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Autore: GirlWithChakram    07/04/2020    2 recensioni
Un giorno d’estate, un giorno come tanti per Chloe, il cui compito è consegnare gli addobbi floreali per l’ennesima cerimonia.
Un giorno d’estate, un giorno speciale per Maxine, che sta per compiere il grande passo.
Un giorno d’estate, in cui a sbocciare non saranno solo i fiori.
Breve commedia Pricefield ispirata al film “Imagine Me & You”.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Chloe Price, Max Caulfield
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Dalla stessa gentaglia che ha orchestrato altre storie in questa sezione,
originata nella testa che doveva concentrarsi solo sui progetti già in corso,
accudita e sistemata da chi subirà molte altre Pricefield,
la GirlWithChakram & co. è lieta di offrirvi questo pugno di pagine e vi augura buona lettura.



I DARE YOU TO LOVE ME


 
Orange blossom
[Matrimonio]

 
 
Una tranquilla giornata d’estate, un altro numero sul calendario, una nuova alba spuntata dalle montagne alle spalle della placida Arcadia Bay.
Nella frescura della prima mattina, il mondo sembrava essersi appena destato, accarezzato dalla brezza oceanica, cullato da quelle onde che tanto dolcemente lambivano la spiaggia già popolata di reti stese ad asciugare.
Ogni cosa appariva cristallizzata, quasi fosse stata sapientemente disposta per rendere quella giornata perfetta in ogni singolo dettaglio.
Eppure, nonostante il mondo si stesse tanto sforzando per mettersi in mostra, l’attenzione di Maxine Caulfield non riusciva ad andare al di là delle pareti della sua camera da letto. I poster con gli angoli rovinati e le fotografie scolorite la fissavano di rimando mentre lo sguardo di lei era perso nel vuoto, incantato da immagini note solo alla sua mente.
Il ticchettio implacabile della sua sveglia, la stessa che la destava da bambina per farla arrivare in tempo a scuola, le teneva compagnia in quel frangente, ipnotizzandola con la propria cadenza e la danza delle lancette condannate ad inseguirsi all’infinito.
Per un istante, uno spaventoso attimo che la fece rabbrividire fino alle ossa, pensò di essere anche lei come una di quelle piccole barrette di plastica: prigioniera di un ciclo eterno su cui non aveva controllo, costretta a muoversi attorno ad un perno nella speranza di potersene liberare, ma con la consapevolezza di non poterci mai riuscire.
Non erano pensieri da avere, non poco prima di compiere il grande passo.
La lancetta dei secondi superò quella delle ore, sfiorando appena il 7 su cui stava riposando, per poi lasciarsi quel numero alle spalle, arrancando verso il successivo.
Nella mente di Max iniziò un conto alla rovescia mentre la lancetta correva verso il 12 per sovrapporsi alla compagna che indicava i minuti.
Quando le due finalmente si incontrarono, l’orologio iniziò a saltellare, tremolando a ritmo di un insistente trillo.
Lasciò che l’assordante rumore riverberasse tra i ricordi della sua infanzia, poi, con una pesantezza atavica disinnescò la bomba sonora.
Non appena l’apparente silenzio tornò a regnare, la porta si spalancò.
«Max, è tardi!»
Maxine alzò lo sguardo, inspirando a fondo.
Sua madre era già pronta di tutto punto; probabilmente lo era dalla sera precedente. I capelli scuri raccolti in una crocchia tenuta insieme da un fermaglio in madreperla e il viso ringiovanito da un sostanzioso strato di trucco sembravano essere stati approntati ad arte per far apparire Vanessa Caulfield bella come non lo era da anni. Il vestito color lavanda, adornato da una spilla d’argento, le cadeva perfettamente e faceva risaltare il colore blu delle sue iridi, identiche a quelle della figlia.
«Buongiorno anche a te, mamma» sbadigliò la giovane, alzandosi ad abbracciare la genitrice.
«Non abbiamo tempo per queste moine, Max!» esclamò la donna, scansandosi ed afferrando un lembo del pigiama della figlia «Siamo già in ritardo e dobbiamo convincere tuo padre a cambiarsi quella orribile cravatta a quadretti!»
«È da più di un’ora che va avanti» mormorò Kate Marsh, eterna amica di Maxine, comparendo da oltre l’uscio «L’ho dovuta trattenere dallo sfondare la porta più di una volta.»
«Basta chiacchierare, dobbiamo cominciare con trucco e parrucco» si intromise Vanessa «Oggi è il grande giorno e non c’è più tempo da perdere.»
Concessale solo una breve capatina in bagno e senza possibilità verbale d’appello, Max venne trascinata dalla mamma e dall’amica verso l’equipe ingaggiata per l’occasione.
«Quanto mi piacciono i matrimoni» commentò estasiata Vanessa mentre la sua bambina si preparava ad essere acconciata per indossare l’abito bianco.

