You can't play in a stealth mode if you roll a critical failure

di rekichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You can’t intimidate the door ***
Capitolo 2: *** If the table laughs, it’s not a table ***
Capitolo 3: *** Critical failure is not the End of your world, is the End of your quest ***
Capitolo 4: *** The dice giveth and the dice taketh away ***



Capitolo 1
*** You can’t intimidate the door ***


You can’t play in a stealth mode if you roll a critical failure

 

 

Capitolo I

You can’t intimidate the door

 

La stanza ovale è illuminata dalla tenue luce delle candele. Le fiamme aranciate si specchiano, contorte e disomogenee, sull’acqua della vasca al centro. Solo un lieve soffio di vento, proveniente dalla spaccatura sul vetro del rosone dove il simbolo di Sarenrae[1] riluce alla flebile luce delle fiammelle, sembra ravvivare l’atmosfera del tempio. Il marmo delle pareti, un tempo bianco e splendente, è oscurato dalla polvere che il tempo ha sedimentato.

«C’è puzza di morte», annuncia Karas. Con noncuranza, si gratta l’orecchio peloso con la zampa posteriore. Variel gli scocca un’occhiata irritata. Una luce azzurrina comincia a emanare dai suoi occhi chiari che, attenti, si soffermano sulle varie zone della stanza[2].

Nulla sembra rivelarsi all’incantesimo, almeno finché lo sguardo non si posa sull’altare. È antico, con un fronte in legno un tempo riccamente intagliato e ora graffiato dai topi e imputridito dal tempo e dall’umidità, ma agli occhi del mago[3] brilla di una luce intensa. Percepisce la magia provenire da dentro la fragile struttura in pietra. Forse ce l’hanno fatta, forse la fine del loro pellegrinaggio è finalmente arrivata…

«Be’, cosa facciamo?», chiede Nijiena. La paladina[4] sembra osservare con apprensione lo stato in cui è ridotto il tempio. Non riesce a credere che il luogo dove si celebra la bontà della Fiamma Guaritrice possa essere ora teatro di tale squallore. La frase del morfico[5] l’ha turbata e le condizioni della chiesa non lasciano molto spazio alle interpretazioni: quel luogo è abbandonato da tempo, forse da secoli e qualcosa di malvagio ha corrotto la santità del tempio.

«Nell’altare c’è un oggetto magico – spiega Variel – Forse è la fiamma di Sarenrae, ma prima di procedere sarebbe il caso che Salien controlli il percorso più sicuro».

«Perché devo andare sempre io per primo? – protesta la Kitsune[6] – Non può andare che so… Tessara? Non ha fatto praticamente nulla per tutto il viaggio!»

L’elfa[7], chiamata, si volta spocchiosa verso Salien, agitando i lunghi capelli bruni come il tronco dell’ebano.

«Perché io sono un’artista, non una rozza volpe cerca trappole[8] come te!», protesta, stringendo tra le mani l’arpa[9].

«Allora potrebbe andarci Jaina, almeno avremmo tutti una visione del suo posteriore mentre si fa saltare in ar…»

La musica dall’arpa di Tessara riempe l’aria. Salien comincia a sentirsi strano e lo sguardo si dirotta, magnetico, su Karas trasformato in lupo. Non avrebbe mai pensato che un animale sarebbe potuto risultare così affascinante, con quelle zanne gigantesche, la coda folta e sensuale… Il suo istinto prende il sopravvento e perde la sua forma umana. Il volto si allunga, il corpo si ricopre di pelo fulvo e la lunga coda esce dai pantaloni agitandosi sensuale. Le orecchie umane si allungano, si allargano e si diramano nella loro forma volpina. Lentamente si avvicina al morfico

 

«Ehi! A Salien non piace Karas

Madara alzò lo sguardo da sopra lo schermo in cartone[10] che protegge i suoi lanci di dadi dagli sguardi curiosi dei giocatori, indignato per l’interruzione – l’ennesima – alla sua meravigliosa narrazione.

«Ino ha castato[11] Lussuria Innaturale[12] e tu hai fallito miseramente il Tiro Salvezza[13] su Volontà. Come gli altri centinaia di tiri da quando abbiamo iniziato questa pietosa sceneggiata che mi ostino a chiamare “campagna”[14] – sbadigliò – Ora, o cominci a cercare di farti il cagnaccio, oppure ti faccio spuntare un non-morto[15] alle spalle che ti inchiappetta con il suo femore. Scegli la soluzione che preferisci».

«Ma non è giusto!», protestò Naruto. Lanciò un’occhiata furibonda a Ino che ridacchiava sulla sedia, le lunghe gambe accavallate e l’aria insolente dipinta sul volto; un braccio stringeva, possessivo, il bicipite muscoloso di Deidara che, incurante della situazione, si scostò il lungo ciuffo biondo dagli occhi chiari e guardò da un’altra parte.

Tutto in Ino sembrava urlare: «Giù le mani dal personaggio del mio ragazzo», ma Naruto non sembrava intenzionato a tollerare oltre quella situazione. Balzò in piedi, colpendo il tavolo con le mani; qualche dado rotolò sulla superficie e Gaara, seduto accanto a lui, si affrettò a bloccarlo prima che cadesse a terra, mentre Uzumaki imprecava: «È da quando abbiamo cominciato a giocare che Ino lancia incantesimi ogni volta che si fa qualche battuta sessuale sul personaggio di Deidara! Non hai detto che le questioni esterne devono restare fuori dal gioco?»

Madara non sembrò curarsi delle sue parole. Si limitò ad alzare la mano destra e a piegare prima il pollice, poi il mignolo, poi…

«Questa è un’ingiustizia! Non puoi ricattarci con la morte dei personaggi!»

«Sono il master[16], faccio quello che voglio», abbassò l’anulare.

«Non puoi decidere tutto tu!»

«Naruto per la Fiamma di Sarenrae, vuoi sederti e riprendere a ruolare? – protestò Sasuke, esasperato – Ino, tu piantala di fare metagame[17], nessuno è intenzionato a provarci con Jaina».

«Perché? Non è abbastanza bella per te, Uchiha?», intervenne Deidara, piccato sull’orgoglio. Il suo personaggio, una splendida elfa ranger[18] con i capelli azzurri e gli occhi viola, era assolutamente magnifico, un’opera d’arte, almeno a suo modesto parere e quel continuo disinteresse da parte del fratello minore di uno dei suoi migliori amici era esasperante. Oltretutto, Variel, l’elfo mago di Sasuke, era l’unico esemplare della loro specie maschio presente nel party, quindi il deprecare Jaina in gioco e fuori da parte sua acquistava un doppio valore offensivo.

«Il pensiero mio e di Variel su Jaina si è espresso abbastanza quando, in una battaglia in mezzo alla foresta, invece di salire sugli alberi e ammazzare nemici di nascosto, è rimasta al centro della radura a farsi caricare da un ogre[19]! È una ranger e tu la usi come se fosse una prostituta di basso borgo!»

«Ha solo un modo di combattere alternativo».

«Se “alternativo” è diventato sinonimo di “suicida”, sono d’accordo con te», replicò Sasuke, sorridendo serafico.

«Improvvisamente l’acqua della vasca comincia a ribollire tingendosi di rosso. Di fronte ai vostri occhi terrorizzati si addensa in una forma umanoide. Una puzza di marcio e putridume invade le vostre narici e qua mi fate prima un tiro su Tempra[20] per non vomitare, poi uno su Volontà[21] per non pisciarvi addosso».

 

***

«Non ci credo che ci ha mandato contro un golem di sangue[22] – bofonchiò Sasuke, tirando un calcio al primo sasso a terra – Insomma, tutto per colpa di Ino e Naruto! Se quel dobe la piantasse di fare battutacce su Jaina…»

«Uchiha, te la prendi troppo. È solo un gioco».

Sasuke fulminò Kiba con lo sguardo. Allungò la mano, gli tolse la sigaretta dalle labbra – giusto per sentirlo protestare un: «Ehi, se vuoi fumare comprati le tue!» - e gli rubò un tiro, ben intenzionato a non restituirgliela. Quando le sue intenzioni furono fin troppo chiare, Kiba sbuffò esasperato e se ne accese un’altra.

«Non è solo un gioco – riprese Sasuke – È un’avventura, una vita parallela alla nostra, un…»

«Sai che anche l’essere nerd ha dei limiti Uchiha? Stai perdendo il contatto con la realtà».

Sasuke sbuffò, indignato. Quel siparietto con Kiba si svolgeva tutti i weekend, almeno da tre mesi a quella parte, da quando Sasuke aveva deciso che forse, forse, poteva abbassarsi a chiedere un passaggio, invece che tornare a casa a piedi di notte tutte le volte. O meglio, da quando suo cugino Madara aveva imposto che il suo commesso riaccompagnasse il nipote a casa dopo ogni sessione, all’affermazione acida di: «Per quanto la prospettiva possa risultarti allettante, non voglio sentire zia Mikoto protestare perché hanno abusato del tuo fondoschiena delicato, quindi o ti fai riportare a casa, o non giochi più».

Alla prospettiva di cessare di ruolare, Sasuke aveva acconsentito di malavoglia al ricatto, sebbene tutto in Kiba, dal suo atteggiamento scanzonato al ghigno ribelle e spregiudicato, indicasse una persona affatto in grado di badare a se stesso, figuriamoci di portare a casa sani e salvi terzi. Sua fortuna, si era dimostrato più responsabile di quanto sembrasse in apparenza e aveva scoperto che Inuzuka aveva una buona tenuta di guida. Spericolata sì, irrispettosa di ogni regola stradale pure, ma perlomeno era in grado di farlo giungere alla propria abitazione senza incidenti.

«Non sto perdendo il contatto con la realtà», bofonchiò. Prese il casco che il ragazzo gli porgeva e si premunì di allacciarlo per bene sotto al mento. Lanciò un’occhiata di rimprovero a Kiba che, in sprezzo alle basilari regole di sicurezza, era già salito a bordo della moto, una Yamaha MT 125 rosso fuoco, senza indossarlo. Inuzuka gli regalò una risata sprezzante in risposta.

«Avanti, marmocchio, sali che ti riporto a casa. I bambini come te dovrebbero dormire da un pezzo», lo prese in giro.

Sasuke non se lo fece ripetere. Ignorò l’insulto e si accomodò dietro a Kiba, aggrappandosi al giubbotto in pelle. Quando la moto partì, allacciò istintivamente le braccia attorno alla sua vita per non sbilanciarsi. Il vento laterale gli frustava il viso e si ritrovò per l’ennesima volta ad appoggiare il volto sulla schiena di Inuzuka per proteggersi.

