cascasse il mondo

di piccolo_uragano_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** testa di zucca ***
Capitolo 3: *** del pugno e del cappuccio ***
Capitolo 4: *** un pugno solo! ***
Capitolo 5: *** è sempre lui a guardare me ***
Capitolo 6: *** non mi crederesti ***
Capitolo 7: *** la storia di Draco ***
Capitolo 8: *** le istruzioni del gioco ***
Capitolo 9: *** minestrone ***
Capitolo 10: *** quello che gli altri non farebbero ***
Capitolo 11: *** Geranio Zannuto dalla A alla Z ***
Capitolo 12: *** certe tempeste ***
Capitolo 13: *** qualcosa di bello ***
Capitolo 14: *** le ali ***
Capitolo 15: *** esci ***
Capitolo 16: *** mai ***
Capitolo 17: *** nessuno ***
Capitolo 18: *** cotto e ferito ***
Capitolo 19: *** stare con me ***
Capitolo 20: *** Grifondoro contro Tassorosso ***
Capitolo 21: *** quello che conta ***
Capitolo 22: *** qualcosa ***
Capitolo 23: *** mai dire mai ***
Capitolo 24: *** strepitoso ***
Capitolo 25: *** maledizione ***
Capitolo 26: *** scelte ***
Capitolo 27: *** vivi e lascia vivere ***
Capitolo 28: *** tutto, dall'inizio ***
Capitolo 29: *** trova un modo ***
Capitolo 30: *** disarmante ***
Capitolo 31: *** marmellata ***
Capitolo 32: *** zenzero e limone ***
Capitolo 33: *** fatto il misfatto ***
Capitolo 34: *** di legno duro e pregiato ***
Capitolo 35: *** come stai? ***
Capitolo 36: *** l'elefante nella stanza ***
Capitolo 37: *** accontentarsi ***
Capitolo 38: *** la notte di Natale ***
Capitolo 39: *** epilogo (o forse no) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 


Prologo.
 
La ragazza sbuffò, accendendosi la seconda sigaretta. Si sedette sulla valigia e posò i gomiti sulle ginocchia, sistemandosi gli occhiali da sole sulla punta del naso per controllare il telefono, sbuffare di nuovo, e sistemare nuovamente il telefono nella tasca laterale della giacca di pelle che indossava.
Dall’aeroporto ogni mezzo secondo usciva una persona diversa, impugnando un diverso tipo di fretta.
Lei se l’era presa comoda, fermandosi in una libreria e in un bar, camminando lentamente, trascinando il trolley dietro di lei. Non aveva fretta. Non capiva perché chiunque arrivasse a Londra sentisse l’obbligo di avere fretta.
Controllò di nuovo il telefono.
Ancora nulla.
Scosse la testa e buttò fuori il fumo.
Aveva detto mille volte a suo fratello che si sarebbe potuta Smaterializzare, avrebbe potuto volare o avrebbe potuto viaggiare tramite Metropolvere, visto che ormai non esisteva aeroporto babbano che non fosse appositamente attrezzato. Eppure, lui aveva insistito per passarla a prendere in auto.
Mentre una delle due lunghissime treccine bionde le cadeva sulla spalla, il telefonino squillò. Lo estrasse dalla tasca alla velocità della luce, per poi trovarsi a sbuffare di nuovo. «Harry?»
«Fai sempre quella faccia, quando ti telefono io?»
Non riuscì a trattenere un sorriso, guardandosi attorno. A pochi metri da lei, Harry Potter la guardava dal finestrino di una grossa auto rossa fiammante.  
«Wow! È tua?» domandò raggiungendolo.
«No, è di Ginny»
Lei aprì il bagagliaio e ci schiaffò dentro la valigia, per poi aprire la portiera del lato del guidatore. «Posso guidare io?» sorrise poi, gettando la sigaretta a terra per spegnerla con la scarpa e darle un calcio verso il tombino più vicino.
«Neanche per sogno» le rispose Harry richiudendo la sua portiera.
Lei si strinse nelle spalle e fece il giro dell’auto per accomodarsi accanto a lui. «Valeva la pena tentare» si giustificò.
«Perché sei bionda?» domandò lui, sistemando lo specchietto retrovisore.
Di nuovo, lei si strinse nelle spalle. «Mi piace cambiare»
«Somigli molto a Martha, da bionda»
«Assomiglio sempre a qualcuno, tanto vale divertirsi»
Harry non riuscì a nascondere un sorriso. «Leva subito i piedi dal cruscotto»
Sapeva che sarebbe voluto essere un richiamo. Tuttavia, Harry non era riuscito a nascondere un sorriso divertito. Era così, era così da sempre, ogni volta che si sforzava di richiamarla, di farle notare qualche pecca o qualche errore, sorrideva. Perché lei riusciva a rendere tutto buffo o dolce a seconda della situazione, almeno ai suoi occhi, e Harry non smetteva mai di chiedersi come fosse possibile che sua sorella non solo fosse cresciuta così in fretta, ma non facesse altro che crescere.
«Ora sei tu che assomigli a Martha» sbuffò lei. «Posso sapere perché Robert mi ha detto che sarebbe venuto a prendermi e invece ti sei presentato tu?»
«Perché io sono il tuo fratello preferito»
«Lo saresti se mi lasciasti guidare»
Harry scosse la testa, di nuovo. «Non mi hai sentito? Auto di Ginny. Non voglio rischiare di divorziare per colpa tua»
«Non mi lasceresti guidare neanche la tua, di auto» si difese lei.
«La mia auto vola. Questa no»
Lei non riuscì a fare a meno di ridacchiare, sistemandosi gli occhiali sul naso con un gesto istintivo.
Lui allora notò quel dettaglio. «Nuovi?»
Lei annuì entusiasta.
«A quanto ammonta la tua collezione?»
«Ottantanove» rispose fieramente. «Che dici, di questi?»
«Che stai chiaramente cercando di copiarmi, vista la forma»
Lei si portò gli occhiali sulla punta del naso e lo guardò con finta aria scettica. «Certo, perché tu hai un senso dello stile davvero invidiabile, Harry Potter»
Harry scosse la testa, gettando un’occhiata rapida alla sorella. «Anastasia» la richiamò di nuovo. «Anastasia, leva i piedi dal cruscotto»
«Ma siamo fermi in coda!»
«Aprilo, quel cruscotto, anziché sporcarlo»
Anastasia inarcò un sopracciglio e, mostrandosi più che scettica, aprì il cassettino, trovandovi una scatolina bianca con un fiocco rosso. Rivolse al fratello uno sguardo interrogativo.
«Ottantanove è un numero pessimo, meglio fare cifra tonda» le sorrise lui.
La risata di Anastasia gli riempì il cuore, mentre la spiava aprire la scatola con entusiasmo, per estrarne un paio di occhiali nuovo di zecca con la montatura sottile a goccia e le lenti fin troppo scure.
«Mi hai preso dei Ray-Ban!» esclamò.
«Te li ha presi Robert, a dire il vero» raccontò. «Io sono stato informato solo a cose fatte. Dice che è importante farti sentire amata e coccolata e tutte le cose che dice lui in questi casi»
Anastasia si sforzò di non perdere il sorriso, mentre si posava gli occhiali tondi con le lenti viola sulla testa per provare quelli nuovi.
«Voglio dire, non credo … insomma, hai bisogno di un paio di occhiali per sapere che ti amiamo?»
«Oh, no» rispose subito lei. «Ho bisogno di un paio di Ray-Ban per sapere che mi amate!»
Harry non poté fare a meno di darle uno spintone amichevole. «Ti stanno bene. Io posso avere quelli viola?»
«No, altrimenti tornerei ad ottantanove»
Harry annuì. «Ecco perché sei tu quella intelligente»
«Senza di me sareste perduti!»
«Mi chiedo come abbia fatto a vivere i primi quattordici anni della mia vita senza di te»
«Dieci in un sottoscala, quattro mettendoti nei guai» rispose lei ridacchiando.
Harry scosse di nuovo la testa, sorridendo divertito.
«Che è successo mentre non c’ero? In quanti guai vi siete cacciati?»
«Sirius e Martha hanno litigato, non chiedermi per cosa, e lui ha dovuto dormire sul divano, ma hanno fatto pace nel giro di due giorni» raccontò allora lui. «James ha cambiato colore al pelo del gatto di Albus, involontariamente» sorrise. «Uh, e Robert dice di dirti che ti deve sette galeoni per tu sai cosa»
Anastasia saltò sul sedile. «Gemelli!» esclamò. «Kayla aspetta due gemelli
«Avete scommesso su questo?» si stranì lui.
«Ovviamente! Insomma, l’hai vista anche tu: era troppo grossa per essere di tre mesi!»
Harry rise di cuore. «Siete senza speranza»
«Forse è vero: ma ricorda, senza di me sareste perduti!»
Harry non poté fare a meno di sorriderle di nuovo, trovandosi persino grato al traffico di Londra per aver regalato loro quel piccolo momento. E si trovò anche ad ammettere che era tutto vero: senza Anastasia Elizabeth Helen Black, sarebbero stati perduti.




Piccolo spazio autrice. 

Perché oggi? Perché già il sequel? Avevi detto che ci avresti messo mesi, forse anni!
Ebbene, è così. L'ho detto, è vero. Ma, miei fedelissimi lettori, non ho resistito. 
E poi, oggi è il 2 maggio. Per tutti noi Potterhead, una data importante. E lo sapete che a me piace pubblicare nelle date importanti. 

Ora, un paio di cose importanti: la storia è ambientata nel 2012, Anastasia ha diciotto anni, ha appena preso i M.A.G.O.. 
Eh ma che palle, noi volevamo vederla ad Hogwarts!
Sì, anche io. Ma avevo più voglia di scrivere questo, nell'ultimo periodo. Spero mi perdonerete. Poi, non si sa mai: magari ci saranno dei flashback, chi lo sa. 
Per ora, ho bell'e pronti dodici capitoli. Ma sono una fanwriter, si sa, ho bisogno del vostro feedback per andare avanti a scrivere. 
Dunque: il primo capitolo arriverà lunedì. 
Il secondo il lunedì successivo, e così via. 
Non prometto che sarò sempre puntuale, non garantisco mai niente, lo sapete. Ci metto la buona volontà, questo si, sempre, e spero che basti. 

Non vi preoccupate se a volte non capite alcune cose (Kayla è incinta? Harry sposato? Dove era Anastasia? Perché è bionda?) tutto, a tempo debito, verrà spiegato. 

Rivedremo Martha e Sirius
Certo che sì. Un po' meno rispetto a Più di ieri: quella era la loro storia, questa è quella di Anastasia. Ma ci saranno, ovviamente: ormai sono due cinquantenni alle prese con dei nipotini e una figlia diciottenne che ne combinerà un bel po', non riusciranno a non dire la loro. 

Credo di avere detto tutto. 
Vi aspetto nelle recensioni. 
Ci risentiamo lunedì. 
Come sempre, fatto il misfatto. 

Vi amo sempre. 
C 





 

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Capitolo 2
*** testa di zucca ***




1.
testa di zucca

La porta si aprì, provocando il solito tintinnio.
Il Paiolo Magico non era pieno, ed il brusio non era soffocante come al solito. Era tutto perfettamente normale, per essere un mercoledì sera di luglio: di lì a un paio di settimane, si sarebbe riempito di studenti di ogni età con le loro famiglie, pronti ad attraversare il passaggio per Diagon Alley ed acquistare tutto il necessario per procurarsi la fondata illusione di iniziare al meglio quell’anno scolastico.
Hannah Abbott aveva preso il posto di Tom, conosciuto semplicemente come “Tom il barista”, e si diceva che fosse stato proprio lui, ormai prossimo alla pensione, a sceglierla e istruirla su come tirare avanti quello che aveva la fama di essere il pub più vecchio di Londra. Lei stava dietro il bancone a sistemare le solite cose, e al tintinnio della porta alzò lo sguardo più per abitudine che per curiosità. Non appena, però, ebbe modo di mettere a fuoco la persona appena entrata, non poté fare a meno di sorriderle.
La ragazza, dal canto suo, fece lo stesso: imitando una riverenza, sorrise alla barista con disarmante sincerità, per poi allargare le braccia e aspettare che si pulisse rapidamente le mani nel grembiule che portava legato in vita per poi correrle incontro e stringerla in un abbraccio colmo d’affetto.
«Quando sei tornata?» le chiese, dondolando a destra e a sinistra.
«Stamattina» rispose la ragazza, subito, sciogliendo l’abbraccio per levarsi gli occhiali da sole e sistemarseli sopra la testa.
Era stupido, pensò lui, tenere gli occhiali scusi sul naso, visto che il sole era già tramontato da un pezzo e Londra, in quella zona, era tutt’altro che luminosa.
Ma, nel momento in cui si sistemò gli occhiali tra i capelli, senza smettere di sorridere,  raccontando apparentemente un viaggio appena concluso, fu tutto più chiaro persino a lui, seduto da solo ad un tavolo davanti a due bicchieri vuoti di Whiskey Incendiario.
Quella, si disse, era senza dubbio una Black.
Era chiaro come avesse cercato di nascondere il suo sangue reale, il suo naturale portamento elegante, la sua innata grazia. Forse solo per quel viaggio, forse solo per un periodo. Non le si addicevano le scarpe da ginnastica babbane, i jeans scoloriti e larghi non riuscivano a nascondere il suo fisico scolpito e il suo sedere mozzafiato, e quella vecchia maglietta con il logo di una band babbana annodata sopra all’ombelico sembrava quasi stonare, addosso a lei, e, agli occhi di lui, non faceva che richiamare un’altra Black, che a suo tempo aveva portato abiti babbani e annodato le magliette sopra all’ombelico.
Ma no, lei era troppo giovane, per essere Kayla.
Draco si lasciò cadere sulla sedia, desiderando che quel bicchiere si potesse riempire nuovamente, perché improvvisamente sentiva di averne un disperato bisogno.
Quella non era Kayla Black: Kayla era un pezzo più grande di lei, sicuramente un poco più bassa, non aveva quei capelli biondi e aveva un seno molto più prosperoso.
Quella non poteva essere Kayla.
Quella era Anastasia Elizabeth Helen Black, quartogenita della coppia più chiacchierata, invidiata e spiata del mondo magico,  anche più di un decennio dopo la fine della guerra.
Si sedette al bancone, lanciando un veloce sguardo al locale alle sue spalle, mentre raccontava ad Hannah di come suo fratello fosse riuscito ad arrivare in ritardo e di come lei fosse rimasta più di mezz’ora fuori dalla stazione ad aspettarlo.
Non c’è da stupirsi, pensò lui. Di qualunque tuo fratello stia parlando.
Hannah lo stava giustificando, dicendo cose che lui non riusciva a sentire, ed ebbe come l’impressione che quasi facesse apposta, a parlare ad un tono tale che lui non riuscisse a sentirla. Scosse la testa e finse di guardarsi attorno: quindici anni dopo la guerra, la caduta di Voldemort, la morte di sua zia e la cattura di suo padre, ancora qualcuno abbassava la voce per evitare che lui sentisse cosa si stesse dicendo.
Fissò per qualche secondo la sedia vuota davanti a lui.
Astoria non sarebbe venuta, lo sapeva.
Forse lo sapeva fin dall’inizio.
Si era alzato quella mattina, era uscito di casa e si era sforzato di essere gentile con le persone che aveva incontrato nel corso della sua giornata, perché aveva letto da qualche parte che le cose ch fai, poi ti tornano indietro, e lui aveva bisogno che quella giornata con lui fosse gentile. Al calare del sole si era recato lì, dove si erano dati appuntamento, sapendo che si sarebbe trovato a bere da solo, che lei non si sarebbe presentata.
Non aveva nessuna intenzione di tornare insieme a lui.
D’altro canto, come biasimarla?
Neanche lui, se avesse potuto, avrebbe scelto di continuare a stare con lui.
Eppure, era condannato a passare il resto della vita con lo stronzo che vedeva nello specchio ogni mattina.
Il pub si stava svuotando, Astoria era in ritardo di quasi tre ore – ammesso che avesse mai considerato di presentarsi – e lui iniziava a sentirsi quasi fuori luogo, lì, a quel tavolo e davanti a quella sedia vuota. Inspiegabilmente, però, la giovane bionda seduta al bancone aveva dato a quel posto una luce nuova, spingendolo a restare lì seduto ad ascoltare solo il suono della sua voce melodica, perché anche lei aveva iniziato a parlare con un tono basso e non gli era possibile sentire cosa stesse raccontando ad Hannah Abbott, ma era sicuro che fosse qualcosa di davvero bello, vista l’enfasi che ci stava mettendo.
Si trovò ad alzare lo sguardo di  nascosto, trovandola a gesticolare davanti ad uno sciroppo di ciliegia che a Draco ricordò i tempi delle feste di Horace Lumacorno. Si grattò il naso e si sforzò di ripromettersi di andarlo a trovare, il vecchio Horace, perché era una delle poche persone a trattarlo ancora con inspiegabile rispetto.
Le persone che uscivano dal pub salutavano la quartogenita Black con calore quasi inatteso, e lei rispondeva a tutti con un sorriso genuino. Chi la salutava le chiedeva di portare i propri saluti a qualche membro della sua famiglia, che fossero i suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi nipoti o i suoi cognati, e lei annuiva dicendo che avrebbe senz’altro riferito, e Draco ebbe l’impressione che fosse vero, che non stesse mentendo, che non avesse mai mentito in vita sua.
Fece roteare il bicchiere sul tavolo, bagnandone la superficie e senza sentirsi dispiaciuto per questo. Poi, raccolse le poche energie che gli rimanevano per alzarsi da quella vecchia sedia di legno e cercare di specchiarsi in qualche finestra, sperando di non sembrare disperato e triste come in realtà era.
Normalmente, avrebbe salutato Hannah con un cenno, o forse anche meno di un cenno, e sarebbe uscito. La presenza della ragazza, invece, con cui tutti erano stati così gentili, cordiali e sorridenti, lo spinse a fermarsi davanti al bancone, con il reale desiderio di ringraziare Hannah.
«Ehm …» si trovò a dire, impacciato.
Hannah lo guardò quasi preoccupata.
«Grazie, Hannah. Tutto squisito»
Si vergognò immediatamente per quello che aveva appena fatto.
Ringraziare? Fare un complimento? Lui? Che cosa stava succedendo?
«Non dire sciocchezze, fermati a mangiare qualcosa» rispose immediatamente la donna. «Hai la faccia di un uomo distrutto»
Lui avrebbe voluto rispondere, ma la ragazza si era voltata e lo aveva guardato dritto negli occhi.
E lui, vedendola da vicino, con quei buffi occhiali fermi sopra la testa ed il viso elegante che solo una Black poteva avere, si trovò incatenato a quegli occhi grigi.
«Draco Malfoy» sorrise lei, come se quel nome non fosse sempre stato accompagnato da qualche forma di odio o paura.
Abbassò la testa come se fosse stato accusato di qualcosa, e dopo meno di un secondo, la alzò per mostrare un ghigno divertito. «La giovane Black»
«Non credo di aver mai avuto l’onore di vederti in carne ed ossa» La ragazza continuò a sorridere e tese la mano destra, passandosi la lingua sui denti. «Anastasia» disse, allora. «Molto lieta»
Draco esitò, ma poi con il solito sprezzo accolse la stretta di mano, trovandosi spiazzato dalla forza che vi trovò.
 «Draco Malfoy, per servirla»
Draco accennò un sorriso, convincendosi che la giovane emanasse buon umore – a questo punto, non c’era altra spiegazione -, e lei gli fece segno di sedersi, indicando con gentilezza lo sgabello accanto al suo.
Lui sembrò rifletterci: tutta quella gentilezza lo spiazzava.
E poi, la situazione era paradossale: non solo Anastasia Elizabeth Helen Black era estremamente giovane, bella e sexy, ma era la sorella minore di Kayla Lily Black, definita da Astoria “la sola donna che riusciresti mai ad amare davvero” solo qualche settimana prima, la sorella minore di Harry James Potter e Robert Sirius Black, con i quali non aveva un passato esattamente brillante, nonostante adesso i rapporti tra loro risultassero essere civili e cordiali; e senza contare tutta la questione “Bellatrix”, a cui preferiva evitare di pensare, perché tutte le volte che per sbaglio finiva con il pensare a sua zia, poi perdeva il sonno per una settimana o anche di più.
«Guarda che non ti mangio» sorrise lei, strappandolo con dolcezza dai suoi pensieri.
Il fatto che lei, probabilmente consapevole di tutti i motivi per cui lui stava valutando di non sedersi, gli sorridesse con tanta naturalezza, lo spinse ad accettare l’invito, rendendosi conto di non essere minimamente imbarazzato da quella situazione.
«Ti ringrazio» sorrise il biondo.
«Hannah, cosa possiamo offrire al nostro ospite per cena?»
«Non ho fame, sinceramente»  declinò in fretta lui.
«Oh, ti sei calato quei due Whiskey a stomaco vuoto, certo che non hai fame! Ma devi mangiare qualcosa per riuscire a tornare a casa tutto intero!»
Anastasia allargò il suo sorriso. «Sai, non credo che questo bel biondo debba mettersi al volante di qualche Mercedes stasera, o sbaglio?»
Draco cercò di fare mente locale il più in fretta possibile. Mercedes. Non era affatto un nome nuovo. Il fatto che poi la giovane Black avesse accennato anche ad un volante, gli fece intuire che si trattasse di un modello particolare di auto babbana.
«Non sai cosa sia una Mercedes, non è vero?» continuò a sorridere lei, sorseggiando la sua bevanda da una cannuccia colorata. Che Anastasia Black fosse una Legilimens, come la sorella?
«Certo che lo so: è un’automobile»rispose allora lui con il suo solito tono.
L’espressione di finto stupore sul viso della ragazza lo fece sorridere di nuovo, costringendolo a voltare la testa per il gusto di non darle la soddisfazione della certezza di averlo fatto sorridere per tre volte in meno di cinque minuti.
«I miei complimenti, signor Malfoy: non sei affatto come ti descrivono» posò il bicchiere ormai vuoto sul bancone e raccolse dall’altro sgabello vuoto accanto a lei un giubbotto di pelle, se lo posò sulle spalle e si alzò, mostrando di essere probabilmente, il più alto esemplare di Black di sesso femminile esistito fino ad allora. «Vieni, Purosangue dei miei stivali» rivolse ad Hannah lo stesso sguardo colmo di affetto che le aveva riservato al suo ingresso. «Dì a Neville che ho qualcosa per lui, glielo darò alla prima occasione»
Hannah sembrò illuminarsi. «Oh, ne sarà davvero felice!» con un colpo di bacchetta, ripulì il bicchiere lasciato da Anastasia e si concesse di lanciare uno sguardo sospettoso a Draco. «Grazie per essere passata» continuò. «E grazie anche a te, Draco, non ti si vedeva sorridere dai tempi di Allock»
Draco le tese la mano, assumendo nuovamente la sua posa rigida e fredda. «Ottimo Whiskey, Abbott» le disse. «E non credevo che qualcuno potesse gestire questo posto meglio del vecchio Tom»
Lei s’illuminò di nuovo, riprendendo a pulire con più allegria.
Draco stava per voltarsi ed aprire galantemente la porta ad Anastasia, ma, in tempo record, lo stava già facendo lei. «Se ti offro una Marlboro, sai di che parlo?»
«So che preferisco le Pall Mall o le Winston» rispose lui, attraversando la porta sentendosi ancora addosso lo sguardo di Hannah Abbott.
Intanto, guardò Anastasia sorridere e chiudere la porta dietro di sé prestando attenzione a non farla sbattere, mentre rovistava nella tasca del giubbino che teneva ancora posato sulle spalle per estrarne un pacchetto bianco e rosso.
«Le Winston? Quanti anni hai, dodici?» si stupì di nuovo.
«Merlino, no» rispose quasi con disgusto, ripensando a quell’età.
Lei si portò una sigaretta alle labbra e poi gli offrì il pacchetto. «Prova» lo invitò, e trovandolo di nuovo poco convinto, aggiunse: «Non le ho avvelenate, giuro»
Draco piegò gli angoli della bocca e accettò il dono.
«Posso sapere perché sei così diffidente?»
«Ho i miei motivi»
Lei sorrise di cuore e si accese la sigaretta. «Ma non mi conosci» con la stessa gentilezza di poco prima, gli passò l’accendino.
 Lui stava per rifiutarlo, quando lei, con un solo cenno del capo, portò l’attenzione ad un dettaglio a cui lui non aveva fatto caso: essendo usciti dalla porta principale, erano in mezzo alla Londra babbana. Di conseguenza, accendere la sigaretta con la bacchetta magica non sarebbe stata la più brillante delle sue idee – non che di idee brillanti ne avesse molte, in effetti. Lei notò la sua difficoltà ad usare quel banale aggeggio babbano, e senza fingere di non esserne divertita, si avvicinò con naturalezza per aiutarlo.
«Grazie» disse lui, nascondendo un sospiro di sollievo in una tirata di fumo.
«Sei molto più educato di quanto i pettegolezzi non riescano a dire» sorrise lei, concedendosi di voltare la testa per guardarlo. Lui le lanciò un’occhiata più che rapida e tornò a fingere di guardare la strada semideserta davanti a loro: erano anni che non passeggiava per la Londra babbana. Anzi, forse non lo aveva mai fatto. Sicuramente, non respirando quella tranquillità e spensieratezza quasi palpabile.
«Come se di me si dicesse in giro solo questo» sbuffò lui.
«In giro si dicono troppe cose, Draco Malfoy» spiegò lei. «E non tutte sono vere»
«Anche su di te?»
«Anche su di me»
«Quindi non è vero che la McGranitt è la tua madrina?»
«Oh, questo è vero»
«E che ti ha quasi espulsa?»
«Vero anche questo, ma me lo meritavo» ammise. «Okay, tocca a me: che ci facevi al Paiolo Magico il mercoledì sera tutto solo?»
Lui scosse la testa. Questa, pensò, era la sola domanda a cui non aveva voglia di rispondere.
«Oh, non fare quella faccia!» esclamò lei, facendogli segno di voltare a sinistra per continuare a rimanere su quel marciapiede. «L’altra domanda che potrei farti è perché si parla sempre di te come di un mostro senza cuore»
«Probabilmente sarei più a mio agio a rispondere a questa, di domanda» si trovò ad ammettere con spiazzante sincerità e semplicità.
Lei scosse la testa e gli posò una mano sul petto per impedirgli di continuare a camminare, costringendolo ad alzare lo sguardo per rendersi conto di essere davanti a quello che i babbani chiamavano “attraversamento pedonale”, e che quello che, secondo la sua memoria, doveva essere un semaforo, gli indicava di rimanere fermo per un’altra manciata di secondi.
«Oh, andiamo, non c’è nessuno!» esclamò.
In quel momento, una macchina sfrecciò ad altissima velocità davanti a loro.
«Sai che ridere, biondo? Il famigerato e spietato Draco Malfoy schiacciato da un taxi babbano all’incrocio di Charing Cross Road insieme ad Anastasia eccetera eccetera Black»
«Anastasia Elizabeth Helen, giusto?» domandò, appena il semaforo divenne verde.
«Credevo avessimo smesso con le domande su di me»
Lui alzò gli occhi al cielo, attraversando la strada con noncuranza, mentre lei gli indicava una panchina di metallo e lui, senza riflettere, vi si sedette portandosi di nuovo la sigaretta alle labbra. Lei, con tutta la sua regalità, prese posto accanto a lui, incrociando le gambe e sistemandosi di lato, in modo da poterlo guardare senza sforzi.
«Quanti anni hai, Anastasia eccetera eccetera Black?»
«Perché me lo chiedi?»
«Per capire cosa sai di me»
Lei gli sorrise di nuovo, e nonostante lui non capisse cosa ci fosse di divertente in questo, trovò estremamente gradevole quel sorriso sincero.
«So che sei tu che hai trovato Fred, dopo la battaglia»
Draco quasi si strozzò con il fumo della sigaretta.
Di tutte le cose terribili che avrebbe potuto scegliere di dire, di tutte le cose che aveva fatto o che avrebbe dovuto fare negli anni della guerra e in quelli ad essa precedenti, lei aveva scelto quella: hai trovato Fred.
Si trovò a dover annuire, mostrandole lo sguardo più sincero che avesse mostrato a qualcuno da anni.
«Oh ma non temere, so anche un sacco di cose molto meno lusinghiere» continuò subito lei. «Per esempio, so che durante il Torneo Tremaghi avevi messo in giro delle spille terribili su mio fratello Harry. Qualcosa come “Potter fa pena”, o mi sbaglio?»
Lui non mutò il suo sguardo: la guardava come se non fosse vera – con profonda ammirazione e gratitudine.
Non sorrise, nonostante fosse chiaro il tentativo della ragazza di strappargli nuovamente un ghigno.
«E questa è la cosa meno lusinghiera che sai di me?» domandò, quasi in un sussurro.
«So molte cose tutt’altro che lusinghiere sul tuo conto, Draco Malfoy» ammise lei, assumendo, per la prima volta, lo stesso tono serio e distaccato del mago che aveva davanti.
«E perché non le dici?»
«Non credo abbia senso ricordarle»
«Ma neanche dimenticarle»
«C’è una netta differenza tra  dimenticare e ostentare»
«Non le sto di certo ostentando»
«Beh, volere assolutamente essere ricordato come il giovane Mangiamorte a cui fu commissionato l’omicidio di Albus Silente, a quasi quindici anni di distanza, a me sa di ostentazione»
Draco non si mosse. Aveva inconsciamente paura che, ad un suo minimo movimento, la ragazza si sarebbe dissolta nel nulla. Niente di lei sembrava essere reale: la sua genetica eleganza e la sua somiglianza con Kayla, il suo look improbabile, il fatto che avesse ancora quei terribili occhiali da sole sopra la testa, la sua bontà disarmante.
«Sto per dirti una cosa, biondo, una cosa pazzesca, incredibile, rivoluzionaria, che forse nessuno ti ha mai detto: sei pronto?»
Lui, a quel punto, si concesse di accennare un sorriso. Buttò a terra la sigaretta, e annuì.
Lei, con tutta la sua naturalezza, gli fece segno di avvicinarsi e lui capì che questa cosa pazzesca, incredibile e rivoluzionaria, gliel’avrebbe sussurrata all’orecchio, e avvertì un improvviso brivido lungo la schiena davanti a quella consapevolezza.
Si avvicinò a lei, porgendole l’orecchio.
Lei avvicinò una mano alle sue labbra.
«Tu non sei il tuo passato!»
Draco si lasciò cadere dall’altra parte della panchina, scoppiando a ridere, e portandosi una mano all’orecchio in cui la ragazza aveva appena strillato. «Testa di zucca! Sono sordo! Sordo
«Testa di zucca?!» rimase basita lei, senza trattenere le risate. «Ti prego, neanche mio zio Remus dice “testa di zucca”!»
Lui si tirò in piedi per rimanere fermo davanti a lei. «E invece tu sei proprio una testa di zucca» sentenziò. «Perché Salazar mi hai urlato così forte nell’orecchio?!»
«Perché così il concetto ti entra meglio in testa:  tu non sei il tuo passato. Nessuno lo è, per inciso»
«Non c’era bisogno di farlo sapere anche a tutta la Londra babbana!»
«Oh, i babbani hanno una memoria storica davvero pessima: tutta la storia di Silente se la sarebbero già dimenticata da un pezzo, ma di sicuro non si dimenticherebbero mai la storia delle spille» sminuì lei. «Vuoi tornare a sederti o pensi di stare lì a guardarmi come un troll per tutta la notte?»
«Troll chiamaci qualcun altro, Anastasia eccetera eccetera»
«E invece ho scelto di chiamarci te, pensa che onore»
«Non dovresti tornare a casa, a un certo punto?»
Lei si strinse nelle spalle. «A un certo punto» ripeté.  
«Tuo padre sarà preoccupato»
«Non finiva con “lo verrà a sapere”, il tuo tormentone?»
Lui si mise le mani nella tasca e si guardò attorno. «Probabilmente non eri neanche nata»
«Stando ai miei fratelli e ai Weasley, l’hai detta talmente tante volte che probabilmente io già camminavo»
«Oh, beh» ironizzò lui. «Se già camminavi, allora è tutt’altra storia! Cambia tutto!»
Lei rise con lui e sollevò una gamba per abbracciarsi un ginocchio, mentre si mordeva il labbro e lo guardava in silenzio.
«Puoi dirmi quanti anni hai, ora?» domandò lui, smettendo di guardarsi attorno per tornare a guardare lei.
Lei lasciò che lui la guardasse, per qualche secondo, lasciando che la mente vagasse sull’assurdità di quella situazione tanto da non permetterle di smettere di sorridere.
«Sono nata l’anno delle spille con scritto “Potter fa pena”»
«Schifo»
«Prego?»
«Era “Potter fa schifo”»
«Oh, allora è tutt’altra storia!» gli fece il verso lei. «Cambia tutto!»
«E in che giorno sei nata?»  domandò di nuovo lui, ignorando le sue prese in giro, ma accorciando lo spazio tra lui e la panchina su cui lei era rimasta.
«Non mi dirai che credi nell’Oroscopo»
«Non mi dirai che sei nata il giorno esatto in cui io mi sono messo a distribuire quelle dannate spille»
«Perché, ti ricordi il giorno esatto?»
«Io mi ricordo tutto: è il difetto di chi ostenta il proprio passato»
La ragazza scosse la testa, mentre lui muoveva un altro passo verso la panchina. «Il cinque giugno»
Lui, di nuovo, rimase impassibile. «Stai bleffando»
«Giuro su mia madre» replicò lei, alzando un sopracciglio.
«No, no, stai bleffando perché il cinque giugno è il giorno del mio compleanno»
Lei accennò un sorriso. «Kayla lo sa?»
«Certo che lo sa» ammise lui.
Lei scosse la testa, pensierosa. «Non me ne ha mai fatto parola»
Lui la guardò: era chiaro che stesse rovistando nei suoi compleanni a ritroso in cerca di qualche informazione utile. Trovò meraviglioso come le si potesse leggere tutto in faccia.
«Davvero?»
Lei si trovò ad annuire.
«E che ti dice di me?» domandò timidamente, raggiungendo la panchina.
«Che non è vero che sei un mostro senza cuore»
«Questo non so se sia vero»
«Io credo che non lo sia»
«Tu non mi conosci, Anastasia»
«E tu non conosci me»
«Sei troppo giovane per avere questo tono arrogante»
«Potrei ritrattare sul mostro senza cuore»
«Faresti bene» ammise lui, mostrandole un sorriso che diceva tutt’altro. «Ora, di grazia, non credi sia ora di tornare a casa?»
«Dì, biondo: è perché ho nominato mia sorella o per la storia del mostro senza cuore?»
«È perché tuo padre mi odia già a sufficienza anche senza che tu faccia tardi per me a …» si guardò attorno perplesso. «… in giro per Londra, insomma»
Lei allargò il suo sorriso. «Non conosci Londra?»
«Conosco Londra»
«Però non sai dove siamo!»
«Non questa Londra»
«Te l’ho detto prima: Charing Cross Road. E lì» e indico un punto alla sua sinistra. «c’è Oxford Street: hai almeno vagamente idea di cosa sia?»
«Immagino nulla che possa realmente interessarmi»
«È dove dovresti rifarti il guardaroba, ecco cos’è»
Lui, istintivamente, si portò una mano sulla camicia scura e si guardò i pantaloni eleganti e le scarpe lucide. «Non ci vedo nulla di male»
«Ti devi svecchiare, sembri mio nonno»
«Tuo nonno era un uomo di gran classe»
«Non puoi saperlo, e non vale dirlo sulla fiducia solo perché era un purista come te. O parli di Robert Redfort
Draco parve incupirsi, nuovamente, questa volta in modo irreversibile. La guardò un’ultima volta, improvvisamente malinconico. «Ti accompagno a casa o ci vai da sola?»
«Potrei farti la stessa domanda»
«Bene» si guardò attorno con aria furtiva, e poi con un sonoro POP, scomparve, lasciandola a fissare l’incrocio con Oxford Street con aria perplessa. 
 
 
Anastasia Black portava fieramente i suoi nuovi occhiali da sole, varcando la soglia del negozio di scherzi più famoso del mondo magico. Indossava un canottiera nera tanto sottile da essere quasi trasparente, dei pantaloni palazzo a vita fin troppo alta, e i capelli erano tornati del loro naturale nero corvino, lisci come l’olio, le accarezzavano la schiena, muovendosi al ritmo dei suoi passi.
Il negozio di scherzi, era, ovviamente,stracolmo di gente. Studenti curiosi, clienti abituali e genitori imbarazzati inviati dai figli a comprare quello scherzo di cui proprio non potevano fare a meno.
«Buongiorno, branco di troll» si annunciò Anastasia, trovando un Ronald Weasley fin troppo assonnato intento a sistemare degli scaffali  tre metri d’altezza.
«Buongiorno a te, Anya» le rispose, fingendo di sorridere. «E bentornata»
Lei gli strizzò l’occhio e si assicurò, silenziosamente, che la scala su cui era fosse ben ancorata al suolo. «Sai dove posso trovare Robert?»
Lui con un cenno indicò la porta con scritto “riservato” e la caricatura di Gazza con aria minacciosa stampata sulla superficie, al di là della quale lei sapeva trovarsi il magazzino. Con lo stesso passo di poco  prima, raggiunse la porta e la aprì quel tanto che bastava per scivolare all’interno di qualche metro quadrato di scaffali e scatole, trovandovi il primogenito Black seduto su una pila di scatoloni sigillati. «Mostriciattolo!» esclamò vedendola entrare. «Adorabili, i tuoi occhiali»
«Dovresti comprarmene dieci paia, per non essermi venuto a prendere» sbuffò lei.
Lui alzò le braccia in segno di resa. «Sono imperdonabile» rispose. «Ma ciò non toglie che gli occhiali ti stiano d’incanto»
Anastasia sorrise e scosse la testa, guardandosi attorno per una manciata di secondi, sufficienti per capire come raggiungerlo. Lui non fece a tempo a dirle «Non ci pensare nemmeno» che lei era già seduta accanto a lui. Si sfilò lo zaino dalle spalle, per estrarne una scatola di legno e passarla al fratello con sguardo Malandrino.
Robert non ci mise più di un minuto ad aprirla. «Perfetto! È perfetto! Perfetto, perfetto, magnifico!»
«Deduco di aver trovato l’annata giusta» ironizzò lei.
«Oh, è perfetto!» esclamò di nuovo Robert. «Fred! George! Ron!»
«Non ti sentono, il negozio è pieno» sbuffò lei.
«Oh, ma loro lo devono vedere!» esclamò di nuovo. «Con questo, vedi, riusciremo a sistemare le Pasticche Vomitose Deluxe prima dell’inizio della scuola!»
«Tanto Gazza le bandisce comunque appena le mettete in commercio»
«Ed è quando Gazza bandisce un prodotto, le vendite vanno alle stelle» ammise lui con orgoglio. Fece per alzarsi da terra, quando notò l’espressione pensierosa della sorella.  «Anastasia» la chiamò.  «Mi dispiace di non essere riuscito a venirti a prendere, ieri mattina»
Lei gli fece una linguaccia, e poi con un cenno della mano gli fece capire di lasciare perdere.
«E sono contento che tu sia tornata»
«Lo dici solo perché ho trovato quello che mi hai chiesto di portarti»
Robert si girò di nuovo la scatola tra le mani. «Mi vuoi raccontare com’è andata? Voglio dire, lo sai che … sono sempre qui, per te»
Di nuovo, lei gli fece cenno di lasciare perdere. «A tempo debito, Robbie» minimizzò. «Ora hai delle Pasticche Vomitose Deluxe da progettare!»
«Quanto ti dobbiamo, a proposito?»
«Niente: fai solo in modo che Ted e Nicole ne abbiano una scorta, sarà uno strazio per loro quest’anno senza di me»
Robert sorrise e spiò di nuovo il contenuto della scatola. «Come farei senza di te?»
Lei si regalò qualche secondo per osservarlo, con la sua barba incolta e la camicia buona.  «Robbie?»
Lui alzò lo sguardo.
E lei scosse la testa, maledicendosi. «Niente, niente»
Il fratello le riservò qualche secondo di sguardo interrogativo, per poi tornare ad ammirare il suo regalo.


 
«Ti sei bevuta il cervello?!»
«Calmati»
«Draco Malfoy?!»
«Ho detto: calmati»
«Io mi calmo anche ma tu mi dici che cazzo ti dice la testa!»
Anastasia si voltò a guardarlo con occhi sbarrati: Ted Lupid aveva appena detto ‘cazzo’?
«Non farmi essere volgare, per favore» si corresse subito. «E oooh, aspetta che lo venga a sapere Nicole» aggiunse. «E Gabriel! E Lyall! E i tuoi fratelli!»
«Sì, e il Profeta e anche Hagrid!»
«Kayla e Harry ti tireranno i capelli»
«Mi sta bene, se è la cosa peggiore che tu riesca a pensare»
«E Robert ti chiuderà in casa e dirà a tuo padre di buttare la chiave»
«Grazie, Teddy» rispose lei, fingendo di fermarsi ad osservare una maglietta in quel negozio Babbano in cui si erano rifugiati. «Sei un amico, davvero»
«Non sono solo un amico: sono il tuo migliore amico»
«Ora che sono tranquilla!» esclamò lei, cercando uno specchio. «Che dici?»
«Non ti si addice, ora che stai per diventare una Malfoy»
«Sei un infame, Ted Lupin» si lamentò lei, riposando la maglietta al suo posto.
«Ma almeno so di avere una vita davanti»
«Intanto non lo sa nessuno, a parte te»
«E Hannah Abbott» sentenziò lui.
«Hannah Abbott sa tenersi le cose per sé» sentenziò di nuovo lei, prendendo un’altra maglietta questa volta per accostarla al petto dell’amico. «Non ti serviva qualcosa di verde?»
«Sì, ma non intendevo un Serpeverde trentenne affascinante e … come hai detto prima?»
«Non mi stai prendendo sul serio: questa è in saldo!»
«Come la tua vita se i tuoi fratelli dovessero sapere questa cosa!»
Anastasia non poté fare a meno di ridere, mentre sistemava la maglietta sulla sua gruccia e raggiungeva l’uscita del negozio. «A Robert lo devo dire» sentenziò, salutando le commesse con un gesto. «Voglio dire, ci siamo sempre detti tutto! Gli dico persino quando non riesco ad andare in bagno!»
«Questo per fortuna a me non lo dici» rispose lui con aria schifata.
«Quindi non esiste che io non lo dica a Robert!» si lamentò di nuovo lei, fingendo di guardare un abito da cocktail rosa che, lo sapeva bene, non avrebbe mai indossato.
Ted la guardò con aria pensierosa. «Hai detto di essere stata ai Tiri Vispi, questa mattina» le disse.
Lei capì subito, e posò la tazza per passarsi una mano nei capelli. «Perché non glielo hai detto?»
«Ci ho provato»
«Ma non lo hai fatto»
«Ti ho detto che ci ho provato»
«Che cosa vuol dire che ci hai provato?» domandò allora lui, provandosi un cappelli improbabile.
«Che ti sta d’incanto»
«Non giocare con me» la richiamò subito lui.
«Stavo per dirglielo, ma poi mi sono paralizzata. Contento?»
Ted scosse la testa. «Neanche un po’»
«Mi vuoi bene ugualmente?»
«Ti vorrò bene sempre» le disse lui con tono dolce e fermo. «Anche quando ti avranno uccisa»
 
 
 
(solito)  piccolo (ma neanche troppo) spazio autrice:
forse ce la facciamo. Su wattpad ho aggiornato a mezzanotte, ma efp faceva il prezioso. Ma forse, dico forse, ce la stiamo facendo. 
Dunque, vi dico due o tre cose per amor di cronaca, poi vi lascio in pace. 
Prima di tutto: per quanto mi rigurarda, The Cursed Child non esiste. L'ho letto, eh, l'ho letto tutto, e ho deciso di considerarlo il frutto di una sbronza triste di JKR. Questo non significa che non ne prenderò spunto, più avanti. 
Ho deciso di ignorare anche l'esistenza di Scorpius Malfoy, almeno per ora. Poi, si vedrà. 
Passando a cose un pochino più pratiche: Charing Cross Road è effettivamente la via dove si trova la facciata del Paiolo Magico, a Londra. E pare sia una traversa di Oxford Street, secondo Google. Mi preoccuperò di controllare appena mi sarà concesso tornare a Londra. 
Il Paiolo Magico è effettivamente il pub più vecchio d'Inghilterra, secondo i maghi, ma non secondo i babbani. 
Il fatto che Hannah Abbott sposi Neville Paciok e prenda in gestione il Paiolo Magico non è farina del mio sacco: l'ho letto su Potterpedia.
(Finalmente qualcosa che non ti sei inventata di sana pianta!)
Ah, ultima cosa: secondo i miei appunti, Anastasia è nata l'otto giugno ... beh, altra licenza poetica.
I diritti non sono tutti di JKR, per questa ff. Martha e la sua prole sono cosa mia, e ci faccio quello che mi pare. 


Bene, credo sia tutto. 
Ho una paura matta di andare OOC, sappiatelo. 
Spero di non deludervi, e ... bentornati. :) 


Fatto il misfatto 
C

 

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Capitolo 3
*** del pugno e del cappuccio ***


Se non ti spaventerai con le mie paure
Un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle
In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore
E su di me puoi contare per una rivoluzione
Tu hai l'anima che io vorrei avere
(En e Xanax, Samuele Bersani)


2. 
Del pugno e del cappuccio 

 
Pessima, pessima idea.
Complimenti, Anastasia Elizabeth Helen Black: ancora una volta hai trovato il modo per metterti nei guai e non ci hai pensato due volte a tuffatrici con tutte le scarpe.