 
***
 
Il silenzio non era mai stato un grande protagonista della baia. Il ronzio dei motoscafi che sciamavano nel porticciolo, il rombo sfrecciante delle automobili lanciate lungo la strada costiera che tagliava in due la cittadina, i richiami squillanti degli stormi di uccelli, forse di ghiandaie blu native della zona, che rimbalzavano da un albero all’altro per sovrastare con il loro messaggio il flebile sciabordio del Pacifico, ogni elemento aveva la propria armonia.
L’infaticabile campanella sulla porta del Two Whales, il diner della cittadina, partecipava attivamente a quel concerto, trillando imperterrita per accompagnare l’andirivieni degli avventori della tavola calda: chi entrava per ordinare il solito caffè, chi usciva per cominciare il proprio turno lavorativo dopo aver consumato una sostanziosa colazione.
Increspando la superficie della tazza ricolma, Chloe sbuffò, portandosi le mani alla testa, infastidita dal continuo scampanio.
«Non è colpa mia, non dovevi sfidarmi a morra cinese» gongolò Stephanie, stiracchiandosi dal lato opposto del tavolino.
L’altra non ribattè, continuando ad inspirare a grandi boccate l’aroma della bevanda mattutina.
«Si tratta solo di una consegna, niente di impegnativo» cercò di indorarle la pillola «È l’unica della giornata, in fondo ti è andata bene non dover stare in negozio a subirti le chiacchiere dei soliti vecchietti.»
Chloe scoccò un’occhiata di fuoco alla Gingrich, facendole andare di traverso un boccone di pancake.
«Senti, le regole della morra cinese sono chiare» provò a difendersi l’amica «La prossima volta non scegliere “forbici” tre volte di fila.»
Con l’ennesimo sbuffo, la Price si portò la tazza alla bocca e assaporò un sorso di caffè.
«Brava la mia socia, vedo che ti sei rassegnata.»
La Price fece spallucce, sconfortata, e si spostò, scostandola dal volto, una ciocca blu. «Detesto i matrimoni.»
 