Il viaggio in moto lo aiutò a liberarsi dei cattivi pensieri e dell’arrabbiatura per lo svolgimento della sessione. Tuttavia, non poté fare a meno di maledire il giorno in cui aveva chiesto a Sakura di accompagnarlo alla fumetteria da suo cugino. Sasuke frequentava il Konoha Comics&Games da quando Madara, con un colpo di testa che quasi aveva fatto venire un infarto a KaguyaSasuke poteva quasi giurare che lo avesse fatto apposta, giusto per provare la sua teoria malsana secondo cui la trisnonna aveva stretto un patto con i peggiori gironi infernali perché la mutasse in un semi-lich[23] immortale -, aveva mollato gli studi universitari per mettersi a vendere fumetti assieme al suo migliore – e unico – amico Hashirama. Avevano così aperto il negozio e a Sasuke non era parso vero di poter finalmente usufruire di quel piccolo angolo di paradiso; andava quando poteva e aveva insistito con tenacia infantile per poter partecipare a una sessione di Pathfinder[24] masterizzata dal cugino, memore di quelle che Madara, da adolescente, organizzava per lui, Itachi e Shisui. Solo che, se ai due componenti più grandi del party la passione era scemata con la crescita, Sasuke aveva continuato a sognare di poter sconfiggere draghi, vivere avventure meravigliose e avvincenti e muovere personaggi sempre diversi.

Aveva però impiegato anni a convincere Madara a permettergli di partecipare a una campagna. Il cugino preferiva masterizzare party di giocatori navigati, senza doversi impelagare in noiose spiegazioni sulle regole base del gioco. Quando, finalmente, Sasuke aveva avuto il suo benestare, era successo il fattaccio, altresì definito dal piccolo Uchiha: il giorno in cui il suo d20 della vita aveva fatto fallimento critico.

«Hai intenzione di dormire abbracciato a me, Uchiha

La voce di Kiba lo riscosse dai suoi pensieri. Seccato, scivolò giù dalla moto e si slacciò il casco.

«Grazie per il passaggio, Inuzuka», bofonchiò, mentre gli restituiva il copricapo. Kiba se lo mise in testa, lasciandolo slacciato e gli sorrise.

«Di nulla principessa», lo prese in giro. In risposta, Sasuke gli tirò un calcio sulla caviglia. Non troppo forte, giusto quel tanto che bastava a fargli comprendere la propria indignazione, ma invece di scatenare il puro terrore in Kiba, ebbe solo l’effetto di farlo sciogliere in una grassa risata.

Fallito il tiro su Indimidire[25], pensò Sasuke, con rammarico. La sua vita al di fuori del gioco era una lunga serie di fallimenti critici[26]. Di nuovo irritato, cominciò ad avviarsi verso il cancello. Fu la stretta di Kiba sul suo polso a bloccarlo.

«Non te la sei presa, eh marmocchio?»

Sasuke rimase sorpreso dal tono serio di Inuzuka. Lo scrutò attentamente, ricercando negli occhi castani un brillio divertito, o un segno della prossima presa in giro a una sua eventuale risposta, ma Kiba sembrava sinceramente preoccupato di averlo offeso. Un po’ rabbonito, scosse il capo: «Non me la prendo per certe stronzate», rispose.

«Bene, perché… Be’… Lasciamo perdere. Tutto a posto, giusto? – Sasuke annuì. Kiba mise in moto – Ci vediamo sabato prossimo!»

«A sabato…», mormorò Sasuke. Seguì con lo sguardo la moto scomparire lungo la strada e si lasciò andare a un profondo sospiro. Si arrabbiò con se stesso per quel momento di debolezza e si affrettò lungo il vialetto. Recuperò la chiave di casa ed entrò, stando attento a non svegliare nessuno. Lo sguardo si posò sull’orologio che segnava le 3.42 del mattino. Avevano fatto più tardi del solito quella sera. Prese il cellulare e lo riaccese, usando la torcia del telefono per illuminare le scale e raggiungere la propria camera.

Una volta a letto, riaccese la connessione internet e controllò i messaggi su Whatsapp. Sakura doveva essere ancora sveglia, perché apparve subito una notifica a nome dell’amica. Fu tentato di ignorarla, ma poi si ricordò che le aveva promesso, quando avevano cominciato a giocare, di avvisarla ogni volta che arrivava a casa sano e salvo, quindi si costrinse a leggere il messaggio e a rispondere.

 

Sakura

Sasuke tutto bene? Io sono arrivata a casa. Anche stasera tuo cugino si è rifiutato di accompagnarmi, lasciatelo dire: è un cafone!                                                                                                                                             03:52

 

Sasuke sospirò. Da quando aveva – dannato lui – chiesto a Sakura di accompagnarlo in fumetteria, la sua vita era andata letteralmente a rotoli. Aveva sempre evitato di far conoscere all’amica i propri parenti, ma aveva pensato fosse carino condividere con lei una delle sue passioni. Così, con la promessa di non dire nulla a scuola, le aveva rivelato che dopo la scuola si recava sempre al Konoha Comics&Games, per vedere le nuove uscite e tenersi aggiornato sulle campagne di giochi di ruolo che il negozio di Madara organizzava. Fin lì, non ci sarebbero stati problemi, anzi! Sakura si era dimostrata perfino comprensiva verso quel suo hobby. Non lo aveva neppure fatto sentire strano, o diverso, o infantile e si era offerta di accompagnarlo a iscriversi alla sessione.

Purtroppo quel giorno gli ormoni di Sakura avevano deciso di prendere il controllo dell’altrimenti notevole cervello della sua migliore amica, perché si era presa una cotta per la persona più misogina che Sasuke avesse mai avuto il dispiacere di conoscere: suo cugino, Madara Uchiha.

Così, Sakura aveva sviluppato, guarda caso non appena appreso che Madara avrebbe masterizzato la campagna, un improvviso interesse per i giochi di ruolo e si era iscritta alla campagna, alla sua campagna, quella che Sasuke aveva desiderato per tanto tempo. Non si poteva lamentare, il suo personaggio, Yangrit, una nana[27] barbara[28] di livello 10 particolarmente collerica, era un ottimo tank[29], peccato che ci provasse spudoratamente con ogni singolo PNG[30] del Master, esasperando non solo lui, ma anche Madara stesso.

Rassegnato, si costrinse a risponderle.

 

È fatto così. Dovresti saperlo ormai. Comunque sono a casa, anche stasera Kiba non ci ha ammazzati in un incidente con la moto.                                                                      03:55

Sakura

Meno male! A proposito, glielo hai detto? E non provare a rispondere che non c’era nulla da dire! Non puoi mentirmi, Sasuke Uchiha! Si vede lontano un miglio che il nostro commesso di fiducia ti attizza.      03:59

 

In quel preciso momento, Sasuke sentì l’improvvisa voglia di sprofondare sotto le coperte e nascondere al nulla il proprio colorito paonazzo. Sakura era fin troppo diretta per i suoi gusti, senza che lo dimostrasse ulteriormente sbattendogli in faccia la semplicità con cui riusciva a sbirciare oltre il muro di indifferenza che si era costruito, al caro prezzo di sangue e sudore. Mise da parte il telefono, indeciso su cosa risponderle e consapevole che, qualora avesse mancato di farlo, Haruno sarebbe stata capace di chiamarlo. Rifletté qualche minuto, perdendo tempo con una partita a Candy Crush. Sapeva che l’amica aveva centrato il punto, ma non si sentiva pronto ad ammettere così spudoratamente che sì: Kiba lo attraeva. Era quasi spaventato da quell’impulso che lo portava a considerare una persona, così lontana dai suoi canoni, interessante; prima di allora, non aveva mai provato un interesse fisico o sentimentale per qualcuno in maniera intensa. Certo, aveva avuto le sue cotte spente in maniera brutale ancora prima di divampare, ma erano tutte dettate da un’affinità per lo più mentale, invece che fisica. Kiba invece, per usare il gergo da perfetta nana barbara di Sakura, lo attizzava e Sasuke non la smetteva di interrogarsi su come fosse possibile.

Quando lo aveva visto al Konoha Comics&Games per la prima volta, non gli aveva detto nulla: era il solito commesso anonimo, di circa vent’anni – Sakura avrebbe scoperto poi, dopo accurate indagini («Ehi, Kiba quanti anni hai?») che ne aveva ventuno –, capelli di un anonimo castano e la capacità di guadagnarsi il secondo posto nella scala personale d’irritabilità di Madara, circa un gradino sotto Hashirama. Finché non avevano cominciato a giocare, Sasuke non lo aveva degnato di uno sguardo; non sapeva neanche il suo nome, visto che il cugino continuava a chiamarlo con un fischio o con l’appellativo di “Fuffi”. Tuttavia, quando la campagna era iniziata, Sasuke era rimasto stupito dalla sua conoscenza di Golarion, il mondo dove si svolgevano le avventure di Pathfinder, almeno quanto era rimasto inorridito dalla sua scheda giocatore, piena più di sberleffi che di note serie.

Eppure, mentre ruolava Karas, il suo morfico di livello 13, Kiba acquisiva tutto un altro fascino. Il sorriso si faceva sghembo, predatorio; gli occhi si illuminavano di una luce rapace e Sasuke ne era rimasto rapito. Per un po’, si era perfino convinto di essersi preso una cotta per Karas e non per Kiba, ma le lunghe chiacchierate e i tragitti assieme per farsi riaccompagnare a casa gli avevano fatto presto abbandonare quell’opzione. La verità, la tragica amara verità, era che Karas e Kiba erano più simili di quanto sembrasse e i suoi ormoni adolescenziali impazziti non sembravano propensi a tenere distinta la realtà dall’immaginazione.

 

Sakura

Sasuke ci sei?                                   04:05

 

La notifica Whatsapp gli rammentò che doveva una risposta a Sakura. Decise, per mantenere la propria sanità mentale, di troncare la conversazione in fretta.