E non è la solita scorrazzata nei campi da Quidditch all’alba con la scusa di allenarsi, questa volta. Non è qualcosa che si risolverà con una strigliata della McGranitt o un sospiro di delusione da Lumacorno.
Si rese conto di avere tutti i muscoli così tesi da provare dolore, pensando che fosse dannatamente innaturale quel buio in pieno giorno, persino per essere nel cuore di Notturn Alley.
Pessima, pessima idea.
Quello non poteva essere Edward.
Edward se ne era andato, e non sarebbe più tornato. Lo aveva detto chiaro e tondo, senza lasciare spazio ad equivoci di nessun tipo. Involontariamente, riassaporò il momento in cui l’aveva lasciata, senza darle possibilità di replica. Se n’era andato, e non aveva intenzione di tornare. Almeno, non per lei.
Era impossibile che fosse tornato, ed era impossibile che quello che aveva visto fuori dai Tiri Vispi fosse lui, così come era impossibile che si fosse diretto a Notturn Alley. Quindi, aveva pedinato uno sconosciuto, lo aveva perso e ora si trovava tra l’Emporio di Magia Nera e Magie Sinister, in shorts, parigine e anfibi, con tutti i sensi all’erta e la bacchetta così stretta in mano da avere male ai polpastrelli.
Pessima, pessima idea.
Complimenti, Anastasia
.
Qualcosa le strattonò il braccio.
Lei, d’istinto, tirò un pugno immediato, riconoscendo Draco solo quando li vide coprirsi il volto con le mani. «Merlino!»  imprecò il biondo. «Mi hai rotto il naso!»

«Mi hai spaventata!» si giustificò lei, cercando di avvicinarsi per verificare se effettivamente gli avesse rotto il naso.
«Oh io avrei spaventato te!» sputò lui, costringendosi ad aprire gli occhi per guardare il cielo praticamente invisibile da quella zona di Notturn Alley e fingere di non provare alcun dolore.
«Credi che sia proprio rotto?» azzardò lei, ignorando la maschera di sangue che ricopriva il suo viso regale.
«Beh, senz’altro hai fatto centro»
Lei riuscì a sorridere  e scosse la testa, per tendergli la mano. «Vieni»
«Non vengo da nessuna parte, con te» sentenziò lui, premendosi di nuovo le dita tra gli occhi e rivelando di aver perso molto più sangue del dovuto. Lei scosse di nuovo la testa e gli afferrò il braccio, sentendo sotto la camicia dei muscoli di cui ignorava l’esistenza.
In una frazione di secondo, si erano Smaterializzati in un vicolo cieco, ma sicuramente molto più luminoso e quieto di Notturn Alley, pieno di topi e spazzatura.
«Black, ma che schifo
«Non ti lamentare, okay?» lo screditò in fretta lei. «Vieni» gli disse di nuovo, questa volta senza tendergli la mano.
«Mi pareva di essere stato chiaro, al riguardo» borbottò lui, mentre comunque le camminava dietro. Ripercorrendo il vicolo cieco, si trovarono in una zona di Londra semideserta. Lei, a passo spedito, si diresse al piccolo caffè alla loro destra, arredato con mobili color pastello e con appese alle pareti i quadri dei migliori impressionisti.
«Lottie, ti prego, dimmi che hai del ghiaccio» disse, entrando con decisione.
Dietro il piccolo bancone, una donna di nemmeno quarant’anni si affrettò ad aprire il piccolo frigorifero sotto alla cassa per recuperare immediatamente ciò che la ragazza le aveva chiesto.
«Buon Dio, che gli è successo?!» domandò, porgendoglielo con sincera preoccupazione.
«Mi ha spaventata» ripeté decisa lei, imponendo a Draco di sedersi su una di quelle poltrone e posandogli con dolcezza il ghiaccio sul viso.
Lui non riuscì a trattenere un gemito di dolore.
«Lo so, lo so: passerà presto» cercò di tranquillizzarlo.
Lui aprì un occhio e la guardò, sentendosi quasi dispiaciuto nel vederla così preoccupata, accovacciata a terra accanto a lui. Sospirò e portò la sua mano sul ghiaccio, facendo segno a lei di stare tranquilla. «Che vuol dire che lo sai?» domandò.
«Che anche io mi sono rotta il naso, anni fa»
«Ti hanno preso a pugni?»
«Ah-ah» rispose lei scuotendo la testa.
«E allora, come?»
«Primo allenamento di Quidditch»
Lui non riuscì a soffocare una risata, mentre si lasciava cadere sulla poltrona. «Bolide?»
Lei scosse la testa. «Se te lo dico, prometti di non ridere?»
«Assolutamente no» rispose prontamente lui, allontanando il ghiaccio dal viso per posizionarlo meglio.
In contemporanea, la barista Lottie tornò da loro con un panno umido. «Tieni, caro, almeno pulisciti dal sangue» disse, con tono preoccupato.
Lui aprì gli occhi e si trovò per istinto sulla difensiva: mano alla bacchetta e schiena dritta. Non era assolutamente abituato al fatto oche una sconosciuta gli si avvicinasse tanto, anche se con tutte le buone intenzioni.
Anastasia sembrò impercettibilmente notarlo, e fece segno a Lottie di passarle il panno, scusandosi per il disturbo e ringraziandola per il pensiero, in una manciata di parole così dolci e cordiali che Draco ebbe l’impressione di non aver mai sentito in vita sua.
Vedendola così in piedi davanti a lui, non poté fare a meno di guardarle le cosce, esteticamente perfette e straordinariamente lunghe, che scomparivano in delle parigine grigie che le avvolgevano le ginocchia e i polpacci muscolosi.
Lei, di nuovo, lo notò: con il pollice e l’indice gli afferrò il mento e lo costrinse a tornare a guardare verso il soffitto, senza però impedirgli di fare caso ad un nuovo particolare. «Ma non eri bionda?»
La sentì accennare un sorriso mentre posava quel panno umido sul suo viso, mentre con il ginocchio si appoggiava ai suoi pantaloni di velluto. «Trucchi del mestiere»
«Sono sicuro che fossi bionda»
«Sei sicuro di troppe cose, tu»

«Questa è una di quelle di cui sono più sicuro»
«Non ho di certo detto che ti stai sbagliando»
Era un sussurro: il suo viso era così vicino a quello di Draco, che non aveva bisogno neanche di parlare ad un tono di voce normale. Le bastava un sussurro. In più, quel maledetto ginocchio pareva ormai incollato al suo interno coscia, e deciso a rimanerci.
«Quindi eri bionda» sentenziò.
«Lo sono all’occorrenza»
Aprì un occhio, trovandola intenta a pulirgli il viso, con i suoi liscissimi capelli neri corvini. «E come fai?»
«Non ti rivelerò i miei segreti» sorrise lei, sfiorandogli la mano per spostare leggermente il ghiaccio e pulirgli uno zigomo.
«Come ti sei rotta il naso, al tuo primo allenamento?»
«Non mi hai ancora promesso che non riderai»
«Io non prometto niente a nessuno, Black»
«Ho tre nomi: perché devi usare il cognome?» chiese quindi lei, allontanandosi quel tanto che bastava per prendere il panno pulito che Lottie le stava porgendo e passarglielo sul viso con altrettanta delicatezza per asciugarlo. «Comunque non è rotto: altrimenti avresti urlato di dolore, mentre ti pulivo»
Si sentì invece stranamente sollevato quando lei staccò il ginocchio dalla sua gamba. «Devi essertelo rotto molte volte, il naso, per esserne così sicura»
Ma lei stava scrutando il suo setto nasale con espressione davvero pensierosa. «Tieni su quel ghiaccio» lo rimproverò. «Grazie, Lottie, sei sempre preziosa» disse poi alla barista con tono dolce. «Mi fai un cappuccio dei tuoi, per favore?» Non lo riuscì a vedere, ma probabilmente lei lo aveva indicato, perché Anastasia aggiunse subito: «Uno anche per lui, e metti tutto sul mio conto, grazie»
Quando la sentì sedersi di nuovo sulla poltrona accanto alla sua, smise di tenere il viso verso il soffitto per permettersi di guardarla, e si stupì nel trovare sul suo viso un ghigno divertito.
«Ci posso provare»
«A fare che?»
«A non ridere»
«No, biondo: ti ho chiesto di promettermelo, non di provarci»
«Va bene: allora dimmi che cosa Merlino ci facevi davanti a Magie Sinister»
«Potrei farti la stessa domanda»
«Sai benissimo che ci ho passato più tempo di quanto mi piaccia ammettere»
«E allora? Eri lì in memoria dei bei vecchi tempi?»
«Anastasia»
«Oh allora te lo ricordi, il mio nome»
«Anastasia Elizabeth Helen Black, quello non è un posto adatto a te»
«Ci sono finita per caso» ammise lei, mentre Lottie tornava con un vassoio contenente due tazze giganti. «Ho visto uno che mi sembrava … qualcuno. Qualcuno che conoscevo, e che non sarebbe dovuto essere lì. Quindi l’ho seguito e mi sono trovata lì»
«E che ci faceva lì, quel qualcuno?»
«Non lo so, non era quel qualcuno, te l’ho detto, ci assomigliava e basta. Grazie, Lottie»
«Grazie molte, Lottie» si concesse lui con tono cordiale. «Per tutto»
«Oh, non c’è di che» si compiacque lei. «E per la cronaca, stai meglio senza sangue e con un po’ di parole gentili a fior di labbra»
Anastasia svuotò una bustina di zucchero nella sua tazza mentre rideva sotto i baffi, e Lottie si allontanava muovendo il sedere.
«Non ci ero mai stata, a Notturn Alley. Ne ho sempre sentito parlare, ma ti giuro che non ci ero mai stata. Per questo quando mi hai afferrato il braccio, mi sono spaventata così tanto»
Lui si trovò stupito di come lei riuscisse a risultare sempre così sincera.
«Però alla fine è stata una fortuna, voglio dire … che fossi tu, è stata una fortuna»
«Oh, infatti ne sono proprio felice» rispose lui con tono sarcastico, indicando il suo viso ancora gonfio.
«Tieni il ghiaccio» lo rimproverò di nuovo lei, chinandosi verso il tavolino per raccogliere la tazza. «E bevi: è il cappuccio più buono che tu possa trovare nella Londra babbana»
«Non che io ne abbia bevuti molti altri» ammise, scuotendo la testa. Si trovò di nuovo a guardarla, scoprendola in contrasto con l’immagine che aveva di lei, qualche giorno prima, al Paiolo Magico e poi a passeggio per Londra.
«Credo di preferirti con i capelli scuri» ammise come se stesse concludendo una lunga e complicata riflessione, dopo aver individuato da cosa nascesse il contrasto tra il ricordo che aveva ed il presente immediato.
«Le sue preferenze saranno tenute in considerazione, signor Malfoy» sorrise lei. «Ma non se queste sono date dalla mia somiglianza con mia sorella Kayla quando ho i capelli scuri»
«Le somigli anche da bionda, se è  per questo»
«Kayla è molto, molto più bella di me, bionda o non bionda, e lo sappiamo entrambi»
«Ogni quanto cambi colore di capelli?» sviò il biondo, afferrando la sua tazza con entrambe le mani.
«Ogni quanto mi va» ammise lei, accavallando le gambe  lentamente mentre lui si sforzava di non guardarle.
«Ah, e per la cronaca: al mio primo allenamento sono caduta dalla scopa»
Draco allontanò la tazza dal suo viso per evitare di sputarci dentro, mentre con un tovagliolo si copriva la bocca.
«E l’ho detto solo perché avrei scommesso le palle che ti saresti sbrodolato come un poppante»
«Ma tu non le hai, le palle»
«Fa niente, avrei scommesso le tue»
«Oh, grazie tante» continuò a ridere lui. «Caduta dalla scopa? Come è possibile? Voglio dire … Harry e Robert volano divinamente! Non te lo hanno insegnato?»
«Oh, certo che me lo hanno insegnato: è solo che mi sono lasciata prendere dal panico, appena entrata nella squadra, e quando ho messo il culo sulla scopa, sono finita a terra di faccia»
Glielo avrebbe raccontato altre mille volte, per vederlo ridere così di gusto.
Senza contare che, probabilmente senza accorgersene, aveva fatto un notevole complimento ad Harry e Robert di sua spontanea volontà.
«Oh, e per dirla tutta: non lo sa nessuno. Ho fatto giurare a Madama Chips e a Minerva di non dirlo ad anima viva»
Lui si sforzò di tornare serio: si sistemò la camicia e fece un respiro profondo, per tornare a starsene seduto con la schiena dritta al bordo della poltrona.
«Lo hai detto solo a me?»
Anastasia annuì.
«E perché?»

«Perché me lo hai chiesto» ammise. «Se Robert stasera mi chiedesse se mi sono mai rotta il naso, glielo direi e ti libererei di questo peso insostenibile»
Draco sorseggiò un altro po’ di cappuccio e si guardò attorno. I colori tenui, la musica da sala, i quadri ben posizionati, e l’odore di caffè e di dolci rendevano quel posto davvero gradevole. E se normalmente trovarsi in un posto del genere gli avrebbe fatto venire l’orticaria, la presenza di Anastasia lo faceva sentire stranamente tranquillo e rilassato.
«Sinister è un adulatore di mio padre» ammise poi, sottovoce. «L’ultimo, forse. Lui … mi ha chiesto di andarlo a trovare, di tanto in tanto» continuò, fissandosi sugli anfibi della ragazza. «Quando trovo qualcosa con lo stemma dei Malfoy o dei Black che so che non mi servirà, glielo porto e gli chiedo di venderlo al primo acquirente, e lui ne è stranamente felice» riportò lo sguardo sul viso della ragazza, per trovare lo sguardo più dolce di sempre.
«Lo vedi che non si un mostro senza cuore?»
«Sono solo uno con il naso rotto, forse»
«Non è rotto!» s’incaponì di nuovo lei.
«Non ci andare più, a Notturn Alley»
«Promesso»
«E non fare promesse» aggiunse, lasciando la tazza sul tavolino.
«Stai avanzando troppe pretese, per i miei gusti»
«Ehi: mi hai rotto il naso, cambia tono con me»
Lei lo guardò e scosse la testa, mordendosi il labbro. «Ti ho anche offerto il miglior cappuccio di tutta Londra»
«Ora che tutta questa faccenda ha tutt’altro sapore» rispose lui, nuovamente sarcastico.
«Certo: è il sapore di quel cappuccio»
Draco alzò gli occhi al cielo e fece leva sulle ginocchia per alzarsi dalla poltrona. Si stirò la camicia con le mani, e si perse a guardare la copia de Donna con il parasole girata verso destra appeso alle spalle della giovane Black. Poi abbassò lo sguardo per guardare lei, trovandola già intenta a scrutarlo a sua volta, senza nessuna intenzione di alzarsi.
«Vai?»

«Devo … finire delle cose» ammise sottovoce. «Ma … grazie, davvero. Del pugno e del cappuccio»
Il sorriso sul volto di Anastasia si fece più grande. «E dillo, a Robert. Del naso, intendo»
Lei annuì.
Lui le regalò l’accenno di un sorriso e poi si diresse verso l’uscita, ringraziando nuovamente Lottie con un gesto della mano. Quando si voltò per l’ultima volta, prima di chiudersi la porta alle spalle, trovò Anastasia con dipinto di nuovo in viso il suo ghigno malandrino.
«E per la cronaca, no» aggiunse poi, in uno slancio di sfacciataggine, così che anche le due signore babbane in fondo al locale lo potessero sentire. «Kayla non è più bella di te. Anzi» E, con il suo passo aggraziato, si lasciò la porta alle spalle, sicuro che Anastasia avrebbe allargato ulteriormente quel sorriso mozzafiato.
 
 
Blaise Zabini non riuscì a non ridere, trovandosi davanti alla porta Draco Malfoy, il cui naso occupava tutto il volto ed era diventato di un colore troppo simile al viola. «Per Salazar, che ti è successo?!»
Draco scosse la testa e gli fece segno di entrare in casa. «Ce ne hai messo, di tempo» si lamentò.
«Non mi hai risposto» si lamentò l’amico, cercando di avvicinarsi per verificare il danno, mentre lui si riposizionava una sacca di ghiaccio al centro del viso.
«Non lo riesco a sistemare, da solo» continuò il biondo, senza ascoltare minimamente l’amico.
«Nessuno può sistemarsi il naso da solo, amico»
«Per questo ti ho chiamato» esclamò Draco.

«Non ti sistemerò il naso, se non mi dici che ti è successo»
Draco sembrò rifletterci per qualche secondo, al centro dell’atrio della Malfoy Manor. «Mi sono preso un pugno, va bene?»
Blaise non riuscì a trattenere un sorriso. «Hai fatto a pugni, Draco? Alla nostra età
«Ho detto che ho preso un pugno, non che ho fatto a pugni» sottolineò lui, allontanando il ghiaccio per specchiarsi in una finestra mentre camminava per la tenuta.
«Quindi le hai solo prese?!» rise di nuovo Zabini.
«Fottiti» sputò Draco, raggiungendo lo studio di Lucius. Aperti, sulla scrivania nera, si trovavano due libri di Medimagia. Blaise si avvicinò all’amico per guardare dove lui gli stesse indicando. «Dovrebbe essere questo, o questo, o forse quest’altro, o non lo so»  per la prima volta, Blaise sentì nella voce dell’amico una punta di paura, mista a fin troppo nervosismo.
«Siediti, razza di troll» gli disse, sfogliando quei libri e indicandogli la poltrona di Lucius. «Ti farà male»
«Più di così?!» si lamentò lui, lasciandosi cadere su quella poltrona.
Blaise sorrise di nuovo ed estrasse la bacchetta dall’apposita tasca, poi con passo leggero, si avvicinò all’amico. Con un semplice colpo di bacchetta, il naso di Draco riprese la sua forma ed il suo colorito normale e smise di sanguinare.
«Draco» lo richiamò dopo qualche secondo, per costringerlo ad aprire gli occhi.
Lui ne aprì uno soltanto, con aria impaurita. «Finito?»
«Finito» lo tranquillizzò Blaise, spingendolo nuovamente sulla poltrona quando lui cercò di alzarsi. «Draco, dimmi chi ti ha preso a pugni»
Lui alzò gli occhi al cielo e roteò la testa. «Non ha importanza»
Blaise non sembrava per nulla convinto di quella risposta. «Non ti stai mettendo in qualche guaio, vero? Voglio dire, con qualche vecchio nemico dei tuoi o di tua zia o cose simili»
«No!» sputò lui, alzandosi dalla poltrona per raggiungere il gigantesco specchio che stava sopra al camino. «Ho smesso con certe cose, dovresti saperlo»
«Quindi sei stato solo preso a pugni?»
«Sì! E comunque è stato un pugno soltanto!»  continuò a lamentarsi, scrutandosi la faccia davanti allo specchio.
«Un pugno soltanto?!» si stupì l’amico. «Oh, Morgana! Questo deve essere un ottimo tiratore!» Draco accennò un lieve sorriso, che l’amico finse di ignorare.  «Cos’è, un Cacciatore? Deve essere un Cacciatore tutto muscoli»
Draco allargò il sorriso e si strinse nelle spalle, mentre per una frazione di secondo, rivide il momento in cui Anastasia accavallava le gambe, davanti a lui, con tutta la nonchalance che le era propria.
«Non lo so, amico» si trovò ad ammettere, impegnando tutte le sue forze per non pensare alla giovane Black e alle sue dannate parigine.
«Non lo conosci?»
«Di nuovo: non ha importanza»
Blaise sapeva quanto Draco odiasse ripetersi, quindi gli bastò quel tono scocciato per guardarsi attorno rapidamente e decidere che fosse ora di levare le ancore. «Beh, vecchio mio, io me ne andrei» disse quindi, ciondolando avanti e indietro. «Non dico che sia stato bello vederti in quello stato, ma quantomeno è stato divertente vederti piagnucolare dicendo che non riuscivi a sistemarti il naso da solo»
Draco smise di osservare il suo riflesso e si voltò verso Blaise. «Ti devo un favore»
«O un naso nuovo, dipende» aggiunse l’altro, dirigendosi verso la porta. «Salutami Narcissa!» esclamò, chiudendo la porta dietro di sé, e Draco sapeva che non c’era alcun bisogno di accompagnarlo alla porta principale o guardarlo Smaterializzarsi a metà  del giardino.
Blaise era la cosa più vicina ad un fratello che avesse mai avuto, e che probabilmente avrebbe mai potuto avere, ed era da tempo che avevano eliminato certe formalità per sostituirle con cose più comode come il fatto che l’uno corresse dall’altro, nel momento del bisogno. E non glielo aveva mai detto, ma questa cosa gli piaceva molto.
 

piccolo angolo autrice (come sempre non richiesto e non indispensabile)
si avvisano i gentili lettori che i capitoli hanno lunghezza variabile. Mi pongo una lunghezza minima (questo, per dire, è lungo il doppio rispetto alla lunghezza minima) ma da lì in poi ... chi lo sa! 
Attendo pareri & recensioni. Come sempre. 

Fatto il misfatto,
C

 

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Capitolo 4
*** un pugno solo! ***


è giusto quel che dici, ma i tuoi calci fanno male 
io non ti invidio niente, e non ho niente di speciale 
ma se i tuoi occhi fossero ciliegie, 
io non ci troverei niente da dire ... 
e non c'è niente da capire!
(F. De Gregori, Niente da capire) 


Ad Alessandro, 
per essere tornato. 
O forse, per non essersene mai andato. 



3. 
un pugno solo!


«Oh, ti prego, non fare quella faccia»
«E che faccia dovrei fare?!»
Anastasia alzò gli occhi al cielo. «Lo sapevo, che non ti dovevo dire niente»
Ted allargò le braccia e tornò ai fornelli. «Non hai altri, con cui parlarne»
Lei gli face il verso e si sedette sul bancone accanto ai fornelli dove lui stava trafficando. «Che prepari, oggi?»
«Nasi nuovi» sorrise Ted, alzando il coperchio di una pentola che sembrava bollente. «I tuoi fratelli li adoreranno»
Anastasia alzò gli occhi al cielo e sbuffò, mentre Harry Potter faceva il suo ingresso in casa Lupin allentandosi la cravatta. «Che cosa, adoreremo?»
«Sicuramente non il modo in cui ti sei pettinato» rispose prontamente la sorella, mentre lui si avvicinava per baciarle dolcemente la guancia, e lei, senza nasconderlo, se ne beò. «Auguri, vecchiaccio» gli disse, poi.
Subito dopo, anche Hermione fece il suo ingresso, con espressione altrettanto stanca.
«Gliel’ho detto anche io, che pettinato così è inguardabile!» sorrise la Grifondoro ad Anastasia. «Ma non sente ragione»
«Sono indomabili» si giustificò Harry, cercando di riflettersi nella finestra.
«Lo sono sempre stati» gli disse Ted. «Buon compleanno, Harry» gli disse poi anche lui, battendogli una mano sulla spalla in modo fraterno.
«Ted, tu da che parte stai?» domandò immediatamente Harry posandogli una mano sulla spalla per sporgersi a vedere cosa stesse cucinando.
«Non dalla parte della lacca» sorrise il cuoco.
«È gel»
«Peggio!» risero in coro i tre, mentre anche Robert faceva il suo ingresso in casa Lupin, spegnendo la sigaretta.
«Uh, mia moglie» disse, avvicinandosi per baciarle con delicatezza le labbra. Poi si avvicino ad Anastasia e con la stessa dolcezza di Harry, le baciò la guancia e si sedette accanto a lei sul bancone per passarle un braccio attorno alle spalle. «George e Fred faranno un po’ tardi»
«Peggio per loro» si annunciò Ronald. «Più cibo per me» Batté il cinque a Robert e Anastasia e accolse l’abbraccio di Hermione, per poi guardare il suo migliore amico. «Miseriaccia, Harry, come ti sei pettinato?»
«Ci abbiamo già discusso tutti, Ron» gli disse Anastasia. «Pare sia convinto di stare bene»
«Sicuramente sto meglio di prima» si difese Harry.
«Sarà colpa della vecchiaia. E aspetta che ti veda papà» gli disse Robert, aprendo un pacchetto di patatine. «Uh, prima che arrivi Kayla o la mamma: qualcuno sa se quel pezzente di Draco Malfoy si sia messo in qualche pasticcio?»
Anastasia stava rubando il pacchetto di patatine dalle mani del fratello maggiore, quando si sentì gelare il sangue nelle vene.
«Non è che io ci parli troppo, Robert» rispose Harry, avvicinandosi per rubare una patatina dal pacchetto che la sorella teneva troppo stretto tra le mani.«Ma dimmi: ti sei svegliato stamattina pensando a Malfoy o sai qualcosa che noi non sappiamo?»
«Spero davvero che tu non ti sia svegliato pensando a Malfoy» replicò secca Hermione.
«Deficienti. L’ho incrociato oggi e pareva proprio che avesse il naso rotto»
Anastasia si schiarì la voce, sperando che non tremasse o comunque, che loro non se ne accorgessero. «Sicuro che fosse rotto?»
«Beh, sicuramente non era messo bene» replicò il fratello maggiore.
Ron si strinse nelle spalle. «Se lo sarà meritato» decretò. «Parola mia, quello non metterà mai la testa a posto»
«A me sembra molto più tranquillo da dopo la battaglia» lo contestò Harry. «Quasi pentito»
«Pentito è un parolone» ribatté Robert. «Però sicuramente da quando è morto suo padre lui è più tranquillo»
«Suo padre è morto?»
Anastasia ringraziò silenziosamente Ted per aver dato voce ai suoi pensieri.
«Sì, non più di quattro anni fa» rispose Hermione. «Ricordo che ero incinta, quando l’ho saputo»
Robert la indicò e annuì, masticando una patatina. «Vero» le disse, coprendosi la bocca. «Ce lo disse Andromeda: d’altro canto, era comunque suo cognato»
Quella banale considerazione colpì Anastasia come uno schiaffo in pieno viso. O forse, proprio come un pugno sul naso.
«Comunque adesso voglio sapere chi lo ha preso a pugni» borbottò Harry con aria pensierosa.
«Un pugno solo» si lasciò sfuggire Anastasia.
Tutti, di scatto, si voltarono a guardarla.
Oh, cazzo.
«Sai qualcosa?» chiese immediatamente Robert.
«Come hai detto?» lo seguì a ruota la moglie.
«Anya, ma che dici?» aggiunse Harry.
«Non sai se sia stato preso a pugni» rispose, spalancando gli occhi e gesticolando nervosamente. «Sai che si è preso un pugno e credi che gli abbia rotto il naso. Anzi, forse non era neanche un pugno»
«Fidati, quello era un pugno, e anche un bel pugno» le rispose subito Robert.
«Odio quando fai la persona così ragionevole, Anya» le disse Ron. «E poi certo che si è rotto il naso!»
La porta si aprì di nuovo, accogliendo George, Fred, Kayla e la sua pancia gemellare di quattro mesi portata con fatica. Alla vista della sorella, Anastasia capì che l’argomento “Draco” si sarebbe chiuso fino a che lei non se ne fosse andata, e si sentì sollevata. Ted, così rapido da farsi a malapena notare, le strizzò l’occhio.
«I gemelli sono arrivati, gente! Tutti quanti!» annunciò George trionfante . «Può iniziare la festa! Auguri, Prescelto!»
«Mamma e papà stanno parcheggiando la moto» disse Kayla, lasciandosi cadere su una sedia mentre scrutava Harry con aria perplessa. «Hai forse messo della lacca?»
«È gel» rispose lui fieramente.
«Fossi in te non ne andrei così fiero» gli disse il primogenito.
«Neanche un po’» aggiunse Anya.
«Mi unisco al coro» sorrise Kayla. «Di che parlavate?»
«Lyall» rispose subito Ted, spegnendo i fornelli. «È diventato Prefetto» annunciò, sorridendo. «La lettera è arrivata stamattina»
Kayla fece un sorriso a trentadue denti e si portò le mani sul viso. «Oh Merlino! Chissà Remus come è fiero!»
Ted annuì con estasi. «Infatti mamma e papà sono con lui a Diagon Alley a comprare una divisa nuova»
Robert riposizionò il braccio attorno alle spalle della sorella minore. «Stai bene, mostriciattolo?» le sussurrò, approfittando dell’entusiasmo generale per l’annuncio prontamente dato da Ted.
Helen si voltò verso il fratello ed annuì. «Sì» mentì. «Perché?»
«Ti sei incupita» spiegò Robert. «Pensi troppo, come sempre»
Anya gli strizzò l’occhio e lasciò che lui le baciasse la tempia e la stringesse a sé. «Hai ragione» chiuse gli occhi e si concesse di abbandonarsi a quell’abbraccio colmo d’amore, così che quando Sirius e Martha fecero il loro ingresso, seguiti da Lyall, Remus e Dora, non poterono fare a meno di commuoversi davanti a quella scena.


 
Draco rientrò in casa dalla porta sul retro, reduce dal suo allenamento giornaliero, con addosso soltanto i vecchi pantaloni da Quidditch dei tempi della scuola, incurante del sudore che gocciolava sulla moquette dalle punte dei suoi capelli zuppi. Appellò un bicchiere di acqua e lo trangugiò, per poi accorgersi che Kora, l’elfo domestico, esitava sulla porta della cucina.
«Qualcosa non va, Kora?» domandò, senza nascondere il fiatone.
«Kora si scusa per l’intrusione, padron Draco, Kora sa bene che al padrone non piace essere disturbato durante l’allenamento» disse subito lei. «Ma la signorina Black attende il padrone nell’atrio»
Draco si passò una mano nei capelli, voltandosi verso la porta finestra da cui era appena entrato per nascondere un ghigno che, a sua volta, nascondeva un sorriso. «La signorina Black, hai detto?»
«Sì, padrone»
Draco si trovò a scuotere la testa, inzuppando le sue stesse spalle e la moquette. «Kora …» si portò entrambe le mani sul viso. «Intendi … intendi  Anastasia Black, non è vero?»
«La signorina Black ha avvertito Kora che padron Draco le avrebbe posto questa domanda» rispose di nuovo prontamente l’elfa, quasi divertita. «Ha chiesto a Kora per favore di non rispondere, padron Draco»
Questa volta, non riuscì a nascondere un sorriso, fin troppo contento della tacita risposta. «È tanto che aspetta?»
«Non più di un quarto d’ora, padron Draco»
«Ti ringrazio, Kora» rispose allora con il solito tono freddo.
«Kora deve avvisare la signorina Black che padron Draco sta arrivando, padrone?»
«No, non ce n’è alcun bisogno» le disse, passandole oltre, mentre lei con naturalezza, schioccò le dita e scomparve, e lui percorreva a grandi passi le varie zone della casa per raggiungere l’atrio principale.
Si era appena reso conto di stare quasi correndo, quando giunse a destinazione.
Lei era di spalle: stava osservando l’enorme arazzo posizionato appena accanto alla porta principale, ritraente lo stesso Draco, appena diciassettenne, suo padre Lucius ed il padre di Lucius, Abraxas Malfoy.
Lui aveva odiato quel quadro così tanto da non farci più neanche caso, ma la scena che gli si parava davanti agli occhi, lo spinse a riconsiderarlo notevolmente.
Lei era vestita completamente di nero, teneva un piede davanti all’altro come una ballerina e stava con la testa rivolta verso l’altro, intenta a scrutare quelle tre espressioni impenetrabili ed identiche, le mani intrecciate che giocavano tra loro dietro la schiena, mentre i capelli scuri le accarezzavano la schiena con delicatezza e lui si sforzava di smettere di fissarle il sedere che sembrava scolpito nel marmo.
«Black?» chiamò.
Lei si voltò, per mostrargli il suo sorriso gentile. «Perdonami, il tuo adorabile elfo mi ha detto che ti stavi allenando e che non potevi essere disturbato» esordì, dispiaciuta. «Ero passata solo per controllare che stessi bene» E, con un gesto, si toccò il naso per accennare all’incidente del giorno prima. «Ma mi pare sia tutto a posto»
«Ho trovato l’incantesimo per sistemarlo»rispose lui fiero.
«E sei riuscito a fartelo da solo?» si stupì lei.
«No, no. Ho chiamato Zabini»
Anastasia annuì, come se la cosa fosse ovvia, mentre lui, con un gesto, indicò il quadro alle sue spalle. «Non credere a tutto quello che vedi in questa casa»
Lei sembrò non capire.
«Il quadro, intendo. È falsissimo. Mio nonno è morto ben prima di quel quadro» raccontò. «Ma mio padre voleva assolutamente un’immagine del genere, da tenere nel salotto principale, quindi ha fatto fare un dipinto a noi due appena sono diventato maggiorenne e poi ha fatto aggiungere mio nonno»
Anya si voltò di nuovo a guardare l’opera. «Beh, è uscito bene» ammise. «Ma immagino che questo non sia il salotto principale»
Draco scosse la testa, per poi fingere di guardarsi attorno. «Perspicace» ammise, con aria pensierosa. «Se hai del tempo da perdere, ti ci porto» aggiunse subito, uccidendo l’imbarazzo che lei iniziava a temere. «Però ti chiedo di aspettare ancora qualche minuto perché devo assolutamente farmi una doccia»
Anastasia gli sorrise, e lui non poté che ricambiare. Poi, lentamente, annuì, ed il sorriso di lui si allargò. Portò le mani avanti, come a voler fermare l’immagine di lei in piedi nell’atrio, e fece un saltello all’indietro. «Resta lì, okay? Ci metto un attimo. Mando Kora a portarti qualcosa da bere»
Lei stava per ribattere che no, non c’era bisogno, che sua cognata Hermione aveva speso gli ultimi diciotto anni a spiegarle perché fosse sbagliato avere degli elfi domestici, ma lui era sparito saltellando all’indietro e lei era rimasta sola in quell’atrio dai colori freddi. Passarono giusto una manciata di secondi prima che l’adorabile Kora riapparisse davanti a lei con un sorriso allegro. «Buonasera di nuovo, signorina Black» le disse.
«Buonasera a te, Kora» rispose allora imitando una riverenza per farla ridere.
«Padron Draco ha chiesto a Kora di offrire alla signorina Black qualsiasi cosa lei desideri bere o mangiare»
«Non sono né affamata né assetata, Kora, ti ringrazio di cuore»
«Padron Draco ha avvisato Kora che la signorina Black avrebbe detto di non avere bisogno di nulla, signorina, ma Kora intanto la prega di seguirla nello studio così da potersi sedere e leggere un buon libro per ingannare l’attesa»
«Credi che ci metterà così tanto che farò in tempo a leggere un libro intero, Kora?» ridacchiò lei, mentre seguiva l’elfo lungo un corridoio ancora pi cupo dell’ingresso.
«Kora crede che, contrariamente a quanto sembri,  padron Draco sappia essere davvero imprevedibile» rispose allora, aprendo una doppia porta per spostarsi e farle segno di precederla.
Lei entrò con aria timida ma garbata e si guardò attorno, trovandosi nella versione più cupa della sala comune Serpeverde: caminetto, divani, una poltrona, una scrivania con sedia di pelle, vecchi ritratti di antenati, e le pareti ricoperte da scaffali che straripavano di libri antichi.
«La signorina Black può accomodarsi dove preferisce»
«Chiamami pure Anastasia, Kora»
L’elfa sembrò in imbarazzo. «La signorina Anastasia è sicura di non gradire nulla da mangiare o da bere?»
«Più che sicura, Kora, grazie di nuovo» la rassicurò Anastasia, avvicinandosi alla libreria. «Posso?» chiese, indicandola.
«Naturalmente, signorina Anastasia» rispose prontamente Kora. «Padron Draco ha chiesto che la signorina Anastasia fosse a suo agio nell’attesa»
«Sono perfettamente a mio agio, non ti preoccupare» la rassicurò di nuovo, incuriosita dai vecchi libri.
«La signorina Anastasia può chiamare Kora in qualsiasi momento» specificò allora l’elfa.
«Lo terrò a mente»
Non seppe mai quanto tempo passò: sapeva che si era persa nel leggere i vari titoli di quei libri impolverati, tenendo le mani allacciate dietro la schiena come le era stato spiegato da piccola, avendo la chiara sensazione che se avesse sfiorato una sola rilegatura, si sarebbe aperto un passaggio per qualche altra stanza, come nei vecchi film che guardava  nei lunghi pomeriggi d’inverno con i suoi fratelli. Osservò ogni dettagli di quello studio, immaginando un giovane Draco davanti al caminetto, o un Draco più adulto mentre sfilava un libro dalla libreria per accomodarsi a leggerlo sulla scrivania.
Quando si voltò, lo trovò appoggiato allo stipite della porta, sul viso la stessa espressione pensierosa che probabilmente sfoggiava lei.
E, istintivamente, si sorrisero.

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Capitolo 5
*** è sempre lui a guardare me ***


Don't you know too much already?
I'll only hurt you if you let me
Call me friend, but keep me closer
And I'll call you when the party's over
(When the party’s over, Billie Ellish)


A Marco, 
per tutte le volte in cui non ci siamo scelti, 
e per tutte quelle in cui, invece, lo abbiamo fatto 
ma senza dircelo. 

4. 
è sempre lui a guardare me 

 
«Nemmeno un succo di zucca?»
Lui, con i capelli umidi e una camicia grigio topo, tre bottoni slacciati, appoggiato allo stipite della porta, l’espressione più sincera che lei gli avesse mai visto dipinta sul viso.
«Tu leggi solo mattoni?» domandò di rimando. «Neanche un romanzetto frivolo per prendere sonno la sera o un grande classico da leggere la domenica davanti al camino?» con un gesto, indicò l’enorme libreria alle sue spalle.
«Non c’è niente di mio in questo studio, Black» si trovò ad ammettere lui abbassando la testa, mentre lei continuava a scrutare quella libreria colma di libri d’epoca, che, a pensarci bene, avrebbe preferito sapere ben lontani dalla sua casa e dalla sua vita.
«Ah no?» domandò lei.
Lui scosse la testa. «Questo era il regno di Lucius» le spiegò quasi con aria colpevole e, al contempo, di disprezzo. Lei si voltò di nuovo ad osservare lo studio alle sue spalle, con la scrivania, il camino, la poltrona e tutto il resto, come se volesse guardarlo con occhi diversi.
«E il tuo regno invece quale sarebbe?» domandò con finta innocenza.
Draco, intanto, ben ancorato allo stipite della porta, si era perso ad osservare quella strana tuta che indossava, con la vita altissima e lo scollo a barchetta che le lasciava scoperte le spalle, imponendosi di non chiedersi se fosse effettivamente una tuta o fossero una maglietta e dei pantaloni, perché chiederselo significava accarezzare l’idea di scoprirlo e durante l’allenamento aveva perso il conto dei motivi per cui accarezzare un’idea del genere fosse tremendamente sbagliato.
«Credevo fossi qui per il salotto grande»
«Ero qui per il tuo naso» specificò lei. «Avevo anche preso dall’orto di Ted un po’ del migliore antidolorifico esistente»
«Ai miei tempi si chiamavano semplicemente ‘canne’» sorrise, facendole segno di seguirlo.
«A me piace dare vari nomi alle cose» si giustificò in fretta lei, seguendolo in un labirinto di corridoi così cupi da farle quasi paura.
«Non lo trovi scomodo?» le chiese.
«Non quanto vivere in un labirinto»
Lui sogghignò e, con un colpo di bacchetta, spalancò una doppia porta che dava sul salotto più grande che lei avesse mai visto. Lo stile non era troppo diverso da quello dello studio in cui lo aveva aspettato: divani in pelle nera, un caminetto alto quanto un essere umano, librerie che arrivavano al soffitto, decorato con vari motivi verdi scuri, neri, e argentei, tre lampadari apparentemente d’argento, un pianoforte a corda che pareva non venire usato da secoli e una porta spalancata su una sala da pranzo per almeno una trentina di persone, le cui finestre erano chiuse e in cui sembrava che nessuno mettesse piede da anni.
Mentre si lasciava incuriosire proprio da quella sala da pranzo, Draco ne chiuse la porta con un cenno della bacchetta, provocando un rumore che la fece sobbalzare.
«Non vuoi sapere cosa è successo lì dentro» si giustificò abbassando la testa ed il tono di voce.
«Forse lo so ma tu non me lo vuoi raccontare» rispose lei, avvicinandosi al pianoforte.
«Forse» si trovò ad ammettere. «Suoni?»
Lei annuì, accarezzando i tasti bianchi e neri e trovandoli pieni di polvere. «Tu no, evidentemente»
Lui annuì di rimando. «Non lo uso da prima di andare a Hogwarts»
«Però lo hai usato»
«Mia madre ha cercato per anni di insegnarmi a suonarlo» sorrise lui, avvicinandosi. «Ma non ci ho mai capito niente»
«E allora hai smesso di tentare?»
Draco si scoprì nuovo a quella visione della faccenda, e non lo nascose. Così, con un altro passo, si avvicinò a lei e a quel piano.
Aspettò che lei lo guardasse per stringersi nelle spalle e strapparle un sorriso.
Poi, con noncuranza totale, alzò le braccia per indicare il salotto. «Che ne pensi?»
«Cupo quasi quanto il quadro» ridacchiò lei, allontanandosi dal quadro per avvicinarsi alla grande finestra accanto al camino. «Il parco è tutto tuo?»
«Tutto quanto»
«Persino la parte con i pavoni?»
«Soprattutto la parte con i pavoni»



«Non puoi non avergli mai dato dei nomi!»
Lui rise di gusto, lasciandosi cadere su quella panchina di pietra per guardare il cielo pieno di nuvole scure mentre fumava quello che lei aveva chiamato “antidolorifico” e che lui avrebbe definito più come “il bello della gioventù”.
«Ma hai visto quanti sono?» si lamentò. «Non mi verrebbero mai in mente così tanti nomi. E poi comunque non li riuscirei a distinguere»
Lei raccolse la canna che lui le stava passando per chinarsi ad osservare il pavone che stava a pochi metri da lei. «Insomma, guardalo» gli impose.
Lui spostò lo sguardo da lei al pavone.
«Ti dovrà venire in mente almeno un nome, guardandolo»
Draco si concesse qualche secondo.
«Edgar» decise.
«Ecco!» esclamò lei con tanto entusiasmo da spaventare il pavone. «E quello là?» chiese di nuovo, indicando a Draco un punto alla sua sinistra, sfiorandogli la spalla.
«Quello sceglilo tu» sorrise lui.
Lei strizzò gli occhi. «Albert» decretò.
«E siamo a due» Ridacchiò lui. «Dai, te ne mancano solo una trentina!»
Lei scosse la testa e rise. «Quello» e ne indicò un terzo. «Quello ha proprio la faccia da Oliver»
Draco cercò di capire quale pavone avesse indicato. «Certo, come ho fatto a non pensarci?» poi indicò un esemplare femmina. «E lei è Olivia»
«Non potresti essere un pochino più fantasioso?» si lamentò allora la giovane. «Voglio dire: Olivia e Oliver?»
Draco annuì aspirando il fumo. «Così staranno insieme tutta la vita»
«Che noia» sbuffò. Con lo sguardo, cercò un altro esemplare femmina. «Lei si chiama Abigail» decretò, mentre il pavone sembrava guardarla. «E trova che passare tutta la vita con un solo pavone sia da bigotti»
«E allora lui è William» decise allora Draco. «E Abigail gli spezzerà il cuore»
Anastasia rise mentre faceva gli ultimi tiri. «Serve un brindisi»
«Eccome, se serve» disse, cercando di nascondere la tosse di chi non è abituato a fumare cose troppo pesanti. «Kora? Kora, dobbiamo fare un brindisi!»
 
