I dare you to love me

di GirlWithChakram
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Orange blossom ***
Capitolo 2: *** Lily of the Incas ***
Capitolo 3: *** Dandelion ***
Capitolo 4: *** Forget me not ***
Capitolo 5: *** Rose ***



Capitolo 1
*** Orange blossom ***


 Dalla stessa gentaglia che ha orchestrato altre storie in questa sezione,
originata nella testa che doveva concentrarsi solo sui progetti già in corso,
accudita e sistemata da chi subirà molte altre Pricefield,
la GirlWithChakram & co. è lieta di offrirvi questo pugno di pagine e vi augura buona lettura.



I DARE YOU TO LOVE ME


 
Orange blossom
[Matrimonio]

 
 
Una tranquilla giornata d’estate, un altro numero sul calendario, una nuova alba spuntata dalle montagne alle spalle della placida Arcadia Bay.
Nella frescura della prima mattina, il mondo sembrava essersi appena destato, accarezzato dalla brezza oceanica, cullato da quelle onde che tanto dolcemente lambivano la spiaggia già popolata di reti stese ad asciugare.
Ogni cosa appariva cristallizzata, quasi fosse stata sapientemente disposta per rendere quella giornata perfetta in ogni singolo dettaglio.
Eppure, nonostante il mondo si stesse tanto sforzando per mettersi in mostra, l’attenzione di Maxine Caulfield non riusciva ad andare al di là delle pareti della sua camera da letto. I poster con gli angoli rovinati e le fotografie scolorite la fissavano di rimando mentre lo sguardo di lei era perso nel vuoto, incantato da immagini note solo alla sua mente.
Il ticchettio implacabile della sua sveglia, la stessa che la destava da bambina per farla arrivare in tempo a scuola, le teneva compagnia in quel frangente, ipnotizzandola con la propria cadenza e la danza delle lancette condannate ad inseguirsi all’infinito.
Per un istante, uno spaventoso attimo che la fece rabbrividire fino alle ossa, pensò di essere anche lei come una di quelle piccole barrette di plastica: prigioniera di un ciclo eterno su cui non aveva controllo, costretta a muoversi attorno ad un perno nella speranza di potersene liberare, ma con la consapevolezza di non poterci mai riuscire.
Non erano pensieri da avere, non poco prima di compiere il grande passo.
La lancetta dei secondi superò quella delle ore, sfiorando appena il 7 su cui stava riposando, per poi lasciarsi quel numero alle spalle, arrancando verso il successivo.
Nella mente di Max iniziò un conto alla rovescia mentre la lancetta correva verso il 12 per sovrapporsi alla compagna che indicava i minuti.
Quando le due finalmente si incontrarono, l’orologio iniziò a saltellare, tremolando a ritmo di un insistente trillo.
Lasciò che l’assordante rumore riverberasse tra i ricordi della sua infanzia, poi, con una pesantezza atavica disinnescò la bomba sonora.
Non appena l’apparente silenzio tornò a regnare, la porta si spalancò.
«Max, è tardi!»
Maxine alzò lo sguardo, inspirando a fondo.
Sua madre era già pronta di tutto punto; probabilmente lo era dalla sera precedente. I capelli scuri raccolti in una crocchia tenuta insieme da un fermaglio in madreperla e il viso ringiovanito da un sostanzioso strato di trucco sembravano essere stati approntati ad arte per far apparire Vanessa Caulfield bella come non lo era da anni. Il vestito color lavanda, adornato da una spilla d’argento, le cadeva perfettamente e faceva risaltare il colore blu delle sue iridi, identiche a quelle della figlia.
«Buongiorno anche a te, mamma» sbadigliò la giovane, alzandosi ad abbracciare la genitrice.
«Non abbiamo tempo per queste moine, Max!» esclamò la donna, scansandosi ed afferrando un lembo del pigiama della figlia «Siamo già in ritardo e dobbiamo convincere tuo padre a cambiarsi quella orribile cravatta a quadretti!»
«È da più di un’ora che va avanti» mormorò Kate Marsh, eterna amica di Maxine, comparendo da oltre l’uscio «L’ho dovuta trattenere dallo sfondare la porta più di una volta.»
«Basta chiacchierare, dobbiamo cominciare con trucco e parrucco» si intromise Vanessa «Oggi è il grande giorno e non c’è più tempo da perdere.»
Concessale solo una breve capatina in bagno e senza possibilità verbale d’appello, Max venne trascinata dalla mamma e dall’amica verso l’equipe ingaggiata per l’occasione.
«Quanto mi piacciono i matrimoni» commentò estasiata Vanessa mentre la sua bambina si preparava ad essere acconciata per indossare l’abito bianco.

 
***
 
Il silenzio non era mai stato un grande protagonista della baia. Il ronzio dei motoscafi che sciamavano nel porticciolo, il rombo sfrecciante delle automobili lanciate lungo la strada costiera che tagliava in due la cittadina, i richiami squillanti degli stormi di uccelli, forse di ghiandaie blu native della zona, che rimbalzavano da un albero all’altro per sovrastare con il loro messaggio il flebile sciabordio del Pacifico, ogni elemento aveva la propria armonia.
L’infaticabile campanella sulla porta del Two Whales, il diner della cittadina, partecipava attivamente a quel concerto, trillando imperterrita per accompagnare l’andirivieni degli avventori della tavola calda: chi entrava per ordinare il solito caffè, chi usciva per cominciare il proprio turno lavorativo dopo aver consumato una sostanziosa colazione.
Increspando la superficie della tazza ricolma, Chloe sbuffò, portandosi le mani alla testa, infastidita dal continuo scampanio.
«Non è colpa mia, non dovevi sfidarmi a morra cinese» gongolò Stephanie, stiracchiandosi dal lato opposto del tavolino.
L’altra non ribattè, continuando ad inspirare a grandi boccate l’aroma della bevanda mattutina.
«Si tratta solo di una consegna, niente di impegnativo» cercò di indorarle la pillola «È l’unica della giornata, in fondo ti è andata bene non dover stare in negozio a subirti le chiacchiere dei soliti vecchietti.»
Chloe scoccò un’occhiata di fuoco alla Gingrich, facendole andare di traverso un boccone di pancake.
«Senti, le regole della morra cinese sono chiare» provò a difendersi l’amica «La prossima volta non scegliere “forbici” tre volte di fila.»
Con l’ennesimo sbuffo, la Price si portò la tazza alla bocca e assaporò un sorso di caffè.
«Brava la mia socia, vedo che ti sei rassegnata.»
La Price fece spallucce, sconfortata, e si spostò, scostandola dal volto, una ciocca blu. «Detesto i matrimoni.»
 
***
 
Gli invitati sembravano un mix quantomeno atipico: da vecchie signore imbellettate passando per elegantoni tirati a lucido fino ad arrivare a scalcagnati giovanotti in tenuta casual. Pareva che avessero poco a che fare gli uni con gli altri e non era difficile distinguere chi fosse di famiglia e chi, invece, fosse un amico o un collega degli sposi.
Al solito Christopher Eriksen sarebbe piaciuto molto fantasticare sulla vita che attendeva quegli individui una volta conclusa la cerimonia: chi sarebbe tornato a casa e avrebbe elencato, portata per portata, il menu alla propria madre; chi avrebbe segnato sul calendario il conto spese per il regalo di nozze e chi ancora sarebbe collassato sotto il gazebo, troppo ubriaco per rincasare.
Chris, però, quel giorno non riusciva a concentrarsi sui suoi soliti giochi di immaginazione. Quel cervellone di Owen Parker, lo stesso sbruffone saccente che non suggeriva a nessuno durante le verifiche, gli aveva fatto quella domanda solo per metterlo in crisi e la cosa stava funzionando alla grande.
Cosa succede se una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile?
Chris si stava scervellando da giorni, cercando di capire. Guardare la risposta su internet sarebbe stato come imbrogliare e Owen gliel’avrebbe rinfacciato a vita. Aveva provato a chiedere almeno un indizio a suo padre, ma a stento lo aveva degnato di attenzione. Aveva tentato di rintracciare qualcosa a riguardo in biblioteca, il luogo in cui la fatidica domanda era stata posta durante il settimanale raduno del suo gruppo per fare i compiti delle vacanze, ma niente.
Il mondo sembrava non sapergli dare una risposta.
La sua ultima possibilità risiedeva in colui che presto, anzi prestissimo, sarebbe divenuto parte della sua famiglia: Warren Graham.
Agli occhi di Chris, Warren era l’uomo più intelligente del mondo: sapeva tante cose di matematica, fisica, chimica e altre scienze. In fondo, chiedere a lui sarebbe stato come rivolgersi al computer, ma Owen gli aveva detto di non ricorrere a motori di ricerca e all’aiuto di parenti, però aveva tralasciato i giovanotti ancora non tecnicamente con lui imparentati.
La confusione era tanta, ma il ragazzino non ebbe problemi ad individuare colui che cercava. Warren attendeva davanti all’ingresso della chiesa, salutando e ringraziando a turno i presenti, affiancato da Eliot, il suo testimone.
Entrambi erano molto eleganti nei loro smoking neri e sorridevano spesso, ridacchiando tra loro, probabilmente commentando la condotta di qualche sconosciuto che ricordava loro un personaggio dei loro amati film di fantascienza.
A vederli così rilassati e felici, Chris pensò che qualcuno potesse scambiarli per una coppia appena sposata. Dopotutto, non ci sarebbe stato nulla di male. Probabilmente sua cugina Max sarebbe stata comprensiva e avrebbe addirittura dato la propria benedizione.
Camminando piano sul pietrisco dello spiazzo, per non rischiare di farsi male per colpa delle scarpe da cerimonia troppo strette, il ragazzino iniziò ad avvicinarsi, convinto di ottenere finalmente una risposta per l’annoso dilemma.
Chris inchiodò sui suoi passi quando notò che lo sposo veniva avvicinato da un’estranea.
Il giovane Eriksen non era mai stato tipo da affidarsi puramente alle apparenze, ma vedendo la chioma blu e i tatuaggi non potè fare a meno di reputare quella donna fantastica a prescindere. Sembrava uscita da uno dei suoi albi di fumetti, sarebbe stata la candidata perfetta per avere una doppia vita in cui salvava damerini o damigelle in pericolo da cattivoni e scienziati pazzi di ogni sorta.
«Lo sposo, presumo» la sentì dire, presentandosi a Graham «Sono Chloe Price, fioraia del Kabloom.»
Chris arricciò il naso, non vedeva molto la propria nuova eroina come semplice fiorista, ma poi stabilì che quello era il lavoro perfetto con cui mantenere una copertura da supereroe perché nessuno si sarebbe accorto della sua improvvisa scomparsa nel caso dovesse combattere il crimine.
«Molto piacere» replicò Warren, tendendo la mano «Io sono…»
«Eliot Hampden» si intromise quasi di corsa il testimone «Incantato di fare la tua conoscenza.»
L’amico aggrottò la fronte, sorpreso da quell’interruzione.
«Piacere» ribattè la fioraia, poi proseguì a parlare, ma il ragazzo non riuscì a cogliere le parole, sentendosi stritolare la testa in una sorta di morsa.
«Christopher!»
«Ciao, zia Vanessa» sussurrò, sentendo muoversi le braccia che lo avevano avvolto.
«Ma che bell’ometto che sei» commentò la signora Caulfield, scarmigliandogli i capelli biondi «Un vero figurino.»
«Grazie, zia» mormorò, risistemandosi come poteva la capigliatura.
«Vorrei tanto che mia cugina potesse essere qui per vederti» commentò la donna, spostando lo sguardo verso un punto indefinito «Emily sarebbe così orgogliosa…»
Al pensiero di sua madre, venuta a mancare anzitempo, Chris sentì il petto farsi pesante. Non voleva pensare a lei in quel momento perché altrimenti sarebbe scoppiato a piangere e invece doveva essere felice, per Max e Warren.
«Scusa, zia, devo andare» disse precipitosamente, tornando alla propria missione.
Puntando di gran carriera lo sposo, il piccolo Eriksen riuscì finalmente a raggiungere l’obiettivo. La donna dalla chioma blu stava discutendo con Eliot, chiaramente più interessato a far colpo su di lei che non al garofano rosso che gli veniva appuntato all’occhiello.
«Warren!» esclamò il giovanotto, riuscendo finalmente ad ottenere l’attenzione dell’uomo «Volevo farti gli auguri per oggi.»
«Grazie, piccoletto» gli sorrise «Sei contento di avermi ufficialmente nella tua bella famiglia?»
Lui annuì. «Molto, ma non è di questo che ti volevo parlare. Ho una domanda difficile, cortesia di Parker.»
«Spara.»
Chris prese una profonda boccata d’aria. «Cosa succede se una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile?»
L’interpellato piombò in un meditabondo silenzio.
Gli occhi chiari di Christopher si spalancarono in supplice trepidante attesa.
«Non ne ho la più pallida idea, mi dispiace» sospirò Graham, ciondolando un po’ sul posto «Ci penserò su e ti farò sapere.»
Il ragazzino rimase sconcertato, era certo che Warren avesse la risposta.
«Non può accadere.»
Sorpreso, Chris fissò la fiorista. «Perché?»
«Se c’è qualcosa che non può essere fermato, non è possibile che ci sia qualcos’altro che non può essere mosso e viceversa» gli spiegò lei con naturalezza «Non possono esistere entrambi nello stesso sistema di riferimento.»
Eriksen inclinò lievemente il capo. Dalla camicia scura con le maniche rimboccate, che lasciavano a vista i tatuaggi, e i jeans con qualche strappo, probabilmente non dovuto ad una scelta di moda, mai avrebbe potuto intuire di avere a che fare con un genio.
«Non è questione di essere intelligenti» sembrò quasi leggergli nel pensiero «È una vecchia domanda trabocchetto. Chiunque te l’abbia fatta voleva chiaramente metterti in difficoltà, perciò suggerirei di annodargli i lacci delle scarpe mentre è distratto, la prossima volta che lo incontri.»
Nei suoi nove anni di vita, Chris non era mai stato innamorato, ma in quel momento comprese cosa dovevano provare gli adulti quando parlavano di “colpo di fulmine”.
«Vuoi sederti vicino a me?» le chiese, indicando la folla che si avviava all’interno.
La fioraia gli sorrise e si lasciò condurre, mano nella mano.

 
***
 
Come fosse finita dall’addobbare la navata con calle e rose bianche a sedere sulla panca in prima fila accanto ad un ragazzino logorroico che la subissava di domande, Chloe non se lo seppe spiegare. Ricordava di aver acconsentito ad accompagnarlo all’interno, ma non aveva previsto di essere, a quel punto, presa prigioniera ed essere trasformata in un’enciclopedia ambulante.
«Perché l’alfabeto è ordinato in questa maniera?»
Sembrava che il biondino avesse in serbo un interrogatorio ad hoc per mettere alla prova anche il più preparato dei secchioni. Era a malapena riuscita a farsi dire il nome, “Chris, mai Christopher”, e a quel punto il giovincello si era lanciato in una sequela di quesiti senza quasi prendere fiato.
«Puoi urlare nello spazio?»
Alcune erano domande a cui avrebbe saputo rispondere, altre erano ai limiti dell’assurdo.
«In uno scontro tra il superuomo di Nietzsche e Spiderman, chi avrebbe la meglio?»
La Price gli sorrise. Chris le piaceva ed era sicura che, col tempo ed una discreta calmata, sarebbe diventato un tipo davvero in gamba.
L’improvvisato quiz venne interrotto quando una donna di mezza età, in un appariscente abito lilla, si accomodò accanto al bambino apostrofandolo con una frase che non ammetteva repliche: «Christopher, la cerimonia sta per cominciare, credo sia ora di congedare la tua nuova amica.»
Chloe fissò Chris ed annuì, come a rassicurarlo. «Vado a preparare gli ornamenti floreali per la sala del ricevimento. Ci vediamo dopo, così potrò provare a rispondere a qualcuna delle tue domande.»
Gli occhi del giovane Eriksen si illuminarono di felicità e il suo viso fu invaso da un prepotente sorriso. «A dopo, Chloe» mormorò contento.
La fioraia si alzò, intenzionata ad allontanarsi percorrendo la navata laterale senza dare nell’occhio, ma notò solo allora il silenzio calato all’interno della chiesetta e lo sguardo trepidante dello sposo e degli invitati, tutti rivolti all’entrata.
Tra le pareti adorne di croci e di mosaici, iniziò a risuonare l’inconfondibile marcia nuziale.
Come un sol uomo, la folla si mise in piedi e osservò, in religioso silenzio, l’incedere della sposa, accompagnata dal padre.
L’uomo in completo scuro, abbinato ad una cravatta a quadretti il cui gusto sarebbe stato dai più ritenuto opinabile, era imponente e torreggiava sui presenti come una montagna. Il suo passo era lento e sicuro, ma il suo volto tradiva l’emozione del momento, l’incombenza del lasciar andare la propria bambina tra le braccia di qualcun altro.
Appoggiata al braccio del gigante, la protagonista di quella favola moderna procedeva verso l’inizio di una nuova avventura. Il candore del vestito sembrava rimarcare quell’idea di rinnovo, le infinite possibilità di una pagina ancora non scritta.
Imbambolata come gli altri presenti, la Price non potè fare a meno di complimentarsi con se stessa per il bouquet, le cui rose e calle richiamavano il resto dei fiori di decorazione, ma i cui gigli posti al centro della composizione, spiccavano con la stella arancio che si originava dal loro calice. Quella nota di colore spezzava la nivea nitidezza della sposa e richiamava il fiore solitario che il parrucchiere, secondo istruzioni, aveva provveduto ad integrare nell’acconciatura.
Chloe si domandò cosa stesse provando la giovane donna in quell’istante, nel suo giorno speciale, nel momento in cui sarebbe dovuta essere all’apice della felicità. Avrebbe voluto scorgerne gli occhi per potervi leggere l’impazienza e la contentezza di raggiungere il futuro marito all’altare, ma la brunetta aveva lo sguardo basso. Pareva assorta nel bouquet che stringeva tra le mani e forse, pensò la Price con sordo timore, non lo trovava di proprio gusto. D’altronde, era stata la madre a fare l’ordine per la cerimonia e le aveva lasciato campo libero riguardo la composizione. La fioraia aveva scelto di non azzardare, attenendosi a scelte classiche, ma il tocco dei gigli era stato particolarmente ispirato, come dettato da una forza superiore.
Istintivamente, come faceva sempre quando non si sentiva a proprio agio, Chloe si passò una mano tra i capelli, scuotendo le ciocche celesti in un turbinio che passò inosservato ai più, ma che catturò l’interesse di un paio di occhi blu.
Maxine notò il movimento all’estremità del proprio campo visivo e non riuscì a resistere alla tentazione di spostare lo sguardo verso sinistra, dove nella penombra della navata laterale si celava un’invitata imprevista.
Le due donne si incrociarono per un istante, il tempo di uno scambio di sguardi e dello sbocciare di un sorriso, poi Max si voltò in avanti verso l’altare, mentre la Price diede le spalle all’abside per dirigersi all’uscita.
Quando la sposa si girò un momento, prima di dare il via alla cerimonia, non riuscì a scorgere più segno della misteriosa figura dai capelli turchini.

 
***
 
Dopo aver trascorso buona parte della mattina a sistemare i centrotavola fioriti e il resto delle decorazioni, Chloe si sarebbe dileguata ben volentieri. Sarebbe passata al negozio per lasciare il materiale avanzato e avrebbe rifilato a Stephanie il compito di andare a ritirare i vasi una volta conclusa la festa, concedendosi così una mezza giornata di assoluto riposo.
Ma l’universo aveva per lei ben altri piani.
L’innocente promessa fatta a Christopher l’aveva trattenuta fino al termine della cerimonia in chiesa e le domande del giovane Eriksen l’avevano impegnata per tutta la durata del set fotografico della coppia felice.
I preparativi per il pranzo erano ormai a buon punto, quando la donna riuscì finalmente a placare l’esuberanza del ragazzino.
«Vado a prendere qualcosa da bere, Chris» gli disse «Tu intanto prova ad infilare qualche gamberetto viscido nelle tasche degli ignari invitati.»
A lui piacque molto quel suggerimento e, architettando qualche tiro vispo, si allontanò in direzione del tavolo degli antipasti.
Sospirando, la fioraia si diresse dritta verso la colossale ciotola di punch che aveva adocchiato fin da subito, augurandosi con ogni fibra del proprio corpo che il contenuto rosato fosse estremamente alcolico.
Schivando e dribblando piccoli capannelli di presenti intenti a chiacchierare, si ritrovò di fronte ad una scena a dir poco comica: con la fronte corrugata per la profonda concentrazione, facendo attenzione a non far schizzare il liquido colorato, la sposa era piegata sul contenitore intenta ad impugnare il mestolo quasi fosse un’arma per attaccare ed agitare il contenuto.
I cubetti di ghiaccio tintinnavano contro la superficie di vetro mentre i pezzi di frutta sul fondo roteavano in un’elegante danza quasi a tempo con le canzoni, a malapena ballabili, propinate dal DJ.
La sventurata era talmente assorta in quel bizzarro rituale da non accorgersi minimamente di quanto le accadeva intorno e rimase, dunque, molto sorpresa quando una mano le si posò dolcemente sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
Scattando come una molla, Maxine si voltò per fronteggiare la sconosciuta, proteggendo con la schiena quello che sembrava essere il suo tesoro più grande.
«Ciao» disse l’enigmatica ragazza dai capelli colorati, quasi non sapesse come avviare la conversazione.
«Ciao» replicò d’istinto la novella sposa, schiudendosi in un sorriso un po’ nervoso.
Chloe si trovò spiazzata, dimentica della ragione che l’aveva spinta verso quel tavolo in primo luogo. Il clamore della festa e le luci asettiche del salone svanirono, lasciando spazio solamente all’eco tanto lieve quanto dolce di quel semplice saluto e allo scintillio delle iridi blu della donna che aveva davanti.
Quando il silenzio si posò tra loro, il dialogo proseguì a colpi di rapide occhiate che generarono involontarie smorfie che, a propria volta, mutarono in leggere risate.
Nessuna delle due si era mai trovata tanto in sintonia con qualcuno senza bisogno di scambiarci una parola, era come se avessero discusso dei massimi sistemi in un semplice battito di ciglia.
Domato l’imbarazzo e ripreso il controllo del proprio cervello, pericolosamente propenso a lasciarsi distrarre dalle lentiggini che arricchivano il viso della sposa, la fioraia decise di riprendere le redini del discorso: «Non ci siamo presentate» tossicchiò, trovandosi improvvisamente ad avere la gola secca «Sono Chloe.»
«Max» rispose l’altra annuendo debolmente, come se servisse a confermare la veridicità del nome.
La Price assaporò quel nomignolo e lo trovò molto di proprio gusto. «Mi sono occupata dei fiori» commentò, sentendosi in dovere di aggiungere qualcosa.
«Ah, sì?» osservò Maxine, portando involontariamente una mano a sfiorare il giglio che le adornava l’acconciatura «Sono davvero splendidi, sia quelli decorativi, sia quelli del bouquet.»
Per un altro istante, la fiorista si perse nella limpidezza di quegli occhi, poi si risvegliò dalla trance, ricordandosi il motivo per cui aveva attraversato la sala intera.
«Comunque, ero qui solo per prendere uno di questi…»
Chloe si sporse in avanti per afferrare uno dei bicchieri di plastica posti accanto al contenitore di vetro, tendendo verso il mestolo per versarsi da bere.
La Caulfield si irrigidì all’improvviso, tornando vigile guardiana del punch. Allo sguardo perplesso della nuova conoscenza ribattè con un cenno di diniego con la testa, augurandosi che non si notasse il suo nervosismo.
L’altra aggrottò la fronte. «Senza offesa per te e i tuoi ospiti, ma se devo affrontare un’altra ora di questo caos prima di pranzo, ho bisogno di un drink o anche due.»
«Ti sconsiglio questo punch, è pessimo.»
«Quale punch non lo è?» ghignò la giovane dai capelli azzurri «Ho bevuto di quelle brodaglie in passato che non puoi neanche immaginare…»
«No, non capisci!» si oppose nuovamente Max «Non puoi proprio berlo.»
«Ok…» la assecondò la Price «C’è qualche problema?»
L’incurvarsi delle spalle ed il rossore sulle guance della sposa furono una risposta esauriente.
«Posso darti una mano?» propose «Volendo te ne posso offrire anche due.»
Un verso di sollievo lasciò le labbra della Caulfield che subito passò in modalità complotto, facendo cenno all’altra di avvicinarsi.
«Il mio anello» le spiegò «Stavo per prendere una mestolata di questo schifo quando mi è scivolato via dal dito.»
«Intendi la fede nuziale?» si meravigliò la fiorista, notando solo allora l’anulare spoglio.
«È caduta dentro, ancora non capisco come.» Rimestò il fondo generando un piccolo vortice. «Mi sono sposata da meno di due ore e già ho perso la fede.»
«Hai provato a ripescarla?»
Maxine annuì sconfortata.
«E, naturalmente, svuotare quella roba da sola richiederebbe troppo tempo e un fegato da paura…»
La sposa assunse un’espressione via via più sconsolata.
«Beh, resta solo una cosa da fare» sentenziò Chloe, portandosi le mani sui fianchi e gonfiando il petto.
«E sarebbe?» pigolò l’altra.
«Vado in immersione.»
La fioraia si sistemò le maniche della camicia, già rimboccate, attirando l’attenzione sul tatuaggio che le adornava per intero il braccio destro.
«Coprimi!» esclamò, cacciando coraggiosamente entrambe le mani dentro l’intruglio.
«Non puoi…» contestò debolmente Max, realizzando quasi istantaneamente di non aver più voce in capitolo.
«Maxine Graham!» la sorprese una voce alle spalle «Già ad annegare i tuoi dispiaceri nell’alcol?»
Le suonò strano l’essere chiamata con il cognome di Warren, prima di allora era sempre stata Max Caulfield e mai si sarebbe sognata di essere qualcosa di diverso. «Mi fa piacere vederla qui, signor Edwards» salutò il capo di suo marito «Spero si stia godendo la festa.»
«Decisamente, ci sono tante belle pollastrelle» sogghignò maliziosamente «Sarebbe difficile annoiarsi.»
Non le era mai piaciuto quel tipo. Era l’ingegnere capo del laboratorio di Warren e dal primo istante in cui lo aveva visto le era stato chiaro che fosse uno sciupafemmine convinto del proprio fascino, coronato dai capelli impomatati ad arte e dai baffi a manubrio.
«Ho proprio bisogno di rinfrescarmi, devo chiacchierare ancora un po’ prima di riuscire a concludere e non posso farlo da sobrio.»
Chloe colse per intero quel discorso e sentì i brividi dalla radice dei capelli fino alla punta delle scarpe. Voleva intervenire con un bel pugno, ma sarebbe probabilmente stato fuori luogo. Ad ogni modo, non poteva lasciare che quel tizio facesse il viscido con la sua nuova amica nel giorno del suo matrimonio.
Con destrezza, individuò l’anello in mezzo al rimestare di ghiaccio e frutta, lo afferrò con la mano sinistra e, gocciolante, cercò di asciugarlo al meglio con l’orlo della camicia. Quando lo reputò sufficientemente sistemato, si spostò da davanti la ciotola portandosi al fianco della Caulfield e, con un gesto quasi naturale, le infilò l’anello al dito mentre l’irrispettoso ospite la teneva distratta.
«Salve» si intromise, drizzando la schiena per apparire più intimidatoria.
«Parlando di pollastre…» gongolò Edwards.
«Lei è Chloe» la presentò Maxine, quasi fosse suo compito giustificarne l’intrusione «Si occupa dei fiori.»
«Io sono Ted, ma puoi chiamarmi come più ti aggrada» tentò di fare lo splendido porgendo la mano alla fiorista.
«Sono certa che non ti chiamerò affatto» replicò lei, ricambiando la stretta con entrambe le mani ancora grondanti di punch.
Inorridito, più dalle parole che non dall’inaspettato viscido contatto, il signor Edwards si dileguò con la coda tra le gambe.
La Price sorrise soddisfatta e la sua gioia aumentò esponenzialmente quando udì la risata di Max.
«Adesso te lo sei proprio meritato quel drink» affermò la sposa.
«Mi è passata la sete, chissà cosa c’è finito in quella ciotola…»