 

Scusa, mi ero appisolato. Non è successo niente e non gli ho detto niente. Ci sentiamo domani. Buonanotte.                                     04:07

 

Non aspettò risposta. Mise in carica il cellulare e si girò dall’altra parte, cercando di prendere sonno. Il giorno dopo sarebbe iniziato di nuovo il conto alla rovescia per il sabato successivo; il giorno dopo sarebbe cominciata un’altra tediosa domenica, poi un lunedì, un martedì e via dicendo, ma quella sera aveva avuto i suoi dadi, il suo mondo fantastico dove la magia poteva risolvere ogni problema – o quasi –, dove non aveva i limiti imposti dal suo corpo, dalle incombenze quotidiane, dove tutto era più avvincente, più interessante, più…

Cullato dal pensiero della campagna, si addormentò.

 

 

 

N/A: salve a tutti e benvenuti a questo delirio da giocatore di ruolo. So che non dovrei (no, non dovrei proprio), cominciare un’altra long, ma avevo bisogno di qualcosa di leggero per staccare da Lettera, quindi eccola qua.

Questa storia non avrà aggiornamenti regolari. Come ho detto: mi serve per staccare e scrivere qualcosa di più semplice e divertente, quindi la scriverò molto a tempo perso. D’altro canto, mi rendo conto che per chi non gioca a Pathfinder o D&D sarà solo un’enorme insieme di dati, ma per questo ci sono le note a piè di pagina su cui trovate le spiegazioni in breve della terminologia, i link per approfondire e via dicendo.

Appena le terminerò caricherò anche su un apposito file le schede dei personaggi dei nostri amati giocatori. Spero davvero che possa divertirvi, almeno quanto diverte a me scriverla.

Un po’ di dediche/ringraziamenti.

A EuphemiaMorrigan, perché deve innamorarsi dei GdR, perché il MadaSaku è una cosa bella e perché Sakura nana barbara infoiata che ci prova con i PNG del master è cosa buona e giusta.

A Nyt, Dimitri, Ciara, Seriz e Kira (e al Master) e ai loro giocatori, per tutte le avventure, i pianti e le risate che ci facciamo a suon di rotolar dei dadi.

Alle bimbe della gilda, che ascoltano deliri, tirano dadi e si divertono a cazzeggiare per ore su ogni stronzata.

Al gruppo SasuNaru Fanfiction Italia, per essere sempre fonte di meravigliosa ispirazione, anche sul crack.

Alla prossima.



[1]Conosciuta dai suoi fedeli come “Fiore dell’Alba”, “Fiamma Guaritrice” e “Sempre Chiara”, Sarenrae è una Dea che insegna temperanza e pazienza in tutte le cose. Compassione e pace sono le sue più grandi virtù e se i nemici della fede possono essere redenti, dovrebbero esserlo. È la divinità buona principale del Pantheon di Pathfinder.

[2] Incantesimo di individuazione del magico, scuola di Divinazione, individua oggetti magici nel raggio di 18m.

[3] Classe di Pathfinder; il mago è il caster (incantatore) principale del gioco.

[4] Una delle classi di Pathfinder. Il paladino è letteralmente un combattente per la propria fede.

[5] Il morfico è una delle classi di Pathfinder; è talmente legato alla natura e alle bestie selvagge che può mutare il suo corpo di conseguenza e acquisire caratteristiche fisiche di Forme Animali, man mano che salgono di livello. La forma minore di una forma animale concede dei bonus a seconda dell’animale scelto, mentre nella forma maggiore (come nel caso di Karas) prendono proprio forma dell’animale. In questo caso, Karas è trasformato in un Lupo Crudele.

[6] Le Kitsune sono generalmente femmine, in questo caso Salien è un raro esempio di kitsune maschio. Sono una razza di creature antropomorfe, con volto, peluria e coda di volpe, che all’occorrenza possono mimetizzarsi con una forma umana definita.

[7] Gli elfi sono una delle razze di Pathfinder. Particolarmente snelli e agili, si prestano soprattutto a classi di incantatori come maghi, druidi e bardi, ma anche ranger, cacciatori, ecc.

[8] Salien è un rouge, o ladro. Questa classe di solito va sempre avanti nei dungeon perché particolarmente esperta nel trovare trappole.

[9] Tessara è una elfa barda. Il Bardo è una delle classi di incantatori di Pathfinder, esperti in incantesimi di illusione e ammaliamento che lanciano tramite la musica.

[10] I master a D&D, Pathfinder, Masquerade, ecc., tendono a utilizzare uno “schermo” in cartone, molte volte dipinto e decorato (alcuni arrivano a costare discrete cifre), per evitare che i giocatori vedano i suoi tiri di dado o sbircino le linee guida della campagna.

[11] Termine gergale per dire: “Ha lanciato tale incantesimo”

[12] Lussuria innaturale fa provare desiderio sessuale verso un soggetto designato.

[13] Tiri basati su tre caratteristiche secondarie: Tempra, Riflessi e Volontà. Ogni tiro di dado ha una CD (Classe Difficoltà), ovvero un punteggio da superare col risultato del lancio + il punteggio in queste o altre caratteristiche. Se il risultato è uguale o minore al valore della CD

[14] “Campagna” è il modo di definire l’insieme delle sessioni di gioco legate da un unico filo narrativo.

[15] I non-morti sono una razza di Pathfinder. Possono essere creati da necromanti, oppure essere vere e proprie razze a sé.

[16] Il motto di qualsiasi GdR è: “Il Master è il dio dei tuoi dei”

[17] Quando un giocatore infila situazioni o conoscenze personali nella campagna, di cui il personaggio non dovrebbe o potrebbe essere a conoscenza.

[18] Il ranger è un’altra classe di Pathfinder, specializzata di solito nel combattimento a distanza. È raro che un ranger, soprattutto elfa, se la cavi in mischia, per quanto non la disdegni. La scena qui descritta è realmente avvenuta nella mia prima campagna di D&D. Anche Jaina e i suoi colori sono un omaggio a due personaggi dello stesso giocatore la cui elfa ranger si chiamava, appunto, Jaina. E si piazzava esattamente al centro delle radure senza muoversi, come il personaggio di Deidara.

[19] Un ogre è un orco, ma più grosso. Se un orco può essere civile, un ogre no.

[20] Tempra: capacità di resistere a colpi o reazioni fisiche.

[21] Volontà: capacità di resistere a incantesimi mentali, a situazioni che richiedono una grande forza d’animo, ecc.

[22] I golem sono creature prive d’intelletto, molto forti e soggette al volere del loro creatore. Un golem di sangue è una cosa brutta. Molto brutta. Bruttissima, in genere letale.

[23] Il Lich è un non-morto. Un pessimo non-morto, perché è anche intelligente.

[24] Pathfinder è un gioco di ruolo basato sul sistema d20, ambientato in un universo fantasy medievale/rinascimentale di nome Golarion.

[25] Intimidire è una delle abilità su cui il giocatore può assegnare dei punti (gradi) a ogni livello. Serve principalmente per spaventare i nemici.

[26] Il peggior tiro di dado che si possa fare con un d20 (dado a venti facce): 1. Implica il fallimento critico, ovvero il risultato più catastrofico possibile come conseguenza all’azione compiuta. Un punteggio di 20, invece, implica il successo sicuro dell’azione.

[27] Razza di Pathfinder, i nani sono famosi per le lunghe barbe e la vita sottoterra.

[28]  I barbari sono una delle classi di Pathfinder, particolarmente forti, bellicosi e violenti.

[29] Letteralmente, se il caster è l’incantatore, il tank è quello che prende le botte e mena.

[30] Personaggio Non Giocante

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Capitolo 2
*** If the table laughs, it’s not a table ***


Capitolo II

If the table laughs, it’s not a table

 

Gli occhi degli avventori si abituano con lentezza alla luce soffusa delle torce. Davanti a loro si stende un lungo corridoio in pietra, decorato con motivi a spirale.

«Ricordano il simbolo di Pharasma[1]», commenta Faurna, la giovane chierica[2] del gruppo. Sul suo petto, fasciato da una leggera armatura in mithril, spicca la mano aperta, simbolo di Irori[3], l’Illuminato.

«Siamo in una cripta sotterranea, non sarebbe neanche strano se questa fosse la casa della Signora delle Tombe[4]».

Lo stregone[5], Torios, si volta di scatto verso Variel; la pelle ricoperta di squame rosse rende difficile nascondere il suo sangue, contaminato dalla dinastia dei draghi del fuoco[6].

«Anche se così fosse, non vuol dire che non dobbiamo essere prudenti. Chissà quali pericoli ci si pongono davanti», replica, seccato dalla supponenza del mago. In risposta, l’elfo gli lancia un’occhiata di sufficienza; tra i due non corre buon sangue, sebbene abbiano messo temporaneamente da parte i dissapori per portare a termine la missione.

«Se avete finito di cianciare – interrompe Yangrit, appoggiata alla sua ascia bipenne – vorrei proseguire, superare questo dungeon e andarmi a bere una birra nella taverna più vicina».

«Stiamo cercando di capire se questo è uno dei luoghi sacri o meno, nana – esordisce Variel, con aria sprezzante – Per quanto la tua specie fatichi a comprendere quanto difficoltosa possa essere la strada della magia, perfino una creatura come te può arrivare al fatto che essa ha i suoi tempi».

«La mia specie non ha bisogno delle tue fanfaronate, orecchie a punta! – sbotta Yangrit – Vogliamo vedere cosa succede se la mia ascia incontra uno dei tuoi inutili pwenpwen[7]

«Non ricominciate! Piuttosto, decidiamo come procedere! – interviene Niejiena. Il simbolo di Iomedae sembra risplendere alle sue parole; la paladina si volta verso Salien, studiandone i lineamenti volpini. – Salien, puoi vedere se lungo il corridoio sono presenti delle trappole?» chiede. La kitsune si china sul pavimento, cercando con attenzione la presenza di eventuali trabocchetti che potrebbero contrastare la loro avanzata.

«È tutto a posto – annuncia – Venite dietro di me».

Dopo alcuni passi, un sibilo sembra attraversare l’aria…

 

«…e mi fate tutti un tiro su Riflessi[8]».

Un vociare malcontento accompagnò l’annuncio di Madara, mentre i giocatori si apprestavano a lanciare i propri d20[9].

«Non mi interessano i vostri risultati, ditemi solo chi ha fatto più o meno di 25».

«CD[10] 25? Hai davvero messo una trappola con CD 25?» protestò Kiba, sbattendo la bottiglia di birra contro il tavolo.

«Da quanto te la prendi suppongo che Karas non l’abbia superata – Madara sogghignò – in tal caso ti prendi 6d6 danni, ovvero… - fece rotolare un consistente numero di dadi a sei facce dietro lo schermo - …27 danni. E con te, a giudicare dalla faccia, se li beccano pure il nostro mago rompipalle, la chierica imbranata e la ranger inutile. Ah, e pure lo stregone sputafiamme» aggiunse, controllando il risultato del tiro su Riflessi di Gaara che, perplesso, cercava ancora di capire la meccanica del gioco.