Draco si svegliò di colpo e sentì la testa così pesante da averne paura. Cercò istintivamente di alzarsi in piedi, ma si accorse subito di un peso sulle gambe.
Anastasia.
Dovette guardarsi attorno per realizzare di essere nel suo salotto, seduto sul divano, Anastasia stesa accanto a lui, le gambe posate sulle sue. Si lasciò cadere nuovamente sul divano per essere accolto da quei vecchi cuscini di pelle che ancora avevano impressa la forma della sua testa e del suo busto.
Si era addormentato sul divano.
Non riusciva a ricordare se si fosse addormentato prima lui o se avesse solo approfittato del sonno di lei per appisolarsi. Non sapeva molto di quanto successo la sera prima, se non che gli aveva lasciato un gran mal di testa e la più giovane erede Black addormentata sul suo divano di pelle.
Si concesse di guardarla per qualche secondo.
Addormentata, silenziosa, pura più che mai.
Si lasciò affondare ancora di più nei cuscini.
«Kora?»
Gli fu sufficiente sussurrare quel nome perché l’elfo apparisse davanti a lui con aria quasi felice.  «Buongiorno padron Draco» rispose prontamente. «Come si sente il padrone?»
Draco la guardò confuso. «Come mi sento?»
«Kora chiede come si senta padron Draco perché padron Draco stanotte ha vomitato nel parco, padrone»
Draco si affossò di nuovo, coprendosi il viso con le mani.
«Ma padron Draco non si deve preoccupare, perché Kora ha pulito tutto!»
Lui tirò un lungo sospiro. «Ti ringrazio, Kora» si trovò a dire. «Ti ho chiesto di fare altro?»
«Padron Draco ha chiesto di portare a lui e alla signorina Anastasia una bottiglia di vino e due calici, padrone, e poi la signorina Anastasia ha chiesto di portarne una seconda, padrone» ridacchiò lei.
«E immagino che poi io abbia vomitato»
«Padron Draco ha vomitato perché lui e la signorina Anastasia hanno voluto giocare una partita di Quidditch, padrone»
Draco spalancò gli occhi. «Prima o dopo la c- insomma, il vino?»
«Dopo, padron Draco, Kora ha portato la Pluffa e padron Draco ha Appellato le scope»
«E chi ha vinto?»
«Padron Draco si è sentito male appena alzato in volo, e la signorina Anastasia ha chiamato Kora, padrone» squittì di nuovo lei. «La signorina Anastasia ha chiesto a Kora di aiutarla a tenere lontani i pavoni e poi il padrone e la signorina sono rientrati e si sono addormentati nel salone, padrone»
Draco ebbe l’impressione che Kora parlasse troppo veloce, dandogli troppe informazioni e incrementando il suo mal di testa.
«Mia … mia madre lo sa?»
«Padrona Narcissa è rimasta nel suo appartamento e non ha fatto domande, padrone, ma Kora non sa dire se non si sia mai affacciata alle finestre che danno sul parco o se non abbia sentito il padrone e la signorina»
Draco si sentì mosso da una scossa. «Sentito?» domandò nel panico.
«Sentito ridere, padron Draco» specificò l’elfo timidamente. «Il padrone e la signorina hanno riso moltissimo, nel parco. Kora a volte sorrideva perché non aveva mai sentito padron Draco ridere»
Di nuovo, si sentì inondato di informazioni, ma si sforzò di rivolgere all’elfa un sorriso, che però risultò più come una smorfia.
Si trovò a guardare Anastasia, che non si era mossa di mezzo centimetro, e a sentirmi sinceramente grato che fosse entrata nella sua vita senza chiedere il permesso ma con tutta l’intenzione di migliorarla.
«Kora, per favore, prepara dei vestiti e degli asciugamani puliti in una stanza del secondo piano per quando si sveglierà»
«Subito, padron Draco» rispose. «Gradisce un tè? Qualcosa per colazione?»
Draco guardò l’orologio prezioso che portava al polso. Le sei e trenta del mattino. «No, grazie, aspetto ancora un po’» decretò, quasi infastidito dalla luce che penetrava dalle finestre. «Potresti, per favore, cercarmi uno di quei romanzi babbani che Anastasia ha nominato ieri sera?»
«Alla Malfoy Manor non ci sono libri babbani, padron Draco, perché il padron Lucius non voleva» s’incupì l’elfa. «Ma Kora può procurarsene, padron Draco»
«Ti ringrazio» la liquidò lui, accorgendosi che la luce dell’alba estiva, iniziava a infastidire anche la sua ospite.
Anastasia si voltò sul fianco volgendosi verso la finestra e aprì un occhio, con aria più spossata di Draco. Emesse una specie di grugnito quando capì che a svegliarla era stata la luce del sole e poi si voltò di nuovo verso l’interno del salotto e verso Draco, scattando quasi come era scattato lui davanti alla consapevolezza di essersi addormentata sul divano. «Ci siamo addormentati» decretò, portandosi immediatamente una mano sul viso, rendendosi conto del suo alito pessimo.
«Ma non mi dire?»
Lo guardò con occhi socchiusi. «Deficiente» ritrasse le sue gambe per liberarlo e si alzò dal divano. «Che ore sono?»
«Le sei e trenta»
Con i pugni sui fianchi, si voltò di nuovo prima verso la finestra gigante e poi verso di lui, che era fermo a guardarla. «Stai meglio?» chiese, con aria confusa.
Lui accennò di nuovo un sorriso. «Non ricordavo nemmeno di aver vomitato, me lo ha detto Kora»
Lei si strinse nelle spalle e ritrovò il suo sorriso. «Ciò che non sai, non ti può ferire» decretò. «Sai se mi ha cercato qualcuno? Ho detto a Ted che avrei dormito da lui, dopo essere venuta a vedere se il tuo naso fosse ancora attaccato al resto della faccia»
«Chiedi a Kora se è arrivato qualche gufo»
Lei lo guardò basita. «Tu comunichi ancora via gufo
Lui aggrottò la fronte. «Perché, tu cosa usi?»
«Il telefonino!» sorrise.
Lui ci rifletté meno di un secondo. «Telefono» rispose. «So cosa è un telefono, l’ho studiato a Babbanologia al primo anno» si pavoneggiò.
«Sono commossa, signor Malfoy» sorrise di nuovo lei, Appellando la sua borsa. «Ma io ho detto telefonino, non telefono»
«Quindi si tratterà di un normale telefono ma di dimensioni ridotte»
Anastasia scosse la testa con aria rassegnata. «No, Purosangue dei miei stivali» Si lasciò cadere di nuovo sul divano per estrarre da quella borsetta minuscola evidentemente Allargata al suo interno, uno smartphone di ultima generazione e porgerglielo con aria divertita. «Questo» disse, con tono saccente. «Questo è un telefonino. Telefona, come un telefono normale, ma può anche scattare fotografie e mandare messaggi e un sacco di altre cose»
Lui si girò il telefono tra le mani con aria davvero perplessa.
«Schiaccia quel tasto, quello grigio in alto»
Lo schermo si illuminò e lui non riuscì a trattenere un sussulto. «Che cosa vuol dire?» chiese, indicando lo schermo.
«Sono dei messaggi»
«Messaggi?»
«Messaggi: più brevi e più veloci delle lettere. Scambio immediato, nessun consumo. Leggi pure, sono tutti di Ted»
«Sono andati via» disse subito lui quasi dispiaciuto. «È tornato tutto nero»
«Schiaccia lo stesso tasto che hai schiacciato prima» sorrise lei.
Lui si schiarì la voce e lesse i messaggi che riempivano lo schermo. «Sette e trentatré: Malfoy ha ancora il suo naso?» sorrise. «Come faccio a rispondere?»
«Non te lo dico» ridacchiò lei. «Vai avanti»
«Nove e cinquantadue: il tuo letto è pronto. Dieci e venti: ormai credo ti abbia uccisa e mangiata per cena per vendicare il suo naso e tutte le discussioni con i tuoi fratelli. Undici e quarantatrè: io dormo ma domani voglio sapere tutto quanto. Undici e quarantaquattro: e comunque potevi avvertire, razza di troll» lo schermo si spense di nuovo e lui tornò a rigirarsi il telefono tra le mani con aria perplessa, quando questo suonò improvvisamente spaventando il  Serpeverde. «Che è successo?»
«Un altro messaggio» rise lei.
Lui ormai quasi abituato, lo lesse ad alta voce: «Robbie: pranzi con me e Ron alla locanda?» si voltò verso Anastasia. «Robbie?!»
Lei rise e si rimpossessò del telefono, maneggiandolo con estrema naturalezza. «Da piccola non riuscivo a dire Robert»
«Beh, ma ora »
La giovane smise di digitare per guardarlo con aria saccente. «Quanto si capisce che sei cresciuto da solo» nel momento in cui lo disse, sembrò pentirsi. «Scusami» rimediò subito. «Non volevo che suonasse così»
Lui era rimasto immobile, nascondendo dietro al suo solito ghigno la sorpresa per la velocità e naturalezza con cui si era scusata. «Non scusarti» le disse, con il tono più dolce che lei gli avesse mai sentito usare. «È vero, che sono cresciuto da solo»
«Si ma non sta a me rinfacciartelo! E non è quello che intendevo dire»
Lui finse di guardarsi attorno accarezzandosi le labbra con la lingua. «Hai comunque ragione, Black: la cosa più vicina che abbia ad un fratello è Blaise, e ci siamo conosciuti a sei o sette anni»
«Blaise è uno spasso» sorrise lei.
Lui sembrò basito. «Come conosci Blaise?»
«È cliente abituale del negozio» rispose, per poi distogliere lo sguardo. «E poi … ha passato il matrimonio di Kayla e Fred a giocare con me perché mi annoiavo» aggiunse, con tono più basso.
«Non c’è bisogno di nascondersi: so che Kayla si è sposata»
Anastasia tornò a guardarlo, quasi come se ne stesse studiando i dettagli del viso. «Non è quello» disse poi con tono più serio e quasi saccente.
«E allora che c’è?»
«Io voglio bene, a Fred»
Lui sembrò non capire.
«Voglio dire, è un’ottima persona»
Draco mantenne la sua espressione corrucciata.
«Però non capisco come si possa scegliere lui anziché te» continuò lei.
Lui rimase a guardarla con la bocca mezza aperta.
Avrebbe voluto ringraziarla, per quanto non ne fosse capace, perché nessuno gli aveva mai detto qualcosa di vagamente simile. Avrebbe voluto anche dirle che, con il senno di poi, davanti a lei, dopo aver dormito sul divano, essersi ubriacati in mezzo ai pavoni, aver ricevuto un pugno sul naso e aver bevuto un cappuccino in un bar babbano, dopo tutto quanto, non solo aveva voglia di sapere quali altre cose assurde sarebbero loro successe, ma era anche contento che Kayla non l’avesse scelto e avesse persino sposato Fred Weasley: perché in qualche modo, tutto quello aveva portato lei da lui, aveva portato lui da lei e aveva portato loro ad essere lì, esattamente dove e come erano, e non ricordava un’altra situazione che gli fosse piaciuta così tanto.
In quel momento, però, Kora apparve davanti a loro, e loro smisero di guardarsi per guardare l’elfa, che capì di aver interrotto qualcosa. «Kora ha fatto tutto ciò che padron Draco ha richiesto!» Comunicò con entusiasmo. Draco allora indicò la loro ospite con un gesto della mano, e l’elfa si rivolse direttamente a lei.«Kora ha preparato per la signorina Anastasia degli asciugamani e dei vestiti puliti nel bagno della stanza degli ospiti del secondo piano»
Anya le sorrise basita. «Grazie, Kora» si voltò verso Draco. «Glielo hai chiesto tu?»
«Non puoi uscire di qui vestita come ci sei entrata: cosa penseranno i vicini?»
Anatasia rise e Draco rise con lei, mentre Kora si stupiva di nuovo, senza poterlo nascondere.
«E avevo paura di averti lasciato addosso odore di vomito o di pavone» aggiunse poi, continuando a sorridere.
«Allora dovresti andarti a lavare tu» gli rinfacciò lei.
Lui si alzò con uno scatto. «Allora, signorina Black, voi andrete nelle vostre stanze e io nelle mie, e ci incontreremo tra un’ora per colazione»
Lei ammirò quello sbalzo di ironia e finta cavalleria, per poi scattare in piedi così come aveva fatto lui. «Oh! Kora vi prego, mostratemi la via per le mie stanze, non vorrei mai fare tardi!»
L’elfa iniziò a trotterellare verso il corridoio, ed Anastasia la seguì ridendo.
Prima di lasciare il salone, si voltò verso Draco, trovandolo con gli occhi ancorati al suo sedere.
Si accorse di essere stato colto in flagrante, e sogghignando alzò le mani in segno di resa.
«A mia discolpa» disse, continuando a sogghignare. «È sempre lui a guardare me»



Piccolo spazio autrice non richiesto e non necessario: 
sì, lo so che la sbronza e il post sbronza sono un vecchio clichè da Dramione, o da Drarry, o da Dra-qualsiasi cosa. Così come Draco alle prese con un telefonino. Perdonatemi, ogni tanto ci casco anche io. Con il tempo si migliora.
Forse. 

Fatto il misfatto 
C


 

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Capitolo 6
*** non mi crederesti ***


 
Conosco un posto nel mio cuore dove tira sempre il vento 
per i tuoi pochi anni e per i miei che sono cento
e non c'è niente da capire basta sedersi ed ascoltare.
Perchè ho scritto una canzone per ogni pentimento 
e debbo stare attento a non cadere nel vino 
o finir dentro i tuoi occhi, se mi vieni più vicino.
(Lucio Dalla, Cara)



A mio fratello Pietro, 
per il tuo compleanno, 
per tutta la vita che hai davanti 
e per quella che vivremo insieme. 


 

5. 
non mi crederesti

Anastasia aprì l’acqua calda e si sfilò la maglietta. Raccolse il telefonino dal bancone di marmo pregiato, e aprì i messaggi che Draco aveva letto ad alta voce poco prima. Si guardò nello specchio e non poté fare a meno di concordare sul fatto di avere bisogno di una doccia e forse anche di qualcosa per correggere le occhiaie, che sulla sua pelle chiara sembravano sempre più gravi di quanto non fossero.
Scrisse a Robert che li avrebbe raggiunti alla locanda per mezzogiorno, e poi digitò il numero di Ted e portò il telefono all’orecchio.
Lui rispose quasi subito, con voce assonnata. «Sei viva?!»
«Sono mortificata» sussurrò lei. «Ti devo una decina di cappuccini di Lottie»
«Venti, per avermi anche svegliato» replicò lui in un grugnito.
«Cappucci pagati fino alla fine dell’anno se mi copri un altro paio d’ore»  rilanciò lei subito.
« Tanto lo sai che non ci crederebbe nessuno, se raccontassi davvero dove sei» ridacchiò lui. «Hai qualche particolare piccante da anticiparmi?»
«Ci siamo ubriacati e addormentati sul divano, Ted» sbuffò lei appoggiandosi al bancone per dare le spalle allo specchio. «Devo entrare in doccia»
«E lui è lì che ti aspetta?» ridacchiò Ted.
«No, sono nella stanza degli ospiti, che secondo l’elfo ora è mia»
«E lui dov’è?»
«A farsi la doccia da qualche altra parte»
«Senti, i babbani sostengono che questo pianeta stia morendo e che si debba salvare il salvabile e consumare meno acqua possibile, quindi …»
«Sto per attaccare, Ted»
«Devo coprirti senza che tu abbia effettivamente combinato niente?!» si lamentò l’amico.
Chiuse la telefonata e gettò di nuovo il telefono sul marmo chiaro, scuotendo la testa. Si spogliò e sperò che l’acqua le fermasse i pensieri.
 
Draco uscì dal bagno avvolto nell’accappatoio, asciugandosi i capelli con il cappuccio, e sbadigliando. Sobbalzò quando, sulla poltrona di pelle posta vicino all’enorme finestra, vide seduta sua madre ancora in vestaglia. «Non si usa più bussare?!» disse, cercando di nascondere lo spavento in uno stridulo.
«Anche se avessi bussato, non mi avresti sentita» rispose Narcissa con tono calmo e freddo. «Ti ho visto nel parco, ieri sera» aggiunse poi, dando l’impressione di avere attentamente studiato e pesato ogni parola.
Draco si portò le mani sui fianchi e spalancò gli occhi, aspettando che Narcissa procedesse con il suo discorso studiato e pesato.
«La ragazza che era con te non mi sembrava Astoria»
«Sai benissimo che non era Astoria, mamma» rispose lui già spazientito.
«E per questo mi chiedo: Astoria sa che scorrazzi nel parco con un’altra ragazza? Tra l’altro, se posso permettermi …»
«Non puoi»
« … mi pare sia straordinariamente giovane, Draco»
«Ho detto che non puoi»
«Non hai risposto alla mia domanda»
Lui fece un respiro profondo. «Astoria mi ha lasciato più di un mese fa»
Narcissa, con il viso segnato dall’età e dal dispiacere per la perdita del marito, non tradì espressione. «Non me lo hai detto» disse, abbassando notevolmente il tono di voce.
Draco parve dispiaciuto più per l’espressione della madre che per qualsiasi altra cosa. «Lo so, ma te lo sto dicendo ora» 
La donna si perse a guardare fuori dalla finestra. «E ora stai con la ragazza che ho visto ieri con te nel parco?»
Draco recuperò in fretta il suo tono spazientito. «È un’amica»
«Mi pare abbia dormito qui, la tua amica» sentenziò, riprendendo il suo tono duro. «Se ci fosse tuo padre, non …»
«Mamma» la richiamò lui immediatamente.
Draco non parlava di Lucius.
Mai, con nessuno, nemmeno con lei. 
«Si può sapere chi è? La conosco? O conosco i suoi genitori?»
«Assolutamente no» rispose lui troppo velocemente, così veloce da pentirsene e coprirsi il viso con la mano.
«Probabilmente è troppo giovane perché io possa conoscere i suoi genitori» commentò allora lei con tono sempre più scocciato, e lui si sentì raggelare il sangue nelle vene. «Almeno, è Purosangue?» chiese, sempre più infastidita.
«Mamma, basta» rispose lui, alzando i toni. «Questa conversazione finisce qui» con un gesto, le indicò la grande porta d’ingresso.
«Immagino di non potermi unire a te e alla tua giovane amica per colazione, allora»
«Immagini bene» sputò lui, ricordando tutte le volte in cui a sorpresa era apparsa mentre lui e Astoria facevano colazione. Narcissa si alzò e con eleganza, raggiunse la porta. Posò la mano sulla maniglia, e tornò a guardare suo figlio.
«Stai attento, Draco» sussurrò. Poi, silenziosamente come era arrivata, lasciò la stanza.


 
«Sei in ritardo» gli disse Anastasia appena lui la raggiunse in giardino.
Lui le rivolse il più sincero dei suoi sorrisi sghembi e sistemandosi i pantaloni di velluto, si sedette davanti a lei, trovandola decisamente troppo bella e troppo sexy con addosso quella sua vecchia camicia bianca. Aveva arrotolato le maniche a l’aveva annodata poco sopra la vita, lasciando ben scoperti gli addominali ed i fianchi. Poi, dei larghi blue jeans a vita bassa cercavano di nasconderle le gambe ed il sedere, senza riuscirci.
«Mi stano bene, vero?» domandò lei, indicando la camicia e i pantaloni e posando il piede sulla sedia.
Lui annuì, mentre Kora serviva loro del tè bollente. «Tienili» disse, poi.
«È un modo per dire che mi stanno davvero bene o che non li vuoi mai più vedere?»
Draco scosse la testa. «Vedila come vuoi, Black»
Lei sbuffò, versando del latte nella sua tazza di tè.
«Non avrai da me quel tipo di complimento»
«E perché mai?»
«Non ne vedo la finalità»
«Compiacermi» rispose lei con un sorriso malizioso.
«Ti basterebbe sapere che nessuna altra donna ha mai indossato una mia camicia o dei miei pantaloni»
Anya lasciò cadere un biscottò nel tè con fare esultante. «Dieci punti a Serpeverde!» rise, alzando la voce così tanto che lui si guardò attorno infastidito. «Però ora me lo devi spiegare» continuò, incurante della sua preoccupazione
«Cosa c’è da spiegare?»
«Spiegami perché io sì e le mille altre ragazze che sono state qui prima di me no»
«Mille forse è troppo poco» sorrise lui, sorseggiando il tè.
Lei gli lanciò un biscotto e lui lo prese al volo, senza guardare, lasciandola a bocca aperta. «Cercatore?»
Lui annuì, mangiando quel biscotto che gli sembrò essere il più buono del mondo.
Lui annuì fiero, deglutendo e pulendosi con il tovagliolo che teneva sopra le gambe. «Mi sono allenato tantissimo»
«Per prendere il biscotto al volo?»
«Per essere un Cercatore migliore di Harry Potter» si trovò ad ammettere.
E lei, in tutta risposta, si trovò spiazzata. Non solo perché era la seconda volta che nominava suo fratello spontaneamente, ma perché ammetteva di aver sognato di batterlo.
«E cosa hai ottenuto?» s’incuriosì.
«Ora prendo i biscotti al volo»
 «Beh, ottimo risultato» rise lei.
Lui sorrise e annuì, godendosi lo spettacolo dell’alba nel parco che le faceva da sfondo.
«Mia madre è venuta a chiedermi chi fosse la mia giovane amica, poco fa» sputò lui, non riuscendo a trattenersi.
Era come se avesse l’ardente desiderio di raccontarglielo, come se avesse bisogno di raccontarlo a lei per renderlo vero.
Anastasia sbarrò gli occhi,  e posò immediatamente la tazza sul suo piattino. «Morgana! Tua madre è qui?» chiese, quasi sussurrando.
Lui annuì quasi con tristezza.
«E non hai pensato di avvertirmi
«Non mi è venuto in mente»
«Perché lei ha visto me ma io non ho visto lei?» domandò ancora lei.
«Vive segregata al quarto piano in un appartamento costruito apposta perché si veda tutta la proprietà» spiegò lui. «Quindi ieri sera ci ha visti nel parco»
Anya aggrottò la fronte, cercando di studiare quel suo tono preoccupato. «Chissà che bello spettacolo» bofonchiò. «Meno male che ti ha solo chiesto chi fossi e non ti ha fatto l’alcol test»
Draco trattenne una risata, silenziosamente grato alla sua capacità di fare dell’ironia su tutto.
«Lo hai mai battuto, poi? Harry, intendo» non si trattenne lei.
«Chiedilo a lui» rispose Draco sulla difensiva. L’espressione assunta da Anya, però, fece nascere lentamente sul suo viso un sorriso nuovo. «Non sa che sei qui?»
Anastasia si trovò a scuotere la testa.
«Nessuno lo sa?» domandò, ridendo.
Lei scosse la testa di nuovo e alzò le mani in segno di resa. «Vuoi dirmi che tu lo hai detto a qualcuno?»
«Mia madre
«Facile: non sa chi io sia!» rise lei. «E comunque, non è vero che nessuno lo sa: Ted lo sa»
«Ted Lupin?» ridacchiò Draco, coprendosi il viso con le mani. «Uno a uno»
«Pluffa al centro» rispose lei. «Insomma, non mi dirai che quando Blaise è venuto a sistemarti il naso gli hai detto che era stata la piccola Black a tirarti un pugno»
«Starebbe ancora ridendo» rispose Draco. «Ha intuito che fosse colpa di un Cacciatore grande quanto un armadio e gliel’ho lasciato credere»
«Bingo» continuò a ridere lei. «Però non sono grande quanto un armadio»
«E lui non penserebbe mai che io sia stato picchiato da una ragazza»
«Io lo penserei» lo prese in giro lei. «Ma non una ragazza qualsiasi: Anya Black»
Lui rise di nuovo, e poi scosse la testa, permettendosi di parlare senza pensare. «Per quel che conta, Anya Black» sospirò. «Io non ho mai pensato che tu fossi una ragazza qualsiasi»
 
 
 
«Oh, Blaise, ancora?!»
Blaise sapeva che Draco si sarebbe spazientito. Sapeva che avrebbe assunto quel tono terribile che, anni prima, aveva terrorizzato moltissima gente.
«Non fraintendere» spiegò. «Lo faccio per tua madre. Non reggerebbe il colpo, lo sai!»
Draco inclinò la testa di lato, apprezzando il tentativo dell’amico di smorzare la tensione. «Per mia madre?»
«Certo!» esclamò Blaise, compiendo la sua mossa sulla scacchiera magica che stava tra di loro. «È per lei che dovresti evitare di metterti nei guai»
«Non mi sono messo nei guai, Blaise» sbuffò Draco, fissando la scacchiera. «Te l’ho detto, sono fuori da certi giri»
«Allora perché ti sei beccato quel pugno?»
Draco alzò lo sguardo dalla scacchiera per fissare il suo amico, sinceramente preoccupato. Lo capiva, probabilmente se le cose fossero state invertite, si sarebbe preoccupato anche di più. Apprezzava quel suo modo di fargli sapere che non voleva si cacciasse nei guai, non più almeno, e lo dimostrò con un mezzo sorriso.
«Se te lo raccontassi, non ci crederesti»
Blaise ricambiò il sorriso. «Mettimi alla prova»
Draco allargò il sorriso e scosse la testa. «Blaise, ti giuro che è strano persino da dire»
«Se vai avanti così, chiedo a Kora» minacciò. Stava per incitarlo a fare la sua mossa per permettere alla partita di procedere, quando si perse a fissare un punto dietro di lui.
L’elfa, quasi come se si fosse sentita chiamata in causa, attraversava il giardino sul retro con espressione euforica.  «Kora si scusa per aver interrotto padron Draco e il signor Blaise, padrone, ma padron Draco ha visite!»
«Visite?» si stupirono i due all’unisono.
«Chi è che si spinge fin qui per te, a parte me?!» continuò Blaise.
«Immagino si tratti della nostra ospite di qualche giorno fa, Kora» lo ignorò Draco.
Kora annuì con ancora più entusiasmo di prima.
«La vostra ospite?!» sputò Blaise. «Draco! Mi ritengo offeso!»
«Te l’ho detto, vecchio mio: se te lo raccontassi, non ci crederesti»  rispose allora il biondo. «Per favore, Kora, dille di raggiungerci qui»
Blaise strabuzzò gli occhi. «Tu non mi stai nascondendo qualche giro di Mangiamorte nostalgici! Tu mi stai nascondendo una donna!» si portò le mani nei capelli. «Ho addirittura pensato che ti stessi drogando!»
«Drogando, Zabini? Davvero?»
«Non fai altro che sorridere senza motivo!»spiegò Blaise. «Non avrei mai pensato a una donna, insomma … non così presto dopo … non così presto, ecco!»
«Dopo Astoria» concluse serenamente Draco. «Puoi dirlo, il suo nome»
«Certo che posso dirlo, hai già un’altra donna!» Blaise saltò in piedi come se la sedia avesse preso a scottare quando vide Kora tornare verso di loro.
Pochi passi dietro di lei, in tutto il suo splendore, Anastasia Black, con un abito lungo senza spalline, nero come i suoi capelli, lo spacco fino a sopra il ginocchio e gli immancabili occhiali da sole, questa volta con la montatura a goccia con la struttuta dorata.
«Oh, dovete scusarmi» sorrise, appena fu abbastanza vicina. «Grazie, Kora. Non sapevo di interrompere …» guardò il tavolo davanti a lei. «… gli Scacchi Dei Maghi. Draco, sei un deficiente» aggiunse, indicandola e accennando a una mossa appena fatta. Si sfilò gli occhiali dal naso. «Blaise Zabini, quanto ci metti a riconoscermi?» gli sorrise.
«Anastasia Black!»esclamò allora lui. «Non ci posso credere!»
Lei scoppiò a ridere, sistemandosi gli occhiali sulla testa.
Draco si trovò sorpreso nel vedere il suo amico di una vita percorrere i pochi metri che lo separavano da Anya per abbracciarla con sincero affetto. Loro, in più di trent’anni di fraterna amicizia, lo avevano fatto solo un paio di volte. Sciolto l’abbraccio, le prese una mano per farla roteare su sé stessa e commentare con un fischio di approvazione. «Buon sangue non mente mai!» esclamò.
Lei alzò gli occhi al cielo si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Io non volevo disturbare, sono solo …»
«Non disturbi» risposero i due all’unisono.
«Anzi, siediti» aggiunse Draco. «Gradisci qualcosa da bere o da mangiare? Puoi chiedere a Kora qualsiasi cosa, lo sai»
«Lo sa?!» si stupì di nuovo Blaise.
Anastasia prese posto tra i due Serpeverde ma scosse la testa. «No, grazie» rispose cordialmente. «Ero passata solo a darti una cosa» dalla minuscola borsa che teneva in mano, estrasse una scatola bianca ben più grande della capienza della borsetta.
Porse la scatola a Draco che la guardava sospettoso. «Un regalo?»
«Non farti castelli, è più per me che per te» spiegò lei, ignorando lo sguardo malizioso di Blaise. «Non ho voglia di mandarti un gufo o di venire fino a qui ogni volta che ti devo dire qualcosa»
Draco capì subito. «Un telefono?»
Lei annuì entusiasta.
«Un telefono!» ripeté Draco aprendo la scatola.
«Levati quell’espressione da Purosangue purista» lo richiamò lei. «Lo adorerai»
«Non ho dubbi» sorrise Blaise. «Anastasia, sei una ragazza dalle mille sorprese» aggiunse, poi. «La mia stima di te potrebbe quasi raggiungere le stelle, se sapessi dirmi chi gli ha rotto il naso, la scorsa settimana»
«Non era rotto» specificò subito lei, mentre lui si rigirava il telefono tra le mani con espressione perplessa. «Non avrebbe retto un naso rotto»
«Ehi!» si difese il biondo. «Ho retto molto di peggio! Persino l’attacco di un Ippogrifo!»
«Quell’ippogrifo non farebbe del male a una mosca» rispose subito lei.
«Farebbe? È ancora vivo?» sputò Draco.
«Questa è un’altra storia» concluse elegantemente Anya. «Ad ogni modo, perché non hai raccontato a Blaise di quel bravissimo Cacciatore che ti ha tirato un pugno?»
«Era davvero un Cacciatore?!» esclamò Blaise. «Ci ho preso?»
«Certo» sorrise la ragazza. «Capitano della squadra, anche»
«Ottimo tiratore» si complimentò Blaise.
«Abbiamo finito?» domandò Draco.
«Non finché non saprò chi è stato»
«Te l’ho già detto: se te lo raccontassi, non ci crederesti»
«Dimmi, Anastasia, lo conosco? Conosco i nomi di tutti i membri delle squadre di Quidditch dei nostri anni a Hogwarts»
«Un talento molto utile, il tuo» commentò lei acida. «Non è un giocatore dei vostri anni, comunque»
«Non ci arriverà mai, Black» commentò acido Draco, senza staccare gli occhi dal telefono. «Perché è apparsa una tua fotografia?» chiese, dopo essersi ricordato come sbloccarlo.
«Perché te l’ho messa come sfondo» ridacchiò lei. «Non credo che il resto della gente che frequenti abbia un telefono»
«Questo è vero»
«Allora, questo Cacciatore?» si intromise Blaise.
«Blaise, per Salazar!» si lamentò il biondo, senza smettere di guardare il telefono. «Immagino non mi spiegherai come funziona, vero?»
«Assolutamente no» ridacchiò Anya.
Draco alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Sei terribile»
«Quasi come quel Cacciatore che ti ha preso a pugni»
«Un pugno solo» replicarono i due ragazzi all’unisono.
Anastasia alzò le braccia in segno di resa. «Certo, certo»
Kora tornò verso il giardino chiedendo se avesse potuto avere l’onore di cucinare per tutti, e quando Blaise acconsentì senza pensarci due volte, Anya guardò Draco con timore, come per chiedere: posso? Draco annuì con decisione, e Kora sembrò fare i salti di gioia.
Quando capì che non avrebbe ottenuto informazioni sul Cacciatore misterioso, Blaise propose alla giovane Black di aiutare Draco a salvare quella partita agli Scacchi Dei Maghi, e nonostante sembrasse un’impresa impossibile, in una decina di mosse lei riuscì a ribaltare la situazione, e Blaise perse, ma lottando fino all’ultimo secondo come un vero eroe.
«Voglio la rivincita!» piagnucolò. «E poi, siete due contro uno!»
«Sei stato tu a proporlo!» replicò Anastasia.
«Si, ma non sapevo fossi così brava!»
Anastasia rise di gusto ed imitò una riverenza.
Al tramonto, Kora tornò da loro per comunicare che la cena era pronta. La seguirono verso la sala da pranzo e Anya non riuscì a trattenere un brivido lungo la schiena quando si rese conto che la sala da pranzo era quella sala da pranzo.
Della guerra non ricordava nulla, se non il terrore negli occhi dei suoi genitori durante il periodo alla Tana. Ricordava che quando aveva degli incubi e usciva dal letto per scendere in salotto, trovava sempre qualcuno a discutere sul loro incerto futuro, non importava che ore fossero. E ricordava di come le discussione si interrompevano, quando ci si accorgeva che lei stava scendendo le scale in pigiama e stringendo il suo peluche preferito. Ricordava il terrore di sua madre ogni volta che arrivava qualche notizia riguardante Harry, ricordava Tonks cullare Nicole mentre piangevano entrambe, e ricordava la voglia di capire, la voglia di aiutare, la voglia di vedere sorrisi anziché lacrime, come se fosse sempre Natale.
Draco le posò una mano sulla spalla. «Vuoi che ci spostiamo?»
Lei si spaventò per quel tocco e si costrinse a scendere dalle nuvole.
«Posso dire a Kora di spostare tutto in cucina, sai, lei … non sa …»
Anya si sforzò di riservare a Draco il più bello dei suoi sorrisi. «Perché dovrebbe essere un problema?»
Era vero, l’idea che quello fosse stato il Quartiere Generale dei Mangiamorte le metteva i brividi. Ma le riempiva il cuore che, finalmente, Draco fosse riuscito ad aprire la porta di quella stanza, visto che giorni prima, durante il tour della casa, l’aveva chiusa senza pensarci due volte.
Allora, lui le sorrise e scostò la sedia per invitarla a prendere posto, e poi l’aiutò a sistemarsi sotto il tavolo. Lui si sedette a capotavola, e quando ebbe preso posto, i calici davanti a loro si riempirono magicamente di vino rosso.
Blaise afferrò il suo calice e lo alzò. «Vorrei proporre un brindisi» annunciò.
Allora, Anya e Draco imitarono il suo gesto.
«Ad Anastasia» disse allora Zabini. «Il miglior Cacciatore che il mondo magico abbia mai visto»
Sia Draco che Anastasia scoppiarono a ridere, così forte da riempire quella stanza cupa. Blaise insistette perché gli fosse raccontato ogni dettagli di quel pomeriggio, così, mentre mangiavano dell’ottimo stufato di carne, esaudirono il suo desidero e lo fecero ridere così tanto da fargli quasi uscire il vino dal naso.
«Anastasia, sei appena diventata una delle mie streghe preferite»
«Anche io sono una delle mie streghe preferite» rispose lei con aria saccente.
«Hai sicuramente degli ottimi motivi»  rispose Blaise.
Kora rivelò loro di avere preparato anche una torta, così, nonostante lo stufato di carne fosse più che abbondante, si costrinsero anche a mangiare dell’ottima torta alle fragole.
«Non credo di avere le forze per alzarmi» biascicò Draco, finendo di bere l’ennesimo calice di vino. «Credo che morirò qui»
«Non ti permetterei mai di morire qui» replicò lei scocciata.
Lui le rivolse il più sincero degli sguardi. In quel momento quel contatto visivo si fece così intimo che Blaise si sentì di troppo. «Grazie» sussurrò Draco,  e non ci fu bisogno che aggiungesse altro.
Lei gli strizzò l’occhio e guardò il suo orologio da polso. «Miseriaccia»
«Non dirlo mai più» le ordinò Draco fingendosi arrabbiato.
Lei sorrise e si alzò velocemente, così velocemente che dovette posare le mani sul tavolo per reggersi in piedi.
«Dove pensi di andare?»
«A casa mia!»
«Sei troppo ubriaca per Smaterializzarti!» rispose Draco chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.
«Tu sei troppo ubriaco per Smaterializzarti» replicò lei. «Ti scrivo un messaggio quando arrivo, ammesso che tu sappia cosa voglia dire» Appellò la sua borsa, che aveva lasciato in giardino, e trangugiò il goccio di vino che era rimasto nel suo bicchiere. Con una riverenza che le costò una quasi perdita dell’equilibrio, si Smaterializzò e scomparve.
«Lo dico io o lo dici tu?» domandò Blaise.
«Che cosa?»
«Che sei cotto marcio»
«Non ci pensare nemmeno»
«A me puoi dirlo»
«Sei fuori strada»
«Non ti ho mai visto fare gli occhi dolci così tante volte nella stessa sera. O almeno non alla stessa ragazza!»
Draco scosse la testa mentre il suo bicchiere si riempiva di nuovo. «Dico, ti rendi conto di chi è?»
«Tu ti rendi conto di chi è?» rilanciò Blaise.
«Sei fuori strada» ripeté.
«Perché era già stata qui?»
«Perché era passata a controllare … sai, il naso. Poi ci siamo ubriacati nel parco, io ho vomitato e abbiamo dormito sul divano»
Blaise nascose il sorriso dentro il calice di vino. «Dormito sul divano?»
Draco annuì. «Io seduto, lei stesa con le gambe sulle mie»
«Non hai più l’età per dormire seduto»
«Questo è vero» sorrise lui.
«Sei cotto marcio» ripeté Blaise ridendo.

Anastasia si lasciò cadere sul suo letto, ringraziando che Harry fosse riuscito a disattivare l’incantesimo Anti-Smaterializzazione nella sua stanza. Così, si era Smaterializzata in mezzo ai poster di Grifondoro, si era tolta le scarpe e aveva pregato che né sua madre né suo padre stessero attraversano il corridoio in quel momento. Dopo aver tenuto l’orecchio teso per un minuto buono aveva deciso di uscire, e in punta di piedi aveva saltellato verso la sua stanza.
Con la faccia affondata nel cuscino, pensò alla serata appena trascorsa.
Si maledisse davanti alla più banale delle ovvietà: era stata bene. Benissimo.
Aveva smesso quasi subito di pensare a dove si trovasse, complice il buon vino, il cibo squisito e il sorriso sincero di Draco. Vederlo sorridere, anche solo per qualche secondo, era in grado di renderla sinceramente felice.
I flashback della sua infanzia erano spariti, erano tornati là dove lei stava bene attenta a riporli ogni volta, là dove non potessero darle fastidio, e avevano lasciato spazio a tutto ciò che apparteneva al presente.
Draco che si apriva sempre di più, arrivando ad accennare alla sua storia con la secondogenita Greengrass senza vergognarsene, dei momenti di complicità pura, Blaise che palleggiava lo sguardo da lui a lei con espressione felice, e Kora che trotterellava verso di loro per chiedere se andasse tutto bene.
Con il braccio, cercò la borsa e ne estrasse il telefono. Selezionò il contatto di Draco e digitò: arrivata.
Chissà se lo avrebbe mai letto.
Chissà.

 
 
Solita NdA, questa volta forse utile: ho unito due capitoli, o almeno, quelli che dovevano essere due capitoli, perchè mi sembravano due capitoli troppo breve. Rileggendo mi pare che ci siano troppe "cose", che sia un pò Dracocentrico, che il troppo stroppia, quindi ecco, fatemi sapere. 
P.S.: la canzone che ho messo a inizio capitolo è un pezzo meraviglioso di quell'anima buona di Lucio Dalla, abbiatene cura. 

Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 7
*** la storia di Draco ***


I segreti più son vecchi e più saran pesanti, 
puoi tirarli fuori tanto qui saran coperti. 
(Ligabue, la neve se ne frega) 

6.
la storia di Draco


Ted e Lyall Lupin erano uno l’antitesi dell’altro.
Nessuno credeva che fossero fratelli, quando lo raccontavano.
Ted Remus Lupin era un Tassorosso fin troppo magro, i poteri da Metamorfmagus ereditati dalla madre e la dolcezza ereditata dal padre. Non vantava sempre il controllo del colore dei suoi capelli o della forma del suo naso: quando era arrabbiato, i capelli gli diventavano rosso fuoco, quando era ubriaco invece sembravano un arcobaleno e quando era in imbarazzo erano gialli canarino. Il suo naso, quando era concentrato era all’insù, e quando era arrabbiato sembrava allargarsi.
Era naturalmente predisposto alla cucina, e aveva salvato più volte le varie cene di famiglia con dei piatti prelibati inventati dal niente; si innamorava con estrema facilità, di ragazzi o di ragazze o anche di vampiri, poco importava, e con altrettanta facilità si stufava e cercava altro. Come suo padre Remus, adorava leggere, studiare, e farsi domande di ogni genere sulle più disparate Creature Magiche. Hagrid stravedeva per lui, mentre Dora non celava una certa preoccupazione – dove erano finiti i suoi geni da combina guai?
 Mentre tutti coltivavano come passione il Quidditch o gli Scacchi dei Maghi, lui inseguiva il pettegolezzo e voleva sempre sapere tutto; adorava, poi, che il centro del pettegolezzo fosse proprio lui. La metà delle cose che si dicevano in giro di lui non erano vere, ma lui adorava pensare di essere sempre sulla bocca di tutti.
Lyall non aveva ereditato i poteri della madre, e sebbene questa cosa da bambino avesse rappresentato per lui un problema, con il tempo aveva imparato a fregarsene. La sua più grande passione era il Quidditch, o qualsiasi cosa che avesse a che fare con le scope e una Pluffa. Era entrato nella squadra Grifondoro all’inizio del secondo anno, e ne era diventato Capitano due anni dopo. Ora, alle porte del quinto anno, era anche Prefetto. Nonostante tutti non facessero altro che ripetergli che fosse molto difficile mantenere entrambe le cariche e una media decente, lui aveva deciso di accettare entrambi  i titoli.
D’altronde, una media decente per lui significava avere tutti “Accettabile”.
Era poco più basso di Ted, ma il continuo allenamento gli aveva procurato due spalle così larghe da fare paura e una muscolatura così sviluppata da sembrare un modello di Abercrombie.  Sebbene in viso fosse tale e quale a Remus, nel modo di camminare e gesticolare era la coppia spiccicata di Tonks. E poi, a conferma del fatto che la mela non cade lontano dall’albero, era un fan sfegatato delle Sorelle Stavagarie – oh, ecco dove erano finiti tutti i suoi geni.
Ted e Lyall erano complici come solo due fratelli sanno essere.
Non sapevano necessariamente sempre tutto della vita dell’altro, ma questo non gli aveva mai impedito di aiutarsi tra loro nelle più svariate situazioni. Ridevano per le stesse battute e s’infiammavano per le stesse ingiustizie, gesticolavano nello stesso modo e mettevano la stessa quantità di zucchero nel tè.
Quando Lyall finiva nell’ufficio della Preside per qualche pasticcio, Ted correva a difenderlo e quando Ted si attardava in biblioteca, era sempre Lyall che lo andava a cercare per ricordargli che fosse ora di cena o di andare a dormire.
Remus e Dora adoravano i loro figli. Adoravano il rapporto che avevano tra loro e i loro momenti tutti e quattro, adoravano il rapporto dei ragazzi con i Black e con Nicole e Gabriel, e adoravano anche i momenti in cui litigavano tutti fino a giurare di odiarsi. Lo adoravano perché, avevano confessato, era il segno che ce l’avevano fatta. Non solo Dora era riuscita a far ammettere a Remus che l’amava quanto lei amava lui, ma si erano sposati e avevano reso la loro unione eterna, dando alla luce due splendidi ragazzi, e regalando loro una grande famiglia (quasi sempre) felice.
Ce l’avevano fatta.
«Il Portiere lo devi mettere qui» s’incaponì Anya, seduta al tavolo della cucina di casa Lupin. «Altrimenti non ci arriverà mai in tempo a quei dannati anelli!»
«Lasciami fare da solo» si lamentò Lyall.
«Lyall, quante partite hai vinto, contro la mia squadra?»
«Cinque!» rispose lui fieramente.
«Su quante?»
Lyall abbassò la testa. «Ventisei»
«Ecco, ti sei risposto da solo» alzò gli occhi al cielo e guardò Lyall riposizionare la calamita con scritto ‘portiere’ sulla lavagnetta bianca che stava tra di loro, su cui avevano disegnato una fedele riproduzione del campo da Quidditch.
«Anya, queste … queste tecniche, sono tutta farina del tuo sacco?»
Anastasia sfoggiò un sorriso più che Malandrino. «Non te lo dico»
«Papà dice che tua zia Rose aveva un suo schema e una sua tecnica, per il Quidditch»
«Non ti dirò niente» ribadì Anastasia.
In quel momento, Ted apparve all’ingresso con dei capelli azzurro pastello e una camicia hawaiana della stessa tonalità. «Oh, qual buon vento» disse, indicando Anya. «Scommetto che hai moltissime cose da raccontarmi!»
«Tipo le tecniche di Quidditch di Rose Redfort?»
«Mettiti in fila, Lyall, sono anni che cerco di avere quei diari»
«E sono anni che ti dico che sono miei» sbuffò Anastasia, mentre Ted si avvicinava al tavolo su cui i due stavano studiando le formazioni per la stagione successiva. Degnò lo schema di mezzo secondo di attenzione, per poi scuotere la testa contrariato.
Anche d’estate, erano in grado di parlare solo di Quidditch?
Spalancò il frigo con aria annoiata.
«Dove sei stato, Ted?» domandò Anastasia.
«Sono io qui quello che fa domande»
In quel momento, il telefono di Anastasia iniziò a squillare insistentemente. Lei lo raccolse dal tavolo,  e letto il mittente della chiamata, strizzò l’occhio a Ted e decise che era il momento di controllare se nel piccolo giardino sul retro fosse tutto a posto.
«Sei riuscito a vedere chi era?» domandò Ted, versandosi un bicchiere di latte.
Lyall non si mosse nemmeno: teneva la testa tra le mani e gli occhi fissi sulla lavagnetta.
«Oh, come non detto» si rispose da solo il primogenito.
Gli bastò un veloce sguardo oltre la porta finestra dove Anastasia era sparita, per vederla sdraiata sull’amaca con disegnato in viso un sorriso che Ted non vedeva da mesi.
Lyall alzò la testa. «Hai detto qualcosa, Teddy?» domandò.
Ted scosse la testa e Lyall tornò ai suoi schemi, mentre la risata di Anastasia riempì la casa.


