che altro” considerò nuovamente Akaashi, solleticandosi il mento con i polpastrelli.

“Beh, non è che sia stato mai molto socievole quel tipo” puntualizzò Kuroo, sfregando amorevolmente il mento di Kaida che iniziò pigramente a fare le fusa.

“Non per questo, genio. Una delle ultime cose che mi ha detto, mentre discutevamo della situazione con Hinata… era che, probabilmente, la soluzione alla sua cotta sarebbe stata quella di andare a letto con qualcuno”

Kenma si irrigidì, bloccandosi con la fetta di torta tra le labbra.

Kuroo strabuzzò gli occhi, cessando bruscamente di coccolare Kaida, che parve protestare vivamente mordicchiandogli la mano.

“Cosa?! Ma che faccia tosta” proruppe, incredulo.

Keiji inarcò un sopracciglio.

“Che c’è, adesso hai un qualche tipo di moralità, Kuroo-san?” chiese sardonico, giocherellando con la tazza del tè.

“Per chi mi hai preso? Okay, non sono proprio un perfetto esempio da seguire, ma non mi comporterei mai così” ribatté vagamente offeso.

“Perfetto esempio da seguire” sbuffò ilare Bokuto, leccandosi le labbra coperte di panna mentre si apprestava a divorare un’altro pasticcino.

“Che hai da dire eh, scimmione?” lo provocò Tetsurou con un’occhiataccia.

“Quello che voleva dire Kageyama” Akaashi interruppe sul nascere l’infantile lite “era che, secondo lui, la ragione della sua strana attrazione nei confronti di Hinata fosse la mancanza di attività sessuale”

“Ma allora per quale razza di motivo ha voluto l’indirizzo di Hinata nel cuore della notte?” tornò alla carica Kuroo, scoccando un’occhiata laterale a Kenma, ancora serrato nel suo silenzio.

“Per questo credo sia successo qualcosa che gli abbia fatto cambiare idea, dopo che se n’è andato via per i fatti suoi”

“Cioè si è fatto qualcuno, ha constatato che non lo soddisfaceva ed è tornato sui suoi passi sulla nostra little ball of sunshine?” ironizzò Kuroo, bevendo un sorso del suo caffè nero.

“Sulla nostra che?” stridette Koutaro con sguardo interrogativo e la testa inclinata di lato.

“Su Shoyo, Kou” spiegò pazientemente Keiji, passando l’indice sul naso del fidanzato per rimuovere un batuffolo di panna dalla punta cartilaginea.

“Ma poi, perché deve per forza esserci un motivo esterno? Mai sentito parlare di attrazione fine a se stessa?”

“Perché secondo lui, Hinata non dovrebbe nemmeno piacergli”

Kuroo sbatté le palpebre, interdetto, mentre Kenma persistette nel suo stato di inerzia, muovendosi appena solo per accogliere tra le braccia Kiku, geloso delle attenzioni riservate alla sorellina.

Bokuto assunse un’espressione parecchio perplessa.

“Ma perché mai Shoyo non dovrebbe piacergli? E’ la persona più carina e allegra che abbia mai conosciuto, tralasciando il sottoscritto!” esclamò con convinzione.

“Quanta modestia” ridacchiò Tetsurou.

“Kageyama è più complesso di così, Kou” cercò di delucidare Keiji “non riesce ad ammettere facilmente qualcosa che va contro i suoi principi”

“E Shoyo andrebbe contro i suoi principi?” scattò inaspettatamente Kenma, il busto rigido come un fusto a e uno sguardo a dir poco glaciale.

“Uuh, Kenma, fai paura” commentò Kuroo con un sogghigno.

Per la prima volta in quell’assolato pomeriggio, Akaashi chinò lo sguardo, a disagio.

“Kageyama non è cattivo, Kenma. Però… è estremamente convinto che Hinata sia una persona che non combaci con il suo canone”

“E quale sarebbe il suo canone?” chiocciò esilarato Kuroo, sgranocchiando un mochi al cocco.

Keiji si morse il labbro.

“Le persone come lui”

Tetsurou non trattenne una risata sbeffeggiante.

“Non è che esistano così tante persone come lui, eh. Senza offesa”

“Veramente di persone antipatiche ce ne sono parecchie, bro. Vedi un po’ Tsukki… che però non odi mica, anzi” sghignazzò Bokuto.

“In effetti…”

“E poi, scusa Akaashi, ma secondo me Tsukki e Kageyama non andrebbero per niente d’accordo” fece notare Koutaro.

“Già me li immagino fare scintille” ghignò malevolo Kuroo.

“Non intendo ‘persone come lui’ solo nell’antipatia” snocciolò Keiji, non provando minimamente a smentire la constatazione sul caratteraccio dei due amici, anzi semmai sottintendendola.
“Ma con la sua stessa impostazione mentale. Tsukishima, anche se è acido e scostante, non ha poi tutta questa gran voglia di sforzarsi nella vita” chiarì con calma.
“Mentre Kageyama possiede un’ambizione spaventosa”

“Quindi vuoi dire che lui va d’accordo con te perché siete entrambi ambiziosi?” domandò Bokuto, sinceramente spaesato.
“Probabilmente. Ma anche tu sei ambizioso e hai una grande forza di volontà, Kou, per questo gli piaci”

Il viso di Bokuto s’illuminò come un albero di Natale.

“Io piaccio a Kageyama?” squittì come un cucciolo felice.

“Bo versione cagnolino domestico scodinzolante” gracchiò Kuroo, affondandogli l’indice nella guancia, che Koutaro addentò girando rapidamente la testa.

“Perché sento che ci siamo allontanati terribilmente dall’argomento principale?” pensò sconsolato Keiji, cogliendo l’espressione insofferente di Kenma.

“Insomma, quindi a Kageyama potenzialmente piacete solo tu e Bo? Mi sento offeso” proclamò teatrale Tetsurou.

“Ma se l’hai offeso tu fino a un secondo fa” ribatté scettico Bokuto.

“Ho specificatamente detto ‘senza offesa’ quindi la mia non era un’offesa”

“Ma era come se lo fosse”

“Veramente n-”

“Volete far parlare Keiji?!” irruppe finalmente Kenma, strizzando pericolosamente la tazza che reggeva fra le mani.

Come colpiti da un fulmine, Kuroo e Bokuto si pietrificarono all’istante.

“Sei suscettibile oggi, kitten”

“Fai più paura di Akaashi” concordò Koutaro, ostentando un brivido.

“Siete due idioti” sbuffò il corvino, massaggiandosi le tempie per l’ennesima volta.
“Quello che sto cercando di dire, è che Kageyama pensa siano meritevoli di stima, o comunque sopportabili, le persone che come lui abbiano un impianto mentale ben definito. Ambiziosi magari, carismatici, intelligenti…”

“Quindi di sicuro non gli piaci, bro”

Prima che Bokuto potesse accoratamente protestare, Kenma aveva violentemente affondato due dita nel fianco di Kuroo, strappandogli un lamento dolorante.

“Non dico quindi che non debbano essere simpatici, ma in teoria sistematici e razionali esattamente come lui” concluse sfibrato, percependo che quel discorso gli fosse costato un notevole sforzo fisico.

“Mmh” fu l’unico suono emanato da Kenma.

“Tutto questo non ha senso” sentenziò Kuroo, spaparanzandosi sulla sedia e appoggiando la testa sullo schienale, mentre Kaida si accomodava meglio sulla sua pancia.

“Anche perché è stato proprio lui a volere qualche dritta sul come portarlo fuori, no? Perché cambiare idea così all’improvviso?” aggiunse Bokuto, non rassegnatosi a comprendere quell’apparentemente assurda storia.

“Non ha semplicemente cambiato idea… è come se la parte più inconscia e priva di freni della sua mente desiderasse conoscere meglio Hinata, mentre il lato razionale e inflessibile lo rigetta completamente” ipotizzò il corvino.

“E’ contraddittorio”

“Non ho mai detto il contrario. Lo si può capire anche dal suo rapporto con Oikawa-san” esalò  rassegnato.

“Oikawa? Che c’entra il pretty boy?” s’introdusse Kuroo con un rinnovato barlume d’interesse negli occhi ambrati.

“La smetti di parlare in inglese a sproposito?” sibilò innervosito Kenma.

“Ma perché Kenma, oggi mi spezzi il cuore” piagnucolò Kuroo, abbandonando la testa sulla sua esile spalla.

“C’entra perché è una vera e propria ossessione per Kageyama. Lo è sempre stata, fin da quando eravamo all’università”

“Beh, non lo biasimo, Oikawa è un gran bel pezzo di…”

“Non ossessionato da lui in senso estetico, idiota”

“Mi hai sempre detto che Oikawa è un tuo senpai bravissimo, no? Uno che riesce a spaccare in tutto quello che fa” rammentò Bokuto.

“Esattamente. Credo di non aver mai conosciuto una persona tanto brillante… anche se è fastidioso da morire” sospirò Keiji.

“Non che ci voglia molto a infastidirti, Akaashi-kun” cantilenò Kuroo con un ghigno.

“Sì, ma lui è particolarmente irritabile. Comunque, secondo me Oikawa-san rappresenta la persona perfetta per comprendere la contraddizione che è Kageyama. All’inizio ho persino creduto che provasse… una sorta di sentimento, per quanto morboso, nei suoi confronti, ma con il tempo ho capito che non fosse esattamente così. Oikawa è un po’ come la massima aspirazione per Kageyama, eppure non è assolutamente il prototipo dell’uomo freddo e senza scrupoli. Certo, ha una mente calcolatrice come poche, però possiede anche una personalità estremamente capricciosa e infantile. Per certi versi… mi ricorda un po’ Hinata”

“Scusa se ti interrompo, Keiji, ma dove vuoi arrivare con questo discorso?” interferì Kenma, la cui impazienza era ormai parecchio visibile dall’espressione tirata.

“Scusami, sto un po’ divagando… ma penso sia essenziale per riuscire a interpretare le sue azioni. Non mi sento di attaccare Kageyama, lo conosco da tanti anni e ho cercato fin dall’inizio di comprendere i meccanismi che governano la sua mente. Il caso di Hinata è… unico, se così possiamo dire. Nonostante sia palese che provi un interesse nei suoi confronti, si ostina e si è sempre ostinato, fin da quando ha iniziato a parlarmi di lui in maniera indiretta… a negare con forza ogni possibile coinvolgimento nei suoi confronti. Un mese fa, alla festa di Koutaro, credevo che il motivo fosse da ricondursi al suo essere estremamente orgoglioso… ieri, invece, mi ha dato una riposta ben diversa”

“Ovvero?’ pressò Kenma, stanco di quell’estenuante attesa.

Akaashi temporeggiò per qualche attimo, scorrendo i polpastrelli sull’orlo della tazza blu e rimuginando sulle parole pronunciate da Kageyama la sera precedente.


“Eppure, nonostante questo… lui ti piace”
“Non dovrebbe”
“Perché mai non dovrebbe…”
“Perché è un essere debole. Un idiota dalla testa vuota convinto di cose ridicole e fuori luogo”



“E’convinto che Hinata sia una persona debole e… dalle convinzioni ridicole” ammise alla fine.

Vi fu appena un attimo di spaesamento generale prima che Kuroo e Bokuto boccheggiassero all’unisono uno sconcertato “Cosa?!”
 
“E’ esattamente quello he ho pensato anch’io” ribatté Akaashi allargando le braccia.

“Si possono dire davvero tante cose sul piccoletto, però…”

“Questa è proprio da escludere” terminò la frase Bokuto.
“E’ una delle persone più testarde che abbia mai conosciuto!” rimarcò con vigore.

“Non si arrende mai di fronte a un ostacolo” corroborò Kuroo.

“Fino a sbatterci così forte la testa da crollare sfinito” concluse Bokuto annuendo gravemente.

Keiji rifletté attentamente sull’affermazione del fidanzato.

“In effetti… vedendola da questa prospettiva, Hinata è davvero tanto simile a Oikawa”

Kuroo arcuò un sopracciglio.

“Ed è una cosa positiva?”

Akaashi parve ponderare a fondo quell’implicazione.

“E’… curiosa. Anzi, in realtà… potrebbe far luce su molti degli aspetti nascosti di Kageyama. Su molto di quello che non ammette nemmeno a se stesso… un po’ come se ci trovassimo di fronte a due chiavi necessarie per schiuderne il contenuto”

“Per far… cosa?”
Bokuto sembrava aver smarrito il filo del discorso.

“Ammetto di aver difficoltà a seguirti anche io” confessò Tetsurou, giochicchiando con la crestina scura.

“Forse, il motivo per cui è talmente dilaniato… è che nemmeno lui conosce davvero il vero volto né di Hinata… né di Oikawa-san” sussurrò Akaashi, perso tra i suoi complicati ragionamenti.
“E’ solo convinto di conoscerle perché la sua razionalità vede solo ciò che vuole vedere, eliminando tutto quello che non corrisponde alla pretesa del suo ideale”

La voce di Keiji era ormai ridotta a un mero mormorio, gli occhi cobalto immersi nel liquido verde come se potesse immergervisi.

Kuroo e Bokuto lo osservavano sinceramente frastornati… mentre Kenma, al contrario, aveva un’espressione stranamente angosciata.

“Non dovevo dargli il suo indirizzò” bisbigliò, chinando lentamente il capo.

“Non potevi saperlo, Kenma” cercò di consolarlo Kuroo, tuttavia il ragazzo scosse la testa.

“Pensavo che potesse essere una cosa positiva per Shoyo, ma adesso…”

“So che desideri che Hinata non soffra, però è una situazione che prima o poi dovrà affrontare. Shoyo non è un bambino, saprà fronteggiare la situazione di petto”

“Non voglio che si faccia del male”

I tre ragazzi rimasero in silenzio, scrutando con apprensione il volto inquieto di Kenma.

“Non voglio che tutto questo si aggiunga al carico di dolore che già si porta sulle spalle. Un fardello troppo pesante per lui, che… ”

Sospirò sconsolato, appoggiando la fronte pallida sul morbido pelo tigrato di Kiku, che alzò la testolina e miagolò felice.

“Non riesce minimamente a gestire”

 


***



“Gwaah, che azione pazzesca!!!! Peccato però, per riuscire a far punto avrebbe potuto saltare più in alto!”

“Non c’entra nulla saltare in alto, idiota, è la tecnica che gli manca!”

“Non tutto può essere risolto con la tecnica, Bakayama, a volte si deve seguire solo il proprio istinto!”

“Se sei senza cervello allora certo, idiota d’un Hinata!”

Ai-chan schiamazzava beatamente in giro per la casa, come se desiderasse partecipare attivamente al dibattito tra i due uomini semi sdraiati sul tatami ed estremamente concentrati sullo schermo tv, unica fonte di luce, oltre a una piccola lampada gialla, dell’appartamento, altrimenti inondato dal fitto buio della sera.

“Pocché schei schempre coshì fholgare” mugugnò il medico con la bocca piena, afferrando distrattamente una lattina di chuhai al limone sul tavolino dinanzi a sé.

Kageyama non trattene un’espressione schifata.

“Sei disgustoso quando mangi, idiota”

Shoyo gli lanciò un’occhiataccia, sebbene non potesse davvero esser considerata tale con le guance piene fino a scoppiare.

“Palla pe teh” ingurgitò a fatica per bere avidamente la bevanda gassata.

“E tu saresti un medico? Non hai nemmeno l’accortezza di star attento a non soffocare” polemizzò Tobio, sorseggiando la sua birra con nonchalance.

“Pensavo avessimo ormai sorvolato su questo discorso” ribatté vivacemente il rosso, rifocalizzando la propria attenzione sulla partita, mentre avvicinava nuovamente a sé la ciotola di ramen e ne prendeva un’abbondante boccata.

“Non mangiavo così bene da un sacco!” esclamò con un sorriso estasiato, leccandosi avidamente le labbra.

Kageyama arcuò un sopracciglio, ma Shoyo scrollò le spalle.

“Quando sono in ospedale spesso devo arrangiarmi con cose pronte. Non ho il tempo di cucinare nulla di saporito durante le pause… anche se nemmeno tu sei da meno, Kageyama! Ricordo perfettamente di averti dovuto prescrivere delle vitamine extra perché mangiavi sempre cibi precotti” sciorinò con una linguaccia.

“A cena sì, però a pranzo sono abituato a mangiare pasti tradizionali che mi porta la mia…”

S’interruppe repentinamente, percorso da un imprevisto ricordo intenso come una scossa di terremoto.


“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”


Ah, già.

Nakamura…
Non era più la sua segretaria.

Shoyo dovette intuire il blocco del legale, poiché lo scrutò in maniera piuttosto interrogativa.

“La mia segretaria mi portava il pranzo” troncò bruscamente Tobio, ingurgitando un lungo sorso di birra.

“E te lo preparava lei?? I privilegi di un un lavoro di lusso, eh” ridacchiò Hinata scuotendo lievemente la testa.
“Ma perché ti portava? Si è stancata adesso?” scherzò bonariamente.

Tobio reclinò gli occhi sul tatami verdognolo, concentrandovi improvvisamente il proprio interesse.

“Si è… licenziata”

Rammentare quell’avvenimento… non era affatto semplice.

Benché logicamente non dovesse fregargliene proprio nulla, avrebbe sicuramente trovato un’altra assistente magari anche più competente di quella lì, c’era qualcosa in tutta quella vicenda che lo aveva turbato profondamente.
L’associazione mentale che aveva inconsciamente compiuto fra quella ragazza e lo stesso Hinata, le parole che gli erano state rivolte da Kunimi e Kindaichi, che in teoria non avrebbero nemmeno dovuto scalfirlo, eppure…

Shoyo aggrottò le sopracciglia color carota.

“Come mai? Ha trovato un lavoro migliore?” domandò ingenuamente.

Tobio gli scoccò un’occhiata in tralice.

Lo stava chiedendo per valutarlo?
Per capire se in realtà fosse stata corretta l’opinione ‘dell’uomo senza cuore’?
Lo avrebbe detestato se avesse confessato la verità?
Ma poi, che gliene importava se lo avrebbe odiato?
Lui era fatto così, no?!

“Non si trovava bene con me” cercò di essere il più conciso e approssimativo possibile.

Qualunque persona avrebbe riso sonoramente a quell’attenuazione e lo avrebbe sicuramente sbeffeggiato.
Beh, sarebbe stato naturale, no?
Lui era insopportabile a tutti.


“Insomma, chi reggerebbe anche un solo mese con un despota del genere?”
“Dovevi dimetterti molto prima, Nakamura-kun”
“Chi te l’ha fatto fare a rimanere con quel tiranno per così tanto tempo”
“Ti trattava male, vero? Ti urlava contro spesso?”



Era ovvio che la gente lo evitasse e non desiderasse aver nulla a che fare con lui.
Sebbene si fosse sempre proclamato indifferente al loro parere, i volti terrorizzati e ripugnati dei membri del suo studio legale, dei colleghi universitari, addirittura dei compagni di scuola… erano piuttosto ardui da dimenticare.
Ma andava bene così.
Aveva scelto consapevolmente il modo in cui vivere la propria vita…
No?

“Mi dispiace che non siate riusciti a capirvi”

Tobio compresse talmente tanto la lattina di birra stretta nel palmo sinistro da temere che potesse fragorosamente esplodere su tutto il tatami del soggiorno.
Il suo cervello pareva non essere assolutamente in grado di metabolizzare ciò che i timpani avevano appena udito.

A Hinata…
Dispiaceva che loro non si fossero capiti???
Loro??
Aveva incluso lui in quel rapporto di incomprensione??!

“Ricordi quando alla festa di Bokuto-san ti ho paragonato a un bambino?”

Kageyama dovette esercitare tutta la propria forza di volontà per scuotere i neuroni da quello stato di shock.
Riportò faticosamente alla mente la lunga conversazione avvenuta nel giardino dell’agriturismo il mese precedente.

“Non era la prima volta che ti raffiguravo come un bimbo troppo cresciuto, incapace di riuscire a comprendere situazioni che, per un adulto, sarebbero banalissime”

Il corvino non potè fare a meno di accigliarsi e Hinata non contenne una risatina.

“Anche quella volta hai fatto quella faccia. Beh, però lo penso sul serio. Proprio come un bambino, ci sono cose che… devi semplicemente imparare. Che non capisci, forse, perché nessuno te le mai ha insegnate”


“E’ come se non capisse l’importanza delle persone”
“Forse nessuno gliel’ha mai dimostrata”



Rievocare quella lontana conversazione con Yachi, quando ancora tutti gli ingranaggi della loro storia dovevano mettersi in moto…
Nonostante fossero passati solo due mesi, gli provocava una nostalgica sensazione all’interno del petto.
E, beh, confermava che Yachi aveva avuto ragione sin dall’inizio, quando le sue idee su quel collerico legale erano irrimediabilmente confuse.

Tobio abbandonò l’espressione risentita in favore di una decisamente scandalizzata.

“C-cosa?”

“Non sto dicendo ovviamente che la tua mamma non ti abbia insegnato a essere carino con gli altri, o almeno non ci abbia provato, ma penso che il tuo atteggiamento scostante abbia sempre scoraggiato le persone ad avere una relazione più profonda con te, no? Ovviamente qualche amico dovrai averlo pure tu, ma magari ha un carattere simile al tuo, quindi alla fine sei punto a capo” ipotizzò Hinata, grattandosi soprappensiero il mento.
“Naturalmente non sto dicendo che tu non abbia colpa, dovresti lavorare seriamente sulla prossemica e fare uno sforzo per comprendere gli altri…”

Si arrestò, riesumando tutte le occasioni in cui il corvino non si fosse comportato soltanto in maniera scorbutica con lui, altrimenti sarebbe stato piuttosto semplice da tollerare, ma avesse scoperchiato quell’atteggiamento gelido che tanto lo intimoriva, mostrando la sua totale mancanza di considerazione ed empatia verso…
I sentimenti umani.

Forse, adesso, aveva una sorta di spiegazione.

“Non è una giustificazione, però adesso credo di riuscire a comprendere meglio alcune delle cose che hai fatto”

Kageyama ebbe l’impressione che il viso di Hinata nascondesse molto più di quello che stesse effettivamente dicendo.
Era come se si fosse adombrato, un velo di tristezza ad avvolgergli i lineamenti delicati.
Chissà su cosa stava rimuginando…?

“Anche se è strano pensare che tu sia amico di Bokuto-san e non ti sia fatto influenzare dal suo carattere estroverso”

“Bokuto-san non è un mio amico”

Accorgendosi dell’espressione sbalordita di Hinata, Kageyama cercò di riformulare la frase che, si accorse, suonava abbastanza male.

“Cioè, sono… più in confidenza con Akaashi-san. Bokuto-san l’ho conosciuto solo di conseguenza” spiegò lapidario, volendo evitare di ripercorrere il discorso intrapreso con Jun anche con il medico.
In realtà sarebbe stato decisamente meglio vuotare il sacco anche con Hinata, invece di concedergli solo mezze verità che non avrebbero potuto fargli comprendere la situazione nella sua interezza, tuttavia il suo orgoglio aveva già ricevuto un duro colpo la sera precedente, quindi, almeno per il momento, decide di soprassedere.

“Mmmh, in effetti… altrimenti ci saremmo incontrati di sicuro altre volte”

Hinata prese un sorso di chuhai.

“Che strana coincidenza però, non credi? Non avrei mai immaginato di trovarti a quella festa” ridacchiò, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Non ne avevano mai discusso prima d’ora, sebbene fossero trascorse ben quattro settimane.

Kageyama poteva ancora concretamente percepire lo sconvolgimento che il suo corpo e la sua mente avevano provato quando si era ritrovato davanti l’allegro sorriso del pel di carota.
Sbigottimento che si era acuito, fino a tramutarsi in senso omicida, quando quel disgustoso essere dal nome che avrebbe desiderato dimenticare gli si era avvicinato e…

“Ti sei incontrato con Terushima alla fine?!” scattò prima ancora di poter presupporre di frenare la propria lingua.

Hinata sbatté le palpebre, colto alla sprovvista da quella turbolenta domanda.
Poi, però, un sorrisetto mefistofelico germogliò astutamente sulle sue guance rosate.

“Con Teru? Come mai quest’improvviso interesse?” chiocciò scoccandogli un’occhiatina in tralice.

“Sei stato tu a dire che avresti voluto vederti con lui, no?!” ribatté con aggressività il legale, nonostante l’evidente rossore del viso.

Shoyo finse di meditare accuratamente su quell’affermazione.

“Ah sì, l’ho detto?”

Il tono ostentatamente sbadato del medico provocò in Tobio il desiderio di sbattergli la testa contro il muro.

“Sì, l’hai detto la scorsa settima, quando ci siamo incontrati per caso a cena” sputò fuori ogni parola come se volesse inchiodarla a terra.

Per caso, ovvio, non è mica stato tutto organizzato da Bokuto e Kuroo, no no” pensò Shoyo, tentando di non ridere per l’ingenuità del legale, che mal collimava con l’atteggiamento iracondo.

“Se ne sei così sicuro” insistette a prenderlo in giro mentre sorseggiava con disinvoltura il chuhai.
“Però, Kageyama, ho notato che tendi a nominare Teru quasi ogni volta che ci vediamo. Fai intendere che ti piaccia parecchio, non credi?” cantilenò con la voce più soave che riuscì a esalare.

La lattina, ormai probabilmente vuota, nel palmo di Kageyama fu inaspettatamente accartocciata su se stessa.
“Da morire” sibilò a denti talmente stretti da render difficoltosa la fuoriuscita del suono.

Shoyo non fu più capace di trattenere la propria ilarità.

“Ma come Kageyama, per caso non ti va a genio?” trillò simulando sconcerto.

Tobio poteva essere estremamente ottuso, ma non fino al punto da rasentare la stupidità.

“Ti diverti?” mugugnò stizzito.

“Moltissimo” rise il medico, scombinandosi i capelli rossi.
“Puoi dirlo, sai? Non c’è nulla di male”

“Dire cosa” sbottò Kageyama, ancorando ostinatamente lo sguardo sullo schermo della tv, simulando un improvviso interesse per l’azione del capitano della squadra di pallavolo della Corea.

“Che sei geloso di Teru, ovviamente” cinguettò Hinata con un ghigno soddisfatto.

Il viso di Tobio avvampò tanto velocemente da fargli rischiare una combustione interna.

“Io non sono geloso di quello schifo ambulante!!” strillò istericamente, raddrizzando la schiena per imporsi, a modo suo, con la stazza.

“Ahi ahi, povero Teru”

“Non sono geloso di nessuno io! Non ne ho mica bisogno!”

“Si passa dall’innocenza alla superbia in un attimo, eh” commentò Hinata, continuando a sbellicarsi reggendosi la pancia con le mani.

“Quindi smettila di ridere, idiota!!”

“Noooo, non sei assolutamente geloso di nessuno, la tua reazione ne è proprio la prova, sì sì”

Asciugandosi una lacrimuccia con il pollice, il medico provò a domare l’ondata di risa.

“Ma anche se fosse davvero così, che ci sarebbe di male ad ammetterlo? Io sono stato geloso di un sacco di persone in passato, e lo sono tuttora! Quando andavo a scuola ero invidioso di tutti i miei compagni alti, ad esempio” spiegò scrollando le spalle.

Tobio aggrottò le sopracciglia fino a formare un’unica linea dritta sulla fronte pallida.

“Io non sono geloso di nessuno, perché ciò presupporrebbe che siano persone migliori di me” stridette tagliente e Shoyo sospirò rassegnato.

Le vecchie abitudini erano difficili a morire, eh…

“Per questo c’è… solo una persona di cui… sono… geloso”

Il tono del legale si assottigliò tanto fino a disperdersi nell’aria circostante.
Non sapeva neppure perché avesse pronunciato quelle parole ad alta voce.

L’attenzione di Hinata fu prontamente risvegliata.

“Cooooooosa? Esiste qualcuno che abbia questo onore?! E chi sarebbe??” indagò con gli occhi spalancati.

Il volto di Tobio si era colorato di scarlatto.

Perché gli stava concedendo quella preziosa informazione?
Stava deliberatamente ammettendo che ci fosse qualcuno migliore di lui?
Qualcuno che, nonostante tutti i suoi sforzi, ancora risiedeva su un gradino più alto.
Ciò significava ammettere la sua…
Debolezza?
No, non si trattava di debolezza.
Semplicemente, quello là era troppo brillante per gli standard dei comuni mortali.

“Un mio senpai dell’università” mugugnò con sguardo basso.

“Ed è così bravo?” indagò curiosissimo il medico, gattonando fino a sedersi a pochi centimetri dalla faccia del legale.

Kageyama emise uno sbuffo tra l’ironico e l’infastidito.

Bravo è un eufemismo. E’ la persona più talentuosa che esista nel nostro settore. E’ una spanna sopra tutti gli altri, non si può nemmeno competere con lui”

Gli occhi nocciola di Shoyo scintillarono.

“E’ fottutamente… perfetto” guaì insofferente, infilando le dita della mano sinistra fra i capelli.

Shoyo spalancò la bocca, incredulo.

Tu che dai del perfetto a un altro essere umano?”

“Non è un essere umano, ti ho detto che è su un altro livello” irruppe sulla difensiva.

Le labbra del medico si arricciarono in una risatina.

“E allora cosa sarebbe, un alieno?”

“Forse” sputò con veemenza Kageyama, sollevando la testa con supponenza.
“Deve esserlo, se gli sono ancora secondo”

Il medico roteò gli occhi, irritato.

“Sei davvero saccente, non c’è che dire”

“Beh, lui lo è molto di più!”

Shoyo scosse la testa, sconfitto.

“Va bene, va bene. Hai una foto? Sono curioso di vedere con i miei occhi la persona capace di far ammettere all’orgoglioso Kageyama Tobio la sua inferiorità”

“Ancora per poco!” abbaiò il corvino, pescando dalla testa dei jeans il cellulare e scorrendo freneticamente sui social.

“Ma oltre a essere un bravo avvocato, che ha di così speciale? Insomma, perché dici che è così bravo? Vince molte cause?” ipotizzò il pel di carota.

“Non vince solo molte cause, ma è come le vince che importa!” puntualizzò fomentato.
“Riesce sempre a carpire il punto debole del suo avversario, a sfruttarlo a suo vantaggio e alla fine ritorcerglielo contro! Costruisce accusa o difesa in maniera perfetta, non tralascia nulla al caso ma al tempo stesso è in grado di improvvisare anche nei momenti più difficili. Ha un carisma innato, tutta l’aula non riesce a staccargli gli occhi di dosso quando parla, come se fosse sotto ipnosi!”

Hinata percepì un bizzarro senso d’inquietudine a sentir Kageyama elogiare in quel modo una persona che non fosse sé stesso.
Se non l’avesse udito con le proprie orecchie, non l’avrebbe assolutamente ritenuto concepibile.

“Ha una mente calcolatrice, è in grado di manipolare a suo piacimento gli interrogatori dei testimoni e degli accusati, riuscendo a tirargli fuori ciò che vuole”
“Non ho mai conosciuto nessuno come lui” sussurrò alla fine.

Shoyo inghiottì un grumo di saliva, avvertendo le guance accalorarsi.

Possibile che Kageyama fosse infatuato di quella persona?
Non lo aveva mai visto comportarsi in quel modo…

“E’ questo” borbottò Tobio.

Il medico afferrò il cellulare del corvino e percepì i muscoli della mascella allentarsi, fin quasi a sciogliersi.

“E’… questo?” squittì con voce terribilmente acuta.

“Sì. Lo odio”

Hinata per il momento sorvolò sulla contraddittorietà di Kageyama, impegnato a squadrare la foto profilo dell’uomo che rispondeva al nome di ‘Oikawa Tooru’.

“Ovvio che tutta la sala non riesce a staccargli gli occhi di dosso” bisbigliò con una punta di veleno nella voce.

Kageyama corrugò la fronte.
“Cosa?”

Hinata non rispose, perdendosi ad osservare il volto delicato di quell’Oikawa Tooru, il naso all’insù, i grandi occhi bruni, i capelli mossi e perfettamente acconciati color cioccolata, il lungo collo e la pelle priva di imperfezioni… il tutto abbinato a un completo scuro accuratamente stirato che gli sagomava il corpo come una seconda pelle, slanciandone le lunghe gambe e il torso snello.

“Non mi avevi detto che il Grande Re fosse anche un super modello”

Il viso di Tobio assunse un’espressione sconcertata.
“Grande… che!?”

Shoyo sbatté le palpebre, tentando di ridestarsi da quella molesta trance che gli aveva aggrovigliato spiacevolmente le budella.

“Mi è venuto spontaneo” si giustificò sulla difensiva.
“Ti ho sempre immaginato come una specie di Re degli avvocati, però, se c’è qualcuno ancor più bravo di te… allora Oikawa Tooru diventa il Grande Re”

Inutile fu il tentativo del corvino di ignorare le penetranti voci di Kunimi e Kindaichi che gli pungevano le sinapsi.


“E, sempre secondo il suo modesto parere, tutti noi qui dentro siamo degli idioti. Non è forse così, Re?”

“Saprai affrontare una vita di solitudine, Re?”

“Mi domandavo… un Re, un Re tirannico… può continuare a esserlo se privo di sudditi?”



“Ora capisco perché ne sei talmente ossessionato. E’ uno dei ragazzi più belli che abbia mai visto” esalò scoraggiato il medico.

Tobio sentì che una secchiata d’acqua gelida gli fosse stata scaraventata addosso.

“Che?!”

“Non c’è bisogno di nasconderlo, Kageyama. Lo riconosco pienamente”

“No no, frena un attimo” quasi urlò, strappando il telefonino dalle mani del medico e sollevandolo in alto sopra la propria testa.

“Non sono mica ossessionato da Oikawa-san perché è bello! E poi, non ne sono affatto ossessionato, idiota!!”

Hinata assunse una smorfia scettica.

“Non credo a entrambe le cose”

Il legale si abbandonò a un sonoro grugnito.

“Okay, forse Oikawa-san è una mia fissazione, ma non lo è perché è bello! Non… non ci avevo nemmeno fatto caso” sputò con le guance rosse.

Il rosso sfoderò un sorriso sornione.

“Sì, come no, non avevi notato il suo bel faccino”

“Okay, forse ci ho fatto caso, però non è per quello che lo ammiro! Cioè volevo dire, non è per quello che lo odio e lo voglio superare!”

La testa di Shoyo stava per esplodere a furia di inseguire e acchiappare i contorti e discordanti ragionamenti del corvino.

“Non è il mio tipo, non lo rispetto perché mi piace esteticamente!”

“E chi sarebbe il tuo tipo allora?” lo schernì il medico.

“Tu, per esempio”

Il cuore di Shoyo si paralizzò.
Percepiva i polmoni in iperventilazione, mentre le guance gli andavano letteralmente a fuoco.

Nemmeno la faccia di Tobio però si trovava in condizioni migliori, considerato che il rossore aveva assunto una pericolosa sfumatura violacea.

“C-c-c-cioè v-v-volevo dire ch-che mi p-piaci più tu c-che O-oikawa-san, e-ecco” balbettò con gli occhi fermamente saldi sul tatami.

Il cervello di Shoyo aveva la medesima consistenza di una pappetta gelatinosa.

Accantonò momentaneamente tutte le congetture riguardanti il Grande Re, quale potesse essere il suo vero rapporto con Kageyama e la strana contraddittorietà del corvino nei suoi confronti.
I suoi circuiti mentali erano completamente fusi, come se vi si fosse abbattuto un fulmine a ciel sereno.

Il suo stato comatoso avrebbe persistito se non fosse stato per Ai-chan che, forse presagendo il deceduto stato mentale di Hinata, volò in suo soccorso, appoggiandosi sulla sua spalla e garrendo premurosamente.

“Anche tu sei il mio tipo, Kageyama” riuscì alla fine a mormorare con sguardo smarrito.

Per la prima volta dopo tanto, tanto tempo, Tobio avvertì il vuoto dentro il suo petto…affievolirsi.
Come se un calore sconosciuto si facesse spazio tra le voragini cave e le riempisse tiepidamente.

Era una sensazione…
Piacevole.

“Come… come va, il… il braccio? Scusa, non te l’ho nemmeno chiesto nonostante in teoria sia il tuo medico…”

Tobio abbassò lo sguardo sul gesso avvolto all’avambraccio destro che, praticamente con volontà autonoma, si era accostato fino a sfiorare la gamba di Hinata, come se avesse anelato toccarlo.

“Meglio, non mi dà particolarmente fastidio” replicò quietamente.

“Allora posso dedurre che hai seguito la cura” scherzò sommessamente Hinata, avvicinando di qualche centimetro il viso a quello di Kageyama.

“Ci rivedremo presto in ospedale allora?” dedusse il legale con una strana accelerazione cardiaca nel petto, similmente a un’ansia immotivata.

“Sì, sono già passate… sette settimane all’incirca, è arrivato il momento di toglierti il gesso” ribatté Hinata con tono fioco, come se stesse sussurrando e non ne capisse il motivo, cercando di travalicare il suono dei suoi battiti impazziti.

“Ricordi le settimane precise di ogni paziente?” domandò ironicamente il corvino, appoggiando i polpastrelli sulla caviglia scoperta del medico e percependone l’epidermide calda.

“Ricordo ogni cosa dei miei pazienti, non l’hai già imparato?”

“Pensavo che solo alcuni godessero di un trattamento di favore”

“E perché mai dovrebbero? I miei pazienti sono tutti uguali”

“Sei solito invitarli tutti a casa tua, allora?”

“Non tutti i miei pazienti si presentano alla mia porta con in mano il mio cibo preferito”

“Pensi che il paziente abbia scavalcato la linea della privacy?”

Hinata inalò tremante, sentendo il ritmo del cuore direttamente in gola.
“L’ha scavalcata già quando mi ha invitato a uscire”

“Ma il medico non l’ha oltrepassata per primo, elargendo al paziente il suo numero personale?” sussurrò Tobio, sollevando le dita fino ad accarezzare la guancia bollente del rosso.

“Era solo un modo per… essere carino con un paziente problematico” ribatté Shoyo con i polmoni in iperventilazione.
Il contatto tra la sua pelle e i polpastrelli di Kageyama era simile a elettricità, che gli attraversava prepotentemente la spina dorsale.

“Ah, il paziente sarebbe problematico?” sbuffò ironico il legale, avvicinando la punta del naso a quella del medico.

“Mmh mmh, un pericolo pubblico per l’ospedale, si diverte a spaventare gli altri pazienti”

“Il medico se l’è legata al dito, eh” soffiò sulle labbra di Hinata.

“Il medico ricorda sempre tutto” bisbigliò Shoyo con gli occhi nocciola completamente immersi in quelli blu come il mare.

“Il medico è un idiota” mormorò Tobio, la bocca a pochi centimetri da quella del rosso.

“Il paziente è insopportabile” esalò quasi in un sospiro, muovendo appena il capo per chiudere la distanza tra sé e Kageyama, quando…

“Driiiin, driiiin, driiiin”

La magia creatasi tra i due venne improvvisamente spezzata da un rumoroso e fastidioso trillo acuto.

Kageyama parve rendersi conto solo allora della sua posizione, scostandosi dallo spazio personale del medico come se si fosse ustionato.

“E’ la mia sveglia” spiegò Hinata in un sussurro, acchiappando il cellulare poggiato sul tavolino e silenziandolo con uno scatto nervoso del pollice.
“Mi ricorda che devo andare a dormire per essere in grado di svegliarmi in tempo per il turno di domani” aggiunse in tono mesto, cogliendo l’improvvisa distanza che Kageyama aveva nuovamente interposto fra loro.

“Oh, io, mi… mi dispiace, non pensavo si fosse fatto così tardi” balbettò Tobio, alzandosi bruscamente e scoccando un’occhiata fuori dalla finestra a parete, osservando il cielo scuro e le distanti luci della città.

“No, no, non preoccuparti! Non hai… nessuna colpa” mormorò Shoyo, balzando in piedi anche lui e richiamando così l’attenzione della cocorita, che svolazzò agilmente sopra le loro teste.

“Non è un bene trascurare il sonno, soprattuto dopo un turno notturno”

Le labbra di Shoyo si arricciarono all’insù.

“Adesso sei tu il medico?”

Kageyama abbozzò un sorriso che tuttavia fu di breve durata, poiché voltò subito le spalle al pel di carota e si accinse a raggiungere l’ingresso dell’abitazione.

“Grazie per essere passato oggi e avermi accompagnato nelle mie commissioni. Sono stato proprio… bene” pronunciò sommessamente Shoyo mentre guardava il legale infilarsi le scarpe e indossare goffamente il cappotto, aiutandosi solo con la mano sinistra.
“E grazie anche per i nikuman. Erano squisiti” sottolineò con un timido sorriso, aprendo la porta per far spazio al corvino.

Giunto sulla soglia, Tobio si girò, squadrando il medico dal basso verso l’alto.

“Puoi… passare qualche altra volta, sai. Non c’è bisogno di vedersi solo in ospedale” azzardò Hinata mordendosi l’interno della guancia, cercando di non badare al rossore che gli decorava graziosamente le gote.
“Se te lo stai chiedendo, non ce l’ho più con te, quindi puoi smettere di arrovellarti il cervello. Sarai anche grande e grosso, ma hai la testa più ottusa di quella di un mulo” proferì senza riuscire a frenarsi, imperniato da un isterico nervosismo, corroborato dall’anomalo silenzio del corvino.
“Nonostante il caratteraccio però sei riuscito a non farti beccare da Ai-chan. Di solito è gentile con gli ospiti, ma sa riconoscere subito un antipatico quando ne vede u-”

L’agitato sproloquio di Hinata fu bruscamente interrotto da una grande mano che gli avvolse la guancia e uno strano calore che gli inondò le labbra.

Sgranò gli occhi e alla fine, dopo tanto penare, il cuore si riappacificò con i suoi processi cognitivi.

La bocca di Kageyama…

Era posata sulla sua.

Non capì esattamente per quanto tempo rimase tanto esterrefatto da non riuscir a muovere un singolo muscolo.
A un certo punto però, seppe di essere stato in grado di chiudere gli occhi ed alzarsi leggermente sulle punte, raggiungendo Kageyama Tobio con la sua bocca.

Il contatto era… leggero.

Come se il corvino si vergognasse ad approfondirlo.

Le labbra si toccavano e si esploravano a malapena, senza valicare mai i propri confini.

Fu un bacio casto, quasi…
Infantile.

Kageyama fu il primo a distaccarsi, raddrizzando la schiena e osservando il viso di Hinata, il cui colore rassomigliava quello dei suoi capelli, mentre gli occhi nocciola erano tanto grandi da potervisi specchiare senza fatica.

“Buonanotte, Hinata”

Furono le ultime parole che udì prima che il corvino voltasse le spalle e… semplicemente, se ne andasse.

Shoyo sbatté le palpebre più e più volte, frastornato.

“Bacio! Shoyo, bacio!” garrì entusiasta Ai-chan, svolazzando per la soglia come a voler festeggiare il grande e atteso evento.

Shoyo sollevò lentamente le dita e si sfiorò le labbra, calde e appena umide.

Kageyama Tobio, l’iracondo legale dal cuore di pietra, gli aveva appena regalato il bacio più innocente e candido che avesse mai ricevuto.

“Chi sei davvero, Kageyama?” parlò ad alta voce, fissando un punto imprecisato dinanzi a sé, permettendo al proprio corpo di abbandonarsi alle miriadi di sensazioni che lo stavano divorando.

“Vuoi vivere come una macchina disumana, sprezzante di chi sta intorno… ma poi baci come un bambino, ingenuo e senza malizia. Chi sei, tra i due?”

Scandagliò l’angolo in cui era sparito nella tromba delle scale, come se potesse ancora vederlo e potesse rivolgerla a lui, quella fatidica domanda.

“Ma soprattutto… chi, tra i due… vuoi essere?”











Note finali: signore e signori, sono vivaaaaaa (nonostante l’attuale situazione mondiale faccia intendere il contrario).
Paradossalmente è stata proprio questa emergenza a consentirmi di dedicarmi finalmente alla storia o.o
Spero che tutti voi stiate bene!
Era da una vita che non scrivevo, mi mancava da morire T.T
Questo capitolo è praticamente venuto giù da solo, ho iniziato a battere al computer le prime righe e le mie dita non si sono più fermate per 48 ore o.o
Certe volte sento la mancanza della scuola per tutto il tempo a disposizione che mi concedeva il pomeriggio. Potevo scrivere liberamente senza nessuno che mi ricordasse “hai cinquanta esami in un mese quindi muovi il culo e studia”.
Ah, bei tempi.
Arrivando alla storia, non potevo più procrastinare e alla fine siamo arrivati alla parte fluff che molti di voi stavano aspettando (non cantate vittoria troppo presto però, la strada è ancora in salita).
Non siamo troppo lontani dalla fine, a seconda di come organizzerò il tutto penso ci saranno ancora due o tre capitoli, più magari una sorta di epilogo.
Alcuni di voi me l’hanno chiesto, quindi preciso anche qui che il bell’Oikawa arriverà e avrà la sua parte (che anch’io non vedo l’ora di scrivere) :D
Non so sinceramente che altro aggiungere, quindi se avete dubbi/domande/minacce da rivolgermi sentitevi liberi di farlo, così come di farmi presente se notate qualche errore/refuso, please. Vorrei che non mi sfuggisse mai nulla, però purtroppo sono umana e non riesco a correggere sempre tutto ciò che vorrei c.c
Non smetterò mai di ripeterlo, ma sentire la vostra opinione per me è oro, ve ne sono sempre molto grata<3
(Anche se forse non me lo merito, dopo tutta questa attesa).
Mille milioni di bacini a tutti coloro che mi hanno lasciato delle stupende recensioni fino a ora<3
Pregate per me e per la mia capacità di non aggiornare di nuovo fra altri sei mesi.
Ci vediamo ;)

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Capitolo 11
*** XI. Fatalità ***


 
Nota iniziale: non è mia abitudine porre avvertenze prima della fine del capitolo, ma in questo caso mi sembra necessario. A un certo punto della storia si toccano tematiche giuridiche propedeutiche alla trama, tuttavia ammetto la mia totale ignoranza in materia, quindi chiedo anticipatamente scusa a tutti gli esperti e le esperte del settore poiché sparerò sicuramente un sacco di cavolate. Non mi sono documentata a dovere per mancanza di tempo, quindi perdonate le mie imbarazzanti lacune :’)




XI

Fatalità  





07:44
Da: Medico idiota

“Buongiorno Kageyamaaaa! Ti aspetta una giornata pesante oggi?😄”


07:49
Da: Kageyama👹

“Le mie giornate sono sempre pesanti, idiota”


07:50
Da: Medico idiota

“Insulti già di primo mattino? Non perdi davvero tempo😳”


07:52
Da: Kageyama👹

“Ho sempre tempo per insultarti”


07:53
Da: Medico idiota

“Ti ci vuole un po’ di zucchero Kageyama-kun, hai fatto colazione? Non mentire al tuo medico😁”


07:55
Da: Kageyama👹

“Sto andando da Murakami proprio adesso”


07:56
Da: Medico idiota

“Mi viene fame solo a pensarci! Che prenderai?🤤”


07:58
Da: Kageyama👹

“Latte e una fetta di torta, li mangio in ufficio”


07:59
Da: Medico idiota

“Aww, ti piacciono i dolci Kageyama-kun😍”


08:02
Da: Kageyama👹

“Smettila con questo ‘kun’, non mi hai mai chiamato così. Mi infastidisci”


08:04
Da: Medico idiota

“Tanto tu ti infastidisci sempre😝”


08:05
Da: Medico idiota

“Comunque te la prendi comoda, sono le otto e cinque e sei ancora in giro🙄”


08:07
Da: Kageyama👹

“Perché, tu hai già iniziato?


08:08
Da: Medico idiota

“Certo, i comuni mortali iniziano il turno alle otto in punto😡”


08:09
Da: Kageyama👹

“I vantaggi del libero professionista”


08:10
Da: Medico idiota

“Ti stai vantando?”


08:11
Da: Kageyama👹

“Dico solo la verità, idiota”


08:12
Da: Kageyama👹

“Che volevi comunque?”


08:13
Da: Medico idiota

“Ricordarti che puoi passare in ospedale in questi giorni per togliere il gesso, dovresti essere a posto ormai”


08:14
Da: Medico idiota

“E comunque, ho bisogno di una motivazione per parlare con te, Kageyama?”


08:14
Da: Kageyama👹

“Non ho detto questo, idiota”


08:15
Da: Medico idiota

“Però è quello che hai fatto trasparire🙄”


08:17
Da: Medico idiota

“Non ti piace parlare con me?😢”


08:18
Da: Kageyama👹

“Ripeto, non ho detto questo”


08:19
Da: Medico idiota

“E allora cosa avresti detto?”


08:20
Da: Kageyama👹

“Sei un rompipalle”


08:21
Da: Medico idiota

“Come eviti bene il discorso😉”


08:22
Da: Medico idiota

“Timidone😝”


08:23
Da: Kageyama👹

“Non sono timido, idiota”


08:23
Da: Medico idiota

“Non sembra proprio😌”


08:25
Da: Kageyama👹
“Mi farebbe piacere vederti in ospedale”


08:26
Da: Kageyama👹

“Che c’è, sei tu il timido adesso?😏”


08:28
Da: Medico idiota

“Kageyamaaaaaa, sei sleale😣”


08:29
Da: Medico idiota

“Anche a me farebbe piacere, lo sai😄”


08:30
Da: Medico idiota

“Devo andare adesso, ci sentiamo più tardi💛”


Un timido, inusuale sorriso sbocciò sul viso stranamente pacifico di Kageyama mentre varcava la soglia di Murakami, scortato dal suono della campanella che risuonò allegramente nell’affollata pasticceria.

“Kageyama-kun, quale onore” lo salutò Kuroo con un ghigno stampato sul volto.
“Kuroo-san” ribatté il legale accennando un inchino, avvicinandosi al bancone gremito di gente.
“Booo, guarda chi c’è” trillò Tetsurou in direzione del ragazzo con ben sei vassoi distribuiti sugli scoppiettanti bicipiti, che cercava di districarsi tra la folla con scattanti slalom.
“Sono un po’ occupato in questo momento, bro” ribatté ad alta voce Bokuto, chinandosi su un tavolino graziosamente apparecchiato e servendo la colazione a due anziane signore dal sorriso cordiale.
“Mi sa che ti toccherà aspettare, Kageyama, stamattina sembra esserci più casino del solito” si fece sentire Kuroo mentre si destreggiava agilmente tra preparazioni di caffè, cioccolate e tè.

Tobio emise un piccolo sbuffo, gettando un’occhiata all’orologio da polso in acciaio che scandiva impietosamente le otto e trentadue.

Lo scricciolo aveva ragione, era tardi anche per lui.
In teoria lo aspettava il consueto, tedioso meeting mattutino delle nove.

“Kuroo-san, avrei una certa fretta” pressò il legale, cercando di avvicinarsi il più possibile alla postazione del moro, spintonando senza mezzi termini le persone accalcate lì davanti.
“La coda si rispetta, Kageyama-kun” cantilenò Tetsurou con un sorrisetto sardonico, piazzando due caffè sul vassoio di un cameriere dai riccioli chiari che si apprestò celermente a raggiungere il tavolo dell’ordinazione.

Prima che Tobio potesse lamentarsi, Kuroo, occhieggiando il braccio destro avvolto nel gesso,  aggiunse scaltramente “A meno che queste deliziose e gentili fanciulle non vogliano elargire la cortesia a quest’uomo infortunato di passare avanti” sfoderando un sorriso seducente alle due ragazze in prima fila dinanzi al bancone, che, colte in contropiede, arrossirono fino alla punta dei capelli.
“C-certo, prego, passi pure” balbettò la più alta fra le due, i cui occhi era incollati al viso magnetico di Tetsurou che le rivolgeva un malizioso occhiolino.

L’intera scena si svolse davanti a un confuso Kageyama che borbottò un “Grazie” appena accennato e non perse tempo a frapporsi fra le ragazze e la postazione del barista, che gli sorrise furbescamente.
“Il solito, Kageyama-kun?” chiese scaltramente Kuroo, mentre con la mano destra gesticolò a una colega di raggiungerlo al bancone per servire gli altri clienti.

Tobio ebbe appena la prontezza mentale di annuire che un imponente vocione lo fece letteralmente balzare in aria.

“Kageyamaaaa, buongiornoooo! Meravigliosa giornata oggi, eh??”

Il viso di Bokuto era smagliante come il sole, nonostante fosse praticamente sommerso da vassoi colmi di stoviglie e pietanze d’ogni genere.

Guardandolo, suo malgrado, un sorrisino si disegnò sul volto severo di Tobio, che chinò la testa e rispose al saluto con cortesia.

“Ah, come farà il caro Kageyama-kun quando io e Bo ce ne andremo da qui? Senza più alcun trattamento di favore” recitò melodrammatico Kuroo, portandosi il palmo della mano sul petto mentre con l’altra versava spigliatamente il latte nel bicchiere da asporto a righine celesti.
“Questo posto perderà in simpatia e buonumore” concordò Koutaro annuendo gravemente.

Kageyama aggrottò le sopracciglia, non comprendendo immediatamente a cosa si riferissero i due.
Dopo qualche istante però rammentò nitidamente la conversazione avvenuta ormai tre settimane prima durante la cena in cui si era ritrovato faccia a faccia con Hinata.


“Dovresti aver finito entro i prossimi due mesi. Smettila di scoraggiarti”
“Cosa farò senza di te, bro? Le giornate saranno così noiose!”
“Avevi detto che non appena se ne sarebbe andato Kuroo avresti accettato il lavoro al Tokyo Metropolitan Gymnasium”



Ah, già.

Kuroo-san e Bokuto-san se ne sarebbero andati da lì in poco più di un mese.

Una strana sensazione di pesantezza gli si adagiò sul petto.

In pochi istanti un flusso di ricordi gli scorse davanti agli occhi, come se stesse velocemente sfogliando un album pregno di fotografie.
Ogni frammento d’immagine ospitava la pasticceria Murakami… ma, insieme a essa, anche due svettanti figure strampalate, una con un’indomabile crestina scura e l’altra con un’eccentrica pettinatura grigia.
Mattine frenetiche in cui riusciva sempre ad acchiappare la colazione in orario per poi dirigersi in ufficio, pomeriggi trascorsi a lavorare su quei graziosi tavolini gustando yogurt fresco o una calda tazza di tè, serate trascorse in compagnia di Akaashi-san, tra le provocazioni di Kuroo-san e gli scherzi di Bokuto-san…

Uno dei pochissimi luoghi da lui prediletti, dal mese successivo sarebbe divenuto un posto qualunque.                    
Un monotono locale scevro di alcuno stimolo.
Privo di… vita.

Che senso avrebbe avuto continuare a frequentarlo?

Tuttavia, riflettendovi attentamente…
La domanda da porsi era un’altra.

Perché aveva perseverato a recarsi ininterrottamente da Murakami?

Era innegabile che si trovasse nelle vicinanze del suo appartamento e sfornasse quotidianamente torte deliziose per ogni palato.  
Era un luogo tranquillo, non c’era chiasso e le canzoncine di sottofondo lo aiutavano a concentrarsi nel lavoro, preferendole nettamente al silenzio opprimente della sua abitazione.

Eppure c’erano tanti altri locali che avrebbe potuto raggiungere con altrettanta facilità.

Perché si era ostinato a non provarne mai qualcun altro?
Perché era sempre rimasto fedele a quella determinata pasticceria?

Era stato Akaashi-san il primo a fargliela conoscere, ormai quasi tre anni prima, ed era divenuta un’abitudine incontrarsi lì almeno una volta alla settimana.
Il motivo che spingeva Akaashi a prediligere Murakami però era la presenza di Bokuto-san.
Lui non era legato da alcun motivo che lo riguardasse personalmente.
Non era un tipo abitudinario, dunque…

Per quale motivo?

Aveva agito inconsapevolmente per tutto quel tempo?

Il suo cervello aveva ricercato la presenza di quei due omoni virulenti e affettuosi, bramandone la compagnia…?


“Non ti sei mai sentito… solo?”


Le parole di Jun gli risuonarono in mente come un mantra persistente.

Possibile che la sua mente avesse inconsciamente desiderato una scappatoia a quello stato di isolamento che da sempre si era autoimposto…?

Il suo attaccamento a quel locale, considerato uno dei suoi luoghi preferiti…

Era dovuto alla capacità di alleviare la solitudine che lo avvolgeva altresì in ogni circostanza della sua vita?

Un’ondata di shock travolse il legale come un’onda anomala inaspettata, inzuppandolo dalla testa ai piedi e lasciandogli una sensazione di gelo sull’epidermide.

Non gli piaceva.

Non gli garbava per nulla la piega intrapresa dagli eventi negli ultimi mesi, colpevoli di aver aperto uno squarcio imprevisto e indesiderato nel suo cervello, facendo confluire concetti e congetture che non sapeva nemmeno gli appartenessero, sepolti sotto svariati strati di autodisciplina…
Ma che adesso influenzavano la sua psiche in maniera irreparabile, confluendo assieme alla sua razionalità e formando un unico nucleo.
 
Cominciava a non sentirsi più… se stesso.

Avvertiva di non possedere più un ferreo controllo sulla sua stessa mente.

E ciò non era possibile.

Non per Kageyama Tobio, almeno.

“Kageyama-kun? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Sei rimasto troppo afflitto dalla notizia della nostra partenza imminente?” civettò Kuroo con un sorrisetto sibillino.

Tobio sbatté le palpebre, interdetto da quegli inaspettati ragionamenti.

“Stavo pensando che venire qui non sarà più lo stesso, dopo che ve ne sarete andati”

I secondi che succedettero quella constatazione scorsero con inesorabile lentezza.

Kuroo arcuò entrambe le sopracciglia con espressione stupefatta mentre la mascella di Bokuto crollò inesorabilmente verso il pavimento.

“Kageyamaaaaaa, ma allora ti mancheremo sul serio!” strepitò animatamente, guizzando letteralmente in avanti con le braccia ancora occupate dai vassoi per saltare al collo del legale, ma venne fortunatamente intercettato da Tetsurou che lo bloccò dai fianchi, evitando così un malcapitato incidente.
“Non avrei mai pensato che potessi dire una cosa del genere, Kageyama. Io stavo solo scherzando” proferì Kuroo con sguardo stranamente indecifrabile, fissando i magnetici occhi oblunghi sul viso di Tobio, studiandone l’espressione con tanta intensità da provocare un moto di spiacevole soggezione nel legale, che percepì gocce di sudore freddo scorrere lungo la spina dorsale.

A un certo punto però, il volto di Kuroo si aprì in un sorriso machiavellico.

“Sbaglio o sei di buon umore oggi, Kageyama-kun?”

Tobio, colto alla sprovvista, fu inizialmente a corto di parole.

“C-che?”

“Non fare il timido su, sei entrato con un sorriso trasognato stampato in faccia visibile a chilometri” snocciolò con un sorrisetto sornione mentre terminava di impacchettare la colazione take away.

Le gote di Tobio assunsero il colorito delle fragole che decoravano la torta in bella mostra dietro la vetrina refrigerata.

“Cosa… o meglio, chi mai potrebbe averti reso così allegro?”

Il viso di Bokuto si illuminò istantaneamente.

“Kageyamaaaaaa, stavi pensando a Shoyo, non è così?!” sbraitò con gli occhi color ambra grandi come due piatti da portata.

La faccia di Tobio era vicina all’implosione naturale.

“A questo proposito, Kageyama-kun” aggiunse Kuroo con voce suadente.
“Kenma mi ha detto che tre giorni fa hai fatto visita al piccoletto”

Tobio inghiottì a fatica un grumo di saliva incollatosi ostinatamente in gola.

“Spero che tu abbia reso orgogliosi i tuoi senpai” cinguettò con un tono grondante malizia.
“Che incantesimo ti ha lanciato il piccoletto per farti sorridere a quel modo, Kageyama-kun? E’ uno spettacolo più unico che raro”
“Sembri davvero un’altra persona, Kageyama! Senza quell’espressione sempre corrucciata non hai più rughe sulla fronte!” gli diede man forte Koutaro con tono deciso.

Tobio si rimangiò prontamente la parola.
Non gli sarebbe mancato proprio per nulla quel posto governato dai due famelici avvoltoi.

“Devo proprio andare adesso” mugugnò velocemente con le guance in fiamme, estraendo il portafoglio e lasciando qualche banconota vicino alla cassa.

“Perché scappi, Kageyama-kun? Racconta ai tuoi adorabili zii della tua piccola nuova fiamma” chiocciò Kuroo con un ghigno sghembo.
“Manterremo il segreto, lo promettiamo!” esclamò Bokuto con un occhiolino che di rassicurante non aveva neppure l’ombra.

Tobio non perse tempo a congedarsi, dileguandosi celermente dalla pasticceria e quasi lanciandosi sulla strada, dove fermò affannosamente un taxi per dirigersi al grattacielo in cui risiedeva lo studio legale nel quartiere metropolitano della città.





“Il meeting mattutino è terminato, potete ritornare alle vostre incombenze quotidiane”

La voce di Hashimaki congedò cortesemente i legali dello studio Kitagawa Daiichi alle nove e trenta esatte, puntuale come tutte le mattine.

Stravaccato sulla poltroncina in pelle nera, Kunimi trattenne a malapena uno sbadiglio.

Le prime ore del lunedì erano sempre una brutta bestia.

Si sfregò stancamente gli occhi con i polpastrelli, percependo a malapena una lieve pressione che gli pigiava sulla spalla sinistra.

“Guarda un po’ come Ishii-kun gli deve correre dietro come un cagnolino ammaestrato”

La voce sbeffeggiante di Kindaichi gli giunse ai timpani indistintamente, come se provenisse da una dimensione remota.

Aveva urgentemente bisogno del suo fidato caffè senza zucchero.

“Ah?”

Yuutarou gli pizzicò gentilmente la guancia.

“Ohi, Akira! Svegliaaa!”

“Sei molesto, Yuutarou” borbottò Kunimi, forzandosi ad alzare lo sguardo dal rettangolare tavolo in vetro ed ebano.

Kindaichi appoggiò i polpastrelli dell’indice e del medio sulla tempia destra dell’amico, spostandogli il capo verso la direzione opposta.

” rimarcò con enfasi.

Akira seguì svogliatamente la traiettoria indirizzatagli e…

Un sorrisino perfido gli stiracchiò all’insù la dritta linea del labbro.

“Sembra aver voglia di strangolarlo dopo nemmeno… da quanto lavora con lui?”
“Sei giorni?” ridacchiò velenoso Yuutarou.
“Durerà molto meno di Nakamura-kun. Non mi sembra una ragazza molto conciliante” soppesò Kunimi, osservando il caschetto scuro della giovane nuova assistente di Kageyama che sembrava galoppare affannosamente per star dietro alle lunghe gambe del Re.
“Però aveva un ottimo curriculum, no? Tomomi mi ha detto che ha anche lavorato al Seijo per un certo periodo”
“E adesso l’hanno affibbiata al Re? Non sarà affatto entusiasta dell’inverso salto di qualità” sogghignò mefistofelico Akira.
“Beh, suppongo che allo studio Seijo ci sia molto più lavoro da sbrigare rispetto a qui”
“Sì, ma tra avere qualche ora di turno in più e lavorare per quello lì c’è una bella differen…”

“Ma guarda qui, i nostri adorabili boss stanno spettegolando esattamente come due giovani liceali”

La squillante voce di Yukari interruppe bruscamente la conversazione tra i due legali, che si voltarono in sincrono per cogliere le figure delle due segretarie in piedi dietro la schiera di poltrone in pelle.

“Poi però si lamentano se noi ragazze trascorriamo appena un po’ più del tempo necessario a chiacchierare” aggiunse con un sorrisetto Tomomi, giocherellando con la coda di cavallo bionda.

“Penso sia leggermente diverso espandere arbitrariamente la propria pausa pranzo di un’ulteriore mezz’ora per insultare il ‘verme che mi ha ghostata senza alcuna spiegazione dopo due mesi di relazione’, non credi, Tomomi-kun?”

La ragazza spalancò gli occhi chiari ed ebbe l’ardire di apparire scandalizzata.

“Sapete che è indecente origliare le conversazioni altrui?” saltò su Yukari, appoggiando le mani sui fianchi fasciati da un’attillata gonna nera.
“Come lo è assentarsi dal lavoro per motivazioni futili” constatò Kunimi.
“Esattamente come la vostra adesso, dunque” ribatté Tomomi con un sorrisetto sornione.

Kindaichi dischiuse la bocca per replicare ma parve improvvisamente a corto di parole, limitandosi così a inglobare aria come un pesciolino rosso.

“Ahi ahi Kindaichi-san, come farà ad andare in aula se non sa ribattere nemmeno a una graziosa e candida fanciulla?” sciorinò Yukari con ostentata innocenza.
“Voi due vi accaparrate più libertà di quel che sarebbe concepibile” borbottò Akira, alzandosi dalla sedia dopo aver riordinato le proprie cartelle e incamminandosi verso il corridoio, senza però accennare di voler seriamente rimbrottare le assistenti.
“A voi però non dispiace mica” miagolò Tomomi similmente a un gatto che fa le fusa.
“Cosa fareste mai senza di noi?” recitò melodrammatica Yukari, portandosi la mano al petto e scostandosi i lunghi capelli corvini dalla fronte.
“Avremmo qualcuno che porti i nostri documenti come di consueto dovrebbe essere, per esempio” sbuffò Yuutarou, le cui braccia a malapena reggevano un’imbarazzante quantità di cartelle e portfolio colorati.
“Siete grandi e grossi, potete sollevare qualche chilo in più senza alcun problema” ribatté con leggerezza Yukari, rimirandosi le unghie perfettamente curate.
“Dovreste prendere esempio dalla segretaria di Kageyama” commentò Kunimi scuotendo rassegnato la testa.
“Parlando del diavolo…”

Tomomi si interruppe, fissando gli occhi verdi su una figura china sopra a una scrivania, decine di raccoglitori ad anelli sparsi per tutta la superficie del legno e un’espressione insofferente sul volto.

“Ishii-kun? Tutto bene?” chiese gentilmente la ragazza, avvicinandosi cautamente di qualche passo.

La giovane posò distrattamente le iridi scure sul quartetto.

“Veramente no” sbottò scocciata schiaffando sul tavolo un fascicolo che reggeva tra le mani, il cui tonfo riecheggiò sonoramente fra le mura degli uffici circostanti.
“Non riesco a concepire come quello stacanovista bastardo di Ka…”

Troncò repentinamente la frase, rendendosi conto troppo tardi delle parole sfuggitele di bocca, spostando repentinamente lo sguardo pallido sui legali.

“Parla pure liberamente Ishii-kun, non mordono nonostante l’apparenza” spiegò allegramente Yukari, ammiccando in direzione dei due uomini.
“A causa vostra ormai abbiamo perso la nostra aura minacciosa” piagnucolò Kindaichi.
“Mi dispiace infrangere i vostri sogni di gloria, ma non l’avete mai avuta” ridacchiò perfidamente Tomomi.

La nuova assistente dovette sentirsi rincuorata dall’amichevole scambio di battute, poiché ritornò celermente sul piede di guerra.

“Kageyama-san non fa altro che sputare ordini a destra e a sinistra! A stento mi guarda quando mi parla, come se si schifasse persino della mia presenza. Non lo sopporto” ringhiò, passandosi le dita tra i corti capelli ramati.
“Benvenuta nel nostro mondo, cara” la consolò Yukari con tono comprensivo.
“Ora capisco perché la sua vecchia assistente si è licenziata… anche se so che è stata con lui due anni?! Ma come ha fatto? E’ una con i nervi d’acciaio?”
“Sconfinata pazienza e pacatezza, a quanto pare” spiegò Tomomi scrollando le spalle.
“Si trovava meglio nello studio in cui lavorava prima?” indagò a quel punto Kindaichi, vinto dalla curiosità.

Ishii lo scrutò come se sul collo gli fosse germogliata una seconda testa.

“Sta scherzando, spero? Non c’è lontanamente paragone” irruppe infervorata.
“Non per essere indiscreto, ma come mai allora ha lasciato lo studio Aoba Johsai?” domandò Kunimi con un sopracciglio inarcato.

La ragazza sospirò sconsolata, giochicchiando con l’elastico dei pantaloni grigi del tailleur.

“Al Seijo ho lavorato sei mesi per sostituire l’assistente in gravidanza di uno degli avvocati. Mi avrebbero anche assunta a tempo indeterminato se non avessero già raggiunto il personale necessario. Se dovesse liberarsi un posto libero in futuro mi contatterebbero loro stessi” spiegò mestamente, nonostante una scintilla luccicante le illuminasse graziosamente le iridi castane.
“Mi sembra chiaro che lavorare al Seijo la stimolasse parecchio” dedusse Kunimi con ovvietà.
“Però immagino ci fossero ancor più faccende da sbrigare” osservò Kindaichi.
“Sì è vero, ero sempre indaffarata… ma non crede ne valga la pena quando ogni giorno si ha la possibilità di ammirare il sorriso di Oikawa Tooru?” esalò con espressione trasognata, perdendosi nei ricordi.

Kunimi e Kindaichi emisero all’unisono uno sbuffo esasperato.