***
 
Gli invitati sembravano un mix quantomeno atipico: da vecchie signore imbellettate passando per elegantoni tirati a lucido fino ad arrivare a scalcagnati giovanotti in tenuta casual. Pareva che avessero poco a che fare gli uni con gli altri e non era difficile distinguere chi fosse di famiglia e chi, invece, fosse un amico o un collega degli sposi.
Al solito Christopher Eriksen sarebbe piaciuto molto fantasticare sulla vita che attendeva quegli individui una volta conclusa la cerimonia: chi sarebbe tornato a casa e avrebbe elencato, portata per portata, il menu alla propria madre; chi avrebbe segnato sul calendario il conto spese per il regalo di nozze e chi ancora sarebbe collassato sotto il gazebo, troppo ubriaco per rincasare.
Chris, però, quel giorno non riusciva a concentrarsi sui suoi soliti giochi di immaginazione. Quel cervellone di Owen Parker, lo stesso sbruffone saccente che non suggeriva a nessuno durante le verifiche, gli aveva fatto quella domanda solo per metterlo in crisi e la cosa stava funzionando alla grande.
Cosa succede se una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile?
Chris si stava scervellando da giorni, cercando di capire. Guardare la risposta su internet sarebbe stato come imbrogliare e Owen gliel’avrebbe rinfacciato a vita. Aveva provato a chiedere almeno un indizio a suo padre, ma a stento lo aveva degnato di attenzione. Aveva tentato di rintracciare qualcosa a riguardo in biblioteca, il luogo in cui la fatidica domanda era stata posta durante il settimanale raduno del suo gruppo per fare i compiti delle vacanze, ma niente.
Il mondo sembrava non sapergli dare una risposta.
La sua ultima possibilità risiedeva in colui che presto, anzi prestissimo, sarebbe divenuto parte della sua famiglia: Warren Graham.
Agli occhi di Chris, Warren era l’uomo più intelligente del mondo: sapeva tante cose di matematica, fisica, chimica e altre scienze. In fondo, chiedere a lui sarebbe stato come rivolgersi al computer, ma Owen gli aveva detto di non ricorrere a motori di ricerca e all’aiuto di parenti, però aveva tralasciato i giovanotti ancora non tecnicamente con lui imparentati.
La confusione era tanta, ma il ragazzino non ebbe problemi ad individuare colui che cercava. Warren attendeva davanti all’ingresso della chiesa, salutando e ringraziando a turno i presenti, affiancato da Eliot, il suo testimone.
Entrambi erano molto eleganti nei loro smoking neri e sorridevano spesso, ridacchiando tra loro, probabilmente commentando la condotta di qualche sconosciuto che ricordava loro un personaggio dei loro amati film di fantascienza.
A vederli così rilassati e felici, Chris pensò che qualcuno potesse scambiarli per una coppia appena sposata. Dopotutto, non ci sarebbe stato nulla di male. Probabilmente sua cugina Max sarebbe stata comprensiva e avrebbe addirittura dato la propria benedizione.
Camminando piano sul pietrisco dello spiazzo, per non rischiare di farsi male per colpa delle scarpe da cerimonia troppo strette, il ragazzino iniziò ad avvicinarsi, convinto di ottenere finalmente una risposta per l’annoso dilemma.
Chris inchiodò sui suoi passi quando notò che lo sposo veniva avvicinato da un’estranea.
Il giovane Eriksen non era mai stato tipo da affidarsi puramente alle apparenze, ma vedendo la chioma blu e i tatuaggi non potè fare a meno di reputare quella donna fantastica a prescindere. Sembrava uscita da uno dei suoi albi di fumetti, sarebbe stata la candidata perfetta per avere una doppia vita in cui salvava damerini o damigelle in pericolo da cattivoni e scienziati pazzi di ogni sorta.
«Lo sposo, presumo» la sentì dire, presentandosi a Graham «Sono Chloe Price, fioraia del Kabloom.»
Chris arricciò il naso, non vedeva molto la propria nuova eroina come semplice fiorista, ma poi stabilì che quello era il lavoro perfetto con cui mantenere una copertura da supereroe perché nessuno si sarebbe accorto della sua improvvisa scomparsa nel caso dovesse combattere il crimine.
«Molto piacere» replicò Warren, tendendo la mano «Io sono…»
«Eliot Hampden» si intromise quasi di corsa il testimone «Incantato di fare la tua conoscenza.»
L’amico aggrottò la fronte, sorpreso da quell’interruzione.
«Piacere» ribattè la fioraia, poi proseguì a parlare, ma il ragazzo non riuscì a cogliere le parole, sentendosi stritolare la testa in una sorta di morsa.
«Christopher!»
«Ciao, zia Vanessa» sussurrò, sentendo muoversi le braccia che lo avevano avvolto.
«Ma che bell’ometto che sei» commentò la signora Caulfield, scarmigliandogli i capelli biondi «Un vero figurino.»
«Grazie, zia» mormorò, risistemandosi come poteva la capigliatura.
«Vorrei tanto che mia cugina potesse essere qui per vederti» commentò la donna, spostando lo sguardo verso un punto indefinito «Emily sarebbe così orgogliosa…»
Al pensiero di sua madre, venuta a mancare anzitempo, Chris sentì il petto farsi pesante. Non voleva pensare a lei in quel momento perché altrimenti sarebbe scoppiato a piangere e invece doveva essere felice, per Max e Warren.
«Scusa, zia, devo andare» disse precipitosamente, tornando alla propria missione.
Puntando di gran carriera lo sposo, il piccolo Eriksen riuscì finalmente a raggiungere l’obiettivo. La donna dalla chioma blu stava discutendo con Eliot, chiaramente più interessato a far colpo su di lei che non al garofano rosso che gli veniva appuntato all’occhiello.
«Warren!» esclamò il giovanotto, riuscendo finalmente ad ottenere l’attenzione dell’uomo «Volevo farti gli auguri per oggi.»
«Grazie, piccoletto» gli sorrise «Sei contento di avermi ufficialmente nella tua bella famiglia?»
Lui annuì. «Molto, ma non è di questo che ti volevo parlare. Ho una domanda difficile, cortesia di Parker.»
«Spara.»
Chris prese una profonda boccata d’aria. «Cosa succede se una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile?»
L’interpellato piombò in un meditabondo silenzio.
Gli occhi chiari di Christopher si spalancarono in supplice trepidante attesa.
«Non ne ho la più pallida idea, mi dispiace» sospirò Graham, ciondolando un po’ sul posto «Ci penserò su e ti farò sapere.»
Il ragazzino rimase sconcertato, era certo che Warren avesse la risposta.
«Non può accadere.»
Sorpreso, Chris fissò la fiorista. «Perché?»
«Se c’è qualcosa che non può essere fermato, non è possibile che ci sia qualcos’altro che non può essere mosso e viceversa» gli spiegò lei con naturalezza «Non possono esistere entrambi nello stesso sistema di riferimento.»
Eriksen inclinò lievemente il capo. Dalla camicia scura con le maniche rimboccate, che lasciavano a vista i tatuaggi, e i jeans con qualche strappo, probabilmente non dovuto ad una scelta di moda, mai avrebbe potuto intuire di avere a che fare con un genio.
«Non è questione di essere intelligenti» sembrò quasi leggergli nel pensiero «È una vecchia domanda trabocchetto. Chiunque te l’abbia fatta voleva chiaramente metterti in difficoltà, perciò suggerirei di annodargli i lacci delle scarpe mentre è distratto, la prossima volta che lo incontri.»
Nei suoi nove anni di vita, Chris non era mai stato innamorato, ma in quel momento comprese cosa dovevano provare gli adulti quando parlavano di “colpo di fulmine”.
«Vuoi sederti vicino a me?» le chiese, indicando la folla che si avviava all’interno.
La fioraia gli sorrise e si lasciò condurre, mano nella mano.