«Pronto?»
Draco saltò sul divano. «Sei tu?»
«E chi vuoi che sia?»
«Oh, Merlino! Ci ho messo mezza giornata a capire come telefonarti!»
Sentire Anastasia ridere, dall’altra parte del telefono, lo costrinse a sedersi di nuovo e a chiudere gi occhi per immaginare il suo viso.
«Venti punti a Serpeverde»
«Anche di più» si lamentò lui. «Ti … beh, volevo sapere se stai bene, dopo ieri sera»
«Sto bene» sorrise lei. «La reggo ancora, sai, una sbronza»
«Non è per quello» rispose veloce lui. «Beh, anche, ma è per … per la sala da pranzo. Di solito io non mangio lì, ma Kora era davvero contenta che avessimo ospiti, e … ha persino usato le posate d’argento … ecco, hai capito, no? So che sai che lì, insomma, ecco, cosa succedeva»
«Certo che so cosa succedeva lì» sospirò Anastasia. «Ma vorrei che me lo raccontassi tu»
Draco si perse ad osservare il maestoso salotto attorno a lui. Gli sembrava straordinariamente vuoto, senza di lei. E freddo, anche. Le avrebbe raccontato ogni segreto di ogni stanza, se avesse potuto. Ma in quel momento, realizzò che la richiesta della giovane Black comportava l’apertura di un capitolo della sua vita che lui si preoccupava sempre di tenere ben chiuso.
«Io … non ne parlo mai»
«Beh, dovresti» rispose lei con naturalezza. «Non parlare delle cose non le rende invisibili, tutt’altro»
«Non ti dirò che hai ragione»
«Ma sai che è così» ridacchiò lei.
«Non dirò neanche questo»
«Quindi non dirai più niente?»
«Può essere, sì»
«Allora dirò qualcosa io: ceni con me, domani?»
Draco sbarrò gli occhi: un invito a cena? Un appuntamento, forse. Addirittura un appuntamento?
Si passò una mano nei capelli e si rese conto che avrebbe voluto urlare sì. Ma poi si rese conto che mai, mai era stata una donna ad invitarlo a cena e non viceversa.
Dannata giovane Black. Gli stava ribaltando tutte le carte in tavola, di nuovo.
«Rilancio» sfidò.
«Prego?»
«Rilancio: ceni con me, stasera?»
«No»
«No?»
«No, stasera no. Domani» rispose lei. «e comunque, non vale»
«Non vale?»
«Non vale: te l’ho chiesto prima io»
«Non esiste che sia una donna ad invitare a cena un uomo»
Lei rise così forte che Draco dovette allontanare il telefono dall’orecchio.
«Ma tu ti aspetti che io ti prenda sul serio, quando dici certe stronzate?»
Draco si trovò a scuotere la testa. «Stasera»
«Stasera ceno con i miei fratelli, se proprio ci tieni a cenare con me, possiamo aggiungere un posto»
«D’accordo, domani»
«Domani» sorrise lei. «Come ho detto io»
«Sì, come ti pare» rispose lui con sufficienza. «Allestirò una cena come si deve» sorrise. «Come si spegne, questo coso
«Così, ecco»
Anastasia chiuse la telefonata e lui dovette avvicinare e allontanare dal viso il telefono muto un paio di volte prima di essere sicuro che la telefonata fosse effettivamente concluso. Si lasciò cadere sul divano con il viso coperto dalle mani, e si trovò a maledire e benedire contemporaneamente il momento in cui aveva conosciuto Anastasia Elizabeth Helen Black.
 



La sala da pranzo della Malfoy Manor aveva nuovamente accolto Anastasia, quasi come se ormai fosse un abitudine. Lei era seduta dando le spalle al camino spento e freddo, indossando una t-shirt lilla con il collo alto e senza maniche, le braccia piene di braccialetti di ogni genere.
Draco si schiarì la voce e si sistemò il tovagliolo sulle gambe, approfittando del secondo di silenzio tra loro. «Vedi, io … sono stato cresciuto seguendo certi ideali. Ideali che hanno a che fare con la violenza, la menzogna, e la forza. Non … non mi è mai pesato, perché non sapevo che potesse esistere un altro modo di vivere. Mio padre non faceva che ripetermi che con la forza e con la prepotenza si arriva dappertutto. E io, io ci credevo. Mi ha insegnato ad essere spavaldo e arrogante, e uno così spavaldo e arrogante se segue idee basate sulla menzogna e sulla violenza, beh, non finisce bene. Quando sono arrivato a Hogwarts, ero convinto di essere il migliore. Non capivo che cosa avesse Harry Potter più di me, ma ero sicuro che avrebbe capito che essere mio amico gli sarebbe convenuto. Insomma, io ero il migliore»
Il sorrisetto di Anya lo distrasse per un secondo.
«Non ha voluto essere mio amico. Ricordo di aver pensato: beh, peggio per lui. Gli ho giurato guerra, senza neanche sapere cosa volesse dire. Sono andato avanti così per anni, accecato dall’odio e dalla voglia di dimostrare che ero migliore di lui. Invece lui volava meglio di me, continuava a farla franca, aveva liberato il mio elfo, e poi … Kayla non faceva che difenderlo, anziché darmi ascolto. Questo era già di per sé un ottimo motivo per odiarlo, visto … visto quello che provavo per lei. E poi c’è stato l’anno del Torneo, ero sicuro che quell’anno le luci di tutti i riflettori non sarebbero state puntate su di lui, finalmente, invece è riuscito a fregarmi, di nuovo. Non fraintendere, so che ha rischiato grosso, quell’anno. Ma questo lo so adesso, quasi vent’anni dopo. All’epoca, ero accecato dalla sete di fama e di gloria. Ho portato Kayla al Ballo e l’ho lasciata ballare con Fred Weasley, rendendomi conto che non solo non avevo possibilità con lei, ma che non avevo neanche la possibilità di essere più popolare di Potter. E lui neanche la voleva, tutta quella fama»
Anastasia versò da bere per entrambi, senza smettere di guardarlo dritto negli occhi.
«Quindi: violenza, menzogne, forza, arroganza, spavalderia, e gelosia» continuò lui. «Ero un concentrato di odio. Ma quell’anno … qualcosa è cambiato. Casa nostra era sempre piena di gente, i miei genitori erano sempre più schivi e nervosi, ed era chiaro che qualcosa di grosso stesse per accadere. Non … non dico di non essermi stupito, quando Potter è riapparso dal labirinto in lacrime e con il corpo di Diggory dicendo che il Signore Oscuro era tornato. Diciamo che ho messo insieme i pezzi, ecco» sospirò e prese in mano il calice di vino. «La cosa strana fu … che nessuno gli credeva, ma io sapevo che stava dicendo la verità. Quando sono tornato a casa, mio padre era più nervoso che mai, ma anche contento come un bambino. È difficile, da spiegare. Diceva che ci saremmo presi quello che ci spettava, che saremmo stati il vertice della società, che tutti ci avrebbero rispettato e venerato a dovere. Ero contento anche io: finalmente, la gloria e la fama che mi spettavano e che bramavo da tempo. Tornai a scuola carico come una molla e trovai Dolores Umbridge, che odiava Potter e la sua banda almeno quanto me. Kayla era felicemente fidanzata, e io mi sono scopato mezza Hogwarts … non mi pento di niente. È servito a vedere le cose con un certo distacco. La Umbridge mi ha subito arruolato per la sua Squadra di Inquisizione del cazzo, una scusa per togliere punti a chi mi stava antipatico e cercare di capire cosa combinassero Potter e gli altri di nascosto. Quando l’ho capito, mi sono stupito. Insegnava. Insegnava ai più piccoli quello che la Umbridge non insegnava a noi. Non l’ho mai detto, ma … l’ho ammirato, ecco. Sapeva che Tu-Sai-Chi era tornato e voleva che fossero tutti in grado di difendersi» cercò lo sguardo di Anya.
La trovò immobile, con gli occhi sereni come se stesse parlando del tempo.
E lo trovò la cosa più rassicurante che avesse mai visto in vita sua.
«Il piano per la profezia, ecco … l’ho scoperto mesi dopo. Quello che mi era chiaro, alla fine di quell’anno scolastico, era che quel troll del Ministro Caramell aveva capito cosa fosse successo e anche cosa sarebbe successo da quel momento in poi, e aveva una paura dannata. E poi … mio padre era stato preso e portato ad Azkaban. Casa mia era comunque piena di gente e mia mamma era ormai isterica, mia zia era venuta a vivere qui e … ho capito che il posto di mio padre lo avrei dovuto prendere io. Sia come capofamiglia, sia a quelle cazzo di riunioni. C’era una sedia vuota, e sai … a loro non piaceva. Mia madre mi chiese di non fare follie, mia zia mi chiese invece di rendere onore alla mia famiglia. Vedi, usò la parola magica: onore. Riuscivo a pensare solo a mio padre e a quello che mi aveva insegnato. In men che non si dica, avevo il Marchio sul braccio e il Signore Oscuro in persona mi ordinò di uccidere Albus Silente» fece un’altra pausa.
Si aspettava che Anastasia si spaventasse, si alzasse e se ne andasse, ma alzando gli occhi la trovò sempre lì, con il calice di vino in mano e un’espressione che diceva va tutto bene.
Lui le stava raccontando la parte più oscura della sua vita,e lei era in grado di sembrare tranquilla.
«Puoi … spaventarti e urlarmi che sono uno stronzo codardo, se vuoi, avresti ragione»
«Non ho la minima intenzione di farlo» rispose lei secca.
Grazie, avrebbe voluto dirle. Invece, sorseggiò un altro po’ di vino e continuò.
«Silente non mi piaceva. Voglio dire, non faceva che favorire Potter, ostacolare il Signore Oscuro e predicare amore, bontà e gentilezza. Mio padre lo odiava. Ho pensato … che sarebbe stato contentissimo, se fossi stato io ad ucciderlo. In più, Tu-Sai-Chi non accettava rifiuti. Ho capito solo dopo … era una punizione. Per mio padre. Sapeva che non ne sarei stato in grado, ero troppo giovane e troppo debole per poter uccidere uno come Silente. Nel momento in cui avrei fallito – perchè era ovvio che avrei fallito - , lui mi avrebbe punito. E beh, se per caso ci fossi riuscito, lui si sarebbe tolto una bella gatta da pelare. Geniale, no? Ero in trappola. Piton non faceva che offrirmi il suo aiuto, ma io … volevo fare da solo. In testa mi risuonavano quelle paroline magiche: fama e gloria. Non solo per me, ma anche per la mia famiglia. Dovevo solo trovare un modo, ma … avevo paura; non credevo si potesse avere così tanta paura. Tremavo ad ogni passo. Non dormivo e non mangiavo. Seguivo le lezioni per inerzia. Nessuno sapeva cosa mi passasse per la testa. Blaise era furioso, non gli ho mai tenuto nascosto niente. E Kayla … Kayla continuava ad offrirmi il suo aiuto, e io volevo solo urlarle di prendere il suo Weasley del cazzo e di mettersi in salvo, finché potevano. Ho fatto moltissimi tentativi, e quando ho capito come fare, mi sembrava di volare. Fama, gloria, e il rispetto di mio padre mi attendevano. È sempre valida l’offerta di urlare ed andartene, Anastasia»
«Non mi muovo di qui»
«Bene, benissimo. Ecco, quando … quando ce l’ho fatta, quando mi sono trovato davanti ad Albus Silente, debole e disarmato, lui con i suoi modi dannatamente gentili mi ha detto che sapeva tutto, da sempre; mi ha detto che non mi ha fermato o affrontato perché sapeva che il Signore Oscuro non mi avrebbe risparmiato, se mi avesse visto debole o se avesse saputo che mi ero fatto scoprire. Mi ha detto che … che non sono un assassino. E poi mi ha detto “passa dalla parte giusta, Draco”. Per me, la parte giusta era quella dove stavo in quel momento: con la bacchetta puntata davanti a un uomo disarmato. Eppure, avevo dannatamente paura. Mi ha offerto protezione, mi ha detto che l’Ordine della Fenice mi avrebbe nascosto meglio di quanto immaginassi, e che avrebbe nascosto anche i miei genitori. Non avevo mai visto una via di fuga, non credevo che ce ne potesse essere una. Era troppo tardi, comunque. I Mangiamorte avevano invaso il castello e sarebbero arrivati da un momento all’altro. Piton ci ha raggiunti quasi subito, e … ha finito quello che io avevo iniziato» sospirò. «Tutto bene?»
Anastasia annuì con decisione. «Non ti ho mai sentito fare un discorso tanto lungo» rispose, guardandolo come se non riuscisse a fare altro che perdersi nei suoi occhi chiari.
«Oh, beh, è ancora lunga» si sistemò sulla sedia. «Avevo paura che Piton lo avesse fatto per prendersi la gloria, ed ero furioso. Solo dopo ho capito che … che lo aveva fatto per proteggermi, per evitare che mi sporcassi le mani di sangue. Ero furioso, ma ho capito che non sarei stato in grado di uccidere Silente, neanche se avessi avuto tutto il tempo del mondo, o almeno credo. Ho capito che io non ero come loro, io non ero … non ero ciò che loro avevano deciso che io fossi. Così, quando Greyback ha portato qui Potter e mi hanno chiesto di riconoscerlo, io … ho negato. Cioè: prima ho esitato, poi ho negato. Pendevano dalle mie labbra. Se quello fosse stato Potter, avrebbero chiamato il Signore Oscure e quella storia sarebbe finita per sempre. Non sapevo come sarebbe finita, sapevo che non spettava a me consegnare Potter e guardarlo morire nel mio salotto. Ho negato, ma poi l’hanno riconosciuto e chiuso in cantina insieme a Ollivander, il folletto della Gringott e Lunatica Lovegood. Ecco, io … non entro più, in cantina. Non mi avvicino neanche alle scale, non ci riesco. Vorrei, ma non ci riesco» scosse la testa. «Il mio dannatissimo elfo domestico che Potter aveva liberato è venuto a salvargli la pelle e credo si sia beccato una coltellata da mia zia Bellatrix, per averlo fatto»
«Sì» rispose lei, con un filo di voce.
«Come?»
«Dobby, l’elfo è … è morto» confessò. «Quando Harry e gli altri si sono Smaterializzati, Dobby aveva il coltello di Bellatrix conficcato nello stomaco, e non c’era più niente da fare»
Draco rimase impassibile. «Non lo sapevo»
Lei si strinse nelle spalle. «Ci sono cose che sai tu e che non so io, e viceversa»
«Ma tu … eri una bambina!»
Anastasia sorrise e annuì. «Sono stata una bambina molto, molto curiosa: ho costretto i miei fratelli a raccontarmi tutto quanto. E quello che non chiedevo a loro, lo chiedevo ai miei genitori, ai miei zii, o a Minerva»
Lui sospirò e scosse la testa. «Dunque. Ho salvato il culo a Potter, e ne vado fiero, in qualche modo. Poi … poi c’è stata la battaglia. E lì la sola cosa che mi importava era riuscire a tornare a casa sulle mie gambe, insieme ai miei genitori. Ho … ho cercato di ostacolare Potter, e ci ho rimesso un amico. Tiger non era … non era particolarmente sveglio o altro, ma era mio amico, ed è rimasto vittima del suo stesso incantesimo, che … che era indirizzato a Potter, la Granger e Weasley. Cerco di non pensarci, perché … perché mi sento in colpa, ecco perché. Non era brillante, ma meritava di vivere.  O meglio, non meritava di morire. Nessuno merita di morire, in effetti, ma ci sono arrivato solo con il tempo» il sorriso di conforto che trovò sul viso di Anya gli riempì il cuore. «Insomma, siamo tornati a casa sulle nostre gambe. Martha Black – tua madre, per la cronaca – ha tagliato la gola a mia zia, ma … non posso dire che non avesse tutte le ragioni per farlo. E non posso neanche dire che mi manchi, in fin dei conti» finse di guardarsi attorno. «Mi assicurai che tutti stessero bene, o più o meno bene. Ho visto Kayla aggirarsi per il castello come … come un fantasma. Aveva gli occhi vuoti e sembrava non vedere o sentire niente di quello che succedeva attorno a lei. Ho saputo dopo che era quasi sorda e che era folle di rabbia perché … perché il suo rosso era sparito. Ho chiesto un po’ in giro, anche … anche a chi pensavo l’avesse attaccato. Ho capito dove cercare e ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque: l’ho cercato. Credo che sia stato lui a trovare me e non viceversa. Lui dice che mi deve la vita, ma … mi basta questa nuova gentilezza che lui e il suo gemello hanno nei miei confronti se mi incontrano per strada, ecco. Mi basta … mi basta non essere un mostro senza cuore, almeno, non per tutti. E poi … ci ho messo un po’, a rendermi conto che fosse tutto finito. Anzi, a volte mi aspetto che la casa si riempia di Mangiamorte o che il Marchio faccia male. Dormo sempre con un occhio mezzo aperto, e … non lo faccio apposta, ma penso sempre che chi mi sta attorno abbia in mente qualche piano malefico in cui io sarò il boia. Non è … facile da dire ad alta voce, ma non è una cosa che posso controllare, anche se vorrei. È come se fossi progettato per dubitare»
Anya rimase a fissarlo per qualche secondo, senza nasconderlo.
«Puoi sempre scappare urlando, per la cronaca»
«In diciotto anni non ricordo una sola volta in cui sono rimasta senza parole»
«Prima di adesso?»
«Prima di adesso» confermò. «Ma ci tengo a dire, come ho già detto, che non sei un mostro senza cuore e che non ho in mente qualche piano in cui ti costringerò ad essere il mio boia personale»
«Grazie» rispose lui d’istinto, cogliendo l’ironia.
«Sai, la storia di Albus Silente e Severus Piton … è qualcosa che mi ha sempre toccato moltissimo, ma non sapevo avesse protetto anche te»
«Credo che tocchi a te. Parlare, intendo»
«Io so solo quello che mi è stato raccontato» si difese lei. «Severus Piton non so neanche che faccia avesse»
«Non ti perdi granché» ridacchiò Draco.
«Harry dice che Severus Piton è l’uomo più coraggioso che abbia mai conosciuto»
«E tuo padre che ne pensa?»
«Beh … il primo figlio di Harry si chiama James Sirius. E il secondo si chiama Albus Severus. Direi che ha reso onore a tutti quanti»
Draco rimase visibilmente scioccato. «Non … Albus Severus? Pazzesco»
«Immagino ci siano un po’ di cose che non sai»
«Nessuno può sapere tutto» sospirò. E, accogliendo la tacita richiesta di Draco, raccontò tutto quello che negli anni le era stato raccontato.
Raccontò di Robert Redfort e del primo Ordine della Fenice, di una piccola Dora che spia la pancia di Martha che cresce, di due ragazzi appena diciottenni che si sposano quasi di nascosto, e di Robert Black che nasce tra la commozione e la paura di tutti.
Raccontò di come suo padre serrava i pugni parlando della notte in cui Silente li aveva avvisati che ci fosse una spia, e di come Martha gli accarezzava le spalle dicendo che non lo potevano sapere o immaginare, e non avrebbero potuto salvare nessuno di più di chi non fosse effettivamente ancora in vita grazie a loro.
Raccontò di come Remus aveva cercato di spiegare a lei e ai suoi figli la paura che aveva la forma dell’incertezza, di come si augurava che nessuno di loro dovesse mai salutare qualcuno che amava con il pensiero che quello sarebbe potuto essere l’ultimo saluto.
Raccontò del Quartier Generale e della profezia, di come Martha ancora professasse la totale fiducia e devozione a Silente, e di una frase che l’aveva sempre colpita: “rifarei tutto”.
Raccontò di come Sirius sorridesse ancora al ricordo del matrimonio segreto di Lily e James e di come si commuovesse quando raccontava la nascita di Harry, e di come James non solo avesse chiesto a Sirius di esserne il padrino, come lui era padrino di Robert, ma di come avesse introdotto nella vita di tutti loro un titolo a cui nessuno voleva pensare: tutore legale. Voleva dire che se fosse successo qualcosa a James e Lily, Sirius sarebbe stato responsabile di Harry come fosse figlio suo. Raccontò di come sia i suoi genitori che i suoi fratelli, dicessero ancora cose come “non si sa mai”, quando firmavano qualche documento che accertava cose più o meno importanti “nel caso dovesse succedere qualcosa”.
Raccontò di come da piccola non capisse, cosa fosse quel qualcosa.
Forse, raccontò, è una di quelle cose che si capiscono solo con il tempo.
Raccontò quindi che ci sono paure che adesso capiva, e paure che non avrebbe mai capito.
Raccontò della notte di Halloween che aveva segnato la vita della sua famiglia per sempre, e di come la voce di sua madre ancora tremasse quando raccontava quelle scene. Raccontò di come Kayla era venuta al mondo in punta di piedi, per poi essere da subito la persona tanto furba e tanto buona che conosceva lui. Raccontò di un padre chiuso ad Azkaban e di come Robert si teneva stretti i pochi ricordi che aveva con lui, quando tutti gli dicevano che suo padre era un assassino.
Raccontò di dieci anni di vita che non aveva vissuto, ma che conosceva bene.
Raccontò di come Martha fosse riuscita a riportare Sirius nel mondo dei vivi, ma ne rifiutasse ogni merito. Raccontò di due sposi felici che si vanno a prendere il loro figlioccio, perché quel qualcosa, alla fine, era successo. Raccontò di come Martha sosteneva di averlo sempre saputo, che Voldemort sarebbe tornato.
Raccontò di Tom Riddle e del diario e di Ginny Weasley, di come sapesse che a dare a Ginny il diario fosse stato Lucius, ma di come oggi non importasse più a nessuno.
Raccontò allora anche la storia di Minus e di come nessuno sapesse o comunque potesse sapere che era un Animago, perché questa, gli disse, è un’altra storia. Raccontò di come non avesse mai creduto che suo padre potesse avere sete di vendetta, ma di come si era dovuta ricredere, e come lei, i suoi fratelli.
Raccontò del Torneo Tremaghi  e di una madre preoccupata, ma di come Harry le avesse detto di non essersi mai sentito solo. Raccontò di come era morto Cedric Diggory, e di come Harry ancora si sentisse in colpa, nonostante chiunque gli avesse detto che non era colpa sua. Raccontò di come Martha aveva smascherato Barty Crouch Junior e di come Kayla, in quel momento, aveva capito che non avrebbero più dormito sonni tranquilli.
Raccontò allora del nuovo Ordine della Fenice, di Grimmauld Place, che per lei oggi era un rifugio sicuro, e per la sua famiglia era stata una prigione verde e argento.
Raccontò di riunioni lunghe ore e di Severus Piton e Sirius che non facevano che litigare, di Dora che si innamora di Remus giorno dopo giorno, di Rose che custodisce il più bello dei segreti.
Raccontò delle lezioni di Occlumanzia, e di come Harry fosse semplicemente negato.
Raccontò delle visioni, dell’aggressione ad Arthur Weasley e di quella a Sirius, che altro non era che una trappola, e allora raccontò di come Harry, Robert e gli altri ci fossero cascati con tutte le scarpe.
Raccontò della battaglia all’Ufficio Misteri, del coraggio di Rosalie Redfort, così come gliel’avevano raccontata Dora ed Hermione, perché nessuno, tranne loro, ne parlava mai. Raccontò di Robert che si trova per la prima volta faccia a faccia con Voldemort e di come Caramell fu costretto ad ammettere che Il Ragazzo Che È sopravvissuto fosse anche Il Ragazzo Che Aveva Ragione.
Raccontò di Silente che con cura e rispetto, racconta a Harry la storia di Voldemort, che di cura e rispetto non ne aveva mai avute.
Raccontò di come i suoi fratelli sospettassero di Draco Malfoy, ma nessuno avesse idea di quello che gli passava davvero per la testa.
Altrimenti, garantì, l’avrebbero convinto davvero a passare dalla parte giusta.
Raccontò di come Harry fosse lì, la notte in cui Silente morì, e raccontò di come non lo sapesse nessuno. Raccontò poi la resistenza di Hogwarts e la resilienza dell’Ordine, raccontò di come ricordasse le notti in bianco di sua madre o le ramanzine a Robert per la disattenzione a semplici norme di sicurezza.
Raccontò di una battaglia che ancora riempiva gli incubi della sua famiglia, e raccontò di quanto fosse stato difficile, abituarsi alla quiete e all’idea di avere un futuro limpido e solido.
Quando ebbe concluso il racconto, tra loro rimase un silenzio carico di ricordi e pensieri.
«Avrei voluto conoscerti allora» concluse lui in un sussurro.
Lei non rispose.
Rimase a guardarlo, beandosi di quella versione di Draco Malfoy priva di maschere di ogni tipo, convinta che ad averlo visto così, fosse stata soltanto lei.
 



Solito NdA: questo è uno dei capitoli che ho riletto, riscritto, cancellato, e odiato, di più.
La mia paura di storpiare il personaggio di Draco è cosa nota, ormai, nonostante le vostre rassicurazioni e le vostre sempre magnifiche recensioni, sono fatta così, sono una paranoica cronica. Prendere o lasciare. 
Detto ciò, spero vi sia piaciuto almeno quanto gli altri. E per la vostra gioia: il meglio deve ancora venire, come sempre.
Nel prossimo capitolo, rivedremo Sirius, e sono parecchio in ansia anche per questo. Ma ci penseremo lunedì prossimo.
P.S.: voglio dei pareri anche sul "mio" Ted e Lyall. 

Fatto il misfatto,


 

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Capitolo 8
*** le istruzioni del gioco ***


Come si sente la voglia di vivere
che scoppia un giorno e non spieghi il perché
un pensiero cullato
o un amore che è nato e non sai che cos'è
(F. Guccini, Farewell)



7. 
le istruzioni del gioco 

 
La notte avvolgeva Villa Black con delicatezza. Ogni oggetto, magico o babbano, dormiva da ore. Il ritratto di Phineas Nigellus, che Kayla e Martha avevano insistito per salvare dalla polvere di Grimmauld Place, dormiva beato. Era strano, pensò Anastasia passandoci davanti per andare verso la spaziosa cucina, che fosse in quella cornice: solitamente, anche nei mesi estivi, preferiva di gran lunga spiare l’ufficio della Preside ed i suoi infiniti pettegolezzi. Superata la sua mania per il sangue puro, Anastasia era riuscita ad instaurarci un rapporto quasi amichevole. Sirius sosteneva che Anastasia fosse così buona e gentile che sarebbe andata d’accordo anche con un Berretto Rosso, se se ne fosse trovata uno davanti.
Mentre il gatto la seguiva fedele, entrò in cucina con passo leggero e sistemò il necessario per una tisana. L’orologio sul muro segnava le quattro e ventidue del mattino, lei era tornata da più di tre ore, e tutto quello che era riuscita a fare era stato rigirarsi nel letto, sentire le parole di Draco riecheggiarle nella testa e le sue espressioni riempirle la mente, sospirare e coprirsi la testa con il cuscino, nella vana speranza di coprire così ogni pensiero.
Raccolse la sua tazza preferita e vi versò l’infuso bollente, sorridendo notando che Martha aveva già sistemato sul tavolo il necessario per la colazione, come d’abitudine. Maledicendosi perché stringere la tazza bollente tra le due mani non era stata una buona idea, con un leggero balzo si sedette sul bancone pulito e incrociò le gambe, ripromettendosi che avrebbe accettato, la prossima volta che nonna Andromeda si fosse proposta di insegnarle un po’ di yoga.
Non sarei stato in grado di uccidere Silente, neanche se avessi avuto tutto il tempo del mondo, o almeno credo.
Chiuse gli occhi lasciando che la voce di Draco allontanasse ogni immagine di lei e nonna Andromeda che fanno yoga in salotto. Quei pensieri erano lì, a tormentarla, e non se ne sarebbero andati. Tanto valeva lasciarli fare.
Ho capito che io non ero come loro, io non ero … non ero ciò che loro avevano deciso che io fossi.
La cena appena conclusasi sembrava destinata a tormentarla.
Aveva sentito ogni storia di guerra che la sua famiglia potesse offrire. Ne aveva sentite così tante e così tante volte, che a volte sentiva di averle vissute anche lei.
Eppure, nessuna storia le aveva mai lasciato quel senso di angoscia e pietà. Si sentiva il cuore in una morsa, e riusciva solo ad immaginare Draco che punta la bacchetta contro Albus Silente.
Albus Silente, o meglio il suo ritratto, le aveva sorriso con complicità ogni volta che a scuola si era messa nei guai. E quando, al sesto anno, aveva lanciato un Everte Statim coi fiocchi a Morgan Copper, che stava lanciando insulti omofobi a Teddy da dieci minuti, quell’uomo con i capelli argentei e uno sguardo commosso, le aveva detto: «Anastasia Black, tu superi ogni mia più rosea aspettativa sul tuo conto». Lei aveva sorriso sinceramente compiaciuta, e aveva afferrato la gonna della divisa per fare una riverenza. Minerva le era sembrata furiosa, ma lei aveva deciso che Albus Silente sarebbe stato il suo quadro preferito – ma la voce non sarebbe mai dovuta arrivare a Phineas Nigellus, perché sapeva essere davvero permaloso.
Nessuno merita di morire, in effetti, ma ci sono arrivato solo con il tempo.
Avvicinò la tazza alle labbra e soffiò, illudendosi di soffiare via anche i pensieri e i ricordi di tutti i racconti di Harry e Robert su tutti i guai che avevano passato per colpa di Draco Malfoy, tutti i punti che aveva sottratto loro inutilmente e persino quella volta in cui Hermione gli aveva tirato un sinistro degno di nota.
Possibile che quello fosse lo stesso Draco che conosceva lei?
Quando Sirius apparve all’ingresso della cucina, lei non riuscì a nascondere un sussulto.
Lui le sorrise e le fece l’occhiolino, avvicinandosi con tranquillità.  «Sei qui» concluse, sistemandosi la vestaglia. Anya sorrise notando come la vestaglia portasse i colori di Serpeverde e le iniziali di Regulus Arcturus Black cucite sulla tasca sul petto.
«Che ci fai sveglio?» chiese con un sorriso.
«Potrei farti la stessa domanda» rispose lui avvicinandosi ai fornelli. «Ma te ne faccio un’altra: è avanzata un po’ di tisana per il tuo vecchio?»
Lei annuì e soffiò di nuovo, mentre lui Appellava una tazza e la riempiva. Poi, si appoggiò al banco da cucina  e incrociò i piedi, perdendosi a fissare lo stesso punto nel vuoto della figlia. «Ho avuto un incubo» spiegò, dopo aver soffiato anche lui sulla tazza. «E sai, quando faccio questo genere di incubi, ho bisogno di alzarmi e rendermi conto di quello che c’è davvero accanto a me»
Anya annuì. «Azkaban?» domandò, alludendo all’incubo.
«Azkaban» confermò lui. «Quindi mi sono dovuto mettere seduto, controllare che Martha fosse davvero Martha e non una qualche illusione e poi sono venuto a controllare che tu ci fossi»
Anastasia piegò la testa. «Che ci fossi?»
«Che esistessi, che fossi reale. Quando ero ad Azkaban, eri solo un sogno. Ma non temere, prima che quei disgraziati dei tuoi fratelli si sposassero e lasciassero il nido, controllavo anche loro»
«Che ci fossero?»
«Che ci fossero, sì» confermò di nuovo. «Okay, ora tocca a te»
Lei scosse la testa e sorseggiò la tisana.
Lui la osservò con sguardo dolce.
«Papà, secondo te … se una persona fa delle cose cattive, è cattiva?»
Lui aggrottò le sopracciglia.
«Voglio dire, non è detto, no?» continuò lei. «Il fatto che qualcuno agisca in un certo modo, non ne determina la natura. Insomma, a tutto c’è una spiegazione, anche alla cattiveria!»
«Abbassa la voce» la rimproverò subito lui in un sussurro. «Se svegli tua madre o Phineas, è la fine» poi sospirò. «Nessuno è solo buono o solo cattivo, Anastasia. Vorrei che fosse così, vorrei considerarmi assolutamente buono e considerare Orion e Walburga assolutamente cattivi, senza possibilità di replica» spiegò. «Ma non è così. Nessuno è solo bianco o solo nero, ecco» si prese qualche secondo per scrutare l’espressione pensierosa della figlia. «E nessuno ha in mano le istruzioni del gioco fin da subito, se sai cosa intendo. Ci vuole un po’ di astuzia e di fortuna per trovarsi in mano le carte giuste»
La ragazza annuì, sorseggiando di nuovo la tisana. «Grazie, papà» sussurrò poi, con lo sguardo ancora colmo di pensieri.
Lui le prese il naso tra indice e pollice. «Sei sempre il mio mostriciattolo»
Lei sorrise di cuore e posò la tazza per allargare le braccia. Il padre raccolse quell’abbraccio con delicatezza e dedizione.


I corridoio di Hogwarts l’accolsero con naturalezza, come se non fosse stata costretta a dire loro addio solo due mesi prima. con i jeans più sobri che era riuscita a trovare, si dirigeva a grandi passi verso il Gargoyle, mentre Nick-Quasi-Senza-Testa le fluttuava accanto, assettato di informazioni.
«Vostro fratello Robert, allora, forse?»
«No, Sir Nicholas» sbuffò lei.
«Non posso nascondere una certa gioia nel rivederla, dovrò avvisare il Frate Grasso quanto prima, ma …»
«Sono solo di passaggio, Sir Nicholas» spiegò lei. «Devo parlare con … un quadro»
«Un quadro! Perché mai, un quadro? Io le consiglierei di parlare con un fantasma! I fantasmi sanno molte, molte più cose, e sono decisamente più vecchi!»
Lei alzò gli occhi al cielo. Maledetto il momento in cui aveva accettato di consolarlo quando nessuno era andato alla sua festa di complemorte, al suo quarto anno. Da allora, era diventato una cozza. Era convinto di doverle restituire un favore, o forse mille, o comunque di avere diritto a sapere tutto sulla sua vita.
«La ringrazio, Sir Nicholas, farò volentieri quattro chiacchiere con lei e gli altri fantasmi in un altro momento» Svoltare l’angolo e trovare il Gargoyle fu quasi una liberazione. «Succo all’ananas» lui immediatamente si spostò, e prima che potesse accorgersene, era nell’ufficio della Preside.
Minerva era seduta alla scrivania, con il capo chino su un libro grande quando un calderone. «Anastasia!» sorrise, vedendola. «Qual buon vento!»
«Perdona l’intrusione» esordì lei. «Ho chiesto a Phineas di avvisarti»
«Certamente» rispose la Preside. «Ma non credo di aver compreso a pieno il messaggio del vecchio Phineas, diceva che avresti bisogno di parlare con …»
«Albus Silente, sì» concluse la ragazza. «Credi sia possibile?» domandò poi timidamente, indicando il ritratto alle sue spalle.
«Senza dubbio, Anastasia, senza dubbio» rispose Minerva alzandosi dalla sedia per avvicinarsi a lei. «Credo sia comunque mio dovere informarti, però, che quello non è Albus Silente» le disse, posandole una mano sulla spalla e abbassando sensibilmente il tono della voce. «Per quanto Albus possa aver istruito il ritratto quando era in vita – e ti assicuro che lo ha fatto più che bene – Albus Silente è morto»
Anastasia strizzò l’occhio con complicità alla sua madrina. «Lo so. E so anche che tu non stai nella pelle all’idea di sapere cosa mai potrei dovergli dire»
Minerva cercò di nascondere un sorriso.
«Siediti lì» acconsentì la ragazza, indicando la poltrona più vicina alla finestra. «Per favore, fingi di non esserci e non farne mai parola con nessuno» si guardò attorno. «Lo stesso vale per voi che fate finta di dormire» un paio dei Presidi ritratti, in segno di protesta, abbandonarono la cornice, mentre lei si avvicinava ad Albus Silente e Minerva prendeva posto dove le era stato indicato.
Albus Silente la osservava con saggia dolcezza.
Capì immediatamente cosa intendesse Draco quando aveva descritto i suoi modi come “dannatamente gentili”. Fece per parlare, ma richiuse immediatamente la bocca, provocando nell’anziano Preside un mezzo sorriso.
«Sapeva che sarei arrivata, non è vero?» domandò, quindi.
«Lo sospettavo, sì» confermò lui. «Cosa posso fare per te?»
«Lui … credeva che lui sarebbe mai riuscito, ad ucciderla?»
Silente abbassò la testa per riuscire a guardarla senza dover filtrare lo sguardo attraverso le lenti degli occhiali a mezzaluna. «Nemmeno se avesse avuto a disposizione una notte lunga cento anni, mia dolce Anastasia»
Con la coda dell’occhio, vide Phineas aprire un occhio, spinto dalla troppa curiosità.
«E lasciami aggiungere» continuò Albus. «Che non so come lui sia entrato nella tua vita o tu nella sua, ma so per certo che una cosa del genere, ad un’anima tormentata come la sua, porterà solo benefici»
Sentì Minerva trattenersi dal parlare, ma fu distratta dal fatto che, per la prima volta, vide riempirsi una cornice che era sempre stata vuota. In un abito da mago nero e con un pallore quasi preoccupante, un naso aquilino ormai leggendario e uno sguardo inquisitore, la guardava letteralmente dall’alto verso il basso.
E così, quello era Severus Piton.
Lo osservò per qualche secondo, sentendo riecheggiare le parole di Draco: non ti perdi granché.
Quello sguardo serio e severo, specie se messo a confronto con quello dolce e saggio di Albus Silente o con quello materno e accudente di Minerva, la metteva in soggezione, facendola sentire più vulnerabile di quanto la facesse sentire l’intera questione che l’aveva portata ad essere di nuovo lì.
«Lei è d’accordo?» chiese, con un filo di voce.
Il ritratto di Piton non si degnò di cambiare espressione o dare voce a qualsiasi forma di risposta. Si limitò ad annuire lentamente, ma con decisione.
Allora, si voltò verso la sua madrina.
Con le mani giunte in grembo, sedeva dove le era stato chiesto, con sguardo serio.
«E tu?» chiese, di nuovo.
Minerva la osservò attentamente per qualche secondo, senza muovere un muscolo. «Sono pienamente d’accordo con Albus, Anastasia» rispose, poi. Si alzò, e con passo deciso coprì la distanza con la figlioccia. «Tuttavia …»
Anastasia non riuscì ad evitare di sospirare e alzare gli occhi al cielo.
«Evita certe espressioni, signorina Black»
«Non mi piacciono i tuoi discorsi che cominciano con “tuttavia”, Minnie» 
«E invece, dovrai sorbirti anche questo» sorrise la Preside. «Come tutti gli altri»
Anastasia allargò le braccia e mosse qualche passo all’indietro, per sedersi sulla sedia che stava davanti all’imponente scrivania. «Lo sai che ti ascolto sempre» sorrise. «E poi» aggiunse, con un sorriso più che malandrino. «Sarà il primo discorso che mi fai che non finisce con una punizione o una quantità eccessiva di punti sottratta a Tassorosso»
«Non sono ancora convinta che tu non sia, in realtà, una Grifondoro» sospirò Minerva. «Dunque, dove eravamo?»
«Stavi partendo con il tuo solito “tuttavia”»
«Oh, giusto»
 
 
Draco se ne stava fermo nell’androne.
Le mani in tasca, le scarpe ben allacciate, i capelli perfettamente pettinati.
Lo sguardo fisso davanti a lui, le spalle all’imponente porta d’ingresso. Impercettibilmente, scosse la testa.
Avrebbe solo voluto avere il coraggio per entrare di nuovo in quella cantina.
Avrebbe voluto avere il coraggio per fronteggiare una cantina apparentemente vuota, ma piena di sensi di colpa. Avrebbe voluto essere una persona abbastanza coraggiosa da potersi permettere di convivere pacificamente con i propri rimorsi ed i propri rimpianti.
Invece, si trovava costretto a passare le ore ad osservare la porta che nascondeva le scale che portavano a quella dannata cantina.
Come un codardo qualsiasi.
Come il codardo che sentiva di essere.
Si sforzò di muovere un passo, uno soltanto, in più verso quella porta. Un passo. Non sarebbe arrivato ad aprirla o addirittura a scendere le scale. Voleva solo compiere un passo, uno di più, rispetto alla distanza massima che sentiva di poter sopportare. Un passo più in là di quello che si era sempre concesso.
Rimase immobile.
Avrebbe voluto compierlo, quel passo. E poi aggiungerne un altro il giorno seguente, in una settimana arrivare ad aprire la porta, in due a scendere le scale, e magari in un mese riuscire a pensare a quella cantina come a una semplice cantina, nulla di più, nulla di meno.
Rimase immobile.
Come un codardo qualsiasi.
Come il codardo che sentiva di essere.
 
Anastasia si incastrò la matita nei capelli con disinvoltura e posò i gomiti sulla scrivania, mentre la pioggia picchiettava sui vetri delle finestre. Si passò una mano sul viso, passando lo sguardo dal libro che aveva davanti al giardino di Villa Black al di là della finestra. Raccolse le gambe sulla sedia e iniziò a girare su sé stessa, grata a quell’arredamento Babbano che popolava la casa. Dopo un paio di giri, decise di averne abbastanza e tornò ad osservare quel manuale di Magisprudenza.
Chiuso.
Si passò di nuovo una mano sul viso e si strofinò gli occhi, imponendosi di smettere di pensare ai quadri, a Minerva, alla cena con Draco e a tutto il resto. Le era già successo di far ruotare tutta la sua vita attorno ad un mago che l’aveva stordita con qualche parola gentile e una manciata di attenzioni. E si era trovata sola, sperduta, vuota e spenta. E aveva giurato che mai, mai sarebbe tornata a commettere gli stessi errori. Mai.
Allora perché non riusciva ad aprire quel libro e iniziare a studiare?
Perché non riusciva a concentrarsi sulla sua vita e sul suo futuro?
Ebbe la tentazione di cercare la lettera con cui Edward le annunciava che non sarebbe più tornato, solo per averla tra le mani e ricordarsi perché avesse scelto di non innamorarsi mai più. No. Edward non si meritava neanche quello. Aveva scelto, e tra le cose che aveva scelto, lei non c’era. Il minimo che potesse fare, era comportarsi allo stesso modo. Non permettergli di avere più influenza o importanza nella sua vita. Anzi, forse quella lettera un giorno l’avrebbe buttata.
Forse.
Un giorno.
Mentre stava per fare un altro giro sulla sedia, qualcuno bussò alla porta.
«Avanti» disse, senza pensarci.
Ad aprire la porta fu Harry, con in mano una Pluffa e indosso una tuta. «Fai una partita?» domandò, sorridendo. «Io te e Robert contro i tuoi nipoti»
Anastasia si alzò dalla sedia con un balzo e corse verso Harry per scompigliargli i capelli per dispetto. «Sarà un onore» sorrise.
Senz’altro, quello era un bel modo per concentrarsi sulla sua vita.
 

 

Sono le otto e venti di lunedì mattina, e mai nella mia vita ho acceso il computer tanto presto. 
Ma avevo così ansia per il momento in cui vi avrei regalato questo capitolo, che non ho resistito. Mi sono alzata prima della sveglia, ho fatto la doccia, sto bevendo il caffè con gli occhi ancora un po' chiusi davanti allo schermo, ma almeno andrò al lavoro stamattina immaginando le centinaia di persone che leggono ogni volta quello che scrivo che si entusiasmano e si emozionano davanti a un mio capitolo, aspettando le recensioni di quelle meravigliose "fan" più affezionate che non mancano mai di farmi sentire bene, capace, quasi brava in questo mio "talento" piuttosto bizzarro. 
Ecco. 
Il capitolo è vostro.
Mi perdonerete per aver banalmente copiato il discorso di Sirius dal quinto libro, ma credo che lui ci credesse davvero, quindi perchè non ripeterlo anche ad Anastasia?
Bene. Il tempo stringe, devo saltare in sella alla bici e andare a fare quello per cui mi pagano - oh, vorrei davvero essere pagata per scrivere ff, credetemi
Spero davvero di non avervi delusi. 

come sempre 
fatt il misfatto, 
C

 


P.S.: finalmente vi ho rivelato la Casata di Anastasia!   

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Capitolo 9
*** minestrone ***


Che il mondo là fuori ti aspetta e tu quasi ti arrendi
capendo che a battito a battito è l’età che s’invola
(Guccini, e un giorno)


A chi è cresciuto con me 
e anche a chi non l'ha fatto 




Controllò di nuovo di avere tutto quello che le serviva, sparso nella borsa che portava a tracolla, mentre raccoglieva le chiavi di casa dallo svuota tasche dell’ingresso e si sporgeva per spiare dalla finestra della cucina se stesse ancora piovendo. Maledetta Londra e la sua pioggia ininterrotta.
La porta si spalancò prima che potesse essere lei ad aprirla, costringendola a sfoggiare un’espressione stranita.
«Che graziosa accoglienza» commentò Fred, posando la sua copia delle chiavi esattamente dove poco prima stavano quelle di lei. «Ciao, moglie» le disse poi, avvicinandosi per baciarla con affetto.
«Ciao, marito» rispose lei, sorridendo. «Come mai sei già a casa?»
«Ho scordato degli appunti» spiegò lui. «Tu dove stavi andando?»
«Al lavoro» sbuffò Kayla.
Fred incrociò le braccia sul petto.«Kayla Lily Black Weasley, nel caso tu non te ne sia accorta, lì dentro» e le indicò il ventre rigonfio. «ci sono i miei figli, e si dà il caso che le Curatrici non possano portare con loro i figli al lavoro, soprattutto se miei e soprattutto se non ancora nati»
«Rilassati, Weasley» sorrise lei, scuotendo la testa. «Prima di tutto, finora il tuo contributo per queste due vite è stato minimo»
«Ma indispensabile» sogghignò.
«Sì, ma sono io che tra poco non mi vedrò più i piedi. E poi, tesoro, non mi avvicinerò neanche agli spogliatoi, se può tranquillizzarti: Claire ha bisogno di un consulto per un paziente»
«Ma Claire sa almeno lavarsi i denti senza di te?»  sbuffò Fred levandosi la giacca del completo e allentandosi la cravatta. «Può venire lei qui? Piove moltissimo!»
Kayla alzò gli occhi al cielo. «Sono in ritardo, Fred» si spazientì. «Hai qualcosa di seriamente rilevante da dirmi?»
«Sì!» s’illuminò lui. «Hai idea di quanto siano cresciuti i figli dei … come si chiamano quelli del quarto piano?»
«Copper» sorrise lei.
«Copper!» ripeté lui con convinzione. «Ho visto il ragazzo stamattina uscendo, sembra quasi più vecchio di me! Quando è successo?»
«Il figlio dei Copper ha l’età di Anastasia, e la ragazza ha un anno di meno» scosse la testa lei.
«Ha l’età di Anastasia?!» sputò allora Fred. «Ma sembra mio nonno
Kayla sorrise e alzò di nuovo gli occhi al cielo. «Posso andare, ora?»
«Quindi tu ti eri accorta che fosse cresciuto così tanto?»
«Sì: te l’ho detto, ha l’età di mia sorella» si stufò di nuovo lei.
«Dici che glielo dovremmo presentare?» la tirò lunga Fred.
«Non credo sia il suo tipo»
«Perché è biondo, dici?»
«Perché sono in ritardo»
«Credi sia pronta, dopo Edward?» continuò lui, chiudendo le braccia sul petto e fingendosi pensieroso.
«Fred»
«Voglio dire, è stata una batosta, ma è passato un sacco di tempo»
«Fred, ti prometto che non farò nulla che possa anche solo minimamente svegliare i tuoi figli, però levati dalla porta e permettimi di andare al San Mungo!»
«Anastasia parla mai con te di questo genere di cose?»
«Ti sto per Schiantare» lo avvertì lei. «E giuro che ti lascerò sul pianerottolo steso, e ‘fanculo a tutti i vicini babbani e alle regole del condominio»
Fred sembrò seriamente valutare la cosa, per poi cambiare completamente espressione e sorridere alla moglie come se fosse la prima volta che la vedeva in tutta la sua vita.
«Moglie?»
Kayla lo guardò torva.
«Ultima domanda, poi ti lascio uscire»
«D’accordo, spara»
«Mi ami?»
Kayla tornò a sorridere, e si avvicinò a lui per baciarlo di nuovo. «Anche troppo, marito» rise.
Lui, come d’accordo, si scostò dalla porta e le permise di aprirla per uscire. «Stai attenta ai miei figli» si raccomandò. «E salutami Claire» aggiunse, mentre lei, sul pianerottolo, si voltava quel tanto che bastava per strizzargli l’occhio e poi, controllato che né sulle scale né davanti alle altre porte ci fosse nessuno, si Smaterializzò. Lui rimase a guardare il punto in cui era sparita per qualche secondo, come faceva d’abitudine.
Decidere di abbandonare il bilocale di Diagon Alley che era stato il loro nido d’amore sia prima che dopo il matrimonio era stata una delle decisioni più difficili di sempre, ma era stata anche naturale: erano convinti di volere dei figli, ed era chiaro che lì non c’era spazio. Quindi, avevano deciso di dare una svolta alla loro vita e cercare casa nella Londra Babbana. Quasi subito, avevano trovato un appartamento grazioso a Earl’s Court, al quinto piano di un condominio che ospitava i babbani più curiosi, simpatici e impiccioni che Fred avesse mai conosciuto. Era sicuro che alcuni di loro sospettassero che quella coppia del quinto piano nascondesse qualche cosa, ma quando lei era rimasta incinta, si erano tutti convinti che quello che in realtà stessero nascondendo fosse la gravidanza. Quando Arthur Weasley era rimasto chiuso nell’ascensore un intero pomeriggio per puro divertimento, si erano invece convinti che il loro grande segreto fosse che il padre di Fred fosse svitato, e quando invece Sirius e Martha apparivano la domenica, la coppia di anziani del primo piano cercava di capire quanti anni avessero per calcolare a quanti anni avrebbero avuto Kayla.
Era cose così semplici da risultare divertenti e permettere a lui e Kayla di passare intere cene a ridere di quanto quei babbani potessero essere buffi, ed era sicuro che anche loro facessero lo stesso pensando ai Weasley, la bizzarra coppia del quinto piano.
Anche troppo, marito.