“Gelosi per caso?” trillò Yukari con una smorfia maliziosa.
“Ma non dire stupidaggini” si difese prontamente Yuutarou, sebbene le gote si fossero tinte di una sfumatura rossastra.  
“Poveri Kunimi-san e Kindaichi-san, schiacciati dal vostro senpai in tutto e per tutto” ridacchiò Tomomi con leggerezza.

Un guizzo apparve improvvisamente negli occhi scuri di Yukari che, scoccando una gomitata affettuosa sul braccio della collega, squittì eccitata “Non hai trovato nessuno che ti piaccia qui al Kitagawa Daiichi, Ishii-kun?”
“Noi siamo ancora qui, eh” mugugnò Kunimi con una malcelata punta di fastidio.
“Come se non foste curiosi anche voi” replicò Tomomi, sventolando la mano avanti e indietro come per depennare sul nascere ogni problema.

“Direi proprio di no, rasentato tutti la sufficienza” soppesò Ishii, picchiettandosi l’indice sul mento.

“Poveri boss, colpiti e affondati” sogghignò Yukari, trattenendo a stento un’ondata di risa.
“A dir la verità quel tiranno di Kageyama sarebbe anche un bell’uomo, ma il suo carattere orribile mi impedisce anche solo di considerarlo un essere umano, quindi…”

Le due donne a quel punto non riuscirono più a trattenersi e si abbandonarono finalmente a una fragorosa risata.

“Mi viene davvero voglia di fare domanda per l’Aoba Johsai a questo punto” riuscì a pronunciare Tomomi tra un risolino soffocato e un altro.
“Almeno così noi non avremmo più due arpie al seguito” grugnì Kindaichi lanciandole un’occhiataccia.
“Se posso chiedere, Ishii-kun, affiancava il lavoro di che legale in particolare?” chiese Kunimi con espressione apparentemente neutra.
“Lavoravo con Matsukawa-san. Matsukawa Issei, lo conosce?”
“L’abbiamo incontrato in un paio di occasioni”
“Non lo conosciamo bene, però sappiamo che lui e Oikawa-san vanno molto d’accordo. Lo nomina spesso assieme a un altro collega, Hanamaki-san, quando capita di vederci” aggiunse Yuutarou con una punta di orgoglio nella voce.

“Uscite con Oikawa-san e non ci dite nulla?!” saettò immediatamente Yukari con espressione sconcertata.

“Perché, avremmo dovuto riferirvelo?”
“Come minimo avreste dovuto invitare anche noi! Non potete mica tenere Oikawa-san tutto per voi” protestò Tomomi in tono risentito.
“Spirito di condivisione” concordò Yukari annuendo con sicurezza.
Condivisione” mormorò Kunimi, reprimendo un sogghigno divertito.
“Mi dispiace comunicarvelo, ma Oikawa-san è già impegnato” s’intromise Ishii, interrompendo il costernato scambio di battute.

Le facce delle due segretarie si disciolsero simultaneamente come due panetti di burro al sole.

“Chi si è azzardato a rubarlo dal mercato?!”
“Chi è la strega? Voglio proprio vedere se è più bella lei di noi!” proruppe ferocemente Yukari.
“Siete proprio superficiali…” sospirò Kindaichi scuotendo il capo.
“Vorrei vedere lei se stessimo parlando di una donna bella quanto Oikawa-san” ribatté stizzita Tomomi.
“Quindi, Ishii-kun? Chi è la scellerata che si è presa Oikawa-san?!”
“Questo sinceramente non lo so. Nonostante Oikawa-san sia molto estroverso non parla mai apertamente della sua vita privata. O almeno non con il personale assistente” rispose la ragazza facendo spallucce.

Le due si lamentarono sonoramente.

“Così non possiamo nemmeno andare a spiare il suo profilo per sapere qualcosa in più su Oikawa-san” piagnucolò Yukari con espressione afflitta.
“Esatto! E’ una vergogna che Oikawa-san renda pubblico solo il suo profilo ufficiale. Non c’è assolutamente nulla di interessante lì oltre le informazioni di lavoro e qualche foto in giacca e cravatta” inveì Tomomi incrociando le braccia al petto.

“Profilo pub…” tentò di ripetere Kindaichi con viva perplessità, tuttavia le sue parole furono subito trangugiate dall’accesa disamina in corso.

“Se fossi la sua ragazza posterei una foto con lui ogni giorno e mostrerei al mondo intero che razza di figo sia il mio fidanzato” aggiunse con convinzione.
“Anch’io ho trovato frustrante che il profilo personale di Oikawa-san fosse privato, ma immagino sia per evitare che tutti i suoi clienti comincino a sbirciare nella sua vita personale e possano farsi un’idea sbagliata” dedusse Ishii.
“Tra l’altro sembra che accetti la richiesta solo delle persone che conosce personalmente! Ho provato più volte a seguirlo sia con il mio account sia con uno fake e mi ha ignorato entrambe le volte” piagnucolò Yukari con il labbrino in bella mostra.  

“Perché stiamo ascoltando questa conversazione?” sbottò scocciato Kunimi, assolutamente disinteressato alla nuova piega degli eventi.

“Perché è di vitale importanza, ma non pretendo che voi due capiate” sbottò altezzosa Tomomi, facendo ondeggiare la lunga coda di cavallo avanti e indietro.
“Curioso come il vostro concetto di vitale sia paragonabile al massimo della superficialità”
“Perché ci trattate come delle stupide adolescenti? Non penso che voi non vi comportiate in modo simile nei confronti di una bella donna” saltò su Ishii, il cui carattere agguerrito stava emergendo a tutto tondo nonostante il poco tempo trascorso nello studio.
“Dovevi proprio vedere come andavano dietro a Sasaki-san i primi tempi in cui lavoravano qui” rivelò Tomomi coprendosi la bocca con il palmo della mano per celare un risolino, scoccando contemporaneamente un’occhiata verso il fondo del corridoio opposto, in cui da una porta di uno degli uffici a vetro riservati agli avvocati sbucò una donna con un’elaborata crocchia biondo miele e diverse ciocche che le ricadevano dolcemente attorno al viso dai lineamenti scolpiti.
“Sasaki-san ha rubato il cuore a quasi tutti gli uomini dell’ufficio e puoi comprendere chiaramente il motivo” civettò Yukari sbattendo le lunghe ciglia scure.

“Come vi permettete di parlare della senpai in questo modo” sibilò sdegnato Kindaichi con le guance arrossate, adocchiando nel frattempo la posizione della donna e sperando che non avesse udito nemmeno una parola di quel licenzioso discorso.

“Non si faceva tutti questi problemi quando ha tentato in ogni modo di ottenere il suo numero di telefono, Kindaichi-san” cinguettò la ragazza con scaltrezza.
“Nemmeno lei, Kunimi-san, sembrava eccessivamente dispiaciuto quando Sasaki-san le rivolgeva la parola” aggiunse con nonchalance Tomomi, rimirandosi le unghie smaltate di rosa pastello.

Il volto sempre imperturbabile di Akira si incrinò appena, lasciando trasparire una vena tesa in prossimità della fronte.

“Beh, non si può negare che sia proprio una bellissima donna, sembra così sicura di sé con quell’aura di controllo che la circonda… preferirei di gran lunga lavorare con lei” sospirò Ishii con una punta di gelosia mentre con lo sguardo seguiva i movimenti dell’avvocato.

“Perché non ci racconti qualcosa in più su com’era lavorare al Seijo, Ishii-kun? Lo sentiamo nominare in continuazione, però non abbiamo alcuna fonte diretta da cui attingere” cambiò abilmente discorso Yukari, cogliendo l’evidente insofferenza della giovane.

Gli occhi castani di Ishii tornarono a brillare in meno di un istante.

“Il lavoro è decisamente più frenetico rispetto a qui, ci sono ritmi serrati che bisogna costantemente rispettare. Avere la fama di uno degli studi legali più importanti del Giappone comporta un numero elevatissimo di richieste e casi da seguire… eppure, nonostante questo, gli avvocati collaborano davvero in perfetta sintonia. Da quello che ho imparato, il Seijo è davvero una squadra compatta. I legali si consultano spesso sui singoli casi e preferiscono rinunciare a un po’ di notorietà in favore della risoluzione comune. Oikawa-san è ovviamente magnifico, nonostante sia così giovane ha già una sfilza di vittorie da far onore allo studio… ma anche i colleghi che avete nominato, Matsukawa-san e Hanamaki-san non sono da meno. Sono un duetto un po’ particolare, sempre pronti a far battute e alleggerire l’atmosfera. Una risata al giorno con loro è assicurata ed è anche questo uno dei motivi per cui andare in ufficio non mi pesava più di tanto” raccontò entusiasta.
“Il lavoro in sé tra l’altro è proprio stimolante. Facciamo tutti dei turni massacranti, certe volte mi è capitato di rimanere dalle sette di mattina fino alle undici della sera, ma i nostri superiori hanno sempre l’accortezza di chiederci come stiamo o se ce la facciamo a continuare… ci uniamo spesso a loro per le serate tra colleghi, ci offrono anche la cena, un po’ come se fossimo una grande famiglia… pensare che avrei potuto continuare a essere lì mi causa solo un’opprimente malinconia, soprattutto se lo paragono al lavoro che adesso svolgo qui con quel Kageyama. Non me ne vogliate, ma questo studio non ha proprio nulla da spartire con l’Aoba Johsai”

“Wow Ishii-kun, dalla tua descrizione sembra proprio un luogo spettacolare” commentò Tomomi, sinceramente colpita.
“Beh, lo è. Anche noi aspiriamo di potervi accedere, un giorno” annuì solennemente Kindaichi.
“Ambiziosi i nostri boss” cinguettò Yukari con un sorrisetto orgoglioso.
“Certamente! E’ da quando siamo all’università che il nostro obiettivo finale è l’Aoba Johsai. Il nostro percorso è una progressiva salita che ci condurrà alla vetta migliore fra tutte” spiegò Yuutarou con malcelata fierezza.
“Non è quello che vorrebbe anche Kageyama? Non fa altro che ripetere di voler lavorare in un posto che lo merita davvero” rammentò Tomomi, roteando gli occhi al cielo.
“Figuriamoci se quel bastardo non mira alla perfezione assoluta” sibilò velenoso Kindaichi.

“La cosa divertente però è che Kageyama non vuole solo la perfezione. Il suo obiettivo altri non è che Oikawa-san”

Le ponderate parole di Kunimi catturarono immediatamente l’attenzione di tutti e quattro i presenti, che voltarono repentinamente la testa verso la sua direzione.

“Cosa?” gracchiò Ishii, la cui espressione era un miscuglio fra sbalordimento e ilarità.
“Kageyama ha sempre invidiato da morire Oikawa-san, fin da quando l’ha conosciuto con noi all’università. Probabilmente il suo unico scopo nella vita è riuscire a superarlo” confidò Kunimi in  tono palesemente sardonico.
“Superarlo? Sta scherzando, spero?! Kageyama non sarebbe nemmeno in grado di avvicinarsi lontanamente a Oikawa-san! Anche solo paragonarli è assolutamente ridicolo! Come mai potrebbe uno spregevole essere senza cuore eguagliare Oikawa-san? E’ un pensiero talmente ridicolo da far vomitare”
“Certo che non vai proprio per il sottile, Ishii-kun” ghignò Yukari, lasciando intendere il suo apprezzamento.
“So che può dar fastidio, ma non ho mai avuto peli sulla lingua” constatò la ragazza facendo spallucce.
“Kageyama dovrebbe apprezzare vivamente” osservò Kunimi, accennando un sorrisetto.  
“Il Re non si abbasserebbe mai ad ammettere una cosa del genere” ribatté Kindaichi con evidente sprezzo.
“Il tiranno dell’ufficio, eh?” sogghignò Ishii, associando facilmente il nomignolo al reale significato che vi stava dietro.
“Dovreste far fronte comune per escluderlo del tutto dall’ufficio” propose perfidamente.
“Non che non ci abbiamo già provato… purtroppo finché riesce a riportare allo studio i profitti necessari non lo si può smuovere dalla sua posizione” grugnì infastidito Yuutarou.
“Parlare con voi mi sta rassicurando. Pensavo di essere l’unica, ma a quanto pare tutti qui alla Kitagawa Daiichi lo detestano” appurò soddisfatta Ishii.
“Oh, puoi starne certa” concordò Yukari.
“Tutti, dal primo all’ultimo, nessuno escluso” annuì austeramente Tomomi.
“E a lui questo non dà minimamente fastidio?” domandò allora la ragazza con, suo malgrado, una punta di incredulità.

Una risata priva di gioia abbandonò le labbra di Kindaichi.

“A quello là tutto scivola addosso. E’ la cosa che più mi fa innervosire perché non c’è modo di fargli capire che…”

“Io non ne sarei così sicuro, Yuutarou”

Le parole di Akira furono subito succedute da un attonito silenzio.

“Che vuole dire, Kunimi-san?” chiese Tomomi, piuttosto interdetta.
“Voglio dire che ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”
Cedimento…?” ripetè frastornata Yukari.
“Non sembra il Re dispotico che è sempre stato” asserì nuovamente Kunimi.
“A cosa ti riferisci?” indagò Kindaichi, vivamente perplesso.

“L’ho notato dai suoi comportamenti nelle ultime settimane. E’ come se… in qualche modo, non indossasse più la solita facciata di disinteresse nei confronti del mondo. Come se gli avvenimenti recenti lo avessero intaccato, almeno”

“Sarebbe un evento a dir poco memorabile” commentò Kindaichi, nonostante un’ombra di scetticismo trapelasse dalla sua voce.
“Nell’anno e mezzo in cui ho lavorato qui non ho mai avuto il piacere di vedere la sua faccia scomporsi di una virgola. Se quello che dice è vero, Kunimi-san, non voglio perdermi lo spettacolo per nulla al mondo” dichiarò Tomomi, non provando nemmeno a mascherare la cattiveria che imperniava ogni sua parola.
“Kageyama-san che crolla, eh? Vorrei proprio documentare il grande evento” ridacchiò Yukari, sventolando eloquentemente il cellulare.

“Ma che voi sappiate, è sempre stato così?” intervenne Ishii, corrugando appena la fronte.

“Se ti stai chiedendo se il Re è diventato un despota dal cuore di pietra perché ha vissuto un qualche trauma, mi dispiace deluderti. E’ una trama che va bene per un drama tv, ma nella realtà dei fatti Kageyama è nato stronzo e morirà da stronzo”
“Ahi, duro Kindaichi-san” cantilenò Yukari sfoggiando una smorfia sibillina.
“Da quando lo conosciamo è sempre stato un bastardo senza scrupoli” convenne disinvoltamente Kunimi.
“E pretende di eguagliare Oikawa-san?” sputò sardonica Ishii.
“Forse ho sbagliato a giudicarlo, sapete? Mi fa pena, poverino, illudersi di riuscire a essere come il grande Oikawa-san. Non meriterebbe nemmeno di strisciargli sotto le suole delle scarpe”
“Non sapevo fossi così cattiva, Ishii-kun” sussurrò Yukari con ostentato shock.
“Ci piace” ammiccò complice Tomomi.
“Fa bene una ventata di schietta sincerità in un mondo di formule predefinite” soppesò, giocherellando con i capelli chiari.
“Beh, in questo il Re si discosta decisamente” enfatizzò Kindaichi.
“Fin troppo direi” borbottò Ishii, quasi stritolando i fascicoli stretti fra le dita.
“Cosa medita di fare quindi, Ishii-kun? Rassegnare le dimissioni dopo neanche una settimana?” domandò Kunimi e, seppur accennato, un barlume di furbizia si nascondeva dietro gli occhi scuri consuetamente annoiati.
“Non sono così stupida da dargliela vinta così facilmente a quel bastardo. Sopporterò il tempo necessario stabilito dal contratto, in modo tale da poter inserire nel curriculum l’esperienza qui al Kitagawa Daiichi, e poi lo liquiderò in men che non si dica. Non intendo sputare sudore e sangue per un essere che non merita nemmeno l’unghia del mio alluce”  
“Naka-kun avrebbe dovuto prendere esempio da te, Ishii-kun” rise di gusto Tomomi, estremamente appagata dalla possibilità d’insultare Kageyama senza alcun freno.

“Signore e signori, quanto avete ancora intenzione di gingillarvi senza concludere nulla?”

L’autoritaria voce del senpai Miura riportò istantaneamente all’ordine i cinque presenti che, dopo un celere inchino e qualche parola di rincrescimento, si diressero uno dopo l’altro alle rispettive scrivanie per sbrigare i consueti compiti giornalieri.

Peccato non sapessero che, dietro la porta dell’ufficio all’angolo del corridoio, con mani serrate attorno al bicchiere di latte accuratamente preparatogli da Kuroo, Kageyama teneva la testa sprofondata tra le spalle e cercava in tutti i modi di sopprimere il bruciore che, con profondo sgomento, percepiva all’altezza del cuore.


 
***



Tobio si diresse a passo indolente verso l’ala sinistra dello studio, zona da lui fondamentalmente impraticata.
Sembrava che stesse percorrendo un lunghissimo corridoio imperituro, senza alcuna possibilità di scorgerne l’estremità.
Stretto nel palmo sinistro e pressato contro il petto, quasi a proteggerne il contenuto da invisibili  e pericolose insidie, reggeva un bento acquistato in uno dei conbini al pianterreno.

Inalò a pieni polmoni una cospicua quantità d’aria, che cercò di rinfrancare almeno in minima percentuale il suo intorpidito sistema respiratorio.

In due anni di lavoro al Kitagawa Daiichi, quella era la prima occasione in cui meditava di consumare il proprio pasto nella sala comune dell’ufficio.

L’idea non gli aveva mai nemmeno vagamente sfiorato l’anticamera del cervello.

Perché avrebbe dovuto condividere lo stesso tavolo degli idioti che lavoravano lì?

Okay, forse stava leggermente esagerando.

Non proprio tutti i membri dell’ufficio rientravano nella categoria di stupidi incompetenti.
Sasaki-san e Toobetsu-san erano dei veterani della Kitagawa Daiichi verso il cui operato nutriva una sincera stima…

Dubitava comunque che i suoi colleghi avvertissero particolare nostalgia della sua presenza.
Parevano in tutti i modi ricordargli quanto lo detestassero ogniqualvolta lo vedevano in giro.
Mantenendo le dovute distanze concedeva loro soltanto un grande favore.

Tuttavia c’era un’altra, assai più pratica, motivazione per la quale non aveva mai avvertito l’esigenza di spendere del tempo nella saletta comune, frequentata soprattutto durante l’ora della pausa pranzo grazie alla piccola ma funzionale cucina.

Era sempre stata Nakamura a recapitargli il pranzo, che lui aveva sempre consumato religiosamente da solo nel suo ufficio.
Quando invece aveva in programma delle udienze in tribunale mangiava velocemente qualche sandwich diligentemente preparatigli da Nakamura o, se ciò non fosse stato possibile per mancanza di tempo, acquistati al volo in un FamilyMart.

Rievocare quegli eventi non rendeva certamente più agevole l’impresa che si era prefissato di portare a termine.


“La mia segretaria mi portava il pranzo”

“E te lo preparava lei?? I privilegi di un un lavoro di lusso, eh”



Serrò la mascella con uno scatto teso, percependo il peso che gli gravava sulla casa toracica acuirsi esponenzialmente.

La verità era che non ci aveva mai fatto caso.

Non aveva mai seriamente riflettuto su chi fosse l’artefice dei suoi pasti giornalieri per i trascorsi settecentotrenta giorni al Kitagawa Daiichi.
Si trattava di cibi tradizionali e presumibilmente caserecci, ma non per questo li aveva mai associati a un possibile lavoro extra che Nakamura aveva svolto per lui ogni giorno, tutti i giorni.

Non era mai stato in grado di espletare una così banale operazione cognitiva.
Non per mancanza di intuito spiccio s’intende, bensì…

Perché non gliene era mai fregato un cazzo.

In due anni di affiancamento costante, aveva stabilmente e volutamente ignorato colei che ogni mattina aveva investito minuti del proprio tempo per cucinare cibi tradizionali, seguendo la dieta giapponese alla lettera senza alcun risparmio di ingredienti, come se stesse confezionando il bento del marito o del figlio.

Eppure lui aveva arbitrariamente deciso di ignorare bellamente la dedizione che si era costantemente palesata davanti ai suoi occhi.

Ciò che maggiormente lo turbava però, era che avrebbe perseverato a non accorgersi di nulla se non fosse stato per l’intervento di qualcuno.
 
Una persona che, almeno indirettamente, lo stava spingendo a compiere un’azione che non si sarebbe mai sognato di mettere in pratica appena due mesi prima, la cui sola ipotesi sarebbe stata giudicata come assolutamente patetica.
Una figura che… lo stava contaminando.
Una presenza che aveva iniziato a occupare sempre maggior spazio all’interno del suo cervello, a iniettargli concetti che non gli appartenevano, idee che non lo avrebbero affatto sfiorato poiché non facevano e non avevano mai fatto parte della sua essenza.


“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"


Digrignò i denti, forzandosi suo malgrado a compiere un ulteriore passo in avanti.

Gli doleva ammettere che Kuroo-san avesse ragione…
Nonostante discordasse fortemente su un piccolo, non trascurabile dettaglio.

Quel dannato medico non gli aveva scagliato un incantesimo, bensì una micidiale maledizione.

Se il se stesso di qualche mese prima avesse avuto l’opportunità di vederlo in quel momento, gli avrebbe certamente vomitato addosso una cocente ondata di disgusto.

Tuttavia…


“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”


Le parole di Nakamura non avevano abbandonato le sue sinapsi neanche un giorno di quelle estenuanti tre settimane.

Vi aveva rimuginato fino alla nausea, complice l’associazione d’idee effettuata con Hinata e il suo discorso davanti alla fermata del taxi di quella fatidica serata.
Era stato quello il frangente in cui aveva veramente preso coscienza di come il suo atteggiamento avesse ferito sia il medico sia molte altre persone che lo circondavano, Nakamura compresa…

Ma era anche stato l’ingresso in un inferno che mai avrebbe desiderato varcare.

L’inizio dell’estenuante calvario dei suoi dubbi.

Dubbi su tutto ciò che aveva incessantemente perseguito in ventisei anni di esistenza e che adesso lo stavano lacerando vivo.

Incertezze che l’avevano spinto a rivelare, almeno parzialmente, una fetta del suo animo a quel ragazzino, Jun.

Vacillamenti che l’avevano persuaso a fidarsi della strada che quel medico andava predicando tanto spensieratamente e che lui stesso al principio aveva reputato rivoltante.


“Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!”


Curarsi dei sentimenti della gente…
Quegli stessi sentimenti a lui incomprensibili…

Stava davvero cercando di seguire il consiglio dello scricciolo e affrontare l’ignoto che aveva perennemente trascurato?


“Dovresti lavorare seriamente sulla prossemica e fare uno sforzo per comprendere gli altri”


Si stava realmente azzardando a modificare la sua natura?


“Kageyama è nato stronzo e morirà da stronzo”


Tobio si lasciò sfuggire uno sbuffo pregno di cinismo.

La descrizione gli calzava a pennello, no?

Probabilmente chiunque avrebbe concordato con le parole di Kindaichi.
E a lui andava benissimo così.
Non aveva mai desiderato essere nient’altro di diverso, sebbene il senso di disagio e solitudine provati nelle ultime settimane lasciassero intendere il contrario.

Ciò nondimeno, stava seriamente tentando di cambiare opinione solo per quella misera ragione, contrastando tutti i suoi ideali?

Non credeva ancora fermamente che assecondare le emozioni umane sarebbe stato ripugnante e privo di ogni senso logico?

Aspirava a migliorare se stesso per non essere più considerato uno stronzo?

Ma ciò non avrebbe significato l’irrimediabile perdita delle innate caratteristiche che lo rendevano chi era davvero?

Stava effettivamente cedendo a quel medico strampalato il controllo sulle sue azioni e pensieri…?


"Voglio dire che ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”


Un moto di rabbia gli imperversò violentemente le viscere.

Lui, cedimento?   

Che idea assolutamente ridicola.

Kageyama Tobio non sarebbe crollato dinanzi a nulla.
Era l’unico in grado di poter eguagliare Oikawa-san.
Non soltanto poiché era l’avvocato più capace dello studio, ma anche perché era l’unico che assomigliasse al suo senpai.

Forte, indipendente, senza scrupoli.

Non doveva curarsi dei futili pareri di quei due inetti.

Stava pensando troppo.
Non doveva indugiare.

Inalando a pieni polmoni, oltrepassò la soglia della sala comune che, all’una di un giovedì pomeriggio, era piuttosto gremita.

Non appena osò a mettervi piede, però, tutti i presenti ammutolirono all’istante, come se avessero improvvisamente scorto un essere soprannaturale piombato da una galassia sconosciuta.

Un velo di nervosismo si adagiò chetamente sull’animo inquieto di Tobio, che cercò a fatica di deglutire il nodo che gli comprimeva la gola.

“Che immagine inusuale, il Re che si degna di consumare il pasto assieme ai comuni mortali”

La voce di Kindaichi sembrò risuonare fra le quattro pareti della stanza come un grido in una foresta solitaria, la cui eco amplificata a dismisura riecheggiava per interminabili minuti.

“Oh? Il mondo deve essersi rovesciato” osservò Kunimi con un mezzo sorriso mentre agguantava una manciata di noodles istantanei e se li portava alla bocca.

Pressando le labbra in una linea retta, Kageyama s’impose di ignorare gli sgradevoli commenti e le occhiate lanciategli dai colleghi, premurandosi invece di rintracciare il vero oggetto del proprio interesse.

“Non capisco cosa sia venuto a fare, però” continuò Yuutarou ad alta voce, come se Kageyama non fosse affatto lì presente.
“Che abbia perso qualcosa?” ironizzò Tashiro tra un morso di onigiri e un altro.
“Probabilmente, anche perché non capisco che altro potrebbe farci qui” ridacchiò Oritsume sorseggiando birra in lattina.
“Non che sarebbe il benvenuto” ghignò sommessamente Kindaichi scoccando uno sguardo truce in direzione di Tobio, le cui spalle si irrigidirono.

Era molto peggio di quel che avesse pronosticato.

L’ipotesi di un pranzo civile in mezzo ai colleghi sfumò miseramente come vapore.

“Dov’è Nakamura?” domandò a quel punto senza mezzi termini, sforzandosi malgrado ciò di mantenere un tono di voce stabile.

Per la seconda volta nel giro di appena qualche minuto, nella saletta calò nuovamente il silenzio.

“Perché mai la cerchi, Kageyama?” ribatté Oritsume, la cui espressione aveva perso ogni traccia dell’ilarità di pochi istanti prima, cedendo il posto a una carica non indifferente di aggressività.

“Non hai già reso a quella poveretta la vita impossibile?”

“Sei proprio sadico, Re”

“La sto cercando per parlarle” abbaiò Tobio con insofferenza, soverchiando la moltitudine di voci che si affollavano concitate per scombussolargli il cervello.

“Da quando in qua ti degni di parlare con qualcuno? Non sputi sempre ordini a destra e a sinistra?” saettò Kindaichi, incapace di trattenere il veleno meticolosamente accumulato nel corso degli anni.

La pazienza di Tobio stava ormai rasentando il limite.

“Non sono affari che ti riguardano” replicò cercando di mantenere una parvenza di calma che però, purtroppo, non si era mai annoverata fra le sue abilità distintive.  

“Che c’è, Re? Come mai sei così docile oggi?”

La pungente provocazione di Kunimi gli causò un sussulto involontario.

Strinse il bento che portava sotto braccio con talmente tanta irruenza da imprimersi la plastica sul costato.

“Invece di farmi perdere tempo, ditemi dov’è Nakamura” strepitò, maledicendo ogni tentativo di suonare quantomeno beneducato.
Con i membri di quel fottuto studio era un’impresa impossibile sul nascere.

“Oh, che tono soave, fa proprio venir voglia di elargire una risposta” sogghignò ironico Oritsume per poi aggiungere, con voce minacciosamente seria “Faresti meglio a non cercarla più, Kageyama, almeno non in mia presenza”

Tobio ingollò con enorme sforzo un insulto furibondo che premeva forsennatamente per sgorgare dalla sua bocca, ma che in quel momento gli sarebbe giovato a ben poco.

Raddrizzando dignitosamente la schiena, scollò gli occhi dai visi odiosamente taglienti degli avvocati e spostò lo sguardo sul tavolo retrostante, dove consuetamente si accomodava il personale assistente.
Adocchiò la segretaria bionda a cui, mesi prima, aveva involontariamente causato il rovesciamento del caffè sui vestiti e notò che i suoi occhi chiari fossero puntati proprio su di lui.
Tuttavia, l’espressione che gli stava rivolgendo… non era più pregna di timore.

Era…

Disgustata.
 
E, con ampia incredulità, scoprì che la medesima emozione albergava sui lineamenti della sua nuova segretaria, Ishii, che lo stava squadrando come se fosse un insetto schifosamente spiaccicato al suolo.

Forse fu proprio quel freddo disdegno a intimargli di congedarsi senza pronunciare una singola parola, lasciandosi alle spalle le risatine di scherno che sussurravano malevole “Il Re che va via con la coda tra le gambe, che spettacolo”.





Seduto sulla poltrona in pelle davanti all’imponente scrivania in noce, Tobio sbocconcellava il suo bento immerso nel silenzio del suo ufficio.

Non era un’immagine molto diversa dalla norma.

L’unica consistente differenza si riscontrava in quel bento, un preconfezionato acquistato al FamilyMart e non il solito pasto casalingo cucinatogli appositamente da…

Un grugnito insofferente trapelò dalla trachea di Tobio, le cui dita erano impegnate a stritolare le povere bacchette in legno.

Non sapeva nemmeno il motivo per cui gli era balenata in mente quell’idea aberrante.

Avventurarsi in territorio apertamente ostile non lo avrebbe completamente intimidito se avesse sfoggiato la sua classica personalità strafottente.  

Ma il problema era esattamente quello.

Non voleva comportarsi come di consueto.
Non ambiva a riproporre il medesimo pattern che aveva applicato fin da quando era giunto al Kitagawa Daiichi.
Voleva, in qualche astrusa maniera che non aveva ancora palesemente compreso, mutare almeno in minima parte il proprio atteggiamento nei confronti di coloro che lo circondavano, clienti, colleghi o chicchessia.

Agguantò un tocco di riso e se lo ficcò in bocca con ferocia, assaporandone il gusto a malapena.

La verità era che nonostante si ostinasse a negarlo, le parole di Hinata, sommate agli eventi delle ultime settimane, lo avevano inciso non superficialmente come altresì avrebbe auspicato.

Se n’era reso conto persino lui, non erano ragionamenti totalmente campati in aria.

Non era un caso che le reazioni della maggior parte della gente nei suoi confronti si dividessero unicamente fra il terrorizzato e l’incollerito.
Non ci sarebbe stato niente di male a modificare leggermente il modo di interagire con loro, no?
Non avrebbe significato smarrire l’aura autoritaria che lo caratterizzava, assolutamente no.
Era una mera quisquilia, un lieve cambiamento che avrebbe solo comportato qualche beneficio nella sfera della socializzazione, nulla di più.

Anche se…

Perché doveva scomodarsi fino a quel punto?

Per quale motivo avrebbe dovuto ammorbidire il proprio carattere per quel branco di perdenti?

Certo, quella pagliacciata l’avrebbe condotto a uno scopo ben diverso.  
Aiutarlo a comprendere l’assurdo caleidoscopio che erano le emozioni umane, a detta di Hinata.
Non che avesse radicalmente torto…

Ma si trattava di un sentiero arduo e tedioso e i suoi adorabili colleghi non gli avrebbero certamente reso il compito più agevole.

Non che avesse il diritto di lamentarsi, comunque.
 
Era conscio che l’accoglienza riservatagli da quegli idioti era meritata.
Anni e anni di disprezzo accumulato fino ad assumere la forma di un’inamovibile roccia.

Eppure, quell’onda di disgusto selvaggiamente scaraventatagli in faccia…
Iniziava a coglierlo impreparato.

Grugnì sonoramente, trattenendosi dallo sbattere la testa contro il tavolo.

Evidentemente il suo fievole tentativo era stato un disastro, considerando i risultati di appena venti minuti prima.

Non poteva aspettarsi di alterare gli animi con un espediente del genere, però almeno avrebbe compiuto un piccolo, minuscolo, passetto in avanti.

Passo che tuttavia era frenato da spesse e poderose radici ancorate nelle profondità del suo cervello, apparentemente impossibili da sradicare.

Doveva cercare di persuadere la sua ferrea razionalità che il mostrarsi non schifato dal mondo intero non implicava conseguentemente una perdita di vigore agli occhi altrui.

Insomma, cazzo, Oikawa-san era perpetuamente osannato da tutti.

Chi aveva avuto l’occasione di conoscerlo di persona aveva indubbiamente appurato che si trattasse di uno stronzetto presuntuoso, ciononostante non gli era mai stata affibbiata la fama di bastardo senza cuore.
Amava stare al centro dell’attenzione, sfoggiare il suo carisma innato e conversare amabilmente con chiunque.
Esattamente l’antitesi della sua personalità schiva e solitaria.
Eppure, ciò non aveva in nessun caso sbeccato l’alone di forza che lo attorniava.
Anzi, sembrava nettamente il contrario.
Capacità oratoria e scioltezza lessicale invidiabile costituivano ormai il suo marchio di fabbrica.

Non sarebbe cambiato nulla dunque se anche lui avesse sperimentato un atteggiamento più accomodante, no?

Era vero, la sua estetica verteva a sbattersene delle futilità che lo avrebbero soltanto reso un ipocrita, unico lato di Oikawa-san che Tobio non agognava affatto eguagliare.

Però, se ciò avrebbe significato evitare di ferire nuovamente Hinata senza nemmeno accorgersene…

Un momento.

L’unica ragione di quel drastico, irragionevole mutamento… era esclusivamente lo scricciolo rosso?


“K-kageyama-san?”  


Una tremula voce femminile lo scosse brutalmente dai suoi pensieri, facendogli sollevare lo sguardo verso la porta a vetri dell’ufficio, dove, china su se stesa come se avesse desiderato nascondersi da un’imminente incursione, stava in piedi Nakamura, mani strette attorno all’inseparabile agenda in pelle.

“Mi è stato detto che mi ha cercata…?” chiese titubante, probabilmente aspettandosi una lavata di capo da lì a pochi secondi.

Le bastò tuttavia un’occhiata alla scrivania del legale, su cui svettava il contenitore di plastica nero con ancora metà pasto all’interno, a far dissolvere anche la minima sfumatura di colore dal suo viso.

“M-m-mi dispiace Kageyama-san, non volevo interromperla, p-passo più tardi quando non è occupato” si affrettò a discolparsi chinando la testa, iniziando contemporaneamente a indietreggiare.

“No!” quasi tuonò Tobio, sorpreso dall’imprevisto arrivo di Nakamura, scattando in piedi per evitare che se ne andasse e con lei il suo tentativo già andato in fumo una volta.

Evidentemente si trattò della parola sbagliata da pronunciare poiché la ragazza si paralizzò sul posto, assumendo un’espressione vivamente terrorizzata.

Soffocando una sonora imprecazione, Tobio esalò un sospiro insofferente, maledicendo la sua innata mancanza di adeguatezza.

“Volevo dire… n-non c’è bisogno di passare più tardi. Non mi hai interrotto” cercò di spiegare con rinnovata compostezza.

Nakamura sbatté velocemente le palpebre, azzardando un’occhiata verso l’alto per valutare il grado di irritazione del legale.
Non scorgendone sorprendentemente alcuno, si decise a sollevare lentamente il capo.

“Non devi nemmeno scusarti, sono io che ho chiesto di te” aggiunse Tobio in un sommesso borbottio, distogliendo lo sguardo dal viso interdetto di Nakamura e notando con la coda dell’occhio che, a diversi metri di distanza dal suo ufficio, semi nascoste dietro una scrivania erano accucciate la segretaria bionda che lo aveva fissato con ribrezzo poco prima e un’altra ragazza con lunghi capelli neri, che se non ricordava male era la segretaria di Kindaichi.    
Parevano scrutare attentamente, e stranamente, nella loro direzione.

La ragazza non rispose, non sapendo concretamente cosa dire o fare.

Non parlava con Kageyama da ormai tre settimane.
Lui non aveva mai accennato di volerle rivolgere la parola dopo le sue pubbliche dimissioni.
Non che biasimasse il suo ex capo.
Non aveva rispettato l’ordinario protocollo e non gli aveva concesso il tempo necessario per provvedere alla sua sostituta.
Senza poi considerare il modo in cui lo aveva informato delle proprie intenzioni.
Era perfettamente a conoscenza che Kageyama-san fosse malvisto dalla stragrande maggioranza dei legali dell’ufficio.
Kunimi-san le aveva proposto di prendersi una piccola rivincita per se stessa dopo gli anni di incubo a cui lui l’aveva sottoposta…
Ma in fondo, Nakamura era conscia che il motivo per cui Kunimi-san glielo avesse suggerito fosse per umiliare apertamente Kageyama-san.  
Eppure lei aveva accettato, ignorando ogni possibile rimorso.

In quel momento, però, non riusciva a nascondere di essersi pentita di aver partecipato al gioco del capo di Yukari.
Era naturale che Kageyama-san fosse infuriato con lei…

Tuttavia non si aspettava che la mandasse a chiamare così d’improvviso, soprattutto dopo così tanto tempo dal fatidico giorno.
Il suo ex capo era un tipo piuttosto impulsivo, non lo aveva mai visto attuare una ripicca a distanza di settimane dall’evento scatenante.
Non a caso era rimasta scioccata quando Tomomi e Yukari le avevano concitatamente raccontato, appena rientrata da una delle miriadi di commissioni in giro per la città che Oritsume-san le affibbiava ogni santo giorno, che Kageyama-san avesse persino messo piede in sala comune pur di cercarla.

Oltre a una velenosa sfuriata, quindi, non sapeva sinceramente che altro aspettarsi dal legale.
Di certo ciò che mai nella vita avrebbe presagito sarebbero state…

“Ti ho cercata perché volevo scusarmi”

Delle… scuse?

Nakamura sgranò talmente tanto gli occhi scuri da riuscire a scorgere i pixel dell’immagine visiva davanti a sé.

Cosa avevano appena udito le sue orecchie?!

Doveva, ovviamente, aver sentito male.
Non ci sarebbero state ulteriori spiegazioni.
O aveva battuto la testa da qualche parte e adesso stava letteralmente sognando.

La faccia sconcertata di Nakamura dovette far scattare qualcosa nel legale, poiché reclinò lievemente la testa, percependo la punta delle orecchie infiammarsi spietatamente.

“S-so che magari non ti interesserà sentirtelo dire. Ti sei licenziata proprio per evitare di avere a che fare con me… però mi sembra corretto, e doveroso, porgerti le mie scuse”

La bocca della ragazza era dischiusa, come se avesse desiderato emettere qualche suono ma la voce si ostinasse a rimanere rinchiusa in gola.
Teneva le pupille ancorate al viso di Kageyama, immobile come una statua di pietra.

“Mi sono comportato male con te, Nakamura. Non… non saprei nemmeno da dove cominciare” mugugnò sommessamente, arpionando le unghie della mano sinistra sullo strato di gesso avvolto all’avambraccio.

Dio, non poteva credere che lo stesse facendo veramente.
Non aveva la più pallida idea di come scusarsi dovutamente nei confronti di qualcuno che non fosse un senpai…
Era terrorizzato dalla prospettiva di combinare un casino ancor peggiore di quello in cui era già immerso fino al midollo.

“Non… non ti biasimo per aver deciso di andartene. Capisco che… che sia stata colpa mia se tu…”


“Non riuscirei a lavorare per lui un singolo giorno di più. Ho raggiunto il mio limite, mi dispiace”


Ricordare quell’affermazione gli causava sempre una spiacevole ondata di nausea.
Perché non se n’era mai accorto, perché?!

“Se tu ti sia sentita esasperata. Non ho….”

Esalò un profondo respiro, seppur un po’ tremante.

Lo stava confessando sul serio?
Stava volontariamente ammettendo, ad volta voce, davanti a una mera sottoposta, di…

“Non ho svolto il lavoro che ci si aspetterebbe da un buon superiore”

Di non essere stato capace di adempiere al suo lavoro?!

Stava mostrando di non essere in grado di gestire in maniera appropriata neanche una segretaria?
Se si stava così oscenamente prostrando dinanzi a una nullità, come sperava di ottenere il riconoscimento dell’élite dell’avvocatura giapponese?!

“Non ho mai considerato che il mio modo di agire potesse ferirti in qualche modo. A dir la verità non ti ho mai nemmeno considerata come una persona”

Lo sguardo stralunato venato di mortificazione della ragazza fece realizzare a Tobio cosa gli fosse appena fuoriuscito dalla bocca.

Gli veniva voglia di sbattersi il cranio contro il muro.
Perché, perché era così dannatamente difficile esprimere cosa provasse?!

“I-i-intendevo dire che non ti ho mai considerata come una persona con… con…”

Le mani stavano iniziando a sudargli copiosamente e percepiva il collo e le guance andargli letteralmente a fuoco.

“Un persona con degli stati d’animo, ecco. Capace di… sentirsi ferita…”


“Perché le persone non sono macchine, Kageyama! Sono esseri umani e in quanto tali si comportano!


“Tu per me eri solo… eri solo qualcuno che dovesse ottemperare al lavoro che gli affidavo in maniera veloce e impeccabile. Le lamentele non sarebbero state accettate. Una… una macchina insomma”

Una goccia di sudore freddo gli colò lungo la tempia destra.

Cosa cazzo aveva appena detto.

Dio santissimo, perché non si tappava la bocca, perché non si infilava il gesso giù per la laringe e non la piantava di peggiorare la situazione minuto dopo minuto.

Com’era possibile che una semplice segretaria gli stesse inducendo malessere fisico?
Com’era concepibile una situazione del genere?
Lui, Kageyama Tobio, ridotto in quello stato pietoso per una ragazza che non contava assolutamente nulla?!

“E… e tu sei sempre… sempre stata una buona… macchina

Oh merda, non poteva farcela.

Ruggì frustrato, afferrandosi la testa con la mano sinistra e stringendo le dita fra i capelli in una morsa ferrea.

“Sto cercando di dire che hai sempre lavorato in maniera efficiente senza lamentarti, non mi è mai venuto in mente che non ti stesse bene il modo in cui mi comportassi nei tuoi confronti” esplose finalmente, formulando i suoi confusi pensieri in una constatazione sensata.
“Per me era ovvio che tu sapessi di che pasta fossi fatto, quindi non ho mai prestato attenzione a una tua possibile insofferenza”
“Ma, ovviamente, mi sono sbagliato di grosso” mormorò poi abbassando drasticamente il tono di voce, gettando di sbieco una rapida occhiata alla ragazza…

Che però, incomprensibilmente, non aveva dipinta sul volto un’espressione schifata, esattamente come tutti coloro che lo avevano fissato nella sala comune mezzora prima.
Non disgustata… ma neppure terrorizzata.
Era un’espressione che faticava a identificare, in realtà.

Gli occhi parzialmente celati dagli spessi occhiali scuri non lasciavano trasparire né tristezza né ira.

Forse fu la consueta mancanza di emozioni negative che convinse il legale a proseguire nel suo altalenante discorso.

“Mi sono accorto troppo tardi che nonostante non ci avessi mai fatto caso, il tuo lavoro per me è sempre stato puntuale, ineccepibile e… non te ne sono mai stato riconoscente”

Era un lieve tremolio quello che aveva preso d’assalto le sue mani?

“So che adesso è inutile, però volevo che lo sapessi comunque” concluse infine, inalando una vacillante boccata d’ossigeno.

Non riusciva a staccare le pupille dal parquet in legno.

Per la primissima volta nella sua vita, decideva volontariamente di prostrarsi dinanzi a qualcuno. Riconoscere un errore, ammetterlo a voce alta, porgere le proprie scuse…

Si trattava di un mucchio di azioni talmente incongruenti da provocare al suo cervello una probabile implosione.
Il cuore gli batteva convulsamente contro la cassa toracica, nonostante non ne comprendesse la causa.

Ansia?
Ma di cosa, in realtà?
Aspettativa?
Paura?
Paura di che?
Di un rigetto?
Era così prevedibile che non capiva perché il suo muscolo cardiaco si scomodasse fino a quel punto.
Rabbia?
Nei confronti di se stesso per aver ceduto a quella patetica confessione?
Timore dell’inevitabile reazione che sarebbe sopraggiunta di lì a breve?
Ma che reazione temeva maggiormente?
Sdegno?
Ira?
Sbeffeggiamento?

Dal canto suo, Nakamura era la personificazione vivente dello sbigottimento.

Le parole gli erano sostanzialmente morte in gola fin dal principio di quell’allucinante discorso.

Si concesse parecchi secondi per osservare l’uomo che per due anni era stato il suo capo, uomo che negli ultimi mesi era arrivata persino a considerare alla stregua di un mostro privo di umanità.
Quell’uomo imponente, che doveva sempre guardare dal basso verso l’alto, dallo sguardo perennemente irritato, che aveva la capacità di farla sentire una nullità con una singola occhiata…

In quel momento, di quell’uomo non v’era alcuna traccia.

Colui che si ergeva davanti i suoi occhi era un ragazzo che dimostrava tutta la sua giovane età, a stento qualche anno in più di lei.
Era un ragazzo che probabilmente non aveva mai porto le proprie scuse ad anima viva e non sapeva nemmeno da dove incominciare.  
Un ragazzo che, spogliatosi dalla sontuosa veste d’arroganza e superbia indossata giornalmente, aveva svelato una semplice tunica pallida con cui non era abituato mostrarsi.

Gli sembrava quasi una persona… normale.

Un sussulto le sconquassò inaspettatamente il torace.

Un repentino ricordo, balenatogli in mente solo superficialmente quando aveva deciso di interrompere il contratto con Kageyama, irruppe fulmineo nel suo disorientamento.

Non sarebbe mai riuscita a dimenticare l’inevitabile mattina di tre settimane prima.
Il frangente in cui aveva finalmente ceduto, abbandonando il lavoro alle dipendenze di Kageyama-san.
Il giorno in cui aveva afferrato in mano le redini del gioco, infliggendo volontariamente uno smacco a quell’uomo senza alcun preavviso.
Tuttavia…
Quale era stata la vera motivazione che l’aveva spinta a licenziarsi e, soprattutto, ad accettare la perfida proposta di Kunimi-san?
Non poteva negare di essere stata travolta da una rabbia raramente sperimentata prima d’allora, però non era mai stata una persona vendicativa.
Yukari, Tomomi e i loro superiori erano convinti che avesse agito per ripicca e si erano congratulati con lei…
Ma la realtà era ben diversa da ciò che appariva.

Rammentava nitidamente che, nonostante la nausea e l’ira che quell’uomo le aveva causato quell’inevitabile mattina, v’era stato un peculiare pensiero a emergere fra gli altri.

Aveva provato il vivido desiderio di scuotere quel legale schiavo dell’autocontrollo.
Aveva percepito la palpabile necessità di comunicargli che non tutto potesse sempre seguire i suoi incrollabili piani.

La ragione per cui aveva preso quella drastica e meschina decisione, andava oltre la semplice esasperazione covata per ben settecentotrenta giorni.
Aveva pensato, magari egoisticamente, che forse il suo minuscolo gesto avrebbe scosso qualcosa nell’animo di quell’uomo apparentemente senza cuore.
Avrebbe consentito un mutamento, per quanto irrilevante esso potesse essere.
L’avrebbe portato a chiedersi, a domandarsi… perché.

Era consapevole che fosse una possibilità praticamente inesistente.
Quell’uomo aveva dimostrato la sua intrinseca natura fin da quando aveva messo piede nello studio legale.
Eppure…
Eppure qualcosa in lei l’aveva incitata a provare.
Forse in realtà era solo ciò che restava del suo orgoglio che la istigava a sfidare il legale.
Sfidarlo a mantenere la sua impassibile impalcatura di autocontrollo dinanzi a quell’improvvisa piega degli eventi.

Ciononostante, si era trattato soltanto di mere congetture prive di fondamenta.
Nakamura non si era mai seriamente soffermata a riflettere sulla reale possibilità che Kageyama potesse farsi un esame di coscienza.

Eppure, eccolo davanti ai suoi occhi basiti, il legale che era stato il suo tormento per anni e che appariva come… come un ragazzino mortificato.
Era talmente surreale che…

Un sorriso le smosse finalmente le labbra imbambolate.

Le faceva venir voglia di ridere.

Alla fine non avvertiva più il bisogno di sentirsi intimorita da quell’uomo che di spaventoso non aveva proprio nulla.

Era… liberatorio.

Gli inquieti occhi blu di Tobio continuarono a vagare per la superficie perfettamente levigata del parquet per un tempo indefinito, prima di decidersi a rialzarsi sulla sua silenziosa interlocutrice.

L’immagine che carpirono le sue pupille tuttavia lo colse talmente impreparato da sbattere più e più volte le palpebre.

Nakamura stava…

Sorridendo?

Quella scialba, insignificante ragazza di cui aveva sistematicamente rimosso il nome per un imbarazzante arco di tempo, non accorgendosi nemmeno della sua presenza…

Gli stava sorridendo?

Quella giovinetta neutra, dai colori comuni, che non aveva mai spiccato in tutto l’ufficio…

Aveva delle graziose fossette sulle guance?

Possibile che non vi avesse mai prestato attenzione in due anni di affiancamento costante?

Ma la domanda più pressante era…

Aveva mai scorto quella ragazza sorridere?

Ovvio che non l’avesse notato.

Si dimenticava persino il nome, cazzo.
Era palese che non potesse neppure rammentare che sulle guance avesse due adorabili fossette del cazzo che gli ricordavano quelle di…

“Kageyama-san, accetto le sue scuse”

Tobio spalancò gli occhi, riportandoli febbrilmente sul volto di Nakamura.

Era la prima volta che lo guardava con espressione… serena.
Si sposava bene con il suo viso, si rese conto.

“E… per me l’importante è che se ne sia reso conto, alla fine. Meglio tardi che mai, non crede?” scherzò seppur timidamente, reclinando la testa e allargando il sorriso che accentuò ancor di più le fossette sulle gote rosate.

Tobio la fissava come se si fosse appena materializzato uno spirito ultraterreno.

“Tu… non… sei…”

Quella conversazione gli rievocò uno strano senso di déjà vu.


“Cosa, pensavi che non avrei sentito ragioni? Per tua fortuna sono molto più accomodante di te”


“Arrabbiata con lei, Kageyama-san?”

Le similitudini fra quella ragazza e Hinata erano davvero allarmanti, appurò reprimendo un brivido e annuendo lentamente.

Il sorriso di Nakamura si tramutò in una smorfia un po’ amara.

“Non posso negare di esserlo stata. Però in realtà, Kageyama-san, non è stata soltanto rabbia. Quello che non potevo più sopportare non era solo il modo in cui mi trattava”

S’interruppe, regredendo in uno stato di ponderata cautela.

In fondo le scuse del legale non equivalevano automaticamente al poter dar libero sfogo ai suoi più reconditi pensieri…
Stranamente però, il legale la scrutava con aspettativa, come se fosse seriamente avido di conoscere cosa gli passasse per la testa.

Inalando un profondo respiro, racimolò il coraggio necessario per confessare ciò che l’aveva condotta al capolinea dell’umana sopportazione.

“Non ne potevo più di vederla trattare i suoi clienti con tanta… freddezza. So che lei è un uomo impegnato, non perde tempo con i convenevoli e va sempre dritto al sodo… ma non ce la facevo più ad assistere ogni giorno a quell’atteggiamento… disumano”

I battiti del cuore di Tobio guizzarono imbizzarriti.

Disumano?
Lo aveva appena descritto come…

“Mi dispiace se sono stata troppo ardita” aggiunse velocemente, cogliendo l’improvvisa sfumatura cupa negli occhi dell’uomo.

“No… no. E’ un’opinione legittima, non… devi scusarti” borbottò Tobio, seppur intimamente turbato.

“Quello che vorrei che capisse è che… sono felice che lei se ne sia reso conto, Kageyama-san. Speravo che il mio licenziamento potesse farla riflettere” confessò con le guance appena arrossate, serrando nervosamente le dita attorno all’agenda.

Tobio arcuò le sopracciglia, sorpreso.

Cosa aveva fatto…?

“Anche se a dir la verità non ci speravo mica” ammise con una risatina imbarazzata, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Tobio a quel punto la osservava sinceramente interdetto.

Quella ragazza non aveva pensato solo a se stessa quando aveva deciso di andarsene?

Perché mai agire così?
Era una scelta indirizzata alla sua individualità e avrebbe influenzato il suo benessere futuro.
Perché scomodarsi a degnarlo di considerazione quando era da lui che avrebbe dovuto andarsene?!

Il viso sorridente di Hinata invase cocciutamente le sue sinapsi e gli parve di udire chiaramente la sua voce cristallina squillare canzonatoria “Kageyamaaaa, ti pare che siamo tutti come te? Le persone sono altruiste! Che ti aspettavi, musone?”

Possibile che quel dannato scricciolo avesse ragione fino a tal punto?
Che quella sua balorda convinzione… fosse corretta?
Empatia, coinvolgimento emotivo, considerazione dei sentimenti umani…
Che fosse quella la giusta strada da percorrere?

Era talmente sconvolto da non sapere come replicare.

“Mi dispiace se ho oltrepassato il limite, Kageyama-san” si affrettò a scusarsi Nakamura, a cui non era sfuggito lo stato di smarrimento in cui versava il legale da ormai qualche minuto.

Tobio ebbe a stento la forza di scuotere la testa.

“No… io… non… hai pensato a me nonostante non vedessi l’ora di liberarti di me…?”

Non riusciva a capire.

Nakamura assunse un’espressione meravigliata.

“Beh… sì? E’ così strano? E’ stato il mio capo per due anni”

La ragazza non riusciva ad afferrarne la ragione, ma quell’uomo che per così tanto tempo aveva percepito come inarrivabile, insensibile, glaciale…
Si stava rivelando piuttosto semplice parlare con lui.
 
“Peccato però che non lo sia più” sussurrò distrattamente Tobio, dando voce ai propri ragionamenti.

Impiegò qualche istante a rendersi effettivamente conto di cosa avesse appena pronunciato e la sua reazione fu scioccata quanto quella di Nakamura.

Come cazzo gli era saltato in mente di dirlo sul serio?!

Sì okay, gli sarebbe piaciuto, ma avrebbe ricevuto in risposta un ovvio diniego, chi voleva prendere in giro?!
La vita di Nakamura era un paradiso ora che non lavorava più per lui, no?!

Che razza di patetico idiota era stato, merda.

Nakamura credeva fermamente di non essere mai stata tanto sconcertata in vita sua.

Kageyama-san, quel Kageyama-san, aveva appena ammesso che…

Un calore sconosciuto le avvolse dolcemente il petto, cullando i suoi battiti cardiaci accelerati in un confortante abbraccio mentre un sorriso un po’ emozionato nacque sul suo viso, accendendole le gote di una gradevole sfumatura rosata.

Kageyama-san… sperava che lei fosse ancora la sua segretaria.

Era conscia che, razionalmente parlando, quella frase non potesse compensare di una virgola tutto ciò a cui era stata sottoposta nei mesi precedenti, tuttavia…
Non riusciva a non reputarla un’immensa, schiacciante vittoria.
E, anche se non avrebbe dovuto…
Quella rivelazione la rendeva davvero felice.

“Ci penserò, Kageyama-san” mormorò con tono gentile, guardando il volto stralunato del legale con sincerità.

Prima che Tobio potesse sfuggire da quell’invadente stato di shock e racimolare la forza necessaria per ribattere, udì sommessamente una voce rauca chiamare il nome di Nakamura.

La ragazza si voltò celermente per captare la provenienza della voce, per poi raddrizzare la schiena e accennare un inchino.

“Adesso devo andare, Kageyama-san. Oritsume-san mi starà aspettando” si congedò educatamente con il sorriso ancora sulle labbra e, senza attendere una possibile risposta, si apprestò a dirigersi verso l’ufficio dell’avvocato.

Colto da un inspiegabile moto di panico, Tobio allungò il braccio e circondò l’esile gomito della ragazza con la mano sinistra, pronunciando un gracchiante “Na…Nakamura!”

La ragazza si fermò, girando con circospezione il capo e ricambiando l’espressione frenetica del legale con una nettamente più serena.

“Sì, Kageyama-san?”

Tobio deglutì un gigantesco grumo di saliva.

“Volevo dirti grazie per… per tutte le volte che mi hai preparato il pranzo” mugugnò flebilmente con lo sguardo rivolto verso il basso.

Desiderava ardentemente morire dall’imbarazzo.
Le orecchie rosso fuoco poi non lo aiutavano di certo a occultare la sua indecorosa condizione.

Nakamura lo squadrò per qualche secondo con occhi vacui per poi abbandonarsi a una risata genuina, per il rinnovato shock del legale, lanciando contemporaneamente un’occhiata al solitario bento che troneggiava sulla boriosa scrivania.

“Non c’è di che, Kageyama-san. L’ho sempre fatto con piacere” rivelò con un sorriso lievemente ammiccante che mai avrebbe immaginato di assumere dinanzi al tenebroso avvocato.

Dopodiché, con un ultimo saluto, la ragazza girò i tacchi e si affrettò verso il corridoio dove, veloci come due furetti, la raggiunsero in un baleno le due amiche che fino a quel momento l’avevano aspettata nascoste dietro un’ampia scrivania e che non persero tempo a bombardarla di domande.

Tobio seguì con lo sguardo Nakamura allontanarsi fino a sparire nell’ufficio di Oritsume, separandosi così dalle due colleghe che ritornarono svogliatamente alle rispettive postazioni.

Si sentiva…

Spaesato.

Come se avesse affrontato un lunghissimo viaggio per raggiungere una destinazione sconosciuta,  giungendovi sfibrato ed estenuato.

Riportò lentamente gli occhi blu sulla scrivania, su cui acora faceva capolino il bento da consumare.

Era una sensazione strana, mai sperimentata prima d’allora, però…

Non poteva dire che gli dispiacesse.






18:23
Da: Medico idiota

“Com’è andata la giornata?😄”


19:11
Da: Kageyama👹

“La mia giornata si è conclusa adesso, a differenza della tua”


19:19
Da: Medico idiota

“Io sono stato di turno dalle otto di stamattina a differenza di qualcuno😡”


19:20
Da: Medico idiota

“Invece di fare l’antipatico rispondi alla mia domanda🤨”


19:21
Da: Kageyama👹

“Non diversa dalle altre giornate”


19:23
Da: medico idiota

“Sei davvero noioso😒”


19:25
Da: Kageyama👹

“E tu sei troppo insistente.”


19:26
Da: Medico idiota

“Ma ti ho solo chiesto come è andata oggi😢 sono insistente per interessarmi alla tua vita??”


19:27
Da: Kageyama👹

“🙄”


19:28
Da: medico idiota

“???”


19:29
Da: Kageyama👹

“Idiota.”


19:30
Da: Medico idiota

“La smettiiiiiii🤬”


19:32
Da: Kageyama👹

“Oggi ho parlato con la mia ex segretaria”


19:33
Da: Medico idiota

“Quella che ti preparava il pranzo con le sue manine?😁”


19:34
Da: Kageyama👹

“Idiota”


19:35
Da: Medico idiota

“Dovresti arricchire il tuo vocabolario, Kageyama-kun🤣”


19:35
Da: Medico idiota

“Cosa sei riuscito a dirle? Non era proprio… emh, felice l’ultima volta che hai parlato con lei, no?


19:36
Da: Kageyama👹

“No, affatto”


19:37
Da: Kageyama👹

“Mi sono… scusato con lei”


19:38
Da: Medico idiota

“!!!”


19:38
Da: Medico idiota

“😦”


19:39
Da: Kageyama👹

“??!!!!!”


19:40
Da: Medico idiota

“Ti sei davvero scusato con lei?? In modo gentile??”


19:42
Da: Kageyama👹

“Non so dirti per il gentile, però sì, mi sono scusato”


19:43
Da: Medico idiota

“E lei che reazione ha avuto??”


19:44
Da: Kageyama👹

“Mi è sembrato che le facesse piacere e… mi è sembrata contenta, o almeno penso”


19:45
Da: Medico idiota

“Kageyamaaaaaa, ma è fantastico!! Che ti avevo detto??🥳”


19:46
Da: Kageyama👹

“?”


19:47
Da: Medico idiota

“Tratti bene le persone e loro ti trattano bene di conseguenza😌”



Tobio fissò intensamente il display del cellulare, ignorando il sottofondo di voci e clacson che animavano la città alle prime luci della sera.

Nonostante fosse soffocata dalle sue rinnovate intenzioni, un’inquietante e voluminosa presenza si annidava in un angolino della sua mente, sussurrandogli, di tanto in tanto…

Vuoi davvero diventare come quel medico da quattro soldi, Tobio?
Vuoi davvero abbassarti a elemosinare scuse e sentimentalismi come ogni babbeo buono a nulla che hai  sempre detestato?
Vuoi davvero ridurti a una poltiglia senza spina dorsale?
Vuoi davvero… essere debole come quell’Hinata Shoyo?



 
***



“Kageyama? Stai sognando a occhi aperti?”

La pacata voce del corvino lo fece sobbalzare appena.

Strinse le dita della mano sinistra sul manico della fidata ventiquattrore in pelle nera e riportò celermente la propria attenzione sul suo interlocutore.

“Akaashi-san, sei sicuro di non dover tornare a casa? Mancano pochi giorni all’esame per magistratura…”
 
Il ragazzo scosse fermamente la testa, elidendo ogni problema, continuando a camminare rasentando il limite del marciapiede piastrellato.

“Mi fa bene prendere una boccata d’aria, non preoccuparti” rispose tranquillamente.
Poi, scoccando un’occhiata in tralice a Tobio, aggiunse con un sorrisetto malcelato “Allora, come vanno le cose? Mi sembra che la situazione con Hinata sia nettamente migliorata”

Le guance di Tobio s’infiammarono istantaneamente.

“C-che intendi?”

Keiji si permise una risatina.

“Quante volte devi reagire come se cadessi dalle nuvole, Kageyama?” lo prese in giro con tono canzonatorio.
“Ormai è passato qualche mese di troppo per essere sorpresi”

Tobio si mordicchiò il labbro, mantenendo lo sguardo sulle vetrine colorate dei negozi che costeggiavano la strada.

“Beh…” mugugnò, tentando di non cedere al rossore che minacciava di attanagliargli le guance.

In fondo, di cosa si vergognava?

Akaashi-san era un suo amico… o almeno, una specie di amico.
Era giunto a patti con la propria coscienza ormai da un po’, non ci sarebbero stati problemi ad ammettere la verità ad alta voce, no?
 
“Sì, adesso sta andando piuttosto bene” concesse alla fine.

Keiji inarcò il sopracciglio con aria eloquente, non accontentandosi della miseria offertagli.

Tobio sbuffò lievemente contrariato, ma non così irritato come lo era stato alle origini, quando il corvino aveva iniziato a indagare discretamente sulla sua situazione con il medico.

“Diciamo che… ho cercato di rimediare per il mio comportamento. Gli… gli ho fatto una sorpresa e sono andato a casa sua” confessò velocemente, incrementando il passo e sorpassando il senpai grazie alle lunghe gambe, evitando così di lasciar trasparire il proprio imbarazzo.

Purtroppo però il suo vano espediente fu piuttosto fallace poiché Keiji riuscì ad adocchiare l’espressione impacciata del legale e non risparmiò un risolino malizioso.
“A casa sua, eh? E… posso sapere che avete fatto?”

La vena allusiva non sfuggì alle orecchie del legale che avvampò dalla testa ai piedi e ancorò gli occhi blu sulle piastrelle grigie del marciapiede.

“Avanti Kags, non fare il timido”

Tobio si voltò di scatto con espressione scioccata all’uso improprio del suo nome, solo per trovare il viso divertito di Akaashi che lo fissava con ilarità.
“Stai troppo tempo con Kuroo-san, la sua influenza sta diventando evidente” borbottò assottigliando gli occhi.
“I suoi metodi sono discutibili, ma spesso efficaci” replicò semplicemente il corvino con una scrollata di spalle.

Grugnendo, Tobio ricominciò a camminare, svoltando distrattamente a un incrocio e proseguendo su una strada che fiancheggiava un parco puntellato di alberi dalle foglie colorate.

“Ci siamo baciati”

I piedi di Akaashi inchiodarono bruscamente, provocando una sonora imprecazione da parte di un passante alle sue spalle che gli finì addosso.
Il corvino però registrò a malapena le indignate lamentele, troppo impegnato a fissare sbalordito la schiena di Kageyama, le cui orecchie erano tinte di un’inconfondibile sfumatura rossastra.

“Vi siete…?” ripetè con aria smarrita, ma la confusione fu di breve durata poiché tornò subito alla carica, raggiungendo l’amico e scoccandogli un pugno amichevole sul braccio sinistro.
“E bravo Kageyama, finalmente un progresso degno di nota”

“Che vuoi dire con degno di nota” sbottò aspramente, girando la testa per fulminarlo con lo sguardo.

Degno di nota il bacio?!

Perché il modo in cui il suo cervello era stato letteralmente disintegrato fra ragionamenti contorti e autoimposizioni di coscienza non era stato degno di nota?!

“Beh, Kageyama, da quando mi hai parlato per la prima volta di Hinata vi siete sempre mossi con piedi di piombo. Tra la fase di diniego e quella d’accettazione è passato più di un mese e mezzo, non credi?” osservò razionalmente Akaashi.

Il broncio che apparve sui lineamenti di Tobio assomigliava terribilmente all’espressione di un cocciuto bimbo di sei anni.   

“Non è stato semplice” borbottò ostinatamente.

Keiji emise uno sbuffo divertito.

“Non è stato semplice è un eufemismo. Troverei più appropriate parole come sfiancante, spossante, logorante…”

“Okay, okay, ho capito” lo interruppe spazientito Tobio, grattandosi frustato la nuca.  
“E’ una situazione del tutto nuova per me… immagino che tu lo sappia” ammise fievolmente.
“E’ difficile… ascoltare una voce che non sia la tua, un’opinione che non sia la tua. Capire che bisogna scendere a compromessi se si vuole stare insieme a qualcuno…”

S’interruppe, sbiancando di colpo.

Stare insieme a qualcuno?!

Aveva appena detto di voler stare insieme a qualcuno?!
Sul serio?!

Nonostante lo shock evidente sul viso del legale, Akaashi non esitò a controbattere prontamente.

“Non a caso si chiama relazione, Kageyama. Un relazione tra due persone, un continuo scambio di idee, pensieri, emozioni… non è un sentiero a senso unico, come sei sempre stato abituato a percorrere, ma una strada a doppio senso”    

Le parole del corvino scavarono un solco nella memoria di Tobio, imprimendosi profondamente come un tatuaggio a fuoco.

“Devi aprirti alla possibilità del cambiamento. Se rimani chiuso nelle tue idee, se non ammetti di avere torto quando sbagli, se ti ancori nei tuoi principi… non ci sarà alcun futuro”

Il tono di Akaashi era pacato, ma determinato in ogni singola sillaba pronunciata, tanto da provocare un brivido nel legale.

Nessun futuro.
Infinita solitudine.
Eterno… nulla.

“Io… io ci sto provando, Akaashi” mormorò alla fine, dopo che ebbero camminato in silenzio per qualche minuto.
“Solo che è difficile… il modo in cui pensa Hinata è agli antipodi dal mio. Mi viene difficile capire quando sbaglio, anche se ancora più complicato è capire il perché del mio sbaglio” mugugnò a testa bassa.

Keiji ascoltava taciturno, seguendolo a passo rilassato mentre una lieve brezza gli arruffava i capelli ondulati.

“Non riesco a non pensare che stia invadendo la mia mente, prendendone il controllo e lasciandomi fuori. Non potrei mai tollerare una cosa del genere” rivelò con sforzo sovrumano, serrando le nocche attorno al manico di pelle della valigetta fino a rendere l’epidermide cadaverica.

Era la prima volta che si abbandonava a una confessione tanto personale con Akaashi.
Le sue congetture più intime non avevano mai varcato i meandri della sua mente.

Si sentiva incredibilmente scoperto, vulnerabile.
Nudo dinanzi a un gigantesco occhio che gli trapassava l’anima, estorcendogli anche la più esigua goccia di verità.
Una sensazione ributtante che gli faceva venir voglia di sparire per sempre dalla faccia della terra.

“Sai, un tempo odiavo il contatto fisico”

Tobio sbatté le palpebre, ruotando il capo per guardare il volto pensieroso di Keiji.

“Il solo pensiero di essere sfiorato da qualcuno mi faceva vomitare. Limitavo i contatti al minimo, rimanevo chiuso nella mia distanza interpersonale e mi andava benissimo così. Il sesso era l’unica eccezione, ma preferivo essere io a toccare e a fare la maggior parte del lavoro” spiegò quietamente, con un velo di malinconia adagiato sugli occhi cobalto.
“Non sapevo spiegarmi esattamente il motivo… un po’ mi disgustava, ma a dir la verità mi rendeva principalmente nervoso. Sconoscevo la ragione, però”  

Il ragazzo continuò a camminare lentamente, gettando uno sguardo al parco che stavano costeggiando, al cui interno si scorgeva una coppia di bambini con le mani dolcemente intrecciate.