 
***
 
Come fosse finita dall’addobbare la navata con calle e rose bianche a sedere sulla panca in prima fila accanto ad un ragazzino logorroico che la subissava di domande, Chloe non se lo seppe spiegare. Ricordava di aver acconsentito ad accompagnarlo all’interno, ma non aveva previsto di essere, a quel punto, presa prigioniera ed essere trasformata in un’enciclopedia ambulante.
«Perché l’alfabeto è ordinato in questa maniera?»
Sembrava che il biondino avesse in serbo un interrogatorio ad hoc per mettere alla prova anche il più preparato dei secchioni. Era a malapena riuscita a farsi dire il nome, “Chris, mai Christopher”, e a quel punto il giovincello si era lanciato in una sequela di quesiti senza quasi prendere fiato.
«Puoi urlare nello spazio?»
Alcune erano domande a cui avrebbe saputo rispondere, altre erano ai limiti dell’assurdo.
«In uno scontro tra il superuomo di Nietzsche e Spiderman, chi avrebbe la meglio?»
La Price gli sorrise. Chris le piaceva ed era sicura che, col tempo ed una discreta calmata, sarebbe diventato un tipo davvero in gamba.
L’improvvisato quiz venne interrotto quando una donna di mezza età, in un appariscente abito lilla, si accomodò accanto al bambino apostrofandolo con una frase che non ammetteva repliche: «Christopher, la cerimonia sta per cominciare, credo sia ora di congedare la tua nuova amica.»
Chloe fissò Chris ed annuì, come a rassicurarlo. «Vado a preparare gli ornamenti floreali per la sala del ricevimento. Ci vediamo dopo, così potrò provare a rispondere a qualcuna delle tue domande.»
Gli occhi del giovane Eriksen si illuminarono di felicità e il suo viso fu invaso da un prepotente sorriso. «A dopo, Chloe» mormorò contento.
La fioraia si alzò, intenzionata ad allontanarsi percorrendo la navata laterale senza dare nell’occhio, ma notò solo allora il silenzio calato all’interno della chiesetta e lo sguardo trepidante dello sposo e degli invitati, tutti rivolti all’entrata.
Tra le pareti adorne di croci e di mosaici, iniziò a risuonare l’inconfondibile marcia nuziale.
Come un sol uomo, la folla si mise in piedi e osservò, in religioso silenzio, l’incedere della sposa, accompagnata dal padre.
L’uomo in completo scuro, abbinato ad una cravatta a quadretti il cui gusto sarebbe stato dai più ritenuto opinabile, era imponente e torreggiava sui presenti come una montagna. Il suo passo era lento e sicuro, ma il suo volto tradiva l’emozione del momento, l’incombenza del lasciar andare la propria bambina tra le braccia di qualcun altro.
Appoggiata al braccio del gigante, la protagonista di quella favola moderna procedeva verso l’inizio di una nuova avventura. Il candore del vestito sembrava rimarcare quell’idea di rinnovo, le infinite possibilità di una pagina ancora non scritta.
Imbambolata come gli altri presenti, la Price non potè fare a meno di complimentarsi con se stessa per il bouquet, le cui rose e calle richiamavano il resto dei fiori di decorazione, ma i cui gigli posti al centro della composizione, spiccavano con la stella arancio che si originava dal loro calice. Quella nota di colore spezzava la nivea nitidezza della sposa e richiamava il fiore solitario che il parrucchiere, secondo istruzioni, aveva provveduto ad integrare nell’acconciatura.
Chloe si domandò cosa stesse provando la giovane donna in quell’istante, nel suo giorno speciale, nel momento in cui sarebbe dovuta essere all’apice della felicità. Avrebbe voluto scorgerne gli occhi per potervi leggere l’impazienza e la contentezza di raggiungere il futuro marito all’altare, ma la brunetta aveva lo sguardo basso. Pareva assorta nel bouquet che stringeva tra le mani e forse, pensò la Price con sordo timore, non lo trovava di proprio gusto. D’altronde, era stata la madre a fare l’ordine per la cerimonia e le aveva lasciato campo libero riguardo la composizione. La fioraia aveva scelto di non azzardare, attenendosi a scelte classiche, ma il tocco dei gigli era stato particolarmente ispirato, come dettato da una forza superiore.
Istintivamente, come faceva sempre quando non si sentiva a proprio agio, Chloe si passò una mano tra i capelli, scuotendo le ciocche celesti in un turbinio che passò inosservato ai più, ma che catturò l’interesse di un paio di occhi blu.
Maxine notò il movimento all’estremità del proprio campo visivo e non riuscì a resistere alla tentazione di spostare lo sguardo verso sinistra, dove nella penombra della navata laterale si celava un’invitata imprevista.
Le due donne si incrociarono per un istante, il tempo di uno scambio di sguardi e dello sbocciare di un sorriso, poi Max si voltò in avanti verso l’altare, mentre la Price diede le spalle all’abside per dirigersi all’uscita.
Quando la sposa si girò un momento, prima di dare il via alla cerimonia, non riuscì a scorgere più segno della misteriosa figura dai capelli turchini.