 
***
 
Dopo appena un paio di minuti di chiacchiere generali, Chloe, con estremo disappunto, si vide sottrarre Max da davanti, trascinata a viva forza da un qualche parente che insisteva di voler ballare con lei quella specifica canzone.
Rimasta sola, la Price si guardò intorno, indecisa se cercare un’altra fonte di alcol o scovare un buon nascondiglio per non farsi trovare per almeno un’altra mezz’ora da Chris e la sua valanga di domande. Individuò un gruppo di sedie vuote piuttosto in disparte dal centro del salone, tramutatosi in pista da ballo, che erano convenientemente vicine ad una colonna ottima per schermarsi dalla folla.
Cacciandosi le mani in tasca, nonostante fossero ancora umidicce e appiccicose per il punch, si diresse verso l’oasi di pace designata.
Si domandò cosa la stesse spingendo a restare. Non aveva altro da fare, poteva tranquillamente tornare a casa a dormire, o magari passare a salutare sua madre, o, meglio ancora, recuperare una birra per andare a sorseggiarla all’American Rust come faceva ai tempi del liceo.
Provò a convincersi che fosse l’allettante promessa del pranzo, che aveva tutta l’aria di essere un ricco convivio, visti i profumi che già si andavano diffondendo dalla cucina della struttura, ma ben sapeva di mentire a se stessa, anche perché non era stata formalmente invitata.
Voleva restare per le persone. Due persone. Un ragazzino particolarmente vivace, e forse un po’ assillante, ma decisamente sveglio e la donna più interessante che avesse incontrato negli ultimi mesi, per non dire anni.
L’aveva colpita all’istante. Forse era stato il bouquet, forse il giglio tra i suoi capelli, o forse era stato qualcosa di indescrivibile, una sensazione totalizzante, una forza inarrestabile, come se una parte di lei già sapesse di voler fare la conoscenza di Max. Maxine Caulfield, come dicevano le numerose partecipazioni appese all’ingresso. Maxine Graham, ora che era legalmente maritata.
Storse il naso.
Caulfield era molto più armonico e le piaceva decisamente di più.
Stava per tirarsi uno scappellotto da sola per evitare che il suo cervello cominciasse a cadere in assurde considerazioni, quando una mano aliena le prese il braccio.
Il suo corpo reagì d’istinto, facendole fare un balzo indietro e serrare i pugni, pronta a stampare un colpo in faccia a chiunque fosse stato tanto folle da osare toccarla senza permesso.
«Salve» disse il testimone dello sposo, a metà tra un sorriso e un’espressione terrorizzata per via della reazione ostile della fiorista «Volevo chiederti di venire a ballare.»
«È una domanda o mi stai informando di un fatto?» replicò duramente lei, scrollandosi di dosso la mano ancora arpionata alla manica della sua camicia.
«È una domanda, credo?» balbetto Eliot.
La Price scosse la testa, sconcertata dall’incompetenza di quel giovanotto nell’approcciarsi ad una donna. Doveva essere parecchio disperato.
«Senti» gli rispose, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia «Non ho voglia di andare in pista. Perché non vai a chiederlo a qualche damigella? Ce ne saranno tante pronte a concederti un ballo.»
Lui boccheggiò, cercando una replica per convincere la fioraia a cambiare idea.
«Non mi importa se questa è la tua canzone preferita, la colonna sonora della tua vita o qualsiasi altra trovata ti passi per la testa pur di persuadermi» continuò lei «Qui stai ad abbaiare contro l’albero sbagliato.»
Il testimone non comprese appieno quelle parole e porse comunque la mano per invitarla ad un lento.
«Con me, Chloe! Balla con me!» intervenne una provvidenziale vocina esaltata appartenente ad un ben noto ragazzino.
«Mi dispiace» mormorò allora la Price ad Eliot «A quanto pare ho già un altro cavaliere.» Senza indugiare, seguì Chris che si esibì in diverse impacciate mosse da robot che però servirono a rallegrare molto l’animo della sua amica.
Dopo essersi scatenati a ritmo di un paio di canzoni dai toni rock, quando il DJ iniziò a passare un lento dopo l’altro, il piccolo Eriksen e la sua dama si accomodarono sulle sedie da lei tanto agognate.
«Ormai dovremmo andare a mangiare» gongolò lui, pregustando il lauto pasto «Zia Vanessa mi ha detto che ci saranno un sacco di cose buone e potrò fare il bis tutte le volte che voglio.»
Chloe distolse lo sguardo dal sorriso del bambino per sbirciare la sposa, intenta a dondolare abbracciata al marito seguendo le note di una ballad.
«Ti fermi per il pranzo, vero?» le chiese speranzoso «Potremmo sedere vicini e parlare di supereroi! Te l’ho detto che mi piacciono un sacco?»
La fiorista si lasciò coinvolgere in una discussione su chi fosse il più forte tra i supereroi, difendendo gli esponenti della vecchia scuola contro la schiera di nuovi meta-umani sostenuti da Christopher.
Erano nel bel mezzo di un dibattito su chi avesse creato l’alter ego più fenomenale, rispettivamente Power Girl e Captain Spirit, quando si resero conto che la musica era scemata e che gli ospiti stavano migrando verso la sala interna apparecchiata per il banchetto.
«Pronto? Pronto? È acceso questo coso?» Dagli altoparlanti si diffuse uno stridio, come di apparecchiatura elettronica mal sistemata «Vorrei invitare tutti a prendere posto. I primi piatti verranno serviti a breve.»
«Forza, andiamo!» esultò Chris.
«Ti accompagno» gli disse la donna «Ma non sono sicura di restare.»
«Perché no?» piagnucolò lui.
La Price non voleva mentirgli spudoratamente, ma, vedendo con la coda dell’occhio gli sposi prepararsi a fare un discorso ai presenti, sentì lo stomaco annodarsi e il suo desiderio di fuga divenne impellente.
«Non ti sono simpatico?» domandò Christopher, sull’orlo del pianto «Pensavo fossimo amici.»
«Ma certo che siamo amici, ometto» replicò, tirandogli un delicato pugno sul braccio «Potremmo anche decidere di diventare un inarrestabile duo di supereroi per combattere il crimine fianco a fianco, ma adesso devo tornare in negozio.»
«Oh, capisco» capitolò il giovane Eriksen, infossando la testa nelle spalle «Non puoi neanche restare per il primo?»
«Temo di no, devo andare subito o mi toccherà sgattaiolare via durante il discorso della coppia felice e non sarebbe molto educato.»
Il ragazzino annuì, comprensivo. «Allora, ciao. Spero di vederti presto.»
«Puoi passare dal Kabloom ogni volta che vuoi, mi trovi sempre lì» gli sorrise la fiorista.
«Posso venire per farmi aiutare se Owen Parker mi fa un'altra domanda difficile?»
«Ma certo, Chris, sarai sempre il benvenuto.»
Il microfono fischiò, mentre Warren cercava di approntarlo alla giusta altezza.
«Adesso devo proprio andare.»
«Ciao, Chloe!»
«Stammi bene, scricciolo.»
La fioraia zigzagò tra i tavoli, raggiungendo il fondo della sala, dove la provvidenziale uscita l’attendeva.
«Innanzitutto vorrei ringraziare tutti per essere qui.»
Le parole dello sposo pervasero lo spazio.
«Non mi sarei mai voluto sposare per la paura di dover tenere un discorso come questo, ma ormai ci siamo e non posso tirarmi indietro.»
Dalla sala si levò una leggera risata.
«Sapete chi era ancora più spaventata all’idea di dover parlare di fronte a tante persone? La mia bella mogliettina.»
L’attenzione di tutti si spostò verso Max, che arrossì assumendo il colore dei carapaci delle aragoste che sarebbero state servite di lì a breve.
«E proprio per questo motivo voglio che sia lei ad intervenire adesso, poiché abbiamo giurato di condividere tutto, compresi questi momenti di terribile ansia ed imbarazzo.»
La Caulfield si ritrasse nella sedia, per nulla intenzionata a stare al gioco. Warren sapeva quanto la terrorizzasse parlare in pubblico.
«Forza, un applauso per Max!» incitò Graham, dando il via al battimani.
La Price aveva un piede già fuori dal salone, ma non riuscì a trovare la forza di compiere il passo necessario ad andarsene.
Riluttante, Maxine si alzò in piedi e avvicinò il microfono a sé. Passò lo sguardo lungo tutta la sala, rabbrividendo. Fu un flash di blu lontano a darle il coraggio di deglutire ed articolare una prima, stentata frase. «Salve» esordì «Come già detto da Warren, non sono molto a mio agio con i discorsi, perciò sarò breve.»
Calò il silenzio.
«Ho atteso a lungo questo giorno e sono felice di poterlo condividere con le persone che amo» proseguì «E anche con qualche volto nuovo ed imbucati dell’ultimo minuto.»
Chloe si sentì chiamata in causa ed abbozzò un sorriso.
«Conosco Warren da molto tempo» tornò a parlare la sposa «E lo conoscerò per tutto il resto della vita, come amico e come compagno.»
Qualcosa in quelle parole punzecchiò la fiorista, che comunque non riuscì a schiodarsi dall’uscio.
«Si dice sempre che le favole arrivino ad un lieto fine, dopo qualche intoppo lungo la strada, ma per noi è stato diverso: siamo diventati amici, poi una coppia e adesso una famiglia; eppure è stato un percorso sereno, privo di ostacoli.»
Maxine inspirò a fondo, sollevando il bicchiere.
«Forse la nostra è una favola più riuscita delle altre, perciò vi invito a brindare a noi due e alla nostra storia, che abbia un lieto seguito.»
La folla brindò con lei mentre la donna dai capelli blu si allontanava con le mani nelle tasche.

 
***

 
NdA: comincerò da dove è più corretto, cioè dall'inizio. Questa storia è (quasi) interamente basata sulla trama del film "Imagine Me and You", commedia romantica inglese del 2005; gli eventi sono stati adattati in modo da includere il più possibile i personaggi di "Life is Strange" (e il piccolo Chris da "Captain Spirit"), senza però stravolgere la continuità dell'intreccio dell'opera originale. Per qualsiasi dubbio o chiarimento resto a disposizione, come sempre.
Passando a piccole considerazioni e note secondarie: i titoli dei capitoli, come già capitato per una storia passata, prendono origine da nomi di fiori, di cui viene indicato il significato tra parentesi. Ho eseguito diverse ricerche a riguardo, ma non mi reputo esperta in materia di pollice verde, perciò mi scuso per eventuali errate interpretazioni che possano andare ad offendere fioristi e affini.
Due righe per spiegare il perché di tutto questo: "Imagine Me and You" è stata la prima commedia LGBTQIA*+ in cui mi sia imbattuta ed è quella a cui sono rimasta più legata negli anni, trovando nella sua semplicità un calore ed un conforto in grado di aiutarmi durante momenti difficili. Avevo in cantiere questo progetto da tempo e, sebbene mi fossi ripromessa di concentrare le mie energie su "Sinners' Heaven", ho sentito il bisogno di proporre anche questa piccola storiella. Dico "piccola" perchè dovrebbe comporsi di soli cinque capitoli che, non me la sento di giurare, penso di pubblicare a distanza di una settimana a partire da oggi. Una sorta di sfida tra me e le scadenze.
Credo di aver detto tutto l'importante, mi resta solamente da ringraziare dal profondo del cuore wislava per essere la miglior beta del mondo, la più incredibile amica e supporter che si possa desiderare e per non essersi ancora stancata di me e delle mie idiozie. Spero che anche voi, miei cari lettori, non vi siate stufati di me e a chiunque sia arrivato qui dedico un enorme grazie per rendere questo mio sfogo da scrittrice un po' più sensato.
Universo permettendo, spero di ritrovare tra una settimana chiunque si lasci coinvolgere da questa commediola ed auguro a tutti voi e a chi vi sta vicino di essere in salute e superare indenni questa pagina triste della storia umana.

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Capitolo 2
*** Lily of the Incas ***


Lily of the Incas
[Legame duraturo]

 
 
La saracinesca del Kabloom si alzò con il consueto frastuono metallico, facendo sparire l’elaborato graffito di un bocciolo di rosa esploso in decine di petali, disegno ispirato al nome del negozio.
Chloe era molto fiera di quella propria opera ed era ben contenta di vederla ad accoglierla ogni mattina da tre anni a quella parte.
Arcadia Bay non aveva mai avuto un gran mercato floreale e perciò l’idea di aprire un posto dedicato interamente alle piante era stato un azzardo. Lei e Stephanie, la sua socia in affari e collega, avevano avuto una partenza faticosa, tra permessi, prestiti e trovare una linea coi fornitori, ma presto le cose erano decollate, rendendo il Kabloom il signore indiscusso del settore. Molti sceglievano ancora di acquistare mazzi preconfezionati al supermercato, ma tra gli abitanti della cittadina si stava sempre più diffondendo la preferenza per le composizioni della Price.
La vita, almeno sul fronte lavorativo, andava al meglio.
La fiorista aprì la porta di vetro ed entrando inspirò il profumo delle piante in negozio. I vasi da esposizione erano ancora vuoti, in attesa dei fiori più freschi, appena presi dal vivaio, mentre il resto dello spazio era occupato da ciuffi di aromi, cactus ed altre piante da interno. Ad un occhio inesperto sarebbe apparso come una piccola giungla rinchiusa dietro la parete trasparente di qualche zoo, ma Chloe conosceva la disposizione di ogni singola foglia e ramo, rendendo quel caotico trionfo floreale il suo sicuro ed accogliente regno.
Sbadigliando, abbandonò la giacca di pelle sul bancone, giocherellando con le chiavi per aprire la porta che dava sul magazzino.
Altri fiori e piante le diedero il benvenuto in un ambiente più raccolto, in attesa di essere promossi alla vendita, condannati, altrimenti, a godere solamente della poca luce proveniente da una finestra che dava sul piccolo parcheggio.
La proprietaria aprì il passaggio sul retro, trovandosi così davanti al pickup che aveva sapientemente parcheggiato.
Come ogni mattina, scaricò gli ultimi arrivi del vivaio e li depositò nel retrobottega, per sistemarli meglio in seguito. Ripercorse i propri passi ed andò ad aprire la cassa, verificando che il denaro lasciato la sera precedente fosse ancora lì. Infine, stiracchiandosi, tirò fuori dalla tasca l’accendino e una sigaretta. Quella era la parte conclusiva del suo rituale.
Si piazzò davanti all’entrata, come sempre, appoggiandosi alla vetrina. Steph la criticava ad ogni occasione perché, in un gesto quasi naturale, sollevava il piede sinistro, appoggiando la scarpa conto il vetro, che ne restava conseguentemente segnato.
Ma Stephanie non era lì a sgridarla, quel giorno.
Inspirò il fumo e lo soffiò in piccoli sbuffi.
Cominciava a fare freddo, per essere solo la prima settimana di settembre. Non era un weekend del Labor Day particolarmente rigido, ma decisamente meno arroventato delle ultime giornate di agosto.
Era un periodo piuttosto attivo, per quanto riguardava feste ed eventi, perché la gente voleva approfittare del clima ancora clemente, ma non soffocante come quello dell’estate. Stranamente, però, non aveva in programma grandi consegne per tutta la settimana seguente.
L’unico impegno fisso era quello della domenica mattina: la visita del suo nuovo, giovanissimo, protégé.
Estrasse il telefono e controllò l’orario, per vedere quanto tempo le restava prima dell’arrivo del terremoto. Lo schermo si illuminò segnando le sette e ventisette. Aveva ancora mezz’ora per assicurarsi che gli ultimi arrivi avessero abbastanza acqua e per disporre qualche nuova composizione nei vasi a vista.
Consumò in fretta ciò che restava della sigaretta e la spense raschiando il mozzicone contro il muro, lanciandolo poi con un esperto colpo di dita dentro il cestino all’angolo della strada.
Osservò la carreggiata, quasi sempre deserta. Proseguendo oltre il Kabloom si poteva solamente raggiungere il cimitero o il faro che dominava il promontorio, entrambi luoghi poco ambiti dai locali che preferivano stare alla larga sia dal camposanto, sia dalla vecchia lighthouse. Si vociferava che fossero entrambi infestati dagli spettri.
La Price si passò una mano tra i capelli. Di fantasmi ne aveva già a sufficienza nella propria testa.
Si distrasse sistemando le nuove piante e rassettando dopo averne potato le foglie e i rami secchi, il tempo passò più in fretta canticchiando qualcuna delle sue canzoni preferite rimaste nel suo lettore mp3 dai tempi del liceo.
Quando si accorse che le otto erano ormai vicine, tirò fuori lo sgabello su cui faceva accomodare il proprio pupillo e gli approntò uno spazio di modo che potesse fare i compiti o disegnare.
Come per ogni cosa che riguardava Chris, Chloe faceva fatica a raccapezzarsi su come si fossero svolti esattamente i fatti, specificatamente: come avesse finito di fare da babysitter al ragazzino mentre il padre era impegnato a fare chissà cosa. Trovava difficile che il signor Eriksen avesse improrogabili obblighi di lavoro la domenica mattina, sembrava voler solamente scaricare il figlio a qualcun altro.
Il rombo di un motore lungo la strada le fece alzare la testa.
Udì il rumore delle ruote mordere la ghiaia del parcheggio, ma, con sua sorpresa, invece di sentire il borbottio dell’automobile tornare verso la città dopo aver fatto scendere Christopher, colse un vociferare e un suono di passi che non poteva appartenere solamente al giovanotto.
Una testolina bionda sorridente fece capolino dalla porta principale.
«Ciao, Chloe!»
«Bentornato, mio apprendista» lo salutò lei, sbirciando alle sue spalle la figura che lo scortava «E un sincero benvenuto alla leggiadra dama che ti accompagna.»
Il piccolo Eriksen si voltò. «Max, questa è Chloe.»
«Sì» sorrise pacatamente la Caulfield «Già ci conosciamo.»
«È un piacere rivederti» disse la Price, andando ad accogliere i due per tendere la mano alla donna.
«Altrettanto» ribattè l’altra, stringendo la mano che le veniva offerta.
«Ammetti che hai accettato di stringerla solo adesso che sei sicura che non sia stata immersa nel punch» mormorò la fiorista sogghignando.
Maxine rise, mettendosi poi a giocherellare con la fede, che senza quella eccentrica ragazza non sarebbe altrimenti riuscita a recuperare.
«Chloe?» domandò Chris, sentendosi un po’ messo da parte «Ho finito tutti i compiti per le vacanze, cosa posso fare oggi?»
«Prendi pure il blocco da disegno nel primo cassetto» gli rispose, senza prestargli particolare attenzione «Puoi usare i colori che trovi nell’astuccio sul banco.»
Il bambino ringraziò, ma si accorse che né la sua amica né sua cugina si stavano curando di lui, troppo prese dallo studiarsi a vicenda.
«Allora» riavviò la conversazione la fioraia «Come mai qui?»
«Ho accompagnato Chris.»
«Questo mi pare evidente» commentò la proprietaria del negozio, inarcando un sopracciglio «Intendevo chiedere come mai tu abbia deciso di accompagnarlo dentro. Di solito suo padre lo scarrozza nel parcheggio e se ne va.»
«Oh… Volevo passare a salutarti» si giustificò Max «E ringraziarti ancora dell’ottimo lavoro fatto con le decorazioni del matrimonio.»
«Ma figurati, l’assegno che mi ha lasciato tua madre è stato un ringraziamento più che sufficiente.»
La Caulfield si rese conto di non riuscire a smettere di sorridere.
«Quindi… Adesso che mi hai salutata, vuoi restare qui a sorvegliare Captain Spirit o torni a casa a preparare il pranzo domenicale per il tuo maritino?» domandò la Price, quasi controvoglia.
«Oh, no, nulla di tutto ciò…» replicò Maxine, ma il suggerimento di cucinare un pasto le fece venire in mente una brillante idea. Già dal matrimonio, aveva notato come il miglior amico di Warren, Eliot Hampden, fosse rimasto colpito da Chloe ed allora decise di compiere quella che sembrava una buona azione: fargli rincontrare la ragazza per cui aveva preso una bella sbandata.
La fiorista vide cambiare l’espressione dell’ospite ed iniziò a preoccuparsi, non sapendo a cosa stava per andare incontro.
«Però, sarebbe un piacere per noi averti questa sera a cena» affermò Max con una determinazione e una sicurezza di sé che raramente si presentavano «Sempre ammesso che tu sia libera.»
La donna si passò una mano nella chioma blu. Quella era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di sentire.
«Sarebbe un modo per ripagarti personalmente» tentò di giustificarsi l’altra, interpretando il silenzio come un principio di rifiuto «E per convincere Warren a sfruttare il tavolo della sala che i suoi genitori ci hanno regalato per le nozze.»
«Certo» si sbloccò la fioraia «Non sia mai che la tavola resti inutilizzata.»
«Allora verrai?» ribattè Maxine, quasi incredula.
«Sì» affermò Chloe, cercando di convincere anche se stessa di aver appena aderito a quello che poteva essere il pasto più bizzarro della sua vita «Dimmi un’ora e l’indirizzo.»
«Ti mando un messaggio più tardi, va bene? Devo tecnicamente ancora informare mio marito e…» Si fermò prima di nominare Eliot, indecisa se svelare i propri piani di match maker.
«E…?» continuò per lei la Price, curiosa di sentire la conclusione di quella frase.
«E fare la spesa, perché non so cosa abbiamo in frigorifero e non vorrei doverti offrire solo cracker con ketchup.»
Risero all’unisono e si rimbeccarono inventando a turno pietanze assurde composte dai più disparati ingredienti.
Chris le ascoltò per tutto il tempo, alzando ogni tanto la testa dal foglio per sbirciare le loro reazioni. Sembravano molto a loro agio, una novità per sua cugina che solitamente faticava a lasciarsi andare in presenza di estranei.
Dopo qualche minuto, l’ilarità scemò, lasciando nuovamente spazio ad una quiete contemplativa.
Max si smarrì nei colori dei fiori tutto intorno, che si armonizzavano così bene con la proprietaria del negozio e i forti contrasti dei suoi capelli e dei suoi tatuaggi.
«Ti lascio il mio numero?»
La Caulfield si riscosse. «Come?»
«Con le parole» replicò la fiorista, sollevando un sopracciglio «O, se preferisci, posso scriverlo.»
Ci volle qualche secondo affinchè Maxine connettesse tutte le informazioni.
«Hai detto che mi avresti mandato un messaggio» Chloe tentò di chiarire la situazione «Lo vedo difficile senza avere il numero del mio cellulare.»
Dopo una nuova salva di risate, la fioraia digitò il proprio recapito sul telefono dell’altra.
«Niente emojis nei messaggi, mi raccomando» la ammonì «Le detesto.»
Max si fece la nota mentale di sfruttare l’intera collezione di faccine e simboli come mai aveva fatto prima di allora.
«Sarà meglio che vada» annunciò, contemplando l’ora sullo schermo «Chris, passerà tuo padre a prenderti oggi pomeriggio» disse al cuginetto «Farai il bravo, vero?»
«Certamente, Max» assicurò il piccolo Eriksen.
«Allora, a presto» lo salutò «Invece, a te scriverò appena confermata la cena» proseguì rivolta alla Price.
«A dopo» sorrise di rimando la negoziante.
Appena Maxine fu scomparsa a bordo di una sgangherata berlina blu scuro, Chloe cominciò a stringere convulsamente il telefonino. Si decise a mandare un paio di messaggi a Stephanie per farsi dare il cambio, così da passare da casa a darsi una sistemata.
«Non ti dispiace rimanere con Steph, vero?» domandò all’ospite, che nel frattempo si stava cimentando nel disegnare una specie di ibrido gatto-robot.
«Mi piace un sacco Steph!» esclamò Christopher «Mi sta insegnando Dungeons and Dragons!»
«Oh, povera me…» mormorò la ragazza «Non bastavano lei e quell’altro svitato di Mikey, o Elamon, come preferisce.»
«Adesso ci sarà anche Captain Spirit con lui a combattere i mostri!»
«Non puoi fare il supereroe in D&D» contestò la Price «Devi attenerti alle classi regolamentari.»
«Ma io voglio fare il supereroe.»
«Persino io ho dovuto rinunciare a cappa e calzamaglia in favore di qualcosa di più attinente.» La donna gonfiò il petto, al ricordo delle partite fatte ai tempi del liceo con i suoi amici. «Hai di fronte a te Callimastia, inarrestabile elfa barbara.»
Eriksen sgranò gli occhi, immaginando la mentore nei panni di una spietata guerriera dalle orecchie a punta.
«Perciò sarà bene che inizi a pensare a quale classe vuoi appartenere, scricciolo. Ti vedrei bene come ranger, hai l’aria di uno che vivrebbe nei boschi a raddrizzare i torti.»
«Come Robin Hood!» si illuminò.
«Sì, all’incirca.»
«Fantastico! Voglio fare il ranger!»
«Allora, che dici se, mentre aspettiamo Steph, iniziamo a buttar giù le caratteristiche del tuo personaggio?» propose la Price «Dobbiamo anche delineare la sua storia e quale evento gli faccia incontrare Elamon.»
«E Clitemnestra!»
«Callimastia, zucca vuota» lo corresse Chloe con una risata, arruffandogli i capelli.

 
***
 
Stephanie raggiunse il Kabloom verso le tre del pomeriggio, venendo quasi investita sulla soglia da una Chloe stranamente agitata.
«Che ti prende?» le domandò, sbirciando all’interno per assicurarsi che non avesse demolito il negozio in sua assenza.
«Quando ti ho chiesto di venire a darmi il cambio, intendevo il prima possibile» ringhiò la Price, dirigendosi a grandi falcate verso il pickup «Ti avrò chiamato trecento volte, porca puttana.»
«Perdonami se qualcuno di noi cerca di avere una vita all’infuori di questo posto» la inseguì la Gingrich «Ieri sera ho fatto tardi e ho letto i tuoi messaggi solo un paio d’ore fa.»
«Hai dormito fino a mezzogiorno?» sbuffò adirata l’altra, cacciando le mani in tasca alla ricerca delle chiavi.
«Nessuno ha mai detto che stessi dormendo» sogghignò la socia.
La donna dai capelli blu emise un verso scocciato. «Bene. Non voglio sentire i dettagli.»
«Non è il caso di essere ostili solo perché una di noi due, casualmente sempre io, è in grado di concludere qualcosa» ribattè Stephanie.
Chloe ripropose un brontolio profondo.
«Se mi dessi retta, ti potrei presentare qualche tipa carina…»
«Steph!» esclamò Chris, raggiungendo le due donne nel parcheggio «Sei arrivata!»
«Salve, Captain Spirit» lo accolse lei, sorridendogli «Non immaginavo che ci fossi anche tu.»
«Se tu avessi letto i miei messaggi con attenzione o risposto alle mie telefonate, lo avresti saputo» sibilò la Price «Ti avevo detto che ci voleva qualcuno che gli tenesse compagnia fino alle cinque.»
«Scusami» mormorò l’amica, con aria colpevole «Non mi ricordavo che oggi fosse domenica e avessimo un ospite.»
«Le tue scuse non mi faranno recuperare il tempo perso. Devo passare da mia madre, andare a casa a farmi una doccia e prepararmi.»
«Oh, per tutti i dadi a venti facce!» la Gingrich scattò sull’attenti «Tu hai un appuntamento!»
«No» si intromise Christopher «Deve andare a cena da mia cugina.»
«Oh» ribadì la donna «Quindi, visto che non potevi avere l’originale Captain Spirit, hai deciso di ripiegare sulla parente più prossima, ottima tattica.»
«Ma mia cugina è sposata con Warren.»
«Oh» ripeté Steph, con diversa intonazione «Chloe, in che guaio ti sei cacciata?» bisbigliò all’orecchio dell’amica «Una donna sposata…»
«Ma piantala!» la allontanò l’altra «Mi ha invitato per ringraziarmi di un favore che le ho fatto durante il ricevimento.»
«Posso immaginare…»
Chloe le tirò uno scappellotto prima che potesse continuare quella frase. «Non osare deturpare la mente di questo povero ragazzino con le tue idiozie.»
Il giovane Eriksen scoppiò a ridere, divertito da quel siparietto di cui riusciva a cogliere solo vaghi frammenti.
«Alla prossima, mio fido apprendista» lo salutò la Price «Puoi passare quando ti pare, nonostante la scuola, anzi, se vuoi saltarla per venire a trovarmi sei il benvenuto.»
Gli occhi del ragazzino brillarono di contentezza.
«Non darle retta, devi studiare per diventare un uomo istruito e non fare la fine di questa zotica» intervenne Stephanie «Soprattutto perché gli zotici non possono fare i supereroi.»
«Me lo rovinerai con le tue paternali pro-secchioni» si lamentò la fioraia, aprendo la porta del pickup «Ha tutte le carte in regola per diventare un vero punk ribelle, seguendo i giusti insegnamenti.»
Mentore e protégé si scambiarono un sorriso complice.
«Non avevi una fretta del diavolo?» borbottò Steph, allontanando la collega dall’influenzabile biondino.
«Giusto» si riprese Chloe, balzando in auto.
Dopo un saluto mormorato da dietro il finestrino, il rombo del motore sovrastò ogni altro rumore e il vecchio veicolo si fiondò lungo il nastro d’asfalto diretto verso la città.

 
***
 
Il numero 44 di Cedar Ave era una casa che da sempre si distingueva tra le altre nel quartiere. Il fatto che fosse dipinta di blu per metà la rendeva una gemma più unica che rara nella fila di villette tutte uguali.
La Price parcheggiò il pickup nel vialetto, come innumerevoli volte aveva fatto in passato.
Grattò la suola degli anfibi sullo zerbino.
Si era trasferita anni prima in un appartamento di un complesso residenziale dall’altra parte di Arcadia Bay e aveva imparato, vivendo da sola e senza nessuno che facesse le pulizie al posto suo, che era buona norma pulire le scarpe prima di entrare.
Bussò un paio di volte prima di aprire la porta con la propria chiave.
«Non devi sempre annunciare il tuo arrivo» la raggiunse una voce dalla vicina cucina.
«Non vorrei mai coglierti in atteggiamenti sconvenienti» ribattè, abbandonando la giacca per terra.
«Sai bene che non potrebbe mai succedere» replicò la voce «E tira su la giacca da terra!»
«Ma come cazzo fai?» borbottò incredula, raccogliendo l’indumento per sistemarlo sull’apposito attaccapanni.
«Una madre sa, sempre.»
Chloe andò a colpo sicuro verso i fornelli, dove trovò Joyce impegnata a far sobbollire uno stufato.
«Ti sto preparando qualcosa da tenere in frigo per questa settimana» disse la donna, rimestando il denso contenuto dall’ottimo profumo «So che settembre è un periodo frenetico al negozio e non voglio che ordini sempre quelle schifezze da asporto.»
«La pizza di Greg non è una schifezza!» contestò la giovane.
«Ho visto quanto sono unti i cartoni che lasci in giro per casa, non venire a raccontarmi storie» replicò la madre «Ti prenderai lo spezzatino, le verdure al cartoccio, le patate al forno, i filetti di pesce, le lasagne…»
«Ma’, hai cucinato per me o per tutto il condominio?»
La massaia fissò intensamente la figlia. «Potresti invitare qualcuno per una cena, ogni tanto.»
«Ma’» ripeté la Price «Non cominciare.»
«Sto soltanto dicendo che sei giovane, hai il diritto di avere una vita e trovare qualcuno con cui condividerla…»
«Mi rifili questa tiritera ogni volta» borbottò «E, come ogni volta, ti dico che lo stesso discorso vale per te: mi troverò una fidanzata solo quando tu ti troverai un uomo che ti costringa ad un hobby diverso dal cucinare per un esercito.»
Non potendo rispondere a tono alla figlia, Joyce tornò a concentrarsi sul cibo. «Non mi distrarre o ti brucerò la cena.»
«A tal proposito, questa sera non mangerò a casa, ho già detto di sì ad un invito» mugugnò Chloe, non sapendo neppure perché.
«Steph e Mikey?»
«No.»
«Hai altri amici di cui non sono a conoscenza?» ironizzò la donna «Sono sorpresa, visto il tuo carattere.»
«Ma’» brontolò l’altra «Seriamente?»
«Devi ammettere che ho ragione, tesoro.»
La fiorista fu tentata di lasciar perdere e tornarsene in macchina.
«Non pensarci nemmeno» la inchiodò la mamma «Non andrai via da qui senza aver preso le scorte che ti ho preparato e senza avermi spiegato meglio i dettagli di questa fantomatica cena.»
Chloe sbuffò, ma si sentì sollevata. Lei e la madre erano molto legate e quei battibecchi erano parte del loro rapporto, del loro modo di comunicare. «Si tratta di una coppia sposata, mi sono occupata degli addobbi al loro matrimonio.»
«Quindi non sono propriamente amici» commentò la madre, aggrottando le sopracciglia «Non è che ti stai cacciando in qualche strana situazione di cui vuoi tenermi all’oscuro?»
«Perché dovete tutti pensare male?» borbottò a mezza voce la giovane Price «Mi hanno invitata per sdebitarsi del fatto che ho tenuto con me in negozio il loro cuginetto nelle ultime settimane.»
«Chi sei e cosa ne hai fatto di mia figlia!?» esclamò Joyce «Non solo stringi nuove amicizie, ma addirittura vai d’accordo con i bambini? Questo sì che è inaudito!»
Le due chiacchierarono un altro po’ davanti alla pentola, tramutando l’iniziale interrogatorio della genitrice riguardo la coppia del mistero in una delle loro classiche conversazioni.
Quando l’orologio segnò le cinque, Chloe si congedò, carica di teglie e tupperware pieni di ogni pietanza possibile. Barcollando, raggiunse il pickup e, assicurato il prezioso carico, sgommò a tutta velocità lungo la Cedar Ave verso il suo anonimo cubicolo ai Pan Estates.
Salendo a fatica le scale, raggiunse la porta dell’appartamento. Per prima cosa si premurò di riporre in frigorifero le scorte materne, poi, senza perdere ulteriore tempo, si lanciò sotto la doccia.
L’accogliente abbraccio dell’acqua bollente la rinvigorì e le levò di dosso l’insolito freddo settembrino, ma la pioggerella rigenerante le portò anche una realizzazione: non aveva niente da portare ai propri ospiti. Così, dopo essersi asciugata in fretta e furia ed aver cercato quell’unico paio di jeans che non fosse sbrindellato oltre l’umana concezione, balzò nuovamente a bordo del proprio fido bolide alla volta del Kabloom.
Una piantina in vaso sarebbe stato un dono ideale, sebbene una composizione di fiori misti potesse risultare più scenica per coloro che non fossero esperti dal pollice verde.
Parcheggiò con una manovra impeccabile accanto ad una berlina rossa sconosciuta e si lanciò dentro il negozio a massima velocità per arraffare un dono appropriato.
«Ciao Steph!» gridò, fiondandosi senza troppe cerimonie sulla selezione di piante da interno.
«Ah, la mia collega la aiuterà subito» le fece eco la Gingrich, comparendo dal retro «È lei la vera esperta di fiori, qui.»
La Price non comprese il senso di quelle parole, fino a che non si trovò faccia a faccia con un cliente, chiaramente alla disperata ricerca di qualcosa. Era un uomo di mezza età, con i capelli scomposti e la giacca spiegazzata, come se si fosse precipitato lì quasi in fretta quanto lei.
«È la mia ultima chance» la apostrofò, gesticolando  «Siete l’unica speranza che mi rimane.»
Dimentica per un momento della coppia che l’attendeva per cena, Chloe si fece attenta. «Mi dica, cosa le serve?»
«Un fiore» ribattè l’uomo «Sì, un fiore, il più bello che avete… Devo farmi perdonare da mia moglie.»
La fiorista iniziò a guardarsi attorno per improvvisare un mazzo adeguato.
«Rose, le rose sono belle» si illuminò l’acquirente «Le piacciono quelle rosse.»
Senza dire una parola, la giovane donna iniziò a selezionare i fiori indicati.
«Cosa vogliono dire?»
Era una domanda che le rivolgevano spesso. «Le rose, quelle rosse in particolare, simboleggiano l’amore.»
«Perfetto!» esclamò lui, apparendo decisamente più sollevato.
«E sono sinonimo di fedeltà.»
L’uomo sbiancò. «Allora no. Dobbiamo trovare qualcosa di diverso. Lei ha la mania del pollice verde e me lo sbatterebbe in faccia.»
«Non si preoccupi» replicò la Price «Che ne dice di questo? È il fiore “uccello del Paradiso”.»
«Mi dica di più.»
«Il nome scientifico è strelitzia, così chiamato in onore di Charlotte di Strelitz, appassionata di botanica e moglie di Re George III d’Inghilterra. Insieme hanno avuto quindici figli e la coppia felice non ha mai speso più di qualche ora senza vedersi.»
Il cliente studiò la pianta verde scuro sulla cui cima trionfava un fiore dai petali arancione brillante che ricordava, per forma e colore, un volatile di qualche regione tropicale. «No, non ci siamo» decretò.
Chloe gli sottopose allora una serie di composizioni variopinte che sperava potessero incontrare il favore del potenziale acquirente, ma lui sembrava incontentabile.
All’improvviso, l’uomo scattò verso un angolo del negozio. «Questo! È perfetto!»
La proprietaria gli vide stringere trionfante tra le mani un cactus in un anonimo vaso di terracotta. Tentò di raccontare come, anche quella scelta, avesse un valore simbolico molto forte. Il cactus, infatti, secondo una leggenda dei nativi americani, era il simbolo dell’amore eterno tra due giovani della stessa tribù fuggiti insieme e tramutati in piante del deserto dalla dea della terra affinchè nessuno potesse separarli.
«Ecco, tenga pure il resto» le disse, sbattendo sul bancone una banconota da cinquanta dollari, senza darle modo di parlare «E grazie!»
La Price rimase qualche secondo imbambolata, un mazzo stretto in mano e la certezza nel cuore che il matrimonio di quel bizzarro cliente non sarebbe durato abbastanza per vedere il Ringraziamento.
«Se n’è andato?» domandò Stephanie, uscendo finalmente dal magazzino «Cominciavo a pensare che avrebbe messo radici qui, con la sua indecisione.»
«Grazie tante per avermi rifilato questa patata bollente» brontolò l’amica «Cosa avresti fatto senza di me?»
«Avrei cominciato con il nascondere il cadavere sotto i sacchi di terriccio.»
La fioraia si concesse una breve risata.
«È stato un gran bel colpo di fortuna per me» commentò la collega «Ma cosa ci fai qui? Non avevi una cena importante?»
«Non volevo presentarmi da loro a mani vuote» spiegò sbrigativa «Sarebbe scortese.»
«Non sia mai che vadano a riferire al piccolo Chris che non rispetti l’etichetta e le buone maniere.»
Chloe ignorò il commento e passò in rassegna una decina di vasi. «Che ne pensi di questi narcisi? Potrebbero piacere?»
Steph inclinò il capo adocchiando i calici bianchi e gialli. «Non hanno un significato negativo? Di malaugurio o qualcosa di simile?»
«Solo se regalati singolarmente» le spiegò l’altra «In numero simboleggiano gioia ed un nuovo inizio. Però il bulbo è velenoso e io non so se abbiano qualche animale domestico che potrebbe accidentalmente intossicarsi…»
La Gingrich provò a dire la propria, ma la compare era persa nei propri ragionamenti.
«Ci vuole qualcosa di più classico, come un’orchidea.»
Stephanie tentò di ricordarle che quell’arboscello significava, comunemente, un pegno d’amore.
«Lo so, pessima scelta» farfugliò la fioraia, proseguendo con il monologo «A Max era piaciuta le selezione del bouquet, potrei portarle un mazzo di calle.»
Fece per avvicinarsi ai fiori recisi, quando scorse una pianta in vaso. «Il giglio degli Inca!» esultò, sollevando il prescelto gruppo di boccioli dalle corolle arancioni «Prosperità, fortuna e legami duraturi, facile da mantenere e di ottima decorazione per davanzali o terrazzi.»
«Quando cominci a parlare così, fai quasi paura» sussurrò la collega.
«Non ho tempo per le tue stronzate» replicò la Price «Passami un fiocco, che sono già in ritardo.»