“Anche da piccolo non sono mai stato un bambino particolarmente affettuoso. Quando qualche adulto provava a scombinarmi i capelli o a pizzicarmi la guancia mi ritraevo immediatamente. Non lo sopportavo” esalò con un sospiro.

Tobio teneva gli occhi puntati sul viso del senpai, percependo qualcosa di discordante nel suo discorso.

“Ma se non sopportavi il contatto fisico, come hai fatto quando…”

“Poi, però, ho conosciuto Bokuto-san”

L’affermazione di Keiji interruppe la domanda del legale, predicendone il quesito intrinseco.

Tobio increspò le sopracciglia, piuttosto scetticamente.

Una risatina proruppe dalle labbra di Akaashi, intuendo la perplessità dell’amico.
 
“Bokuto-san è forse la persona più espansiva che abbia mai incontrato, com’è possibile che tu sia riuscito a stare con lui?… ti stai chiedendo questo, non è così?

Il legale annuì, schivando contemporaneamente un gruppetto di scalmanati studenti che correvano in direzione della fermata metro lì vicina.

“E’ esattamente ciò che mi sono chiesto anch’io quando ho capito che mi piacesse”

La fronte si Tobio si corrugò ulteriormente, mentre dai lineamenti del corvino affiorò un tenero sorriso.

“Fin da quando ci siamo conosciuti, Bokuto ha sempre cercato qualunque scusa per starmi vicino, sfiorarmi la la mano, mettermi un braccio attorno alle spalle… all’inizio l’ho sempre respinto. Non ero abituato, ovviamente, ma non era l’unica ragione per cui non volessi. Poi, ricordo che ci fu un’occasione in cui Koutaro era veramente giù di morale. Non riusciva a passare una materia che gli avrebbe consentito di laurearsi e iniziare finalmente a lavorare in palestra… sai che gli capita di soffrire di sbalzi di umore, ma non l’avevo mai visto così scoraggiato. Allora, senza nemmeno rifletterci, ricordo di averlo stretto in un abbraccio che sorprese sia me sia lui. Bokuto si aggrappò a me con tutta la forza che aveva e io… non mi staccai. Era come se un calore sconosciuto si stesse espandendo da dove io e Bokuto collimavamo, un calore confortante che non avevo mai sperimentato prima d’ora. In seguito capii che si ripeteva ogni volta che Bokuto mi accarezzava o mi stringeva a sé. Era come se quel calore lo emanasse proprio Koutaro. Il mio nervosismo, la mia repulsione per il contatto fisico… erano spariti, con lui”

La voce di Akaashi era sommessa, pregna di una sfumatura calda che Tobio non seppe identificare.

“Quello che voglio dirti, Kageyama, è che certe volte non è necessario sradicare le proprie abitudini. Nonostante possa sembrare impossibile… alla fine diventa quasi qualcosa di naturale.  Non si tratta di forzarsi, ma di raggiungere una giusta consapevolezza”

Tobio ascoltò le parole di Keiji in silenzio, scrutandolo con la coda dell’occhio mentre continuava meccanicamente a compiere un passo dopo l’altro.

Un processo naturale, eh?

Non sarebbe mai stato spontaneo per lui comportarsi come Hinata.

“Non è Hinata che ti sta influenzando, Kageyama. Se fossi stato pienamente convinto dei tuoi principi non avresti nemmeno perso tempo con lui. Sei tu che stai soppesando se in effetti Hinata non abbia ragione. Sei tu che stai dubitando di te stesso”

Il cuore di Tobio pompò repentinamente il doppio della quantità di sangue comunemente necessaria.  

Lui stava dubitando di se stesso?
Stava diffidando delle sue convinzioni?
Non era Hinata a suggestionarlo ma lui a non credere più nei suoi ideali?!

Dio, gli stava scoppiando la testa.

“So che è molto difficile, ma ti verrà più semplice se provi a non trattenere le redini che ti frenano come fai sempre” pronunciò fermamente Akaashi come se avesse letto nella mente frastornata del legale, che gli lanciò un’occhiata sorpresa.

La facciata dell’imponente tribunale in pietra bianca della città era ormai vicino, quando Tobio aprì finalmente bocca.

“Ci proverò, Akaashi-san” mormorò mestamente.

Inaspettatamente, il viso di Akaashi si aprì in un raro sorriso che raggiunse i suoi occhi cobalto e colse il legale impreparato, che quasi inciampò sui suoi stessi piedi.

“Sono contento, Kageyama. E’ la prima volta che… vedo un’emozione forte in te che non sia rabbia o frustrazione. Sono felice che Shoyo ti faccia bene”

Le orecchie di Tobio si colorarono di scarlatto in meno di un istante.

“Però… assicurati di non ferirlo, Kageyama. C’è ancora molto che devi imparare su di lui” aggiunse con tono inquietantemente serio.

Tobio aggrottò dubbiosamente le sopracciglia e stava per chiedere ulteriori spiegazioni, ma venne rapidamente preceduto da Keiji.

“Adesso devo proprio andare, alle quattro devo raggiungere Bokuto da Murakami e poi tornare a casa per ripassare. Ci vediamo” si congedò con un un piccolo sorriso.

Tobio lo osservò con sguardo confuso allontanarsi a passo sostenuto, perdendosi quasi subito fra la calca che affollava le vie circostanti.

Chissà che aveva voluto intendere con quel consiglio enigmatico.
Approfondire la conoscenza del medico era un passo piuttosto ovvio.
Perché allora il tono di Akaashi era sembrato assai più grave di quel che avrebbe dovuto…?

S’incamminò verso l’ingresso del tribunale, giungendovi appena in tempo prima che fastidiose goccioline d’acqua gli colpissero la testa, riparandosi grazie alla monumentale pensilina in pietra.

Stava per varcare la soglia e raggiungere l’aula in cui si sarebbe svolta un’udienza preliminare, quando il suo cellulare vibrò dalla tasca dei pantaloni scuri.

Afferrando distrattamente il dispositivo per azzerarne la suoneria, adocchiò una notifica che gli fece sollevare inconsciamente entrambi gli angoli della bocca verso l’alto.


15:44
Da: Medico idiota

“Mercoledì 23 alle 17:30 vieni in ospedale per togliere il gesso finalmente🎉
Meno sei giorni e sarai di nuovo un uomo libero😁💛”



 
***



“Buongiorno, Kageyama-san”

Le orecchie di Tobio captarono immediatamente l’inattesa voce non appena oltrepassò l’ingresso dello studio.

Nakamura era in piedi dietro alla sua scrivania in ciliegio scuro, capelli sciolti sulle spalle coperte da una camicetta blu e viso sorridente diretto verso di…

“B-buongiorno, Nakamura” rispose incespicando sulle sue stesse parole, facendo così allargare il sorriso della ragazza.

Diretto verso di lui.

“Le auguro un buon lavoro oggi” aggiunse con un lieve inchino, spostandosi i capelli dietro l’orecchio destro per poi incamminarsi presumibilmente verso l’ufficio di Oritsume.

Imbambolato con occhi spalancati, Tobio si sentiva…

Piacevolmente scioccato.

In due anni nessuno gli aveva mai rivolto il saluto di buon grado… figurarsi qualcuno che lo accogliesse addirittura sorridendo.

Era una situazione al limite del surreale.

Poco importava che la ragazza l’avesse salutato allo stesso modo anche la mattina precedente.
Non era affatto semplice abituarsi a quella premura talmente incongruente al suo ambiente lavorativo.

Aveva interpretato il gesto di Nakamura come un segno di pace dopo il discorso di tre giorni prima, tuttavia la recidività lasciava trasparire qualcos’altro.

La ragazza desiderava veramente essere gentile con lui.

Un moto di speranza accese il petto del legale mentre percorreva il corridoio che conduceva al suo ufficio.
 
Forse stava seriamente prendendo in considerazione la possibilità di ritornare a lavorare con lui…

Non che si illudesse troppo, ovviamente.

Sicuramente la sua vita era decisamente più appagante adesso che lavorava con quell’idiota di Oritsume.
Però…
Fantasticare non era mica proibito, no?

Aprì con la chiave la porta dell’ufficio e appoggiò distrattamente la ventiquattrore sulla scrivania,  dedicando invece la propria attenzione alla battaglia intrapresa con il cappotto, consuetamente incastrato tra il gesso e l’avambraccio.

“La aiuto?”

Una voce dalla sfumatura appena annoiata lo colse di sorpresa.

Si girò velocemente, trovandosi faccia a faccia con il viso contornato dal caschetto ramato di Ishii.
Aveva un sopracciglio inarcato e le mani sporte in avanti, in attesa.

Tobio ci mise qualche attimo per collegare i fili della situazione in cui si trovava, ma poi improvvisamente strabuzzò gli occhi.

“C-certo… grazie” borbottò, permettendo che la ragazza gli sfilasse l’indumento dal braccio infortunato.

Ishii lo stava aiutando.

Era sicuro di non essere vittima di qualche sostanza stupefacente?

Dopo aver appeso il cappotto all’attaccapanni alle sue spalle, la ragazza domandò con nonchalance “Posso portarle qualcosa prima dell’inizio del meeting? Un caffè o altro?”

Tobio la fissò sconcertato.

Nonostante il tono velato di circospezione, la richiesta pareva genuina.

Come diamine era possibile?

“Io… non… posso prenderlo da solo più tardi, non devi disturbarti” cercò di spiegare, domando il suo palese sbigottimento.

Ishii roteò gli occhi ed emise uno sbuffo scocciato.

“Non è un disturbo, non mi ha mai chiesto di portare nulla di personale come cibo o sigarette a differenza di altri avvocati. E poi oggi non ha la colazione, no?” dedusse facilmente mentre gesticolava in direzione della scrivania, vuota dall’abituale sacchetto a righine celeste di Murakami.

Le gote di Tobio si imporporarono.

La ragazza si era accorta che non avesse la colazione con sé…?
Anzi, sapeva che ogni mattina la appoggiava lì?
Era in quell’ufficio da meno di due settimane e aveva dimostrato di non tollerarlo fin dal primo momento.
Perché degnarsi di una gentilezza nei suoi confronti?

“No, ecco, non ho avuto tempo di comprare nulla. Se ho qualche minuto dopo il meeting andrò nel bar all’ingresso del…”

“Mi dica cosa desidera e vado a prenderglielo io. Tanto non è necessario che rimanga per il meeting, no?” lo interruppe Ishii con tono sbrigativo.

Tobio non riusciva a capacitarsi.
Perché insistere tanto se sembrava non avere alcuna voglia?

“Non c’è alcun bisogno, non voglio caricarla di ulteriore lavoro” sbottò a quel punto con frustrazione crescente.

La ragazza parve tentennare qualche istante prima di soffocare a malapena una risatina ilare.

“Perché deve fare tanto il difficile, Kageyama-san? Vabbè, lei vada, io le porto del latte e qualche dolce, Nakamura mi ha detto che è quello che preferisce” comunicò speditamente prima di congedarsi con un celere inchino.

Tobio rimase a contemplare il vuoto dinanzi a sé per qualche minuto.

Cosa… era appena accaduto?

Perché mai Ishii aveva letteralmente stravolto il suo atteggiamento nei suoi confronti da un giorno a un altro?

Comprendeva, seppur con qualche difficoltà, che il cambiamento di Nakamura fosse ricollegabile  alla loro sorprendente conversazione, ma che razza di ragione poteva mai avere Ishii per…

Si bloccò, folgorato da un ricordo.

Quando mercoledì Nakamura era uscita dal suo ufficio…
Era subito stata braccata da due colleghe apparse parecchio incuriosite dalla loro conversazione.

Tutte le segretarie della Kitagawa Daiichi, da quel che aveva intuito, comunicavano spesso a vicenda.
Non sarebbe stato da escludere che Nakamura avesse riferito i contenuti della loro discussione a qualche collega…

Tuttavia, ciò non mutava la natura della sua domanda.

Dove si collocava Ishii in quel quadro strampalato?  
Cosa poteva mai averle riferito Nakamura per riabilitarlo ai suoi occhi?
Ma soprattutto, perché avrebbe dovuto?
Tobio si era scusato con Nakamura, non con Ishii…


“Tratti bene le persone e loro ti trattano bene di conseguenza”


Le sue scuse erano la ragione per cui le due collaboratrici avessero deposto l’ascia di guerra?
Hinata aveva ragione fino a quel punto…?

“Kageyama-san, sta cominciando il meeting” lo richiamò una voce femminile fuori in corridoio.

Il legale ebbe appena la prontezza di scorgere la figura sorridente di Nakamura prima che la ragazza raggiungesse il suo avvocato.

Tutto ciò era inconcepibile.

Quell’assurda inversione di idee era stata generata…
Dal suo tentativo di gentilezza?
Dal suo pentimento?

Con occhi ancora strabuzzati e la testa che gli scoppiava si diresse con estremo straniamento verso la tediosa sala riunioni.





Al suo rientro in ufficio, dopo poco più di mezz’ora, trovò al centro della scrivania un elegante box con la sigla del nome del bar situato all’ingresso del grattacielo.
Tentennando, aprì la confezione beige e…
S’immerse nella visione di un’abbondante fetta di cotton cheesecake ricoperta di frutti di bosco e un bicchiere da asporto trasparente contenete latte caldo.
 
Avvertì il petto contrarsi in una bizzarra fitta.

Non era dolorosa, ma…

Il trillo del cellulare riposto nella tasca della giacca grigia lo distolse temporaneamente da quella  deliziosa colazione.

Afferrò lo smartphone con dita lievemente tremanti.


09:36
Da: Medico idiota

“Buongiorno Kageyamaaaaa😝
Non andare a terrorizzare troppa gente in giro oggi👻
Buon lavoro🧡💛”


Sapeva che fosse impossibile, eppure…

Percepì il cuore gonfiarsi a dismisura di un calore sconosciuto.

Quei gesti completamente imprevisti non lo stavano soltanto facendo sentire accettato, bensì…

Benvoluto.



 
***



Martedì 22 ottobre


Erano trascorsi due giorni da quando Ishii aveva mostrato i primi segni di un sorprendente cambio di rotta e poteva affermare con assoluta certezza di non aver mai vissuto i suoi momenti in ufficio con così poca tensione aleggiante nell’aria.

Le assistenti degli avvocati apparivano lievemente più accomodanti nei suoi confronti, giungendo persino a salutarlo quando lo adocchiavano nei corridoi.
Degli sguardi terrorizzati pareva non esservi più alcuna traccia.

Non era a conoscenza della magia realizzata da Nakamura, però doveva sicuramente trattarsi di un incantesimo eccezionale.

Gli unici indifferenti a tale mutamento erano i suoi colleghi, i cui comportamenti rasentavano la norma, se non addirittura un peggioramento.
Kunimi e Kindaichi sembravano desiderare ardentemente di sputargli addosso con maggior vigore del consueto.

Cionondimeno, Tobio non avrebbe mai pronosticato che non avvertire più sulla pelle gli sguardi opprimenti dell’intero l’ufficio sarebbe stato così…

Rinfrancante.

E, seppur inverosimile da ammettere, il merito era interamente da attribuirsi al consiglio di Hinata che, apparentemente, stava producendo insperati frutti.

Empatia, rispetto, comprensione reciproca…

Tobio non era più così fermamente convinto della loro inutilità.

Akaashi-san non aveva torto, il seme del dubbio era stato inevitabilmente instillato in mezzo ai robusti steli delle sue pregresse convinzioni.

Eppure, la petulante e conturbante voce che gli ripeteva ossessivamente di star commettendo un madornale errore… si acuiva giorno dopo giorno.

Se avesse ceduto, se si fosse prostrato a quella assurda e sconsiderata linea di pensiero, sarebbe diventato…

“Kageyama-san, il prossimo cliente sarà qui tra qualche minuto. E’ la prima volta che viene da lei, quindi oggi le esporrà prevalentemente il caso. Ho lasciato gli appunti di ciò che mi ha spiegato telefonicamente nel fascicolo trasparente siglato Kimura” comunicò pragmaticamente Ishii mentre scorreva le pagine di un’agenda in cuoio finemente rilegata.
“Non penso che avrà bisogno di me per i prossimi venti minuti almeno, quindi dopo che annuncerò il cliente andrò in pausa” aggiunse celermente, chinando la testa in segno di commiato.

Tobio seguì con lo sguardo la sua assistente mentre si allontanava dall’ufficio fino a sparire in un corridoio laterale.

Quella ragazza possedeva una schiettezza inconsueta a lui decisamente congeniale.
Era estremamente efficiente, pratica e veloce.

Non a caso aveva lavorato per sei mesi al Seijo…

Digrignò i denti, innervosito.

Detestava riconoscere che la ragione per cui l’avesse assunta si riscontrasse essenzialmente nella sua esperienza lavorativa all’Aoba Johsai.

Era conscio di rasentare uno stato piuttosto patetico, eppure non aveva saputo resistere alla tentazione di sentirsi partecipe del mondo di Oikawa-san, attorniato da persone degne di aver oltrepassato la soglia dell’élite degli studi legali giapponesi…

Non a caso la differenza fra Ishii e le segretarie del Kitagawa Daiichi poteva definirsi plateale.

Era stata l’unica fra le svariate assistenti a non aver mai mostrato apprensione nei suoi riguardi.
Ciò naturalmente non implicava che non avesse detestato lavorare con lui esattamente come le sue predecessore.
Aveva avuto occasione di manifestarlo dichiaratamente la settimana precedente durante la chiacchierata intrattenuta alle sue spalle con Kunimi, Kindaichi e le rispettive segretarie.

Nonostante quello spiacevole episodio però, Ishii si era scoperta una persona genuina in quella cloaca di falsità che componeva il marcio mondo dell’avvocatura e, con lo stabilizzarsi del loro rapporto civile, avrebbe vivamente apprezzato la sua permanenza allo studio.

“Kageyama-san, ecco Kimura-san”

Sollevando il viso, Tobio si trovò davanti agli occhi un uomo di mezz’età abbastanza panciuto con una calvizie incipiente.
Tuttavia, bastava uno sguardo un po’ più attento per appurare la prominente presenza di un set di anelli d’oro incastonati sulle dita grassocce e un massiccio Rolex in acciaio che gli circondava il polso.  

Il legale si alzò dalla poltrona e fletté la schiena in un cortese inchino.

“Piacere, Kimura-san. Prego, si sieda”

L’uomo ricambiò con disinvoltura il saluto e si sedette comodamente sulla poltroncina in pelle bianca, appoggiando la valigetta che reggeva in mano sul parquet ed estraendo dal taschino del costoso blazer un pacco di sigarette.
Ishii interpretò i movimenti del cliente come segnale per congedarsi e, dopo un celere piegamento del capo, uscì silenziosamente dall’ufficio chiudendo la porta a vetri dietro di sé.

“Posso fumare, Kageyama-san?” domandò Kimura sfoggiando la confezione rossastra di sigarette.
“Sì, le è permesso” rispose il legale senza guardarlo, sfogliando la cartella diligentemente preparatagli da Ishii, contenente alcune delle informazioni sul caso che l’uomo gli avrebbe illustrato a breve.
Percepì indistintamente il rumore del click dell’accendino, ma lo sbuffo di fumo grigio che gli inondò disgustosamente il viso fu decisamente più palpabile.
Sempre con le iridi ancorate alle carte, spostò con la punta delle dita un posacenere in vetro, abbandonato in un angolo della scrivania, fino a posizionarlo praticamente sotto il naso dell’aspirante cliente.

Il tizio, per qualche strampalata motivazione, dovette trovare quell’azione particolarmente divertente poiché ridacchiò in modo piuttosto ostentato.

“Ho sentito molto parlare di lei, Kageyama-san”

Tobio aggrottò le sopracciglia e scollò finalmente gli occhi dalle carte che stava attentamente esaminando.

L’angolo destro della bocca di Kimura era piegato all’insù in una smorfia estremamente snervante.

“Sapevo fosse giovane, ma non pensavo fino a questo punto” continuò con tranquillità, inalando una profonda boccata di fumo.

Le sopracciglia del legale si corrugarono al punto tale da divenire uno sgraziato tutt’uno.

“La mia età la disturba, Kimura-san?” non si trattenne dal chiedere con acidità.

Kimura però, ancora una volta, reagì con un’odiosa risatina ilare.

“Assolutamente no, Kageyama-san. Mi perdoni se sono sembrato scortese, non era affatto mia intenzione. L’età non conta nulla dinanzi a un’abilità eccezionale” rispose pacatamente, facendo scorrere lentamente le dita sulla lunga sigaretta bianca.

Tobio represse l’impellente istinto di sbuffare.

Odiava il tipo di clienti appiccicati ai convenevoli e alle frasi imbellettate e preconfezionate con cura, ma ancor di più detestava i falsi adulatori.

“Veniamo subito al dunque se non le spiace, Kimura-san” troncò quindi qualsivoglia sceneggiata l’uomo avesse intenzione di rappresentare.

Nonostante il tono ruvido l’uomo non perse facilmente il sorriso, anzi, paradossalmente, parve dilatarsi fino a raggiungere gli zigomi.

“E’ un uomo pratico, Kageyama-san. Ha tutta la mia stima”
E, con quelle parole, Kimura protese il torso in direzione del legale, come per cercare di sormontare la barriera della scrivania che si interponeva fra loro.
“Sono un uomo d’affari, Kageyama-san. Non mi piace perdere tempo e, come ben vedo, nemmeno a lei” iniziò scoccandogli uno sguardo complice, mentre poggiava le labbra sottili attorno al filtro arancione.
“Ho deciso di venire da lei perché ha una spiccata fama nel mio ambiente. Tutti la rispettano, ha risolto numerose grane per molti miei colleghi” spiegò tra una vampata di fumo e un’altra.

Tobio assottigliò le palpebre, tentando di decifrare cosa intendesse veramente quel tizio.

Non ci voleva certo un genio per intuire che avesse un mucchio di soldi e che non avrebbe esitato a pagargli un’ottima parcella pur di lavorare con lui.

“Dalle informazioni raccolte dalla mia assistente risulta che lei è il presidente di una catena di hotel di lusso situati un po’ ovunque per il paese. Tokyo, Yokohama, Nagoya, Osaka, Sapporo, Fukuoka… le entreranno un bel po’ di introiti” osservò con distacco, leggendo fra gli ineccepibili appunti di Ishii.

Kimura assunse un’espressione profondamente soddisfatta.

“Esattamente, Kageyama-san, sono contento che sia ben informato sul mio conto. Gli affari mi vanno piuttosto bene” concesse gesticolando vagamente con la mano, facendo ondeggiare il fumo della sigaretta in spirali grigiastre.

“Non così bene immagino, se si ritrova qui da me” ribatté il legale con un sopracciglio inarcato.

Finalmente, la perfetta maschera sorridente di Kimura si incrinò apertamente.

Inalando un’ultima boccata di fumo e spegnendo la cicca nel portacenere con maggior vigore del necessario, incominciò a picchiettare ritmicamente i polpastrelli sul tavolo in noce.

“Il fatto è che per ragioni che non sto qui a specificare, sono stato costretto a chiudere due hotel di Kanagawa e a spostare i loro investimenti in altri ambiti. Nulla di eccessivamente difficile, solo un intoppo in una macchina ben organizzata e gestita, non avrei perso più di qualche decina di migliaia di yen. Somme recuperabili in un batter d’occhio. Il vero problema, però, è nato con i dipendenti che avremmo dovuto licenziare in tronco. Camerieri, cuochi, magazzinieri… centinaia di personale alberghiero senza più un impiego da un giorno a un altro. La soluzione trovata dal legale della mia catena è stata proporre di trasferire tutti i dipendenti nell’attività che aprirò tra qualche mese. Sarebbe vantaggioso anche per me, sa, avere lo stesso personale qualificato senza la necessità di sostenere tediosi colloqui e assicurarsi che la gente che metto a lavorare non sia solo interessata a rubare o a fregarmi. L’unico neo della vicenda, è che la mia nuova attività si trova a Kumamoto. Certo, un po’ lontano da Kanagawa ma… per il lavoro si fa questo e altro, no?” ironizzò Kimura, sfilando una seconda sigaretta dal pacco all’interno della tasca della giacca.

Tobio osservò circospettamente gli spigliati movimenti dell’uomo, che sembrava non avere una singola preoccupazione al mondo.

“E come le hanno risposto i dipendenti?” domandò alquanto retoricamente.  

La risposta, del resto, era facilmente intuibile.
Kumamoto distava quasi quindici ore di treno da Kanagawa.

Kimura ridacchiò mentre inalava golosamente svariate molecole di nicotina.

“La maggior parte di loro si è rifiutata. Pretendevano una liquidazione, sa, molti di loro lavorano per me da più di dieci anni. La mia offerta però, studiata con il mio vecchio avvocato, era diversa. Non un licenziamento, ma un semplice cambio di locazione. Se non si è disposti ad accettare allora ci si assume la conseguenza del licenziamento senza alcun beneficio. L’opportunità di proseguire la loro professione gli è stata concessa, quindi affari loro” concluse semplicemente con una noncurante scrollata di spalle.

Tobio sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo quel tipo.

Si trattava di una tattica estremamente vantaggiosa che buona parte degli imprenditori attuava non appena si trovava a fronteggiare il licenziamento imprevisto dei loro dipendenti, poiché lasciava loro poche possibilità di controbattuta.
Lui stesso l’aveva proposta ad alcuni clienti di notevole spicco sociale ed era sempre filato tutto liscio.

Perché mai allora in quel momento l’idea gli appariva talmente… meschina?

“Purtroppo però il mio vecchio consulente non aveva considerato che quel branco di idioti potesse rivolgersi a un avvocato di una certa notorietà per farmi causa. Vogliono un risarcimento danni, liquidazioni e altre fesserie che sono tutte scritte qui” spiegò in tono palesemente scocciato, estraendo dalla valigetta appoggiata sul pavimento una carpetta rigonfia di carte e sbatacchiandola con poca grazia sul tavolo.

Tobio acchiappò uno dei numerosi fogli fittamente scribacchiati e ne analizzò velocemente il contenuto.

Come sosteneva Kimura, i suoi impiegati stavano intentando un’azione legale contro di lui.
Colui che aveva preso in carica il caso era niente meno che Ohira Reon, uno degli avvocati più integerrimi in circolazione.
La sua abilità lo aveva spesso condotto a vincere ciò che i più avrebbero senz’altro definito casi senza speranza, che apparivano stranamente la sua specialità.
Tobio stimava la dedizione che Ohira riponeva nel suo lavoro, tuttavia…

Cosa spingeva esattamente quell’uomo a sprecare la maggior parte del proprio tempo su quelle pratiche pietose invece che accettarne altre decisamente più remunerative e soddisfacenti?

A lui piaceva risolvere cavillo per cavillo, spulciare il codice civile fino a stanare l’escamotage più adeguata per ogni contesto.
Non c’era alcun gusto ad appellarsi ai soli principi morali per la risoluzione di un caso.
Più cervellotico era, più appagamento trasudava.

Il compiacimento di aver scovato la soluzione perfetta era sempre stata la ragione per la quale amava il suo lavoro, eppure…

“Per questo sono venuto da lei, Kageyama-san. Ho sentito che chiede una parcella piuttosto elevata per situazioni come questa, ma sono pronto a pagare quanto vuole. Voglio solo il suo aiuto per disintegrare le inezie che cercano di bloccarmi la strada. Non ci vorrà molto, per uno come lei” asserì Kimura con un sorrisetto complice che, però, Tobio non riuscì a condividere.

Lui disintegrava le inezie.

Era la base su cui aveva costruito la sua intera attività legale.

Non gliene era mai fregato nulla dei sentimentalismi o dei casi che inglobavano una rilevante sfera emotiva.
Li aveva sempre rifiutati senza alcun rimpianto.
L’ultimo sulla sua lista era il caso di quella tizia che…


“Piuttosto che esser rappresentata da un individuo come lei…”
 
“Non sono il suo psicologo”

“No, infatti. E’ soltanto un uomo senza sentimenti”



Chinò la testa, sopraffatto dal gravante peso di quegli spiacevoli ricordi.

Non era certamente stata la prima occasione in cui aveva fermamente disconosciuto il dolore di un cliente.
Era controproducente per il lavoro, si era costantemente redarguito.

Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.

Era il suo motto, il suo mantra di vita.

Però…


“Era davvero necessario?”


La tormentata voce di Nakamura gli trapassò le orecchie come un’appuntita lama affilata.

Se cedere a un coinvolgimento emotivo era talmente svantaggioso, perché il suo cervello aveva scrupolosamente ingabbiato le suppliche che parecchi dei suoi clienti gli avevano rivolto nel corso degli anni?


“Kageyama-san, ho perso tutto quello che ho, non è possibile fare qualcosa in più? Il giudice capirà, la prego…”

“Kageyama-san, la prego, mi aiuti, non so a chi altro rivolgermi, lei è il migliore in questo settore, mio padre è un uomo anziano ed è stato truffato, tutti i nostri risparmi sono andati in fumo…”

“Kageyama-san, per favore, se lei non mi aiuta il denaro per l’università di mia figlia sarà per sempre perduto, come farò a darle un futuro? La prego Kageyama-san, la supplico…”



Si era davvero comportato in modo tanto terrificante?

Aveva seriamente negato la possibilità a così tante persone di poter ottenere…


“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?”

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici”



Giustizia.

Un impetuoso brivido gli percorse la spina dorsale come una frustata.

Lui aveva intrapreso la propria professione per perseguire la giustizia, no?

Aveva scelto di garantire a coloro che si rivolgevano a lui cosa fosse giusto, no?

Ma in tre anni di professione avviata…
Aveva mai veramente lottato per il benessere di qualcuno che… lo meritasse?


“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”


Le parole di Hinata scavavano inesorabilmente profondi solchi sul suo petto, penetrandogli la carne con ferocia e lasciando dietro di sé solo una sanguinolenta scia di frattaglie senza vita.

Aveva commesso uno sbaglio?
Aveva agito erroneamente per tutto quel tempo…?

No, non era possibile.
Non era concepibile che lui avesse compiuto un’aberrante quantità di inesattezze.
Lui aveva servito la giustizia, a modo suo.
Nulla era dato per nulla.
Non poteva certo sperperare il suo talento per cause di beneficenza come quell’Ohira Reon.

Il risultato, non il metodo.
Il fine, non il mezzo.

Era quella la retta via da seguire.
Era quella la…

“Sono davvero felice di poter lavorare con lei. Non tutti hanno la capacità di apprezzare quanto sia soddisfacente imporre la propria potenza sugli altri” sogghignò Kimura ammiccando, inalando una  consistente quantità tabacco.

Non v’era nulla di inadeguato in quella frase.

Lui ne era stato un fervente sostenitore fin da quando avesse memoria.

La consapevolezza di possedere una potenza superiore agli altri, l’assistere con compiacimento al penoso sbriciolamento delle anime deboli davanti ai suoi occhi…

Si trattava di un vero e proprio orgasmo cognitivo.

Tuttavia…

Aveva sempre creduto di applicare tale principio alla sua controparte legale, colei che sfidava con astuzia e orgoglio in tribunale.

Non ai suoi stessi…

Clienti.

Udire quella perfida constatazione provenire da un uomo come quel Kimura…


“Ma lei è sempre così sorridente?”

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?



Si era mai abbandonato a un sorriso in tre anni di lavoro?
Aveva mai sfoggiato un’espressione che non fosse pregna di mera gratificazione personale?
Un sorriso…

Un sorriso di gioia per aver permesso al suo cliente di ottenere giustizia?

“Non ha preso in considerazione di concedere loro una piccola liquidazione?” si trovò a pronunciare spontaneamente, trascinato da quel flusso di febbricitanti congetture.  

Kimura si bloccò mentre era in procinto di avvolgere le labbra sulla sigaretta.
Gli rivolse un’occhiata perplessa, come se non avesse udito quel che avesse appena proferito.
“Come dice, scusi?”

Tobio si schiarì la gola e raddrizzò la schiena, appoggiando la mano sinistra sopra il gesso dell’avambraccio destro.

“Intendo, capisco cosa l’abbia spinta a venire qui, comprendo che non sia logico perdere un’ammontare di denaro talmente alto. Ma non potrebbe essere più ragionevole giungere a un accordo con la controparte? I suoi dipendenti e l’avvocato Ohira vogliono farle causa per far sì che sborsi una quantità di denaro non indifferente, che minerebbe persino le sue tasche. Potremmo giungere a un compromesso adeguato, cosicché i suoi impiegati ricevano almeno una parte di ciò che gli spetterebbe di diritto e i suoi affari non siano minati da una spesa ingente”

Kimura trascorse qualche istante in silenzio, squadrandolo come se sulla fronte gli fosse affiorato un gigantesco terzo occhio.
Poi, abbassando la sigaretta con una lentezza forzatamente controllata, eruppe uno sprezzante “Sta scherzando, spero. Non sono venuto qui per raggiungere nessun compromesso. Sono venuto qui perché lei possa distruggere quell’avvocato e quelle persone senza batter ciglio esattamente come ha sempre fatto. Non ho alcuna intenzione di regalare un singolo centesimo a quelle persone. Ho una reputazione da proteggere, non posso certo mostrarmi come un rammollito di fronte ai miei amici, non so se mi spiego”

Tobio comprendeva la situazione, ovviamente.

Sapeva precisamente come funzionassero i rapporti di potere fra i membri di spicco dell’imprenditoria.
Non erano certamente puliti come un panno appena smacchiato.
Sicuramente quel Kimura era stato costretto a chiudere le attività di Kanagawa e a girare docilmente i tacchi per qualche conto in sospeso o affare andato a rotoli con la yakuza locale.

“Certo, capisco perfettamente. Ma…”

Lasciò la frase in sospeso, improvvisamente titubante.

Ma cosa?

Il tizio non avrebbe sentito ragioni, era ovvio.
Lui doveva solo svolgere il suo lavoro, prendersi la bella parcella che gli avrebbe elargito…

“Non crede che debba qualcosa ai suoi dipendenti dopo anni di lavoro al suo servizio?”

Ciononostante, un parte di lui non era in grado di accettarlo.

La sua mente sembrava governata dall’angolo in cui le parole di Hinata avevano iniziato ad attecchire con vigore, dove le idee del medico avevano influenzato quelle già radicate nei suoi emisferi, confondendolo a dismisura.

Tentare di comprendere gli altri, cercare di rimediare ai suoi errori passati…
Con Nakamura e Ishii aveva funzionato, no?
Lui…
Nonostante le difficoltà, stava seriamente provando a credere che anche lui possedesse un cuore.
Aveva costantemente fallito nel comprendere le persone, quindi era giunto il momento di mettersi alla prova, no?
Doveva dimostrare la sua natura di essere umano e non quella di un Re spietato e dispotico.

Era questo ciò che gli aveva suggerito Hinata, no?
Hinata, Jun, Akaashi…

“Non… non pensa a quelle persone? A come… vivranno, d’ora in poi?”

Si era ripromesso di lasciarsi andare proprio come aveva sostenuto Akaashi, no?
Si sarebbe trattato di  un processo naturale se non avesse forzato la mano, quindi…

“Molti avranno una famiglia, non le sembra doveroso provvedere a una parte dei loro bisogni? In questo modo…”

Doveva essere più umano, no?

“In questo modo i dipendenti di tutti gli altri hotel la vedranno come un capo che sa come ricompensare e lavoreranno meglio. Possiamo chiedere facilmente un colloquio con Ohira-san per…”

Era l’umanità ciò che gli mancava, l’umanità che lo attraeva disperatamente da…

“Mi prende per i fondelli?!”

Lo strepito di Kimura paralizzò Tobio in un istante.

L’uomo aveva stritolato la sigaretta fra le dita e una spessa vena gli emergeva vistosamente dalla fronte.

“Si può sapere perché mi sta propugnando questo discorso da catechesi di punto in bianco?! Sono venuto da lei perché faccia il suo lavoro! Non me ne frega nulla di quello che penseranno i miei dipendenti, non me ne frega nulla delle loro vite e nemmeno dovrebbe a lei, mi sbaglio?” saettò stringendo rabbiosamente i pugni.

Tobio percepì le viscere aggrovigliarglisi.

Come si azzardava quel signor nessuno a parlargli con quel tono?!
Era lui che dettava le regole del gioco.

“Non c’è alcun motivo di alzare i toni, Kimura-san. La mia è una proposta equa, mi assicurerò che la somma sia congrua alle esigenze di…”

“Allora noi non ci siano capiti” tuonò a quel punto l’uomo, afferrando la cartella con i fogli consegnatagli da Ohira e sbattendola furiosamente sulla scrivania.
“Io non sono venuto da lei perché mi faccia un servizietto che chiunque altro avvocato farebbe. Io sono venuto da lei perché lei sa schiacciare chiunque le capiti davanti. Non la pagherei fior di quattrini solo per farmi sborsare altri soldi verso quelle nullità, ma per togliermele di mezzo una volta per tutte”  

La reazione di Tobio a quella innegabile verità fu lacerata in due.

Schiacciare chiunque gli capiti davanti.

Da un lato avrebbe desiderato rifuggire da quell’appellativo spietato, ma dall’altro… ne era irrimediabilmente catalizzato dal pari di una calamita.

Distruggere tutto ciò che incontrava gli aveva sempre conferito un’autorità fuori dall’ordinario.

Era sbagliato, ne era consapevole, eppure…

“Allora, accetta la causa a queste condizioni?” pressò Kimura, guardandolo con crescente aspettativa.

Tobio, però, non riuscì a formulare una riposta.

Era combattuto, dilaniato fra quelle due controparti che bramavano ardentemente la supremazia sull’altra, ma che alla fine fallivano miseramente entrambe.

Una tentava disperatamente di staccarsi da quell’immagine truculenta che gli aveva donato la fama di un uomo di ghiaccio…
Mentre l’altra persisteva ad agognare con cupidigia quella brama di potere illimitata, non curandosi minimamente dei sentimenti della gente, considerati come un mero ostacolo…

Visibilmente spazientito, Kimura interpretò il silenzio del legale come un diniego.

Agguantando la carpetta e schiaffandola burberamente dentro la valigetta, si alzò dalla poltroncina con una calma piuttosto angosciante.

“Devo essere stato informato male, Kageyama-san. Non avevo capito che lei fosse un rammollito senza spina dorsale”

Il sangue nelle vene di Tobio si tramutò istantaneamente in una poltiglia congelata.

Che cazzo aveva appena detto quel tizio?!

“I miei amici mi avevano raccomandato lei con tanta sicurezza, dicevano che uno come lei, che era uscito dalla stessa università degli avvocati più quotati dell’intero Giappone, fosse formidabile. A quanto pare però ha perso parecchi colpi” sferzò senza pietà, voltando la schiena e accingendosi a uscire dall’ufficio.

“Non si azzardi” ringhiò Tobio, issandosi in piedi con talmente veemenza da far sbattere rumorosamente la poltrona contro il muro retrostante.  

Il suo corpo era permeato da un tremito irrefrenabile.

Che cazzo aveva appena detto quel cazzo di idiota.
Come osava anche solo dubitare della sua competenza, lui era il migliore, il migliore dell’ufficio, il migliore di quell’ammasso di incompetenti che pullulavano gli studi legali del paese, come cazzo si permetteva di apostrofarlo come un…

“Non osi parlarmi in questo modo. Lei dovrebbe essere grato anche solo per trovarsi qui a parlarmi dei suoi problemi e a dir poco onorato di avere il suo caso accettato da…”

“Grato di lavorare con qualcuno a cui importa della vita di complete nullità e per questo mi chiede di sprecare i miei soldi?” sbuffò con un ghigno sardonico.

Tobio si bloccò, improvvisamente ammutolito.

Quel tizio stava per caso insinuando che…

“Mi dispiace solo di aver sprecato il mio tempo con uno come lei, mi aspettavo molto di meglio” aggiunse con voce carica di sprezzo.

A Tobio s’accapponò orridamente la pelle.

Non era possibile.

La tipologia del cliente con cui più andava d’accordo lo stava reputando un incompetente?!

Che cazzo aveva fatto, che aveva sbagliato, lui non era…

“Sicuramente avrò cura di riferirlo ai miei amici. Nessuno di loro avrà più interesse a mettere piede qui dentro, glielo garantisco” sentenziò aprendo la porta dell’ufficio proprio quando Ishii si apprestava a entrare, allarmata dalle voci concitate che aveva avvertito fin dai corridoi.

“Kimura-san, c’è qualcosa che…”
“Nulla mia cara, stavo proprio per andarmene. Se è così gentile da farmi strada…”

“Aspetti!” urlò improvvisamente Tobio balzando letteralmente in avanti e posizionandosi davanti la faccia tronfia dell’uomo che a malapena gli rasentava la spalla.
“Le ho solo proposto una modalità di azione, non c’è alcun motivo di…”

“Kageyama-san, le persone del mio calibro sanno riconoscere un uomo degno di rispetto da uno sguardo” lo interruppe bruscamente Kimura, squadrandolo con condiscendenza.

Il legale deglutì a fatica un grumo di saliva ristagnatagli in gola.

“Sono venuto qui con la speranza di trovarmi davanti una bestia assetata di vittoria, non un debole sentimentale. Nonostante sia così giovane dovrebbe aver imparato ormai che nel nostro mondo o si mangia o si viene mangiati. Comportandosi così non riuscirà mai a spiccare nei nostri ambienti” aggiunse freddamente, ghermendo una sigaretta dalla tasca e infilandosela fra le labbra.
“Come le ho già detto, sono un uomo d’affari. Investo solo in ciò che mi garantisce un profitto e lei non rientra fra questi parametri” concluse accendendosi la sigaretta e, senza un’ulteriore parola, si incamminò in direzione dell’uscita.

Tobio non seppe per quanti interminabili minuti rimase a fissare il punto in cui Kimura era sparito dalla sua vista.

La sua mente aveva tentato di fermarlo, inchiodarlo al muro e contraddire ogni parola fuoriuscita da quella fottuta bocca fino a quando non avesse implorato pietà in ginocchio…

Ma il suo corpo non ne era stato in grado.

Non riusciva a muovere un singolo muscolo, bloccato sulla soglia con le labbra dischiuse in un suono mai generato.

Quell’uomo… quell’uomo…

“Kageyama-san, si sente bene?”

La voce preoccupata di Ishii gli giunse ai timpani ovattata, come se provenisse dalle remote profondità marine.

Quell’uomo aveva ragione.

Si era comportato come un debole sentimentale.

Aveva permesso che il suo lavoro venisse intaccato da…

“Cosa odono mai le mie orecchie? Il Re ha appena toppato alla grande?”  

Se prima il sangue di Tobio si era tramutato in ghiaccio, in quel momento assunse la consistenza della lava.

Girando la testa di scatto, vide con orrore che in piedi al centro del corridoio si ergevano Kunimi, Kindaichi e qualche altro paio di colleghi.

Il fracasso provocato nel suo ufficio non aveva solo attirato la curiosità di Ishii, chiaramente.

“Allora è davvero come pensavo, Re. Stai davvero perdendo colpi. Non pensavo adesso fossi uno smidollato” ridacchiò Kunimi con le mani appoggiate sui fianchi.

All’udire quella maledetta parola, il castello di certezze accuratamente costruito di Tobio si sfracellò miseramente in mille pezzettini.

Smidollato.

Era stato uno… smidollato

Perché, perché, perché…

“Non pensavo che questo giorno sarebbe davvero arrivato. Il re perde fiducia in se stesso? Che ti succede? Qualche scrupolo di coscienza?” si insinuò Kindaichi con un ghigno vittorioso sul volto.

La respirazione del legale incominciò a mostrare segni di squilibrio.

Un cliente lo aveva appena umiliato e rifiutato.

Perché?

Aveva permesso che quei fottuti sentimenti che mai nella sua fottuta vita aveva preso in considerazione, da cui si era costantemente tenuto alla larga, giudicandoli inutili e inopportuni…

Offuscassero il suo lavoro.

Lavoro in cui era stato sempre brillante, elogiato da tutti.
Inserito perennemente in riviste e articoli specialistici, osannato come la giovane promessa dell’avvocatura civile con una sfilza di successi da far invidia ai veterani…

Chi cazzo era stato?
Di chi cazzo era la colpa?
Perché cazzo si era lasciato infinocchiare fino a quel punto??!

“In effetti ti abbiamo trovato deboluccio in questi giorni, Re”

“Non sembravi più tu, che ti è successo?”

“Dove è finito il tiranno dell’ufficio?”

I polmoni di Tobio avevano ormai raggiunto una pericolosa fase di iperventilazione.

Era un fottuto debole?!

La sua reputazione era stata rovinata?!
Com’era stato possibile?!
Come aveva…

“Ma come, Re? Se ti fai dire persino da un cliente che sei uno smidollato, come farai mai a raggiungere Oikawa-san?”

Tobio potè nitidamente udire il sussurro di un ticchettio riecheggiare nella sua mente con il medesimo tono della vocina che per giorni lo aveva severamente ammonito.

Dopodiché, una dirompente bomba a orologeria esplose nel suo cervello, distruggendo qualunque cosa incontrasse nel suo passaggio.

Razionalità, ricordi, pensieri, emozioni…

Tutto.

Un feroce backup generale… da cui soltanto un’idea pareva essere rimasta miracolosamente intatta.

Oikawa-san.

Oikawa-san non avrebbe mai permesso a una situazione del genere di presentarsi.
Oikawa-san non era così stupido da permettere a qualcuno di condizionarlo fino ad essere reputato un buono a nulla.

Come una doccia ghiacciata, Tobio percepì di aver finalmente riconquistato il totale controllo sui propri processi cognitivi.

Dopo settimane di restrizioni insistenti, era finalmente in grado di scorgere la realtà con la fredda chiarezza di sempre.

Oikawa-san non era un inetto.

E lui, Kageyama Tobio, non era certamente da meno.

L’unica persona che era debole, che lo era stata fin dal fottuto principio ma lui era stato troppo cieco per rendersene conto, tentando in ogni modo di modificare la visione della realtà…

Era quel fottuto medico.

Quell’Hinata Shoyo che lo aveva contaminato tanto da inculcargli la sua stessa mentalità di merda.

Dio, gli veniva da ridere.

Le parole di Akaashi erano tutte delle gran cazzate.

Le persone forti non necessitano di cazzate come quelle per sopravvivere.

Oikawa-san non ha bisogno di tali cazzate.
 
Una folle determinazione lo imperversò da capo a piedi.
La sua mente era lucida, schematica.

Il Kageyama Tobio che cedeva, come l’aveva etichettato Kunimi la settimana precedente, non esisteva più.

Lui era forte.

Lui non era debole.

Gli smidollati erano subordinati alle emozioni, non i forti.

E lui non era un debole.

Lui non aveva emozioni.

Lui vinceva.

I deboli perdevano.

Adesso che finalmente quel basilare concetto era stato ripristinato, poteva dedicarsi a ciò che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio.

Sbarazzarsi della causa principale della sua inaudita e irrazionale perdita della ragione.

Ignorando bellamente le miriadi di voci che si sovrapponevano l’una sull’altra per approdare alle sue orecchie, dalla preoccupata Ishii ai beffardi colleghi, Tobio ebbe la prontezza mentale di afferrare giacca, cellulare e portafoglio e piombare letteralmente fuori dallo studio, scendendo le scale di corsa per sgravare il suo petto dall’ira che lo stava divorando dall’interno.

A grandi falcate raggiunse la stazione della metro più vicina, la mente fissa unicamente su un singolo obiettivo.

Destinazione: Karasuno Hospital.





“Buon pomeriggio signori. Prego, descrivetemi i vostri sintomi”

“Buongiorno, caro. Ecco vede, mio marito da stamattina dice di sentirsi più fiacco del solito. Io pensavo che fosse normale e che magari dovesse solo riposarsi un po’ di più… ma in realtà lo vedevo davvero stanco, quindi ho pensato che sarebbe stato il caso di…”

“Devo vedere Hinata”

La tonante voce di Tobio risuonò nella sala d’attesa insolitamente priva della consueta moltitudine di gente, interrompendo il discorso di un’anziana signora dai folti capelli grigi raccolti in uno chignon che aveva accanto, seduto su una sedie a rotelle, un uomo con lunghi baffi bianchi probabilmente della medesima età.

L’infermiere in uniforme verdognolo posizionato dentro al cubicolo di guardia sbatté velocemente le palpebre, palesemente spiazzato.

“Emh, mi scusi, c’è un ordine da rispettare…”

“Ho detto che devo vedere Hinata” ruggì Tobio avvicinandosi pericolosamente alla lastra di vetro che divideva il pronto soccorso dall’uomo dalla testa rasata, che sgranò gli occhi in evidente stato di difficoltà, lanciando occhiate a destra e a sinistra per cercare qualcuno che potesse aiutarlo.

“Faccia passare pure il giovanotto mio caro, deve avere fretta. A noi aspettare non pesa più di tanto” risolse prontamente la situazione la donna dal sorriso gentile, facendo segno a Tobio di prendere il suo posto mentre lei indietreggiava di qualche passo assieme al marito.

Il ragazzo, dalla cui targhetta sul petto svettava il nome “Narita”, guardò dubbiosamente la coppietta di anziani prima di sospirare rassegnato.

In cinque anni di lavoro in quell’ospedale dei matti ne aveva viste davvero di cotte e di crude.

“Intende il dottor Hinata, no?” precisò a quel punto con tono collaborativo, fissando l’uomo dall’altezza spropositata incombere su di lui.

Tobio abbaiò un “Sì” in cui cercò di convogliare tutta la rabbia che gli lacerava l’animo.

“Ha un appuntamento?” chiese l’infermiere mentre pigiava qualcosa sulla tastiera del computer e controllava una lista di nomi sullo schermo.

“Non per oggi. Sarei dovuto venire domani ma ho bisogno di vederlo adesso” ringhiò esalando e inalando lentamente, tentando di domare l’impazzito sistema respiratorio.

Narita aggrottò le sopracciglia e gli scoccò un’occhiata perplessa.

“Oggi il dottor Hinata non ha alcuno spazio libero, è in reparto tutto il pomerigg-”

“Ho bisogno di parlare con lui, non mi serve una visita” lo interruppe bruscamente il legale, esibendo eloquentemente il braccio ingessato.

Narita, tuttavia, non comprese il collegamento fra l’ingessatura e i turni del medico.

Continuò a scrutarlo come se il viso iracondo dell’uomo dagli occhi blu potesse comunicargli qualcosa di concretamente utile, ma alla fine scrollò le spalle.

“Mi faccia vedere un documento e firmi qui” cedette, pescando un modulo da un ammasso di carte alla sua sinistra e porgendo all’uomo una penna nera.

Tobio estrasse il portafoglio e la carta di identità, sforzandosi di non lacerarla in due, e la sbatacchiò in malo modo sul ripiano in legno bianco, firmando quel dannato modulo come se fosse in preda a un violento raptus.

Narita, dopo aver controllato che effettivamente esistesse una prenotazione a nome di “Kageyama Tobio” fisata per l’indomani pomeriggio, continuò a osservare i violenti movimenti dell’uomo con occhio critico.

Non sapeva se fosse effettivamente saggio permettere l’ingresso a un uomo visibilmente in stato alterato nel reparto di Shoyo.  

“Ecco” sbottò il corvino chiudendo il tappo della penna e spingendo il modulo verso l’infermiere, riacchiappando il proprio documento con foga.

Narita diede una rapida scorsa al foglio opportunamente firmato ed esalò un sospiro di malcelata sopportazione.

“Terzo piano, ala destra. Troverà il dottor Hinata in una delle…”

“Conosco la strada” lo interruppe iracondo Tobio, incamminandosi immediatamente verso la rampa di scale in marmo bianco situata all’ingresso dell’ospedale.

Era già a metà del primo piano quando un’improvvisa esitazione affievolì temporaneamente l’ira che gli dominava la mente.  

Terzo piano?

Nelle poche occasioni in cui aveva transitato da quell’ospedale di merda si era sempre diretto al primo piano.
Lì si trovava lo studio di quell’idiota, no?

Si bloccò con il piede a mezz’aria sul gradino successivo.

Odiava ammettere che fosse sceso a conclusioni troppo affrettate e che non conoscesse affatto la strada.

Sbuffò esasperato, percependo una nuova ondata di collera affiorargli dallo stomaco.

Il tizio aveva detto terzo piano a destra, no?
Non sarebbe poi stato così complicato.

Percorse le rampe di scale rimanenti a passo febbricitante, giungendo con lieve affanno al fatidico terzo piano.
Senza nemmeno degnarsi di leggere i cartelli con le indicazioni svoltò a destra, spingendo con foga la porta arancione a due battenti del reparto.

I suoi occhi iniziarono subito a dardeggiare a destra e a sinistra per scovare l’oggetto della propria ira funesta, ma bastò qualche sguardo al vasto androne per provocare sul suo viso un’espressione sconcertata.

Ogni porta era bizzarramente dipinta in una tonalità differente, rendendo il reparto un arcobaleno di colori fiammeggianti.
Giallo, blu, rosso, viola, verde, azzurro…

Tentando di contenere il moto di disgusto che si sovrapponeva alla rabbia cocente, avanzò lungo il corridoio non curandosi minimamente delle persone lì presenti, almeno finché qualcosa non gli sbatté rapidamente contro la gamba sinistra.

Non ebbe nemmeno il tempo di chinare la testa per capire chi o cosa gli si fosse scaraventato addosso poiché una vocetta stridula urlò “Tanto non mi scappi Dayu! Vieni quiiii” e una piccola figura non lo sorpassò a gran velocità.

Un’imprecazione sfuggì finalmente alle labbra di Tobio.

Ma che razza di posto era quell’ospedale?
Un cazzo di asilo nido?

L’assurdità della situazione incrementò ulteriormente la bile che gli fermentava nel fegato, rendendolo tanto cieco dal risentimento da far fatica a vedere chiaramente attorno a sé.

I suoni apparivano attutiti, i suoi sensi drasticamente limitati.

L’unico pensiero coerente su cui riusciva a focalizzarsi riguardava la sua idiozia.

Come aveva potuto essere così imbecille da prestare ascolto agli sproloqui di uno strambo omuncolo che fin dal primo giorno aveva giudicato ridicolo?
Un uomo privo di spina dorsale che non sarebbe stato in grado di gestire alcuna situazione critica senza venirne risucchiato.
Stringere un rapporto con i propri clienti, provare empatia nei loro confronti…

Digrignando furente i denti, il legale galoppò lungo l’androne insensatamente variopinto.

Era stata tutta colpa di quel medico se aveva perso un cliente dalle grandi potenzialità.
Era stata tutta colpa di quell’idiota se la sua reputazione era stata macchiata.
Era stata tutta colpa di quell’Hinata Shoyo se per la prima volta nella sua vita era stato considerato uno smidollato incapace di compiere a sangue freddo il proprio lavoro.

Aveva smarrito la sua impeccabile estetica e il suo autocontrollo era stato intaccato a causa di quel fottutissimo uomo che lo aveva convinto a buttare nel cesso la ragione e, se non fosse stato abbastanza sveglio, avrebbe posto fine alla sua intera reputazione.

Avvertiva una voglia malsana di stringere quei folti capelli rossi e sbattergli ripetutamente la testa contro il muro.
Anelava a fargli del male, provocargli la medesima umiliazione che lui aveva patito.
Voleva che quell’uomo uscisse definitivamente dalla sua vita, che non potesse più essere in grado di corromperlo in alcun un modo.
Non gliene fregava un cazzo se gli piacesse o meno.
Esigeva che nessuno potesse più azzardarsi a insinuare che lui non sarebbe riuscito a superare Oikawa-san.
Ma soprattutto, non vi sarebbe più dovuta essere anima viva a poter anche solo pensare che lui fosse uno schifoso essere debole come quel…

“Hinata-sensei! Hinata-sensei!”

Le sinapsi di Tobio scattarono immediatamente, come risvegliatisi dopo un interminabile sonno opprimente.

I suoi piedi lo guidarono inconsciamente in direzione della voce al termine del corridoio, dove svettava un’imponente vetrata rettangolare adornata da vellutate tende rosso sangue.

Tobio si avvicinò con circospezione, posizionandosi all’angolo in cui la tenda gli offriva un vago senso di protezione.

Giunto abbastanza vicino da scorgere l’ambiente oltre lo spesso vetro trasparente, constatò subito la stranezza dell’ampia stanza.

Il pavimento era ricoperto da un enorme tappeto colorato a forma di puzzle e su di esso erano adagiati numerosi giocattoli dalle forme più svariate.
Cubi, costruzioni, macchinine, bambole, pupazzi.

Tobio aggrottò le sopracciglia, sempre più frastornato.

Che significava tutto quello…?

“Hinata-sensei!”

La vocina acuta che lo aveva attirato fin lì catturò nuovamente il suo interesse.
Il viso del legale si spostò verso una piccola sagoma vestita di azzurro che tendeva le braccia in avanti, come se aspettasse un abbraccio da una figura con una cascata di capelli rossi.

Tuttavia, con occhi strabuzzati, Tobio non riuscì a focalizzare la propria attenzione su nulla che non fosse un unico dettaglio.

La bambina, o il bambino, non riusciva a capire…

Aveva la testa completamente calva.

Non un singolo capello era adagiato sul suo capo e, a un’occhiata ancor più attenta, sembrava avere una totale assenza di peluria sul volto, sopracciglia e ciglia comprese.

Tobio deglutì a vuoto, percependo un imprevisto incremento del battito cardiaco.

Non capiva.

Dove era finito…?

“Buon pomeriggio, Kaoru-chan! Come ti senti oggi?”

Come una falena implacabilmente attirata dalla luce di una lampada, il cervello di Tobio reagì in meno di un secondo all’udire l’allegra voce familiare.
Le sue iridi blu si ancorarono sull’uomo inginocchiato davanti la bambina e…

Anche quella volta, l’unico particolare che il legale fu capace di cogliere fu uno solo.

Un sorriso.

Un sorriso smagliante, talmente brillante da essere costretti a distogliere lo sguardo per non rimanere accecati.

Esattamente come… un raggio di Sole.


“Ma lei è sempre così sorridente?”

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?”



Un sorriso sincero, che sprigionava… gioia.


“Lei… non è felice, Kageyama-san?


“Oggi mi sento meglio sensei! Ieri ho fatto la brutta medicina, però io sono stata brava e coraggiosa come ha detto lei!” esclamò la bambina con occhi vispi, battendosi orgogliosamente il piccolo pugno contro il petto.

Il sorriso del medico dai folti capelli rossi si ingrandì magnificamente e protese il torso in avanti per accarezzare la morbida pelle del capo della bambina.

“Sei stata bravissima” pronunciò con voce dolce e la bimba sorrise, sorrise in maniera tanto sfavillante e genuina da annullare la pressante distrazione rappresentata dall’assenza di capelli.

Tobio si sentiva… attonito.

La rabbia ferina che l’aveva condotto come una furia in quell’ospedale sembrava essersi assopita in qualche luogo remoto del suo cervello, apparentemente dimenticata.
Continuava a non comprendere, a non riuscire a collegare i fili di quella situazione il cui senso pareva continuamente sfuggirgli.

Quell’uomo dagli strampalati capelli rossi, dal camice esageratamente lungo, dalla targhetta con il nome impresso in simboli rosso fuoco avvolti da pois variopinti…

Con il cuore in gola e il respiro mozzo, le sue pupille occhieggiarono la porta color canarino che conduceva al di là della vetrata.

In kanji sbarazzini neri come l’inchiostro, svettava l’incisione…


 
Hinata Shoyo
Oncologo pediatrico










Note finali: Perdonate il cliffhanger, non mi uccidete, ma avevo in mente quest’ultima scena sin dal principio e si sarebbe dovuta concludere esattamente così, quindi please, non mi lanciate un coltello :’)
Sono davvero curiosa di conoscere le vostre opinioni. Ho cercato di inserire qualche indizio qua e là  durante i vari capitoli quindi chissà, si era intuito qualcosina o vuoto totale?
Aspetto vostri feedback ;)
Ah, Tobio in questo momento è come se fosse intrappolato in una centrifuga fuori controllo, non giudicatelo troppo presto😢
E’ il capitolo più lungo della storia, ci ho messo un’eternità a rileggerlo e sicuramente mi sarà sfuggita qualcosa, quindi se notate qualche errore segnalatemelo per favore🙏🏼
Ho cercato di aggiornare in tempi più o meno decenti e sebbene la quarantena mi abbia dato un po’ di tregua, l’università non mi ha comunque lasciata libera di scrivere liberamente  T.T
Spero che questo capitolo, che definire chilometrico è davvero un eufemismo considerate le ventiduemila e passa parole, possa farmi perdonare e tenervi compagnia per qualche altro mesetto (avrò esami fino a fine luglio, scrivere sarà off-limits per un po’ 😔).
Se vi state chiedendo il motivo del perché sia magicamente apparsa una quantità non indifferente di emoji è perché ho scoperto solo adesso la possibilità di inserirle qui su Efp da computer.
Elis e la tecnologia, che connubio indissolubile.
Ringrazio tantissimo voi fedeli lettori per le bellissime recensioni che mi lasciate, mi incoraggiano sempre a darmi da fare il più possibile.
Senza di voi la storia non sarebbe mai proseguita fino a questo punto❤️
Vi mando un bacio, ci si sente al prossimo aggiornamento ^-^

 
 



 

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Capitolo 12
*** XII. Punto di rottura ***



 
XII

Punto di rottura






“Come si sentono oggi i miei ometti?”

L’arzilla voce di Shoyo sembrava intrisa di dolce miele d’arancio.

“Io mi sento benissimo, Hinata-sensei! Posso giocare con la sedia a rotelle di Ryoko?”
“Ehi! La sedia è mia e non te la presto”
“Ma se ieri ci hai fatto salire Seiki-chan! Non è giusto!”

“Mi fa piacere notare che il vigore non vi manchi” scherzò Hinata, interponendosi strategicamente tra i bambini dai volti corrucciati.

“Ma Hinata-sensei…” protestò il paziente dallo sfavillante cappellino giallo calcato sul capo glabro, labbrino in bella mostra.
“Se Ryoko-chan dice di no allora è no” sentenziò l’oncologo con aria autorevole indicando la bimba, che sfoggiò un soddisfatto ghigno vittorioso, appollaiata sulla sedia a rotelle pitturata di un accecante verde acido.
Poi però, chinandosi dinanzi al fanciullo imbronciato, sussurrò con un occhiolino “Magari se glielo domandi gentilmente ti dirà di sì” che provocò un guizzo verso l’alto sulle labbra del bambino.
“So che sei pieno di energia Hirumi-chan, ma come va la nausea?” aggiunse con tono leggero, mascherando parzialmente la nota di gravità non propriamente trascurabile dal suo sguardo.
Hirumi assunse un’espressione solenne quando proclamò impavidamente “Non ho vomitato neanche una volta!” che allargò il sorriso sulle gote di Shoyo.
“Nemmeno io ho vomitato, Hinata-sensei!” richiamò l’attenzione Ryoko, infastidita per essere stata adombrata.

L’oncologo si lasciò sfuggire un risolino e si avvicinò alla paziente dai penetranti occhi cerulei e il volto ricolmo di lentiggini che teneva la mano avvolta attorno alla gracile rotula destra, dove solo pochi centimetri più in basso la pelle della gamba curvava in un morbido moncherino.

“Sarebbe stato preoccupante il contrario, Ryoko-chan. E’ da un po’ ormai che non prendi più la medicina” osservò il sanitario con un sopracciglio inarcato.
La bambina gonfiò le guance e sbuffò un irritato “Però anch’io voglio le caramelle di Hinata-sensei!”
Il medico rise allegramente.
“Pensi che ti abbia dimenticata? Chi è che ha divorato le mie scorte di dolcetti alla pesca in questi mesi?” la prese amorevolmente in giro, estraendo dalla tasca del camice una sfera dall’involucro rosato.
“E’ il minimo per tutte le punture che mi fate” ribatté Ryoko con voce indispettita.

Un’espressione comprensiva si adagiò sul viso di Shoyo.
Fletté le ginocchia per potersi trovare alla medesima altezza della giovane paziente e sollevò la mano per accarezzarle delicatamente la guancia.

“Purtroppo a nessuno piacciono le punture, Ryoko-chan. Sai, quando io ero piccolo ero molto meno coraggioso di te, scoppiavo a piangere terrorizzato non appena vedevo un ago! Inoltre, pensa al lato positivo. E’ grazie a tutti quei prelievi che adesso sappiamo che ti senti meglio, non credi?”
La bimba assottigliò le palpebre mentre scartava con circospezione la sua caramella.
“Sì… sto meglio… però non dormo mai bene, Hinata-sensei. Mi sveglio quasi tutte le notti perché faccio brutti sogni” controbatté risentita, issando i grandi occhi turchesi pregni di stizza sui connotati del medico.
“Cosa ti ripeto sempre riguardo agli incubi, Ryoko-chan?” domandò pazientemente l’oncologo.
“Che è il mio cervello che mi vuole avvisare quando ho paura di qualcosa” rispose diligentemente la bambina.
“E qual è la cosa migliore da fare quando qualche pensiero ti intimorisce?” insistette con sguardo fermo, ancorando le iridi a quelle di Ryoko che, dopo aver inalato un profondo respiro, ribatté con determinazione “Affrontare il problema e parlarne con una persona fidata”
“Proprio così. Con la tua mamma puoi discutere di tutto ciò che più ti inquieta e lo stesso vale per me. Ah, naturalmente quando hai difficoltà a dormire dovresti eseguire gli esercizi di respirazione che ti ha insegnato Yacchan, te li ricordi?”
Ryoko annuì con rinnovato vigore, imitandone prontamente un paio e guadagnandosi un’ulteriore caramella accompagnata da un sorriso orgoglioso.

Per evitare però infervorate proteste da parte degli scalmanati presenti, Shoyo pescò celermente dalle tasche un mucchietto di dolciumi rotondi.

“E prima che me lo chiediate, non ho dimenticato nessuno! Ciliegia e cioccolato per Kaoru-chan” esclamò vivacemente, porgendo una pralina finemente decorata alla bimba dal capo lucente che la accettò con un sorrisone e si affrettò ad accomodarsi sul tappeto per divorarla.
“Limone per Hirumi-chan” continuò, sventolando la caramella dinanzi al visetto del paziente che la acchiappò con un ghigno divertito.
“E infine…”

I connotati di Shoyo si ammorbidirono e il suo sguardo rifletté un’amabilità a dir poco disarmante.

“Mela per Akio-chan” concluse sommessamente avvicinandosi a uno dei quattro lettini, posizionati agli angoli della stanza, su cui era seduto, con la schiena sostenuta da svariati cuscini multicolore, un bimbetto dalle vispe iridi scure.
Uno dei due incisivi centrali aveva ceduto il posto a una buffa finestrella vuota che svettò fieramente dal brillante sorriso che indirizzò all’oncologo non appena replicò un eccitato “Grazie mille, Hinata-sensei!”

Tobio non credeva che al mondo esistesse una quantità di dolcezza lontanamente paragonabile a quella di cui gli occhi nocciola di Hinata erano ricolmi mentre contemplava quel mocciosetto.

Un’occhiata capace di fondere anche il più glaciale dei cuori.

In grado di sciogliere… persino il suo.

“Come ti senti oggi, ometto?” chiese affezionatamente, carezzandogli la pelle pallida del cranio.

Akio scartò l’involucro del dolciume con reverenza, pupille fisse ed estremamente concentrate sul movimento delle manine.
“Non tanto bene, Hinata-sensei”

Per la prima volta da quando aveva messo piede in quella stanza, il sorriso di Hinata parve vacillare.

Deglutendo forzatamente, premette con delicatezza il palmo sinistro sinistra sulla fronte sudata del bambino mentre gli cingeva il polso minuto con la dita della destra.

“Mi sento stanco, non riesco a uscire fuori dal letto e giocare con Hirumi, Kaoru e Ryoko. E poi… mi fa male tutto il corpo da dentro” si lamentò Akio prima di inghiottire il dolcetto alla frutta.

Le sopracciglia di Shoyo si aggrottarono in un’espressione tesa.

“Mi ha detto che è normale che sono stanco dopo la brutta medicina, però ormai sono passati tanti giorni, Hinata-sensei!” saltò su il bimbo con la bocca impastata dalla caramella.
“Hai ragione Akio-chan, sono passati diversi giorni dall’ultima brutta medicina” ripetè meccanicamente il rosso, vezzeggiandogli amorevolmente la nuca.
“Ad aprile inizia la scuola, Hinata-sensei! Il mio prima giorno di scuola, si ricorda?? Non vedo l’ora di andarci, ma voglio andarci con le mie gambe, Hinata-sensei! Voglio correre con i miei nuovi compagni!” protestò con occhi raggianti, tirando la manica del camice candido.

Il naturale sorriso di Shoyo si apprestò a rincasare sul suo volto.

“Certo che mi ricordo, come potrei mai scordarmene? Per i tuoi sei anni abbiamo organizzato una bellissima festa con tutti i bimbi del reparto! E quanti regali che hai ricevuto!” rammentò con un occhiolino complice.
“Il galeone dei pirati è stato il più bello!” intervenne Hirumi, saltellando fino alla postazione del bambino con due macchinine dalle tinte sgargianti strette fra le mani.
“Guarda, Akio-chan! Queste me le ha portate mia sorella stamattina! Non sono fantastiche??”