 
***
 
Dopo aver trascorso buona parte della mattina a sistemare i centrotavola fioriti e il resto delle decorazioni, Chloe si sarebbe dileguata ben volentieri. Sarebbe passata al negozio per lasciare il materiale avanzato e avrebbe rifilato a Stephanie il compito di andare a ritirare i vasi una volta conclusa la festa, concedendosi così una mezza giornata di assoluto riposo.
Ma l’universo aveva per lei ben altri piani.
L’innocente promessa fatta a Christopher l’aveva trattenuta fino al termine della cerimonia in chiesa e le domande del giovane Eriksen l’avevano impegnata per tutta la durata del set fotografico della coppia felice.
I preparativi per il pranzo erano ormai a buon punto, quando la donna riuscì finalmente a placare l’esuberanza del ragazzino.
«Vado a prendere qualcosa da bere, Chris» gli disse «Tu intanto prova ad infilare qualche gamberetto viscido nelle tasche degli ignari invitati.»
A lui piacque molto quel suggerimento e, architettando qualche tiro vispo, si allontanò in direzione del tavolo degli antipasti.
Sospirando, la fioraia si diresse dritta verso la colossale ciotola di punch che aveva adocchiato fin da subito, augurandosi con ogni fibra del proprio corpo che il contenuto rosato fosse estremamente alcolico.
Schivando e dribblando piccoli capannelli di presenti intenti a chiacchierare, si ritrovò di fronte ad una scena a dir poco comica: con la fronte corrugata per la profonda concentrazione, facendo attenzione a non far schizzare il liquido colorato, la sposa era piegata sul contenitore intenta ad impugnare il mestolo quasi fosse un’arma per attaccare ed agitare il contenuto.
I cubetti di ghiaccio tintinnavano contro la superficie di vetro mentre i pezzi di frutta sul fondo roteavano in un’elegante danza quasi a tempo con le canzoni, a malapena ballabili, propinate dal DJ.
La sventurata era talmente assorta in quel bizzarro rituale da non accorgersi minimamente di quanto le accadeva intorno e rimase, dunque, molto sorpresa quando una mano le si posò dolcemente sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
Scattando come una molla, Maxine si voltò per fronteggiare la sconosciuta, proteggendo con la schiena quello che sembrava essere il suo tesoro più grande.
«Ciao» disse l’enigmatica ragazza dai capelli colorati, quasi non sapesse come avviare la conversazione.
«Ciao» replicò d’istinto la novella sposa, schiudendosi in un sorriso un po’ nervoso.
Chloe si trovò spiazzata, dimentica della ragione che l’aveva spinta verso quel tavolo in primo luogo. Il clamore della festa e le luci asettiche del salone svanirono, lasciando spazio solamente all’eco tanto lieve quanto dolce di quel semplice saluto e allo scintillio delle iridi blu della donna che aveva davanti.
Quando il silenzio si posò tra loro, il dialogo proseguì a colpi di rapide occhiate che generarono involontarie smorfie che, a propria volta, mutarono in leggere risate.
Nessuna delle due si era mai trovata tanto in sintonia con qualcuno senza bisogno di scambiarci una parola, era come se avessero discusso dei massimi sistemi in un semplice battito di ciglia.
Domato l’imbarazzo e ripreso il controllo del proprio cervello, pericolosamente propenso a lasciarsi distrarre dalle lentiggini che arricchivano il viso della sposa, la fioraia decise di riprendere le redini del discorso: «Non ci siamo presentate» tossicchiò, trovandosi improvvisamente ad avere la gola secca «Sono Chloe.»
«Max» rispose l’altra annuendo debolmente, come se servisse a confermare la veridicità del nome.
La Price assaporò quel nomignolo e lo trovò molto di proprio gusto. «Mi sono occupata dei fiori» commentò, sentendosi in dovere di aggiungere qualcosa.
«Ah, sì?» osservò Maxine, portando involontariamente una mano a sfiorare il giglio che le adornava l’acconciatura «Sono davvero splendidi, sia quelli decorativi, sia quelli del bouquet.»
Per un altro istante, la fiorista si perse nella limpidezza di quegli occhi, poi si risvegliò dalla trance, ricordandosi il motivo per cui aveva attraversato la sala intera.
«Comunque, ero qui solo per prendere uno di questi…»
Chloe si sporse in avanti per afferrare uno dei bicchieri di plastica posti accanto al contenitore di vetro, tendendo verso il mestolo per versarsi da bere.
La Caulfield si irrigidì all’improvviso, tornando vigile guardiana del punch. Allo sguardo perplesso della nuova conoscenza ribattè con un cenno di diniego con la testa, augurandosi che non si notasse il suo nervosismo.
L’altra aggrottò la fronte. «Senza offesa per te e i tuoi ospiti, ma se devo affrontare un’altra ora di questo caos prima di pranzo, ho bisogno di un drink o anche due.»
«Ti sconsiglio questo punch, è pessimo.»
«Quale punch non lo è?» ghignò la giovane dai capelli azzurri «Ho bevuto di quelle brodaglie in passato che non puoi neanche immaginare…»
«No, non capisci!» si oppose nuovamente Max «Non puoi proprio berlo.»
«Ok…» la assecondò la Price «C’è qualche problema?»
L’incurvarsi delle spalle ed il rossore sulle guance della sposa furono una risposta esauriente.
«Posso darti una mano?» propose «Volendo te ne posso offrire anche due.»
Un verso di sollievo lasciò le labbra della Caulfield che subito passò in modalità complotto, facendo cenno all’altra di avvicinarsi.
«Il mio anello» le spiegò «Stavo per prendere una mestolata di questo schifo quando mi è scivolato via dal dito.»
«Intendi la fede nuziale?» si meravigliò la fiorista, notando solo allora l’anulare spoglio.
«È caduta dentro, ancora non capisco come.» Rimestò il fondo generando un piccolo vortice. «Mi sono sposata da meno di due ore e già ho perso la fede.»
«Hai provato a ripescarla?»
Maxine annuì sconfortata.
«E, naturalmente, svuotare quella roba da sola richiederebbe troppo tempo e un fegato da paura…»
La sposa assunse un’espressione via via più sconsolata.
«Beh, resta solo una cosa da fare» sentenziò Chloe, portandosi le mani sui fianchi e gonfiando il petto.
«E sarebbe?» pigolò l’altra.
«Vado in immersione.»
La fioraia si sistemò le maniche della camicia, già rimboccate, attirando l’attenzione sul tatuaggio che le adornava per intero il braccio destro.
«Coprimi!» esclamò, cacciando coraggiosamente entrambe le mani dentro l’intruglio.
«Non puoi…» contestò debolmente Max, realizzando quasi istantaneamente di non aver più voce in capitolo.
«Maxine Graham!» la sorprese una voce alle spalle «Già ad annegare i tuoi dispiaceri nell’alcol?»
Le suonò strano l’essere chiamata con il cognome di Warren, prima di allora era sempre stata Max Caulfield e mai si sarebbe sognata di essere qualcosa di diverso. «Mi fa piacere vederla qui, signor Edwards» salutò il capo di suo marito «Spero si stia godendo la festa.»
«Decisamente, ci sono tante belle pollastrelle» sogghignò maliziosamente «Sarebbe difficile annoiarsi.»
Non le era mai piaciuto quel tipo. Era l’ingegnere capo del laboratorio di Warren e dal primo istante in cui lo aveva visto le era stato chiaro che fosse uno sciupafemmine convinto del proprio fascino, coronato dai capelli impomatati ad arte e dai baffi a manubrio.
«Ho proprio bisogno di rinfrescarmi, devo chiacchierare ancora un po’ prima di riuscire a concludere e non posso farlo da sobrio.»
Chloe colse per intero quel discorso e sentì i brividi dalla radice dei capelli fino alla punta delle scarpe. Voleva intervenire con un bel pugno, ma sarebbe probabilmente stato fuori luogo. Ad ogni modo, non poteva lasciare che quel tizio facesse il viscido con la sua nuova amica nel giorno del suo matrimonio.
Con destrezza, individuò l’anello in mezzo al rimestare di ghiaccio e frutta, lo afferrò con la mano sinistra e, gocciolante, cercò di asciugarlo al meglio con l’orlo della camicia. Quando lo reputò sufficientemente sistemato, si spostò da davanti la ciotola portandosi al fianco della Caulfield e, con un gesto quasi naturale, le infilò l’anello al dito mentre l’irrispettoso ospite la teneva distratta.
«Salve» si intromise, drizzando la schiena per apparire più intimidatoria.
«Parlando di pollastre…» gongolò Edwards.
«Lei è Chloe» la presentò Maxine, quasi fosse suo compito giustificarne l’intrusione «Si occupa dei fiori.»
«Io sono Ted, ma puoi chiamarmi come più ti aggrada» tentò di fare lo splendido porgendo la mano alla fiorista.
«Sono certa che non ti chiamerò affatto» replicò lei, ricambiando la stretta con entrambe le mani ancora grondanti di punch.
Inorridito, più dalle parole che non dall’inaspettato viscido contatto, il signor Edwards si dileguò con la coda tra le gambe.
La Price sorrise soddisfatta e la sua gioia aumentò esponenzialmente quando udì la risata di Max.
«Adesso te lo sei proprio meritato quel drink» affermò la sposa.
«Mi è passata la sete, chissà cosa c’è finito in quella ciotola…»

