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di chibi aki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aki Blues ***
Capitolo 2: *** Week End ***
Capitolo 3: *** One Day ***
Capitolo 4: *** Jamie Blues ***
Capitolo 5: *** Bowling, friends and kiss ***
Capitolo 6: *** Ti voglio bene ***
Capitolo 7: *** Passeggiata ***
Capitolo 8: *** Origini ***
Capitolo 9: *** Live Concert ***
Capitolo 10: *** Birthday, presents, kiss ***
Capitolo 11: *** Primo Appuntamento ***
Capitolo 12: *** Wedding ***
Capitolo 13: *** Che nottata! ***



Capitolo 1
*** Aki Blues ***


Capitolo 1

"Signore e signori, ecco a voi Aki Blues!"
Non so quante volte ho sentito questa frase. Da quando sono diventata famosa, ogni sera, ogni concerto, ogni tour, questa frase apriva lo spettacolo. Era sempre tutto uguale: entravo in scena, mi esibivo con circa quindici canzoni e poi sparivo dietro le quinte. Il mio primo album stava scalando le classifiche ed era secondo solo all'ultimo della mia band preferita, in altre parole i Jonas Brothers. Quei tre ragazzi mi avevano sempre ispirato moltissimo e sognavo di poterli incontrare un giorno.
"Buonanotte a tutti! Siete grandiosi!"
E così un altro concerto era finito. Rientrai nel backstage e ignorai il mio manager, diretta nel mio camerino. Avevo voglia di farmi una doccia e, a dir la verità, puzzavo anche.
- Aki? Perché hai ancora le auricolari? - Kathy, il mio agente, era entrata nella stanza e, con la sua voce dolce come il miele, mi aveva scostato i capelli biondi e mossi e aveva tirato fuori le auricolari dalle mie orecchie. Sbuffai. Era un po' come una sorella maggiore per me e a volte rompeva i cosiddetti quanto una sorella maggiore. Anche se, sinceramente, non potevo saperlo. Ero figlia unica. A volte mi sentivo un po' sola in tour. Per fortuna ormai era finito. Mi misi una tuta e mi feci accompagnare a casa mia da Kathy. Salutai svelta mio padre, chiesi come andava la gravidanza a mia madre e mi diressi in camera mia. L'unica cosa che desideravo fare era dormire. Senza neanche levarmi i vestiti, mi buttai a letto e lì rimasi fino alle 11:00 del giorno dopo, quando la suoneria del mio cellulare che avevo stupidamente lasciato acceso mi annunciò l'arrivo di una chiamata. Risposi pigramente, desiderando di distruggere il telefonino e imprecando sottovoce.
- Pronto? - sbadigliai.
- Parlo con Aki Blues? - chiese una voce sconosciuta, o almeno adesso che ero mezza addormentata.
- Così si dice - risposi, senza un briciolo di entusiasmo più di prima.
- Sono Joe Jonas dei Jonas Brothers e sono felice di dirle, o bellissima fanciulla, che mi ha conquistato completamente al concerto di ieri sera! - esclamò una voce già più riconoscibile di prima.
- C-cosa? - domandai, tirandomi a sedere sul letto. Ora sì che ero completamente sveglia.
- Ci hai conquistato tutti! - proclamò un'altra voce.
- Certo che sì! La tua voce è davvero fantastica! - aggiunse una voce ancora diversa. Ma quanti diavolo erano dall'altra parte del telefono?
- D-dite sul serio? - non avevo ancora ben capito chi fossero gli altri due, ma ero comunque felice.
- Certo! Che ne dici di incontrarci da Starbucks? - ipotizzò la terza voce.
- No, Nick, non ci lascerebbero un attimo di pace! E poi non ho voglia di travestirmi! - lo riprese la seconda voce. Se la prima era di Joe e la terza di Nick -quanto lo amavo- la seconda non poteva essere che di Kevin!
- Ma voi siete... i Jonas Brothers al completo! Non ci credo! - urlai, saltellando come una matta sul letto.
- Ops! Ci siamo dimenticati le presentazioni!
- Io mi sono presentato!
- Ma come faceva a sapere che eravamo noi?
Joe e Nick stavano discutendo animatamente ed io mi divertivo ad ascoltarli.
- Va bene ma adesso finitela! Stiamo facendo di nuovo una figuraccia! Ha capito chi siamo, possiamo andare avanti? - li ammonì Kevin.
- Sì, mamma. - rispose Joe, che probabilmente aveva ricevuto uno scappellotto perché lo sentii lamentarsi.
- Che ne dici se veniamo a casa tua? O preferisci venire da noi? - mi propose Nick.
- N-non lo so. Come volete voi. - balbettai di rimando.
- Allora vieni a casa nostra nel pomeriggio? - disse Kevin a mo' di proposta.
- Sarebbe fantastico. - risposi.
- Ci vediamo dopo! - esclamarono all'unisono, mentre io, ridendo, chiudevo la chiamata.
Mi preparai velocemente e indossai un top monospalla stile vintage e dei jeans blu aderenti. Misi le mie Convence arancioni come alcune sfumature del top e lasciai sciolti i capelli, tranne alcune ciocche, che raccolsi in piccole treccine e codini. Decisi di mettermi anche un po' di lucidalabbra trasparente e dell'ombretto rosa pesca con un leggero strato di mascara. Quando mio padre mi vide, mi interrogò subito su dove stessi andando, con chi sarei stata e quando sarei ritornata. Risposi con la pura verità e feci tacere papà (ho fatto la rima! XD nda). Andai in moto fino a casa di Kathy e, insieme a lei, pranzai in un ristorante lì vicino. Mentre aspettavo che lei finisse la sua insalata, arrivata anni dopo la mia ordinazione, guardavo nervosamente l'orologio deforme appeso al muro. Le mie gambe fremevano e le mani non sembravano intenzionate a smettere di tremare. Ma perché il tempo doveva passare così lentamente?
- Aki. - Kathy aveva mezzo avocado in bocca quando mi vide così agitata.
- Sì? - risposi, senza fermare il movimento frenetico del mio corpo o guardarla un secondo in faccia.
- Che hai? E non dire "niente" perché non me la dai a bere. - continuò.
La guardai dritta in faccia e calmai il tremore.
- Stamattina ho ricevuto una chiamata dai Jonas Brothers e mi hanno chiesto di incontrarci a casa loro. - raccontai, in un margine di due secondi, e poi tornai all'attività precendente.
Non seppi che faccia aveva fatto, ma solo che rimase zitta come volevo per il resto del suo pranzo. Quando uscimmo dal ristorante, notai uno splendido sole estivo. Lo sentivo, la giornata di oggi sarebbe stata fantastica. Kathy mi convinse ad andare in sala registrazioni, anche se non ne avevo nessuna voglia, e passammo due ore buone a scrivere una nuova canzone. Alle 15:30 controllai il mio orologio e decisi che avevo aspettato fin troppo. Mollai Kathy alla sala registrazioni senza alcun mezzo per tornare a casa e mi diressi all'abitazione dei tre ragazzi che rappresentavano la mia ragione di vita. Davanti al vialetto della loro bellissima villa, aspettai a scendere dalla moto. Non ero sicura di voler andare. Ogni cellula del mio corpo sprizzava elettricità al solo pensarci. Rimisi n moto e indossai il casco. Sarei di sicuro svenuta davanti a loro e non volevo fare brutte figure. Stavo per ripartire quando una bellissima voce fermò il mio intento.
- Aki? Aki! Ragazzi è arrivata! - Nicholas Jerry Jonas, l'oggetto principale dei miei sogni, era in attesa del mio arrivo? Mi tolsi velocemente il casco e controllai dov'era. Si stava pericolosamente sporgendo da una finestra del secondo piano e agitava la mano nella mia direzione. Il mio cuore saltò qualche battito. Oh mamma, quanto era bello! Il sole gli illuminava i meravigliosi riccioli e il suo sorriso mi diede un filo di sicurezza in più. Mi decisi finalmente a scendere dalla moto e levarmi il giubbotto di pelle e i guanti. Quando ebbi sistemato tutto, presi un profondo e lunghissimo respiro e mi decisi a girarmi. E quello che mi ritrovai davanti non me lo aspettavo per niente. Frankie Jonas mi guardava e aveva stampato in faccia un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro.
- Ciao! Tu sei Aki, vero? Io ti ammiro moltissimo! Mi piaci davvero tanto! - la sua adorabile voce mi fece sorridere.
Stavo per rispondere al suo accogliente saluto, quando qualcuno lo sollevò sopra la sua testa.
- Eh no, Frankie! L'ho vista prima io! - Joe stava strapazzando il fratellino di solletico, sempre tenendolo con i piedi lontani dalla terra. Denise Jonas, loro madre, arrivò in soccorso del più piccolo e ammonì il maggiore il quale fece spallucce con un sorrisetto idiota. Denise rientrò in casa per chiamare Nick e Kevin. Joe rimase con me e fece gli onori di casa.
- Beh, conosci tutta la famiglia probabilmente. Vuoi fare un giro per la casa? - annuii, incapace di usare la voce.
Quel posto era senza dubbio fantastico. Molto sofisticato e spazioso. Magari avessi avuto io una villa del genere. Per discrezione, Joe non mi fece vedere le loro stanze. Poi mi spiegò che in realtà era perché erano in disordine. In questo eravamo uguali identici. Non sarei mai stata in grado di dirglielo se non fosse stato così simpatizzante. Con lui era facile lasciarsi andare. Quando ebbe finito con il suo giro turistico, mi chiesi dove fossero i suoi fratelli. Quando girai le spalle, mi rispose da sola. Erano lì, esattamente davanti a me, così belli che non sembravano veri. Nick poi sembrava un angelo che era stato regalato molto generosamente al mondo dei mortali. Ed era a pochi metri da me, in carne ed ossa! Persa com’ero nei miei pensieri, inciampai nei miei stessi passi, cadendo a terra in maniera leggermente imbarazzante. Anche se tutti e tre i fratelli si erano mossi per prendermi, l’atterraggio fu il più imbarazzante della mia vita. Scatenai una reazione a domino, cascando su Nick, che fece cascare Joe, che fece cascare Kevin. Perfetto! Ero praticamente sdraiata sul mio idolo maschile e chiedevo scusa come un idiota! Mi sentii morire per l’imbarazzo e desiderai di non essere mai entrata in quella bellissima casa. Loro furono gentilissimi a dirmi che era tutto a posto, ma sapevo, o almeno credevo, che, non appena mi giravo, si mettevano a lamentarsi su quanto fossi stupida. Però il resto del pomeriggio trascorse tranquillo. Mi diedero anche un soprannome: A.D. Aki Danger. Almeno qualcosa in comune con Joe ce l’avevo. Quando tornai a casa mia, con i loro numeri salvati nella rubrica del mio telefonino, mi chiesi perché avevano organizzato questo incontro. Attesi fino al giorno dopo, quando, torturata dal pensiero di questa domanda, mi decisi a mandar loro un messaggino.
” Perché volevate incontrarmi? A.D.”
Il testo dell’sms era pronto, ora dovevo solo decidere a chi dei tre inviarlo. Optai per Joe, con il quale avevo legato un po’ di più che con gli altri due. Nick, non avrei mai avuto il coraggio. Kevin, non mi sembrava il tipo di ragazzo che sta dietro ad un cellulare, neanche il suo.
Quando ebbi pigiato “Invio”, mi misi a cercare la risposta alla mia domanda. E questa arrivò poco dopo, sotto forma di sms.
”Perché volevamo conoscerti. Stavamo addirittura pensando di darti qualche consiglio, se vuoi, per il tuo prossimo album. Danger”
Wow! Volevano conoscermi! E darmi musicalmente una mano! WOOOOOOOOOOOOOOW! Passai tutto il resto della giornata a canticchiare felice come un bambino davanti ai regali di Natale.

Continua…

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Capitolo 2
*** Week End ***


Capitolo 3

Cotta da fan. Constatai di averne una mentre Nick cantava. Eravamo in sala registrazioni, perché finalmente la canzone era finita. Certo, ci erano volute altre due settimane e mi era andata di fortuna perché i Jonas Brothers non avevano in programma il loro tour e i concerti che facevano erano più che altro perché erano abbastanza richiesti.

La cotta da fan mi faceva sentire leggermente ridicola. Però se la mia era solo una cotta, perché sentivo andare il cuore in gola quando Nicholas cantava o mi fissava negli occhi? La risposta che trovai fu una sola: il mio subconscio. Il mio subconscio creava delle illusioni con le quali mi faceva credere davvero innamorata. Mi rifiutai di considerare una seconda risposta, ovvero che fosse veramente così.

Dopo la registrazione, andammo a cena. Quando eravamo ormai al dolce, a Joe spuntò in testa una domanda.

- Ehi, Aki. Mi togli una curiosità? Tu come lo passeresti un weekend se potessi decidere? – chiese.

- Beh … Credo che uscirei in barca. – risposi. Tutti e tre i fratelli mi guardarono incuriositi.

- Quando avevo 11 anni, i miei genitori avevano un gommone, anche se a dire il vero era più un motoscafo ma loro lo chiamavano così. La domenica la passavamo in giro in barca. – dissi, soddisfacendo la loro curiosità. Kevin annuì pensieroso. Joe aveva già la testa fra le nuvole, fantasticava su chissà cosa. Nick invece mi guardava: sembrava affamato di informazioni. Gli raccontai una delle giornate migliori passate sul motoscafo. Era una delle migliori perché era avvenuto il mio primo bacio proprio durante la giornata. Nicholas apriva la bocca, meravigliato, molto, molto, molto spesso mentre raccontavo. Anche mentre tornavamo a casa, comodamente seduti nella macchina di Kev, mi fece parlare moltissimo di quelle giornate. Anche i suoi fratelli s’interessarono ben presto alla conversazione e mi mitragliarono di domande per tutto il tragitto.

 

La domenica mattina di una settimana dopo, circa intorno alle 7:00, ricevetti una chiamata sul cellulare. Di nuovo mi lamentai sottovoce, promettendomi di prendere l’abitudine di spegnerlo quando andavo a dormire. Lessi il numero sul display e desiderai subito di distruggere il telefono.

- Che vuoi a quest’ora, Joe? – lo interrogai.

- Chiederti se ti va di passare la domenica con noi! – rispose allegro.

- Non lo faccio già? E poi perché questa mattina mi hai dovuto svegliare così presto? – cercai di incenerirlo utilizzando la voce, ma era ancora troppo impastata di sonno per risultare acida.

- Perché di norma riesco a farti uscire dal letto intorno a mezzogiorno! Tra l’altro, c’è una sorpresa per te! E se mi stai per chiedere se non si può rimandare ti do subito la risposta: no! – continuò ridendo.

Non appena concluse la parola, senti un colpo alla finestra come se qualcosa l’avesse colpita. Mi alzai controvoglia dal letto e andai ad aprirla per controllare cosa fosse, sempre con l’orecchio appiccicato al telefono. Kevin e Nick stavano prendendo dei sassi dalla strada per tirarli alla mia finestra! Smisero non appena infilai la testa fuori, ma Kev stava prendendo la mira perciò li beccai. Se non fossi stata in pigiama – una maglietta a maniche corte e le mutande – sarei subito scesa a picchiarli. Poco distante da loro, Joe, cellulare all’orecchio e sorriso beffardo, mi salutava con la mano. Chiusi la chiamata, subito seguita da lui, e gli urlai contro.

- SIETE TRE IDIOTI! Mi spiegate che tipo di sorpresa vale un vetro rotto?! – esclamai, incenerendoli con lo sguardo.

- Lo vedrai da te! – rispose Kevin.

- Dai, preparati e riempi la borsa di costumi da bagno! – mi incitò Nick. Fosse stato uno dei fratelli a dirmelo, mi sarei opposta, ma lui era così tenero che dirgli di no era difficile. Sbuffando chiusi la finestra. Feci quello che mi era stato detto e circa un quarto d’ora dopo salutavo mia madre e mio padre con un bacio. Stavo per mettere il piede fuori casa quando mi ricordai che c’era un terzo membro della famiglia da salutare. Tornai da mia madre, le alzai la maglietta e diedi un bacetto al mio fratellino, chiuso nel pancione della nostra genitrice. Subito dopo corsi dai tre pazzi che mi aspettavano fuori. Trovai Joe seduto per terra che scriveva un messaggino col suo cellulare e il mio intuito mi disse che era per Camilla Belle. Kevin si guardava intorno, magari perché non avevano i Ray-Ban e non voleva farsi scoprire, ma io sapevo che alle 7:20 circa di domenica mattina era impossibile che qualcuno fosse sveglio, nel mio quartiere. Nick stava giocando con un sasso, lanciandolo in aria e riprendendolo poco dopo. Mi accolsero tutti e tre con un sorriso.

- Allora, Aki – cominciò Joe - il modo più veloce sarebbe il nostro jet privato, con il quale potremmo impiegare meno di mezz’ora. Oppure andiamo in macchina, ma con quella sfioriamo le due ore. Quale preferisci? – domandò.

- Per andare dove? – chiesi di rimando.

- E’ una sorpresa! Allora quale scegli? Jet o auto? – ribatté.

- Beh, visto che ormai mi avete fatto svegliare alle 7:00 del mattino e che sto morendo dalla curiosità direi … Jet – conclusi.

- Evvai! – esultò il trio.

Poco dopo eravamo sull’oggetto più costoso che avessi mai visto.

- Aspetta di vedere la nostra casa a Dallas per dirlo! – mi corresse Joe.

I tre fratelli si misero a parlare di baseball poco dopo, così guardai fuori dal finestrino per distrarmi. Non erano passati neanche due minuti, quando una domanda mia passò per la testa.

- Ehi, ragazzi, dov’è Frankie? – chiesi. Mi mancava il piccolo Bonus Jonas.

- Lo abbiamo lasciato a casa. Non è necessario che stia sempre con noi. – mi disse Kevin.

Annuii. Scendemmo dal jet circa dieci minuti dopo. Il paesaggio era familiare, ma non ricordavo quando lo avevo visto. I ragazzi mi guidarono fino a un  molo. Allora ricordai: era il molo dove i miei di solito attraccavano la barca quando ero più piccola. Ma perché mi avevano portata lì? La risposta arrivò poco dopo. Un motoscafo, per niente simile a quello dove andavo io, ma di certo migliore, si stava avvicinando. Guardai i tre ragazzi che mi stavano accanto, eccitati. Solo in quel momento capii.

- Ragazzi, ma voi mi volete portare in barca! Vi adoro! – esclamai, abbracciandoli tutti e tre assieme.

- Sapevamo che ti sarebbe piaciuto! E poi volevamo provare! – mi sorrise Nick.

Quando salii sull’imbarcazione, fui sorpresa di trovare Danielle Deleasa e un uomo a me sconosciuto al volante. Mentre salutavo Danielle con un abbraccio, i tre Jonas mi spiegavano che prendere la patente nautica in due settimane era un po’ difficile, così avevano chiesto a loro zio Rob, che l’aveva fatta l’anno scorso, di prestargli la barca e un aiuto per guidarla. Mentre zio Rob si allontanava dalla riva i ragazzi si mettevano in costume. Io e Danielle eravamo già a posto per quello.

- Un po’ di previdenza no, eh? Ne ho avuta di più io che non avevo idea di dove mi volevate portare!  – gli urlai dall’esterno. Si erano chiusi nella cabina di cui – fortunatamente – il motoscafo era dotato.

- Scusa! – risposero in coro.

Quando uscirono evitai di guardarli. Morivo di curiosità, ma di sicuro mi sarebbe venuto il sangue al naso e sarei svenuta. Con la coda dell’occhio notai che tenevano ancora la maglietta sopra i bermuda e mi rilassai. Rob fermò la barca tra due isole: San Nicola e San Clemente. Guardai Danielle, che con uno sguardo disperato mi fece intendere che era meglio guardare i tre Jonas. I ragazzi si stavano guardando di sottecchi con l’aria di quelli che hanno avuto la stessa folle idea. Si diressero verso la prua del motoscafo. Arrossii quando si levarono le magliette, ma fui subito distratta dal loro salto nel vuoto. Poco dopo erano in acqua che giocavano come bambini. Com’erano teneri! Guardai Danielle, al mio fianco. Anche lei pensava la stessa cosa, glielo si leggeva in faccia.

- Ragazze! – ci chiamarono. Ci sporgemmo per guardarli.

- Perché non venite in acqua con noi? – chiese Joe, con finta voce suadente.

- E perché non te la riempi d’acqua, la tua boccaccia? – risposi, suscitando le risate dei suoi fratelli.

- Perché non me la riempi d’acqua tu, Aki? – mi provocò. Ora, io ero una ragazza e sappiamo tutti come sono fatte le ragazze. Perciò mi levai i pantaloncini e mi tuffai in acqua. Una volta dentro mi misi a nuotare un po’ per rincorrere Joe e un po’ perché l’acqua alle 8:00 del mattino era gelida. Alla fine riuscii a raggiungere Danger e a ficcargli la testa sottacqua provocando ancora le risate dei fratelli. Quando il 19enne riuscì a tirare la testa fuori dall’acqua gli feci una proposta. Poco dopo stavamo rincorrendo Kevin e Nick per infliggergli la stessa pena che aveva dovuto sopportare Joe. Avevo già affondato Kevin e stavo per aiutare Joe con Nick, quando Danielle ci intimò ad uscire dall’acqua. Di malavoglia, ma obbedimmo. Avevamo tutti e quattro la pelle d’oca ma una volta asciutti si stava benissimo. Problema: i ragazzi non si erano rimessi la maglietta. Altro problema: come diavolo facevo a restare calma?! Soluzione: presi il mio iPod e un fumetto manga(per chi non sapesse cosa sono gli dico semplicemente che sono fumetti giapponesi. Se volete approfondire l’argomento cercate su Google) e mi misi a leggere ascoltando musica seduta in cabina – per avere un po’ di pace. Siccome avevo pigiato su brani casuali, quando Nick mi arrivò vicino e mi chiese cosa stavo ascoltando dovetti rispondere che era una delle loro canzoni. Tragedia!

- Perché ci ascolti sull’iPod se hai qui gli originali? – domandò Nick, tirando fuori da chissà dove una chitarra acustica.

- KEEEEVIN! Prendi la chitarra e vieni qui con Joe! Dobbiamo far arrossire Aki! – urlò.

- No! Non se ne parla! Nicholas Jerry Jonas inizia a pensare cosa dovranno scrivere sulla tua tomba! – lo minacciai, mettendomi a rincorrerlo – per quanto possibile su un motoscafo. Rischiai quasi di gettarlo in acqua, ma per sua fortuna lo presi per mano e lo tirai verso l’interno della barca. Il che, purtroppo, significa verso di me. Mi ritrovai il suo viso a pochi centimetri dal mio e per un attimo mi persi nei suoi occhi. Distolsi subito lo sguardo e nascosi l’imbarazzo con un velo di rabbia.

- Jonas, fallo un’altra volta che in acqua ti ci spedisco a calci nel sedere! – dissi, guardando a terra e col fiatone. Tornai al mio manga, prima di fare altre figure.

Non mi ero accorta che eravamo ripartiti, fatto sta che dopo un po’ Danielle mi venne a dire che i ragazzi volevano fare un altro bagno.

- Ok, lo faccio, ma solo se ci sei tu con me. – dissi alla ragazza, posando il mio fumetto e togliendomi le cuffie dell’iPod.

- Ok, mi va proprio di rinfrescarmi! – mi rispose, per fortuna.

Kevin e Joe erano già in acqua quando arrivammo noi ragazze e Nick si stava tuffando. Lo seguii subito e non appena riemersi lui mi guardò, probabilmente incuriosito di vedere se ce l’avevo con lui. All’inizio gli misi un piccolo broncio, che poi si sciolse in una risata. Tirò la mano sopra l’acqua per farsi dare un cinque. Gli diedi il cinque, ma la mia mano rimase nella sua, perché strinse le sue dita attorno alle mie. Guardai leggermente incredula le nostre mani e poi Nick. Sorrideva. Risposi al sorriso e ricominciai a nuotare come se niente fosse. Nicholas lasciò, mio malgrado, la mia mano.

Mentre i ragazzi si prendevano in giro e si rincorrevano, Danielle mi raggiunse. Ci scambiammo qualche chiacchiera e ci conoscemmo un po’ meglio. Era davvero innamorata di Kevin, si vedeva da come lo guardava. Sapevo già del loro matrimonio, me le chiesi di raccontarmi come lui glielo aveva chiesto. A quanto pare, dal suo punto di vista, era stata la cosa più romantica che le fosse mai successa. Just might be paranoid I'm avoiding the lines

La suoneria di un cellulare ci avvisò di una chiamata.

- Dannazione! – imprecò Joe. – Va beh, lo lascio suonare – fece spallucce.

- E se sono mamma e papà che vogliono sapere come sta andando? – domandò Kev. Joe rifece spallucce e Kevin lo guardò male.

- Dai, non fate così, vado io! Zio Rob si dev’essere addormentato … – li calmò Nick, iniziando a nuotare verso la barca – eravamo distanti circa 10 metri. Quando rispose ci avvicinammo tutti per capire chi era.

- JOOOOOOOOOOOOOOOOOE! La prossima volta mi fate venire, capito?! – la voce metallica veniva dall’altra parte della chiamata.

- Frankie, calmati, sono io. – lo tranquillizzò Nick.

Per un po’ continuò a dire “calmati” e vari “mmh” e “sisi”. A un certo punto mi intimò ad avvicinarmi. Io, leggermente confusa e incuriosita, obbedii.

- Vuole te – mi sussurrò. Poi tornò al fratellino  – Ehi, Frankie, c’è Aki che richiede di parlare con te – aggiunse, porgendomi l’iPhone di Joe.

- Ciao, piccolo! – lo salutai. – Allora, cosa c’è? – gli chiesi con più dolcezza possibile.

- C’è che io volevo venire ma i miei fratelli sono usciti presto di casa senza svegliarmi ne avvertirmi e adesso ce l’ho con loro perché volevo vederti! – esclamò, così veloce che mi dovetti concentrare per capire ogni parola.

- Sai Frankie, anche io ce l’ho con loro. Morivo dalla voglia di abbracciarti e adesso sei a chilometri di distanza. Che ne dici se stasera facciamo un giro io e te da soli? Così recuperiamo il tempo perso oggi! – proposi.

- SIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII! – urlò. – Allora mi preparo come si deve! – annunciò.

- Va bene, ci vediamo stasera! Ciao piccolo! – dissi.

- Ciao Aki! Ti voglio bene! – rispose, felice come non mai.

- Anche io te ne voglio! Ciao! – conclusi la chiamata. Ridiedi il telefono a Nick, che mi guardava applaudendo.

- Grandiosa! Sei stata davvero fantastica! – si congratulò, mentre riprendeva l’iPhone. – Di solito Frankie si calma dopo un’ora e mezza o due! Invece a te sono bastati sette minuti di chiamata! Wow! – concluse, entusiasta. Feci un inchino, suscitando una fragorosa risata. Quando adoravo quel suono!

Andammo verso la prua per tuffarci. Stavo per prendere la rincorsa quando Nick mi bloccò per un braccio, sorridendo. Davanti al suo sorriso mi scioglievo sempre, perciò non mi ribellai quando mi prese in groppa.

- Allora, mi sono lasciata prendere in groppa a te …  adesso che vorresti fare? – chiesi, aggrappandomi alle sue spalle per non cadere.

- Dimostro a Joe che non sono la pappamolla che crede tuffandomi con te addosso. Come minimo peserai 50 chili! – concluse ridendo.

- Non ti dico la parola che sto pensando perché non è bella! E poi come ti permetti ti insinuare così sul mio peso? – lo ammonii. In tutta risposta fece spallucce e ridendo prese la rincorsa e si tuffò. Quando riemergemmo, Joe si stava lamentando.

- Non è valido! Se lo fai tu lo devo fare anche io per far vedere che sono comunque più forte di te, anche se è ovvio! – esclamò. Poi mi guardò con lo sguardo da cucciolo abbandonato.

- Aki? – chiese, sicuro che io avessi capito cosa volesse fare.

Un attimo dopo ero di nuovo sulla prua della barca, in braccio a Joe. Teneva un braccio sotto le mie ginocchia e l’altro dietro le mie spalle. Prendendo in braccio Frankie, avevo capito che tra tenerlo in groppa e prenderlo in braccio come stava facendo Danger con me, quella delle due che ti faceva percepire maggiormente il peso era la seconda. Eppure Joe non sembrava troppo provato dallo sforzo. Il suo tuffo fu come se io non ci fossi stata. Ovviamente, rinfacciò al fratello minore questo fatto e io fui di nuovo costretta a salire sul motoscafo, questa volta con tutti e due al seguito. Mentre discutevano su chi dei due dovesse tuffarsi per primo – con me al seguito – una chiamata arrivò sul mio cellulare.

You can play on Broken Strings…

James Morrison e Nelly Furtado  mi avvisavano di una chiamata da mio padre. Non appena chiusi la chiamata richiamai tutti sulla barca e feci smettere i due litiganti, pregando Rob di tornare a casa.

- Ma perché tanta fretta? Abbiamo tutta una giornata! – mi ricordò Danielle.

- Lo so ma mia madre sta per partorire! – urlai.

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Capitolo 3
*** One Day ***


Capitolo 2

Due settimane dopo, ero nella mia camera con una penna dietro l’orecchio, un foglio in mano e circondata da ragazzi. Alla mia destra, Joe faceva le capriole per trovare la matita che Frankie gli aveva fatto cadere. Davanti a me, Kevin, con una chitarra acustica in mano, continuava a provare il pezzo, sperando che gli venisse in mente una frase da cantarci sopra. Aggrappato alle mie spalle, Frankie continuava a sbirciare cosa facevamo io e i suoi fratelli, alleggerendo la tensione. A sinistra, invece, c’era lui, così bello da non sembrare vero lì nella mia stanza. Nick stava cantando le quattro parole che eravamo riusciti a farci venire in mente per quella stramaledettissima canzone che volevamo registrare assieme.

- Ok, direi che è ora di fare una pausa! – esordì Joe, rinunciando alla ricerca della matita.

- Ma siamo qui da solo un quarto d’ora. – gli ricordo Kevin.

- Davvero? Comunque, non è giornata! Perché non andiamo da Starbucks? O a farci un giro? – propose il 19enne.

- Non lo so. Tu che ne dici, Aki? - propose Nick.

- Beh, in effetti, Joe non ha proprio torto … - risposi.

- Evviva! Da Starbucks! – esultò Frankie, mettendosi a saltare sul mio letto.

Cinque minuti dopo, ci stavamo incamminando. Il più piccolo, la mano nella mia, sparlava dei suoi fratelli con discorsi abbastanza imbarazzanti sulla loro infanzia.

- Una volta Joe si è rotto il suo tamburello in testa e allora … - cominciò. Non ebbe il tempo di finire perché il diretto interessato del suo racconto gli aveva messo una mano sulla bocca e, dopo avermi fatto intendere con un’occhiata di mollare la mano di Frankie, lo sollevò in aria e si mise a fargli il solletico. Immediatamente, Kevin e Nick lo aiutarono, lasciando al povero Frankie una sola cosa da fare: chiedere il mio intervento.

- Ragazzi. – li ammonii. – Lasciatelo in pace!

Fermarono all’istante la tortura del piccolo e girarono le teste verso di me, tutti in contemporanea. Kevin teneva le braccia al Bonus Jonas, Nick le sue gambe e Joe gli aveva tirato su la maglietta per fargli meglio il solletico.

- Non credevo ti interessasse sapere certe cose su di noi! – rise Kevin.

- B-beh  n-no, n-non mi i-interessa, ma … - arrossii. – Oh accidenti! Ma perché mi dovete sempre imbarazzare così?

Sbuffai, anche se poi mi scappò un sorriso.                                                                       

- Dai, mollate Frankie. – continuai. Mi presero alla lettera e il povero piccolino si procurò un brutto livido all’osso sacro.

Quando entrammo da Starbucks, notammo che era praticamente deserto. A parte il barista di mezza età e un anziano signore seduto al bancone, non c’era nessuno. Ci sedemmo nel tavolo prediletto di Frankie, quello circondato da divanetti, al posto delle sedie. Visto che i due uomini sopracitati di sicuro non conoscevano i Jonas Brothers o Aki Blues, decidemmo di levarci i nostri Ray-Ban. La coppia non fece una piega. Era come se non ci fossimo.

Kevin andò ad ordinare per tutti, ma Frankie voleva andare con lui e infine ci trascinò anche Joe, che nella classifica del FRATELLO PREFERITO oggi era al primo posto. Così io e Nick rimanemmo inesorabilmente soli. Io guardavo le mie mani che si muovevano frenetiche sul tavolo, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata di sottecchi. Lui fissava il soffitto, perso nei suoi pensieri. Quando girò la testa verso di me, mi agitai così tanto da dare un calcio alla gamba del tavolo. Tirai il piede sopra il divanetto. Tastando la stoffa della scarpa non sentivo tracce di graffi o lividi, ma il dolore era abbastanza acuto da farmi lanciare dei piccoli lamenti sottovoce.