Il medico sorrise alla vista del bambino trascinato dalla vivace discussione con Hirumi, a cui si aggregarono ben presto Kaoru e Ryoko, che trasformò il lettino in un campo di battaglia dai giocattoli più disparati.

Eppure…

Un velo di silente inquietudine si impuntò a non retrocedere dai suoi lineamenti delicati.

“Shoyo! Posso parlarti un momento?”

La provvidenziale voce di Koushi richiamò l’attenzione di Hinata verso la porta color canarino e fu tempestivamente accolta da un coro di eccitati “Buongiorno, Suga-san!” a cui l’infermiere rispose con affetto.
Tuttavia, nonostante lo sguardo gentile perennemente deposto sul suo volto cristallino, l’occhiata che scoccò all’oncologo… gli provocò un istantaneo brivido lungo l’intera spina dorsale.

Qualcosa… non andava.

Tobio, ormai essenzialmente avviluppato dalla tenda purpurea per tentare di nascondersi alla visuale dei due sanitari, osservò il medico uscire dalla camera variopinta e seguire l’uomo dai capelli argentei fino al muro ad angolo della vetrata, ad alcuni metri di distanza dallo spazio in cui era strategicamente appostato.

Una goccia di sudore freddo gli percorse la tempia.

Non riusciva a capacitarsi di come quell’infermiere non l’avesse già beccato e sbattuto fuori dal reparto.
Gli era praticamente passato accanto, ciononostante pareva proprio non essersi accorto della sua presenza.
Doveva seriamente avere la testa fra le nuvole per non averlo colto in flagrante mentre spiava  sfacciatamente dall’ampia finestra…

Strizzando meglio gli occhi riuscì a scorgere un’inusuale espressione mesta sul viso dell’uomo, le cui iridi erano ancorate al fascicolo bianco che stringeva febbrilmente tra le dita, sprigionando una tensione tale da far assumere che non stesse trasportando dei semplici fogli di cartoncino… bensì una bomba a orologeria.

Lo scricciolo rosso dovette avvertire la medesima sensazione poiché scherzò “Suga-san, questa smorfia non ti si addice per nulla” cercando di smorzare la tensione…
Cionondimeno, i suoi occhi nocciola dardeggiarono con angustia sulla carpetta faticosamente sorretta dal collega.  

L’estremità delle labbra di Koushi si inarcò debolmente all’insù, ma fu impossibile estirpare la drammaticità profondamente radicata nei suoi lineamenti.

“Queste sono le ultime analisi di Akio-chan” pronunciò flebilmente, come se ogni parola di quella breve proposizione gli costasse un’inimmaginabile fatica.

Inizialmente, Hinata non fu in grado di ribattere alcunché.

La sua espressione si era congelata, limitandosi a fissare in una statica trance il referto che Sugawara gli stava porgendo con evidente esitazione.
Furono necessari svariati secondi affinché riuscisse ad afferrare con mani tremanti il dossier e a dischiuderlo con estrema lentezza.

Tobio non poteva percepirlo, ma i battiti del cuore di Hinata riverberavano violentemente fino al suo stomaco, causandogli uno sgradevole senso di nausea.

Sentore che però fu una banale inezia in confronto alla cascata di acqua artica che lo accolse non appena Suga aprì bocca.

“I valori sono completamente stravolti, Shoyo”

Il corpo del medico assunse le sembianze di una statua di sale, completamente inerme al gelo che gli si conficcava brutalmente sulla pelle mentre scorreva l’infinita tabella fitta di numeri impazziti.

Tobio non aveva mai scorto gli occhi del rosso talmente vuoti, prima d’ora.

Fu una visione che gli suscitò un inaspettato moto di panico, spezzandogli drasticamente il respiro, impossibile da contrastare in alcun modo.

“Qui ci sono le analisi della biopsia al midollo osseo” aggiunse sommessamente l’infermiere, protendendo un’ulteriore carpetta bianca e indicando all’oncologo una trafila di analisi che accentuò esponenzialmente il pallore del suo viso.

Per interminabili minuti Hinata rimase in silenzio, scrutando quei referti come se potesse trapassarli, soppesando valore dopo valore, fugando ogni possibile minuzia, finché…

“Non risponde più alle terapie” constatò in un esiguo sussurro.

Le sue sclere apparivano trasparenti, come se fossero state anch’esse ibernate assieme al suo corpo, ormai ridotto a inutili brandelli di carne e cartilagini intirizzite.

“Non c’è più nulla… da fare”

Koushi fissò il medico con palpebre sgranate e la bocca socchiusa, qualunque possibile suono grossolanamente mutilato sul nascere.
Alla fine, riuscì a strascicare un vacuo “Nulla da…?”

“Le abbiamo provate tutte” lo interruppe Shoyo con le iridi ancora incollate sull’asettica relazione clinica.
“E’ da due anni che le proviamo tutte” sibilò, comprimendo i pugni sulla carta.

L’avvilente vuoto nei suoi occhi aveva ceduto il posto a una cocente frustrazione che gli incendiava inesorabilmente l’anima.

“Non gli resta più molto, oramai”

Koushi ispezionò il contorto volto di Hinata con crescente apprensione, scegliendo con ponderata cura i vocaboli più adeguati per supportare l’amico nel desolante inevitabile.

“Vuoi che contatti io i genitori?” propose prudentemente, ma per sua sorpresa il rosso scosse la testa.
“No. Lo farò io, Suga-san” replicò fermamente, sollevando il capo e fissando l’infermiere con risolutezza.
“Sono io il suo medico, in fondo” commentò poi in un mormorio, inspirando a pieni polmoni e serrando le palpebre per qualche interminabile secondo, tentando di riacquisire il controllo sul proprio corpo assiderato.

Ciononostante, le sue mani traballavano instabilmente e una smorfia di intenso dolore iniziò a lacerargli i connotati.

Un’espressione… che non si addiceva a quanto di più simile al Sole potesse esistere.

Un’espressione che stritolò il cuore di Tobio in una morsa inamovibile.

Il volto di Hinata era snaturato da una sofferenza profonda, viscerale… cristallizzata.  

Una sofferenza di cui Tobio era completamente all’oscuro.

Però, nonostante la sua palese ignoranza…
Ebbe la sensazione che quell’orribile turbamento non fosse semplicemente riconducile a quel singolo episodio.

Sembrava…

Un dolore recondito, accumulato da chissà quanti mesi, tramutatosi in uno straziante onere che gli recideva inesorabilmente lo spirito.
Un male da cui il suo fragile essere non era in grado di ribellarsi, ingabbiandolo contro la sua volontà.

Testimoniare un’emozione così sbagliata gravare su quello scricciolo generò in Tobio un insopportabile malessere fisico.

Si sentiva assolutamente impotente, lì nascosto dietro quella maledetta tenda a origliare una conversazione il cui accesso avrebbe dovuto essergli precluso.
Era incapace di spiegarsi come fosse possibile che quell’uomo perennemente sorridente… potesse essere travolto da un simile strazio.

Sebbene la domanda più impellente fosse…

Dolore per cosa, esattamente?


“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”


“Quindi… non ricorda nemmeno uno dei loro volti?”



Sprazzi di una remota conversazione gli sovvennero come minuscoli pezzi di un puzzle mai composto, ma che tuttavia richiedeva urgentemente la sua premura.

Hinata era estremamente legato ai suoi pazienti, su quello non v’era il minimo dubbio.

L’aveva palesato sin dal loro primissimo incontro, in quella fatale mattina di inizio settembre, e l’affettuosa interazione con quei bambini lo confermava pienamente.   
Come se ciò non fosse bastato, non appena Tobio si era azzardato a calcare eccessivamente la mano, inveendo contro l’ossessione del rosso di dedicarsi anima e corpo al suo lavoro, Hinata aveva quasi tagliato i ponti con lui.
La fermezza con cui il medico sosteneva le sue idee balzane era stata tale da minare persino le proprie certezze e, sebbene avesse costantemente giudicato ributtante una simile forma mentis, era giunto a rivagliare la sua intera carriera appena qualche ora prima sino a perdere un importante cliente, umiliandosi dinanzi all’intero studio.

Se vi rifletteva accuratamente poteva avvertire una cocente ira risalire pericolosamente a galla, attorcigliandogli le viscere e rendendolo inabile di ragionare limpidamente.
Tuttavia, suo malgrado, non si trattava della questione più impellente su cui riporre la propria concentrazione, in quel momento.

Ridursi in uno stato di perenne sopportazione di dolore solo per un… paziente?

Quella reazione era dovuta alla consapevolezza che quel bambino… stava per morire?

Nonostante la freddezza che pervadeva la sua psiche, Tobio era in grado di assumere che un cruccio del genere fosse appropriato per la perdita di un familiare, o magari un amico intimo.  

Ma un paziente?

L’unica emozione sensata e concepibile che il medico avrebbe potuto provare sarebbe stata frustrazione al pensiero di non essere riuscito a prevalere sulla malattia.
Una sfida personale, esattamente come quelle da lui intraprese costantemente in tribunale.
Vincere per il caso, non per l’individuo che richiedeva i suoi servigi.

Spingersi a tanto fino a provare dolore

Non riusciva a comprendere.


“Grazie per avermele consegnate personalmente, Suga-san”


Il legale focalizzò nuovamente la propria attenzione sul volto del rosso, e…

Ciò che vi riscontrò sfidò l’ormai labile logica dei suoi poveri neuroni destabilizzati.

La straziante angoscia che aveva inglobato i lineamenti di Hinata fino a quel frangente, provocando un mezzo collasso psicologico in Kageyama…

Si stava… dissolvendo.

Tobio guardò con occhi spalancati l’oncologo inspirare ed espirare profondamente, i tremanti  pugni sigillati attorno ai referti rilassarsi gradualmente e infine…   

Su quelle graziose e delicate labbra a cuoricino, germogliò un morbido sorriso.

Kageyama percepì la mascella scivolare inevitabilmente verso il pavimento, vinta dall’implacabile forza di gravità.

“Da qui in poi ci penso io, non preoccuparti. Ci vediamo più tardi per la cena, Suga-san” pronunciò lietamente, voltando le spalle all’infermiere dal volto contornato dalla sorpresa e rientrando all’interno dell’ampia stanza colorata, dove fu accolto da elettrizzati gridolini acuti.

Tobio era francamente sconcertato.

A cosa… aveva appena assistito?

“Vi sono mancato per così poco?” scherzò amabilmente Shoyo, elargendo a tutti e quattro i bambini un’espressione di sincera contentezza.

Il cuore del legale batteva contro la cassa toracica analogamente a una fragorosa grancassa.

Inutile procrastinare ad ammetterlo.

Tobio era stato rapito dal sorriso di Hinata fin dal primo istante.

Il principio di quell’irrimediabile e folle attrazione nei confronti dello strambo scricciolo…
Si trovava interamente lì, in quel sorriso per cui aveva perduto la testa.
Ne aveva abilmente memorizzato ogni piega, ogni rughetta d’espressione, ogni dente splendente.

Fu precisamente quella la ragione per cui notò istantaneamente alcune incongruenze con il viso che stava attualmente contemplando.

Un’espressione… traboccante di emozioni contrastanti.

Hinata sorrideva rispecchiando un autentico senso di affetto verso quello sfortunato bimbetto, gli parlava con dolcezza mentre gli carezzava la glabra testolina…

Sebbene fosse consapevole che non avesse più alcuna possibilità di sopravvivenza?

Ma che significato aveva?

Perché lo stava facendo?

“Akio-chan, lo so che ti dispiacerà lasciare Kaoru, Ryoko e Hirumi, però dobbiamo spostarti in un’altra stanza” spiegò pacatamente al piccolo paziente, il cui volto fu subito deformato da una smorfietta ferita.
Prima che potesse aprir bocca per ribattere accoratamente fu però scaltramente preceduto dal rosso, che rivelò con aria complice “Ma avrai una stanza tutta tua, non è fantastico? Ci saranno molti macchinari a prima vista spaventosi sai, con tubi lunghissimi e rumori strani, però sarà come trovarsi in una navicella spaziale, non credi?”

Gli occhi castani del bambino si illuminarono come uno sfavillante albero di Natale.

“Non è giusto, Hinata-sensei! Anche io voglio andare nella stanza navicella spaziale!” protestò Ryoko con aria battagliera, spostandosi avanti e indietro con l’eccentrica sedia a rotelle.
“Tu hai già il tuo mezzo super sonico, non puoi avere tutto” la ammonì Hirumi facendole la linguaccia.

Lo stordimento di Tobio incrementò a dismisura.

Stanza navicella spaziale?
Mezzo super sonico?

Di che stavano ciarlando tutti quanti?!

“Possiamo andare a trovare Akio-chan nella sua nuova camera?” intervenne Kaoru con le braccia strette attorno a una graziosa bambola dalla liscia chioma bionda, malinconica reminiscenza dei suoi lunghi capelli dorati.
“Certo, potrete fargli visita tutte le volte che vorrete, però prima dovrete parlarne con me, va bene?”
“Hinata-sensei, ma perché Akio-chan può andare nella stanza tutta per lui e noi no?” domandò perplessamente Hirumi.
“Perché da ora in poi Akio avrà bisogno di attenzioni speciali” spiegò pazientemente.
“Dovrai stare maggiormente a riposo rispetto agli altri, va bene? Non vuoi che ti venga la febbre, vero?”

Il bimbo scosse la testa con sguardo intimorito.

“Dovrò fare ancora di più la brutta medicina, Hinata-sensei?” chiese con tono mogio, rimirandosi le pallide manine coperte da una patina di sudore.

Il sorriso che apparve agevolmente sulle labbra di Hinata gli comportò in realtà un tormentoso sforzo di autocontrollo.

“No, Akio-chan. Non… non ce ne sarà più bisogno”

Le iridi del bambino si ravvivarono in un battibaleno.

“Allora significa che ad aprile potrò andare a scuola!”

L’intensa smorfia dolorante minuziosamente celata sul viso del medico pareva essere visibile solo ai famelici occhi di Kageyama.

“La strada è un po’ più lunga del previsto, Akio-chan, ma sono sicuro che i tuoi genitori potranno spiegartelo al meglio”

Akio rivolse all’oncologo un’espressione interrogativa che però venne repentinamente sommersa dalle chiacchiere concitate di Hirumi e Kaoru.
 
Tobio continuò a osservare la scenetta che si svolgeva al di là della vetrata per parecchi minuti, senza tuttavia coglierne l’essenza.

Perché quel medico si ostinava a sorridere se quel moccioso era un malato terminale?

Perché non eseguiva il suo lavoro e non lo metteva con trasparenza al corrente delle sue condizioni?

Perché comportarsi come se tutto andasse fottutamente bene?

Lo stava ingannando?

No, non era possibile.

Hinata non sarebbe stato capace di mentire tanto spudoratamente.
Inoltre…
Il suo sguardo non era comparabile ai falsi sorrisi disinvoltamente dispensati da Oikawa-san.
Non si trattava di convenevoli smancerie, né tantomeno moine forzate.

Stava semplicemente posponendo l’inevitabile?

“Vado a convocare i tuoi genitori, va bene Akio-chan? Così prepareremo tutti insieme la tua nuova camera, che ne dici?” propose Shoyo, battendo energicamente le mani.

Per quale motivo quell’idiota sorrideva con il cuore in mano se nei suoi occhi si rifletteva un titanico supplizio, maledizione?!


“Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre”


Tobio strinse nervosamente la stoffa della tenda color carminio, spremendosi le meningi.

Fin da quando l’oncologo aveva pronunciato quelle frasi prive di ogni fondamento logico, il legale l’aveva automaticamente etichettato come essere debole.
Mescolare il lavoro con la propria vita privata era un errore da stupidi dilettanti.

Tuttavia…

Si era mai soffermato su cosa avesse veramente voluto esprimere Hinata con tali concetti?

Non stava soltanto curando l’inevitabile tumore di quei bambini?
Il suo impiego non gli imponeva di limitarsi unicamente a quell’aspetto?

“Okay, Hinata-sensei! Voglio vedere la mia nuova stanzetta, tutte quelle macchine strane non mi faranno nessuna paura se sono con lei!” esclamò Akio sporgendosi per abbracciare l’oncologo, arrestandosi solo quando un dispettoso capogiro lo costrinse nuovamente a sdraiarsi sulla pila di cuscini che gli sorreggeva il dorso.

Hinata…

Voleva accertarsi che quei bimbetti fossero felici, nonostante la loro…

La conclusione a cui giunsero i neuroni di Tobio lo colpì con la virulenza di un manrovescio dritto in faccia.

Desiderava che quegli ammalati potessero ridere e scherzare come qualunque altro moccioso della loro età?
Intendeva assicurarsi che nonostante gli handicap… si sentissero a loro agio?
Che sebbene parecchi dei loro destini fossero ineluttabilmente segnati…
Godessero ogni istante della propria vita?

Furono indispensabili svariati minuti affinché il legale potesse ristabilirsi dallo shock.

Ogni volta che quello scricciolo rosso aveva insistito sulla necessità d’interessarsi al lato umano dei suoi pazienti, ricevendo in cambio ondate di ridicolo da parte sua…


“Quindi non puoi mai essere libero dai quei malati?”

“Sono miei pazienti. Non capisci che è mio compito andare in loro aiuto ogniqualvolta lo richiedano?”
 
“Richiedano? Vuoi dire anche per un semplice attacco emotivo?”
 
“Soprattutto quando sono emotivamente fragili!”



Aveva sempre superbamente sostenuto che i sentimentalismi ostracizzassero la riuscita di ogni mestiere.
Il lavoro era fredda e asettica professionalità, nulla di più, nulla di meno.
 
Ma nel caso di Hinata…

Tal criterio era effettivamente applicabile?

Con straordinaria lentezza, Tobio girò gradualmente la testa per analizzare l’ambiente che lo circondava, spiando le varie interazioni dei piccoli ricoverati e la loro quotidianità tra le mura d’ospedale.

Nell’immaginario comune, un reparto di oncologia avrebbe dovuto pullulare di espressioni cupe, teste rasate, visi esangui.
Morte e sofferenza vi regnavano da indiscusse sovrane, spappolando ogni minuscola scintilla vitale, estirpando la più infinitesima delle speranze.

Eppure, ciò che appariva dinanzi ai suoi occhi…

Erano espressioni solari, cappelli e fasce variopinte, visi sorridenti.

L’unica sfumatura che avrebbe associato a un posto simile sarebbe stata il pallore spettrale.

E invece, quel luogo era un tripudio di eccentrici colori sgargianti sparpagliati in ogni anfratto, in ogni angolo.
Di bianco… non ve n’era neppure l’ombra.

Tutto quello… era merito di Hinata?

Il saldo legame con i piccoli pazienti, basato su confidenza ed emozioni reciproche…

Era vincente?

Quei bambini erano felici nonostante la malattia…

Perché Hinata non faceva altro che sorridere?


“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”


Tobio non fu in grado di descrivere la sensazione che gli imperniò il petto alla presa di coscienza di tali scottanti verità.

Aveva arbitrariamente reputato l’aspetto del medico e l’intero reparto come una ridicola barzelletta.
Aveva tirannicamente dedotto che quei colori, caotiche risate e mancanza d’ordine fossero attribuibili a una vergognosa carenza di professionalità.

Ma in realtà…

Quello scricciolo aveva appositamente costruito un ambiente caldo e accogliente, adeguato a ospitare giovani mentalmente e fisicamente provati, permettendogli di sentirsi… a casa.

Facendoli vivere, dentro quelle quattro mura d’ospedale.

Il legale chinò la testa, sbaragliato.

Si era recato al Karasuno convinto di poter sputare tutta la propria collera sul medico, colpevole di averlo contaminato con quella schifosa debolezza da lui tanto disprezzata, solo per rendersi conto che…

I sorrisi dello scricciolo… non erano prova di fragilità.

Si morse il labbro inferiore con veemenza, ignorando il metallico sapore del sangue che gli ovattò spiacevolmente la bocca.

Quei sorrisi…

Costituivano il simbolo della forza accecante che il rosso trasmetteva imperterrito a quei bambini, incurante della mastodontica portata della malattia.

Una forza… a lui completamente sconosciuta.
Una potenza che mai aveva avuto occasione di comprovare.


“Non sembra affatto un medico”


Quasi rise al pensiero di come gliel’avesse impietosamente sbattuto dritto in faccia un mese e mezzo prima, quando ancora non poteva nemmeno presupporre chi fosse davvero l’uomo chiamato Hinata Shoyo.
Divertente però pensare che il se stesso di quell’epoca ci avesse azzeccato, in un modo o nell’altro.

Perché…
No, Hinata non era soltanto un medico.

Quel ragazzo non corrispondeva alla figura professionale cui era stato avvezzo nel corso della sua esistenza.

Dinanzi alle sue iridi blu rifulgeva un’entità splendente come il sole, la cui luce donava vita alle creature che lo circondavano.

Non era un lavoro che gli spettava.
Nessuno lo obbligava, nessuno ripagava i suoi sforzi supplementari.
Tutto ciò sforava di gran lunga i suoi doveri, eppure…

Hinata… non si arrendeva.

Nemmeno di fronte all’evidenza, nemmeno davanti alla prova inconfutabile di aver esaurito ogni possibilità…
Proseguiva, facendosi coinvolgere emotivamente per regalare il meglio di sé a quegli sfortunati bambini.

Sorrideva…

Per mostrarsi forte.
Per prestare il proprio coraggio a chi ne aveva maggiormente esigenza.

Sorrideva…

Per celare un dolore infinitamente più grande…

La cui fonte, però, per il legale rimaneva ancora ignota.


“Assicurati di non ferirlo, Kageyama. C’è ancora molto che devi imparare su di lui”


Una risata priva di gioia abbandonò le sue labbra aride.

Akaashi ci aveva azzeccato di nuovo, eh?

In fondo, che cosa aveva realmente appreso del rosso fino a quel momento?

Anzi…

Che cosa aveva voluto conoscere?

Aveva individuato solo ciò che più gli tornava comodo.
Aveva inconsciamente reperito uno scaricabarile per i suoi insuccessi e insoddisfazioni.

Non avrebbe dovuto sorprendersi.
D’altronde, erano entrambi radicalmente agli antipodi.

Lui nero, Hinata bianco.

Lui oscurità… Hinata luce.

Tobio non si era mai curato dei suoi clienti.

Hinata ne era fin troppo emotivamente coinvolto.

Tobio aveva speso anni della propria vita distruggendo tutto e tutti, indiscriminatamente.

Hinata aveva investito ogni giorno della sua esistenza migliorando le giornate dei suoi pazienti.

Hinata traboccava umanità.

Tobio… non sapeva neppure cosa concretamente significasse.

Chi aveva ragione?
Chi aveva torto?

Chi, tra i due… era il vero debole?
 
Ma soprattutto…

Che cos’è la vera debolezza?
Ci aveva mai seriamente riflettuto?

L’empatia di Hinata…

O il suo perenne vuoto?

Ormai a corto di ulteriori elucubrazioni di vago senso compiuto, il legale sgusciò furtivamente via dal suo arrabattato nascondiglio.
Distolse finalmente lo sguardo da quel volto sfigurato da un dolore incomprensibile, che tuttavia  era in grado di combattere generando sorrisi più splendenti di una stella.
Si allontanò con aria assente da quel tragico quadretto e si incamminò a passo strascicato verso l’uscita del reparto, cercando di passare inosservato fra la folla di genitori raggruppati dinanzi alle stanze dei rispettivi figlioletti.

Chiudendosi la porta a due battenti alle spalle, abbandonò quel luogo dove la vita era costantemente appesa a un filo…

Ma in cui la speranza sembrava riverberare come una rigogliosa fioritura di bucaneve, coccolati e vezzeggiati dalla confortante e onnipresente luce del Sole.






Rimirando per l’ennesima volta nel giro di mezz’ora una catasta di referti dallo spessore simile a quello di un vocabolario, Shoyo si permise di esalare uno strascicato sospiro.

Era distrutto.

Quel pomeriggio lo aveva distrutto.
Un po’ come lo stavano inesorabilmente annientando tutte quelle interminabili giornate trascorse in reparto.

Infilò la mano destra fra i vaporosi capelli rossi, strofinando soprappensiero la cute e reprimendo a fatica un sonoro sbadiglio.

Sbalordiva persino se stesso la capacità che gli consentiva di restare ancora in piedi dopo un massacrante turno di dodici ore.
 
Yachi non smetteva instancabilmente di ripetergli che continuando a quel ritmo ci avrebbe rimesso la salute, ma che poteva farci?
Il Karasuno era a corto di personale e sebbene Ukai-san non l’avesse ufficialmente obbligato a quei doppi turni estenuanti, era alquanto palese che ne avesse un disperato bisogno.

E poi, Shoyo era sempre entusiasta di trascorrere del tempo con i suoi bambini.

Che quei momenti fossero deleteri per la sua mente… costituiva ovviamente un dettaglio facilmente trascurabile.

Scosse testardamente la testa, chiudendo le carpette bianche sulla scrivania tristemente ingombra di documenti e disparate scartoffie.

Non doveva riflettervi.

Non doveva pensare che per Akio-chan ormai fosse tutto…

Sollevò bruscamente i palmi e se li scaraventò con violenza sulle guance, stroncando sul nascere il minaccioso pizzicore agli angoli delle orbite oculari, accogliendo il bruciore dello schiaffo come una tonificante doccia fresca.

Non poteva permettersi di perdere la sua consueta energia positiva.
Non poteva soggiacere a quella patetica autocommiserazione.

Doveva farlo per Akio.
Doveva farlo per tutti i suoi piccoli…

“Shoyo! Per quanto hai intenzione di rimanere rintanato qui, eh? Posso sentire il tuo stomaco gorgogliare a chilometri!”

La squillante voce di Nishinoya rimbombò spigliatamente fra le pareti dello studio dell’oncologo, trainandosi dietro una rinvigorente ventata di buonumore.

Hinata ridacchiò osservando il collega dai selvaggi capelli castani e lo sfacciato ciuffetto biondo sfrecciare tra gli affollati corridoi, presumibilmente per raggiungere al più presto la sala comune.

Azzardò un’occhiata all’orologio trasparente appeso alla parete color crema.

Non v’era poi da stupirsi, erano quasi le venti e dieci.

In teoria il suo turno avrebbe dovuto concludersi otto minuti prima, tuttavia preferiva di gran lunga trattenersi in ospedale con i colleghi piuttosto che intraprendere i monotoni sessanta minuti fra treno e autobus fino al suo appartamento, cenando così ad un orario improponibile.
Salvo impegni particolari, si trattava di un’abitudine di parecchi lì al Karasuno, considerando gli impegni deliranti dell'intero personale sanitario.

Dopo un ultimo veloce inventario, doveva apprestarsi a fare rifornimento di caramelle e dolciumi, la sua scorta principale iniziava a scarseggiare anche a causa delle non richieste incursioni di Tanaka e Noya, si scollò dalla poltrona e uscì dallo studio, dirigendosi sbadigliando verso il quinto piano.



“Yacchan, oggi ti sei proprio superata!”

“Ryuu ha ragione, quel bento sembra proprio delizioso!”

La graziosa infermiera dai pimpanti occhi bruni arrossì lievemente mentre scoperchiava il suo curry rice bento.

“Sono sempre stata abituata a prepararli da sola fin dai tempi della scuola, mia mamma era spesso fuori casa per lavoro…” spiegò con timida modestia, arricciando una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.

Tanaka ghignò furbescamente, occhieggiando il lunch box che l’infermiere dal volto puntellato di lentiggini aveva posto dinanzi a sé, il cui contenuto era esattamente identico a quello di Hitoka.

“Ormai li prepari anche per Yamaguchi, eh? Vero fortunello?”

Tadashi avvampò violentemente dalla testa ai piedi, balbettando qualcosa di incomprensibile che fece ridacchiare maliziosamente i colleghi seduti al loro tavolo.

“Vorrei proprio avere Yacchan come cuoca, i mie bento fanno proprio pena…”
“Parla per te, Ryuu. Tu almeno hai un bento!”
“Non è così difficile prepararne uno, Noya” intervenne pacatamente Asahi, mostrando all’infermiere il suo box ripieno di riso, salmone alla griglia e fagioli neri.

Gli occhi di Yuu scintillarono e un verso di meraviglia si propagò irruentemente dalla sua gola.

“Asahi-san, sei fantastico!! Perché non mi insegni come si fa?” strillò eccitato, quasi saltando addosso al povero magazziniere nonostante l’evidente differenza di stazza.

“Nishinoya, per favore” sbottò l’uomo dalle ampie spalle e la pelle color caffellatte, la cui fronte era desolatamente appoggiata sul ripiano.

Una risatina frizzante fuoriuscì dalle labbra di Suga, che gli scoccò un’affettuosa pacca sulla schiena.

“Noya riesce a preservare le sue energie anche dopo una giornata di lavoro, non c’è modo di spegnerlo” scherzò allegramente mentre Daichi, praticamente spalmato sul legno bianco, replicava con un grugnito piccato.
“Sembri un orso appena abbattuto” lo prese affabilmente in giro Michimiya.
“Un orso innocuo, però” ridacchiò Koushi giocherellando con i capelli sulla nuca del primario, ignorandone bellamente i mugugni infastiditi.
“Giornata più pesante del solito?” indagò Ryuunosuke, arraffando un pugno di verdure e ficcandosele in bocca.

Questo, ormai, è il nostro solito” fu la replica acidula del direttore amministrativo dai capelli color grano, sedutosi in quel frangente accanto a Yamaguchi e appoggiando sul tavolo un vassoio contenente una ciotola di brodo fumante.

“Tsukishima maledettooo! Perché tu hai del ramen appena pronto mentre io devo mangiare riso stantio avanzato da ieri a pranzo?” inveì Tanaka, puntando il dito contro il nuovo arrivato.

Kei non si scompose di una virgola, sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso e spezzando le bacchette di legno usa e getta fornitegli assieme alla scodella in ceramica.

“Perché il servizio mensa copre il mio turno fino alle ventidue, dato che Ukai-san mi obbliga a restare per risolvere i casini di quest’ospedale. Voi siete fuori orario, no? Perché siete ancora qui?” ribatté lapidario, provocando in Noya e Ryuu un allarmante rigonfiamento delle vene sulla fronte.
“Sei ancora così impegnato, Tsukki?” s’intromise strategicamente Tadashi prima che la situazione degenerasse in qualche litigio infantile e le urla potessero convincere Daichi a ucciderli tutti seduta stante.

Kei sbuffò sarcasticamente.

“Direi che Sawamura-san non è l’unico a soffrire la stanchezza di un turno infinito. Da quando è che voi non dormite come si deve? Io dovrei farmi rimborsare da questa dannata struttura danni neurologici permanenti”

Michimiya si mordicchiò il labbro, gingillando con il bordo della tazza del suo tè.

“Questa settimana il massimo che sono riuscita a fare è stato quattro ore e mezza. Tu, Mao-chan?” chiese, rivolgendosi alla collega dai capelli biondo cenere legati in una coda di cavallo.
“Mmm… cinque ore? Cinque e mezza? Non credo di aver raggiunto le sei” spiegò scrollando le spalle.
“Beh, allora non c’è da sorprendersi che il primario sia sfinito” constatò Kei prima di inghiottire una manciata di noodles.
“Persino Hinata, che in vita sua non è mai riuscito a stare fermo un singolo istante, ultimamente è piuttosto fiacco” sogghignò amaramente, beccandosi un’occhiataccia da Suga.
“Ah, parlando del diavolo…”

“Shoyoooo, eccoti finalmente!” esclamò a gran voce Nishinoya, facendo sobbalzare vistosamente Daichi che assunse un’espressione assassina.

“Noya, per favore” lo pregò Azumane, temendo la reazione che avrebbe potuto scattare in Sawamura di lì a breve.
“Buonasera a tutti!” salutò briosamente il rosso, unendosi alla tavolata di amici e colleghi con in mano un bento preconfezionato.
“Come va, Shoyo?” domandò Koushi con occhi morbidi, sporgendosi lievemente verso la sua direzione.

Non era complesso intuire l’oggetto della preoccupazione dell’infermiere.

Il medico però abbozzò un sorriso, annuendo con convinzione e parve soddisfare, almeno parzialmente, il collega maggiore.

Sembrava reggere, per il momento.

“Ho bisogno di un altro caffè” bofonchiò Daichi, sollevando lentamente il tronco dalla sua stagnante collocazione e strofinandosi gli occhi sfiniti.

Sugawara assunse immediatamente una smorfia contrariata.

“Daichi, ti reputavo un medico. Con tutta la caffeina che hai in corpo finirai per sentirti male” lo ammonì severamente.
“Suga ha ragione, dovresti pensare solo ad andare a letto e riposarti” concordò Michimiya.
“Arrivi a lavorare anche quindici ore al giorno, Daichi-san, almeno quando non sei più di turno dovresti dormire” osservò saggiamente Hitoka.
Il primario di medicina generale sospirò pesantemente, infilandosi le mani fra i corti capelli castani.
“Devo ricontrollare le cartelle del reparto e stilare una redazione dettagliata prima di…”
“Lascia fare a noi stasera. Non dovrai preoccuparti di nulla se non del tornare a casa vivo e vegeto” lo interruppe però Yui, stringendogli delicatamente la spalla.

Dopo qualche attimo di tentennamento, Sawamura alla fine fu costretto a cedere.

“Daichi-san, come faranno i tuoi pazienti se crollassi dallo sfinimento?” lo rimbrottò Shoyo con la bocca stracolma di frittata.
“Senti da che pulpito” ridacchiò Tanaka, punzecchiandogli la guancia gonfia di cibo con la bacchetta.

“Oi, Kinoshita! Pensavo che non ti saresti fatto vedere stasera!”

Koushi accolse vivacemente l’uomo dai capelli biondo cenere che si apprestava pigramente a raggiungere il loro tavolo.

“ ’Sera a tutti ragazzi… questa giornata è stata infinita” si lamentò il ritardatario con un sospiro sfibrato.
“Ecco un altro che si lagna del troppo lavoro. Dovremmo scrivere una lettera di protesta a Ukai-san…” borbottò Tsukishima, mescolando nervosamente il suo ramen.
“Non è da te arrivare in ritardo per la cena, Hisashi!” osservò incuriosito Yuu.

Il medico sospirò sconsolato mentre prendeva posto tra Tanaka e Michimiya.

“Ho avuto una visita dell’ultimo minuto che mi ha tenuto occupato per almeno un’ora. Un tipo davvero strambo, così cupo da essere deprimente” sbuffò scuotendo la testa, scartando da una pellicola in plastica quattro sandwich alle uova e apprestandosi a divorarne metà con un singolo morso.
“Un secondo Daichi, quindi” ghignò Suga in direzione dell’amico che replicò un offeso “Non sono deprimente!”
“Ma cupo sì, Daichi-san. Ultimamente hai sempre una faccia spaventosa” concordò Shoyo masticando vigorosamente.
“Fai paura” annuì Asahi, trattenendo un tremito.
“Possiamo parlare di qualcosa di più allegro? Sapete, voi avete finito, ma il nostro turno sta per iniziare” si lamentò Michimiya indicando Aihara, Yachi e Yamaguchi.
“La notte al pronto soccorso è tremenda” brontolò Mao, picchiettando le unghie sulla ciotola in ceramica del ramen servito dalla mensa.
“Ti arrivano quasi sempre ragazzini mezzi morti coperti di sangue dalla testa ai piedi” descrisse con aria macabra.
“E meno male che dovevamo discutere di argomenti felici” sospirò Yui, agguantando un filetto di tonno dal piatto e portandoselo alla bocca.
“Lasciamo perdere, io oggi sono di turno nell’ala di psichiatria” commentò Hitoka dissimulando un brivido.
“Ci sono alcuni pazienti che mi prendono sempre di mira. Non sono cattivi, però… sono talmente strani che fanno venire l’ansia”
“A proposito di stranezze” si introdusse Kinoshita, sbranando il terzo sandwich nel giro di pochi minuti.
“L’ultimo tizio che è venuto da me in realtà aveva appuntamento con te domani, Hinata”
 
La manciata di riso appena ingurgitata strozzò lo sfintere esofageo dell’oncologo in maniera totalmente imprevista.

Strabuzzando gli occhi, tossì freneticamente finché i suoi polmoni riuscirono ad incanalare abbastanza ossigeno da permettere al cervello di ripristinare le sue funzionalità vitali.

“Ehi ehi, vacci piano con quei bocconi, tigre!”
“Non vorrai mica morirci davanti!”
“Respira Hinata, respiraaaaa!”

Sbattendo le palpebre sugli occhi lucidi per la sollecitazione fisica, Shoyo non fu in grado di distinguere nitidamente i rimproveri bonari degli amici.
La sua mente era finita in black-out, inabile di focalizzarsi su nulla che non fosse…

“Che… cosa?”

Kinoshita lo squadrò un po’ interdetto.

“E’ sembrato insolito anche a me. Si è presentato senza alcuno appuntamento e sono riuscito a visitarlo solo perché un paziente ha disdetto la sua visita all’ultimo minuto, lasciandomi uno spazio libero. Sono rimasto piuttosto sorpreso quando nella cartella clinica ho trovato evidenziato il tuo nome, Hinata. All’inizio pensavo fosse dovuto a un errore, poi però nel referto hai specificato di averlo visitato e ingessato a causa di un’emergenza dovuta a disordini interni e mi sono ricordato del casino di qualche mese fa, quando ero in ferie”

Più la spiegazione del collega proseguiva, più Shoyo afferrava meno la situazione.
 
Kageyama si era recato al Karasuno con un giorno di anticipo… per farsi visitare da un medico che non fosse lui?
Ma per quale motivo?

“Lui non ha spiccicato parola in merito. Mi ha solo comunicato con tono supponente di aver bisogno di un ortopedico che gli rimuovesse il gesso perché stava diventando una seccatura. Ovviamente ho letto i tuoi appunti sul decorso di radio e ulna, ma ho comunque dovuto effettuare ecografia e tutta la prassi ordinaria per accertarmi che la frattura fosse effettivamente guarita…”

Gli occhi di Hinata fuoriuscivano praticamente dalle orbite.

Tutto ciò era assurdo!

Aveva fissato la visita per l’indomani.
Perché tutta quella fretta imprevista?
E soprattutto, perché recarsi da un altro specialista?

Okay, non poteva negare che colui che si sarebbe originariamente dovuto occupare del suo infortunio fosse Kinoshita, il vero ortopedico…  

Ma si era sempre trattato di un suo paziente!
Era stato lo stesso Kageyama a farsi seguire spontaneamente da lui, no?!
Perché quel cambio di programmi?
Che cosa era successo…?

Nel tempo in cui Shoyo era indaffarato con i suoi spasmodici ragionamenti, Suga lo scrutava con particolare apprensione e anche Hitoka gli scoccò uno sguardo interrogativo, non comprendendo quel resoconto apparentemente incongruente.

“Ah, ma ancor più incredibile è stato quello che mi ha detto Narita poco fa, quando ci siamo beccati a fine turno. Mi ha raccontato che nel pomeriggio è arrivato un tizio strambo che urlava come un ossesso e pretendeva di parlare con te, Hinata, e che, dopo avergli spiegato dove trovarti, è tornato da lui intimandogli di vedere un ortopedico. A Kazuhito è parso uno fuori di testa” ridacchiò sconsolato, grattandosi la nuca.

Il sangue nel corpo di Shoyo gelò nel corso di un istante.

Poteva distintamente percepire gli sguardi di Sugawara, Yachi, Tanaka e Noya perforargli il cranio, pregni di incandescenti interrogativi.

I suoi neuroni dovettero attuare uno sforzo non indifferente per tentare di non finire in autocombustione mentre un milione di differenti e febbrili congetture iniziava ad affollargli la mente.

“Non… non ho ben capito, Kinoshita-san. Kage… emh, quest’uomo è venuto da te… dopo aver domandato di me a Narita-san?”

L’ortopedico masticò soprappensiero l’ultimo boccone del quarto sandwich prima di aprire bocca.

“Secondo Kazuhito all’inizio sembrava estremamente impaziente di parlare con te, nonostante non avesse un controllo programmato per oggi. Gli è parso fuori di sé, così ha pensato potesse trattarsi o di un tuo paziente piuttosto grave o un familiare particolarmente arrabbiato, così lo ha fatto passare. Poi però dopo un po’ se l’è ritrovato nuovamente davanti e ha richiesto un controllo con un altro specialista, qualcuno che potesse visionargli l’avambraccio… e allora Narita l’ha mandato su da me. Fine della stramba storia” concluse scrollando le spalle, notando solo allora che la maggior parte degli occhi dei presenti fossero puntati avidamente su di lui.
“Ho detto qualcosa che non va…?” domandò con esitazione, dopo alcuni secondi trascorsi in assoluta immobilità.

“Chi si permette di urlare all’ingresso dell’ospedale?” tuonò Daichi infrangendo il silenzio, magicamente ricarico di energie e vispamente sul piede di guerra.

Ryuu e Noya esplosero in una risata sguaiata, reggendosi a fatica le pance.

“Di tutta questa storia l’unico dettaglio su cui ti sei soffermato è il fatto che questo tizio abbia alzato la voce?” rise di gusto Yui, pizzicandogli il bicipite.
“E’ un motivo più che valido! E’ un’incredibile mancanza di rispetto” non demorse il primario, ignorando gli sbeffeggi affabili dei colleghi.

L’ilarità collettiva non riuscì a contagiare neppure di striscio il morale dell’oncologo.

La sua mente era stata barbaramente scaraventata a parecchie centinaia di metri sottacqua, impossibilitata a percepire alcunché oltre l’inquietante ronzio delle profondità marine.
Nelle vene il suo sangue aveva la medesima consistenza del piombo, opprimente e sfiancante, capace di trascinarlo fino alle più infime viscere della terra.

Narita aveva autorizzato l’ingresso a Kageyama…?

Che voleva dire?

L’infermiere di guardia non gli aveva comunicato un bel niente.
Non poteva aver consentito al legale di accomodarsi in uno degli studi adibiti ad ambulatorio giornaliero al primo piano, da lui strategicamente sfruttati durante i precedenti controlli.
Non sapeva che Kageyama non fosse un suo paziente ordinario e la visita si sarebbe svolta lì.

Ciò significava che…

Narita gli aveva consentito libero accesso al suo reparto…?

La realizzazione lo colpì con le sembianze di un irruente attacco d’asma.

La respirazione iniziò a rantolare, i battiti cardiaci assunsero un ritmo allarmante e la gola parve gonfiarsi freneticamente, impedendogli di inalare sufficiente ossigeno da trasmettere al cervello.

Kageyama…

L’aveva visto in oncologia?

Aveva scoperto che razza di lavoro facesse e….

Se n’era andato?

Non aveva sopportato la visione di ciò che realmente fosse?

Aveva rifiutato la sua natura e…


“Senta dottore, il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”


Un ansimo soffocato rantolò dai meandri della sua spossata laringe.


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”


L’aveva… disgustato…?

“Hinata-kun, che significa questa storia?”

La voce di Yachi giunse ovattata alle orecchie del rosso, come se la bocca dell’amica fosse ostruita da uno spesso panno di stoffa.
Il suo viso era contornato da un’espressione preoccupata che specchiava la medesima irrequietezza di Suga, entrambi consapevoli dei retroscena fra il medico e l’oscuro avvocato.  

Shoyo tuttavia non seppe replicare.

Non capiva.

Un maledetto bug si era generato tra i suoi emisferi, accanendosi nel replicare quel medesimo pattern incoerente.

No, non lo riteneva attendibile.
Stava sicuramente commettendo un errore, era impensabile che…

“Ehi, eccolo lì il tizio di cui vi parlavo! Ma che ci fa ancora qui?”

Gli occhi di Hinata scattarono in meno di un millisecondo verso il punto tratteggiato della testa di Kinoshita.

In piedi a qualche metro dalla loro postazione, con la schiena ritta come un fusto e le guance lievemente imporporate, si ergeva…

“B-buonasera a tutti… perdonate il disturbo. Mi chiamo Kageyama Tobio e… vorrei parlare con Hinata”

Qualche attimo di attonito silenzio avvolse l’intera tavolata di medici e infermieri.

“Shoyo, ma è lui il famoso Kageyama con cui ti frequenti??”

Il tono di Yuu avrebbe dovuto assumere le sembianze di un lieve sussurro, ma in realtà risuonò forte e chiaro tra le mura della sala, causando alla faccia del legale l’assunzione di una sfumatura pericolosamente simile a un peperone cotto a puntino.

“Wooo, ma è enorme! Hinata, non ci avevi detto che il tuo boy fosse un colosso!”
“Tanaka, sta’ zitto” sibilò Suga scoccandogli una poderosa gomitata che strappò al magazziniere un gemito dolorante.
“Suga-san, ma perché” guaì Ryuu, massaggiandosi il fianco sinistro.

Nonostante il concitato baccano che lo attorniava, Hinata parve non udire un singolo suono.

Le sue iridi erano incollate a quelle blu come il mare in tempesta di Kageyama e parevano non riuscire a spezzare quel magnetico contatto.

Schiarendosi la gola, cercando di ignorare il bollore che gli attanagliava impudentemente le gote, Tobio borbottò “Non pensavo stessi ancora cenando, ti aspetto fuo-”

“Non ce n’è bisogno, non ho più fame” troncò inaspettatamente il medico, alzandosi bruscamente dalla sedia e incamminandosi fuori dall’ambiente comune, lasciandosi dietro una scia di occhiate sbalordite, tra cui spiccava quella del legale.

Quando si rese conto che non avesse alcuna intenzione di attenderlo, il corvino si apprestò celermente a seguirlo, voltandosi appena per accennare un segno di congedo al personale ospedaliero che pareva studiarlo con peculiare interesse.

Percorsero tacitamente lo sterile corridoio del quinto piano fino a giungere davanti ad un’uscita di emergenza dall’apertura a spinta.  
Hinata compresse il maniglione antipanico senza esitazione, svelando l’ampia soglia di una lunga scalinata in acciaio che abbracciava dall’esterno l’intero edificio.
Tobio intuì di dover avanzare e il rosso serrò la porta alle loro spalle, rabbrividendo lievemente al contatto della fresca arietta serale sulla pelle.

Trascorse qualche istante di quieto silenzio, intervallato soltanto dal trambusto cittadino che sfumava nebulosamente in sottofondo.

Inalando un profondo respiro, Hinata girò lentamente il busto fino a trovarsi faccia a faccia con l’altezza incombente del legale.
I suo occhi dardeggiarono immediatamente sull’avambraccio destro, scevro del gesso niveo che gli aveva sigillato l’ossatura fino a quel pomeriggio.
L’epidermide era moderatamente gonfia e rossastra, avvolta da un leggera fasciatura traspirante.

Percependo la direzione dello sguardo del medico, Tobio chinò la testa, tradendo una sfumatura imbarazzata.

“Mi fa piacere notare che il tuo braccio sia in buono stato” osservò Shoyo con una malcelata nota di sarcasmo.

Il capo del corvino guizzò verso l’alto, impreparato a un tono così tagliente.

“Pensavo avessimo stabilito una data, ma a quanto pare morivi dalla voglia di liberarti quanto prima” continuò evitando d’incrociare il suo volto, indietreggiando fino ad accostare la schiena sulla ringhiera grigiastra.
“Potevi anche comunicarmi in anticipo che avrei smesso di essere il tuo medico. Sai, per correttezza”

Tobio sbatté le palpebre, stralunato.

Hinata era… irritato?
Non aveva ancora esalato un fiato e lo stava già mettendo ai ferri corti?
Ma poi, non avrebbe dovuto essere lui ad avercela a morte con l’oncologo?!

Dal canto suo, Shoyo non aveva la più pallida idea di quanto stesse farneticando.

Il suo cervello sembrava inconsciamente desiderare di proteggerlo da Kageyama, sferrando un assalto dopo l’altro prima di essere a sua volta attaccato.
Come se provasse disperatamente a rimuovere il seme della paura innestato nel suo petto…
Sfoggiando un’aggressività che mai era appartenuta alla sua indole.

“Qualcuno potrebbe reputare offensivo un comportamento del genere. Mi ero anche premurato di riservarti un posto per domani… a questo non hai pensato, eh?”

Strabiliava persino se stesso la sfacciataggine con cui stava conversando, fingendo una compostezza paradossale per il suo effettivo stato emotivo.

Tobio seguitò a fissare Hinata come un ebete, la bocca lievemente dischiusa.

Non aveva contemplato che il medico avrebbe potuto offendersi a tal punto.
Certo, consultare un professionista senza avvertirlo in precedenza poteva apparire scortese, ma il motivo si riconduceva a…

“Pensavo di non doverti disturbare, dato che non è un’area di tua competenza”

Shoyo sbuffò, posizionandosi le mani sui fianchi.

“Questo lo sapevi fin dall’inizio, no? Non mi pare che ciò mi abbia mai impedito di curarti come si deve” ribatté con alterigia, nonostante in realtà il cuore anelasse ardentemente la fuga da quell’asfissiante gabbia toracica.

Per favore, Kageyama, non aggiungere nulla.
Fa’ che si sia trattato di un malinteso.
Per favore.


Tobio deglutì vistosamente.

Non coglieva il presupposto per cui si sentisse tanto in soggezione dinanzi allo sguardo di quella mezza cartuccia che avrebbe potuto facilmente spazzare via con un singolo manrovescio.
Eppure…

“Ti ho visto oggi, Hinata”

Ecco, l’ha detto.

Shoyo avvertì qualcosa sfracellarsi all’interno del torace.
Le gambe furono improvvisamente inabili di sostenere il suo peso corporeo e un acuto senso di vertigine minacciò di distruggergli l’equilibrio.

“Ho visto il reparto in cui lavori”

Calmo.
Devi rimanere calmo.
Inspira, espira.
Inspira, espi…


“Perché… perché non me l’hai detto?”

Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo.


Serrando i pugni accanto ai fianchi, Shoyo racimolò tutto il coraggio necessario per tirar su la testa e guardare dritto negli occhi il viso implacabile del legale, che lo fissava a sua volta con un’espressione indecifrabile.

“Perché sei venuto oggi?” ribatté testardamente, tentando in ogni modo di sopprimere il terrificante sgomento che lo fagocitava dall’interno.

Tobio aggrottò la fronte, titubante.    

Non era quella la reazione che avrebbe pronosticato.
Irruenza, ostinazione, apprensione…
Pareva quasi che l’oncologo si stesse impegnando a… distoglierlo dalla questione principale.

Reprimendo un’imprecazione, Tobio si adoperò per rievocare l’effettiva ragione per cui si fosse compulsivamente recato al Karasuno, parzialmente inumata dal cospicuo peso degli ultimi eventi.

“Avevo urgenza di parlarti per un fatto che… è accaduto a lavoro. Ma non è importante adesso” asserì risoluto, sopprimendo la scottante ira che fremeva per detonare ormai da ore e compiendo un passo in avanti verso il suo interlocutore, che s’irrigidì sensibilmente alla breve distanza che si interpose inaspettatamente fra loro.
“Perché mi hai tenuto nascosta la tua vera occupazione?”

A quella domanda, la sfrontatezza dell’oncologo si dissolse miseramente.

Non riusciva a capacitarsi di come l’unica verità che avrebbe voluto occultare da Kageyama… fosse stata scoperchiata con prepotenza.

“Ti ho spiegato fin dall’inizio che non fossi un ortopedico” replicò debolmente, torcendosi le mani.
“Non ti è mai importato saperlo” aggiunse, distogliendo lo sguardo da quelle iridi esageratamente penetranti.
“Cosa è cambiato adesso?”

Tobio avvertì lo stomaco contrarsi spiacevolmente a quel tremulo fil di voce.

Non gli piaceva.
Non sopportava che Hinata, il cui viso era stato concepito unicamente per sorridere…

“Non penso sia un dettaglio irrilevante, non credi?”

Tuttavia, le cocciute fibre del suo essere prevalsero, cedendo penosamente all’aspra provocazione…

Che avviluppò il cuore di Shoyo in una tentacolare morsa.

Un senso di panico amaramente familiare incominciò a intorpidirgli gli arti, menomando la sua capacità di giudizio.

“Tu pensi che non lo sia?” ripetè cercando di guadagnare tempo, sperando in un improvviso terremoto che potesse risucchiarlo e seppellirlo in eterno.
 
“No. E sono convinto che tu lo sappia perfettamente, dato che me l’hai tenuto nascosto”

Il respiro del medico si spezzò.

Ecco.

Era tutto finito.

La logorante immobilità che accompagnò la pungente dichiarazione del legale fu intaccata solo dal lieve fruscio della brezza, che scuoteva dolcemente le foglie brune degli alberi circostanti.

Era tutto finito…

Dunque, tanto valeva gettare alle ortiche ogni accortezza residua.

“Perché credi che non te l’abbia rivelato, eh?” saettò inaspettatamente, squadrando il legale con occhi furiosi.

Al diavolo la paura.

Lui era capace di ribellarsi.
Non poteva esserne inghiottito.

Non di nuovo.

Non in quel momento.

Tobio allargò le palpebre, colto nuovamente in contropiede dall’atteggiamento incostante del rosso.

“Perché credo che…?”

“Dato che sei stato così brillante da dedurre che non fosse un dettaglio trascurabile, hai pensato anche al perché l’abbia fatto?” lo aggredì, balzando in avanti e guardandolo dritto in faccia nonostante i quasi trenta centimetri di dislivello.

Probabilmente avrebbe dovuto prevedere la controbattuta di Kageyama.
La sedata ira del corvino parve avvampare repentinamente, infuocata dall’invisibile fiammifero proveniente dal moto di rabbia di Hinata.

“Adesso stai dicendo che è colpa mia?! Che posso saperne io del motivo?!”

“Mi fa davvero piacere notare che nonostante tutto quello che abbiamo passato continui a non capire nulla di come funzionino le persone!”

Fu questione di un istante.

Tobio avvertì una cocente stilettata percuotergli il torace senza alcuna pietà.

Per qualche attimo non fu in grado di reagire, sopraffatto da un dolore cieco, indomabile.

Il ferreo autocontrollo finemente cesellato da anni e anni di addestramento rischiò di essere burberamente vandalizzato, finché…

Un singolo, lucido pensiero non sgomitò per imporsi con la forza sul caos, attenuando la portata venefica di quella sferzante insinuazione.

Non è vero.

Non è vero, dannazione.


Digrignò i denti, rilevando una scarica di bile ribollirgli crudelmente nello stomaco, addizionandosi alla frustrazione stentatamente repressa.
Un’accoppiata… decisamente pericolosa.

Lui ci aveva provato.

Cazzo, era da un’intera settimana che si spremeva le meningi per comprendere chi lo circondasse, impegnandosi a frenare la lingua biforcuta dal vomitare veleno gratuito, prodigandosi a intuire stati d’animo per lui praticamente inesistenti.
Aveva persino perduto un cliente ed era stato umiliato davanti all’intero ufficio pur di tentare di capire i sentimenti delle persone…

E quello stupido osava assumere che non fosse mutato di una virgola?!

“Senti pezzo di idiota, che razza di cazzate vai spiattellando?! La colpa è tutta tua se ormai mi considerano uno smidollato sentimentalista allo studio! Non credi che non abbia riflettuto su quello che mi hai detto? Non pensi che non ci abbia provato a cambiare atteggiamento e che la tua fottuta idea non mi abbia portato solo guai? Certe volte penso a come sarebbe stato più semplice non averti mai incontrato quella fottuta mattina!” urlò spietato.

Aveva esagerato, ne era pienamente consapevole.

Non voleva davvero sputare quelle cattiverie, però…

Era incazzato, maledizione.
Quell’uomo lo stava facendo diventare pazzo.

Hinata lo fissò per alcuni interminabili istanti con le labbra dischiuse, ogni possibile suono  selvaggiamente prosciugatogli dalla lingua.

Kageyama… rimpiangeva di averlo conosciuto.

Era logico, in fondo.
Aveva senso.

Rigetto.

Ecco l’effetto che Hinata suscitava nelle persone forti.

Era giunto a farsi odiare dalla persona che avrebbe agognato…

Strizzò gli occhi con tanta veemenza da scorgere macchioline scarlatte per qualche secondo, obbligandosi a dissolvere ogni minuscola perla salina che intimava di sgorgare dalle sue sclere.

Non poteva piangere.

Non doveva piangere.

Perché oltre a quella mortificante tristezza…

Era arrabbiato.

Infuriato con Kageyama, ma soprattutto…

Con se stesso.

“Tanto non saresti cambiato comunque!” strillò con voce incrinata, completamente fuori di sé, sfruttando lo stesso coltello insanguinato con cui era stato barbaramente trafitto per affondarlo nelle debolezze del legale, torcendolo fino in profondità.

E così, ogni possibile tentativo di replica da parte di Tobio fu annientato.

Il suo cuore atrofizzò a quelle parole corrosive, deturpanti.
L’ipotesi di lasciarsele scivolare addosso…
Non era nemmeno calcolabile.

Il rosso ansimava febbrilmente, la testa rivolta verso il grigio pavimento metallico.

Era una menzogna.
Non era vero che Kageyama non sarebbe stato capace di cambiare e lui ne era pienamente cosciente.

Ma alla fine, tutto era già stato disintegrato.

Ciò che rimaneva loro era un continuo e inesorabile ledersi a vicenda fino ad accasciarsi al suolo, sanguinando agonizzanti.

“Se l’avessi saputo… mi avresti buttato via senza pensarci due volte”

Il suo corpo tremava febbricitante, sordo a ogni tentativo di controllo.

“Volevo che qualunque cosa ci fosse tra noi continuasse un po’ più a lungo”

Abbozzò un’espressione di acre ironia, orribile sui suoi lineamenti tenui.
I suoi occhi erano maledettamente lucidi e…

Lo detestava.

Odiava essere debole.
Odiava che la sua fragilità trapelasse così facilmente.
Voleva essere forte, forte come Kageyama.

Eppure, nonostante la sua strenua volontà…

Non ci era mai riuscito.

“Che stupido a pensarlo, eh? Tanto sarebbe finita comunque”

Tobio di quella conversazione apparentemente a senso unico non stava capendo un bel niente.
Sapeva solo che i suoi ventricoli stillavano copiosamente litri e litri di sangue e lui non avesse la minima idea di come arrestare quell’emorragia.

“Ma di cosa vai blaterando, si può sapere? Non… perché sarebbe dovuta finire?! Perché stai parlando arbitrariamente di qualcosa di cui non sapevo nemmeno l’esistenza?!” tuonò piccato, calcando i pugni e conficcandosi le unghie nei palmi, ignorando gli spasmi all’avambraccio destro, ancora convalescente.  

“Perché so come sei fatto, non è ovvio?!” sbraitò Shoyo con sguardo famelico.

Rivelare la sua debolezza era intollerabile.

Aborriva il giudizio di Kageyama.
Lo odiava, perché al contempo…

Ne era intimamente terrorizzato.

“Pensavo che nonostante tutto ti piacesse come fossi fatto!” urlò a quel punto il corvino senza freni inibitori, punto sul vivo.

“Certo che mi piace come sei fatto, idiota!” ribatté il medico con altrettanta collera.

Benché l’ira gli annebbiasse lo sguardo e la capacità di raziocinio, Kageyama parve afferrare il concetto eruttato astiosamente da Hinata e, sbaragliato da un rossore che gli prese d’assalto le guance, riuscì a ribattere un risentito “E allora perché stai continuando con queste considerazioni prive di ogni…”
“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”

La verità era che Shoyo… non era capace di fronteggiare la sua stessa natura.

Non era in grado di sopportare il peso del dolore accumulatosi gradualmente sulle sue spalle.
Non riusciva a confrontarsi con Kageyama, che rappresentava tutto ciò che lui…
Non era.
Tutto ciò che lui non sarebbe mai stato.

La replica di Tobio gli morì letteralmente sulle labbra.

“Sai, Kageyama… ti accorgi di non essere l’unico con dei problemi regressi?”

Il corvino sbatté velocemente le palpebre, spiazzato per l’ennesima volta.

Hinata rise.

Una risata svuotata di ogni tipo di emozione, talmente ributtante da far agognare al corvino di spappolarsi brutalmente i timpani a mani nude.

“Rimpiangi di avermi conosciuto, no? E questo solo perché ti ho portato a riflettere sull’essenza dei tuoi comportamenti… immagina cosa avresti potuto pensare due mesi fa, dopo aver scoperto cosa facessi realmente”

Era ovvio ciò che avrebbe pensato.


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”


Così naturale che la voglia di singhiozzare minacciò di travolgerlo da un momento all’altro.

“Beh, tanto adesso mi hai visto, no? Hai capito chi sono realmente e quanto patetico sia ai tuoi occhi. Posso anche smettere di sprecare il tuo tempo”

Un inatteso moto di panico accelerò vertiginosamente le palpitazioni di Tobio.

Stava accadendo tutto troppo in fretta, difettava della lucidità sufficiente per ragionare.
I suo neuroni faticavano a reggere il ritmo di quelle argomentazioni impazzite e a cogliere il nesso delle squinternate parole di Hinata.

“Che stai… che stai dicendo…?”

Il medico scrollò le spalle, simulando una noncuranza che apparve ridicola se comparata al bruciore che percepiva in ogni singolo organo.

“Sto dicendo che sarebbe opportuno chiuderla qui. Non ho bisogno di sentire quanto ti faccia…”

Tobio era giunto al limite dell’umana sopportazione.

“Ma se non mi hai fatto nemmeno parlare!” strillò a pieni polmoni, furente.

C’era un pezzo di quella assurda conversazione che mancava.
Qualcosa che gli sfuggiva nonostante si trovasse esattamente davanti il suo naso.  
Qualcosa che gli occhi lucidi di Hinata volevano comunicargli ma che lui…

“Non hai idea di cosa io pensi di…”

“Non lo voglio sapere!”

Il grido di Shoyo fu talmente irruente da intimidire uno stormo di uccelli appollaiati sul maestoso cedro che svettava di fianco l’ospedale, che si alzarono frettolosamente in volo.

“Non… non lo voglio sapere” ricalcò in un mero sussurro, talmente scosso da perdersi nel venticello serale.

Era completamente, ineluttabilmente… terrorizzato.

Terrorizzato di riflettersi nell’immagine a lui speculare, Kageyama… e scorgervi riflesso l’elenco dei suoi miserabili fallimenti.

Kageyama, la sua nemesi.
Il monito perenne delle sue innumerevoli manchevolezze.

Forza di spirito.
Forza retorica.
Risolutezza nell’agire.

Un pilastro pressoché incrollabile.

Non era in grado di sopportare il suo impietoso giudizio.

Non avrebbe sorretto quell’espressione gelida mentre gli rammentava quanto i sentimenti a cui era tanto legato lo avessero inesorabilmente sospinto nell’oblio.

Era sgomento dal verdetto di Kageyama…

Poiché corrispondeva a verità.

E lui non era pronto per affrontare il dilaniante peso del suo strazio.

Non ancora.

Ma forse, chissà…

Il momento non sarebbe mai sopraggiunto.

Il silenzio tombale che avvolse i due uomini avrebbe potuto definirsi surreale.

Tobio non aveva mai provato una sensazione simile in tutta la sua esistenza.

Aveva magicamente perduto l’abilità di parlare.
Di respirare.
Di reagire.
Di sentire.

Era lì in piedi, perfettamente immobile, a testimoniare come la stella più brillante di tutto il creato…

Si spegnesse inesorabilmente, implodendo su se stessa.

Una paura straniante sfigurava i connotati dell’oncologo, massacrando la sua anima spensierata e genuina, annichilendone interamente la bellezza.

Era… una visione orribile.
Angosciante, raccapricciante…

E lui, si sentiva completamente impotente.

Come si poteva anche solo postulare di reagire davanti all’inesorabile collasso del Sole?

“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”

Non dovrebbe essere difficile?

Tobio avrebbe dovuto replicare, naturalmente.

Avrebbe desiderato afferrare quello scricciolo dai folti capelli rossi e scuoterlo finché la sua luce non fosse tornata nuovamente a splendere.
Avrebbe voluto urlargli… perché.
Perché tutte quelle idiozie, perché quei segreti, quale fosse la causa dello stato in cui versava, ma…

“Mi dispiace per l’inconveniente. Non avrai più bisogno dei miei servizi professionali, potrai farti seguire sempre e soltanto da Kinoshita-sensei d’ora in avanti. Ti auguro una buona serata”

E con quell’ultima brutale sferzata, il medico corse via come una volpe impazzita senza mai guardarsi indietro, trascinando le sue ferite infette lungo quel bianco corridoio, originando un nauseante contrasto di colori tra pallore e vermiglio.

Tobio avrebbe dovuto controbattere, eppure…

Non era stato capace nemmeno di schiudere le labbra.





Lo scalpiccio delle pantofole ospedaliere sul linoleum azzurro riecheggiava fra le pareti del quinto piano di pari passo con il ritmo frenetico del suo respiro.

Stava fuggendo.

Il suo cuore batteva fuoriosamente, imbizzarrito.

Stava scappando…
Per l’ennesima volta.

Si stava dileguando dalla verità, da quelle parole affilate come rasoi.


“Continuerai a rimandare, Shoyo?


Avvertì gli occhi riempirsi di lacrime mentre correva a perdifiato lungo lo sterile androne.

Era un codardo.

Un vile pappamolle, inabile di confrontarsi con le sue più intime paure.

Con che faccia aveva osato criticare Kageyama per il suo atteggiamento glaciale se lui non riusciva neppure ad affrontare se stesso?!


“Nel tuo lavoro la morte è inevitabile, Hinata”

“Non puoi pensare di affezionarti a questi bambini o non ne uscirai mai vivo”

“Hai bisogno di maggiore distacco”

“Non puoi permetterti di struggerti per ognuno di loro, lo capisci?”



Serrò le palpebre, fallendo persino nel focalizzarsi su dove mettesse i piedi, rischiando di inciampare e rompersi l’osso del collo.

Per quanto ancora aveva intenzione di rimandare?
Per quanto ancora avrebbe dissimulato, rinchiudendo forzatamente tutti i tetri demoni nella zona più recondita della sua mente?
Per quanto ancora prevedeva di vivere in quel modo, se davvero vivere poteva definirsi?!


 “Shoyo! Shoyo, fermati!”


L’incalzante voce di Sugawara fu in grado di far breccia fra le dissennate sinapsi del medico, permettendogli finalmente di arrestasi nella sua spasmodica corsa senza meta.

“Che è successo? Sembri… sconvolto”

L’infermiere lo studiò con occhi colmi di preoccupazione, turbato da quella reazione violenta e dallo sguardo spaesato dell’oncologo che, con uno scatto repentino, voltò il capo verso la direzione da cui era febbrilmente giunto, accertandosi che nessuno lo stesse rintracciando.

Suga dovette intuire il timore dell’amico poiché gli cinse gentilmente il polso e lo guidò verso uno degli sgabuzzini del piano, dove avrebbero potuto godere di maggiore privacy.

“Cosa ti ha fatto Kageyama?” si apprestò a indagare senza indugi non appena chiuse la porta alle loro spalle, il volto deformato da un’espressione intimidatoria.

Shoyo lo fissò confusamente per qualche istante, fallendo nel delinearne nitidamente i connotati.
La visuale gli appariva… annebbiata.

Suo malgrado, Koushi abbozzò un sorrisino.
Sollevò maternamente la mano destra e asciugò delicatamente le lacrime zampillate dalle orbite del rosso, che gli rigavano dispettosamente le guance.

“Terra chiama Shoyo” lo prese in giro, pizzicandogli la punta del naso.

A quell’insperato slancio di premuroso affetto, il desiderio di piangere di Shoyo incrementò esponenzialmente.  

“Suga-san…” mormorò fievolmente, propendendo verso l’infermiere e abbandonandosi stancamente contro il suo torace.

Colto in contropiede, l’uomo dai capelli argentei allargò fugacemente gli occhi prima di rilassare le gote in un sorriso, appoggiando il palmo sulla vaporosa zazzera color carota del medico, carezzandogli placidamente la cute.

Non disponeva di una motivazione razionale, ma fin da quando Hinata era giunto al Karasuno, disorientato e inesperto similmente a un pulcino appena sgusciato dall’uovo, un naturale senso di protezione era inaspettatamente germogliato nel suo petto.   
Era stato indubbiamente calamitato dalla contagiosa positività che il giovane medico sembrava instancabilmente generare, capace di confortare qualsiasi animo sfibrato con un singolo sorriso.
Tuttavia, l’effettiva origine di quella profonda affezione risiedeva nell’innata sensibilità che spiccava in Shoyo come una gemma rara, immagine speculare di un’empatia con cui Koushi era particolarmente familiare, poiché si trattava della stessa che albergava dentro di lui.

Una sensibilità che, però…

Rischiava di tramutarsi in una temibile arma a doppio taglio.

Una lama affilata che, se esente dalle dovute contromisure, era perfettamente in grado di lacerare un cuore umano.

Ecco perché, fin dal principio, Hinata gli aveva ricordato se stesso.
E con il trascorrere dei mesi, quando il peso dell’esperienza dell’oncologo aveva iniziato a gravare crudelmente sulla sua schiena, aggiungendovi giorno dopo giorno fardelli sempre più insostenibili… era divenuto palesemente evidente.