 
***
 
Dopo appena un paio di minuti di chiacchiere generali, Chloe, con estremo disappunto, si vide sottrarre Max da davanti, trascinata a viva forza da un qualche parente che insisteva di voler ballare con lei quella specifica canzone.
Rimasta sola, la Price si guardò intorno, indecisa se cercare un’altra fonte di alcol o scovare un buon nascondiglio per non farsi trovare per almeno un’altra mezz’ora da Chris e la sua valanga di domande. Individuò un gruppo di sedie vuote piuttosto in disparte dal centro del salone, tramutatosi in pista da ballo, che erano convenientemente vicine ad una colonna ottima per schermarsi dalla folla.
Cacciandosi le mani in tasca, nonostante fossero ancora umidicce e appiccicose per il punch, si diresse verso l’oasi di pace designata.
Si domandò cosa la stesse spingendo a restare. Non aveva altro da fare, poteva tranquillamente tornare a casa a dormire, o magari passare a salutare sua madre, o, meglio ancora, recuperare una birra per andare a sorseggiarla all’American Rust come faceva ai tempi del liceo.
Provò a convincersi che fosse l’allettante promessa del pranzo, che aveva tutta l’aria di essere un ricco convivio, visti i profumi che già si andavano diffondendo dalla cucina della struttura, ma ben sapeva di mentire a se stessa, anche perché non era stata formalmente invitata.
Voleva restare per le persone. Due persone. Un ragazzino particolarmente vivace, e forse un po’ assillante, ma decisamente sveglio e la donna più interessante che avesse incontrato negli ultimi mesi, per non dire anni.
L’aveva colpita all’istante. Forse era stato il bouquet, forse il giglio tra i suoi capelli, o forse era stato qualcosa di indescrivibile, una sensazione totalizzante, una forza inarrestabile, come se una parte di lei già sapesse di voler fare la conoscenza di Max. Maxine Caulfield, come dicevano le numerose partecipazioni appese all’ingresso. Maxine Graham, ora che era legalmente maritata.
Storse il naso.
Caulfield era molto più armonico e le piaceva decisamente di più.
Stava per tirarsi uno scappellotto da sola per evitare che il suo cervello cominciasse a cadere in assurde considerazioni, quando una mano aliena le prese il braccio.
Il suo corpo reagì d’istinto, facendole fare un balzo indietro e serrare i pugni, pronta a stampare un colpo in faccia a chiunque fosse stato tanto folle da osare toccarla senza permesso.
«Salve» disse il testimone dello sposo, a metà tra un sorriso e un’espressione terrorizzata per via della reazione ostile della fiorista «Volevo chiederti di venire a ballare.»
«È una domanda o mi stai informando di un fatto?» replicò duramente lei, scrollandosi di dosso la mano ancora arpionata alla manica della sua camicia.
«È una domanda, credo?» balbetto Eliot.
La Price scosse la testa, sconcertata dall’incompetenza di quel giovanotto nell’approcciarsi ad una donna. Doveva essere parecchio disperato.
«Senti» gli rispose, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridergli in faccia «Non ho voglia di andare in pista. Perché non vai a chiederlo a qualche damigella? Ce ne saranno tante pronte a concederti un ballo.»
Lui boccheggiò, cercando una replica per convincere la fioraia a cambiare idea.
«Non mi importa se questa è la tua canzone preferita, la colonna sonora della tua vita o qualsiasi altra trovata ti passi per la testa pur di persuadermi» continuò lei «Qui stai ad abbaiare contro l’albero sbagliato.»
Il testimone non comprese appieno quelle parole e porse comunque la mano per invitarla ad un lento.
«Con me, Chloe! Balla con me!» intervenne una provvidenziale vocina esaltata appartenente ad un ben noto ragazzino.
«Mi dispiace» mormorò allora la Price ad Eliot «A quanto pare ho già un altro cavaliere.» Senza indugiare, seguì Chris che si esibì in diverse impacciate mosse da robot che però servirono a rallegrare molto l’animo della sua amica.
Dopo essersi scatenati a ritmo di un paio di canzoni dai toni rock, quando il DJ iniziò a passare un lento dopo l’altro, il piccolo Eriksen e la sua dama si accomodarono sulle sedie da lei tanto agognate.
«Ormai dovremmo andare a mangiare» gongolò lui, pregustando il lauto pasto «Zia Vanessa mi ha detto che ci saranno un sacco di cose buone e potrò fare il bis tutte le volte che voglio.»
Chloe distolse lo sguardo dal sorriso del bambino per sbirciare la sposa, intenta a dondolare abbracciata al marito seguendo le note di una ballad.
«Ti fermi per il pranzo, vero?» le chiese speranzoso «Potremmo sedere vicini e parlare di supereroi! Te l’ho detto che mi piacciono un sacco?»