«Non è giusto! – protestò Naruto – Insomma, Gaara ha fatto 24 in totale, non c’è un bonus per gli inesperti?»

«Se non ti piace il mio modo di masterizzare, sei libero di andartene. Posso assicurarti che nessuno ha intenzione di trattenere un rogue che non scopre una trappola finché non ci finisce sopra».

Naruto si sentì ribollire di rabbia, finché Gaara non gli mise una mano sul braccio. Gli occhi verde acqua del ragazzo erano molto tranquilli, più perplessi che infuriati.

«Quindi devo sottrarre 27 danni dai miei punti ferita totali, giusto?» chiese. Al cenno d’assenso di Madara si affrettò a segnare il tutto nell’apposita sezione della scheda, soddisfatto di aver capito come funzionava. Al vederlo così rilassato, Naruto si concesse di placare l’indole bellicosa. Di rado il compagno riusciva a interagire con altri elementi, ma da quando lo aveva convinto a partecipare a quel gioco, Gaara sembrava aver affinato le sue abilità sociali. Alle volte Naruto si trovava in difficoltà nell’interagire con il muro causato dall’Asperger[11] del compagno, cosa che impediva Gaara comprendere alcune delle norme sociali più comuni o dimostrare e capire le reazioni emotive proprie o altrui. Il ragazzo non riusciva a capire quando Naruto fosse arrabbiato, felice, triste e, per una persona trasparente come Uzumaki, il non essere compreso a pieno era fonte di frustrazione.

Da quando giocavano a Pathfinder, invece, tramite Torios Gaara stava imparando a riconoscere le differenti emozioni, le reazioni più umane. Per lui era una vera panacea e i risultati si riflettevano anche sulla loro relazione, ora molto più serena. Naruto non avrebbe mai ringraziato abbastanza Sasuke per averli invitati a giocare.

Che poi, a detta di Uchiha, fosse stata Sakura a costringerlo o si fossero autoinvitati – Sasuke sembrava molto indeciso su quale delle due opzioni fosse la più plausibile – poco importava. Gaara stava bene, lui stava bene e tutti si divertivano, anche quando quello stronzo di Madara li faceva incazzare.

Osservò i compagni di gioco affaccendarsi attorno alle schede. Sasuke e Kiba avevano già modificato le proprie statistiche, Tenten, dopo essersi segnata i punti ferita, aveva cominciato a chiedere chi necessitasse di cure urgenti, mentre Deidara protestava animatamente che non era possibile che la sua ranger ci andasse sempre di mezzo quando una certa «Kitsune incompetente» faceva errori.

Naruto ci mise qualche secondo a riflettere che la kitsune incompetente era il suo Salien.

«Ehi! Non è colpa mia se Madara pone CD troppo alte!»

«Le CD sono adeguate al livello – lo interruppe Sasuke – Non incolpare le meccaniche di gioco per la tua sfiga con i dadi».

«Ti ci metti anche tu?»

«Ragazzi piantatela e ditemi chi devo curare», s’intromise Tenten, spazientita da quel continuo discutere. Il resto del party parve ignorarla.

«Il gioco è fatto così: prenditi i tuoi danni e assumiti la responsabilità del fatto che Salien è un ladro incapace».

«Non è incapace! È semplicemente sfortunato».

«Master… - la voce flebile di Hinata cercò di sovrastare la discussione – Posso fare un tiro su guarire[12] per riferire alla chierica chi deve curare?»

Tenten lanciò uno sguardo di gratitudine alla ragazza. Le loro mani si sfiorarono complici sotto il tavolo, mentre Madara annuiva.

«Tira quello che ti pare».

«Ho fatto… 32».

Con un sospiro, Madara riprese a narrare.

 

Con l’aiuto di Niejiena, Faunra cura le ferite, causate dalla raffica di frecce, dei propri compagni. Una volta assicuratesi che tutti fossero in piena salute, il gruppo prosegue lungo il corridoio, fino a trovarsi a un bivio.

Svoltano verso sinistra, fino a giungere a una stanza con tre tombe in marmo. In un angolo, dietro al colonnato che sembra sostenere il soffitto precario, riluce un forziere…

 

«Vado al forziere e lo apro!» annunciò Naruto, tutto entusiasta.

«Nel momento in cui Saniel mette piede nella cripta, le bare si scoperchiano e tre non-morti escono dalle tombe, dirigendosi a grande velocità verso gli avventurieri. Tirate iniziativa e ringraziate la volpe».

 

Sasuke scese dalla moto e riconsegnò il casco a Kiba. Era insoddisfatto dalla giocata, troppo fiacca per i suoi gusti. Non avevano esplorato neanche metà dungeon e, per sapere se si trovavano davvero nel luogo sacro di Pharasma, avrebbe dovuto attendere un’altra interminabile settimana.

«Non te la prendere, marmocchio – Kiba si accese una sigaretta, restando in equilibrio sulla Yamaha rossa – Vedrai che ne usciamo vivi».

«Non è uscirne vivi che mi preoccupa – sbottò Sasuke – Al limite mi teletrasporto via e vi abbandono tutti lì, è il perdere tempo per colpa di certi imbranati che mi irrita. Potevamo finire tranquillamente il dungeon in una sera, se…»

«…se giocassimo come dici tu?»

Inuzuka si appoggiò con i gomiti sul manubrio. Sasuke non poté fare a meno di deglutire, nel tentativo di idratare la gola secca a causa della visuale di Kiba in giacca di pelle chino sulla moto. Si rimproverò mentalmente per la debolezza del proprio corpo ogni volta che il proprio sguardo si soffermava troppo sul commesso del Konoha Comics&Games. Il suo cervello si spegneva in automatico, rendendolo incapace di intendere e di volere altro che non fosse un contatto più profondo con Inuzuka, ma allo stesso tempo le sue scarse abilità sociali gli rendevano impossibile un approccio.

D’altronde… come si seduceva una persona più grande? Lui ai suoi occhi restava un marmocchio, almeno a giudicare dall’appellativo che Kiba gli aveva affibbiato. Eppure Sakura con Madara non sembrava farsi tanti problemi e agiva in maniera molto più spudorata. Quella sera, dopo la sessione, era perfino riuscita a farsi riaccompagnare a casa dal suo scontroso cugino e Sasuke avrebbe scommesso perfino un artefatto mitico[13] sul fatto che Madara cominciava a trovare divertente l’intraprendenza della sua amica.

Si trovò a pensare alla composizione del party: Tenten e Hinata erano una coppia fissa da anni, Deidara e Ino avevano una relazione così consolidata da interferire perfino col gioco, mentre Naruto e Gaara… be’, perfino una persona con difficoltà nelle interazioni umane come Sabaku riusciva a vivere con serenità una relazione, mentre lui aveva problemi anche solo ad ammettere che gli piacesse Kiba. Anzi, la situazione era più grave del previsto, dato che al di fuori del gioco faticava a sostenere con lui una qualsiasi conversazione che non fosse legata alla sessione. La sua mente si spegneva, andava in totale black out e l’unica cosa che riusciva a fare era mordersi la lingua per non lasciare ai propri ormoni impazziti la possibilità di dire o fare qualcosa di terribilmente stupido.

Fu per quello che, alla domanda di Inuzuka, si limitò ad annuire senza parlare. Era meglio restare in silenzio, piuttosto che dire qualche sciocchezza, o permettere ai propri pensieri di acquisire voce.

«Se giocassimo come dici tu sarebbe di sicuro una bella quest[14] – commentò Kiba, la sigaretta penzolava dall’angolo destro della bocca – Però molto noiosa, questi giochi sono divertenti perché nessuno, neanche il Master, sa come andranno a finire. È come correre su un sentiero dissestato al massimo della velocità: sopravvivrai? Finirai fuori strada? Non importa. Quello che conta è correre, sentire l’adrenalina invadere ogni tuo muscolo in tensione; vivere senza sapere dove arriverai, quando lo farai, se ci riuscirai».

Sasuke incassò il sermone, la sua attenzione rapita dallo sguardo trasognato di Kiba. Gli occhi castani sembravano brillare alla flebile luce dei lampioni, mentre parlava; i muscoli fremevano e il piede calzato in una logora scarpa da ginnastica tamburellava contro il selciato. Non faticò a immaginarlo mentre gettava la sigaretta e partiva a tutta velocità con la sua moto verso mete sconosciute, libero e selvaggio come Karas, incurante di tutte le regole, i divieti, i costrutti sociali.

Per qualche secondo ebbe la tentazione di risalire sulla Yamaha e chiedere a Kiba di portarlo con sé in un viaggio senza destinazione, senza tappe prefissate; di fargli da guida in quel mondo di incertezze che gli prospettava davanti e che Sasuke bramava e temeva al tempo stesso.

«Anche il gioco ha delle regole, non è vero che si va fuori strada», ribatté invece; si morse la lingua a quelle parole, mentre Kiba scoppiava in una risata fragorosa e vibrante che ebbe come risultato il farlo vergognare di aver continuato quella discussione, o di aver esordito con qualcosa che ora percepiva come stupido e inutile. Il suo ennesimo scudo, la sua ennesima difesa contro ciò che lo spaventava.

«La trama batte il manuale[15], non dimenticarlo marmocchio».

Sentì la mano di Kiba appoggiarsi sulla sua testa e scompigliare i capelli neri; avvampò e, con un moto di stizza, colpì il braccio del ragazzo per farlo scansare.

«Smettila di trattarmi come se fossi un bambino!», protestò. Si sentì afferrare per il polso e tirare verso il commesso; andò a sbattere contro il suo torace e fu costretto, suo malgrado, ad alzare lo sguardo per poterlo guardare in faccia. Odiava trovarsi più in basso di lui, la disparità d’altezza era solo l’ennesimo segno dell’età che li separava e del fatto che Kiba fosse fuori dalla sua portata; cercava di mantenere sempre qualche passo di distanza, così da non percepire quell’ennesimo limite, da potersi illudere di interagire con un coetaneo e non con un uomo adulto con cui aveva da spartire solo un gioco di ruolo e la compagnia di un cugino facilmente irritabile. Ora la distanza di sicurezza era annullata e Sasuke avvertì tutto il peso della propria adolescenza. Dal basso, poteva scorgere la peluria scura sul mento di Kiba, la mascella serrata… sentì il proprio battito accelerare, mentre combatteva l’istinto di allungarsi e baciarlo.