Ginny Weasley era contenta della sua vita. Lo era dal momento in cui era finita la guerra, da quando suo fratello Fred stava bene e da quando le era stato permesso di addormentarsi ogni sera accanto ad Harry Potter. Era contenta del suo lavoro, anche se tanti dicevano che non era vero.
Smettere di giocare per fare la mamma? Una follia, per molti. Per lei, la cosa più naturale del mondo.
Quando Harry le aveva chiesto di sposarla, sapeva bene che il passo successivo sarebbe stato quello di dare alla luce un piccolo Potter. Il fatto che se lo aspettasse, però, non implicava il fatto che non ne fosse felice. Forse, ne era così felice perché sentiva di averlo aspettato tutta la vita.
Harry le aveva chiesto di sposarla una notte di Capodanno, alla Tana: tutti erano dentro casa, a festeggiare, lei era uscita per godersi le stelle. Lui l’aveva raggiunta,  e prima che lei potesse anche solo pensare di augurargli buon anno, lui era in ginocchio. Si erano sposati quella primavera, e prima della fine dell’estate, si era accorta che salire sulla scopa le dava una nausea strana. Tutto estremamente prevedibile, ma non per questo meno bello. Harry era tanto spaventato quanto euforico, e dopo un’accesa discussione sul nome da dare al nascituro, le si erano rotte le acque, due settimane prima del termine. Quando ebbero preso in braccio il piccolo, fu chiaro il nome che gli avrebbero dato. Con quei ricci scuri e quella voglia di strillare, non poteva che chiamarsi James Sirius.
Non li faceva dormire per più di tre ore di seguito e sembrava essere nato per fare danni, con grande soddisfazione di nonno Sirius, che ci teneva però a non essere mai chiamato “nonno”.
Quando James aveva ormai un anno e mezzo, le occhiaie di Harry sembravano rientrare e Ginny pensava di tornare a lavorare, ecco che si trovò di nuovo ad avere la nausea, e poche settimane dopo il secondo compleanno di James, nacque Albus Severus. Al contrario del fratello, era un bambino dannatamente calmo ed era esattamente l’opposto di James. Quando piangeva uno, l’altro dormiva e viceversa. Kayla lo aveva giurato: come lei, Albus sarebbe stato la “pecora verde” della famiglia. Ginny aveva capito che era quindi impossibile per lei pensare di tornare a giocare. Aveva accettato un incarico di reporter per il Profeta, e proprio quando riusciva a dormire meglio e i bambini sembravano aver capito che tirarsi i capelli a vicenda non era un gioco divertente, James aveva ammesso di aver sbagliato a far credere al fratello che buttandosi dall’armadio avrebbe preso il volo, e Albus imparava a leggere con una velocità disarmante e il lavoro di Harry andava a gionfie vele, Ginny si rese conto di essere incinta per la terza volta. Sembravano essersi decisi sul nome del terzo maschietto, giurando che non avrebbero fatto come Molly e Arthur che avevano fatto sette figli in attesa di avere una femminuccia, loro si sarebbero fermati a tre, anche se fossero stati tre maschi.
E, contrariamente ad ogni previsione, nacque Lily Luna. Capelli rossi della madre e occhi verdi del padre, un caratterino da vera Weasley. Se James amava fare baccano, Lily preferiva agire nell’ombra, ma combinare guai ben peggiori. Come suo fratello Albus, però, amava leggere e non faceva altro che chiedere ai genitori, agli zii e ai nonni di leggerle qualche libro, via via sempre più complicati.
Ginny non poteva permettersi di pensare di tornare a volare, ma, d’altro canto, l’idea di fare la mamma le piaceva molto di più. Senza contare che rimanere nella tribuna d’onore a commentare gli errori altrui, le dava molta soddisfazione.
Harry  si gettò sul letto, allargando le braccia. Ginny, accanto a lui, teneva gli occhiali sul naso e un libro sulle ginocchia. Si concesse un secondo per guardarlo e sorridere. «Ce l’hai fatta?» domandò.
«Non sono sicuro che James dormisse del tutto» sospirò lui, fissando il soffitto. «Albus invece russava»
Ginny ridacchiò e scosse la testa, abbassando lo sguardo verso il marito. «Hanno giocato bene?»
«Benissimo, mia cara» sorrise lui. «James ha “Portiere” scritto in fronte»
«Non c’è cosa di cui io sia più fiera» sorrise di nuovo. «Li avete lasciati vincere?»
«Assolutamente no» rispose il marito con tono grave. «Che genitore sarei, se li lasciassi vincere?»
«Robert lascia vincere William agli Scacchi dei Maghi» contestò lei.
«Amore, ma Robert non sa giocare agli Scacchi dei Maghi» ribatté lui. «Non ricordo una sola volta in cui non abbia perso»
«Ammirevole che si ostini a giocare» sorrise, chiudendo il libro. «Harry, domenica devo seguire i Pride of Portree»
«Contro chi?»
«Holyheads» spiegò lei, posando il libro sul comodino. Guardò il marito,trovandolo pensieroso ma non contrariato, come si sarebbe aspettato.
«Mi stai chiedendo di venire con te o di cucinare di nuovo per la nostra prole?»
Ginny rise, stendendosi accanto a lui. «Di cucinare»
«Oh, ti prego, posso portarli da tua madre?» finse di piagnucolare lui.
«Devi imparare a cucinare, Harry Potter»
Lui si avvicinò a Ginny e le posò un bacio sulle labbra. «So fare un sacco di altre cose»
Ginny sorrise, gli posò una mano sul viso e lo baciò di nuovo. «Ad esempio?»
Harry le regalò un terzo bacio e poi trascinò la coperta fin sopra le loro teste, e Ginny non poté che essere d’accordo con lui.
Alla fine, nella vita che si era scelta, stava davvero bene.


Hermione se ne stava sul divano con la figlia addormentata addosso, e il libro Le avventure di Peter e Wendy stretto nella mano. Gli occhiali sul naso, leggeva con attenzione. La bambina si era addormentata da un pezzo, ma come spesso succedeva, Hermione aveva continuato a leggere per il solo piacere di farlo. Alla fine, quello era il libro della sua infanzia, ed era sempre gradevole tornare a perdersi tra quelle pagine; Robert aveva trovato in una libreria babbana un’edizione piena di figure, così che la bambina potesse perdercisi e raccontare lei stessa quella vecchia storia. Non era escluso, secondo Hermione, che non sapesse già leggere o che non l’avesse imparata a memoria. Lei, aveva detto, alla sua età sapeva già fare entrambe le cose. Robert, dal canto suo, aveva risposto dicendo che al mondo di Hermione Granger ne esisteva una sola, ma nessuno aveva capito se si trattasse di una nota positiva o negativa.
Quando Robert e il piccolo William varcarono la soglia di casa, lei fu costretta a fare loro segno di fare silenzio in ogni modo possibile. Robert, ridendo, coprì la bocca del figlio con una mano, per poi lasciarlo correre verso la mamma e la sorella addormentata. Hermione fece segno al figlio di darle un bacio sulla guancia e lui eseguì entusiasta.
«Come è andata?» chiese, in un sussurro. «Hai vinto?»
«No» rispose William senza perdere l’entusiasmo. «Però zia Anastasia ci ha portati lo stesso al McDonald’s!»
«Ah, ecco perché sei così felice» sorrise Hermione, mentre Robert si avvicinava per baciarle le labbra e accarezzare i boccoli della figlia.
«Se lo sono meritati, hanno giocato benissimo» spiegò. «Da quanto dorme?»
Hermione controllò di fretta il suo orologio da polso. «Quaranta minuti»
Robert annuì e, con fare abitudinario, si caricò in braccio la bambina, che non sembrava essersi accorta di niente. Mentre Hermione si stiracchiava il braccio su cui la bimba si era addormentata, Robert posò una mano sulla testa di William. «Ometto, avevamo un patto» gli ricordò.
«Subito a nanna, se vuoi il frappé» ripeté lui seguendo il padre verso il corridoio che portava alle camere da letto.
«Bravissimo» si congratulò il padre, guardandolo entrare nella sua camera da letto con portamento fiero. Voltandosi, con la bambina sulle spalle, trovò Hermione ancora seduta sul divano, che lo guardava con quello sguardo che ancora dopo anni gli faceva girare la testa.
Le fece l’occhiolino e lei sorrise così tanto da illuminare l’intera casa.
 
Robert si Smaterializzò a Godric’s Hollow con la sua solita grazia, sistemandosi i capelli con la mano e camminando a passo spedito verso la porta di legno di Casa Potter. Stava per bussare di nuovo, quando un ragazzino con i capelli disordinati aprì la porta e gli rivolse un grande sorriso. «Zio Robert!» esclamò, vedendolo.
«Campione!» esclamò lui di rimando. Alzò la mano e James gli batté il cinque entusiasta.
«Sei venuto a darci la rivincita?» domandò, mentre Robert entrava in casa.
«Un’altra volta, James» rispose lo zio scompigliandogli i capelli. «Devo parlare con papà»
Nel momento in cui fu nominato, Harry apparve dalla cucina con addosso dei guanti di plastica gialli e un grembiule a fiori della stessa tonalità.
«Merlino, fratello, sei inguardabile» gli disse Robert vedendolo.
James rise e Harry si sfilò i guanti di gomma. «Ginny dice che devo imparare a cucinare»
«Ma non ti servono i guanti, per cucinare»
«Ho paura di tagliarmi!» protestò Harry, facendo segno a Robert di raggiungerlo in cucina, dove stava cercando di affettare delle verdure.
«Oh, lascia fare» sbuffò Robert. Con un colpo di bacchetta, le verdure sul tagliere erano tagliate a regola d’arte.
Harry sbuffò e scosse la testa. «Perché tu, Kayla e Anastasia siete così bravi e io no
Robert si appoggiò al bancone e rubò un pezzo di carota. «Vuoi davvero che ti risponda?»
«No» rispose veloce Harry. «Né Sirius né Martha sanno cucinare, invece Remus mi ha detto che Lily …»
«È colpa di Albus!» squittì una vocina dal piano di sopra. «Te lo giuro, papà!»
« … cucinava divinamente» proseguì lui, ignorando il fatto che la figlia si fosse sentita chiamata in causa dal nome. «Dove, dico, dove li avete presi i geni da cuochi?»
«Da nonna Marie» sorrise Robert. «Ti ricordi quelle patate bollite?»
Harry spalancò la bocca e chiuse gli occhi, come un bambino che aspetta una caramella. «Non me ne parlare» si lamentò. «Altrimenti non riuscirò mai più a nutrire i miei figli» continuò. «A proposito, a cosa devo l’onore?»
«È successa una cosa pazzesca, e non so con chi parlarne» sputò Robert. «E poi non posso lasciarti cucinare il minestrone ai miei nipoti la domenica a pranzo»
Harry alzò le mani in segno di resa. Robert sorrise, si strofinò le mani tra loro e fece segno a Harry di spostarsi. Lui gli cedette volentieri il centro della cucina, e si sfilò il grembiule. Robert provò a protestare, ma prima che potesse aprire bocca, Harry glielo aveva già allacciato dietro la schiena.
«Quanto pazzesca, questa cosa?» domandò Harry, mettendo le verdure tagliate in frigo mentre Robert recuperava un altro tagliere per tagliare della carne.
«Ieri, a Londra, ho visto Edward»
Harry spalancò gli occhi. «Edward Scott? A Londra
Robert annuì, alzando gli occhi per scrutare l’espressione del fratello.
«E lui ti ha visto?»
«Certo» rispose Robert. «Mi ha fermato lui, per dirti la verità. Sembrava sinceramente contento di vedermi, oltre che stupito»
«E cosa ti ha detto?»
«Che è di passaggio, si ferma solo un paio di settimane per il matrimonio di suo fratello Peter, che mi trova bene e poi mi ha chiesto di Hermione e dei bambini e tutte le cose che si dicono in certi casi»
Harry annuì, mentre Robert Appellava dell’insalata e accendeva i fornelli. Aveva l’impressione che il fratello sarebbe andato avanti a raccontare, senza che lui facesse domande.
«Io non sapevo cosa dire, insomma: mi dici che con la barba assomiglio molto a mio padre, dopo che hai fatto soffrire mia sorella in quel modo?» scosse la testa. «Volevo solo dirgli: sei uno stronzo bastardo. Invece gli ho detto: grazie, è un gran complimento» continuò. «Ma soprattutto, perché fermarmi? Dopo quello che hai fatto e sapendo quanto sono legato ad Anastasia, perché senti il dovere di salutarmi e fare la bella faccia?»
Harry si strinse nelle spalle. «Robert io non credo … insomma, non credo che il suo aver lasciato Anastasia implichi il non volerle più bene o non tenere a noi, o quantomeno non doverci salutare se ci incontra per strada, ecco» rispose, pesando con cura tutte le parole. «Voglio dire, non … lo conosci, dai! È sempre stato così educato! Mi sarei stupito se vedendoti non si fosse fermato! E poi, lui e Anya sono stati insieme una vita: è persino venuto in ospedale quando è nata Lily!»
«Ti ho detto che è colpa di Albus, papà!» ripeté la bambina dal piano di sopra.
Robert scosse la testa.
«Non ti ha chiesto di Anastasia, vero?»
Lo sguardo del fratello fu inequivocabile.
«E che cosa ti ha chiesto?!» si stupì Harry.
«Se stesse bene!» ringhiò Robert girando la carne sulla piastra. «Certo che sta bene, lurida faccia di merda, dopo che noi abbiamo raccolto tutte le sue lacrime e l’abbiamo convinta a non buttarsi dalla Torre di Astronomia!»
«Invece, che cosa gli hai detto?»
«Che sta benone ed è splendida»
«Ed è la verità» puntualizzò Harry. «Non hai detto altro che la verità, quindi ti puoi anche calmare»
Robert scosse la testa, controllando la carne. «La questione ora è: lo dico ad Anastasia?»
Si udì un fortissimo rumore dal piano di sopra, come se qualcuno fosse caduto. Entrambi i fratelli osservarono il soffitto, come se si aspettassero che succedesse qualcos’altro, ma tutto tacque e dopo qualche secondo si sentirono di nuovo tre paia di piedi correre avanti e indietro.
«Non lo so» sospirò il Prescelto. «So che voi vi dite sempre tutto, ma … non mi sembra il caso» proseguì. «Non adesso che mi sembra finalmente serena»
Robert annuì pensieroso. Si udì un altro tonfo sordo e poi un pianto stridulo accompagnato da un richiamo («James! Te l’avevo detto che era pericoloso!») e la voce della piccola Lily che chiamava «Papà! Papà!» tra le lacrime a gran voce. Harry si scusò con Robert con un gesto, e lui gli sorrise, mentre il fratello spariva su per le scale.
Si perse a fissare la carne sulla griglia. Alla fine, si disse, forse era meglio non dire niente ad Anya.
Non avrebbe sopportato di vederla soffrire di nuovo per un Edward qualsiasi.





Sì lo so, è domenica sera, non lunedì, lo so, dico una cosa, e poi ne faccio un'altra, lo so, lo so ... ma voi mi amate così, vero? :D
Scherzi a parte: domani non avrò un minuto libero, ma ... non potevo lasciarvi senza capitolo. Senza questo, poi. Senza i miei, i nostri bimbi .... cresciuti! 
Ah, lo so, l'ho notato anche io che Anastasia non c'è. Ma ho pensato che anche Robert, Kayla e Harry meritassero il loro spazietto. Tornerà prima di subito. Promesso.
(E questa la mantengo) 

Fatto il misfatto 
C



 

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Capitolo 10
*** quello che gli altri non farebbero ***


The smile on your face let me know that you need me
There's a truth in your eyes saying you'll never leave me
The touch of your hand says you'll catch me wherever I fall
You say it best
When you say nothing at all
(when you say nothing at all, Ronan Keating)

9. 
Quello che gli altri non farebbero

 
Anya se ne stava seduta a gambe incrociate su una panchina di St. James’s Park, dando le spalle a Buckingham Palace e a un chiosco che vendeva hot dogs dai colori sgargianti. Quello era, senza dubbio, il suo parco preferito, anche se era sempre il più affollato. Da bambina, si divertiva a rincorrere le anatre, che puntualmente si gettavano nel piccolo fiume artificiale per sfuggirle. E poi, ogni panchina vantava un’incisione romantica, dedicata da qualche speranzoso.
 Quella su cui sedeva, recitava: “per aspera ad astra – Edward”.
Per quanto si sforzasse, era sempre lì che tornava a sedersi.
Gli occhiali da vista sulla punta del naso, una rivista aperta poco prima della metà, con la copertina piegata all’indietro, la più concentrata delle espressioni e una matita in mano. Un improbabile t-shirt dei Cannoni (di nuovo) annodata sopra l’ombelico, degli shorts a vita alta neri, larghi, strappati, e quelle dannate parigine.
 Di nuovo.
«Che cosa sarebbero, quelli?» 
Alzò gli occhi e sorrise. Draco Malfoy sembrava ancora più biondo sotto alle nuvole grigie di Londra.
«Parole crociate»
«No, Black» sbuffò lui. «Gli occhiali!»
«Beh, ti sei risposto da solo» replicò allora lei. «Sono occhiali»
«Da vista?»
«No, da sci, naturalmente!»
Draco si guardò attorno e si coprì il viso con una mano per cercare di celare il sorriso divertito. «Pensavo avessi solo occhiali da sole»
«Tu pensi troppo, biondo» sorrise lei, facendogli segno di sederle accanto.
Lui esitò, guardandosi attorno di nuovo.
«Dai, dillo» lo invitò allora lei.
«Che cosa?»
«Quello che stai pensando»
«Non sto pensando a niente»
«Va bene, allora lo dico io, visto che ti si legge in faccia»
«Dillo» la sfidò.
«Quanti babbani!»esclamò lei, in una mal riuscita imitazione del suo tono grave, fingendo di non stare trattenendo delle risate di puro divertimento. Draco cercò di nuovo di nascondere il sorriso. Scosse la testa, e prese posto accanto a lei.
Attorno a loro, era effettivamente pieno di babbani. Turisti di ogni genere e specie, inglesi che fingevano di fare jogging, altri inglesi o presunti tali che portavano a spasso il cane, coppiette di innamorati che passeggiavano mano nella mano appellandosi con i più improbabili nomignoli, studenti che fingevano di studiare seduti nell’erba.
«E nemmeno tutti inglesi!» continuò la ragazza, avvicinando il ginocchio al viso per posarvi la rivista. «Come farà il mio nobile culo Purosangue a sopravvivere
«Per le prime due frasi, saresti stata quasi credibile» rispose lui saccente. «Ma è gradevole sapere che tu rivolga pensieri al mio fondoschiena»
Lei gli rivolse uno sguardo malizioso e lui fu costretto a distogliere lo sguardo e a tentare (invano) di nascondere un nuovo sorriso, malizioso tanto quanto il suo.
«Cinge il dito» lesse allora lei, senza smettere di sorridere, ma ben attenta a non guardarlo negli occhi.
«Prego?»
«Gioca con me: cinge il dito»
«Ma giocare a che cosa, esattamente?»
«Alle parole crociate!» sbuffò Anastasia. «Ma non mi ascolti mai?»
«A giorni alterni» ammise il biondo. «Ripeti la domanda» ordinò poi, sistemandosi le maniche della camicia fin sopra il gomito, e lei finse di non notare il Marchio Nero che giaceva indisturbato sul suo avambraccio.
«No, così impari a non ascoltarmi. Era anello, comunque. Prova questa: il percorso verso l’alto»
«Salita» rispose lui con la sua nota sicurezza.
Le sembrò che stesse contando qualche cosa.
«Sei intelligente, qualche volta» sorrise, scrivendo le lettere di salita nelle caselle. «No, non è vero. Si interseca con la tre verticale che è … vice. Non può essere salita, se la tre verticale è vice»
«Forse la tre verticale non è vice»
«Ne dubito, la definizione è: sostituisce il capo, e ha quattro lettere»
Lui corrucciò la fronte qualche secondo. «Okay, è vice» gettò una rapida occhiata alla rivista di cruciverba. «Allora, il percorso verso l’alto è ascesa»
Lei contò di nuovo. «Cinque punti a Serpeverde!»
«Perché solo cinque?»
«Perché prima hai detto salita» Anya scosse la testa. «Sei lettere, uccello rapace» gli disse allora. «Aquila» risposero all’unisono.
Anastasia abbassò gli occhi e sorrise, lui scosse la testa con lo stesso sorriso, cingendo la panchina con un braccio. «Che diamine fanno?» chiese poi, indicando un gruppo di turisti intenti a farsi un selfie di gruppo con lo sfondo di Buckingham Palace.
«Una foto ricordo» spiegò lei. «Sai, » e indicò la residenza reale. «Ci abita la regina babbana»
Lui annuì con sufficienza, piegando le labbra in giù. Anya sbuffò e scosse la testa, raccogliendo la borsa che stava tra di loro e sfilandosi gli occhiali da vista, gettandoli così rapidamente nella borsa che sembrò volerli nascondere. «A proposito» disse, estraendone una macchina Polaroid di tutto rispetto. «Avvicinati»
«Perché?»
«Perché facciamo anche noi una foto ricordo»
«Con quella
«Oh, e fidati, una buona volta!» si lamentò lei. Con un colpo di reni, si avvicinò a lui, posando la guancia sulla sua, e realizzando che non solo non erano mai stati così vicini, ma non avrebbe mai pensato che, a quel contatto – con il braccio di lui che continuava a cingere la panchina – nel suo stomaco sarebbe iniziato un rave party.
Puntò la Polaroid verso di loro, alzando le braccia al cielo. «Sorridi, biondo»
Lui si sforzò seriamente di sorridere. Primo, perché con lei gli veniva dannatamente semplice, e secondo, perché lei sembrava tenerci davvero.
Scattò la foto, e prima ancora che l’istantanea si potesse sviluppare, lei si era allontanata. Appena la macchina le regalò la cartina, lei istintivamente ci soffiò.
«Ma cosa diavolo …»
«Un attimo di pazienza» lo richiamò Anastasia. «Ammesso che tu sappia cosa significa» Soffiò di nuovo sulla foto, e poi mosse velocemente il polso per farle prendere più aria. La guardò, ci soffiò una terza volta, e poi sorrise soddisfatta. «Ecco!» esclamò, allungandola verso di lui.
Lui l’afferrò e la scrutò.
Ci mise qualche secondo per riconoscersi.
Poi, notò una cosa che gli diede tremendamente fastidio.
«È immobile! Merlino, perché questa foto è immobile?!»
Anastasia rise di gusto, mentre lui si rivoltava tra le dita quell’istantanea.
«Perché le foto babbane non si muovono!»  spiegò, con tutta la sua naturalezza.
Lui sbuffò, tornando a guardare l’immagine appena scattata. Lei, con il suo solito sorriso colmo di sincerità, e lui, con la faccia di chi non ha ancora capito che cosa ci faccia lì, ma questo non significa che non gli piaccia.
«A mio modesto parere, è meglio così»
«Così come, immobile?»
«Sì!» esclamò lei. «Così, è un solo istante, fermo su carta, per sempre. Uno solo, e solo quello»
«Ecco perché preferisco le foto dei maghi»
Lei alzò gli occhi al cielo, e lui non poté fare a meno di sventolare quella polaroid, come se si aspettasse che i loro stessi di qualche istante prima iniziassero a muoversi anziché rimanere immobili. La capovolse, con il tentativo di infastidirli: era uno dei suo passatempi preferiti, a Hogwarts, mettere i quadri sottosopra per svegliarli. Ma niente, loro rimasero immobili con le loro espressioni piene di cose non dette.
«Sai che cosa dovresti fare, signor Malfoy?» stava continuando a dire lei. «Dovresti imparare a stupirti, o quantomeno ricominciare a farlo»
Lui la guardò, con quegli shorts maledetti e quelle parigine stramaledette, in mezzo a un parco babbano pieno di babbani che si facevano foto babbane che non si muovevano, e non poté fare a meno di pensare che forse lei era arrivata nella sua vita proprio per questo motivo. Insegnargli a stupirsi di nuovo. E lui non poteva che essergliene grato.
Poi, tornò a guardare la Polaroid, trovandosi davanti a due considerazioni disarmanti.
La prima, era che non era mai apparso in una fotografia, che fossa magica o no, con qualcuno che sorridesse. Neanche in quella del diploma. Blaise aveva riso, prima di scattare la foto, ma Lucius li aveva richiamati alla serità. Così, nella foto del diploma sembravano imbronciati, e la cosa non sembrava cambiare, anche se era una foto magica.
La seconda, era che non esisteva fotografia, ritratto o racconto in cui non fosse identico a suo padre. Nessuna, tranne quella. Lì, accanto ad Anastasia eccetera eccetera Black, con la barba di qualche giorno e un’espressione perplessa ma divertita, non assomigliava né a Lucius, né a Narcissa, né a nessun altro. Era, semplicemente, sé stesso – o perlomeno, non credeva di essersi mai trovato così vicino alla versione più vera di sé.
E senza dubbio, questo era un altro motivo per cui essere grato ad Anastasia e a quell’ingresso bizzarro e inaspettato che aveva fatto nella sua vita.
«Posso tenerla?»
«Devi» sorrise lei, avendo capito già tutto. Raccolse gli occhiali dalla borsa con estrema rapidità e se li riposizionò sul naso. «Dunque: atterra all’arrivo, cinque lettere»
«Nimbus? No, ne ha sei. Comet!»
«Aereo» sbuffò, fingendo di non stare ridendo.
«Tecnicamente, anche Comet sarebbe stato corretto»
«Sai almeno cosa sia, un aereo?»
«Certamente» si difese lui. «Avevo una O in Babbanologia!»
«Io avevo una E» si vantò lei.
«Ovvio» la punzecchiò lui. «Voi siete filobabbani»
«Per dirti la verità, avevo E in tutte le materie» rispose, senza raccogliere la provocazione.
«Tutte?» si stupì.
«Tutte quante»
«Quanti M.A.G.O. hai preso?»
«Tutti quelli che volevo prendere» rispose lei ripetendosi, tornando a guardare le parole crociate. «Spazioso, cinque lettere»
«Vasto» rispose lui sicuro.
Lei scosse la testa. «Ampio» decretò.
«Quindi non ci vedi?»
«Ma per favore»
«Perché portare gli occhiali da vista, altrimenti?»
«Commettere un errore, nove lettere» lo ignorò. «Sbagliare» decretò. «Faccio fatica a leggere» spiegò poi, facendo spallucce. «Troppe ore nel buio della biblioteca»
«Però ti sono valse tutti quei M.A.G.O.» rilanciò lui. «Che ci farai ora, con tutte quelle E?»
«Fare quello che gli altri non farebbero, cinque lettere» alzò lo sguardo, stupita, piegando gli angoli della bocca. «Giuro, non era intenzionale»
«Fare quello che gli altri non farebbero? Osare» rispose lui con un sorriso. «Dovresti osare» proseguì. «Sei intelligente, sveglia e furba, puoi fare qualsiasi cosa tu desideri»
Anastasia inclinò leggermente la testa e si sfilò gli occhiali da vista. «Pensi questo di me?»
Riusciva a vederle bene gli occhi grigi anche con gli occhiali addosso, certo, ma ebbe l’impressione che se li fosse tolti per cancellare una barriera.
Draco annuì sicuro. «Cosa credevi?»
«Credevo pensassi che sono quella rompipluffe della sorellina mal riuscita di Kayla Lily Black» rispose, tutto d’un fiato.
Era vero, tutto vero. Nonostante tutte le cose che avrebbero dovuto farle credere il contrario, nonostante tutte le prove che portavano quella teoria a sgretolarsi fino a svanire del tutto, ne era convinta. Così come era convinta che chiunque, parlando con o di lei, non vedesse altro che la sorella combina guai di tre grandi eroi del mondo magico, o la quarta figlia di due dei maghi più chiacchierati (e invidiati o odiati, a seconda del periodo) del mondo magico.
«La sorellina mal riuscita?» ripeté lui. «Ma fai sul serio?»
Da come annuì, lo capì.
Non era mai stata più sincera.
«Non credo affatto che tu sia la sorellina mal riuscita di nessuno» si sentì in dovere di precisare. «Forse credo che tu sia effettivamente un po’ una rompipluffe, ma in buona fede» ammise. «E, per la cronaca, visto che il pensiero sembra darti il tormento, ho il dovere morale di comunicarti che per la maggior parte del tempo, tendo a dimenticarmi che tu sia la sorella di Kayla Lily Black e anche degli altri due» aggiunse. «E se ti trovassi noiosa o altre cose che sicuramente stai pensando o hai pensato, ti avrei lasciata passeggiare per Notturn Alley – evitandomi un pugno, tra l’altro -, non ti avrei invitata a cena – per ben due volte -, non ti avrei permesso di dare dei nomi ai miei pavoni o di alloggiare in casa mia, non sarei venuto qui oggi, e tantomeno ti avrei raccontato la mia storia»
Anastasia gonfiò il petto, sicura che quelle parole avrebbero messo a tacere i suoi problemi di autostima almeno per un po’ – e avrebbero dato a Teddy qualche cosa di cui ridacchiare e da rinfacciarle fino allo sfinimento.
«Tanto perché tu lo sappia» rispose allora lei. «Anche io credo che tu sia un rompipluffe in buona fede, e la maggior parte del tempo mi dimentico di chi sei figlio o nipote o di quell’adorabile tatuaggio che hai sul braccio»
Lo sapeva già. Glielo aveva detto in ogni modo, ma si sorprese di come fosse gradevole sentirselo dire per l’ennesima volta.
«Questo è confortante» decretò. «Direi che possiamo continuare con le parole crociate»
Lei sorrise e tornò a guardare il cruciverba che era rimasto in bilico sul suo ginocchio. «Argomento da evitare, quattro lettere»
«Mi auguro che qui non ce ne siano»
«Queste sono molto più di quattro lettere, signor Malfoy» si lamentò lei. «Tabù» lo informò. «Né questo  né quello, cinque lettere»
«Né questo né quello?» si stranì lui.
«Altro! Sei un principiante» si lamentò. «A che giocavate in Sala Comune?»
«Perché, tu giocavi a questo?» sputò lui.
«Certamente!» rispose lei entusiasta. Alzò gli occhi per rivolgere a Draco un sorriso Malandrino.
«Che c’è?»
«Guida l’aereo» lo punzecchiò lei, mordendosi un labbro per evitare di ridergli spudoratamente in faccia.
Lui sbuffò, stupendosi che ci fosse un nuovo gruppo di turisti che cercava di farsi una foto con Buckingham Palace come sfondo. «Quante lettere?» domandò.
«Sei»
Finse di pensarci. Era riuscito a capire cosa fosse una Mercedes intuendolo dal fatto che avesse un volante, la sera del loro primo incontro, e adesso portava sempre in tasca un telefono cellulare. Ma capire chi guidasse l’aereo solo dal numero di lettere, ecco, quello era troppo.
«Anastasia?»
«Sì?»
«Non ho assolutamente idea di chi guidi l’aereo» ammise, contento di farla ridere così forte. «So a malapena come sia fatto, in realtà, un dannato aereo» aggiunse. «So solo che vola e che serve ai babbani per coprire grandi distanze» spiegò. «E per dirla tutta, in Babbanologia avevo O perché copiavo»
 
«Non l’ho mai visto così allegro, ti dico!» stava raccontando Harry, in piedi nella colorata cucina di Kayla e Fred. Robert se ne stava in piedi sul piccolo terrazzo che affacciava su Londra, con la sigaretta in mano, ad accarezzarsi la barba con espressione perplessa. «E ti ha salutato?»
«Non mi ha semplicemente salutato, Robert» rimarcò Harry. «Ha detto “Potter, buongiorno”. Ti rendi conto? Draco Malfoy!» esclamò di nuovo, quasi saltando sul posto. «E poi ha ricominciato a trotterellare come un bambino al Luna Park!»
Fred, chinato davanti al forno, ridacchiò e scosse la testa. «Parola mia, Harry, quello è matto» si alzò e apparecchiò la tavola con un colpo di bacchetta. «Dove lo hai visto?»
«Questo è ancora più strano: era davanti a Buckingham Palace»
Robert rise nervosamente. «Sarà andato a leccare il culo di Sua Maestà!» rispose, avvicinandosi la sigaretta alle labbra.
«Che schifo» sputò Fred. «Non farmi pensare certe cose, stiamo per cenare!» nel momento in cui terminò la frase, la porta d’ingresso si aprì, facendo entrare Ron e George, ancora vestiti da lavoro, con espressione sfinita ma sollevata, sia per il concludersi della giornata lavorativa, sia per la prospettiva della cena in ottima compagnia.
«Avete deciso di cacciare le vostre mogli e fare una serata tra veri uomini?»  esordì George, accennando alla mancanza della parte femminile della famiglia. «E con veri uomini, intendo vecchi Grifondoro che si sfidano all’ultimo rutto»
«Così per una volta non verrete stracciati da Anastasia!» lo incalzò Ron.
«Le mogli sono a Diagon Alley con la prole» li informò Harry. «E con Martha e Sirius e i loro portafogli, cosa che mi preoccupa non poco» aggiunse. «L’ultima volta Albus è tornato a casa con un vulcano alto mezzo metro che eruttava caramelle di ogni genere»
«Papà era a dir poco entusiasta» aggiunse Robert, sogghignando.
Ron sorrise. «L’ho inventato io, quel vulcano! Grandioso, no?»
Harry corrucciò la fronte. «Certo, Ron, grandioso, però ci ho messo tre giorni a capire come spegnerlo, e James si è sentito male, per tutte quelle caramelle mou»
«James è un pappamolle» concluse Robert, rientrando in casa.
«Ehi, Robert» lo chiamò George. «Che farai, alla fine, con Anastasia? Per la storia di Edward, intendo»
Harry scosse la testa. George era e sarebbe sempre stato una vecchia pettegola.
«Abbiamo deciso che non le dirò niente» rispose il primogenito Black, sbirciando nell’insalata che Fred stava mescolando con cura. «Non si era detto polpettone?»
«L’insalata è per Anastasia» spiegò il rosso con non poco fastidio, facendo fluttuare la ciotola verso il tavolo in salotto.
«Ora che siete spacciati in quella gara di rutti» li informò Ron.
Nelle gare di rutti, Ron era l’unico ad arrivare quasi alla pari della portata di Anastasia, che una volta, a dieci anni, aveva quasi rischiato di far cadere il lampadario della Tana. Aveva sempre giurato che quello fosse il suo superpotere, quando Ted non faceva che cambiare colore di capelli perché Tonks non riusciva a spiegargli come gestirli.
L’unico che Anastasia non fosse mai riuscita a battere, era Sirius. Ma questo non significava che si fosse arresa, e il padre era ben contento di continuare a lasciarla provare, con grande disappunto di Martha, che si era sempre rifiutata anche di partecipare.
«Quando dici “abbiamo”» s’informò Fred. «Intendi tu e lo stronzo che vedi riflesso nello specchio?»
«Io e Harry» lo ignorò Robert. «E ho chiesto anche a Ted, per sicurezza»
«Praticamente una riunione del Wizengamot» commentò Ron. «Io comunque glielo avrei detto»
«Meno male che non è tua sorella, allora» ridacchiò Fred.
«Già, Ronnie,  non capisco perché tu non abbia ancora scritto un libro con tutti i tuoi consigli sentimentali» continuò George, mentre Robert scuoteva la testa e Harry si puliva le lenti degli occhiali con un gesto abitudinario. «Vogliamo ricordare il matrimonio di Harry e Ginny?» lo incalzò George.
«Ginny si è sposata con il broncio, per colpa tua» ricordò Harry.
«Ho fatto il mio dovere di fratello» rimarcò Ron.
«Ron, le hai offerto di scappare a bordo di un Thestral» lo richiamò Robert. «Almeno qualcosa di più teatrale, Merlino!»
 «Come se tu fossi il suo unico fratello, poi» s’inasprì Fred.
«Beh meno male che ha agito a nome di tutti» sorrise George. «Pensa se avessimo dovuto portarle un Thestral ciascuno
«Avrei ancora il giardino pieno» sorrise Harry.
«Io comunque glielo direi» ripeté Ronald, ignorandoli. «Per trasparenza»
Ma nessuno fece in tempo a rispondere a Ron o a contestarlo, anche se tutti sapevano che sarebbe stato perfettamente inutile (Robert e Harry erano fermi sulla loro decisione, e Ron era davvero pessimo in fatto di sentimenti), perché la porta d’ingresso si spalancò di nuovo per lasciare entrare Anastasia, che invase l’appartamento con un sorriso radioso. «Branco di troll!» li salutò, attraversando a grandi passi l’ampio salotto per raggiungere la cucina. «Parlavate male di me?»
«Malissimo» confermò Fred. «Inaccettabile che tu non voglia mangiare il mio polpettone!»
Anastasia si avvicinò a Robert, che le cinse le spalle con un braccio e le baciò i capelli, soffermandosi troppo con il naso sulla sua chioma. «St. James’s Park?» chiese, perplesso.
Lei alzò gli occhi al cielo e saltellò verso Harry per farsi posare un bacio sulla guancia. «Non puoi usare i sensi ereditati da Felpato per farmi il terzo grado» si lamentò. «Però una cosa ve la voglio dire: non indovinerete mai chi ho visto oggi a Londra!»
I cinque rimasero immobili, cercando in ogni modo di nascondere il terrore nei loro occhi.
Quantomeno, si disse Robert, ne era felice – o era solo bravissima a fingere.
Avrebbe dovuto saperlo, pensò: quando cercava di nascondere qualcosa a qualcuno, veniva smascherato in tempo record.
Cercò di fare mente locale. Se Edward le aveva detto che si erano visti, quale scusa poteva usare per giustificare il fatto che lui, suo fratello maggiore e miglior confidente, non glielo avesse detto subito?
Fred finse di concentrarsi di nuovo sul polpettone, Ron si grattò il naso, Robert si passò una mano nei capelli, George finse  di schiarirsi la voce e Harry si levò gli occhiali per pulirli di nuovo, incurante del fatto di averlo fatto pochi minuti prima.
«Oh, che facce lunghe» si lamentò la ragazza, levandosi la giacca di pelle per posarla sullo schienale della sedia. «Mi dovete forse dire qualcosa?»
«Ma ti pare?» la dissuase Harry rimettendosi gli occhiali sul naso. «Piuttosto: chi hai visto?»
«Dudley Dursley!» sorrise lei, scuotendo la testa. Harry e Robert tirarono un silenzioso sospiro di sollievo, mentre Fred nascondeva una risata isterica. «Non ci potevo credere» continuò lei. «Camminava verso Buckingham Palace ripetendo al telefono “io sono Dudley Dursley, per l’amor del cielo”!»
Harry sorrise di cuore. «Come ti è sembrato?»
«Avevate ragione tu e Kayla: è un maiale su due zampe!» rise di nuovo, sedendosi a tavola al posto in cui Fred aveva posizionato la sua ciotola d’insalata.
Robert aggrottò le sopracciglia. «Che ci facevi, davanti a Buckingham Palace?» indagò, accarezzandosi di nuovo la barba.
«Andavo a St. James’s Park, ma questo già lo sai» rispose lei acida, accennando al profumo che aveva sentito poco prima tra i suoi capelli.
Fred fece segno a tutti di prendere posto a tavola e George riempì i calici di vino con un incantesimo rapido e sorrise malandrino.
A Robert bastò uno sguardo. «Lo hai fatto di nuovo?» sbuffò.
George ridacchiò e Fred scosse la testa, ma sorridendo.
«George!» lo richiamò Harry. «Ho dei figli da cui tornare! E una moglie
«Dovresti brevettarla, questa cosa del bicchiere che non si svuota mai» gli diede man forte invece Anastasia, afferrando il suo calice. «Tiri Vispi Per Maggiorenni» suggerì.
«Consideratevi fortunati» aggiunse Ron. «L’ultima volta a me l’ha fatto con del Whiskey Incendiario»
«Anche al mio addio al celibato» sbuffarono all’unisono Robert, Fred e Harry.
«Infatti sono state delle feste leggendarie» sottolineò George.
«Forse è per questo che Ginny era arrabbiata, allora» stuzzicò Fred. «Forse Ron non aveva portato nessun Thestral, eravamo noi ad essere ancora troppo ubriachi»
«No, no» scosse la testa Harry. «Il Thestral c’era, lo abbiamo visto tutti»
«Io no» specificò Anastasia (non che non ne avesse avuta intenzione, anzi: solo che per lei, i Thestral continuavano ad essere invisibili). «E considerando che non aveva neanche la carrozza, vi credevo tutti pazzi»
«E adesso no?» s’informò Fred.
Robert scosse la testa e s’ingozzò con il vino che stava sorseggiando.
«Oh, Robert, non fare così» rise Fred. «La serata è ancora lunga!»
Harry, seduto accanto al fratello, gli batté una mano sulla schiena, e il primogenito lo ringraziò. «Immagino di non poter chiedere dell’acqua»
George scosse la testa. «Vuoi provare a fare leva anche tu sul fatto di avere una moglie e dei figli?»
«Ho davvero bisogno di ricordarti quanto possa essere terrificante mia moglie?» rispose Robert, provocando un’ilarità generale. «La prossima volta che mi sposo, George, ricordami di non chiederti di organizzarmi la festa di addio al celibato, giusto a proposito»
«La prossima volta che ti sposi?» sorrise la sorella.
«Hermione mi caccia di casa, se mi butto sul letto biascicando che è colpa di George un’altra volta senza riuscire neanche a togliermi le scarpe»
«Vedi perché non lo brevetto» sogghignò George. «Altrimenti Hermione saprebbe che suo marito dice la verità!»
«Harry» lo chiamò Fred, sorridendo alle parole del gemello. «Non hai finito di raccontare che cosa ci facessi a Buckingham Palace anche tu, oggi»
«Oh, a voi non l’ho detto!» riprese entusiasta Harry. «Oggi ero in centro, appunto, perché dovevo lasciare una Passaporta per conto di Kingsley» raccontò. «E ho visto sua signoria Draco Malfoy che trotterellava come un bambino felice»
Anastasia dovette far leva su tutto il suo autocontrollo, che, per inciso, non aveva mai vantato. Strizzando gli occhi, afferrò di nuovo il suo bicchiere,  silenziosamente grata all’incantesimo di George, pregò che né Robert né Harry la guardassero negli occhi prima che potesse inventare una scusa plausibile per essere così nervosa davanti a una notizia che non avrebbe dovuto farle né caldo né freddo.
«Trotterellava?» domandò Ron, corrucciando la fronte.
«Saltellava» specificò Robert. «Prima ha detto che saltellava»
«Oh, poco cambia!» sbuffò Harry. «Mi ha sorriso e mi ha detto “Potter, buongiorno”»
Ron strabuzzò gli occhi e Anastasia si impose di smettere di bere, notando lo sguardo preoccupato di Robert, ma sentendosi il cuore in gola. Era stata lei ad indicare a Draco l’uscita del parco che dava su Buckingham Palace, per trovare un punto poco affollato in cui potersi Smaterializzare. Si era anche offerta di accompagnarlo, ma lui aveva declinato con classe, strizzandole l’occhio.
Se lo avesse accompagnato e avessero incrociato Harry mentre camminavano e ridevano insieme?
Cosa avrebbe potuto dire?
Harry, non è come sembra?
E poi, cosa sembrava?
E soprattutto: cosa erano, per non sembrare?
«Harry, sei sicuro che fosse Draco Malfoy?» s’informò Ron.
«Più che sicuro» rispose Harry subito.
Anastasia pregò che la voce non le tremasse più di quanto non le tremasse lo stomaco. «Hai detto … come un bambino felice?» chiese, sentendosi il cuore in gola.
«Esatto» confermò Harry.
«Forse ha iniziato a drogarsi» suggerì George.
«Forse ha ripreso a drogarsi» lo corresse Fred.
«Forse ha trovato un altro Armadio Svanitore» aggiunse Ron.
«Uno a Buckingham Palace, e uno alla Malfoy Manor» sorrise Harry.
Anya si lasciò cadere sulla sedia, inforcando qualche foglia di insalata e un pezzo di pomodoro.
Draco era felice.
Aveva passato il pomeriggio con lei in St. James’s Park a fare le parole crociate, ed era felice.
Tanto felice da salutare Harry e augurargli un buongiorno.
Sorrise, e questo non passò inosservato a nessuno.
 