- Tutto bene? Ti sei fatta male? – mi chiese Nick, con la sua voce vellutata alle mie orecchie. Girai lo sguardo e incrociai il suo. Per un attimo mi persi nei suoi occhi. Ma visto che il mio cervello è più avanzato dell’istinto, girai il capo e risposi un “no, niente” sommesso. Nick tornò a guardare il soffitto. Il mio corpo non fremeva, ma la mia mente era ancora più agitata di prima. Perché ero così stupida? Ci vedevamo quasi tutti i giorni da due settimane e ancora mi imbarazzavo in questo modo?

A interrompere il flusso libero dei miei pensieri fu proprio lui. Senza che me ne fossi accorta, aveva chiuso gli occhi e si era messo a cantare a bocca chiusa una mia canzone. Tornai a posare lo sguardo su di lui. Quasi istintivamente, mi misi anche io a cantare. Il risultato era un duetto con una sola voce a cantare le parole. Poi anche lui si mise sotto con il testo e aprì gli occhi. Non so perché, ma a mezza parola mi misi a ridere e Nick fece lo stesso.

- Allora ho trovato il modo di toglierti il nervoso, eh? – esclamò sorridendo.

- Eh? Era solo un modo per farmi sorridere? – chiesi un po’ delusa.

- No no, a me piace davvero quella tua canzone. Davvero. – la dolcezza nella sua voce mi fece sciogliere come neve al sole. A farmi tornare ghiaccio come poco prima, fu il piccolo Frankie. Mi aveva assalito alle spalle, mettendomi le braccia al collo e presentandomi un frappé al cioccolato davanti al naso.

- Ecco la tua ordinazione, Aki! Non dirmi “grazie”, so già che mi sei grata! – affermò.

- Non hai mai avuto più ragione! – risi, girandomi verso di lui per prendere la bevanda.

Uscimmo da Starbucks intorno alle 17:30.

- Che si fa adesso? – domandai.

- Cinema? Ho letto la recensione di un film che sembra promettente. – propose Kevin.

Chi pro e chi contro, alla fine andammo tutti al cinema. Quando il film finì, li invitai a casa mia per la cena. Dopo il pasto, provammo ancora un po’ a scrivere la canzone. Aggiungemmo due righe.

- Wow! Avete visto quant’è tardi? – saltò fuori ad un certo punto Joe, guardando l’ora sul suo cellulare.                     

- Eh, già! – confermò Kevin, accertandosi delle parole del fratello scrutando il suo orologio. – Direi che è giunto il momento di tornare a casa. Grazie di tutto, Aki! – disse, alzandosi dal mio letto, sul quale era seduto poco prima.

- Di niente. Quando avete bisogno, chiamatemi senza pensarci, ok? – e misi le dita a mo’ di telefono vicino all’orecchio.

- Credo che ti chiameremo appena Frankie si sarà messo il pigiama. – ipotizzò Joe – E’ probabile che per addormentarsi voglia una ninna nanna cantata da te! – rise.

Ricevette tre scappellotti sulla nuca, uno da ogni fratello. Se ne andarono tra le risate.

Questa era stata una tipica giornata passata con loro.

Frankie, l’adorabile piccolo Bonus Jonas che probabilmente aveva una cotta per me.

Kevin, l’adulto maturo che sapeva lasciarsi andare troppo facilmente per esserlo sul serio.

Joe, il pericolo della famiglia, forse anche un po’ la pecora nera più divertente mai esistita.

E infine Nick, della quale pensavo di essermi innamorata. La sua voce faceva saltare il mio cuore in gola tutte le volte che la ascoltavo, in ogni singola canzone. All’inizio conoscerlo mi aveva fatto venire un mezzo-infarto mentale, ma adesso eravamo buoni amici e riuscivo a guardarlo tranquillamente, tranne quando mi fissava negli occhi, anche se era successo solo quel pomeriggio. L’imbarazzo sorgeva quando eravamo soli. E addio alla materia grigia. Il cervello mi andava letteralmente in pappa.

Quella notte, chissà perché, sognai i quattro fratelli del New Jersey. Il mattino dopo, quando accesi il cellulare, mi arrivò un sms. Credevo fossero loro con la storia di Frankie della sera prima, e invece era un messaggino di quelli delle catene di un cellulare. Diceva che se sogni la persona che ti piace è perché si è addormentata pensando a te. E poi di mandarlo a 9 persone o non mi sarei mai fidanzata. Sapevo che era una panzana, ma non potei fare a meno di pensarci. Si erano addormentati tutti e quattro pensando a me?

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Capitolo 4
*** Jamie Blues ***


Capitolo 4

- Mia madre sta per partorire! – urlai, un nodo che si stava formando in gola. Le mie parole bastarono.

Arrivammo in ospedale mezz’ora dopo. Mio padre era nella stanza di mia madre. Prima di raggiungerli ringraziai i ragazzi.

- Potete andare a casa, se volete. – sussurrai.

- Va bene, ma promettici che ci chiamerai. – mi scongiurò Nick.

- Ok. Chiedete scusa a Frankie da parte mia. – sorrisi. Senza guardarli andare via, entrai nella camera di mia madre. Vedendola addormentata, pensai che avesse già partorito.

- E’ da mezz’ora che ha le contrazioni. – mormorò papà, le sue dita strette attorno a quelle di lei. Quando le fui vicina, notai il pancione di mamma. Non aveva di sicuro partorito. Le strinsi la mano libera. Poco dopo si svegliò ed ebbe contrazioni ancora più forti. Quando si ruppero le acque, io e mio padre fummo allontanati. Aspettavamo in corridoio la nascita del nuovo componente della nostra famiglia. Ogni 30 minuti circa, ricevevo un messaggino, una volta da Kevin, una da Joe e una Nick. Considerato che mia madre ci mise circa sei ore, risposi ad una certa quantità di sms. Quando ci dissero che era nato, provai una gioia immensa. Corsi a vedere il mio fratellino. Mia madre teneva in braccio un fagottino azzurro e al suo interno c’era un bambino bellissimo. Aveva enormi occhi azzurri, eredità paterna, e corti e scompigliati capelli neri. Le guance rosse erano paffute. Papà lo prese in braccio e lo osservò meravigliato. Sorrise come lo avevo visto solo poche volte. Non appena notò che ero impaziente di tenerlo in braccio, me lo porse. Notai subito quanto fosse piccolo. Le orecchie, il nasino, le manine … Tutto in formato ridotto. E quel sorriso sdentato che raggiungeva gli occhi splendenti.

- Qual è … Qual è il suo nome? – chiesi, in un sussurro.

- Pensavamo di deciderlo insieme a te. – mormorò mia madre.

- Jamie – la parola mi uscì dalla bocca senza che io lo volessi. Era un riflesso involontario, dire quel nome. Eppure volevo che fosse quello il nome del bambino. I miei genitori accettarono.

Mio padre mi accompagnò a casa e tornò in ospedale con mia madre. Anche se volevo rimanere con lei e Jamie, ero stanca morta. Mi buttai sul mio letto, pronta per la pennichella più lunga mai esistita.

Oohh This is an S.O.S.
Don’t wanna second guess,
This is the bottom line
It’s true
I gave my all for you,
now my heart’s in two
And I can’t find the other half
It’s like I’m walking on broken glass,
better believe I bled
It’s a call I’ll never get

Una chiamata da un membro della famiglia Jonas. La suoneria fece in tempo a ripetersi tre volte prima che io mi decidessi a rispondere.

- Sì? – risposi pigramente.

- Allora? E’ nato? Come si chiama? – chiese Joe.

- Jamie – dissi, la voce impastata di stanchezza.

- Come mai non ci racconti ogni singolo secondo come faresti di solito? – domandò Nick. Avevano messo il vivavoce.

- Ragazzi credo che sia troppo stanca. Lasciamola riposare. – suppose Kevin.

- Vi richiamo io dopo – confermai. Chiusi la chiamata e mi addormentai.

Quando mi svegliai erano le 2:30 del mattino. Andai a controllare se mio padre era tornato. Guardai in camera sua e non lo trovai.

Scesi in cucina per prendermi qualcosa da mangiucchiare  e mi stupii di trovare il mio papà con la testa infilata nel frigorifero. Quando mi vide sulla soglia della cucina, prese del latte e lo versò in una tazza. Poi  ci mise i cereali al cioccolato che ci piacevano tanto. Fece una tazza anche per se stesso.

- Allora, come stanno? – chiesi, prima di infilarmi una cucchiaiata di cereali in bocca.

- Bene. – rispose papà, ingoiando un grosso boccone. – Jamie e la mamma sono in perfetta salute, ma ci ancora dei controlli da fare. Torneranno a casa fra due giorni. – mi informò. Poi guardò l’orologio a muro attaccato sopra la mia testa e si corresse. – Cioè, domani. – concluse. Per un po’ mangiammo in silenzio.

- Non mi sento pronto. – sussurrò, all’improvviso.

- Non ti senti pronto a fare cosa, papà? – domandai, anche io a basso volume.

- A fare il padre. Insomma, con te ce l’ho fatta ma non sono sicuro che con Jamie sia la stessa cosa.  – fece una pausa, mentre io lo guardavo, in cerca di una spiegazione. – Insomma, di te si occupava soprattutto tua madre perché sei femmina. – chiarì. Annuii, ripensando alle foto di me da piccola.

- Papà, non è possibile che tu non sia pronto. Il padre è il lavoro più antico del mondo. E’ una cosa naturale. E poi ci siamo io e mamma ad aiutarti. – mi strinsi a lui. Mi accarezzò i capelli, ringraziandomi di esistere. E io, ridendo, lo ringraziavo perché senza di lui non sarei mai nata. Quando sbadigliai mi lasciò andare.

- Vai a dormire. Ieri hai avuto una giornata lunga. – mormorò, dandomi un bacio sulla fronte.

- E tu cosa fai? – sbadigliai.

- Sistemo un po’ qui in cucina e poi dormo anche io. ‘Notte, tesoro. – disse, mettendo tazze e cucchiai nel lavandino.

- ‘Notte, papino. – risposi, come quando ero piccola. Mi avviai sulle scale, ascoltando il passo felpato del mio papà mentre ripuliva il pavimento, cosparso di vetri rotti. La mamma era in cucina quando ha avuto la prima di una lunga serie di contrazioni. Aveva in mano un bicchiere e l’aveva fatto cadere per il dolore.

Appena appoggiai la testa sul mio cuscino, un sonno colorato di sogni mi accolse. Sognai il mio fratellino tra le braccia di Nick, il quale fu costretto a passarlo a Joe, che era impaziente di tenerlo. Joe fece il solletico a Jamie e poi lo allontanò un po’ da se per vederlo meglio. Kevin ne approfittò e prese il bambino. Si inginocchiò e fece vedere Jamie a Frankie. Il più piccolo dei Jonas accarezzò la guancia del bebè. Poi mi svegliai. Guardai la radiosveglia sul mio comodino: 9:27. Orario ragionevole. Mentre mi davo una lavata, mi ricordai di dover chiamare tre ragazzi che il giorno prima erano su una lussuosissima barca con me. Non appena fui presentabile, controllai che mio padre fosse già uscito, presi l’auricolare Bluetooth e me la misi all’orecchio, intanto cercavo il numero di Joe sulla rubrica del mio cellulare e pigiavo su “chiama”. Poi uscii di casa e chiusi la porta a chiave. Mentre Danger rispondeva, mi diressi al garage.

- Ehi! Alla fine ti sei fatta sentire, eh! – mi sgridò JJ.

- Scusa, ero stanca morta. Mi sono svegliata durante la notte, ma erano le 2:30 circa e non mi sembrava il caso si rompere la scatole a quell’ora! – risi. Aprii il garage e mi avvicinai alla mia moto.

- Va bene, ti perdono, non cercare scuse. Come sta Jamie? E tua madre? – chiese.

- Entrambi benissimo. Papà ha detto che tornano a casa domani. – risposi, poi cambiai argomento. – Senti, Frankie è in casa?

- Sì, perché? – domandò dubbioso.

- Devo distrarmi dal pensiero del mio fratellino e poi gli devo ancora un appuntamento. – dissi. – Lo puoi avvertire che sto arrivando a prenderlo? Sempre che ai tuoi genitori vada bene. – puntualizzai.

- Beh, visto che ti adorano, non credo che ci saranno problemi. Tra quanto sarai qui? – parlò Joe.

- Dieci minuti vanno bene? Se conosco Frankie, riuscirebbe a prepararsi in meno tempo! – scherzai.

- Fratello maggiore a conferma! Soprattutto se deve uscire con te! – rise. Ci salutammo e io salii in moto. Un quarto d’ora dopo, suonavo il campanello di casa Jonas, la moto parcheggiata davanti al vialetto e il casco ancora in mano. Ad aprirmi la porta fu Frankie, vestito con jeans, maglietta bianca e camicia rossa a maniche corte slacciata. Aveva anche un berretto messo girato al contrario che riprendeva il rosso e il bianco, con l’aggiunta del nero. Il sorriso che Frankie aveva stampato in faccia andava da un orecchio all’altro. Mi chinai su di lui e lo salutai con un bacio sulla guancia. Lui rispose al saluto abbracciandomi.

- Allora, pronto per passare la giornata con me? Ti avverto che rischi di divertirti troppo! – risi.

- Tranquilla, sono abbastanza allenato! – rispose ironicamente. Effettivamente, con i fratelli che aveva c’era da aspettarselo.

Lo portai in moto fino al centro di Los Angeles, così di fretta che non salutai nemmeno il resto della famiglia Jonas. Quando arrivammo, fui sorpresa di trovare poche persone. Poi azionai il cervello e mi ricordai che era un lunedì mattina. Vale a dire ragazzi a scuola e adulti a lavoro. Persino i giornalisti e i fotografi erano rinchiusi nei loro piccoli studi a scrivere e a sviluppare foto.

Frankie mi chiese di portarlo a fare colazione. Poi girammo un po’ per i negozi. Lo portai da McDonald’s a pranzo e la giornata prosegui tra risate e abbracci. Ci divertimmo davvero un mondo. Lo riportai a casa intorno alle 16:30. Ad aprirci la porta fu Denise, che ci accolse con un sorriso. Chiesi scusa per non averla salutata circa sei ore prima.

- Tranquilla, posso capire – disse, dolce come il miele – Sono stati i suoi fratelli che se la sono presa – continuò, indicando Frankie.

- A proposito, dove sono? – chiesi.

- Nelle loro stanze, o almeno credo. Forse sono tutti nella camera di Joe, è il loro ritrovo da quando sono piccoli. – rispose. La ringraziai e salii le scale per andare nella stanza sopracitata. Tesi l’orecchio davanti alla porta, quando ci fui vicina. Si sentivano le loro voci: stavano parlando della scenografia per il prossimo concerto. Bussai lentamente e aprii la porta abbastanza per far passare la testa.

- Ciao. Sono io. – li salutai. Girarono la testa verso di me, dimenticando il foglio che stavano fissando e scarabocchiando poco prima.

- Oh! È tornata quella troppo impegnata a uscire col suo piccolo Frankie per salutare! – rispose Joe. Mise un finto broncio.

- Ciao Joey. – mi scusai, ridendo, mentre entravo nella stanza. Mi guardai un attimo attorno: la stanza di Joe era decisamente più disordinata della mia! A terra c’erano mucchi di vestiti e penne e hai piedi del letto dei fogli pasticciati e dei cd messi nelle custodie sbagliate – lo vedevo perché erano tutte aperte.  Le pareti bianche erano spoglie. Di fianco al letto, un comodino di legno ospitava altre scartoffie e una lampada da lettura. Vedendo che guardavo in giro, Kevin spiegò:

- Non badare al disordine. Joe non la pulisce mai. – si scusò.

- Ma se l’ho riordinata poco fa! – si difese Joe.

- L’hai riordinata? – chiese incredulo Nick, spuntando al mio fianco.

- Non pretendete troppo! Io sono sempre io ed è già un miracolo che si veda il pavimento! – rispose il fratello di mezzo. Osservai Nick e Kevin, uno alla mia sinistra e l’altro alla mia destra, per vedere le loro reazioni. Fecero spallucce, annuendo. Tradotto: questa volta Joey ha ragione. Tornarono a concentrarsi sul disegno. Mi sedetti vicino a Kevin e osservai il foglio. Era una pianta del palco e di fianco quella del sottopalco.

- Che state combinando? – chiesi.

- Ricontrolliamo i progetti del palcoscenico e aggiungiamo qualche dettaglio. – mi informò Kev.

- A proposito di palcoscenico e concerti … Abbiamo parlato con la tua agente. – sussurrò Nick, ostentando imbarazzo.

- E? –lo incoraggiai.

- Vieni in tour con noi. – concluse Joe per il fratellino. – Insomma, solo se vuoi. Kathy crede che sia troppo presto perché la canzone che abbiamo fatto assieme deve ancora uscire e troppo tardi perché noi abbiamo tutto il tour già programmato. – proseguì.

- Ma secondo noi non c’è occasione migliore e poi potresti anche cantare canzoni tue mentre noi, per esempio, ci cambiamo. – concluse Kevin.

- Ovviamente non ti chiediamo di scegliere così su due piedi. Ci devi pensare e poi devi parlarne con i tuoi genitori. Però fra una settimana al massimo dobbiamo avere la risposta. – aggiunse Nick.

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Capitolo 5
*** Bowling, friends and kiss ***


Capitolo 5

- No. – disse secco mio padre.

Eravamo seduti sul divano in salotto. Per addolcire papà non c’era niente di meglio di una bella cenetta preparata dalla sua bambina. Però quando gli feci la domanda, la torta al cioccolato che aveva appena finito perse il suo effetto.

- Perché no? – lo interrogai.

-.Non ti lascio andare in tour da sola con tre ragazzi, anche se sono davvero molto educati! – esclamò.

- Ma papà non c’è occasione migliore! E poi chi ha detto che devo andare da sola? Prima di tutto ci saranno Denise e Paul! – ribattei. – Oppure vuoi venire anche tu? – azzardai.

- E lasciare qui tua madre da sola? Con il bambino così piccolo! – ribatté.

1 a 0 per papà. A quest’ultima risposta non sapevo come replicare. Eccitata com’ero dall’idea di andare in tour con Nick, Joe e Kevin mi ero dimenticata di questo problema. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non mi uscì niente. Per fortuna in quell’istante suonò il telefono e mio padre dovette correre a prenderlo e distrarsi dalla discussione - per il momento a suo vantaggio. Restai sul divano con le ginocchia strette al petto, pensando, cercando un modo per risolvere questa complicazione. Jamie era davvero troppo piccolo sia per venire con me sia per rimanere a casa. Mamma non ce l’avrebbe mai fatta. E se anche mio padre avesse potuto venire … Il mio fratellino avrebbe passato i suoi primi mesi di vita senza sua sorella. Mentre continuavo a progettare tutte le possibili scelte con le eventuali conseguenze, mio padre parlava al telefono. Solo quando mi raggiunse dandomi il telefono riemersi dallo stato di annebbiamento in cui ero caduta.

- E’ tua madre. – mi disse, più calmo di prima. Appoggiai l’orecchio al telefono.

- Ciao mamy – la salutai. – Come state tu e Jamie? – chiesi.

- Stiamo entrambi benissimo. Tuo padre mi ha detto che stavate discutendo poco fa, perché? – cambiò discorso.

- Nick, Joe e Kevin mi hanno invitata ad andare in tour con loro e papà non vuole. – le spiegai. - Non vuole che io vada da sola. Io gli ho proposto di venire con me, ma non ti vuole lasciare da sola con Jamie. – proseguii.

- Tutto qui? – rispose mamma, schietta come al solito. – Se il problema è questo, possiamo stare a casa di tua zia Maggie. – propose.

- Non sarebbe male come idea! – sorrisi. Ma il mio sorriso scomparve in fretta, rimpiazzato da una smorfia. – C’è un altro problema. Io non voglio che Jamie passi i suoi primi mesi senza di me … - dissi, sconsolata.

- Tesoro, facciamo così. Che ne dici di parlarne con calma domani, quando torno? Vedrai che troveremo una soluzione. – mi rassicurò. – Oh! Intanto di’ a tuo padre della mia idea, non vorrei che ti faccia troppe scenate! – concluse, ridendo. Risi anch’io, mentre ci salutavamo. Chiusi la chiamata e ripetei a papà quello che mi aveva detto la mia genitrice poco prima.

Dopo la chiamata di mia madre ero un po’ più tranquilla, ma non smettevo mai di pensarci. Mi addormentai calcolando la ventisettesima possibilità. Il mattino dopo mi svegliai presto, attorno alle 7:00. Buttai giù dal letto il mio paparino e lo feci preparare a velocità triplicata, solo perché volevo andare a prendere mia madre all’ospedale. Alla fine, tra l’uno e l’altro, ci ritrovammo in macchina alle 7:20. La sfortuna voleva rallentarci, perché trovammo molto traffico mentre andavamo. Finimmo per arrivare alle 8:30 passate. Appena arrivati in ospedale ci è toccato aspettare un’altra mezz’ora perché il dottore doveva dare un ultima occhiata a mamma e a Jamie e ridargli i risultati degli ultimi controlli. Alle 9:15 potei finalmente riabbracciare tutti e due. Il resto della giornata lo passai incollata alla mia famiglia. Ogni richiesta di mia madre, che fosse per se stessa o per Jamie, era esaudita quasi prima di essere fatta. Per sei giorni la cosa continuò così. L’unica eccezione era avvenuta per una visita di Nick, Joe e Kevin che volevano vedere il mio fratellino. Poi più niente. La sera del sesto giorno, mi ricordai di una faccenda riguardante il mio lavoro.

- Ehi mamy, non abbiamo ancora risolto il problema del tour. – le ricordai, mentre allattava Jamie. Vedendola disorientata, le rammentai della proposta di andare in tour con i Jonas Brothers.

- Ah, quel tour! Beh, io la mia idea te l’ho detta. – disse, facendo spallucce. – Per me non credo ci siano problemi e Jamie … credo che ti si affezionerebbe anche se dovesse passare i suoi primi anni senza di te! – la buttò sul ridere. Mi lasciai andare anche io in una risata fragorosa.

- Quindi? Cosa dico ai ragazzi, domani? – chiesi, passandomi una mano tra i capelli.

- Tu digli che vai, al resto ci pensiamo dopo. – rispose, sorridendo. Ricambiai il sorriso e appoggiai la testa sulla sua spalla, accarezzando i capelli scuri di Jamie. Il mio fratellino era evidentemente assonnato, così mi misi a canticchiare una ninna nanna. Si addormentò cinque minuti dopo e mentre mamma andava in bagno io lo misi nella culla. Poi mi infilai anch’io nel mio letto. Nel silenzio assoluto della mia camera, sentii i miei genitori discutere. Mio padre continuava ad essere convinto che mandarmi in tour sarebbe stato un male. Poi a mia madre venne il colpo di genio: mia cugina Fujiko era venuta in America per lavoro, ma adesso stava tornando in Giappone, città natale di entrambe. Lei aveva 19 anni ed era la più responsabile della famiglia. Anche se era un po’ lunatica e a volte mascolina, si piazzava tra i primi posti tra i migliori organizzatati/organizzatori che avessi mai conosciuto. Lei avrebbe potuto accompagnarmi senza problemi. In questo modo papà sarebbe potuto rimanere con mamma senza che io corressi rischi. Alla fine, tra un’incertezza e l’altra, vinse mia madre. Esultai silenziosamente, urlando dentro. Andarono a dormire sperando che Jamie non si svegliasse ogni due ore per il latte della mamma. Risi dell’affermazione. La casa tornò nel silenzio totale dopo un secondo. Prima di addormentarmi, cercai il motivo della preoccupazione di papà. Con tre ragazzi così, non ne trovavo. Arrivai alla conclusione che non voleva che io crescessi mentre entravo nel dormiveglia. Il mattino dopo mi ero già scordata della mia riflessione.

Non appena sveglia, accesi il cellulare – che per una volta avevo spento! XD – e trovai tre chiamate perse. Due di Frankie e una di Nick. Richiamai il maggiore tra i due.

- Che c’è? – chiesi, andando in cucina per la colazione.

- Non si saluta, prima? Va beh, lascia stare. Oggi pomeriggio, volevamo andare al bowling con qualche amico, tu ci sei? – filò dritto al nocciolo della questione.

- Allora, primo: non ti ho salutato perché volevo andassi subito al punto - e ti ringrazio per averlo fatto. Secondo: per venire devo avere il permesso dei miei genitori e due concessioni in due giorni sarebbero troppo belle! – conclusi, ridendo.

- Perché due concessioni? Comunque, ci vieni in tour con noi? – proseguì.

- Diciamo che la concessione riguarda proprio quello. E diciamo anche che … dovrete aggiungere un altro camerino! – annunciai. Nick esultò dall’altra parte del telefono. Quando si calmò abbastanza da ascoltare, lo avvertii che l’avrei chiamato più tardi. Mi salutò con un “corro a dirlo ai miei fratelli”.

Feci colazione spalmata sul divano, mentre guardavo MTV. Tra un video e l’altro, passai mezz’ora davanti al televisore. Stavo per spegnere e andare a vestirmi, quando partì “Seventeen forever” dei Metro Station.

- Bello! – esclamai, buttandomi di nuovo sul divano. Conoscevo e adoravo quella canzone, ma con tutti i miei impegni non avevo mai visto il video. Mentre canticchiavo le parole, mi sembrò di notare Michel Musso. Strabuzzai gli occhi. Che ci faceva lui in un video dei Metro Station? Continuai a fissare attentamente lo schermo. Perché Billy Ray Cyrus batteva il cinque a tutti quei ragazzi? Più avanti Miley Cyrus andava sugli autoscontri con Michel. Alla vista di Miley mi venne da pensare. Tra lei e Nick c’era stato qualcosa, qualcosa di molto forte se è durato due anni. E adesso si pensava ad un ritorno di fiamma. Se quel pomeriggio ci fosse stata anche lei e se si fosse rimessa con Nick, non l’avrei sopportato. Scossi la testa. Dovevo smetterla di pensare di essere innamorata di lui! Non era vero! Era troppo presto perché la mia cotta si fosse trasformata in amore!

Spensi il televisore e andai in camera mia per vestirmi. Mentre mi lavavo i denti, non facevo a meno di pensare a Nick e Miley insieme. Sputai il dentifricio sul quell’immagine. Mi legai i capelli in una coda di cavallo e andai a controllare Jamie. Lo trovai nella sua culla che dormiva come un sasso. Andai nella stanza dei miei genitori. Papà era andato a lavoro. Mamma riposava beata. Visto che filava tutto liscio, mi feci una doccia di un’ora. Quando mi fui rivestita, ricontrollai la situazione. Jamie non era più nel suo lettino, mamma lo stava allattando. Mi accoccolai a lei come avevo fatto la sera prima e la riempii di complimenti, sperando che mi facesse andare al bowling quel pomeriggio.

- Cosa vuoi? – mi chiese, dopo il mio “sei la madre migliore del mondo”, un classico.

- Posso andare al bowling con un po’ di amici, oggi pomeriggio? – sputai il rospo, facendo gli occhi da cucciolo abbandonato che intenerivano sempre tutti.

- Veramente volevo dirti io di uscire un po’ di casa! L’ultima settimana l’hai passata come una suora! – rise.

- Lo prendo come un “si”! – esultai. Diedi un bacio sulla guancia a lei e, più delicatamente, a Jamie. Mi sparai a razzo verso la mia camera e cercai il cellulare, sepolto chissà sotto quale pila di roba. Lo trovai sotto un disegno che mi aveva regalato Frankie. Cercai tra le ultime chiamate effettuate e pigiai su chiama alla prima, ovvero Nick.

- Sì? – salutò.

- Posso venire anche io al bowling. Mi potete venire a prendere voi? Non ho voglia di prendere la mia macchina. – chiesi.

- Certo, nessun problema. Passiamo attorno alle tre, va bene? – disse.

- Ok. Ehi, Nick, mi togli una curiosità? Chi viene a giocare a parte me e voi? – domandai.

- Beh, Demi di sicuro porterà Selena, poi David, Jason, Moises … forse anche Miley ma non ha ancora risposto al messaggino che le abbiamo mandato – concluse.

- Grazie. Ci vediamo dopo, allora. – lo salutai e chiusi la chiamata. Ripensai a chi avrei incontrato quel pomeriggio: Demi Lovato, Selena Gomez, David Henrie, Jason Dolley, Moises Arias … e Miley Cyrus. Avevo sempre voluto conoscerla. Aveva uno stile invidiabile, soprattutto per me che ero una novellina nel campo moda. E poi sembrava la simpatia fatta persona. Sarebbe stata di sicuro una grande amica. Il mio obiettivo quel pomeriggio sarebbe stata lei. Gli altri li conoscevo già tutti benissimo. Decisi che dovevo rendermi più presentabile. Andai in bagno e cercai la piastra per capelli. Una volta trovata, la sfoderai come una spada davanti allo specchio. Per circa un’ora rimasi chiusa in bagno a piastrarmi i capelli. Quando ebbi finito, guardai bene il risultato. Fantastico! Scesi in cucina per preparare il pranzo, mentre rivedevo mentalmente tutto il guardaroba. Mangiai di fretta, ringraziando mia madre per i complimenti ai miei capelli, e tornai di corsa in camera mia a scegliere cosa mettermi. Ero impaziente. Optai per una camicia bianca senza maniche con una cravatta nera e dei jeans scuri al ginocchio. Cerchietto nero lucido, Converse bianche con motivi neri ed ero pronta. Peccato che mancava si e no un’ora e mezza. Per mezz’ora mi presi cura di Jamie, facendolo giocare sotto lo sguardo incuriosito di mia madre.

- Aki, tesoro, cos’hai? Sei agitata. – mi disse, appoggiandomi una mano sulla spalla.

- Non sono agitata. – mentii.

- Si che lo sei. Stai muovendo il sonaglino di Jamie troppo velocemente, quasi volessi far passare più in fretta il tempo. – concluse. Colpito e affondato.

- Mi conosci troppo bene perché io riesca a mentirti, eh? – chiesi, con un sorriso amaro.

Passai un’altra ora a suonare un po’ la mia chitarra acustica, ditraendomi per quanto mi era possibile. Quando finalmente sentii il suono  del clacson, ne fui così felice che lasciai abbandonato a se stesso lo strumento che stavo suonando. Uscii di casa salutando con un semplice ciao e mi fiondai dai tre ragazzi che mi stavano aspettando. Fui sul sedile posteriore della macchina di Kevin prima che nessuno dei tre potesse dire la “b” di “buongiorno”.

- Ehi, come sei carina! Che hai fatto ai capelli? Sono lisci! – si complimentò con me la voce più bella del pianeta. Girai la testa. Nick, al mio fianco, aveva una ciocca dei miei capelli in mano e ci giocherellava. Joe, dal sedile del passeggero, si sporse indietro, afferrando anche lui una ciocca.

- Uffa! Perché a te stanno bene e a me no? – si lamentò come un bambino. Mentre scoppiava in una risata, Kev  accese il motore della sua macchina e partì. Poco dopo eravamo davanti al bowling. Scendendo dall’auto, mi avvicinai a Joe, sapendo che avrebbe ancora voluto vedere i miei capelli. Mi mise un braccio sulle spalle e commentò.

- Sei proprio carina. Se tu fossi un po’ più grande o io un po’ più piccolo, mi metterei con te, prima che qualcun altro ci provi! – scherzò. Sulle ultime parole, lanciò uno sguardo – dal significato per me segreto - al fratello minore. Entrammo nell’edificio. Osservai attorno. Quel posto era esattamente come il bowling al quale mi portavano mamma e papà quando ero più piccola. Le luci colorate, i videogiochi dalla parte opposta delle piste …

I ragazzi salutarono con la mano Frankie, appollaiato su un divanetto vicino alla pista numero 2. Non appena mi vide, mi corse incontro per abbracciarmi. Ricambiai il suo saluto emi feci guidare, mano nella mano con lui, fino alla pista dove volti conosciuti ridevano e scherzavano in attesa dell’inizio della partita. La prima a salutarmi fu Selena, che mi invitò a sedermi accanto a lei e a Demi. Poco dopo ci raggiunse David con dei pop corn, caramelle e bibite gassate. Anche lui mi salutò calorosamente, abbracciandomi. Non mi ricordavo chi mancasse, mi sembrava ci fossero tutti. Poco dopo Joe urlò a squarcia gola che “adesso facciamo le squadre!”. Ci dividemmo in 2 squadre da 4 persone, a parte in una in cui s’infilò Frankie. Stavamo per iniziare a giocare, quando Jason Dolley e Moises Arias arrivarono, facendo lamentare Joe, il mio caposquadra. Rifacemmo le squadre. La mia adesso era composta da Joe, Frankie, Sel, Jason. Nell’altra: Kev, Nick, Demi, Moises e David. Su una pista la squadra di JJ e sull’altra quella di Demi.  La partita cominciò.  Mentre Joe e Frankie tiravano, guardai Nick. Prese la mira e poi la rincorsa. Eseguì un tiro a effetto e fece strike. Tornò indietro e diede il cinque a tutta la sua squadra, poi si risedette sui divanetti, vicino a David. Il respirò accelerò e il mio cuore saltò qualche battito. Mi imbambolai per un attimo a fissarlo, quando una scrollata da parte di Selena mi ricordò che era il mio turno. Presi una boccia e mi avvicinai alla pista. Chiusi un occhio per prendere meglio la mira e mi avvicinai. Stesi il braccio a metà tragitto e poco dopo lasciai la palla. Il tiro era dritto, fin troppo per uno strike. Infatti buttai giù otto birilli e i due che rimasero erano ai due angoli più lontani.