Si rimproverò di quei pensieri da protagonista da shojo manga e cercò di ritrarsi senza successo. Inuzuka continuava a tenerlo bloccato contro di sé. Una piccola parte di sé sperò – stupidamente, si disse poi – che anche Kiba stesse vivendo il suo stesso conflitto, che percepisse a sua volta quell’elettricità magnetica che attirava Sasuke verso di lui… ma non s’illuse troppo: lo sguardo dell’uomo era privo della sua stessa tensione; gli occhi castani lasciavano filtrare solo una furia malamente controllata, come l’animale che attende il momento giusto per attaccare la preda.

«Smetterò di trattartici quando tu smetterai di comportartici, ragazzino», sibilò, prima di lasciarlo andare di scatto. Mise in moto la Yamaha e partì, senza neanche un saluto.

Sasuke rimase fermo a guardare il puntino rosso che si allontanava, massaggiandosi il polso. Gli doleva, Kiba aveva stretto troppo forte, ma la ferita più grossa era al suo orgoglio.

Tirò un calcio a un sasso che sporgeva dal vialetto, col solo risultato di farsi male al piede e, con un’imprecazione a mezza voce, si decise ad aprire la porta. Sentì il cellulare vibrare in tasca per un paio di volte e, mentre si chiudeva l’uscio alle spalle, lesse i messaggi inviati da Sakura. Sembrava entusiasta, ma Sasuke non registrò quando scritto, troppo occupato a rimuginare sulla reazione di Kiba e sul proprio sconforto. Si limitò a scrivere un freddo: “Sono arrivato, domani mi racconti. Buonanotte” e spegnere il telefono.

 

 

 

N/A: indovinate chi deve consegnare un libro per settembre? E indovinate chi sta facendo tutt’altro? Esatto.

Parte il mio mini-sproloquio, avevo bisogno di qualcosa di leggero per staccare da lavoro, ma ovviamente quando le storie finiscono tra le mie mani non restano mai “leggere”.

Quindi nulla. Me ne vado e tanti saluti, perché mi sto già mettendo a piangere a pensare ai prossimi capitoli. Alla faccia della cosa allegra.



[1] http://golarion.altervista.org/wiki/Pharasma

[2] Faurna è una chierica, ovvero la classe di incantatori religiosi a cui le divinità di riferimento concedono poteri differenti a seconda del dominio scelto. Per esempio: guarigione, forza, sole, ecc.

[3] http://golarion.altervista.org/wiki/Irori

[4] Appellativo di Pharasma

[5] Torios è uno stregone. Questa classe di incantatori differisce dai maghi in quanto nasce con poteri magici, invece di apprendere l’utilizzo della magia con lo studio. Possono usare un numero molto limitato di incantesimi, ma non hanno bisogno di prepararli in anticipo, come succede invece con i maghi. Questo è il motivo di conflitto tra le due classi (e tra i giocatori).

[6] In pathfinder gli stregoni appartengono a diverse stirpi; in questo caso la stirpe è quella draconica. Ogni stirpe conferisce determinati poteri di livello come, per esempio, trasformarsi in drago.

[7] Piccolo omaggio al personaggio di mia moglie, Dimitri, che definiva tutte le magie dei “pwenpwen”.

[8] Riflessi è una delle abilità come Tempra e Volontà, che servono a evitare determinate condizioni. Per la precisione, è la capacità del personaggio di reagire con rapidità a una situazione imprevista, come, per esempio, lo scattare di una trappola, o un crollo.

[9] Il dado più importante di Pathfinder, a venti facce. La maggior parte delle volte che il Master dice: “fate un tiro su…” si usa il d20 e si somma il risultato al numero presente sulla scheda.

[10] CD, o Classe difficoltà: ogni volta che una creatura tenta di compiere un’azione di cui il successo non è garantito, deve effettuare una prova. Il risultato della prova dev’essere pari o superiore alla Classe Difficoltà dell’azione che sta cercando di compiere, in modo che l’azione riesca.

[11] Non è mia intenzione fare una trattazione della sindrome di Asperger in questa fanfiction, ma è comprovato che il gioco di ruolo aiuta le persone affette da questa sindrome a migliorare le loro interazioni sociali. Per qualche informazione in più: http://www.spazioasperger.it/index.php?q=articoli-divulgativi&f=278-progetto-pilota-uso-dei-giochi-di-ruolo-per-lo-spettro-autistico, http://www.cattonerd.it/2017/11/07/labgdr-asperger-giochi-ruolo-al-lucca-cg/, https://www.cuorementelab.it/portfolio/giochi-di-ruolo/

[12] Guarire: una delle abilità di pathfinder, che permette di capire lo stato di salute dei personaggi presenti

[13] Un artefatto mitico è un oggetto magico di potenza molto elevata, quasi onnipotente

[14] Per quest s’intende la missione, o la sessione di gioco, da portare a termine.

[15] Modo di dire tra i giocatori e fonte di grandi dibattiti nell’ambiente tra i fanatici delle regole e quelli dell’ambientazione.

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Capitolo 3
*** Critical failure is not the End of your world, is the End of your quest ***


Capitolo III

Critical failure is not the End of your world, is the End of your quest

 

Il martello di Torag[1] sfugge dalle mani di Yangrit. Si solleva in aria e la terra comincia a tremare; da essa, sorgono imponenti montagne dalle cime innevate e le pendici di dura pietra che circondano il villaggio dei nani.

Le venature intarsiate del maglio cominciano a risplendere di luce propria e un’onda di energia divina esplode da esso, dirompente.

«Cosa sta succedendo?» domanda Kalas. Le possenti zampe da lupo artigliano invano il terreno nel tentativo di non cadere.

«Non lo so» ammette Torios, scrutando incantato l’insolito fenomeno. La sua pelle si ricopre di scaglie, indurendosi; il volto si allunga e possenti zanne sembrano squarciare l’epidermide mentre le labbra si ritirano e le ossa s’ispessiscono. Una lunga coda squarcia il tessuto dei suoi pantaloni e ampie ali scarlatte si plasmano dalle sue esili scapole. Nel giro di qualche secondo, al posto dello stregone c’è un piccolo drago rosso, la cui mole riesce a impedire al morfico di essere spazzato via dall’onda d’urto.

Poco lontano da loro, Variel, Jaina e Tessara sono proni sul terreno tremante; le loro mani si artigliano alla nuda roccia, alla ricerca di un appiglio; Niejiena stringe tra le braccia Faunra, la veste da chierica svolazzante. Sentono un grido e un tonfo, ma solo Tessara sembra accorgersi di Saniel che giace riverso a terra, la nuca sanguinante contro la roccia…

 

«Non è giusto! Perché sempre io?»

Madara non si preoccupò neanche di alzare lo sguardo dallo schermo del master. Ignorò deliberatamente la protesta di Naruto e sperò, fra sé, che anche gli altri giocatori facessero altrettanto in modo da riprendere la narrazione.

Con la coda nell’occhio, scorse Sakura tirare una gomitata a Uzumaki sotto al tavolo. Trattenne un sorriso di fronte allo: «Sssht!» della ragazza e si nascose meglio dietro il tabellone quando gli occhi verdi di lei si voltarono a guardarlo, in attesa che continuasse la narrazione.

Percepì con chiarezza un bisbigliato: «Perché con un fallimento critico un colpo alla testa è il minimo» da parte di suo cugino e si affrettò a riprendere prima che scoppiasse l’ennesima polemica.

 

L’unica a restare stabile sul terreno è Yangrit, i cui occhi scuri squadrano con gioia mal celata il miracolo che sta avvenendo. Sotto il suo sguardo entusiasta, la luce comincia ad assumere la forma di un uomo tozzo, dalla lunga barba candida e l’armatura splendente.

«È Torag! – esclama – Torag è di nuovo tra i suoi figli!»

All’improvviso, prima che la figura assuma contorni più definiti, una mano avvolta da un guanto da guerra nero come la notte si stringe attorno al manico del martello e, con forza, lo infrange a terra, spezzandone il maglio in un’esplosione di luce accecante.

Il terremoto cessa all’improvviso, le montagne si ritirano nelle profondità della terra e, di fronte agli sventurati avventurieri, si presenta un cratere dove prima si trovava il martello sacro, i cui frammenti giacciono ora sparsi ai piedi di Yangrit.

Al centro del disastro, un uomo con indosso un’armatura completa di metallo tanto scuro da catturare la luce. Una nube violacea e pestilenziale si diffonde dalla sua persona; sul pettorale spicca, scarlatto e rovente, il ragno con le zanne di Rovagug[2].

«Il tuo dio è morto, nana» sentenzia beffardo, mentre si toglie l’elmo, rivelando il volto umano dalla mascella marcata e spiccati occhi di brace.

Yangrit, caduta in ginocchio a raccogliere i pezzi del martello, si rialza furente ed esclama…

 

«Cazzo che figo!»

L’esclamazione di Sakura lasciò per qualche secondo interdetti tutti i presenti, almeno prima dello scoppio di una fragorosa risata collettiva. La ragazza ebbe l’accortezza di arrossire, prima di unirsi all’ilarità generale con un: «Scusate, mi è proprio sfuggita».

«Spero che Yangrit non lo abbia detto in game[3]» la prese in giro Ino, dandole una leggera pacca sulla spalla.

«Nuova ship! – esclamò Naruto. Balzò in piedi e alzò il bicchiere di coca-cola al soffitto – Brindiamo alle nozze di Yangrit e del tizio misterioso seguace di Rovagug che ha appena ucciso il suo dio!»

Altra risata. Madara si strinse la fronte tra le dita, indeciso se interrompere quella farsa o meno; lanciò un’occhiata ai suoi giocatori: sembravano divertirsi, nonostante Sakura avesse disgregato l’intera epicità del momento. La tensione che aveva abilmente creato si era dissolta in un turbine di sorrisi, battute e bicchieri che si alzavano in ulteriori brindisi improbabili. La scena gli strappò un sorriso che morì prima di arrivare alle labbra. Uno solo dei giocatori non sembrava partecipe al divertimento collettivo: Sasuke aveva il volto contrito, un dito grattava nervosamente la superficie della scheda – la sua preziosissima scheda – e gli occhi scuri parevano lucidi, quasi sul punto di scoppiare in lacrime per la frustrazione e la rabbia.