Credo che questo capitolo sia un po' più lungo degli altri, ma sono sicura che non vi offenderete. Devo ammettere che mi sono divertita moltissimo a scriverlo, spero sia stato altrettanto divertente da leggere (finora è tra i miei preferiti!).
A lunedì manca poco meno di mezz'ora, ma mi piace pubblicare a ridosso della mezzanotte perchè ho la pretesa di immaginarvi in procinto di affrontare un'altra settiamana mentre vi chiedete "ma piccolo uragano avrà aggiornato?" ... dunque se vi va di raccontarmi dove siete o cosa fate mentre leggete di Anya e tutti i suoi guai, beh ,sapete che queste sono le cose che mi scaldano il cuore. 

Fatto il misfatto, 
C
Ah, quasi dimenticavo: settimana prossima vi presento Edward. 

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Capitolo 11
*** Geranio Zannuto dalla A alla Z ***


 Ma l'ho capito finalmente
Che io del mondo non c'ho capito niente
Che voglio fare il furbo e invece sono
Un fesso come sempre
Me lo dicevi anche tu
La vita va vissuta
Senza trovarci un senso
Me lo dicevi anche tu
La vita va vissuta

E invece io la penso
(Brunori Sas, la vita pensata)




 
10.
Geranio Zannuto dalla A alla Z

Anastasia si mise a sedere sul letto di scatto, con il fiato corto. Attorno a lei, la sua stanza buia, la finestra aperta che dava sul giardino e mostrava le prime timide luci dell’alba. Si guardò attorno, sentendo il bisogno di controllare ciò che la circondava. L’armadio immenso, la scrivania sempre troppo disordinata, una libreria stracolma di libri e manuali di ogni genere, un vecchio poster delle Sorelle Stravagarie, un adesivo a forma di Ippogriffo sulla porta. Si ributtò sul letto, lasciando che il gatto si sistemasse tra i suoi piedi, sopra le coperte.
Un incubo.
Un altro.
Edward che muore davanti a lei.
Di nuovo.
Erano anni che aveva quel dannato incubo.
Da quando lui le aveva detto che sarebbe diventato uno Spezzaincantesimi.
Lei era al quinto anno, lui al settimo. Con il suo solito fare gentile, Edward aveva abbassato gli occhi e le aveva comunicato la sua decisione, tenendole le mani tra le sue. Avrebbe iniziato l’addestramento quell’agosto, e in pochi mesi sarebbe partito. Per dove, per quanto, con chi, non era dato saperlo. Non a lei, almeno. Si era arrabbiata e gli aveva chiesto di lasciarla da sola: non solo avrebbe dovuto finire la scuola senza averlo accanto – questo lo sapeva già, vista la differenza d’età – ma non avrebbe avuto la certezza di poterlo vedere a Natale o durante le vacanze estive. E con tutta probabilità, non avrebbe neanche potuto sapere dove fosse o dove cercarlo in caso di necessità, perché si sa, gli Spezzaincantesimi lavorano in segreto, e non è concesso che le fidanzate (soprattutto dei novellini) sappiano dove sono spediti o quando torneranno.
Si rigirò nel letto.
Forse lo sapeva, che l’avrebbe lasciata. Forse lo aveva capito in quel momento, o forse lo aveva sempre saputo, ma aveva fatto finta di niente. D’altronde, Edward era e sarebbe sempre rimasto il Portiere che l’aveva fatta quasi cadere dalla scopa alla sua prima partita. E lei, giovane e sciocca, giurava di essersene innamorata proprio in quel momento, al suo terzo anno, quando ancora portava i capelli ricci per assomigliare di più a Kayla, Robert e Sirius.
Si rigirò di nuovo.
Fanculo Edward.
L’aveva lasciata con una lettera, una lettera piena di convenevoli, frasi fatte e cliché. Una lettera arrivata a colazione, per umiliarla davanti a tutta la scuola.
Non avrei mai creduto potesse succedere”, “lei mi capisce”, “ti vorrò sempre bene”, “spero che potrai perdonarmi”.
Se anche fosse morto in qualche missione, lei di sicuro non sarebbe stata accanto a lui.
Chiuse gli occhi.
E lei, per un po’ aveva aspettato che tornasse. Ci credeva davvero, che sarebbe tornato. E l’avrebbe trovata lì, pronta a perdonarlo e a ricominciare daccapo.
Aspettarlo per mesi, però, le aveva portato via pezzi della sua vita che nessuno le avrebbe restituito.
Ti odio, Edward.
 
All’ora di pranzo, il Paiolo Magico pullulava di gente, come da tradizione. Anastasia, con addosso un top che le sfiorava l’ombelico e i jeans di Draco Malfoy, spalancò la porta con fare sfinito, dopo una mattinata di trattative con un vecchio Pozionista per conto di Fred, George, Robert e Ron, che con l’avvicinarsi del periodo scolastico erano più indaffarati che mai.
«Buongiorno!» le sorrise Hannah, indaffarato dietro il bancone. «Neville, guarda chi c’è!» strillò poi verso il marito, che se ne stava al di là del bancone leggendo il Profeta.
Neville abbassò il giornale e rivolse ad Anastasia lo stesso sorriso affettuoso. «Signorina Black!» scherzò.
Anastasia si sfilò gli occhiali scuri e sorrise. «Professor Paciock!»
Neville le strizzò l’occhio e le fece segno di sedersi accanto a lui.
«Siccome sono la tua alunna preferita» raccontò Anastasia frugando nella borsa che portava a tracolla. «Ti ho portato questo»
Neville strabuzzò gli occhi: Anastasia teneva in mano una prima edizione di Geranio Zannuto dalla A alla Z, di Maxwell Nelson, mago canadese che un secolo prima aveva dedicato la sua vita all’Erbologia, e che Neville venerava; costringeva tutti i suoi alunni del secondo anno a leggere il suo M come Mandragora, e aveva iniziato a collezionare prime edizioni poco tempo prima, e tutti sapevano che il libro sul Geranio Zannuto fosse il più difficile da trovare.
«Non ci posso credere!» strillò Neville. «Hannah! Hannah, amore, guarda
 La moglie, strofinandosi le mani nel grembiule per asciugarle, corse verso di loro con espressione allarmata. «Che c’è?»
«Geranio Zannuto dalla A alla Z!» strillò di nuovo Neville, avvicinando il libro al viso con fare teatrale. «Una prima edizione!»
«Oh!» si stupì Hannah. «Anya, dove Merlino lo hai trovato? L’ho cercato per tutto il Regno Unito, lo scorso Natale!»
Anastasia accennò una risata. «Segreti del mestiere» rispose, dondolando all’indietro.
«Grazie, grazie, Anastasia»  le disse Neville. «Non avresti potuto farmi regalo più bello»
«Forse adesso ti perdonerà per non aver proseguito Erbologia dopo i G.U.F.O.» sorrise Hannah.
«Oh, Hannah» sospirò la ragazza. «Non sono pronta per sostenere di nuovo questa conversazione»
Neville scosse la testa, aprendo il libro con cautela. «Ti ho perdonata quasi subito» ammise. «Ma se vuoi continuare a farmi regali di questo calibro, fingerò di essere arrabbiato ancora per un po’» aggiunse, senza alzare la testa.
«Non so quando ancora avrò così tanta fortuna»  gli disse lei. «Hannah, posso avere un panino? Sono stata in città tutta mattina per conto dei Tiri Vispi»
«Certo, tesoro» le disse Hannah. «Insalata, pomodori e formaggio?»
Anastasia sorrise e annuì. Trovava sempre davvero gradevole quando qualcuno si ricordava qualche dettaglio di lei o delle sue preferenze.
«Offro io, Hannah» le disse Neville, chino sul suo libro. «E credo che le offrirò tutti i panini che mangerà qui fino alla fine dei miei giorni!» aggiunse con entusiasmo, sfogliando le pagine con delicatezza.
Anastasia scosse la testa ed estrasse il telefono dalla tasca, controllando rapidamente le notifiche. Mentre Hannah le preparava il panino, Neville sfogliava il libro con le pagine ingiallite e sorprendentemente preziose, raccontandole dell’ultimo esperimento con i Bulbi Balzellanti, e Anastasia non poté che rimanere ammaliata dalla passione e dal trasporto del suo ex insegnante nel raccontare quelle cose. Era per questo che aveva scelto di frequentare Erbologia fino al quinto anno: per la passione che Neville metteva nello spiegare le cose, per come trasparisse il suo amore sincero per la materia, per come riuscisse a far sembrare l’esperimento con i Bulbi Balzellanti la cosa più bella del mondo.
Hannah le porse il suo panino su un tagliere di legno, con un bicchiere di sciroppo di ciliegia («offre la casa!» le aveva detto, sorridendo più che mai), di gran lunga la sua bevanda preferita. Hannah si era ricordata anche quel dettaglio, di lei, e lei non sarebbe potuta essere più felice.
Stava per dire a Neville che lo invidiava, per tutta quella passione e quel trasporto per dei banali Bulbi Balzellanti, quando accadde.
Neville esclamò «Oh, signor Scott, che piacere!» alzandosi per stringere la mano entusiasta all’ex studente, e lei alzò lo sguardo, ma non ce ne sarebbe stato alcun bisogno.
C’era un solo signor Scott che Neville avrebbe salutato con tanto calore.
Lo stesso signor Scott che l’aveva svegliata di colpo nel cuore della notte solo poche ore prima.
Lo stesso signor Scott che le aveva dedicato la scritta su una panchina a St. James’s Park.
Lo stesso stramaledetto signor Scott che l’aveva lasciata con una lettera mandata Hogwarts con un barbagianni sconosciuto e antipatico.
Alzò lo sguardo e il mondo parve fermarsi.
Edward Joseph Scott era un Purosangue dagli occhi color nocciola e i ricci color cioccolata, alto e muscoloso, secondo di tre fratelli praticamente identici a lui. Da quando era partito e l’aveva lasciata, Anastasia non l’aveva più visto. Per un po’, aveva costretto suo zio Aaron a dirle quali fossero le mete dei suoi viaggi o se stesse bene e fosse ancora tutto intero, se fosse riuscito a non immischiarsi in qualche faida tra Goblin vecchia di secoli – tipico di Edward: a Hogwarts aveva persino tentato di sistemare le cose tra Gazza e Pix.
Lo zio Aaron, Spezzaincantesimi molto più abile ed esperto di Edward Scott, lo aveva tenuto d’occhio per un po’, poi, su insistenza di Robert, Kayla e Harry, aveva smesso di riferire alla quartogenita Black ogni suo spostamento.
E lei, non ne aveva saputo più niente. Aveva stracciato ogni foto e aveva messo il braccialetto che le aveva regalato in un vecchio portagioie, insieme al fermacapelli a forma di cuore.
Aveva lasciato che la sua presenza svanisse, delicatamente come era arrivato.
Ed ora se lo trovava a pochi metri, che camminava verso di lei, sorridendo a Neville come se non fosse passato neanche un giorno, con una maglietta giallo ocra e una grossa cicatrice sul collo, i capelli lunghi e spettinati e la sua solita camminata spavalda.
«Professor Paciock, quale onore!» esclamò.
Anastasia desiderò che quello sciroppo di ciliegia si trasformasse in Whiskey Incendiario.
«Anastasia» la salutò con un cenno del capo.
Mani dietro la schiena, tono cordiale.
Altro grande classico del signor Scott.
«Edward» rispose lei con un mezzo sorriso.
«Che ci fai da queste parti, ragazzo?» domandò Neville, senza smettere di sorridere.
«Sono solo di passaggio, signore» rispose lui cordialmente, tornando a guardare Neville. «Mio fratello Peter si sposa questo mercoledì»
«Oh, le mie congratulazioni!» esclamò Neville. «Con Laetitia, giusto?»
«Giusto» confermò Edward. Poi, sembrò notare il libro su cui Neville teneva posata la mano. «Oh, questa è una prima edizione di …» 
«Geranio Zannuto dalla A alla Z! Proprio lui!» rispose entusiasta Neville, levando la mano. Edward, che teneva ancora le mani allacciate dietro la schiena, si sporse leggermente, con sguardo ammaliato.
«Ma è meraviglioso, professore, dove lo ha trovato?» domandò, sembrando sinceramente stupito.
«Un regalo della dolce Anastasia, a dire il vero» ammise Neville, indicandola con un cenno della testa.
Edward tornò a guardare Anastasia, che di rimando teneva lo sguardo fisso verso il muro davanti a lei, con la mascella sigillata, e ben stretto in mano il suo bicchiere, pregando che tutto quello che stava succedendo, semplicemente, non fosse vero.
«Professor Paciock, credo non esista mago o strega che non conosca il valore di Anastasia Black»
Anastasia si morse la lingua per non rompere il bicchiere che teneva in mano. Non le piaceva arrabbiarsi, era un sentimento che non sentiva proprio, che le era estraneo da sempre. Fino ai dodici anni, ogni volta che si arrabbiava scoppiava in lacrime, tanto le era estraneo. Senza contare che gli insegnamenti di sua madre erano sempre stati più che chiari in merito: con la rabbia non si va da nessuna parte. Ed era vero, e lei ci credeva profondamente. O almeno, ci aveva creduto fino a quel momento. Perché adesso, seduta al Paiolo Magico accanto a Neville Paciock e dando le spalle al suo ex fidanzato che decantava il valore della sua persona, adesso Anastasia si sentiva davvero furiosa, e sentiva che con quella rabbia avrebbe potuto distruggere ogni edificio d’Inghilterra.
Neville, ricevuto un cenno rapido dalla moglie, disse di avere delle cose da fare e si scostò.
«Non c’è alcun bisogno» rispose rapida lei, riuscendo comunque a usare un tono gentile. «Sto andando via» si alzò dallo sgabello, ben attenta a non voltarsi verso Edward. «Hannah, ti dispiace?» chiese, indicando il panino. Hannah con un colpo di bacchetta, impacchettò il panino in un sacchetto di cartone sigillato. «Scusami, eh» disse poi la giovane Black. Hannah le rivolse un sorriso gentile, mentre Neville raccoglieva il suo libro da collezione. «Non ti preoccupare, Neville» disse poi la ragazza all’ex professore. «Io e il signor Scott non abbiamo niente da dirci, sono sicura che tu troverai i suoi racconti molto più interessanti di quanto potrei farlo io» detto ciò, si allontanò a grandi passi.
Sentiva impiantati sulla sua nuca gli occhi di Edward, ma era più che decisa a non voltarsi.
Aveva in mente un’uscita teatrale, e l’avrebbe avuta.
Dopotutto, se la meritava.
Infilò il sacchetto con il panino in borsa e uscì dal locale, ben decisa a non guardarsi indietro. Mosse qualche passo con sempre più decisione, iniziando a pensare a dove Smaterializzarsi (a casa no, no di certo. Dai Lupin? Da Kayla? A Grimmauld Place? Da Harry? Ai Tiri Vispi? Da Minerva?) quando sentì di nuovo quella voce armoniosa chiamarla con un tono decisamente troppo alto per essere ignorato.
«Anastasia! Dai, Anastasia, fermati
Smise di camminare. Si maledisse per averlo fatto: non era intenzionale. Non voleva farlo, assolutamente. Voleva continuare a camminare, e Smaterializzarsi da qualche parte, ben lontana da lui, dalle sue spalle muscolose e dai suoi occhi color nocciola.
Ah, quegli occhi.
La raggiunse di corsa, senza mostrare segno di fatica. «Ehi» le disse con un sorriso, superandola per mettersi davanti a lei. «Va tutto bene?»
Anastasia rimase immobile.
Va tutto bene?
Ci voleva una bella faccia tosta, pensò.
Neppure Edward Scott aveva una faccia tosta tale da chiedere se andasse tutto bene in una situazione del genere. Eppure, Edward Scott sapeva sempre sorprenderla.  Questo, si disse, non sarebbe mai cambiato. Neanche dopo tutti quei mesi e una lettera d’addio, e tutti quei sentimenti contrastanti.
«Mi … mi dispiace, sai, non averti avvisata che sarei tornato in città» disse ancora lui, portandosi le mani sui fianchi.
Lei inclinò la testa e lo guardò torva.
Davvero le stava dicendo una cosa del genere?
«Peter … ha deciso tutto in fretta come al solito, sai com’è fatto, ho avuto a malapena il tempo di organizzarmi»
Anastasia alzò le sopraccigli e premette la lingua contro i denti.
Non poteva essere vero. Non poteva essere così sfacciato e così ingenuo. Era troppo persino per lui.
«Ma volevo … volevo avvisarti, sai, chiederti di fare quattro chiacchiere per sapere come ti vanno le cose»
Eppure realizzò in quel momento, che lo aveva amato anche per la sua ingenuità: perché non pensava mai alle conseguenze delle sue azioni e delle sue parole. Edward Scott prima agiva, e poi pensava. E non sempre aveva il tempo e la voglia per pensare. Si era detta mille volte che aveva molto da imparare da Edward Scott: lei pensava troppo, al contrario di lui.
Si chiedeva spesso se avesse imparato, almeno un po’, a non pensare. Quella, si diceva, era la sola che voleva tenere con sé di quella relazione.
«Non … non mi dici niente?» chiese lui, mostrandosi quasi preoccupato. «Mi hai a malapena salutato»
Lei lo fissò di nuovo per qualche secondo.
Quanto le era mancato.
Quante volte aveva sognato che lui tornasse in Inghilterra senza avvisarla, per sistemare le cose. Quante volte aveva sognato di sentirlo dire che non era vero niente, che non si era innamorato di un’altra e che non aveva assolutamente intenzione di lasciare perdere tutto, che solo uno stupido avrebbe buttato all’aria tre anni di sentimenti e promesse. Quante volte aveva sperato di vederlo tra la gente. Si era persino trovata a Notturn Alley, seguendo uno sconosciuto con una chioma vagamente simile alla sua.  
Adesso, era davanti a lei, dicendole che era tornato ma era solo di passaggio, e che avrebbe voluto fare quattro chiacchiere per sapere come le andassero le cose, guardandola come si guarda uno Schiopodo impazzito, stranito da quella sua reazione restia.
«Mi pare di essere stata chiara» disse allora lei, con un filo di voce. «Non ho niente da dirti»
«Anastasia …»  cominciò lui, in un sospiro.
«Anzi, no» lo fermò lei con un gesto della mano. «Porta le mie congratulazioni a Peter»
«… possiamo parlare?»
«Sei ancora fidanzato?» sputò, poi.
«Sì, ma …»
«Ecco, esatto» lo bloccò lei di nuovo, scuotendo la testa. «A questo proposito, ho un’altra cosa da dirti: vaffanculo»
Riprese a camminare, e dopo meno di tre passi, si Smaterializzò.
Questa volta, sapeva benissimo dove andare.
 



Vi confesso che ho una notevole ansia per questo capitolo. 
Con questo, diciamo, iniziano a susseguirsi un pò di cose che cambieranno le carte in tavola. 
Dunque, solite informazioni più o meno utili: 
- Maxwell Nelson non lo troverete sui vostri Lexicon o su Potterpedia, perchè è l'ennesimo personaggio di cui detengo ogni diritto. I Gerani Zannuti e i Bulbi Balbuzienti, invece, sono canon, quindi frutto dell'immaginazione di JKR.
- dove diamine starà andando Anastasia? 
- nel prossimo capitolo avrete un pò di Martha. 

Credo di avere finito. 
Come sempre, è quasi mezzanotte ma io ho sonno perchè ormai sono anziana, quindi ... buon lunedì!

Fatto il misfatto
C


 

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Capitolo 12
*** certe tempeste ***


Adoro adoro adoro i tuoi grovigli,
Li conto ad uno ad uno e penso in questo mi somigli,
Non farti mai cambiare dalle cose
Tu non ne sei capace, quando il mondo compra rose
Sei sola, e il cuore va ai duecento all'ora.
Si perde per sempre qualcosa, quando ci si innamora.
(Cesare Cremonini, "tante belle cose")




11. 
certe tempeste



«Con quella sua dannatissima faccia tosta!» sbraitò Anastasia. «Come può una persona mentalmente sana pensare di rincorrermi e chiedere se vada tutto bene? Certo che non va tutto bene! Come può pensare che vada tutto bene?! Insomma: sparisce per quasi un anno e poi davanti a Neville dice che non esiste mago o strega che non conosca il valore di Anastasia Black! Troll che non è altro! Come si permette?!» picchiò un piede per terra e prese a camminare avanti e indietro. «E poi: che cosa vuol dire che mi voleva avvertire per fare quattro chiacchiere? Chi cazzo le vuole fare quattro chiacchiere con uno come Edward Scott?!» Strinse i pugni ed emise un verso d’ira. «Tre anni della mia vita passati accanto ad un ragazzo con il cervello di un Asticello!»
«Tre anni?»
«Tre fottuti anni!»
«Anastasia, perché non ti siedi?»
«Perché sono arrabbiata!» ringhiò lei.
«Questo lo vedo» sorrise Draco, seduto composto sul divano di pelle. «Tre anni sono tanti per una relazione, soprattutto alla tua età»
«Tre anni sono troppi per una relazione con un troll!» strillò quindi lei.
«Siediti» la invitò di nuovo lui, con tono più fermo e deciso. «Kora?» chiamò. Immediatamente, l’elfa apparve accanto al padrone.
«Padron Draco ha chiamato Kora?» domandò, guardandolo con i suoi occhi grandi e scuri.
«Kora, per favore, prepara una tisana e un bagno caldo per la nostra ospite» le chiese Draco.
«Kora esegue subito, padron Draco!» così come era apparsa, Kora scomparve, fin troppo entusiasta.
«Non c’è bisogno» ringhiò Anastasia, sforzandosi di sembrare più calma.
«C’è bisogno eccome» la contraddisse Draco. «Non puoi avere l’aspetto di una che sta per esplodere in casa mia, Black» aggiunse, con il suo solito tono freddo. «Ci sono già troppe brutte storie che girano su questo posto» aggiunse, con un ghigno.
Anastasia si concesse di voltarsi a guardarlo. Seduto composto, con le gambe accavallate e una camicia stirata a regola d’arte, pettinato e con il suo solito sguardo freddo, ma pieno di pensieri.
«Scusami, Draco» disse, in un sussurro, rendendosi conto solo in quel momento della situazione.
«Non hai nulla di cui scusarti» le rispose lui subito, calmo, come se fosse tutto assolutamente normale. «Non tu, quantomeno, e soprattutto non con me»
«Non … non sarei dovuta piombare qui senza avviare, mi dispiace»
Draco fece una cosa che lasciò stupito lei quanto lui. Si alzò, e si avvicinò a lei. Le afferrò il mento con due dita, per costringerla a guardarlo negli occhi. «Ora dirò una cosa, e la dirò una volta soltanto, quindi esigo la tua completa attenzione»
Aspettò un cenno da parte sua, che non  tardò ad arrivare.
«Puoi piombare qui senza avvisare tutte le volte che vuoi» disse, con semplicità. «È raro, che io non ci sia. E comunque, puoi sempre prenderti un tè con mia mamma»
Anastasia inclinò la testa e accennò un sorriso, e lui, dopo averla fatta sorridere in un momento del genere, si sentì l’uomo più felice del mondo. Lei sembrò tirare un sospiro di sollievo. «Mi dispiace» ripeté.
«Smettila» la richiamò lui con fare severo.
«Non … non volevo andare da qualcuno che mi avrebbe detto “te l’avevo detto, Anastasia!”»
Draco, ancora in piedi davanti a lei, accennò un sorriso. «Non ti direi mai che te l’avevo detto» le promise, con tono inaspettatamente sincero. «Anche perché, per dirla tutta, ho capito la metà delle cose che hai detto»
«Mi dispiace» sospirò, mettendosi una mano sulla fronte per guardarsi attorno.
«Smettila» le disse di nuovo lui. «Giuro su Salazar, se dici un’altra volta che ti dispiace, ti mando davvero a prendere il tè con Narcissa!»
Alzò gli occhi per trovare Draco che la guardava con dolcezza. Si regalò qualche secondo per studiare quello sguardo nuovo, e scoprire che le piaceva particolarmente. Si sentiva come incatenata: sentiva che non avrebbe potuto distogliere lo sguardo, se prima non lo avesse fatto lui. Lui, d’altro canto, aveva la stessa identica sensazione – ed il desiderio di rimanere a guardarla per ore, fino a che lei non si fosse stancata. Perché era sicuro che si sarebbe stancata lei, per prima.
A spezzare l’incantesimo fu Kora, che apparve con in mano una tazza piena di tisana bollente. «Kora ha preparato la tisana  e il bagno caldo, padron Draco» annunciò.
«Grazie, Kora» risposero i due, all’unisono.
 
«Dopo tre cazzo di anni» sputò Anastasia. Avvolta in un accappatoio verde Serpeverde, con i capelli corvini ancora bagnati che le ricadevano lungo e la schiena, qualche ciuffo ribelle le accarezzava il viso e inumidiva l’accappatoio anche sul davanti. La sigaretta in mano e lo sguardo arrabbiato.
Draco la guardava, mentre fumava il sigaro e ascoltava una storia che sembrava essere raccontata per la prima volta.
Anastasia ed Edward si erano conosciuti a scuola, sul campo da Quidditch, come la maggior parte delle coppie che conosceva. Dopo un paio di uscite a Hogsmeade, lui le aveva dato un timido bacio nei corridoi di Hogwarts nel cuore della notte, mentre tornavano da una gita nelle cucine. Mrs Purr li aveva beccati, e si erano dovuti fare una settimana di punizione, che altro non era che l’opportunità di stare insieme anche più del dovuto.
Anastasia aveva raccontato tutto quasi subito a Ted, Nicole e ai suoi fratelli e dopo un anno di relazione grandiosa, aveva presentato Edward a Martha e Sirius, e Edward aveva presentato Anastasia ai signori Scott, che Draco conosceva bene perché, si sa, tra Purosangue ci si conosce tutti.
Persino la Piovra Gigante sembrava essere al corrente di quella relazione, a quanto pare, e tutti si aspettavano che sarebbero durati per sempre. Ma il caro Edward Scott, che presumibilmente si era beccato più insulti in quel quarto d’ora che in tutta la sua vita, aveva deciso di diventare uno Spezzaincantesimi e di girare il mondo per conto della Gringott.
Dopo poco più di un mese di viaggio in Marocco, quando le sue lettere si facevano sempre più corte e più rade, una mattina a colazione aveva mandato ad Anastasia un gufo con una lettera che la ragazza recitò a memoria. Aveva conosciuto una strega di nome Janine, e se ne era follemente innamorato.
Draco pensò che non aveva mai visto una persona scuotere la testa così tante volte, neanche Piton davanti ai pasticci combinati a lezione di Pozione da Potter e Weasley.
Non avrebbe mai pensato che un semplice racconto avrebbe potuto rendere degli occhi belli come quelli di Anastasia così vuoti come li vedeva lui in quel momento.
Così, senza darle possibilità di replica, Edward era sparito.
E lei era rimasta con una lettera in mano a piangere in mezzo alla Sala Grande, fino a che Ted non aveva dovuto trascinarla in Infermeria, terrorizzato all’idea che avesse smesso di respirare.
In un certo senso, spiegò Anastasia, Ted non aveva tutti i torti: per settimane, le era sembrato di non respirare. Aveva perso l’appetito, la voglia di alzarsi dal letto e ogni genere di stimolo proposto le dava la nausea. Il Quidditch le era assolutamente indifferente, e diventare Capitano non le importava più. La Preside McGranitt s’informava giornalmente sulla sua salute fisica, e ogni finesettimana si incontrava a Hogsmeade con i suoi fratelli. Ma era come se non li vedesse, come se niente la toccasse.
Come se fosse sparita, se la sua anima fosse altrove, ma il suo corpo fosse rimasto intrappolato. I suoi voti calavano a picco, i suoi polsi ed i suoi fianchi erano sempre più sottili e il viso sempre più incavato.
Poi, raccontò, poco a poco, era passato.
Le lezioni avevano ripreso a sembrarle interessanti e le battute di Ted e le disavventure amorose di Nicole la facevano sorridere. Ricevere dei disegni via gufo dai suoi nipoti le riempiva di nuovo il cuore e si sentiva dispiaciuta all’idea di aver fatto preoccupare i suoi genitori e i suoi fratelli.
I brutti voti le davano il voltastomaco e studiare in biblioteca sembrava avere un nuovo fascino.
Le partite di Quidditch ripresero a sembrarle una cosa bellissima, e vincere le dava immensa soddisfazione, allenare la squadra ed incoraggiare i suoi giocatori le dava grinta.
A poco a poco, disse, aveva ripreso a vedere i colori.
Giusto in tempo per prendere tutti i M.A.G.O. e sentirsene ampiamente soddisfatta, compiere diciotto anni ed andarne fiera, vincere l’ultima partita e festeggiare.
Certo, disse, si sentiva sempre come se le mancasse un pezzo. Dormiva poco e non era riuscita a recuperare la massa muscolare che aveva perso, e ogni volta che qualcosa le ricordava vagamente Edward, tornava ad indossare la sua espressione triste che i suoi amici tanto temevano.
Fumava nervosamente raccontando quel pezzo di vita, così sincero, tragico e magico allo stesso tempo.
Lui non poté non sentirsi grato per quelle confidenze: non si era mai sentito degno delle confidenze di nessuno. E adesso, avvolta in quel (suo) accappatoio, lei gli stava consegnando quel pezzo della sua vita come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E lui avrebbe voluto abbracciarla, prima di tutto perché nessuno merita di essere trattato in quel modo (lei, soprattutto) e poi perché gli stava regalando uno spezzone di vita straordinariamente normale. E lui, di straordinariamente normale, non aveva mai avuto nulla.  


 
Ted Lupin se ne stava chino su un foglio di pergamena, intento a scrivere con una lentezza epocale. Era chiaro che non gli andasse di fare quello che stava facendo, così come era chiaro che non sapesse cosa scrivere. Si reggeva la testa con la mano e sbuffava di continuo.
Attorno a lui, la cucina ed il salotto di casa Lupin erano deserte.
Lyall era riuscito ad ottenere due biglietti per la partita del Puddlemore contro una squadra spagnola, e Remus si era offerto di accompagnarlo.
Lyall neanche tifa Puddlemore, pensò Ted.
Tonks era al Ministero, e sarebbe tornata per cena. Lui era intenzionato a farsi trovare da sua madre chino sui libri, al suo ritorno, un po’ perché avevano discusso la settimana prima, un po’ perché ci teneva ad essere lui per una volta il figlio modello, ma non era più troppo sicuro di riuscire nel suo nobile intento.
Stava per gettare a terra penna e calamaio, quando qualcuno suonò il campanello. Chiunque fosse, pensò, lo stava salvando. Corse verso la porta e la spalancò senza chiedere nulla.
Si trovò davanti Anastasia, con le braccia incrociate e un broncio degno di nota.
«Buongiorno buon umore!» le disse, sorridendole.
Era sinceramente felice di vederla, quantomeno perché così avrebbe avuto una buona scusa per smettere di cercare di finire quel compito di Incantesimi.
Lei non ricambiò il saluto, e a grandi passi entrò in casa, per posizionarsi al centro del salotto.
«Mi vuoi dire che cosa è successo o devo tirare a indovinare?» la incalzò il ragazzo.
«Edward» disse lei, con tono freddo.
Lui strabuzzò gli occhi. «Edward Scott
«Di quale altro Edward potrei mai parlarti?» domandò lei allargando le braccia.
Ted si strinse nelle spalle e si sedette sullo schienale del divano. «Che è successo?»
«Edward è a Londra» sospirò.
Lui alzò le sopracciglia, e a lei bastò quello.
«Ted Lupin» lo richiamò. «Tu lo sapevi?» chiese.
Se c’era una cosa che Ted sapeva di avere imparato, era che non era mai un buon segno, quando qualcuno usava il nome completo del suo interlocutore.
Abbassò la testa.
Ted non era bravo a mentire. Si poteva sforzare a nascondere alcune cose, alcune storie e alcuni dettagli, ma mentire proprio non faceva per lui. Nemmeno quando Lyall e Nicole, da piccoli, avevano nascosto ad Anastasia il suo peluche preferito, era riuscito a mentire. Aveva preferito correre in lacrime tra le braccia di suo padre, che gli aveva detto che una dolorosa verità era sempre di gran lunga preferibile a una felice bugia. Lui aveva deciso di fare tesoro di quelle parole, ma in un momento come quello, avrebbe di gran lunga preferito avere la faccia tosta di suo fratello Lyall.
«Ted! Miseriaccia, Ted!» lo richiamò lei di nuovo, con un tono di lamento, portandosi le mani sulla fronte.
Ted si accarezzò la nuca. «Perché credi che io lo sapessi?»
«Perché non hai fatto un salto di due metri urlando come un’isterica quando te l’ho detto!» si giustificò. «Vuol dire che non sei stupito perché non ti sto dicendo nulla di nuovo!»
«Sapevo che prima o poi sarebbe tornato» si arrampicò lui. «E neanche tu sembri arrabbiata come dovresti essere!»
«Non cambiare discorso!» tuonò Anastasia. «Tu lo sapevi, pezzo di stronzo!» sentenziò.
Ted rimase impassibile. Non c’era via di scampo. D’altronde, Anastasia era la persone che lo conosceva meglio di chiunque altro. Lyall era il suo miglior complice e con Nicole si facevano delle grasse risate nei momenti più disparati, e aveva una manciata di compagni di Casa che era contento di poter definire amici, ma Anastasia era la sola persona che, guardandolo negli occhi, avrebbe potuto capire qualsiasi cosa gli passasse per la testa in quel momento.
Così come aveva capito che lui sapeva che qualcuno le aveva nascosto quel peluche, anni prima.
Questa volta, però, era molto più grave.
«Me lo hanno detto» ammise, in un sospiro. «Senti, capisco che tu possa essere arrabbiata, ma …»
«Oh, tu capisci!» ringhiò di nuovo lei. «Beh, se capisci allora è tutto a posto! Grazie molte, Ted!» con tono e passo furioso, guadagnò l’uscita. Prima che Ted potesse aggiungere qualcosa o seguirla, lei si era già Smaterializzata, e lui era rimasto con la bocca aperta: scusami, stava per dirle.
Ma non ne aveva avuto il tempo. E forse, lei non lo avrebbe ascoltato.
 
Martha Redfort si considerava una buona madre, un’ottima Auror e una moglie … beh, non sempre impeccabile, ma comunque una buona moglie, a conti fatti. Nel corso degli anni, aveva capito che probabilmente le mogli perfette non esistono. Sicuramente, il suo non era un marito perfetto, ma un marito che la rendeva felice. Ed era di gran lunga preferibile ad un marito perfetto, ammesso che esistessero. E anche se fossero esistiti, Sirius non lo sarebbe stato, anche se si sarebbe sicuramente considerato tale.
Niente nella sua vita era stato perfetto. Suo padre le aveva detto, una volta, che le cose perfette sono noiose. E aveva ragione; come sempre, alla fine. Robert Redfort aveva sempre avuto ragione.
Nemmeno i loro figli erano perfetti. Ognuno a modo suo, riuscivano ancora a farla arrabbiare come quando da bambini infrangevano le regole. Certo, ora che erano grandi era tutto più semplice: non doveva preoccuparsi che dormissero abbastanza o accertarsi che sapessero distinguere il bene dal male. Era sicura che lo sapessero fare da soli, anche se non era ancora sicura che dormissero abbastanza. Di sicuro, non era più compito suo far capire loro di aver sbagliato o dare loro una giusta punizione. Ogni tanto, però, le piaceva coccolarli come quando erano piccoli. E coccolare i loro bambini, anche.
Era una donna di cinquant’anni, ormai, e poteva affermare con certezza di essere stata una buona madre.
Okay, d’accordo, cinquantadue.
Ma ne dimostrava al massimo quaranta. Si sa, i maghi invecchiano molto, molto più lentamente. E lei ne era contenta: con una figlia di diciotto anni e un marito come Sirius Black, non poteva permettersi di sembrare vecchia.
Era una nonna, è vero, ma Sirius aveva proibito a tutti i loro nipoti di pronunciare “quella parola”: diceva che gli rovinava la piazza. Erano nonni troppo giovani per essere considerati tali.
Nonostante fosse convinta di essere stata una buona madre per i suoi figli, nonostante fosse convinta di non aver mai fatto mancare loro niente, c’era una cosa che riusciva sempre a metterla in difficoltà: i drammi adolescenziali. Perché sono cose in cui nessuno può entrare. Sono cose con cui non si può avere a che fare, neanche se sei il miglior genitore del mondo.
Anastasia se ne stava sdraiata sul divano a fissare il soffitto con sguardo davvero, davvero furioso. In un attimo, passava da furioso a perso, da perso a triste, e da triste a furioso.
E lei non poteva che stare lì a guardarla. Prima di tutto, perché Anastasia sembrava avere perso il dono della parola. E poi, perché se c’era una cosa che quattro figli le avevano insegnato, era che certe tempeste bisogna soltanto aspettare che passino. Quello non era un insegnamento del buon Robert Redfort: era qualcosa che aveva dovuto imparare sulla sua pelle, a sue spese, e di cui aveva fatto tesoro. Quindi Martha se ne stava alle porte del salotto, con una tazza di tè bollente in mano. Sulla porta, rispettosa degli spazi e del dolore della figlia.
Aspettando che fosse lei ad invitarla ad entrare, a chiederle di insegnarle che certe tempeste bisogna davvero solamente aspettare che passino.
E passano.
Certo che passano.
Passano tutte.
Passano sempre.
Anche quando non sembra. 



Dunque, ehm. 
Il grande ritorno di Martha su questi schermi, diciamocelo, non poteva che essere diverso. 
In punta di piedi, ma decisa, sicura. Credo sia questo che la rende ... beh, Martha. :D
Non vi preoccupate, presto la sentirete anche parlare - intanto, un biscotto premio a chi aveva indovinato dove stesse andando Anastasia! 

In più, voglio essere così arrogante da poter dire che, all'alba dei ventuno anni, le ultime righe di questo capitolo sono qualcosa che vorrei poter dire a chiunque legga questa storia e si trovi in mezzo ad una tempesta che sembra non voler passare mai.
Ecco, non è così. Passa tutto. 
A prestissimo 

fatto il misfatto 
C


 

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Capitolo 13
*** qualcosa di bello ***



12. 
qualcosa di bello

«Non sono d’accordo»
«Lo so»
«Credo che dovremmo intervenire»
«E invece devi rimanere qui»
Lo sguardo che Martha rivolse a Sirius, lo fece tornare a sedersi a tavola con l’aspetto di un bambino in punizione.
«Ragiona, Sirius Black» gli disse calma la moglie. «Le hai chiesto per ben tre volte cosa fosse successo, e per ben tre volte lei non ti ha risposto. A cosa ti servirebbe seguirla in camera? Per farti dire di no per la quarta volta e farla arrabbiare ancora di più?»
Sirius roteò gli occhi. «Fammi riprovare!» implorò.
Martha scosse la testa.
«Provo a chiedere a Robert» decretò Sirius, alzandosi di nuovo dalla sedia.
«Lo sai che non ti direbbe niente»
Sirius si sedette di nuovo indossando la migliore delle sue espressioni imbronciate, mentre la moglie sparecchiava con un colpo di bacchetta. Dopo una manciata di secondi, Sirius si alzò di nuovo da tavola.
«Sirius» lo richiamò la moglie.
«Rilassati, donna» sorrise lui. «Sto andando ad aprire la porta»
Lei non fece a tempo a dire che non avevano suonato, perché in quel momento, il suono del campanello invase la casa. Martha scosse la testa e sbuffò. Maledetti sensi da Padfoot. Sirius uscì dalla cucina per attraversare l’atrio con passo stanco, e spiare attraverso lo spioncino chi fosse che a quell’ora poteva presentarsi alla loro porta. Scuotendo la testa, aprì la porta.
Edward Scott, nascondendo l’imbarazzo dietro una posa da duro, stava in piedi davanti a lui con una scatola di cartone in mano.
«Edward» lo salutò Sirius, non riuscendo a nascondere un sorrisetto. «Questa che è una sorpresa»
«Buonasera, signor Black» salutò lui cordialmente. «Chiedo scusa per il disturbo, sono passato solo per lasciare questo»  e porse lo scatolone ad un incredulo Sirius.
«Immaginavo fossi qui per vedere Anastasia» rispose Sirius perplesso afferrando lo scatolone.
«Oh, no, signore, ci siamo già visti qualche ora fa ed è stata abbastanza chiara, non credo abbia voglia di vedermi»
Sirius alzò le sopracciglia e si trattenne dall’urlare e saltellare verso la moglie. Ecco, ecco cosa è successo.
«Capisco» si limitò a dire, sforzandosi di continuare a recitare la parte del padre calmo e risoluto come aveva fatto per anni davanti a quel ragazzo.
«Ma quelli … sono dei libri che mi aveva prestato, e altre cose a cui so che teneva ma non ho mai avuto modo di restituirli»
Sirius annuì di nuovo. «Sei un caro ragazzo, Edward. Voglio dire, sei uno stronzo, ma … sei anche un caro ragazzo»
Edward incassò il colpo e annuì. «Grazie per la schiettezza, signor Black»
«Capisci però che non posso trattenermi dal chiederti se sei tornato per restare»
«No, no, riparto tra qualche giorno» rispose lui subito. «Mio fratello, Peter …»
«Oh, ho saputo!» sorrise Sirius d’improvviso. «Incrocio spesso vostro padre al Ministero» spiegò. «Porta a Peter e Laetitia di nuovo le mie congratulazioni!»
Edward mostrò un sorriso sincero. «Non mancherò, signor Black. Lei porga i miei omaggi alla sua signora»
Sirius annuì, e prima che potesse ringraziarlo, lui gli aveva voltato le spalle e stava attraversando il giardino per raggiungere il cancello. Chiuse la porta e scosse la testa.
Uno stronzo, ma anche un caro ragazzo.
«Chi era, tesoro?» domandò Martha uscendo dalla cucina.
«Non te lo dico» sorrise il marito, salendo le scale di marmo.
«Sirius!» s’inasprì la moglie, richiamandolo con il tono con cui richiamava gli apprendisti Auror.
«Così impari!» strillò, ormai alla fine delle scale.



Anastasia era in piedi davanti alla finestra. In pochi minuti, sarebbe arrivato un temporale. I tuoni e i lampi notturni, pensò, riflettevano in pieno il suo umore. Era così arrabbiata, che non sapeva per cosa essere arrabbiata di più. Per la faccia tosta di Edward o per l’omertà di Ted?
Da Ted si sentiva tradita, da Edward si sentiva umiliata.
Quale sentimento la feriva di più?
Toc toc.
«Vattene, mamma» sbuffò lei.
«Ho una cosa per te» rispose suo padre, al di là della porta di legno bianco.
«Una bottiglia di Whiskey Incendiario?»
«No, ma se vuoi possiamo andare a prenderla»
Anya scosse la testa e aprì la porta con un colpo di bacchetta. Rimase a fissare suo padre, con in mano quella scatola sigillata, e alzò le sopracciglia. «Traslochiamo?»
«Posso entrare?» domandò Sirius con garbo.
Lei annuì. Lui mosse qualche passo all’interno della stanza e posò la scatola ai piedi del letto. «Dunque, ehm, io non … non sono troppo bravo in queste cose, senza contare che non lo ammetterò mai davanti a lei, ma mi scoccia molto agire senza il consenso di tua madre»
Anya piegò gli angoli della bocca, sforzandosi di sorridere.
«Ma poco fa, il signor Edward Joseph Scott ha bussato alla nostra porta»
Anastasia inclinò la testa e sospirò, sentendosi anche peggio di qualche secondo prima.
«Mi dispiace, papà»
«Oh, non hai di che scusarti: come suo solito, è stato incredibilmente gentile»
La ragazza corrucciò la fronte.
«Ha lasciato questo, per te» disse, indicando lo scatolone. «Ha detto che sono libri che gli avevi prestato e altre cose a cui tenevi e che non aveva avuto modo di restituirti» spiegò. «Dunque, non dico di essere d’accordo con tua madre, ma credo che certe cose vadano affrontate da soli, quindi … adesso me ne vado. Però sappi che ho un po’ di lavoro arretrato da portare a termine, quindi mi troverai nello studiolo, per qualsiasi cosa. Anche solo se ti andasse di portare una tisana al tuo vecchio e condividere il silenzio»
Anastasia gli rivolse un convincente sorriso di gratitudine. «Grazie, papà»
Lui le strizzò l’occhio e se ne andò. E lei rimase a fissare quella scatola, convinta che si sarebbe aperta da sola e ne sarebbero uscite tutte le emozioni negative che sentiva nel petto in quel momento.
 