Suga riusciva davvero a comprendere le angoscianti emozioni che avevano agguantato Shoyo in ostaggio.
Nonostante il medico si ostinasse a negarle, ai suoi occhi risultava lampante.

Avrebbe saputo riconoscere ovunque il medesimo stato d’animo di cui lui stesso era stato l’inerme vittima parecchio tempo addietro…
Esattamente quando, a soli ventitré anni, aveva incominciato a lavorare presso il Karasuno Hospital.

Era fondamentalmente un infermiere alle prime armi con una gavetta di appena venti mesi espletata in diverse cliniche private della città, inconfutabilmente competente e dinamico, ma ancora acerbo, giovane.
Molto, molto giovane.

Ciononostante, era stato spedito senza mezza termini in prima linea del reparto rianimazione.

Un rodaggio… che mai sarebbe stato in grado di depennare dalla sua mente.

Gli instancabili incubi che lo avevano assalito nelle poche ore in cui riusciva a prendere sonno durante quel periodo micidiale, persistevano stabilmente nella sua memoria, permanenti.

E, sebbene la sua efficienza non avesse vacillato in alcun caso…

Per la prima volta in vita sua aveva dubitato della propria reale predisposizione per poter essere un buon infermiere.

Il coinvolgimento emotivo provato in quella drammatica permanenza in terapia intensiva…

Era stato eccessivo, per lui.

Rammentava chiaramente di aver speso un’imbarazzante quantità di minuti, al termine di ogni debilitante turno, nascosto nel bagno degli addetti ai lavori a singhiozzare disperatamente, fissandosi freneticamente le mani che troppo, troppo spesso erano state impregnate del sangue di vite prematuramente spezzate.

Cionondimeno, aveva tentato di non cedere.

Si era forzato a proseguire, ignorando il pressante magone che gli divorava inesorabilmente lo spirito, finché…

Dopo svariati mesi di lavoro al reparto, un’ambulanza era sfrecciata al pronto soccorso a folle velocità, trasportando un’esangue ragazzina di appena diciassette anni cosparsa di sangue.
Era stata coinvolta assieme al fidanzato in un incidente stradale che aveva ucciso sul colpo il ragazzo e sbalzato fuori dall’abitacolo lei che, come un proiettile impazzito, era stata scaraventata sull’asfalto e travolta da un’auto in corsa, che le aveva atrocemente maciullato entrambe le gambe.
Koushi e il personale medico si erano disperatamente prodigati a frenare le ingenti emorragie, ma ogni sforzo era stato vano.

Gli occhi scuri dell’adolescente, iniettati di frantumati capillari e zeppi di lacrime, riflettevano una disperazione venata di terrore mentre perdevano gradualmente energia vitale, come se fossero consapevoli dell’imminente fato a cui erano stati destinati e lo guardavano imploranti, supplicando, in un sussurro a malapena udibile…
“N-non v-voglio morire… per… per fa-favore… ma-m-mamma… voglio vedere… m-mamma mi… n-non… non voglio…”
Per poi esalare l’ultimo respiro fra le sue braccia, tremanti come foglie percosse dal vento, maledettamente… impotenti.

Da quella tragica notte, quegli agonizzanti occhi ingiustamente prosciugati della loro linfa vitale avevano perseguitato implacabilmente il suo sonno per anni, riesumando il viscerale senso di colpa che lo aveva accompagnato per tanto, tanto tempo.

Era stato il primo collasso emotivo della sua carriera professionale.

Ricordava di aver vissuto quei giorni avviluppato nel panico e sotterrato dal dolore, incapace di tollerare la sola ipotesi di assistere nuovamente a una morte violenta.
Non credeva si sarebbe più ripreso, da quel traumatico evento.
Aveva persino congetturato di abbandonare l’ospedale, sigillando irrevocabilmente la sua carriera sanitaria…

Eppure, eccolo ancora lì, a distanza di più di un decennio.

Come aveva riottenuto la forza essenziale per rimettersi in piedi senza sbriciolarsi al suolo in mille pezzi?

Se lo chiedeva ancora, in certe occasioni.
E la risposta… rimaneva costantemente invariata.

Non vi sarebbe affatto riuscito senza la valanga di supporto incondizionato ricevuto da amici, colleghi, superiori.

I fedeli compagni di liceo Daichi e Asahi, che gli avevano consentito di non sprofondare in un’oscuro avvilimento restandogli accanto giorno dopo giorno.
L’inflessibile ma dal cuore buono Ukai senior, nonno dell’attuale direttore generale, imprescindibile per avergli fornito la tenacia sufficiente a resistere lo scoramento.
Persino Shimizu con la sua quieta imperturbabilità si era rivelata un eccellente appoggio grazie al prestito di un po’ del suo compassato schematismo, indispensabile all'interno di un ospedale.

Nonostante tutto, non si era certamente trattato di un decorso semplice.

L’unica arma in suo possesso per dominare quella fragile precarietà psichica consisteva unicamente in una sconfinata pazienza.
Erano state necessarie parecchie settimane di ferie prematuramente andate in fumo e svariati mesi di sedute psicoterapeutiche, ma alla fine aveva conquistato il suo intimo equilibrio.
Il trasferimento permanente dalla terapia intensiva ne aveva costituito naturalmente il fattore determinante.

Tuttavia, nonostante fossero trascorsi ormai parecchi anni, quell'infausta cicatrice si ostinava a macchiargli ancora la pelle, indelebile come una marchiatura a fuoco, monito di un tormento che aveva minacciato di inghiottirlo, annichilendo la sua volontà razionale.

Un calvario riflesso esattamente nel dolore emanato dal volto di Shoyo, il cui cuore tanto dilaniato rischiava d’essere sgretolato da una singola stretta.

Eccola, la peculiare empatia percepita nei confronti del piccolo medico.

Nonostante il genuino altruismo che imperniava ogni fibra del suo essere, Hinata era…

“Suga-san, io… non ci riesco”

Devastato.

Logorato da un peso insostenibile per le sue esili spalle.

Soffocato da una scelta con cui, purtroppo, non era ancora giunto a compromessi.

“Non riesco ad affrontarlo, non ce la faccio”

La presa di Koushi sui capelli di Hinata si rafforzò.

“Cosa è successo con Kageyama, Shoyo? Ha detto qualcosa che ti ha ferito? Avevamo stabilito che se si fosse comportato nuovamente male non avresti più dovuto…”
“No. No, lui… non ha detto nulla di sbagliato” lo interruppe sommessamente l’oncologo.

Suga aggrottò la fronte, perplesso.

“Mi ha… visto in oncologia, oggi”

L’infermiere sospirò, grattandosi rassegnato la nuca.

“L’avevo intuito, dopo il racconto di Kinoshita. Cosa è venuto a fare? Dev’essersi trattato di qualcosa di urgente se si è presentato qui davanti a tutt...”

“Gli ho detto che fra noi sarebbe stato meglio chiuderla”

Suga sbatté le palpebre un paio di volte prima di spalancare confusamente gli occhi, spingendo dolcemente indietro il medico per poterne analizzare l’espressione.

“In che senso?”

“Sarebbe stato inutile continuare. Lui, quelli come me… li disprezza. Non ho bisogno di sentirlo sputare cattiverie sul mio conto. Non gli ho concesso nemmeno il tempo di parlare, non volevo sapere altro” spiegò duramente, fissando cocciutamente il linoleum azzurrino.

Koushi continuò a scrutare Hinata con sguardo interdetto.

Il viso fanciullesco gli aveva da sempre conferito un’aura di perenne giovinezza, ma in quel frangente il rosso assomigliava proprio a un bimbetto frustrato.

“E’ stato lui a farti capire di non volerti più frequentare?” domandò con circospezione, sondando cautamente il terreno.

Il medico aggrottò le sopracciglia.

“Non… non l’ho lasciato rispondere”

Decisamente disorientato, Koushi tentò di replicare, ma venne battuto sul tempo.

“Non volevo che… che mi dicesse quello che già so”

Il suo mormorio era instabile, gli occhi rivolti verso il pavimento velati da una patina trasparente.

“Non volevo che mi dicesse che sono uno smidollato, che lo disgusto per come mi comporto con i miei bambini, che non dovrei lavorare così, che…”

La sua voce aveva assunto la tonalità di uno stridulo acuto e il ritmo del suo respiro traballava.

“Che mi faccio coinvolgere troppo” bisbigliò abbandonandosi mestamente al suolo, accasciando il dorso sul muro drappeggiato di materassi attempati e materiale igienico.

Era un’impresa piuttosto impervia lasciare Koushi a corto di parole.

Conosceva sempre il metodo più opportuno per risollevare il morale, utilizzando termini e toni maggiormente adeguati per irrompere nel cuore di qualcuno.
Tuttavia, in quella fatidica occasione…

Non seppe proprio come replicare.

“Non voglio vedere l’espressione di disgusto sul suo volto, Suga-san” asserì il medico in tono risolutamente accorato.
“Non voglio che mi guardi in quel modo”

Trascorsero diversi minuti in cui nessuno dei due sanitari aprì bocca, attorniati da una quieta stasi ricolma di silenziosi rimuginii.
In un momento imprecisato di quello stato di mutismo l’infermiere raggiunse Hinata sul pavimento, sedendosi a gambe incrociate a pochi centimetri di distanza.

“Perché ne sei così sicuro, Shoyo?”

Il rosso sollevò il capo, squadrando l’amico con la fronte appena increspata.

“Come fai a sapere con esattezza che il suo giudizio nei tuoi confronti sia negativo?”

L’oncologo inclinò la testa.

“E’ ovvio, Suga-san. Lo so perché è la verità”

Koushi fu colto in contropiede da quella schietta dichiarazione.

Hinata abbozzò un sorriso triste all’espressione disorientata del collega.

“Sai, Suga-san… fin da quando l’ho incontrato, ho subito percepito in Kageyama una forza straordinaria” rivelò giocherellando con il bordo del camice, attorcigliandolo distrattamente attorno alle dita.
“Nonostante l'ovvio caratteraccio, sono rimasto affascinato da quell’uomo misterioso dal cuore di bambino, al cui interno però risiede una forza che io posso soltanto sognare. Una forza che mi è sempre mancata. Ma…”

Si morse il labbro inferiore, colto da un lieve tremolio.

“E’ una forza che mi spaventa”

Koushi non emise un fiato, incapace di interrompere quel fragile flusso di confessioni imprigionato sottovuoto da chissà quanto a lungo.

“Kageyama è tutto ciò che io non sono. Si comporta in maniera antitetica rispetto a me e mi ricorda costantemente che…”

Il respiro gli si spezzò pateticamente.

“Sbaglio”

Dalle estremità degli occhi nocciola di Hinata defluirono pigramente inattese lacrime salate, inarrestabili nella loro corsa verso la gravità.

“Sbaglio ad essere così attaccato ai miei bambini, sbaglio a riversare tutto me stesso in quello che faccio” singhiozzò, alzando il braccio e strofinando con veemenza la manica della veste sulle gote umide.

L’infermiere protese il torso verso il rosso, ponendo il palmo della mano sulla spalla febbricitante.

“Shoyo…”

“Non voglio sentire il suo giudizio spietato” decretò, contorcendo i pugni.
“Ho paura di quell’espressione feroce”

Suga invase lo spazio personale del più giovane, circondandogli con le braccia la schiena trepidante.

“Non voglio che… che Kageyama venga a conoscenza di ciò che ancora non… non sono pronto…”

Annaspò affannosamente, sprofondando la testa sul petto di Koushi.

“Ad affrontare” concluse in un sussurro, accanendosi ancora una volta a sprangare l’ormai cigolante e consunta porta arrugginita dentro cui aveva segregato tutte le sue più terribili e recondite fobie.

“Non sono pronto a reggere tutto questo”

Non fu necessario che aggiungesse null’altro.

Suga continuò ad accarezzare dolcemente i vaporosi capelli color carota ignorando l’inesorabile ticchettio dell’orologio, concedendo all’oncologo quel minuscolo sprazzo di libertà prima d’essere brutalmente riconnesso alla dura realtà.



 

Le luci dei quartieri perennemente insonni costellavano le strade e i marciapiedi di Tokyo con prepotente boriosità, erigendo sentieri e scie colorate sature di voci squillanti e risate spensierate che si affollavano concitatamente nella sera autunnale.

Di quel tripudio di ostentati eccessi, Tobio sembrava scorgere esclusivamente un cupo tunnel senza volto.

Non aveva coscienza di dove si stesse recando, o per lo meno da quanto stesse camminando.

I suoi piedi si spostavano meccanicamente in avanti, slegati dagli incuranti e distratti processi cognitivi, apparentemente focalizzati su tutt’altra faccenda.

Una bruciante emozione, malauguratamente ben nota, gli irradiava capillarmente i neuroni.

Furia.

Non v’era una fibra del suo essere che non stesse ribollendo come magma incandescente.

Era incazzato nero con quel fottuto ospedale.
Con quel fottuto medico.
Con… se stesso.

Non poteva credere di non aver posseduto la prontezza di afferrare quel maledetto rosso dai quei dannati capelli morbidi per costringerlo a parlare, a confessare cosa cazzo intendesse con quelle cazzo di idiozie.
Avrebbe dovuto schiaffeggiarsi irrefrenabilmente per la pateticità incarnata su quella fottuta scala d’emergenza.

Lui, Kageyama Tobio, impalato come un rimbambito a contemplare Hinata sfrecciare via fulmineo fino a dileguarsi dalla sua visuale.

Non era nemmeno in grado di conteggiare il momento esatto in cui le sue gambe avessero deliberato di squarciare l’immobilità per precipitarsi nella medesima direzione dell’oncologo, solo per trovarsi penosamente dinanzi un androne desolato.
Tuttavia ciò che più lo inferociva era che, in barba al suo inflessibile orgoglio, aveva anche provato a braccarlo, addentrandosi fra quei labirintici corridoi ed elemosinando persino informazioni da un dipendente con i capelli biondi, la cui unica replica era stata un acido riferimento a quanto non fosse mica il babysitter di Hinata e non potesse sapere dove quello scricciolo si fosse rintanato e di come, sinceramente parlando, non gliene fregasse un bel niente.
Se non fosse stato talmente concentrato a scovare quel medico avrebbe volentieri spaccato gli occhiali sul naso a quell’odioso bastardo.

Ancora non si capacitava di aver resistito per più di mezzora prima di mandare tutto a fanculo, recuperando la scarsa dignità rimastagli in corpo e trascinandosi fuori da quel diabolico ospedale che, da quando si era azzardato a mettervi piede per la prima volta, gli aveva causato solo incresciosi guai.

Le sue gambe si arrestarono dinanzi a un semaforo pedonale, ignare della loro ipotetica futura direzione.

Temeva che la testa potesse esplodergli da un secondo all’altro.
Non riteneva umanamente possibile accumulare una così titanica quantità di informazioni in poco meno di quattro ore.  

Sembravano trascorse settimane da quando era schizzato fuori dal Kitagawa Daiichi, furente e con la brama di sgretolare il cuore di Hinata a mani nude.
Quella rabbia invasata che l’aveva spinto fino al Karasuno non si era però ovviamente dileguata.
Semmai si era lievemente affievolita, rimpiazzata da un prepotente senso di stordimento nei confronti di un grattacapo ben più ingente.

Hinata Shoyo.

Chi era davvero, quel ragazzo?

Dopo quell’allucinante pomeriggio, ogni certezza di Tobio era stata insensibilmente sradicata.

Non pretendeva di conoscerne ogni minuzia, però era convinto di averlo cospicuamente inquadrato in seguito alle svariate settimane di conoscenza.

Ma come l’aveva catalogato, esattamente?

Come un essere debole, no?

Nonostante l’ormai manifesto interesse, non era mai riuscito a domare il suo accanimento che lo reputava impietosamente tale.
La connaturata rigidità che non gli aveva ancora permesso di comprendere l’agognata ragione per cui Hinata lo intrigasse a tal punto.
Quella viscerale inflessibilità che gli aveva precluso la possibilità di scoprire chi davvero si celasse dietro l’ombra del medico.  
Una fittizia comprensione che quel giorno era stata grossolanamente ribaltata, forzandolo a visionare azioni e pensieri dell’oncologo da una prospettiva interamente antitetica.  

Lo scricciolo rosso…

Si era tramutato in un mistero.

Un enigma… che aveva perduto l’abbagliante luminosità consuetamente sprigionata.

Un’incognita…


“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo come uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”


Lacerante.

Quelle parole…
Quelle frasi corrosive, dall’effetto simile all’acido…

Un inspiegabile sentore di panico provocò il febbrile tremito dei suoi arti e un moto di nausea minacciò di rigurgitare lo stomaco su per la gola.

Una sensazione agghiacciante… che non aveva mai avvertito prima d’ora.
Un turbamento sconosciuto, dissimile dai familiari effetti della rabbia che gli imperniava le sinapsi in modo quasi confortante.

L’atroce emozione che si rimpinzava ingordamente del suo cuore…

Era dolore…?


“Sto dicendo che sarebbe opportuno chiuderla qui”


Era stato… rifiutato.

Prendere coscienza del granitico rigetto di Hinata… gli suscitò un senso di disperazione completamente alieno.

Non sapeva reagirvi.

Non era in grado di dominare quell’acuto sgomento che lo trainava irruentemente verso le abissali profondità del suo subconscio, spaventosa terra inesplorata in cui il suo controllo vacillava, indifeso dal flusso di oscure verità inumate, che…


“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente… solo”


Gli scagliarono addosso la tremenda consapevolezza di non essere capace di tessere alcun rapporto umano.

Tobio avvertì la rivoltante presenza di un’enorme e orripilante squarcio ovale in prossimità del petto.

Un vuoto… impossibile da colmare.

Simbolo di un’emarginazione eterna, una solitudine maledetta.

Esattamente come riportavano le profetiche e lapidarie parole di Kunimi.

Tobio era…

Assolutamente incapace di costruire nulla.

Sebbene si fosse battuto per mutare la rotta maestra intrapresa dalla sua psiche…


“Tanto non saresti cambiato comunque!”
 

La sua natura sarebbe costantemente rimasta invariata.

Non sapeva neppure perché si fosse scomodato a sperare in un provvidenziale cambiamento.
Ragionevolmente, era ovvio che ogni tentativo si sarebbe concluso in un fallimento.

Eppure…

Si sentiva comunque scottato, vulnerabile.

Quell’irremovibile rigetto…

Faceva male.

Faceva male, cazzo.

Il respiro incrinato di Tobio lo affiancò per diversi metri, simulando il barcollio dei suoi stessi passi.

Erano davvero quelle, le emozioni?

Concedere alla propria anima uno spiraglio di umanità significava ricevere in cambio quell’ondata di tormento?
Provare a comportarsi da essere umano… equivaleva a soffrire come un cane?!

Era quello il significato racchiuso nel pensiero di Hinata?
Sfoggiare fieramente i propri sentimenti, esternarli senza freni… per poi struggersi?!

Ma che senso aveva?

Quel medico non possedeva un istinto di autoconservazione?

Perché desiderava volontariamente ridursi a uno straccio per qualcun altro?

Ma specialmente…

Perché aveva arbitrariamente decretato di escluderlo dalla propria vita?!

Credeva che non potesse comprenderlo?
Credeva che non gli importasse più nulla di lui?

Perché gli aveva rivolto quelle cattiverie gratuite?
Perché lo aveva trattato come se il tempo trascorso assieme fosse stato sterile?

Come se fosse stato realmente vantaggioso... interrompere ogni rapporto?

Si bloccò bruscamente, evitando per un soffio l’impatto contro un palo della luce posizionato a pochi centimetri dal suo naso.

Troncare i contatti… avrebbe davvero giovato a entrambi?


“Mi hai ferito, Kageyama. Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte”


Possibile che non si fosse accorto di aver nuovamente agito in maniera errata?

Il medico l’aveva respinto… poiché continuava a identificarlo come una minaccia?  

Se vi rifletteva accuratamente, in effetti…

L’espressione di Hinata aveva tradito una profonda paura radicata nei suoi occhi, un terrore…
Dovuto alla sua reazione?

Lo scricciolo rosso…

Era spaventato dal legale…?

I suoi polpacci si arrestarono temporaneamente nel loro effimero vagabondare, ancorandosi al marciapiede gremito di risonanti calpestii.


“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”


Hinata era convinto che sarebbe stato lui a respingerlo non appena lo avesse smascherato?

Nonostante morisse dalla voglia di contraddire lo stupido oncologo, Tobio non poté interamente biasimarlo.

Quell’argomentazione… aveva basi piuttosto fondate.

Hinata aveva imparato bene a decifrarlo ed era cosciente dei processi mentali che governavano la sua rigorosa personalità.
Giungere a una conclusione talmente estrema non richiedeva certamente un notevole ingegno.

Cionondimeno, alla luce della nuova e inaspettata svolta degli eventi…

Quale sarebbe stato il genuino responso di Tobio?

Hinata gli aveva precluso la possibilità di esprimersi, ma se ne avesse avuto l’opportunità…

Lo avrebbe ancora reputato debole?

La sconveniente prospettiva da cui il medico operava sulla realtà…

L’avrebbe effettivamente giudicata ridicola?

Valutando le ripercussioni verificatesi nel pomeriggio allo studio legale, l’esito era chiaramente rovinoso.

Però…

Però niente.

Fu questione di meri millisecondi.

Una massiccia museruola strappò bruscamente la libertà d’espressione al suo fragile inconscio, avvolgendolo in gravose catene metalliche e scaraventandolo nuovamente negli anfratti del suo cervello, ben distante dal nucleo portante del raziocinio.
Gli acuminati meccanismi di difesa avevano finalmente ripreso possesso della sua mente, reinstaurandovi il consueto regime dittatoriale.

Hinata l’aveva respinto, no?
Era futile sperperare il proprio tempo scervellandosi su una condizione destinata a non vedere la luce.

Alla fine, che cosa aveva seriamente rappresentato il medico per lui?

Un semplice passatempo.
Una banale deviazione dalla sua sistematica esistenza perfezionista e solitaria.

Non aveva lasciato alcun segno.
Non doveva aver lasciato alcun segno.

Lo scricciolo rosso avrebbe dovuto costituire d’ora in avanti la prova vivente della sua ineccepibile autonomia.

Tobio non necessitava della presenza di nessuno.

Le profetiche parole di Kunimi erano state autentiche, schiette.
Doveva accettarle e accoglierle, non osteggiarle aspramente come se rappresentassero una sgradevole falsità.

Il suo destino avrebbe incarnato esattamente quella condotta.

Rimanere solo.

E andava benissimo così.

La solitudine lo aveva scortato in ogni istante della vita, no?

Del resto…
Hinata non lo voleva.

Si ostinò ad ignorare le lancinanti fitte che tentavano convulsamente di richiamare la sua attenzione, comprimendogli caparbiamente il petto.

Non era più importante, ormai.

Il lemma indispensabile non rientrava nel suo vocabolario.

Nessun essere umano sarebbe mai appartenuto a quella conturbante categoria.

Dipendere da qualcuno, esserne legato fino a perdere la propria indipendenza…

La sola idea lo ripugnava e terrorizzava simultaneamente.

I forti non necessitano dell’aiuto di nessuno.

Oikawa-san non aveva mai avuto bisogno del supporto di nessuno.

Circondato puramente dalla propria forza di volontà, capace di erigere con sudore e sangue una carriera dal nulla più assoluto…

Senza anima viva a spalleggiarlo, no?

Accelerò il passo, seguendo istintivamente il ritmo delle irrequiete pulsazioni che si dilatavano ossessivamente fino ai timpani.

Oikawa-san svettava costantemente a un passo avanti a lui.

Se davvero desiderava eguagliarlo, oltrepassarlo, giungere alla magnifica vetta del massimo successo…
Doveva impegnarsi di più.

Di più.

Di più, di più, di più…

Cercò strenuamente di aggrapparsi con le unghie e con i denti a quel fragile filo di ragnatela dalle fattezze del Grande Re, unico collegamento superstite alla ferrea logica che lo reprimeva dal perdere definitivamente la testa.

Non v’era alcuna ragione di agitarsi.
Tutto proseguiva secondo i piani prestabiliti.

Non avvertiva alcun dolore.

Le putrescenti lacerazioni sul torace costituivano un mero frutto della sua immaginazione.
Non era preda di tormenti alieni e quesiti molesti.
Gli intimi problemi dell’oncologo non erano affar suo.
Il rigetto del rosso… lo aveva lasciato indifferente.

Non aveva perduto niente di essenziale.

Hinata non aveva mai simboleggiato nulla di essenziale.

Ciò a cui aveva involontariamente assistito quel pomeriggio…

Era irrilevante.

Doveva solo cancellare gli ultimi accadimenti come se non fossero affatto sopraggiunti, attuando un reset generale al pari di un eccellente apparecchio elettronico.

Necessitava semplicemente di una bella dormita.

Ecco, esatto.

Doveva ritornare al suo appartamento e riposare, sprangando irrevocabilmente quell’assurdo medico nei più reconditi meandri della sua memoria, incidendovi, una volta per tutte…

La parola fine.

Raddrizzò la schiena, ripristinando una sorta di equilibrio nei passi malfermi e dirigendosi finalmente su una traiettoria familiare, affrettandosi lievemente quando le prime goccioline di una pioggerella passeggera iniziarono a picchiettargli sulle spalle del cappotto scuro…

Totalmente ignaro che, alle sue spalle, una copiosa scia scarlatta e viscosa infangasse oscenamente le mattonelle biancastre, lucide di acqua piovana.

Un flusso sanguigno…

Scaturito esattamente dal centro del suo corpo.

Testimonianza tangibile e inconfutabile di come qualcosa, tra i suoi magistrali ingranaggi e inappuntabili difese…


Si fosse inevitabilmente spezzato per sempre.  












Note finali: cari lettori e care lettrici, eccomi di nuovo qui!
Ovviamente ad agosto me la sono presa comoda e in un battibaleno è giunta la nuova sessione (e gli stress che essa comporta), ma fortunatamente ciò non ha (esageratamente) influito sui tempi di stesura del capitolo!
Nonostante questo, tuttavia, mi è dispiaciuto tanto non aver potuto aggiornare esattamente il 29 settembre, l’esame che stavo preparando sarebbe stato proprio il giorno dopo😔
Perché ci tenevo così tanto?
Beh, perché il 29 settembre 2017 ho pubblicato il primo capitolo di “I discovered the Sun” senza alcuna cognizione di causa e non mi sembra vero che siano passati tre anni da quel momento.
Esattamente tre anni fa infatti mi immatricolavo per la prima volta ed entravo nel mondo universitario… mentre adesso inizio questo nuovo anno accademico con l’obiettivo di laurearmi (si spera non in tempi biblici come i miei aggiornamenti).
Magari sarebbe stato meglio fare un discorso del genere al termine della storia e riuscire a pubblicare l’ultimo capitolo in concomitanza con questa data importante, ma dato che sono una lumaca il progetto è sfumato sul nascere🤣
Ci tenevo a spendere due paroline in merito perché così come il 2017 e il 2020 sono un po’ l’inizio e la (quasi) fine di un percorso di studio, lo stesso si potrebbe dire di questa storia.
L’ho sempre considerata come un’opera malleabile, mai statica nel suo decorso, soprattutto perché con lei sono cresciuta anche io, le mie idee e i concetti che con essa avrei voluto trasmettere.
Insomma, ci siamo evolute entrambe.
E’ quasi inquietante notare che i passetti residui per raggiungere il suo traguardo siano simili ai miei per giungere alla laurea, magari riuscirò a concludere il progetto simultaneamente al giorno fatidico🤣
Scherzetti a parte, manca davvero poco al termine della storia.
Oltre a un bell’epilogo… credo manchi solo un altro capitolo😦
Anche se in realtà tutto dipenderà dalla lunghezza, non so se me la sento di scrivere (e correggere, mamma mia le revisioni, che incubo) millemila parole tutte in un solo colpo…
Devo rifletterci🤔
Ah, e a prescindere dal residuo numero di capitoli… nel prossimo farà finalmente la sua comparsa un personaggio speciale che molti di voi (me compresa) aspettavano da un po’😋

Che dire di più?
Dopo uno speciale focus su Tobio era necessario svelare un po’ dei retroscena di Shoyo…
E sottolineare come anche la persona più solare e luminosa del mondo, in realtà, non è costituta soltanto da luce.
Spero di aver reso giustizia al reparto di oncologia pediatrica, che per me è una fra le fondamenta della trama.
Volevo creare un ambiente giocoso e drammatico al tempo stesso, un luogo in cui l’impronta di Hinata sarebbe stata riconoscibile al primo sguardo.
Sarei contentissima di ascoltare le vostre opinioni e pareri a riguardo!

Ringrazio come sempre tutte le splendide persone che spendono il proprio tempo per leggere e scrivere un commento alla storia, a tutti voi mando un bacio enorme♥️

Sperando che questi mesi non mi uccidano prima del previsto, vi aspetto alla prossima🌸

Ps. In realtà a me farebbe davvero piacere avvisarvi sulle condizioni dei nuovi aggiornamenti, però non posseggo una pagina autore da nessuna parte… non uso né Fb (oltre che per l’uni) né Twitter, ho praticamente solo Instagram.
Consigli?🤣

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Capitolo 13
*** XIII. Hard Reset ***




XIII

Hard Reset






“Mamma mia, che mal di testa…”
“A chi lo dici, mi sento le tempie scoppiare”
“Non abbiamo più l’età per fare le ore piccole”
“Che tristezza”
“E dire che fino a qualche anno fa facevamo baldoria ogni sera”

“Non sarete un po’ esagerate, ragazze?” si intromise Ishii, inarcando un fine sopracciglio.

Yukari e Tomomi la squadrarono tra il sorpreso e l’invidioso.

“Non hai nemmeno l’ombra di un’occhiaia” osservò piattamente Yukari.
“E sei arzilla come sempre” rincarò la dose Tomomi, assottigliando le palpebre.

Un accenno di broncio si disegnò sui lineamenti della più giovane.

“Non è mica colpa mia se al Seijo andavo ogni settimana alle cene di lavoro con colleghi e superiori” ribatté indispettita.

Le due sgranarono gli occhi.

“Ogni settimana?! Non c’è da stupirsi che la tua tolleranza alcolica sia sorprendentemente alta”
“Decisamente maggiore di quella di Kindaichi-san” ridacchiò malignamente Yukari, rammentando come il suo capo tendesse ad assumere un colorito scarlatto e a bofonchiare parole incomprensibili ogniqualvolta alzava troppo il gomito.
“Qui al Kitagawa Daiichi è un grande evento se le organizzano una volta al mese”
“Stiamo migliorando però, l’ultima cena è stata tre settimane fa”

Ishii assunse un’espressione titubante.

“Come mai così di rado? Preferiscono evitare di riempirsi inutilmente l’agenda?”
“Non è che li reputino una perdita di tempo… è che qui gli eventi sociali hanno meno rilevanza rispetto ad altri studi o aziende. La maggior parte degli avvocati opera in autonomia e nonostante siano prevalentemente in buoni rapporti non c’è una particolare predilezione per vedersi al di fuori dell’orario lavorativo. Il direttore è il primo a non incoraggiare queste uscite quindi il resto si adegua” spiegò Tomomi facendo spallucce.
“Eppure, pur non essendo degli habitué, la cena di ieri è stata molto piacevole” commentò sinceramente  Ishii.
“Soprattutto il momento in cui i boss hanno deciso di darsi all’alcol sfrenato” ghignò Yukari.
“In effetti è stato uno spettacolo piuttosto esilarante. Specialmente Kindaichi-san” concordò Ishii, incamminandosi insieme alle colleghe verso il guardaroba dove poter appendere i propri cappotti.

Tomomi a malapena frenò uno sbuffo ironico.
“Kindaichi-san crede di agire con discrezione quando inizia a fissare Yukari come un pesce lesso”

La fronte della diretta interessata, impegnata a contemplare il proprio riflesso nello specchio, si increspò in un lieve cipiglio irritato.

“Ehi! Non mi fissa come un pesce lesso” si difese piccata, riordinando impazientemente la vaporosa coda di cavallo da qualche capello ribelle.

Entrambe le ragazze sghignazzarono.

“No no, assolutamente. Non ha speso ogni singolo minuto della serata a sbavarti dietro” la canzonò Tomomi.
“Non sono qui da molto ma si vede lontano un miglio che il tuo capo ha un debole non indifferente nei tuoi confronti” le diede man forte Ishii.

Yukari roteò gli occhi, per nulla impressionata.

“Kindaichi-san è un bonaccione. Adocchia una bella donna e non può fare a meno di ammirarla come un allocco per un po’ prima di ritornare in sé”
“Beh, Kindaichi-san non ti vede mica per la prima volta. Oserei direi che l’alcol gli infonde quel coraggio necessario per lasciarsi andare alla contemplazione” asserì Ishii con tono stranamente serio nonostante l’ilarità dell’ipotesi.
“Secondo me è da anni che ha una cotta segreta per Yuka-chan. Sono contenta di avere qualcuno che supporti la mia idea, ogni volta che sollevo l’argomento lei mi liquida così” rivelò Tomomi in un sussurro ostentato.
“Guarda che ti sento!” replicò stizzita mentre terminava di applicare il rossetto nude sulle labbra.
“E la cosa più divertente è che a lei non dispiace nemmeno” continuò imperterrita Tomomi, arcuando le sopracciglia con aria suggestiva in direzione di Ishii.

Le gote di Yukari si colorarono impercettibilmente.

“La vuoi smettere? Non fai altro che esagerare. Lo punzecchio ogni tanto volta…”
“…e per ‘ogni tanto’ intende letteralmente ogni giorno” sottolineò puntualmente Tomomi.
“…ma nulla di più! Non è vero che ha una cotta per me e non è altrettanto vero che lo incoraggio. Lo provoco un pochino solo perché è estremamente ingenuo” si difese caparbiamente, recuperando la sua borsetta e voltando le spalle alle colleghe, marciando imperiosamente verso la sala comune.
“Aaah, dopo tutti gli uomini che le vanno sfacciatamente dietro a Yukari manca certamente un po’ di sana ingenuità!” la rincorse Tomomi sfoggiando un teatrale sospiro trasognato, seguita a ruota dalla minuta Ishii la quale, dopo aver ponderato la quesitone per qualche attimo, proclamò con convinzione  “Sareste effettivamente una bella coppia”, causando in Yukari un lamento esasperato.

Tomomi scoppiò a ridere, raggiungendo l’amica davanti le macchinette del caffè e punzecchiandole bonariamente il fianco, prendendola in giro mentre Ishii preparava il suo americano in silenzio.

“Kageyama-san non ha mai partecipato alle cene di lavoro, immagino” rifletté ad alta voce dopo qualche minuto.
Le due smisero di bisticciare e sbatterono entrambe le palpebre, interdette.

“Voglio dire, mi sembra abbasta scontato, considerati i trascorsi…”

Tomomi scrollò le spalle, abbassando le iridi verdi sulla superficie del suo chai latte.

“Non è mai stato interessato a partecipare e mai nessuno si è mostrato dispiaciuto della sua assenza”

Per qualche minuto nessuna delle tre donne aprì bocca, assorte a consumare le rispettive bevande prima dell’arrivo dei legali e l’inizio del consueto meeting mattutino.

“Sapete, credo che Kageyama-san sia diverso ultimamente”

Due paia di occhi scuri si posarono sul volto della bionda appoggiata contro il tavolo rettangolare.

“Sembra una sorta di fantasma di se stesso. Non avete avuto la stessa impressione?”

Ishii si grattò il mento, pensierosa.

“Dopo le settimane iniziali in cui non riuscivo minimamente a sopportarlo pareva essersi dato una regolata. Anche ora fortunatamente non ha più quelle reazioni da maniaco psicotico che hanno spinto la povera Nakamura a rassegnare le dimissioni ma… ecco…” si interruppe, arricciando il naso.
“Adesso sembra non avere nessuna reazione”
“Un vegetale” sentenziò Yukari con un cenno d’assenso.
“Non che io abbia nostalgia del vecchio Kageyama” ci tenne a sottolineare Tomomi, rabbrividendo inconsciamente al ricordo del terrore che l’uomo era stato capace di incuterle con una singola occhiata.
“È solo che… è parecchio straniante vederlo comportarsi così”

“Di chi parlate?” si introdusse una vocina cauta, timorosa di disturbare.

“Naka-kun, capiti giusto a fagiolo” la salutò Yukari, facendole cenno di avvicinarsi mentre si adoperava per prepararle un caffellatte.
“Ti senti bene innanzitutto? Ieri ho avuto l’impressione che Oritsume-san ti abbia fatto bere un po’ troppo” le chiese Tomomi con una punta di preoccupazione, scuotendo mentalmente il capo al ricordo di come la povera Nakamura avesse tentato in ogni modo cortese esistente di svincolarsi dall’insistenza con cui il suo capo la incoraggiasse a ubriacarsi.

La ragazza abbassò la testa un po’ imbarazzata, accettando la tazza portale da Yukari.

“Abbastanza bene, sono riuscita a rifiutare dopo il quinto bicchiere…” spiegò, ormai rassegnata dal dover convivere con la personalità piuttosto onerosa del suo boss.
“È davvero pesante, non c’è che dire” appurò Yukari.

“A tal proposito, Naka-kun, non pensi che Kageyama-san sia fin troppo tranquillo ultimamente?” indagò Tomomi con voce sibillina.

La ragazza sbatté le palpebre, colta in contropiede.
Si mordicchiò il labbro inferiore, valutando accuratamente i suoi pensieri.  

“Sarà più di un mese che non urla come un ossesso” rimarcò Yukari e Ishii annuì vigorosamente, aggiungendo con convinzione “Altrimenti credo che non avrei potuto trattenermi dal rispondergli a tono”
Tomomi sghignazzò divertita.
“Davvero Ishii-kun, non so come tu possa essere portata per il nostro lavoro. Sei l’esatto opposto del termine conciliante”
Ishii fece spallucce, scombinandosi il caschetto corvino.
“Non sono mica una schiava. Se c’è da farsi sentire non mi creo problemi”
“Dovremmo prendere esempio da te” proferì saggiamente Yukari, terminando l’ultimo sorso del suo tè.
“Schiette e implacabili”

“A me pare che voi due lo siate già fin troppo” commentò Akira, entrando nella sala strascicando i piedi.

“Kunimi-san! Posso farle notare che non ha affatto una bella cera?” lo salutò vispamente Tomomi, mettendo subito in evidenza le profonde occhiaie nerastre che gli cerchiavano le orbite in contrasto con la carnagione pallida.
“Ecco, appunto” brontolò stancamente, massaggiandosi le tempie.
“Raggiungeteci di là, sta iniziando il meeting”

Continuando a battibeccare amichevolmente, le ragazze lasciarono la zona relax per dirigersi verso le rispettive scrivanie e racimolare il necessario da portare con sé per affrontare la riunione.

Nakamura le seguiva in maniera leggermente defilata, indugiando a qualche passo di distanza.

Stava… riflettendo.

Sollevando lo sguardo dal pavimento in marmo nero, soffermò la propria attenzione sull’ufficio dalle pareti divisorie in vetro in cui per ben due anni aveva quotidianamente varcato la soglia.
 
Al suo interno vi scorse una figura nota, altezzosa e imponente.
Autoritaria a prima vista, con quell’andatura sicura e la tendenza a squadrare chiunque dall’alto in basso.
Spaventosa persino, se si aveva la sfortuna di incrociare quei grandi occhi gelidi.

Eppure…

A un’occhiata maggiormente accorta, quelle ampie spalle coperte da una costosa giacca confezionata su misura apparivano stranamente rigide.
L’espressione severa, i lineamenti taglienti… celavano un’aria piuttosto goffa ed impacciata.
Quelle impenetrabili iridi blu… rivelavano una profonda incapacità di comprensione emotiva.

Nakamura lo osservò appoggiare l’inseparabile ventiquattrore sulla massiccia scrivania per poi sfilarsi con cautela il cappotto scuro, forzando il meno possibile l’avambraccio sinistro, scevro ormai da parecchie settimane del consueto gesso biancastro tuttavia non ancora ristabilitosi del tutto.
Lo vide sedersi compuntamente sulla poltrona in pelle nera e collocare meccanicamente, come se si trovasse sotto l’effetto di un peculiare schematismo, i materiali essenziali alla sua attività quotidiana.

Un’organizzazione perfetta che avrebbe potuto sembrare scrupolosa e zelante ma che in verità lasciava trasparire soltanto una peculiare nevrosi.

Cattiveria?
Boria?
Egocentrismo?

Forse.

Ciononostante, l’unico aspetto del legale su cui attualmente Nakamura riusciva a concentrarsi…
Era il viscerale e volontario distacco dal reale.

Voltando nuovamente il capo in direzione delle colleghe che chiacchieravano affabilmente con i superiori, le rimbombò distintamente la domanda rivoltale qualche minuto prima da Tomomi.


“Non credi che Kageyama-san sia fin troppo tranquillo ultimamente?”


Uno sbuffo disincantato per poco non le proruppe dalle labbra.

“Tranquillo” era probabilmente un eufemismo.

Se si conosceva anche solo minimamente la personalità di Kageyama-san, chiunque avrebbe certamente intuito che l’atteggiamento dell’ultimo mese rappresentava un’anomalia…
Piuttosto preoccupante.


“Volevo dirti grazie per… per tutte le volte che mi hai preparato il pranzo”


Avvertì una piccola stretta al cuore.

Da quella fatidica e insperata conversazione, i rapporti fra lei e il suo ex capo avevano subìto un netto miglioramento.

Nonostante fosse umanamente impossibile sradicare l’astio e i maltrattamenti ricevuti in ventiquattro mesi, gli sforzi di Kageyama non erano passati inosservati.

Non si comportava in modo semplicemente gentile, o almeno ciò che di più vicino alla gentilezza potesse essere accostato al legale, nei suoi confronti ma anche con Ishii aveva instaurato un rapporto addirittura paritario, indubbiamente facilitato dall’assenza di peli sulla lingua della ragazza che ben collimava con l’insofferenza naturale che Kageyama provava verso gli insulsi convenevoli.

Il suo caratteraccio appariva mitigato, così come la sua attitudine al dispotismo.
Sembrava davvero che fosse giunto a un punto di svolta.

Tuttavia, la causa del mirabolante evento rimaneva sconosciuta.

Recuperando dalla sua scrivania i documenti necessari da consegnare a Oritsume-san per la riunione assieme al pacco di sigarette Marlboro che le richiedeva puntualmente ogni mattina, Nakamura si affrettò a raggiungere le colleghe, catturando con la coda dell’occhio un’impettita silhouette dirigersi nella medesima direzione.

Era altamente improbabile che il legale avesse improvvisamente deciso di snaturare il proprio comportamento per un ravvedimento personale.
Qualunque motivazione si fosse celata a tale cambiamento doveva contenere una potenza sorprendente.

Talmente poderosa da scatenare l’episodio che, agli occhi della maggior parte dei membri del Kitagawa Daiichi, consisteva in una vendetta personale ai danni del legale per la sua risaputa superbia ma che, dalla prospettiva di Kageyama, assumeva le sembianze di un tragico fallimento professionale.

Non era di pubblico dominio ciò che fosse realmente accaduto all’interno del suo ufficio, ciononostante le voci parecchio infervorate avevano concesso ampia occasione di discussione, grazie soprattutto al venefico passaparola originato dai pochi presenti e poi capillarmente diffuso a tutto il personale.
L’impressione generale si era solidificata nella convinzione che lo spocchioso genio Kageyama Tobio avesse perso colpi, forse a causa di una sorta di magnanimo karma regolatore di conti.

Nessuno però avrebbe pronosticato che tale condizione sarebbe proseguita a oltranza.

Era come se… il legale non fosse stato più in grado di riprendersi, dopo quella batosta.

E Nakamura nutriva il bruciante sospetto che quel qualcosa che aveva spinto Kageyama ad agire apparentemente contro la sua stessa indole, esortandolo ad interessarsi a forme di vita umane diverse dalla sua…

Giocasse un ruolo non indifferente in quello straniante blackout.  



“Secondo me ha trovato una tipa che gli piace” aveva esordito Ishii di punto in bianco un pomeriggio del mese precedente, mentre Nakamura, Tomomi e Yukari si godevano la loro meritata pausa con qualche mochi ai fagioli rossi.

Tomomi aveva fragorosamente sputato parte del tè appena sorseggiato e Yukari era scoppiata a ridere.

“Dico sul serio! Non mi spiego in altro modo questa trasformazione repentina” aveva insistito imperterrita la ragazza.

Dopo essersi ricomposta velocemente, fulminando con lo sguardo Yukari che ancora ridacchiava sfrontatamente, Tomomi aveva borbottato un contrito “E chi mai se lo prenderebbe” mentre asciugava il disastro sul tavolo.
“Magari una a cui piacciono gli stronzi” aveva riflettuto Yukari, picchettandosi le lunghe unghia laccate sul mento.
“Io direi più una con tendenze autolesioniste” aveva mugugnato cupamente la bionda.
“Beh, se proprio dobbiamo essere oggettive, non possiamo negare che sia un bell’uomo” aveva obiettato Ishii, inclinando leggermente la testa di lato.
“Alto, longilineo, bei lineamenti…”
“Peccato che i suoi occhi siano capaci di far avvizzire qualunque essere vivente con un singolo sguardo”

“Non credete di esagerare?” aveva azzardato distrattamente Nakamura, concentrata a mescolare ritmicamente il suo caffellatte.

Le tre colleghe le avevano indirizzato uno sguardo interrogativo.

“Magari ha trovato una persona in grado di…”
“Farlo cambiare? Ma per favore, è più probabile che Kindaichi chieda ufficialmente a Yuka-chan di uscire piuttosto che far smuovere Kageyama dalle sue convinzioni” aveva esclamato con sicurezza Tomomi, ignorando l’esclamazione risentita di Yukari.

“Intendevo dire farlo ragionare” aveva rimarcato Nakamura con un velo di disappunto.

“E che differenza ci sarebbe?”
“Sappiamo tutte che è impossibile trasformare il carattere di un uomo”

“Non sto parlando di modificarlo ma di… aiutarlo. Aiutarlo a relazionarsi con gli altri in maniera più adeguata” aveva spiegato sommessamente la brunetta, perdendosi a rimirare il riflesso della luce artificiale sulla superficie della bevanda.

“Praticamente avrebbe bisogno di una santa” aveva sogghignato sardonica Yukari.
“Oppure di un santo. Secondo me non gli piacciono nemmeno le ragazze” aveva osservato acutamente Tomomi.

Ishii aveva arricciato le labbra, pensierosa.

“In effetti non l’ho mai visto interagire con nessun individuo di sesso femminile al di fuori del contesto lavorativo. E anche con le superiori il suo atteggiamento è sempre stato distaccato…”
“Potrebbe anche essere asessuale. In tutti questi anni non ha mai manifestato il minimo interesse verso nessuno in possesso di organi genitali” si era intromessa Yukari.  

“Però secondo me potrebbe avere ragione Naka-kun” aveva proseguito Ishii, rivolgendosi alla collega con occhi scaltri.
“Ve l’ho detto, non lavoro con lui da chissà quanto ma è palese che qualcosa nel boss non sia più lo stesso. Da quanto mi avete raccontato assomigliava a un vero e proprio lupo feroce, ora pare a malapena…”

“Un cagnolino musone?” aveva proposto Yukari, trattenendo un risolino.
“Qui c’è lo zampino di una cotta. Ne sono sicurissima” aveva decretato Ishii con risolutezza.
“Non si stravolge così dal nulla il proprio essere se non per piacere a qualcuno. È una triste verità che impariamo sempre a nostre spese” aveva poi borbottato contrariata.  
“Non me ne parlare. Il mio ex mi aveva persino convinta a rinunciare alle mie lezioni di danza aerea perché le riteneva volgari! Cretina io che gli davo retta, ho perso sei mesi di potenziali miglioramenti…”



Era stato quello l’esatto momento in cui la mente di Nakamura aveva iniziato ad albergare la convinzione che il mero sospetto di Ishii corrispondesse a verità.

Non si trattava di qualcosa ad aver fatto agire in modo anomalo Kageyama, bensì…
Qualcuno.

Teoria corroboratasi quando, qualche giorno dopo quella fatidica conversazione con le colleghe, aveva scoperto il legale abbozzare sorrisini atipici in direzione dello schermo del cellulare, perdendovisi persino per svariati minuti.  




“I coniugi Sakamoto, conoscerete già tutti il loro nome, si sono rivolti al nostro studio per un’importante consulenza che potrebbe innalzare notevolmente le nostre entrate con l’avvio della causa. Ho bisogno dei membri che al momento abbiano un po’ di tempo da dedicare alla spinosa questione”

“Tashiro-san, perché non se ne occupa lei?”
“Purtroppo al momento non ho il tempo materiale per prendere un altro incarico, sono oberato di lavoro fino al collo” spiegò stancamente uno degli avvocati più anziani.
“Se è una faccenda ostica suggerisco che sia la nostra Sasaki-san a occuparsene”
“Credo sia un’ottima idea” concordò Haskimaki, rivolgendo lo sguardo alla collega dai lunghi boccoli biondo miele seduta alla sua destra.

La donna inarcò un sopracciglio, recuperando la sua agenda dal rivestimento bordeaux e controllando la lista dei suoi clienti.

“Non avrei avuto la sfacciataggine di chiederlo direttamente a lei Sasaki-san, tuttavia mi sentirei sicuramente sollevato se si incaricasse di quest’onere” confermò il direttore Miura, piegando il collo in un lieve inchino.

Un mormorio di approvazione si levò dalla sala, echeggiando una sequela di “È la scelta più appropriata” provenire dai presenti.

“Vi ringrazio per la fiducia concessami” rispose Sasaki con il caratteristico garbo, per poi aggiungere “Purtroppo però non credo di potermi occupare da sola del caso, in queste settimane ho un processo particolarmente scottante da seguire e non posso permettermi distrazioni. Ritengo sia opportuno dividere la responsabilità della consulenza fra me e un altro collega” propose saggiamente, ricevendo il cenno d’assenso di Miura.
“Si tratta di una situazione complessa che deve essere affrontata con pazienza ma al contempo una grinta non indifferente. Chi tra voi pensa di poter adempiere all’incarico?”

Diversi sguardi si incrociarono fra loro, chi cercando appoggio chi scuotendo la testa.

“Miura-san, se si parla di spirito combattivo penso ci sia una persona in particolare a cui il caso possa essere affidato” snocciolò schiettamente Tashiro.

Diciotto volti si girarono in contemporanea a fissare la solitaria figura seduta a un angolo del lungo tavolo rettangolare, così silenziosa da passare inosservata.

“Kageyama-san, che ne dice? Sarà sicuramente un ulteriore successo da inserire nella sua già brillante carriera” asserì placidamente il direttore che, al contrario della maggior parte dei membri del Kitagawa Daiichi, poco si curava della personalità scostante del corvino e l’aveva sempre reputato una risorsa preziosa.

Un brusio vagamente infastidito aleggiò tra le pareti, tuttavia, contrariamente a ogni più rosea aspettativa…

“La ringrazio per l’offerta, Miura-san, ma rifiuto l’incarico”

Un’ondata di shock generale si abbatté violentemente sui legali.

Persino lo stesso direttore ne fu un’inconsapevole vittima, sbattendo più volte le palpebre per assimilare le parole appena recepite.
“Rinuncia a…? Kageyama-san, non c’è caso in cui la sua presenza sia più adeguata, non vuole ripensarci e…”

“La mia risposta è definitiva. La ringrazio comunque per la fiducia” sentenziò lapidario, piegando il capo in avanti in segno di rispetto.

Se la sua risposta aveva suscitato disorientamento nell’intero studio, lo sconcerto era stato percepito con peculiare intensità da due individui in particolare.

Le mascelle di Kunimi e Kindaichi erano spalancate dall’incredulità.
Dall’apparente incongruenza del suo comportamento, certamente, ma ancor di più…
Per l’umiltà con cui Kageyama aveva appena controbattuto?

Quel genio superbo era davvero capace di provare un sentimento del genere?

“A che gioco sta giocando” sibilò tra i denti Kunimi, scoccando un’occhiata furente nei confronti del corvino che ancora, inauditamente, teneva il viso rivolto verso il basso.




L’ampio wallpaper asettico dell’iPhone svettava immacolato, privo di qualsiasi notifica.

Nessun allegro e cristallino “Buongiorno” decorava graziosamente il display.

Nessun cuoricino stupidamente colorato gli augurava una buona giornata.  

Nessuna vocina frizzante ad accompagnarlo durante la lunghe e tediose ore lavorative.

Nulla.

Solo… il consueto silenzio.

Tobio si alzò meccanicamente dalla poltrona, raccogliendo le cartelle sparse per la scrivania e comunicando brevemente a Ishii le istruzioni riguardanti il cliente che avrebbe dovuto ricevere l’indomani.
La segretaria annotò efficientemente le sue parole nel maneggevole e inseparabile tablet, ribattendo con un semplice cenno d’assenso e, stranamente, un’occhiata carica di una qualche sorta di aspettativa che però Kageyama non si prese la briga di approfondire.

Stringendosi il cappotto sulle spalle, sfidò lo sferzante vento freddo e attese davanti alla fermata del taxi a pochi metri dall’ingresso del grattacielo per parecchi minuti.

Detestava intensamente il traffico serale ma preferiva decisamente non essere spiaccicato fra le orde infernali della metropolitana.
Nonostante fossero trascorsi più di trenta giorni dalla rimozione dell’ingessatura percepiva che l’avambraccio non si fosse ancora completamente ristabilito, provocandogli dolorini e fitte improvvise che Kinoshita-sensei aveva reputato normali, invitandolo semplicemente ad incrementare le, a suo dire con disappunto rare, sedute di fisioterapia manuale che avrebbe dovuto frequentare per poter riacquistare una perfetta mobilità.

Cionondimeno, l’estenuante sosta non parve delinearsi come un problema.
Il suo cervello aveva staccato la spina, rendendolo incapace di concentrarsi su alcunché.

Una bolla trasparente pareva separarlo dal mondo reale, offuscando i visi di coloro che lo circondavano e ovattandone i suoni.
Poteva apparire una condizione spaventosa, eppure in verità…

Gli piaceva.

Anzi, gli calzava a pennello.
 
Sedutosi sul retro dell’autovettura arrivata chissà quanti minuti dopo, il tempo fluì indistintamente e lo spazio visibile dal finestrino si estese davanti ai suoi occhi blu in maniera deformata.
Luci e colori si fusero omogeneamente, amalgamandosi come l’impasto cremoso di una torta al cioccolato.

Il tassista, spinto probabilmente dalla noia, sembrava voler intavolare una conversazione tuttavia Tobio non vi prestò attenzione, biascicando appena qualche monosillabo.

A un certo punto si rese conto che la macchina si fosse definitivamente fermata, non più a causa dei frequenti incolonnamenti ma poiché effettivamente giunta a destinazione.
Acchiappò la ventiquattr’ore, pagò il conducente e sbucò dalla portiera, immediatamente inglobato dalla folla di persone smaniose di rincasare nelle rispettive abitazioni.

Innalzando lo sguardo davanti a sé, incontrò la familiare ed elegante insegna Murakami con le sue grandi vetrate illuminate costellate di lucine lampeggianti e decorazioni natalizie.

L’atmosfera della vivace pasticceria sprizzava calore e gioia, contagiando di buon umore l’intera area.
Le persone sedute ai tavolini rotondi emanano tranquillità mentre sorseggiavano i loro tè e le loro cioccolate calde, coccolati dalla musica di sottofondo e il piacevole tepore.

Risucchiato da una forza invisibile, Tobio varcò lentamente la soglia, scoprendosi catapultato in una dimensione di quiete.

Quel luogo aveva sempre posseduto il bizzarro potere d’infondergli tranquillità, divenendo un valido sostituto alle mura domestiche per l’eccezionale capacità di metterlo a suo agio.
La qualità dei dolciumi, il suo amato yogurt, l’allegra compagnia…

Il filo dei suoi pensieri si interruppe.

Che strano, si rese conto guardandosi intorno.
Il mercoledì sera il turno spettava a Bokuto-san e Kuroo-san.

I loro giocosi battibecchi si sentivano fin dall’entrata e il vocione rombante di Bokuto si sarebbe riconosciuto anche a miglia di distanza, senza contare che il suo ingresso veniva sempre accolto da entusiasti richiami di “Ehiii, Kageyamaaa” accompagnati da sorrisoni a trentadue denti che…

Una sensazione di inaspettato gelo gli inondò i vasi sanguigni.


“Ah, come farà il caro Kageyama-kun quando io e Bo ce ne andremo da qui? Senza più alcun trattamento di favore”

“Questo posto perderà in simpatia e buonumore”



Ah, già.

Kuroo e Bokuto…

Se n’erano andati.

I grandi occhi del legale scandagliarono le vetrine, indugiando sugli svariati volti anonimi che occupavano l’ambiente.

Distingueva unicamente un ammasso di…

Grigio.

Un indefinito e prepotente grigiume che travolse caparbiamente la sua visuale, contaminando similmente a un virus i tenui colori che lo circondavano.
E con ciò…

La scintilla di letizia speranzosa germogliata sulla soglia della confortevole pasticceria… si estinse inesorabilmente.

Una scialba vocina cortese si intrufolò furtivamente nel suo campo acustico.
“Buonasera signore, cosa desidera?”

Insignificante.
Ecco in cosa si era tramutato Murakami.

“Uno yogurt doppio da portare via” udì se stesso rispondere piattamente.

Un grazioso guscio vuoto, privo di sostanza.
Un luogo… perfettamente inutile.

Le sue iridi dardeggiarono verso il fastoso bancone ricolmo di pietanze.

Persino l’invitante aspetto dei dolci in bella mostra aveva perduto la sua consueta attrattiva.

Il valore dell’intero rifugio era stato completamente annullato.

“Ecco a lei, torni pure a farci visita!”

Non si accorse neppure di aver consegnato la carta di credito al cassiere, né tantomeno di aver afferrato la busta take-away ed essersi messo in movimento lungo il gremito marciapiede.

Frasi sconnesse risuonavano nei suoi timpani, immagini scoordinate vorticavano attorno alle sue orbite.
Luci, insegne, veicoli, volti, risate, rumori.

Non importava in quale direzione ruotasse la testa, qualunque cosa riuscisse a scorgere… era macchiata di grigio.

Grigio, grigio, grigio.

Un grigio sordo e plumbeo, asfissiante e opprimente.

Un grigio inespressivo.

Un grigio senza fine, impeccabile specchio della sua anima vuota.



 
***



19:33
Da: Akaashi Keiji

“Ehi Kageyama, come stai? È da un po’ che non ci sentiamo, sei molto indaffarato?”



 
***



17:05
Da: Akaashi Keiji

“Ti va se ci vediamo in questi giorni?”



 
***



15:41
Da: Bokuto Koutaro

“Ehiiii Kageyamaaaa, venerdì sera i miei colleghi organizzano una partitella e ci manca un setter, ti unisci a noiiiii🏐?”



 
***



“Non credi di essere un po’ troppo indulgente con quello lì?”
“Avrà perso le zanne ma non l’istinto da lupo”
“Non esagerate ragazze, lo affianco quotidianamente e vi assicuro che ormai è una pecorella” cercò di mediare Ishii.
“Rimane sempre un lupo travestito da pecorella”
“Può comunque approfittarsene e ritornare a essere quello di sempre”

Nakamura si strinse nelle spalle, gettando un’occhiata al bento accuratamente impacchettato che teneva tra le mani.
“È un atto di gentilezza, nulla di più” spiegò pacatamente.

Tomomi e Yukari rotearono gli occhi.

“Una gentilezza che non si merita. Perché sei così accomodante nei suoi confronti? Ti ha reso la vita un inferno per due anni”
“Forse lo fa per pietà. Ha la faccia così cupa ultimamente che mi meraviglio di come riesca ancora a ricevere clienti, io se fossi in loro scapperei a gambe levate”
“In realtà con loro si comporta in maniera piuttosto conciliante” le informò Ishii.
“Ah davvero? L’espressione immusonita la riserva solo a noi?” scherzò Tomomi con leggerezza.

“Ragazze” le interruppe Nakamura con tono sorprendentemente fermo.
“Non sono stupida, credo di essere la persona che meglio conosce ciò che Kageyama mi ha fatto passare. Me ne sono andata consciamente e se tornassi indietro lo rifarei”

Esalò un profondo sospiro, stringendo le mani attorno al rettangolare contenitore nero.

“Ma questo non mi impedisce di essere civile nei suoi confronti. Stamattina mi sono resa conto di avere fin troppi ingredienti da utilizzare solo per il mio pranzo così ho deciso di prepararne uno in più e, dato che a Oritsume-san ci pensa la moglie, ho scelto di darlo a Kageyama-san”

“Penso sia improbabile, ma spero che questo possa risollevargli un po’ l’umore. Pare avere perennemente la testa da un’altra parte” rifletté Ishii sfregandosi il mento.

“A me sembra soltanto tanto triste” pronunciò sommessamente Nakamura, increspando appena la fronte e facendo di conseguenza scivolare gli spessi occhiali scuri sul ponte del naso.



Quando Tobio rientrò in ufficio dopo un’udienza mattutina e individuò il bento al centro della sua scrivania con allegato uno stringato ma efficace biglietto dalla dicitura “Spero che sia di suo gradimento  - Nakamura”, un piccolo sorriso riuscì effettivamente a disegnarsi sul suo volto tirato.  

Per un mero istante, una minuscola goccia di colore parve riapparire all’interno del suo tetro campo visivo.



 
***



“Hai un nuova richiesta! Abe Jun vorrebbe seguirti”


Al suono della notifica Kageyama afferrò bruscamente il cellulare, scandagliando freneticamente il display alla ricerca del mittente e, come di consueto, percependo un’ondata di scoramento all’assenza del nome che avrebbe desiderato leggervi.

Cliccò con disinteresse sul rettangolo luminoso e squadrò la foto del suddetto tizio.

Allargò le palpebre per la sorpresa.

Capelli mossi e corvini, affascinanti occhi turchesi, viso estremamente giovanile…

L’attraente ragazzo del Rainbow.

Ancora piuttosto stupefatto dal gesto insolito, Tobio premette il tasto accetta senza riflettervi ulteriormente.

I due si erano congedati in termini amichevoli e lo studente gli aveva anche impartito validi consigli  per la complicata situazione con…

Compresse d’istinto il telefono, serrando la presa fino a solcarsi le dita con i bordi.

Quel piccolo atto d’inaspettato interesse fu vanificato dalla cocente scottatura del rigetto.



 
***



“Non capisco perché non sia stato informato per tempo del ritardo dell’udienza”

Il brontolio infastidito di Kunimi riecheggiò nell’imponente corridoio del tribunale.

“Guardi il lati positivo, per una volta ha un po’ di tempo libero” tentò di consolarlo Tomomi, seguendolo qualche passo più indietro.
“Tempo libero che avrei preferito decisamente trascorrere in casa” ribatté Akira, continuando a camminare con andatura strascicata.
“Potrebbe sempre portarsi avanti con il lavoro” suggerì la segretaria, sopprimendo un risolino all’occhiataccia che le rivolse il legale.
“Faccio già più che abbastanza ogni giorno, non c’è alcun bisogno di impegnarmi in ulteriori straordinari”
“Lei è proprio l’esempio di un perfetto businessman dedito unicamente al lavoro” ridacchiò la biondina ironicamente.

Le sue sopracciglia guizzarono improvvisamente verso l’alto.

“Forse non deve più patire la noia Kunimi-san, guardi un po’ chi c’è!”

Akira sollevò il capo e scorse dalla parte opposta del corridoio una familiare figura alta appropinquarsi nella loro direzione, scoccandogli un’espressione sorpresa.

“Ohi, Akira! Non dovevi già essere in aula a quest’ora?”

Kunimi grugnì rassegnato, avvicinandosi a Kindaichi e depositando parte del peso sulla sua spalla.
“Seduta ritardata”
Sogghignando, Yuutarou gli picchiettò affettuosamente la fronte.
“Io invece ho finito proprio adesso, non ho appuntamenti e posso tornare a casa in anticipo” gongolò allegramente, guadagnandosi il cipiglio infastidito del collega.

Tomomi si intromise lestamente.
“Kindaichi-san, dove ha lasciato la cara Yukari-chan?”
Un impercettibile rossore si adagiò sulle gote di Yuutarou.
“È andata agli archivi per recapitare tutto il materiale dell’udienza” bofonchiò.
“Allora la raggiungo, così passo il tempo con lei. A dopo, Kunimi-san!” si congedò Tomomi, trotterellando verso le scale che conducevano al piano inferiore, facendo svolazzare i capelli acconciati in una treccia alla francese lungo la schiena.

Kunimi si massaggiò fiaccamente le tempie.
“Ho bisogno di un break di tipo due mesi”
 
“Smettila di fare lo scansafatiche” lo ammonì bonariamente Kindaichi con una leggera gomitata.
“All’università eri così carico di energie”  
“Non credo di essere mai stato pieno di energie nella mia vita” replicò inespressivo.
“Okay, ne avevi di più rispetto a ora” sottolineò Yuutarou roteando gli occhi.
“Ci tenevi a fare bella figura davanti i senpai?” sogghignò ironicamente, scansando a stento la pedata che gli assestò Akira.

“Oh, a proposito di senpai” si ricordò all’improvviso, ricomponendosi.

“Hai sentito del mega processo che sta portando avanti Oikawa-san? Dovrebbe esserci la sentenza definitiva a breve”
“Sarebbe strano non saperlo, ormai nessuno non parla d’altro”
“Beh, direi anche a ragione. Ha avuto del fegato per occuparsi di un caso del genere”
“Non si sarebbe trattato di Oikawa-san altrimenti” sbuffò Kunimi.
“E dire che all’inizio lo prendevano quasi per folle… ora non fanno altro che venerarlo” commentò cupamente Kindaichi.
“Lo adoreranno finché non riuscirà a vincere la causa, in caso contrario sarà coperto di ridicolo. Già mi immagino le prime pagine proclamare il brillante Oikawa Tooru fa il salto più lungo della gamba, epocale fallimento e stronzate simili” sputò velenoso Akira.
“Oikawa-san trionferà” asserì Yuutarou con convinzione.
“Farà mangiare la polvere a tutti coloro che dubitano di lui e che durante gli anni gli hanno spalato solo merda addosso”

Akira si lasciò sfuggire un sorrisetto.

“Ammiri davvero tanto Oikawa-san, eh?”

Kindaichi tossicchiò, lievemente imbarazzato.

“Che c’è di male? Credo sia un ottimo avvocato. Lavorare con lui deve essere parecchio soddisfacente”
“E stancante” aggiunse Kunimi con un brivido.
“Oh ma piantala, come se anche tu non vorresti andare al Seijo” lo punzecchiò, ridacchiando all’espressione imbronciata dell’amico.
“Quando all’università capitava di studiare insieme ad Oikawa-san la tua spanna di attenzione era sempre superiore alla media. Scommetto che anche adesso riuscirebbe a tirarti fuori più potenziale di quello che tu stesso credi di avere”

Le guance pallide di Akira si imporporarono.

“Perché sei così smanioso di cambiare studio? Rimanere al Kitagawa Daiichi per i prossimi anni è più che dignitoso”
“Non mi trovo mica male infatti, però bisogna avere progetti per il futuro e il mio, così come il tuo, è lavorare all’Aoba Johsai”
“Ma perché sei convinto che sia anche la mia aspirazione?” esclamò irritato Kunimi.
“Perché, mio caro Akira, nonostante cerchi di nasconderlo, anche tu punti in alto” proclamò solennemente Kindaichi, premendogli il dito contro il petto.
“Non tutti sono ambiziosi come Oikawa-san o il re” brontolò Kunimi schiaffeggiando via la mano del collega, non rigettando tuttavia la verità della constatazione.
“Beh, vuol dire che in un modo o nell’altro abbiamo risentito dell’ingombrante influenza di Kageyama” ridacchiò con disinvoltura Kindaichi.

Un ritmo cadenzato di passi risuonò nell’ampio corridoio deserto, attirando lo sguardo dei due avvocati.
Un uomo alto in completo blu notte si stava lentamente avvicinando, le spalle leggermente incurvate e la mano sinistra avvolta attorno al manico di una rigonfia ventiquattrore.

“Oh, guarda chi si vede” annunciò sarcasticamente Kunimi, spostandosi dal muro su cui era appoggiato per prendere posto al centro dell’androne.
“Ho sentito dire da Miura-san che oggi sarebbe stato emesso il verdetto del processo Yamamoto. Li hai umiliati come solo tu sai fare?” domandò con un piccolo ghigno sulle labbra.
“Hai guadagnato un’altra vittoria, re?” ironizzò sprezzante Kindaichi, raggiungendo l’amico e bloccando a tutti gli effetti il passaggio del corvino.  

Tobio soppesò stancamente il suo sguardo ostile.

Gli occhi scuri di Yuutarou mal celavano frustrazioni represse, dardeggiavano con desiderio di rivalsa e approvazione.
Tuttavia, le iridi blu del corvino riflettevano solo un enorme e atipico senso di…

Vuoto.

Kunimi sbatté le palpebre, colto da uno strano sentimento d’incertezza.