Non notò che Kiba aveva intercettato il suo sguardo verso il cugino, né come la fronte di questo si fosse corrugata all’improvviso notando lo stato emotivo di Sasuke. Percepì solo il movimento di Sakura, ignara, verso il ragazzo, il sorriso a metà tra il divertito e l’imbarazzato ancora dipinto su volto. Non fece in tempo a fermarla, a impedirle di accendere inconsapevolmente la miccia. La mano della ragazza si posò sulla spalla di Sasuke, mormorò qualcosa che Madara non riuscì a udire…

«Non c’è un cazzo da ridere!»

L’urlo di Sasuke fece calare il silenzio tra i presenti. Sakura si ritrasse come scottata a quello scatto improvviso, confusa. Solo Gaara, nella sua ingenuità, domandò un candido: «Perché?­».

«Perché state facendo un macello! Torag è morto! Morto! Non lo capite questo? – il volto di Sasuke era trasfigurato dalla rabbia. Paonazzo, non riuscì a far capo al suo solito autocontrollo. Squadrò tutta la tavolata, soffermandosi poi su Sakura. Era la sua migliore amica, forse l’unica persona con cui avesse mai realmente sviluppato un rapporto di confidenza, e lo sapeva… sapeva che non si meritava quello che stava per dire, ma le parole sgorgarono fuori di lui come un fiume – Sei una nana! Il tuo personaggio dovrebbe essere disperato e l’unica cosa a cui riesci a pensare è quanto sia figo il png del master? Stai rovinando tutto! Non avrei mai dovuto portarti qui! Non quando non te ne frega un cazzo del gioco, ma solo di provarci con mio cug…»

«Basta così».

La voce gelida di Madara interruppe l’esplosione di rabbia di Sasuke. Il ragazzo si ammutolì seduta stante, di fronte allo sguardo sconvolto dei presenti. Hinata si era ritratta sulla sedia, spaventata, un braccio di TenTen avvolto attorno alle spalle. Ino gli lanciava occhiate furibonde accanto a un Deidara palesemente interdetto; Gaara aveva cominciato a grattarsi nervosamente il braccio, Naruto sembrava in procinto di scoppiare a sua volta. In piedi, Uzumaki si avvicinò al posto di Sasuke e lo spintonò, facendolo quasi cadere dalla sedia.

«Ma chi ti credi di essere? – sbottò con aria di sfida – Fai tanto il grosso con quei dadi, ma sei solo uno stronzo arrogante! Fatti sotto e vediamo che cazzo sai fare senza una scheda a pararti il culo Uchiha!»

«Ho detto basta!»

Stavolta Madara fu costretto ad alzare la voce.

«Uzumaki, vatti a sedere. È una ludoteca, non un fottuto bar. Sasuke – inspirò a fondo – credevo fossi abbastanza grande per partecipare alle mie campagne, non un moccioso che rovina il gioco a tutto il party. Vattene a casa e torna quando avrai imparato come si gioca tra persone adulte».

Madara lo vide sbiancare, incredulo. Sasuke boccheggiò un paio di volte, come per dire qualcosa, poi l’orgoglio ebbe la meglio. Gli lanciò uno sguardo di fuoco e, alzatosi, ripose le proprie cose dentro lo zaino, con rabbia.

Solo quando incrociò di sfuggita il volto di Sakura che lo fissava sconvolta e con gli occhi verdi pieni di lacrime, percepì il peso delle proprie parole ed ebbe la decenza di abbassare lo sguardo mentre usciva dal Konoha Comics&Games.

Quando il rumore dell’uscio che si chiudeva alle spalle di Sasuke risuonò nel silenzio del locale, Madara si lasciò andare a un sospiro esasperato.

«Kiba, accompagnalo a casa. Per favore» sussurrò. Inuzuka non se lo fece ripetere. Annunciò al gruppo che sarebbe tornato nel giro di un’oretta e seguì il giovane Uchiha.

«Noi continuiamo… - cercò di spronare i giocatori. In silenzio, rimestarono un poco con dadi e schede - Sakura – tono secco. Sakura trasalì sulla sedia, poi concesse a Madara la sua totale attenzione - il tuo dio e creatore della tua specie è appena stato ucciso da un misterioso seguace di Rovagug. Cosa fai?»

 

 

Kiba trovò Sasuke seduto a terra in un vicolo poco illuminato. Ringraziò il fatto che fosse notte fonda e che non ci fossero rumori di sorta a inquinare l’aria, altrimenti non avrebbe mai sentito i singhiozzi soffocati che lo avevano guidato verso la figura china, nascosta al buio tra due bidoni della spazzatura.

Si avvicinò con cautela, indeciso sul da farsi. Aveva deciso di dare una bella strigliata al ragazzo, non appena uscito; si aspettava una litigata, una discussione feroce e accalorata che si sarebbe conclusa con un «Vaffanculo», o un silenzio tombale e stizzito da parte di Sasuke. Attendeva, insomma, una nuova tempesta in cui anche lui si sarebbe potuto scaricare dell’irritazione che aveva accumulato durante la quest, ma trovarsi di fronte a un ragazzino piangente era qualcosa che Kiba non avrebbe mai immaginato e che, a suo parere, andava oltre ogni sua capacità di consolazione.

Riuscì a non farsi sentire da Sasuke mentre si avvicinava; solo quando gli fu davanti, Uchiha si accorse di lui. Con gesto stizzito si passò la manica del giubbotto di jeans sul volto e bofonchiò un: «Che cazzo vuoi?» pieno di inconsistente arroganza.

Kiba sospirò. Tirò fuori il pacchetto di sigarette stropicciato dalla tasca, ne estrasse un paio e ne accese una, porgendola poi a Sasuke.

Sospirò di sollievo quando, dopo qualche secondo di stasi, il ragazzo tese la mano e accettò la sigaretta fumante. Solo allora, Inuzuka si permise di accendere la propria. Tentennò un poco, poi, con un cenno del capo, addusse allo spazio libero accanto a Sasuke.

«Posso?»

Uchiha annuì, scostandosi un poco. Kiba si sedette al suo fianco. Espirò una nuvola di fumo, gli occhi rivolti al cielo, senza guardare il ragazzo al proprio fianco, né dar peso alle sue occhiate perplesse. Rimasero in silenzio in quel vicolo buio che puzzava di immondizia, a fissare il nulla, entrambi incapaci di affrontare una discussione. Kiba sentì tutto il peso di essere “l’adulto” della situazione. Era più grande, spettava a lui far ragionare Sasuke e spronarlo a rientrare e scusarsi con gli altri, soprattutto con Sakura, ma non riusciva a trovare le parole adatte.

Sentire piangere Sasuke lo aveva sconvolto più del previsto. Aveva un’idea ben precisa del cugino di Madara, idea che era stata appena stravolta completamente. Aveva identificato Sasuke come un ragazzo che nascondeva dietro al cinismo e all’arroganza un’emotività dirompente; il modo in cui s’illuminava quando parlava della campagna era appassionato, caloroso… un crogiolo di sentimenti che faticava a gestire e che celava al mondo, svelandoli solo tramite il gioco. Mai avrebbe immaginato che, in mezzo a essi, si potesse nascondere una rabbia così distruttiva e una fragilità altrettanto profonda.

«Non stavo piangendo» sussurrò Sasuke, a un tratto. Kiba si sforzò di trattenere un sorriso divertito a quel tentativo di riacquistare la dignità perduta di Uchiha. Gli posò una mano sulla testa, scompigliando i soffici capelli neri.

«Certo che no – lo schernì bonario – Stavi solo idratando gli occhi».

«Non stavo piangendo!»

Kiba provò quasi sollievo a quello scatto. Era di nuovo il Sasuke che conosceva: irritabile, permaloso e stizzito. Qualcosa con cui sapeva come confrontarsi, come prendere. Colse la palla al balzo.

«Datti una calmata Uchiha – lo bloccò, spegnendo la sigaretta a terra – Non me ne frega un cazzo se stavi piangendo o meno. Là dentro ti sei comportato da stronzo, ne sei consapevole?»

Sasuke scostò lo sguardo. Si raccolse nuovamente su se stesso, le braccia appoggiate sulle ginocchia a coprirgli metà volto, lasciando scoperti solo gli occhi scuri.

Bofonchiò qualcosa. Kiba ghignò.

«Non ho capito» mentì.

«Mi dispiace» Sasuke cercò di imprimere un tono di stizza alla sua frase, senza riuscirci. Le scuse uscirono in un pigolio flebile, soffocato.

Kiba gli passò un braccio attorno alle spalle; fece un po’ di forza per attirarlo contro di sé e rimase stupito dalla passività con cui il ragazzo lo lasciò fare. Di solito Sasuke opponeva resistenza a un contatto fisico più consistente, quella volta, invece, assecondò il suo movimento. Quando sentì la mano di Sasuke serrarsi attorno alla stoffa della sua maglia, la confusione si fece più forte. Quella reazione non era normale, non per quello che era un litigio di poco conto, non per un semplice gioco… non era da Sasuke.

D’istinto, lo strinse un po’ più forte contro di sé per rassicurarlo, da cosa non lo sapeva neanche lui. Dopo qualche minuto, cercò di attenuare la presa, di scostarlo. Ora sarebbe andato tutto bene, gli avrebbe detto di rientrare, di scusarsi, che un cedimento poteva capitare a tutti, ma che non valeva la pena mandare all’aria un’amicizia per una campagna di Pathfinder. Era così certo della riuscita dei suoi intenti che, quando al suo tentativo di scostarsi Sasuke serrò la propria presa e avvertì il corpo del ragazzo tremare per i singhiozzi, non seppe come reagire.

«Mi dispiace – un gorgoglio soffocato, disturbante – Non volevo… non volevo rovinare tutto».

«Sasuke… - Kiba deglutì – Non… non fa niente… ora torniamo dentro e ti scusi con Sakura. Se vuoi te la vado a chiamare così non devi rientrare. Stai tranquillo, è solo un gioco…» cercò di rassicurarlo; passò la mano tra i capelli scuri, tenendolo stretto contro di sé. Poteva sentire le lacrime bagnargli la maglietta e il suo cervello spostò in automatico l’attenzione sul fatto che erano in mezzo a un vicolo, al buio, circondati dalla spazzatura.