- Bel tiro! – si congratulò Jason. Ringraziai, chiedendo come, secondo lui, potevo fare uno spare. Tentai la fortuna e tirai mirando al birillo a destra. Peccato che il tiro fosse a effetto e non buttai giù nessuno dei due bersagli. Tornai a sedermi, facendo spallucce. La partita proseguì e tra un tiro e l’altro, scherzavo con i miei amici. Quando Nick si sedette accanto a  me e mi chiese come andava, dimenticai gli altri. Adesso stavo per fare l’ultimo tiro della partita. Le due squadre si trovavano in parità e stava a me e a David scegliere l’esito. Prendemmo entrambi attentamente la mira. Stavo per muovere il primo passo verso i birilli, quando una voce femminile mi fermò.

- Ciao a tutti! Scusate il ritardo, c’era un po’ di traffico! – si giustificò Miley Cyrus. Mi girai per controllare che fosse davvero lei. Capelli castani ondulati, giacca di pelle nera sopra a una maglietta bianca, minigonna scozzese rosa, nera e bianca e All Star nere. Salutò tutti agitando la mano e quando mi vide sorrise. Si avvicinò.

- Ciao, tu devi essere Aki! Miley Cyrus. – si presentò, porgendomi la mano. La strinsi, guardandola con ammirazione.

- Se ci dai un attimo, finiamo questa partita e ti infiliamo in una squadra. Intanto pensa in quale vuoi stare – propose David, che mi fece cenno con la testa di raggiungerlo in pista. Aspettai che tirasse prima lui. Uno spare e, grazie al tiro extra, un 9. Feci i primi due tiri. Spare. Adesso mi sarebbe bastato uno strike e la mia squadra avrebbe vinto. Avevo gli occhi di tutti puntati addosso, lo sentivo. I componenti della squadra di Demi sussurravano “sbaglia!” e quelli del mio gruppo incrociavano le dita sperando che io non sbagliassi. Ma tra chi mi incitava c’era una voce che non apparteneva a nessuno della squadra. Miley mormorava dei “forza, Aki!”. Davanti a lei non potevo sbagliare. Feci un sospiro profondo e presi la mira. Il tiro a effetto che avevo fatto sembrava predire uno strike. 9 birilli andarono a terra senza esitazione, ma ce n’era uno che continuava a traballare senza cadere. Alla fine rimase in piedi. Tornando dal mio caposquadra feci spallucce e dissi:

- Il risultato migliore per non scontentare nessuno. – sorrisi. Tutti concordarono e si concessero un attimo di pausa prima di ricominciare la partita. Dopo un po’ Joe si mise a urlare:

- Oooooooooooooooooooooook, credo che sette minuti di intervallo siano anche troppi! Ricominciamo a giocare!

- In che squadra vuoi stare, Miley? – domandai, ingenuamente. Mi guardò e sorrise.

- Credo che starò nella tua, così potremo conoscerci meglio. – rispose. Sorrisi anche io. Non feci in tempo a rispondere che la partita era già ricominciata! I miei punteggi erano un po’ penalizzati dalla stanchezza del mio braccio, ma non era niente di che. Miley non era una brava giocatrice, ma al contrario di tutti e quattro i fratelli Jonas + me, non se ne lamentava, anzi.

- Un solo birillo non è male, se consideri che è meglio essere il numero uno che il n strike! – si prendeva in giro. Più tempo passavo con lei, e più ce ne volevo passare. Oltre che carina e simpatica, era anche intelligente. Scoprii che avevamo alcuni gusti in comune, per esempio entrambe adoravamo i cani, anche se io non potevo averne uno per l’ allergia di mio padre. Però, mio malgrado, avevamo in comune anche il gusto per i ragazzi: ogni tanto la vedevo lanciare occhiatine a Nick. Mi distraevo dalle fitte di gelosia parlando con Sel.

- Il tuo nuovo taglio ti sta troppo bene! – mi complimentai con lei.

- Grazie! Anche a te i capelli lisci stanno benissimo! E poi il tuo viso così orientale è adorabile! – rispose lei.

- Peccato che la proprietaria del viso adorabile non sia altrettanto … Beh, diversa da me. – mi abbattei. Probabilmente se fossi diversa, riuscirei a farmi notare da Nick … o semplicemente a dimenticarlo, pensai.

- Ehi, non fare così! Tu sei fantastica, ti meriti il meglio. – mi consolò Sel. La ringraziai, prima di avvicinarmi alla pista per tirare. Dopo l’ennesimo 8 al primo tiro e buco nell’acqua al secondo, tornai a sedermi. Osservai Nick fare il suo lancio. Uno strike perfetto. Mi chiesi cosa gli avevano fatto bere, perché nei tre turni successivi non fece altro che strike, strike e ancora strike, facendo alzare di molto il punteggio avversario. Joe, dopo i soliti lamenti, si avvicinò a Frankie, gli mise le mani sulle spalle e, dopo essersi abbassato alla sua altezza, gli parlò con aria solenne.

- Frankie Jonas, conto su di te. Se perderemo mi sfotteranno tutta la vita, perciò mi servi per uno strike dietro l’altro fino a fine partita. Te la senti, piccolo?- . Gli lanciò uno sguardo complice, al quale il Bonus Jonas rispose sorridendo. Frankie era sempre stato l’arma segreta dei tre fratelli, non falliva un colpo se si concentrava sul serio. Probabilmente mi avrebbe battuto se avessimo fatto “uno contro uno”.  Lo osservai mentre prendeva la boccia e muoveva i suoi piedini sempre più veloci verso la pista. Ovviamente, fece uno strike. Tornai a guardare Nick fare la stessa cosa. Sospirai, prima di notare che Miley si era alzata, ignorando le suppliche di Joe di andare a tirare. La ragazza si stava avvicinando a Nick, che rideva felice. Quando la vide, il suo sorriso si spense e sul suo volto apparve un espressione incuriosita e imbarazzata quando lei gli buttò le braccia al collo.

- Bravissimo Nicky, sei il migliore! – continuava a ripetere Miley. Ebbi un moto di gelosia e mi immaginai mentre la staccavo da Nick tirandola per i capelli. Scossi la testa per tornare alla realtà; sarebbe stato meglio non farlo. Miley aveva la testa pericolosamente vicina a quella di Nick. Sbattei le ciglia una volta, me ne bastò una sola, per vedere le loro labbra incollate. Tutti, intorno a me, avevano la bocca aperta per lo stupore; persino lo stesso Nick era a occhi spalancati. Io, invece, fissavo il pavimento, le gambe molli, nella testa un rimbombo incessante che mi fece dolere le orecchie.

- Ehm … io … devo andare a casa. – mormorai, anche se ero certa che nessuno mi stesse ascoltando. Mi precipitai fuori dall’edificio e iniziai a camminare a passo spedito in una direzione a caso.

 

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Capitolo 6
*** Ti voglio bene ***


ANGOLO RINGRAZIAMENTI:

è la prima volta che lo faccio! Prima cosa: Miley sta antipatica anche a me, ma non avrei voluto deludere le sue fan(ma come fanno? BOH!)  e poi tranquille che starà stra-antipatica anche alla mia Aki!

ada12: graaaazie! Non avrei mai pensato che sarebbe sul serio piaciuta  a qualcuno!

PrInCeSsMaLfOy: strappare i capelli uno a uno è un lavoro un po’ lungo, farebbe in tempo a sposarsi anche Frankie … XD

Star711: non è proprio prima di iera, ma … va bene lo stesso, vero?

stellalilly: grazie dei complimenti!

 

PICCOLA INTRODUZIONE:

credo che questo sarà uno dei capitoli più drammatici della fic, ma nel prossimo comincia il tour, quindi … non durerà per molto!

 

Capitolo 6

 

Le lacrime lottavano per uscire, ma decisi di reprimerle, per chissà quale motivo. Il mio stomaco si era annodato, così tanto che mi venne voglia di vomitare. E poi …  sentivo che il mio petto aveva subito una ferita. Mi sembrava di avvertire un piccolo buco sulla parte sinistra e qualcosa di affilato che trasmetteva veleno nel mio cuore. Poco dopo il veleno ebbe effetto, frantumando in minuscoli pezzettini l’organo vitale. Mi fermai, le gambe che fremevano troppo per continuare a camminare. In un attimo di lucidità, mi guardai attorno. Alla mia destra c’era un muretto. Mi sedetti lì, le ginocchia strette al petto. Non so quanto tempo era passato, forse in ora, forse un giorno, quando sentii una voce chiamarmi. Era maschile e tremendamente familiare, ma tutto quello che accadeva fuori e dentro di me mi era incerto. Solo quando una mano si poggiò sulla mia spalla e iniziò a scuoterla energicamente il mio cervello cominciò a formulare frasi sensate e io mi accorsi di dov’ero e di tutto ciò che mi circondava. La prima cosa che riuscii a riconoscere fu il volto di Joe. Era stato lui a chiamarmi ed era lui che mi stava strattonando perché non rispondevo. Poi anche i suoni iniziarono a essere riconoscibili e sentii la sua voce.

- Aki? Aki, tutto bene? Che è successo? – mi chiese. Non sapevo se le parole mi sarebbero uscite di bocca, perciò lo fissai soltanto.

- Aki, mi senti? Riesci a vedermi? – insistette Joe, probabilmente notando che ancora non davo segni di essere cosciente e avevo gli occhi vitrei. Però riuscii ad annuire e questo lo tranquillizzò.

- Vieni, ti riporto a casa. – disse infine, dopo una breve pausa nella quale continuai a guardarlo inespressiva. Mi prese sottobraccio, ancora non mi reggevo bene in piedi. Iniziammo a camminare. Joe non tentò di capire se ero un po’ più cosciente con qualche domanda, semplicemente mi osservava mentre il mio corpo inanimato si reggeva a lui come se fossi una bambola. La mia mente si era di nuovo svuotata. Percepivo quello che c’era intorno a me, ma le mie reazioni erano inesistenti. Joe mi aiutò a sedermi al posto del passeggero della macchina di Kev, una volta nel parcheggio del bowling. Chiusi gli occhi. Se Nick fosse stato lì, non sarei riuscita a guardargli nemmeno la punta delle scarpe. E se anche non ci fosse stato lui, chiunque avesse potuto farmi domande mi avrebbe risvegliato dallo stato di incoscienza che mi proteggeva. Non provare niente, mi impediva di sentirmi male. Una domanda tipo “che cosa è successo?” mi avrebbe fatto ricordare ciò che era accaduto poco prima. Il colpo di grazia. Mentre Joe guidava verso casa mia, lo sentivo mormorare. Sembrava essere al telefono, perché tra una risposta e l’altra c’era il silenzio e poi di nuovo una sua reazione.

- No, non ho la più pallida idea di cosa le sia successo. Non risponde a nessuna domanda, sembra uno zombie – spiegò. - Certo. La porto a casa, mi assicuro che stia bene e torno a prendervi. – continuò. Quando chiuse la chiamata, riprovò a farmi parlare. – Ehi, Aki. Potresti guardarmi? – provò. Staccai gli occhi dal cruscotto davanti a me e li posai su di lui.

- Bene. – disse, tornando a fissare la strada. – Riesci a parlare? – chiese. Provai ad aprire la bocca, incerta su cosa ne sarebbe uscito.

- S-si – fu tutto quello che riuscii a dire. Grazie a quella singola parola, ricominciai a percepire perfettamente tutto. L’aria condizionata a palla mi fece rabbrividire. La radio accesa a basso volume e trasmetteva una canzone a me sconosciuta. Riconoscevo i contorni delle cose fuori dal finestrino. Gli alberi, le case, le cassette della posta ora non erano più macchie di colore indefinite.

- Che è successo? – domandò.

- Niente per cui tu ti debba preoccupare così tanto. – mormorai. Mi accorsi subito di quanto fossero insensate le mie stesse parole.

- Non credo. Ti ho trovata quasi svenuta, non rispondevi alle chiamate e sembravi quasi cieca con gli occhi così vitrei. Che ti è capitato? Un maniaco ti ha aggredita mentre andavi a casa tua, che per essere precisi era da tutt’altra parte? – rispose, un po’ irritato.

- I fan – dissi la prima bugia che mi passò per la testa. Non avevo assolutamente intenzione di dirgli che avevo una cotta per suo fratello. Mi accorsi di quanto fossero piccole quelle parole in confronto a quello che provavo veramente. Cercai di ignorare il pensiero, che stava risvegliando un bruttissimo ricordo e con esso il dolore di poco prima.

- E’ impossibile che dei fan ti abbiano conciata così! – esclamò, la voce troppo alta per le mie orecchie tappate dallo stato di “no-feeling” dal quale ero appena uscita. – Ti prego – continuò, l’aria implorante, la voce più bassa. Probabilmente si era accorto di avermi infastidito. Sospirai profondamente, sentendo gli occhi scuri del ragazzo addosso a me. Aspetta un momento! Se aveva gli occhi puntati se di me … Non stava guardando la strada! Lo guardai allarmata, per poi notare che la macchina era ferma davanti a casa mia.

- Ti va se te lo spiego dentro? – chiesi, indicando la mia dimora. Lui annuì. Lo feci accomodare sul divano con un bicchiere di Coca Cola sotto il naso. Mi sedetti accanto a lui con lo sguardo basso. Forse se non avessi cominciato io il discorso, se ne sarebbe dimenticato o avrebbe avuto pietà.

- Io posso aspettare, quindi ti conviene parlare subito. – mi disse. Speranze vane.

- Ok … - sussurrai. Presi un respiro profondo e cominciai a raccontare. Di come mi sentivo all’inizio a guardare Nick, di come tutto mi è sfuggito di mano da quando mi ha fissato negli occhi per la prima volta. Le sensazioni, i pensieri, i segreti, tutto venne a galla. Joe ascoltava con estrema attenzione, guardandomi, annuendo ogni tanto per farmi sapere che aveva capito. Mi faceva un po’ male parlare di Nicholas, rievocava ricordi dolorosi o imbarazzanti. Però mi aveva anche aiutato: mi ero levata di dosso un peso che portavo da tanto, troppo tempo.

- Perché … Non glielo hai detto? – chiese Joe, a fine racconto.

- Beh … - tentennai. – Per i soliti motivi. Imbarazzo. Paura che non provi gli stessi sentimenti … - contai sulle dita.

Dlin Dlon. Il campanello di casa suonò. Chiesi perdono a Joey e andai ad aprire.

- Ciao, cuginetta! -. Era una voce femminile fin troppo familiare. Osservai la ragazza davanti a me. Il fisico slanciato,  I’altezza era aumentata – mi superava di circa 10 cm. I capelli neri e mossi arrivavano alle spalle e vantavano di qualche ciocca di sfumature rosa. Gli occhi erano a mandorla, come i miei, tipici dei giapponesi. La pelle era stranamente scura per una di quella popolazione. I vestiti erano così all’ultima moda che mi vergogno a descriverli!

- Fujiko! Non dovevi arrivare tra una settimana? – risposi, abbracciandola. Fujiko era la famosa cugina che mi doveva accompagnare in tour.

- Che ti devo dire? Il lavoro è stato più veloce di quanto pensassi! Non volevo tornare in Giappone, quindi ho pensato di trasferirmi momentaneamente qui. Posso? – spiegò, staccandosi da me. Notai che ai suoi piedi c’erano due grosse valigie.

- Credo di si, lo sai che mi i miei genitori ti adorano, non rifiuterebbero mai! E poi è solo per una settimana! – esclamai, ricordando la data dell’inizio del tour.  La feci entrare in casa e presi le sue enormi e pesanti valigie.

- Ti do una mano? – mi chiese, notando che avevo il viso rosso per lo sforzo.

- No, faccio io. Intanto puoi intrattenere il mio ospite, in salotto. – le dissi, accennando con la testa la stanza.

- O … k. Spero solo che non sia il mio ex o qualcuno di simile – scherzò entrando nella stanza. Mentre portavo le valige di Fu-chan su per le scale, diretta in camera mia, mi spuntò un sorriso malizioso. Ricordai che circa un anno prima, quando non ero ancora famosa, Fujiko non conosceva i Jonas Brothers. Grazie alla mia fissazione, si è incuriosita e ha voluto ascoltare una loro canzone. Le feci vedere il video di Year 3ooo e s’innamorò della canzone. Poi vide Joe e fu un colpo di fulmine. Avevo appena appoggiato le valigie sul secondo letto della mia camera, quando una mano si posò sulla mia spalla e mi costrinse a voltarmi.

-Mi hai abbandonato da sola con Joe Jonas?! Che ti è saltato in mente?! – chiese furiosa Fujiko. Mi scappò una risata, mentre sfuggivo alla sua presa e correvo giù per le scale, fino a scontrarmi con Joe.

- Ti è già passata? – domandò il ragazzo. Presa dalle risate, non avevo capito cosa intendesse.

- AKIIIIIIIIIII! – urlò Fujiko, raggiungendomi. Cercai di smettere di ridere, almeno per presentarli.

- Joey, lei è Fujiko Blues, mia cugina. Fu-chan, lui è Joe Jonas, ma credo tu lo sappia benissimo! – conclusi, scoppiando in un'altra fragorosa risata. Joe porse la mano e Fujiko la strinse, intanto lanciava occhiate sognanti al ragazzo alternandole alle sue solite da “questa me la paghi!” a me.

- Piacere di conoscerti. Ora, scusatemi, ma ho tre rompiscatole da recuperare! – ci salutò, uscendo dalla porta. Io e mia cugina rimanemmo immobili per qualche secondo, poi lei urlò.

- HO CONOSCIUTO JOE JONAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAS!!!!!!!! NONCICREDONONCICREDONONCICREDO! – gioì. Prese a saltellarmi intorno continuando a gridare dei“graziegraziegraziegraziegrazie!”  diretti a me. Quando finalmente riuscii a calmarla, tornammo nella mia camera a disfare le sue valigie. Poco dopo qualcuno suonò al campanello.

- Vado io. – mi disse Fu-chan. La ringraziai e continuai a sistemare i suoi vestiti.

- AKIIIIIIIIIIIIIIIIIIII! – urlò poco dopo, per la seconda volta oggi. – Credo sia per te! – continuò. Sbuffai e la raggiunsi. Non appena vidi chi mi aspettava sulla soglia della porta, rimasi paralizzata. Che ci facevano qui Kevin, Joe e … Nick?! Lanciai un occhiataccia al fratello di mezzo e lui si sentì in dovere di spiegare.

- Ho dimenticato il cellulare e questi due mi hanno voluto accompagnare. – sussurrò, probabilmente voleva diventare minuscolo sotto il mio sguardo omicida. Feci entrare i suoi fratelli e lo tirai da parte.

- Che diavolo ti è saltato in mente? La segatura che hai al posto del cervello ha deciso di diventare una creatura assassina? – esclamai sottovoce. Gli diedi un coppino.

- Ahio! Erano preoccupati per te e così li ho fatti venire, scusa. – si giustificò. – Nicholas era fuori di testa, continuava a ordinarmi di venire qui. – continuò. Sentire quel nome fece iniettare un’altra piccola dose di veleno nel mio cuore.  Sbuffai e lo congedai con un gesto della mano. Fujiko si avvicinò a me.

- Tutto bene, Aki-chan? – mi chiese.

- Ti spiego dopo, adesso devo cacciare Tizio, Caio e Sempronio da casa mia. – risposi, facendola ridere. – Ragazzi … - provai, avvicinandomi a loro.

- Tu sei Fujiko Blues! – esclamò Joe.

- Chi? – chiese Kevin.

- Mia cugina. – spiegai. – Perché sei così esaltato? – domandai poi a Joe.

- Perché lei non è solo tua cugina Aki! Non dirmi che non sai che è la stilista giapponese più famosa al mondo! Io sono suo fan praticamente da sempre! – disse Danger, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

- Ma non hai nessun mio modello, vero? – chiese maliziosamente Fu-chan, dimenticando la timidezza. Joe scosse la testa. Poi sembrò illuminarsi.

- Mi faresti da stilista? Ti preeeeego!  - piagnucolò.

- Non se ne parla!

- Perché?

- Io sono solo la stilista di Aki-chan!

- Davvero? – m’intromisi.

- Certo che sì! – mi rispose. – Se proprio devo venire in tour, non ti farò da babysitter e basta! – rise.

- Vieni in tour? Allora sei tu che devi accompagnare Aki! Una scusa in più per farmi da stilista! – continuò Joe.

- No! Trovami anche solo un motivo valido per cui dovrei farlo! – ribatté lei. Non seguii il resto della conversazione perché qualcuno mi bussò sulla spalla. Deglutendo mi girai e mi ritrovai davanti Nick.

- Ti devo parlare – mi sussurrò all’orecchio, così vicino che potevo sentire il suo fiato sul collo. Rabbrividii impercettibilmente e risposi annuendo. Lo seguii mentre mi portava in camera mia, tormentando le mie unghie e tenendo lo sguardo inchiodato a terra.

- D-dimmi.- lo incoraggiai, una volta chiusa la porta.

- Volevo chiederti … -. Si avvicinò a me e mi sfiorò una guancia. - … Perché te ne sei andata? – continuò. Io mi sedetti sul letto, lo sguardo ancora fisso a terra. – Guardami, per favore. – riprovò. Scossi la testa. – Va bene, non guardarmi. – si arrese. – Ma … se ti faccio una domanda, rispondi a parole? – insisté.

- Dipende dalla domanda. – risposi, trovando non so dove il coraggio. Ecco, sta per scoprirlo!, pensai. Non potrò più andare in tour con loro! Che posso fare?

Che potevo fare? Assolutamente niente, rimasi immobile.

- Ho fatto qualcosa che ti ha infastidito?- mormorò, la voce così dolce che avrei potuto sciogliermi da un momento all’altro.

- No. – risposi, basita. Istintivamente lo guardai negli occhi, ma riabbassai subito lo sguardo. Era vero. Lui non aveva fatto assolutamente niente, Miley l’aveva baciato. Forse lui aveva risposto al bacio, ma mi rifiutai di pensarci. Il dolore non mi risparmiò comunque. Sentii la lama infilata nel cuore andare più in profondità. Mi lasciai sfuggire una lacrima.

- Ehi, ehi. Non è successo niente. Mi dispiace di averti fatto piangere, io … -. Lo sentii sospirare, mentre io cercavo di trattenere le lacrime stringe domi le braccia al petto e affondando le unghie nella pelle. – Detesto far del male ai miei amici. E poi tu per me sei … più che un’amica. Insomma, credo che tra noi potrebbe esserci un amicizia diversa. – sussurrò, leggermente imbarazzato. Spalancai gli occhi. Anche le lacrime smisero di scendere. Mi stava davvero dicendo di provare qualcosa per me? Mi scappò un sorriso. Il mio cuore sembrò ricomporre i pezzi e traboccare di gioia. Tutta quella felicità mi fece capire. Ormai la mia non era più una cotta: adesso ero davvero innamorata. Sciolsi la presa delle mie braccia  e avvicinai una mano alla sua. Lo fissai negli occhi.

- Aki … - soffiò.

- Sì? – lo incoraggiai, avvicinando ancora la mia mano alla sua, ma senza sfiorarla nemmeno.

- Io … Tu sei come una sorella per me, la sorella che non ho mai avuto e che vorrei al posto di quei tre – corresse i miei pensieri. Rise, ma la sua risata fu destinata ad affievolirsi vedendo la mia espressione. Ero apparentemente ricaduta nello stato di no-feeling. Apparentemente perché solo all’esterno  era così. La mia mente, invece, lavorava a ritmo raddoppiato. Lui non prova quei sentimenti! Perché l’ho pensato? Era ovvio che lui non sia innamorato di me, si è rimesso con Miley poco fa! Stavolta m’impedii di piangere.

- Vattene, per favore. – fu tutto quello che riuscii a dire, la voce così bassa che feci fatica anche io a sentirmi. Sbirciai con la coda dell’occhio la sua reazione. Stava per ribattere, aveva già aperto la bocca. Speravo che correggesse la sua ultima frase, ma semplicemente scosse la testa e uscì, sospirando. Non appena chiuse la porta, scoppiai a piangere e nascosi la testa tra i cuscini. Nella mia testa continuava a rimbombare quella frase. Ti voglio bene … come una sorella … amicizia speciale … per me sei più di un’amica. Mi rimbalzarono in testa talmente tante volte, che si erano unite a formarne una sola, incomprensibile. Ancora una volta, quel pomeriggio, non seppi per quanto rimasi così. A un certo punto , Fujiko mi bussò sulla spalla.

- Ti prego, Aki, ti prego! Sta per tornare tuo padre, lo farai preoccupare! Va bene io, ma lascia stare lui! – supplicò. La guardai, lo sguardo ancora vitreo. – Io e te dobbiamo parlare! Adesso o vai immediatamente giù e mi aiuti a fare la cena, o io non so cosa ti faccio! – esclamò.

- Fujiko. Lasciami in pace! – urlai. Mi alzai di scatto e mi infilai nel mio bagno. Poco dopo mi raggiunse lei. Mi costrinse a guardarla prendendomi per il mento. Me lo lasciò subito e allontanò la mano. Quasi non mi accorsi che la riavvicinò alla mia guancia. Mi diede uno schiaffo. Era abbastanza leggero, ma da solo bastava a farmi svegliare.

- Che diavolo ti è preso?! Spiegami perché devi soffrire così! Mi stai facendo preoccupare da morire! – urlò, arrabbiata. Mancava poco che mi prendesse la camicia e cominciasse a strattonarmi. Sospirai e le raccontai tutto. Di quel pomeriggio, delle ultime settimane. Quando finii, la rabbia che era in lei lasciò il posto alla compassione. Mi abbracciò.

- Quando becco Nicholas, giuro che lo pesto. – sussurrò. – Aki, non farne una tragedia … Ci sono  tanti ragazzi in questo mondo e capisco che tu sia innamorata, ma potresti amare qualcun altro. – cercò di consolarmi.

- No, Fu-chan. Io non ho mai amato nessun come sto amando Nick. Ma ciò che desidero è solo la sua felicità, m’importa solo che lui stia bene. Se poi stando con me si sente così, tanto meglio. – mormorai. Le parole erano così vere, che dirle pareva una cosa scontata. Feci due respiri profondi e poi sorrisi. Parlarne con Fujiko mi aveva fatto bene. Joe in confronto non era nulla – non che lui mi avesse fatto sentire peggio. Lei era mia cugina e mi conosceva bene, sapeva come consolarmi.

- Va bene, andiamo a preparare la cena, prima che papà mi ammazzi perché sta morendo di fame! – risi, uscendo dal bagno. Fu-chan mi seguì sorridendo e mormorando un “adesso ti riconosco!”. Guadagnavo ogni minuto più felicità, grazie alle battute – a volte improponibili – di mia cugina e alla sua sola compagnia. Meno mi faceva pensare a Nick, più diventavo raggiante. Papà, mamma e Jamie arrivarono insieme, proprio mentre io servivo i piatti a tavola. Fujiko si lasciò scappare un urletto quando vide il mio fratellino.

- Com’è cariiiiiiino! – continuava a ripetere.

- Non siamo gli unici a pensarlo! Oggi sono andata in giro per negozi con lui, ed erano tutti lì a dire “che caruccio!”  e cose simili! – rise mia madre. Dopo cena io e Fu-chan ci preparammo per una notte di pettegolezzi – come ai vecchi tempi. Mi ero appena levata la maglietta per mettermi il pigiama, quando ricevetti un messaggino. Afferrai il cellulare e controllai da chi era. Quando lessi sul display “Nick”, chiamai istintivamente mia cugina.

- Che c’è? – mi chiese, quando mi raggiunse. – Ah … - soffiò, quando lesse il nome sullo schermo.

- Leggi tu, per favore. – implorai. Annuì, sfilandomi il cellulare di mano.

- “Al parco alle 21:30. Da sola. Devo riparare la cavolata che ho fatto. Detesto vedere qualcuno piangere e non poter fare niente, perciò fammi rimediare.”- lesse ad alta voce. – Che ore sono? – domandò poi. – Le 21:14?! Ma è pazzo! – si rispose da sola, guardando sul mio telefonino. Mi costrinse a vestirmi da appuntamento, mentre io mi preparavo psicologicamente. In circa tre minuti mi aveva piazzato fuori dalla porta con la raccomandazione di “dagli un pugno da parte mia!”. I miei piedi si mossero automaticamente verso il parco e avrei voluto maledirli una volta arrivata. Avvicinandomi all’altalena, sentii una voce, la sua.

 

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Capitolo 7
*** Passeggiata ***


Piccola Introduzione:

Allora, sono in ritardo stratosferico, ma non sono l’unica, anche Aki lo sarà! Leggendo capirete tutto! ^^ Vi lascio subito a leggere, ma dopo questo consiglio: ascoltate la canzone che canticchia Nick a inizio capitolo per è bellissima!

 

Angolo ringraziamenti:

ada12: ammetto che non ho aggiornato presto, ma questo capitolo non voleva uscirmi dalla testa e diventare delle frasi sensate … Chiedo scusa! Grazie per i complimenti, mi fa molto piacere!

PrInCeSsMaLfOy: davvero ti sei commossa? Che onore! Uno dei prossimi capitoli è per te, bellissima! Anche se credo che scriverò un capitolo per ognuna di voi fantastiche!

jeeeeee: so che volevi sapere cosa si dicevano … Beh, accontentata, anche se con un ritardo enorme! Scuuuuuuuusa!                                                                                               

Star711: io non sono carogna, volevo solo mettere un po’ di suspense … E poi non avevo più voglia di scrivere! ^^ Chiedo umilmente il tuo perdono!

Niki_Cullen_: Graziegraziegraziegraziegrazie! Non so perché te lo sto dicendo, ma so che avevi un dubbio! E la risposta è proprio qui sotto!

 

Dedico questo capitolo alla mia best! Lei mi ha suggerito qualche ideuzza per continuare … Ihih! Vedrete!

 

 

Capitolo 7

Because you live, and breathe
Because you make me believe in myself when nobody else can help
Because you live girl, my world has twice as many stars in the sky

Più mi avvicinavo e più riconoscevo la voce e le parole cantate da Nick. Because you live, di Jesse McCartney. Adoravo quella canzone. Guardai verso le altalene. Su una di esse c’era qualcuno, un ragazzo. Nicholas mi aspettava canticchiando a occhi chiusi.

- E’ da molto che aspetti?  - domandai, quasi a fargli sapere che ero lì davanti a lui.

- No, siamo entrambi in anticipo. – sussurrò, aprendo gli occhi e smettendo di cantare.

- Che volevi dirmi? – chiesi.

- Che … Mi dispiace. Qualunque cosa ho fatto, mi dispiace di averti fatta piangere. – rispose, alzando lo sguardo e incrociando il mio. Mi sedetti sull’altalena libera, di fianco a lui.

- No, scusami tu se ti ho fatto preoccupare. – mormorai. Lui scosse la testa, sospirando. – Nicky, non è colpa tua. E ti sarei grata se non mi chiedessi né di chi è la colpa, né perché ho reagito così. – implorai. Il mio sguardo si fissò sulla punta delle mie All Star.

- Motivi personali? Posso capire. Però voglio chiederti un favore. – disse. Tornai a fissarlo nei splendidi, meravigliosi, irraggiungibili occhi marroni. – Se faccio qualcosa, qualsiasi cosa che ti da fastidio, dimmelo, fammelo sapere in qualche modo. Io non voglio più vederti piangere. – disse, abbassando lo sguardo. Per un attimo non seppi come, cosa e se rispondergli. Poi mi alzai e mi diressi a un albero lì vicino. Il sole era appena tramontato e gettava sul cielo delle sfumature rosa e lilla. Mi sedetti con la schiena contro l’albero e aspettai che Nick mi raggiungesse. Dopo neanche quindici secondi, eccolo al mio fianco. Lo guardai e sorrisi. Non capii perché, ma ero felice. Tanto, tanto, ma tanto felice. Improvvisamente mi venne da ridere. La mia ridarella contagiò anche Nicholas.

- Che hai da ridere? – cercò di dire, tra una risata e l’altra.

- Non lo so! – risposi, anche io senza smettere di ridere. Quell’attacco di ridarella terminò poco dopo.

- Aki?

- Si?

- Ti va una passeggiata domani mattina?

- Perché no? Ok, ci sto!

- Porta anche tua cugina Fujiko, se le va.