La fiorista si lasciò coinvolgere in una discussione su chi fosse il più forte tra i supereroi, difendendo gli esponenti della vecchia scuola contro la schiera di nuovi meta-umani sostenuti da Christopher.
Erano nel bel mezzo di un dibattito su chi avesse creato l’alter ego più fenomenale, rispettivamente Power Girl e Captain Spirit, quando si resero conto che la musica era scemata e che gli ospiti stavano migrando verso la sala interna apparecchiata per il banchetto.
«Pronto? Pronto? È acceso questo coso?» Dagli altoparlanti si diffuse uno stridio, come di apparecchiatura elettronica mal sistemata «Vorrei invitare tutti a prendere posto. I primi piatti verranno serviti a breve.»
«Forza, andiamo!» esultò Chris.
«Ti accompagno» gli disse la donna «Ma non sono sicura di restare.»
«Perché no?» piagnucolò lui.
La Price non voleva mentirgli spudoratamente, ma, vedendo con la coda dell’occhio gli sposi prepararsi a fare un discorso ai presenti, sentì lo stomaco annodarsi e il suo desiderio di fuga divenne impellente.
«Non ti sono simpatico?» domandò Christopher, sull’orlo del pianto «Pensavo fossimo amici.»
«Ma certo che siamo amici, ometto» replicò, tirandogli un delicato pugno sul braccio «Potremmo anche decidere di diventare un inarrestabile duo di supereroi per combattere il crimine fianco a fianco, ma adesso devo tornare in negozio.»
«Oh, capisco» capitolò il giovane Eriksen, infossando la testa nelle spalle «Non puoi neanche restare per il primo?»
«Temo di no, devo andare subito o mi toccherà sgattaiolare via durante il discorso della coppia felice e non sarebbe molto educato.»
Il ragazzino annuì, comprensivo. «Allora, ciao. Spero di vederti presto.»
«Puoi passare dal Kabloom ogni volta che vuoi, mi trovi sempre lì» gli sorrise la fiorista.
«Posso venire per farmi aiutare se Owen Parker mi fa un'altra domanda difficile?»
«Ma certo, Chris, sarai sempre il benvenuto.»
Il microfono fischiò, mentre Warren cercava di approntarlo alla giusta altezza.
«Adesso devo proprio andare.»
«Ciao, Chloe!»
«Stammi bene, scricciolo.»
La fioraia zigzagò tra i tavoli, raggiungendo il fondo della sala, dove la provvidenziale uscita l’attendeva.
«Innanzitutto vorrei ringraziare tutti per essere qui.»
Le parole dello sposo pervasero lo spazio.
«Non mi sarei mai voluto sposare per la paura di dover tenere un discorso come questo, ma ormai ci siamo e non posso tirarmi indietro.»
Dalla sala si levò una leggera risata.
«Sapete chi era ancora più spaventata all’idea di dover parlare di fronte a tante persone? La mia bella mogliettina.»
L’attenzione di tutti si spostò verso Max, che arrossì assumendo il colore dei carapaci delle aragoste che sarebbero state servite di lì a breve.
«E proprio per questo motivo voglio che sia lei ad intervenire adesso, poiché abbiamo giurato di condividere tutto, compresi questi momenti di terribile ansia ed imbarazzo.»
La Caulfield si ritrasse nella sedia, per nulla intenzionata a stare al gioco. Warren sapeva quanto la terrorizzasse parlare in pubblico.
«Forza, un applauso per Max!» incitò Graham, dando il via al battimani.
La Price aveva un piede già fuori dal salone, ma non riuscì a trovare la forza di compiere il passo necessario ad andarsene.
Riluttante, Maxine si alzò in piedi e avvicinò il microfono a sé. Passò lo sguardo lungo tutta la sala, rabbrividendo. Fu un flash di blu lontano a darle il coraggio di deglutire ed articolare una prima, stentata frase. «Salve» esordì «Come già detto da Warren, non sono molto a mio agio con i discorsi, perciò sarò breve.»
Calò il silenzio.
«Ho atteso a lungo questo giorno e sono felice di poterlo condividere con le persone che amo» proseguì «E anche con qualche volto nuovo ed imbucati dell’ultimo minuto.»
Chloe si sentì chiamata in causa ed abbozzò un sorriso.
«Conosco Warren da molto tempo» tornò a parlare la sposa «E lo conoscerò per tutto il resto della vita, come amico e come compagno.»
Qualcosa in quelle parole punzecchiò la fiorista, che comunque non riuscì a schiodarsi dall’uscio.
«Si dice sempre che le favole arrivino ad un lieto fine, dopo qualche intoppo lungo la strada, ma per noi è stato diverso: siamo diventati amici, poi una coppia e adesso una famiglia; eppure è stato un percorso sereno, privo di ostacoli.»
Maxine inspirò a fondo, sollevando il bicchiere.
«Forse la nostra è una favola più riuscita delle altre, perciò vi invito a brindare a noi due e alla nostra storia, che abbia un lieto seguito.»
La folla brindò con lei mentre la donna dai capelli blu si allontanava con le mani nelle tasche.