Anya scosse la testa, dopo aver spalancato la porta. «Ti manda la mamma?»
Robert scosse la testa. «Sono un soldato volontario» sorrise.
«Non ho voglia di vedere nessuno» sentenziò la piccola.
«Si, ho saputo» rispose il fratello. «Ma si da il caso che io abbia delle cose da dirti»
Anastasia lo fissò per qualche secondo. Sostare sulla porta di Grimmauld Place non era una cosa saggia, ma lei era andata lì proprio per evitare cose come “ti devo parlare”. Senza nascondere di farlo controvoglia, fece cenno al fratello di entrare, portandosi un dito sulla bocca in segno di silenzio quando passarono davanti al quadro di Walburga.
Robert, asciugandosi i capelli zuppi di pioggia con un rapido incantesimo, raggiunse la cucina e incantò il bollitore perché gli preparasse un tè. Non importava quanti anni potessero passare: tornare in quella casa gli faceva sempre un certo effetto. Il fatto che Anastasia la usasse come rifugio, dopo che per loro era stata una prigione, non era altro che l’ennesima riprova di quanto la vita sappia sorprendere.
Anastasia se ne stava in piedi sulla porta, con le braccia incrociate e i capelli raccolti in due treccine.
Robert la guardò e sorrise. «Sai che i primi mesi della tua vita li hai trascorsi qui?»
«Robert …» sbuffò lei.
«Le prime volte che ti tenevo in braccio e ti raccontavo tutto quello che mi passava per la testa, sono state qui» continuò lui. «Però era facile, sai, o almeno più facile di adesso: le sole reazioni che potessi aspettarmi da te fossero che ti mettessi a piangere o ti addormentassi» prese posto a tavola – il suo solito posto. «Con il tempo, hai iniziato a rispondermi con dei versetti tutti tuoi e … e così via»
Anche Anastasia si sedette, mentre due tazze di tè fluttuavano verso di loro.
«A volte, vorrei che fosse ancora così semplice»
«Se vuoi mentre parli mi metto a fare dei versetti» sorrise acida lei.
Lui scosse la testa e girò il cucchiaio nella tazza. «Papà e mamma non sanno perché sei rinchiusa qui»
«Perché non ho voglia di vedere nessuno per un giorno o due» rispose lei scocciata. «Non mi sembra una cosa difficile da capire»
«Ma io lo so»
«E allora perché sei qui?»
«Perché non è colpa di Ted»
«Prego
«Qualche giorno fa, mentre tornavo a casa da lavoro, sono stato fermato da Edward Scott: sembrava felice di vedermi, e per qualche minuto siamo rimasti a parlare del più e del meno. Credimi, tutto quello che avrei voluto fare, sarebbe stato prenderlo a pugni, ma mi sono sforzato di essere gentile e rispondere alle sue domande sul mio matrimonio o sui miei figli»
Anastasia spalancò gli occhi. «Merlino, Robert!» gli ringhiò.
«Lasciami finire, per favore. Da una parte te ne avrei voluto parlare, anche solo per metterti in guardia, dall’altra … la sola idea di vederti di nuovo stare così male mi ha paralizzato. Totalmente. Però ero tormentato dai sensi di colpa, perché … perché ci siamo sempre detti tutto, perché sei la bambina a cui raccontavo tutto ciò che mi passava per la testa per di farla addormentare, e perché sei mia sorella, e tanto basta»
Anastasia si coprì il viso con una mano. Lui si aspettò che fosse furiosa, ma i suoi occhi sembravano dire altro. Sembravano dirgli: ti capisco. Poi, con un cenno, gli chiese di andare avanti a raccontare.
«Il giorno dopo sono andato da Harry»
«Anche Harry?!»
«Sì, anche Harry. E anche i gemelli e Ron, se proprio vuoi allungare la lista delle persone a cui tenere il broncio. Harry mi ha ascoltato e insieme abbiamo convenuto che fosse meglio non dirti niente»
«Che stronzi»
«Sì, esattamente. Ho pranzato con lui e i bambini e poi …»
«Sei andato da Ted» concluse lei a denti stretti.
«Sono andato da Ted, sì» ammise. «Volevo metterlo in guardia, lui … conosce i tuoi spostamenti meglio di chiunque altro, soprattutto ultimamente. E poi volevo sapere se lui lo sapesse, perché sai, Ted sa sempre tutto»
«E gli hai chiesto di non dirmi niente?»
«Abbiamo parlato un po’, e … beh, ci siamo detti che ciò che non sai, non ti può ferire. Se nessuno te lo aveva detto, allora forse era meglio così. Quindi, non devi prendertela con Ted, non è colpa sua. È colpa mia, sono stato io a coinvolgerlo. E non te la devi prendere neanche con Harry» scosse la testa. «Ti devo delle scuse, Anastasia. Ogni tanto mi dimentico che sei grande e che puoi decidere da sola certe cose, soprattutto se riguardano la tua vita sentimentale»
Anastasia chiuse gli occhi. Nonostante stesse facendo la voce grossa, a lui continuava non sembrare arrabbiata, ma scossa. Si sarebbe aspettato di trovarla arrabbiata: Ted lo aveva messo in guardia, e suo padre aveva confermato.
Anastasia aprì la bocca per parlare un paio di volte, per poi chiuderla subito. Mentre lui si aspettava di venire strigliato a dovere, lei piegò gli angoli della bocca in un dolce sorriso.
«Grazie per avermelo detto» disse, poi.
Lui la guardò senza capire. «Non … non sei arrabbiata? Non mi urli addosso come hai fatto con Ted? Devo ammettere che speravo di sentirti urlare, perché è una cosa davvero rara»
«Non avevo considerato l’idea che lo stesse facendo per proteggermi» ammise, guardando la sua tazza di tè. «E lo so che ci siamo sempre detti tutto … ma capisco che a volte sia difficile, ultimamente»
Robert annuì, stupito dalla sua maturità. «C’è qualcosa che non mi stai dicendo?»
In quel momento, in quel preciso momento, il telefono di Anastasia, emise un tintinnio dalla tasca dei suoi pantaloni, rompendo il silenzio. Lei, senza aprire bocca, annuì quasi impercettibilmente. «Un giorno te lo racconterò» aggiunse, con un filo di voce. «Te lo prometto, Robbie»
Anche il fratello annuì, accarezzandosi la barba con aria pensierosa, esattamente come faceva Sirius. «Spero … cioè, è qualcosa di bello?»
«È qualcosa di bello» confermò lei.
Lui le sorrise e prese a raccontare del negozio, di Hermione, dei bambini, dell’ultima idea di George, e di tutta una serie di cose che Anastasia ascoltò in silenzio, riuscendo solo a pensare che un giorno, anche lei si sarebbe dovuta scusare con suo fratello per averle nascosto un legame inaspettato e bellissimo con l’ex-Mangiamorte Draco Malfoy, potendo solo sperare che la reazione di Robert fosse pacata e razionale quanto lo era stata la sua quel giorno.
Mentre Robert si accendeva una sigaretta, Anastasia spiò il messaggio che le era arrivato.
Era Draco.
Stai meglio?
Rimise il telefono in tasca sperando di poter nascondere il sorriso ebete che sicuramente le era spuntato sul viso.
È qualcosa di bello, si ripeté.

Anastasia era rimasta seduta nella cucina di Grimmauld Place, quando Robert se ne era andato. Era rimasta su quella dannata sedia davanti a quella tazza vuota e a quel messaggio da aprire. Aveva allacciato le ginocchia al petto ed era rimasta a fissare il vuoto.
Era già da qualche ora che aveva deciso di perdonare Ted. Più che altro, era già da qualche ora che aveva capito di non essere tanto arrabbiata con lui quanto lo era con Edward. E alla fine, la sola cosa che di Edward la faceva arrabbiare, era essere così sé stesso. Dunque, non sarebbe arrivata da nessuna parte. Era arrabbiata con Edward perché sentiva di essere profondamente cambiata, dopo la fine della loro relazione. Era cambiata durante, e anche dopo. E non intendeva solo “il periodo buio”, come lo definiva Ted. Ma la persona che era diventata dopo. Non era più quella di prima.
Lui, invece, era sempre lui.
Perché era così da Edward Scott rincorrerla per chiederle di fare due parole.
E realizzò di essersi arrabbiata perché una volta quel comportamento le avrebbe fatto tenerezza, mentre ora le faceva ribollire il sangue nelle vene.
Lei era cambiata. Non la facevano più ridere le stesse cose, non portava lo stesso profumo, o lo stesso taglio di capelli. Non leggeva più gli stessi libri e non aveva più gli stessi amici – oltre a Nicole, Ted, e Lyall ovviamente. Ma loro, loro ci sarebbero sempre stati. Erano come fratelli, e niente avrebbe potuto dividerli. Di questo era certa.
Lui era rimasto Edward.
Era rimasto lui, senza cambiare di una virgola. E da un certo punto di vista, lo ammirava per questo. E si odiava, per quello. Aveva dovuto fumare due sigarette per arrivare a quella conclusione: lo ammirava per non essersi lasciato scalfire da lei, mentre lei si era lasciata travolgere da lui, dal suo amore, dal suo passaggio, e poi dalla sua assenza.
Si era portato via alcuni pezzettini di lei, si era tenuto la sua voglia di ridere e di vivere ben stretta in tasca, per un periodo, e ne era uscito immutato.
Era arrabbiata perché ancora a volte stentava a riconoscersi in quella nuova Anastasia, perché a volte non le sembrava ancora vero di essere cambiata e cresciuta così tanto. A volte, guardandosi nello specchio, quel viso così incavato e spaventosamente adulto non le sembrava il suo. Avrebbe voluto urlare che no, non era lei, lei era “solo Anastasia”, quel viso così adulto, altezzoso, così regale, così Black, non era il suo.
Non che avesse qualcosa contro i Black, anzi.
Era arrabbiata perché era cresciuta, e i suoi fratelli avevano cercato di farla giocare il più a lungo possibile, di fare il solletico per levarle il broncio fino a che non era stato più possibile, perché a loro, per un motivo o per un altro, l’infanzia e la voglia di ridere era stata tolta quasi subito, e lei, le dicevano, se la meritava tutta.
Era arrabbiata perché sentiva di non essere più “la piccola Black”, come tutti l’avevano sempre chiamata. Era arrabbiata perché non si riconosceva più in quel nomignolo, eppure, a volte lo sentiva ancora più suo di qualsiasi altra cosa.
Era arrabbiata con sé stessa, insomma: Edward era solo un contorno. Un contorno con cui era comunque arrabbiata e a cui avrebbe comunque volentieri spaccato la faccia, ma comunque un contorno.
Aveva deciso di rimanere seduta su quella sedia perché alzarsi, tornare a casa, o da qualsiasi altra parte, significava ammettere tutto quello che le stava passando per la testa in quel momento – e chissà da quanto durava, quel momento. Chissà da quanto sapeva di essere arrabbiata con Edward per averla cambiata.
Si accese un’altra sigaretta e raccolse il telefono dal tavolo.
Aprì il messaggio di Draco e digitò: “Grazie”. Dopo aver premuto il tasto di inviò, aprì un altro messaggio.
Ceni con me?”
La risposta non tardò ad arrivare.
Kora sta già apparecchiando ;)
Non riuscì a non sorridere. Per la naturalezza, della cosa, e perché chi diamine aveva insegnato a Draco a strizzare l’occhio con la punteggiatura?
 
«Ti devo dire una cosa» le disse Draco, dopo un’ottima portata di pasta allo scoglio e con in mano un sigaro quasi finito.
Anastasia sospirò, sorseggiando il vino rosso dall’elegante calice di cristallo e sforzandosi di non preoccuparsi.
L’aveva ascoltata per quasi mezz’ora, un’altra volta. L’aveva ascoltata sproloquiare sui suoi drammi esistenziali, e non sembrava essergli pesato. Anzi. E lei, lei si sentiva meglio dopo averne parlato con lui. Con lui, e lui soltanto. Sapeva che se ne avesse parlato con chiunque altro, la sensazione sarebbe stata diversa.
«Io sono stato invitato al matrimonio di Peter e Laetitia» annunciò, quasi con disprezzo. «Non è per amicizia, ma per cordialità» spiegò. «Credo … sai, Lewis Scott, nonno di Peter e Edward, era molto amico di mio nonno, Abraxas, hanno condiviso la mania della stirpe e dei Purosangue» proseguì. «Mi hanno mandato l’invito stamattina, ma … non ho ancora risposto»
Anastasia alzò le sopracciglia.
«Voglio dire, non ci tengo particolarmente. Non ci andrò, se la cosa ti infastidisce o se ti crea problemi, o se hai altri programmi che mi coinvolgano per quel giorno»
Lei non poté fare a meno di sorridere.
«E convincerò anche Blaise a non andarci, se serve» si sentì di aggiungere. «Perché sorridi così?»
«Tu … non ci andresti per me
Draco annuì sicuro. «Non farei mai niente per infastidirti» spiegò subito. «Quantomeno, non intenzionalmente» aggiunse, sottovoce.
Lei allargò il sorriso. «Grazie»
«Grazie?»
«Sì: grazie»
«E per che cosa?»
«Per quello che hai detto: non è affatto scontato»
Lui fece spallucce, e lei riconobbe il Draco Malfoy di cui le avevano raccontato i suoi fratelli. «Mi pareva il minimo, sai, non ferire le persone a cui tieni e stare sempre dalla loro parte, cose così. Ci ho messo un po’, ma l’ho imparato»
«Quindi starai sempre dalla mia parte?»
«Cascasse il mondo, Anastasia Black, sarò dalla tua parte»
Lei sollevò il calice di vino per farlo incontrare con il suo. «Grazie»
«Di nuovo?»
«Di nuovo»
«Per cosa, questa volta?»
«Non te lo dico»
Draco mostrò un mezzo sorriso. La fissò per qualche secondo. «Sei un’Occlumante?» chiese, nascondendo lo stupore con un tono di finta accusa.
«E tu sei un Legilimens» constatò lei.
«Non te ne eri mai accorta?»
«Tu non te ne eri mai accorto»
Draco rise e scosse la testa. «Ci vado o non ci vado, al matrimonio?»
«Dipende quanto sei bravo con la Legilimanzia» rise lei.
«Ci vuoi venire con me?»
«Non ci metto piede, a quel matrimonio»
«Benissimo» contestò lui. «Posso provarci con la damigella?»
«Sai almeno chi sia?»
«Assolutamente no, ma di solito sono carine» e dopo qualche secondo, aggiunse «Ah! Basta un pizzico di gelosia per mettere fuori gioco anche la migliore delle Occlumanti»
«Io non sono di certo la migliore delle Occlumanti» precisò lei, sorseggiando altro vino. «E non ho detto di essere gelosa»
Lui si tamburellò la tempia con l’indice. «Non serviva che lo dicessi: l’ho visto»
«Ahhh» sorrise lei.
Lui la guardò e rise. «Sabato è il compleanno di Blaise»
«Lo so, ho ricevuto un bizzarro invito ad una festa di compleanno … credo nel tuo giardino, tra l’altro»
«Se ti ha già invitata, mi ha risparmiato metà del lavoro»
«No»
«No?»
«Un conto è essere invitata da lui, un conto è essere invitata da te»
Lui sorrise e scosse la testa. «L’hai chiusa di nuovo»
«Cosa?»
«La mente»
«Certo» si fece beffa lei. «Non vincerai facilmente, contro di me»
«Questo lo avevo capito» sbuffò lui, facendo girare il vino nel calice. «Allora, ci vieni?»
«Al matrimonio?»
«Alla festa»
«Chiedimelo»
«Te lo sto chiedendo»
«Chiedimelo meglio»
Forse – anzi, sicuramente – fu il vino. Ma lui si alzò, e fece il giro del tavolo per raggiungerla. Lei lo guardò sospettosa, fino a che non le fu accanto, e le tese entrambe le mani.
«No» disse, categorica. «Credi che non sappia che con il contatto fisico, la Legilimanzia risulta molto più semplice?»
«Non era quello il mio intento»
Fu come una forza superiore a costringerla ad alzarsi. Fu il tono dolce, puro e sincero di Draco, che non aveva mai sentito. Mai, mai aveva immaginato che la sua voce potesse sembrare così soffice. Si alzò e lasciò che lui le prendesse le mani, accarezzandole i palmi con i pollici.
Mosse un passo verso di lei, e lei avvertì lo stomaco ridursi alle dimensioni di una nocciolina e il cuore saltarle in gola. Avrebbe davvero voluto non sembrare così scossa da quel gesto, o essere in grado di chiudere la mente anche in quel momento, ma Draco era così vicino, che non riusciva a pensare ad altro che a quelle iridi azzurre e al suo naso che quasi toccava il suo.
Era così vicino che …
«Vieni alla festa di Blaise con me?»
oh, fanculo.
«Sei uno stronzo» rispose, in un sussurro.
Non c’era bisogno di alzare la voce, la poteva sentire benissimo, vicino com’era.
«Lo prendo come un sì» sorrise lui. Si concesse ancora un paio di secondo per rimanerle così vicino. Poi, delicatamente, le lasciò le mani e tornò al suo posto. Quando si fu riseduto, con tutta la naturalezza del mondo, lei rimase in piedi, dove lui l’aveva lasciata, a fissarlo. Poi, scosse la testa e si risedette, mentre Kora raggiungeva la sala da pranzo per portare loro il dolce, una torta sacher che avrebbe fatto invidia a chiunque.
«Una torta intera?!» si stupì Anastasia.
Draco rise e ringraziò l’elfo con un gesto. «Credo sia per te»
«Per me? Tutta?»  Anastasia passò lo sguardo da Draco all’elfa.
«Kora ci tiene a ringraziare la signorina Anastasia per la sua gentilezza!» spiegò lei entusiasta. «Kora è stata ad Hogwarts e ha chiesto agli elfi delle cucine cosa piacesse alla signorina Anastasia, e Francis ha detto a Kora che la signorina Anastasia ama la torta sacher!»
Anastasia rivolse un sorriso più che luminoso a Kora. «Sei uno dei migliori elfi che abbia mai incontrato, Kora»
L’elfa arrossì e si dileguò, imbarazzata.
Due fette di sacher raggiunsero i piatti di Draco e Anastasia con rapidità. Anastasia abbassò gli occhi e raccolse la forchetta da dolce per assaggiare la torta.
«Non mi hai risposto» precisò Draco.
Lei si tagliò una punta della fetta di torta e, strizzando l’occhio a Draco, si posò la forchetta in bocca.
Lui rimase a guardarla, come estasiato. «Posso fare un commento volgare?»
«No» sorrise lei.
«Va bene, allora ti dico solo che dopo questa esibizione allusoria non ho la minima intenzione o voglia di provarci con nessuna damigella»
Anastasia sorrise di cuore, senza riuscire a trattenersi. «Verrò con te alla festa»
«Era questo il prezzo?» si stupì lui.
«Non te lo dico» gli sorrise, e le risuonarono in testa le parole di Robert, che in quel momento le appariva così lontano.
È qualcosa di bello.
 


NdA: è forse il primo capitolo senza dedica e canzone perchè il paragrafo della riflessione di Anya è forse la cosa più autobiografica che io abbia mai scritto, e ammetto che fa un po' strano pubblicarla. 
Detto ciò: mi diverte da matti l'idea dell'Occlumanzia. 
Il prossimo capitolo è forse il mio preferito - e Draco non c'entra, c'entrano i nostri quattro fratelli preferiti.
Buona settimana a tutt* 

fatto il misfatto, 
C

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Capitolo 14
*** le ali ***


13.
le ali

Anastasia scese le scale con gli occhi ancora praticamente chiusi, lasciando che il freddo marmo bianco le infastidisse la pianta del piede nudo, mentre si reggeva alla ringhiera di vetro con una mano e con l’altra si strofinava il viso, sbadigliando con gusto. Raggiunse la cucina quasi senza rendersene conto, trovando suo padre intento a leggere l’edizione mensile de Il Cavillo, con gli occhiali da vista sulla punta del naso e il Profeta chiuso sul tavolo. 
«Buongiorno, mostriciattolo» le disse, senza alzare gli occhi dal giornale. 
Lei grugnì una risposta e apprezzò silenziosamente che la moka fosse ancora sul fornello, e soprattutto che fosse ancora mezza piena di caffè bollente. «Grazie» borbottò al padre, accennando al caffè, mettendosi a sedere davanti a lui, come d’abitudine. 
«Grazie a te» 
«Mh?» chiese lei, sforzandosi per aprire gli occhi. 
«Per la torta, è squisita» spiegò Sirius. «L’hai fatta tu?» 
«Fred» grugnì, senza pensarci. Prima di tutto, perché Fred era davvero un ottimo cuoco. E poi, perché era l’unico che l’avrebbe coperta senza fare troppe domande. 
«Fred ti ha fatto una sacher con scritto il tuo nome con la glassa?» si stranì il padre. 
«Ha perso e Gobbiglie» inventò di nuovo lei, finendo di bere il caffè e riuscendo finalmente ad aprire gli occhi. 
«La cosa non mi sorprende» sorrise Sirius, voltando la pagina del giornale. «Sta diventando davvero bravo, comunque. Sembra fatta da un elfo» 
Ad Anastasia non sfuggì che il padre, per una frazione di secondo, avesse abbandonato la lettura de Il Cavillo per sbirciare l’espressione che avrebbe fatto a quelle parole. Fortunatamente per lei e sfortunatamente per lui, Anastasia, appena sveglia, aveva una sola espressione, quella che diceva “odio tutti”. Fino a che il caffè non avesse fatto effetto, la cosa non sarebbe cambiata. E forse, considerando quanto poco avesse dormito, di caffè gliene sarebbe servito un altro, pensò, mentre ignorava il padre per sbirciare i titoli del Profeta.
«Papà?» chiese, addentando un biscotto. 
«Sì?» 
«Mi insegni un po’ di Legilimanzia?» 
«Iscriviti al corso Auror, sei ancora in tempo» rispose Sirius con finto disinteresse.
«Papà» lo richiamò lei. 
Avevano discusso più volte sul futuro scolastico e lavorativo della quartogenita di Villa Black, e se c’era una cosa che era ben chiara, era proprio che Anastasia non avrebbe seguito le orme dei suoi genitori, come invece aveva fatto Harry. 
«D’accordo, scusami» riparò subito lui. Chiuse Il Cavillo e lei continuò a scrutare il Profeta, per poi reggere lo sguardo del padre. «Sei un’ottima Occlumante» decretò, dopo qualche secondo. 
«Sono cresciuta con due Auror e con Kayla» sbuffò lei. «Ho dovuto imparare ad esserlo»
Sirius accennò un sorriso. «A proposito, chi te lo ha insegnato?» 
«Sicuramente non Robert ed Harry» sorrise Anastasia, sbirciando Il Cavillo
Neville Paciock aveva scritto un articolo sulla sua nuova famiglia di Snasi e sulla vita che conducevano, ed il resto delle pagine erano dedicate al quattrocentesimo anniversario dalla più celebre rivolta dei Goblin. 
«A che ti serve, “un po’ di Legilimanzia”?» s’informò il padre. 
Anastasia, ben attenta a tenere la mente svuotata in modo che il padre non potesse Leggerla, si strinse nelle spalle. «Non si sa mai» 
Sirius annuì, pensieroso. Lei si perse a guardarlo, notando come, alla luce della cucina, i radi capelli bianchi nella sua folta chioma corvina sembrassero brillare. 
«Hai un nuovo capello bianco?» lo provocò.
«No, ma me lo farai venire tu» rispose lui, tagliandosi un’altra fetta di torta e levandosi gli occhiali da vista.
«La mamma dice che li devi tenere sempre» lo sgridò lei, riprendendo a leggere lo speciale sulla rivolta dei Goblin e soffocando un sorriso quando il padre sbuffò. 
«Io te la posso anche insegnare, un po’ di sana Legilimanzia» 
«Ma?» 
«Come facevi a sapere che ci fosse un ‘ma’?» 
«Per il tono che hai usato» spiegò lei. «Hai usato il tono di uno che sta per dire ma. Come: “ho un sacco di amici licantropi, ma …”» 
«Ma devi esserne sicura, Anastasia. Insegnartela vorrebbe dire esercitarsi molto, e … beh, esercitarsi vorrebbe dire dare all’uno libero accesso alla mente dell’altro» spiegò. «Non so se sono pronto a scoprire che questa torta non l’ha fatta Fred»
Anastasia sorrise e scosse la testa. «Chiederò a Minerva» decretò. 
«Saggia decisione» si compiacque il padre. «Posso fare comunque i complimenti a Fred per la torta? Voglio vedere che faccia fa»
«Non ho alcuna intenzione di impedirtelo» rispose lei, senza alzare gli occhi dal giornale. «Devo dare questo articolo a Teddy, scommetto che Ruf assegnerà un tema sull’anniversario della rivolta dei Goblin prima che gli studenti riescano a mettere il culo sulla sedia» aggiunse, poi. 
Sirius ridacchiò e annuì. Spiò l’orologio che portava al polso e poi si alzò di fretta, come se si fosse appena ricordato qualcosa di davvero, davvero importante. «Dobbiamo andare!» si allarmò. 
«Dove?» chiese lei senza capire. 
«A pranzo da Harry e Ginny!» sbuffò lui, sistemandosi le maniche della camicia con un gesto. «Sbrigati!» le disse. «Tua madre ci uccide» 
«Non sapevo neanche che ci dovessimo andare!» si lamentò lei. 
«Si, beh stavo per dirtelo, ma poi … la torta e la Legilimanzia mi hanno distratto!»
Anastasia sorrise mentre correva su per le scale e cercava dei vestiti da indossare nel disordine epocale che era la sua stanza. «Prendila!» urlò al padre che era rimasto al piano di sotto. 
«Che cosa?» 
«La torta! Così spieghi alla mamma perché siamo in ritardo!» Recuperò i jeans di Draco, una maglietta con lo scollo a barca e una fantasia a righe orizzontali che Nicole aveva dimenticato lì l’estate prima, un paio di occhiali da sole a caso dalla sua infinita collezione, infilò le converse, salutò con un cenno il gatto si precipitò di nuovo giù per le scale. «Uh!» si ricordò ormai all’ultimo gradino. «Il telefono!» 
Fece in tempo a vedere Sirius scuotere la testa, con pronto in mano il vasetto di Metropolvere. «Sei una strega, per la miseria!» si stava lamentando.
«Sono una strega all’avanguardia» precisò la ragazza, correndo di nuovo giù per le scale di marmo.
Sirius scosse la testa e sorrise, guardandola correre verso di lui con i capelli spettinati, abiti babbani, e il viso sporco di trucco della sera prima, trovandola dannatamente simile alla Martha di cui si era innamorato una sera per caso più di trent’anni prima.
«Tu hai un appuntamento!» 
«Shhhh! Abbassa la voce, per Merlino!» 
«Hai un appuntamento!» ripeté Ted, mentre i capelli gli diventavano rossi di gioia. «Sai quanto sono famose le feste di Blaise Zabini?!» 
«Ted, seriamente, abbassa la voce» lo richiamò Anastasia. «Ci metto un attimo a tenerti di nuovo il broncio!» con un rapido movimento del collo, controllò che nessuno dei loro parenti fosse a portata d’orecchio. Non sembrava, comunque: i bambini giocavano sul divano, Sirius e Kayla confabulavano all’ingresso, mentre Martha rideva con Molly e Aaron, Lyall e Remus parlavano di Hogwarts. 
«E ti ha quasi baciata!» continuò Ted. 
«Non mi ha quasi baciata»
«Oh, certo: controllava di che colore fossero i tuoi occhi, scommetto» allo sguardo scocciato di Anastasia, rilanciò con un: «I suoi, di che colore sono?»
Anastasia cambiò notevolmente espressione: sembrò davvero che qualcuno le avesse trasfigurato gli occhi in due cuori. «Azzurri, ma non … non un semplice azzurro, azzurro come il cielo dell’alba d’estate, azzurro come il mare dopo una tempesta, azzurro come …» 
«Bene, ne ho abbastanza» decretò il ragazzo, tornando a chinarsi sulla sua pergamena. «Ha gli occhi azzurri» 
«Ma non è un semplice azzurro!» protestò lei. «È azzurro come …» 
«Te lo dico io, che azzurro è: è azzurro sono-cotta-di-lui»
«Questa si che è una stronzata» rispose lei con un tono troppo alto, così che James e William, seduti sul divano, la guardassero male. «Vi di una Cioccorana se non dite a nessuno che ho detto una parolaccia» 
«Una Cioccorana in due?» domandò William, non troppo convinto. 
«William Robert Black, parola mia, tu sei un vero Serpeverde, a tuo padre prenderà un colpo» con ciò, lanciò ai nipoti due Cioccorane e scosse la testa. 
«Sei cotta, Anya» rimarcò Ted, intingendo la penna nel calamaio: Aaron gli aveva scritto un pezzo del tema di compito, e lui lo stava copiando alla velocità della luce prima che cambiasse idea. 
«Io sono cotto» esordì Fred, sedendosi accanto a loro, con in mano un piatto su cui giaceva una fetta di torta. «Di questa torta» specificò. «Che, a quanto pare, ho cucinato io. Sono davvero un ottimo cuoco» 
Anastasia lo guardò torva. «Me lo devi: sono stata a trattare con quel Pozionista per ore, per conto dei Tiri Vispi» 
«Non ti preoccupare, non mi interessa chi l’ha fatta» la rassicurò Fred. «Anche perché, se lo sapessi, dovrei lasciare Kayla e chiedere a questo cuoco di sposarmi» aggiunse, mangiandone un altro pezzo. «E non credo sia il caso, sai, di lasciare una come Kayla gravida di due gemelli» 
«Tuoi, per giunta» sorrise Ted. 
«No, ecco, non è una buona idea» concluse Fred. «Volevo solo dirti, Anya, sposalo tu» 
«Che cosa?» si stranì Anastasia. 
«Il cuoco, intendo. O il padrone dell’elfo cuoco, poco cambia» 
Anastasia si guardò attorno con occhi sbarrati, mentre Ted batteva il cinque a Fred. 
«Lo conosco?» chiese Fred.
«No» rispose lei secca, senza guardarlo negli occhi. 
«Tu lo conosci?» domandò allora a Ted. 
«No» rispose Ted, ed era sincero. «So solo che ha due occhi azzurri come … come hai detto prima, Anastasia? Oh, sì! Azzurri come il cielo dell’alba d’estate e come il mare dopo la tempesta!» 
Anastasia allacciò le braccia sul petto, e se gli sguardi potessero uccidere, Ted sarebbe morto su quella sedia, con in mano la penna colante d’inchiostro e dipinto in viso il suo peggior sorriso malizioso. 
«Io dico che sono occhi azzurri sono-cotta-a-puntino» sorrise Fred.
«È la stessa cosa che le ho detto io!» si stupì Ted. 
Anastasia guardò il cognato con gli occhi pieni di pensieri e preoccupazioni. «Hai detto che l’ha fatta un elfo» precisò. «Si sente che l’ha fatta un elfo?» 
Fred annuì, mangiandone un altro pezzetto. «Con delle ottime materie prime, aggiungerei. Quindi un elfo di Hogwarts o un elfo che ha una cucina e una dispensa fornite e ricche come quelle del castello»
Anastasia sembrò sinceramente preoccupata. 
«Oh, ragazza, non guardarmi così: ti scopi lui o il suo elfo?» 
«Non si scopa neanche lui» precisò Ted. 
«Beh, dovrebbe!» si lamentò Fred. «Chissà quante torte, poi!»
«Fred, sei il mio Weasley preferito» decretò Ted. 
«Solo perché sono quello che ti passa più Caccabombe sottobanco» rise Fred. «Anastasia, facci un pensierino, però: immagina come sarebbe la torta nuziale!»

«Ecco» disse Lily sistemandole del finto rossetto sulle labbra. «Ora sei perfetta!» 
Anastasia le sorrise, e le si avvicinò per strofinare il naso contro il suo. «Violet, posso vedermi allo specchio, ora?» La piccola annuì, e Anastasia si alzò dalla seggiola formato bambino per avvicinarsi allo specchio a figura intera che costituiva l’anta dell’armadio di Lily. Le sue nipoti, divertendosi come matte, le avevano messo una coroncina di plastica, una gonna di finto raso con tutti i colori dell’arcobaleno, dei trucchi per bambini dai colori sgargianti e le avevano legato un paio di ali di stoffa alla schiena. 
Violet portava un vestito rosa da principessa, mentre Lily sfoggiava delle ali identiche a quelle della zia e una bacchetta magica rosa con una stella di cartone sulla punta. «Siamo proprio carine» decretò quindi la zia. 
In quel momento Kayla, anticipata dalla sua pancia, fece il suo ingresso in camera e rivolse alle tre il migliore dei suoi sorrisi. 
«Sei una principessa o una fata?» domandò alla sorella. 
«Sono una fata, Kayla» le rispose Anastasia. «Insomma, non le vedi le ali?» chiese, spazientita.
«Oh, che sbadata» si scusò lei. 
«Vuoi delle ali anche tu, zia Kayla?» domandò Lily. «Ti posso dare quelle che ha messo papà ieri!» 
«Harry si è messo delle ali?» domandarono le due sorelle Black all’unisono. 
«Sì!» rispose la bambina, entusiasta. «Ha anche preso il tè con me e le mie bambole!»
«Per Salazar» sospirò Kayla, massaggiandosi la schiena. «Non smette mai di stupirmi» entrò nella stanza e si sedette ai piedi del letto. Immediatamente, Violet le si avvicinò posò un dito sulla pancia. «Qui» la indirizzò Kayla, prendendole la manina e posandola sul lato opposto della pancia. «Questo è sveglio» 
«Come sai che è un maschio?» domandò Anastasia, sedendosi accanto a lei. 
«Non lo so, infatti» rispose semplicemente Kayla. «Mi piace pensare che siano un maschio e una femmina» 
Anche Lily si avvicinò, più timida rispetto alla cugina, e dopo un cenno di Kayla, posò la mano vicino a quella di Violet. 
«Hai idee sui nomi?» domandò Anastasia. 
«Solo se non hai scommesso anche su quelli»
Anya scosse la testa ridendo. «Chiamali Gred e Forge» suggerì.
Kayla e le bambine risero. 
«E se sono due femmine?» domandò la Serpeverde. 
«Gred e Forge» ripeté la sorella. «A Molly prende un infarto»
«Cosa è un infarto?» domandò Violet con il suo solito tono curioso. 
«Uno spavento pericoloso» le rispose Kayla. «Che fa male al cuore» 
«Non fare prendere un infarto a nonna Molly!» si spaventò allora Lily. 
«No, niente infarti per nonna Molly» la rassicurò Anastasia, accarezzandole la testa. 
Le bambine, però, non la stavano ascoltando. Esattamente sotto le loro mani, qualcosa si era appena mosso. Entrambe, guardarono la zia con occhi estasiati, pieni di sorpresa. Lily ritrasse la mano per coprirsi la bocca per lo stupore, mentre Violet avvicinò l’orecchio alla pancia come se volesse sentire qualcosa. 
«Non ti può parlare, Violet» le sorrise Kayla. «Però se vuoi, tu puoi parlare a lui» 
«E che cose gli dovrei dire?» si stranì Violet. 
«Quello che ti va» la rassicurò Kayla. 
Violet sembrò pensarci su. Poi, delicatamente, si avvicinò alla pancia con la bocca. «Ciao» disse, con il naso premuto contro la maglietta di Kayla. «Mi chiamo Violet Rose Black …» 
«Perché mio padre ha un pessimo senso dell’umorismo» aggiunse Anya sottovoce, guadagnandosi una gomitata dalla sorella. 
«… e sono tua cugina» poi si spostò sull’altro lato della pancia. «E anche tua cugina» specificò. «Quando uscite se fate i bravi io e Lily vi daremo il permesso di giocare con noi alle fate»
«Però dovete giocare solo con noi» aggiunse Lily. «Non con Will, Al e James»
Anastasia rise e si coprì il viso con la mano mentre Kayla rivolgeva alla nipote uno sguardo di rimprovero. «Lily!» 
«Magari potreste giocare tutti insieme» le suggerì Anastasia, sistemandole i capelli nella molletta che stava per caderle. 
«No, zia, perché loro giocano a giochi da maschi» si lamentò la rossa. 
«E poi vogliono sempre fare la lotta» aggiunse Violet. «A me non mi piace, fare la lotta»
«Non si dice “a me mi”» le disse Anya. 
«Ma io non ho detto “a me mi”, zia» si difese la bambina. «Ho detto “a me non mi”»
«Sì, ma è la stessa cosa»
Robert, in piedi sulla porta, sorrise. «Come se la mamma non e lo avesse mai detto, Violet» le disse, e si avvicinò al quadretto che aveva ammirato per qualche secondo, seguito da Harry che teneva William allacciato sulla schiena come un koala all’albero. 
«Papà!» esclamò Violet vedendo il padre. «Papà, la pancia di zia Kayla si muove
Robert si inginocchio accanto alla bambina per poter essere alto quanto lei. Con uno sguardo, chiese a Kayla di poterle accarezzare la pancia, e lei annuì. «Ohhh, hai ragione! È davvero agitato, questo bambino» commentò. «Violet, gli hai detto che non vedi l’ora di poterlo conoscere?» 
«Gli ha detto che se fa il bravo potrà giocare con loro alle fate» lo informò Anastasia.
«Tu saresti una fata?» le domandò allora Harry. 
«Certo!» si difese Anastasia con orgoglio. «Non vedi che ho-» 
«Ha le ali!» puntualizzò William, con tono scocciato. «Non le vedi, zio? Proprio lì, sulla sua schiena!» 
«Oh, giusto! Come ho fatto a non notarle?» finse di colpevolizzarsi Harry. 
«Perché sei un po’ toccato, zio Harry» rispose Violet. 
«Violet!» la richiamò subito il padre. «Non si dicono queste cose!» 
«Ma lo dicono sempre lo zio Fred e lo zio George, papà» si difese la bambina, continuando a tastare la pancia di Kayla. «E poi come si fa a non notare che zia Anastasia ha le ali?»
«Se non ti conoscessi, Violet» le disse Harry. «Direi che se la figlia di Hermione Granger» 
Violet corrucciò la fronte e si grattò la nuca. «Ma io sono la figlia di Hermione Granger» contestò, stranita. 
Robert rise e le accarezzò i capelli mentre William scendeva dalle spalle dello zio per avvicinarsi alla pancia di Kayla con sguardo curioso. 
«Lily ha detto che anche tu ti sei messo le ali, ieri» sorrise Anastasia al fratello. 
«Certo» rispose Harry fiero. «E ho anche preso il tè con le bambole» 
«Papà, mettiti anche tu le ali!» esclamò Violet. 
«Lui non può, Violet» la richiamò il fratello. «Papà è un maschio»
«Anche mio papà è un maschio» rispose Lily sulla difensiva. «E si è messo le ali»
«Ma le ali sono una cosa da femmina, Lily!» si lamentò William. 
«Le ali possono metterle anche i maschi, Will» gli disse Robert. 
William sembrò pensarci su. «Allora … Vado a farle mettere a nonno Sirius!» decretò, riscuotendo l’entusiasmo della sorella e della cugina. 
«Chiamalo nonno solo quando …» 
«Solo quanto non mi sente, lo so, papà» sbuffò il bambino, avvicinandosi alla cassetta di legno di Lily contente i vari travestimenti. Trovato un paio di ali che lo soddisfò, lasciò la stanza, seguito dalle due bambine, lasciando i quattro fratelli a guardare il punto in cui erano spariti. 
«Sei una fata bellissima, Anastasia» le disse Harry. «ma non quanto me ieri» 
«Scommetto che a papà stanno meglio» lo sfidò Robert. 
«Sai a chi starebbero benissimo? A Ted» rilanciò Anastasia. «Ted può farsi i capelli dello stesso colore della gonna!» 
Kayla rise e scosse la testa. «Anche tu potresti, con tutte le Pozioni Cambia Chioma che ti cali» 
«Lascia stare le mie pozioni» si lamentò Anastasia, sistemandosi la gonna di raso. «Sei solo invidiosa perché io ho le ali e tu no»
«Secondo me è invidiosa perché tu ti vedi ancora i piedi» sorrise Robert. 
«E riesci a camminare senza metterti una mano sui reni» aggiunse Harry. 
«Robert! Harry! Kayla! Anastasia!» li chiamò la voce di Martha dal piano di sotto. 
«Meno male che siamo solo quattro» commentò Anastasia con acidità. 
«Venite a vedere vostro padre con le ali



NdA: sto andando al lavoro con addosso tre ore di sonno, cosa che non facevo dai tempi della scuola, ma ci tenevo a non lasciarvi senza capitolo prima di stasera - mi avete detto che vi alleggerisco il lunedì quindi grazie, grazie, grazie. 
Spero che vi sia piaciuto, lo spero con tutto il cuore: io mi sono divertita moltissimo a scriverlo. Nella vita avrei voluto avere un sacco di fratello per vivere cose del genere. 
 fatto il misfatto, 
C
P.S.: ora sapete il nome della figlia di Robert :)

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Capitolo 15
*** esci ***


Don't you know too much already?
I'll only hut you if you let me 
Call me friend but keep me closer 
And I'll call you when the party's over
(When the party's over, Billie Ellish) 


Al coraggio di crescere e alla voglia di cambiare, 
e a chi mi ha insegnato a farli miei. 




14.
esci



Pansy Parkinson si stava lamentando di … Nill? Niall? Liam, forse? Di qualcuno, insomma, che non le dava abbastanza attenzioni. C’era stato un tempo, un tempo molto, molto lontano da quel momento, in cui a Draco piaceva ascoltare Pansy. Primo, perché lo facevano sorridere quelli che Pansy considerava “problemi”, come un brutto voto in Pozioni o i punti da sottrarre ai Grifondoro per ogni minima cosa. Poi, perché di solito, ascoltarla voleva dire che poi lei avrebbe avuto voglia di andarci a letto, e … lui non si era mai tirato indietro. A differenza di questo Nill o Niall o Liam, che pareva un vero cretino. Ma era americano, e lui aveva una pessima opinione degli americani. Aveva una pessima opinione di chiunque non fosse britannico e non avesse il sangue puro, a dirla tutta, ma questa è un’altra storia.
Aveva smesso di ascoltare Pansy da parecchi minuti, quando, fissando un punto indefinito dietro di lei, vide Blaise ridere rumorosamente. Non riusciva a vedere con chi stesse parlando, ma rideva davvero di gusto, e quando riuscì a scostarsi quel tanto che bastava per vedere con chi stesse parlando, gli prese un colpo. Non gli era possibile metterli a fuoco da lì, ma erano due persone apparentemente identiche, sorprendentemente alte e con una folta chioma rossa ben impiantata in testa.
Oh, Merlino.
«Pansy, a questo disgraziato non gliene frega niente, di te» sentenziò. «E non fare quella faccia, se ci pensi, lo hai capito anche tu tempo fa» si alzò e voltò le spalle sia a Pansy che ai gemelli Weasley.
Se Anastasia fosse arrivata e li avesse visti, sarebbe andata nel panico. Draco aveva fatto fatica a convincerla che nonostante fosse una strega molto conosciuta, a nessuno dei presenti a quella festa importava di andare a dire ai suoi fratelli o ai suoi genitori che era stata vista in compagnia di Draco Malfoy, almeno che non volessero qualcosa in cambio. E se c’era una cosa che nessuno dei presenti a quella festa voleva, era avere a che fare con Harry Potter o la sua famiglia.
Per Anastasia però, si era convinto, avrebbero fatto un’eccezione.
Primo, perché emanava così tanta bontà da rendere impossibile non volere avere a che fare con lei. E poi, perché sarebbe stata in sua compagnia: il suo nome valeva meno rispetto a qualche anno prima, era vero, ma valeva ancora tanto. Nessuno le avrebbe fatto domande, o tantomeno ne avrebbe fatte a lui.
Ricordandosi di staccare la testa a Blaise alla prima occasione, uscì a grandi passi dalla Malfoy Manor e si diresse verso il cancello, salutando con un gesto Marcus Flint e la sua futura moglie, di cui Draco non ricordava assolutamente il nome. Dopo aver schivato abilmente qualche altro vecchio compagno di Casa, raggiunse il cancello, e, come se fossero stati sincronizzati, la vide.
Con i capelli raccolti in un morbido cucù, un vestito nero con le maniche di pizzo, delle zeppe nere e un rossetto rosso fuoco, si era Smaterializzata a pochi metri da lui.
«Mi aspettavi?» domandò, sorridendogli.
Lui annuì, trovandosi spiazzato da quanto la bellezza potesse essere semplice.


 
«Non puoi esserteli dimenticati!»
«Tu non puoi esserteli dimenticati!» replicò lui, avvicinando il calice alle labbra. «Tu hai voluto dar loro dei nomi!»
«Sì, ma sono i tuoi pavoni
«I tuoi pantaloni?» domandò Blaise avvicinandosi.
«Pavoni!» ripeté Anastasia. «Blaise!» esclamò poi, come se si fosse resa conto solo in quel momento che Zabini li avesse raggiunti. «Tanti auguri!»
Lui sorrise, come se non si aspettasse affatto quel commento. «Grazie, Anastasia» le disse, cordiale. «Ma me lo hai già detto» aggiunse. «Tre volte»
«E con questa siamo a quattro» rispose lei scocciata. «Nessuno si lamenta perché riceve troppi auguri»
«Posso sapere perché siete gli unici che non hanno ancora messo piede in casa?»
«Perché Pansy riprenderà a parlarmi di … per Salazar, perché non ricordo mai come si chiami …»
«Oh, ma Pansy si è appartata con Theodore» rispose Blaise. «Non c’è pericolo»
Draco cercò di fare mente locale, ma Anastasia interruppe immediatamente i suoi pensieri.
«Blaise Zabini, posso sapere perché sei sobrio alla tua festa di compleanno?» domandò, visibilmente sconcertata dalla cosa.
«Perché è divertente essere quello sobrio mentre tutti sono ubriachi»
«Ohhhh, tu sei un vero stronzo» gli disse allora la ragazza. «Quindi è per questo che le tue feste sono così famose? Perché tu sei astemio
«Io non sono astemio» rispose lui calmo. «Semplicemente, non arrivo mai al punto in cui faccio gli auguri tre volte al festeggiato nel corso della stessa serata … o do dei nomi ai pavoni di Draco»
«Quei pavoni hanno diritto ad avere dei nomi!» protestò Anastasia. «E tieniteli, tutti quegli auguri: non verrò mai più ad una tua festa, se tu rimani sobrio» poi si rivolse a Draco. «Apprezzo che tu non voglia che sappia che George Weasley è qui, ma …» e alzò il bicchiere. «… che io sappia, un solo mago al mondo sa fare questo incantesimo così bene»
«George è andato via» le rispose Blaise tranquillamente, battendo di nuovo Draco sullo scatto alla risposta. «E comunque è stato qui molto prima che tu arrivassi»
Anastasia annuì, soddisfatta. «Draco?» chiamò.
«Non riesco a ricordarmi come si chiama l’amico americano di Pansy!» si lamentò lui, fissando il nulla con espressione preoccupata. «Eppure me lo ha ripetuto così tante volte
Anastasia scoppiò a ridere, e con il suono della sua risata, lui si dimenticò per che cosa si stava lamentando.
 