“Che c’è, hai perso il dono della parola?” lo stuzzicò con tono stranamente mite, il consueto scherno notevolmente affievolitosi.  
Al contrario dell’amico, Kindaichi sputò spietatamente “Sarebbe un gran bel problema, non credi? In fin dei conti, la gente ti paga profumatamente per permetterti di fare ciò che più ti diverte. Essere crudele con chi non lo merita”

Le sue parole furono accolte da un lungo silenzio.

Le increspature sulla fronte di Akira si accentuarono ulteriormente a quella vista assolutamente incongruente.
Persino Yuutarou avvertì che qualcosa non quadrasse.

Kageyama non sembrava emanare la consueta spocchia e la superba aura gelida che lo attorniava costantemente sin da quando l’avevano conosciuto pareva essere sparita.

Appariva piuttosto… giù di tono?
No, forse non si trattava della parola appropriata.

Il suo sguardo era… disconnesso.
Come se la sua mente fosse arenata in un’altra dimensione o stesse vagando a un ritmo tutto suo.

A un certo punto, Tobio abbassò le palpebre e…

I due avvocati strabuzzarono gli occhi.

Un sospiro rassegnato trapelò dalle labbra dischiuse di Kageyama.

“Sono un po’ stanco. Se permettete, vorrei passare”

A testa china, si fece spazio fra i due uomini che invece rimasero impietriti sul posto.

Kindaichi fu il primo a riprendersi dallo shock.  

Che razza di atteggiamento era quello?!

Perché quel bastardo si stava comportando come un cane bastonato?
Perché sembrava che…
Che fossero loro, i bulli della situazione?!

Un tremito improvviso incominciò a pervadergli il corpo da cima a fondo.

Non era la prima volta.

Non era la prima volta che percepiva una sorta di bizzarra docilità in Kageyama.
Non era la prima volta che preferiva andarsene con la coda fra le gambe invece di ribattere odiosamente come suo solito.

Tuttavia, da lì a fingersi vittima delle circostanze, come se i veri colpevoli da additare fossero loro per aver oltrepassato i limiti…

Ne aveva di fegato!

Serrò i pugni contro i fianchi, fissando ardentemente la schiena del corvino allontanarsi sempre di più lungo il corridoio fin quasi a sparire nella lunga scalinata ombrosa.

Non era Yuutarou a trovarsi nel torto.

Si stava semplicemente prendendo le sue giuste rivincite, fine della storia.


“Non capisco cosa sia venuto a fare”
“Che abbia perso qualcosa?”
“Probabilmente, anche perché non capisco che altro potrebbe farci qui”
“Non che sarebbe il benvenuto”



Sprazzi di conversazioni beffarde gli comparvero davanti agli occhi, causandogli una spiacevole accelerazione del battito cardiaco.

Non aveva esagerato.

No, no e no.

Quello stronzo non poteva persino azzardarsi ad indurgli il senso di colpa per…
Per qualche parolina di troppo.
Non dopo tutto ciò che aveva fatto passare a lui e Akira.

Non lo meritava.
Non si meritava un emerito cazzo quel…

Quel…



“Ciao, io sono Yuutarou Kindaichi, piacere di conoscerti!”

Erano trascorsi i primi giorni dall’inizio dell’anno accademico, un periodo di tempo prezioso soprattutto per le matricole universitarie affinché potessero intraprendere nuove conoscenze e stringere legami fra di loro, cercando al contempo di spiccare tra gli innumerevoli iscritti.
Kindaichi e Kunimi, freschi di diploma e con in viso ancora qualche segno della tarda pubertà, compievano i primi passi in un mondo sconosciuto, giostrandosi tra lezioni infinite, orari impossibili e il desiderio di instaurare qualche fruttuosa relazione con i compagni di corso.
Kunimi in realtà aveva sempre mostrato un temperamento abbastanza riservato, non incline ad aprirsi a facili amicizie, specialmente perché aveva avuto la fortuna di conoscere Yuutarou durante il periodo del liceo. Il ragazzo era divenuto ben presto un punto fermo nella sua vita e Akira preferiva la sua vicinanza al faticoso e tedioso compito di procurasi nuovi amici.
Kindaichi, d’altro canto, era una persona estroversa e di buon carattere, piuttosto accomodante a tipi di persone e personalità anche parecchio diverse fra loro.

La sua esclamazione conteneva dunque un sincero entusiasmo, in particolare perché correva voce che il ragazzo che si ergeva davanti a lui, appena più basso e dai penetranti occhi blu, si fosse già brillantemente distinto in ateneo.
Kindaichi era genuinamente curioso di conoscerlo.
Chissà, magari in futuro avrebbero potuto aiutarsi a vicenda, studiare assieme o scambiarsi appunti.  

Per tale ragione rimase piuttosto allibito quando non soltanto quel tizio non rispose al suo saluto ma gli scoccò persino uno sguardo di profondo disinteresse.

“Kageyama Tobio” fu la secca risposta che ricevette prima che, senza spiccicare un’altra parola, il corvino gli voltasse semplicemente le spalle, dirigendosi chissà dove.

“Non te la prendere” gli aveva suggerito Kunimi, dandogli un colpetto sulla spalla.
“Sarà un lupo solitario, non vale la pena essere amici di un tipo così scontroso”

Indubbiamente un saggio consiglio, peccato non sapessero ancora che Kageyama Tobio non fosse meramente un “tipo scontroso”.


“Perché mi hanno messo in gruppo con degli idioti come voi?! Non siete nemmeno capaci di costruire un’arringa come si deve, roba elementare!”

Kageyama stava gridando, noncurante degli svariati studenti che si giravano a fissarlo attoniti dai rispettivi tavoli all’interno dell’aula studio.

Kindaichi aveva le guance rosse dalla rabbia ma la gola paralizzata dallo sbigottimento di quella vergognosa scenata.
La fronte di Kunimi era costellata di piccole vene pulsanti.

“Pensate davvero che questo basti per vincere una causa?! Dovete metterci più impegno, dare di più!” aveva prorotto il corvino, alzandosi dalla sedia e sbattendo il palmo sul tavolo ricolmo di carte e libri di testo.
“Non parlarci come se fossimo dei poppanti, sei al primo anno come noi e non puoi mica permetterti di comportarti in questo modo!” aveva ribattuto furioso Yuutarou, saltato anch’egli in piedi e a un passo dall’afferrare il bellimbusto per il bavero.
“Posso eccome dato che non siete minimamente al mio livello” aveva controbattuto Tobio, recuperando la sua roba dalla scrivania.
“Dato che dobbiamo portare a termine il progetto e i professori hanno avuto la magnifica idea di metterci assieme, faremo a modo mio. Seguite quello che vi dico e forse, forse riuscirete a diventare degli avvocati decenti”

Kunimi e Kindaichi lo avevano guardato atterriti mentre usciva dall’aula con un’espressione pregna di sprezzo.

“Yuutarou, stai calmo” gli aveva sussurrato Akira, stringendogli l’avambraccio per trattenerlo da un probabile scoppio.

Come scoprirono a proprie spese, rimanere tranquilli con quello stronzo si sarebbe rivelata una costante impresa ai limiti dell’impossibile.


“Non capisco perché i professori si ostinino a paragonarmi a voi” aveva sibilato rabbioso Tobio, accelerando il passo per allontanarsi dall’aula di Diritto Amministrativo prima che gli altri studenti del terzo anno accalcassero l’uscita.
 
“I docenti mettono assieme gente dello stesso livello basandosi sui voti ottenuti nella singola materia” aveva risposto Kunimi con voce monotona, cercando di mantenere un’espressione facciale neutra nonostante il fervente desiderio di sbattere la testa di Kageyama contro un muro.
“Ma per favore, come se noi fossimo sullo stesso livello!” aveva sbraitato Tobio, arpionando i ragazzi con un’occhiata gelida.

Kindaichi ci vide rosso.

“Siamo i migliori della classe, che cazzo vai dicendo?!”

Kageyama aveva sputato una risatina beffarda.
“I migliori di un pollaio, che gran bel complimento! Non mi interessa essere accostato a inutili scartine come voi!”

Come colpiti da uno schiaffo in pieno volto, sia Kunimi sia Kindaichi si erano paralizzati.
Un odio sfrenato ribollì irrefrenabile nei loro petti per scagliarsi idealmente contro il dispotico Kageyama Tobio.

“Senti pezzo di stronzo, per me puoi anche crederti il Dio dell’universo, me ne può solo sbattere altamente, ma non permetterti mai più di mancarci di rispetto in questo modo!”

Il tono di Kindaichi tremava dall’esorbitante rabbia che lo scuoteva similmente a una pentola a pressione.

Ciononostante, Tobio aveva meramente scrollato le spalle, come se quel discorso non lo riguardasse.
“Non è un mio problema se non siete capaci di affrontare la realtà. Dato che il piano di lavoro si deve completare, farete le cose a modo mio”

E con quella sentenza velenosa, aveva affrettato l’andatura fino a sparire alla vista.

Quella volta, Kunimi non fermò Kindaichi dal lanciare lo zaino colmo di codici contro la porta dell’aula più vicina, strappandola completamente dai cardini.


“Da oggi, come nostri migliori studenti del quinto anno, avrete la possibilità di iniziare un periodo di tirocinio presso alcuni dei maggiori studi legali della città, affiancati da avvocati veterani con un enorme bagaglio d’esperienza sulle spalle” aveva esordito il coordinatore docente.
“Ciò che avete appreso in questi anni vi sarà indispensabile così come una buona collaborazione reciproca. Per tale ragione le armi che in questo lasso di tempo dovrete affinare non risiedono solo nella tecnica e strategia oratoria, bensì anche nella comprensione comunicativa. Non dovete dimenticare che la compromissione e la negoziazione è un aspetto fondamentale dell’attività legale e vi troverete a trattare con persone diverse con esigenze altrettanto diverse” aveva aggiunto assennatamente.
“Hayashi-san, lei sarà sotto la responsabilità di Ogawa-san dello studio Matsuda. Kunimi-san, Kindaichi-san, voi due andrete al Kitagawa-Daiichi sotto la guida di Toshiro-san. Per questa opportunità dovrete ringraziare il vostro senpai Oikawa, è stato lui a fare il vostro nome durante il suo periodo da tirocinante e si sa, i suoi suggerimenti sono tenuti in gran considerazione”

I due erano rimasti letteralmente a corto di parole dinanzi a quell’enorme opportunità, profondamente grati al loro eccentrico seppur premuroso senpai che, nonostante i mille impegni, aveva avuto l’accortezza di mettere una buona parola per entrambi.
Si erano scambiati uno sguardo di pura incredulità, il sorriso estasiato di Yuutarou sovrapposto alle labbra dischiuse ma rivolte all’insù di Akira.

Tobio li aveva fissati esterrefatto, come se non avesse creduto alle proprie orecchie.

“Kageyama-san, lei è stato affidato a Moniwa-san dello studio Dateko. So che non desidera specializzarsi nella difesa e potrebbe non collimare con il suo stile d’azione, tuttavia è un’ottima possibilità per allargare i suoi orizzonti lavorativi. È tutto signori e signore” concluse il professore, alzandosi dalla poltrona per congedarsi con un lieve inchino.

“Complimenti ragazzi, siete capitati in ottime mani” si era congratulata sinceramente Hayashi, sorridendo ai colleghi che ricambiarono sentitamente gli incoraggiamenti della coetanea.
“Oikawa-san è stato davvero gentile, deve avere grandi aspettative su di voi! Non dimenticate di…”

“Come cazzo è concepibile che Oikawa-san abbia parlato bene al Kitagawa Daiichi di voi?!”

Il ruggito di Tobio aveva interrotto la ragazza che si voltò scioccata verso il collega, livido fino alla punta delle orecchie.

Sul viso di Kindaichi era apparso un ghigno soddisfatto.

“Beh, Kageyama, significa proprio quello che hai appena sentito. Oikawa-san ha parecchia considerazione di noi, non di te

Tobio aveva digrignato i denti.

“Tu… voi. Non. Valete. Nulla. Chi vi dice il contrario è solo un idiota senza cervello” aveva sibilato pregno di risentimento, ancorando gli occhi gelidi in quelli scuri dei presenti.

“Stai dando dell’idiota a Oikawa-san, Kageyama? Lo stesso Oikawa che idolatri nemmeno fosse una divinità? Sarebbe lui l’idiota senza cervello?”
Inaspettatamente, era stato Kunimi a prendere la parola con tono placido ma sguardo risoluto, piazzandosi davanti a Kindaichi il cui colorito si stava avvicinando pericolosamente al violaceo.

Il corvino si era bloccato, come se gli si fosse improvvisamente ingarbugliata la lingua.

“Cosa ti abbiamo fatto, Kageyama, puoi spiegarcelo? È da cinque anni che ci tratti come se fossimo delle pezze, che ci obblighi a seguire ogni tuo fottuto ordine nemmeno fossimo delle marionette, che proclami di essere l’unico a valere qualcosa in questa università di merda. Perché hai costantemente bisogno di umiliare chi credi non conti nulla per osannare te stesso?”

Trattenendo un’ondata di sbalordimento, Yuutarou si rese conto che quella fosse una delle rare volte in cui scorgeva Akira parlare davvero a cuore aperto.
E tra tutte le persone che lo avrebbero meritato… l’onore era toccato a quello stronzo impertinente.
Non sapeva neppure come sentirsi al riguardo.

“Non ho bisogno di dimostrare niente” aveva tagliato corto Tobio, serrando i pugni e avvicinandosi pericolosamente ai due.
“Dico solo la pura verità. Verrete massacrati, di voi non rimarrà nulla. Voi non…”

Aveva esalato lentamente, forse per trattenere un fremito indesiderato.

“Non meritate l’approvazione di Oikawa-san”

Forse fu quella, la goccia che fece traboccare il vaso.

Kindaichi era schizzato davanti al corvino e gli aveva scoccato un pugno in pieno viso, ruotandogli la mascella e mandandolo a sbattere contro la parete opposta.

A nulla erano servite le grida di Hayashi e i tentativi di Kunimi, Kindaichi aveva seriamente oltrepassato il limite dell’umana sopportazione.

Ciò che tuttavia gli era rimasto impresso a fuoco era stato lo sguardo gelido che Kageyama aveva continuato a puntargli contro, nonostante il naso sanguinante e il livido che incominciava a formarsi sulla guancia.



Uno sguardo che il legale aveva perseverato ad indossare impunemente per anni, risvegliando in lui violenti istinti che nemmeno credeva di possedere.


Un aspetto che però, per qualche astrusa motivazione, sembrava aver completamente abbandonato il suo viso, sostituito da un’espressione ferita e vuota che…

No, dannazione.
Non era una buona ragione per provare qualcosa di simile alla pena nei suoi confronti.

Solo che…

Come cazzo era possibile che colui che era stato un despota egoista si fosse ridotto a uno straccio, al fantasma di se stesso?!

Yuutarou lo detestava con tutta l’anima!

Lui era un…!

Lui…

“Yuutarou”

La voce sommessa di Akira parve riscuotere l’uomo dalla sua cocente frenesia.
Percepiva la fronte sudaticcia e le gote accaldate, come se stesse bruciando dalla febbre.

“Io… io non riesco a…”

“Lo so” lo interruppe delicatamente Kunimi.
“Lo so” ripetè in un sussurro, stringendo la spalla dell’amico e trattenendo a stento un sospiro sfiancato.


“Ti odiavano tutti, tutti, me compreso! Però almeno noi avevamo una ragione valida! L’unico, singolo torto che abbiamo mai arrecato a te, è stato semplicemente quello di esistere!”


“Lo so”

Camminando lentamente verso la fermata più vicina del taxi, Tobio tentò di deglutire senza successo il groppo che gli ostruiva la gola e gli impediva di respirare regolarmente.

“Il vostro odio… me lo sono guadagnato”



 
***



Tobio sorseggiò il liquido ramato contenuto in una graziosa tazza color crema puntellata da decori ocra.

Zuccherato al punto giusto, piuttosto gustoso, percentuale di latte adeguata.

Sì, apparentemente non male.

Eppure, le sue papille gustative a malapena distinguevano il suo sapore.

Poggiò la bevanda sopra il piattino e abbassò il mento.

Erano le 22:17 di un comune martedì dicembrino.
Le luci di Natale addobbavano le strade irradiando palazzi e grattacieli, rendendo la metropoli ancor più luminosa del consueto.
Il tavolino in legno che stava occupando era semplice ed essenziale, la caffetteria profumava di chicchi tostati e l’ambiente era piccolo ma non soffocante.

Oggettivamente, confortevole e accogliente.

Spostò le iridi sul paffuto muffin adagiato su un tovagliolo rosato, sfigurato da un piccolo morso che ne rivelava l’interno dorato.

Soffice, sì.
Piacevole al palato.

Tuttavia piuttosto dimenticabile.

Continuò a bere la sua cioccolata, trascurando il fatto che quella che avrebbe potuto essere considerata una merenda avrebbe interamente sostituito la sua cena.

Non aveva voglia di mangiare.
Non aveva nemmeno intenzione di tornare a casa, in effetti.

Razionalmente parlando avrebbe dovuto, l’indomani lo attendeva una giornata lunga.
Il cervello necessitava riposo per un corretto ed efficace funzionamento, si trattava di una nozione scientifica basilare.

Cionondimeno, l’unico desiderio che in quel momento albergava nel suo corpo… era allontanarsi.

Distanziarsi dall’ambiente legale che lo aveva ormai saturato, spostarsi dalla caotica e opprimente Tokyo in favore di…

Di cosa?

La triste e paradossale verità era che nemmeno lui fosse in possesso della fatidica risposta.  

Aveva bisogno di aria fresca?
Contatto con del verde?
La vista delle montagne?
Del mare?

La natura non lo aveva mai particolarmente interessato, né tantomeno aveva mai sentito il suo richiamo.

Sembrava più una caratteristica dello scricciolo ross…

Sospirò pesantemente, poggiando la tazza semivuota sul tavolo e addentando a fatica il dolcetto.

42 giorni.

Erano trascorsi quarantadue giorni dall’ultima volta che Hinata aveva incrociato il suo sguardo, dall’ultima volta che aveva udito il suono della sua voce…

Incrinata.
Tremante.
Arrabbiata.
Spaventata.

Una lista di aggettivi che faticava enormemente a digerire.

Ma ormai non era più importante.

Aveva avuto ragione a sostenere che sarebbe stato meglio per entrambi se lui e il medico non si fossero mai incontrati.
Conducevano una vita troppo diversa, erano due persone… completamente agli antipodi.


"Se l’avessi saputo… mi avresti buttato via senza pensarci due volte”

“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”



Hinata l’aveva realizzato, no?

Kageyama Tobio era uno stronzo che non contemplava alcuna eccezione alle sue ferree regole.

Qualunque astrusa emozione avesse provato nei confronti del pel di carota… si era comunque scontrata con l’inevitabilità del reale.


“Volevo che qualunque cosa ci fosse tra noi continuasse un po’ più a lungo”


Sebbene lo desiderasse intensamente, non poté negare la morsa dolorosa che attanagliò ferocemente il suo cuore al ricordo di quelle fragili parole spezzate.
Il viscerale istinto di tappare quelle tremanti labbra a cuore per impedirgli di pronunciare stupidaggini che potessero ferire entrambi.

Si staccò a forza da quegli inconcludenti ricordi, fissando invece gli occhi sull’ambiente circostante, quieto e poco affollato.
Un luogo tranquillo in cui avrebbe teoricamente dovuto sentirsi a suo agio.
Il tepore circondava gli sporadici avventori del locale, le luci natalizie rendevano l’atmosfera gioiosa, l’odore di caffè rinvigoriva gli animi…

Eppure mancavano le familiari risate fragorose e sardoniche correlate dai bisticci affettuosi che rendevano unico il suo usuale sottofondo.
L’attenta e sempre premurosa presenza del senpai che puntellava i suoi solitari pomeriggi o malinconiche serate.
L’odore di…
Casa.

Murakami aveva assunto le sembianze di una casa finché aveva ospitato Kuroo, Bokuto e Akaashi, dopodiché si era trasformato in un luogo come un altro, vacuo e insignificante.
La caffetteria in cui si trovava era graziosa, ma non avrebbe mai potuto rimpiazzare un bel nulla.

L’unica macchia colorata che si scorgeva in quel posto altresì smorto era racchiusa nei suoi ricordi.

Una chiazza di un bel rosso acceso, tendente all’aranciato.
Una macchia che da sola generava un’intera tavolozza di colori sgargianti capaci di illuminare la sua esistenza.

Si premette le tempie con la mano, pressando intensamente fino a desiderare di poter irrompere fisicamente all’interno ed estrapolare forzatamente quelle immagini sgradite…

O, forse, fin troppo gradite.

Tentando disperatamente di distrarsi, accese il display del suo cellulare e in maniera meccanica, più per inerzia che altro, entrò su Line e scorse le poche chat esistenti che, però, avevano accumulato una quantità non indifferente di messaggi nel corso delle ultime settimane.




 
Akaashi Keiji

26 ottobre


“Ciao Kageyama, ho sostenuto l’esame scritto per magistratura. Credo di essere andato piuttosto bene, sono abbastanza sicuro di ciò che ho scritto ma si sa, mai cantare vittoria troppo presto. I risultati verrano resi pubblici tra tre mesi, quindi ti terrò aggiornato”

 
“Complimenti Akaashi-san, sono sicuro che passerai senza problemi”


“Grazie come sempre per la tua fiducia 😊”

 
29 ottobre


“Kageyama, ricordi il film di cui avevamo parlato qualche tempo fa? È appena uscito al cinema, ti va di andare a vederlo?”

“Possiamo andare noi due oppure posso invitare anche Bokuto, come preferisci”


 
1 novembre


“Kageyama, tutto bene? È successo qualcosa?”  

 
4 novembre


“Ieri sono stato a casa di Kuroo. Kenma e io abbiamo parlato un po’ ”

“Sai che non sono una persona invadente, soprattutto con te, ma credo ti farebbe bene discutere di ciò che è successo”

“Se non vuoi farlo con me non c’è problema, vorrei solo sapere che tu non ti sia isolato del tutto”


 
10 novembre


“Ehi Kageyama, come stai? È da un po’ che non ci sentiamo, sei molto indaffarato?”

 
13 novembre


“Ti va se ci vediamo in questi giorni?”

 
20 novembre


“Okay, ho capito che tu non voglia parlare, ma puoi per favore dirmi che almeno stai bene?”

“O almeno che tu sia vivo”


 
23 novembre


“Mi basta anche un segno di punteggiatura, davvero”

 
“👍🏻”


“Grazie”



 
Mamma

7 novembre


“Ciao Tobio, ho letto un articolo sul giornale che parlava dell’apertura di un grande negozio a Tokyo interamente dedicato al cucito. Se non è un disturbo potresti farci un salto quando non sarai troppo impegnato? Ho visto delle stoffe davvero belle, mi piacerebbe fare una bella coperta colorata. Grazie, un bacio.”

 
27 novembre


“Ho ricevuto il tuo pacco, hai scelto delle stoffe bellissime. Grazie mille tesoro.”


 

Bokuto Koutaro

8 novembre


“Ehiiii Kageyamaaaa, venerdì sera i miei colleghi organizzano una partitella e ci manca un setter, ti unisci a noiiiii🏐?”

 
25 novembre


“Ehi ehi ehiii Kaaags, ho iniziato ufficialmente a lavorare al Tokyo Metropolitan Gymnasium! Non è troppo distante da casa tua! So che non hai mai tempo ma se ti va puoi sempre fare un salto da noi! Mi assicurerò di allenarti per bene, ehiiiiii ehiiiii💪🏼💪🏼🏋🏻🥇😆”

 
29 novembre


“Ehiii Kageyama, non sei arrabbiato con Keiji vero?😭”

“È da un bel po’ che non mi dice che uscite assieme, avete litigato?🥺😭”

“Ci manchi Kageyamaaaaa😭‼️”




 
Kuroo Tetsurou

2 novembre


“Ohiii Kageyama, io e Bo abbiamo l’ultimo sconto dipendenti del mese da Murakami, abbiamo pensato di invitare un po’ di amici per commemorare con torte e frappé la nostra prossima dipartita metaforica, sei dei nostri?😈”

 
23 novembre


“Ohi Kageyama, scrivo solo per comunicarti l’indirizzo della mia clinica veterinaria. Semmai dovessi trovare un animale in difficoltà, gatto cane o uccellino che sia,  non esitare a portarlo da noi”

“243-5 Nobe, Akiruno, Tokyo 197-0823”



 

03-5673098

25 novembre


“Salve Kageyama-san, sono il corriere del negozio Nippori Fabric Town. Le scrivo per comunicarle che la sua spedizione per Miyagi è avvenuta correttamente. Il pacco giungerà a destinazione il 27 novembre, probabilmente in mattinata. Grazie ancora per il suo acquisto, buona serata.”




Continuò a osservare lo schermo illuminato per svariati minuti.

Se proprio doveva essere sincero, mancava una valida motivazione per cui aveva temporaneamente tagliato i ponti.
Non era arrabbiato con nessuno di loro.

Semplicemente…

Non desiderava sentire nessuno.
Voleva stare da solo.

In fondo, si trattava di una condizione che non aveva mai reputato gravosa.

La solitudine era sempre stata parte della sua essenza.
Doveva abbracciarla pienamente, estirpare quella…

Quella neonata emotività che pareva essere germogliata contro natura nei meandri del suo cuore.
Sradicarla prima che potesse continuare ad arrecargli irreparabili danni.

Si mordicchiò il labbro, picchiettando le unghie sul tavolo.


“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”


Esattamente.

Non avrebbe dovuto essere un’impresa ardua dimenticare lo scricciolo.

Erano trascorsi solo tre mesi, non era materialmente possibile che si fosse insinuato nel suo cervello talmente in profondità.
Eppure…
Giunto come un imprevisto e devastante terremoto, aveva fatto terra bruciata del suo intero essere.

Fissò in uno stato di trance i messaggi di Akaashi-san a cui aveva smesso di replicare per più di un mese, causando persino nel suo senpai un moto di genuina preoccupazione.
Una premura che sapeva bene di non meritare.


“Però… assicurati di non ferirlo, Kageyama. C’è ancora molto che devi imparare su di lui”


Le parole pronunciate dall’aspirante magistrato si erano rivelate provvidenziali.
L’ultimo avvertimento prima dell’inarrestabile sfacelo totale.

In uno slancio impulsivo, le sue dita si mossero in autonomia, digitando velocemente qualcosa sulla tastiera del cellulare.

Rimase a contemplare gli ideogrammi con una sorta di malata aspettativa per lunghissimi minuti.

A un certo punto, una voce zuccherina lo distolse dalla sua immobilità.
“Mi scusi signore, sono le undici e trenta, stiamo per chiudere. Se vuole posso incartare ciò che non ha ancora consumato così può portare tutto a casa”

Sollevò la testa e fece segno di diniego alla ragazza in grembiule, alzandosi e lasciando alcune banconote sul tavolo, non curandosi dei suoi ringraziamenti mentre si infilava il cappotto, e…

Prima che potesse pentirsene, pigiò il tasto invia e ripose rapidamente il telefono in tasca, uscendo della caffetteria e dirigendosi velocemente verso casa, sfidando la pioggia battente.


23:31
Per: Akaashi Keiji

“Buonasera Akaashi… scusami per l’orario… e per non averti risposto così a lungo. Vorrei chiederti se, per caso… sai come sta Hinata”



 
***



“Hai sentito? La sentenza dell’omicidio della giovane Hasegawa sarà trasmesso in diretta nazionale!”

“Credi che andrà davvero tutto liscio?”
“Sicuramente la famiglia Sato avrà qualche asso nella manica…”
“Ho paura che Oikawa-san verrà coperto di ridicolo”
“Che stai dicendo! Oikawa non si farà certo fregare così facilmente!”
“Se si fosse trattato di qualunque altro caso non lo avrei mai nemmeno ipotizzato, però…”
“È altamente improbabile che il giudice condanni a trent’anni il figlio del boss di una delle famiglie principali della yakuza di Tokyo…”
“È esattamente il motivo per cui nessuno dei pezzi grossi ha voluto accettare l’incarico”
“Mmph, per loro sarebbe bastato semplicemente archiviare il caso” “E l’avrebbero fatto se non fosse intervenuto Oikawa”
“Una mossa davvero sconsiderata”
“Beh, considerando che all’epoca era ancora un avvocato emergente…”
“Quanti anni sono passati, due?”
“Esatto, ci lavora da più di due anni”
“Quanta dedizione…”
“Ormai ne va del suo orgoglio, ne deve uscire vittorioso”
“Tra quanto sarà emessa la sentenza?”
“Credo un paio d’ore, il tribunale sarà quasi inaccessibile ormai”
“Peccato che debba ricevere dei clienti questo pomeriggio, altrimenti sarei andato lì per monitorare la situazione”
“Io devo recarmi agli archivi del tribunale quindi riuscirò ad ottenere qualche assaggio in anticipo rispetto alle notizie ufficiali”
“Gli occhi di tutti saranno puntati lì…”


Tobio ascoltò distrattamente i concitati discorsi dei colleghi, piuttosto impegnato a riordinare frettolosamente il suo materiale di lavoro.
 
“Ishii, notifica al procuratore l’avvenuta consegna del fascicolo Goto, dopodiché puoi prenderti il pomeriggio libero”

La ragazza sbatté rapidamente le palpebre, un accenno di sorpresa negli occhi scuri, e annuì diligentemente.
“Grazie Kageyama-san. A domani allora” si congedò con un inchino, corrisposto dal corvino con un cenno del capo.

Acchiappando cappotto e sciarpa quasi si catapultò fuori dall’ufficio, schivando i colleghi radunati nel corridoio e chiamando l’ascensore, fermo all’ingresso del grattacielo.
Attese con trepidazione i ventidue piani e all’apertura delle porte per poco non si scontrò faccia a faccia con…

Uno stremato sospiro minacciò di sfuggirgli dalle labbra.

Kindaichi.

Il legale strabuzzò gli occhi, chiaramente impreparato a trovarsi il muso di Kageyama a soli pochi centimetri dal naso.
Tossicchiò goffamente, improvvisamente oppresso da una tensione pregna di scintille.

Azzardò un’occhiata in direzione del corvino, che ancora non aveva mosso un piede per entrare in ascensore, e…

Una familiare sensazione di collera gli ribollì istantaneamente in pieno petto.

Ancora.

Ancora, cazzo, che senso racchiudeva quell’espressione che aveva spiaccicata in faccia?

Perché lo guardava in…

In maniera normale???

Non gelida, non sprezzante, non incazzata.
Solo…

N o r m a l e?

Sin dal loro primo incontro in facoltà, Kindaichi non aveva mai individuato tracce di ordinarietà nel viso di Kageyama, perennemente contorto in cipigli irritati, sopracciglia aggrottate, ghigni crudeli e  sguardi sprezzanti.

In quel frangente però…


“Ultimamente Kageyama ha dato segni di cedimento”


Quei grandi occhi a mandorla parevano mansueti.
Riflettevano addirittura una sorta di inspiegabile e insensata stanchezza…

E ciò era inaccettabile.

I tiranni feroci non si trasformavano in pecorelle spaurite da un giorno all’altro.

Nondimeno, per quanto avesse anelato…

Dinanzi a quell’espressione incomprensibilmente autentica non ebbe la determinazione di riportare a galla l’antico e istintivo rancore.

“Stai andando in tribunale per cercare di vedere Oikawa-san?” chiese con tono scontroso.

Il corvino borbottò un evasivo “Forse”, distogliendo celermente lo sguardo.

“Ma come forse” sbuffò Yuutarou, pigiando il pulsante per il blocco delle porte prima che si richiudessero e lo rispedissero su qualche altro piano.
“Non sei impaziente di ammirare il tuo idolo in azione?”

Tobio grugnì qualcosa di incomprensibile.

Kindaichi arcuò un sopracciglio, un accenno di derisione visibile dall’incurvatura delle labbra.
“Oppure vai lì perché speri fallisca?”

Fu come se una fulminea stilettata gli avesse inaspettatamente trapassato i polmoni.

Oikawa-san… fallire?

Per interminabili istanti quella parola risuonò aliena ai suoi timpani, incapaci di recepirne il significato.

Non aveva mai nemmeno contemplato una simile eventualità.
Oikawa-san non era programmato per un’ipotetica disfatta.  

Semplicemente, non si trattava di un’opzione concepibile.

Oikawa-san non poteva fallire poiché ancora svettava fieramente su un gradino più in alto rispetto a Tobio, che chiaramente non sbagliava mai un tiro.

Udire tali sconsiderate affermazioni equivaleva a un’ingiuria clamorosa.

“Oikawa-san non perderà” asserì seccamente e la sicurezza emanata dalle sue parole colse Kindaichi impreparato.

Oikawa-san avrebbe trionfato, ovviamente.

Oikawa…

“Permesso” borbottò, oltrepassando il collega ed entrando irrequietamente nell’ascensore.

Oikawa rimaneva l’unica, arrugginita ancora capace di trattenere la sua vacillante razionalità dal frantumarsi fatalmente del tutto.




“Ehi signor faccia cupa, ti va un caffè domani pomeriggio? O una birra, un gelato… qualunque cosa ti piaccia😝”


Tobio si diresse in prossimità di una piccola ma graziosa gelateria dall’insegna colorata, il cui target probabilmente era costituito da bambini e ragazzi considerata la vicinanza a un grande parco giochi.

Non sapeva esattamente perché gli avesse dato appuntamento in quel luogo.
Tantomeno capiva la ragione per cui, fra le varie persone ipoteticamente plausibili, avesse acconsentito ad incontrare proprio lui.
Un ragazzino che a malapena conosceva, le cui parole tuttavia, doveva ammetterlo…
Erano state parecchio terapeutiche.
O almeno, gli avevano infuso il coraggio necessario per presentarsi davanti la porta dell’appartamento del medico.

Scosse vigorosamente la testa.

Hinata non voleva più vederlo.
Aveva auspicato che qualunque cosa ci fosse tra loro terminasse definitivamente.

E nonostante Kageyama serbasse risentimento, rabbia, frustrazione, desiderio nei suoi confronti…

Andava bene così.
Tornare indietro… era ormai impossibile.

“Ehiii, sono qui!”

Seguendo la direzione da cui proveniva quella voce frizzante, individuò una testa ricolma di riccioli scuri che scuoteva il braccio a destra e a sinistra.

Si perse a osservarlo per una frazione di secondo di troppo.

Era strano rivederlo alla luce del sole.

I raggi pomeridiani gli tingevano dolcemente il viso pallido, accentuandone i lineamenti delicati e mettendo in risalto il rossore della punta del naso, probabilmente conseguenza del freddo.
Le iridi azzurre scintillavano, più chiare e cristalline che mai grazie al bagno di luce ricevuta.

Tobio si avvicinò all’area verde, andando incontro al ragazzo che gli scoccò un sorrisetto spigliato sebbene sembrasse celare un pizzico di timidezza.

“Non pensavo avresti accettato di vedermi nuovamente” lo salutò con una mezza cantilena.

Il legale trattenne uno sbuffo.
Onestamente, a quella domanda non era in grado di rispondere con precisione nemmeno lui.

Jun parve intuire le parole non dette del corvino e ridacchiò con disinvoltura.

“Non hai perso la tua schiettezza” scherzò, accostandosi alla gelateria all’ingresso del parco e adocchiando i vari gusti colorati esposti nel banco frigo.
“Veramente non ho aperto bocca” brontolò studiando il profilo definito del giovane, l’espressione concentrata sulle montagnette cremose davanti a sé.
“La tua faccia parla già a sufficienza” rivelò con un occhiolino prima di comunicare i gusti scelti al gelataio.

Tobio roteò gli occhi, ostentando un fastidio solo parzialmente veritiero.

“Per me un cono crema e matcha”

Jun sghignazzò divertito.

“Avrei dovuto immaginare che avessi i gusti di un nonnetto” lo canzonò prendendo una cucchiaiata del suo cono fragola, cocco e cioccolato.

L’occhiata che gli scoccò il corvino fu così apertamente truce da provocare nel ragazzo uno scoppio di risa spontanee.

“Kageyama-san, non c’è gusto a prenderti in giro, sei troppo irascibile” commentò allegramente, battendo sul tempo il legale che stava per saldare il conto.
“Ti ho chiesto io di uscire, quindi lascia che offra io stavolta” intervenne con un piccolo sorriso, alludendo alla notte in cui aveva lasciato che fosse il legale a pagare da bere così come la corsa in taxi fino a casa.

Tobio annuì, riponendo le banconote nel portafoglio.

Addentrandosi nel parco i due percorsero qualche metro finché Jun non si accomodò su una panchina di legno, seguito a ruota da Tobio che fu rapidamente sorpassato da un gruppetto di esuberanti bambini diretti verso la zona giochi, scortati a distanza ravvicinata da una donna dall’aria stanca.

“Come mai hai optato per questo posto?” domandò impulsivamente Tobio, occhieggiando l’ambiente prettamente infantile.
“Qui vicino c’è una biblioteca parecchio fornita in cui raramente si ferma qualcuno oltre il tempo necessario. Ho passato la mattinata a studiare lì” spiegò Jun, indicando con un gesto del capo lo zaino che aveva appoggiato sul terreno e che appariva rigonfio di volumi.

Tobio emise un verso di assenso prima di assaggiare il suo gelato e leccarsi inconsciamente le labbra.
Non male.

Jun trattenne un sorriso alla vista di quell’uomo gigantesco indugiare in un’azione così quotidiana e… sorprendentemente normale.
Lo trovava segretamente adorabile.
Il suo sguardò si posò poi sul braccio che reggeva il cono e improvvisamente allargò gli occhi.

“Hai tolto il gesso! Come stai adesso? Ti fa ancora male?”

Tobio seguì il suo sguardo fino all’avambraccio coperto dal cappotto, finalmente libero dal rivestimento bianco e, suo malgrado, percepì una cocente fitta al petto.

“No… cioè sì, a volte. Non è un problema”
“Ma è normale?” insistette Jun arcuando un fine sopracciglio.

Il corvino sospirò internamente, raccontando in breve di come Kinoshita-sensei gli avesse spiegato che per ripristinare la normale forza muscolare avrebbe dovuto frequentare alcune sessioni di fisioterapia dove poter svolgere alcuni esercizi con l’aiuto del medico ma di come lui non avesse né il tempo né minimamente la voglia.

“Sei proprio cocciuto, eh. Se te l’ha raccomandato un dottore dovresti affidarti ai suoi consigli” osservò saggiamente Jun.
“In questo momento non voglio avere nulla a che fare con i medici” sbottò perentorio, assestando un morso alquanto veemente alla povera pallina di gelato.

Lo studente increspò la fronte, interdetto.

“Che ti hanno fatto di male?”

Tobio rimase in silenzio.

Contemplò per qualche minuto il panorama davanti a sé, puntellato di giubbotti e giacche pesanti atte a proteggere le gracili sagome saltellanti che riempivano il parco di urletti e risate.

Si rese conto che la scena non fosse poi così differente da quella che aveva scoperto all’interno del reparto di Hinata.
L’unica dissomiglianza ricadeva nel fatto che le teste di quei bambini fossero completamente calve e i loro corpi fossero protetti da lunghi camici candidi.
L’atmosfera gioiosa e calorosa che si respirava, tuttavia, era la medesima.

“È solo che… ne ho avuto abbastanza. Di dottori, ospedali e tutto il resto” pronunciò sommessamente.

“Mmmh” mugolò Jun, mordicchiando il bordo della cialda.
“Sai, sembri piuttosto giù di tono. Problemi a lavoro? O forse no, non mi sembri il tipo dalla depressione facile, piuttosto uno che reagisce con violenza…” rifletté, ignorando l’occhiataccia prontamente riservatagli.
A un certo punto si illuminò.
“Come va con il tuo amato rosso? Hai ascoltato il mio consiglio? Hai scoperto dove vive?”

I cauti movimenti del corvino si congelarono.

Jun inarcò entrambe le sopracciglia.

Svariate immagini straordinariamente vivide fluttuarono nella mente di Tobio.

Nikuman caldi e profumati, un pigiama a righine azzurre, un pappagallo dispettoso, partite di pallavolo in sottofondo, un appartamento soleggiato, un lieve bacio sulla soglia…

Cos’era quella sensazione pulsante che percepiva in prossimità dello stomaco?

Di giornate come quella…
Ne avrebbe bramate di più.

Di più.
Di più, di più, di più…


“Sto dicendo che sarebbe opportuno chiuderla qui”


“Tra noi…”

Cosa c’era stato davvero tra loro?
Assolutamente nulla.

Non…
Non erano mai stati una coppia.
Non avevano mai fatto sesso.
Non avevano mai condiviso…

Per l’ennesima volta serrò i suoi ribelli e impropri ragionamenti dietro la porta blindata che impediva al suo inconscio di infettare la sua perfetta e sistemica esistenza, seppur ormai svariati  pensieri e considerazioni appartenessero al suo sé cosciente.

Ciò che ignorava, tuttavia, era che le cerniere di quei cardini fossero oramai completamente usurate.

“Non c’è più nessun rosso”

Jun lo squadrò in modo scettico, ruotando il torso e posizionandosi a gambe incrociate proprio dinanzi il suo profilo.

“Allora è per questo che sei di cattivo umore, è successo qualcosa tra voi”

Tobio continuò imperterrito il suo mutismo, sbocconcellando il gelato prima che si sciogliesse.

“Non è che per caso questo rosso misterioso è un medico?”

Il legale quasi si strozzò con il boccone.

Perché era perennemente circondato da gente problematica?!

“Ci ho preso” gongolò divertito il ragazzo.
“Hai deciso di mollare solo perché non riesci a capire i tuoi sentimenti per lui?”

Okay, adesso Tobio lo fissava sconcertato.
Come diamine faceva a ricordare…?

“Ehi, non guardarmi così. A differenza tua, probabilmente, io ascolto ciò che mi raccontano le persone. Soprattutto quelle che sembrano interessanti come te” rispose con una linguaccia.
“Allora? La situazione si è fatta troppo difficile? Pensavo fossi più combattivo e testardo di così” lo provocò inclinando la testa, terminando il suo cono in un singolo morso.

Per quanto Tobio avrebbe desiderato reagire con l’usuale irruenza, scoprì di non averne la forza.
Si sentiva completamente… svuotato.

“Non si tratta di arrendersi o meno” proruppe corrucciato.

Lui, gettare la spugna?
Il suo vocabolario non prevedeva l’esistenza di un concetto simile.

“È stato stupido anche solo pensare di approfondire la nostra conoscenza. Lui non è assolutamente adatto a me e…”

Deglutì faticosamente un grumo di saliva.


Per: Akaashi Keiji
“Buonasera Akaashi… scusami per l’orario… e per non averti risposto così a lungo. Vorrei chiederti se, per caso… sai come sta Hinata”


Da: Akaashi Keiji
“Mentirei se ti dicessi che sta bene. Va avanti, come fa sempre e ha sempre fatto”



“E io non lo sono per lui”


“Tanto non saresti cambiato comunque!”


“Ma va benissimo così” aggiunse in tono lapidario.
“Non posso permettermi che situazioni e pensieri futili mi distraggano e rischino di rovinarmi la carriera. È stato meglio troncare prima che la storia potesse proseguire”

Jun dedicò qualche minuto a studiare il viso spento del corvino.

“Hai deciso di restare solo, quindi?” chiese in tono fioco, quasi in un sussurro.


“Continua così e, prima che tu possa renderti anche solo conto di quel che hai combinato, prima che tu possa porre rimedio… ti ritroverai solo. Completamente, inevitabilmente… solo”


“Sì” rispose Tobio con ferrea decisione.
“Non c’è niente e nessuno che possa convincermi del contrario. Sono fatto così, fine della storia” sentenziò bruscamente.

Jun si mordicchiò il labbro inferiore.

“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto” pronunciò con devastante semplicità.

La fugace immagine di Bokuto e Akaashi, fianco a fianco con due teneri sorrisi scolpiti sui volti, comparve per diversi istanti davanti alle sue pupille.

Trasmettevano un forte senso di… indispensabilità.

Un termine a lui ignoto, eppure su cui aveva talvolta fugacemente e vergognosamente riflettuto.
Essere indispensabili per l’altro e viceversa.
Kuroo e Kenma…
Anche loro, in una certa misura, apparivano tali.

Da mesi si interrogava contritamente sulla recondita eventualità in cui persino lui avesse necessità di qualcuno di… imprescindibile.


“Sono contento, Kageyama. E’ la prima volta che… vedo un’emozione forte in te che non sia rabbia o frustrazione. Sono felice che Shoyo ti faccia bene”


“Ti sbagli”

No.
Ecco la folgorante e inequivocabile risposta.

Lui non aspirava a diventare, per quanto li stimasse e rispettasse, come loro quattro.

Il suo unico e inimitabile modello di vita… era sempre stato Oikawa-san.
E Oikawa-san si ergeva imponente, solo e inaccessibile sulla vetta della più maestosa fra le montagne.

“Dipendere da un altro individuo è una debolezza. Significa non riuscire mai a cavarsela con le proprie forze” lo contraddì con accanita enfasi.

“Forse hai ragione” sospirò malinconicamente Jun, accasciandosi sulla spalliera della panchina e puntando gli occhi turchesi contro il cielo tendente al rossastro.
I raggi solari lentamente calanti all’orizzonte tingevano le sue iridi di una tonalità cristallina e gli coloravano graziosamente le gote.

“Come… come vanno le cose per te?”

Lo studente sbatté le palpebre, colto in contropiede.

“Oh… non c’è male direi” ridacchiò, improvvisamente impacciato.
“Si è concluso il primo trimestre e gli esami sono imminenti, trascorro quasi tutto il giorno a studiare” lo informò in tono lamentoso.
“Quando metto il naso fuori di casa cerco di distrarmi come posso. Sai, ceno fuori, bevo con amici…”

Si interruppe, scoccando un’occhiatina in tralice al legale il quale, nonostante l’espressione impenetrabile, pareva ascoltarlo con placido interesse.

“O vado nei night club” concluse con voce sottile.

Il sopracciglio di Tobio si sollevò.

Jun emise un flebile sbuffo.

“Sto cercando di non andare a letto con gente che non è davvero interessata a me” si difese.
“Ma è difficile” pigolò con un broncio accennato.
“Io non ho detto nulla”
“Te lo si leggeva in faccia”

Tobio emise un minuscolo suono divertito.

Non riusciva a scovare una spiegazione logica, tuttavia c’era qualcosa in quel ragazzo che lo attirava in maniera inspiegabilmente peculiare.
Sebbene il lato estetico giocasse un ruolo determinante, la ragione non ricadeva su un dato talmente ininfluente.  
Era come se esistesse una sorta di filo anomalo che lo legava a Jun, che lo spingeva a voler… parlare, in un certo senso, con lui.

In fondo, si trattava della prima persona a cui aveva rivolto intenzionalmente la parola dopo più di un mese.

Aveva apertamente rigettato i tentativi di avvicinamento dei suoi conoscenti e pseudo amici, ciononostante dinanzi all’opzione di un semplice e banale incontro con il ragazzino… aveva accettato senza riflettervi troppo.
Forse, persino con una punta di sollievo.

Lo sbigottimento maggiore però riguardava l’apparente coinvolgimento con il quale ascoltava ciò che Jun aveva da dire.
Di solito non gliene importava granché.
Forse perché nonostante la giovane età possedeva un’acutezza fuori dal comune?

“Vorrei davvero trovare qualcuno che veda oltre il mio aspetto fisico” commentò debolmente con un timbro venato di tristezza.
“Ma sembra un’operazione praticamente impossibile”
“Se sei interessato a una relazione seria ti sconsiglio di frequentare quei locali” suggerì Tobio, suscitando la curiosità di Jun.
“Tutte le volte che vado in un club… o, beh, se è per questo anche in un gay bar, il mio unico scopo è incontrare qualcuno di mio gusto che possa soddisfare le mie esigenze. Non penso minimamente a conoscere la persona in questione” andrò dritto al punto.
“Beh, immagino che in molti adottino lo stesso stile” sospirò Jun, arruffandosi i capelli ondulati.
“Dovrei iniziare a frequentare i gay bar solo per me stesso, per divertirmi senza la necessità di tornare a casa con qualcuno che l’indomani non si ricorderà nemmeno il mio nome…”

Si arrestò, tentando di riprendersi dallo stato di autocommiserazione in cui era inaspettatamente piombato.

“Però mi ritengo parzialmente soddisfatto, questo mese sono migliorato!”
“Non è che devi convincere me della verità dell’accaduto” constatò il corvino, mandando giù l’ultimo morso del suo cono.
“Quando tu sei il primo a non credere alle tue stesse parole”

All’udire quella frase, Jun apparve visibilmente abbattuto.

Tobio corrucciò la fronte, vagamente conscio dell’aver pronunciato, per la milionesima volta, qualcosa di sbagliato.


“Penso che il tuo atteggiamento scostante abbia sempre scoraggiato le persone ad avere una relazione più profonda con te, no?”

“Dovresti lavorare seriamente sulla prossemica e fare uno sforzo per comprendere gli altri”



Inalò un profondo respiro.

A cosa gli sarebbe giovato instaurare una relazione migliore con il prossimo se il suo destino prevedeva un’ineluttabile solitudine?
Che senso aveva rammollirsi in un mondo che premiava la forza bruta?

“Voglio dire…”

Assottigliò gli occhi e aggrottò le sopracciglia, sforzandosi fisicamente per reperire le parole maggiormente adeguate.

“Cerca di trovare una persona con cui passare del tempo in maniera diversa. Non c’è qualcosa che ti piace fare?”

Jun lo guardò soprappensiero.

“Oltre a spendere il mio tempo in laboratorio… ho sempre adorato pattinare. A Nagano, nella mia città natale, andavo quasi ogni pomeriggio al pattinodromo anche solo per un’oretta. Mi rilassa tanto e mi permette do ricaricare un po’ le batterie”
“Qui a Tokyo ce ne saranno diversi” osservò Tobio.
“Potresti incontrare gente nuova”
“Non è che non ci abbia pensato, è solo che… tra lezioni e studio individuale finisco sempre tardi, non so se effettivamente troverei qualcuno che si alleni nella mia fascia oraria… quindi ho sempre preferito fare qualche giretto nel campus dell’università, dove però non ho mai notato nessuno con i roller” spiegò un po’ abbacchiato.
“Quindi l’unico modo per svagarsi o comunque imbattermi in ragazzi nuovi è andare in locali notturni”
“Ma l’università non è piena di gente da poter conoscere?” domandò il legale, seppur lievemente titubante.

Del resto, non é che per lui il periodo universitario fosse servito ad allargare il suo cerchio di contatti.
Semmai per peggiorarli… ad eccezione di Akaashi-san.

Jun gonfiò le guance.

“Non mi piacciono i miei coetanei. Vorrei incontrare qualcuno di più maturo… come te, per esempio” cinguettò amabilmente.
 
Tobio parve riflettere per qualche minuto, ignorando l’ostentato sbattimento di ciglia del ragazzo. Infilò la mano in tasca, accarezzando distrattamente il cellulare.

“Se vuoi posso darti l’indirizzo mail di un mio… conoscente. Lavora come personal trainer e istruttore di atletica in due palestre, di cui una è tra le più grandi della città”

Jun allargò gli occhi, sorpreso.

“Puoi spiegargli le tue esigenze, è un tipo molto… allegro e disponibile. Non farti problemi a parlare con lui” minimizzò, recuperando l’iPhone e cercando il contatto lavorativo di Bokuto, condividendolo nella chat con Jun.

Il giovane continuò a squadrarlo con stupore per poi, all’improvviso, aprire il viso in un dolce sorriso timido.

“Grazie mille, Kageyama-san. Lo contatterò di certo”

Dopo aver memorizzato la mail dell’amico del legale, si rivolse a lui con espressione elettrizzata e domandò “Frequenti anche tu queste palestre?”
“Ho un abbonamento annuale alla Work Out, l’impianto sportivo in cui Bokuto-san lavora da più tempo, ma ci vado sporadicamente. Preferisco correre per conto mio”
“Sei proprio un lupo solitario” commentò con un sorrisetto Jun, osservando i lampioni del parco accendersi all’unisono per contrastare l’imbrunire del cielo.
“Speravo di poterti beccare, qualche volta” mugugnò con una lieve smorfia sulle labbra piene.

Tobio aggrottò le sopracciglia, alquanto perplesso.
“Perché ci tieni tanto a incontrami?”

Jun emise uno sbuffo ironico.

“Perché forse non mi dispiace trascorrere il mio tempo con te?”

Lo sguardo scettico che gli rimandò il legale lo fece grugnire esasperato.

“Sentire delle opinioni sincere ed imparziali è una ventata di aria fresca. Sono fin troppo abituato a persone leziose che cercano solo di guadagnarsi il mio favore. Preferisco il tuo essere scontroso e arrogante alla loro superficialità”

Si strinse la giacca alla vita, iniziando a percepire il freddo della sera insinuarsi tra gli spiragli di stoffa.

“E poi, anche se non sei di tante parole, discutere con te è piuttosto interessante. Sei testardo e non vuoi ascoltare altre opinioni… però io credo che qualcosina ti entri in quella tua bella testolina” aggiunse con una linguaccia, balzando su dalla panchina e mettendosi l’ingombrante zaino sulle spalle.
“Si è fatto tardi, è meglio che mi inizi ad incamminare verso casa”

Tobio lo imitò e a quanto pare fu un’iniziativa generale poiché in lontananza si udirono le voci di alcune donne e uomini esclamare “Si è fatto buio bambini, si torna a casa” a cui risposero accorati lamenti e suppliche per rimanere giusto qualche altro minutino.

“Alla prossima?” scherzò disinvoltamente Jun, piegando in alto le labbra ma lasciando intravedere una timorosa aspettativa.

Ancora una volta, Tobio non comprese l’esatta ragione per cui la prospettiva di rivedere quel ragazzino non fosse interamente spiacevole.

“Alla prossima” ripeté goffamente, ricevendo in cambio un sorriso a trentadue denti e un cenno della mano prima che Jun voltasse la schiena e si affrettasse probabilmente in direzione della fermata della metropolitana più vicina.

Un bel sorriso senza dubbio, timido e amabile…

Che però, sfortunatamente, non combaciava con quello dei suoi più oscuri e intimi desideri.



Diversamente dall’ordinario, Tobio non si apprestò a fermare un taxi.

Incominciò a vagare senza meta fra le strade affollate della metropoli, prediligendo sentieri maggiormente quieti e defilati.
Si rese conto, dopo almeno mezzora di cammino, di essere inconsciamente giunto in prossimità del tribunale.
A spiccare ai suoi occhi non fu tanto l’architettura peculiare dell’edificio quanto la massa di giornalisti, addetti ai lavori e semplici curiosi affollati sulla strada proprio dinanzi l’imponente scalinata dell’ingresso.
I lampioni sparsi lungo i marciapiedi e le luminarie natalizie rischiaravano l’area, rivelando schieramenti di forze armate a protezione della soglia.

Precauzioni più che naturali.
In fondo, all’interno di una delle aule sedeva il figlio di uno dei più potenti boss mafiosi della città.

Tobio guardò l’orologio da polso.

Il verdetto doveva essere ormai agli sgoccioli.
Non avrebbero impiegato parecchio ad annunciare l’esito in diretta.

Squadrando le persone che accalcavano il passaggio riuscì a distinguere alcune teste vagamente familiari, appartenenti in toto ad avvocati conosciuti negli anni.
I colleghi del Kitagawa Daiichi non esageravano di certo a definirlo un processo da non perdere e, purtroppo, i posti all’interno della sala processuale erano limitati.

Uno strano senso di irrequietezza gli impregnò lentamente gli arti.


“Stai andando in tribunale per cercare di vedere Oikawa-san?


Credeva di aver risposto alla domanda di Kindaichi con sincerità.
Ovvero, non lo sapeva ancora.

Tuttavia, in piedi davanti alle porte del tribunale, si rese lucidamente conto di quanto avesse agognato quel momento, tanto da spingere il suo inconscio ad assegnare un significato al suo vagare disordinato fino a condurlo lì, nel luogo in cui anelava segretamente trovarsi.

Non poteva assistervi dal vivo, ciononostante poteva percepire l’atmosfera tesa e febbricitante che attorniava quel processo, il senso di sfibrante attesa tra le due parti ancora ignare del risultato, il brivido d’eccitazione pregno di adrenalina che solo quel lavoro poteva procuragli, per cui lui viveva e aveva sempre vissuto.

Dio, cosa avrebbe dato per osservare Oikawa-san all’opera nella sua forma migliore.
Una brama talmente forte, eppure così irrealizzabile.

Non poteva permetterselo, naturalmente.

Non poteva mica trasmettere l’infondata convinzione che morisse dalla voglia di vederlo.
Ammirare la maestria con cui il suo senpai ammaliava la giuria, si districava tra le insidie di un caso contorto, riuscendo ad emergere splendente ed impeccabile.
Udire quel tono conturbante e carezzevole, così fermo e determinato.

Carismatico e irraggiungibile, presuntuoso e incrollabile.
Manipolatore nato, falso e bugiardo.

Una forza pura e maestosa…

Che lui avrebbe presto raggiunto.

Un giorno, vicino, estremamente vicino, lui sarebbe finalmente riuscito a oltrepassare quel vertice splendente da tutti osannato…

Da solo.
Avvolto da un mantello di rovi e pestando una sfilza di cadaveri, lui avrebbe continuato ad avanzare, noncurante del mondo circostante.
Strappandosi di dosso quelle odiose inezie chiamate sentimenti.


“Non è Hinata che ti sta influenzando, Kageyama. Se fossi stato pienamente convinto dei tuoi principi non avresti nemmeno perso tempo con lui. Sei tu che stai soppesando se in effetti Hinata non abbia ragione. Sei tu che stai dubitando di te stesso”


Sì, aveva dubitato.

Aveva ceduto alla schifosa debolezza da sempre detestata.
Si era abbassato al livello… della gente comune.

Ma lui non era una persona ordinaria.

Era un individuo straordinario, ben al di sopra degli altri.
E se la gente non lo avesse compreso…
Poco male.
Soltanto chi fosse dotato di autentico talento avrebbe potuto accettarlo.

Non avrebbe mai più ceduto a compromessi.

   
“Il tiranno dell’ufficio, eh?”


Esattamente.

Lui era un Re.
E un Re non si sarebbe chinato davanti a nessuno.

Avrebbe incarnato ciò di cui tutti lo avevano costantemente accusato.
Sarebbe diventato un sovrano ancor più dispotico, avrebbe scalato la vetta in solitudine seguito da null’altro che il suo ego e capacità…

Uno scrosciare di suoni fragorosi gli ovattò improvvisamente i timpani.

Grida di giubilo e incredulità, applausi concitati e fischi esultanti.
I giornalisti si accalcarono ai limiti del possibile lungo le transenne posizionate dalla polizia mentre dalla soglia del tribunale iniziarono a sfilare gruppi di persone dai volti trionfanti alcuni e inferociti altri.

Sarebbe stato infruttuoso per Tobio unirsi alla calca dunque assottigliò gli occhi e si focalizzò su ogni singolo volto che abbandonava l’edificio, cercando di individuare una riconoscibilissima cascata di morbidi capelli castani.

I reporter bloccarono qualcuno per porre alcune domande ma era evidente che si tenessero pronti per le portate principali.
Alla fine vennero ricompensati quando, quindici minuti più tardi, un’alta e solenne figura apparve davanti le porte girevoli dell’edificio.

Le iridi blu di Tobio, suo malgrado, scintillarono.

Eccolo.

Eccolo lì, in tutta la sua gloria vittoriosa.

Sarebbe stato plausibile provare vergogna, eppure non potè esimersi dal reputarlo… odiosamente meraviglioso.

Postura perfetta ed imperiale, impeccabile nel completo grigio chiaro cucito su misura per le sue gambe lunghe e vita stretta, si ergeva Oikawa Tooru, supponente ed orgoglioso.

In men che non si dica fu circuito da una massa di individui, evitando di essere inglobato dalla folla solo grazie all’intervento di quattro uomini in divisa.
Considerata la notevole distanza che si interponeva fra loro, Kageyama non era in grado di cogliere cosa stesse dicendo però poteva osservare le sue movenze.

Indossava l’abituale espressione calma e saccente, scrupolosamente composta.
I seducenti occhi castani emanavano una sicurezza disarmante, come se avessero saputo fin dal principio che il giudizio sarebbe sopraggiunto in loro favore, e il sorriso lezioso trasudava pomposità.  

Ma in fondo, che importava.
Poteva concedersi il lusso della superbia.
Era autorizzato a credersi invincibile, perché ciò corrispondeva a verità.

Più si perdeva a fissarlo, più percepiva la magnetica esigenza di avvicinarsi per poter essere assorbito dalla sua sfolgorante aura.
Come un satellite in orbita non riuscì a reprimere l’impulso viscerale di parlargli, anche soltanto per  congratularsi.
Era conscio della stupidità di tale bisogno tuttavia, dopo l’imprevisto uragano abbattutosi su di lui negli ultimi mesi, desiderava ardentemente un confronto con un avversario naturale, seppur breve e probabilmente alquanto sgradito.

Decise dunque di attendere lo spontaneo diradarsi della ressa, a cui sperava seguisse l’allontanamento di Oikawa-san dal centro della scena.

Onestamente serbava dei dubbi sulla possibile reazione del senpai dinanzi al suo gesto inatteso.  
Oikawa manifestava apertamente la sua antipatia nei confronti del corvino, l’insolenza con cui lo apostrofava  con quell’insopportabile nomignolo era parecchio evidente.
Ciononostante…

Tobio si sentiva attratto da lui come una falena da una radiosa fonte di luce, noncurante della fatale ustione a cui probabilmente sarebbe andata incontro.



Trascorsero almeno venti minuti prima che Oikawa riuscisse a svincolarsi da giornalisti, addetti stampa, colleghi legali e semplici cittadini giunti fin lì per aggiornarsi sul caso che tanto aveva suscitato scalpore nei media durante il corso dei mesi.

A differenza sua, che avrebbe liquidato la questione in rapide parole stringate, il castano pareva replicare con tranquillità alle domande che gli venivano rivolte e a sorridere amabilmente ai vari commenti, persino i più taglienti, sfoderando costantemente la risposta maggiormente appropriata a ogni contesto.

Dopo diverse pacche sulle spalle e ulteriori complimenti accolti con il solito sorriso affabile, il legale iniziò a distaccarsi dalla calca che parve finalmente disperdersi grazie specialmente al supporto della polizia.

Tobio si spostò celermente dall’altro lato della strada lungo il marciapiede su cui camminava Oikawa, schivando contemporaneamente le persone che ancora si affrettavano fuori dal tribunale.
A circa un centinaio di metri di distanza però si accorse che l’uomo fosse stato per l’ennesima volta intercettato.

Tobio si costrinse a sopprimere un enfatico gemito di frustrazione.
Al suo posto avrebbe già mandato a fanculo chiunque gli fosse capitato davanti, desideroso unicamente di andarsene a casa.

Naturalmente Oikawa non avrebbe mai adottato un simile comportamento scostante.  
Riteneva fondamentale l’opinione della gente e non si sarebbe mai presentato in maniera diversa dal suo ineccepibile sé.                                  

Tuttavia…

Con il dorso appoggiato al bianco muro piastrellato dell’imponente tribunale, Tobio non poté fare a meno di notare che, seppur lievemente, l’espressione di Oikawa-san avesse subito un mutamento.

Tentò di mettere a fuoco il soggetto con cui il legale stava intrattenendo una conversazione.

Era una donna.
Non sembrava un’inviata televisiva, né una collega né tantomeno una delle tante studentesse di Legge divenute sue ferventi fan.
Nonostante non indossasse abiti sciatti, la circondava un’aura di…
Trascuratezza?
Malinconia?
Il viso emaciato, sebbene non avesse ancora raggiunto la mezza età, appariva più vecchio di quel che presumibilmente fosse.

Pareva essere spuntata da un piccolo vicolo, forse un’uscita secondaria dell’edificio, e si era accostata a Oikawa-san invadendo il suo spazio personale, o almeno secondo quanto Tobio ritenesse socialmente accettabile.
Eppure, sorprendentemente, il legale non si scostò e non manifestò alcun desiderio di respingerla.

Estremamente stranito, Kageyama inquadrò attentamente il volto della donna.
Capelli lunghi e scuri raccolti in una treccia bassa, pelle chiara, corporatura minuta.
Una faccia insignificante che si sarebbe potuta confondere tra mille.
Tuttavia, furono i suoi occhi neri a stuzzicargli la memoria.
Pregni di sofferenza e di una determinazione rara…

Oh, ma certo.
Aveva avvistato il suo viso tempo addietro in qualche intervista in tv.

La madre della giovane Hasegawa Misato, seviziata e barbaramente uccisa dal figlio del boss della famiglia Sato.
Sicuramente aveva sfruttato un’uscita defilata per evitare l’assalto dei giornalisti, avidi di accaparrarsi una reazione strappalacrime che valesse la prima pagina di ogni notiziario.

Provò un improvviso moto di vicinanza per Oikawa-san.

Tobio aveva sempre detestato trattare con i parenti delle vittime.
Ci tenevano tanto a ringraziare, si perdevano in moine sconclusionate e scene lacrimevoli.
Ma che razza di senso aveva?
Avevano pagato per ottenere in cambio un servizio, profumatamente per di più.
Perché comportasi come se a lui fregasse qualcosa del loro sollievo o chissà quali altre stronzate?


“Oikawa-san” esordì la signora piegandosi in un inchino, subito intercettata dalle mani del legale.
“Ayako-san, sa che non c’è nessun bisogno”
“E lei sa che è la forza dell’abitudine” rispose con un lieve sorriso.
“Deve essere molto impegnato in questo momento. Mi spiace farle perdere altro tempo dopo tutto quello che…”
“Non lo dica nemmeno. Per lei ci sono sempre” ribatté l’avvocato, scoccandole un candido sorriso.

Dio, Tobio avrebbe volentieri vomitato.
Perché sprecare energie con quel teatrino di disgustosi convenevoli?

Ciononostante, la donna ridacchiò debolmente.
Un po’ di colorito parve persino ritornarle sulle gote pallide.

“So che in aula ho avuto modo di esprimerle i miei ringraziamenti ma la confusione e il baccano successivi alla sentenza mi hanno costretta a essere fin troppo breve”
Raddrizzò la schiena ed inalò un profondo respiro, alzando la testa per fissare il legale dritto negli occhi.
“Due anni fa, Oikawa-san, io ero una donna morta. Una donna che aveva perso ogni ragione di vita e che si sarebbe lasciata volentieri cadere giù da un ponte. Non solo non avrei potuto rivedere mai più il sorriso della mia Misato, non ci sarebbe stato nessuno a poter realizzare l’unica cosa che non avrebbe soltanto dato sollievo alla mia anima, ma anche alla sua. Giustizia”

Tobio inarcò un sopracciglio.

Doveva ammettere che fosse un discorso piuttosto articolato.
Non credeva che qualcuno gli avesse mai rivolto parole del genere.. non che lui lavorasse nel penale, comunque.

“Poi però è arrivato lei” sorrise, nonostante il persistente tremolio del labbro inferiore.
“Un uomo così giovane ho pensato, eppure così determinato. Così sicuro del potermi aiutare che… mi sono lasciata convincere, sebbene avessi gettato la spugna”
Lo guardò con un’espressione calda, quasi… materna.
“E non ha mai smesso di crederci. Non ha smesso di lottare neanche quando le cose si facevano ai limiti del possibile. È sempre stato pronto a offrirmi parole e sorrisi di conforto e, glielo confesso, certe volte mi ha persino ricordato Misato”

Una lacrima scese lentamente dalla sua guancia scavata, delineando la bocca piegata all’insù per poi sparire tra le pieghe della sciarpa.

“Quello che voglio dirle, Oikawa-san, è che grazie a lei io penso di aver trovato un nuovo equilibrio. Senza la sua dedizione e risoluzione non avrei saputo tirar fuori la mia”

Si interruppe per infilare la mano in tasca e pescarvi qualcosa, che poi mostrò al castano dal palmo della mano.

“Si ricorda di questo ciondolo?”

Il legale annuì, sorridendo affettuosamente.
“Come potrei dimenticarmelo, è stato con lei ogni giorno in questi due anni” commentò sommessamente, avvicinando le dita per sfiorare la catenella dorata al cui centro spiccava un coloratissimo mappamondo.

La signora Ayako contemplò il prezioso oggetto per qualche istante prima di proseguire.

“Il più grande sogno di Misato era viaggiare. Vedere il mondo, scoprire culture diverse e imparare a conoscere ciò che non riusciamo a comprendere. Purtroppo…”

Un silenzioso singhiozzo scosse le sue spalle esili.