- Ok, ma … Come fai a sapere il suo nome? Io non ve l’ho presentata … Cioè, Joe l’ha conosciuta – riconosciuta, per essere precisi – ma a te e a Kev … ? -. Ero leggerissimamente confusa.

- Quando Joe ha capito chi è, ha tentato per tutto il tempo della nostra chiacchierata di dissuaderla e di ottenere una stilista personale. – spiegò.

- Secondo me nessuno di voi tre, anzi, neanche Frankie ne ha bisogno! Com’è finita? – commentai.

- Fujiko ha concesso a Danger un modello solo per lui, anche se a malincuore. – rise. – Kev mi ha detto che si è inginocchiato davanti a lei con le mani giunte! Continuava a dire “ti preeeeeeeego!” con la voce da ragazza! – sghignazzò al solo pensiero. - Ti accompagno a casa? – propose, una volta calmo.

- Dovrei chiederti io di accompagnarmi. -. Risi.

- Lo prendo come un “sì, grazie” -. Nick mi aiutò a rialzarmi. Lo presi in giro per essere così gentiluomo e iniziai a camminare. Ormai la notte era calata e con essa la temperatura. Eravamo a metà giugno, cavolo, come poteva venire così fresco di botto?  Rabbrividii e strinsi le braccia.

- Hai freddo? – mi chiese Nick, notando che avevo la pelle d’oca.

- Un pochino … Va bene, più di un pochino. Sbrighiamoci ad andare a casa. – dissi, accelerando il passo. Nick mi prese la spalla e mi costrinse a fermarmi e a girarmi. - Che c’è adesso? – domandai.

- Prendi questa. – disse, togliendosi la felpa. Rimasi paralizzata un nano secondo nel vedere che sotto di essa aveva una maglietta paurosamente attillata. Nick mi piantò in mano la sua felpa rossa.

- Ma sei pazzo? Non sono io quella che si deve esibire per più due ore a serata tutto il tour! Non ti puoi ammalare! Rimettitela subito! -. Prima che io svenga perché non riesco a staccare gli occhi dal tuo fisico spaventosamente perfetto!

- No, tranquilla. Io non rischio di prendermi un raffreddore quanto rischi tu. Sei tutta sudata. – ribatté. Sono sudori freddi, piccolo!  Scossi la testa.

- Nicholas Jerry Jonas, rimettiti subito la tua felpa! È un ordine! – esclamai.

- Contrordine! Te la metti tu. – rispose. Avvicinò il suo viso al mio, con un sorrisino beffardo stampato in faccia. Avevo la bocca semi aperta e le pupille dilatate. La mia mente stava già vagando per scenari censurabili che vedevano protagonisti me e lui, quando, una volta a pochi centimetri, Nick mi soffiò in faccia e si allontanò ridendo fragorosamente.

- Questa me la paghi, Jonas! – scherzai.

- Bene, mentre pensi come fare a farmela pagare, mettiti la felpa. – ribadì. Un venticello leggero si alzò, quasi ad aiutarlo o l’avesse evocato lui. Il freddo aumentò e fui costretta a infilarmi la felpa. Nick sorrise compiaciuto.

- Sei contento adesso? Ora puoi prenderti la tua polmonite senza più ostacoli! – esclamai, incrociando le braccia al petto e girandomi di spalle a lui.

- Oh, e dai! Non mi metterai mica il broncio? – sghignazzò.

- E se lo facessi? – lo sfidai, girandomi e guardandolo. Era come se avessi avuto scritto in fronte “competizione”. E Nick sapeva leggere bene.

- Beh, un modo per toglierti il broncio ce l’avrei, ma … è un po’ audace! – rispose, fissandomi maliziosamente.

- Che vuoi fare? – mi allarmai, notando che le sue mani erano sempre più vicine alla mia vita.

- Niente, solo … -. Mi afferrò per i fianchi e mi sollevò in aria. – Questo! – continuò. Scoppiai a ridere, mentre mi faceva volteggiare. Tra le risate e i “basta, ti prego, mettimi giù!”  che riuscivo a dirgli ogni tanto, mi accorsi che era un comportamento solito dei … fidanzati. Pensare che non lo eravamo non faceva per niente male, ormai. Mi bastava ricordarmi che mi voleva comunque bene. Se era felice lui, lo ero anche io. Però il fatto ch facesse così con me, mi rendeva perplessa. Decisi di lasciar perdere e mi buttai in un’altra risata. Quando mi rimise a terra, mi faceva male la pancia dal tanto ridere. Mi accasciai su una panchina lì vicino.

- Non farlo mai più! – implorai, ancora senza fiato.

- Va bene … - rise Nick. - Però ti ho tolto il broncio! – esclamò, sedendosi vicino a me.

- Evviva, hai vinto. Di nuovo. – risposi, con quanto più sarcasmo riuscissi a trovare. Nick sorrise. Mi guardai attorno per ricordarmi dove eravamo, quando, dall’altra parte della strada, adocchiai un negozio. Guardai maliziosamente Nicholas, per poi levarmi la sua felpa e sbatte gliela in faccia.

- Cosa … ? – riuscì a dire il ragazzo. Troppo tardi. Ero già lanciata verso il negozio, ma di colpo mi fermai, tornai da Nick e lo misi a posto con un:

- Tu aspettami qui!

Tornai al negozio e comprai un bellissimo maglione, ma ci riuscii solo dopo aver firmato gli autografi di tutta la gente che c’era lì dentro. Adesso capii perché fuori era tutto deserto, mezza Toluka Lake era in quel negozio! Quando finalmente riuscii a uscire, indossai il maglione. Non appena tirai fuori la testa dall’apposito buco, mi ritrovai la faccia di Nick a pochi centimetri e sobbalzai.

- Hai fatto presto! – disse, meravigliato.

- Certo che sì! Se ti ho detto di aspettarmi non ci avrei messo molto … A proposito perché sei qui e non dove ti ho lasciato? – chiesi, guardandolo dubbiosa.

- Credevo che ti volessi dare allo shopping, così ho pensato di … prenderti e portarti via. – rispose, facendo spallucce.

- Invece volevo solo prendere qualcosa per coprirmi così tu ti saresti rimesso la felpa … Perché non l’hai ancora rimessa? – dissi, notando che la maglietta attillata era tuttora in mostra, facendomi impazzire.

- Non avevo idea di cosa volessi fare e allora … - cercò di spiegare, ma lo zittii prendendogli la felpa di mano e infilandogliela per la testa. Poco dopo eravamo sotto casa mia.

- Allora, ci vediamo domani. – lo salutai.

- Sì … Mi dispiace. – aggiunse.

- Ehi, ci stai ancora pensando? Ormai è acqua passata! -. Sorrisi. Mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio sulla guancia. – Buonanotte. – conclusi. Nick mi guardava incredulo, ma riuscì a balbettare un “buonanotte” anche lui. Rientrai in casa e mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e un sorriso a trentadue denti. Chiusi gli occhi e mi morsi il labbro inferiore. Avevo davvero dato un bacio sulla guancia a Nick Jonas? Riaprii gli occhi per accertarmi che non fosse tutto un sogno e mi ritrovai Fujiko a un palmo di naso.

- E’ andata bene, eh? – chiese, compiaciuta, quasi fosse stata con noi tutto il tempo. – Ti ha baciata prima che tu baciassi lui sulla guancia? – continuò, allontanandosi e seguendomi su per le scale.

- Come fai a sapere che l’ho baciato sulla guancia? – domandai, scandalizzata, entrando in camera mia.

- Vi ho visti dalla finestra, Giulietta. Allora, il tuo Romeo ti ha baciata si o no? – continuò, imperterrita.

- Certo che no! – esclamai in risposta. – Tra noi non è successo niente, siamo solo buoni amici! – mi giustificai.

- Molto buoni amici se gli hai dato un bacio sulla guancia! – sghignazzò.

- Dobbiamo proprio parlare di questo per tutta la notte? – tentai di cambiare argomento.

- No, per tutta la notte sarebbe troppo noioso. Dai, infilati il pigiama che voglio cominciare subito! – mi incitò. Sin da quando eravamo piccole, ogni volta che io e Fu-chan restavamo a dormire a casa di una o dell’altra, la notte non la passavamo mai a dormire. Maratona di film, giochi su internet, pettegolezzi … Tutto contribuiva a tenerci sveglie fino alle 5 del mattino seguente. Questa sera era previsto il film “Il diavolo veste Prada”, accompagnato da caramelle, patatine, bibite gasate e schifezze del genere; poi una smanettata in internet e infine ci cacciavamo a letto a raccontarci storie e gossip. Mentre esploravamo Twitter, durante la smanettata, ripensai all’incontro con Nick, e improvvisamente mi chiesi com’erano da piccoli lui e i suoi fratelli.

- A che pensi? – mi chiese Fu-chan, alzando lo sguardo dalla pagina.

- Mi chiedevo com’erano i tre moschettieri da piccoli – spiegai, facendo spallucce.

- I tre moschettieri? Ah, Kevin, Joe e Nick! Sai che adesso che mi ci fai pensare vorrei vederli anche io? – rispose. Ci scambiammo uno sguardo malizioso. Poco dopo, eccoci su Google a cercare immagini dei “baby Jonas”.

- Che pucci! – esclamammo insieme alla vista di una di quelle immagini. La ricerca però fu interrotta presto, non c’erano molte immagini. Decidemmo così di passare al gossip-moment della serata. Incredibile quanto la carriera di Fujiko fosse piena di imprevisti! Maniaci, modelle indisponenti, vuoti di memoria, momenti oscuri senza ispirazione per i vestiti … La vita dello stilista era una vita in extremis! Lei disse la stessa cosa della mia vita: fan impazziti, microfoni che vanno in cortocircuito assordandomi, staff tuo ammiratore che vuole un autografo “per mia figlia!” quando in realtà è per se stessi, anche per me momenti di poche idee per le canzoni … Che coppia! Il piano era di addormentarci alle 5:00, ma intorno alle 3:17, mentre Fujiko mi raccontava una delle sue ultime sfilate, il sonno mi prese di colpo e smisi di ascoltarla. Non appena chiusi gli occhi , il mondo dei sogni mi accolse a braccia aperte. Fu-chan mi accarezzò i capelli, facendomi svegliare, ma ero così stanca che, cullata dalla sua voce che canticchiava, mi riaddormentai subito.

- Aki? Aki? Svegliati! Dai, avevi promesso che saremo andati a fare una passeggiata stamattina! – disse una voce maschile, scuotendomi dolcemente. Pensai subito che fosse mio padre, per quanto un’assonnata potesse pensare.

- Ancora cinque minuti. – implorai.

- Ma siamo già in ritardo apocalittico! Tuo padre e tua madre sono usciti con Jamie e Fujiko si sta facendo la doccia, è lei che ci ha fatto entrare. – continuò la voce. Aspetta un momento! Ci ha fatto entrare? Spalancai gli occhi e mi misi a sedere. E quello che vidi mi lasciò paralizzata. Che ci faceva Kevin Jonas seduto sul mio letto, con un sorriso beato stampato in faccia?

- Che ci fai tu qui? – esclamai, prendendo la coperta e coprendomi il più possibile anche se ero seduta.

- Buongiorno anche a te! Non ti ricordi della passeggiata? – proseguì, per niente imbarazzato dalla visione di una ragazza in mutante e con solo una maglietta stracorta e con qualche piccolissimo buco intorno alle zone x.

- Passeggiata? Ah! Accidenti! – imprecai, ricordandomi della proposta di Nick della sera prima. Mi buttai giù dal letto, raggiunsi l’armadio e trafugai dei vestiti decenti: jeans scuri sopra il ginocchio, maglietta a maniche corte bianca con disegni rosa e fucsia.

- Aki? Calmati! Sia Joe che Nick stanno ancora dormendo! – mi frenò Kev.

- Quindi sei venuto qui da solo? – gli chiesi, fermandomi e guardandolo.

- Veramente Dani è venuta con me, ma Fujiko l’ha rapita non appena l’ha vista. Non chiedermi perché, credo sia qualcosa da ragazze! – scherzò.

- O qualcosa da Fujiko! – incalzai. Mi lasciai andare sul letto, dimenticando che indossavo il pigiama. Kev si avvicinò a me.

- A che pensi? – mi chiese.

- A una canzone … Molto bella. – risposi semplicemente.

- Che canzone? Magari la conosco. – domandò.

- Uhm … Because you live, di Jesse McCartney – dissi.

- Ah, quella con cui è fissato Nick ultimamente! La canticchia ovunque si trova, Joe sta cercando tutti i modi possibili per zittirlo! – puntualizzò, per poi ridere ancora. Lo accompagnai nella  sua risata.

- Anche a me piace molto … Soprattutto il significato. – mormorai.

- Vorresti che Nicholas pensasse quello di te? – chiese, fin troppo convinto che avrei rispondo di sì.

- Come fai a saperlo? – ribattei, alzandomi e guardandolo dubbiosa. -  Non dirmi che Joe ha spifferato qualcosa, altrimenti lo uccido! – esclamai, stringendo il lenzuolo e immaginando che fosse il collo di Danger.

- Veramente non avevo idea che lui sapesse qualcosa.  – Kevin salvò il fratello.

- Si vede così tanto? – sbuffai, stendendomi di nuovo sul letto.

- Veramente me l0 hai fatto capire tu poco fa. Avevo intuito qualcosa, ma non ne ero certo. La tua risposta alla mia domanda mi ha convinto . – spiegò. - Secondo me stareste bene assieme! – aggiunse con un sorriso.

- La questione non è stare bene, perché a lui piace Miley, e io non credo di essere più che un’amica. – sussurrai.

- Tutto qui? Guarda che a Nick … - cominciò, ma venne interrotto dall’arrivo  di Fujiko, coperta solo da un asciugamano, seguita da Danielle.

- Ciao Dani!- la salutai, abbracciandola.

- Buongiorno Aki. Scusa se non ti ho salutato subito, ma tua cugina mi ha sequestrata! – rise.

- Non importa. E ora, scusatemi, ma ho davvero bisogno di una doccia. Intanto fate come se foste a casa vostra. – parlai così velocemente che feci fatica anche io a capirmi. Ormai ero sulla porta del mio bagno quando Fu-chan mi fermò.

- Ferma lì dove sei, non ti muovere per nessuna ragione al mondo. – ordinò, avvicinandosi. Si arrestò davanti a me, con le mani sui fianchi. – Tu non mi hai ancora dato il mio abbraccio della mattina! – concluse. L’abbracciai forte, le sue braccia non attesero a stringermi a lei.

- La mia cuginetta! – dissi, la voce affievolita perché avevo la faccia mezza sepolta nell’asciugamano che la copriva.

- Ehi, “cuginetta” lo dico io a te! – scherzò, facendomi ridere.  La lasciai e mi fiondai sotto la doccia. Quando tornai in camera mia, avvolta nell’asciugamano, non c’era nessuno. Dal piano di sotto sentivo delle voci, risate e una chitarra che strimpellava. Probabilmente è Kev, pensai, mentre indossavo i vestiti scelti poco prima. Legai i capelli in una coda alta, indossai le mia All Star viola e andai al piano di sotto a vedere che combinavano i miei amici. Kevin stava suonando la mia chitarra acustica, una melodia che io sarei riuscita a fare solo tra dieci anni di studio dello strumento. Era stupefacente quanto fosse bravo.

- Finito di dare spettacolo? – gli dissi, un po’ per scherzare, un po’ per avvisare che ero arrivata. Kev fece spallucce e poggiò la chitarra.

- Fujiko voleva sentirmi suonare e mi ha dato una delle tue chitarre. – spiegò.

- Va bene, non c’è nessun problema. Joe e Nick? – m’informai.

- Dormono ancora. – rispose Danielle.

- Non li avete chiamati? – chiesi.

- Non avevamo intenzione di farlo. – continuò il ragazzo.

- Ma non li dovete svegliare? – domandò Fujiko.

- Andiamo a svegliarli adesso, con voi. Se c’è qualcuno ad aspettarli si sbrigano, altrimenti bisogna aspettare che Joe si faccia i capelli e che Nick trovi le sue scarpe. Chissà come, le perde sempre! – spiegò Kev, per poi scoppiare in una risata, accompagnato da Dani. Io e Fu-chan ci guardammo. Occhi e bocca spalancati e viso completamente rosso per entrambe. Il pensiero di Nick addormentato mi fece intenerire, invece quello di Nick in pigiama scatenò imbarazzo. Probabilmente per Fujiko era la stessa cosa, solo con Joe. Cercammo entrambe di nascondere l’imbarazzo, ma non eravamo grandi attrici. Kev e Dani sembrarono non notarlo, oppure lo nascosero con più maestria di noi. C’invitarono a uscire di casa e, anche se un po’ riluttanti, sia io che mia cugina obbedimmo. Non appena misi il piede fuori dal vialetto di casa, il sole m’investì in pieno. In un attimo tutte le mie preoccupazioni si dissolsero nel nulla. Sorrisi e m’infilai sottobraccio a Dani, a sua volta mano per mano con Kev. Fujiko mi raggiunse poco dopo, prendendomi a braccetto.

- Ti è venuto il buonumore? – mi canzonò l’unico maschio.

- Con una giornata così è impossibile stare col muso! – risposi, assecondando lo scherzo. Per tutto il tragitto da casa Blues a casa Jonas, le risate popolarono le nostre chiacchierate. Dicevamo per lo più cose poco intelligenti, ma ci divertivamo così e non avevamo intenzione di cambiare discorso. Neanche 15 minuti di cavolate sparate al vento, ed eccoci sulla soglia di casa Jonas. Ad aprirci fu, come ormai solito, Denise. Vedendo Fujiko non perse un briciolo della sua dolcezza e si presentò a lei con la voce di miele. Fu-chan reagì ovviamente benissimo e le parlò un po’ del suo lavoro.

Poco dopo arrivò Kevin Sr.

- Kevin, potresti venire con me, per favore? Ho bisogno del tuo aiuto. – chiese al figlio. Kev annuì e seguì il padre. Guardai Danielle. Stava frugando nella borsa, alla ricerca di chissà che cosa.

- Accidenti! Ho lasciato i regali per Aki e Fujiko a casa! – si lamentò, parlando probabilmente da sola. Alzò lo sguardo e chiese a Denise di avvertire Kevin che andava a recuperarli. Io e Fu-chan ci guardammo e mentre lei mi faceva l’occhiolino, io facevo il segno della vittoria. Fantastico! Un regalo!, pensammo entrambe.

- Ragazze, posso chiedervi un favore? – tentò Denise. Avrebbe anche potuto chiederci di stenderci volontariamente sopra i binari di un treno in arrivo se usava quel tono, avremmo risposto di sì comunque. Infatti, sia io che mia cugina annuimmo, mute. - Andreste a svegliare Joseph e Nicholas? – continuò. Sbiancammo entrambe. Allora perché, perché accettammo, anche se balbettando, la sua richiesta? Troppo tardi. Eravamo già davanti alle due porte. Su quella di Nick c’era scritto un simpatico “Mr. President” e su quella di Joe un ancora più simpatico “Danger”.

- Come facciamo? Uno a testa o andiamo assieme a svegliarne uno alla volta? – chiese, guardando paralizzata le due porte, una vicino all’altra. Ci pensai su. La seconda possibilità sembrava la più facile, ma una vocina nella mia testa – probabilmente la parte pervertita! – mi convinse ad entrare da sola nella camera di Nick . Sperai che Fujiko avesse capito. Mi richiusi la porta alle spalle e osservai la stanza tanto familiare. C’era poca luce che filtrava dalle finestre chiuse, ma tempo trenta secondi che i miei occhi si abituassero al buio, ed ecco la camera apparire davanti a me. Il mio sguardo corse subito al letto. Una scura testa di riccioli sbucava dalla coperta leggera, così come un piede nudo, due braccia e tutta una gamba. Mi avvicinai, avvampando ogni centimetro di più. Ok, era in mutande, con solo una maglietta addosso. Cominciai a pentirmi della mia scelta e sgridai mentalmente la vocetta che mi aveva convinta. Mi sedetti sul letto e guardai il viso di Nick. Rilassato, sereno, perfetto. Accidenti. Dormiva così bene che svegliarlo sembrava una cattiveria, ma dovevo farlo. Gli appoggiai timorosa una mano sulla spalla e provai a scuoterlo. Risposta?  Tirò su col naso e si girò dall’altra parte, col viso rivolto alla finestra. Perfetto!, pensai. Mi avvicinai alla finestra e l’aprii di colpo, urlando un “buonogiornoooooooooo!” . Così avevo eliminato metà dell’imbarazzo. Ora mancava tutta l’altra parte. Di bene in meglio!, mi presi in giro mentalmente. Ma mentre Nick mugolava e si rigirava nel letto strofinandosi gli occhi, l’imbarazzo non fu più il mio sentimento dominante. Perché fui presa da un’improvvisa tenerezza. Vederlo così indifeso, così bambino, mi fece sciogliere in un nanosecondo a dire troppo. Scossi la testa e cercai di ricordare perché ero nella sua stanza. Niente. Non mi ricordavo niente, se non la voglia di accogliere quel bambino quasi 17enne tra le mie braccia e non lasciarlo più.

- E dai, mamma, ancora cinque minuti. – pregò, la voce impastata dal sonno, gli occhi ancora chiusi, il cervello probabilmente sconnesso.

- No, ciccio, io non ti aspetto per cinque minuti. Quindi, se vuoi la tua passeggiata, alza il culetto da superstar che ti ritrovi! – cercai di scherzare, con la speranza di scordare che era così carino e così … In pigiama! Mentre gli levavo di dosso la coperta, lui aprì lentamente gli occhi e realizzò che non era sua madre a rompergli i cosiddetti. Sbadigliò, si strofinò ancora gli occhi e mi guardò. Incrociai le braccia. Nick strabuzzò gli occhi.

- C-che ci fai tu qui? – chiese, allarmato.

- Ehi, io ci abito in questo Paese! – scherzai.

- Non “qui” in America, nella mia stanza! – esclamò.  Mi appoggiai al letto e mi avvicinai gattonando a lui. Arrossiva sempre di più. È il tuo turno, bello!

- E’ un problema? – soffiai, così vicina al suo viso che la voglia di baciarlo era difficile da domare. Nick mi fissò stranito.

- E me lo chiedi? Comunque non hai ancora risposto alla domanda di prima: che ci fai qui? – richiese, arrossendo.

- Non ti ricordi? Tu, ieri sera, mi hai chiesto di fare una passeggiata. Eccomi, allora. – spiegai. Ci guardammo per un attimo, poi scoppiammo entrambi a ridere.

- Hai ragione, scusa. Va bene, se mi dai dieci minuti più il tempo extra per trovare le scarpe, sono subito da te! – disse, quando l’attacco di risa si calmò.

- Sono di sotto, se hai bisogno di una mano per cercare le scarpe! Ti aspetto. – mi congedai, sfiorandogli la guancia con le labbra. Nick si paralizzò ancora a quel contatto e probabilmente per essere ricambiata del gesto avrei dovuto aspettare un po’. In fondo era audace anche per me, ma ormai era fatta e non intendevo tirarmi indietro. Uscii dalla stanza, lasciandolo immobile sul suo letto, e tornai al piano inferiore. Kevin e suo padre tornavano giusto adesso da non so cosa, Dani era probabilmente appena arrivata a casa sua e ci avrebbe messo altrettanto tempo per tornare qui, Denise era dalla stanza migliore della casa, la cucina, e stava sfornando dei biscotti al cioccolato proprio adesso. O almeno era quello che il mio naso mi faceva intuire. Nessuna traccia, invece, di Fujiko. Preferivo evitare di pensare a cosa stesse passando, così raggiunsi Denise in cucina. I biscotti che credevo appena sfornati, erano in realtà muffin per tutti i gusti.

- Ti dispiace se ne rubo uno? – chiesi, indicando il vassoio dove li aveva appena sistemati.

- Certo che no, cara. Nicholas e Joseph? – s’informò la donna.

- A Nick ci ho pensato io, si sta preparando. Mia cugina doveva svegliare Joe, ma non ho idea di cosa stia facendo. – spiegai brevemente. Afferrai un muffin al mirtillo e gli diedi un morso.

Mezzo secondo dopo, eccola arrivare, lo sguardo vitreo le mani tremolanti.

- Joe è sveglio. – disse Fujiko, poi prese un muffin e cominciò a sgranocchiarlo, ancora assente. Denise sorrise, soddisfatta del successo dei suoi dolci, e raggiunse il marito in sala. Io decisi di rimanere lì e capire perché Fu-chan arrossiva a tratti.

- Che è successo? Hai beccato Joe mentre si baciava un’altra? – provai.

- Macché! – si riscuoté, tornando la Fujiko di sempre. – Stava dormendo, solo che … Diciamo che aveva molto caldo! – aggiunse, avvampando.

- Non me lo dire! Era senza maglietta! – esclamai, non era una domanda. Vedendola annuire, mi coprii la bocca con una mano, per soffocare le risate. Fu-chan mi guardò male e mi minacciò alzando velocemente il pugno. Finimmo i muffin raccontandoci brevemente come avevamo svegliato i due fratelli. Lei, con i suoi modi gentili, scuotendolo lo aveva quasi fatto cadere dal letto. L’imbarazzo aveva influito sulla quantità di forza usata per smuoverlo. Senza contare che gli era pure inciampata addosso. Joe era stato molto comprensivo e gentile, ma anche lui era imbarazzato, cosa visibile dal colore magenta delle sue guance e le pupille dilatate, o almeno così mi aveva raccontato Fu-chan. Tornammo in salotto, dove Danielle, già di ritorno, ci aspettava con due pacchetti in mano.

- Questi sono per voi. – avvisò, quando ci avvicinammo. Sorridemmo tutte e tre. Non perdemmo tempo e scartammo i due pacchetti. Il mio era un braccialetto arancione, il mio colore preferito, con la scritta nera “ti vogliamo bene!”. Allargai il sorriso e abbracciai Dani. Fujiko aveva ricevuto un braccialetto sullo stile del mio, parole nere “divertiti con noi” su sfondo fucsia. Ringraziò pacata, non conoscendo ancora a fondo Danielle. Ovviamente indossammo i braccialetti all’istante, anche se non centravano molto con quello che avevamo addosso. Sgranocchiammo altri muffin, scherzando assieme seduti sul bancone della cucina.

 

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Capitolo 8
*** Origini ***


Capitolo 8

- Ok, siamo qui! – la voce di Joe squillò nelle nostre orecchie, ad annunciare il suo arrivo e quello del fratello più piccolo.

- Non urlare! Mi sono appena svegliato! – lo rimproverò Frankie, appena arrivato, ancora sull’ultimo gradino della scala. Indossava dei pantaloncini neri e una maglietta a maniche corte bianca, i capelli in disordine, si stava stropicciando gli occhi. – Ehi, Aki! – esclamò, quando mi vide. Mi corse in braccio, improvvisamente vivace.

- Ciao, piccolo mio. – risposi, coprendolo di bacetti la sua testolina.

- Aki, chi è lei? – mi chiese il Bonus Jonas, indicando Fu-chan.

- Lei è mia cugina, Frankie, si chiama Fujiko. Verrà con noi in tour. – dissi brevemente.

- Fujiko? Ma che nome è? Sembra giapponese! – rise, salutando con la mano mia cugina.

- Infatti lo è. E anche il mio nome. – spiegai.

- Davvero? Ma perché se vivete in America avete nomi soliti del Giappone? – chiese.

- Uhm … Facciamo così: tu adesso vai a vestirti e lavarti, così poi usciamo per farci un giro e intanto vi spiego, va bene? – proposi. Il Bonus Jonas annuì e corse su per le scale.

- Adesso che ci penso, nemmeno noi sappiamo le tue origini. – osservò Kev, avvicinandosi e mettendomi un braccio sulle spalle.

- Non me le avete mai chieste. – feci spallucce.

Neanche dieci minuti dopo, ecco che Frankie ci tirava fuori di casa.

- Ok, adesso mi devi dire tutto, tutto, tutto su di te! – m’incitò, non appena in strada.

- Va bene. Allora, mio padre era un giornalista americano. Una volta dovette andare in Giappone per un articolo sulle ultime tecnologie. Per una settimana girò per il Paese, facendo ricerche e esplorando i negozi. Una sera, mentre si mangiava del sushi, si è sporcato la camicia di salsa. Allora si è infilato nel primo negozio di abbigliamento che ha visto. Lì dentro, mia madre lavorava come commessa. Tra i due fu quasi un colpo di fulmine. Mio padre chiese il numero a mamma mentre pagava la camicia nuova, che aveva scelto grazie all’aiuto di lei. Siccome per circa un altro mese papà doveva rimanere in Giappone, è logico pensare che cominciarono a uscire insieme. Prima un gelato, poi una cena e infine un appuntamento vero e proprio. Si scambiarono il primo bacio un giorno prima della ripartenza di mio padre. Soffrirono entrambi moltissimo, ma grazie a sms e e-mail non si persero del tutto di vista. – raccontai.

- Che sfiga! Ma che centra con te? – m’interruppe l’unico con la faccia tosta adatta a farlo, ovvero Joe.

- Credi ancora che i bebè li portino le cicogne? Sono loro che mi hanno fatta nascere, centrano eccome! – risposi.

- Effettivamente senza di loro l’America non avrebbe avuto una ragazza così fantastica! -. Mi paralizzai. La prima cosa che verrebbe da pensare è che è stato Frankie a dirlo, oppure Joe, ma per prendermi in giro. Invece a pronunciare quelle parole era stato Nick! Lo guardai. Aveva un sorriso sincero stampato in faccia, quindi diceva sul serio!

- Ehm, grazie. – balbettai, arrossendo. Nicholas mi mise un braccio intorno alle spalle, così per distrarmi dal contatto fisico col mio dio greco personale, continuai col racconto. Ma perché neanche mezz’ora prima ero riuscita a dargli un bacio sulla guancia e adesso il solo sfiorarlo mi faceva venire i brividi?

- Ehm, allora stavo dicendo che non si persero di vista. Qualche anno dopo mio padre ricevette una promozione e la possibilità di tornare in Giappone  per una mostra. Così non perse tempo e tornò dalla sua innamorata. Rincontrarsi non fu difficile. La loro relazione si sviluppò sempre di più, finché mio padre on chiese la residenza in Giappone. Tre anni dopo si sposarono e dopo un altro ancora ebbero me.

- Ecco che arriva! – sfotté ancora Joe.

- Ho passato i primi dieci anni della mia vita in Giappone, imparando la lingua locale a scuola e con mia madre e l’inglese da mio padre. Sono bilingue da quando sono nata, praticamente! – ignorai Danger. – Poi ci siamo trasferiti qui in America. – conclusi.

- Quindi sai il giapponese? – chiese incredulo Kevin.

- Sì, perché? – risposi, facendo spallucce.

- Di’ qualcosa in giapponese! – m’incitò Danielle.

Obbedii.

- Figo! Che hai detto? – chiese Frankie.

- Ho detto “vi adoro ragazzi, non vedo l’ora di cominciare il tour”! – risposi, facendo spallucce.

- Al tour però manca una settimana. Invece questo te lo possiamo dare subito. – disse Kev, mettendosi davanti a me. Ok, chiunque abbia capito cosa volesse alzi la mano. Nessuno. E tra di voi c’ero io. Ora mi spiego: non ebbi il tempo di pensare a cosa stesse dicendo, che mi ritrovai con la guancia appoggiata al petto di Kevin. Sorrisi e mi strinsi a lui. Immediatamente mi ritrovai al centro di un abbraccio di gruppo che comprendeva tutti i presenti. Frankie faceva un po’ fatica a stringermi, così come io facevo fatica a respirare. Quando l’abbraccio si sciolse avevo il fiatone. E visto che mi volevo proprio male, scoppiai a ridere – per chissà quale motivo, seguita da tutto il gruppetto. Non appena l’attacco di ridarella cessò, mi girava la testa da quanto poco fiato avevo.

- Aki, sei blu! – notò Frankie. Presi lo specchietto portatile dalla borsa di Fujiko e controllai. Aveva ragione: ormai il rosso e il viola li avevo passati da un pezzo. Respirai profondamente e ripresi il mio normale colorito chiaro, quasi pallido, in poco tempo. Joe intanto mi prendeva un po’ in giro. Lo avrei preso a schiaffi dopo un po’, ma era così bambino che non ne avevo il coraggio. Frankie parlava con Fujiko, conoscendola. Nick e Kevin discutevano del tour. Danielle cercava di far smettere Joe. Incredibile quanto in fretta ci distraessimo. Ma altrettanto in fretta tornavamo sulla pista giusta, ovvero la passeggiata.

- E Fujiko? – chiese dopo un po’ Joe, indicandola.

- Fujiko, cosa? – domandò la diretta interessata.

- Quali sono le tue origini? – riformulò Danger.