 
***
 
Maxine sorvegliava dal balcone l’andirivieni delle auto. I quattro condomini del loro complesso, strutture di recente costruzione, si incastravano in un bel quartiere residenziale che si affacciava su un piccolo lenzuolo di verde, ai cui lati erano presenti numerosi parcheggi. Dall’alto, la Caulfield, ormai signora Graham, riusciva ad osservare il piccolo spiazzo del palazzo ed ogni vettura che sfrecciava accanto al giardino, le faceva mancare un battito.
Si sentiva profondamente in ansia per quella cena.
Non appena aveva lasciato il Kabloom aveva pensato di aver commesso una pazzia. Ci era voluto tutto il viaggio in macchina fino a casa e buona parte del resto della mattinata per riuscire a comprendere la portata dell’invito che aveva elargito.
Superato il primo scoglio di panico, era subentrata la paura di non avere quanto necessario per la cena, poi quella di un eventuale rifiuto di Eliot ed ancora quella di una cancellazione all’ultimo momento di uno dei due ospiti.
Warren, che era stato coinvolto nella vicenda quando era ormai pomeriggio inoltrato, si era coraggiosamente messo ai fornelli, nonostante le sue doti culinarie fossero relativamente discutibili.
Insieme, gli sposi avevano messo in scena il perfetto doppio appuntamento, placando in parte le preoccupazioni di Max che, però, avevano ripreso forza con l’avvicinarsi dell’ora fatidica.
Mancavano pochi minuti alle sette e mezza e ancora non c’era traccia né della berlina di Hampden né del pickup che la fiorista aveva affermato appartenerle.
«Pensi che si piaceranno?» domandò al marito, intento ad abbottonarsi la camicia alle sue spalle.
«Lei respira, no? A lui non serve altro.»
«Sì, ma a te piace?»
«Non è proprio il mio tipo, tesoro.»
La giovane si chiese quale potesse essere “il tipo” della fiorista.
«E comunque Eliot parla di lei dal matrimonio, è convinto di aver fatto colpo.»
«Allora andrà bene» disse lei, per convincersi di aver avuto una buona idea.
«Sicuramente.»
«Sai, è buffo» ragionò ad alta voce «Ti ho detto di averla rivista stamattina accompagnando Chris, ma già quando l’ho incontrata la prima volta… Sì, insomma, hai presente quando conosci qualcuno e subito hai la sensazione di averci legato, come se vi foste incontrati prima?»
Lui la lasciò continuare senza interrompere.
«Forse si tratta di fisionomia, affinità, vite precedenti o che altro, ma per qualche ragione ti scatta qualcosa dentro.»
«Il timer!» si illuminò Graham, saettando verso l’interno.
«Come se ci fosse una sorta di disegno del destino…»
«Vieni a controllare che non brucino le lasagne!» la chiamò Warren dalla cucina «Devo andare a mettermi una cravatta pulita, perché questa l’ho macchiata con il sugo delle polpette.»
Maxine rientrò, gettando un’occhiata al forno. La superficie della pietanza cominciava ad annerire pericolosamente, così la padrona di casa si affrettò a spegnere l’elettrodomestico e a salvare il primo piatto, per quanto possibile. Subito dopo, provvide ad aggiungere il sale alla famigerata salsa per le polpette, poiché il consorte, nella fretta, se ne era dimenticato.
Presa com’era dal rappezzare gli elementi per il pasto e dal rassettarsi la camicetta scelta per l’occasione, Maxine non riuscì ad accorgersi della sgommata proveniente dal cortile.
Il campanello la colse di sorpresa e in un lampo si ritrovò ad aprire la porta ad una rigogliosa pianta dai profumati fiori color arancio.
«Buonasera» la salutò l’arbusto, fermo sulla soglia «Spero di non essere in ritardo.»
Max sbirciò oltre il fogliame. «No, sei puntualissima.»
Chloe fece qualche passo verso l’interno, guardandosi attorno per decidere dove appoggiare l’ingombrante dono. «Spero non sia troppo d’impaccio.»
«No, figurati» la tranquillizzò la Caulfield, accogliendo la pianta tra le braccia «Di cosa si tratta?»
«È un giglio degli Inca, nativo dell’America del Sud» spiegò l’esperta «È un segno di buon augurio, mi sembrava adatto ad una coppia appena sposata.»
«Lo apprezziamo molto» affermò la padrona di casa «Adesso gli troveremo un posto appropriato.»
«Se lo aveste, sarebbe ben contento di godere del sole di un davanzale.»
«Il terrazzo potrebbe andare lo stesso?»
«Sarebbe perfetto» affermò la fioraia «Lascia che ti aiuti» proseguì, seguendo la padrona di casa fino alla porta-finestra.
«Il sole sorge da quella parte» indicò Maxine.
«Allora andrà bene esposto qui ad ovest, dove prenderà la giusta quantità di luce.»
Le due sistemarono il vaso in un angolo in modo che il giglio non patisse le intemperie e potesse ricevere la dovuta attenzione dal sole.
«Ah, ma la nostra gradita ospite è già qui!» le interruppe Warren, andando a stringere la mano alla Price «Forse avremo occasione di scambiare più di quattro parole in croce.»
Chloe esibì un sorriso di circostanza.
«Dimmi, credi nella reincarnazione?» proseguì l’uomo di casa «Perché Max mi stava giusto dicendo che le sembra di averti incontrata, in passato.»
Le due donne si fissarono intensamente.
«Non ho detto esattamente così…» obiettò la moglie.
«Me ne sarei ricordata, credo» affermò la Price, indecisa se aggiungere altro.
Il silenzio calò sul trio.
«Vado a finire di preparare» mormorò la Caulfield per spezzare l’imbarazzo «Voi potete approfittarne per conoscervi meglio.»
Costretti dalle insolite circostanze, Graham e la fioraia si accomodarono fianco a fianco su un divano. La bottiglia di vino, sapientemente appoggiata sul tavolino da caffè poco distante, servì a dare il via alla conversazione.
«Il lavoro in laboratorio è spesso stancante» raccontò il giovanotto al secondo bicchiere «Ma mi piace giocare a fare il piccolo chimico, da sempre.»
La fiorista annuì, comprensiva.
«Ho un hobby segreto, però, che avrei voluto trasformare in una sorta di carriera, un giorno.»
«Quale sarebbe?»
«Viaggiare» disse lui, con occhi sognanti «C’è stato un momento in cui ho pensato di mollare tutto e partire solo con uno zaino e una bussola.»
«Sei ancora in tempo per farlo» commentò la Price «Perché ci hai rinunciato?»
«Beh, per il lavoro, la famiglia, Max… Le solite cose» mormorò «Magari un giorno la situazione cambierà.»
«Magari, un giorno» gli fece eco l’ospite, bevendo un sorso.
«Per ora la vita matrimoniale è l’unica avventura di cui ho bisogno» affermò Warren riacquistando il sorriso «Ma dimmi di te: sposata? Mai stata sposata? Ti sposerai mai?»
Chloe deglutì il vino prima di rispondere: «No, no e non lo so, dipende da chi fa e disfa le leggi.»
L’espressione di Warren si fece confusa. «Che vuoi dire?»
«Sono gay.»
Graham rise, ma la sua ilarità si smorzò quando comprese che la sua interlocutrice era seria. «Ma gay o gay?» [1]
«C’è forse una qualche differenza?»
«No, è che noi non lo sapevamo…»
Il campanello intervenne a reclamare l’attenzione generale.
«Finalmente è arrivato Eliot!» annunciò Maxine, facendo cenno agli altri due di seguirla a tavola.
«Fantastico, c’è anche lui» commentò la fioraia, comprendendo finalmente la natura di quell’invito.
«Sì, ecco…» mormorò il padrone di casa «Sarà molto divertente.»
Il quartetto si accomodò a tavola, i due sposini seduti vicini pronti ad alternarsi per fare avanti e indietro dalla cucina, lasciando la sventurata Price in balia di Hampden e i suoi tentativi di approccio.
Il primo piatto segnò il livello di atrocità della cena. Le lasagne, di per sé, non erano malvagie, ma i continui sforzi di Eliot di trovare terreno comune e far colpo su Chloe le avevano fatto andare di traverso più di un boccone.
Arrivati al secondo, un piatto di polpette che si sarebbero potute sostituire a palle di cannone, vista la coriacea consistenza, la conversazione prese una svolta inaspettata, originandosi proprio da una discussione sulla pietanza.
«Warren, mi dispiace dirtelo, ma questa roba è immangiabile» affermò l’amico, tentando di staccare un boccone dall’agglomerato di carne.
«Sul serio?» mugugnò il cuoco, giocherellando tristemente con la propria porzione.
«Mi dispiace, caro, ma è davvero rivoltante» ammise la moglie, disegnando sentieri nel sugo con la forchetta.
Chloe provò ad infilzare una polpetta, spedendola involontariamente dall’altro lato della tavola. Non riuscì a trattenere una lieve risata, che presto contagiò tutti.
«Ma parliamo di cose serie» riportò l’ordine Eliot, sogghignando «Adesso che è passato un bel po’ di tempo: com’è il sesso da sposati?»
La coppia lo fulminò con lo sguardo.
«Ti sembrano domande da fare?» lo redarguì Graham «Sei un vero pezzo d’idiota.»
«È pura curiosità!» si difese «Che ne so io di come si sta una volta condannati a stare per l’eternità con la stessa persona.»
«Dovresti provare, Eliot» intervenne Maxine «Potresti scoprire che la vita nuziale fa proprio per te.»
«E chi sarebbe mai disposto a pigliarsi questo cretino?» infierì Warren.
«Magari qualcuno di interessato c’è» replicò la Caulfield, facendo un suggestivo cenno verso la fioraia.
«Non credo che la sua dolce metà esista, men che meno a questo tavolo» ribattè il consorte.
«E poi sono uno stallone selvaggio ed indomabile» tentò di pavoneggiarsi Hampden, sperando che la sceneggiata da donnaiolo lo aiutasse nel piano di conquista.
«Cambieresti idea, una volta incontrata la donna giusta» contestò la padrona di casa.
«E come dovrei fare a riconoscerla?» chiese lui.
«Non lo sai, non subito almeno» spiegò Max «Ti fa sentire… Tranquillo, a tuo agio. Devi pazientare e dare alla persona un’opportunità, così, prima che tu te ne renda conto, realizzi che debba essere vero amore.»
«Concordo in pieno» la sostenne il marito.
Eliot annuì.
«Io non sono d’accordo.»
Il trio si voltò, esterrefatto, in direzione della fiorista.
Chloe diede un colpo di tosse, poi riprese a parlare: «Penso che tu lo capisca da subito, non appena incontri gli occhi della persona giusta. Tutto ciò che segue quel momento serve a dimostrare che avevi ragione sin dal primo istante, quando realizzi di essere stato incompleto e di aver finalmente trovato la tua anima gemella.»
Ci volle un minuto prima che Hampden trovasse il coraggio di replicare. «In effetti, condivido il suo pensiero.»
«Anche io» cambiò idea il padrone di casa «Allora, posso portare il dolce?»
«No.»
Questa volta a divenire il centro dell’attenzione fu Maxine.
«No?» chiese la Price.
«No» ribadì l’altra «Se questo è ciò che sostieni, allora pensi che tutte le persone che non hanno avuto questa realizzazione istantanea si stiano accontentando?»
L’ospite alzò le mani. «Non è esattamente quello che sto dicendo…»
«In fondo lo è.»
«Penso che lei abbia usato parole più ricercate» intervenne Eliot.
«Qualcuno vuole il budino?» insistette Warren.
La discussione scemò mentre i piatti venivano portati via per fare spazio all’ultima portata.
Le chiacchiere ripresero concentrandosi su argomenti meno controversi che portarono alla conclusione del pasto senza scatenare altri dibattiti.
Quando Graham iniziò a sparecchiare, Chloe si scusò chiedendo di poter andare a fumare in terrazzo, lasciando Max persa ad osservarla dal salotto, mentre i due uomini ne approfittavano per scambiarsi qualche opinione davanti al lavabo.
«Hai visto come mi guardava la fioraia durante il suo discorso?» gongolò Hampden «Parlava di me.»
L’amico scosse il capo, sfregando una padella con la spugna.
«Me lo sento: stanotte me la porterò a letto.»
«E così sei convinto di aver fatto centro?»
«Ne sono certo» affermò.
Il padrone di casa sorrise. «È lesbica.»
«Dici davvero?» fu preso alla sprovvista il compare «Bene.»
«Non pensi che ciò sia un po’ d’intralcio ai tuoi piani di seduzione?»
Eliot fece spallucce. «Se è vero che tutti sono almeno un po’ gay, lei sarà almeno un po’ etero.»
«Questa è la cosa più scema che tu abbia mai detto» decretò Warren, tornando a concentrarsi sui piatti da lavare.
Nel frattempo, l’ospite oggetto del discorso era presa dal godersi una boccata di fumo all’aria fresca. Il giglio degli Inca le teneva compagnia e le luci della città in lontananza apparivano e scomparivano tra le cime degli alberi del parco. Si domandò se si potesse scorgere il mare, poco oltre.
Gettò un’occhiata al traballante bidone dei rifiuti, che sembrava chiamarla con intento complice.
Avvicinò l’improvvisato appoggio alla ringhiera e vi salì sopra, per poter meglio osservare il panorama.
Il tremolio del Pacifico ricompensò i suoi sforzi.
Sentendosi come un capitano di ventura al fiero comando di un vascello, appoggiò un piede sul corrimano, scrutando l’orizzonte.
«Che cosa stai facendo?» chiese un’allarmata Maxine.
«È bellissima la vista da qui.»
«Scendi prima di farti male!»
Chloe, ubbidiente, smontò dal proprio scranno da vedetta e raggiunse la Caulfield per rassicurarla.
«Lo so che la cena è stata un disastro» disse Max «E me ne scuso, ma pensare di buttarsi di sotto mi sembra un gesto un po’ drammatico.»
La Price ridacchiò. «Non c’è da scusarsi, ho mangiato di peggio.»
«Non mi riferivo al cibo, anche se Warren non è il migliore dei cuochi» sorrise di rimando la Caulfield «Ma parlavo del mio comportamento. Non dovevo contestarti in quel modo, prima. Non so cosa mi sia preso, sono scattata.»
«Non sei scattata» mormorò l’altra, gettando il mozzicone spento nel bidone.
La padrona di casa inarcò le sopracciglia.
«Giusto un po’» ammise la fioraia, voltandosi a guardarla in viso.
Si studiarono per qualche istante, fissandosi negli occhi come la prima volta che il destino aveva fatto convergere i loro sentieri.
«Mi duole interrompere questo bel momento di sorellanza» intervenne Graham «Ma domattina mi aspetta una levataccia e Eliot vuole a tutti i costi giocare a strip poker e non mi resta che cacciarlo con la forza.»
«Immagino che questa sia la mia battuta d’uscita» intese Chloe, avviandosi per recuperare la giacca abbandonata sul divano «Volevo ringraziarvi ancora per la serata, è stata… Interessante.»
«Per noi è stato un piacere averti come ospite» ribattè Max.
«Sentiti pure libera di passare per un piatto di polpette ogni volta che ti va» aggiunse il marito, poggiando un braccio sulle spalle della consorte «Prometto di non cucinarle io.»
I tre condivisero un’ultima risata, poi la fiorista si fece aprire la porta e sparì nella tromba delle scale senza neppure accendere la luce.
Come un lampo, Hampden salutò e la seguì, come se non potesse rischiare di perderne le tracce.
È fatta, pensò Maxine, contenta all’idea di rivedere più spesso la fioraia, una volta divenuta la nuova fidanzata del loro amico.
 
***


 
[1]: Questo dialogo è principalmente ricalcato sullo script del film, ma la domanda di Warren, con la sottile differenza di intonazione che ho cercato di segnalare con il corsivo, è una piccola perla della mia esperienza personale. Ancora non so che differenza ci fosse da cogliere.


NdA: cari lettori e lettrici, ben ritrovati. Ci sono buone probabilità che siate sorpresi quanto me di veder uscire questo aggiornamento in linea con la tabella prefissata, vedremo se riuscirò a tenere il ritmo. Settimana prossima è ancora lontana.
Non credo di avere gran che da aggiungere, penso di aver spiegato tutte le cose più importanti nelle note del primo capitolo. Dovessi far luce su qualche punto in particolare ricorrerò ad appunti come quello poco sopra, tecnica già rivelatasi efficace in altre storie.
Momento ringraziamenti: a wislava, come sempre, non solo per correzioni e suggerimenti, ma per tutto l'aiuto e il supporto che mi consentono di non perdere la testa e andare avanti; ad axSalem per essersi lasciata trascinare in un'altra delle mie sconclusionate storie; a tutti gli altri, per aver deciso di investire un po' di tempo a leggere.
Sperando di non mancare al mio impegno settimanale, mi auguro di ritrovarvi presto e vi ringrazio ancora una volta per essere arrivati fin qui.

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Capitolo 3
*** Dandelion ***


Dandelion
[Superare le difficoltà]
 

 
Il pickup partì a tutta velocità per lasciare il bel quartiere residenziale dei Graham. Chloe piantò il piede a tavoletta dopo quella che era stata quasi una corsa, pur di essere sicura di lasciarsi Eliot alle spalle. Voleva conservare un ricordo piacevole della serata e un’altra conversazione con quel tipo avrebbe sicuramente rovinato il tutto.
Seguendo l’istinto e la forza dell’abitudine, imboccò la strada che portava al Kabloom.
Avrebbe potuto girare la macchina per dirigersi verso casa, ma, essendo domenica, sapeva che al negozio avrebbe trovato Stephanie intenta a calcolare gli incassi della settimana.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma aveva bisogno di parlare con una faccia amica per schiarirsi le idee e Steph era l’unica in cui riponesse totale fiducia.
Parcheggiò accanto all’utilitaria della collega e raggiunse la porta sul retro, sapendo che quella principale sarebbe stata chiusa dietro la saracinesca.
«Se state pensando di derubarmi» la apostrofò la voce della Gingrich «Vi ricordo che questo è un umile negozio di fiori e con i quattro spicci che abbiamo in cassa non coprirete il costo della benzina usata per arrivare fin qui.»
«Sono sicura che questa bella trovata sia in grado di dissuadere qualsiasi malvivente.»
Stephanie non alzò lo sguardo dal bancone, presa a suddividere le banconote in precisi mazzetti. «Non hai idea di quante volte abbia funzionato.»
La Price si avvicinò, senza ribattere.
«Allora» la incalzò l’amica «Com’è andata la fantomatica cena?»
«Bene, se non consideriamo il cibo alquanto indigesto e la corte indesiderata di un ospite a sorpresa» sbuffò l’altra, buttandosi seduta su un grosso vaso capovolto.
La fiorista raccontò gli eventi della serata, riportando battuta per battuta le avances di Hampden.
«È per via di questo soggetto che hai questa espressione desolata?» le domandò Steph, notando il volto rabbuiato della compare.
«No, non credo sia per quello» mugugnò.
«Si vede che qualcosa ti turba» disse l’altra «E sai cosa dovresti fare? Parlarne alla tua amica che è saggia e dispensa sempre buoni consigli, perché lei ti conosce bene e ti vuole aiutare.»
Chloe prese un respiro profondo. «Ti è mai capitato di incontrare qualcuno e sentire…» le parole si fecero confuse nella mente e provò a gesticolare per aiutarsi ad articolare il pensiero «Ma quella persona sta già con qualcun altro?»
«Certo, le belle ragazze sono sempre già impegnate» rispose la Gingrich «Ma non è questo che vuoi sentirti dire.»
«Tu cosa faresti in quella situazione?»
«Mi conosci: me ne fregherei e vivrei il momento, accada quel che accada. Ogni lasciata è persa.»
La Price la scimmiottò, facendole il verso.
«Tutta invidia» sbuffò Stephanie «Comunque, hai avuto la tua risposta. Tu, invece, cosa ritieni sia giusto fare?»
«Non bisogna intromettersi o causare sofferenza» disse «Ci si deve rassegnare all’idea che, se non può accadere, la soluzione è allontanarsi.»
«Quanto siamo tragici, oggi» commentò la collega «So io come risollevarti l’umore» proseguì, chiudendo in cassa la maggior parte dei soldi «Adesso andiamo a berci i nostri guadagni e domani vedrai che andrà meglio.»
L’oblio dell’alcol non era mai la scelta migliore, ma era pur sempre una soluzione.
Chiamarono un Uber, ben sapendo che non sarebbero state in grado di guidare, una volta trascorsa la nottata, e si fecero scarrozzare al loro locale preferito.
Una birra dopo l’altra, la testa di Chloe si fece più pesante e quando, alle prime luci dell’alba, lei e la collega approdarono sul divano di casa Gingrich, il ricordo del viso sorridente di Max sfumò per lasciare spazio ad un sonno inquieto.
 
***
 
Il Best Deal, essendo l’unico supermercato di tutta Arcadia Bay, era sempre molto frequentato. Il lunedì pomeriggio non faceva eccezione, raccogliendo tra le corsie delimitate da variopinte confezioni i più disparati esempi di umanità.
Tra le schiere di affaccendati acquirenti si annoveravano gli sposini Graham, riuniti dopo una mattinata trascorsa a svolgere i rispettivi impieghi lavorativi.
Maxine aveva passato diverse ore a sistemare gli scatti per l’ultimo album di cui si stava occupando. In qualità di fotografa per il Bay Theatre, era suo compito catturare ogni scena principale delle varie opere che vi venivano rappresentate sul palcoscenico e spettava sempre a lei documentare le prove, raccogliendo numerose testimonianze fotografiche da sottoporre a scenografi e stage managers.
La rappresentazione del momento era una commedia di uno scrittore amatoriale, nulla di indimenticabile, ma la cui disposizione dei pochi oggetti di scena e dei personaggi aiutava a creare i giusti giochi di luce per l’inquadratura perfetta.
La giovane donna camminava serena, ancora beandosi dell’ottimo lavoro compiuto.
Accanto a lei avanzava il marito che, sopravvissuto ad un’altra mattina in laboratorio, era contento di lanciarsi con il carrello come un bimbo dispettoso, rischiando di urtare gli altri avventori.
Non avevano ancora avuto modo di discutere gli eventi della sera precedente, ma l’occasione si presentò non appena Warren mancò solamente di un soffio il carico di una donna dai capelli color melanzana, che ricordarono ad entrambi quelli della loro nuova amica fiorista.
«Stai pensando anche tu quello che sto pensando io?» chiese la moglie, sorridendo.
Il consorte fece un cenno con il capo.
«Per quanto la cena non sia stata delle migliori, sono pronta a scommettere che il nostro piano abbia avuto successo.»
«Intendi il tuo piano di mettere insieme Chloe ed Eliot?»
Lei annuì, afferrando un pacco di noodles. «Lui l’ha seguita di corsa, scommetto che l’avrà raggiunta e convinta ad andare a bere qualcosa. Il suono che senti in lontananza sono campane a nozze.»
«Dai, tesoro, non hai colto?»
La Caulfield aggrottò le sopracciglia.
«Andiamo, è il ventunesimo secolo» la biasimò Graham, con finto tono polemico «Pensavo fossi più aperta mentalmente.»
«Mi vuoi spiegare di cosa stai parlando?»
«Credevo vi foste parlate, quando eravate in terrazzo» replicò lui «Ma se non te lo ha detto… Ciò che devi sapere di Chloe è che lei…»
Maxine fremette, incuriosita.
«Che lei è proprio qui!» esclamò l’uomo, sbracciandosi «Che piacere rivederti!»
La Price alzò lo sguardo dal proprio carrello, sorpresa di trovarsi davanti la coppietta felice. «Ciao» salutò cordialmente, sentendosi tirare una manica da Stephanie che l’accompagnava.
«Assurdo, stavamo giusto parlando di te» disse Warren, spostando gli occhi dalla fiorista alla donna che era con lei.
«Mi auguro fossero buone parole» ribattè.
Il quartetto si fissò con curiosità.
La Gingrich a quel punto tirò una gomitata alla compare.
«Ah, sì, questa è Steph» la presentò, gesticolando nella sua direzione.
«È un piacere» risposero in coro i due sposi.
«Loro sono Warren e Max.»
«Un piacere, davvero» commentò Stephanie «Anche voi alle prese con la spesa settimanale?»
«Esatto» confermò la Caulfield.
«Bene» mormorò Chloe.
«Allora, divertitevi» riprese la sua collega, spingendola verso il reparto surgelati «Ci si vede in giro!»
Le due donne si allontanarono e Maxine si voltò verso il marito, ancora in attesa di sapere cosa avesse da dirle.
«È quello che stavo cercando di spiegarti» sussurrò «Chloe è gay.»
La moglie si arrestò di colpo. «È gay?»
«Più di Ellen DeGeneres e Rosie O’Donnell messe assieme» affermò Warren «Dici che quella potesse essere la sua ragazza?»
Max non rispose, persa nei propri pensieri.

 
***
 
«Allora, cosa stavamo dicendo? Di pensare ad una serata D&D con Mikey?» domandò la Price, facendo finta che l’incontro di poco prima non fosse mai avvenuto, spingendo il carrello ad una velocità quasi pericolosa.
«Frena, saetta!» la fece arrestare la Gingrich «Che razza di scena era quella?»
«Una scena che avrei tanto voluto risparmiarmi, soprattutto oggi, visto che ho ancora gli stessi abiti di ieri sera e la faccia di una che si è bevuta l’equivalente di mezzo Pacifico.»
L’amica la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulla maglietta spiegazzata, i pantaloni con una piccola patacca di sugo e il viso pallido segnato da occhiaie marcate. «In effetti hai un aspetto orribile.»
«Grazie» ribattè l’altra «Fa sempre piacere quando mi riempi di complimenti.»
«Te l’avevo detto di andare a casa per cambiarti e farti una doccia, ma tu hai insistito per andare subito al Kabloom e poi venire qui a comprare… Neppure so bene cosa.»
Chloe virò con sicurezza verso la corsia degli alcolici, caricando un paio di confezioni di birra.
«Certo che lei è carina» continuò Steph, ragionando ad alta voce «Non proprio il mio tipo, di solito a me piacciono meno etero di così.»
«Stronza» sibilò la Price «Questa potevi risparmiartela.»
«Non è solo etero, è pure felicemente maritata» proseguì imperterrita Stephanie «Questa storia ha le giuste premesse per essere un disastro di dimensioni epocali.»
Proprio in quel momento, dal corridoio adiacente, sbucarono di nuovo i Graham.
«Oh, ciao!» li apostrofò Stephanie «Ci si rivede! Stavamo giusto parlando di voi, questa volta.»
La coppia sorrise.
«Noi stavamo discutendo della nuova ricetta per le polpette che devo provare, così da renderle commestibili» disse Warren «Visto che l’esperimento di ieri è stato un disastro.»
«Ma che carino» commentò la Gingrich «Non lo trovi carino?» chiese, strattonando ancora una volta la compare.
«Un vero marito modello.»
Il quartetto tornò a studiarsi in un silenzio quasi surreale.
«Steph, sei gay?»
La domanda di Graham colse tutti alla sprovvista.
Maxine si portò le mani alla bocca per sopprimere quella che poteva sfociare in un’imprecazione.
«Se sono gay!?» esclamò la diretta interessata, saltellando sul posto «Sono estasiata da questo interessamento e anche molto omosessuale.»
«E voi due…?» insinuò Warren, sposando l’indice dall’una all’altra.
«No» risposero all’unisono, gesticolando animatamente.
«Ci ho provato e riprovato» sospirò Stephanie, stirando un braccio a cingere le spalle dell’amica «Ma poi ho capito che posso avere di meglio.»
L’uomo rise di gusto, ma fu l’unico ad apprezzare l’ironia della Gingrich.
«Fa piacere che qualcuno riconosca il mio esemplare senso dell’umorismo» gongolò Steph.
Chloe fece una smorfia.
«Adesso vi lasciamo stare, promesso» proseguì la donna, prendendo sottobraccio l’amica «Ma spero di essere invitata anche io, la prossima volta, per assaggiare le famigerate polpette.»
«Ci puoi scommettere» le assicurò Graham «A presto, allora!»
«Ciao» si salutarono la Price e la Caulfield, condividendo un sorriso imbarazzato per l’irruenza dei rispettivi accompagnatori.
«Sei così bella quando sorridi davanti all’ineluttabilità di vedere il tuo cuore infranto» commentò Stephanie.
«Ti ucciderò molto lentamente e mi assicurerò che tu soffra come mai prima d’ora» sussurrò la fiorista, senza perdere il sorriso rivolto alla coppia.
«Così potrò assillarti come fantasma per ripeterti: “te lo avevo detto”.»
«Andiamo alle casse, prima che decida di appenderti per gli alluci al reparto macelleria.»
 