“Purtroppo il mondo le è stato strappato via a soli diciannove anni. Però… perdoni gli sproloqui di una mamma, Oikawa-san. Nel suo bel viso ho sempre ritrovato qualche dettaglio di mia figlia. Anche lei aveva delle adorabili fossette alle guance quando sorrideva, così come l’intensità dello sguardo” sorrise tra le lacrime, poggiando delicatamente la collana sul palmo del legale.
“Per questo vorrei che lo conservasse lei”

Gli occhi bruni di Tooru si ingrandirono a dismisura.
“No Ayako-san, io non posso…”

“Sì che può” lo contraddisse in tono fermo, stringendo la mano di Oikawa con la sua.
“È un oggetto che desidero tenga lei. Non per ricordarsi di me, non sono così presuntuosa, ma per rammentarle di essere sempre la persona meravigliosa che è. Con lei sono riuscita a ritrovare la forza e determinazione della mia Misato… adesso, però, è giunto il momento di lasciarla andare. Ho scoperto una dimensione in cui il mio tormento riesce ad affievolirsi ed è stato proprio lei a incoraggiarmi, lei mi ha spronata a prendere parte al gruppo di supporto per le donne vittime di violenza. Ho ritrovato uno scopo nella vita… e non so mai come potrò ringraziarla”

Oikawa appariva completamente a corto di parole, l’espressione sorridente del volto incrinata e instabile.

“Ho fatto solo il mio lavoro, Ayako-san”  

La donna scosse dolcemente la testa, scrollando le lacrime che avevano continuato a calcarle silenziosamente il viso.

“No, Oikawa-san. Ha fatto molto più di un semplice lavoro”

Con le labbra ancora dischiuse il legale non ebbe la prontezza di ribattere poiché percepì due braccia sottili circondargli il dorso.
“Le auguro davvero il meglio”

Dopodiché, leggiadra come una foglia autunnale, con un ultimo piegamento del dorso e un sorriso sincero sul volto umido, la donna voltò la schiena e si incamminò lentamente lungo l’opposto marciapiede.

Oikawa rimase immobile, i piedi incollati al suolo, fissando la mano su cui era adagiato il dono della mamma di Misato.

Per quasi tutta la durata della conversazione aveva mantenuto un’espressione rilassata, seppur pregna di apparente empatia.
Tuttavia…

Imprevedibilmente, quella studiata maschera cesellata appariva orribilmente crepata.

Un’atmosfera anomala incombeva su Oikawa-san e Tobio non seppe interpretarne l’origine.

Credette persino di scorgere un leggero tremolio attraversargli le spalle ma fu celermente e abilmente domato.
Dopo un paio di minuti di completa stasi, il legale raddrizzò sinuosamente la schiena e si incamminò quietamente verso la monumentale area verde a poche centinaia di metri dal palazzo di giustizia.

Tobio proseguì a passo lento, titubante sul da farsi.

A causa di quel bizzarro incontro Oikawa-san sarebbe stato di cattivo umore?
Valeva la pena continuare a seguirlo?

Cazzo, si stava comportando come uno stalker.

Le occasioni future in cui potersi casualmente imbattere erano piuttosto ridotte…
Doveva prendersi di coraggio in quel momento.

Si era recato fin lì con quella precisa finalità, no?
Chissà, forse Oikawa-san avrebbe persino apprezzato i suoi sinceri complimenti.
Anche perché, per quanto apparisse assurdo… lo erano davvero.

Con rinnovata fiducia accelerò l’andatura, individuando nuovamente la schiena del senpai addentrarsi fra alcune querce.
Prima che potesse sparire dalla sua visuale aprì la bocca per attirare la sua attenzione, quando…

“Iwa-chan”

Aguzzando la vista, si accorse che Oikawa-san non fosse da solo.

Un uomo poco più basso ma decisamente più imponente, dalle spalle larghe e corti capelli scuri si ergeva proprio dinanzi a lui.

Rischiarato della luce calda dei lampioni, Tobio lo riconobbe.

Si trattava del ragazzo che ai tempi dell’università, sebbene non frequentasse il loro corso, aveva avvistato qualche volta assieme ad Oikawa-san. Inoltre, capitava fosse nominato da Bokuto-san poiché era un assiduo frequentatore della palestra in cui lavorava.  
Guardandone i bicipiti possenti capiva perché avesse fatto tanto colpo sul personal trainer.

Tuttavia, fu un dettaglio in particolare a sbigottirlo, paralizzandolo nei suoi movimenti.

La voce con cui Oikawa-san aveva pronunciato quel nomignolo buffo…
Era completamente svuotata dell’affettata sontuosità udita fino a pochi minuti prima.
L’intonazione artificialmente melliflua e la smodata sicurezza avevano ceduto il posto a un sospiro stanco e… intimo.

Non credeva di aver mai sentito il senpai rivolgersi a qualcuno in maniera simile nel corso degli anni in cui avevano lavorato e studiato assieme.

Avvicinandosi fino a stagliarsi esattamente davanti il volto dell’avvocato, Iwaizumi sollevò le labbra in un sorriso sghembo, distendendo l’espressione intrinsecamente severa.
“Tooru”

Fu questione di un semplice attimo.

Descriverlo logicamente sarebbe stata un’impresa irrealizzabile.
Prima ancora di produrre un singolo suono, l’impeccabile aura inaccessibile, maestosa e boriosa di Oikawa-san… si era inaspettatamente e completamente dissolta.

L’inappuntabile postura eretta si accasciò, spiegazzando l’inamidato blazer grigio.
Le spalle si inarcarono in avanti e…
La testa, quell’odiosa bella testa dai lineamenti scolpiti e aggraziati, si piegò verso il basso.

Fu uno scenario… terrificante.
Assolutamente, totalmente agghiacciante.

“Sei stato bravo”

Iwaizumi sollevò la mano e avvolse la guancia morbida di Tooru, strofinando delicatamente il pollice sulla guancia rosata.

“Sei stato bravo, Tooru”

All’udire tali parole genuine, Oikawa depositò letteralmente la sua intera massa corporea sull’uomo dinanzi a lui, afferrandogli le braccia come se fossero l’ultimo saldo appiglio prima dello sconfinato abisso.

“Hajime…”

“Sei stato perfetto lì dentro, dovevi vedere le facce degli avvocati della difesa e di Sato” ridacchiò Iwaizumi con leggerezza, appoggiando la fronte su quella dell’altro.
“Così come quella di Ayako-san” aggiunse con un lieve sussurro, rafforzando la presa sul suo viso.
“Ci hai sentiti?” domandò Oikawa, stringendo ancora nel palmo l’inestimabile ciondolo colorato.
“Non mi sono messo ad origliare ma ho afferrato il concetto” rispose, scollando la mano del legale dal suo gomito e scoprendovi il mappamondo smaltato.
“È davvero bello” commentò delicatamente.
“Starebbe proprio bene sul tuo collo…”

“Pensavo di fallire”

Oikawa avviluppò le mani negli avambracci di Iwaizumi in una morsa inscindibile.

“Ero convinto che… che non sarei riuscito a darle pace”

La sua espressione era persa nel vuoto e le sue parole sussurri malfermi, stremati.

“Che tutto il lavoro di questi anni sarebbe stato sprecato”

Affondò il volto nel petto del moro.

“Sentivo i loro occhi bruciarmi la pelle. Sembravano tutti dei famelici avvoltoi in attesa di un mio errore e…”

“E invece sei stato perfetto” lo bloccò fermamente Iwaizumi, infilando le dita tra i vaporosi capelli color cioccolata.
“Non riusciresti a commettere un errore nemmeno volendolo” lo canzonò bonariamente.

Tooru emise un tenue sbuffo e risollevò la testa.

“Non posso credere che ce l’abbia fatta” mormorò.
Le sue spalle furono colte da un tremito incontrollato.
“Che nonostante tutto io… io…”
“Hai mostrato agli stronzi che non avrebbero scommesso uno yen su di te quanto vali” terminò il moro, posizionando le mani sui fianchi del ragazzo, le cui iridi erano immobilizzate sul ciondolo laccato.

“Non so come sia riuscito a non crollare”

Iwaizumi prese gentilmente la catenella e la mise attorno al collo di Oikawa, carezzando il mappamondo che pigiava sulla cravatta blu.
“Non so nemmeno come abbia fatto a sorriderle dopo tutto quello che ha dovuto sopportare”

“Sei stato forte per entrambi” replicò semplicemente Hajime.

Tooru sbatté le palpebre diverse volte, fissando il petto di Iwaizumi come se potesse trapassarlo con lo sguardo.

“È davvero finita”

Rimase in silenzio per svariati minuti per cercare di metabolizzare il significato di quanto constatato, percependo flebilmente i palmi di Hajime che gli carezzavano le braccia.
Poi, lentamente e finalmente, raddrizzò il capo, ancorando gli occhi in quelli verdi del moro.

“Sono… stanco” bisbigliò insperatamente.

“Mi sento sfinito, come se… come se non avessi più alcuna riserva d’energia” balbettò debolmente, nascondendosi il volto con le mani e incassando la testa tra le spalle.
“È stata così… è stata così dura”
Un tremolio nervoso s’impossessò della sua voce.
“In certi frangenti sembrava che il dolore di Ayako-san mi piombasse addosso e non fossi in grado di scrollarmene”
“Tutte quelle ore trascorse a ricostruire la scena del delitto, tutti quegli interrogatori interminabili, tutti quei video atroci delle violenze che ha dovuto subire la povera Misato-chan…”

Un singhiozzo sfuggì impavidamente dalle mani che tentavano di soffocare ogni suono.

“È stato così difficile trattenere tutto per talmente tanto tempo…”

Tooru sembrava desiderare ardentemente svanire, rannicchiandosi su se stesso in posizione fetale.
Tuttavia, Iwaizumi non gli concesse margine d’azione.

“Non devi più trattenerti, Tooru” asserì con tono fermo ma gentile, scostandogli le dita dal viso e afferrandogli la nuca con le sue.
“Adesso è il momento di smettere di fingere. Sono qui per questo, non credi?” commentò con un mezzo sorriso ironico che, però, parve provocare nel legale una reazione opposta poiché l’autocontrollo che ancora faticosamente deteneva si sgretolò da cima a fondo, rivelando copiose lacrime che sprizzarono giù dalle sclere.

“Iwa-chan” riuscì solo a guaire prima di collassare fra le braccia dell’uomo, che lo strinse a sé e gli vezzeggiò dolcemente i capelli.
“Mi sono fatto coinvolgere troppo” farfugliò a stento fra i singulti, seppellendo il capo nel collo di Hajime.

Iwaizumi però, di tutt’altro avviso, scosse energicamente la testa.

“Ognuno di noi ha il diritto di crollare. Non puoi essere costantemente perfetto, per quanto tu lo voglia”

Oikawa emise un fioco grugnito imbronciato e Hajime gli scoccò un bacio sulla tempia, trattenendo un sorrisetto.
“Non sei mica una macchina. E anzi, meno male che non lo sei. Che gusto ci sarebbe a toccare del metallo quando ho a disposizione questo” osservò in maniera allusiva, lasciando scivolare la mano premuta sul dorso fino a palpargli giocosamente il fondoschiena, ridacchiando del suo pigolio oltraggiato.

Ciononostante fu probabilmente la strategia migliore da mettere in atto, poiché i singhiozzi di Tooru si placarono gradualmente.

Sollevando timidamente la testa, mostrò il labbro tremolante e le guance bagnate, contornate dai grandi occhi rossi e i goccioloni alle narici.

“Certe volte mi domando cosa farei se non mi fossi accanto” mugugnò, circondando con le braccia il collo di Iwaizumi.
“Sei forte, lo sai. Riusciresti ad andare avanti comunque”

Il viso del legale si corrucciò.

“Mi sembrerebbe di annegare senza di te”
Il moro sfregò il naso contro la sua mascella.
“Te l’ho già spiegato. Non puoi fare mica tutto da solo”

Tooru tirò su con il naso e nonostante fosse un’azione innegabilmente disgustosa strappò ad Iwaizumi un sorriso.

“Dai, smettila di piangere adesso. Sei troppo carino per rovinarti il viso con tutte queste lacrime” snocciolò tamponandogli le gote.
Tooru allargò le palpebre e si lasciò sfuggire uno squittio imbarazzato.
“L’abbiamo detto prima, no? Oggi niente finzioni” ribadì il moro, avvolgendo nuovamente il volto ancora umido di Oikawa e posando le labbra sulle sue.

Tooru rispose al bacio come se ne valesse della propria vita, infondendovi un disperato bisogno di vicinanza, intimità e comprensione.  
Serrò la presa sulle spalle di Hajime, il quale cercò di suggere per quanto possibile ogni traccia di logorata sofferenza dal corpo e dall’essenza di Oikawa.

“Sei la mia roccia, Hajime” mormorò, non appena il mancato apporto di ossigeno ai polmoni lo costrinse suo malgrado a troncare il contatto.
“Lo sei sempre stato” aggiunse flebilmente con un’espressione talmente vulnerabile da togliere il fiato.
Iwaizumi non resistette all’impulso di afferrarlo e spalmarselo addosso, baciandolo finché sul viso non rimanesse altro che la deliziosa espressione scompigliata e arrossata di cui tanto amava compiacersi.

Un importuno squillo acuto, però, li interruppe forzatamente.

Tooru sospirò stancamente, disgiungendosi dal moro e sfregandosi rapidamente le guance con la manica della giacca, accettando il fazzoletto offertogli da Iwaizumi.
“Si nota che ho pianto? Ho la voce nasale?” chiese concitatamente mentre acchiappava il cellulare dalla tasca.
“Ti trema un po’, fai un bel respiro e calmati” suggerì Hajime, prendendogli la mano e stringendola.
Tooru gli rivolse un’occhiata pregna di gratitudine.

Spese qualche attimo a inalare profonde boccate d’aria, ricambiando il confortante tocco di Iwaizumi.
Dopodiché, accettò la chiamata senza ulteriori tentennamenti.

“Salve Irihata-san!” trillò con disinvoltura.
“Nessun disturbo, sono uscito dal tribunale parecchi minuti fa!” continuò allegramente, come se non avesse le sclere ancora infiammate per le troppe lacrime versate.
Come se non fosse appena stato vittima di un crollo mentale.
Come se si fosse trattato di uno scherzo e lui non avesse mai cessato di impersonare l’impeccabile Oikawa Tooru.

Strinse un’ultima volta la mano di Iwaizumi prima di allontanarsi di qualche passo, proseguendo la conversazione e ascoltando probabilmente i complimenti che il direttore dell’Aoba Johsai gli avrebbe rivolto a nome dell’intero studio.


Tobio… non capiva.

Possedeva due occhi, due orecchie e un cervello ricolmo di neuroni.
Era perfettamente in grado di assimilare un concetto, per quanto contorto e ostico.

Eppure, si rifiutava di comprendere.

Paragonando la sua materia grigia a un apparecchio elettronico, si sarebbe potuto affermare che il sistema operativo fosse completamente andato in tilt.
Non si trattava però di un semplice bug, bensì la compromissione dell’intera scheda madre.

Gli input giungevano rapidi e impazziti ma il sistema era impossibilitato ad emettere output.

Perché colui che aveva appena osservato…

Non era Oikawa.

Certo, indossava i suoi connotati, il suo timbro vocale e la sua corporatura.

Ma non era Oikawa Tooru.
Non l’Oikawa Tooru che intendeva lui.

Doveva…
Doveva trattarsi di un errore.

Lui…

Oikawa-san era…

Oikawa-san non crollava.
Oikawa-san vantava una smisurata fiducia in se stesso.
Oikawa-san si affidava unicamente alla sua persona.

Oikawa-san non era debole.

Era il più forte, la persona più granitica e ammirevole che conosceva e…

Non si sarebbe mai azzardato a comportarsi in maniera analoga!!!

Non era quel… quel patetico, lacrimevole uomo apparsogli davanti!

Lui non…


“Non ti sei mai soffermato sul fatto che la tua opinione non sia l’unica che conta?"


“Io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo, ma ognuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto”



Lui…
L’uomo di cui aveva testimoniato le azioni…


Era una persona normale.


Oikawa Tooru…

Non era un dio.


“È fottutamente… perfetto”
“Tu che dai del perfetto a un altro essere umano?”
“Non è un essere umano, ti ho detto che è su un altro livello”



Non si distaccava dal resto dei comuni mortali.

Era una persona con…

Con sentimenti e stronzate del genere.

Era una persona qualunque.

L’Oikawa Tooru che immaginava…


“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”


Non…

Esisteva.


Credette di percepire un suono stridente provenire dagli anfratti della sua mente.
Il rumore di un vetro violentemente spezzato.
L’essenza onirica di Oikawa… in frantumi.
Perduta per sempre.


L’Oikawa Tooru che credeva di conoscere risiedeva in un’astrazione… mai concretizzatasi.

La realtà gli era stata spiattellata proprio davanti agli occhi con anni e anni di spaventoso ritardo.
La sua sconfinata e ossessiva ammirazione… si era rivelata una mera finzione.

Oikawa era…

Non si accorse della profondità con cui aveva inconsapevolmente conficcato le unghie nella carne dei palmi, avvertì solo minuscole goccioline dense solcargli la pelle per poi disperdersi in una pioggerellina cremisi e piombare sul terreno.

Oikawa era un debole.

Esattamente come chiunque sul quel fottuto pianeta!!
 
Un debole.

Un debole…


“Tutti hanno il diritto di crollare, Tooru. Non puoi essere sempre perfetto, per quanto tu lo voglia”


Non era vero!!!!!!!!

Non
Era
Vero!

A lui tutto quello non importava, non nutriva assolutamente N U L L A per le persone che lo circondavano e se provava qualcosa non voleva provarlo!

Bramava soltanto la perfezione, divenire un essere intoccabile, distante e distaccato, maestoso e indipendente come…

Come…

Si accasciò a terra, abbandonando il peso della schiena contro il lampione nero che rischiarava le mattonelle grigie.

Come presumeva fosse Oikawa-san.

.  .  .

.  .  .

Tobio…

Si era costantemente rapportato a qualcuno che in realtà non esisteva.

La certezza che Oikawa-san condividesse la natura della sua forza non aveva mai vacillato.

Si era sempre convinto di trovarsi nel giusto… poiché ovviamente Oikawa-san non poteva essere da meno.

Tuttavia, Oikawa-san aveva rivelato un’essenza assai differente, una disuguaglianza tale da provocargli una terrificante ondata di nausea accompagnata da un moto di vertigine, perché…

Oikawa-san…


“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?”

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici”



Oikawa-san somigliava a Hinata.


Si nascose il viso fra le mani, assalito da un tremore febbricitante in ogni singola parte del corpo.

La bomba a orologeria celata nei meandri del suo inconscio, posizionata dietro quella porta blindata pericolosamente cigolante… era finalmente esplosa in un boato catastrofico.

Quel sottile e delicato filo di ragnatela che lo legava all’idea della razionale infallibilità, resistendo stoicamente a ogni brusco strattone…
Era stato facilmente reciso.

Oikawa non aveva finto.

Probabilmente non aveva mai nemmeno simulato empatia con i suoi clienti, diversamente da ciò che Tobio aveva sempre supposto.

Incrollabile dinanzi al mondo…
E assurdamente fragile nel privato.

Privato.

Tobio aveva peccato di superbia ritenendo di conoscere il suo senpai dentro e fuori l’ambito lavorativo.

Aveva pensato che…
Aveva sperato, anzi, che la vita di Oikawa fosse affine alla sua.
Che esistesse al mondo un essere umano che potesse giustificare il glaciale schematismo che imperniava il suo io e approvasse il fervente motto per cui la forza non necessitasse alcun affidamento esterno.


“Certe volte non so cosa farei se non mi fossi accanto”


Che razza di idiota era stato.

Stupido.

Stupido, stupido, stupido.

La nozione stessa di “forza” fino a quel momento reputata sacra si infranse integralmente, dissolvendosi in evanescenti granelli di pulviscolo.

Hinata aveva sfidato le sue certezze immutabili.

Era stato in grado di scuotere le sue fondamenta, puntellando abbastanza in profondità da permettergli d’intravedere uno squarcio sconosciuto di se stesso.
Per la prima volta, quello scricciolo rosso gli aveva mostrato con sommo sconvolgimento la possibilità di esprimere una forza in maniera diversa.

Quei sorrisi che Tobio aveva desiderato polverizzare barbaramente, non racchiudevano un’irritante ingenuità…

E Oikawa Tooru gli aveva assestato il colpo di grazia.


“Non so nemmeno come abbia fatto a sorriderle dopo tutto quello che ha dovuto sopportare”
“Sei stato forte per entrambi”



Sorridere, camuffando il proprio malessere… per incarnare la forza da regalare a qualcuno.


“Lei… non è felice, Kageyama-san?”


Dinanzi a tali stravolgenti rivelazioni…

Chi era, il vero debole?



“Stai bene?”

Il sussulto di Tobio fu talmente vigoroso da provocargli un mezzo infarto.

Un rumore sordo fu il primo dettaglio che percepirono i suoi timpani, precedendo il dolore cocente che gli pervase il cranio a causa dell’impatto con il metallo del lampione per aver sollevato di scatto la testa.

“Merda, scusa non volevo spaventarti”

La prossimità della voce profonda di Iwaizumi lasciava intendere una posizione accovacciata, presumibilmente per accertarsi che il ragazzo seduto sul terreno non si fosse fracassato il cervello.

Tobio scosse cautamente il capo mentre si pressava i palmi sulla nuca.

Era troppo scioccato anche solo per spiccicare parola.

“Sei Kageyama, vero?

Tobio sbatté le palpebre, focalizzandosi sul viso dell’uomo.

Cercò di mettersi lentamente in piedi, avvertendo un lieve capogiro ma sorreggendosi sul fottuto palo della luce con cui stava per perdere ogni briciolo di materia grigia rimastagli, rifiutando il braccio del moro che prontamente si accostò a lui.

“Scusa ancora, è che… ti ho visto seduto qui, immobile, e ho pensato ti sentissi male”

“Io…”

Si schiarì la gola, cercando di camuffare il tono rauco.

“Volevo complimentarmi con Oikawa-san” riuscì solo a biascicare debolmente.

Gli occhi verdi di Iwaizumi si allargarono sorpresi, non rivelando però tracce di circospezione.
“Oikawa al momento sta parlando al telefono, dovrebbe terminare a momenti…”

“Iwa-chan!”

Il provvidenziale trillo del legale sopraggiunse alle orecchie dei due uomini per poi congelarsi di colpo.
L’espressione stanca abbandonò repentinamente i suoi lineamenti in favore di una parecchio scocciata.

Tobio-chan? Che ci fai qui?” domandò in un’intonazione pericolosamente acuta, avvicinandosi  al fianco di Iwaizumi.
“Non è un tantino tardi per vagabondare nei pressi del tribunale? Fai gli straordinari anche a quest’ora?”

“Oikawa” lo ammonì il moro con un’occhiata, distanziandosi però di qualche passo da Tobio.
“Kageyama è qui solo per un motivo” spiegò, scoccando al corvino uno sguardo che sottintendeva un tacito incoraggiamento.

Totalmente scombussolato, come sotto il pesante effetto di qualche allucinogeno, Tobio non sapeva il modo in cui comportarsi.

Aveva tallonato Oikawa-san con l’intenzione di congratularsi…
Per assistere all’infrangersi inevitabile delle uniche certezze della sua vita.

“I-io… volevo solo…”

Gli occhi bruni e lievemente arrossati di Tooru si assottigliarono e iniziò a battere impazientemente il piede.

“Volevo farti i complimenti. Per… per la vittoria, intendo”

A tali parole, Oikawa sembrò sinceramente colto alla sprovvista.

Mi sta prendendo per il culo?” fu il primo razionale pensiero che gli balenò in mente.
Però…

Studiando l’espressione spaesata e quasi sciocca che Tobio gli stava rivolgendo, si sentì di escludere un possibile gesto di beffa.
“Sei serio? Sei venuto appositamente qui solo per dirmi questo?” lo provocò, ignorando il cipiglio di rimprovero indirizzatogli da Hajime.

Tobio avvertiva distintamente ogni singola, sgradevole goccia di sudore freddo solcargli la spina dorsale.
Trattenere il febbrile tremito delle mani, che parevano muoversi a piacimento rispetto alla sua volontà, diventata sempre più difficile.

Nonostante fosse in balia del collasso nervoso peggiore della sua intera esistenza, l’intenzione con cui si era recato fin lì era…

“Solo per questo” mormorò, non riuscendo a ricambiare il suo sguardo penetrante.

Tooru sbatté le palpebre.

Era… davvero sincero, quel mocciosetto.

“E allora perché sembri così spaventato? Guarda che non ti mangio mica” lo canzonò di gusto.

“Oikawa ti ringrazia, Kageyama. Scusalo, è stanco e al momento non ci sta molto con la testa” si introdusse Iwaizumi, fingendo di non udire l’indispettito “Iwa-chan!”.

Tobio era ufficialmente giunto al limite.

Sebbene fosse lui a possedere l’altezza più imponente, sentiva le due presenze davanti a sé incombere come orripilanti giganti.

Aveva bisogno di urlare a squarciagola, vomitare la bile costretta nello stomaco…

“Con permesso” si congedò frettolosamente, arrischiando una celere occhiata in direzione dei due uomini…

E gli unici particolari su cui riuscirono a posarsi le sue pupille furono il rossore che ancora attorniava le sclere di Oikawa e l’intima vicinanza che i rispettivi corpi sembravano condividere, capace di abbattere ogni sorta di sterile spazio personale.

Doveva andare via.
Via, via, lontano da tutto.

Lontano da quella visione che gli ricordava prepotentemente che lui, il perfezionista Kageyama Tobio…

Aveva sbagliato.
Aveva sbagliato proprio tutto.

Su Oikawa-san e, si rese conto con spasmodico sgomento…

Su Hinata.




“Certo che aveva fretta” commentò Hajime, perdendo di vista la sagoma del corvino che sfrecciava ormai distante.

Tooru scrollò le spalle.

“Chissà che gli girava per la testa” borbottò disinteressato, avvolgendo le braccia attorno al bicipite di Iwaizumi e appoggiando la testa sulla sua spalla.

“Pensavo avresti reagito peggio” osservò il moro, strofinando il naso tra i capelli morbidi di Oikawa e piantandovi un leggero bacio.

Tooru sbuffò stizzito.
“Non si merita il mio scherno in un momento come questo”

“Io ho avuto l’impressione che, in fondo, ti abbia fatto piacere”

Tooru si districò da Iwaizumi, increspando la fronte in un broncio petulante e incrociando ostinatamente le braccia al petto.

“Per nulla. Per quale motivo avrei voluto l’approvazione del mio odiato kohai? Se sparisse per sempre dalla mia vista mi farebbe un favore”

Cercò di rimane impassibile allo sguardo di scettica condiscendenza proveniente dall’uomo accanto a lui… per poi emettere un sonoro lamento spazientito.

“E va bene! Forse un pizzichino non mi dispiace, ma solo perché significa che Tobio-chan mi idolatra e non riesce a superare il suo maestro!” esclamò con tono drammatico.
“Può ammirarti ugualmente pur continuando a volerti sorpassare” gli fece notare Hajime ma Tooru scosse la testa, fingendo di non sentire.
“Basta parlare di lui! È stata una giornata infinita e io sono stanco e sopraffatto da tante emozioni diverse” si lamentò con una smorfia.

Un occhio scrupoloso, tuttavia, avrebbe potuto cogliere in quell’espressione insofferente una preponderante sfumatura di vulnerabilità.

Hajime gli circondò la vita con i possenti bicipiti, pressando il torace contro la sua schiena.

Inclinando la testa, baciò la striscia di pelle scoperta dal colletto della camicia su cui dimorava la catenella appartenuta a Hasegawa Misato, adesso parte inconfutabile di Oikawa Tooru.

“Torniamo a casa”











Note finali: pensavate che non mi avreste più vista su questi schermi… e invece vi sbagliavate!
Mamma mia, l’attesa per questo nuovo capito è stata (finora) la più lunga dagli esordi della storia.
È stato un anno piuttosto intenso, purtroppo ho avuto qualche problemino di salute e non ho fatto altro che studiare… ma ne è valsa la pena, dato che a novembre mi sono laureata👩🏽‍🎓.
E, dato che non avrò nulla da fare per qualche mesetto, ho tutto il tempo da dedicare alla conclusione di questa storia che ormai mi accompagna da parecchio tempo.
Ho già pianificato altri due capitoli, di cui il quindicesimo sarà un epilogo.

Tooru è finalmente entrato in scena!
Vi giuro, ho aspettato questo momento da quando ho iniziato a scrivere nel lontano 2017, spero di aver reso al mio bimbo preferito abbastanza giustizia.

Ci tengo nuovamente a sottolineare che non sono assolutamente un’esperta in materia legale, quindi se notate qualche incongruenza non odiatemi troppo.  

Che dire di più, ringrazio voi lettrici e lettori, chi è stato con me fin dagli inizi, chi è arrivato a metà strada e chi si è aggiunto da poco, regalandomi un affetto che mai mi sarei sognata.
Oggettivamente non so quanti ancora avranno voglia di leggere questa storia dato che viene aggiornata in maniera sporadica e discontinua ma vi prometto che a breve sarà conclusa, farò del mio meglio! Soprattutto perché, ripeto, al momento sono ufficialmente libera (alias neolaureata e felicemente disoccupata).

Ci sentiamo presto🍀
Un bacio grande.

Ps. Nel lontano ottobre 2020 chiedevo quale fosse il metodo migliore per comunicare con voi… ma non ho trovato soluzioni. Nel frattempo però mi sono iscritta a Twitter anche se, nonostante sia passato un anno, non ho ancora capito come usare, difatti non ho mai twittato il resto di niente.
Vedrete solo retweet delle mie attuali ossessioni: danmei, bl, mxtx, bingqiu, thousand autumns… e ancora danmei.
Siete avvisati.


 

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Capitolo 14
*** XIV. I discovered the Sun... inside me ***



XIV

I discovered the Sun…
inside me





Bip…

Bip…

Bip…

Bip.

La flebile sinfonia cadenzata proveniente dal monitor di frequenza cardiaca opprimeva lo spazio racchiuso dalle sterili pareti bianche al pari di un’orchestra di ottoni.
L’apparente stasi rotta era periodicamente dall’affannato ansare dei pazienti, appigliati strenuamente alla mascherina dei ventilatori polmonari.

Se il pronto soccorso aveva rappresentato la causa principale del suo precoce esaurimento nervoso, la terapia intensiva non era poi molto lontana da quella realtà.

Sospirando tenuemente, Suga si fece strada lungo i corridoi soffusamente illuminati, progettati per cullare i residenti del reparto in un’illusoria atmosfera accogliente.
Peccato che la maggior parte di essi fosse totalmente incosciente.

Un caschetto biondo miele sbucato da una stanza laterale catturò la sua attenzione.

“Yacchan”

I movimenti della ragazza si arrestarono e gli occhi bruni si piantarono sul volto pallido del collega.

“Com’è la situazione?”

L’espressione già grave di Hitoka assunse una sfumatura cinerea.

“Male, Suga-san”

Violenti colpi di tosse turbarono il sottofondo altresì quieto.

“Ha ormai perso completamente la funzionalità urinaria e la febbre si ostina a non scendere”

Il respiro di Suga divenne pesante.

“Hanno iniziato le cure palliative, credo che nel giro di qualche giorno…”

Si interruppe, scoccando al senpai uno sguardo tristemente eloquente.

Koushi si passò stancamente una mano fra le ciocche argentee.

“È stato Hinata-kun a ordinare la sospensione dei farmaci” aggiunse sommessamente, provocando in Suga un guizzo sorpreso.

Uno sbuffo privo di gioia gli torse i lineamenti.

“Sta imparando, nonostante tutto”



 
***



“Hinata-sensei, Hirumi mi ha rubato di nuovo i pastelli!”
“Ehi, non è vero! Li ho solo usati mentre dormivi!”
“Fa lo stesso! Li hai presi senza permesso!”
“Non è giusto, a Kaoru-chan li presti sempre quindi perché a me no??!”
“Perché Kaoru-chan è gentile e carina, tu no” ribatté la bimba con sagacità, facendogli la linguaccia.

Le guance di Hirumi si tinsero di scarlatto.

“Sarai carina tu con tutte quelle macchie sopra il naso!”
Ryoko emise un oltraggiato strepito acuto.
“Sono lentiggini, ignorante che non sei altro! E per tua informazione sono carinissime, la mamma me lo dice sempre!”
“Certo, tua mamma ti direbbe anche che hai un bel carattere” commentò stizzito Hirumi.
“Anche Hinata-sensei dice che sono belle” aggiunse Ryoko con un ghigno soddisfatto.
“Non è così, Hinata-sensei?”
“Non mi interessa se tutti dicono che sono belle, sei solo un’antipatica che non fa altro che…”

“Hirumi-chan, Ryoko-chan, basta così”

I due bimbi si zittirono all’istante e voltarono il capo all’unisono.

“Ma io…”
“È stata lei che…”

“Silenzio”

Era piuttosto insolito che il medico si rivolgesse ai suoi giovani pazienti con tono tanto intransigente e ciò li spinse senza ulteriori esitazioni, loro malgrado, a chiudere obbedientemente la bocca.
Nemmeno un miracolo avrebbe però potuto impedire lo scambio di occhiatacce reciproche.

“Karou-chan sta dormendo, non vedete?”

Due paia di occhi imbronciati si spostarono sul lettino su cui riposava una piccola figura accoccolata su se stessa, una bambola dai lunghi capelli biondi stretta al petto.

Allargando gli occhi, Ryoko si tappò immediatamente le labbra con le mani, seguita da Hirumi che mormorò un contrito “Non ce ne eravamo accorti…” a testa bassa.

Shoyo esalò stancamente.

“Non fate quelle facce, su. Cercate solo di fare piano, va bene? E di non litigare per delle sciocchezze”
“Ma Hirumi ha…”
Ryoko. So che i pastelli sono tuoi ma li presti sempre a tutti i bimbi che conosci. Non credi di poter fare questa cortesia anche a Hirumi-chan?”

La bambina si mordicchiò il labbro, scoccando un’occhiata in tralice al compagno che ricambiò il cipiglio imbronciato.

“E va bene” spillò con enfasi, come se quelle parole gli fossero state forzatamente trascinate dalle gola.
“Ma la prossima volta deve chiedermi il permesso prima di usarli!”

“Certo, si domanda sempre prima di usare qualcosa che non è tuo, vero Hirumi-chan?”

Il bambino preferì non incrociare lo sguardo del medico, conscio del velato rimprovero, mugugnando soltanto un fioco “Vero”.

Un tiepido sorriso arricciò le labbra di Shoyo.

“Pace fatta?”

I due bambini si fissarono, iridi cerulee contro onice, per interminabili istanti prima di annuire con una serietà talmente solenne da strappare finalmente al medico un risolino silenzioso.

“Andate a riposare adesso, tra poco spegneranno le luci per la notte”

Hirumi si arrampicò sul suo lettino mentre Shoyo prese in braccio Ryoko e la depositò con cura sulle coperte, premurandosi di carezzare lievemente il moncone destro.

“Non vedo l’ora che sia domani Hinata-sensei, mia sorella ha promesso di portarmi un bellissimo regalo” sussurrò eccitata la bambina, fomentando inavvertitamente la curiosità del compagnetto.
“Ci giocheremo tutti insieme?” chiese sommessamente dall’altro lato della stanza, sfoggiando la migliore espressione pietosa del suo repertorio che, nonostante tutto, fece breccia nell’implacabile bambina.  
“Forse, se sarai carino con me” controbatté imperiosa, eppure Hinata giurò di poter cogliere una malcelata nota d’affetto.

Trattenendo un ghigno, approfittò di quell’attimo di tregua per congedarsi.

“A domani bambini, dormite bene” mormorò dopo aver accarezzato dolcemente le testoline di entrambi.

“Ti aspettiamo tutti qui per il solito controllo!” esclamò a bassa voce Hirumi.

Il lieve sorriso adagiato sul volto di Shoyo si congelò.

I suoi occhi nocciola dardeggiarono verso l’angolo sinistro della stanza.

Un materasso intonso, immacolato… ferì brutalmente il suo campo visivo.

Un lettino… che non avrebbe dovuto essere vuoto.

“Ti aspettiamo tutti”

. . .

Tutti.

Sì, avrebbe tanto desiderato che fossero tutti lì ad aspettarlo.

Tutti e quattro i suoi…

Soffocando un miserabile verso strozzato, si affrettò ad abbandonare la stanza.

II consueto sorriso brillante non reggeva più alla fragilità del suo cuore frantumato.



 
***



“Sapete dov’è Hinata? Da orario avrebbe dovuto essere in reparto ma non l’ho trovato… non c’è nemmeno nel suo studio privato”

Narita scosse la testa.

“Non l’ho visto uscire in anticipo e stamattina non ero di turno, quindi non so dirti”

“Si sarà nascosto in qualche sgabuzzino a dormire considerata la mancanza di sonno di cui chiunque in questo maledetto ospedale è affetto” bofonchiò Tsukishima, spingendo gli occhiali quadrati sul lungo naso.
“E perché mai infilarsi in un minuscolo ripostiglio quando in reparto ha la sua brandina personale?” obiettò Nishinoya, stravaccato con nonchalance sul divanetto della caffetteria, cieco alle occhiatacce periodicamente indirizzategli da Ennoshita.
“Perché lì sarebbe stato facilmente disturbato” replicò Kei con ovvietà.
“Non credo che Shoyo sia il tipo da ignorare i suoi doveri lavorativi” osservò pacatamente Yamaguchi.

“È esattamente il motivo per cui sto tentando di capire dove sia. Il suo turno iniziava questa mattina alle otto ma sembra essere sparito nel nulla a partire dalla pausa pranzo” spiegò Suga.

“Io l’ho adocchiato in ascensore nel pomeriggio mentre trasportavo il carico giornaliero di biancheria, non so se può essere utile” li raggiunse dal balcone la voce di Asahi tra una boccata e l’altra di fumo.

“Piuttosto, perché lo stai cercando?”

Koushi si umettò le labbra.

“Vorrei accertarmi che… non si stia sovraccaricando di lavoro” li informò un po’ ambiguamente.

“Anche se fosse, dubito che potrai distoglierlo da quello che si è messo in testa” snocciolò Tsukishima senza sollevare gli occhi dai documenti che stava visionando.
“Dovresti sapere quando abbandonare una causa persa”
“Vorrei evitare di incoraggiarlo, se possibile” sibilò l’infermiere a denti stretti, infastidito dall’implicazione del collega che si limitò a scrollare le spalle.
“Credo ti stia preoccupando più del dovuto, Suga-san. Hinata non è un bambino, è perfettamente in grado di badare a se stesso” deliberò aspramente.

Koushi non replicò.

Razionalmente parlando, sapeva che Tsukishima non avesse del tutto torto.

Solo che…

“Hitoka-chan!”

La briosa voce di Tadashi salutò l’ingresso della minuta ragazza bionda, che contraccambiò con un sorrisetto dolce.
“Ho finito in anticipo, ti stavo aspettando per tornare a casa” la informò allegramente.

“Uuuuh, avete un appuntamento romantico stasera?” tubò Yuu, arcuando maliziosamente le sopracciglia.
“È da settimane che aspettiamo l’occasione di far combaciare i nostri turni… quindi sì, stasera abbiamo programmi” rispose a tono Yamaguchi, pur combattendo per reprimere il rossore delle guance.
“Non invitate il caro Tsukki a unirsi a voi?” gongolò Noya ignorando l’occhiata assassina dell’interessato, tuttavia la vena di sarcasmo non fu colta da Tadashi che rivelò con nonchalance “Gli ho proposto altre volte di venire con noi ma ha sempre rifiutato” che ebbe l’effetto naturale di scatenare ancor più l’ilarità di Yuu e, suo malgrado, di Narita.

Estraniandosi dalla comica scenetta, Suga si rivolse alla nuova arrivata.
“Yacchan, per caso hai…”

“Sono stata con Hinata-kun fino a poco fa”

Il viso dell’infermiere si contornò d’apprensione.
“E dove…”

“In terapia intensiva. Ha trascorso lì tutto il pomeriggio” gli confidò mestamente.

Non fu necessario indagare oltre.

La fronte pallida di Koushi si aggrottò, mimando visivamente l’inevitabile torcersi del suo cuore, gonfio di impotente angoscia.



 
***



“Shoyooo! Noya, Narita e io stiamo andando a bere qualcosa! Domani è il tuo giorno libero, no? Vieni con noi!”

L’entusiasmo contagioso ma fin troppo rumoroso di Tanaka fu accolto da occhiatine truci da parte dei colleghi che transitavano lungo il corridoio.

L’oncologo si grattò distrattamente i folti capelli rossi.

“In realtà… non ho ancora terminato per oggi e…”

“Ho già controllato i tuoi turni con Daichi-san, oggi finisci alle sette. Non hai scuse” gongolò soddisfatto Ryuu.
“E poi” aggiunse celermente, cogliendo l’evidente esitazione di Hinata “Hai tutta l’aria di uno che ha proprio bisogno di staccare la spina”

Hinata trattenne a stento un sospiro sfibrato.
Si sforzò di arricciare le labbra in un sorrisino dispiaciuto.

“Ti ringrazio Tanaka-san, ma non ne ho molta voglia”

“Dai Shoyo non farti pregare, da quanto tempo non esci con noi? Noya inizia a sospettare che non ci trovi più fighi” proclamò con ostentata offesa.

“Lo sai che non è così…”

“E allora daiiii, vivi un pochino!” saltò su allegramente, avvolgendogli le spalle e trascinandolo in avanti.

Per sua sorpresa però, Hinata oppose una considerevole resistenza.

“Davvero, questa sera non posso”

Il magazziniere lasciò la presa e lo fissò con un’espressione sinceramente spaesata.

“Non avrai mica intenzione di fare nottata qui?” ironizzò, rimanendo tuttavia a bocca aperta non appena si accorse della serietà impressa nei lineamenti del medico.

“Shoyo, non credo che sia…”

“Non preoccuparti Tanaka-san, lo sai che sono sempre pieno di energie” lo interruppe però Hinata con un sorrisetto apparentemente complice.
“La prossima volta ti prometto che sarò dei vostri, Noya-san mi deve ancora due birre” scherzò affabilmente.

Sebbene la vista del solito spumeggiante Hinata riuscì a tranquillizzare parzialmente Ryuu, non fu sufficiente a eradicare del tutto il senso di ignota inquietudine gorgheggiante nel suo stomaco.



 
***



“Per oggi abbiamo terminato bambini! Ci vediamo domani con il seguito delle avventure di Dino il dinosauro!”

Un vivace parlottio seguì le parole di congedo della maestra e una decina di bimbi si alzò allegramente dalle sedioline che contornavano i tre tavoli rotondi al centro della stanza, saltellando verso l’uscita.   

Solo una bambina non si mosse, apparentemente immersa nella composizione di un puzzle colorato.

“Kaoru-chan, stai aspettando qualcuno?” le chiese gentilmente la donna dopo aver riordinato la classe, accovacciandosi accanto a lei.

“Mmh-mmh. Hinata-sensei mi viene a prendere per fare un controllo” la informò con un notevole cipiglio, intenta a far combaciare due pezzi particolarmente complicati.

Le sopracciglia della maestra guizzarono verso l’alto.

“Hinata-sensei? Ti ha dato un orario preciso per caso?”
Kaoru scosse la testolina.
“Mi ha detto solo di aspettarlo qui in classe”
“Dato che non è ancora arrivato rimango qui a…”

“Kaoru-chan, scusa il ritardo!”

Una voce trafelata li raggiunse dalla soglia, dove svettava una piccola figura in rosso.

“Buongiorno, Chisato-san! Scusami per averti rubato del tempo, mi sono trattenuto a parlare con i genitori di un bambino del reparto” spiegò unendo i palmi e inclinando il capo.
“Ma figurati, sono rimasta appena qualche minuto in più” rispose conciliante la maestra, per poi esclamare “È stato un caso fortuito beccarti oggi. C’è una cosa che devo darti”

Shoyo le lanciò uno sguardo interrogativo ma Chisato gli voltò le spalle e iniziò a frugare nella borsa da lavoro, sparpagliando sulla cattedra libriccini di fiabe e raccoglitori decorati.

“Pronta ad andare, piccolina?” si rivolse a quel punto alla bambina che sollevò finalmente la testa dalla sua opera d’arte, i grandi occhi scuri improvvisamente colmi di timore.

“Mi infileranno nella scatola con quei rumori spaventosi?” domandò con voce tremolante.
“Assolutamente no, niente risonanza magnetica. Oggi guarderemo il tuo torace con il gel trasparente” le rispose prontamente Shoyo, rassicurandola a vista d’occhio.
“Quello strano gel però è freddo” gli fece notare la bimba arricciando il naso.
“E la cosa che me lo spalma mi fa il solletico”
“Però in fondo ti diverti quando a farti il solletico sono io, non è vero?” scherzò Hinata con un sorrisetto eloquente e al “Non è vero!” della bambina le si avvicinò allungando minacciosamente le mani.
Karou scattò subito in piedi gridando divertita “Nooo, non mi prendi Hinata-sensei!” prima di sparire nel corridoio con un ultimo “A domani, Chisato-sensei!”

“Aspettami Kaoru-chan” rise Shoyo e si apprestò a  rincorrerla fuori dall’aula quando fu intercettato dalla voce della maestra.
“Aspetta anche tu, Shoyo-san”

Sollevò dalla cattedra una carpetta colma di fogli colorati e si avvicinò all’oncologo.

“Mentre l’altro giorno sistemavo i disegni dei bambini, sono incappata in uno che deve essermi sfuggito un paio di mesi fa”

Estrasse delicatamente un foglio lievemente spiegazzato.

“Ho consegnato tutto il suo materiale didattico ai genitori… ma hanno detto che questo potevi tenerlo tu” sintetizzò porgendoglielo.
“E sono certa che ti farà molto piacere” aggiunse con un lieve sorriso.
   
Le iridi nocciola di Shoyo si posarono sul disegno e, prima ancora che potesse afferrarlo, le mani gli si bloccarono a mezz’aria.

Trascorse qualche istante prima che, meccanicamente, riuscisse a reggerlo fra i palmi tremanti.

Inizialmente fu arduo distinguere i soggetti rappresentati in quella folla di figure che macchiavano il biancore con le loro tinte sgargianti.

L’elemento più riconoscibile era sicuramente il quadrato giallo sulla destra su cui svettava lo sbilenco ideogramma scuola.
Accanto al presunto edificio un folto gruppo di omini magrolini affollava quello che probabilmente rappresentava il cortile e, dai loro tratti scanzonati, sembravano divertirsi parecchio.

Le figure di maggior rilievo però erano due, allocate sul lato sinistro del foglio.

Un corpicino con un cappellino blu in testa e una macchia colorata sulla schiena, presumibilmente uno zaino, teneva un braccio puntato verso la folla e l’altro dietro di sé, la manina estesa verso un secondo individuo, alto e rivestito di bianco.
Una massa di rosso gli riempiva la testa.

“Credo proprio volesse descrivere il suo primo giorno di scuola”

La voce della maestra Chisato sopraggiunse in lontananza, completamente ovattata.

“Ha disegnato altri scenari in cui si trova assieme alla famiglia, ma questo è l’unico in cui ha dipinto se stesso in un atto futuro… includendo anche te”

Le labbra di Hinata rimasero serrate.

Si impegnò per non serrare i pugni attorno al foglio rischiando di sgualcirlo.

La mano del bambino ricercava l’attenzione della figura rossa, forse per conforto o solo in segno di saluto.
Sembrava volergli gridare orgogliosamente “Guardami, ce l’ho fatta! Eccomi nel mio primo giorno di scuola! Alla fine è arrivato anche per me!” mentre dall’altro lato inseguiva il contatto con i nuovi compagni, quasi a urlargli “Ehi, aspettatemi, ci sono anche io con voi!

Ingoiò a vuoto, la saliva ormai prosciugata nella bocca arida.

Una sequela di spasmodiche fitte al petto gli impediva una corretta respirazione.


“Dovresti farli sparire, Hinata”

“Non è consigliabile tenerli”

“Non puoi mica restare attaccato a queste cose in eterno”



“Grazie per il tuo pensiero… Chisato-san” fu in grado di mormorare.

La maestra continuò a sorridere pacatamente, fingendo di non accorgersi dell’inquietante sentimento imprigionato nelle iridi chiare del medico.

Quelle iridi ancorate sul foglio e, in particolare, sul bambino dal cappellino blu.

Il cappellino sulla cui cima svettava un unico ideogramma, distinguendolo dalla restante calca di figure ed ergendolo a protagonista della scena.

Akio.

Accanto a lui, il co-protagonista in rosso altri non era che…

Hinata-sensei.



 
***



“Buongiorno, Sudou-san! Super impegnata come sempre? E ciao anche a te, Ryoko-chan!” esordì allegramente Hitoka.

“Buondì Yachi, di corsa anche oggi” confermò la donna dai corti capelli corvini mentre si affrettava lungo il corridoio spingendo una sedie a rotelle verde fluorescente.
“Yacchan! È da tanto che non vieni a trovarci” ribatté la bambina seduta sulla carrozzina con tono palpabilmente offeso.

La ragazza dal caschetto biondo le rivolse un’occhiata sinceramente dispiaciuta.

“Lo so piccolina, in queste settimane mi hanno assegnata ad altri reparti e non ho mai avuto il tempo di passare”

“Vedi, Ryoko? Ti preoccupi tanto che Hirumi non ti vuole bene per il tuo brutto carattere, ma guarda quante persone tengono a te. Forse il motivo per cui ti fa così spesso i dispetti è un altro” presagì enigmatica Sudou.

La bimba arcuò le sopracciglia, piuttosto perplessa.
“E quale sarebbe?”

Hitoka ridacchiò, intercettando il filo dei pensieri della collega.

“Non è che per caso… ha una cotta per te?”

Ryoko strabuzzò gli occhi chiari.

“Che???! Ma per nulla! Non fa altro che prendermi in giro!”

“Proprio per questo, cara la mia Ryoko” rincarò la dose Sudou picchiettandole la fronte, fermando la carrozzina dinanzi alle porte dell’ascensore.
“Gli uomini sono dei sempliciotti, non sanno trattare con le ragazze e il più delle volte le indispettiscono per attirarne l’attenzione” spiegò saggiamente Hitoka.

“Non mi pare che Yamaguchi-san ti fa i dispetti” osservò Ryoko con una smorfia.

Yachi arrossì selvaggiamente.

“Tu… come…” balbettò confusa, scoccando alla senpai uno sguardo smarrito che ottenne come risposta soltanto una maliziosa risata.

“Tesoro, tutto l’ospedale sa della vostra relazione già da un pezzo. E concordo con la signorina Ryoko, Yamaguchi scodinzola non appena Yacchan appare all’orizzonte… ma si tratta di un’eccezione, tienilo ben a mente!”

Il suono dell’apertura dell’ascensore interruppe per un istante la sua accorata disamina.

“Per i bambini è naturale bisticciare come corrispettivo di affetto” spiegò pragmatica mentre posizionava la carrozzina all’interno.
“E se è vero che Hirumi te ne combina una al giorno…”
“Allora gli piaci sul serio” concluse Hitoka con un sorrisetto.

La bimba aggrottò la fronte con gravità, estremamente concentrata nelle sue mirabolanti congetture, per l’ilarità delle due donne.

Non si vedeva certamente tutti i giorni un esserino così piccolo eppur dotato di testarda intelligenza.

“Ma dice sempre che sono antipatica e che lo tratto male”

“Allora vorrebbe dirti che sei carina e che gli farebbe piacere trascorrere più tempo con te” tradusse simultaneamente Sudou, spingendo la sedia a rotelle fuori dal cubicolo non appena raggiunsero il secondo piano.
“Tu dove vai, Yachi?”
“In realtà sono in pausa, sto raggiungendo Tadashi che è di turno in reumatologia per fargli compagnia. Voi invece…?”
“Abbiamo fatto fisioterapia tutta la mattina e ora andiamo da Kinoshita-sensei per un controllo veloce, giusto testolina?”
Ryoko annuì solennemente.
“Ho quasi imparato a stare in piedi senza appoggiarmi al corrimano”

Hitoka sorrise raggiante e le accarezzò affettuosamente la guancia.

“Sei una vera forza della natura, non c’è dubbio”

“È un osso duro, mai conosciuto un bambino della sua età così determinato” confermò la fisioterapista, fermandosi nella sala d’attesa dello studio ortopedico dove manovrò la carrozzina accanto alla schiera di sedie grigiastre.
“Sei si mette in testa un obiettivo non c’è miracolo vivente che possa distoglierla. Sai quale è stata la prima cosa che mi ha detto quando ha iniziato il percorso riabilitativo? Voglio imparare a correre prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, non è incredibile?”

Hitoka guardò la bambina con profondo orgoglio.

“E la cosa più assurda è che potrebbe davvero farcela, non è così marmocchietta?” scherzò pizzicandole la punta del naso.

“Non mi sorprende più di tanto” osservò Hitoka sopprimendo un risolino al naso ostinatamente arricciato della bimba.
“II suo medico, nonché mentore di vita, è Hinata-kun”
Sudou emise un versetto di approvazione.
“In effetti cosa ci si potrebbe mai aspettare di diverso dai pupilli del raggio di sole del Karasuno?”

“Hinata-sensei sta male per caso?”

L’inaspettata domanda di Ryoko generò un moto di sorpresa nelle due donne, che la fissarono interdette.

“Non viene più ogni giorno nella nostra stanza… e quando lo fa, sembra triste”  

Hitoka ingoiò a fatica l’enorme sconcerto mentre scrutava gli occhi vispi della bambina.

Sebbene il comportamento a dir poco inusuale di Hinata fosse parecchio evidente, la pressante maschera che impediva ai suoi sentimenti di trapelare era ben congegnata.

Che una bimba di sette anni intuisse così facilmente il suo turbamento…

“Cosa posso fare per aiutarlo, Yacchan? Hinata-sensei si impegna tanto per noi quando stiamo male” indagò accoratamente e le sue parole provocarono una dolente stretta al cuore dell’infermiera.

Se solo chiunque di loro avesse potuto fare concretamente qualcosa…

Si inginocchiò davanti alla carrozzina.

“Hai ragione tesoro, ultimamente Hinata-sensei è un po’ giù di morale… ma prometto che si riprenderà in men che non si dica” tentò di rassicurarla.

La bimba tuttavia scosse cocciutamente la testa.

“Non voglio che torni quello di sempre se non si sente bene. Ce lo dice anche Hinata-sensei. La tristezza è un’emozione importante come tutte le altre e per questo va rispettata”

Un velo di gravido silenzio parve susseguire le parole della bambina nonostante il concitato brusio di sottofondo.

“Quando si sta male è normale piangere. Quando si ha paura è normale chiedere aiuto. Quando si è tristi è normale non sorridere” recitò Ryoko come una sorta di mantra.
“Hinata-sensei ce lo ripete spesso”

Prima che Hitoka riacquistasse la prontezza mentale per risponderle la porta dello studio medico si aprì, rivelando un ragazzo con una gamba ingessata e una stampella sotto il braccio accompagnato da un uomo in camicie bianco che gli reggeva gentilmente la porta.

“Oooh, e chi abbiamo qui oggi!” salutò giovialmente Kinoshita appena si accorse della piccola paziente che, fortunatamente, recuperò un’espressione piuttosto cordiale.
“Come stai piccolina?”

“Molto bene, sono piena di energie!”  rispose dondolando eloquentemente la gamba.

“Siamo venute per un controllino di routine. Oggi l’ho strapazzata e, anche se non avverte particolari segni di fastidio, vorrei controllare che sia tutto nella norma. L’ultima visita risale ormai a un mesetto fa” spiegò la fisioterapista.
“Certo Sudou-san, la faccio entrare subito” concordò l’ortopedico che comunicò rapidamente alle persone in attesa l’inserimento straordinario della giovanissima paziente, accolto positivamente all’unanimità.  

“Io vado allora, ci vediamo più tardi” si congedò Hitoka dai colleghi con un saluto della mano.
“E non preoccuparti Ryoko-chan, verrò a trovarti non appena possibile, okay?” promise alla bambina, già pronta ad aprir bocca per protestare.
“Per quando riguarda Hinata-sensei, invece… assicurati di stingerlo forte non appena lo incontri”

Ryoko incrociò i suoi occhi nocciola e, dopo aver metabolizzato il significato delle sue parole, annuì con impressionante fermezza.


Hinata-kun, se solo capissi quanto noi tutti siamo preoccupati per te” rifletté silenziosamente Yachi, voltandosi non appena il gruppetto si chiuse la porta alle spalle.
Se solo ti confidassi e smettessi di sgattaiolare sempre via, forse…

Esalando sconsolata, si incamminò verso l’ala di reumatologia, dove avrebbe trovato Tadashi ad attenderla con un sorrisetto elettrizzato sulle guance.


Non si accorse totalmente che, mimetizzato tra le fila di pazienti in attesa dell’ortopedico, si ergeva un’imponente figura con un berretto nero prepotentemente calcato in testa a cui, nel corso della loro conversazione, non era sfuggito nemmeno un singolo dettaglio.



 
***



Sospirando pesantemente, Hinata strascicò i piedi sulla vecchia rampa di scale, abbarbicandosi sul corrimano fino al secondo piano e armeggiando con le chiavi dinanzi alla serratura.

Un tubare entusiasta accompagnò l’aprirsi della porta, seguito da striduli “Shoyo, Shoyo!” che gli strapparono, suo malgrado, un sorriso.

“Sono a casa, Ai-chan”

I versetti aumentarono di tono fino a trasformarsi in uno starnazzare confuso a cui si sommò il rumore sordo di ferraglia sbattuta.

“Sto arrivando, non ti agitare così o ti farai male” lo rimproverò dopo essersi sfilato celermente le scarpe e aver raggiunto l’imponente voliera tremolante a causa dei colpi ripetuti della cocorita.

Un variopinto manto di piume si levò in volo non appena sbloccò il chiavistello, volteggiando per l’open space prima di posarsi leggiadro sulla sua spalla.

“Tornato, tornato!” gracchiò, beccandogli la guancia.

Shoyo gli accarezzò dolcemente le piume del capo, rilassando i lineamenti in un’espressione tenera.

“Sì, Ai-chan, sono tornato” mormorò, abbandonandosi poi a peso morto sul divano.

Era… semplicemente sfinito.

Ancorò le iridi al soffitto bianco puntellato da qualche sporadica fuliggine.

Lo stomaco avrebbe dovuto contorcersi per la fame, eppure pareva essersi ammutolito in uno stato di quiescenza.
I muscoli di tutto il corpo pulsavano indolenziti, sfibrati.
Le palpebre minacciavano di chiudersi sulle sclere venate di carminio.

Ciononostante, il suo cervello era immerso in un perenne stato di allerta, perfettamente lucido e vigile.

Non sapeva esattamente quante ore di sonno avesse accumulato nelle ultime settantadue ore, né tantomeno quante kilocalorie avesse ingerito.

Se al suo posto si fosse trovato un suo paziente gli avrebbe certamente dato una bella strigliata di capo.

Sbattendo lentamente le ciglia, indirizzò lo sguardo verso gli occhietti neri e vispi del pappagallo che incombeva sulla sua testa dalla spalliera del divano.

“Che devo fare, Ai-chan?”

“Che devo fare, che devo fare?” ripeté obbedientemente il pennuto agitando le ali.

“Già… che devo fare…”

Si coprì il volto con le braccia, pressandole finché le sue pupille scorsero macchie violacee sulle palpebre serrate.

“Chi può dirmi cosa devo fare…”

Il sussurro si perse nel silenzio, inglobato tra le pieghe di una notte priva di stelle.



 
***



“Shoyooo, ti ho portato uno spuntino!” squillò Noya sventolando sotto il naso del medico una busta ancora calda.  
“Nessuno ti ha visto in mensa a pranzo e ho pensato che non avessi avuto il tempo di mangiare! Devi nutrirti, Shoyo! Altrimenti mi svieni in reparto!” lo rimproverò con fervore.

Hinata abbozzò un sorriso alla premura fin troppo aggressiva dell’amico.

“Noya-san, non ti dovevi mica scomodare” lo ringraziò, accettando di buon grado l’offerta.

La risposta di Yuu tardò tuttavia ad arrivare.

Si soffermò ad analizzare il collega da capo a piedi prima di domandare con perplessità “Sei dimagrito per caso?”

Shoyo aggrottò la fronte e inclinò la testa.
“No?”

Noya di rimando arcuò le sopracciglia.

“O almeno non credo” si corresse scrollando le spalle, lanciando una distratta occhiata al suo corpo.

“Il camice ti sta un po’ largo” lo rimbeccò Noya incrociando le braccia al petto, incutendo un certo alone di timore nonostante la bassa statura.

Shoyo sbuffò, per nulla impressionato.
“Mi è sempre stato largo” constatò, appoggiando il sacchetto sulla scrivania.

Più largo del solito” enfatizzò l’infermiere, non cedendo di un millimetro.  

“Devo preoccuparmi, Noya-san? Se non sapessi che la tua cotta per Shimizu-san raggiunge vette colossali oserei direi che mi stai squadrando per bene” ammiccò eloquentemente.
Con un’esagerata smorfia, Yuu negò fermamente “Scusa Shoyo, ma non sei per nulla il mio tipo” per l’ilarità del medico… che però ebbe breve durata.

“Non ci vuole molto a notarlo comunque, hai le guance scavate” aggiunse implacabile, scoccandogli una penetrante occhiata che gli suscitò un distinto brivido lungo la schiena.

Non si sfuggiva facilmente agli sguardi di Nishinoya… e Hinata fu incapace di prolungare il contatto visivo.

“Forse un chilo o due, non di più” bofonchiò, improvvisamente incline a rassettare la caotica scrivania.

 “Forse” rimarcò Yuu, non staccando gli occhi di dosso dal medico nemmeno per un attimo.

“Non hai altro da fare, Noya-san? Che so, pazienti da trattare o una casa a cui tornare” ribatté a quel punto con tono velatamente piccato.

“Sì, io ho una casa a cui tornare”

Le mani di Hinata si bloccano a mezz’aria sopra a disparate cartelle cliniche.

“Sei qui da stamattina all’alba, non credi sia anche ora di staccare?”

“Ho ancora cose da fare” tagliò corto, sbattendo veementemente un raccoglitore colmo di documenti sul tavolo e producendo un tonfo sordo che riecheggiò tra le pareti.

Serrò gli occhi, inalando lentamente.

“E tu mi hai appena offerto la scusa perfetta per rimanere” scherzò alleggerendo i toni, occhieggiando la busta bianca.

Yuu lo fissò con disappunto per qualche secondo prima di scuotere rassegnato la testa.

“Se avessi saputo non ti avrei portato nulla” mugugnò, conscio purtroppo di aver perso la battaglia.
“Però devi mangiare tutto!! L’Hinata Shoyo che conosco io si divora pure i tavoli quando è affamato!”
“Lo farò, Noya-san” ridacchiò il medico.
“E non ritirarti troppo tardi! Parlerò con Daichi e sarà lui stesso a sbatterti fuori dall’ospedale se non mantieni la parola” gli intimò.
“Oggi fa il turno di notte quindi ha tutto il tempo per venire a prenderti a calci in culo”

Sebbene la minaccia fosse potenzialmente realistica, e certamente spaventosa, Hinata non vi badò più di tanto.

“Buona serata Noya-san, grazie ancora per la cena” lo salutò mentre il collega gli lanciava l’ennesima occhiata di rimprovero.

Rimprovero.

Aveva davvero raggiunto il colmo per farsi biasimare persino da Nishinoya.

Quando finalmente udì la porta chiudersi alle sue spalle, si permise di rilasciare uno stremato sospiro.

Era sfiancante continuare a indossare la consueta maschera cesellata in un brillante sorriso.

Odiava mentire ai suoi amici, ma desiderava davvero rimanere in solitudine.
Solo a cercare di… rimettere insieme i pezzi del subbuglio che gli macerava le interiora.

Si lasciò cadere sulla poltrona.

Sebbene non ne avesse molta voglia, convenne con se stesso che ostinarsi a non mangiare non fosse poi una decisione brillante.

Afferrò il sacchetto di carta e se lo portò davanti al naso.

L’inconfondibile aroma di carne gli ottenebrò improvvisamente i sensi.


“Ecco, io… immaginavo che stessi pranzando e… quindi ti… ti ho portato questi”

“Come facevi a sapere che fossi così affamato?È anche una bizzarra coincidenza che tu mi abbia portato i nikuman, uno dei miei cibi preferiti… non trovi?”



Una stilettata di vivida nostalgia si aggiunse alla pressione già onerosa sulla sua gabbia toracica.

Ricordava ancora il sapore di quei nikuman.

Teneri, caldi e soffici.
Ricchi di carne e aromi, in grado di rinfrancargli lo stomaco e l’anima.

Probabilmente a quella sensazione paradisiaca aveva decisamente contribuito la persona che aveva recapitato i paninetti a domicilio.

Strizzò gli occhi, tentando di svuotare la mente da ogni immagine ed emozione superflua.

Non aveva tempo anche per quello.
Non possedeva le energie materiali per soffermarsi sui suoi frantumati sentimenti amorosi.   

Pescando dalla busta un nikuman ancora tiepido, lo addentò e assaporò la carne tritata.
Eppure…

Nonostante il sapore gradevole, non fu capace di percepire la consueta gioia di una pancia piena.
Era come se il cibo non raggiungesse neppure lo stomaco ma si dissolvesse magicamente nel suo organismo.

Le energie che avrebbe dovuto ricavare, bruciate ancor prima di essere metabolizzate.


“Come è possibile che nonostante tutto il cibo che ingurgiti sei rimasto così piccolo?”


Un’irrefrenabile ondata di risolini isterici gli scosse il torace.

Non avrebbe dovuto ammetterlo né tanto meno pensarlo, però…

Però…

Gli mancava, quel cocciuto bestione.

Gli mancava…
Ma…

Gli faceva paura.

Una titanica, ridicola paura.

In quel momento, forse… come mai prima d’ora.



 
***



Fronte corrugata e dita premute contro le tempie doloranti dopo ore e ore di revisione, Tsukishima appariva incredulo.

“Ci deve essere un errore”

Il rumore di carta nervosamente sfogliata e il ticchettio frenetico sulla tastiera costituivano gli unici suoni dell’altresì quieto studio all’ultimo piano della struttura ospedaliera.

Gli occhi del direttore amministrativo si assottigliavano pericolosamente di minuto in minuto.

Pareva divorare con lo sguardo qualcosa di inconcepibile, controllando e ricontrollando pagina dopo pagina, grafico per grafico.

“Non può davvero aver…”

Con uno scatto si alzò dalla sedia, percorrendo a enormi falcate l’intero corridoio fino alla rampa delle scale.

L’espressione perennemente scocciata era stata sostituita da una palpabilmente irritata.

“Per colpa sua mi tocca anche fare degli straordinari non richiesti…”

Sfruttando l’altezza spropositata raggiunse il pianterreno in tempi record, dirigendosi con aria tetra verso l’ufficio del primario.

“Tsukkiii, che aria spaventosa hai, non è da te!”

Kei si sforzò vivamente di non roteare gli occhi.

“Non sono dell’umore, Nishinoya-san”

Per tutta risposta l’infermiere sogghignò “E quando mai lo saresti?” tuttavia non ottenne l’effetto auspicato poiché non solo Tsukishima lo ignorò totalmente ma continuò a galoppare imperterrito per la sua strada.

“Ohi, che ti prende Tsukishima? È successo qualcosa?”

Inutile menzionare che il personale del Karasuno fosse ormai avvezzo al carattere acidulo del giovane direttore amministrativo, che reputava il sarcasmo la sua lingua madre.
Una fretta scostante che lasciava trapelare una considerevole agitazione… cozzava malamente con il personaggio.

Yuu aggrottò la fronte, titubante alla vista dell’inquieto Tsukishima dirigersi frettolosamente verso…

“Daichi-san è in riunione al momento, non credo sia il caso di…” provò ad avvisarlo ma la mano di Kei aveva già ripetutamente e veementemente bussato alla porta dell’ufficio.
“Si può sapere che gli prende oggi? Sembra posseduto da qualcosa” commentò perplessamente  Noya, allontanandosi poi verso la stanza di un paziente.

Prima che Tsukishima potesse calcare nuovamente il pugno sulla superficie del legno questa si spalancò rivelando il volto ambrato e irritato di Sawamura.

“Non c’è bisogno di buttar già la porta, ci sento benissimo” sbottò scocciato, tuttavia appena si rese conto di chi gli torreggiasse davanti si bloccò, un’espressione sbigottita sul volto.
“Tsukishima? Come mai…”

“Ho bisogno di constatare una cosa, scusa l’interruzione” spiegò bruscamente entrando nello studio senza invito, trovandovi all’interno riuniti attorno al tavolo anche Shimizu, Ennoshita, Michimiya e Sugawara.

Ancora disorientato, Daichi raggiunse Kei e scambiò con i colleghi presenti uno sguardo piuttosto attonito.

Poggiando un file sulla scrivania, Tsukishima si schiarì la gola.

“Perdonatemi per l’improvvisa intrusione ma è una questione… come dire, urgente” sentenziò in tono indecifrabile.

Nonostante la consueta insolenza, Tsukishima non era solito mancare di rispetto ai propri superiori, soprattutto quelli verso cui nutriva una discreta stima.
Metodico e razionale, svolgeva le sue mansioni rispettando le scadenze, seppur non potesse certo definirsi uno stacanovista.
Vederlo piombare lì senza preavviso per una questione lavorativa era piuttosto… insolito.