- Mio padre è fratello della madre di Aki. Entrambi i miei genitori sono nati e cresciuti in Giappone, e iodi riflesso. Fino a due anni fa, era lì che frequentavo la scuola. Ero la migliore studentessa all’Istituto di Moda. È grazie a una borsa di studio che ho vinto in quella scuola che ho avuto l’opportunità di viaggiare. Sono venuta in America per iscrivermi ad un'altra scuola, di livello superiore. A neanche metà anno scolastico il preside mi ha convocato nel suo studio. Il che per me voleva dire morte. – fece una pausa per ridere. Poi proseguì. – In realtà non avevo fatto niente di male, il signor Gilmore voleva solo dirmi di questo concorso che si sarebbe tenuto fra un  mese. Dovevo disegnare un modello originale, realizzarlo da sola, trovare una modella e farla sfilare davanti alla giuria.

- Il tuo abito fu così sensazionale che ti chiesero di farne altri, e così arrivasti alla tua prima collezione, non è vero? – la interruppe Joe.

- Esatto. Ma venderla non fu per niente facile. Nessuno lo sa. Tutti credono che abbia reso famosa la collezione sin dal principio. Non è affatto così. C’è voluto un anno intero, l’aiuto di una seconda collezione e gli agganci giusti. Io non li avevo, quelli del concorso non riuscivano a contattare la gente giusta. Dopo 12 mesi, finalmente ecco l’opportunità: Parigi.  Da lì ho acquistato sempre più successo, fino ad arrivare a oggi.

- Ma perché gli stilisti non vengono inseguiti per strada e i miei fratelli si? – chiese ingenuo Frankie.

- Molte volte la faccia degli stilisti rimangono nell’ombra, piccolo – spiegò Dani.

- Di sicuro più delle nostre, almeno – commentò Kev, ridacchiando.

Proseguimmo in silenzio.

- Non so voi, ma io ho voglia di gelato. – dichiarò Fujiko, dopo un po’.

- Gelato e poi parco? – chiese Nick, guardandoci. Decidemmo all’unanimità. Poco dopo, eccoci sulle panchine del parco a mangiarci dei gelati.

- Il tuo com’è? – mi chiese Nick, spuntando da chissà dove.

- Latte e menta. – risposi, dandogli una leccata.

- Latte  e menta? – chiese, dubbioso.

- Si, l’adoro. So che sembra strano, ma è fantastico. – risposi.

- Posso assaggiare? – domandò. Annuii. Leccò il mio gelato. In quel momento, il sangue puntò dritto alla punta dei piedi, abbandonando perciò il cervello. Come mai? Non c’è nemmeno da chiederlo: provate voi a continuare a mangiare tranquillamente il vostro gelato dopo che NICHOLAS JERRY JONAS l’ha assaggiato! Io non avevo il coraggio. Ma se avessi fissato ancora quella prelibatezza che si stava sciogliendo, colando sulle mie dita, sarei sembrata strana. Quindi smisi di respirare e leccai proprio dove aveva leccato Nick poco prima. Tornai a respirare solo dopo. Cercai di distrarmi.

- Il tuo gelato invece, com’è? – gli chiesi.

- Zucchero filato. – fece spallucce.

- Dev’essere una bomba. Posso provare? – domandai.

- Tu mi hai fatto assaggiare il tuo, quindi mi pare giusto. – disse, avvicinando il cono a me. Diedi una leccata, trattenendo ancora il respiro. Cercai di concentrarmi sul sapore dolce del gelato per non svenire o simili.

- Wow! Davvero buono. La prossima volta lo prendo anche io. – dichiarai.

- E io prendo quello al latte e menta. Hai ragione, è fantastico. – constatò lui.

Non appena finii il gelato, mi fiondai sull’altalena. Iniziai a dondolarmi piano. Fujiko mi raggiunse dopo pochissimo.

- Ma tu lo sapevi che Kevin sa ruttare a comando? – mi chiese, quasi scandalizzata.

- Davvero? -. Non ne avevo idea. Ma di sicuro adesso avevo paura per quello che poteva aver visto mia cugina.

- Si. E Joe!  Come lo incitava! Danielle ha guardato male entrambi e mi ha chiesto soccorso, visto che tu eri a farti le fusa con Nicholas! – sembrò accusarmi.

- Ok, calma tigre! Io non stavo facendo le fusa con nessuno. – mi discolpai.  Se c’era una cosa che detestavo, era essere incolpata ingiustamente, mi faceva andare su tutte le furie. Ma l’arrivo del piccolo Frankie mi costrinse a stare calma.

Dopo un po’ ce ne andammo dal parco. Altra mezz’ora di passeggiata, e poi siamo tornati a casa.

 

ANGOLO AUTRICE:

Allora, “essere andati” è un verbo passivo, modo infinito, tempo presente, intransitivo … o transitivo?! Accidenti! Oh! Scusate! Sono così immersa di compiti! Dovrei essere a scuola, ma oggi non sto bene, quindi me li hanno portati a casa e mi sono trovata ricoperta di roba da studiare e esercizi da fare! Scusate tantissimo!

 

Imperdonabile è anche il mio ritardo, ma sapete com’è con la scuola … Uff! Vabbè, passiamo ai ringraziamenti!

 

ANGOLO RINGRAZIAMENTI:

Niki_Cullen_ : farli mettere assieme è la cosa più complicata di tutta la fic!!! =) grazie tante per i complimenti!

Star711 : grazie, bellissima! Su MSN faccio fatica ad esserci, lo sai, ma comunque mi trovi sempre lì! Kiss

ada12  : grazie tante, sono contenta che ti piaccia!

jeeeeee : cerco sempre di fare i cappy lunghi, ma stavolta non ci sono riuscita …

nes95 : ricordami di non darti mai e dico MAI più un anticipo … se no lo devo dare a tutti! XD

 

QUESTO CAPITOLO L’HO DEDICATO ALLA MIA LUCE, LA MIA VITA, LA MIA FONTE D’ISPIRAZIONE … INDOVINATE UN PO’ CHE è? EHEH! ESATTO, NICK JONAS!

 

Alla prossima! Kiss Kiss

Peace

Love

And

JONAS

 

 

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Capitolo 9
*** Live Concert ***


Capitolo 9

Ok, ci siamo. Adesso devo dare tutta me stessa. Oggi, data di inizio tour (non me la ricordooooooooo! ndA) devo essere al massimo delle mie capacità. Questi erano i miei pensieri, mentre la pedana sotto di me si alzava e Kevin cominciava la canzone con un arpeggio. Per fortuna la prima strofa era uno scambio di battute tra Joe e Nick, perché la voce non voleva venir fuori. I fan erano in delirio: sapevo che non erano per me, ma il cuore saliva comunque in gola e riscendeva nello stomaco a ritmo con la canzone. Le luci si abbassarono e io fissai la punta delle mie All Star. Nel campo visivo rientravano anche i miei pantaloni dal taglio stile jeans: le stampe simili a fumetti e giornali grigie e nere facevano notare quelle bordoux. La parte superiore era coperta da una felpa nera, il cappuccio nascondeva i capelli. Presi fiato e iniziai a cantare. Le luci mi illuminarono e vidi Nick al pianoforte, Kevin continuava a suonare poco distante e Joe era dalla parte opposta rispetto a me. Alla fine del ritornello, la mia prima parte di canto, la voce si fece più malferma e dovetti mascherare l’errore con un riff apparentemente apprezzato. Le luci iniziarono un gioco vorticoso e mentre Nick eseguiva un assolo con il piano forte, io mi levai la felpa. Mi guardai: Fujiko aveva fatto davvero un ottimo lavoro. La camicia a maniche corte bordoux  in tinta con i pantaloni non era la parte migliore. Bensì lo era il guanto in pelle nera  che ricopriva il mio braccio destro: un normale guanto senza la punta delle dita fino al polso, da lì in poi la pelle si divideva in numerose strisce che si intrecciavano tra loro. Fantastico! L’altro braccio presentava dei semplici braccialetti neri, silver, bianchi e rossi. I capelli biondi platino erano pieni di boccoli. Per non farmi andare il ciuffo sugli occhi, l’hairstylist aveva optato per una fascia per capelli, rigorosamente nera. Non appena mostrai il mio abbigliamento, un boato si alzò fra il pubblico. Corsi per i pochi metri che mi distanziavano dal pianoforte e mi sedetti su di esso.  A Nick scappò una risata. Fin ora avevo cantato la canzone in maniera perfetta, se avessi dovuto prendere un voto sarebbe stato sicuramente un 10, ma era questo il punto. Dovevo lasciarmi andare, altrimenti lo spettacolo sarebbe stato privo sentimento.  Ma adesso cominciavo a sentirlo: la musica mi scorreva nelle vene più veloce del suono. Un’emozione intensa, quasi indescrivibile, prese possesso di me. Era troppa, dovevo condividerla con il pubblico. L’unico modo per farlo era cantare. Così cominciai a intonare le note della seconda strofa. La mia voce era così potente che fui costretta a levarmi l’ auricolare. Kevin si era avvicinato e ora suonava davanti a me. Joe non era ancora rientrato nel mio campo visivo, quando un braccio si appoggiò sulle mie spalle. Girai la testa e vidi Joe che sorrideva. Ora che avevo finito la strofa, lui e Nick avrebbero dovuto cantare il ritornello. Con un gesto eloquente della mano, quest’ultimo mi invitò a scendere dal pianoforte bianco. Mi sedetti di fianco a lui e cominciai a suonare qualche nota ella canzone. Poi assieme ci alzammo per la terza strofa, dalla melodia diversa. Quella strofa era come una palla che io, Joe e Nick ci passavamo a ritmo regolare. Mentre cantavo mi avvicinai al pubblico. Allungai una mano e sfiorai una di quelle dei fans. Con quel lieve contatto una scarica di energia nuova, potentissima, quasi incontrollabile, nacque dentro di me. Corsi per tutto il palco, composto da tre pedane, e cercai di essere ovunque, così da sfogare tutta quella potenza. Tornai al centro del palco, Kevin al seguito. Nick e Joe erano già lì, il primo al pianoforte, il secondo in piedi di fianco ad esso, mi tendeva la mano. La strinsi e conclusi l’ultima nota con un riff. Abbracciai tutti e tre i fratelli, che poi sparirono dietro le quinte. Ora toccava a me. Eseguii la canzone che mi aveva fatto debuttare e poi la mia preferita tra tutte quelle che avevo scritto. Il ritmo, i palpiti del cuore, l’emozione e l’energia salivano e scendevano a ritmo irregolare. Avevo saltato così tanto da una parte all’altra del palco che alla fine dell’ultima canzone ero madida di sudore. Tornai alla pedana dalla quale ero comparsa pochi minuti prima – così poco? Sembrava di più! – e sparii sotto al palco. Presi l’asciugamano che mi porgevano e ringraziai. Demi mi corse incontro, abbracciandomi. Ah già dimenticavo: era stata lei ad aprire il concerto prima dei ragazzi e lo avrebbe fatto per tutto il tour.

- Sei stata fantastica! Hai trasmesso un emozione così forte che l‘ho sentita anche io. – si complimentò, stringendomi a sé.  - Sei grandiosa, Aki. Scommetto che anche quei tre sono rimasti a bocca aperta. – continuò.

- Ti voglio bene, lo sai vero? – risposi, ridendo.

- E chi non mi vuole bene?- scherzò Demi.

- Akiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! – mi corse incontro Frankie. – Sei stata fantastica! Altro che i miei fratelli! – scherzò. Mi abbassai alla sua altezza e lo abbracciai.

- Scusa piccolo,ma sono un po’ sudata. – feci sarcasmo. – Fammi dare un’asciugata e poi ti do retta. – dissi. Mi alzai e ripresi l’asciugamano.  Andai in bagno e mi diedi una sciacquata.  Quando uscii dalla stanzetta vidi Kevin schizzarmi davanti, diretto al suo camerino. Mi avvicinai alla stanza e bussai.

- Siamo di fretta! – urlò Joe.

- Ma che state …? – chiesi, ed entrai. Insieme a Kevin e Joe nella stanza c’era anche Nick e si stavano … cambiando! Non appena mi videro si arrestarono. Arrossii violentemente. Ti prego fa che io non li abbia davvero visti a petto nudo, sudati e in mutande!!! Mi fiondai fuori dalla stanza. Appoggiai le spalle alla porta, in modo da tenerla chiusa, e respirai profondamente. Ok, sto per svenire. Chiusi gli occhi.

- Ehi, cuginetta! – la voce di Fujiko mi fece sobbalzare. Aprii gli occhi e me la ritrovai davanti, le mani sui fianchi. Mi incamminai verso i divanetti poco distanti e mi ci sedetti. Fu-chan mi fu subito accanto. – Sei stata brava, sai? Ehi!Hai visto un fantasma o che? – mi chiese.

- Molto peggio. – risposi. – Ho visto i Jonas Brothers in mutande … -. Spalancai gli occhi e arrossii a ripensarci.

- Ma scusa, non mi avevi detto che eri andata in barca con loro e li avevi visti in costume? – si ricordò mia cugina.

- Sì, ma è diverso. Insomma, vederli sudati è tutt’altra cosa! – esclamai. Sorridemmo entrambe.

- Allora sarà meglio che mi prepari psicologicamente per quando dovrò fare quello stramaledetto modello a Joe. – scherzò. Scoppiammo a ridere.

- Mi sa che ti conviene sul serio! – ressi il gioco. Manco a chiamarli, ecco che in quel momento i tre ragazzi uscirono dal camerino. Fujiko scoppiò a ridere fragorosamente, mentre io sprofondavo nel divanetto. Ma nessuno dei tre ci diede retta. Saranno concentrati sullo show, ipotizzai. O forse sono anche loro in imbarazzo e preferiscono non pensarci? No, impossibile. Nella mia mente partì un acceso dibattito, al quale dopo un po’ non feci più caso.

Assistii al resto dello spettacolo insieme a Frankie, Demi e Fujiko. Prima che i ragazzi concludessero definitivamente il concerto, sudaticci e stanchi, li raggiunsi sul palco insieme a Demi, dopo una loro chiamata. Per quei due minuti risentii l’emozione che mi aveva assalita durante l’esibizione. Dopo l’inchino, scomparimmo tutti e cinque nel backstage. Non appena sotto io e Demi abbracciammo i ragazzi, complimentandoci.

- Accidenti, sono stanco morto. – si lamentò Kev.

- Sarebbe strano se non lo fossi. – commentò Demi.

- Se penso che volevo fare un giro, mi deprimo. – brontolò Joey.

- Beh, anche se non fossi stanco non potresti farlo. Guarda che ora sono! – gli fece notare Fujiko.

- Quindi, io direi che dovete andare a nanna, cicci! – aggiunsi.

 

Il mattino dopo, Fujiko mi svegliò di buon ora. Mi disse che aveva bisogno di ispirazione e che saremmo uscite. L’idea non mi andava particolarmente a genio, ma obbedii ai suoi continui “muoviti!”.  Non appena la raggiunsi, lavata e vestita, la guardai storto.

- Perché tanta fretta? – le chiesi.

- Oggi pomeriggio dovete fare le prove, quindi non abbiamo tempo se non stamattina. – spiegò. Mi prese per un braccio e mi trascinò per negozi tutta la mattina.

A pranzo un panino e poi di corsa alle prove.

 

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ANGOLO DELL’AUTRICE:

Ok, ammetto che non è molto lungo come capitolo, ma non è che posso sempre scrivere dei poemi, come li chiamo io! X)

Ho sfruttato i due giorni di malattia per scrivere, visto che esco da scuola alle 17… Ricordatevene, così non devo spiegare ogni volta perché ci metto tanto! XD

 

ANGOLO RINGRAZIAMENTI:

_Crazy_Dona_ : non ho ancora avuto il tempo di passare da te, la scuola e tutto il resto non me lo permettono. Comunque cercherò di venire qualche volta. Grazie mille per i complimenti, sono felice che ti piaccia la mia fic!

nes95 : non ci siamo sentite, perciò stavolta niente spoiler! XD Ma questa volta non ci ho messo tanto, no?

Star711 : sono felice che le mie battute non facciano schifo … avevo l’impressione che sembrassero false, la maggior parte delle volte! XD

jeeeeee : wow, se corri! So che sembrano carini come coppia, ma il bacio addirittura! Ti ricordo che Nick, meno di una settimana fa, a detto ad Aki di considerarla una sorella … Ma chissà che risvolti potrebbe prendere la storia! XD

 

Questo capitolo è dedicato a Kira … Ti adoro, ragazza! Non chiedetemi perché è dedicato a lei, semplicemente è la prima di tutte voi alla quale ho dedicato un capitolo!

Kiss Kiss

Xxx

 

Alla prossima!

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Capitolo 10
*** Birthday, presents, kiss ***


Dedico questo capitolo a Federica, perché è una ragazza fantastica e perché se lo merita! Guarisci presto Fefe!

 

Capitolo 10

Il tour era ormai terminato, eravamo a fine novembre.

- Ehi, Aki. Che hai fatto per i tuoi Sweet Sixteen? – mi chiese Joe all’uscita del cinema. Avevamo appena visto New Moon.

- Io … non ho fatto niente. – risposi, facendo spallucce.

- Come?! Ma non ha senso! – si lamentò Frankie.

- Perché non hai fatto niente? – domandò diplomatico Nick.

- Il giorno del mio sedicesimo compleanno ero in Canada per fare un provino e entrare nella Hollywood Records. Sia prima che dopo sono stata costretta a girare tutta l’America solo per dei provini. – spiegai. – Però ne è valsa la pena. – conclusi.

- Credo che tu debba recuperare una festa grandiosa – disse malizioso Kevin.

- Ovviamente! Aki, ti promettiamo che al posto del normale compleanno, quest’anno avrai i tuoi Sweet Seventeen! – aggiunse solenne Joe.

- Posso ricordarvi che è fra sole due settimane? Non ce la fareste nemmeno volendo! E poi non siete costretti a farlo, io pensavo di fare un campeggio ad dir tanto. – mi affrettai a dire. Ma ormai era troppo tardi, stavano già pensando a come fare. -_-

 

Two weeks next

 

 Finalmente era arrivato il giorno del mio compleanno.  Non avevo idea di che sarebbe successo, ma mi sembrava una giornata fantastica. A partire dalla prima colazione: mia madre aveva pensato che passando da sedicenne a diciassettenne avrei dovuto scegliere tra 17 pietanze diverse per il pasto! Non appena tornai nella mia camera per vestirmi, mi ritrovai sul letto un completo che non avevo mai visto. Accanto ad esso una scatola e un bigliettino. Afferrai quest’ultimo e lo lessi:

 

Quasi non ci sembra vero, hai già 17 anni! Indossa questo abito e poi vieni in garage, ti daremo il tuo vero regalo.

Mamma, Papà e Jamie

 

Il vestito che mi era stato regalato era fantastico: un tubino bianco senza spalline con cintura e copri spalle neri. Inoltre, nella scatola, un paio di stivali neri in pelle che mi arrivavano a metà coscia. Indossai il tutto col sorriso sulle labbra, poi mi diressi nel garage. Lì trovai i miei genitori davanti a una Porsche bianca, fantastica. Sul parabrezza c’era scritto “Auguri Aki!!!”, probabilmente avevano utilizzato una bomboletta spray. Abbracciai i miei, con le lacrime agli occhi. Poi presi Jamie dalle braccia di mia madre e lo coprii di bacetti.

- Ehi, a noi niente “grazie”? – domandò una voce familiare in modo estremo. Mi girai ed ecco che Kevin, Joe, Nick e Frankie mi guardavano sorridendo.

- Auguri – dissero in coro. Mi fiondai su di loro e li abbracciai.

- Avete contribuito al regalo? – chiesi, indicando l’auto.

- Veramente no, il nostro regalo arriva nel pomeriggio – confessò Nick.

- E allora perché avete preteso un “grazie”? – domandai, dubbiosa.

- Primo: è stato Joe a pretenderlo, e secondo: credo che quando ti daremo il tuo regalo, sarai troppo impegnata per dirci grazie – spiegò Kev.

- Ora capisco tutto. Comunque, grazie per avermi scatenato la curiosità! – esclamai. Risi.

- Credo che ti scorderai presto di quello stupido regalo. – altra voce familiare, ma stavolta femminile. Mi rigirai e sorrisi vedendo Demi e Sel. Abbracciai anche loro, mentre mi facevano gli auguri.

- Ok, per tutta la mattinata e il pranzo sei sequestrata. – mi dissero. Mentre ridevamo assieme, mi trascinarono nell’auto di Selena. Mi girai a guardare un ultima volta la mia Porsche. Mi dispiaceva non provarla subito, ma Demi non mi mollava più il braccio, quindi dovevo rassegnarmi. Il lato positivo, fu che mi fecero fare shopping. Era il loro regalo: pagavano tutto al mio posto. Perciò cercavo di contenermi, ma non appena avvistavo un negozio, vedevo in vetrina un vestito, un paio di pantaloni, una maglietta, un cappello oppure una cintura troppo carini! Sel e Demi non si arrabbiavano, anzi, le divertiva il mio comportamento. Mentre facevo compere, non mi passava neanche per la testa che c’erano tre ragazzi armati di regalo ad aspettarmi a casa. Selena e Demi avevano ragione!

Ci fermammo in un ristorante per il pranzo, dopo due lunghe ore di acquisti.

- Ok, sono esausta! – scherzò Demi, una volta in macchina.

- Adesso che si fa? – chiesi, mentre Sel metteva in moto.

- Ti riportiamo a casa e ti godi il regalo di Nick, Joe e Kevin. – spiegò Demi. Al sentire quelle parole, scattò in me una curiosità incontenibile. Cominciai a bombardare di domande le mie due amiche, domande alle quali ricevetti solo risposte ambigue. Una volta a casa mia, presi i sacchetti contenenti i miei acquisti e mi sparai in camera mia così in fretta da non  notare che il soggiorno di casa era più colorato del solito. Non appena nella mia stanza, mi cambiai: jeans chiari, maglietta bianca a maniche lunghe e camicia  scozzese con All Star abbinate. Erano tutti acquisti che avevo fatto in giornata.

- Scusate se vi ho lasciato un attimo, dovevo cambiarmi. – mi giustificai, mentre scendevo le scale. Non appena toccai l’ultimo scalino, qualcosa di circa un metro e 70 centimetri m’investì.

- So che te l’ho già detto, ma te lo dico ancora: auguri! – disse il qualcosa, che riconobbi dalla voce. Era stato Nick ad abbracciarmi, perciò  arrossii prima di ricambiare il gesto. Quando si allontanò da me, notai che la casa era stata decorata  con di tutto e un po’: striscioni col mio nome, cartelli con  frasi delle mie canzoni, un enorme poster che mi raffigurava … Tutto in quella stanza  era Aki Blues. Persino gli invitati lo erano: avevano tutti una maglietta con la mia faccia stampata sopra e la frase “we love you”.

- Sarebbe questo il vostro regalo? – chiesi a Nick, mentre mi metteva un braccio sulle spalle.

- Una parte. Dai festeggiata, vieni a salutare i tuoi amici – rispose quello, prendendomi la mano e portandomi nel salotto. Una volta arrivata nella stanza, fui travolta da una decina di persone, tutte pronte ad abbracciarmi e a farmi gli auguri. Anche se a malincuore, lasciai la mano di Nick. Non appena riuscii a liberarmi degli invitati – ci sono voluti dieci minuti buoni! – notai che i quattro fratelli Jonas mi guardavano a debita distanza. Mi avvicinai a loro e li abbracciai, ringraziandoli.

- E’ me che devi ringraziare! – precisò Frankie. – E’ stata mia l’idea, ho convinto io i tuoi genitori a farcelo fare e soprattutto sono il più carino! – aggiunse. Mentre i suoi fratelli ridevano, io gli diedi un bacio in più. Mezz’ora dopo ero esausta: cercavo di essere ovunque, stare con tutti, divertirmi. Era più stancante di quanto avessi mai immaginato. Mi sedetti sul divano e poco dopo mi raggiunse Kev.

- Tieni. – disse, porgendomi un bicchiere di quello che sembrava aranciata.

- Uh! Grazie. – risposi, prendendo la bevanda e facendogli spazio.

- Ti diverti? – mi chiese Kev, sedendosi al mio fianco.

- Forse troppo. – risi.

- Ti avverto che il meglio deve ancora arrivare. – m’informò. Poi si alzò, si mise in piedi sul tavolino davanti al divano e alzò la voce.

- Spostiamo questa festa in giardino, c’è una sorpresa per voi! – esclamò a tutti gli invitati. Scambiò uno sguardo complice con i fratelli, i quali precedettero tutti. Fui l’ultima ad arrivare in giardino e, nonostante ci fossero una dozzina di persone davanti, notai il mini-palcoscenico allestito in meno di un nano-secondo. Tutti gli invitati si divisero in due ali, di modo che potessi passare senza problemi. Mentre mi avvicinavo, continuavo a fissare quella meraviglia: un enorme striscione con su scritto “auguri Aki!” a caratteri cubitali colorati sovrastava il palco sul quale un asta per microfono, una batteria, una tastiera e una chitarra si mettevano in mostra. Non appena mi ritrovai al di sotto del palcoscenico, un elegante Frankie armato di microfono comparì da chissà dove.

- Ciao ragazzi … e ovviamente ciao ragazze! – salutò, suscitando risate e urla di approvazione. – Allora, sappiamo tutti perché siamo qui, no? Vogliamo festeggiare una ragazza fantastica che oggi fa 17 anni. E il suo nome, datemi una mano a dirlo, è …

- Aki Blues! – completarono tutti assieme i miei amici. Sentii un tuffo al cuore dovuto a un’immensa gioia. Presi la mano che il Bonus Jonas mi offriva e salii sul palco. In quel momento i suoi fratelli comparino. Nick alla batteria, Joe alla tastiera e Kev alla chitarra. Frankie mi cedette il microfono. Mi veniva da piangere. Stavano davvero facendo tutto questo per me? Se è un sogno, non datemi un pizzicotto!, pensai. L’ora seguente passò tra canzoni eseguite un po’ da tutti – incredibile quanto David Henrie fosse bravo! – e battute e presentazioni fatte da Frankie.

- Hai un futuro come comico, piccolo. Oppure come presentatore. -  gli dissi.

- O meglio, un presentatore-comico! – aggiunse una voce femminile, famigliare. Veniva da dietro di me, perciò mi girai e …

- Fujiko! – esclamai, abbracciandola. – Sei riuscita a venire! Ma non avevi una sfilata da organizzare? – le chiesi, ancora stretta a lei.

- Beh, in teoria si, ma visto che sono io a comandare ho lasciato il mio segretario per sonale a dirigere tutto. – spiegò. – Però non sono arrivata in tempo, vero? – proseguì.

- In tempo per cosa? – domandai, staccandomi da lei e allontanandomi un poco.

- Ma è ovvio, per i … - cominciò, ma venne interrotta dal “presentatore-comico “.

- Regali! – annunciò al microfono il Bonus Jonas.

- Esattamente. – puntualizzò Fujiko, mentre io venivo ricondotta sul palco per la parte migliore della festa.

Tutti i miei migliori amici avevano un regalo per me, per quanto piccolo. Nonostante le dimensioni, per me quegli oggetti erano pieni di significato e affetto. Gli ultimi furono i fratelli Jonas.

- Forse abbiamo esagerato. – disse Nick, porgendomi una scatola lunga circa due metri e larga più o meno 40 cm (non ho trovato le misure precise. Nota dell’autrice). L’appoggiai a terra e iniziai a strappare la carta da regalo, dalle sfumature viola e rosa. Come se la curiosità non fosse già tanta, Joe e Kevin continuavano a commentare.

- Secondo me le piacerà.

- Di più!

- E’ impossibile che non le piaccia.

- D'altronde conosciamo bene i suoi gusti.

- Volete chiudere il becco? – li minacciai, alzando un pugno.  Sotto la carta e la scatola, c’era la custodia nera di una chitarra. Sopra la custodia, un biglietto.

 

Auguri per i tuoi Sweet Seventeen! Ti vogliamo bene, e questo lo sai, ma non crediamo tu sappia che te ne vogliamo COSI’ tanto! Forza, apri il regalo!

 

Appoggiai a terra il pezzo di carta e slacciai la zip della custodia. E quello che vidi al suo interno mi lasciò a bocca aperta: una Gibson SG Special! La tirai fuori dal suo involucro per ammirarla: le corna da diavoletto, il colore viola, la scritta “Gibson” sulla paletta … Mi veniva quasi da piangere! Rimisi la chitarra al suo posto e abbracciai quei fratelli così fantastici da non sembrare veri. Ero così felice che diedi un bacio sulla guancia a tutti e quattro.

- Devo ammettere che io non centro niente con questo regalo. – confessò Frankie.

- E per questo non dovrei darti un bacio? Ma amore mio, non servono scuse! – dissi, appoggiando nuovamente le mie labbra sulla sua guancia. Il Bonus Jonas fece spallucce e sorrise malizioso, facendomi ridere. Stavo per ributtarmi tra gli invitati, quando qualcuno mi afferrò il polso. Mi girai e vidi un serio Nicholas guardarmi negli occhi. Quel contatto visivo mi metteva leggermente a disagio, perciò parlai.

- Che c’è, Nicky? – chiesi, usando il vezzeggiativo.

- Niente, solo che … Io avrei un altro regalo da farti. – sussurrò, lasciandomi il polso.

- Un altro? Ok – dissi, aprendo la mano, come se ci avessi dovuto appoggiare sopra qualcosa. E quel qualcosa fu la mano del ragazzo che mi stava davanti. Trattenni il respiro per un attimo. Poi ripresi, mentre Nick mi conduceva in casa, sempre tenendo le nostre dita intrecciate. Il mio cuore stava saltando dei battiti, le guance erano in fiamme e il cuore in gola. Cercai di concentrarmi sul altro per non rischiare un collasso cardiaco. La musica si sentiva ovattata, ogni tanto il più piccolo dei Jonas faceva una battuta scatenando le risa generali. Le voci degli ospiti erano confuse. Quasi senza accorge mene, mi ritrovai in camera mia, Nick davanti a me.

- Allora, questo regalo? – dissi, fingendo nonchalance. In realtà stavo per svenire. Nicholas si avvicinò a me, fino ad avere pochi millimetri di distanza tra i nostri visi. Aaaaaaaaaaaaaah! Che faccio? Sta davvero per baciarmi o è uno scherzo? E se io lo bacio e lui mi respinge? Non riuscirei a sopportarlo! Nella mia mente c’era il caos totale. Le labbra di Nick sfiorarono le mie per un attimo, più leggere di una piuma. E in quell’istante, tutti i miei dubbi si dissolsero nel nulla. Guardai Nicholas negli occhi: anche lui fissava i miei, sembrava alla ricerca del segnale per osare di più, per andare avanti. Dargli il via libera fu semplicissimo. Cedetti alla voglia di baciarlo. All’inizio era un semplice bacio a stampo, ma già suscitava in me un amore così intenso da sovrastarmi. Portai una mano dietro alla nuca di Nick, e l’altra alla sua guancia. Lui, invece, mi tratteneva stretta a sé tenendomi per i fianchi. Schiusi le labbra ed approfondii il bacio. Indietreggiai fino a sdraiarmi sul letto, Nick sopra di me. Arretrai ancora fino alla testata del letto. Solo in quel momento ci staccammo. Eravamo entrambi senza fiato, ma a compensarlo c’erano una gioia e un amore che è raro provare davvero. Nick si spostò di fianco a me e sorridendo. Mi appoggiai al suo petto e lui mi circondò con le braccia. Mi sentivo più sicura che mai!

- Ti piace il tuo regalo? – chiese, guardandomi.

- Da morire. – sussurrai, dandogli un breve bacio a stampo. Per un po’ restammo in silenzio, un silenzio che valeva più delle parole.

- Ti amo – sussurrò Nick dopo poco. Il cuore mi salì in gola, la felicità che provai è indescrivibile. Chiusi gli occhi, da uno di essi scese una calda e lenta lacrima. Nicholas si mise a sedere, con aria preoccupata. Mi raddrizzai anche io, chissà che stava pensando.

- Perché piangi? Ho fatto qualcosa di male? Ho detto qualcosa che non dovevo dire? Ti prego perdonami se l’ho fatto. – disse premuroso, prendendo il mio viso tra le mani e asciugando la lacrima solitaria col pollice.

- No, Nick. Non hai fatto assolutamente niente di sbagliato. – lo discolpai. Come poteva pensare di averlo fatto? Era il momento più felice della mia vita!

- E allora? – chiese spiegazioni.

- Sono felice. Ma tanto, tanto, tanto felice. -  dissi, mentre altra acqua salata bagnava le mie guance. Nick sorrise, mi baciò ancora e appoggiò la mia testa sul suo petto, stringendomi a sé. Non so per quanto restammo così, ero impegnata a godermi il momento, ascoltando i nostri respiri. Nick aveva cominciato a canticchiare “Because you live”.

- Dovremmo tornare. – ipotizzai, dopo un po’.

- Già – rispose Nicholas.

- Da quanto siamo qui? – chiesi poi.

- Un quarto d’ora. – rispose lui, guardando l’orologio.

- Dovremmo decisamente andare – ribadii. Mi allontanai da Nick, o almeno ci provai. Lui mi riavvicinò a sé, scoccandomi un bacio appassionato.