***
 
“Ciao. Volevo scusarmi con te e la tua amica per il comportamento di Warren al supermercato, ma soprattutto per aver invitato Eliot a tua insaputa, ieri sera. Spero mi darai un’occasione per farmi perdonare.”
Erano le otto di sera, Chloe era impegnata ad innaffiare le piante prima della chiusura, quando il messaggio comparve sullo schermo del suo telefonino, abbandonato sul bancone. In un primo momento ignorò il segnale sonoro dell’apparecchio, continuando ad occuparsi del Ficus Benjamin giunto dal vivaio solo da qualche giorno, poi, convinta di trovarci un promemoria della madre che le ricordava cosa mangiare, premette il pulsante di sblocco.
Vedere il nome di Max irradiarsi dalla fredda luce del cellulare la colse di sorpresa.
Aprì la chat e rabbrividì nel vedere una dozzina di emojis a caso tra faccine ed animaletti accodati al testo.
«Perché mai le ho detto che detesto quei cosi?» sbuffò, cominciando a pensare ad una risposta.
Iniziò a camminare per il Kabloom, marciando tra le schiere arboree come un generale intento a passare in rassegna i propri soldati.
Il telefono giaceva inerte tra le sue mani, in attesa di essere risvegliato.
«Pensa, Price, pensa.»
“Non c’è nulla da perdonare” digitò “Anche se ho trovato Eliot più indigesto delle polpette”.
«Non posso parlare così male del suo amico» si redarguì, cancellando in fretta la frase.
“Non sono necessarie scuse” riformulò “È stato un piacere essere vostra ospite, tentativo di matchmaking a parte.”
Finalmente soddisfatta, diede l’invio.
“P.S.” si affrettò ad aggiungere “Niente più emojis.”
Con un sospiro, si abbandonò sulla sedia dietro la cassa. Aveva ancora alcuni mazzi da sistemare e un paio di piante da potare, prima di chiudere per la notte e non poteva perdere tempo restando in attesa di una risposta che sarebbe potuta non arrivare.
Il senso del dovere ebbe il sopravvento e la fioraia concluse il lavoro senza lasciarsi distrarre.
Nel momento in cui la saracinesca calò sull’entrata e la porta sul retro venne chiusa a chiave, Chloe si reputò libera di dedicarsi a qualcosa che non avesse rami o spine.
“Prometto di non provare mai più a vestire i panni di Cupido, anche se speravo potesse diventare una nuova occupazione redditizia.”
“A tal proposito” replicò “Non mi hai parlato della tua attuale professione, so solamente che riguarda la fotografia.”
Da quella breve interazione la Price scoprì che la sua nuova amica lavorava in teatro, ma collaborava in qualità di libera professionista con alcuni nomi importanti tra riviste ed artisti. Da una passione giovanile, era riuscita a costruirsi una carriera di tutto rispetto che sembrava renderla felice e soddisfatta di sé. Lo stesso effetto che il Kabloom aveva su di lei.
Lo scambio di messaggi proseguì per buon parte della serata, interrotto solamente dal rientro di Chloe a casa e da una più che necessaria doccia. Parlarono del più e del meno e si accordarono, dopo le insistenze di Max sul farsi perdonare, di trovarsi per fare colazione insieme a Chris durante il fine settimana.

 
***
 
Nei giorni che seguirono il fatidico lunedì, le conversazioni tra le due donne si intensificarono in attesa della domenica.
Giunta la mattina stabilita, Maxine si alzò di buon’ora, diede un rapido bacio sulla guancia di Warren, ancora addormentato, e si preparò ad uscire in modo da essere puntuale. Gettò solo una rapida occhiata al telefono per controllare che non fosse comparso qualche imprevisto dell’ultimo minuto ad intralciare i suoi piani, prima di lasciare l’appartamento e raggiungere il garage dove l’attendeva la sua fidata automobile arancione.
Eccezion fatta per un paio di corridori e persone intente ad accompagnare fuori i propri cani, le strade di Arcadia Bay erano deserte. Era troppo presto per i devoti in attesa delle funzioni religiose o per gli appassionati di camminate che calcavano i sentieri dei boschi, ma era l’ora d’oro per un giovane supereroe, che attendeva impaziente sull’uscio di casa.
La Caulfield parcheggiò all’imbocco del vialetto degli Eriksen. Dalla porta riuscì a scorgere Charles scarmigliare con fare giocoso i capelli del figlio, un gesto di tale tenerezza da farla sorridere di cuore.
«A dopo, papà!» udì il cuginetto salutare il genitore, per poi vederlo scapicollarsi verso l’autovettura.
La portiera si aprì e si richiuse alla velocità della luce.
«Ciao, Max!» trillò il bambino, accomodandosi sul sedile posteriore.
«Ciao, Chris» rispose lei «Allaccia la cintura che partiamo.»
Ubbidiente, il piccolo Eriksen ripose lo zainetto accanto a sé e si mise in sicurezza. «Andiamo, non possiamo far aspettare Power Girl!»
«Stai tranquillo» lo rassicurò la cugina, mettendo in moto «Siamo troppo galanti per far aspettare una signora.»
Giunti al negozio, lasciarono l’auto nel parcheggio e raggiunsero di gran carriera l’entrata, ma entrambi si sorpresero nel vedere la saracinesca abbassata. Non avevano mai avuto occasione di osservarla prima e Christopher non riuscì a trattenersi dal saltellare esaltato davanti al colossale graffito del bocciolo di rosa.
«Guarda, è bellissimo!» gioì «Dici che lo ha disegnato Chloe?»
«Non lo so» replicò Maxine «Potremo chiederglielo presto, però» continuò, notando il pickup rosso raggiungere posteggio sul retro.
«Scusate il ritardo» si sbracciò la Price «Mi sono dimenticata di puntare la sveglia.»
Al protégé non interessò sentire quella giustificazione. «L’hai fatto tu?» domandò, gli occhi ancora sgranati e pieni di meraviglia.
«Modestamente, è una delle mie opere migliori» gongolò la fiorista «Da giovane ero un asso con le bombolette.»
«Ma quindi sai disegnare bene? Sapresti fare un fumetto?» proseguì Chris come fosse un interrogatorio.
«Temevo che un giorno me lo avresti chiesto» rise la donna «Ma sono tanti anni che non disegno più. La mia arte, adesso, è interamente dedicata ai fiori.»
«Ti prego» mugolò lui «Lo faresti per Captain Spirit?»
A vedere il viso del bambino assumere l’espressione più supplice possibile, Chloe non riuscì a dirgli un “no” secco. «Forse, se trovassi un po’ di tempo potrei provare ad abbozzare una tavola, per farti contento…»
Christopher squittì entusiasta.
«Non ti darà pace fino a che non avrà un intero albo illustrato, ne sei consapevole?» mormorò la Caulfield «È un piccoletto cocciuto.»
«Vediamo se le mie armi di distrazione funzionano» replicò la fioraia, facendole l’occhiolino «Chi vuole fare una gara di abbuffata di pancakes e cioccolata calda?»
«Io!» esultò Eriksen, mulinellando le braccia «Posso mangiare anche cento pancakes!»
«Crisi evitata» sorrise la Price «Ora dovrò solo spendere cinquecento dollari per sfamare il piccolo pozzo senza fondo.»
«È mio cugino» contestò Maxine «Mi occuperò io del conto.»
«Prima dobbiamo decidere dove andare a mangiare» ribattè Chloe «Anche se c’è un solo posto in tutta la città se si vuole cominciare la giornata con tanto buon cibo.»
«Two Whales» indovinò il biondino, applaudendo «Mi piacciono i loro waffles.»
Le due amiche si misero d’accordo per prendere l’auto per raggiungere il diner, concordando di scegliere l’utilitaria della Caulfield, perché il pickup non era propriamente in regola in materia di sicurezza.
Il trio raggiunse la tavola calda in una decina di minuti e Christopher a malapena aspettò che il veicolo si fermasse, prima di fiondarsi come un proiettile verso la porta d’entrata.
«Forza, sbrigatevi!» gridò impaziente.
«Siamo sicuri che suo padre non gli dia qualcosa di strano per renderlo così iperattivo?» mormorò la fiorista «In negozio è facile tenerlo impegnato con disegni e qualche lavoretto, ma oggi sembra avere l’energia di cento Captain Spirit.»
«Credo sia per il fatto che è ricominciata la scuola» spiegò Max «Non gli permette di sfogarsi quanto vorrebbe e carica le batterie per sfruttare il fine settimana al massimo.»
«E così siamo noi a dover subire gli effetti di questo terremoto irrefrenabile» Chloe scosse la testa «Quale amaro destino…»
«Vedrai che tra qualche settimana andrà meglio» la rassicurò la Caulfield, invitandola con la mano a procedere per raggiungere il bambino.
All’interno, il Two Whales si dimostrò più movimentato del resto della cittadina. Un cameriere girava armato di caraffa per il caffè, riempiendo le tazze di mezza dozzina di marinai e una coppia di poliziotti in pausa dal servizio.
Tutti si voltarono ad osservare la porta quando la campanella trillò per indicare l’entrata dei nuovi avventori, ma, sfumato l’interesse per la novità, ciascuno tornò a concentrarsi sulla propria tazza o il proprio piatto.
I tre si accomodarono ad un tavolo, la Price accanto al giovane Eriksen come da specifica richiesta, mentre la cugina si sedette dall’altro lato, di fronte a loro.
«Posso avere i pancakes e i waffles?» chiese Christopher, impugnando una forchetta come un soldato pronto alla battaglia.
«No, giovanotto» decretò la sua mentore «Devi scegliere.»
«Max» mugolò in tono supplice «Dille che posso avere tutti e due…»
«Mi dispiace, ma anche tuo papà concorderebbe con Chloe, penso tu sappia che lo facciamo per il tuo bene.»
Lui piagnucolò un po’, ma fu sufficiente ricordargli che, in qualità di supereroe, non poteva certo fare i capricci come un bambino qualsiasi. Tanto bastò a fargli tornare il sorriso e a convincerlo ad ordinare una cioccolata, insieme ad un piatto di pancakes.
«Una porzione anche per me» si decise la Price «E una tazza di caffè bella grande.»
«Per me, invece, della cioccolata e un biscotto della casa» aggiunse la Caulfield.
Il cameriere annuì dopo aver appuntato tutto e, con un sorriso, andò a consegnare il biglietto in cucina.
«Allora, scricciolo» disse la fiorista «Com’è la quarta elementare?»
Tra un’accurata descrizione di ogni singolo compagno di classe e una pioggia di complimenti per la sua maestra, la signorina Marsh, la tavola venne imbandita, lasciando che la bocca di Captain Spirit si riempisse di enormi bocconi dolci.
«Kate è davvero un’ottima insegnante» confermò Max «Ci conosciamo fin da quando eravamo al liceo e già allora diceva di voler diventare un’educatrice. Non ho mai conosciuto nessuno tanto ispirato a seguire una vocazione.»
«Sembra una donna molto interessante» commentò la fioraia, avvicinando la tazza alle labbra «Era presente al matrimonio?»
«Era la mia damigella d’onore.»
La Price cercò di mettere a fuoco i ricordi, evocando l’immagine di una biondina dal sorriso pacato e l’atteggiamento mite.
«È la maestra di Chris dall’anno scorso e lui la adora» proseguì Maxine, intingendo il biscotto nella bevanda «Ma non quanto adora te.»
«Modestamente, sono piuttosto adorabile» si pavoneggiò Chloe.
«Anche io lo sono!» si intromise il piccolo Eriksen, sputacchiando briciole di frittelle davanti a sé.
«Nessuno lo stava mettendo in dubbio» lo rassicurarono le due, sorridendo.
Dopo qualche momento di silenzio, Chris spinse la propria tazza verso la mentore. «Ne vuoi un po’?»
La fiorista si illuminò. «Solo se mi permetti di farci un’aggiunta.»
I cugini la fissarono, incuriositi.
La Price sgusciò verso il bancone e sussurrò qualcosa al cameriere.
«Cosa stai escogitando?» chiese Max, aggrottando le sopracciglia.
«Vedrai.»
Seguirono due minuti di un interrogatorio a cui la Price fece fronte con un ostinato silenzio ed un ghigno beffardo, che le si ampliò non appena un nuovo piatto venne posato a tavola.
«Bacon?» osservò Christopher, stringendo tra l’indice e il pollice una striscia di carne croccante.
«Bigfoot Bacon, il migliore di tutta Arcadia Bay» sentenziò la donna «Vale ben più dei tre dollari che costa.»
«Non credo di capire» commentò la Caulfield «Cosa ha che vedere con la cioccolata?»
«Tutto.»
Sotto lo sguardo esterrefatto dei due cugini, Chloe afferrò una fetta di pancetta fritta e la intinse nel fondo della tazza.
«E ora, il tocco finale» sogghignò, versando una lacrima di sciroppo d’acero sul bizzarro boccone.
Eriksen la guardò stralunato.
«Provalo» disse al protégé.
Lui scosse la testa con decisione.
«Forza, apprendista.»
Il bambino non cedette.
«Se lo faccio assaggiare a Max, poi mi darai retta?»
Sentendosi chiamata in causa, Maxine scattò sull’attenti.
«Solo se dice che è buono» concordò Captain Spirit, adocchiando la cugina.
La fioraia offrì il pezzo di bacon all’amica. «Lo so che potrà sembrare strano, ma bisogna dare un’occasione alle cose inaspettate di poterci sorprendere.»
La Caulfield non riuscì a distogliere i propri occhi da quelli di Chloe. Era stata ipnotizzata dalle sue parole e vedere quell’assurdo pezzo di pancetta ricoperto di sciroppo e cioccolata era come sentirsi sussurrare all’orecchio un segreto di inestimabile valore.
«Fidati di me.»
Max inspirò a fondo, poi serrò le palpebre ed aprì la bocca.
«Mordi.»
Ubbidì, preparandosi a sputare, non molto elegantemente, il boccone in un tovagliolo. Ma quando la sapidità della pancetta le animò la lingua, per essere subito contrastata dal gusto avvolgente della bevanda, arricchita dalla punta di dolcezza dell’acero, comprese cosa stesse cercando di trasmetterle la fiorista. Per quanto potesse pensare che quella combinazione fosse insensata, quasi ai limiti dell’impossibile, l’unione di tutti quei sapori creava qualcosa di prezioso ed indimenticabile. Serviva solamente avere il coraggio di provare per poterlo scoprire.
«Allora?» domandò il piccolo Eriksen, incuriosito.
Maxine deglutì e un sorriso le fiorì sulle labbra.
«Visto?» commentò la Price, strizzandole l’occhio «Adesso digli quanto è buono.»
«Lo è davvero, Chris» confermò, prendendo un pezzo di bacon per replicare la bizzarra ricetta.
Il bambino, rassicurato, assaggiò a propria volta l’invenzione della mentore, restandone colpito quanto la cugina.
Il gruppo continuò a gustare quell’insolita colazione e quando giunse l’ora di lasciare il Two Whales, Christopher chiese se potesse portare via una scorta di ingredienti per replicare la ricetta a merenda.
«Prometto che ti porterò qui tutte le domeniche, se continuerai a venire a trovarmi» giurò la fioraia, portandosi la mano destra al cuore «Facevo sempre colazione così quando avevo la tua età e guarda come sono venuta su bene!»
«Sei la migliore» esultò Chris, tramutando la propria giacca in un mantello «Questa è la colazione dei supereroi!»
«Ovviamente, l’invito è esteso anche a te» proseguì Chloe, rivolta a Maxine «Sempre ammesso che tu non abbia di meglio da fare.»
La Caulfield scosse la testa. Le domeniche sarebbero diventate il loro giorno speciale.
 
***
 
Le settimane si susseguirono in fretta e la metà di ottobre giunse in un lampo, tra vortici di foglie variopinte e scrosci di pioggia. Arcadia Bay immersa nei colori dell’autunno era la cornice perfetta per abbozzare la tavola di un fumetto.
Chloe, album da disegno alla mano, attendeva seduta sul cofano del pickup nel parcheggio della Blackwell Elementary. Picchiettò la punta della matita sulla pagina affollata di sottili tracce di grafite. Il suo protégé si era fatto più insistente riguardo “Le avventure di Captain Spirit e Power Girl” e non perdeva occasione per ricordarle l’impegno preso durante una delle loro domeniche trascorse insieme.
Gli alberi quasi spogli e le strutture del parco giochi dell’istituto erano un buon soggetto per esercitare un talento che, ormai da anni, si era ridotto a qualche scarabocchio improvvisato con fare distratto.
«Questi rami fanno schifo» borbottò, continuando a torturare la matita tra le dita «E questa luce è anche peggio.»
Il sole, offuscato da una sottile colte di nubi, non si offese.
«Ormai si sarà fatta ora di entrare» decretò, dopo aver tentato di raffigurare un corvo intento a beccare briciole tra l’erba.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans con un movimento fluido e constatò di avere giusto il tempo di fumare una sigaretta, prima di dover raggiungere l’aula della quarta per “Mostra e Racconta”.
Per dieci lunghi giorni, aveva affiancato il piccolo Eriksen tutti i pomeriggi per aiutarlo con l’ambizioso progetto di illustrare alla classe il funzionamento del sistema solare. Armati di cartapesta, colla vinilica e tempere si erano accampati nel retrobottega del Kabloom per modellare pianeti, orbite e satelliti. Ci era voluta accurata progettazione ed una invidiabile dose di fil di ferro per far sì che le varie sfere formassero un unico complesso, ma alla fine il duro lavoro li aveva ripagati con un Sole e otto dettagliati pianeti. La Price aveva dovuto cedere sull’aggiunta di Plutone, che si ostinava a definire parte della conta ufficiale, nonostante l’arbitraria decisione della comunità scientifica.
Chloe balzò giù dal cofano, schiacciando il mozzicone sotto la scarpa.
«Si va alla ricerca della quarta.»
Il complesso scolastico era piuttosto ampio ed orientarsi, nonostante le indicazioni approssimative di Christopher, non era facile.
I corridoi apparivano identici gli uni agli altri e le porte delle aule non avevano nulla che le distinguesse, fatta eccezione per una targhetta di plastica con il numero della classe o il nome del laboratorio.
Errando in quel dedalo tappezzato di cartelloni e progetti di arte, la fiorista, dopo cinque minuti buoni di solitario vagabondaggio, riuscì ad individuare una persona di spalle. Decisa a chiedere direzioni, si appropinquò realizzando, ad ogni passo, che la figura aveva un’aria familiare.
«Mi sapresti indicare dove si trova la classe della signorina Marsh?» domandò, avvicinandosi per indagare il sospetto che si stava sempre più concretizzando in certezza «Anche se comincio a pensare di essere di troppo.»
Maxine si voltò e, riconoscendo la fioraia, sorrise.
«Chris non mi aveva detto che si sarebbe fatto accompagnare da qualcun altro» proseguì «Quando mi ha chiesto di essere presente ho pensato che fosse perché sia tu sia suo padre eravate già impegnati.»
La Caulfield scosse il capo. «Glielo avevo detto che sarei venuta per fargli da supporto morale, intanto mi ero già accordata per incontrare una collega di Kate per un laboratorio di fotografia.»
Chloe si fece un appunto mentale di scoprire di più su quel progetto, ma poi si concentrò sulla missione impellente. «Allora, puoi indirizzarmi verso il nostro cosmonauta del giorno?»
«Seguimi» affermò Max e, senza aspettare una qualche replica, prese la mano dell’altra e iniziò a guidarla, filando lungo i corridoi come due studenti ribelli pronti a marinare una lezione.
Quel frammento di genuino divertimento non durò a lungo, perché la porta della classe quarta apparve dopo appena un paio di svolte, lasciandole un po’ affannate e con un sorriso stampato in volto.
Dopo essersi presa un momento per ricomporsi, Maxine bussò ed entrò, trascinando con sé la fioraia.
L’aula era un’accozzaglia di colori, tra cartine geografiche, poster di varia natura ed altri progetti che i bambini avevano portato con sé per la giornata. Il rumoreggiante gregge di studenti era tenuto sotto controllo da una selva di adulti di ogni età che cercavano, un po’ impacciatamente, di conversare in attesa dell’inizio dell’attività.
«Max!» esclamò una biondina, distaccandosi dal gruppo «Chris mi aveva detto che saresti venuta per lui» continuò, congiungendo le mani in una posa molto composta.
Era la damigella che la Price ricordava dal matrimonio, solo che, invece di sfoggiare un bel vestito azzurro, sembrava scomparire dentro una gonna nera e un maglioncino scuro che sarebbero sembrati più adatti ad una donna del triplo dei suoi anni. Invariato dalla cerimonia era, però, il sorriso caldo e cordiale.
«So che si è impegnato tanto per fare una bella figura» rispose la Caulfield «Ha lavorato sodo per più di una settimana.»
«Il risultato si vede» commentò la maestra, gettando l’occhio all’elaborato diorama «Per caso gli hai dato una mano?»
«No, ha trovato un altro aiutante» replicò, gesticolando verso l’amica «Questa è Chloe.»
«Molto piacere» si presentò la fiorista, offrendo la mano.
«Il piacere è tutto mio» ribattè l’insegnante «Sono Katherine.»
Le due non ebbero modo di conoscersi oltre, perché due bambine iniziarono a litigare sull’ordine di presentazione e l’educatrice si vide costretta ad intervenire per evitare che le due arrivassero a tirarsi i capelli.
Notando le ultime arrivate, il piccolo Eriksen si distaccò dal resto della classe. «Siete qui!» esultò, sbracciandosi.
«Te lo avevo promesso, scricciolo» rispose la mentore «E poi devo assolutamente sentire il tuo epico discorso che hai voluto tenermi segreto fino all’ultimo.»
Christopher si esibì nel più ampio sorriso possibile, poi venne richiamato all’ordine per cominciare a disporre il materiale per l’esposizione.
Una fila di sedie venne approntata al fondo dell’aula per permettere ai vari incoraggiatori di prendere posto. Max e Chloe si sedettero affianco e, quando Chris si fece avanti per prendere parola, gli sorrisero per tranquillizzarlo.
Il bambino incontrò lo sguardo delle due donne e si sentì investire dal loro affetto, prese un respiro profondo ed iniziò a parlare.
«Lo spazio si estende per migliaia di anni luce. Gli anni luce non si misurano in giorni o mesi, ma in miglia, anche se non sono riuscito a capire bene perché.»
La fiorista, insieme a tanti altri, ridacchiò divertita.
«La galassia in cui ci troviamo è la Via Lattea, che comprende centinaia di sistemi, tra cui il nostro. Il sole è al centro» proseguì, mostrando la stella nel mezzo del complesso «E intorno a lui orbitano otto pianeti. Prima erano nove, perché c’era Plutone, ma poi lo hanno tolto. Alla mia amica Chloe piaceva e voleva metterlo nel modello, io invece volevo inserire il pianeta del supercattivo Mantroid, ma lei ha detto che se non mettevo Plutone allora non se ne aggiungeva nessuno.»
La Price dovette serrare i denti per non scoppiare in una risata.
«Chloe mi ha anche raccontato un mucchio di cose sui nomi dei pianeti, che prendono i nomi dagli dei latino-americani.»
«Oh, merda…» sghignazzò la Price «Lo sapevo che non dovevo dirgli dell’origine latina dei nomi.»
Max si voltò a guardarla, mentre Chris proseguiva nell’illustrare alla classe le varie orbite.
La fioraia sorrideva, soddisfatta del lavoro del proprio apprendista, e la sua espressione, tanto rilassata quanto fiera, aveva un ché di magnetico che fece mancare un battito al cuore della Caulfield. Percepì un moto, una sorta di forza inarrestabile che la spingeva verso quella donna e le faceva desiderare di conoscerla meglio, la stessa forza che l’aveva portata ad accompagnare Christopher la prima domenica al Kabloom e a cercare, con quella scusa, un legame.
Mentre nelle sue orecchie rimbombavano le nozioni del piccolo Eriksen, Maxine desiderò perdersi nel vuoto cosmico per poter riflettere in silenzio.
 
***
 
«Corri, Chloe! Alla prossima danno barrette di cioccolato!»
Faticando a star dietro a Captain Spirit, vestito di tutto punto dalla maschera fino al mantello, la Price avanzò di buon passo lungo la via di villette a schiera. Era un strada non molto dissimile a quella in cui era cresciuta lei e la folla di bimbi spinti a fare “dolcetto o scherzetto” era tale e quale a quella che calcava Cerdar Ave di anno in anno.
Vialetti e giardini erano tutti decorati per la festa, come da tradizione. C’erano scheletri di carta che ondeggiavano dagli alberi, lenzuoli macchiati di rosso appesi vicino alle finestre, qualche lapide abbandonata nell’erba e un paio di bare con tanto di zombie meccanico segnalavano le dimore dei più impegnati per far parlare di sé. Ciò che non poteva mancare davanti a ciascuna porta, però, era una bella zucca intagliata, con un ghigno più o meno ampio e con grandi occhi, triangolari o tondi a seconda delle preferenze, che scrutavano gli avventori in cerca di caramelle.
Christopher, raggiunto l’uscio, si attaccò al campanello e, quando i padroni vennero ad aprire, li investì con uno squillante: «Dolcetto o scherzetto?»
La coppia, un uomo e una donna ormai avanti con gli anni, gli sorrisero, porgendo una ciotola traboccante di snack avvolti in carte colorate.
«Che bel supereroe abbiamo qui» commentò la vecchina «Chi sei? Oggi abbiamo avuto già due Spiderman e ben quattro Batman, ma un costume così non lo avevamo mai visto.»
«Perché io sono Captain Spirit!» affermò il piccolo Eriksen, gonfiando il petto.
«E chi ti accompagna? Anne Bonny?»
La fiorista, nel proprio raffazzonato costume da pirata, fece spallucce. Dopo essere stata chiamata Barbanera e Jack Sparrow per mezzo isolato, quello era un miglioramento.
«No, lei è Chloe» ribattè Chris, cacciando la manina dentro il contenitore per arraffare più dolciumi possibile.
I due guardarono la giovane ed offrirono anche a lei le caramelle.
Mentore ed apprendista ringraziarono e poi, riposto il bottino dentro i propri sacchi, si spostarono nuovamente sul marciapiede.
«Sono le nove e quaranta» affermò la Price, sbirciando il telefono «Tuo padre ha detto che gli zii sarebbero venuti a prenderti alle dieci.»
«Ancora una casa» pigolò il bambino con tono supplichevole «È l’ultima, davvero.»
«Lo hai detto dieci minuti fa, scricciolo» gli rammentò lei, sollevando la benda che portava sull’occhio destro «Stai trasportando più dolci di quanto pesi, direi che possiamo dichiarare missione compiuta e tornare alla nostra base segreta per assaggiarne qualcuno.»
«Va bene» capitolò lui, avviandosi lungo il viale verso il parcheggio in cui li attendeva il pickup.
Il viaggio verso il Kabloom fu silenzioso perché Eriksen spese l’intero tragitto concentrato a riempire la propria sporta con i gli spuntini zuccherati che dovevano, teoricamente, appartenere all’autista.
Quando raggiunsero il negozio, entrarono dal retro, aspettando di sentire un’altra auto fermarsi nel parcheggio.
Si tennero impegnati scartando un paio di merendine e cioccolatini, poi Chloe cercò di piegare una delle cartacce in modo da ricavarne un fiore, fallendo miseramente.
«Tanto quelli veri sono comunque più belli» decretò, rinunciando all’impresa.
«Prima di conoscere te, pensavo che i fiori fossero roba noiosa e da femmine» commentò Captain Spirit, giocherellando con un nastrino da imballaggio «Ma adesso mi piacciono.»
«Ah, davvero?» domandò «E quale ti piace di più?»
Lui si preparò a rispondere, ma il rumore di una vettura in avvicinamento distrasse entrambi.
Qualcuno bussò alla porta e la Price si precipitò ad aprire.
«Ho ricevuto precise istruzioni per riportare questo giovane supereroe a casa» disse Maxine, sorridendo ai due.
La fiorista rimase sconcertata, aspettandosi di vedere Ryan o Vanessa, e le ci volle qualche secondo per riattivare il cervello.
«Sembra quasi che siate scontenti di vedermi…» mormorò la Caulfield «Posso tornare indietro e lasciarvi continuare con i vostri piani segreti.»
«No, assolutamente» si affrettò a rimediare Chloe, tentando di rettificare il potenziale torto «È solo che ci aspettavamo di trovare i tuoi genitori.»
«Sono rimasti a casa di amici» spiegò «Così sono venuta io.»
«Possiamo restare un altro po’, Max?» chiese il cuginetto «Tanto domani non c’è scuola.»
«Tu non avrai scuola» replicò la fioraia «Ma magari tua cugina deve alzarsi presto.»
«Non preoccuparti» ribattè la diretta interessata «Possiamo fermarci, sempre che per te non sia un problema.»
La Price scosse la testa con un po’ troppo entusiasmo. «Allora, Chris stava giusto per dirmi quale fosse il suo fiore preferito.»
Le due donne si fecero silenziose, aspettando la risposta del bimbo.
«A mamma piacevano tanto i tulipani» bisbigliò Christopher, come se stesse confidando loro un segreto «I suoi preferiti erano quelli gialli, perché diceva che erano del colore del sole» proseguì «Glieli portiamo sempre, quando andiamo a trovarla al cimitero.»
La Caulfield fu tentata di interromperlo, per evitargli di rivisitare qualche brutto ricordo, ma Chris sembrava riuscire a parlarne con serenità, la voce ferma e gli occhi appena lucidi.
«Penso la rendano felice, per questo sono i miei preferiti.»
«È una ragione validissima, ometto» sentenziò Chloe, chinandosi per poggiargli una mano sulla spalla «Sai che anche io ho una storia come la tua?»
Il piccolo Eriksen la osservò, curioso.
«Ho perso il mio papà quando ero giovane e ancora adesso gli porto i suoi fiori preferiti, perché sono sicura che lo apprezzi.»
«Chloe, io non sapevo…» mormorò Max, cercando il suo sguardo «Mi dispiace…»
Lei fece un cenno con la mano. «Gli piacevano i denti di leone. Hai presente, Chris? Sono quei fiori gialli che sbucano in tutti i prati a primavera e poi diventano delle morbide sfere bianche.»
«Oh!» esclamò «I soffioni!»
«Proprio quelli» confermò «Li raccoglievamo insieme le domeniche al parco e ne aveva persino presi alcuni da piantare nel nostro giardino dietro casa. Quando un incidente se l’è portato via, ho strappato tutti i denti di leone in cortile, perché non potevo sopportare di vederli.»
I due cugini le si fecero vicini.
«Ma poi, sai cosa è successo? Con la primavera, loro sono rispuntati, incuranti della mia furia. Devi sapere che il dente di leone è un simbolo di forza, rappresenta il superamento di ogni difficoltà ed è con quello spirito che ho cominciato a guardarli e sono tornata ad amarli.»
Eriksen chiese un muto abbraccio.
La Caulfield osservò in silenzio. Si sentiva di troppo in quel quadretto di tragedia condivisa che, però, sembrava aver reso ancora più saldo il legame tra la fioraia e il suo protégé.
«Adesso che ne dici di guardare qualche video sul mio telefono, mentre io e tua cugina parliamo un momento?»
Lui annuì. «Non voglio fare tardi, però. Max deve tornare da Warren.»
Quella frase incrinò il sorriso della fiorista.
«Chloe, posso chiederti una cosa?» proseguì, come se avesse una realizzazione improvvisa «Perché tu non hai un marito? Non vuoi vivere felice e contenta?»
«Chris» intervenne Maxine «Questi non dovrebbero essere affari tuoi…»
«No, lascia che indaghi» replicò la Price, rivolgendosi quindi al bambino «Io voglio vivere felice e contenta con una persona e trascorrere con lei il resto della mia vita, ma quella persona, se mai arriverà, sarà una donna. Riesci a capire?»
Lui annuì.
«Davvero?» bisbigliò la cugina, incredula.
«Certo che capisco» affermò «Vuoi vivere con una ragazza perché sono più ordinate e non fanno mai la lotta. Però, quando sarò grande, potrai sposare me, così avrai un marito.»
Chloe scoppiò a ridere e gli scompigliò i capelli. «Comincia a crescere, poi si vedrà.»
Captain Spirit, a quel punto, si ritirò sulla sedia dietro la cassa a guardare la sua web-serie preferita, lasciando modo alle due donne di conversare in pace.
«Sbaglio, o hai appena dato a Chris l’illusione di un matrimonio?»
La fioraia sorrise. «Non me la sentivo di spezzargli il cuore, soprattutto dopo quanto ci ha detto su sua madre.»
«Emily era una donna molto solare e vitale, è stata un perdita tragica per tutti, ma lui l’ha vissuta peggio di chiunque altro.»
«Lo posso capire» ribadì la Price «Perdere un genitore ti segna nel profondo.»
«A tal proposito…» disse la Caulfield.
«Non c’è niente da aggiungere, tranquilla» la frenò l’altra «Ho già sentito tutte le frasi di circostanza possibili.»
Lei fece un cenno col capo. «Volevo solo dire che tuo padre sarebbe stato molto orgoglioso di vederti vestita da pirata ad Halloween per fare contento un bambino.»
«Merda!» strepitò la fiorista, ricordandosi solo allora di avere ancora un tricorno in testa e una benda penzoloni al collo.
«Ti sta molto bene questo look» sogghignò l’amica «Pronta a prendere il largo sulla Kabloom, capitano?»
«Non prendermi per il culo» mugugnò, mettendo il cappello sottobraccio.
Max sorrise e l’altra non potè far a meno di ricambiare, nonostante l’orgoglio ferito.
«Non ti ho mai chiesto come mai tu abbia chiamato così il negozio» cambiò improvvisamente argomento Maxine «Me lo sono domandato spesso.»
«È una storia breve» rispose la fiorista «All’inizio Steph ed io abbiamo messo insieme una sfilza di nomi divertenti, quasi per gioco, che potessero andar bene per l’attività.»
La Caulfield ascoltava intrigata.
«Il primo penso fosse stato “Game of Thornes”, a seguire “Enchanted Florist”, “Eufloria” e altri. Poi ho creduto di aver avuto l’illuminazione con “Blumenstrum”, che significa “tempesta di petali” in tedesco, ma la mia brillante socia sosteneva che sembrasse il nome di un movimento neonazista.»
«Perché, invece, “Kabloom” non suona come una cellula terroristica radicale?» commentò Max.
Chloe rimase senza parole, colta alla sprovvista.
L’altra cercò di rimediare, notando che l’ilarità non veniva colta. «Non voleva essere un’offesa, trovo che sia un nome molto bello ed originale…»
La Price, però, decisa ad avere una sorta di vendetta, cominciò a fare la finta offesa e a tenere il muso come una bambina.
Le due andarono avanti a suon di battute per un quarto d’ora buono, quando il loro dialogare venne interrotto da un lieve russare.
Sporgendosi verso il bancone, notarono Chris, appoggiato al ripiano con la testa sulle braccia, che dormiva sereno.
«Credo sia meglio che andiate» decretò la fioraia, avvicinandosi all’apprendista per sollevarlo di peso.
I tre raggiunsero l’auto con Captain Spirit ancora nel mondo dei sogni, assopito a tal punto da non accorgersi di venir depositato sul sedile ed assicurato con la cintura.
«Aspetta un momento, devo prendere una cosa» disse Chloe, prima che Maxine partisse alla volta di casa Eriksen.
Di corsa, la fiorista rientrò per recuperare i dolcetti guadagnati durante la serata. «Mi avrebbe accusata di averglieli rubati, altrimenti.»
«Grazie, di tutto» replicò la Caulfield «Sono sicura che a Chris abbia fatto molto piacere passare questa sera con te.»
«Il sentimento è reciproco.»
«E anche io sono stata molto contenta di aver speso un po’ di tempo con te» aggiunse Max, distogliendo lo sguardo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirle che era stata lei ad offrirsi all’ultimo momento di recuperare il cugino, pur di avere una scusa per vederla.
«Idem come prima» replicò la Price.
Si augurarono la buona notte e Maxine sparì presto lungo la strada deserta, continuando a chiedersi se stesse dando  a qualcosa di inaspettato l’occasione di poterla sorprendere.