Addirittura ai limiti del preoccupante, considerando la trepidazione stampata sui volti del primario e del caposala.

“Che è successo, Tsukishima?” lo incitò Ennoshita, invitandolo a prendere posto.

Le sopracciglia bionde di Kei si aggrottarono in un cipiglio severo.

“Come sapete, a fine di ogni mese mi occupo del bilancio degli straordinari svolti da ogni dipendente dell’ospedale. Purtroppo il lavoro è stato talmente oberante che ho dovuto rimandare il calcolo e i conseguenti pagamenti fino a questo momento, facendo così accumulare anche le ore delle prime settimane di dicembre”

Tsukishima procedeva meccanicamente, non lasciando trapelare una singola inflessione.

“Data la carenza di personale tutti sono stati costretti ad allungare i propri turni, chi più chi meno, ma i rispettivi monte orari finali rispettano teoricamente le stime ancora ritenute nella norma, anche se a mio avviso nella norma non sono affatto”

Si interruppe, afferrando il file stampato e ponendolo proprio davanti al primario, in modo tale che anche gli altri potessero consultarlo.
 
“Tutto al limite del regolare… tranne che in un caso”

Gli occhi scuri di Daichi si spalancarono tanto da schizzare quasi fuori dalle orbite.

“Quello di Hinata”

Le cifre riportate su carta erano orripilanti.

In un lampo, il viso di Suga perse ogni colorito.

“Sono convinto si tratti di un errore quindi sono venuto da te per controllare, Daichi-san” snocciolò Tsukishima il cui tono distaccato, per chissà quale bizzarro motivo, parve creparsi.  

“Non sarebbe umanamente possibile altrimenti” commentò Ennoshita che tuttavia scoccò un’occhiata preoccupata a Sawamura, la cui fronte era impossibilmente corrugata.

“Tutti i timbri di inizio e fine turno vengono trasferiti in copia digitale nel mio computer ma i cartacei sono trascritti nei registri generali e depositati negli archivi per tre mesi prima di essere eliminati” spiegò Kei.
“Se c’è stato qualche errore di trascrizione o di sistema possiamo verificarlo”

Daichi era già balzato in piedi per frugare nella mastodontica scaffalatura in metallo alle spalle della scrivania.

“Ma da dove sono spuntati numeri del genere…” rifletté Shimizu, facendo scorrere la mano lungo le cifre come se potessero rivelarle il fulcro dell’errore.

Accanto a lei, Koushi pareva trattenere il respiro.
Dall’entrata inaspettata di Tsukishima non aveva sorprendentemente ancora aperto bocca.

Dopo qualche minuto di febbricitante attesa, la voce di Daichi si fece nuovamente sentire.
“Ecco il registro di novembre e inizio dicembre, però non viene aggiornato da una settimana”
“Va bene lo stesso, basta solo osservare l’andamento generale degli orari per confutare l’assurdità delle cifre” tagliò corto Kei, trattenendo l’impulso di afferrare quel dannato registro e sfogliare forsennatamente le pagine.

Fortunatamente Daichi non perse tempo, barcamenandosi tra i vari profili medici fino a trovarsi dinanzi la scheda di Hinata Shoyo.

Scorse velocemente le pagine, le pupille nere saltellavano impazzite da una riga all’altra.

Non fu necessaria più di una manciata di secondi.

Le palpebre spalancate fino a dolere, lo shock palese sui lineamenti marcati.

Suga sentì una stilettata dritta al cuore.

Non ebbe la capacità di pronunciare una parola e toccò a Shimizu esclamare “Fammi vedere” e, dopo aver appoggiato il registro sul tavolo affinché i presenti potessero osservare, evidenziò con le dita quei numeri apparentemente illogici stampati nero su bianco.
Persino le sue iridi blu tremarono sconcertate.
“Ma come è possibile…” diede voce ai pensieri di tutti Michimiya, notevolmente provata.

Il massimo di ore straordinarie che il personale medico in media svolgeva settimanalmente si aggirava fra le quattro e le sei, sommate a turni dalla durata tra le otto e persino le dieci ore.
Gli straordinari di Hinata oscillavano tra le diciotto e le venti con un drastico peggioramento tra la metà di novembre e l’inizio del mese seguente.
Addirittura…

“Ci sono casi in cui non ha nemmeno timbrato per andare via, è semplicemente rimasto in ospedale” sussurrò Shimizu.
“E sono parecchi” sottolineò Chikara, studiando la cadenza quasi sistematica con cui l’oncologo non lasciava il posto di lavoro anche per quattro giorni alla settimana.

“Ma che gli passa per la testa? Sta sostenendo ritmi disumani!” esclamò accoratamente Michimiya.  
“Più che altro come abbia fatto nessuno a non accorgersene” borbottò Ennoshita.

Daichi si massaggiò le tempie, l’aria stanca accentuata dall’improvviso pallore che macchiava la  carnagione caffellatte.

“So che stai per fartene una colpa Sawamura, ma ti blocco in partenza dicendoti che non lo è” puntualizzò subito Yui.

Il primario però scosse la testa.

“Rientra tra le mie responsabilità accorgermi di ciò che non va tra i miei colleghi…”

“Sei stato oberato di lavoro Daichi-san, più di chiunque altro. Avremmo dovuto prestare maggiore attenzione noi a un’anomalia del genere” lo confortò Ennoshita.

Colui che era rimasto stranamente in silenzio prese finalmente la parola.

“Ha ragione, Daichi”

Suga non riusciva a staccare gli occhi nocciola da quei numeri neri che sembravano gonfiarsi, minacciando di inghiottirlo vivo.

“Non addossarti fardelli che non ti spettano. Se proprio qualcuno doveva notare qualcosa quello avrei dovuto essere io”

“Sugawara…”

“Sapevo che Shoyo avesse iniziato a trascorrere sempre più tempo in ospedale, era fin troppo palese. Ma non… non credevo fino a questo punto” esalò serrando le palpebre.
“Non ho voluto interferire perché ero convinto fosse in grado di gestire in autonomia ciò che sta affrontando… però adesso mi rendo conto che si sia trattato di un pensiero ottimistico” sibilò con una risatina amara.

“Di che stai parlando, Sugawara?” domandò Michimiya, visibilmente confusa.

Koushi tuttavia non ribatté.

“Ho cercato di essere flessibile con lui, però è arrivato il momento di fargli un discorsetto” commentò stancamente Daichi, scombinandosi i capelli.
“Qualcuno deve farlo smettere” concordò pragmaticamente Shimizu.

“Non credo manchi molto prima che si fermi da solo”

Le parole di Suga trasportavano un’alone di oscurità non da tutti compresa ma sicuramente recepita.

“Mi assicurerò personalmente che ritorni a casa alla fine di ogni turno, non c’è bisogno di ulteriori mobilitazioni. Almeno per il momento”
“Ma perché vuoi caricarti di quest’ingente responsabilità? Basta convocarlo qui esigendo delle spiegazioni” propose Yui.
“Non è un problema, davvero” replicò però seccamente Koushi.
“Grazie, Tsukishima, per averci subito avvertito di quella che poteva sembrare una falla ma che poi si è scoperta essere la realtà” si rivolse al collega ma fu colto in contropiede dalla sua espressione.

Kei non aveva aperto bocca da quando i registri erano stati esposti.

Nulla di cui sorprendersi naturalmente, era palpabile il suo perenne disinteresse nei confronti delle problematiche interne l’ospedale.

Eppure…

Eppure, nei suoi occhi dorati, si celava una sfumatura di sincero spaesamento.

Fin da quando era approdato al Karasuno, Hinata era stata la personificazione di una scheggia impazzita di buonumore, saltellante, fastidioso e pieno di sé come un pallone gonfiato.
Individualista fino all’estremo ma combinato a un animo stucchevolmente generoso.
Un connubio contraddittorio la cui formula appariva assurdamente vincente nel raggio di sole dell’ospedale.

Ma alla stregua di qualunque stella, la comparsa di sgraziate macchie scure sulla sua superficie era a dir poco inevitabile.

E Hinata, nel corso degli anni, ne aveva accumulata un’ingente quantità.  

Dapprima minuzie insignificanti, trasformatesi inesorabilmente in evidenti deformità.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, tali imperfezioni venivano abilmente celate per permettere al sole di continuare a rifulgere.

Tsukishima non aveva neppure il tempo materiale di accorgersi della loro esistenza che si erano già dissolte, lasciando il posto a una facciata apparentemente liscia e lucente.

Era dunque naturale ipotizzare che forse, in fin dei conti, quelle macchie solari non esistessero nemmeno.
D’altronde Hinata si mostrava come una forza inarrestabile, niente e nessuno sarebbe mai riuscito a tarpargli le ali.

Allora…

Tsukishima non era mica stupido.

Sebbene non sopportasse quel perenne buonumore e fosse intimamente intimorito dalla costante fame del medico nei confronti della vita stessa, ciò non significava che l’occhio non gli cadesse occasionalmente sul giovane oncologo.

E negli ultimi tempi, o addirittura negli ultimi mesi…

Qualcosa non andava.

Persino Tanaka e Nishinoya, non propriamente delle cime, avevano colto un inaspettato cambiamento.

Certamente non rientrava fra le sue mansioni accertarsi della causa del presunto malessere del medico.
Non gli riguardava e, onestamente, non poteva fregargliene di meno.

Semplicemente…

Era strano, non avere la solita molla impazzita fra i piedi tutti i santi giorni.

Una bizzarria capace di provocargli un’inspiegabile sensazione spiacevole in prossimità dello stomaco.

Chissà perché.



 
***



“Sono troppo contento che ti sia unito a noi, Shoyo!! Sembrano passati secoli dall’ultima volta che ci siamo visti!”

“Non hai tutti i torti” ridacchiò Hinata con tenue imbarazzo.

Se non avesse lasciato l’ospedale di sua iniziativa lo avrebbero letteralmente costretto con la forza.

Era ancora fresca la ramanzina di Suga che lo obbligava a prendersi la giornata libera e di non preoccuparsi per eventuali sostituzioni, pena una severa strigliata di capo direttamente da Daichi.

Per quanto improbabile, Shoyo ci teneva alla sua incolumità.

“Peccato che Kuroo è impegnato in clinica, sarebbe stata una bella rimpatriata” si lamentò Bokuto con espressione triste.
Akaashi gli accarezzò affettuosamente i capelli.
“Rimedieremo un’altra volta, non è la fine del mondo”
“Ormai è un’occasione unica avere Shoyo con noi!” rincarò imbronciato.

“Dai, non esagerare…” tentò di protestare debolmente il medico ma fu repentinamente travolto da tre occhiatacce fulminanti.
“Okay va bene, lo ammetto, mi arrendo! Avete ragione!” ritrattò ridendo, alzando le mani al cielo.

“Non rispondi più nemmeno ai messaggi” lo accusò velatamente Kenma da oltre il suo smartphone.
“Questo non è vero! Non potrei mai ignorarti, lo sai” si difese accoratamente spalancando gli impietositi occhi nocciola.

L’espressione imperturbabile di Kenma si incrinò, vittima di quello sguardo infido, e scosse rassegnato la testa.

“Stai imparando a essere sleale, i miei complimenti” commentò Keiji con un sorrisetto.
“Per quello basta e avanza Kuro” bofonchiò Kenma riabbassando celermente le iridi dorate sullo schermo.
“Non credo però che Kuroo sappia cosa significhi fare gli occhi dolci” replicò Akaashi e Kozume si lasciò sfuggire una smorfia.
“Ci prova… ma l’effetto è decisamente inquietante”
“Prova a copiarmi senza successo” gongolò orgogliosamente Bokuto.
“Beh, non c’è da sorprendersi. Potrebbe solo sognarsi degli occhioni come i tuoi” constatò Keiji.

Koutaro sbatté le palpebre, improvvisamente inebetito.

Dopodiché assunse un colorito rossastro e balbettò un incoerente “A-akaaaaashi” prima di stritolare il fidanzato con gli enormi bicipiti.
 
Hinata ridacchiò dei comici siparietti ormai abituali in casa Boku-Aka.

Gli erano sinceramente mancati.




“Sapete che mi ha contattato Teru l’altro ieri?”

La voce di Bokuto suonò distorta dal boccone di pizza che stava appassionatamente divorando.

Shoyo arcuò distrattamente le sopracciglia, troppo occupato ad accaparrarsi una fetta della sua margherita.

“Mi ha chiesto se in questi giorni ci andasse di uscire tutti insieme”

Il medico scrollò le spalle.
“Non è un problema” biascicò leccandosi le labbra sporche di pomodoro.

“Voleva esserne sicuro dato che l’ultima volta che ti ha visto Kageyama stava per azzannarlo”

All’udire il nome dell’avvocato i movimenti di Shoyo si arrestarono inconsciamente.

“Azzannare forse no, però sicuramente ha lasciato il segno” corresse Akaashi con malcelata malizia.
“Il povero Teru non sapeva che dire” sghignazzò Koutaro trangugiando un lungo sorso di birra.
“È raro vederlo a corto di parole, è stata una scena esilarante”
“Vero, ‘Kashi? Sembrava un cane bastonato”

“Ha chiesto se Shoyo fosse impegnato?” indagò Kenma con nonchalance.

Keiji gli scoccò un’occhiata eloquente.

“Impegnato con qualcuno” scandì lentamente, intercettando gli occhi nocciola di Shoyo che cercavano di evadere dalla discussione.

Bokuto si strofinò il mento con il palmo, impiastricciandosi di olio.

“Mi pare volesse sapere se Shoyo stesse con Kageyama”

Il suddetto interessato continuò a non sollevare lo sguardo dalla sua pizza, la cui punta pendeva tristemente verso il basso.

“E tu…?” lo incitò il fidanzato.
“Io gli ho risposto di non esserne sicuro” concluse Koutaro scrollando le spalle.
“Ho solo detto la verità, non è che abbia granché capito come stanno le cose tra loro due”
“Credo che nessuno di noi abbia afferrato il concetto” sibilò Kenma con enfasi.

“Non stiamo insieme, su questo non ci piove” ribatté seccamente il medico.
“E in fondo… non credo che lo siamo mai stati realmente”

Le sopracciglia di Akaashi si arcuarono esponenzialmente mentre Bokuto esclamava uno sbalordito “Ma vi siete frequentati per mesi!”

“Non è la stessa cosa”

Era chiaro che il medico desiderasse ardentemente sviare l’argomento.

Non che Akaashi lo biasimasse, aveva sempre prediletto la riservatezza in merito alla sua vita personale.
Tuttavia…

“Non capisco perché tu abbia voluto chiuderla”

Gli occhi di Shoyo guizzarono verso l’aspirante magistrato con evidente stupore.

“So che Kageyama è una persona macchinosa con cui non è semplice relazionarsi… ma avevo intuito ti piacesse anche per quello”

Kenma seguì l’interscambio con estrema attenzione.

“Non sei obbligato a raccontarci nulla ovviamente, vorrei solo comprendere meglio cosa ti abbia fatto scattare in quel modo” spiegò pacatamente.

Ricordava nitidamente la sera di inizio novembre in cui, durante una bevuta in uno dei loro pub preferiti, Shoyo, piuttosto alticcio e instabile, era praticamente esploso in un inveire scoordinato contro Kageyama, sbraitando quanto fosse ridicolo persino immaginare un’ipotetica relazione e che l’opzione migliore sarebbe stata quella di comportarsi al pari di due estranei.

Uno sfogo per lo più non accompagnato da opportune spiegazioni e susseguito da un preoccupante silenzio da parte di Kageyama perdurato quasi un mese, il che non faceva ben sperare sulla consensualità della discussione avvenuta al Karasuno quel fatidico pomeriggio di fine ottobre.

Akaashi conosceva meglio di chiunque altro la testardaggine di Kageyama e gli sbagli commessi sin da quando aveva incontrato il medico, a cui si sommava l’ostinazione del negare strenuamente la sua imbarazzante cotta pur dinanzi all’evidenza.
Ciononostante… riteneva che entrambi fossero stati in grado di rimodellare la loro relazione, in un modo o nell’altro.
Kageyama pareva abbastanza in pace con se stesso l’ultima volta che avevano affrontato apertamente l’argomento.

Sarebbe rimasto completamente all’oscuro di tutto se Kenma non gli avesse riferito, nel corso di una spinosa conversazione pochi giorni dopo lo scoppio di Hinata, che fosse accaduto qualcosa capace di scuotere intensamente il suo animo già provato.

Ciononostante…

Non comprendeva il legame tra un evento simile e la netta decisione di troncare ogni rapporto con Kageyama.

Il legale era impulsivo e iracondo, non crudele.

Dubitava che potesse pronunciare qualcosa a cui Shoyo non sapesse ribattere per le rime o avesse difficoltà a gestire.

A meno che…

Akaashi fissò il viso sfuggevole di Hinata, sopracciglia fini aggrottate e labbrino arricciato.

Cosa rappresentava Kageyama agli occhi del medico?

Quale era la vera ragione per cui aveva preferito allontanarlo nonostante il lampante desiderio di proseguire la loro peculiare frequentazione?
Temeva che lo reputasse un incapace e affossasse definitivamente il suo cuore martoriato?

Oppure…

“Non avevo la forza per affrontarlo”

Allargò le palpebre, sorpreso da quell’inaspettata rivelazione.

“Non è un periodo facile e… ho preferito staccarmi da ogni possibile fonte di stress”

“Beh, la persona che ti piace dovrebbe sostenerti soprattutto nei momenti più difficili” osservò schiettamente Bokuto.
“Se Kageyama ti rende la vita più difficile allora forse è un bene che vi siate lasciati”

“Koutaro, mi sorprendo della tua saggezza” commentò sinceramente Kenma.

“Si è comportato male con te, Shoyo?” domandò Akaashi con estrema serietà.

Gli mancava un tassello, un singolo pezzo di puzzle che risolvesse il meccanismo di quell’intricata situazione che gli sfuggiva dalla punta delle dita.

Kenma si era costantemente mantenuto sul vago, senza opportunamente riferirgli le parole del legale, forse perché in realtà nemmeno Shoyo le aveva precisamente confessate a così poca distanza dall’evento scatenante.

Keiji non voleva appesantire le già oberate spalle del medico.
Desiderava solo adoperarsi affinché un sincero sorriso spensierato potesse ricomparire sul suo volto, ma per conquistare tale obiettivo…

Doveva sapere.

Poiché aveva il bruciante sospetto che la risposta finale risiedesse proprio in quelle parole non dette.

“Non è che abbia commesso qualche errore…”

L’oncologo giocherellò con il bordo della pizza mangiucchiata.

“Semplicemente, non gli ho concesso l’occasione di sbagliare”

Kenma studiava Shoyo con un’espressione complicata, decisamente non sorpresa da un’affermazione del genere tuttavia nemmeno concorde.

“Per quale motivo sei così sicuro che sarebbe finita male?” indagò Bokuto, non convinto dalla spiegazione riduttiva.

“Perché la gente del suo calibro non spreca del tempo con uno come me” replicò duramente.

Kenma storse il naso, il suo disappunto palpabile.

“Potresti accordargli un po’ di fiducia, non credi? Avrà tanti difetti, ma non è uno stronzo doppiogiochista” dichiarò Koutaro per lo stupore di Akaashi.

Nonostante il suo noto buon cuore, non pensava che Bokuto considerasse Kageyama una persona meritevole di tanta stima.
Sorridendo lievemente, non trattenne l’impulso di appoggiargli la mano sulla coscia e stringerla affettuosamente, carezzandola con il pollice.

Shoyo sospirò rumorosamente.

“Non è questo…” mormorò a denti stretti.
“Lui è… forte. Ma veramente forte. Lo vedo come una roccia inamovibile e…”

Mi fa paura.

“Lo invidio” concluse trangugiando un lungo sorso della sua birra.
“Sono sicuro che potrebbe affrontare qualunque situazione ostica senza minimamente scomporsi. È distaccato e indifferente, mi fa proprio incazzare” proruppe con un lamento.

“Se solo avessi anche solo un briciolo della sua forza…”

Akaashi non aggiunse altro.

Gli ingranaggi del suo cervello avevano già iniziato a lavorare in autonomia.

“Heyyy, a proposito di forza” si intromise Bokuto, evadendo il discorso e troncando sul nascere il tossico desiderio di Hinata di ubriacarsi per continuare ad autocommiserarsi.

“Ho finalmente stretto amicizia con Iwaizumi, il ragazzo che si allena da me in palestra quasi ogni giorno. Fino a qualche tempo fa chiacchieravamo del più e del meno, è un tipo serio che non si sbottona facilmente, ma da quando gli ho preparato la scheda che l’ha aiutato a sollevarsi cento chili di braccia è diventato più socievole!” raccontò con vibrante entusiasmo.
“E ho scoperto che l’uomo che certe volte lo raggiunge dopo l’allenamento è il suo fidanzato! È proprio il tuo senpai, Akaashi! Quello super bravo!”

L’euforia di Koutaro strappò a Keiji un sorriso.

“Quindi hai conosciuto anche Oikawa-san?”

Per qualche singolare ragione, Hinata voltò di scatto il capo verso Bokuto, istantaneamente coinvolto nella storia.

“Più per i racconti di Iwaizumi che per un incontro diretto. Mi ha confessato che per il loro sesto anniversario sta organizzando una sorpresa, lo vuole portare in Sud America! Sta pianificando un viaggio di due settimane con i soldi messi da parte in questi anni, dato che per il lavoro di entrambi non si sono mai potuti spostare liberamente. Non è una figata?”
“Penso sia un progetto bellissimo, Kou”
“Ha anche in programma di regalargli un anello, mi ha pure mostrato la foto! Non avrei mai immaginato che un ragazzo così burbero nascondesse un lato romantico” gongolò.
“Si lamenta sempre di quanto Oikawa sia infantile, fastidioso e testardo ma in realtà è proprio innamorato perso”

“Da quanto Kuroo non ti fa una sorpresa, Kenma?” sogghignò malevolmente Akaashi in direzione dell’amico che replicò con uno sguardo impassibile.
“Da quando ha pensato fosse un’idea divertente regalarmi una mattinata allo zoo nel parco delle scimmie perché era convinto mi servisse una dose di avventura nella vita. Da quel momento in poi mi comunica puntualmente ogni regalo diverso da un videogioco”

Koutaro esplose in una risata sguaiata seguita dai più composti ma innegabili risolini di Akaashi.

Soltanto Kuroo avrebbe mai potuto considerare una buona pensata il costringere Kenma a interagire non con esseri umani, non con semplici animali… ma con delle scimmie.

“Come fai a conoscere Oikawa-san?” si intromise a quel punto la voce di Shoyo, screziata di fervida curiosità.

Akaashi si schiarì la gola.
“È stato un mio senpai all’università, un anno di corso avanti al mio. Non ci frequentiamo spesso ma quando capita di incontrarci scambiamo volentieri quattro chiacchiere. È un tipo pomposo che sa come manipolarti per i suoi fini, ma se lo prendi per il verso giusto è piuttosto gradevole” lo informò.

Shoyo rifletté per qualche istante.

“L’ho sentito nominare qualche volta da Kageyama…”

“Ovvio, lui ne è ossessionato” appurò francamente Keiji.

“Però…”

Un sorrisetto malizioso gli curvò le labbra a cuoricino.

“Non credo lui abbia la più pallida idea della sua relazione. Scommetto si è convinto del fatto che sia single per scelta”

“Single, Oikawa-san? È praticamente una vita che sta con Iwaizumi-san, sono inseparabili fin da bambini”
“È sapere comune” confermò Kenma con un cenno di assenso.

“Non per tutti direi” sbuffò il medico scuotendo la testa.

E lui che si era pure preoccupato di un’ipotetica tresca tra quei due…

“Bo l’ha scoperto da poco a dire il vero” lo consolò Keiji.
“Pensava fossero buoni amici…”
“Ehi! Che ne potevo sapere io, Iwaizumi ha un carattere riservato!” si difese Koutaro incrociando le braccia al petto.
“Beh dai, si intuisce quando due si piacciono” snocciolò pragmaticamente Shoyo.
“Raccontagli com’è che hai capito fossero una coppia” ghignò Akaashi e persino Kenma nascose un sorrisetto dietro lo smartphone.

Bokuto mise il broncio ma borbottò comunque un sommesso “Si stavano limonando duro davanti l’ingresso della palestra…” che strappò a Hinata una sfrenata risata genuina.

Se solo Kageyama ne fosse venuto a conoscenza.
Poteva già immaginarsi quei lineamenti impettiti traboccare per lo shock.


Uno squillo improvviso ruppe l’atmosfera scherzosa.


Kenma, Bokuto e Akaashi condivisero il medesimo sguardo trepidante.

Era ormai tarda serata.
Nessun amico o familiare si sarebbe mai azzardato a scomodare nessuno.

Ad eccezione di…

Il volto sorridente di Hinata si tramutò in una lastra di ghiaccio.

Afferrò immediatamente il cellulare abbandonato sul tavolo.

Suga🤍

Esisteva soltanto un motivo che potesse giustificare la chiamata del collega alle 23:37 della giornata che lui stesso aveva insistito si prendesse di riposo.

Una ragione sufficiente a mandare in blocco il suo sistema cognitivo.

Indugiò sul display con un’espressione estraniata per parecchi secondi prima di appoggiarlo all’orecchio e sussurrare un fragile “Pronto”.





Rantoli affannati.

Fiochi singhiozzi strozzati.

Una calda luce soffusa che rischiarava parzialmente la stanza bianca, accentuando l’inquieta penombra disseminata tra i macchinari.

I paravento turchesi disposti a semicerchio racchiudevano un lettino in cui era adagiato un bambino pallido e gracile, dall’aspetto pressoché esanime.

Un semplice cappellino blu gli ornava la cute glabra.

Le palpebre erano socchiuse, le iridi vacue.

Sembrava lottare contro il desiderio irrefrenabile di soccombere all’oblio.

Il corpicino tremante era stato avvolto da pesanti coperte colorate su cui era distesa una donna giovane, probabilmente sulla trentina.
Carezzava dolcemente la guancia scavata e sudata del bambino, un gesto calmo e cadenzato che accompagnava il lento e inesorabile scorrere delle lacrime sulle sue gote ceree.
Un uomo dall’espressione stremata era inginocchiato accanto al cuscino e reggeva la manina bluastra del piccolo con la sua.

Suga e Hitoka stavano in piedi, immobili accanto ai monitor dei segni vitali.

In silenzio…
In attesa.

Ormai, non c’era più nulla che si potesse fare.


Un sussurro tremolante si levò dalla stasi.

“Mami…”

La donna dai capelli raccolti in una treccia scombinata si accostò ancor di più al suo visino.
“Dimmi, amore mio”

“Canti… la canzoncina…”

Non riuscì a terminare la frase, vinto da un’indomabile stanchezza che, assieme alla febbre,  comprometteva le sue capacità mentali.

Un panno fresco tentava di regalare un po’ di sollievo alla fronte ardente, mosso delicatamente dalla mano gentile del padre.  

“Certo tesoro” rispose fiocamente la mamma, intonando una melodia armoniosa intrisa di buon umore.

Il bambino abbozzò un sorriso, rasserenato dalla voce intonata tanto da accennare qualche minino movimento del capo.

“Vuoi che rimetta il tuo anime preferito?” domandò sommessamente Hitoka dopo alcuni minuti di placida tranquillità.

Prima ancora che potesse tentare o meno di replicare, la porta della camera si spalancò bruscamente.

“Akio-chan?”

Descriverla come una magia poteva apparire inopportuno in un contesto simile, eppure fu proprio ciò che accadde nel corso dei secondi successivi.

Il bimbo sbatté lentamente le palpebre e una vivida scintilla guizzò nelle iridi spente.

Si arrischiò persino a sollevare il dorso dal materasso, con scarso successo, ma ciò non lo frenò dall’esclamare con quel fil di voce che gli restava un entusiasta…

“Hinata-sensei!”

Il viso teso di Shoyo si aprì in un sorriso a dir poco accecante.

“Scusami per aver fatto tardi, Akio-chan”

Il bimbo inclinò appena la testa.

“Ti aspettavo” esalò con un sorriso che gli illuminò il volto slavato…

E accartocciò il cuore sanguinante dell’oncologo.

“Si sieda qui con noi, Hinata-sensei” si inserì pacatamente la madre, battendo la mano sulle coperte.
Negli occhi scuri vitrei di lacrime si poteva discernere una sconfinata riconoscenza.

Shoyo replicò con un piccolo scatto delle labbra verso l’alto e si posizionò alla destra di Akio, dal lato opposto rispetto a dove era sdraiata la donna.

“Perché non si accomoda anche lei, Harada-san? Deve essere spiacevole rimanere lì, qui c’è spazio per entrambi” si rivolse al padre le cui ginocchia premevano sul pavimento freddo.
L’uomo tuttavia fece segno di diniego.
“Sto bene così, non si preoccupi”

Shoyo non si ostinò a persuaderlo.

Ogni genitore aveva il proprio modo di scortare i figli sulla strada del dolore.
Alcuni sentivano la necessità di condividere il loro stato d’animo e il loro aspetto, rasandosi i capelli e le sopracciglia per raggiungere un’empatia maggiore con i propri bimbi, altri eliminavano ogni forma di comfort dalle proprie vite per sperimentare anche in minima parte un assaggio della sofferenza vissuta dai figli.
Sembrava che Harada-san rientrasse nella seconda categoria.

“Hi…Hinata-sensei…”

L’attenzione del medico si rifocalizzò immediatamente sul piccolo paziente.

“Dimmi, Akio-chan”

“Guardiamo… l’anime… assieme…?”

“Certo” rispose dolcemente e Hitoka si mobilitò prontamente per connettere la tv a Netflix.
“Che episodio vuoi guardare?”

Akio vagò con lo sguardo per un po’, tanto da lasciar intendere di aver nuovamente perduto lucidità, ma all’improvviso mormorò “Quando il… piccolo… gigante… salta in alto…”

Shoyo sorrise.

“Il nostro preferito allora”

“Hinata-sensei… mi…”

Ma non ci fu bisogno di ulteriori parole.

La mano di Akio si contrasse impercettibilmente in direzione del medico, un piccolo movimento captato immediatamente dai suoi occhi attenti.

Un baluginio colorato si sovrappose inaspettatamente a quella visone straziante.

Un disegno spiegazzato in cui tra svariate macchie colorate spiccava una mano rosea rivolta verso una figura dai capelli rossi, tesa e spalancata per ricercarne il contatto o forse per scambiare un semplice saluto.
Poco importava.
Desiderava unicamente… essere riconosciuta.

Fu quella stessa mano, gracile e fredda, ad essere saldamene afferrata da quella sottile e tiepida di Shoyo, per non essere abbandonata più.
 
Difficilmente Akio sarebbe riuscito a cogliere il significato di quel gesto o tantomeno ricondurlo alla brama da lui stesso espressa nel disegno.

Ciò che maggiormente contava era la sua espressione serena, contenta di stringere fra le dita il calore costante e rassicurante del suo Hinata-sensei.



Shoyo non seppe quantificare il trascorrere delle ore di quella notte.

I respiri boccheggianti che talvolta si tramutavano in versi agonizzanti scandivano i minuti, lenti e inesorabili.
Le dita dell’oncologo che tamponavano le frequenti epistassi nasali ormai incontrollate.
L’instancabile mano di Harata-san che non smetteva di asciugare l’eccessiva sudorazione della fronte e del collo, sostituendo di tanto in tanto la pezza fradicia con un nuovo panno umido.
Le labbra della mamma che scoccavano incessanti bacetti sulle guance.
Le parole concitate dell’anime sportivo che costituivano un tiepido sottofondo e che talvolta erano intercettate dalla sua mente annebbiata.  
Il suono cadenzato e sempre più fioco del monitor cardiaco.

La voce di Shoyo, che non cessava nemmeno per un istante di cullarlo dolcemente.



“Hinata…sensei”

Dopo un imprecisato periodo di apparente calma, il debole pigolio di Akio richiamò tempestivamente l’attenzione dei presenti.

“Mami… papi…”

“Sì tesoro” replicò subito la madre, stringendosi quasi al limite dell’impossible al corpo del figlio e imitata dal padre, che gli accarezzò incoraggiante la nuca.

“Non ve l’ho detto prima… i miei giochi… dateli a Ryoko… Kaoru e… Hi..hirumi…”

Una selvaggia ondata di gelo travolse le viscere dei tre adulti accoccolati all’esangue creatura.

La donna si avvalse di tutte le forze rimastegli per sopprimere i singhiozzi che minacciavano di sconquassarle la gabbia toracica.
“Non parlare così amore…”

“Le macchinine… a Ryoko che… vuole sempre… correre…”

Premette debolmente la mano dell’oncologo che avvicinò tanto il viso da far collimare la punta del suo naso contro quella del bambino.

“Certo Akio-chan, la renderai felicissima. È una spericolata, lo sai che vuole diventare una pilota di Formula Uno?” gli svelò con aria complice e il bimbo fletté a stento le labbra.

“Mhh-mmh…è tanto speciale…”

Si interruppe per riprendere fiato e Shoyo gli carezzò amorevolmente la guancia destra.
“Non sforzarti, non c’è bisogno di…”

“Sai, Hinata-sensei… volevo i tuoi capelli”

La mano del medico si pietrificò, inerme come se fosse reduce da un’ustione.
I timpani riprodussero il battito amplificato e sconnesso del suo cuore.


“Il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”


“Volevo che… una volta ricresciuti… diventavano rossi come i tuoi”

Controllati.
Respira.


“Sono bellissimi…”

Controllati, stai calmo.
Non sentire.
Non provare emozioni.


“Il rosso è… i…il mio colore… preferito…”

Non puoi crollare adesso.

“Però… non hanno… fatto in tempo”

Non ne hai il diritto.

La manina si disgiunse a fatica dalle dita dell’oncologo e puntò verso l’alto, in direzione di…

“Posso toccare…?”

Inghiottendo un rovente grumo di saliva, Shoyo violentò il suo volto in un sorriso.

Chinò la testa e prendendogli dolcemente la mano la guidò sui suoi ciuffi color carota.

“Sono morbidi, Akio-chan? Ti piace la sensazione?”

Le dita del bambino si ancorarono alle ciocche e le strofinarono lentamente, tastandone la consistenza.

“Mmh-mhm”

Era strano.

Accarezzare il capo glabro dei bambini era sempre stata una sua prerogativa.
Un piccolo gesto che infondeva sicurezza e conforto, capace di vincere il terrore della solitudine.
In quel frangente, i ruoli apparivano invertiti.

Era Akio che stava cercando di rincuorarlo?

“Vorrei giocare con te, Hinata-sensei…”

Anche io.
Non sai quanto.


“E con mami… e papi…”

Lo desideriamo tutti noi.

“Però… ho tanto sonno…”

La presa sui suoi capelli divenne tremolante, il respiro sconnesso e affrettato.

Non provare emozioni.
Tu non esisti.
Esiste solo lui, il centro del tuo mondo è lui.
Non azzardarti a smettere di sorridere.


“E sono stanco…”

“Amore mio…”
“Akio…”

“Io… io non voglio…”

“Akio-chan”

Il bambino ancorò le pupille sbiadite agli occhi nocciola del medico.

“Non preoccuparti di nulla, Akio-chan. La tua mamma e il tuo papà sono qui accanto a te. Non sei da solo. Non ti lasceranno mai. Io non ti lascerò mai”

Serrò nuovamente con forza le dita attorno alla mano del bambino, stroncando il nascente moto di panico che minacciava di esondare.

“Sono sempre qui per te, va bene?” sussurrò con un sorriso talmente dolce che le lacrime silenziose  della signora Harata raddoppiarono il loro corso.

E Akio, piccolo, tenero Akio…

Ricambiò il sorriso con le ultime forze che gli rimanevano in corpo.


Shoyo non seppe mai cosa mimarono le sue labbra mentre le palpebre si richiudevano placidamente sulle sclere.

Non riuscì a cogliere il senso di quegli ultimi pensieri fantasma.

Percepì soltanto che la debole presa della manina fredda avvinghiata alla sua…

Si era completamente disgiunta.


“Akio”

Il sussurro della signora Harata proruppe spezzato.

“Akio!”

Il ritmato e meccanico bip era scomparso.

Al suo posto, una statica linea retta troneggiava sul monitor nero, emettendo un costante fischio acuto.

“Il mio bambino… il mio bellissimo bambino…”

A quel punto, non esisteva più nulla che frenasse la sua caduta libera.
Non c’era più nessuno a cui trasmettere la propria forza.

I singhiozzi della madre di Akio traboccarono terribili e distorti mentre stringeva il figlioletto morto fra le braccia e nascondeva il viso sul suo petto immobile.
Accanto a lei, il marito si nascose il volto con le mani, spalle scosse dai singulti che avevano finalmente ricevuto il permesso di rivelare al mondo la loro presenza.


Era… tutto finito.


Shoyo si alzò meccanicamente dal letto.

Contemplò la straziante scena davanti ai suoi occhi per qualche altro interminabile minuto prima di voltarsi lentamente.

Hitoka era rimasta lì, occhi lucidi pregni di cordoglio.

Non proferì parola ma provò a toccargli il braccio, se per fermarlo o regalargli qualche sorta di conforto non era ben chiaro, tuttavia Shoyo si sottrasse veementemente.

L’ombra del sorriso indirizzato ad Akio aleggiava ancora sul suo volto cristallizzato, un invadente e beffardo ingombro grottesco.

Uscì dalla stanza impregnata dall’essenza del trapasso e incominciò a camminare freneticamente lungo il reparto scarsamente illuminato.

Doveva disfarsene, e alla svelta.

Doveva rinchiudersi in uno spazio buio, in solitudine.

Doveva razionalizzare che Akio, il suo dolce Akio, non…
Non c’era più.

Era morto.

Morto, morto come le decine di bambini che lo avevano preceduto.

Morto a soli sei anni, inerme fra le sue braccia, mentre lui…

Annullava se stesso e la sua struggente agonia per scoccargli un ultimo sorriso.
Un sorriso che potesse accompagnarlo con serenità nel transito verso la non esistenza, irradiando ogni angolo oscuro e scacciando la tentacolare paura malignamente insinuata nell’ombra.

Mentre lui…


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”


Mentre era lui, che desiderava ardentemente scomparire nel nulla!


“Nel tuo lavoro la morte è inevitabile, Hinata”

“Non puoi pensare di affezionarti a questi bambini o non ne uscirai mai vivo”

“Hai bisogno di maggiore distacco”

“Non puoi permetterti di struggerti per ognuno di loro, lo capisci?”



Lui, costretto ad assistere impotente all’ultimo respiro dei bambini a cui donava tutto se stesso!
Lui, che si annientava per rimanergli vicino nelle ultime settimane di vita!
Lui, il cui amore sconfinato non era altro che una condanna a morte!

Non poteva crollare.
Non poteva permetterselo.

Respira.

Non ne aveva il diritto!

Respira.

Akio-chan era morto.

Lui…

Controllati e respira, controllati e respira.
Non puoi crollare, non puoi crollare, non puoi crollare.


Glielo devi.

Lo devi ai suoi genitori, a cui è stata mutilata parte della loro anima.
Lo devi agli innumerevoli bimbi che hai visto morire davanti ai tuoi occhi.


Non si accorse della voce che invocava il suo nome o dell’infermiere che si apprestava allarmato nella sua direzione.

Devi solo sorridere.

Non è diverso dalle altre volte.
Non è più traumatico.
È la stessa storia che si ripete, ancora e ancora e ancora…


Né tantomeno registrò l’ombra di una figura imponente che si dirigeva verso di lui…

Non provare niente.
Non sentire niente.

Almeno finché non andò a sbattervi con tutto il corpo.

Il contraccolpo gli causò la perdita dell’equilibrio e solo fortuitamente non si ritrovò con il sedere sul pavimento.

Il suo cervello era in stand-by, assolutamente vuoto.
Riuscì a malapena a inquadrare delle gambe lunghe e un torso snello vestito di nero.

Sollevò stralunato la testa, pronto a biascicare qualche sterile scusa per poi correre lontano, in un luogo solitario per ricomporre il suo sé frantumato in milioni di pezzi.

Le sue pupille misero a fuoco un volto.

Un viso… familiare.
Lineamenti duri e scolpiti, occhi blu mare, portamento altero.

No.

Sbatté le palpebre.

Cosa…?

Che significava?
Che ci faceva lì…?

Un tremito incontrollabile si impadronì delle sue membra.

Non doveva trovarsi lì.
Non doveva essere lì ad assistere al patetico tentativo di contenere il suo imminente breakdown.

Non…

Con gli occhi strabuzzati e la bocca dischiusa, Shoyo testimoniò con orrore la presenza di Kageyama nel reparto di terapia intensiva, a meno di un metro di distanza.

Provò a mettere in funzione le corde vocali ma non un singolo suono gli fuoriuscì dalla laringe.

Ebbe la sensazione di scorgere Sugawara in lontananza.

Stava gesticolando?
Voleva comunicargli qualcosa?

Shoyo non seppe dirlo.

L’unico individuo su cui riusciva a focalizzarsi nonostante la vista annebbiata da un velo acquoso era Kageyama.
La sua altezza spropositata, la sua aria arruffata, il suo sguardo gel…

Aspetta.

Gelido?

Lo era sul serio?

Respira.

Guarda meglio.


Il viso del legale non mostrava freddezza.

Quegli occhi blu, impetuosi come il mare, rivelavano un’intensa e genuina…
Preoccupazione?

Kageyama era allarmato?

Respira.

Perché?

Respira.

Per chi??

Non avrebbe dovuto sentirsi schifato?
Doveva reputare ributtante una scena pietosa come quella, no?

No???!!

Non si accorse che il tremore del suo corpo era giunto a livelli tali da farlo a malapena reggere sulle gambe.

Respira.

Akio…

Akio…

Akio…

Kageyama avanzò cautamente di qualche passo.

Le sue mani grandi ed eleganti si contrassero nervosamente, come se avesse desiderato afferrare qualcosa di intangibile.
Come se avesse agognato posizionarle in un luogo proibito.

Akio…


“Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”

“No. Non di qualcuno. Li ricordo tutti”



Akio è morto.


Rei.

Dayu.

Amane.

Eiji.

Ginko.

Sanjiro.

Megumi.

Yusuke.

Kazuma.

Akihito.

Urako.

Isabel.

Oda.

Sumiko.

Isao.

Takashi.

Kanjiro.

Matsuo…


Sono tutti morti.

Non li rivedrai mai più.



Continuò a fissare il volto assurdamente espressivo, sì proprio così, espressivo di Kageyama.

In quegli occhi perennemente artici… poteva specchiarsi in un’infinita gamma di emozioni.

Apprensione, sollievo, sgomento, confusione.

Tuttavia, fra tutte…

Quegli occhi ardenti sembravano volergli sussurrare un timido ma risoluto…


Fidati di me.


Shoyo non pensò.
Non era bravo a pensare.

Agì semplicemente d’istinto.

Lo stesso istinto che l’aveva guidato a intraprendere una carriera eccessivamente onerosa per la sua fragile sensibilità.
L’istinto che l’aveva sempre incoraggiato a distribuire il suo unico cuore fra decine di bambini trasformatisi troppo presto in silenziosi cadaveri.
L’istinto che l’aveva spinto a conservare gelosamente ogni singolo disegno o oggetto che i suoi piccoli pazienti gli avevano donato nel corso degli anni.

E quella volta, il suo istinto lo incalzava a…

Un singhiozzo acuto gli graffiò la trachea.

Portandosi le mani alle tempie, tra i capelli che Akio aveva accarezzato con le sue gracili dita, le difese di Shoyo si sgretolarono.

Strizzò gli occhi umidi e…

Un gemito disperato eruppe dalle profondità del suo animo.

Si raggomitolò su se stesso, incapace di reggere il proprio corpo, incapace di muoversi dall’asfissiante peso delle sue responsabilità, incapace di sottrarsi ai suoi sentimenti dirompenti.

Incapace di sfuggire alla disperazione che la morte di Akio aveva scatenato, trascinando con sé i decessi di tutti i pazienti che Shoyo era stato impossibilitato a sventare e urlando i loro nomi a pieni polmoni.

Gemette incontrollatamente finché due braccia salde non gli avvolsero la schiena, impacciate, timorose di un possibile rigetto.

Shoyo però non esitò.

Si lanciò a capofitto in quel petto forte, sprofondò il viso nella maglietta nera e…

Semplicemente, pianse.

Si abbandonò a un pianto irrefrenabile e liberatorio che mai si era concesso nel corso della sua carriera medica.
Un pianto costantemente negato poiché fermamente convinto di non meritare un simile comfort.

Il lusso di cedere al suo immeritato dolore.



Non parlarono.

Non ve ne fu la necessità.

Kageyama strinse a sé lo scricciolo rosso per tutto il tempo, carezzandogli timidamente i capelli morbidi e aspettando pazientemente che esaurisse le lacrime.

Trascorse quasi un’ora prima che si accasciasse sul suo torace in uno stato di semi incoscienza, finalmente esausto.

A un certo punto, un sussurro aprì un varco nell’immobilità della quiete circostante.

“Grazie, Kageyama”

Gli occhi nocciola venati di porpora ma luccicanti come stelle si immersero in un paio di occhi del color dell’oceano in tempesta.

“Grazie per avermi prestato la forza di lasciare andare”





Ripensando al rocambolesco svolgersi degli eventi, probabilmente Jun aveva avuto ragione sin dall’inizio.


“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo,  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto a sé”


Se non avesse messo in pratica i suoi consigli passati, non avrebbe mai contatto Akaashi.


“L’ultima volta in cui ci siamo visti, io… l’ho ferito”
 
“Ah, questo cambia le cose. Beh, dovresti farti perdonare… anche se dalla tua faccia penso che tu non sappia come fare, giusto?”
“Perché non gli fai una sorpresa? Potresti presentarti sotto casa sua all’improvviso!”
“Non avete conoscenti in comune a cui poter chiedere? Oppure potresti spiegare la situazione a un suo amico. Sono sicuro che capirà. L’importante è mostrarsi sincero del tuo pentimento”



Gli doleva tangibilmente ammettere la sua ottusità, ma dialogare con il senpai si era rivelata la soluzione ottimale.
Non solo parlare a cuore aperto aveva offerto stimolanti spunti di riflessione, gli aveva anche consentito di saggiare la profondità del suo legame con Akaashi-san.  

Tobio aveva incessantemente dimostrato un atteggiamento restio nel considerarlo un vero amico, ostinato nel ferreo rispetto delle regole da lui profilate secondo cui un saldo rapporto umano non solo era completamente superfluo bensì non compatibile con la sua persona.

Dettami bellamente distrutti dal traumatico incontro con Oikawa-san, le cui inattese e sconcertanti rivelazioni lo avevano condotto a riconsiderare integralmente il suo tossico approccio vitale.

Telefonare al senpai era stato uno dei primissimi gesti intrapresi dopo un paio di giorni di completo blackout cognitivo da quella fatidica serata.
Il migliore, presumibilmente.

Akaashi si era confermato la costante figura pacata e conciliante, pragmatica nelle raccomandazioni e cauta nella divulgazione, zelante a rintracciare i contorti fili del suo ragionamento e perspicace nei silenzi imbarazzati che impedivano al legale di esprimersi in maniera adeguata.

Un amico, insomma.   

Ironico che senza il provvidenziale intervento di Oikawa-san non sarebbe nemmeno giunto a una conclusione talmente lampante.

In fondo, però, Oikawa aveva sempre simboleggiato il suo punto di partenza.

Spettava a lui il diritto, e chissà, forse anche il dovere, di porre fine al Kageyama Tobio unanimemente noto fino a quel momento al piccolo e grande pubblico affinché si spianasse la strada a un Kageyama rinnovato e, auspicabilmente, migliorato.


“Fai finta di non avermi mai conosciuto, okay? Consideralo solo uno spiacevole incidente di percorso. Non dovrebbe essere difficile”


Ribaltare la propria idea su Oikawa e Akaashi aveva indubbiamente rappresentato l’esito migliore che si potesse realizzare, altrimenti Tobio avrebbe effettivamente prestato ascolto a quell’idiota di un medico.




“Come sapevi che mi avresti trovato lì?”

La voce di Shoyo era sommessa, ancora modicamente rauca dal perdurante sforzo compiuto.

“È stato Akaashi-san ad avvisarmi” rispose quietamente Tobio, studiando la figura del rosso seduta a gambe incrociate davanti a sé, sguardo rivolto verso la tazza di ceramica verde che si rigirava fra le mani, verosimilmente per ricercare un barlume di tepore.

Il cielo ancora buio e la panchina in ferro battuto del parchetto dell’ospedale su cui erano accoccolati emanava una sensazione artica alla sola vista.

Tobio avrebbe insistito per restare al chiuso, ma non volle frenare l’esigenza di una boccata d’aria fresca del medico.
Era stata una lunga nottata.

“Akaashi-san?” echeggiò Shoyo, increspando le sopracciglia in un’espressione di tenue confusione.

Il legale si grattò i capelli scuri, trattenendo un sospiro.

“Mi ha telefonato prima di mezzanotte. Mi ha sorpreso, non immaginavo mi contattasse così presto, avresti dovuto rimanere con loro ancora per un bel pezzo…” si arrestò, percependo la penetrante  occhiata interrogativa del rosso prima di avvistarla.

Soppresse a fatica un lamento rassegnato.

“È da qualche settimana che mi tiene aggiornato. Su di te, intendo” borbottò goffamente.

Si costrinse ad ignorare il bruciante rossore di cui le sue orecchie erano preda.

“Volevo… volevo soltanto sapere come stavi. Come te la passassi, ecco. Così mi ha promesso di informarmi, di tanto in tanto. E mi ha assicurato che avrebbe… sondato cautamente il terreno, per capire… il tuo giudizio nei miei confronti”

Le iridi nocciola di Shoyo erano incollate al viso del legale, incredule e rapite dall’inaspettato resoconto.

“Sei stato… piuttosto chiaro su come ti sentissi riguardo alla mia presenza l’ultima volta che ci siamo visti, quindi non volevo oltrepassare il limite… almeno direttamente. Akaashi-san mi ha suggerito di aspettare, di darti del tempo. Per questo non ti ho scritto. Non mi sono… d-dimenticato di te”

Era un record che Tobio riuscisse a recitare un discorso tanto arzigogolato sul proprio sentire impappinandosi soltanto una volta.

A Shoyo sarebbe scappata una risatina se il cuore non gli battesse furiosamente contro il petto.

Kageyama non si era dimenticato di lui?
Che intendeva…

“Ti ho pensato. Spesso, a dire il vero. All’inizio… non mi capacitavo del motivo. Mi ero convinto che tu avessi ragione, la nostra conoscenza equivaleva a una perdita di tempo. Che non fossimo davvero… compatibili. Che le tue parole avessero perfettamente senso. Tu eri un debole e con la tua mentalità infantile mi avresti unicamente trascinato verso il basso”

Un sussulto inconscio scosse il torace di Shoyo a quell’asserzione schietta e pungente.
Non potè evitarlo.
La ferita era ancora troppo fresca.

“Ma non era vero” si corresse frettolosamente.
“Per tutto questo tempo, io… ho sovrapposto una visione della vita che credevo vincente alla mia, senza però rendermi conto che… non esistesse”

Sospirò rumorosamente.

“Io… faccio ancora fatica, a comprendere le persone. Non riesco a distinguere i loro diversi stati d’animo e soprattutto… non so bene cosa siano, i sentimenti. Sentire per la prima volta qualcosa di simile a ciò che provo per te, non fa altro che mandarmi il cervello in subbuglio e…”

“Cosa provi per me, Kageyama?” lo fermò bruscamente Shoyo.

Le mani erano serrate attorno alla tazza, il fumo proveniente dal liquido bollente gli offuscava il viso pallido.
Gli occhi erano due magneti infuocati.

“Io… non so spiegarlo con certezza. Non ho un termine di paragone” mormorò, la frustrazione evidente dalla voce mista a un sottotono genuinamente abbattuto.

“Ciò che posso dire è che non te ne vai mai dalla mia testa. Non importa quante volte ti scacci, ritorni sempre con quel tuo stupido sorriso. La tua risata a volte mi riecheggia nelle orecchie quando meno me lo aspetto. Sei un idiota patentato, ma quando faccio qualcosa di stu… cioè, di inadeguato, sento la tua vocina che mi rimprovera e mi suggerisce il da farsi. Sei ovunque cazzo, non riesco a liberarmi di te!” sbottò furente.

Il medico aveva la bocca spalancata in un innegabile stato di tentennante sbigottimento.

Doveva prenderlo come un complimento o piuttosto…?

“Sei… impossibile. Non ti dà fastidio il mio brutto carattere e se ti disturba qualche atteggiamento lo tolleri e cerchi anche di aiutarmi a correggerlo. Sei un… concentrato di energia, quando sono con te ho voglia di fare qualunque cosa. Sei…”

Cazzo, cazzo.

Si morse il labbro, sopprimendo il desiderio di imprecare ad alta voce.


“Ognuno di noi ha il diritto di crollare. Non puoi essere costantemente perfetto, per quanto tu lo voglia”
 

“Sei una cazzo di forza della natura. Ho creduto per tanto tempo alle parole che ti ho vomitato contro durante il nostro primo incontro, ma poi… poi mi sono accorto che si trattasse soltanto di un modo di vivere di cui… ignoravo l’esistenza. Quando ti ho visto sorridere ai bambini del reparto e trattarli in quel modo… ho realizzato che fosse quello il veicolo della tua forza. L’energia vitale che trasmetti loro giorno dopo giorno per… facilitargli il percorso ospedaliero”


“Mi sono fatto coinvolgere troppo”


“Il problema è che… non sai quando fermati. Non riesci a gestire l’accumulo e finisci per isolarti senza chiedere aiuto a nessuno. In questo… siamo piuttosto simili”

Inarcò la testa verso il cielo, osservando le nuvole rischiararsi e il manto notturno tingersi di azzurro scuro.

Hinata era assolutamente incapace di metabolizzare il carico emotivo dei suoi pazienti e ne veniva  
sopraffatto.

A differenza di Oikawa-san, non aveva trovato una sana forma di equilibrio che gli permettesse di non sovraccaricarsi del dolore periodicamente assorbito dai bambini terminali, costretti a trascinare un fardello esageratamente gravoso per le loro esili spalle.  

Tuttavia, senza un’opportuna valvola di sfogo, una disastrosa implosione era l’unico esito pronosticabile.
E, dati gli ultimi eventi, verificabile.

“Akaashi-san mi ha avvisato della chiamata improvvisa che hai ricevuto e mi ha spiegato sommariamente la situazione. Avevo intuito la gravità del tuo malessere, però… non fino a questo punto” mormorò lentamente.

Il violento collasso di Hinata aveva rischiato di mandare definitivamente in tilt il suo già compromesso sistema nervoso.
Assistere impotente ai singhiozzi sconquassanti dello scricciolo aveva comportato l’impiego di un livello di autocontrollo spaventoso, impossibile persino da immaginare.

Il viso di Hinata era nato per sorridere, non per riempirsi di lacrime strazianti.

“Mi ha chiesto lui di raggiungerti. Ha detto che, fra tutte le persone che ti sono amiche… fossi l’alternativa migliore”

Si lasciò andare a un sogghigno pregno di amarezza.

“Anche se non ho la più pallida idea del motivo”


“Adesso è il momento di smettere di fingere. Sono qui per questo, non credi?”


Sarebbe stato parecchio figo impersonare il nobile ruolo di Iwaizumi-san…
Tuttavia, era consapevole si trattasse esclusivamente di una mera fantasticheria.

Un tiranno non aveva il diritto di trasformarsi nell’eroe della storia.  

“Oh, io credo di sapere la ragione”

Il sussurro appena accennato di Hinata gli offrì il coraggio necessario per fronteggiarlo a viso aperto…
Ma il suo cuore spasmodico mancò una sequela di battiti.

Le labbra del medico erano piegate lievemente all’insù e i suoi occhi parevano riflettere un oceano di disparate e disperate emozioni.

“Kageyama, non smetti mai di sorprendermi” dichiarò con una flebile risatina.
“La prima volta ti ritrovo davanti l’ingresso di casa, poi ti intrufoli nel mio reparto e adesso nel bel mezzo del corridoio della terapia intensiva. Sicuro di non essere il mio stalker?”

Le guance di Tobio si incendiarono istantaneamente.

“Idiota, c-che vai blaterando? Non ti ho assolutamente…”

“Mi piaci, Kageyama”

Senza nemmeno avere il tempo materiale di afferrare il senso della frase, una morbida pressione atterrò sulla sua bocca.

Fu un tocco leggero, tenero e… fugace.

Prima di accorgersene era già svanito.

“Mi piaci perché sei forte, dai l’impressione che niente e nessuno possa scalfirti, anche se ciò non combacia sempre con la realtà. Sei indipendente, non ti fai condizionare dal giudizio altrui e prosegui dritto per la tua strada… ma certe volte sei goffo, ingenuo e manipolabile come un bambino” ridacchiò, punzecchiandolo bonariamente.

“Sei testardo come un mulo e non ti tiri indietro davanti a nessuna sfida… comprese le corse sulle scale per stabilire chi tra i due fosse il più veloce” ricordò nostalgicamente.
“E soprattutto” sottolineò con estrema risolutezza…

“Non sei una causa persa”

I grandi occhi di Tobio scandagliarono la sua espressione, insicuri ed esitanti.

“Sei autoritario, su questo non ci piove, ma non crudele. Ti sei convinto di doverlo essere per guadagnarti il podio. Hai creduto ciecamente che non esistessero strade alternative al raggiungimento del medesimo risultato. Adesso, invece… hai iniziato a intravederle”

Le prime luci dell’alba tersero le iridi nocciola di Hinata fino a tramutarle in pozze di miele dorato, fulgide al pari di due stelle.

Reggerne lo sguardo si rivelò un’impresa straordinariamente ardua.

“È stato specialmente merito tuo” mugugnò il legale, gote scarlatte per le imbarazzanti ammissioni.

E di Oikawa, per avermi letteralmente disintegrato ogni certezza esistente.


Trascorsero un paio di minuti in quieto silenzio, cullati dal vispo cinguettio degli uccelli indaffarati ad omaggiare il nuovo giorno, lasciando penetrare e fermentare le rispettive confessioni.


“Non smettere mai… di sentirti vivo”

Non smettere mai di emanare luce.

“Come?”

“Tu…”

Mi hai stravolto l’esistenza.

“Sei un punto di riferimento… per tutti coloro che ti circondano”

Sei un fottuto sole, cazzo.

“Quando ti ho visto in ospedale, spento e privo di spirito…”

Rivoletti di sudore inumidirono il tessuto a contatto con la sua schiena.
Ormai stentava a rintracciare le parole adatte.

Inalò un’abbondante quantità di ossigeno, recuperando la dose di coraggio essenziale per spillare…

“Quello che voglio dire è che… è normale non… n-non essere perfetti, una volta tanto”

Se avesse puntato lo sguardo su Hinata avrebbe avuto l’occasione di assistere alla personificazione dello shock.

Quello era Kageyama?
Il Kageyama Tobio che conosceva… aveva appena pronunciato un’affermazione tanto improbabile??


“Mi hai ferito, Kageyama. Mi hai davvero ferito e… ho paura che mi ferirai molte, molte altre volte”

“So come sei fatto e so che avresti provato repulsione per uno come me!”



“Mi dispiace” aggiunse, espressione seria e determinata.
“Per averti dato l’impressione che confidarti con me fosse impossibile, anche se… in realtà non avevi tutti i torti. Mi sono comportato da idiota. E poi…”


“Certe volte penso a come sarebbe stato più semplice non averti mai incontrato quella fottuta mattina!”


“Non lo pensavo davvero. Quello che ti ho urlato in preda alla rabbia. Al contrario…”

Cazzo, Tobio, sputa il rospo.
Per una volta nella vita, sii schietto e sincero con questo casino di cosiddette emozioni che ti ballonzolano in corpo.


“Rompermi il braccio e aspettare per ore al pronto soccorso del Karasuno… non è stato poi così male”
 
Okay, a quel punto poteva ufficialmente autocombustionare sul posto.

Shoyo era semplicemente…
Attonito.

Esterrefatto, ma decisamente…

Un sorriso cristallino tornò a impreziosirgli le gote e, illuminato dai raggi solari che trapelavano tra i grattacieli, sembrava emanare luce propria.

Felice.

Solo qualche ora prima era riverso sul corpo morente del piccolo Akio, traboccante di senso di colpa, dolore, impotenza, rabbia, autocommiserazione.
Sarebbe servito del tempo per incollare insieme i cocci della sua stravolta coscienza.
Eppure…

Un’ondata di autentica felicità gli cinse gentilmente le membra, sprigionando un rasserenante tepore verso ogni singolo anfratto della sua anima.


“C’è tanta luce dentro di te, Kageyama”


Gli occhi di Tobio dardeggiarono sul rosso, sopracciglia aggrottate in una smorfia di palese scetticismo.

I tiepidi raggi solari lo avevano raggiunto, inglobandogli il capo corvino in un caldo bagliore.

“Potrà essere nascosta. Potrai non accorgerti di possederla. Potrai persino non capire come sfruttarla pienamente…”

Si accostò al corpo del legale, rizzandosi sulle ginocchia per equipararsi al livello del suo viso.

“Ma è racchiusa dentro di te. Vive… e ti illumina da dentro” dichiarò sommessamente, picchiettando un dito contro il suo petto, in corrispondenza del cuore.

“Smettila di rappresentarti come un tiranno senza possibilità di redenzione, perché non è così. Le persone che ti vogliono bene non lo pensano sul serio. Io, non lo penso”

Il sole nascente divorò completamente il volto di Shoyo, esponendolo al chiarore del giorno e permettendogli di sfolgorare a tutto tondo.

“Vuoi sapere perché ne sono certo?” domandò, disegnando ghirigori distratti sul suo giubbotto.

Si avvicinò fino a sfiorare la punta del naso di Kageyama.

“I tuoi occhi brillano mentre mi guardi”

E con ciò, chiuse lentamente lo spazio fra i loro corpi.


Kageyama si sentiva… intorpidito.
Paralizzato.

Non sapeva cosa fare, non sapeva come comportarsi, non sapeva cosa fosse giusto provare.

Hinata lo stava baciando.
Hinata aveva posato la bocca morbida sulla sua, suggendogli occasionalmente le labbra.

La sgradevole pressione bollente in prossimità dello stomaco…

Era un’emozione?

Era normale?

Perché si sentiva così?

Perché avvertiva le sclere umide e formicolanti?  

Perché il battito cardiaco gli era schizzato impazzito in gola?

Perché il suo corpo stava tremando senza il suo consenso?

Hinata gli aveva garantito che…
Anche dentro di lui…
Ci fosse…

“Hai capito, Kageyama?” sussurrò, disgiungendosi a malapena dal contatto.

“Puoi abbandonare il mantello da re quando ci sono io nei paraggi”
    
Una singola, silenziosa lacrima solcò la guancia accaldata di Tobio.

Le labbra di Shoyo furono pronte a inghiottirla e a depositarsi nuovamente sulla sua bocca, abbandonando frettolosamente sul terreno la tazza che ancora gli ingombrava la mano.


“Era come se un calore sconosciuto si stesse espandendo da dove io e Bokuto collimavamo, un calore confortante che non avevo mai sperimentato prima d’ora. Capii che si ripeteva ogni volta che Bokuto mi accarezzava o stringeva a sé. Era come se quel calore lo emanasse proprio Koutaro. Il mio nervosismo, la mia repulsione per il contatto fisico… erano spariti, con lui”


“Certe volte mi domando cosa farei se non mi fossi accanto”
“Sei forte, lo sai. Riusciresti ad andare avanti comunque”
“Mi sembrerebbe di annegare senza di te”
“Te l’ho già spiegato. Non puoi fare mica tutto da solo”

“Sei la mia roccia, Hajime”
“Lo sei sempre stato”



“Sai… io non credo sia possibile rimanere soli. Lo so che non sono la persona più adatta per dirlo,  ma ciascuno di noi… ha bisogno di qualcuno accanto a sé”


Fu come se un’inaspettata scarica elettrica dissolvesse le pesanti catene che costringevano ancora Tobio alla totale immobilità.

Affondò le mani tra i capelli rossi di Hinata, chiuse gli occhi e…

Scegliere il da farsi fu all’improvviso sorprendentemente facile.

In quel bacio tentò di convertire il suo rocambolesco e incoerente sentire, le sue paure più recondite e disdicevoli, le sua viscerali incertezze.
Cercò di riversare il suo desiderio bruciante assieme alle innumerevoli contraddizioni, convogliando in un unico atto viscerale l’estenuante e straziante epopea che in quei mesi li aveva resi protagonisti.

Un piccolo gemito sfuggì alle labbra di Shoyo percependo la foga che aveva magicamente impossessato il legale, la cui lingua richiedeva imperiosamente il suo legittimo accesso all’interno della sua bocca.

Forse, dopo ben ventisei anni…
Era finalmente riuscito a svelare il mistero che si celava attorno a quelle emozioni.

Un sorrisetto infantile gli contornò le labbra umide e affannate.

Non era poi così necessario comprenderle con la logica.

Semplicemente, bastava abbandonarsi consensualmente al loro dirompente fluire.

Nascondendo a stento un risolino per quella manifestazione perentoria, Shoyo decise di lanciare alle ortiche ogni prudenza.

Si arrampicò sul bacino di Tobio e gli circondò il collo con le braccia, mordicchiandogli giocosamente il labbro inferiore mentre gli avvolgeva le gambe sui fianchi.

Non volendo naturalmente rimanere indietro, Tobio posizionò saldamente le mani sulla vita di Hinata e se lo strinse al petto, inebriandosi della fragranza di pesca proveniente dai quei capelli vaporosi.

Non fu un bacio disperato.

Alla disperazione era già stato concesso abbastanza spazio affinché potesse essere espletata.

Ciononostante…

Shoyo strattonò i capelli corvini finché il legale non fu costretto a curvare la testa, svelando il collo pallido che implorava maliziose attenzioni.

Fu decisamente affamato.

Tobio allargò le palpebre, impreparato alle labbra del medico lungo la sua giugulare e sicuramente colto alla sprovvista dai denti che si infilzarono sulla mandibola, strappandogli un guaito involontario e provocando in Shoyo un ghigno soddisfatto.

Non contento, si arpionò alle sue braccia e roteò i fianchi in un’onda sinuosa contro le cosce del legale, che avvampò in un baleno e reagì soltanto con una pressione indispettita delle dita sul suo basso schiena.

Shoyo rise spontaneamente del suo impaccio e gli scoccò un tenero bacino sul naso, ricevendo in risposta un’occhiataccia degna del famigerato avvocato Kageyama.

Dopo avergli giocosamente morsicato il padiglione auricolare mentre le mani vagavano provocatoriamente sul suo petto e aver ottenuto, finalmente, un bacio mozzafiato come replica irritata, Shoyo recuperò un minimo di lucidità.

I rilucenti occhi nocciola si ancorarono nuovamente alle tempestose iridi blu.


Shoyo si specchiò in Tobio.

Tobio si riflesse in Shoyo.


Circondate dal contesto urbano di una metropoli nipponica, avvinghiate nel cortile dell’ospedale in cui tutto ebbe inizio, inzuppate dai raggi invernali del sole…
Le due incomplete esistenze erranti, forse per la prima volta dal giorno in cui erano casualmente incappate l’una sull’altra…


Si unirono.











Note finali: non inizio nemmeno a giustificarmi per le tempistiche bibliche perché ormai ho finito le scuse😂🔫
Signore e signori, siamo giunti alla fineeeee (più o meno, l’ultimo capitolo sarà un epilogo generale perché non potevo mica lasciare in disparte tutti i millemila personaggi che hanno reso la storia tra Kags e Shoyo possibile, how rude of me).
Però sì, la storia principale, se vogliamo, è giunta al termine.
Dopo cinque lunghi anni.
Wow.
Non credevo, e non volevo, che i tempi si dilatassero fino a questo punto, ma purtroppo la vita riserva tante sorprese (tipo la mia incapacità di concentrarmi su due cose contemporaneamente e che quindi rende impossibile scrivere mentre continuo a studiare o banalmente vivere una vita sociale).
Ma bando alle ciance.

La scena della morte di Akio, così come la scoperta di Kageyama del vero lavoro di Shoyo nel reparto di oncologia, la pianifico sin dall’inizio della storia.
Avrebbe dovuto essere uno dei punti di maggior pathos della narrazione… non sono però sicura di aver soddisfatto le mie stesse aspettative.
Che ne pensate voi, care lettrici e cari lettori?
Mi piacerebbe tanto ricevere un vostro feedback🤍
(L'anime che sta guardando alla fine con Shoyo potrebbe o meno essere un haikyu ambientato ai tempi del piccolo gigante, non a caso è il preferito di Hinata e Akio).

Ringrazio incondizionatamente tutte le persone che in questi anni hanno seguito assiduamente I discovered the Sun e quelle che si sono unite da poco.
Senza di voi tutto questo non sarebbe esistito♥️

Rinnovo il mio twitter praticamente statico ma sempre pronto a ricevere messaggini di qualunque tipo (con l’adorabile Carol12 siamo partite da Twitter per finire a parlare su Instagram).

Vi mando tanti bacini, ci si sente nell’ultimo aggiornamento🍀



 

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