- Ok, ora possiamo andare – sussurrò ridendo, una volta che si fu staccato da me. Avevamo entrambi il fiatone. Tornammo in giardino mano nella mano. Ancora non ci credevo: quello che era appena successo era … reale?  Troppo amore dentro di me perché fosse solo un sogno, un illusione. Nick non mi lasciava mai, per tutto il resto della festa non fece altro che sorridermi. Era tutto perfetto, ma c’è sempre qualcuno a guastare questi momenti.

- Ciao cucciolotti, mi sono persa qualcosa? – una voce superficiale, sgradevole e famigliare sovrastò persino il volume della musica. Lasciai la mano di Nick. Ci girammo tutti a guardare Miley Cyrus che faceva la sua entrata da diva. Non appena la vidi, provai una fitta di odio: per colpa di quella sgallettata io avevo passato l’inferno! Mesi prima mi stava simpatica … Ma dove avevo la testa? Ormai la verità su di lei non era più nascosta ai miei occhi: era (è e sarà sempre -> Nota dell’Autrice) una stronza . I suoi vestiti non mi sembravano più alla moda, ma decisamente truzzi. Su una cosa, però, mi dovevo arrendere. Era molto carina, è innegabile. Guardai Nick. Se le sbavi dietro ti uccido! Anche lui la guardava con un certo disgusto. Sospirai di sollievo.

- Ma ciao! – Miley emette qualcosa simile a un gridolino … O forse era solo la sua risata da maialino (bleah!) – Vieni qua che ti faccio gli auguri, cicciolotta mia! – continua la Cyrus, con quella voce acuta e detestabile. Mi abbracciò e poi mi diede due bacetti volanti. Non ero mica malata di lebbra!

Primo: io non sono la “tua cicciolotta”; secondo: non sei stata invitata e quindi terzo: vattene subito di qui!

Mi prudevano la mani, tanta era la voglia di saltarle addosso e dargliele di santa ragione.

- Oh, Nicky, ci sei anche tu, tesoro? – chiese Miley, come se fosse caduta dalle nuvole. Abbracciò anche lui e gli diede un lungo e sonoro bacio sulla guancia. Stronza!

- Ciao a tutti, come va? – si allontanò poi sculettando.

- Giuro che se ti mette ancora quei viscidi tentacoli addosso la faccio pentire di avermi conosciuto! – dissi a Nick, una volta che Miley fu abbastanza lontana da non sentire.

- Sul fatto che sono viscidi ti do ragione. Bleah! Mi ha lasciato la bava su tutta la guancia. – si lamentò lui, pulendosi la faccia con un tovagliolo. Mi riprese la mano e io appoggiai la testa sulla sua spalla.

- L’avete invitata voi? – chiesi.

- Veramente ce ne siamo dimenticati. – confessò. E meno male!

- E che ci fa qui? – ribattei.

- Probabilmente avrà avuto un imbeccata. – ipotizzò lui.

- Non ce la voglio qui. Rovinerà tutto! – mi lamentai.

- Oh, andiamo. Smettila di parlare male di lei, ma sopratutto non pensarci. – consigliò Nick. Mi prese il viso tra le mani, baciandomi.

 

Il resto della festa, quel poco che ne rimaneva, passò abbastanza tranquillo. Certo, la presenza di Miley m’innervosiva, ma in fondo niente di che. Ogni tanto raggiungeva me e Nick, e in quei momenti lasciavo la mano del ragazzo. Tra l’altro, non capii nemmeno il perché di quella mia azione. Forse non volevo che la Cyrus si mettesse a sparlare di me o a prendermi in giro, non so.

Quando ormai verso sera quasi tutti se ne furono andati, Miley disse che doveva parlarmi in privato. La portai nella mia camera. Arrossii quando notai le lenzuola del letto spiegazzate e in disordine. Ma che avevamo combinato io e Nick circa un’ora e mezza prima?

- Hai dimenticato di rifare il letto? – chiese Miley, con un finto sorriso pieno di sott’intesi.

- Può darsi. Perché, tu lo sai rifare un letto? – risposi acida.

- Parliamoci chiaro, biondina. – attaccò. – Nick è mio, d’accordo? Ho visto come stavate sempre attaccati oggi. Non osare più importunarlo!

Vuoi la guerra? E guerra sia, ma ti avverto che vincerò io!

- Senti chi ha parlato! E se io a lui piacessi sul serio? E se lui piacesse sul serio a me? – ribattei.

- Sciocchezze! È a me che piace.

- A te piacciono i suoi soldi, è una cosa leggermente diversa!

A ogni sua parola, la rabbia dentro di me cresceva.

- Come ti permetti? Io ho più soldi di lui!

- In teoria si, ma li spendi tutti in magliette scollate, jeans cortissimi e vestiti che lasciano poco spazio all’immaginazione! E ora fuori da casa mia!

Se fosse stata un secondo di più davanti alla mia vista, l’avrei fatta tornare a casa piena di lividi e fratture. Infatti alzò la testa e se ne andò, imbronciata.

 

ANGOLO AUTRICE:

Allora, passaporto, valigie, biglietto dell’aereo … dovrei avere tutto! Ora devo solo scappare prima di essere uccisa a causa dell’enorme ritardo! Chiedo scusa a tutte. Vabbè, se stiamo qui a parlarne potrei essere portata sotto processo e condannata a vita a scrivere più in fretta. Vi è andata bene che ho l’influenza, se no il tempo non lo avrei mai trovato. Passiamo ai ringraziamenti!

 

 

 

jeeeeee :  ok, Nick non è un professionista di autocontrollo! XD Ti ho dato quello che volevi, felice?

 

ada12 : grazie, anche secondo me Aki e Nick stanno bene assieme! XD Che Demi è simpatica è risaputo!

 

_Crazy_Dona_ : alla fine, non so come, ce l’ho fatta a venire da te! Per Joe e Fujiko dovrai aspettare un po’, sempre che li faccia mettere insieme. Potrei, ma anche no. Mistero …

 

Star711 : ti ricordi che nella mia prossima fic la protagonista avrà il tuo soprannome? E ti stupisci che io ti dedichi un capitolo? XD Dovrei essere io a stupirmi se lo fai! XDDDDDDDD Ci se vede su MSN, ciaaaaao!

 

 

È la prima e spero ultima volta che metto i link:

 

Vestito Aki: http://i23.ebayimg.com/01/i/001/3b/8d/2982_10.JPG

Stivali Aki: http://photosext.spartoo.com/photos/310/31011/31011_350_A.jpg

Porsche Aki: http://www.omniauto.it/awpImages/photogallery/2008/8320/photos650/porsche-cayenne-diesel_2.jpg

Camicia Scozzese Aki:

http://www.nencinisport.it/update16/images/articoli/ONLY_camicia_donna_ELLY_Only35939.jpg

Gibson SG Special: http://www.harmony-central.com/ProductImages/Large/000033323.jpg

 

 

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Capitolo 11
*** Primo Appuntamento ***


Capitolo dedicato a … Rullo di tamburi, prego … *rullano i tamburi, squillano le trombe* Avevo chiesto solo i tamburi, così facciamo troppo casino! Dicevo? Ah sì, questo capitolo lo dedico a

Tappina_5_S!!

Te lo aspettavi, eh? xD

Capitolo 11

Quella sera, la passai a raccontare ai miei genitori ciò che era accaduto durante la festa. Tralasciai  il “regalino” che mi aveva fatto Nick, ripetuto poi anche quando se ne dovette andare. Cercai con tutta me stessa di non parlare male della Cyrus, ma cedetti e mi lasciai scappare qualche insulto di troppo. Passai dalle occhiatacce al rimprovero senza neanche accorgermene. Risolvetti la questione con un’alzata di spalle e andai in camera mia. Sorrisi nel vedere le lenzuola del letto ancora sgualcite. Misi il pigiama e m’infilai sotto le coperte, annusandole a pieni polmoni. Profumavano ancora. Un profumo dolce, naturale, fantastico. L’odore di Nick. Mi addormentai pensando a lui e quella notte la sua immagine non lasciò un attimo la mia mente. Anche il mio sogno lo raffigurava: eravamo su una spiaggia tropicale bellissima, tipo quelle che si vedono nei film.  Probabilmente era appena uscito dall’acqua, perché le gocce d’acqua sul suo corpo brillavano alla luce del sole al tramonto. Ma io non guardavo lui. Guardavo il crepuscolo, il cielo colorato di arancione che dava a tutte le cose che mi circondavano la medesima sfumatura. Due braccia bagnate ma stranamente calde mi cinsero la vita e io mi girai per stringermi a Nick. Anche lui era piacevolmente tiepido, nonostante fosse ancora bagnato. Per me era come se non lo fosse, non una goccia d’acqua sfiorò il mio corpo. Ah, i sogni!

- Mi ami? – chiese, prendendomi il viso tra le mani, ora perfettamente asciutte.

- Non c’è nemmeno da chiederlo. – risposi, avvicinandomi a lui e baciandolo. Nick si staccò da me per quello che mi sembrava troppo presto. Mi prese la mano e mi trascinò nella foresta, comparsa da chissà dove. Io lo seguivo senza paura, se c’era lui sapevo di essere al sicuro.

- Allora ho una sorpresa per te. – continuò, dopo così tanto tempo che mi dovetti concentrare per capire quale discorso stava riprendendo. Non ebbi il tempo di constatarlo che si fermò. Davanti a noi, una casa. Una villetta meravigliosa, con giardino, veranda, piscina – per quanto possa servire in una casa vicino al mare – e un balcone al secondo piano. L’abitazione, sviluppata su tre livelli, presentava sulla facciata una porta di legno scuro, in contrasto col colore bianco latte dei muri. Su ogni piano, dalle 3 alle 5 finestre spalancate, di vetro lucidissimo, con tende colorate e ringhiere di sicurezza. Il balcone presentava un corrimano in ferro, dalle forme floreali bellissime. Alcuni vasi di piante e fiori già sbocciati si mettevano in mostra sulla veranda.

Nick si piazzò dietro di me.

- Vieni a vivere con me. – sussurrò al mio orecchio, facendomi rabbrividire. A quelle parole, nessun imbarazzo, nessuna indecisione. Solo una gioia immensa. Guardai Nick negli occhi e feci incontrare le nostre bocche.

- Sì, sì, un milione di volte sì! – mormorai contro le sue labbra. A quelle parole, Nick sorrise e mi prese in braccio. Si avvicinò alla casa, scherzando sul fatto che sembravamo una coppia di sposi. Aveva già aperto la porta, stava per entrare, quando una voce femminile cominciò a chiamarmi.

- Aki! Aki! – continuava a urlare. Nick sparì all’improvviso e io mi ritrovai da sola in piedi davanti alla porta aperta. Mi girai e vidi qualcuno correre verso di me, scalciando via le foglie e le piante della foresta. Da lontano sembrava Miley Cyrus. Nonostante non avessi la certezza che fosse lei, un impeto di rabbia nacque dentro di me con una potenza e una velocità devastanti. Ma non appena si avvicinò, riconobbi mia madre e l’odio sparì istantaneamente.

- Aki svegliati! C’è Nicholas al telefono per te. Svegliati! – mi disse. Un attimo dopo aprii gli occhi e mi svegliai. Ero sdraiata nel mio letto, il volto di mia madre a poco dal mio. – C’è Nick che ti vuole parlare. È la sesta volta che chiama, ho deciso di svegliarti. – spiegò mamma.

- Mi avevi già convinto a “c’è Nick”. – risposi, tirandomi a sedere sul letto e prendendo il telefono. – Ciao, Nicky! – lo salutai, mentre mia madre toglieva il disturbo.

- Ciao. Scusa l’ora, so che ti piace dormire, ma davvero volevo parlare con te. – disse.

- Volevi parlare con me? Perché? – chiesi.

- Non lo so. Quando sono innamorato non voglio fare altro che parlare con la mia ragazza. – chiarì. Arrossii a quelle parole. Ancora non riuscivo a credere di essere la sua ragazza. Il cuore mi salì in gola, aumentando i battiti, non appena pensai quelle parole. Scrollai la testa per non distrarmi durante la conversazione.

- E’ un po’ strano, ma di cose strampalate ne faccio più di te. – ribattei, mettendomi sdraiata comoda sul mio letto.

- Tipo?

- Se te le dico tutte fai in tempo a sposarti, avere figli e andare in pensione. Meglio parlare d’altro. – risi.

 

- Ok … Come hai passato la notte? – domandò.

- Dormendo. – mi lasciai scappare una risata, poi proseguii. – Il solito. Tu come passi la notte? Ronf ronf, dream dream e tutto il resto! – canticchiai.

- Effettivamente hai ragione … Ma nella parte “dream dream” che è successo? Perché io ho fatto un sogno davvero strano.

- Racconta, dai.

- Beh, ero davanti a una ragazzina di circa 10, 12 anni che ti assomigliava incredibilmente. Non stava facendo niente, mi fissava, e io ero in imbarazzo, puoi capire. Stavo per dire qualcosa – non chiedermi cosa perché non ne ho idea – quando è arrivato Frankie, ha detto “ciao Nick” e si è portato via la ragazzina, che si è attaccata al suo braccio peggio di una cozza. – sintetizzò.

- Wow, hai paura che Frankie possa portarmi via da te! – esclamai, interpretando il suo sogno.

- No, non è vero! – ribatté, ma dalla voce s’intuiva benissimo che avevo ragione.

- Scommetto che sei arrossito! – lo presi in giro.

- E invece no! Anzi, facciamo così: oggi pomeriggio ci incontriamo, ti racconto di nuovo il sogno e tu fai di nuovo il tuo commento, vedrai che resterò impassibile. – propose. – Facciamo finta che io stamattina non ti abbia chiamato e che quindi l’argomento “dream dream”  è rimasto fuori dalla tua testolina malefica. – concluse.

- Modo originale per chiedermi di uscire. Ma appuntamento o no, arrossirai di sicuro. – affermai ancora.

- Ti avverto che sono molto, molto, molto competitivo. E in un modo o nell’altro vinco sempre. Dai, ne parliamo dopo. Passo a prenderti alle 3.

- Alle 3? Ma non è presto per un appuntamento?

- Sì, ma sono curioso di vedere che faccia farai quando mi vedrai.

- Perché, che faccia dovrei fare?

- Non so, tipo la mia.

- Tradotto per i comuni mortali?

- Beh, visto che mi manchi credo che sarò felice. E sorriderò. – constatò. Miracolo!, pensai, ma poi mi resi conto di quello che Nick aveva appena detto e arrossii violentemente. Per un attimo mi girò la testa, colpa del cuore che aveva saltato qualche battito. Fui di nuovo costretta a scuotere la testa per tornare lucida.

- Ah, ok, capito. Allora ci vediamo oggi, ti aspetto. – balbettai.

- Ciao, piccola. – salutò. Chiusi la chiamata senza salutarlo, ero rimasta paralizzata alla parola “piccola”. Giusto il tempo di tornare l’Aki casinista di sempre, e stavo saltellando dalla gioia.  Mi avvicinai allo stereo e misi la musica a palla. Presi i vestiti dall’armadio ballando e canticchiando. Agguantai una felpa e una maglietta a maniche lunghe, più un paio di jeans scuri. Buttai tutto sul letto e mi infilai nel mio bagno per fare una doccia. Solo una volta che fui pronta, controllai che ore erano: l’una.

- Aki! Vieni a mangiare! – mi chiamò mia madre. Che tempismo perfetto! La raggiunsi in cucina.

- Wow, come sei carina. – si complimentò.

- Infatti, troppo carina. Credo che adesso farò il padre geloso: perché ti sei vestita così? – rimbeccò papà.

- Guardate che ho semplicemente messo dei jeans e una felpa. Niente di che. – mi discolpai.

- Si ma sono quei jeans e quella felpa. – mi corresse papà.

- Ok, siete leggermente paranoici. – risi. – E comunque, oggi pomeriggio esco con Nick. È un problema? – chiesi.

- Certo che no, tesoro, hai 17 anni e puoi scegliere da sola. – disse mia madre.

- Assolutamente no! È vero che lo conosco già, ma se dovete uscire voi due da soli deve prima di tutto essere controllato dal sottoscritto. – rimbeccò mio padre. Mamma lo squadrò malissimo.

- Oh, andiamo, è solo Nicholas. – esclamai, scettica.

- Non importa, è un ragazzo e ti ha chiesto di uscire.  – concluse. Altra occhiataccia da parte di mia madre. Se fosse andato avanti così, c’era il rischio che lei si arrabbiasse, e non era mai bello quando succedeva.

- E va bene … - mormorai.   … Tanto sono sicura che Nick se la caverà senza problemi. Il resto del pranzo passò tra chiacchiere di importanza irrilevante.

- A che ora arriva Nick? – mi chiese mia madre mentre sparecchiavo e lei dava la pappa a Jamie.

- Alle 3. – risposi, facendo spallucce.

- Troppo presto. – borbottò papà.

- Oh, chiudi quella boccaccia da rospo. – lo rimbeccò ridendo mia madre. – Comunque, quanto pensate di rimanere fuori? – continuò l’interrogatorio.

- Sinceramente non ne ho idea, semmai ti mando un sms. – dissi monocorde.

- Ma allora cosa f- … - cominciò.

- Mamma, basta con tutte queste domande. – la interruppi. Sospirai – Vado di sopra. – tagliai corto.

Non appena tornai in camera mia, ricevetti un sms da parte di Fujiko.

“Allora tu e Nick uscite assieme, eh?

Poi dimmi cm va! Xxx Fu-chan”

Sgranai gli occhi e risposi:

“E tu cm fai a saperlo?!? Se ti becco

in giro cn la makkina ti metto sotto!!”

Non dovetti attendere molto la sua risposta:

“Tnt nn mi bekki in giro cn la makkina! XD

Cmq io sn tua cugi e so tt!”

Risposi:

“Fu-chan di la verità k nn ci credo k

nn te la dtt nex!!!”

E poi lei:

“ammetto me l’ha dtt joe …

Nn dirgli k te lo dtt io, mi ammazza”

E io:

“se prima nn lo ammazzo io!

Vabbè ora dv andare, ciao bella!”

Concluse lei:

“uff, va bn. Ciao piccola, salutami cucciolo joe!

XD ooook ti lascio stare. Tvtb”

Sorrisi nel leggere “cucciolo Joe”. Quando Fujiko dava un soprannome, ti dovevi accontentare e tenertelo. A Joseph non era andata poi tanto male, a mio parere, ma chissà lui come l’avrebbe presa. Mi misi ad ascoltare musica a palla esattamente come quella mattina, mentre leggevo Twilight – eheh, non avevo molto tempo … ^//////^. Mentre Edward confessava a Bella tutti i segreti della sua specie, ricevetti una chiamata sul cellulare.

- Ehi, Maya! – salutai. Maya era l’amica d’infanzia dei fratelli Jonas, in particolare la migliore amica di Nick. Con lei avevo in comune le origini giapponesi e non solo. C’eravamo conosciute durante in tour e da allora eravamo diventate molto amiche.

- Ciao chibi, come va? – disse. “Chibi”(si legge “cibi”), in giapponese, vuol dire “piccolo” o, nel mio caso, “piccola”.

- Tutto ok, niente di particolare. – risposi ridacchiando.

- Uhm, non mi risulta. E dai, il tuo ragazzo è il mio migliore amico, è ovvio che mi ha detto ciò che è successo ieri.  – esclamò, con tono malizioso.

- Hai ragione, è vero. Ma credi che non te l’avrei detto comunque?

Continuammo così per circa mezz’ora, quaranta minuti. Parlavamo di tutto: la scuola pubblica che prima entrambe frequentavamo, gli attori come Robert Pattinson o Zac Efron, gli ultimi modelli di cellulare in uscita, moda e tendenze … Cose da ragazze, insomma. I momenti così erano alcuni di quei rari istanti in cui tornavo a sentirmi una ragazza normale. No, non normale, semmai non famosa. Adoravo quei momenti, potevo rilassarmi e pensare solo a divertirmi, senza preoccuparmi di vestirmi e atteggiarmi in un certo modo perché ero circondata da paparazzi nascosti.

- Oh, scusa tesoro ma mi sono accorta adesso che devo andare, è tardissimo. – si scusò Maya, dopo un po’.

- Ma figurati, vai tranquilla. Anzi, scusa se ti ho fatto perdere tempo. Magari ci sentiamo più tardi. – risposi. Chiusi la chiamata mentre ci scambiavamo l’ultimo “ciao”. Controllai l’ora: 2:37.

Waiting to you … I want your love … I can’t stop the noise in my head yeah …

Improvvisamente mi venne l’ispirazione per una canzone. Presi svelta un foglio e scrissi di getto tutte le frasi che mi venivano in mente. Rilessi il tutto e lo riordinai, riscrivendolo su un altro foglio. Scelsi il ritornello e da lì presi il titolo della canzone: “Dream”.

Dream or not?

I love you, and that is the true

But you love me, is it only a dream?

Continuai a scorrere lo sguardo su queste frasi. Erano indubbiamente le mie preferite. Presi un foglio pentagrammato e iniziai a cercare le note che avevo in mente sulla tastiera appoggiata alla mia scrivania. Mentre trascrivevo l’inizio della melodia, sentii il suono di un clacson.  Mi alzai di scatto e corsi alla finestra. Fu fin troppo facile individuare la Mustag di Nicholas. Mi feci scappare un gridolino di gioia prima di prendere la giacca, i guanti, la sciarpa e il berretto, tutti rigorosamente coordinati. Come ultimo afferrai la mia adorata borsa a tracolla nera ed eccomi davanti alla porta principale, pronta per aprirla al mio ragazzo.

- Ciao, piccola. – mi salutò Nick.

- Ciao, Nicky! – risposi, buttandogli le braccia al collo. Mi staccai prima che i miei genitori, o meglio mio padre, potesse arrivare e vedermi.

- Mamma, papà, io vado! – urlai, infilandomi la giacca.

- Ehm, Aki, non dovrei uhm … presentarmi? – tentò Nicholas.

Mi bloccai.

- Ah già … Beh, diciamo che preferirei evitare. – sussurrai.

- Io invece credo che prima è, meglio è. – commentò.

- Intelligente, il ragazzo. Bene, un punto a suo favore, ma ancora non mi convince. -. Mi paralizzai. Voltandomi, vidi mio padre squadrare sia me che il ragazzo al mio fianco.

- Papà, che vuoi fare?- chiesi, preoccupata.

- Oh niente, solo qualche domanda, giusto per sapere qualcosa in più su Nicholas. – spiegò, fissandolo.

- Certamente, signore, non c’è nessun problema. – disse cortese il mio ragazzo.

- Ok, ma papà quanto credi di metterci? Sai, com’è, non vorrei passare tutto il pomeriggio qui. – azzardai.

- Dipende dalle risposte. Forza, andiamo comodi in cucina. – rispose il mio vecchio, precedendoci nella stanza. Ci accomodammo al tavolo, io e Nick da una parte, mio padre dall’altra. Con la luce puntata sul tavolo, mi sentivo come sotto interrogatorio. Allungai una mano sotto il piano di ciliegio chiaro e strinsi le dita a quelle di Nicholas, cercando un po’ di coraggio. Nonostante non fossi io quella che doveva piacere a mio padre, ero comunque agitata.

- Allora, Nick, che mi dici riguardo allo studio? – cominciò papà.

- Mi sono laureato in anticipo l’estate scorsa dopo aver studiato con un insegnante privato. Ho fatto solo le elementari alla scuola pubblica, poi mio fratello Joseph è stato ritirato per bullismo e con lui, anche io. – rispose lui diplomatico.

Mio padre annuì, l’ombra di un sorriso sul suo volto. Incurvai le labbra all’insù.

- E in cosa ti sei laureato?

- Ragioneria (o era “ingegneria”??? nn mi ricordo! Nota di Me)

- Pensieri su mia figlia? – Fissai mio padre, leggermente irritata.

- Renderla felice. – Sorrisi a Nick. ,mentre lui rimaneva concentrato sul discorso.

- Ormoni? – Oh papà, sei il re dell’imbarazzo!

- Anche se sono nell’adolescenza e quindi sono abbastanza “vivaci”, sono abituato a tenerli a bada. – rise Nicholas.

Miracolosamente, la risata giunse fino a mio padre.

Per i dieci minuti successivi Nick fu bombardato di domande più o meno imbarazzanti. Ogni occhiatina, cenno con la testa, minimo movimento di mio padre mi faceva preoccupare. Allora il ragazzo di fianco a me mi stringeva la mano per calmarmi. Ovviamente le nostre mani erano sempre nascoste sotto il tavolo, se mio padre ci avesse visti non ci avrebbe più lasciato vedere nemmeno un capello dell’altro.

- Ok, devo ammetterlo: sei davvero un bravo ragazzo. – annunciò papà alla fine dell’”interrogatorio”. – Puoi uscire con mia figlia. – sentenziò. Ebbi un moto di felicità improvvisa e dovetti impegnarmi m0ltissimo per contenermi. Non appena io e Nick fummo fuori dalla porta, lo baciai, un incontro di labbra limitato dal sorriso che non riuscivo a trattenere.

- Che c’è? – mi chiese, l’ombra di una risata.

- Sei piaciuto a mio padre! Sono così felice, non ci credo! – esclamai, prendendogli la mano e cominciando ad avviarmi alla sua automobile.

- Perché? Un ragazzo non è mai piaciuto a tuo padre? – domandò, salendo al posto dell’autista.

- Solo uno, con il quale tra l’altro ho avuto una storia di 3 anni e mezzo. – risposi, facendo spallucce. Mi accomodai sul sedile del passeggero. Nick mi guardò geloso, ma notando quanta poca importanza davo al mio ex, lasciò perdere.

- Allora, dove mi porti? – chiesi, quando già aveva messo in moto.

- Dove vuoi andare? – ribattè lui.

- Ah beh, i soliti posti: Londra, Parigi …  O magari l’Italia. – scherzai.

- Ok, settimana prossima so dove portarti. – resse il gioco. -  Comunque, oggi pensavo di portarti in un posto un po’ più vicino.

- Dove? Dove? Dove? -. Essere così curiosa era sempre stato d’ostacolo per me, ma lui di certo non mi aiutava.

- Vedrai. – rispose semplicemente, serafico. Maledetto!

Il resto del viaggio lo passammo a parlare. Di noi, di me, di lui, di tutto. Alla fine persi interesse nel luogo dell’appuntamento. Come biasimarmi, bastava guardare chi avevo di fianco!

- Bene, siamo arrivati.- disse Nick dopo un po’. Scesi dall’auto e mi guardai attorno.

- Ok, non ho capito. -. Eravamo all’esterno di un capannone enorme, non avevo idea di cosa fosse o contenesse.

- Prova ad entrare e capirai. – m’incoraggiò lui. Obbedii.

- Non. Ci. Credo!!!!! – urlai, non appena compresi di trovarmi sul set di Eclipse! – Ma come hai fatto? – chiesi poi, saltandogli quasi in braccio.

- Mi devono una canzone nella colonna sonora. – fece spallucce. – Ehi, ma perché sei ancora qui? Non vuoi fare un giro? – sembrò provocarmi. Era come chiedere al diavolo di fare una cattiva azione. Perciò, lo presi per mano e me lo tirai dietro fino al set vero e proprio, dove Kristen Stewart e Robert Pattinson stavano girando una scena.

- Stop! – urlò il regista, avvicinandosi ai due.

- Ehi, Nick! – esclamò una voce alle mie spalle. Oh, cavolo, se è figo! Inutile dire che mi stavo rivolgendo a Taylor Lautner.

- Ciao, Tay. Lei è Aki. – mi presentò Nicholas. Per fortuna lo fece lui, non ero certa di poter usare ancora la voce.

- Piacere. – mi sorrise Taylor. Se sorride ancora così, svengo!

- P-piacere mio. – riuscii a rispondere. Nick mi sfiorò il braccio, facendomi tornare alla realtà.

- Sei leggermente ridicola. – soffiò al mio orecchio, e un brivido corse lungo la mia schiena.

- Non è colpa mia se è così … Wow. – mi discolpai. – Anzi, complimenti a sua madre. – aggiunsi, guardando Taylor mentre entrava in scena, rigorosamente senza maglietta. Sentii Nick ridere. Mentre lui parlottava con il regista, io guardai la scena, ammirata. Quando Robert uscì dalla finestra della stanza di Bella, intuii che aveva finito per adesso.

Mi morsi il labbro quando mi passò di fianco. Non avevo il coraggio nemmeno di alzare il braccio verso la sua direzione. Oh andiamo, Aki! Ti stai comportando come una ragazzina! Scossi la testa. Si, decisamente, mi stavo facendo delle pippe mentali per niente.

- Robert! – lo chiamai, trovando il coraggio che sfoderavo solo sul palco. Si girò istantaneamente verso di me, facendomi arrossire. Ma dovevo farcela. Accidenti, cantavo davanti a milioni di persone e non riuscivo a dire “ciao” a un ragazzo? Beh, effettivamente quel ragazzo aveva una faccia che da sola si faceva perdonare tutto, ma era comunque un ragazzo, per quanto difficile fosse anche solo pensarlo.

- Ehi, ciao! Ma tu sei … - ci pensò su. – Aki Blues, giusto? – azzardò. Sa il mio nome? Woooooooooooooooooooow!

- Già, e devo ammettere che detto da te il mio nome ha tutt’altro effetto. – scherzai. Sembrò funzionare, lo feci ridere.

- Devo andare al reparto trucco, vieni con me? – propose.

- E’ l’ultima cosa che devi chiedere. – risposi, seguendolo.

Passammo quella che mi sembrava la seguente mezz’ora a parlare, mentre le sue make-up artist gli mettevano in faccia una quantità assurda di fondotinta, cipria e correttori vari.

- Uff, Aki, vuoi un consiglio? Se proprio vuoi recitare, evita film in cui ti devono truccare così tanto: è una noia mortale! – sbuffò, per l’ennesima volta.

- E con questa siamo a 14 avvertimenti. – contai.

- Scusa, è che sono un po’ stanco. – disse.

- Apparte le occhiaie disegnate col trucco, si vede, sai? – commentai, avvicinandomi per controllare.

- Per fortuna questa settimana è Taylor che deve girare … Ti va di andare a fare un giro uno di questi giorni? Magari potrebbe venire anche Nikki, o Ashley, o non so chi altro. Allora? – chiese.

Sorrisi. Certo, non era una cosa da tutti i giorni. Come potevo rifiutare?

- Ok, ci sto! Quando, dove e a che ora? – risposi.

- Uhm … Appena sono in pausa. Non so precisamente quando. Ti mando un messaggino, ok? – annunciò. Annuii, ma poi ricordai che non aveva il mio numero, ne io il suo. Allora, azzardai una cosa folle.

- Mi presti il tuo braccio, se non lo devi usare per le riprese? – chiesi, maliziosamente.

- Per oggi ho finito, quindi ok. – acconsentì, tirandosi su la manica e guardandomi incuriosito. Presi una penna dalla mia borsa a tracolla e scrissi il mio numero sul suo bicipite spaventosamente perfetto.

- Così sono sicura che non te lo perdi. – commentai.

- Aki? Aki, dove sei? – mi chiamò Nick. Finisce questo sogno e ne comincia un altro!

- Qui, Nicky. – risposi.

- L’hai già usata la battuta del “io ci abito in questo Paese”, dammi indicazioni più precise! – urlò, mal celando una risata.

Aprii la bocca per rispondere, quando la mano di Rob me la chiuse. Sorrise malizioso, mentre con lo sguardo mi fece capire di avere avuto un’idea.

 

- Ehi, Rob, hai visto Aki? – chiese Nick. Trattenni una fragorosa risata a stento.

- Ehm … Nick, mi spiace ma … Ha lasciato un messaggio per te ed è scappata. – spiegò Rob, mostrando l’altro braccio, quello dove non avevo scritto il mio numero.

- “Visto che non sai guidare una moto, me ne vado con Taylor. Ciao, by Aki” – lesse Nick. – Ma non è possibile! – esclamò poi.

- Infatti non lo è! – dissi, saltando fuori proprio da dietro Nick. Io e Rob scoppiammo a ridere.

- Ah - ah. Divertente. – commentò con acido sarcasmo. Lo accarezzai e lui si sciolse in un sorriso, poi ridacchiò.

- E’ uno scherzo stupido e semplicissimo, però Aki ha saputo adeguarsi e farlo riuscire perfettamente! – si complimentò Rob, sul finale dell’ultima risata.

- Ehi, Rob, non me l’hai influenzata troppo, vero? – sembrò minacciare Nick, con un sorriso a trentadue denti.

- Più che influenzata direi migliorata, ma vedila come vuoi. – resse lo scherzo il vampiro.

- Allora, primo: questo sono io a deciderlo, e secondo: Nick, io e te non dovremmo andare? – m’intromisi.

- Già, sono le sei ormai. – mi fece notare lui.

- Wow, sul serio? – chiesi, incredula, afferrando il suo polso e guardando l’orologio.