 
 
***

 


NdA: signore, signori e affini, vi do ancora una volta il benvenuto nel mio angusto angolo di sfogo. Un'altra settimana è giunta e, come promesso, è giunto anche un nuovo capitolo. Siamo ormai a metà della storia e, ancora sperando nel favore degli dei, mancano solo due settimane alla conclusione. Si accettano scommesse sulla riuscita o meno di quest'impresa.
Ringraziamenti: vorrei proprio vedere come reagirebbe wislava se mi dimenticassi di metterla in elenco, una volta, ma visto tutto il lavoro di cui si fa carico sarebbe estremamente scortese e scorretto, perciò un grazie a lei per prendersi cura delle mie trame e far sì che abbiano la giusta forma per vedere la luce; un grazie ad axSalem che non manca mai di lasciarmi un bel commento a cui le mie risposte non sono mai all'altezza; infine, grazie a tutti gli altri lettori che di volta in volta tornarno a seguire lo svolgersi della vicenda.
Direi di chiuderla qui. Mi auguro che stiate bene e al sicuro in questi tempi inusuali e spero di ritrovarvi al prossimo aggiornamento.
 
 

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Capitolo 4
*** Forget me not ***


Forget me not
[Non mi dimenticare]
 

Il vento soffiava forte dal mare, portando il profumo salmastro delle onde fin sulla cima della scogliera, dove svettava la torre simbolo di Arcadia Bay. Il faro, signore dell’altura, fiero baluardo del dominio umano sulla costa, era il perfetto soggetto da cartolina che ben si armonizzava con la vegetazione tutta intorno.
Le chiome degli abeti si piegavano sotto le raffiche della bufera fredda, quasi invernale, chinando il capo alle ultime piogge, prima dell’arrivo della neve.
La metà di novembre era caratterizzata da quel clima ostile, spezzato da imprevedibili giornate di sole.
Con i vetri che tremavano ad ogni colpo d’aria e scroscio d’acqua, il Kabloom resisteva alle intemperie, rinchiudendo al proprio interno quella che sarebbe dovuta essere un’oasi di pace.
«Mi serve un mazzo che dica: “mi dispiace che sia morto, ma era un gatto randagio e non dovresti averlo amato più di me”. Sarebbe possibile consegnarlo a questo indirizzo?»
La cliente allungò un foglietto lungo la superficie del bancone, continuando il soliloquio riguardo il fidanzato scostante che sembrava provare più affetto nei confronti di un animale selvatico che nei suoi.
Chloe cercò di concentrarsi su quali fiori potessero accontentare quella bizzarra richiesta, ma la sua attenzione era continuamente richiamata dal cellulare, che vibrava incessante da almeno cinque minuti. All’inizio si era trattato di qualche messaggio, nulla di allarmante, ma poi la schermata aveva iniziato ad illuminarsi ed il nome di “Max” era comparso come il richiamo di una sirena, per ben due volte. La sua mente intraprese oscuri sentieri ed un sordo timore che qualcosa di male potesse essere accaduto alla sua amica iniziò a serpeggiare nel suo animo.
«Insomma, quando io ho dovuto far sopprimere il mio cane, lui non ha versato neanche una lacrima» proseguì l’acquirente, iniziando a passeggiare su e giù per il Kabloom «E adesso, invece, per quel sacco di pulci vagabondo…»
«Mi scusi» la interruppe la Price, agguantando l’apparecchio «Devo rispondere, è una faccenda importante, sarò subito di ritorno.»
Sgattaiolò nel retrobottega e trascinò il dito sullo schermo per accettare la telefonata. «Pronto?» mormorò, con il cuore in gola.
«Ah, ciao Chloe» la salutò una voce maschile dall’altro capo «Te l’avevo detto che mi avrebbe risposto» aggiunse poi l’uomo, rivolto a qualcun altro.
«È al lavoro, non c’era bisogno di assillarla in quel modo» contestò colei che la fiorista riconobbe immediatamente come la proprietaria del numero.
«Max ed io stavamo discutendo, poco fa» tornò a concentrarsi quello che, inequivocabilmente, doveva essere il marito «E mi stavo domandando se tu avessi qualche programma per il prossimo sabato sera.»
Una sequela di emozioni diverse investì la fioraia: il sollievo di sentire Maxine viva e vegeta, seguito dalla paura dell’essere coinvolta in una seconda cena a casa degli sposini per approdare alla fremente curiosità di scoprire che cosa fosse tanto urgente ed importante da aver spinto Graham a contattarla.
«Stai tranquilla, non voglio costringerti ad assaggiare nuovamente le mie polpette» annunciò lui, quasi le avesse letto nel pensiero «Abbiamo due biglietti per il cinema drive-in di Newberg, danno Il Pianeta delle Scimmie[1]
La Price rimase in ascolto.
«Dovevo andarci con la mia mogliettina, ma, purtroppo, dovrò assentarmi per l’intero weekend a causa di un seminario, così stavo pensando che potresti accompagnarla tu…»
La fiorista sentì un nodo allo stomaco.
«Sempre che la cosa ti interessi, ovviamente» si affrettò ad aggiungere Warren «Lo avrei proposto ad Eliot, ma Max mi ha fatto il tuo nome e, visto quanto parla bene di te, mi è sembrata una buona occasione per farvi passare una serata divertente.»
Chloe si domandò se quello fosse un crudele scherzo del destino o pura e semplice tortura.
«Allora?» ribadì l’uomo «Cosa ne pensi?»
«Ci sto.» Sputò quelle parole a fatica, combattendo contro ogni briciola di buonsenso, ma non ci fu esitazione nei suoi intenti.
«Perfetto! Lascio a voi la discussione dei dettagli, tanto avete ancora qualche giorno per organizzarvi. Grazie per aver accettato di prenderti cura della mia signora mentre non ci sono» proseguì «Vedrai che non te ne pentirai.»
Quelle parole suonarono quasi profetiche.
La Price tornò dalla cliente trascinando i piedi, ancora incapace di processare l’invito a cui aveva acconsentito senza riflettere. Poteva già prevedere la lavata di capo che le avrebbe fatto Steph a riguardo.
«Mi aspetto che sia puntuale con la consegna» sentenziò la donna, lasciandole l’acconto a portata di mano «E, mi raccomando, si ricordi di dirgli che è da parte della sua futura ex.»
La negoziante si appuntò tutto, in automatico, ma la sua testa era già proiettata lontano nel tempo, al weekend in arrivo, che avrebbe potuto segnare una svolta epocale o dare il via all’apocalisse.
 
***
 
Fiori o non fiori, quello era il dilemma. Se le circostanze fossero state differenti, Chloe non avrebbe esitato a presentarsi con un bel mazzo di iris, garofani e gerbere, una composizione non troppo elaborata e dai colori vivaci, perfetta per essere messa in un vaso prima di uscire, ma qualcosa in quel gesto le sembrava sbagliato. Volle convincersi che fosse semplicemente per il fatto che Maxine avrebbe preferito dei gigli.
«Mi stai ascoltando, Chloe?»
Lei annuì distrattamente.
«Vorrei che conoscessi David» disse sua madre «Lo so che ci frequentiamo solo da qualche settimana, ma stavo pensando di invitarlo a pranzo per il Ringraziamento. Ci sarai?»
La giovane Price fece spallucce. «Abbiamo sempre passato il Ringraziamento da sole, magari un po’ di carne fresca ravviverà le nostre discussioni. Ma se comincia a prendere le tue difese in un dibattito, non escludo di minacciarlo.»
«Sei libera di invitare qualcuno, per pareggiare i numeri» replicò Joyce «Magari qualcuna, come quella Max di cui parli sempre…»
La fiorista serrò i denti. «Non sarà possibile.»
«Peccato» mormorò la signora Price «Avrei comprato un tacchino più grande.»
La fioraia lasciò che la genitrice le raccontasse ancora un po’ del fantomatico David, poi, quando si rese conto che il pomeriggio andava sfumando in sera, si congedò per passare da casa, prima di raggiungere la dimora dei Graham.
Tentennò alla guida del pickup, ancora indecisa se passare al Kabloom per un omaggio floreale, ma alla fine stabilì che non fosse una buona idea, soprattutto perché un ennesimo confronto con Stephanie non avrebbe fatto altro che metterla di cattivo umore prima di vedere la Caulfield.
“Io ti ho avvisata” le comunicò, infatti, la collega tramite messaggio “Almeno vedi di divertirti.”
Chloe si limitò ad uno stringato “Ti dirò”, prima di raggiungere il proprio appartamento per farsi una doccia veloce. L’acqua calda era di piacevole conforto contro l’aria fredda novembrina, il che le fece ricordare, non essendo pratica di cinema all’aperto, di aggiungere una coperta alle cose da caricare in macchina per la serata.
Asciugati i capelli e recuperato dallo stendibiancheria il suo unico paio di jeans non sbrindellati, la fioraia fu pronta per uscire. Si guardò allo specchio un’ultima volta, aggiustando una ciocca turchina dietro l’orecchio. Colse l’occasione per sistemarsi il colletto della giacca di pelle ottima per ogni occasione, sotto cui si intravedeva la sua canotta preferita; un capo di vestiario un po’ inadatto alla stagione, ne era consapevole, che da sempre, però, riteneva di buon auspicio.
Ma di buon auspicio per cosa?
Scosse la testa. Era solo un’uscita in amicizia, una divertente attività in mutua compagnia, nulla di più. Non avevano importanza il battito accelerato del suo cuore e il ronzio alle orecchie ogni volta che Max le sorrideva.
Non c’era tempo per ripensamenti o per elaborare oltre i palesi messaggi che il cervello cercava di inviarle, la Caulfield l’attendeva e la strada per Newberg era lunga.
Scese le scale del palazzo a balzelloni, raggiunse il parcheggio, gettò provviste di cibo e coperta ai piedi del sedile passeggero e girò la chiave nel quadro di accensione nell’arco di cento secondi netti.
Sopra il pickup, lanciato a tutta velocità per le vie di Arcadia Bay, risplendeva un cielo terso punteggiato dalle prime stelle della sera.
Quando Chloe raggiunse la dimora dei Graham, la luna era sorta da oltre le montagne, donando alla volta celeste un ulteriore tocco di luce.
La Price parcheggiò il fido veicolo e si armò di telefono.
“La tua carrozza ti attende” digitò, approfittando dell’attesa per uscire dall’abitacolo ed accendere una sigaretta. Sapeva che a Maxine dava fastidio che fumasse in sua presenza, ma quel rituale le serviva per calmare i nervi.
Dopo un paio di minuti, l’amica la raggiunse, sventolando un sacchetto. «Ho portato un po’ di snack.»
«Perfetto, mettili insieme agli altri ai piedi del sedile» rispose l’altra, affrettandosi a spegnere il mozzicone.
Max aprì la portiera e, dopo aver sistemato le sporte, si accomodò sul pickup, impaziente di partire.
«Hai i biglietti?» le domandò l’autista, risistemandosi dietro il volante.
«Sono qui con me» confermò, estraendoli dalla tracolla.
«Allora mettiamoci in marcia, ci aspetta più di un’ora di strada e non voglio certo rischiare di farti fare tardi.»
Il viaggio sembrò durare meno del previsto. La Caulfield dovette assumere il ruolo di navigatore, ma si lasciò presto distrarre dalla conducente che voleva discutere del film che avrebbero visto, così le due si trascinarono vicendevolmente in un’animata discussione sul genere fantascientifico che le occupò fino all’arrivo alle porte di Newberg.
Trovare il drive-in non fu eccessivamente difficile, una volta raggiunta la periferia della cittadina fu sufficiente seguire il riverbero del colossale schermo illuminato che irradiava il proprio alone biancastro per miglia e miglia.
Si presentarono alla guardia all’entrata che alzò per loro la sbarra di sicurezza ed indicò il lotto dove parcheggiare.
Le automobili erano disposte su una mezza dozzina di file, il che assicurava a tutti di avere una buona visuale del video, mentre numerosi altoparlanti disposti ad intervalli regolari permettevano di avere la miglior distribuzione del suono possibile.
Per coloro che non fossero troppo interessati alla trama, la distanza tra le macchine era tale da garantire un ottimale livello di privacy, il che mise un po’ a disagio Maxine, quando si rese conto che la maggior parte degli altri presenti era composta di coppiette.
«Non ti preoccupare» la rassicurò la Price «Non permetterò che ti rovinino il film.»
Il logo della 20th Century Fox apparve sullo schermo preceduto da un campanello e un forte ronzio.
«Vuoi stare dentro o fuori?» domandò Chloe, stringendo in mano due pacchetti di nachos «Penso che sedute sul cofano riusciremo a sentire meglio.»
«Non farà troppo freddo?» replicò l’altra.
«Tra il motore ancora tiepido e il plaid che ho appositamente portato, non credo proprio.»
Le due scesero per appollaiarsi sul muso del pickup. La Caulfield si arrampicò come una scalatrice ed iniziò a cercare un modo per stare comoda.
«Guarda me» le sorrise la Price, mezza sdraiata con la schiena appoggiata al parabrezza e gli snack pronti al consumo.
L’altra la imitò, accomodandosi al suo fianco. «Dovremo stringerci un po’, per stare sotto questa coperta striminzita» osservò, accorciando le distanze fino a che le loro braccia non furono a contatto.
La fiorista non obiettò.
La pellicola iniziò a scorrere all’interno del vecchio proiettore, animando la notte con le scene del cosmo e dell’astronave.
Max, che conosceva la storia a memoria, dopo il confronto del tragitto voleva sentire i commenti dell’amica, così le chiese di parlare liberamente ogni qual volta lo reputasse necessario.
Chloe, nata per criticare qualsiasi cosa che non fosse Blade Runner, non si fece sfuggire l’occasione.
«Perché avrebbero dovuto costruire una navicella con pareti insonorizzate?» domandò, indicando i pannelli con cui era rivestito il mezzo intergalattico «Nel vuoto dello spazio il suono non si propaga in ogni caso.»[2]
La Caulfield sorrise, dandole ragione.
«E poi guarda che scriteriato!» continuò la fioraia «Appoggiare un sigaro acceso accanto ad un materiale chiaramente infiammabile è l’equivalente di aprire il portellone e uscire per una passeggiata senza tuta spaziale.»
Passarono un po’ di minuti, prima che la Price tornasse a farsi sentire. «L’unico membro femminile della squadra viene ucciso senza poter dire una singola battuta, che bellezza i gloriosi anni del patriarcato, prima che le donne avessero diritto di esprimere le proprie idee.»
L’amica annuì concorde. Le osservazioni di Chloe erano molto interessanti e le fornivano una prospettiva tutta nuova su un cult che, pensava, non avesse più segreti per lei. Eppure, gli occhi della fiorista erano capaci di scorgere dettagli bizzarri, piccole incongruenze che sarebbero sfuggite anche al più allenato dei cinefili, ma che lei sembrava in grado di fiutare come un cane da punta.
Le due ore successive furono costellate di brevi commenti della fioraia, ma fu verso la conclusione, quando il protagonista, l’astronauta George Taylor, si ritrovò a cavalcare lungo la spiaggia, che Maxine si fece contagiare dalla voglia di farsi sentire. «Certo che, con il senno di poi, avrebbe dovuto capire che si trovavano sulla Terra. Tra l’atmosfera così simile, l’aria respirabile e tutti i vari reperti…»
«Ormai ti ho portata al Lato Oscuro dei criticoni» sogghignò la Price «Ma per consacrare la tua iniziazione bisognerebbe alzare un po’ di più la voce.»
La Caulfield si paralizzò quando vide l’altra scivolare fuori dalla coperta, lanciare a terra il sacchetto dei rifiuti della loro cena e salire in piedi sul tettuccio alle sue spalle.
«Forza, Max!» la invitò, porgendole la mano.
Assecondando quella pazzia, l’amica si lasciò issare sulla cima del pickup.
«Non appena compare la Statua della Libertà, urla: “sveglia, George, era la Terra fin dall’inizio!”»
«Non sono brava a gridare» mormorò Maxine, un po’ in imbarazzo.
«Ti insegno io» replicò la fioraia «Devi lanciare la voce, per essere sicura che tutti ti sentano.»
Max non riuscì a far altro che annuire, calamitata dal viso di Chloe, i cui occhi azzurri sembravano rilucere ancor di più in contrasto con i colori delle scene finali in corsa sullo schermo.
«Devi contrarre i muscoli dello stomaco» disse la Price, poggiandole la mano sinistra sull’addome.
«Non penso di averne.»
«Ma certo che li hai» ribattè «Contraili forte e poi prova a premere il diaframma contro il mio palmo» proseguì, facendo scivolare la mano poco più su «Non abbiamo molto tempo.»
«Faccio fatica a sentire il tocco» sussurrò Max, strozzando le sillabe «Forse se usassi entrambe le mani…»
La Price, incurante del rischio di cadere e farsi male, si portò alle spalle dell’altra e l’abbracciò, di modo da premere lievemente con i palmi contro il muscolo respiratorio interessato.
«Adesso viene il bello» le bisbigliò all’orecchio.
Il fiato caldo sul collo e le parole, pronunciate con quella sicurezza tanto invidiabile, fecero rabbrividire la Caulfield.
«Immagina che il tuo palato sia il tetto di una cattedrale…»
«Mi sono persa» disse l’altra, sciogliendosi dalla stretta «Parlare di muscoli era un conto, ma questa storia della cattedrale…»
«È una questione di spazi» provò ad illustrarle la fiorista «Devi pensare che la tua bocca sia talmente immensa da doverla riempire di suono, dal profondo devi riuscire a generare una forza tale da rimbombare così da poterla proiettare fuori.»
Maxine la osservò, spersa.
«Così» affermò Chloe, voltandosi verso il protagonista, ormai sul punto di essere spezzato dalla grande rivelazione «Sveglia, George! Era la Terra fin dall’inizio!»
Quella frase echeggiò per tutto il drive-in, sovrastando il suono degli altoparlanti ed attirando l’attenzione dell’intero pubblico, che prese a rumoreggiare solo quando il riverbero delle parole venne assorbito dalla notte.
«Mica male, eh?» si pavoneggiò la fioraia, scivolando lungo il parabrezza, per poi balzare a terra.
Max le sorrise, perché non c’era altro che potesse fare, e pregò silenziosamente che quella piccola scena non costasse loro di essere bandite a vita dall’intera città di Newberg.
Fortunatamente, lasciare il cinema all’aperto non richiese molto tempo, una volta che lo schermo divenne nero e ad una ad una le vetture furono condotte all’uscita.
La luna e le stelle alte nel cielo avrebbero segnalato, a chi si fosse interessato di studiarne la posizione, che mancava più di un’ora alla mezzanotte e la serata si poteva ancora sfruttare in molti modi.
«Ti riaccompagno a casa?» chiese la Price, una volta individuata la strada verso la costa. Non avrebbe voluto fare quella domanda, ma non poteva certo prendere Maxine in ostaggio solo perché desiderava che la loro breve avventura insieme non si concludesse tanto in fretta.
«È ancora presto» le rispose la Caulfield «Potremmo fare qualcos’altro, prima di augurarci la buonanotte.»
«Hai già in mente qualcosa?»
«Dipende» ribattè Max «Ti piace ballare?»
Chloe aggrottò le sopracciglia. «Non ti avrei mai preso per una da discoteca…»
«Nessuno ha parlato di “discoteca”» replicò l’altra, senza, però, spiegarsi oltre «Fate rotta per Arcadia Bay, capitano, e vi indicherò la strada una volta raggiunta la città.»
Decisa a stare al gioco, la Price premette sull’acceleratore e si avviò lungo la provinciale deserta.
 
***
 
La piccola cittadina costiera non era nota per la vita notturna, essendo perlopiù un covo di pescatori e tappa per viaggiatori di passaggio, la fiorista lo sapeva bene. Negli anni della gioventù, quando aveva sentito il bisogno di evadere da quella che le sembrava una prigione, era dovuta ricorrere ad illegali concerti rock in una segheria abbandonata in mezzo ai boschi, perché Arcadia Bay era troppo “tranquilla”.
Destreggiandosi tra le vie principali del centro alla ricerca di un parcheggio, mentre in alto, sulla scogliera, solamente il faro sembrava essere ancora in attività, Chloe si chiese quale trucco la sua amica fosse pronta a tirare fuori dal cilindro.
«A destra, dietro quel furgoncino» le indicò Maxine, dopo aver individuato un posto vuoto «È perfetto, siamo molto vicine alla nostra meta.»
La Price fece manovra e spense il motore per guardarsi attorno con attenzione. Era una zona della città che frequentava poco, dove si concentravano negozietti e boutique che non avevano nulla di interessante da offrirle.
La maggior parte degli edifici aveva le saracinesche abbassate o le porte chiuse a doppia mandata, ma nella fila di finestre serrate, una vetrina risaltava, richiamando l’attenzione sui numerosi poster che la decoravano.
«È un negozio di videogiochi» osservò la fioraia «Cosa diavolo ti sei inventata?»
Max, senza esitare, entrò e rivolse al proprietario un cordiale saluto, seguita a ruota dall’altra, ancora presa dallo studiare l’ambiente.
L’uomo, una sorta di nano vichingo dal viso severo sepolto sotto una folta barba rossiccia, annuì alla Caulfield senza neppure pronunciare una parola.
«Seguimi» affermò la giovane, prendendo la mano della fiorista per accompagnarla ad una scala in ferro che conduceva ad un seminterrato.
Chloe si convinse che, se la sua esistenza fosse stata un film dell’orrore, quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe perso la vita per mano di qualche psicopatico armato di uncino o motosega.
Invece di trovarsi nel covo di un serial killer, però, le due sbucarono in una grande stanza dalle pareti di cemento contro cui si trovava una dozzina di cabinati lampeggianti, in perfetto stile arcade dei tempi andati.
«È una sala giochi» mormorò la Price «Sembra uscita direttamente dalla fine del secolo scorso.»
«Non è molto frequentata, forse perché ha aperto solamente da qualche settimana» replicò la Caulfield «Ma conosco Paul, il proprietario, da prima che ristrutturasse questo posto e ne approfitto quando posso per giocare ai grandi classici su arcade.»
«Continuo a non capire come questo posto abbia a che vedere con il ballo» commentò la fioraia, lasciandosi distrarre dal tintinnare insistente di un flipper.
Ancora una volta, senza parlare, Max la prese per mano e la condusse davanti ad una delle macchine più grandi.
«Ultimate Dance Battle[3]» lesse ad alta voce Chloe «Fai sul serio?»
Maxine indicò le due piattaforme di gioco disposte l’una accanto all’altra davanti allo schermo. L’obiettivo consisteva nell’eseguire le mosse giuste premendo con i piedi le frecce della postazione a ritmo della musica.
«È una sfida?» continuò la fiorista, facendo qualche saltello per scaldare le gambe.
«Non deve esserlo per forza» replicò l’amica «Non vorrei lasciarti andare a casa con il peso di una bruciante umiliazione.»
«Ti rimangerai queste parole, mia cara.»
La Caulfield inserì un quarto di dollaro nella macchina, che immediatamente reagì animandosi di luci e suoni.
«Selezionare traccia» gracchiò una voce robotica.
«Qualcosa di tranquillo, per riscaldarci…» suggerì la Price.
«Mi dispiace, ma lasceremo che sia il fato a decidere.»
Il computer interno scelse una delle tante canzoni a propria disposizione e diede il via alle prime note di Feels Like I’m in Love di Kelly Marie.
«Pronta?» domandò Max, vedendo la pedana illuminarsi per dare il via alla battaglia.
«Sono nata pronta.»
It feels like, it feels like I’m in love.
Avanti, avanti, indietro.
My head is in a spin, my feet don’t touch the ground.
Destra, indietro, destra, avanti, sinistra, indietro.
Because you’re near to me my head goes round and round.
Chloe faticò a stare dietro al ritmo incalzante.
My knees are shaking, baby, my heart it beats like a drum.
Maxine sorrideva, eseguendo le mosse richieste con naturalezza.
It feels like, it feels like I’m in love.
La fioraia sbirciò l’avversaria e sbagliò tre passi di fila per causa della distrazione.
Ain’t been this way before, but I know I’m turned on. It’s time for something, baby, I can’t turn off.
«Concentrati» la punzecchiò l’amica «Vincere con tutto questo vantaggio non è divertente.»
My knees are shaking, baby, my heart it beats like a drum.
L’altra provò a recuperare, ma il divario era ormai incolmabile.
It feels like, it feels like I’m in love.
La traccia scemò in un trionfo di beep e scampanii in favore della Caulfield.
«Voglio la rivincita» affermò immediatamente la Price «Ma questa volta si gioca secondo le mie regole.»
Max le fece cenno di procedere.
La fiorista fece ripartire la stessa canzone, ma, invece di seguire la propria pedana, dopo qualche secondo afferrò i fianchi di Max per spostarla, invertendo le postazioni.
Invece di protestare, Maxine rise divertita e continuò a ballare.
Quella scena si ripetè un altro paio di volte e, quando la macchina suonò per la terza volta Feels Like I’m in Love, le due si ritrovarono ad improvvisare un duetto, sfoggiando mosse e discutibili coreografie che non avevano nulla a che vedere con il gioco.
Sull’onda di quello spasso, continuarono ad inserire quarti di dollaro fino a che, scatenandosi a ritmo di una compilation dai sapori ormai retrò, i portamonete di entrambe non piansero miseria.
«Molto meglio di una discoteca» decretò Chloe.
«Te lo avevo detto» ribattè Max, osservando l’orologio del telefonino che indicava fosse ormai l’una passata.
«Non dubiterò mai più di te e delle tue idee» disse la Price, comprendendo che fosse giunta l’ora di rientrare per la notte «Ma penso che si sia fatto tardi e sia ora di riportarti a casa.»
 
***
 
Il pickup si accostò al parco nel momento in cui l’orologio del cruscotto segnò l’una e mezza spaccata.
«Sicura che non vuoi che ti accompagni fino alla porta?» domandò la fiorista «È piena notte e questo potrà anche essere un quartiere tranquillo, ma…»
«Volevo approfittare di questo bel tempo per fare una passeggiata, prima di rientrare» la interruppe l’altra «Ti andrebbe di farmi compagnia ancora per un po’?»
Chloe tentennò. Avrebbe dovuto aprire il Kabloom una volta giunta la mattina ed, essendo domenica, avrebbe dovuto badare al terremoto biondo che rispondeva al nome di Chris.
«Ti offrirò il caffè, domattina, per pareggiare i conti» propose la Caulfield.
«Non hai bisogno di comprarmi in questo modo» ridacchiò la fioraia, scendendo dal veicolo e avviandosi verso il sentiero che conduceva sotto le fronde dei faggi «Ma accetterò molto volentieri quel caffè.»
Le due camminarono lungo il percorso delimitato da qualche panchina deserta riprendendo le chiacchiere che avevano interrotto poco prima.
«Allora, dimmi del giglio» mormorò Max, avanzando sotto la tenue luce lunare.
«È per questo che volevi fare quattro passi? Per concludere il tuo interrogatorio?» contestò la Price «Te l’ho già detto che non vuoi sapere il significato del giglio.»
L’amica sospirò. «Ma è il mio fiore preferito…»
«Chiedimi dell’azalea» replicò la fiorista.
«Va bene, cosa significa l’azalea?» domandò, stringendosi nella giacca.
«È un augurio di sicurezza economica» spiegò Chloe, tenendo lo sguardo fisso davanti a sé.
«Molto interessante» commentò Maxine, facendo un passo laterale per urtare lievemente l’amica «Adesso dimmi del giglio.»
La Price si irrigidì quando sentì le mani dell’altra avvinghiarle il braccio destro.
Gli occhi della Caulfield si fissarono con determinazione alla ricerca di quelli molto elusivi della fiorista.
Lei faticò a resistere a quello sguardo, che sembrava in grado di demolire ogni suo tentativo di difesa. «Il giglio significa…» mormorò.
Max sorrise, in trepidante attesa.
«Il giglio significa: “ti sfido ad amarmi”.»
Scese il silenzio sul parco, mentre le due donne continuavano a fissarsi.
Chloe comprese di essersi esposta troppo e fece un passo indietro. «È davvero tardi, adesso, sarà meglio tornare a casa.»
Raggiunsero nuovamente la macchina per proseguire, poi, verso il complesso di palazzi a piedi.
«Comunque, volevo ringraziarti per la bella serata» riprese la fioraia «Era da tempo che non mi divertivo tanto.»
«Figurati, è stato un piacere» replicò l’altra «Non avrei mai detto che rivedere Il Pianeta delle Scimmie sarebbe stato così illuminante.»
«Dovresti sentire cosa ho da dire sugli altri classici della fantascienza» tornò a pavoneggiarsi la Price, riacquistando magicamente la propria sicurezza «Posso rovinare i finali ad un sacco di gente.»
Ridacchiarono insieme fino a raggiungere il portone del condominio dei Graham.
«Sono arrivata» osservò Maxine, quasi non si fosse resa conto di dover dare spazio ai saluti.
Chloe tentò di trovare qualcosa da dire, ma si perse nuovamente a studiare le iridi blu che sembravano essere alla ricerca di qualcosa.
Maxine si sentì sospingere da una forza inarrestabile. Fece un passo avanti, poi un altro, arrivando con le labbra ad un soffio da quelle della fioraia.
Il mondo sembrò fermarsi per un istante, con la luna sospesa come i loro respiri.
Poi un’auto solitaria sfrecciò lungo la strada accanto e l’incantesimo si spezzò. Max indietreggiò, stordita e balbettò un “buonanotte” a mezza voce. Materializzò le chiavi in mano e scomparve nell’androne ancora buio senza voltarsi.
La Price rimase imbambolata. La testa, che fino ad un momento prima si era svuotata di ogni cosa che non fosse il viso di Maxine, iniziò a vorticare di pensieri.
«Merda…» imprecò, dirigendosi al pickup. Le rimanevano sei ore di tempo per dimenticarsi di tutto e far finta che quel bacio mancato non fosse mai avvenuto.
 