«Non è solo un gioco – altro singhiozzo. Il respiro di Sasuke era incostante, reso frammentario dal pianto e dal muco – Non capisci… non puoi capire! Quella campagna è… è tutto! Se Madara non mi farà più giocare…»

«Ce ne saranno altre – tentò di incoraggiarlo – E magari con master meno sadici di tuo cugino. Però se ci tieni così tanto possiamo corrompere Madara. Magari diciamo ad Hashirama che ti ha trattato male, sono sicuro che lo tormenterà talmente tanto da farti riammettere».

«Non capisci… - Sasuke sembrava un disco rotto. Scosse il capo, tirò su col naso, poi il pianto prese di nuovo il sopravvento. Sotto il braccio che lo circondava, Kiba sentiva il petto del ragazzo alzarsi e abbassarsi con sempre più difficoltà sotto il peso di quel singhiozzare disperato – Madara ha ragione! Ho rovinato tutto! Tutto! Era l’unica cosa a cui tenessi davvero e l’ho distrutta…»

«Dai troppa importanza ai GdR. Vedrai che domani sistemiamo tutto, con Sakura e con tuo cugino. – la puzza che arrivava dai cassonetti cominciava a dargli fastidio, ma preferì concentrarsi su quella piuttosto che sul pensiero che Sasuke avesse un serio problema di dipendenza dal gioco di ruolo. Non era il momento per dirgli che, viste le sue reazioni, forse era meglio che non continuasse a giocare – Che ne dici se ora andiamo a casa?»

Sperò con tutto se stesso che Sasuke acconsentisse, mettendo fine a quella situazione così complessa da gestire. Avrebbe mandato un messaggio a Madara per avvisarlo che non sarebbe tornato; riaccompagnato Sasuke a casa, sarebbe andato anche lui a dormire e l’indomani tutto sarebbe tornato come prima. Sarebbe andato a lavoro, avrebbe bisticciato come suo solito con Madara, svolto le proprie incombenze… tutto senza dover badare a un ragazzino adolescente che sembrava aver scambiato la sua spalla per il muro del pianto.

Trattenne un sospiro di sollievo quando, alle sue parole, Sasuke tirò su col naso un paio di volte e poi si staccò da lui. Gli sorrise e gli accarezzò la testa un’ultima volta, prima di alzarsi. Porse la mano a Uchiha per aiutarlo a tirarsi in piedi, ma questi non la prese.

«Vai a prendere la moto – sussurrò – Ti raggiungo tra un attimo».

Kiba annuì. Gli raccomandò con un mezzo sorriso di non farlo aspettare troppo e andò a prendere la sua Yamaha, un po’ più sereno.

 

Rimasto solo, Sasuke si richiuse per qualche secondo tra le proprie braccia. Avvertì le lacrime pungergli gli occhi di nuovo, premendo per uscire. Le ricacciò indietro con rabbia, mentre avvampava di vergogna per il proprio comportamento. Aveva trattato malissimo Sakura, aveva rovinato il gioco a tutti ed era scoppiato a piangere proprio di fronte a Kiba…

Abbassò la fronte tra le proprie gambe, svuotato d’ogni emozione. Inuzuka non aveva compreso, non poteva capire quanto quella campagna significasse per lui. Ce ne saranno altre, gli aveva detto in completa buonafede. Certo, ce ne sarebbero state altre. Magari migliori, magari peggiori, ma quella… quella era la sola che lui avrebbe potuto giocare in una parvenza di normalità, senza un orologio che ticchettava come una spada di Damocle sulla sua testa.

Non era “una campagna”, era “La Campagna”; l’avventura di una vita. Era la sua vita e Sasuke se l’era lasciata sfuggire dalle mani. Non solo, aveva compromesso l’amicizia con Sakura, rivelando davanti a tutti, davanti a Madara stesso, della sua cotta; aveva fatto arrabbiare il cugino e si era umiliato davanti a Kiba che, ora, avrebbe sicuramente pensato che lui fosse solo un moccioso, un marmocchio, come lo definiva spesso.

Complimenti Sasuke, pensò, Hai fatto più fallimenti critici in una sera che in tutta la tua esistenza di merda. E ti sei anche pianto addosso in mezzo alla spazzatura.

Sentì il rumore della moto avvicinarsi. Con fatica, si chinò carponi sul selciato lordo. Fece pressione sulle braccia e sollevò il bacino verso l’altro, in modo da attenuare il peso sulle gambe divaricate. Avvertì i muscoli contrarsi e tendersi per un istante, poi i crampi dolorosi, l’orribile sensazione di cedimento… strinse i denti e riuscì a tirarsi in piedi. Attese qualche secondo appoggiato al muro, prima di raccogliere lo zaino e raggiungere Kiba che lo attendeva già col casco in mano.

 

 

N/A: oggi ho avuto la serata libera dopo mesi e mi sono messo a scrivere. E quello che ho scritto, tra la preparazione della quest di lunedì e ancora l’hype per quella di ieri sera (in cui – ehi! – i miei giocatori hanno riconsegnato proprio il martello di Torag, ma io non sono stronzo come Madara e non ho fatto uccidere il dio da nessuno), è stato il nuovo capitolo di questa maledetta storia, che aveva il compito di portarmi gioia e invece mi porta solo lacrime.

Per dire: quando lo scrittore fa fallimento critico nel tenere a bada i propri pg, questo è il risultato.

Ora torno nei miei meandri di solitudine, che devo ancora scegliere un paio di maledizioni con cui uccidere gente <3.



[1] Torag è la divinità dei Nani, che credono che li abbia creati a sua immagine e somiglianza. Il suo simbolo è un martello da guerra.

[2] Rovagug è il dio della distruzione e del Caos. Risiede da tempo immemore al centro della terra, dove è stato imprigionato dalle altre divinità.

[3] In game è un modo per definire quando si parla “in gioco”, quindi ruolando.

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Capitolo 4
*** The dice giveth and the dice taketh away ***


AVVISO

Da questo capitolo in poi si affronterà un argomento molto delicato, di cui non sono competente. Ho attinto a tutta la documentazione disponibile, ma non è detto che sia riuscito ad affrontarlo al meglio. Non è mia intenzione offendere nessuno, né ferire la sensibilità di chi vive personalmente certe situazioni. Però era un argomento che, a causa di fobie personali, era giusto affrontassi e spero di farlo con la dovuta delicatezza. Tengo però a precisare che le reazioni di Sasuke non sono universali, ma sono come mi comporterei io nella sua stessa situazione, quindi l’interpretazione della faccenda è molto personale. Per ulteriori note, ci rivediamo a fine capitolo.

 

Capitolo IV

The dice giveth and the dice taketh away

 

«Ehi, Sakura! Come stai? Hai notizie di Sas…»

Sakura lanciò la cartella sul bancone del Konoha Comics&Games. La borsa atterrò sul ripiano con un tonfo sinistro e rovinò a terra, sparpagliando il contenuto sul pavimento. Kiba riuscì a malapena a intercettare i suoi occhi furenti, prima che la voce tagliente di Madara intervenisse.

«Se devi lanciare roba, fallo a casa tua. Qua stiamo lavorando» la redarguì. Sembrava esserci quasi dolcezza nel suo tono, ma Kiba lo conosceva troppo bene per non sapere che quella calma preannunciava tempesta.

Era una settimana che il suo capo arrivava di cattivo umore al lavoro. Be’, non fosse mai stato Mr. Simpatia, ma negli ultimi giorni era davvero terribile, neanche fosse pronto a evocare Rovagug in persona.

Con uno sbuffo, Sakura radunò le proprie cose nella cartella. Non senza rivolgere uno sguardo sprezzante a Madara. Kiba avvertì la tempesta farsi sempre più vicina e trovò più saggio dimostrarsi estremamente interessato al riordino degli scaffali.

«Ora che il mio negozio è tornato a essere un posto civile» lo sentì dire, mentre spostava una action figure di Giorno Giovanna «Che cazzo vuoi?»

«Quando si gioca?»

Giorno cadde malamente sul pavimento. Kiba si affrettò a raccoglierlo e a riporlo sul piedistallo. Pregò che Madara non si accorgesse mai del graffio di ben due millimetri sui biondi capelli del JoJo di turno, ma il suo capo sembrava abbastanza sorpreso da non prestargli attenzione. Forse avrebbe potuto dare la colpa a un cliente distratto.

«Tu vieni qui a devastare il mio negozio…»

«Esagerato» sbuffò Sakura, sedendosi sopra il bancone sotto lo sguardo furibondo di Madara e quello disperato di Kiba.

«Scendi» ordinò Uchiha.

«Obbligami».

«Ok, ok… senti, io non so se ti sei strafatta di canne…» s’intromise Kiba.

«Io non mi drogo!»

«…o se sei semplicemente stanca di vivere. Ma quello lo devo pulire io dopo, quindi, prima che il capo si trasformi in Cthulhu, scendi dal bancone e risparmiami ore di agonia, grazie».

Con un grugnito plateale, la ragazza decise di lasciare in pace la scrivania. Kiba tirò un sospiro di sollievo e si affrettò a togliere gli aloni rimasti sul legno, prima che Madara raggiungesse il limite di sopportazione.

«Quindi…» azzardò «Vuoi sapere quando si gioca?»

«Devastando il neg…»

«Abbiamo capito» Sakura tagliò il brontolio del Master con un cenno della mano «Mi dispiace, ok? Però voglio sapere a quando la prossima sessione».

«Perché, volete continuare a giocare?» sghignazzò Madara «Pensavo che foste tutti lì per far compagnia a quel fissato di mio nipote».

«All’inizio, forse. Ma ci siamo visti e abbiamo deciso di continuare» serrò le labbra «Con o senza Sasuke».

 

La bacheca di Facebook era diventata molto più interessante del solito in quei giorni, soprattutto per sfuggire alle occhiate indagatrici della madre. Mikoto si era fatta sospettosa, da quando Sasuke passava molto meno tempo nella fumetteria del cugino e Sakura non era perennemente a casa loro. Così, per evitare domande scomode, aveva preso l’abitudine di scrollare la home dei social network per tenere le dita impegnate e farle credere di star messaggiando con l’amica. Era più facile fingere, piuttosto che rispondere alle domande di un genitore apprensivo nei riguardi della tua vita sociale.

«Come vanno gli esercizi, Sasuke?»

Si costrinse ad alzare lo sguardo dallo smartphone e incrociare, passivo, gli occhi castani della dottoressa. Un grumo di bile si condensò in gola. Percepì addosso l’attenzione speranzosa dei genitori e del medico. Cosa doveva dirgli? Forse che non gliene fregava un cazzo di quegli esercizi? Che erano noiosi, dolorosi e che non servivano a nulla? O forse doveva sorridere rassicurante, dir loro che andava tutto bene e osservare le facce contratte di preoccupazione distendersi nel placebo dell’assoluzione?