- Allora ci si vede, Aki. Ti chiamo in settimana. – salutò Rob, mentre Nick mi trascinava letteralmente fuori dal set, lontana dall’attore più affascinante e simpatico che avessi mai conosciuto (ma forse scambiando un “ciao” con Johnny Depp, avrei cambiato idea).

- Sei felice? – chiese Nick, una volta in macchina.

- Tantissimo! Non potevo fare di meglio. – dissi, avvicinandomi e dandogli un bacio a stampo. Fece una smorfia quando mi allontanai da lui.

- Che c’è? – domandai.

- Ci vai troppo leggera coi baci. Se proprio mi dai un bacio a stampo, almeno fallo durare di più. – si lamentò con un finto broncio. Sorrisi e lo baciai di nuovo, questa volta accontentandolo.

- Va meglio? – sussurrai poi al suo orecchio.

- Rispetto a prima sì, ma scommetto che sai essere più soddisfacente. – commentò, guardandomi maliziosamente.

- Ti devo ricordare che siamo in auto e che potrebbero esserci dei paparazzi a ogni angolo? – cercai una scusa. – Non posso più chiamarti “Mr. President” se sei così irresponsabile! – lo presi in giro.

- Non posso comportarmi bene se tu sei così seducente! – mi fece il verso. Arrossii un po’.

- Andiamo “seducente”, saremo fermi qui da non so quanto. -. Cercai di nascondere l’imbarazzo dandogli una pacca sulla spalla. Sorridendo, accese il motore.

- Che si fa adesso? – chiesi, dopo un po’ che viaggiavamo.

- Mandi un messaggio a casa per dire che non ci sei a cena. Ti porto allo Sky Bar. – annunciò.

- Cooooooooooooooosa?!? Lo Sky Bar?!? – esclamai. Presi un respiro profondo e mi calmai. Non poteva farmi andare sul set di Eclipse e portarmi allo Sky Bar lo stesso giorno! – Aspetta un momento: hai già prenotato? – chiesi, cercando di essere serafica. Ci riuscii, ma solo per metà.

- Beh, no, avrei dovuto farlo ieri sera e … -cominciò, ma fu subito interrotto da me.

- Bene, allora non ci andiamo. – decretai.

- Perché no? – domandò, somigliando a un bambino che aveva chiesto un gioco alla madre, la quale glielo aveva negato.

- Perché conoscere Rob e Taylor e andare allo Sky Bar nello stesso giorno, mi farebbe morire! – spiegai, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

- Beh, se svieni in braccio a me e ti devo risvegliare con la respirazione bocca a bocca, non è un problema. – implorò lui, facendo lo sguardo da cucciolo. Sorrisi, ma non mi lasciai intenerire.

- Nicky, non era un “no”, semplicemente preferisco fare la prossima volta. E poi l’importante non è dove passiamo il tempo, l’importante è che lo passiamo assieme, no? – dissi, accarezzandolo.

- Sì, hai ragione. Allora dove ti porto a cena? – domandò, recuperando in fretta l’entusiasmo.

- Un posto vale l’altro, per me. Oppure mi riporti a casa subito e eviti di farti squadrare male da mio padre. – tentai, anche se piuttosto che tornare a casa subito avrei preferito rimanere in auto tutta la sera.

- Non se ne parla neanche! È prestissimo, e poi non siamo stati granché assieme prima. – sembrò accusarmi.

Sorrisi.

- Allora, un posto vale l’altro. – ribadii. Mi sistemai sul sedile, mettendomi comoda.

- Sei sempre un po’ troppo vaga, non posso pensare a tutto io! – scherzò.

- Beh, io non conosco Los Angeles quanto te, cucciolo, quindi azionare il cervellino! – risposi.

- “Cucciolo”? Vabbè, ok, ci penso io. Puoi tornare a chiamarmi “Mr. President”, ora? – continuò a folleggiare.

- Sisi. – risposi, come si m’importasse qualcosa di come lo dovevo chiamare. - Ma ci pensi se un giorno diventassi davvero presidente? – abbozzai. Per tutto il resto del tragitto, i nostri discorsi seguirono quella linea. Quando fermò la macchina, il tutto si concluse con:

- Tu mi voteresti, vero? – chiese lui.

- Perché dovrei? – lo presi in giro, scendendo dal’auto.

- Perché non dovresti? – sussurrò al mio orecchio, improvvisamente vicino. Rabbrividii. Nick ridacchiò, per poi prendermi la mano e trascinarmi nel locale. Il resto della serata fu piuttosto tranquillo, cenammo chiacchierando spensieratamente. Ogni tanto Nick mi prendeva la mano, sorridendo sereno. Un sorriso sincero, che non mi scorderò mai.

 

- Siamo arrivati. – comunicò Nicholas, spegnendo il motore. Eravamo davanti a casa mia, le dieci e mezza ormai passate.

- Vuoi venire dentro? – proposi, accennando la mia dimora con la testa. Nelle mie parole c‘era un che di malizioso, Nick parve accorgersene.

- La voglia c’è, fidati, ma non credo che a tuo padre piacerebbe andare in cucina a prendersi da bere e trovarti seduta sul bancone, paralizzata dal mio corpo, mentre ci baciamo. – scherzò, mantenendo un tono leggero. Mi sfiorò la guancia con le dita. – Ma, se stessimo in camera tua non ci sarebbero problemi. – continuò, avvicinandosi a me.

- Per i tuoi va bene? – mormorai, contro le sue labbra.

- Sì, lo sanno che sono con te. – rispose, prima di baciarmi.

- Ma sanno cosa facciamo? – ribattei. Un altro bacio.

- Sanno che siamo usciti insieme. Non ho detto balle, ho solo tralasciato qualche dettaglio di cui nemmeno io avevo idea. – disse in fretta, riappoggiando impaziente le sue labbra alle mie.

- Allora ok. Ma se finisci nei guai è solo colpa tua. – lo avvertii, staccandomi di malavoglia da lui e uscendo dalla macchina.

- Tranquilla, so quel che faccio. – rispose, raggiungendomi. Mi avvicinai alla porta di casa e la aprii con l’ausilio delle chiavi. Era tutto buio e silenzioso all’interno. Passando per il salotto, mi diressi in cucina – era un’abitudine involontaria. Accesi la luce delle due stanze. Sul bancone, vi era appoggiato un bigliettino di carta. Lo presi e lessi attentamente:

 

Abbiamo deciso di uscire anche noi, giusto per non essere i soliti vecchi che la sera non hanno niente da fare. Vogliamo una serata marito e moglie perciò torneremo abbastanza tardi, forse dormiremo fuori. Jamie è a casa della nonna, perciò sei sola.

Baci

Mamma e Papà

 

Ridacchiai nel leggere la frase “sei sola”. Appoggiai il pezzo di carta colorata e mi girai per raggiungere Nick in salotto, dove pensavo che fosse. Invece, me lo ritrovai a pochi centimetri di distanza.

- Novità? – sussurrò, probabilmente interessato a tutt’altro che le novità.

- Nei 30 secondi in cui non ti ho visto direttamente in faccia? Solo questo. – dissi, riprendendo il post-it rosa evidenziatore e sventolandoglielo davanti al naso. Nick lo afferrò e lesse velocemente.

- Quindi la cucina è libera. – constatò, guardandomi maliziosamente. Accartocciò il pezzo di carta e se lo gettò alle spalle, poi mi prese per i fianchi e mi tirò sul piano del lavandino.

- L’idea originale non era il bancone? – lo sfottei.

- E’ uguale. – rispose in fretta. Non ero convita che avesse capito la domanda, concentrato com’era nel baciarmi il collo. Ma in quel momento, non m’importava assolutamente niente, se non sentire la sua pelle a contatto con la mia.

 

Il mattino dopo, non ero sicura che la sera prima fosse stato tutto reale. Avevo paura di svegliarmi e spezzare il sogno. Quando fui costretta ad aprire gli occhi, cerchiai le prove che non fosse un illusione. Sfiorai le mie labbra con due dita, poi con la lingua. Avevano ancora il sapore di Nick. Mi accarezzai i capelli, ricordando come lui aveva fatto qualche ora prima. Osservai i vestiti buttati a terra. Avrei voluto dormire con quelli, ma mi ero comunque messa il pigiama, per non destare sospetti. Presi la maglietta: anche quella aveva ancora le sue tracce addosso.

Poco dopo, ricevetti una telefonata dal ragazzo responsabile del mio attuale stordimento.

- Ciao. – mormorai, quasi in imbarazzo, non appena aprii la chiamata. Non avevamo fatto niente di male, perciò non c’era motivo d’imbarazzarsi, ma davvero non riuscivo a non arrossire ripensando a quei baci infuocati.

- Ciao. Ti ho svegliato? – chiese subito, sottintendendo il solito “scusa, lo so che ti piace dormire, non lo farò mai più”.

- No, no, mi sono svegliata da solo poco fa. – risposi.

- Beh, ieri sera abbiamo fatto veramente tardi, credevo che avresti dormito di più.

- E tu no?

- Io non riesco a dormire quanto te. E poi stamattina Joe e Kev mi hanno buttato giù dal letto, non appena hanno saputo a che ora ero tornato.

- Sul serio? E ti hanno fatto delle domande, immagino.

- Sì, non sai quante. Quando gli ho detto che mi sono fermato un po’ a casa tua, hanno pensato che abbiamo fatto chissà che cosa.

- Hai chiarito tutto, vero? – chiesi, quasi prima che lui finisse la frase. Mi accorsi di essere arrossita violentemente.

- All’inizio sono stato vago per incuriosirli, poi ovviamente ho detto che non avevamo fatto niente.

Sospirai di sollievo. Restammo al telefono ancora un po’, poi si svegliarono anche i miei genitori e dovetti chiudere. Sapevo che lo avrei comunque rivisto molto presto.

 

ANGOLO AUTRICE:

=( Lo so, sono in ritardo. Vi chiedo scusa. Eppoi, non per giustificarmi, ma l’ultimo mese è stato davvero pesante, tra una cosa e l’altra. -__- MA sono comunque colpevole fino al collo! Spero che il capitolo compensi almeno un po’ l’attesa. A proposito del capitolo, in teoria questo non ci sarebbe dovuto essere. Ma rileggendo i miei appunti mi sono accorta che era poco chiaro il rapporto tra Aki e Nick dopo che si sono messi assieme e hop!, ecco il capitolo. =) L’idea del set di Eclipse mi è venuta dopo aver visto New Moon (*sbav*). All’inizio non volevo metterla, ma quelle pazze delle mie best (una delle due impersona Fujiko, l’altra il nuovo personaggio del prossimo capitolo) mi hanno convinta a metterla.

 

Ah, a proposito dell’ultimo capitolo … Volevo chiedervi scusa per averlo scritto così male. Anche se avevo la febbre, ho deciso di scriverlo e ho fatto un grosso sbaglio. Forse lo riscriverò, forse no, bisogna vedere se ho tempo. ‘O’

 

Oooooooooooooooooooooook, so che vi rompo, quindi passiamo subito ai ringraziamenti:

Le favolose 11 che hanno messo la mia fic tra le Preferite:

102luna

ada12

alice brendon cullen

ffdipendente

JonasBrothersFan

nes95

Niki_Cullen_

PrInCeSsMaLfOy

Star711

Truelove

Veronica91

E anche alle 8 straordinarie che l’hanno messa nelle Seguite:

BENNYY

mione94

nes95

noemi___lovelovelove

sono_io

Star711

streghettathebest

thislove

 

E ora i ringraziamenti singoli:

jeeeeee : wow, calmati Jess! Che Nick è un figo è risaputo. Cooooooooooomunque, ma ti pare il caso di farmi tutti quei complimenti? Guarda che rischi di starmi simpatica più di quanto già mi stai (come se fosse possibile … eheh!) xD

_Crazy_Dona_ : mettere la Cyrus mi serviva, ma da adesso in poi in teoria non dovrebbe più vedersi la sua faccia da porcellino e sentirsi la sua voce pessima (la mia cuginetta di 8 anni e 1.000.000.000.000.000 volte meglio!)

Star711 : uhm chemmidici! Felice che il bacio ti sia piaciuto, ma soprattutto entusiasta che anche tu (come un altro miliardo di persone come minimo) odi quella lì … Uff, non posso chiamarla per nome perché mi irrito e non posso chiamarla con il tuo soprannome perché protetto da copri right! xD

 

Ciao a tutte, ci si vede alla prossima col matrimonio del nostro Kevin! xxx

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Capitolo 12
*** Wedding ***


Capitolo 12

19 dicembre. Kevin rimbalzava nella sua stanza come la pallina del Pinball. Maledissi mentalmente i suoi fratelli per avermi lasciata sola con lui perché “dobbiamo controllare i preparativi al ristorante”.

- Accidenti, ma dove le ho messe? – Kev interruppe i miei pensieri, quasi imprecando.

- Che stai cercando? – provai.

- Le mie scarpe! – esclamò, frugando sotto il letto. Fissai i suoi piedi.

- Kevin, ce le hai ai piedi. – gli feci notare. Controllò.

- Ah, scusa sono un po’ agitato. Sai com’è, non ci si sposa tutti i giorni! – cercò di scherzare, tentando di sistemarsi invano il colletto della camicia.

- Vieni qui. – dissi avvicinandomi, levandogli le mani dal bavero e sistemandolo. – Non vedi l’ora, eh? – chiesi, piazzandolo davanti allo specchio per aiutarmi a controllare la visione d’insieme.

- Già. – sospirò, un sorriso sincero sul volto. – Quando ci arriverai, capirai. – aggiunse, esaminando la sua immagine riflessa.

- Beh, per ora mi accontento di come sto, anche perché non potrei stare meglio. – commentai, rispolverando mentalmente tutti gli appuntamenti con Nick. Sorrisi al pensiero.

- Credo di capire. Sai, da quando sta con te, Nick è davvero felice. – confessò. – L’altra sera ne stava parlando, e non smetteva un attimo di sorridere. – aggiunse.

- Quando si sta con chi si ama credo sia normale, probabilmente era così anche quando stava con … - cominciai, convinta che avesse esagerato un po’ la realtà per farmi felice. Però ci speravo, e solo questo mi faceva sorridere.

- Veramente no. È la prima volta che lo vedo così preso da una ragazza. – m’interruppe. – Stavolta è davvero innamorato, non crede solo di esserlo. – precisò poi. – Io mi sono accorto della differenza.

- D-davvero? – balbettai. Non potevo crederci, sul serio Nick era così innamorato di me? Credevo che solo io provassi qualcosa di talmente forte.

- Su queste cose non riesco a mentire. Anche per te è così, lo vedo. Ora, non vorrei esagerare, ma secondo me tra qualche anno ci sarà Nick al mio posto, e tu a quello di Danielle. – scherzò. Risi, ma quelle parole mi diedero da pensare. E se davvero un giorno io e lui … Scossi la testa, non riuscivo a pensare di fare un passo tanto importante, ero ancora troppo giovane per pensarci sul serio. Anche in macchina, diretti in chiesa, non facevo altro che riflettere su questo. In fondo ero ancora una ragazza di soli 17 anni, perché ci stavo ancora rimuginando sopra? Scossi energicamente la testa e cercai di concentrarmi su Kev. Più ci avvicinavamo alla chiesa, più diventava logorroico. Per lo più parlava di cose che non centravano assolutamente niente l’una con l’altra, ma fu facile notare che cercava di evitare l’argomento “matrimonio”, perciò lo assecondai. Quando la macchina frenò, segno che doveva scendere, si tappò la bocca e mi prese la mano.

- Che c’è? – chiesi. Che domanda stupida!

- S-sono nervoso. E se dovesse succedere qualcosa durante la cerimonia? – si preoccupò, secondo me inutilmente.

- Danielle ti amerebbe comunque, per lei potreste anche sposarvi in mezzo all’oceano o per strada, non le importa! – esclamai, stringendogli la mano. – L’unica cosa che le interessa è che ci sia tu e che l’ami! – conclusi, lasciandolo e uscendo dalla macchina. Come diavolo faceva a non capirlo, se era così innamorato?!?  Sbuffai, mentre lui mi raggiungeva.

- Sì, hai ragione. Io … Io sto esagerando, sono troppo emozionato. –si scusò. Sciolsi la mia irritazione in un sorriso e lo abbracciai.

- Scusa se ho reagito così, non ci potevo proprio credere. -. Sorrisi. Mi staccai da Kev e entrai in chiesa, subito seguita da lui. Si diresse al primo posto, pronto per attendere la sua Danielle. Nei successivi dieci minuti, la chiesa iniziò a riempirsi un po’ per volta. Kevin parlottava con una sua cugina, mentre io facevo conoscenza con altri membri della famiglia Jonas. La simpatia sembrava un fattore di famiglia: uno meglio dell’altro!

- Come va? – soffiò Nick al mio orecchio. Rabbrividii al suo fiato sul collo e mi girai.

- Ciao! E tu quando sei arrivato? – chiesi, ricordandomi che lui e Joe erano al ristorante dove si sarebbe tenuta la festa per controllare gli ultimi preparativi.

- Adesso. – rispose Nicholas, facendo spallucce.

- Ah, ok. – dissi distratta, guardando l’orologio al suo polso. – Io devo andare fuori, quando arriva Dani devo essere lì. – spiegai, dirigendomi verso il fondo dell’edificio. Non appena mossi un passo, Nick mi prese la mano.

- Vengo con te. – m’informò, lanciando un occhiata d’avvertimento a Joe e Kev. Sorrisi e uscimmo dalla chiesa. Fuori la temperatura era molto bassa  e aveva cominciato a nevicare, cosa normale in quel periodo a Long Island.

- Quando mi sposerò, di sicuro lo farò d’estate. – constatò Nick, sbuffando all’ennesima folata di vento.

- Beh, anche d’inverno non è male. – commentai, nonostante il freddo fosse pungente.

- Uhm, secondo me per un matrimonio è meglio l’estate. Ah! Adesso che ci penso, sarebbe meglio in autunno, la mia stagione preferita. – si corresse.

- E da quando è l’autunno la tua stagione preferita? – chiesi, dubbiosa. Non mi tornava qualche conto, la sua stagione preferita non era mai stata l’autunno, a mia conoscenza.

- Beh, lo è da quando Fu-chan mi ha detto che in giapponese si traduce con “aki” – sorrise, abbracciandomi da dietro un po’ per riscaldarmi, un po’ per fare meglio la sua figura.

- Ruffiano. Ricordami che devo legare mia cugina a un palo e slegarla solo in caso di vita o morte. – scherzai, appoggiando la testa a lui.

- Non puoi, Joe sbarella per lei, gli faresti del male. – svelò Nick.

- Joe, cosa?!? – domandai incredula. Joe aveva una cotta per Fujiko?  - Come mai non ne sapevo niente?

- Credevo che te lo avesse detto! Insomma, tu ti sei sempre confidata con lui e lui con te, no? – ribattè.

- Beh, in teoria sì. Ma in fondo sono fatti suoi, se non vuole dirmelo, non me lo dice e basta. – ragionai.

- Se conosco Joe, te lo dirà. – aggiunse Nick, sicuro che l’avrebbe fatto. Annuii, anche io certa. Per i seguenti istanti restammo in silenzio, io mi facevo cullare dalle suo corpo caldo.

- A che pensi? – chiesi, dopo un po’.

- Al matrimonio. – rispose. Mi balzò il cuore in gola, battendo più velocemente. Matrimonio?! – Mi stavo chiedendo come si sente Kev. -  aggiunse, lo sguardo perso in lontananza. Mi tranquillizzai un poco a sentire che non stava pensando al “matrimonio” in sé, quanto all’emozione del fratello.

- Ah. Sai che non riesco ancora a pensare seriamente al matrimonio? – confessai.

- Comprensibile, abbiamo solo 17 anni. – disse. Aspetta un momento, “abbiamo”?

- Nicky, ma che hai capito? – chiesi, allontanandomi un po’ da lui.

- Aki, sono solo supposizioni, tranquilla. – mi calmò. – Sai, la sera, prima di addormentarmi, penso a molte cose e ieri notte mi sono messo a considerare la possibilità che un giorno, io e te … - fece una pausa, nel vedere che mi ero pietrificata. – Comunque, per come la vedo io, sarà d’estate. Tu sarai bellissima nel tuo vestito, e il sole illuminerà il tuo sorriso. Probabilmente mia madre piangerà e tuo padre mi guarderà un po’ male, ma poi anche lui si rilasserà e sorriderà come tutti. L’emozione sarà tanta sia per me che per te, ma saremo felicissimi quando il prete mi dirà “puoi baciare la sposa” e la cerimonia si concluderà. La festa poi, oh. – s’interruppe per un sorriso più grande del precendente, mentre nella mia testa ciò che lui raccontava appariva sotto forma di immagini. – La festa sarà enorme, con tanta musica anche dal vivo e divertimento assicurato. Joe farà lo scemo, Kevin non lascerà un attimo Danielle, magari incinta, e Frankie sarà impegnato a conoscere le tue cugine sue coetanee. Ogni tanto ci sarà qualcuno che urlerà “bacio!” e noi lo accontenteremo. Poi … Oh, devo andare!

Nick venne interrotto dall’arrivo della macchina di Dani, e mi lasciò lì da sola, scoccandomi un bacio sulla fronte. Scossi la testa per smettere di pensare alle “supposizioni” che aveva fatto il mio ragazzo poco prima e mi avvicinai alla sposa.

- Ehi Dani, sei bellissima! – la salutai, baciandola su entrambe le guance. Il vestito bianco Chantilly di Vera Wang. seguiva perfettamente le curve del suo corpo, mostrando la giusta quantità di pelle del busto e delle gambe. L’acconciatura era complicata e assolutamente mai vista – o almeno da me, con un fiore di seta bianca che ricordava quello che portava fra i capelli il giorno che ha conosciuto Kevin.

- Grazie, anche tu sei veramente carinissima con questo vestito. – si complimentò, accennando al tubino bordoux che avevo scelto insieme a lei. Feci un inchino teatrale, facendola ridere, nonostante il sorriso non abbandonasse le sue labbra dalla sera prima, l’ultima volta che l’avevo vista. Subito dopo mi raggiunsero le altre damigelle.

 

Denise pianse quando Kev si levò il Purity Ring per la fede, e altre lacrime bagnarono le sue guance quando entrambi gli sposi dissero il fatidico “Lo voglio”. In quei momenti le cingevo i fianchi con un braccio e le sorridevo, per farle capire che eravamo entrambe felici.

- Puoi baciare la sposa. – disse finalmente il prete, Kevin Sr. I due ormai coniugi obbedirono, dopo un sorriso a trentadue denti. Nella mezz’ora seguente, Kevin e Danielle fecero foto un po’ con tutti, sotto indicazione del fotografo professionista assunto per l’occasione. Io fui trascinata in una dozzina di scatti, nonostante a volte non centrassi assolutamente niente. Riuscì a rincontrarmi con Nick solo al ristorante.

- Ehi, è da più di mezz’ora che ti cerco. – mi disse, non appena riuscì ad avvicinarmi. Gli diedi un bacio sulla guancia, quasi a farmi perdonare.  – Vieni, sei al tavolo con me, Joe e Fujiko, che non è ancora arrivata. – aggiunse.

- Ah, già, a proposito, sai per caso dov’è? – chiesi, accomodandomi al mio posto.

- E’ andata con Kev e Danielle, stanno facendo le foto. – rispose, sedendosi accanto a me. Appoggiai la giacca e la borsa allo schienale della sedia e mi rialzai.

- Dove vai? – domandò Nick, notando che mi stavo allontanando.

- Vado a conoscere un po’ di Jonas. – dissi, con sguardo e voce maliziosi e un sorriso che mi avrebbe perdonato qualsiasi cosa.

- Allora vengo con te. – rispose lui, alzandosi e cingendomi i fianchi. Mi scappò una risata.

– Che c’è da ridere? – chiese, mentre ci muovevamo verso un altro tavolo.

- Sei geloso. – gli feci notare, sorridendogli scherzosamente. Ridacchiai quando arrossì.

- Beh, mi pare ovvio che lo sono, ci vuoi provare con i miei cugini! – esclamò, il rossore alle guance ancora più visibile.

- Ahahah, non ci voglio provare con i tuoi cugini, io scherzavo!  Però il fatto che sei geloso ha un lato positivo: vuol dire che non mi tradiresti e che non mi lascerai tanto presto – ammiccai, stavolta il sorriso malizioso era rivolto a lui.

- Infatti non ho intenzione di farlo. – aggiunse, dandomi un bacio a stampo. Per qualche minuto girammo per i tavoli, conoscendo altri membri della famiglia Jonas e alcuni di quella Deleasa. All’ennesimo cugino, Nick ricevette una chiamata sul cellulare. Quando la chiuse si diresse al piccolo palco allestito al centro della sala e annunciò a tutti:

- Kevin e Danielle arriveranno in ritardo, il traffico è bloccato dalla neve.

Un mormorio di disappunto percorse il salone, mentre il ragazzo ritornò vicino a me.

- Uffa, e noi intanto che facciamo? Ormai li ho conosciuti tutti i tuoi parenti. - mi lamentai, sbuffando.

- Che ne dici di andare fuori a farci, per esempio, una passeggiata? – propose, afferrando le nostre giacche.

- Con il freddo e la neve che ci sono? Ma sei pazzo?

- Beh, il ristorante ha piazzato all’esterno alcuni impianti di riscaldamento; e poi, se avrai freddo, basterà che ti stringi a me. – ammiccò. – Senza contare che la neve renderebbe il tutto più romantico. – aggiunse.

- Ma che c’era nel caffè che hai bevuto stamattina? E da quando sei cos’ convincente? – chiesi, un sorriso spuntò sulle mie labbra alla seconda domanda. Presi la mia giacca dalle sue mani e lo anticipai all’esterno del locale. Fuori faceva molto freddo, ma per ora la bufera di neve era cessata, e solo qualche fiocco ne ricordava il passaggio.

- Wow, fa più freddo di quanto pensassi. – commentò Nick, abbracciandomi da dietro.

- Già, Kev e Dani non hanno scelto la data giusta. È risaputo che qui, in questo periodo, ci sono sempre tempeste e bufere di neve. – considerai.

- Altro motivo per cui il mio matrimonio non sarà in inverno. – mi ricordò lui. Mi morsi la lingua. Probabilmente era quello che avevo detto io che aveva ricordato a Nick il discorso che mi stava terrorizzando quella mattina.

- E dai Aki. Non hai mai immaginato il tuo matrimonio? – disse. Improvvisamente iniziai a ricordare ciò a cui non pensavo da tanto tempo.

- Beh, sì, ma l’ho fatto qualche anno fa e lo sposo non eri tu, nella mia mente. – confessai. Mi morsi di nuovo la lingua.

- Ah sì? E allora chi era? – indagò lui. Si stava ingelosendo di nuovo, e si vedeva chiaramente.

- Hai presente l’ex con cui ho avuto una storia di 3 anni di cui ti ho a malapena parlato?

- Sì.

- Ehm, e ti ricordi che i primi dieci anni della mia vita li ho passati in Giappone, no? -. Annuì, già troppo concentrato su ciò che stavo per dire. – In quel periodo, sono praticamente “cresciuta” con un ragazzino, il mio migliore amico, che si chiama Hoshi. Quando mi sono trasferita in America è stato difficile per entrambi, ci volevamo molto bene.

Presi un respiro profondo e iniziai a raccontare.

- Avevo circa d12 anni …

 

Oggi non ho proprio niente da fare. È da due anni che non ho niente da fare. Già, due anni fa ho dovuto lasciare Hoshi. Mi manca tanto. Da quando non c’è lui a farmi divertire, giocare, sfogare, litigare, piangere, arrabbiare niente è più lo stesso. Comincio a pensare a tutto quello che abbiamo fatto – o combinato – assieme: ci siamo arrampicati sul tetto della casa della signora Sho per recuperare il gatto di Hoshi-kun, abbiamo costruito un modellino di robot utilizzando muco al posto della colla, lui è uscito di nascosto di casa per venire a farmi il mio regalo di compleanno nonostante fosse in punizione, io gli avevo dato in custodia la mia bambola animata preferita perché … Aspetta, non mi ricordo, perché gliel’avevo data?

Don’t walk away from what you once believed
just call my name and I will help you see ...

Questa è la mia suoneria. Controllo il cellulare ... Hoshi mi sta chiamando! Rispondo il più in fretta possibile:

- Ciao! I tuoi genitori si sono decisi a farti la ricarica al cellulare o cosa? – scherzo.

- Sceglierei “o cosa”, chiamarti non mi sta costando niente. – risponde. La voce è cambiata, è più bassa di quanto la ricordassi.

- Perché? Hanno fatto la promozione “Chiama la tua migliore amica dall’altra parte del mondo”? – chiedo, ridacchiando.

- Sarebbe utile, ma no. – dice lui.

- Eh?

Probabilmente sta immaginando la mia solita faccia quando dico “eh?”, le sento ridere. Quanto mi mancava la sua risata!

- Apri la porta e vedrai. – spiega. Anche se sinceramente non ho capito, mi avvicino all’ingresso di casa, senza chiudere la chiamata o allontanare l’orecchio dal telefono.

- Ma cosa … ? – comincio, aprendo la porta. Il cellulare mi casca di mano al vedere chi c’è dietro all’uscio.

- Hoshi! – urlo, buttandogli le braccia al collo.

- Ciao, piccola. Sorpresa! – esclama, stringendomi a sé. Mi allontano un po’ da lui per guardarlo negli occhi neri, profondi che non sono mai cambiati. Invece il resto è cambiato: Hoshi è cresciuto. I capelli scuri sono cresciuti fino a coprire la nuca e arrivare quasi agli occhi. Finalmente ha smesso di farsi la cresta! E poi è più alto, ora riesce a superarmi. Il fisico è slanciato, le braccia muscolose e affusolate sotto la pelle chiara. È proprio … bello. Beh, per me lo è sempre stato ma … Oh, cavolo! Mi sono accorta che … Lui mi piace!

- Come hai fatto a venire qui? – gli chiedo, stringendomi di nuovo a lui. Non posso dirgli che mi piace, rovinerei la nostra amicizia.

- Ho convinto i miei genitori, ma mi ci sono voluti mesi. E poi … -. La frase rimane in sospeso per qualche secondo.

- E poi? – lo incoraggio.

- Ci trasferiamo qui anche noi. – confessa. Aspetta un momento, cosa?!? Mi allontano di nuovo per guardarlo in faccia e capire se è serio. Oh no, lo è!

- Cosa?  Perché? Ma come hai fatto? – chiedo, incredula.

- Non ne sei felice? – ribatte lui, un po’ deluso.

- Sì che lo sono, idiota! – rispondo, e un sorriso si allarga sulle mie labbra mentre lo stritolo in un abbraccio.

- Ma perché i tuoi hanno accettato? Conoscendoli, dev’essere una roba enorme. – dico.

- Beh, più o meno lo è. Hanno notato che negli ultimi due anni non ero il solito, e allora ne abbiamo parlato. Adesso che ci penso, il motivo per cui ci siamo trasferiti è piuttosto stupido. – constata.

- Vabbè, dimmelo lo stesso. – lo incito, prendendogli la mano e tirandolo in casa.

- Ehm, ok. Ci siamo trasferiti per … te. – balbetta.

- Per me? – chiedo, confusa. Perché mai avrebbero dovuto trasferirsi solo per me?

- Aki, tu … Mi piaci. – confessa. Coooooooooooooooooooooooooooooosa?!? Anche io gli piaccio?!? Non resisto all’impulso e lo bacio, per sbaglio cadiamo entrambi sul divano.

 

- Ci siamo messi assieme quel giorno e per tre anni siamo stati felici. – conclusi. Nick aveva abbandonato la gelosia per la curiosità, perciò continuò a fissarmi.

- E poi cos’è successo? Perché vi siete lasciati? – chiese, affamato di informazioni. Ma non è una sit-com!

- Beh … - cominciai, ma venni interrotta da Joe, che era venuto ad avvisarci che gli sposi erano arrivati. Gli fui grata, non mi piaceva ricordare perché avevo lasciato Hoshi.

- Ciucciooooooooooooooooooooooo!! – urlò una ragazza, non appena vide Nick rientrare. Gli buttò le braccia al collo, sommergendolo di baci sulla testa e le guance. La gelosia mi prese all’improvviso, facendomi immaginare quella ragazza in brutte situazioni. Questa mi sta già antipatica! Cominciai a maledirla mentalmente in tutte le lingue.

- E dai, Sophie, lasciami! Sono felice anche io di rivederti, ma ora basta! – si lamentò Nick, scollandosela di dosso.

- Aki, lei è mia cugina Sophie, siamo praticamente cresciuti insieme. – me la presentò. La gelosia sparì del tutto.

Sophie mi porse la mano. Era carina: i capelli lunghissimi castano chiaro facevano da cornice a un viso perfettamente ovale, gli occhi non troppo grandi e azzurri coperti da un paio di fantastici occhiali da vista all’ultima moda, la carnagione lievemente abbronzata, le labbra sottili e il naso dritto e della misura adatta. Era una di quelle persone che sorridono sempre.