***
 
Il sole sorse su un’Arcadia Bay placida ed addormentata, solleticando con i primi raggi della giornata le cime degli abeti che popolavano la collina del faro.
Nascosta all’ombra degli alberi, intenta a fumare la terza sigaretta di fila, si tormentava Chloe, camminando su e giù lungo il sentiero che conduceva allo spiazzo sul promontorio. Dopo una notte pressoché insonne, aveva raggiunto il negozio alle sei del mattino e, non riuscendo a trovare requie, aveva iniziato a camminare nella speranza che lo sforzo la aiutasse a distrarsi. Il tentativo si era rivelato più che vano.
Non ce la posso fare.
Inspirò una boccata di fumo e riprese la discesa verso il bivio che l’avrebbe ricondotta al Kabloom. Chris sarebbe arrivato entro una mezz’ora e, con lui, sarebbe giunta anche la causa delle sue tribolazioni.
Non è stato niente, ripigliati. Steph ti tirerebbe un pugno per farti rinsavire.
La sua collega, però, aveva già chiesto di avere la giornata libera per passarla con la sua più recente conquista e non sarebbe stata presente per farle la paternale o darle un po’ di supporto morale.
Le suole consumate degli anfibi fecero presa sulla ghiaia della strada, avvicinandola passo dopo passo al negozio.
La saracinesca decorata era là ad attenderla, aspettando di essere sollevata per dare il via ad un nuovo giorno di lavoro, ma la proprietaria era di tutt’altro avviso. Passando dal retro, la Price cercò di soffocare ancora una volta i propri pensieri, concentrandosi sulla potatura di un paio di Dracaena fragrans, noti come tronchetti della felicità, che avrebbe dovuto esporre nella giungla della vetrina. La cura necessaria per quel compito e l’attenzione richiesta per non danneggiare le piante riuscirono, finalmente, a liberarle la testa, lasciando che le mani agissero da sé, ben sapendo come trattare le foglie di quelle piante.
I trenta minuti che la separavano dall’ineluttabile colazione le scivolarono addosso senza che se ne accorgesse e presto aumentarono, fino a diventare quaranta, poi cinquanta ed infine sessanta.
Il desiderio di chiedere spiegazioni via messaggio si presentò più e più volte, ma la fiorista si fece forza per resistere. Ci potevano essere mille ragioni per quel ritardo e presto avrebbe potuto sentire quella effettiva con le proprie orecchie, sarebbe stata una questione di pazienza.
Aveva sollevato la saracinesca da un quarto d’ora ed aveva persino venduto un paio di anthurium ad una vecchina diretta al cimitero, quando udì il rumore di una macchina entrare nel parcheggio.
Il suo cuore accelerò, ma il rombo del motore non si smorzò e la vettura, dopo una breve sosta, scomparve alla volta della cittadina.
Dopo qualche secondo, Christopher entrò trascinando i piedi, chiaramente turbato. «Ciao, Chloe» mormorò, togliendosi lo zainetto dalle spalle per appoggiarlo sul bancone.
La fiorista ricambiò il saluto, poi gli domandò cosa lo avesse messo di cattivo umore, sperando di ricavare qualche informazione riguardo Maxine nel frattempo.
«Non siamo andati a mangiare il bacon con la cioccolata» spiegò, esponendo una ragione a lui ovvia.
«Mi dispiace» rispose la mentore «Ti ci avrei portato, ma devo restare in negozio, visto che Steph oggi non c’è ed è orario di apertura.»
«È colpa di Max» ribattè, mettendo il muso «Non è venuta a prendermi, così ci ho messo troppo tempo a convincere papà e abbiamo fatto tardi.»
«Come mai non è venuta?» provò ad indagare.
«Non lo so» borbottò il bimbo, accomodandosi sullo sgabello dietro il bancone «Mi aveva promesso che mi avrebbe accompagnato, come tutte le domeniche… Pensi che abbia fatto qualcosa per farla arrabbiare?»
La donna scosse la testa. «No, Chris, sono sicura che non sia colpa tua. Magari non si è sentita bene o si è ricordata di avere qualcosa di importante da fare per lavoro.»
«Ma me lo aveva promesso» contestò il piccolo Eriksen «E le promesse si devono mantenere, sempre.»
«Certo» concordò lei «Proprio per questo sono sicura che tua cugina ti saprà dare una spiegazione e tu, da bravo supereroe, sarai comprensivo e la perdonerai per aver mancato a questo impegno.»
Il bambino sembrò abbastanza soddisfatto da quella prospettiva, che venne seguita da una promessa di pranzare al Two Whales per porre rimedio all’appuntamento saltato.
Passato il mezzogiorno, Chloe mantenne la parola data ed accompagnò il protégé al diner per un lauto pasto a base di Mac&Cheese e una fetta di pumpkin pie  più grande della sua faccia. Per non farlo sentire solo durante il banchetto, la fioraia ordinò un frullato che sorseggiò controvoglia.
«Non è lo stesso senza Max» si lamentò Captain Spirit, attaccando con la forchetta la mole colossale di pasta al formaggio.
La Price sospirò. «Lo so, scricciolo.»
Il bimbo osservò la mentore, assalito all’improvviso da un dubbio. «Chloe… Hai fatto arrabbiare tu Max?»
La fiorista indurì la propria espressione, cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione che avrebbe potuto tradire il timore di essere la causa di quell’assenza. «Non lo so, Chris, mi auguro di no.»
Lui non volle indagare oltre e tornò a mangiare come se nulla fosse accaduto.
Tornarono al Kabloom e trascorsero insieme il pomeriggio. Christopher si offrì volontario per assistere i clienti nelle loro scelte floreali, pur di evitare i compiti, ma la proprietaria del negozio lo costrinse a fare gli esercizi di matematica, dandogli una mano.
Charles venne a riprendere il figlio poco prima delle cinque e la giornata di Chloe, a quel punto, divenne ancor più deprimente.
In accordo con il suo umore, il cielo si fece coperto e dal Pacifico cominciò a spirare un vento freddo di tempesta. Era assurdo pensare che la sera prima si potessero scorgere con tanta chiarezza la luna e le stelle.
La luce cominciò presto a mancare e l’aria di pioggia si insinuò sempre più nella giungla del negozio, sgusciando dentro ogni qual volta un nuovo acquirente faceva il proprio ingresso.
La porta cigolava stanca ad ogni nuovo arrivo, faticando a chiudersi contro le raffiche che premevano per entrare. Presto quel malinconico lamento divenne il naturale sottofondo delle ore desolate della Price.
Quando un altro gemito dei cardini marcò l’entrata di un nuovo cliente, la fioraia alzò lo sguardo assecondando un riflesso condizionato.
Improvvisamente il suo umore nero svanì, spazzato via da una visione inattesa. Il sorriso le fiorì sulle labbra prima che potesse realizzare quanto si sentisse felice e sollevata.
Davanti a lei, con i capelli un po’ arruffati dal vento, col fiato corto e il viso arrossato per un’apparente scatto di corsa, si trovava Maxine. Gli occhi blu le dissero già tutto ciò che Chloe avrebbe voluto sentire.
 
***
 
Max si pietrificò sulla soglia del Kabloom, cercando di ripercorrere gli eventi di quel giorno.
Dopo aver trascorso una nottata insonne a tormentarsi riguardo la serata passata con la Price, la Caulfield aveva deciso di evitarla ad ogni costo, mancando, proprio malgrado, all’impegno con il cuginetto. La solitudine domestica l’aveva, però, presto esasperata. Non poteva chiamare Kate, l’unica con cui avrebbe potuto confidarsi, perché essendo domenica sarebbe stata impegnata con le funzioni in chiesa e con il catechismo. La televisione ronzava e gracchiava, ma non abbastanza forte da sovrastare il rumore che facevano i suoi pensieri. Doveva uscire da quella che si stava tramutando in una gabbia fatta di foto felici di lei e suo marito, l’uomo che sarebbe tornato a casa quella sera, ignaro di tutto.
Nella speranza di sfuggire a se stessa, a metà pomeriggio, si era messa in cammino nonostante le nubi nere all’orizzonte. I piedi l’avevano guidata là dove mai avrebbe avuto il coraggio di dirigersi coscientemente.
Nel momento in cui aveva aperto la porta si era figurata tutto ciò avrebbe dovuto dire, non poteva esitare o rimandare, il confronto era inevitabile e si sentì sicura delle proprie scelte, fino a che non vide il sorriso caldo di Chloe, pronto ad accoglierla dopo le sferzate di vento gelido.
«Ciao» le disse la fiorista «Dopo il bidone di stamattina, sono felice di vederti…»
«No, non sei felice di vedermi» la interruppe la Caulfield, forzando le parole «Non puoi esserlo. Non voglio che tu lo sia.»
La fiorista si scostò per lasciare che l’altra entrasse e potesse chiudersi la porta alle spalle.
«Sono qui perché non so cosa stia succedendo.»
La Price si trattenne dal rispondere, un po’ confusa da quelle parole, che non erano esattamente ciò che avrebbe sperato di udire.
Maxine iniziò a passeggiare avanti e indietro gesticolando, evitando ad ogni costo di incontrare gli occhi azzurri dell’altra.
«Tu mi fai sentire qualcosa» continuò con voce strozzata «Qualcosa che non posso assolutamente provare.»
Chloe incrociò le braccia al petto, attendendo il seguito di quella bizzarra confessione.
«Io sono sposata.»
Non era necessario ricordarlo ad alcuna delle parti coinvolte, ma la Caulfield aveva bisogno di pronunciare quelle parole per tracciare un confine.
«Sono sposata, per la miseria. Ho un marito… E lui… È un uomo buono e non ha fatto niente di male…»
Un nuovo acquirente entrò nel Kabloom, troncando il discorso di Maxine che si dileguò andando a nascondersi nel retro del negozio.
«Salve, potrebbe aiutarmi? Vorrei mettere in piedi un piccolo orto e mi servirebbero alcune erbe officinali» esordì l’uomo, un signore di mezza età dall’aria abbastanza distratta da non percepire la tensione che ancora aleggiava nella stanza.
Decisa a non perdere tempo, anche a costo di rimetterci qualche dollaro, la Price gli piazzò in mano un vasetto di salvia e uno di basilico.
«Prenda queste, offre la casa.»
Lui non replicò e se ne andò soddisfatto, lasciando che la fiorista potesse raggiungere l’amica, intenta a riorganizzare il proprio monologo nel retrobottega.
Quando si trovarono nuovamente faccia a faccia, Maxine fece un profondo respiro, prima di ricominciare a parlare. «Quindi, capisci? Devi capire. Non posso farlo, non posso davvero. Perciò, qualunque cosa ci sia, o ci fosse, deve finire qui ed ora.»
Si fissarono in un silenzio carico di sentimenti inespressi, ma Max non riuscì a reggere lo sguardo dell’altra a lungo.
«È finita» sentenziò, puntando verso la porta.
Chloe non l’avrebbe fermata, anche se avrebbe voluto farlo. Si impose di non voltarsi per supplicarla di restare perché non sarebbe stato giusto, se quella era la decisione che Maxine aveva preso.
Il rumore della maniglia che scattava le assalì i timpani, ma, dopo quelli che le parvero secondi interminabili, non sentì la serratura azionarsi nuovamente alle proprie spalle.
Si girò e vide che la Caulfield non se n’era andata.
«Max?» mormorò, non osando avvicinarsi.
Sentendosi chiamare, Maxine lasciò andare la presa e tornò indietro. Ci aveva provato, la testa le aveva detto di opporsi a quella forza inarrestabile e lei aveva fatto il possibile, ma qualcosa nel profondo continuava a spingerla verso Chloe e non voleva più combattere contro qualcosa che, in fondo, desiderava.
Si aggrappò alle falde della giacca di pelle nera, attirando a sé la fiorista. I capelli blu e le iridi celesti erano un bellissimo mare in cui naufragare. Chiuse gli occhi e colse la sfida del giglio.
Il pubblico floreale fu testimone del loro primo bacio, poi del secondo e di tutti quelli che seguirono. Un letto di rose, già disposte nei vasi da esporre in vetrina, le accolse quando la Price, sbilanciata dal ritrovarsi l’altra tra le braccia, si lasciò cadere all’indietro.
Si ritagliarono uno spazio nel mondo che apparteneva solo a loro. Le fronde dei Ficus, le foglie di felce ed i petali delle varie altre specie delimitavano un confine entro il quale non esistevano obbligazioni o legami estranei, un luogo in cui la tempesta che aveva preso ad infuriare all’esterno non poteva raggiungere le due donne. In quel retrobottega a malapena illuminato, nulla poteva turbare lo sbocciare del loro amore.
«Spine…» balbettò la fiorista tra un bacio e l’altro.
Maxine provò a sollevarsi. «Cosa?»
«Ho una selva di spine nelle chiappe» rise Chloe, facendo il possibile per allontanarsi dai fusti delle rose, senza però scostarsi dal corpo della Caulfield.
Max sorrise, dimentica di ogni cosa, beandosi di quel momento di leggerezza.
«Non che mi lamenti della situazione» proseguì la fioraia, prendendo il viso dell’altra tra le mani per baciarla nuovamente «Ma, forse, sarebbe meglio se ci alzassimo. Questi fiori devono essere venduti e io devo pur campare di qualcosa.»
Maxine si mise in piedi e tese una mano per aiutare l’altra.
Tornarono a fissarsi con intensità e fu questione di un respiro prima che precipitassero ancora una volta sull’inusuale letto di petali.
La furia del temporale era tale da assorbire ogni suono che non fossero i loro respiri, perciò entrambe sobbalzarono quando udirono la porta del negozio aprirsi, non avendo colto il rumore di una vettura in arrivo.
«Non posso spedire via un altro cliente con un omaggio» borbottò la fiorista, alzandosi controvoglia e con l’intenzione di liquidare quanto prima l’indesiderato scocciatore.
«Ehilà?» si levò una voce «C’è nessuno?»
Nonostante la porta di divisione e il battere della pioggia sui vetri, entrambe riconobbero il timbro di Warren.
«Chloe?» continuò «Sei nel retro?»
La Price scattò. «Arrivo subito.» Si voltò appena un secondo per scorgere il volto pallido e lo sguardo terrorizzato di Maxine.
L’incantesimo era ormai spezzato.
«Ciao, Warren» salutò il giovanotto, chiudendosi l’uscio alle spalle «Stavo sistemando le rose.»
Lui annuì comprensivo.
«Cosa ci fai qui?» domandò la Price.
Graham allargò le braccia, indicando intorno a sé. «Sono qui per comprare dei fiori, che altro se no?»
«Fiori, certo» ribattè la fioraia, cercando di riordinare le idee.
«Sono per Max» aggiunse lui «Voglio farle una sorpresa.»
Chloe lanciò uno sguardo alla porta che dava sul retrobottega. Era socchiusa.
«Ultimamente l’ho vista distante… Questo convegno ci ha portato via un weekend da spendere insieme e non ha di certo aiutato. So che i fiori le piacciono e saranno un buon modo per farle tornare il sorriso quando arriverò a casa.»
La Price si sentì investire da un travolgente senso di colpa.
«Ho pensato che una delle tue composizioni fosse proprio quello che faceva al caso mio, puoi aiutarmi?» concluse, osservando vaso di narcisi.
«Certo» disse lei «Cosa le piace?»
Warren fece spallucce. «Lo sai cosa le piace.»
Un brivido freddo corse lungo la schiena della fiorista.
«I gigli» proseguì l’uomo, vedendola smarrita «Lei ama i gigli.»
Cercando di deglutire il rospo che si sentiva in gola, Chloe iniziò a mettere insieme un mazzo che fosse adatto all’occasione.
«Allora, com’è stato il film ieri sera?» chiese Graham, osservandola lavorare.
«Niente male» replicò lei, senza sbilanciarsi troppo.
«E come hai trovato Max?»
La Price si bloccò con una mano sospesa. «Bene» mormorò «Insomma, non saprei come…» proseguì, mordendosi la lingua «Bene.»
L’uomo le si avvicinò e cercò il suo sguardo. «Non vorrei sembrare indiscreto, ma non è che ti abbia detto qualcosa su di me?»
La fioraia desiderò essere inghiottita dal pavimento.
«Forse sto sbagliando qualcosa, con lei, me ne convinco sempre più» sospirò «E se ti avesse detto cos’è quello che sto facendo o che non sto facendo, potresti aiutarmi a correggere il mio comportamento e così…»
Chloe faticò a guardarlo in faccia, dopo aver notato che aveva gli occhi lucidi.
«Torneremmo a stare come prima» disse, cercando di mascherare l’incertezza nella voce «Sono sicuro che potremmo tornare a stare come prima.»
Perdurò il silenzio, mentre la Price concludeva la composizione.
«Non mi ha detto niente» affermò, porgendogli i fiori.
«Capisco, mi spiace di averti messo in imbarazzo e di essermi reso un po’ ridicolo con questa scena» rispose Warren, accogliendo tra le braccia i gigli, coperti da uno velo trasparente per ripararli dalle intemperie «Quanto ti devo?»
«Offre la casa» ribattè la fioraia, facendo un cenno con la mano «Comunque, dovresti chiederlo a lei se ci sia qualcosa che non va, non a me.»
Graham sfoggiò un mezzo sorriso malinconico. «Beh, ti ringrazio per il suggerimento, ma preferirei evitare.»
«Perché?»
L’uomo celò il viso, dando le spalle alla fiorista. «Se mi dicesse che davvero c’è qualcosa che non va?»
Chloe lo guardò uscire, coprendo i fiori con la giacca, per girare l’angolo verso il parcheggio, dove doveva aver lasciato l’auto. Quando vide i fari del veicolo sfrecciare verso la città, la fioraia tornò nel retro, solo per trovare l’uscita sul posteggio aperta e una figura in allontanamento verso la strada del faro.
«Che cazzo di situazione» imprecò tra i denti, affrettandosi a chiudere a chiave il negozio per poter inseguire Maxine nella tempesta.
 
***
 
Le fronde degli abeti si agitavano al vento e la pioggia cadeva insistente, ostacolando con le sue stille gelate la fuga improvvisata di Max.
Proteggendosi gli occhi con la mano, alzò lo sguardo per individuare il sentiero verso il faro. Non saliva quella collina da anni, ma non poteva perdersi perché la strada era una sola. Dopo aver assistito, di nascosto, al dialogo tra Chloe e Warren, le era crollato il mondo sulle spalle e aveva deciso di scappare.
Aveva atteso giusto il tempo di vedere la macchina del marito allontanarsi, poi si era messa a correre sotto l’acqua nella speranza che parte di quel peso che sentiva sul cuore sarebbe svanita con la fatica.
Raggiunse la cima del promontorio con i polmoni in fiamme e le gambe tremanti per il freddo e lo sforzo. Sopra di lei, la luce del faro roteava con il proprio moto perpetuo, imperturbabile.
«Max!» si sentì chiamare e, per la prima volta, udire il suo nome lasciare le labbra che aveva baciato dopo tanto averlo desiderato, la tramortì con la forza di un uragano.
«Chloe» mormorò, quando la percepì vicina «Ti prego…»
«Dimmi qualcosa.» Non era un invito, neppure un ordine, era una preghiera disperata.
«Che cosa vuoi che ti dica?» singhiozzò, voltandosi per affrontare la donna al suo inseguimento. Le lacrime si mescolavano alla pioggia. «Ho sentito quello che ha detto, l’ho sentito benissimo. Pensa addirittura che sia colpa sua!»
La Price tremò a vedere la Caulfield così fragile e confusa. Non poteva sopportare che soffrisse e sapeva che ci fosse un’unica soluzione. «Allora, poni fine a tutto questo.»
Maxine ricambiò lo sguardo, alla ricerca di un barlume di speranza. «Come?»
Chloe pronunciò parole dure: «Dimmi di sparire.»
Max la fissò, ancor più smarrita.
«Dimmi che è quello che vuoi e io mi allontanerò, non mi farò più vedere.»
La Caulfield represse un altro singhiozzo. «È questo quello che vuoi?»
«Io voglio te.» Mai la fiorista era stata tanto sicura di qualcosa nella propria vita, ma, purtroppo lo sapeva, le sue certezze non avevano posto in mezzo a quella tempesta.
«Chloe…» mormorò Maxine, incapace di proseguire.
«Lo so…»
«Non posso…» balbettò, il pensiero ancora una volta troncato a metà.
«Lo so.»
La Price aprì le braccia e Max vi ci si gettò a cercare riparo dal temporale, dal mondo intero, da ciò che sarebbe inevitabilmente accaduto.
«Andrà tutto bene» la rassicurò la fioraia, accarezzandole i capelli bagnati «Scenderai lungo il sentiero e raggiungerai casa, per andare da Warren e ringraziarlo dei gigli. Tutto sarà come prima.»
La Caulfield non riuscì a resistere. Cercò un nuovo bacio, quello che sarebbe stato l’ultimo, il loro addio.
Fu Chloe ad interrompere il contatto, a malincuore, sciogliendo l’abbraccio. Aveva gli occhi lucidi e le sue lacrime, proprio come quelle dell’altra, erano state mascherate dalla pioggia.
Le iridi celesti, velate di pianto, sembrarono scrutare ancor più a fondo nell’anima di Max.
Con voce spezzata dall’emozione, la Price trovò la forza di articolare una frase in grado di annientare il caos attorno a loro: «Ti amerò per sempre… Ora va’, ti prego. Fallo, prima che io impazzisca.»
Sembrava devastata, come se fosse appena stata condannata a morte. Amava Maxine in una misura che trascendeva le parole e, proprio per tale ragione, doveva lasciarla andare, far sì che tornasse alla vita di prima, quella senza di lei.
La Caulfield la osservò spaesata. Non aveva la forza di prendere quella decisione e Chloe la stava prendendo per lei.
«E, Max Caulfield?» aggiunse la donna dai capelli blu, lasciando che le lacrime trovassero nuovamente la via «Non ti dimenticare di me.»[4]
Maxine la guardò per quella che, temeva, sarebbe stata l’ultima volta. «Mai. Non ricorderò altro che te.»
La signora Graham diede le spalle alla fiorista e trascinò i piedi lungo la strada fangosa. La attendeva un lungo cammino fino a casa.
Chloe attese di vederla sparire nel folto della boscaglia, poi si abbandonò sulla panchina del punto panoramico che dava sulla baia.
La tempesta, in breve tempo, si placò, cedendo il posto ad un cielo stracciato da nubi più chiare.
La Price si riscosse dopo un’eternità, scrollando le spalle nell’illusoria speranza di alleggerire il peso della giacca pregna d’acqua.
Il Kabloom la stava attendendo.
Si tirò in piedi e si incamminò cercando invano le impronte lasciate da colei che non si era più voltata indietro.
Svanita era la sua camminata sicura, il suo incedere fiero. La testa infossata e le mani nelle tasche erano un chiaro segno della rassegnazione che l’aveva vinta. Avrebbe voluto lottare, poiché Max ne valeva la pena, eppure non lo avrebbe fatto, perché la sua paura più grande era che quella fosse la scelta giusta per sé e non per la donna che amava.

 
***

 
 
[1]: Il drive-in di Newberg è quello citato in Life is Strange che ricompare più volte durante il corso della trama. Come proiezione mi sono affidata, anche in questo caso, al film proposto dal gioco. Il funzionamento di questo cinema all'aperto è puro frutto della mia fantasia, ma se foste curiosi, a Newberg, cittadina realmente esistente dell'Oregon, ho davvero trovato un drive-in. Il cinema si presenta con un simpatico sito che riporta alcune norme di comportamento e curiosità varie.
[2]: Per correttezza verso la storia, ho visto per la prima volta questa pellicola, volevo che lo sapeste. Per quanto riguarda le osservazioni di Chloe, mi sono affidata al canale YouTube CinemaSins che conosco da tempo e che sapevo mi avrebbe fornito le giuste parole da mettere in bocca alla Price.
[3]: Nel film non viene specificato il nome della console, ma si intuisce sia Dance Dance Revolution o qualche sua imitazione, così mi sono inventata "Ultimate Dance Battle". Ho verificato e non ho trovato una piattaforma chiamata così.
[4]: La prima parte del dialogo è ripresa dal film, mentre la seconda è, naturalmente, presa dal finale di LiS che preveda di sacrificare Chloe. Questa scena è stata il motore primigenio dell'intera storia, poichè i parallelismi che vedevo tra Luce e Rachel e Chloe e Max erano forti più che mai nei due speculari momenti di addio. Chiarisco, però, una cosa: mai e poi mai avrei sacrificato la Price per salvare Arcadia Bay. Il dialogo l'ho attentamente studiato dal playthrough di qualcuno che abbia compiuto una scelta per me inaccettabile.



NdA: le note qui sopra penso siano già anche troppo lunghe, perciò sarò breve. L'ultimo capitolo è ancora in fase di stesura, ma mi auguro di concluderlo entro la prossima settimana così da tener fede alla tabella di marcia.
Ringraziamenti lampo: a wislava, che non so più come ringraziare, quindi si dovrà accontentare di queste poche parole; ad axSalem che continua ad affiancarmi in queste avventure con puntuali commenti sempre graditi; a tutti gli altri, che spero attendano pazienti la conclusione di questa vicenda.
Spero di ritrovarvi per il finale, signore e signori, fino ad allora buona lettura a tutti.

 

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Capitolo 5
*** Rose ***


Rose
[Vero amore]
 

 
Girare la chiave nella toppa di casa richiese a Maxine più forza di quanta ne possedesse realmente. Le dita, irrigidite e rese insensibili dal freddo e dalla pioggia, sembravano volerle impedire a qualsiasi costo di raggiungere la dimora. Warren la aspettava oltre la soglia, pronto a ricordarle della loro vita insieme, dell’esistenza che avevano deciso di condividere e l’avrebbe fatto offrendole un mazzo di fiori preparato da colei che aveva messo in dubbio proprio quelle scelte.
Inspirò a fondo, sopprimendo un singhiozzo.
Socchiuse l’uscio e spiò all’interno, udendo il rumore della doccia provenire dal bagno. Sospirò, contenta di non dover affrontare immediatamente il marito, ma il sollievo durò poco, quando notò i gigli in bella mostra sul tavolo.
Meditò a lungo, osservando le stelle color arancio originate dai calici bianchi. Erano uguali ai fiori del bouquet, il piccolo nodo nella trama del Fato che aveva unito il suo destino a quello di Chloe.
Serrò le palpebre con forza. Non avrebbe più pensato a lei, quello era un regalo di Warren, null’altro.
Quando Graham uscì dalla doccia, le domandò dove fosse stata e per quale ragione fosse uscita nonostante il maltempo e lei, incapace di confessargli quanto realmente accaduto, rimase sul vago. Gli spiegò che la solitudine l’aveva esasperata e si era ritrovata a girovagare per la cittadina perdendo la cognizione del tempo. Lui, felice di essere nuovamente a casa dopo la noia del convegno, prese per buone quelle parole e si apprestò a raccontarle il proprio weekend, aspettandosi poi di sentire il resoconto della serata al drive-in.
La Caulfield riuscì a rimandare quel discorso, adducendo la scusa di volersi fare una doccia a propria volta e poi approfittò della stanchezza del marito per liquidare la questione con qualche commento stringato.
Per essere il ritorno alla sua vita senza la Price, l’inizio era tutto meno che promettente.
 