Così sarebbero stati bravi genitori, loro. Stavano facendo il possibile e non era colpa loro, se le cose sarebbero comunque andate come dovevano andare; se ogni sforzo era indirizzato solo a rimandare l’inevitabile, a rendere la tragedia meno dolorosa.

«Bene» mentì. Riabbassò lo sguardo sullo schermo. L’aria attorno a sé si fece meno pesante e il grumo più denso.

«Credo che possiamo proseguire con la terapia» continuò la dottoressa Tsunade «Certo, non è risolutiva, ma…»

Ma tanto non ci sarebbe stato niente da fare. Tanto era solo una lotta contro il tempo. Tanto… Cercò di deglutire il bolo che gli ostruiva la gola. Un ultimo spasmo disperato per non vomitare fuori parole di cui si sarebbe pentito. Il pizzicore che precede il pianto lo scosse da capo a piedi, raggrumandosi sugli occhi. Inspirò. Buttò tutto dentro, di nuovo. Avrebbe voluto avere una bacchetta magica caricata con Guarigione[1], o un Chierico in grado di sistemare le cose. Invece non aveva niente di tutto quello: né nella realtà, né, ormai, nella fantasia.

Tsunade continuava a parlare. Si rivolgeva a lui, ma Sasuke sapeva che le bastava l’attenzione dei suoi genitori. Lui era l’oggetto della discussione, e la sua condizione lo autorizzava ad alienarsi, a non ascoltare, a delegare decisioni che riguardavano la sua vita. Non doveva essere partecipe, solo subire passivamente quello che persone più competenti avevano deciso, camminare sulla strada già segnata. Era, a tutti gli effetti, il PNG nelle mani di un master particolarmente sadico all’interno del GdR della Vita e le persone attorno a sé, i suoi genitori, i medici, gli specialisti… loro erano i protagonisti della quest.

Il suo pensiero andò alla campagna, al litigio con Sakura, al piangersi addosso tra i cassonetti e al saluto di Kiba quando lo aveva lasciato sulla porta di casa. Una scompigliata di capelli e un sorriso condiscendente che gli avevano fatto più male di una palla di fuoco[2] potenziata[3] e massimizzata[4] in pieno petto.

Di che si stupiva se Kiba lo trattava da bambino? Anzi, come un moccioso che rovina il gioco a tutto il party, per dirla con le parole di Madara. Alla fin fine si era comportato come tale e non riusciva neanche a trovare le forze di chiedere scusa. Aprì e chiuse più volte la chat whatsapp di Sakura, lesse l’ultimo messaggio che si erano scambiati.

Comunque ha un bel culo, aveva scritto l’amica. Stavano parlando di Kiba, o forse di Madara… Sasuke non ricordava più e non riusciva a leggere i messaggi precedenti. Lo sguardo si era cristallizzato sulla data, il giorno dell’ultima giocata: due settimane prima.

«Sasuke?» la mano di sua madre lo stava scuotendo. Alzò la testa e notò che l’attenzione dei presenti era concentrata su di lui, in attesa di una risposta a una domanda che non aveva sentito. Percepì distintamente un sospiro da parte di suo padre e lo osservò mentre scostava lo sguardo pieno di disappunto e commiserazione.

«Scusate, mi sono distratto» mormorò, poggiando il cellulare sulle gambe. Inghiottì di malavoglia il sorriso gentile di Mikoto e quello condiscendente di Tsunade.

«Non preoccuparti, alla tua età capita spesso di stare con la testa fra le nuvole» celiò la dottoressa. Sasuke immaginò distintamente una pioggia di dardi incantati trafiggerle il petto prosperoso e lasciarla esamine a terra. A lei, al suo team, a quella fottuta clinica dove finiva ricoverato un mese sì e l’altro pure e dove un giorno i suoi l’avrebbero scaricato vita natural durante. Non lo dicevano, ma era evidente che sarebbe andata così. Chi avrebbe avuto voglia di prendersi cura di una persona non autosufficiente? Avvertì il peso della mano materna sulla sua spalla. Deglutì saliva e parole inopportune. Guardava Tsunade e non la vedeva; davanti agli occhi scivolavano immagini di corse in moto, di risate attorno a un tavolo, di strategie arrabattate e di dadi che rotolavano. E di tutto quello che poteva essere e non sarebbe stato. Di serate in taverna, di avventure fantastiche, di guerre, e magie, e gloria, e corse all’aria aperta. Boschi impervi, erte montagne, oceani profondi…

«Voglio solo essere sicura che…»

­«Quanto?» domandò, in un alito di fiato. Di fronte all’espressione spaesata della dottoressa, sospirò e si costrinse a puntualizzare «Quanto… tra quanto non potrò più camminare?»

Ecco. L’aveva detto. Come se avesse lanciato Parola del Potere[5], i lemmi acquisirono una forma, s’addensarono in una verità da cui non poteva più scappare.

«Non lo so» ammise Tsunade «Potrebbe succedere tra un anno, come tra dieci… non si sa quanto veloce degeneri la tua mal…»

«Non mi dica stronzate» alzò la voce. Avvertì distintamente i muscoli contrarsi nel tentativo di uno scatto, di un movimento più brusco. La voglia di alzarsi in piedi e uscire dalla stanza, un compito che il suo cervello aveva affidato alle sue gambe e che, maledette, cominciavano a tradirlo. Le muoveva. Camminava, ancora, ma le contrazioni muscolari erano sempre più frequenti, i movimenti sempre più rallentati e… e… «Sono mesi che faccio analisi» si costrinse a restare fermo, i pugni serrati sulle cosce «Non è possibile che non sappiate a che punto sta. Non ci credo!»

Tsunade tacque. Riordinò, in un brusio assordante, alcuni fogli sulla scrivania. Le dita smaltate tamburellarono per qualche secondo sulla superficie levigata.

«Il problema non sono le gambe. Non solo…»

Un Raggio Polare[6] avrebbe riscaldato l’atmosfera più delle parole del medico.

«…con la fisioterapia possiamo farti camminare bene ancora per un anno. Ma il cuore…»

Cardiomiopatia. La parola gli rimbombò nel cervello, oscurando il resto. È troppo presto, pensò. Di solito si manifestava verso i trent’anni, se lo faceva. Era troppo giovane, ancora. Troppo sano.

«Morirò?» si stupì della calma con cui pose la domanda. Indifferente, dissociato dalla situazione. Non sta accadendo a me, si disse. È come una giocata. Tiri i dadi ed esce quel che esce, e a me esce sempre 1. Sua madre singhiozzò al suo fianco; il padre sembrò perdere il poco di colorito rimasto. Così è questa la vita, un enorme gioco di ruolo.

«È prematura,» rispose Tsunade «ma oggi è facile tenerla sotto controllo. Devi solo stare più attento e poi ci sono i farmaci…»

Altre pasticche. Altra droga per tenerlo vivo. Nel mondo reale gli incantesimi si chiamavano farmaci e i chierici dottori. E i maghi? I maghi non esistevano nella realtà. Per questo ne aveva voluto giocare uno, per fare l’impossibile, visto che il possibile gli era negato.

«Ok» se aveva interrotto il discorso della dottoressa, non se n’era accorto «Scusate, io esco» aggiunse. Salutò la dottoressa.

«Sasuke…» mormorò Mikoto.

«Torno a casa da solo. Ho… voglio stare da solo».

Uscì dall’ufficio. Aveva bisogno di stare all’aria aperta, di respirare vero ossigeno e non l’atmosfera viziata della stanza. Voleva camminare, finché ancora ce la faceva. Camminare e non fermarsi finché le gambe lo avessero sostenuto. Non correre: camminare, camminare e basta, senza meta. Superò il giardino della clinica, l’alto cancello. Una macchina quasi lo investì, senza fermarsi sulle strisce pedonali. Fu avvolto da una nuvola di gas di scarico. Tossì e riprese a camminare, un passo dopo l’altro.

 

Dall’altra parte della città, al Konoha Comics&Games, Sakura controllò un’ultima volta il cellulare, guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da Madara. Con un sospiro lo spense e tirò iniziativa.

 

 

 

N/A: ma voi vi ricordate il primo capitolo, quando questa doveva essere una fanfiction for fun, perché avevo voglia di cazzeggiare su Pathfinder? Ecco, vi sia di lezione: non credetemi quando dico di voler scrivere qualcosa di leggero.

Non voglio dire il nome della sindrome da cui è affetto Sasuke, perché non è mia intenzione affrontarla a livello medico. Non avrei le competenze per farlo in maniera adeguata, quindi mi astengo, nonostante viva con le pagine mediche e una consulenza infermieristica costante (grazie Alice, probabilmente manco te lo ricordi, ma ti ci ho rotto le palle per un paio di settimane buone quando ho cominciato la storia). Mi interessa, invece, esplorare la relazione che può esserci tra un gioco di ruolo, in cui puoi fare cose che nella realtà ti sono negate, e una condizione fisica in cui ti ritrovi a essere (quindi non di partenza) e che ti priva di una tua abitudine.

Be’, spero di aver fatto qualcosa di decente.



[1] Guarigione è un incantesimo da Chierico che guarisce 10 danni/livello incantatore e fa cessare immediatamente le condizioni avverse sul bersaglio: Abbagliato, Accecato, Affaticato, Assordato, Avvelenato, Confuso, Caratteristiche, Demente, Esausto, Frastornato, Folle, Infermo, Malato, Nauseato e Stordito.

[2] Palla di fuoco: uno degli incantesimi più forti dei livelli medi. Infligge danni ingenti da esplosione (1d6 per livello dell’incantatore, fino a un massimo di 10d6) e può distruggere l’equipaggiamento.

[3] Potenziare: gli effetti di un incantesimo si moltiplicano del 50%.

[4] Massimizzare: gli effetti di un incantesimo sono estesi al massimo. Quando Sasuke parla di “palla di fuoco massimizzata e potenziata” sta calcolando un totale di 10d6 al massimo (quindi 60 danni) + il 50% di questi (30), quindi un totale di 90 danni. Abbastanza da uccidere un personaggio sul colpo.

[5] Parola del Potere: può avere diversi effetti una volta pronunciata, arrivando a stordire o uccidere gli avversari.

[6] Raggio Polare: attacco a distanza che infligge 1d6 danni da freddo/livello e risucchia 1d4 a Destrezza.

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