- Piacere di conoscerti, finalmente vedo in carne e ossa l’ossessione del mio Ciuccio. – disse, facendo arrossire Nick.

- “Ciuccio”? – chiesi. È simpatica!, pensai, rimangiandomi il pensiero esattamente opposto di poco prima.

- E’ il soprannome che ho dato a Nicholas. – chiarì, indicandolo. Lui alzò gli occhi al cielo e si allontanò, mormorando un “di nuovo con questa storia” annoiato. Io rimasi a conoscere Sophie.

- Perché proprio “Ciuccio”? – domandai.

- Beh, tu pensa: “Nick”, il vezzeggiativo è “Nickuccio” e da quello ho tirato fuori “Ciuccio”, perché “Cucciolo” mi sembrava troppo banale. – spiegò, incamminandosi verso il tavolo degli sposi, che era anche il mio, probabilmente per salutarli.

- Io come vezzeggiativo però uso “Nicky”, è diverso. – commentai. La conversazione spaziò tra i vari modi di fare diminutivi, vezzeggiativi e soprannomi. Il soprannome di Kevin era “Zio”, nemmeno Sophie sapeva perché; quello di Joe era “JoJo”, e anche se era banale a lei andava bene; Frankie invece era “Cicci”, derivato di “ciccio”. Io e Sophie saremmo diventate grandi amiche, me lo sentivo.

Il resto della festa fu fantastico, Kev e Dani non la smettevano di sorridere e baciarsi quando qualcuno urlava “bacio!”, la musica era fantastica, Nick dolcissimo e tutti gli invitati molto amichevoli. Joe non si staccava mai da Fujiko e lei apprezzava anche se non sapeva perché lui lo stesse facendo. Durante il tour avevano legato molto più di quanto non pensassi, tanto che Danger le chiese di passare assieme il capodanno. Ovviamente ha accettato e lo passarono passeggiando romanticamente nel New Jersey.

 

Io rimasi con Nick tutta la notte. Uscimmo anche noi a passeggiare, ma dopo poco fummo costretti a rintanarci a casa sua per la troppa gente. E lì ci trovammo Sophie, che voleva passare il capodanno almeno con uno dei suoi adorati cugini.

- Almeno tu, Ciuccio, dai! – scongiurò.

- No, lo voglio passare da solo con Aki questo capodanno. – rispose lui.

Sophie mi fissò con i suoi occhi azzurri e con la faccia da cucciolo abbandonato.

- E dai Nick, non fa niente. – provai, a malincuore, mettendogli una mano sulla spalla.

- Piccola, non lo vuoi nemmeno tu. – fece, leggendo nei miei occhi la verità. Mi circondò con le braccia, unendo le mani dietro la mia schiena.

- Già, hai ragione, ma non voglio lasciare tua cugina da sola la notte di capodanno. – dissi, allacciando le dita dietro la sua nuca.

- Ok … - sbuffò lui, baciandomi.

- Però se dovete limonare me ne vado. – si fece notare Sophie. Io e Nick ci staccammo subito, arrossendo.

A mezzanotte facemmo il bagno nella piscina riscaldata di casa Jonas, divertendoci un mondo. Una volta finito, fino alle 5 e mezza del mattino del 1 gennaio 2010 facemmo casino in giro per casa, visto che i signori Jonas e Frankie erano dalla nonna a festeggiare. Alla fine ero così stanca, che non mi accorsi nemmeno di dove mi ero addormentata.

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

Oh my Jonas, scusateeeeeeeee! Sono in ritardo apocalittico, ma tra le feste e il resto, il tempo per scrivere si è largamente ridotto… E poi ho avuto problemi di linea… Ma sono comunque imperdonabile, chiedo scusa.

Parlando d’altro, ecco qui un link pieno di foto riguardanti il matrimonio del nostro Kevin, enjoy it:

 

http://www.bambini.eu/2009/12/30/jonas-brothers-foto-e-segreti-del-matrimonio-di-kevin-jonas-e-danielle-deleasa

 

Questo capitolo è infatti dedicato a loro, spero che possano essere felici per sempre!

 

E ora i ringraziamenti:

Tappina_5_S : se ti ho dedicato un capitolo, un motivo ci sarà! Felice che ti piaccia.

jeeeeee : grazie dei complimenti! E riguardo alle scuse, servono sempre o quasi, quindi meglio farle.

Star711 : ciao Gianfri! XD Coooomunque, le recensioni schifus ogni tanto sono necessarie, ma già che le fai è tanto!

 

Anche su un po’ in ritardo … TANTISSIMI AUGURI DI BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO A TUTTI!

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Capitolo 13
*** Che nottata! ***


Capitolo 13

 Socchiusi leggermente gli occhi. La luce giallina del sole tingeva di quel colore tutti gli oggetti, irriconoscibili e dai contorni sfocati. Avevo l’impressione di aver dormito molto, ma mi sentivo ancora assonnata, perciò richiusi gli occhi e mi girai dall’altra parte. Mentre mi sistemavo, il mio naso sfiorò qualcosa, che poi toccò la fronte. Quella cosa era morbida e profumata, così mi ci rannicchiai contro, sentendomi in qualche strano modo protetta. Rientrai rapidamente nel dormiveglia e il mio respiro si fece più pesante. Ogni volta che inspiravo il profumo delizioso di quella cosa un essenza famigliare mi entrava nel naso e arrivava al cervello, rilassando le mie terminazioni nervose. Per non so quanto rimasi così, nel dormiveglia. Poi mi svegliai un poco come qualche attimo prima, e cercai di capire quale fosse l’odore così piacevole che mi aveva cullata. Inspirai ed espirai qualche volta, ma solo alla settima riconobbi il profumo. Quello era il solito odore di … Nick?!? Spalancai gli occhi e scoprii di avere la faccia incollata al suo petto. Stavo per urlare, mi veniva proprio da dentro, quando alzai lo sguardo e lo vidi. Era ancora addormentato: tenero, sereno, perfetto. Era la seconda volta che lo vedevo nel sonno e per la seconda volta fui travolta dalla calma. Ora infatti non volevo più urlare, però fu impossibile evitare di arrossire. Avevamo dormito insieme? Cercai di ricordare: la sera – o meglio, mattina – prima, ero così stanca che non mi ero nemmeno accorta di dove mi ero addormentata, ma non avrei mai immaginato di averlo fatto sul letto di Nick! Scossi la testa, meglio non pensarci. Arrivai a fatica ad avere il viso all’altezza del suo, intenzionata a svegliarlo nel suo modo preferito, ovviamente con un bacio. Poco prima che le mie labbra toccassero le sue, mi venne da pensare. Misi una mano davanti alla bocca e provai l’alito. Mmh, tremendo! Mi alzai dal letto facendo meno rumore possibile per non svegliare Nick. Se si fosse ridestato da solo non avrei potuto fargli una sorpresa. Cercai la mia borsa in giro per la sua stanza, trovandola appesa alla maniglia della porta. Frugai al suo interno, cercando di non ricordare cos’era successo per avermela fatta lasciare lì, e ci trovai il beauty case. Avevo previsto di rimanere fuori a dormire, così mi ero premunita di spazzolino, dentifricio, trucchi e altre cose essenziali. Afferrai la borsetta e uscii dalla stanza, in punta di piedi. Mi guardai attorno per controllare che nessuno mi avesse vista uscire da lì. Per fortuna no. Iniziai a camminare verso il bagno, mentre frugavo nel beauty alla ricerca del mio spazzolino. Concentrata com’ero, non mi accorsi di Kevin Sr. e ci andai a sbattere contro.

- Oh scusa. – mormorai, alzando lo sguardo. Vidi le sue pupille dilatarsi. – Che c’è?

- Tranquilla, niente. Che stai cercando lì dentro? – mi chiese, senza smettere di squadrarmi.

- Lo spazzolino, sai com’è. – risposi, cercando di intuire dal suo sguardo cosa avessi di strano.

- Già, ho presente. – Sorrise. – Vuoi usare il bagno? – domandò poi, scuotendo la testa e smettendo di fissarmi.

- Oh sì, grazie.

- Fai come fossi a casa tua, Aki. – L’ho fatto fin troppo!

- Ah, e se potessi svegliare Nicholas te ne sarei grato. – aggiunse. Come se mi dispiacesse! Kevin s’incamminò in cucina.

- Sì capo. – dissi, facendo il saluto militare. Mi avvicinai alla porta più vicina ed entrai, era quello il bagno. Avevo paura di guardarmi allo specchio, ma lo feci comunque. OH MY GOSH!! Ero in uno stato un po’ pietoso: i capelli si erano dimenticati cos’era la spazzola, avevo sbavature di rossetto e mascara su tutta la faccia, i vestiti erano stropicciati. Grazie di avermi avvertito, eh, Kevin! Mi lavai i denti e la faccia, tolsi il trucco, spazzolai i capelli e sistemai i vestiti come potei. Alla fine il risultato era migliorato rispetto a prima, ma non ero ancora perfetta. Per esserlo avrei dovuto cambiarmi. Risistemai i miei “attrezzi da lavoro” nel beauty case e tornai in camera di Nick, sempre facendo attenzione a non svegliarlo. Mi rinfilai arrossendo nel letto. Mi avvicinai al suo viso perfetto e gli diedi un bacio a stampo; poi mi sistemai e chiusi gli occhi, così che sembrassi addormentata. Lo sentii muoversi e sbadigliare.

- Aki? Piccola? – mormorò. Mi sfiorò la guancia con le dita e poi con le labbra. Queste ultime si posarono poi sulle mie, e allora sorrisi.

- Ti avevo già preceduto. – lo presi in giro, dandogli un altro bacio.

- Ah, ecco chi mi ha svegliato in quella maniera adorabile. – sorrise, scroccando un altro incontro di labbra. Arricciò il naso. – Mmh, devo andare in bagno. – aggiunse, alzandosi. – Mi aspetti qui? – chiese poi, lasciandomi intendere che voleva che lo facessi. Annuii, sorridendo maliziosa. Arrivò poco dopo, aveva un aspetto migliore, era più sveglio. Si appoggiò in fondo al letto e si avvicinò a me, sembrava un leone pronto a lanciarsi sulla preda. L’unico caso mai sperimentato in cui la “preda” non desidera altro che farsi possedere dal “leone”. Attaccò, con un bacio fin troppo passionale. Lo allontanai, un po’ per riprendere fiato, un po’ perché ero consapevole che non poteva spingersi troppo in là. Eh già, io non avevo il Purity Ring, anche se ero ancora vergine. Una volta con Hoshi ci ero andata vicina, ma alla fine non era successo niente.

- Che c’è? – sussurrò Nick, quando lo allontanai nuovamente da me. Non funzionò a lungo, prese istantaneamente a baciarmi il collo.

- C’è che tu dovresti darti una calmata, lo sai meglio di me. – lo ammonii, sfuggendo di malavoglia dal contatto delle sue labbra con la mia pelle. Sbuffò.

- Hai ragione, ma tu mi provochi. – si difese.

- E cosa farei io per provocarti? – chiesi. Mi diedi una controllata: la maglietta effettivamente era un po’ scollata, ma a dire il vero neanche abbastanza per poter dare una sbirciata. Si era anche un po’ sollevata, scoprendomi la pancia. Ma in fondo, niente di che a mio avviso.

- Beh, non lo so, cercavo di darti la colpa. – rise. – Che dici, ci alziamo?

- Ok, tanto qui non abbiamo niente da fare. Ah, Nick, posso chiederti un favore?

- Sì?

- Mi presti una maglietta? La mia è ridotta un po’ male. – dissi, indicandola. Era tutta spiegazzata, non si riconoscevano più disegni e scritte.

- Ehm, certo, ma credo che ti starà un po’ grande. – constatò, aprendo il suo armadio. Mi avvicinai a lui, per dargli una mano.

- Pensi di uscire con me oggi? – domandò, sbirciando in una pila di magliette.

- Veramente no, perché? – risposi.

- Perché mi va di mettermi una tuta e non mi va di cambiarmi più tardi se vuoi uscire. – spiegò, tirando fuori una maglietta e piazzandomela in mano. Poi prese una tuta e la buttò sul letto, e infine si mise a riordinare un po’ la stanza. Vabbè, “riordinare” è una parola grossa, diciamo più che prendeva i vestiti e le varie cianfrusaglie da terra e le sbatteva in un angolo.

- Beh, mettitela pure. – dissi, dando un’occhiata alla maglietta. Niente male! – Ti dispiace se mi cambio qui? Tanto è solo una maglietta. – chiesi poi.

- Va bene, ma se ti salto addosso non ti lamentare. – rispose, arrossendo e sorridendo allo stesso tempo.

- Ehi, mi hai già vista in costume, non è che sono cambiata da quella volta. – ricordai, sfilandomi la mia maglietta. Solo in quel momento ricordai di avere il reggiseno di seta rossa che mi aveva regalato zia Maggie per Natale. Infatti, ecco che Nick mi abbracciò da dietro, così che non lo potessi allontanare, e prese a baciarmi la pelle nuda delle spalle, le braccia e la schiena.

- E poi ti chiedi cosa fai per provocarmi. – mi accusò, tra un bacio e l’altro.

- Ehm, mi sono ricordata adesso del regalo di mia zia Maggie. – mi giustificai, arrossendo un po’ e dimenandomi perché mi lasciasse andare.

- Hai altri regali di zia Maggie? – ridacchiò. In quell’istante avrei voluto dissolvermi nel nulla, tanto era l’imbarazzo.

- Nicky? Dai basta. – tentai di oppormi e girai la testa verso di lui ma quando le sue labbra trovarono le mie non potei fare a meno di rispondere al bacio. Ma che diavolo sto facendo? Mi allontanai da lui, ma mi prese in braccio di modo che avessi i piedi ben lontani da terra.

Toc toc!

- Nick posso entrare? – la voce di Frankie convinse il fratello a lasciarmi a terra. Mi infilai istantaneamente la maglietta di Nick, mentre lui andava a controllare alla porta. La aprì un poco giusto per mettere fuori la testa, ma il Bonus Jonas si infilò nella stanza in un attimo. Non appena mi vide, mi saltò addosso – anche lui! – salutandomi.

- Ma Aki tu hai dormito qui? – mi chiese, sedendosi sul letto. Sia io che Nick arrossimmo, e lui tagliò la corda dicendo che andava in bagno a cambiarsi. Grazie, eh!

- Beh, se per “qui” intendi a casa tua, allora sì. – dissi, affiancandolo seduta sul letto. Ti prego, non me lo chiedere!

- Fin lì ci arrivo anche da solo, Sophie me lo ha detto che voi tre avete passato il capodanno assieme. Volevo dire, tu hai dormito nella stanza di mio fratello?  - rifece la domanda. Dannazione! Una scusa, una scusa, una scusa … Non potevo certo dirgli che avevamo dormito assieme!

- Sì, ho dormito qui. – Vero. – ma Nick no. – Falso.

- Ah no? E dove ha dormito? – chiese poi il tenero, casto, innocente Frankie.

- N-non lo so, so solo che è stato lui a svegliarmi. – Falso!!!

- Ah ok. Non importa. – Eh meno male! – Comunque, ha chiamato … Ehi perché hai la maglietta di Nick? – notò. Mannaggia me ne ero dimenticata!

- La mia era ridotta un po’ male, così ne ho chiesta una a lui – Vero. – Chi hai detto che ha chiamato? – cercai di cambiare argomento. Non avevo problemi a mentire, ma farlo con Frankie era davvero difficile!

- Ah sì. Ha chiamato Fu-chan, ha detto che lei e Joe tornano dopo pranzo, ti deve assolutamente parlare e ha avuto un idea. – disse, contando sulle dita.

- Dal tono che aveva hai capito qualcosa? – indagai.

- Solo che era felice. Tanto. Forse troppo. – mi guardò esasperato. Tradussi mentalmente le sue parole: Fujiko era mortalmente felice.

- Ok, grazie piccolo. – gli diedi un bacio sulla guancia, prima che se ne andasse. In quel momento tornò Nick, infilato in una tuta. Ma come faceva a essere così figo anche con dei semplicissimi, banalissimi pantaloni, maglietta e felpa?

- Mi fai ingelosire di Frankie! - si lamentò, mettendo un finto, adorabile broncio. Glielo tolsi all’istante con un bacio a stampo. Mentre scendevamo in salotto, gli dissi della chiamata di FuFu, come la chiamava lui.

- Un idea? Non so te, ma io sono leggermente preoccupato, conoscendola. – disse, prendendomi la mano e tirandomi in cucina.

- Ciao mamma. – salutò.

- Buongiorno, tesori. – rispose lei, chiudendo il frigorifero nel quale aveva appena riposto qualcosa, prima del nostro arrivo.

- Hai dormito bene qui da noi, Aki? – chiese poi.

- Si, si. Sta tranquilla, Denise, trovarsi male a casa tua è impossibile. – dissi, avvicinandomi a lei e salutandola con un bacio sulla guancia. Mi sorrise.

- Ah, tesoro, hanno telefonato i tuoi genitori. Mi hanno chiesto di tenerti qui tutto il giorno, loro vanno con Jamie a fare un giro d’auguri a un po’ di parenti e amici.

- E non mi hanno costretta ad andare? Davvero?

- A quanto pare no. Probabilmente hanno preferito lasciarti fare come vuoi, visto che ormai sei abbastanza grande e responsabile per decidere. – spiegò la donna.

- Da quando i Jonas sono entrati nella mia vita, sta cambiando un po’ tutto in meglio. – dissi, guardando Nick. Sorrise, abbassando quasi involontariamente lo sguardo. A Denise scappò una lieve risata ad assistere al nostro scambio di battute. Uscì dalla stanza, lasciandoci soli. In quel momento, mi squillò il cellulare. Era Fujiko, risposi subito.

- Ehi, Fu-chan! – la salutai in giapponese.

- Good morning, honey! Piccola, ti devo parlare. Non hai idea di cosa è successo! – mi assaltò, lasciandomi a malapena il tempo di aprire bocca.

- Neanche tu, scommetto che quello che è capitato a me non lo immagineresti mai. – dissi, sentendo Nick che mi abbracciava da dietro e appoggiava l’orecchio al telefono. Imprecai in giapponese.

- Nick? – chiese lei, cominciammo a parlare in inglese.

- Già. Senti, di quello che ci è successo parliamone dopo. Adesso, Frankie mi aveva detto che avevi avuto un idea. – accennai.

- Sì, sì. – rispose, pimpante, per poi non dire più niente. Aveva lasciato il discorso in sospeso, per chissà quale motivo.

- Allora? – le diedi corda.

- Ah, tocca a me, scusa ho delle “piacevoli distrazioni” – disse le due parole in giapponese – che rompono le scatole.

Mi venne da ridere pensando che si riferiva sicuramente a Joe.

- Che … ? – provò Nick, ma io portai il telefono all’altro orecchio. Ovviamente lui cambiò posizione, senza comunque lasciare i miei fianchi.

- Allora, ti ricordi che quella volta che siamo andate in Italia e ci hanno fatto vedere come preparano la pizza migliore del mondo? – domandò.

- E come potrei scordarmelo? – risposi, ripensando al gusto di quella meravigliosa composizione di pasta, pomodoro e mozzarella.

- Beh, ho costretto Joe a passare a prendere gli ingredienti, la mia idea consiste nel … Fare la pizza! – svelò. Immaginai la scena: io, lei, Sophie, Joe, Nick e due aggiunte impossibili, Kevin e Danielle, coperti di farina mentre ridevamo come pazzi.

- Fu-chan, ma tu sei … Un genio! – esclamai. Chiusi istantaneamente la chiamata, eccitata all’idea.

- FuFu è incredibile. – disse Nick. – Aspetta un momento, questo vuol dire che la mia maglietta sarà ridotta male? – chiese poi, guardandomi perplesso.

- Peggio della mia stamattina. – lo presi in giro.

Emise un verso, sembrava stesse facendo le fusa, prima di cingermi i fianchi e baciarmi. Portai le mani dietro alla sua nuca. Chiusi gli occhi, staccai le labbra e sfiorai il naso contro il suo, poi appoggiai la fronte contro la sua. In quei momenti mi veniva sempre da dirgli “ti amo” infinite volte, ma sapevo di dirglielo senza aprire bocca. E lui capiva ogni singola volta.

Dopo un po’ ci allontanammo l’uno dall’altra, ma le nostre dita s’intrecciarono non appena riaprimmo gli occhi. Lo trascinai a cercare sua madre.

- Denise? – la chiamai.

- Sì, tesoro? – rispose subito, la trovammo seduta sul divano che guardava la TV.

- Ti dispiace se usiamo la cucina? Sai, Fujiko ha proposto di preparare la pizza … - spiegai.

- Aki, la pizza piace molto a tutti noi, quindi potete farla a condizione la facciate anche per noi e che poi risistemiate tutto. – sorrise. Oh uffa, no dai!, mi lamentai mentalmente. Ma Denise era troppo convincente, con quel suo dolce sorriso e la sua voce così gentile. Nick da lei aveva preso la persuasione, anche se con metodi diversi.

- O … k. – sbuffai.

Io e Nick andammo in camera sua e passammo un po’ di tempo a suonare la chitarra e canticchiare, scherzando. Parlavamo anche di lavoro, in un certo senso, delle canzoni che stavamo scrivendo. Io avrei pubblicato un nuovo album tra una settimana, e lui a inizio febbraio avrebbe divulgato il suo solista con la band “The Administration”. Cercavo di non pensare che già dal giorno dopo sarebbe partito per un mini-tour, anche se era solo per un mese mi rattristava un po’. A un certo punto mi misi a suonare sovrappensiero “Please Be Mine” con la sua chitarra acustica. Mi fermai subito, lievemente imbarazzata.

- Che c’è? – sorrise.

- Scusa, non ci stavo pensando. – mi giustificai, posando la chitarra.

- Scommetto che stiamo pensando la stessa cosa. – disse, abbandonando l’espressione felice. Si avvicinò a me e l’abbracciai.

- Mi mancherai in tour, lo sai? – sussurrò, baciandomi i capelli.

- Anche tu mi mancherai, inutile dirlo. Cercavo di non pensarci fino all’ultimo. – aggiunsi, chiudendo gli occhi.

- Anche io. L’altra notte mi sono messo a pensare una cosa ovvia, ma che non volevo assolutamente credere.

- Cosa?

- Che questo tour finisce a gennaio. Ma a marzo tu parti con il tuo tour, e una settimana prima del tuo ritorno, riparto io con i Jonas Brothers. Praticamente possiamo passare febbraio assieme, e poi per più di sei mesi più niente. – confessò. Avrei voluto tapparmi le orecchie, urlare, pestare i piedi a terra come una bambina. Presi la sua mano e la strinsi forte.

- E’ difficile stare assieme quando si fa entrambi questo lavoro. – mormorai. – Ma io ci voglio provare lo stesso. – Mi allontanai per fissarlo negli occhi. – Perciò promettimi che qualunque cosa accadrà, qualunque sia la distanza che ci separa, tu ed io resteremo insieme.

- Lo prometto. Anzi, in più giuro che non ti farò del male. Io … non voglio perderti. – aggiunse. Sorridemmo, e lo baciai con dolcezza. Sentivo il suo dolore, il suo bisogno di me, in quel semplice incontro di labbra. In quel momento, il campanello di casa suonò. Nick emise un sospiro, si alzò e mi prese la mano, mentre mi drizzavo anche io. Quando arrivammo al piano di sotto, Denise – efficiente e veloce come al solito, aveva già aperto a Joe e Fujiko, che erano in cucina a fare casino. Da loro due avrei dovuto aspettarmelo. Stavano tirando fuori delle confezioni da alcuni sacchetti di plastica bianchi appoggiati sul tavolo. Avvicinandomi notai che erano pacchi di farina, uova, olio, sale, sugo al pomodoro, mozzarella e altre varietà come prosciutto, tonno, peperoni, funghi e altro ancora.

- Ma che pizza volete fare? – chiesi, ridendo.

- Akiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!! – Fu-chan mi assaltò, fui quasi soffocata dal suo abbraccio stritola ossa. – Cugi, ti devo assolutamente parlare. -  aggiunse poi, e senza darmi il tempo di rispondere mi afferrò la mano, intenzionata a tirarmi probabilmente in una delle camere dei fratelli.

- Credo che dovrete parlare dopo. – sentii Joe, il quale mi afferrò per la mano libera e mi attirò a sé, abbracciandomi. Intanto Fujiko mi aveva mollato, per fortuna. Se non lo avesse fatto, probabilmente mi sarei spezzata un braccio.

- Buon anno, piccola. – disse Danger, lasciandomi.

- Anche a te, Joey.

 

Un quarto d’ora dopo, eravamo tutti pieni di farina. Sophie ci aveva raggiunto, e ci davamo tutti da fare per non combinare disastri. La preparazione della pizza procedeva tra scherzi e risate, ogni tanto Nick mi tirava la farina e io rispondevo senza esitare, Joe e Fujiko si erano addirittura sporcati di sugo mentre preparavamo la pasta, Sophie invece ne combinava di tutti i colori, aveva rotto tre uova, fatto cadere a terra la farina, quasi distrutto un bicchiere del servizio di Denise. Insomma, con lei c’era sempre da ridere.

- Wow, ehi Nick, grazie per averci mostrato il tuo meraviglioso lato B. – rise a un certo punto Fujiko, fissando il fondoschiena del mio ragazzo. – E belle mutande. – aggiunse poi, scoppiando a ridere.

- Cavolo, mi stanno cadendo i pantaloni! – imprecò lui, tirandoseli su con le mani piene di farina. – Ma perché mi stavi guardando il sedere? – chiese poi, sospettoso.

- Ah, è una specie di gioco che di solito faccio con Aki-chan quando siamo in giro. – fece spallucce lei. La fulminai con lo sguardo.

- A dire la verità, è un gioco che facevamo ma ormai non più. – rettificai, calcando sul tempo imperfetto. Nick alzò il sopracciglio.

- Infatti, non abbiamo più tempo, ma appena ci riusciamo lo rifacciamo di sicuro. – continuò imperterrita Fu-chan. Emisi un verso stile Homer Simpson, “d’oh!”. Mi fissarono tutti, tacendo.

- Un colpo di tosse, mi è andata la saliva di traverso.

- Ah ok. E in cosa consiste questa specie di gioco, Fu-chan? – chiese Sophie. E no, eccheccavolo! Imprecai mentalmente, sperando che mia cugina capisse dai miei sguardi che doveva cucirsi la bocca. Non capì.

- Allora, quando andiamo in giro, io e lei guardiamo il lato B dei ragazzi che incontriamo, e poi diamo i voti. – Cavolo! Ti prego, fa che Nick non sia geloso, fa che Nick non sia geloso, fa che Nick non sia geloso!!!

- Chissà perché, ma sono geloso. – disse Nick, avvicinandosi protettivo a me.

Ridacchiai come un idiota, per farmi perdonare, ma finii col grufolare. Ed ecco un altro “d’oh!” uscirmi dalla bocca.

Scossi la testa e tornai “seria”.

- Posso spiegare. – tentai, ma Fujiko m’interruppe di nuovo.

- Non ce n’è bisogno, tesoro, ci penso io. – sorrise, rimettendo le mani nell’impasto e … impastandolo (chiedo scusa per il gioco di parole! xD Nota di chi se non me? xD)

- Questo nostro giochetto può avere dei problemi. Cioè, sì, a volte ci sono dei ragazzi che hanno un sedere niente male, ma certe volte alcuni sono orribili. – cinguettò la pazza.

- Beh, non è il tuo caso FuFu. – disse Joe. – Per me sei da 9 e mezzo.

In un istante, mia cugina diventò rossa fino alla punta dei capelli. Aspetta un momento, Fujiko era arrossita? Ma che diavolo … ?

Le diedi una gomitata per farla tornare al suo normale colorito: finché eravamo in pubblico lei non poteva arrossire, era contro tutti, e sottolineo tutti, i suoi principi!

- Uhm, io le do otto e mezzo. – ribattè Nick, come se stessero parlando di una gomma da masticare invece che del sedere di una ragazza presente nella stessa stanza.

- Solo perché stai con Aki. – mugolò Joseph. – A proposito, a lei io do 8 e mezzo. – aggiunse, schietto.

Girai intorno al tavolo per raggiungerlo e dargli un coppino.

- Naa, ma stai scherzando? È decisamente da 10 meno. – ribattè il mio ragazzo. Sbuffai, e diedi un coppino anche a lui.

- Ma che ho fatto? Non hai detto che facevi sempre questo gioco? – cercò una scusa.

- Innanzitutto io sono una ragazza, è un altro discorso. E poi non l’ho mai fatto col mio ragazzo. – spiegai, infornando l’ultima pizza. Mentre parlavamo avevamo finito di prepararle.

- Ah. Scusa – disse, facendolo la sua solita faccia da cucciolo. Significava che voleva un bacio. Sorrisi e gliene diedi uno a stampo, per fargli capire che era una sciocchezza e l’avevo già perdonato.

- Io mi infilo nella doccia. – annunciò Joe.

- Ok, divertiti con la tua paperella di gomma. – lo prese in giro Fujiko. Lui arricciò il naso, prima di sparire sorridendo al piano di sopra. Uhm, quei due covavano decisamente qualcosa, e io avrei scoperto presto cosa. Infatti la presi per mano e me la tirai vicina sul divano, mettendola tra me e Nick, il quale si adattò di malavoglia.

- Ma che è successo? – le chiesi, in un sussurro. Arrossì.

Ignorò la domanda e me ne rivolse un’altra.

- Cosa intendi? – mormorò, ingenuamente. Ma sapevo che in realtà aveva capito benissimo.

- Che avete combinato tu e Joe questa notte? Sembra che abbiate fatto chissà cosa! – rettificai.

Arrossì ancora di più, perciò le diedi una gomitata.

- Ahio! Va bene, ok, te lo dico. Solo, non qui. – disse, prendendomi la mano e trascinandomi via. Nick protestò.

- Ma si può stare con la propria ragazza senza essere interrotti da sua cugina? – bofonchiò, prendendomi l’altra mano e tirandomi a sé.

- No, se le devo dire una cosa di importanza vitale. – rispose Fu-chan ritirandomi via.

- E non posso saperla anche io? – ribattè Nick, trainandomi ancora verso di lui, ora che era in piedi ed era più forte di Fujiko.

- Credo che la saprai presto, non so quanto tuo fratello sappia tenere la bocca chiusa. E comunque adesso lascia Aki, grazie. – Fu-chan parlò velocemente, come faceva quando non poteva avere subito quello che voleva. Era un suo difetto: se non gli era dato quello che desiderava, cominciava a comportarsi da bambina, in modo sgarbato. La fulminai con lo sguardo, mentre Nick le rispondeva diplomatico:

- Visto che lo verrò comunque a sapere, perché non dirmelo ora?

- Ma …

- Che differenza vuoi che faccia?

A quest’ultima domanda FuFu non seppe rispondere. Si riaccasciò sul divano, lasciandomi abbastanza spazio per mettermi vicino a Nick.

- Allora? – la incitai.

- Ecco, io e Joe abbiamo …

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo Autrice:

lo so, sono in ritardo. E tanto anche. Ho avuto un bel po’ di problemi, mi dispiace tantissimo! Cooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooomunque mi sembra ovvio che questo è un po’ il capitolo più pervertito della storia, o almeno fin ora *sguardo malizioso* mah, chi lo sa? Io, ovviamente! Non  credo che per ora ci saranno altre cose simili, ma questo non vuol dire che non ce ne saranno … come non vuol dire che ce ne saranno … Boh! ^^ xD va bene, basta con i commenti stupidi e passiamo ai ringraziamenti:

 

jeeeeee : ciao, bella! Grazie perché continui a leggerla, ultimamente ci metto ogni volta più tempo ad aggiornare …  ma prometto che stavolta sarà diverso, sto già lavorando al 14! Alla prossima, teso, ciauuuuuuuuuuuuu! Xxx

 

Chiara : Kira, Kira, perché sei tu Kira? xD lo spoiler te l’ho mandato talmente tanto tempo fa che sicuramente non ti ricordavi una mazza, eh? Scuuuuuuuuuuuuuuuuuuusa! Anche perché non sto più leggendo … e non lo vado a fare nemmeno adesso perché mi prudono le mani da quanto voglio scrivere, meglio che sfrutti l’occasione, no? Ci si vede su msn e FB bellissima, ciaooooooo! Xxx

 

Virgy : tu l’hai già letta (in teoria) quindi ho già commentato i tuoi commenti (suona strana come frase … xD) comunque, grazie per averla rilegata, non vedo l’ora di vedere che lavoro hai fatto! Spero che ti sia divertita in Grecia e che ti diverta anche a Roma (-.-“) ciaooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

 

Wow! Le recensioni sono calate un bel po’, eh? Guardate che se ce ne sono troppo poche non la pubblico più e la scrivo per me e i miei compagni, quindi decidete voi, oki? Va bene, ciao alla prossima!

 

La vostra

[--->Chibi≈Aki<---]

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