***
 
I giorni trascorsero gli uni uguali agli altri, omologati da una pesante nebbia, pronta ad inghiottire l’intera baia.
La vita di Chloe sembrava essere stata d’improvviso privata di tutti i colori: le piante del negozio erano grigie, come lo erano il cielo e il mare, svuotati dei toni vibranti erano anche i suoi capelli e i suoi amati tatuaggi. Un colore anonimo come il suo umore aveva tinto la città da quando la pioggia portata dalla tempesta aveva lavato via il suo ultimo sorriso.
A nulla erano valsi gli sforzi di Stephanie di rallegrarla, la Price era precipitata in uno stato di catatonica indifferenza da cui sembrava riprendersi solamente per sporadici scatti di rabbia, spesso ai danni della Gingrich stessa.
Giunto mercoledì, nulla sembrava cambiato dal passaggio del temporale. La fiorista era abbandonata dietro il bancone a giocare distrattamente con il cellulare, pregando, segretamente, di vederlo illuminarsi con un messaggio farcito di emojis fino alla nausea. Le mancava la cascata di faccine che Max le donava ogni giorno per il puro gusto di vederla brontolare.
Assorta nei propri pensieri, neppure si accorse dell’ingresso di un cliente, un giovanotto che non poteva avere molti anni più di lei. Senza perdere tempo, lui la apostrofò con un diretto: «Mi serve qualcosa per rompere.»
Chloe si cacciò l’apparecchio in tasca e gli rivolse il più neutro degli sguardi.
«Devo lasciare la mia promessa sposa» chiarì il potenziale acquirente «Ho trovato una più gnocca e mi serve un modo per dirglielo con una pianta.»
La fioraia si alzò, trascinando i piedi verso un vaso poco distante da cui estrasse un mazzo di fiori bianchi, rosa e violetti. «Per esprimere l’idea di separazione, ci sono le ortensie. Significano: è finita, ma conserva un buon ricordo di me.»
«Perfetto» la assecondò l’uomo, senza neanche degnare le piantine di uno sguardo «Ne prendo una.»
«Una composizione?» domandò la Price, iniziando ad assemblare le varie infiorescenze.
«Una singola orticosa o come si chiama.»
«Non è un gran che come regalo d’addio» ribattè la fiorista, con un po’ troppa enfasi.
«Non mi interessa cosa arriverà a pensare di me, mi serve un fiore per far sì che non cambi la serratura di casa prima che mi sia ripreso la mia roba» replicò lui, alzando le spalle con menefreghismo.
«Sai cosa ti dico?» disse la donna, con tono glaciale «Vaffanculo.»
Il cliente strabuzzò gli occhi. «Come hai detto?»
«Fuori!» ruggì lei, trattenendosi a stento dallo spintonarlo a spallate «Vattene subito, non ho intenzione di vendere niente ad una testa di cazzo come te.»
Lui, allibito, si avviò verso l’uscita a passo spedito.
«Sono contenta per la tua ex» gli gridò dietro, sbattendogli la porta alle spalle «Si è liberata di un gran pezzo di stronzo!»
La Gingrich, intenta a controllare l’inventario nel retro, irruppe all’interno del negozio, guardandosi attorno pronta ad intervenire.
«Che cosa è successo?» chiese, fulminando la collega, che le dava le spalle fissando ancora l’entrata del Kabloom.
«Ho dovuto portare fuori l’immondizia» replicò la fiorista, riacquistando l’inflessione impassibile che l’aveva caratterizzata nei giorni precedenti.
«Chloe, porca miseria, non puoi comportarti così» replicò Steph, ben sapendo di rischiare di divenire la nuova vittima dei suoi sfoghi «Questa è l’attività che ci dà da mangiare e non possiamo permetterci di cacciare i clienti perché, a nostro parere, sono dei pezzi di merda. Certo, può essere che lo siano, ma noi siamo tenute ad accontentare le loro richieste, se vogliamo pagare l’affitto.»
La Price sbuffò forte, ma non obiettò.
«Lo sai anche tu che è stato un comportamento stupido. Un conto è insultare me, che non è chissà quale novità, ma mettere a repentaglio il nostro lavoro è un altro discorso» proseguì Stephanie, andando incontro all’amica, per appoggiarle una mano sulla spalla «È un momento difficile e non ho intenzione di farti pesare le cose più del dovuto, ma forse dovresti pensare di prenderti un attimo per rimettere insieme i pezzi di…»
La Gingrich gesticolò attorno a sé e la fiorista fece una smorfia.
«Di tutto quanto. Rivoglio la mia amica e credo che ti serva una vacanza lontano da qui, per ritrovarti dopo quello che è successo.»
Chloe si chiuse nelle spalle. «Tra poco ci sarà il Ringraziamento, avremo tanto da fare qui e non posso lasciare sola mia madre. Forse, trascorse le festività, potrei anche decidere di darti retta.»
«Lo sai che do sempre buoni consigli» gongolò Stephanie, avvicinandosi per darle un rapido abbraccio «E chissà, nel frattempo le cose potrebbero anche cambiare. Ma parlando di Joyce» continuò «L’ho sentita preoccupata per te, l’altro giorno, dovresti passare a farle almeno un saluto di persona, per tranquillizzarla.»
La Price annuì e, una volta chiuso il negozio, invece di dirigersi al proprio appartamento, guidò fino a raggiungere Cedar Ave.
Come ogni volta, bussando appena, infilò la chiave nella toppa ed entrò pronta ad abbandonare la giacca sul pavimento.
«Chloe Elizabeth Price» la redarguì la voce della genitrice «Non buttare gli indumenti per terra!»
La fioraia sorrise debolmente, per la prima volta dopo giorni. Percorse a grandi falcate il breve tratto per raggiungere la cucina, ma, con sua grande sorpresa, non trovò la madre intenta a trafficare ai fornelli, il che era assurdo, essendo quasi ora di cena.
«Dove sei?» domandò, sbirciando verso la sala solo per trovarla vuota.
«Arrivo tra un momento.»
La giovane Price si accasciò sul divano, ritrovandosi a fissare lo schermo spento del televisore, sormontato da alcune fotografie di famiglia. Da quelle cornici, una bambina le sorrideva spensierata insieme ad un uomo dai capelli biondi e lo sguardo caloroso. Il ricordo di quei fantasmi felici la rese ancor più consapevole di quanto misera si sentisse in quel momento.
Le lacrime arrivarono a premere con forza contro le palpebre e, proprio mentre udiva la madre sopraggiungere, una goccia scivolò lungo la guancia della fiorista senza che fosse in grado di fermarla.
«Oh, tesoro, cosa è successo?» chiese Joyce, affrettandosi a raggiungere la figlia per sederle accanto «Stephanie mi aveva riferito che ci fosse qualcosa, ma non immaginavo…»
Chloe si passò una manica sul volto.
«Forza, confidati con la tua mamma» la incoraggiò la donna, prendendole amorevolmente la mano.
La fioraia si rassicurò a quel contatto e trovò la forza di aprirsi. «Ho conosciuto una ragazza» disse, abbassando lo sguardo «Ma sta già con un’altra persona.»
Alla signora Price si strinse il cuore a vedere la sua bambina tanto afflitta e non ebbe altra reazione se non quella di avvicinarla a sé per confortarla.
La figlia non cedette al pianto, imponendosi un po’ di contegno, ma si lasciò cullare con dolcezza.
«Posso farti una domanda, tesoro?» mormorò Joyce, accarezzandole i capelli, come faceva quando era piccola.
Chloe annuì.
«Lei ti ama?»
La figlia si risollevò per parlare faccia a faccia con la mamma. «No» rispose, scuotendo le spalle.
La signora Price attese, leggendo l’incertezza sul suo viso.
«Non lo so» si corresse la giovane «Forse sì» rettificò ancora una volta «Ma comunque non ha importanza.»
Joyce le accarezzò il viso, per asciugare un’altra lacrima. «Invece è l’unica cosa che conta.»
La fioraia assorbì quelle parole come una spugna, desiderando crederci con tutto il proprio cuore. La sicurezza con cui venne pronunciata quella frase la rassicurò tanto da permetterle di concentrarsi su qualcosa che non fosse il proprio dolore, facendole notare qualche dettaglio inatteso. La madre indossava un abito troppo elegante per essere tenuto in casa, in più si era truccata ed era chiaramente stata dal parrucchiere poco prima, come testimoniava la tinta bionda senza ricrescita.
«Come mai sei conciata in questo modo?» indagò, cancellando le tracce del pianto «E, cosa più allarmante, come mai non c’è la tavola imbandita?»
«Che tu ci creda o no» replicò Joyce «Stasera non dovrò cucinare.»
«Hai un appuntamento?» chiese sbalordita la figlia.
«Non è il caso di suonare tanto sorpresa» la rimproverò la madre «Sei stata tu stessa ad incoraggiarmi e, per quanto ti possa apparire incredibile, sono stata invitata a cena da David, te ne ho parlato qualche giorno fa.»
Chloe si fece dare qualche dettaglio a riguardo, ma non si trattenne per lasciare alla genitrice il tempo di finire di prepararsi.
«Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi, tesoro» le ricordò Joyce, prima di lasciarla andar via con un abbraccio.
«Va bene, ma solo se tu ti ricorderai di mandarmi un messaggio quando rientri a casa.»
«E dire che il genitore, qui, dovrei essere io» commentò la signora Price, osservando la figlia raggiungere l’automobile e sparire lungo la via.
 
***
 
Quando arrivò la domenica, Christopher fu molto rattristato dal constatare che, nonostante l’avesse supplicata in mille modi, Max non lo avrebbe più accompagnato al Kabloom. Le aveva chiesto spiegazioni durante tutta la settimana, ma aveva ottenuto solamente risposte vaghe.
Provare ad interrogare la sua mentore non aveva portato a risultati migliori, poiché lei era riuscita a corromperlo con la promessa di continuare le loro colazioni al Two Whales e proponendosi di andarlo a prendere a casa personalmente per non indispettire Charles.
Il piccolo Eriksen attendeva al fondo del vialetto di casa, aspettando la comparsa del pickup. Aveva escogitato un piano per riuscire ad ottenere la verità, ma non doveva lasciarsi sviare da Chloe. Sapeva che la fiorista era più grande e quindi più esperta nell’arte di manipolare le conversazioni, ma anche lui, dall’alto dei suoi nove anni e mezzo, aveva nel proprio repertorio qualche trucchetto.
La Price accostò il veicolo al marciapiede e si sporse lungo il sedile per riuscire ad aprirgli la portiera. «Salta su.»
Il bambino ubbidì, lanciando lo zaino sul tappetino.
«Pronto per una colazione da supereroi?» domandò la donna, mettendo in moto alla volta del diner.
Chris rimase in silenzio un momento.
«Tutto bene, ometto?» chiese ancora la fioraia, studiandolo con la coda dell’occhio.
«Perché tu e Max non volete più essere amiche?» Non era la più subdola delle strategie, ma Captain Spirit non era tipo da andare per il sottile.
«Ti ho già detto che tu non hai niente a che vedere con questa storia» replicò la Price, sentendo di star cadendo in una trappola «È una cosa da grandi… E comunque non è che non vogliamo essere più amiche.»
«E allora cos’è?» insistette lui «Max non me lo vuole dire, ma l’ho sentita triste al telefono e nei messaggi non mette più le emojis, sono preoccupato.»
«Oh, scricciolo» mormorò la mentore «Non devi esserlo, davvero. Vedrai che tra qualche tempo tua cugina tornerà ad usare le faccine, è solo un periodo di transizione.»
«Cos’è una “transizione”?»
«Un passaggio da una situazione ad una differente» gli spiegò la donna «Anche se ci sono delle accezioni secondarie che ti chiarirò magari tra qualche anno.»
«Ma perché a Max non andavano bene le cose come erano prima? Eravamo felici, tutti insieme» piagnucolò l’apprendista.
L’espressione tesa di Chloe si spezzo in una smorfia di dolore. «Lo eravamo, ma ogni tanto le cose cambiano e dobbiamo imparare ad accettarlo.»
«Io non voglio!» strepitò Eriksen, agitando le braccia «Voglio che tutto torni come prima!»
Il movimento a bordo del campo visivo distrasse l’autista, che, nel tentativo di calmare il bambino, mancò di fermarsi ad uno stop.
Il suono assordante di un clacson e le ripetute imprecazioni di un camionista salvarono il pickup da uno scontro potenzialmente pericoloso. La Price ebbe la prontezza di riagguantare il volante e premere l’acceleratore per disimpegnare l’incrocio prima che potesse accadere il peggio.
La fiorista accostò, pallida come un lenzuolo. Christopher, accanto a lei, aveva piantato le unghie nel sedile e fissava davanti a sé come se avesse appena visto la morte in faccia.
«Stai bene?» domandò subito al piccolo passeggero, notando quanto fosse anch’egli scosso.
«Io… Mi dispiace» balbettò, scoppiando a piangere «Non volevo, è stata colpa mia…»
Chloe lo abbracciò. «Non è successo niente, Chris, ci siamo solo presi uno spavento. Non è stata colpa di nessuno.»
«Volevo solo sapere come mai non vi volete più bene» singhiozzò lui «Così avrei potuto usare i miei poteri per farvi fare la pace…»
«Chris…» lo richiamò la Price, allontanandosi per guardarlo in faccia «Avevi paura che, se non avessi più voluto bene a tua cugina, avrebbe significato che non ne avrei voluto neppure a te?»
Lui si voltò per nascondere le lacrime.
«Pensavi che non saremmo stati più amici?» ribadì.
Eirksen si passò una manica sul viso, proprio come avrebbe fatto la sua mentore. «Tu sei diventata mia amica al matrimonio di Max e allora…» farfugliò, incespicando nei propri pensieri.
«Io ti voglio bene, scricciolo.»
Christopher guardò Chloe con gli occhi gonfi e rossi.
«Noi siamo amici per milioni di ragioni che non hanno niente a che vedere con tua cugina o chiunque altro e questo non cambierà mai, ricordalo. Ci piacciono i fumetti, i supereroi e il bacon con la cioccolata. Non ci piacciono i bulli, le domande trabocchetto e i broccoli.»
Al sentir nominare la verdura più detestabile al mondo, entrambi rabbrividirono.
«Siamo un duo indivisibile, no? Captain Spirit e Power Girl.»
Lui annuì.
«E allora non hai di che preoccuparti. Finchè avrai bisogno di me, sarò al tuo fianco, che sia per fare i compiti di scienze o per accompagnarti a fare il primo tatuaggio, potrai contare su di me.»
Si abbracciarono nuovamente, mentre lontano il mare rumoreggiava schiantandosi in volute di spuma.
Si rimisero in marcia a velocità estremamente controllata, raggiungendo il parcheggio del Two Whales in una decina di minuti.
Posteggiata la vettura, Chris decise di tornare all’attacco un’ultima volta, intestardito dal voler ottenere una spiegazione.
«Ma, allora, se siamo così amici, mi dici perché a Max non vuoi più bene?» mugolò.
La Price sospirò. «Chris, il problema è l’esatto contrario.»
«Le vuoi troppo bene?» domandò, confuso.
«Per così dire» confermò lei «E, proprio perché a lei ci tengo, non voglio che soffra.»
«Ma lei sta male senza di te, ne sono sicuro!» affermò.
«Non ha importanza, è giusto così» replicò Chloe «Un giorno capirai.»
Christopher non fece più domande, scegliendo di lasciarsi alle spalle quel viaggio annegandone il ricordo in una tazza di cioccolata, ma dentro di sé iniziò a covare l’idea che, divise, sua cugina e la fiorista non potessero più essere felici.
 
***
 
Maxine trascorse la domenica a torturarsi per aver dovuto dire ufficialmente addio alle colazioni al Two Whales. Si immaginava Chloe e Chris, seduti l’uno di fronte all’altra, tanto presi dai loro discorsi sui supereroi da dimenticare la cioccolata nelle tazze che sarebbe diventata fredda. Se si fosse trovata con loro, lo avrebbe fatto presente e avrebbero riso tutti insieme, per poi tornare alle conversazioni più assurde, scordando ancora una volta le bevande.
Le distrazioni a cui la Caulfield ricorse durante tutta la giornata non fecero che alimentare quelle fantasie, trascinandola in scenari che la affiancavano sempre a colei che cercava ad ogni costo di dimenticare.
Era chiaro che la Price le mancasse, sarebbe stato stupido affermare il contrario, ma ciò che le pesava di più era il senso di colpa nei confronti di Warren. Per una settimana intera lo aveva tenuto a distanza, adducendo ogni scusa possibile per non trascorrere del tempo con lui, suggerendogli persino di uscire un po’ con Eliot, pur di non averlo a casa con sé.
In assenza del marito, aveva iniziato per centinaia di volte il discorso in cui gli avrebbe parlato del tradimento, poiché tale era stato, e della decisione presa a riguardo. Il problema era radunare il coraggio necessario e quella sera Max era finalmente convinta di potercela fare.
Graham aveva accompagnato per la terza giornata di seguito l’amico Hampden a bere in un qualche pub dove lavorava una barista carina e, la moglie sapeva, avrebbe fatto ritorno piuttosto brillo e sonnolento, il che, sperava, gli avrebbe reso più facile prendere la notizia.
Maxine ripassò il copione nella propria testa fino alla nausea e si assopì sul divano, ancora mormorando le frasi scelte.
Fu destata all’improvviso dallo sbattere della porta.
«Sono tornato» biascicò Warren «Non devo bere con quell’idiota» proseguì, abbandonando la giacca e le scarpe sulla soglia «La birra in quel posto fa schifo.»
La Caulfield si alzò per raggiungerlo e nel farlo si accorse di quanto fosse ubriaco. Sembrava che, per concludere la settimana in bellezza, avesse deciso di alzare il gomito un po’ più del solito.
La moglie lo aiutò a non cadere quando notò quanto fosse malfermo sulle gambe.
«Mi serve dell’acqua» farfugliò «Nonno diceva che servono otto bicchieri per superare la sbronza.»
La padrona di casa decise di mettere da parte la propria confessione, per aiutarlo a tornare lucido, prima di affrontare il temuto discorso. Raggiunse la cucina, gli riempì il primo bicchiere e altri quattro a seguire, che lui ingollò come fossero shots.
«Stai bene, amor mio?» balbettò Graham, tracannando il quinto come se niente fosse. Il suo sguardo era un po’ vacuo, ma sembrava in grado di capire cosa stesse accadendo.
«Ti devo parlare.»
«Ti voglio parlare anche io» ribattè «Ma prima devo bere altri tre di questi…»
Maxine fu vinta da un moto di insicurezza ed uscì dalla stanza per dirigersi in salotto.
Dopo qualche minuto, Warren la raggiunse, accasciandosi sul sofà. «Ti ascolto» affermò, stendendosi per tutta la lunghezza del divano «Spara, bellezza.»
Max non riuscì a guardarlo negli occhi. Proseguì nel camminare in cerchio, seguendo il bordo del tavolino da caffè, mentre metteva ordine tra i propri pensieri.
«Volevo parlarti perché…» si decise, alla fine, interrompendo l’andirivieni per un momento «Perché è successa una cosa.»
Il consorte fece un verso di assenso, invitandola a continuare.
La moglie fissò il cielo dalla portafinestra, trovandolo inaspettatamente cupo. «Io non l’ho cercata» si giustificò «È capitata e, anche se ora è finita, hai il diritto di sapere.»
Max sentì il cuore rimbombarle nelle orecchie.
«Ho perso la testa, Warren» affermò «Sono impazzita per qualcuno che non sei tu.»
Gli occhi le si inumidirono, mentre qualche stella si faceva largo nonostante le nuvole.
«Mi dispiace così tanto…» mormorò «Ti prego, credimi.»
Si voltò verso il marito alla ricerca di una reazione, ma lui giaceva addormentato, con i pugni serrati al petto a stringere il collo della maglietta.
«No, non puoi dormire, per piacere» lo supplicò, avvicinandosi per scuoterlo «Svegliati. Non posso fare questo discorso un’altra volta…»
Lui rimase impassibile, il respiro rallentato e pesante.
«Comunque, resto» sussurrò, accarezzandogli le mani «Non ce la farei mai a lasciarti, sei il mio migliore amico.»
Maxine sospirò, ricacciando indietro il pianto.
«Questo bastava, prima, e basterà anche adesso.»
Baciò la fronte del marito e si ritirò in camera, ben sapendo di avere davanti l’ennesima notte insonne.
Non si accorse di Warren, che, quando lei scomparve, si lasciò sfuggire una lacrima dagli occhi socchiusi.
 
***
 
Il giorno del Ringraziamento sembrò cogliere l’intera cittadina di sorpresa, riportando una giornata di sole giusto in tempo per la parata dei carri.
Chloe era pronta a chiudere bottega per raggiungere la madre a pranzo, quando la porta del negozio si spalancò e una figura scura si stagliò con fare intimidatorio contro la luce proveniente da fuori.
«Desidera?» domandò, cercando di mettere a fuoco il cliente.
«Sei tu, allora, non è vero?» la assalì l’avventore.
«Eliot?» lo identificò lei, cercando di capire per quale ragione fosse venuto da lei.
«Rispondimi.» La voce di Hampden era severa, tanto ferrea da far drizzare i capelli sulla nuca della fiorista.
«Non capisco cosa tu intenda…»
«Warren non lo sa» ribattè l’uomo «Nella sua confessione, Max non ha fatto nomi, ma io l’ho capito subito.»
La Price indietreggiò, vedendo l’altro avanzare.
«Sai cosa vuol dire ritrovarti il tuo miglior amico in lacrime sulla porta di casa?» proseguì lui, facendo un altro passo avanti «Distrutto dall’aver cercato di dare un senso a qualcosa che non si sa spiegare e dal dover fingere che vada tutto bene? Perché è quello che è accaduto ieri sera. Non ce l’ha fatta più, doveva dirlo a qualcuno.»
Nella luce fioca del Kabloom, la donna scorse gli occhi di Eliot guizzare a destra e a sinistra, per fissarsi su di lei. Quello sguardo vibrava di inquietudine.
«Oggi saranno a pranzo dai Caulfield e stasera a cena dai suoi e lui dovrà sorridere e parlare di progetti che, ora sa bene, Max non vuole condividere davvero.»
La fioraia deglutì a vuoto, cercando di tenere i nervi saldi.
«Dimmi che mi sbaglio» sputò Hampden, tirando un calcio ad un vaso di narcisi «Dimmelo.»
Chloe non ebbe la prontezza di mentire.
«Stupida puttana che non sei altro» strepitò Eliot «Non era così che doveva andare!»
Lei si mise in posizione di difesa, pronta a ricorrere alle maniere forti, se necessario.
«Tu dovevi amare me!» la aggredì, balzando in avanti «La tua preziosa Max voleva che tu fossi mia! Tutto era stato pensato per portarti da me
La Price trattenne il respiro, tesa come una corda di violino.
«Devi darmi una possibilità.»
Si gettò su di lei, cercando di baciarla con irruenza, ma la fiorista fu pronta a scansarsi e a rispondergli a tono con un ben mirato pugno su naso.
«Ci tenevi tanto ad avermi? Questo è tutto ciò che ti darò» affermò, massaggiandosi le nocche.
Hampden si portò le mani al viso per fermare il sangue che sentiva scorrere lungo le narici.
«Penso che sia ora per te di andare» proseguì «Prima che decida di suonartele come si deve.»
Eliot la fissò con astio, ma non si azzardò a replicare, consapevole di essere nel torto.
«Mi dispiace per il pugno, ma certi messaggi non vengono recepiti in altra maniera» aggiunse la fioraia indicando l’uscita «Vattene e non farti più vedere. Tutta questa storia non ti ha mai riguardato dal principio.»
L’uomo si ricompose e si voltò, scomparendo come gli era stato ordinato.
Chloe, quando vide la porta chiudersi, si affrettò a raggiungerla per girare la chiave nella serratura e solo allora si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Per un momento aveva temuto che Eliot potesse rivelarsi una vera minaccia, non le restava che augurarsi che quella lezione fosse sufficiente a scoraggiare qualsiasi altra interazione.
«Merda, farò tardi a pranzo» si ricordò all’improvviso, realizzando di avere una fame da lupi e un enorme numero di buone ragioni per voler soffocare tutti gli eventi delle ultime settimane sotto chili di tacchino ripieno e insalata di patate.
Recuperò la composizione floreale che aveva deciso di portare come centrotavola e balzò in auto al suono delle campane del mezzogiorno.
Si destreggiò tra il traffico e le vie chiuse a causa della manifestazione di quel pomeriggio, raggiungendo Cedar Ave quando stava per scoccare la mezza.
Parcheggiò il pickup di fronte alla casa, notando come il posto del vialetto fosse già occupato da una vettura mai vista prima, appartenente con ogni probabilità all’altro ospite.
Raggiunse la soglia di casa e bussò, come suo solito, per poi destreggiarsi con l’ingombrante fagotto per infilare la chiave nella toppa ed entrare. Un profumo di carne arrostita e spezie la investì, ridonandole un’ombra di sorriso. Quelli erano gli stessi aromi che accompagnavano le feste fin dall’infanzia e, dopo lo scontro con Hampden, le ci voleva qualcosa in grado di ridarle conforto e sicurezza.
«Sei arrivata, finalmente!» esclamò Joyce, sporgendosi dalla cucina «È quasi tutto pronto, mancava giusto il tuo capolavoro.»
Chloe raggiunse il salotto ed appoggiò il centrotavola in modo che non intralciasse i piatti già apparecchiati. Osservò il pezzo con soddisfazione, una trovata di quell’anno che era andata a ruba tra i clienti ed aveva aiutato a rimpolpare le casse del Kabloom: tra una corona di girasoli, crisantemi e Dalhia arancioni, aveva disposto tre piccole zucche che donavano al complesso un tocco autunnale. Ci aveva messo ore a disporre i fiori per trovare la giusta alternanza e far sì che non appassissero prima di essere messi in bella mostra, ma il risultato era straordinario.
«Molto bello» commentò una voce, che portò la fiorista ad incontrare il terzo commensale.
«Grazie» rispose la Price, tendendo la mano verso l’uomo «Tu devi essere David.»
«David Madsen» confermò, ricambiando la stretta «Piacere di conoscerti.»
La fioraia lo studiò rapidamente. Dal portamento rigido e l’espressione severa, si sarebbe detto che provenisse da un passato nelle forze dell’ordine, mentre lo sguardo sfuggente tradiva il timore di essere giudicato. Probabilmente voleva soltanto fare una buona impressione alla figlia della donna che stava frequentando e Chloe apprezzò quando lui si offrì di tenerle compagnia davanti al televisore mentre aspettavano che il tacchino ultimasse la cottura.
Quella fu la loro occasione per conoscersi un po’, dando alla Price la conferma sul passato dell’uomo come soldato. Le raccontò della guerra e del percorso che aveva compiuto per ritrovare se stesso una volta lontano dal conflitto.
«Sono dovuto scappare, dovevo cercare la pace all’esterno, per poterla riportare dentro di me» disse, accarezzandosi i baffi.
La fiorista assentì in silenzio. Se sua madre glielo avesse presentato dieci anni prima, avrebbe detestato David a pelle senza alcun dubbio e avrebbe colto ogni occasione per discuterci e litigarci. Semplicemente, si presentava come il classico veterano inflessibile che avrebbe portato all’esasperazione qualunque adolescente un po’ ribelle, come era stata lei. Ma da adulta era in grado di giudicarlo per quello che era: un uomo con un vissuto difficile che non desiderava altro che essere felice accanto alla donna che amava. Non poteva che ammirarlo.
Quando Joyce decretò pronta la pietanza, i tre si misero a tavola.
«Avete già fatto un po’ di conoscenza?» indagò la signora Price, invitando la figlia a tagliare la portata principale.
I due annuirono e la donna sorrise, contenta di vederli andare d’accordo.
Con i piatti pieni, iniziarono a mangiare e chiacchierare come non accadeva da tempo attorno a quel tavolo. Chloe interveniva il meno possibile, preferendo osservare l’interazione tra la madre e il suo compagno. Non ricordava di averla vista sorridere tanto da quando aveva perso il marito, sembrava ringiovanita e serena come se avesse riscoperto una gioia di vivere sopita troppo a lungo.
«Tesoro, mi stai ascoltando?» la richiamò la genitrice.
La fiorista scosse il capo. «Scusa, mi ero incantata un momento.»
«Ti ho chiesto cosa ti sia fatta per avere quella macchia sulla canotta, sembra sangue…» replicò, indicando una goccia vermiglia che risaltava sul bianco del tessuto.
«Oh, questa» contemplò la giovane «Non me n’ero neanche accorta.»
«Allora, cos’hai combinato?»
La fioraia tentennò. «Ho avuto un breve diverbio a distanza ravvicinata che potrebbe essersi concluso con un pugno.»
«Chloe Elizabeth Price!» esclamò la madre con il suo inconfondibile tono di biasimo «Ti sembra il modo di comportarti?»
«Se l’è cercata» provò a difendersi lei «Non avrebbe recepito il messaggio in altro modo.»
«Non sarà per caso il fidanzato di quella ragazza di cui mi parlavi?» rispose Joyce, preoccupata.
«No, era il suo migliore amico.»
«Chloe» mormorò la signora Price «In che situazione ti sei cacciata?»
Lei scosse il capo, sconsolata. «Non credo neanche più di saperlo.»
«Posso offrire un consiglio?» si intromise David «Non conosco i retroscena di questa storia, ma posso parlare per esperienza quando dico che, alle volte, mettere la giusta distanza tra sé e i propri problemi aiuta a ridimensionarli.»
La fiorista tacque. Aveva contemplato l’idea di andarsene da Arcadia Bay per qualche tempo, da quando Stephanie le aveva messo la pulce nell’orecchio. Ovunque andasse, sentiva la presenza di Max e la cosa la faceva soffrire indicibilmente. Eppure, non poteva permettersi di lasciare la Gingrich da sola ad occuparsi del negozio e, come se non bastasse, aveva promesso a Chris di aiutarlo con il progetto per la Fiera delle Scienze. Fuggire non le sembrava un’opzione.
«Nessuno sta dicendo che tu debba scappare senza fare ritorno» specificò l’uomo «Ma, forse, una vacanza sarebbe proprio ciò di cui hai bisogno.»
La Price fissò la madre alla ricerca di conferme.
«Penso che dovresti pensarci, tesoro» concordò la genitrice «Vorrei vederti tornare a sorridere.»
Chloe si alzò da tavola con il piatto ancora mezzo pieno. «Credo abbiate ragione.»
Gli altri due la guardarono, in attesa del seguito.
«Devo fare una telefonata e non penso di trattenermi oltre, ho il serbatoio pieno e un sacco di strada da fare.»
Joyce non provò a fermarla. L’abbracciò forte, le chiese di avvisarla una volta deciso dove andare e le ricordò di mangiare qualcosa che non fosse il solito cibo spazzatura.
«Grazie, David» disse la giovane, salutando Madsen «Mi ha fatto davvero piacere conoscerti.»
L’uomo le tese nuovamente la mano.
«Abbi cura della mamma mentre sono via» si raccomandò la Price, tirando fuori le chiavi dell’auto e il cellulare.
«E tu abbi cura di te stessa.»
 