 
***

 
NdA: comincerò da dove è più corretto, cioè dall'inizio. Questa storia è (quasi) interamente basata sulla trama del film "Imagine Me and You", commedia romantica inglese del 2005; gli eventi sono stati adattati in modo da includere il più possibile i personaggi di "Life is Strange" (e il piccolo Chris da "Captain Spirit"), senza però stravolgere la continuità dell'intreccio dell'opera originale. Per qualsiasi dubbio o chiarimento resto a disposizione, come sempre.
Passando a piccole considerazioni e note secondarie: i titoli dei capitoli, come già capitato per una storia passata, prendono origine da nomi di fiori, di cui viene indicato il significato tra parentesi. Ho eseguito diverse ricerche a riguardo, ma non mi reputo esperta in materia di pollice verde, perciò mi scuso per eventuali errate interpretazioni che possano andare ad offendere fioristi e affini.
Due righe per spiegare il perché di tutto questo: "Imagine Me and You" è stata la prima commedia LGBTQIA*+ in cui mi sia imbattuta ed è quella a cui sono rimasta più legata negli anni, trovando nella sua semplicità un calore ed un conforto in grado di aiutarmi durante momenti difficili. Avevo in cantiere questo progetto da tempo e, sebbene mi fossi ripromessa di concentrare le mie energie su "Sinners' Heaven", ho sentito il bisogno di proporre anche questa piccola storiella. Dico "piccola" perchè dovrebbe comporsi di soli cinque capitoli che, non me la sento di giurare, penso di pubblicare a distanza di una settimana a partire da oggi. Una sorta di sfida tra me e le scadenze.
Credo di aver detto tutto l'importante, mi resta solamente da ringraziare dal profondo del cuore wislava per essere la miglior beta del mondo, la più incredibile amica e supporter che si possa desiderare e per non essersi ancora stancata di me e delle mie idiozie. Spero che anche voi, miei cari lettori, non vi siate stufati di me e a chiunque sia arrivato qui dedico un enorme grazie per rendere questo mio sfogo da scrittrice un po' più sensato.
Universo permettendo, spero di ritrovare tra una settimana chiunque si lasci coinvolgere da questa commediola ed auguro a tutti voi e a chi vi sta vicino di essere in salute e superare indenni questa pagina triste della storia umana.
   
 
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