***
 
Chris, agghindato per la festa con tanto di cravattino e giacca elegante, sedeva composto alla tavola di casa Caulfield. La dimora degli zii risuonava delle direttive di Vanessa che imponeva al marito di seguire le sue indicazioni affinché il pranzo fosse perfetto.
«Devi accendere le candele e sistemare i divani prima che arrivino, voglio che sia tutto perfetto» ordinò la padrona di casa, comandando il consorte a bacchetta «E cambiati quella orrenda cravatta, sembri uscito da una compagnia di clown.»
«Sì, cara» ribattè Ryan, cercando un accendino all’interno dei cassetti della credenza.
Christopher si offrì di aiutarlo, ma l’uomo scosse il capo, ben sapendo che la moglie gli avrebbe fatto pesare anche il più insignificante accenno di collaborazione.
Il piccolo Eriksen avrebbe voluto comprendere la dinamica che legava gli zii. Si ricordava come interagivano i suoi genitori e ciò non aveva nulla a che vedere con il modo in cui Vanessa trattava il marito, cogliendo ogni occasione per criticarlo.
I coniugi Graham arrivarono quando il signor Caulfield ancora non era riuscito a sostituire la cravatta. Era una delle sue preferite, con una piccola schiera di tacchini che sfoggiavano i tipici cappelli da pellegrini, in perfetta armonia con il clima della festa del Ringraziamento, eppure l’amata consorte la detestava con tutto il cuore.
«È proprio bella, non vedo perché tu debba toglierla» considerò Maxine.
«Conosci tua madre» rispose «Se decide che devo cambiarla, allora bisogna ubbidirle.»
Padre e figlia condivisero un sorriso, mentre Vanessa alzava la voce dalla cucina per comunicare che il pasto fosse ormai a buon punto.
Chris, che si era alzato per salutare Warren e la cugina, tornò a sedere composto al proprio posto, osservando gli ultimi arrivati.
Maxine sembrava nervosa, nonostante le battute che condivideva con il genitore, mentre Graham appariva teso e per nulla contento di partecipare al pasto con la famiglia.
«E quindi ancora non posso aspettarmi dei nipotini?» si lamentò la signora Caulfield, rimproverando la propria bambina con lo sguardo.
Max e il marito si scambiarono uno sguardo carico di disagio.
«Ma, zia Vanessa» intervenne il piccolo Eriksen «Ce l’hai già un nipotino! Sono io!»
La donna gli rivolse un ampio sorriso. «Oh, ma certo, Christopher, hai ragione. Sei proprio un bimbo sveglio, è un peccato che Charles non lo sappia vedere.»
Il bambino fece una smorfia, al pensiero del padre, impegnato a passare il Ringraziamento con la fidanzata Audra, che neppure gli aveva ancora presentato.
La giovane Caulfield si sedette accanto al cuginetto e, dall’altro lato, si accomodò Warren, lasciando i padroni di casa più comodi per fare avanti indietro dalla cucina.
«Che bello avere la famiglia riunita» commentò Vanessa, mentre il marito iniziava con il taglio del tacchino «Non vedo l’ora che si allarghi.»
Ancora una volta, i giovani sposi condivisero un’occhiata di imbarazzo.
Ryan provvide a reindirizzare la conversazione, girando al largo dall’argomento “nipotini” per vertere su qualcosa di meno controverso, come i rispettivi impieghi e la scuola di Chris.
Fu proprio mentre raccontava ai famigliari del proprio esperimento per la Fiera delle Scienze, che il piccolo Eriksen sentì squillare il proprio cellulare, dimenticato in una delle tasche della giacca. «Vado a rispondere» annunciò, scattando verso l’appendiabiti.
«Christopher, non è educato alzarsi da tavola» gli fece presente la zia.
«Ma potrebbe essere importante» protestò lui, andando a recuperare il telefonino.
Il quartetto lo osservò con attenzione, cogliendo le poche sillabe che lasciavano le labbra del bimbo. Quando lo videro tornare a tavola, la sua espressione si era fatta sconsolata.
«È successo qualcosa di brutto?» gli chiese la cugina «Chi ti ha chiamato?»
«Chloe» mormorò lui «Doveva aiutarmi settimana prossima con il progetto, ma ha detto che non potrà più.»
«Oh» replicò la Caulfield «Vedrai che appena sarà libera, tornerà ad aiutarti…»
«Non lo farà per un po’» spiegò Captain Spirit, imbronciandosi «Se ne va via e non sa dirmi quando tornerà.»
Il cuore di Max si fermò. «Se ne va?»
A Warren non sfuggì il tono con cui venne posta quella domanda. La voce della moglie tremava, rivelando una preoccupazione sincera, che veniva riflessa anche dagli occhi. Uno sguardo che lui non sapeva riconoscere.
«Buon per lei» commentò Vanessa «Da quant’è che non facciamo una bella fuga, noi due?» proseguì rivolta a Ryan «Te lo dico io: da troppo.»
Il padrone di casa si accarezzò la barba. «L’estate del ’94 non è poi così lontana…»
«Ah, la visita alla Grande barriera corallina australiana» ricordò la moglie «È passato più di un quarto di secolo.»
«Eppure la tua faccia riuscirebbe ancora a spaventare tutti gli squali.»
Graham troncò il dibattito con una propria domanda, rivolta alla consorte: «Non ne sapevi niente? Pensavo foste abbastanza in confidenza da parlare di queste cose…»
Maxine gli apparve spaesata.
«Puoi aiutarmi tu con la Fiera?» intervenne Chris, agguantando la cugina «Senza la mia mentore non so come fare.»
«Qualcuno vuole ancora del tacchino? Sarebbe un peccato lasciarlo raffreddare» commentò il signor Caulfield, sovrastando i monologhi che si stavano originando.
Warren si guardò intorno, realizzando di sentirsi fuori posto. Un tempo, avrebbe cercato gli occhi della compagna per ritrovare un po’ di pace in quel marasma, ma lo sguardo di Max era lontano, perso, forse, all’inseguimento di una fiorista in fuga.
«Non posso.» Fu un sussurro a lasciargli le labbra, che però parve un grido. Si alzò e solo la moglie sembrò accorgersene.
«Warren, cosa c’è?»
«Non posso» ribadì «Non posso farcela, credevo di essere in grado, ma non riesco.»
I signori Caulfield si zittirono e Christopher si dimenticò per un momento dell’abbandono da parte della Price.
«Cosa sta succedendo?» mormorò Vanessa, pensando di trovarsi in una scena delle sue soap operas.
«Me ne sto andando» annunciò Graham.
«Ma il tacchino…» puntualizzò Ryan.
«A nessuno frega del maledetto tacchino» lo ammutolì la moglie.
Warren cercò di allontanarsi, ma Maxine lo fermò. «Non ti lascerò» disse, guardandolo negli occhi.
«Se ti è rimasto un briciolo di rispetto nei miei confronti, invece» replicò lui «È proprio quello che farai.»
«Si può sapere di cosa confabulate?» insistette la padrona di casa.
«Non è il fatto che tu te ne voglia andare a potermi ferire» riprese Graham «Sarebbe il sapere che rimani, pur amando qualcun altro più di me.»
Nessuno ebbe il coraggio di fiatare, mentre lui recuperava il cappotto e raggiungeva la porta d’ingresso.
La Caulfield sentì le gambe cedere e, appena recuperò un po’ di autocontrollo, gli corse dietro.
«Non puoi andartene!» gridò, rincorrendolo lungo il vialetto «Non puoi lasciarmi!»
«Sì, facciamo finta che sia una mia scelta» sussurrò l’uomo, senza voltarsi.
«Cosa vuoi dire?»
Warren si fermò per affrontarla a viso aperto. «Andiamo, Max. Prima o poi, mi avresti lasciato lo stesso.»
«Questo non è vero.»
«Invece sì!» urlò esasperato «Basta mentirci.»
Lei non seppe come replicare.
«Io voglio solo la tua felicità» continuò Graham «Più di ogni altra cosa, volevo essere io l’origine della tua felicità. Ma se non lo sono, allora…»
Gli sposi si fissarono, entrambi con le lacrime agli occhi.
«Non posso essere d’intralcio» decretò «Lo capisci? Perché ciò che senti adesso, quello che provi per lei, è una forza inarrestabile.»
Intrecciarono le mani, per farsi forza a vicenda.
«E ciò vuol dire che io devo muovermi.»
Max rimase spiazzata, mentre il marito le posava un delicato bacio sulla fronte.
Warren non aggiunse altro, si staccò da lei e raggiunse l’auto a grandi falcate.
Non avevano definito dettagli o messo di mezzo la parola “separazione”, ma i fatti erano chiari a sufficienza.
La Caulfield rientrò, cercando di governare la tempesta che le si agitava nel petto. Era cambiato tutto, eppure, ogni cosa era come prima: il tacchino dimenticato sul tavolo, i piatti mezzi pieni e le candele ormai ridotte a colate di cera.
«Tesoro» esordì Vanessa, invitando la figlia a riaccomodarsi a tavola.
Lei, in tutta risposta, scosse il capo e si accasciò sul sofà nella stanza accanto.
I genitori e il cugino si affrettarono a raggiungerla.
«Cosa intendeva Warren quando ha detto che eri innamorata di un’altra persona?» indagò la madre senza mezzi termini.
«Sono innamorata di un’altra persona» puntualizzò lei, fissando dritto di fronte a sé, perdendosi tra i soprammobili e i titoli che giacevano abbandonati in bella mostra sui ripiani di una vecchia libreria.
«E chi!?» esclamò la genitrice «Non sarà quell’Eliot, vero? Non mi è mai piaciuto…»
«Non è lui.»
«Chi è allora?» insistette.
«Su, bambina mia, rivelaci il nome del fortunato» si aggiunse Ryan.
Lei si tolse la fede dall’anulare e la poggiò accanto a sé. «Si chiama Chloe.»
I due genitori si tramutarono in statue di sale, mentre il piccolo Eriksen battè le mani, riuscendo finalmente a mettere insieme i pezzi del puzzle che, fino a quel momento, non era riuscito ad inquadrare con chiarezza.
«Chloe?» balbettò la signora Caulfield.
«Sì» confermò Maxine.
«Ma è un nome da donna.»
«Ottimo spirito di osservazione, cara» mormorò il marito.
«Non fare lo stupido!» sbottò lei «È una donna, come te» continuò, tornando a guardare la figlia.
«Esatto.»
«Quindi lei sarebbe… Cosa? La tua nuova partner?» proseguì con le domande.
«Non ha importanza la terminologia, intanto non può accadere» sospirò Max «Non dopo tutto questo.»
«Ma…» cercò di intervenire il cuginetto.
«Lascia che dica io qualcosa, Chris» lo interruppe Ryan «Posso?» chiese il permesso di sedersi accanto alla propria figliola, che lo lasciò accomodare in attesa di sentire i suoi consigli.
«Quando conobbi tua madre» cominciò «All’epoca della Guerra di Troia…»
Vanessa sbuffò, ma non reagì ulteriormente.
«Mi innamorai di lei all’istante e anche se mi ha ricambiato e mi ha sposato e mi ha donato una bellissima figlia, in qualche modo, ho sempre avuto la sensazione che io non sarei mai stato abbastanza per lei.»
Max e Vanessa lo guardarono, ipnotizzate.
«Abbiamo tirato avanti in tutti questi anni, ma ho sempre saputo che, se avesse incontrato qualcuno e si fosse innamorata davvero, rendendosi conto di cosa sia il vero amore, mi avrebbe lasciato senza esitare.»
Maxine lesse sul volto del padre quelle riflessioni che doveva aver fatto centinaia di volte.
«E come avrei fatto ad oppormi? Ho sempre e solo voluto la sua felicità.»
Le parole di Warren acquistarono un nuovo peso.
«Qualunque cosa tu decida di fare, noi ti staremo accanto e ti supporteremo» le disse, accarezzandole il viso «Ma ti prego, tesoro mio, segui il tuo cuore.»
Calò ancora una volta il silenzio sul salotto.
Max sentì una nuova forza, quell’incoraggiamento fu la spinta necessaria a tentare il salto nel vuoto che troppo a lungo aveva rimandato. «Posso prendere la vostra auto?»
«Ti accompagno io» le sorrise il genitore.
I due si misero in piedi in un istante e si precipitarono verso l’uscita.
«Fermi! Dobbiamo sparecchiare!» Vanessa tentò di trattenerli, ma il marito e la figlia erano ormai decisi ad andare.
«Sarà meglio tenerli d’occhio» dichiarò «Tu resterai qui e farai il bravo, vero Christopher?»
Il bambino scosse la testa con decisione. «Vengo anche io.»
La donna, sconfitta, gli offrì la mano e, una volta recuperate le giacche, insieme raggiunsero i due già pronti a partire.
 
***
 
«Prenditi cura del nostro piccino» mormorò Chloe, abbracciando stretta Stephanie.
«Stai parlando del Kabloom o di Chris?» domandò la collega.
«Entrambi.»
Le due si separarono e si scambiarono un lieve sorriso.
«Allora, San Francisco, eh?» commentò la Gingrich «La strada è lunga.»
La Price fece spallucce. «Devo mettere un po’ di distanza tra me e questo posto.»
«Io te lo avevo detto» bofonchiò l’altra «Due settimane non sono tante, però mi auguro che tu riesca a trovare quello che stai cercando.»
La fiorista serrò i denti. Lei stava proprio scappando da ciò che tanto a lungo aveva bramato.
«Su, vai» la incoraggiò l’amica «La parata dei carri sta per cominciare e non penso tu voglia restare imbottigliata nel traffico.»
Chloe esitò, lasciandosi distrarre da una bella rosa rossa che aveva tirato fuori dal retrobottega giusto quella mattina. «Forse non dovrei farlo…» mormorò, accarezzando i petali setosi.
«Eh, no, signorina! Non si torna più indietro!» la spronò l’altra, spingendola verso l’uscita «La Golden City ti attende, è troppo tardi per ripensarci.»
«Hai ragione» si riscosse la fioraia «Ti manderò una cartolina dalla California, promesso.»
«Bugiarda» ridacchiò «Ma apprezzo il pensiero.»
Le due si abbracciarono un’altra volta e poi si salutarono definitivamente.
«Fa’ la brava, Price!» le gridò dietro Steph, guardandola raggiungere il pickup.
«Non dar fuoco a niente mentre sono via!» replicò, balzando a bordo del veicolo.
«E ricordati di scrivere a me e a tua madre quando arrivi!»
La fiorista scosse la testa, scostando la valigia improvvisata che aveva abbandonato sul sedile. «Si parte.»
La collega la osservò allontanarsi e poi, con un sospiro, tornò dietro il bancone.
 
***
 
«La prossima, a sinistra» indicò Maxine al padre, facendogli imboccare la strada che conduceva in direzione del promontorio.
«Stavo pensando, tesoro…» mormorò Vanessa, sporgendosi in avanti dal sedile posteriore «Tolto Warren, ci sarà qualche altro pesce nell’oceano. Un pesce maschio, si intende.»
La figlia non la stava neppure considerando, troppo concentrata sul percorso.
«Dritto per di qua?» domandò Ryan.
«Sì» confermò Max.
«Mi sembra di stare in un film» gongolò il genitore, premendo sull’acceleratore.
«E cosa ne sarà dei miei nipotini?» insistette la signora Caulfield «Io volevo diventare nonna.»
«La scienza ha fatto passi da gigante, mia cara» le rispose il marito «Sempre ammesso che vogliano bambini.»
La donna, all’idea di dover rinunciare ai piani che aveva tanto a lungo ordito, per poco non svenne.
«È lì, sulla destra!» esclamò Maxine «Accosta.»
«Mi ricordo di questo posto» commentò Vanessa, riprendendosi all’improvviso «Come hai conosciuto… Chloe?»
«Si è occupata dei fiori al mio matrimonio» spiegò Max, scendendo dall’auto.
«Ma è passato solo qualche mese!» le fece presente la madre «Come fai ad essere così sicura che sia la persona giusta per te?»
«È bastato un singolo istante per capirlo davvero.»
«Colpo di fulmine» concordò Ryan «I francesi lo chiamano le flash
«I francesi non capiscono niente» obiettò la consorte.
«Vai, Max!» gridò Chris, impaziente di vedere la situazione risolversi con un bellissimo lieto fine.
Lei si riscosse e si voltò per aprire la porta del Kabloom.
«Tu non sei Chloe» disse, incapace di elaborare il fatto di trovarsi davanti un’altra persona.
La cliente, una donna in là con gli anni che sfoggiava un cappellino fucsia di dubbio gusto, la squadrò confusa.
«Vuoi provare un’entrata più educata?» propose Steph, sbucando dal retro con un vaso di orchidee.
«Sì, scusa» balbettò la Caulfield «È un piacere rivederti.»
«Non posso dire lo stesso…»
Maxine ignorò quella frecciatina. «Stavo cercando Chloe, sai dirmi dove sia? Devo vederla.»
«Perché la cosa ti interessa?» la incalzò la Gingrich «Tu hai un marito.»
«L’ho lasciato» affermò «Forse, lui ha lasciato me… I dettagli non sono importanti, è finita.»
«Quindi… Sei qui per lei?» indagò la negoziante, ancora poco convinta.
«Sì.»
Stephanie la fissò. «La ami davvero?»
«Sì» ribadì Max senza esitazione.
L’acquirente spostò lo sguardo da una ragazza all’altra, cercando di comprendere la situazione.
«Allora, dobbiamo andare» decretò Steph, scavalcando il bancone «La tenga per un momento» proseguì, rivolta alla cliente, mettendole in mano la rosa che Chloe aveva rimirato prima di andare «Devo chiudere.»
In un tintinnio di chiavi e serrature, il Kabloom venne sigillato.
«Ti servirà questa, quando la raggiungerai» disse a Maxine, strappando il fiore all’acquirente «Lei capirà cosa vuoi dirle.»
Max la guardò con la bocca spalancata, non trovando le parole per ringraziarla.
«Cosa stiamo aspettando?» fece pressione la Gingrich «Non la raggiungeremo mai se non ci diamo una mossa. Ha già dieci minuti di vantaggio!»
Le due salirono in auto, abbandonando la cliente sul marciapiede più confusa che mai.
«Salve a tutti, sono Stephanie» salutò, presentandosi.
«Ciao!» trillò Christopher, facendole posto accanto a sé.
«Ma che bella sorpresa» sorrise «Questa avventura si fa sempre più interessante.»
«Da che parte andiamo?» chiese Ryan, rimettendo in moto per fare inversione.
«Verso il corteo. Dobbiamo battere sul tempo una testa blu in fuga.»
Il gruppetto sparì lungo il nastro d’asfalto a bordo del SUV scuro, mentre dal centro della cittadina risuonavano i rumori della parata.
 
***
 
Arcadia Bay non era nota per grandi feste o celebrazioni, ma la sfilata dei carri per il Giorno del Ringraziamento era una delle rare eccezioni. Vi prendeva parte l’intera cittadina e giungevano turisti da tutti i paesi vicini per affollare la via principale lungo cui si vedevano marciare i diversi telai di ferro ricoperti di cartapesta e i variopinti palloncini giganti che tanto incantavano grandi e piccini.
Tutt’altro che incantata era, invece, Chloe, bloccata in una strada secondaria da una fila di transenne che erano comparse quasi all’improvviso.
«Non l’avevano mai chiusa questa viuzza» commentò un passante, camminando accanto alla sua vettura, ferma «Quest’anno hanno voluto fare le cose più in grande.»
La fiorista imprecò, prendendo a testate il volante. Voleva scappare e, invece, la città stava facendo di tutto per trattenerla.
Fece per accendersi una sigaretta, ma ci rinunciò, lasciandosi distrarre dai carri che scorgeva sfilare in lontananza.
Pensò a quanto sarebbero piaciuti a Chris, a quanto avrebbe voluto accompagnarlo, sollevandolo oltre le teste degli altri curiosi per permettergli di vedere meglio e, una volta passato il corteo, lo avrebbe portato al Two Whales per fare merenda.
Serrò le labbra.
Affinché fossero veramente felici, con loro, ci sarebbe dovuta essere anche Max.
Suonò il clacson per sfogarsi, ottenendo solo di far adirare gli altri automobilisti in colonna con lei.
«Peggio di così, non può certo andare…» borbottò, sconfitta.
 
***
 
Ryan svoltava come un pazzo ad ogni incrocio, nel tentativo di sfuggire agli ingorghi che la manifestazione stava causando.
«Se non riusciremo a fermarla prima che raggiunga la statale» osservò Steph «Sarà già in California quando noi usciremo da questo casino.»
Max fremette, stringendo la rosa tra le dita.
Il signor Caulfield annuì, senza distogliere lo sguardo da quello che, per lui, era il più emozionante dei percorsi ad ostacoli.
«Sai, caro» gli sussurrò la moglie, avvicinandosi al suo orecchio «Non è vero quello che hai detto prima. Tu mi sei sempre bastato.»
Lui girò il volante a destra per sterzare, così da evitare un blocco. «Non negli ultimi tempi…»
Vanessa gli posò una mano sulla spalla.
«Ma posso rimediare, essere più coinvolto» proseguì «A patto che tu sia un po’ più gentile.»
Lei fece per controbattere.
«Un po’ meno polemica e pronta a rimproverarmi sempre per ogni minima cosa.»
La donna frenò la lingua, addolcendo l’espressione solitamente crucciata. «Ci proverò.»
Maxine sorrise nel sentire i genitori trovarsi d’accordo dopo tanto tempo.
«Ah!» esclamò Ryan, improvvisando un’altra manovra ai limiti della legalità «Questa è una scorciatoia!»
«Bravo il mio maritino.»
Imboccò un’altra viuzza con una virata a gomito, trovandosi costretto ad inchiodare per colpa di un muro di auto in colonna.
Tutti si voltarono indietro per vedere se fosse possibile fare inversione, ma altre vetture erano già giunte a tagliare loro ogni via di fuga.
«Facciamo un applauso a quell’asino di mio marito, che è utile come uno spalaneve a luglio» disse Vanessa, contemplando la situazione.
«Deve essere stata la luna di miele più corta della storia» replicò l’uomo, tirando il freno a mano.
«Prova a chiamarla» intervenne Christopher, tirando una manica della giacca della cugina «Forse anche lei è ferma.»
«Vale la pena tentare» concordò la Gingrich «Non aveva poi un gran vantaggio.»
Maxine appoggiò la rosa in grembo ed estrasse il telefono dalla tracolla con mani tremanti. Compose a memoria il numero della fiorista e fece partire la telefonata.
 
***
 
La Price, ormai rassegnata all’idea di dover attendere il termine della sfilata per potersi mettere in viaggio, aveva ceduto, alla fine, al desiderio di una boccata di fumo e si stava godendo una sigaretta mentre dai finestrini abbassati si propagava la baraonda delle persone in festa.
Il suo cellulare, appoggiato sul cruscotto, prese a saltellare, vibrando e trillando al ritmo di una vecchia canzone rock.
«Non è possibile» commentò, riconoscendo il numero che tanto a fatica aveva cancellato.
Attese qualche secondo, indecisa sul da farsi, poi schiacciò il mozzicone nel porta-bicchiere adattato a posacenere ed accettò la chiamata.
«Pronto?» sospirò, cercando di sovrastare il canto a squarciagola di un ciclista, intento, proprio in quel momento, a zigzagare tra le auto facendo risuonare l’intera via di una celebre canzone dei The Turtles.
Imagine me and you, I do.
«Chloe, sono io» le rispose Maxine dall’altro capo della linea «Dobbiamo parlare.»
I think about you day and night.
«È cambiato tutto» proseguì la Caulfield.
It’s only right to think about the girl you love and hold her tight.
«Non c’è niente da dire» replicò, sentendo una stretta al cuore «Non puoi farlo.»
So happy together.
«Addio» aggiunse, prima che il groppo alla gola le impedisse di parlare.
Il ciclista proseguì nel proprio pedalare, allontanandosi dalla parata e continuando a cantare.
 
***
 
«Allora? Com’è andata?» chiesero i quattro in coro, assiepandosi addosso alla Caulfield.
Lei si afflosciò sul sedile, guardando la rosa con aria sconsolata.
«Tanto tornerà» la rassicurò Christopher «Me l’ha promesso.»
«Mi dispiace, Chris, ma è finita.» Maxine aveva la voce tremante e lo sguardo sconfitto di chi aveva volato troppo vicino al sole ed era precipitato rovinosamente.
«Bene» commentò Vanessa, raddrizzando la schiena.
Gli altri presenti si voltarono per fulminarla con gli occhi.
«Insomma, sapete cosa intendo…» balbettò lei, imbarazzata.
La figlia ignorò la discussione che nacque poco dopo, tendendo l’orecchio verso l’esterno.
Me and you and you and me. No matter how they toss the dice, it had to be.
Abbassò il finestrino e sporse la testa, scorgendo un ragazzo un bicicletta.
The only one for me is you, and you for me, so happy together.
«Io ho sentito questa canzone poco fa.»
Mentre i quattro compagni di viaggio erano ancora presi dal proprio dibattito, lei strinse il gambo della rosa tra i denti, aprì la portiera, assicurandosi di non intaccare la fiancata dell’auto accanto, e sgusciò fin sul tettuccio, facendo perno sul cofano.
«Dove vai?» domandò il padre, sporgendosi dall’altro lato «Fa’ attenzione a non rovinare la vernice…»
La moglie gli tirò uno scappellotto per zittirlo, scatenando le risa di Stephanie e Christopher.
Max riprese la rosa tra le mani e iniziò a sbracciarsi. «Chloe!» gridò, cercando il familiare pickup nella selva di autovetture «Chloe, dove sei?»
Da ogni dove, una folla di curiosi si girò a guardarla con fare interrogativo. Dagli automobilisti ai pedoni, un nutrito pubblico stava per essere reso partecipe di uno spettacolo ben diverso da quello per cui si erano radunati ad Arcadia Bay.
«Chloe, ti prego!» continuò a pieni polmoni «Chloe!»
Un mormorio concitato si levò tutto intorno. Presto, quel brusio sarebbe riuscito, insieme ai rumori della manifestazione, a sovrastare il suo richiamo.
Maxine smise di urlare. Sapeva cosa doveva fare.
Portò le mani sull’addome ed inspirò a fondo. Il suo palato si trasformò nel tetto di una cattedrale e a lei non restava che riempire quell’immensità con il suono. Premette fino a sentire il diaframma contrarsi per proiettare la voce al di sopra di ogni altro rumore.
«Sveglia, George! Era la Terra fin dall’inizio!»
Quelle parole riecheggiarono tra gli edifici, rimbalzando su finestre e parabrezza fino a travolgere una testa tinta di blu all’interno di un vecchio pickup.
Dopo momenti di irreale silenzio, la portiera della vettura color ruggine si aprì e una figura dalla chioma celeste si arrampicò sulla sommità del veicolo, cercando l’origine di quel richiamo con lo sguardo.
«Chloe! Posso farlo!» urlò ancora Max, sventolando il fiore «Segui la rosa!»
La fiorista si sciolse in un sorriso. Le rose rosse, lo sapeva bene, simboleggiavano il vero amore.
Le due donne si lanciarono in una corsa forsennata in mezzo al traffico, cercandosi mentre coprivano l’irrisoria distanza che andava via via riducendosi.
Quando si trovarono l’una di fronte all’altra, non ci fu bisogno di parole.
Maxine tese il pegno d’amore e l’altra accettò la rosa, portandola vicino al cuore.
Chloe non pensava di poter provare una felicità totalizzante come quella che la stava travolgendo in quel momento. Le mani della Caulfield si tesero in avanti per accarezzarle il viso ed avvicinarlo alle labbra di cui tanto aveva sentito la mancanza.
Si baciarono come fosse la prima volta, ignare del pubblico che le osservava esterrefatto.
Si strinsero ritrovando il riparo che avevano cercato contro la tempesta e i loro cuori tornarono a battere all’unisono.
Si riunirono, sebbene, forse, non si fossero mai veramente separate, perché una forza inarrestabile aveva deciso di unirle contro ogni logica e previsione.
Non si staccarono fino a che non vennero assalite da un piccolo fulmine biondo, che si lanciò ad abbracciarle gridando di gioia.
«Lo sapevo!» esultò Christopher, sentendosi stritolare in quell’abbraccio «Io lo sapevo che sareste state felici insieme.»
Il resto del gruppo, abbandonato il SUV all’inseguimento del bambino, li raggiunse.
«Adesso è il momento di tornare a casa» affermò il piccolo Eriksen «Io vado con Chloe.»
La mentore gli scompigliò i capelli, ma prima che potesse rispondergli, Maxine si fece avanti «Mi dispiace, Chris, ma dovrai tornare con gli zii.»
I due la guardarono, cercando di capire le sue intenzioni.
«Chloe ed io abbiamo tanto di cui parlare e, sempre che lei sia d’accordo, penso non ci sia occasione migliore di una vacanza improvvisata.»
La fioraia sgranò gli occhi. «Vuoi davvero venire con me?» domandò «Così? Senza neanche preparare una valigia?»
Maxine sollevò la tracolla. «Ho la mia macchina fotografica, i documenti e una carta di credito. Non mi serve nient’altro.»
La Price boccheggiò.
«Sto solo dando l’occasione a una cosa inaspettata di sorprendermi» riprese la Caulfield, prendendole la mano «Sempre ammesso che tu voglia lo stesso.»
Chloe non ebbe da pensarci. Salutò Captain Spirit con un abbraccio ed altrettanto fece con Steph, che le sorrideva con gli occhi lucidi, si presentò rapidamente ai signori Caulfield, senza dar loro il tempo di fare domande e poi sollevò Max di peso, portandola tra le braccia fino al pickup.
Christopher le osservò andare via e non perse d’occhio la macchina fino a che le transenne non vennero rimosse e il traffico riprese a scorrere.
«Pensi che stia continuando a fissarci?» chiese Max, guardando dal lunotto posteriore Arcadia Bay che si allontanava in una commistione di colori e luci.
«Di sicuro. Lui ha dei superpoteri che neanche ti immagini» replicò la Price «Aveva detto che ci avrebbe riunite e io lo credevo impossibile, eppure, eccoti qui.»
Maxine le prese la mano destra, accanto a cui era stata lasciata la rosa.
«Forse, lui riusciva solo a vedere più lontano, con il cuore e non con gli occhi.»
«E allora, dimmi: cosa vede il tuo cuore all’orizzonte?» domandò la Caulfield.
La fiorista sorrise, resistendo all’impulso di inchiodare per poterla baciare. «Ti sfido a scoprirlo.»
 

 
*****
 
 
I giorni d’estate, nella cittadina di Arcadia Bay, avevano la tendenza a somigliare gli uni agli altri: lo stesso sole che sorgeva dalle montagne per tramontare nell’oceano, la stessa brezza salmastra che spazzava le strade e le spiagge, le stesse vite che scorrevano in una placida quotidianità.
Chloe fece correre lo sguardo lungo la navata, decorata con calle e rose bianche. Per lei, quello era un giorno speciale.
Fissava l’entrata della chiesetta con insistenza, in trepidante attesa.
«Non sei tu a dover essere nervosa» rifletté ad alta voce l’uomo al suo fianco.
Lei lo ignorò, cominciando a molleggiare sul posto. «Non arriva…» mormorò, iniziando a tormentarsi le mani.
«Per l’amor del cielo, stai tranquilla…»
«Zitto!» lo interruppe, esplodendo in un sorriso «Eccola.»
Avvolta in un delicato abito bianco, la figura avanzava con passo sicuro verso l’altare, per raggiungere la Price e il suo interlocutore.
«È proprio bellissima» commentò Chris, sistemandosi i gemelli dello smoking «Sei una donna fortunata.»
«Non puoi neppure immaginare quanto» gli diede ragione la fiorista «È la cosa più bella che mi sia mai capitata.»
Lily Rose le sorrise, continuando ad avvicinarsi.
«E dire che è tutto merito mio» affermò Christopher «Se non avessi tirato fuori quella domanda sulla famigerata forza inarrestabile, oggi non sarebbe qui.»
«È per questo che hai deciso di sposarti proprio in questo posto? Per potermi rinfacciare questa cosa?» domandò Chloe, lanciando un’occhiata al gigante che un tempo era stato il suo apprendista. I capelli biondi, sempre un po’ scompigliati, erano accompagnati da una barba corta che lo faceva apparire più maturo di quanto non fosse. I vispi occhi chiari, gli stessi che l’avevano guardata per anni con ammirazione, non avevano perso la propria luce di curiosità e fame di avventure.
«Hai notato che ho scelto anche la stessa data?» gongolò lui, soddisfatto «Così questo resterà sempre anche il nostro anniversario. D’altra parte, se la memoria non mi inganna, avevi detto che mi avresti sposato, un giorno.»
«Ed è proprio quello che sto per fare, perché sono una donna di parola» replicò lei, tornando a concentrarsi su Lily.
La bambina dal caschetto castano e le iridi blu come l’oceano camminava tenendo nella mano destra un cestino di vimini, mentre con la sinistra spargeva manciate di petali bianchi sfilando tra le due ali di invitati.
«Mi sembri molto più presa a fare la mamma, piuttosto che a fare l’officiante» commentò Eriksen «E non è carino, con tutta la fatica che ho fatto a convincere il parroco a far sì che fossi tu ad officiare la cerimonia…»
Lei lo zittì nuovamente, mandando un bacio alla figlia che, concluso il proprio dovere da flower girl, stava andando ad accomodarsi in prima fila.
Chloe osservò Maxine fare posto alla piccola, che subito brontolò per essere presa in braccio. La bimba sapeva essere testarda ed era in grado di ottenere tutto ciò che si metteva in testa di volere, una qualità che sembrava essere di famiglia.
Il cuore della Price si strinse al vedere le due donne della sua vita ricambiare il saluto con un sorriso.
Il giglio le aveva fatto incontrare Max, l’aveva spinta ad accettare la sfida che era diventato il loro amore, fiorito ufficialmente insieme alla rosa che aveva accompagnato la loro prima fuga romantica lontano dalla baia. Lily Rose, l’unione di quei due fiori, era il coronamento di tutto ciò che avevano costruito insieme nel corso degli anni, il bocciolo di cui sentivano la mancanza per considerarsi appieno una famiglia.
«Ti si legge in faccia quanto le ami» sussurrò Christopher «Anche io faccio quella faccia da merluzzo quando c’è Daniel nella stanza?»
La fiorista gli tirò uno scappellotto. «Solo perché oggi ti sposi, non sei giustificato a fare questi commenti. L’ho sempre detto che Steph era un pessimo modello educativo…»
«A dirla tutta» ribattè lui «Questa frase l’ho sentita da te.»
Mentore e potégé risero, condividendo un momento solo loro.
«Sta per entrare il mio sposo» disse Chris, vedendo il futuro marito comparire all’ingresso, accompagnato dal fratello e dal risuonare della marcia nuziale tra le panche affollate.
Chloe si sistemò la giacca e fece ruotare più volte la fede all’anulare, ripassando tutte le formule di rito, mentre il, non più tanto piccolo, Eriksen cominciava a tremare dall’agitazione.
Daniel Diaz, un giovanotto di bell’aspetto, dalla pelle ambrata e gli espressivi occhi color cioccolato, percorse la navata fino a raggiungere l’ormai adulto Captain Spirit.[1]
I due si guardarono con l’aspettativa di quando si attende lo sbocciare dei fiori e Chloe riconobbe quello sguardo.
La proprietaria del Kabloom lanciò un’occhiata alla moglie, incontrando i suoi occhi, che le confermarono ciò che stava pensando.
Lo sguardo dei due promessi era uguale a quello che una fiorista e una timida sposa si erano scambiate tanti anni prima in quella chiesetta, facendo sbocciare il loro amore in uno splendido giorno d’estate.


 
*******
  
 
[1]: Non ho resistito, l’aver giocato a Life is Strange 2 ha lasciato il segno e mi ha portato a vedere Chris e Daniel, una volta adulti, come potenziale coppia. I regret nothing.
 
 
NdA: ed eccoci, infine, all’ultimo angolo di delirio di questa storia. Non so cosa ne pensiate voi, ma sono molto soddisfatta di me per aver tenuto fede alle scadenze promesse, mi è sembrato di tornare, con questa vicenda scandita in cinque parti, ai tempi del mio esordio Pricefield, avvenuto la bellezza di quattro anni fa. Ma non voglio dilungarmi in disquisizioni su ciò è stato e ciò che sarà, mi limito a dire che adesso rimetterò mano a Sinners’ Heaven, che è ben lontano dall’essere concluso, senza però tralasciare gli altri progetti a cui sto lavorando.
Consueto spazio per i ringraziamenti: a wislava, a cui non so davvero più cosa dire dopo tutto l’aiuto e il supporto che sono stati necessari ad arrivare qui e che ancora mi serviranno per andare avanti, grazie per essere una delle mie incrollabili certezze; ad axSalem un grazie sentito per aver deciso di subirsi un’altra delle mie storie accompagnandola con parole gentili; alla fine, come ogni volta, grazie a tutti gli altri lettori per la pazienza ed il coinvolgimento silenzioso, sempre apprezzato.
Direi che posso chiuderla qui, spero che questa storia vi abbia strappato almeno un sorriso e vi auguro buona lettura per ciò che vi riserva il futuro.

 

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