Anastasia non aveva bisogno che qualcuno gliele indicasse o gliele presentasse. Le conosceva già, e poi, le sorelle Greengrass le avrebbe riconosciute ovunque: folta chioma bionda, sguardo freddo come il marmo, labbra sottili e zigomi altissimi.
Forse per l’alcol, forse perché si pentiva di non aver chiesto più cose a Draco sulla sua relazione con la seconda sorella, ma si sentì le ginocchia tremare. Draco era davanti a lei, ma in pochi secondi, si sarebbe girato e le avrebbe viste, mentre avanzavano verso di loro con quella dannata espressione gelida – Merlino, siamo a una festa, un po’ di brio!
Draco si stava per voltare, e la stava per vedere, e Anastasia aveva a malapena la forza per reggersi in piedi, figuriamoci per tentare una presentazione decente o darsi qualche aria.
Perché darsi delle arie, poi? Con che titolo? A che pro?
Mentre scorreva rapidamente tra le sue frasi ad effetto per presentarsi, Daphne aveva quasi raggiunto Draco.
E lei si rese conto di una cosa.
Draco le si era avvicinato, di nuovo. E, proprio come qualche giorno prima, le stava tenendo la mano. Da quella distanza, riusciva a vedere quei maledetti occhi azzurri – si fottessero Ted e Fred: erano davvero azzurri come l’alba d’estate.
La stava per baciare, di nuovo. Forse questa volta con l’intenzione sincera di farlo, con la complicità dell’atmosfera e dell’alcol.
E invece, Daphne Greengrass gli aveva posato una mano sulla spalla, e lui era stato costretto a voltarsi e a rompere la magia dei loro sguardi, fingersi felice di vederle, baciando il palmo di mano sia a Daphne che alla sorella, che gli porgevano la mano con aria altezzosa.
Anya era nauseata da quei convenevoli: come stai, ti trovo bene, stai lasciando crescere i capelli?
«Adoro la tua camicia, Draco» disse Daphne.
«Gliel’ho regalata io» commentò Astoria con tono freddo. «Oh, ma come siamo maleducate»
Anastasia sorrise senza mostrare i denti, sentendo una improvvisa voglia di slegare la bacchetta dal nastro delle zeppe e lanciare una fattura.
«Tu … non sei forse la piccola Kayla?»
«Anastasia» replicarono all’unisono Draco e Anya.
«Sì, ma è la sorella di Kayla» rispose Astoria, smettendo immediatamente di degnare Anya del suo sguardo in grado di uccidere per riservarlo a Draco. «O mi sbaglio?»
«Non sbagli» rispose prontamente Draco, con tono altrettanto freddo. «Ma il suo nome non è “piccola Kayla”, è come se qualcuno chiamasse te “piccola Daphne”»
«Io e Daphne abbiamo dieci mesi di differenza» rispose allora Astoria. «La giovane … Anastasia, invece, quanti-»
«Greengrass!» tuonò Blaise, alle spalle di Draco. «Finalmente!»
Oh, che Merlino benedica Blaise Zabini e il suo tempismo.
 
Il solo pensiero di aprire gli occhi, le costò uno sforzo enorme. Sentiva sotto di lei il pavimento rigido ed era quasi sicura di indossare una sola scarpa. Attorno a lei, pareva non esserci alcun rumore e anche con gli occhi chiusi, poteva sentire la luce invadere la stanza. Chissà quale, poi.
Poi, lo sentì. Accanto a lei. «Razza di stronzo» borbottò. «Non si usa la Legilimanzia con una persona che dorme» gli disse, senza neanche aprire gli occhi.
«Fai dei sogni interessanti» lo sentì dire con una nota di malizia.
«Esci» gli intimò.
«Mi hai già cacciato» replicò lui. «Sei una brava Occlumante»
Si sforzò di aprire un occhio e lo trovò steso accanto a lei, con i piedi accanto alla sua testa. Si resse sui gomiti e lo guardò torva.
«Buongiorno» le disse, con un insopportabile sorrisetto.
«Perché sei così di buon umore?»
«Fai dei sogni interessanti» ripeté lui.
«Lo hai già detto» si lamentò Anastasia. «Non vale»
«Perché l’ho già detto?»
«Perché io non me lo ricordo, cosa ho sognato»
Lui sorrise di nuovo. «Io sì»
«Vaffa-» fece per tirarsi in piedi, ed era a metà strada quando notò che, steso sul letto ai piedi del quale si trovava, c’era una persona nuda. «Oh, Merlino!»esclamò, rimettendosi seduta. «Ma chi è?»
Draco alzò la testa di poco. «Ehm … Millicent, senza dubbio»
«Ma non le vedi la faccia, da qui!»
Lui le rivolse un sorriso malizioso. «Non ne ho bisogno» le disse, rimettendosi sdraiato.
Lei sbuffò, si mise seduta e ringraziò il cielo che la zeppe che le era rimasta allacciata fosse quella in cui aveva infilato la bacchetta. Con un rapido incantesimo, Evocò una coperta e diede un minimo di dignità al corpo nudo di Millicent. Senza nascondere il poco equilibrio, si alzò e Appellò silenziosamente la scarpa sinistra, allacciandosela sotto lo sguardo pensieroso di Draco. Quando si fu assicurata di averla legato bene il laccio della zeppa attorno alla caviglia, lasciò la stanza senza guardarsi indietro. Si perse per un paio di volte nei fitti corridoi bui per raggiungere la cucina, ma quando la trovò, Kora l’accolse con calore. Prima che potesse rispondere all’elfo, sentì Draco apparire dietro di lei. «Ma che ti è preso?!» le chiese, quasi spaventato.
Lei lo guardò senza capire. «Niente» disse lei. «Ho solo bisogno di una Pozione Post Sbornia» spiegò, mentre Kora le passava un bicchiere colmo di quel caldo liquido viola che le avrebbe restituito la voglia di vivere e fatto passare il mal di testa. «Dove hai sistemato le Greengrass? Magari ne serve un po’ anche a loro»
«Ahhhh»fece lui. «Ecco!» Batté le mani una volta. «Kora?»
«Non tirare in mezzo Ko-»  
«Sì, padrone?»
«Kora, ti risulta che Astoria e Daphne Greengrass abbiano dormito qui?»
«No, padrone» rispose lei abbassando la testa. «Ma Kora può controllare, padrone»
«No, Kora» le disse Anastasia. «Draco voleva solo provocarmi»
«Ah perché tu no
«Lasciami stare, Draco»
«No» rispose lui secco. «Non ho voglia di litigare con te»
«Ed è per questo che te ne dovresti andare» replicò quindi lei. «Perché finiremmo per litigare, e neanche io ne ho voglia»
«Se me ne vado adesso, tu resterai arrabbiata e io resterò infastidito dalla tua rabbia e dalla tua gelosia»
«Draco, io non-»
«Non sprecare neanche fiato a dire che non sei gelosa di Astoria, Anastasia, anche io sono geloso di Edward, e anche io avrei quella faccia se lui si fosse presentato qui ieri sera fingendo di non sapere chi io fossi»
Lei rimase immobile con il bicchiere con la Pozione in mano. Draco aveva parlato con tono calmo, freddo, razionale. Come se avesse avuto settimane per pensarci, eppure, presumibilmente, si era svegliato al massimo un’ora prima di lei.
«Bene» decretò allora lei. «Hai già detto tutto tu»
«Allora puoi toglierti quel broncio, per favore
«Non usare questo tono con me» lo richiamò lei.
«Tu non usare questo tono con me» rispose lui, facendo la voce grossa. «Non potevo sapere che Astoria e Daphne si sarebbero presentate, e …»
«Non ti voglio sentire»
«E invece io ho proprio voglia di spiegartelo»
Anastasia trangugiò la Pozione e rimase a fissare il bicchiere vuoto, sentendo il calore della pozione attraversarle l’esofago. «Bene»
«Bene?»
«Parla, se ne hai tutta questa voglia»
«Non se tu non ne hai altrettanta di ascoltarmi»
Anya si trovò con le braccia incrociate sul petto e una voglia matta di fare a pugni.
Perché era lui quello razionale e lei era la pazza furiosa? Perché i ruoli si erano ribaltati?
«Perché io sono più grande, e-» disse lui, rispondendo ai suoi pensieri.
«Esci, ti ho detto!» ringhiò lei. Involontariamente, scaraventò il bicchiere contro il muro, rompendolo in mille pezzi.
Draco non fece neanche finta di prestarvi attenzione. «… E perché ho preso la Pozione un po’ prima di te. E anche una Pozione di Memoria, se posso essere sincero, e quello che mi ricordo è una bellissima serata …»
«Interrotta da Astoria e Daphne
«Non lo potevo sapere» si difese di nuovo lui. «Così come non sapevo dei gemelli, credevo che Blaise-»
Anya strabuzzò gli occhi. «I gemelli! Avevi detto solo George
«No, tu hai detto George,» puntualizzò Draco. «per via dell’incantesimo. Io e Blaise abbiamo solo evitato di aggiungere il dettaglio “Fred”»
«Begli amici di merda» sputò lei, mentre Kora raccoglieva i pezzi del bicchiere con uno schiocco di dita, in palese imbarazzo per la situazione.
«Anastasia, io e te non siamo amici» rispose Draco, con un filo di voce. «Non credo che due amici abbiano questo tipo di discussione»
«Non l’avremmo avuta, se tu te ne fossi andato quando te l’ho chiesto»
«Questo non cambia le cose» rispose lui. «E poi, è casa mia»
«Per quanto mi costi ammetterlo, hai ragione» disse lei tra i denti. «Me ne sarei dovuta andare io»
«Non sto dicendo ques-»
«Anzi, me ne vado ora»
«Anastasia»
Rimase a guardarlo qualche secondo. Se non l’avesse creduto impossibile, avrebbe pensato che la stesse implorando di restare. Si riempì gli occhi di quell’immagine. Poi, Appellò la sua borsa, e preoccupandosi di fare più baccano possibile, raggiunse la porta, scusandosi con l’elfa per il bicchiere senza aspettare risposta.
«Amico, dovresti rincorrerla» disse la voce assonnata di Blaise, alle spalle di Draco.
Lui neanche si voltò. «Da quanto sei lì?»
«Dieci secondi, circa» rispose Blaise. «Ma credo che anche i pavoni vi abbiano sentiti strillare»


 
«Doveva chiedermelo»
«Anastasia, a volte …»
«Se me lo avesse chiesto, sarei rimasta»
«Non ne dubito» replicò Minerva. «Ma mi chiedo, mia cara, se a volte i gesti non possano sostituire le parole»
«Minnie, non iniziare» replicò Anastasia, sulla sponda del Lago Nero che tirava sassi in modo che rimbalzassero sull’acqua. Accanto a lei, composta ed elegante come sempre, la madrina migliore che una persona come Anastasia potesse desiderare, con il suo famoso soprabito verde di velluto e la solita acconciatura.
«Forse non te lo ha chiesto a parole, ma di sicuro lo ha pensato, e quindi ci ha tentato: non è sempre facile, trasformare in suoni le parole che abbiamo in testa»
«Sfortunamente, il Legilimens è lui» replicò allora la giovane.
«Non sempre serve la Legilimanzia, per capire cosa una persona stia pensando o provando»
«Se me lo avesse chiesto, sarei rimasta» ripeté lei. «Sarei rimasta, mi sarei calmata e avrei anche ascoltato tutte le sue spiegazioni del cazzo»
«Anastasia» la richiamò la Preside.
«Scusa, mi è scappata» rispose lei, lanciando un altro sasso. «Doveva solo chiedermelo, per Morgana!»
«Oh, mia cara» sospirò Minerva. «Forse tendiamo a dimenticarci di chi stiamo parlando. Ti sei invaghita di uno dei maghi più enigmatici e paranoici che io conosca – e ne conosco davvero moltissimi»
«Non mi sono invaghita»
«Oh, no, infatti, infatti: ti sei proprio presa una bella sbandata»
Minerva sorrise vedendo la figlioccia che scuoteva la testa per nascondere del rossore.
«E poi, che senso ha fare leva sul fatto di essere più grande? Lo so anche io che è più grande!» si lamentò, raccogliendo un altro sasso dalla riva.
«Bambina mia, certe cose, credimi, le imparerai solo invecchiando. E lo so che odi questo genere di discorsi, ma questa è l’amara verità. E se avessi voluto qualcosa di diverso dall’amara verità, di certo non saresti venuta a cercare me»
Anastasia si concesse di voltarsi per guardarla, mentre il sasso che aveva appena lanciato rimbalzava sull’acqua. «Grazie, Minnie» le disse.
«Dovere» rispose lei. «Ora, dovrei andare a spedire alcune lettere»
«Nessuna che mi riguardi, spero»
«Oh, no: ho smesso di spedire richiami ai tuoi, per fortuna» sorrise Minerva. «Puoi restare quanto vuoi, ovviamente, conto ch tu lo sappia: Hogwarts è ancora casa tua»
Anastasia le sorrise di nuovo. «È sempre bello sentirselo dire» ammise.



«Sei una testa di troll!»
«Grazie»
«Che cosa ti costava ascoltarlo?»
«Nicole, sei appena tornata dopo settimane: dobbiamo parlare di questo
«A quanto pare sì!» rispose la cugina, mentre passeggiavano per Hogsmeade. «Non posso lasciarti da sola per … quanto tempo è stato? Due mesi? E guarda cosa mi combini!»
Anastasia sorrise, aprendole la porta dei Tre Manici di Scopa con finta galanteria. «Mi sei mancata»
«Vorrei ben dire» rispose lei saccente.
Nicole, tra le due cugine, era quella più spavalda e audace. Non a caso, era una Grifondoro. Menomale, poi: a detta di tutti, sua madre si sarebbe rivoltata nella tomba se la figlia non avesse indossato i suoi stessi colori. E poi, a detta di Minerva, Nicole Redfort-Levre era troppo uguale a Rosalie per non portare la cravatta rosso-oro: non solo per la forma del viso, degli occhi e delle labbra, il colore di capelli o la voce riconoscibile tra mille. Era, diceva, per il modo di camminare, di gesticolare, e anche per quello di volare e di sistemarsi i capelli quando parlava. Per un talento nelle Pozioni che, sicuramente, aveva detto Gabriel, non era merito dei suoi geni francesi. Lui, Caposcuola Corvonero, con i calderoni ed i manici di scopa aveva combinato solo guai.
All’interno del pub, Ted e Lyall le attendevano con trepidazione. Essere di nuovo tutti e quattro insieme sembrava un sogno, uno di quelli dai quali non si ha voglia di svegliarsi. Ordinarono quattro Burrobirre e ascoltarono ogni racconto di Nicole, della Francia, di Gabriel e del suo lavoro e di Damian e delle sue preoccupazioni, dei suoi nonni Babbani e di quanto lei li trovasse adorabili quando fingevano di non pensare che fosse strana.
La serata sembrò volare, e Anastasia, unica maggiorenne tra i quattro, riaccompagnò tutti a casa. Salutò Damian da una finestra, fuori casa di Nicole, per poi afferrare gli altri due e Smaterializzarsi di nuovo davanti al cancello della piccola villetta.
«Lyall, entra» disse Ted.
Lyall salutò Anya con un cenno ed eseguì l’ordine, capendo che l’atmosfera si sarebbe fatta tesa in un attimo. Quando si fu assicurato che il fratello non potesse sentire, tornò a fare lo sguardo serio nei confronti della giovane Black.
«Ora farò quello che fai sempre tu con me quando piagnucolo»
«Mi prenderai a calci?»
«No, sarebbe troppo semplice»
«Mi fai fare tre giri del campo in più?»
«Neanche – e poi, mi sono allenato con te si e no tre volte»
«Perché sei un pappamolle» replicò lei. «Quindi, che vuoi fare?»
«Ti sbatto in faccia la realtà finche non la smetti di piagnucolare»
Anastasia alzò gli occhi al cielo. «Ted, seriamente
«Farà più male di quanto credi»
«Ho sonno»
«Allora ti conviene ascoltarmi, perché sono cose che devo dirti da un bel po’: non posso tornare a Hogwarts senza dirti queste cose, Anastasia»



NdA: pubblico oggi perchè stasera parto - mi prendo un po' di sacrosanto riposo, per tranquillizzare chi temeva che dormissi troppo poco. Non temete, farò in modo di tornare alla base per pubblicare puntuale lunedì, perchè come vedete, le cose iniziano a farsi interessanti. :D


 

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Capitolo 16
*** mai ***


   

E dividere a metà
questa notte fino alla mattina
forse la felicità
non è poi tanto diversa da così
affascinati dalla immagini
dal bianco e il nero di quei vecchi film
dal primo volo delle rondini
di cosa sono fatti gli angeli
la vita breve dei coriandoli
ci fa sentire che noi siamo liberi
e tutto questo ancora mette i brividi
i brividi
(Michele Bravi, la vita breve dei coriandoli)


15.
mai


Si costrinse a prendere un respiro profondo, senza smettere di camminare. Sapeva che, se avesse smesso di mettere un piede davanti all’altro, semplicemente, non avrebbe più ricominciato. E sarebbe rimasta lì, ferma, sola, in mezzo al parco, a due passi dai pavoni. Era ancora furiosa con Ted, e anche con sé stessa. Non aveva chiuso occhio, per quanto era furiosa. Era furiosa con Ted per aver detto ciò che aveva detto, per aver insinuato che lei non fosse più lei, che avesse perso la sua spavalda spontaneità, che fosse meno sé stessa dopo che Edward se ne era andato. Ed era furiosa con sé stessa perché se una volta non ci avrebbe pensato due volte prima di mangiare la faccia del suo migliore amico, aveva dovuto abbassare lo sguardo e ammettere che aveva ragione.
Anche volendo, non sarebbe riuscita a pensare a nulla se non a quanto fosse furiosa.
Così, aveva fatto ciò che le diceva la testa, terrorizzata dalle parole di Ted, terrorizzata dall’idea che Draco Malfoy potesse anche solo pensare di non piacerle esattamente così com’era. Draco non poteva sapere che non era colpa sua, ma lei aveva perso dei pezzetti di sé.
E non se n’era accorta, fino a che non era arrivato lui a farglielo capire, senza saperlo.
Così, aveva fatto ciò che la vecchia Anastasia avrebbe fatto.
Era corsa da lui per dare loro ciò che gli spettava, quel bacio mancato che le aveva fatto perdere il sonno. Per dirgli che sì, era gelosa, perché essere gelosi significava avere paura di perdere qualcuno a cui si tiene, avere paura di non essere abbastanza per poter rimanere accanto a qualcuno, e lei aveva paura, oh se ne aveva.
Ammettere di avere così tanta paura era stato tanto semplice quanto difficile. Semplice, perché era palese: era ovvio, quasi scontato. Era lì, da vedere. Difficile, perché significava ammettere di avere torto, e di esserci cascata con tutte le scarpe.
Raggiunti gli scalini di pietra, li salì due a due, sapendo che da un momento all’altro Kora avrebbe aperto la porta. Quando l’elfa la vide, le rivolte il suo solito sorriso gentile.
«Buongiorno, signorina Anastasia» le disse.
Normalmente, le avrebbe risposto con altrettanto garbo. Ma quel giorno, persino Kora le dava sui nervi.
Entrò nella Malfoy Manor senza aspettare che Kora la invitasse a farlo, senza curarsi delle buone maniere che sua madre le aveva insegnato con tanto impegno. Kora rimase spiazzata da quel suo nuovo modo di agire, e quando attraversò l’atrio a grandi passi, lei iniziò a saltellarle dietro con aria preoccupata.
«Padron Draco è ancora nelle sue stanze, signorina Anastasia, ma se la signorina lo desidera, Kora la può annunciare e …»
«Conosco la strada, Kora» le disse, accorgendosi di avere il fiato corto.
«Kora non ha dubbi, signorina Anastasia, ma Kora ci tiene a dirle che il padrone …» Di nuovo, salì le scale due a due, mettendo l’elfa in evidente difficoltà. « … ha appena finito il suo allenamento mattutino, e …» Si destreggiò tra i corridoio con estrema maestria, fino ad arrivare alla doppia porta di legno che proteggeva la stanza patronale.
«Gradirei un minuto di privacy, Kora»
Di nuovo, Kora parve spiazzata, ma con estrema naturalezza, smise di cercare di correrle dietro.
Allora Anya, con il cuore in gola, spalancò la doppia porta.
Non era mai entrata nella stanza patronale. Avrebbe giurato di sapere cosa aspettarsi, ma si trovò davanti all’ennesimo camino attorniato da poltrone di pelle nera, finestre grandi quanto quelle del salone, una sfilza di librerie stracolme, un tappeto a pelliccia d’orso, un letto a baldacchino sfatto da un solo lato che avrebbe comodamente ospitato quattro persone, e almeno altre due porte.
Al centro di tutto questo, Draco Malfoy, con addosso solo l’accappatoio e un sigaro acceso in mano, si voltò di scatto appena sentì la porta aprirsi rivelando un’espressione tanto cupa quanto sorpresa.
«Anya» sospirò.
Ma lei non lo stava ascoltando.
Recuperando il passo svelto con cui aveva attraversato tutta la tenuta, coprì la distanza che li separava, arrivando ad essergli così vicina come non era mai stata. Se l’atteggiamento con cui si era avvicinata era colmo di prepotenza, il modo in cui gli accarezzò il viso e gli regalò un bacio a fior di labbra fu così dolce e delicato da sorprendere persino lei.
Draco chiuse gli occhi, incredulo, quasi contento di lasciarla fare, di dare corda a quel colpo di testa. Stava per stringerla a sé, quando lei si staccò e premette la fronte contro la sua.
«Ascoltami bene, perché lo dirò soltanto una volta»  sussurrò, ma a lui sembrava che stesse gridando. «Non pensare mai, e dico mai, che io non ti voglia, non ti desideri, dal primo istante, fino alla fine dei miei giorni. Mi hai capita? Mai. Qualsiasi cosa succeda»
Lui, di nuovo, rimase senza parole, completamente disarmato davanti alla più belle della ovvietà.
E, veloce come era arrivata lì, si voltò e se ne andò, lasciandolo con le braccia aperte, il cuore in gola e sulle labbra il sapore del bacio più bello che avesse mai ricevuto.
Mentre la sentiva scendere le scale di fretta, sentì nel petto una cosa nuova, e non si accorse del sorriso che gli stava nascendo sulle labbra; corse in bagno per recuperare un paio di boxer e i pantaloni della tuta che aveva spogliato prima di lavarsi, e se li infilò saltellando fuori dalla stanza. Stava scendendo le scale più che consapevole delle altissime probabilità di scivolare e spaccarsi di nuovo il naso, ma la sola cosa che gli importava era quel vortice che sentiva nel petto. Udì chiaramente la porta d’ingresso aprirsi e poi chiudersi con violenza dopo dei freddi saluti all’elfa, quindi con un salto scese gli ultimi sei gradini, sentendo Kora urlare di paura, e ordinandole di riaprire la porta mentre si metteva a correre scalzo sulla moquette.
L’elfa eseguì, non riuscendo a non ridacchiare, e nel momento in cui uscì di casa, vide Anastasia allontanarsi a passo svelto verso il cancello, pronta a sviare i pavoni che sembravano volerla salutare, straniti anche loro da quella sua nuova aria da arrogante.
«Anastasia!»
Si maledisse: era ovvio, che non si sarebbe girata. La conosceva ormai fin troppo bene, per sperare che si girasse. Così, ricominciò a correre, ignorando il dolore dei piedi scalzi sui ciottoli che riempivano il viale. Seguì quella folta chioma nera ancora per una manciata di metri. Quando l’ebbe raggiunta, le posò una mano sulla spalla per costringerla a girarsi.
Non le diede neanche il tempo di rendersi conto di averlo davanti di nuovo.
Di scatto, le afferrò il viso tra le mani ormai sudate e la baciò di nuovo, con tutta la prepotenza che solo Draco Malfoy sapeva avere, giocando con la sua lingua come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Lei rimase spiazzata, ma fu contenta di lasciarlo fare e rispondere al bacio, perché, doveva ammetterlo, le sembrava di non aver mai baciato nessuno in quel modo. Lasciò cadere la sua borsa e a terra e sentì gli occhiali da sole scivolarle dalla testa, ma sapeva benissimo che se anche i pavoni glieli avessero mangiati, non le sarebbe importato niente. Le importava solo di stringerlo a sé, avvertendo dei brividi nuovi percorrerle la schiena quando posò la mano sulla sua schiena per trovarla nuda e muscolosa. Lui si accorse del suo tremito e, sorridendo, le morse il labbro inferiore, e entrambi ne approfittarono per recuperare fiato. Lui riprese a baciarla, ma prima che riuscissero a recuperare la foga appena abbandonata, lei si staccò.
«Draco, credo …»
«Non dire niente» la interruppe subito lui, rifiutando di staccare la mani dal suo viso o di aprire gli occhi. Non gli serviva avere gli occhi aperti per sentirla sorridere, stringerlo a sé più forte e poi sussurargli all’orecchio: «Fammi parlare, una dannata volta» approfittò della vicinanza con il lobo per mordicchiarglielo con malizia, e lui, in tutta risposta, fece scivolare rapidamente le mani verso il suo sedere per costringerla a saltargli in braccio, sentendosi ancora più eccitato ed euforico quando lei allacciò le gambe attorno alla sua vita. «Davvero, vuoi parlare?» le chiese, in un sussurro.
«Credo che tua madre ci stia guardando dalle finestre del salone» concluse lei, allacciando anche le braccia attorno al suo collo, mentre lui realizzava di avere finalmente posato le mani su quel sedere.
«Salutamela» ridacchiò allora, prima di fare una mezza giravolta su sé stesso per voltarsi a guardare verso la casa. Una volta constatato che Narcissa fosse effettivamente affacciata alle grandi vetrato del salone, normalmente coperte dalle apposite tende scure, gli bastò un abile gesto per Smaterializzarsi al centro della stanza patronale in cui il sigaro ancora acceso riposava in attesa, gettato sul posacenere d’argento.
Si sarebbe aspettato di vederla spaventarsi o arrabbiarsi per quel gesto, ma si strinse a lui più forte con le gambe e riprese a baciarlo, mentre passava le mani tra i suoi capelli soffici e ancora umidi dalla doccia e lui si sedeva su una delle poltrone di pelle, ben attento a sedersi sull’orlo per non farle male ai piedi o alle ginocchia.
«Fermati» ordinò, a fatica.
Lei si separò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, riservandogli uno sguardo anche più intimo di tutti quei baci.
Non disse niente. Rimase a guardarlo, obbedendo alla sua richiesta, ma senza slacciare le dita dai suoi capelli, senza lasciare intuire di volersi davvero fermare.
«Ripeti quello che hai detto prima»  disse lui allora.
«Allora è proprio vero che non mi ascolti» sorrise lei. «Ho detto che lo avrei detto una volta sola»
«Ma io ho bisogno di sentirtelo ripetere» ammise lui riavvicinandosi a lei, posando praticamente le labbra sulle sue, ma ignorando il suo tentativo di continuare a baciarlo. «Poi magari mi spiegherai anche perché hai fatto irruzione in casa mia per dirmi una cosa del genere»
«Ero arrabbiata» ammise lei. In quel momento, quel suo essere così furiosa le sembrò lontano anni luce.
«Con me
«Con me, e con Ted»
«Oh, benedetto ragazzo» sospirò lui. «Cosa può mai averti fatta arrabbiare così tanto?»
«Mi ha detto la verità»
«La verità?»
«Che … mi sono comportata come una che non ti vuole» ammise, con tono di colpa, accarezzandogli i capelli e premendo la fronte contro la sua. Allora lui le baciò di nuovo le labbra con dolcezza, lasciando che fosse lei a dare via al gioco di lingue. Si lasciò cadere sullo schienale della poltrona, tenendola stretta a sé, quasi impaurito che potesse sparire da un momento all’altro.
«Anastasia eccetera eccetera Black» la fermò di nuovo.
Anya rimase a guardarlo.
«Vale lo stesso» aggiunse.
Continuò a guardarlo senza capire.
«Quello che hai detto, insomma»
Allora lei accennò un sorriso e si avvicinò di nuovo per posargli un nuovo bacio tra il collo ed il viso, mordicchiando la pelle. Poi avvicinò la bocca al suo orecchio, come poco prima.
«Dillo» chiese con timore.
Draco le accarezzò di nuovo il viso e sorrise come non aveva mai fatto. In uno scatto si alzò, e a grandi passi raggiunse il letto a baldacchino, senza smettere di accarezzarle la schiena o di baciarle ogni centimetro del viso. Poi, allargato il suo sorriso in modo inaspettato, la lasciò cadere per buttarla tra le lenzuola ancora disordinate. Rimase in piedi davanti a lei, quasi volendola ammirare.
« Non pensare mai, e dico mai, che io non ti voglia, non ti desideri, dal primo istante, fino alla fine dei miei giorni»
Allora Anya, con lo sguardo più malizioso che lui avesse mai potuto immaginare, l’attirò a sé, tirandolo per l’elastico della tuta, per farlo stendere sopra di lei.
E non si staccarono più.
 
Draco sapeva che si trattava di un sogno. Lo sapeva, era un sogno che aveva fatto centinaia di volte. Era lui che correva in un labirinto buio, mentre qualcuno lo chiamava a gran voce, chiedendogli aiuto. E lui correva, correva fino a non avere più fiato, ma non trovava mai la fine del labirinto o la persona che lo stava chiamando.
Quella notte, a chiamarlo a gran voce, era Anastasia.
Certo, si disse, svegliandosi di scatto. Spalancò gli occhi e la trovò lì, accanto a lui, stesa a pancia in giù, la trapunta di lino che le accarezzava le spalle nude e i capelli sparsi sul cuscino.
Certo.
Certo che era Anastasia. Si coprì gli occhi con una mano.
Allora era stato tutto vero?
Avevano davvero passato una giornata a letto insieme, a fare l’amore come due ragazzini in giro per la stanza per poi addormentarsi sfiniti ancora nudi?
Aprì un occhio e la sbirciò, sentendosi quasi in colpa.
Chissà cosa le aveva detto poi Ted, per farla infuriare al punto di farla correre lì alle nove del mattino. Non gli importava: anzi, felice com’era, in quel momento, aveva persino voglia di ringraziarlo. Ringraziare Ted Lupin. Il che era tutto dire.
Aveva quasi timore, nel guardarla dormire: aveva paura che svanisse. Che le coperte si sistemassero ed il cuscino riprendesse la sua forma immacolata, e che lui si rendesse conto di essersi immaginato tutto, nei minimi dettagli. Come se fosse la prima volta, poi. Sorrise, pensando che aveva pensato di avere paura che sparisse anche la prima volta che si erano visti. Già allora, gli pareva impossibile che una persona potesse essere così bella e così dolce, e soprattutto, che conscia di quelle qualità, se ne andasse a spasso per la Londra babbana a ricordare a lui che non aveva senso ostentare il proprio passato o rifugiarsi in esso, soprattutto se si trattava di un passato come il suo.
Ma non gli importava, ora.
L’unico passato a cui volesse pensare era quello più prossimo, quello popolato da quella improbabile strega che, Merlino, non faceva altro che sorprenderlo.
Anastasia strizzò gli occhi e li aprì, sorridendo come una bambina felice trovando Draco accanto a lei, seduto sul letto, che la guardava sognante con la forma del cuscino ancora impressa sulla guancia.
«Stavi di nuovo spiando tra i miei sogni?» chiese, in un sussurro.
Prima che lui potesse rispondere, si coprì la bocca con una mano e lo guardò con aria spaventata.
«Tutto bene?» non riuscì a non chiedere lui.
«Ho un alito pessimo» sussurrò lei, senza levare le mani dalla bocca. «Non voglio che tu lo senta»
Lui sorrise così tanto che a lei sembrò illuminare l’intera Malfoy Manor. Le si avvicinò e le baciò la punta del naso. «No» replicò lei. «Alito pessimo!»
Lui scosse la testa e la baciò di nuovo, convincendola a togliersi le mani dal viso e a baciarlo di nuovo.
«Mago avvisato, mezzo salvato» gli disse, mentre lui la stringeva per farla stendere sopra di lui. «Ma non ti stanchi mai?» chiese poi, levandogli i suoi capelli scuri dalla faccia.
«Mai» le sussurrò, baciandola di nuovo. Afferrò la trapunta e la portò sopra le loro teste.
 
 NdA: non ho mai scritto un capitolo del genere - sinceramente, pur non essendo particolarmente spinto, è la cosa più spinta che io abbia mai scritto. Quindi, per vari motivi, non vedo l'ora di leggere le vostre reazioni.
Buona settimana a tutt*!
fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 17
*** nessuno ***




16. 
nessuno

 
Martha si stava spazzolando i lunghi capelli biondo miele nel bagno privato della stanza patronale di Villa Black. «Sirius?» chiamò.
Dopo aver cenato da Damian, erano tornati a casa e lei si era fiondata in camera per cambiarsi, perché, aveva detto, era maledettamente tardi e lei la mattina dopo si sarebbe dovuta alzare all’alba. Mentre Sirius la prendeva in giro dicendole che era invecchiata, si era infilata una vecchia camicia da notte azzurro pastello e aveva sentito il marito passeggiare per la casa.
«Martha?» le rispose lui, salendo le scale che portavano alla loro stanza. «Anastasia non è ancora tornata»
Martha, sistemando la spazzola al suo posto, scosse la testa. «Non mi sorprende» gli rispose.
«Non ti sorprende?» domandò lui, sistemando su un appendiabiti incantato i suoi abiti per l’indomani. «Che cosa vuol dire, Redfort, che non ti sorprende?»
Martha scosse la testa ed uscì dal bagno. «Mi vuoi dire che non hai notato niente?»
Lui la guardò con sorpresa. «Ho notato che hai addosso una camicia da notte molto, molto sexy, che non ti vedevo addosso dalla notte del matrimonio di Remus»
Martha gli sorrise, con una nota di malizia a lui ben nota ma sempre sorprendente e gradita.
«Oh, ma immagino tu parlassi della nostra bambina»
«La nostra bambina ha diciotto anni, Sirius» rispose lei spazientita, sedendosi sul letto. «E ha una storia»
«Ha una che cosa?!» sputò il marito, portandosi le mani sui fianchi.
«Una storia, Godric, una relazione, un inciucio» gli disse lei spazientita. «Ma tu davvero non ti sei accorto di niente?»
«Di che cosa mi sarei dovuto accorgere?!» sputò di nuovo lui, con aria quasi spaventata.
«Beh, per esempio, che sono quasi due settimane che non dorme a casa»
«Non dorme a casa?» si stupì nuovamente lui.
«No» rispose Martha stringendosi nelle spalle.
«Ma ieri ha fatto colazione con me!»
Martha scosse la testa. «Dorme fuori» spiegò. «Trasfigura qualche cuscino alla bene e meglio per metterli sotto le coperte, e la mattina all’alba si Smaterializza in camera di Harry per sgattaiolare verso camera sua in punta di piedi»
Sirius la guardò con gli occhi fuori dalle orbite. «Non ci posso credere» sussurrò. «Piccola Malandrina! Ma tu … Redfort, come diamine fai a saperlo?» si stranì ancora di più. «Non può avertelo detto!» si lamentò, raccogliendo le coperte per stendersi nella sua metà di letto.
«Naturalmente non me lo ha detto, Sirius, ho solo prestato attenzione ai dettagli»
«I dettagli sarebbero dei cuscini Trasfigurati?»
«Non solo quello» spiegò, stendendosi accanto a lui. «Non hai notato che è più felice?»
«Perché dorme da uno sconosciuto?!»
La moglie lo guardò torva. «Il fatto che tu non sappia chi sia, non significa che sia uno sconosciuto»
«Tu sai chi è?»
Martha scosse la testa.
«E questa cosa non ti sta uccidendo?»
Lei continuò a scuotere la testa.
«Come no?»
«Lei è felice, Sirius. E lui le presta le camice, a quanto pare»
«Le presta le camice
Martha annuì. «Lunedì scorso, aveva addosso una camicia da uomo»
«Ha detto che era di Lyall!»
«Oh, e tu le hai creduto?» sorrise Martha. «Quando mai hai visto Lyall con una camicia?»
Sirius si trovò a dover incrociare le braccia sul petto e ammettere che la moglie avesse ragione, di nuovo. «Martha?»
«Ti ho detto che non lo so, chi è» rispose lei scocciata. «E comunque, anche se lo sapessi, non starebbe a me dirtelo!»
«No, non è per quello» sbuffò lui. «Da quanto sai che Harry è riuscito a togliere l’incantesimo Anti-Smaterializzazione dalla sua stanza?»
«Oh, amore mio» gli sorrise la moglie. «L’ho messo io, quell’incantesimo: l’ho saputo subito»
Sirius scosse la testa di nuovo, visibilmente contrariato.
«Puoi stare tranquillo, Padfoot»
«Se tu sei tranquilla, bimba, io sono tranquillo»
«Quindi non cercherai in ogni modo di scoprire chi sia?»
«Non ho detto questo»
Martha sorrise e baciò il marito, posandogli una mano sul viso. «Sei il solito idiota»
«Ti amo anche io, Martha»
 
Draco salutò Anya con un bacio a fior di labbra, dopo aver controllato l’orologio da taschino ed essersi scusato, dicendo che doveva scappare, altrimenti Blaise l’avrebbe ucciso. Lei lo aveva guardato salutare Lottie con garbo, e allontanarsi dal bar con la sua solita grazia, avvolto nel suo completo nero. A nulla era servito ricordargli che Lottie era una babbana e che il suo bar, quindi, sarebbe stato pieno di babbani che si sarebbero insospettiti nel vedere un completo da mago.
Anastasia lo guardò sparire dietro l’angolo e riprese a leggere il suo libro di Rune, con gli occhiali da vista posati sul naso, sentendo le signore dietro di lei chiedersi cosa mai stesse leggendo. Era completamente persa nel suo mondo, quando sentì Lottie esclamare: «Oh, George! Non ti si vedeva da settimane!»
Anastasia aveva alzato la testa di scatto.
Non era George.
Era Fred.
Il cognato la salutò con un cenno e indicò la sedia vuota davanti a lei, e lei annuì senza perdere il sorriso, ma guardandolo con sospetto. «Non è orario d’ufficio, questo?»
Fred annuì, fingendo di spiare il quotidiano babbano posato sul piccolo tavolo di metallo. «Certamente. Ma sono stato spedito a fare degli ordini per le materie prime nuove» Indicò un rettangolo scuro sul quotidiano. «Che vuol dire che le azioni crollano?»
Lei scosse la testa. «Lascia stare» gli disse. «Chiedi a Robert, lui lo sa spiegare bene»
Fred annuì, poco convinto, mentre Lottie si avvicinava per prendere la sua ordinazione, e Anya pregò che non dicesse niente riguardo il bel biondo che era stato lì poco prima. Fred le disse che doveva pranzare, e guardò Anastasia per chiederle cosa invece avrebbe preso lei.
«Io ho già mangiato, Fred, grazie» gli rispose, con lo stomaco ridotto ad una lenticchia per paura che facesse qualche domanda riguardo il suo pranzo.
«Che materie prime nuove ti servono?» si trovò a chiedergli, con finta nonchalance.
«Voglio aggiornare le penne Rispostapronta» rispose subito lui, tornando a spiare il quotidiano.
«La formula che usate non funziona più?»
«Oh, no. Funziona benissimo, ma io vorrei che funzionasse ancora meglio»  spiegò. «Non è nulla di ufficiale, solo una mia idea di ieri sera, non riuscivo a prendere sonno» continuò. «Oh, che brutta fine che ha fatto»
«Ma chi?»
«Leggi: donna scozzese accoltellata dall’ex compagno a Earl’s Court» le disse, passandole il giornale indicando un titolo alla fine della prima pagina. «È dove abitiamo noi»
«Lo so che è dove abitate voi» sorrise lei, afferrando il giornale e scorrendo le pagine fino a quella con l’articolo, fingendo di non essersi accorta che il cognato la stesse scrutando. «È il terzo femminicidio in Inghilterra questo mese» commentò, leggendo l’articolo.
«Anastasia?» la chiamò il rosso.
«Mh?»
«Sei radiosa» le disse, incrociando le braccia sul petto e lasciandosi cadere sulla sedia.
Lei finse di scuotere la testa e non sapere di cosa stesse parlando.
«Dico sul serio, Anya, brilli di luce propria»
«Addirittura?» rispose lei con un sorrisetto e chiudendo il giornale.
Fred annuì con convinzione, mentre Lottie gli serviva il suo hamburger e le sue patatine. Lui la ringraziò con un sorriso, mentre Anastasia si passava una mano nei capelli e faceva ballare una gamba sotto al tavolo per sfogare il nervosismo per la piega che aveva preso quella conversazione.
«Dicevamo?» riprese il rosso.
«Io non ti stavo dicendo proprio niente» sorrise Anya, mentre chiedeva a Lottie di portarle uno dei suoi magici cappiccini.
«Hai la maglietta a rovescio, razza di troll» la provocò allora Fred, spargendo le salse sulle patatine.
Lei, allarmata, si controllò: si rese conto subito che la sua maglietta fosse a posto, e alzò lo sguardo verso il cognato per trovarlo sinceramente compiaciuto.
«Bingo»
Anastasia scosse la testa con aria contrariata.
«Voglio dire, in diciotto anni non hai ancora imparato?»
«Sono in silenzio stampa» sentenziò.
«Guarda che sono contento, se ti vedi con qualcuno» le disse, addentando l’hamburger. Lei rimase sbigottita dal cambio di tono di voce: da divertito per lo scherzo della maglietta, a maledettamente sincero.
«Io non ho detto che mi vedo con qualcuno» rispose lei con tono più scocciato di quanto avrebbe voluto.
«No, infatti» le sorrise lui. «L’ho detto io» spiegò. «Ma non vedo altri motivi per cui avresti dovuto temere così tanto di avere la maglietta a rovescio» aggiunse, dando un altro morso all’hamburger.
Lei si sfilò gli occhiali da vista, sentendosi totalmente disarmata. «Fred»
«Non lo dirò a nessuno, tranquilla» la tranquillizzò lui, coprendosi la bocca piena con la mano.
«A nessuno tranne George, Ron, Robert, Kayla e magari Harry e Ginny, e …»
«Calmati» le impose lui, mandando giù il boccone. «Se dico che non lo dirò a nessuno, intendo nessuno. Ti stupiresti, sapendo quanti segreti mi porterò nella tomba»
Lei lo guardò torva, sentendosi sempre più agitata sapendo che Fred non avrebbe mollato l’osso tanto facilmente. Per quanto la sua relazione la rendesse felice, non era pronta a parlarne con qualcuno al di fuori di Ted, Nicole o Minerva.
«Allora: lui chi è? Quello della torta?»
Lei avrebbe voluto mostrarsi spazientita, ma non riuscì a non accennare un sorriso.
«Fred» lo richiamò di nuovo.
«Ci ho preso» le sorrise. «Mi fa piacere, insomma, seriamente. Voglio dire, te lo meriti»
«Puoi elogiarmi quanto vuoi» disse di nuovo lei. «Non ti dirò nulla»
«Va bene, non dirmi nulla»
Anya si mostrò stranita. Fred non poteva arrendersi così, lo conosceva così bene da poterci giurare.
«Non ho bisogno che tu me lo dica …»
Avrebbe davvero voluto ignorarlo, ma sentì qualcosa stringerle il petto in una morsa fredda, mentre il cuore pareva averle preso a battere al centro del collo anziché nel suo solito posto.
« … perché lo so già»
Rimase a guardarlo per qualche secondo, reggendone lo sguardo con qualche difficoltà.
Sapeva di doversi giocare benissimo la prossima carta. «Stai bleffando di nuovo»
Fred allargò le braccia per allacciare le mani dietro la testa, senza perdere il sorriso.
E lei rimase a scrutarlo, cercando di capire se avesse davvero in mano la carta vincente.
«Tiro a indovinare, okay?»
«No» rispose secca lei.
«Draco Malfoy»
Avrebbe voluto replicare in qualche modo – qualsiasi modo – per sviarlo, fargli credere di avere preso un granchio, ma rimase a fissarlo, senza riuscire nemmeno a sbattere le palpebre, mentre lui sembrava essere sinceramente divertito da quella situazione paradossale.
«Cento punti a Grifondoro!» esclamò allora, sperando di ottenere da lei qualsiasi reazione che fosse diversa da quella faccia imbambolata. Decise di godersela ancora per qualche secondo, poi posò i gomiti sul tavolo per avvicinarsi a lei. «Non ti preoccupare, non l’ho detto a nessuno. E non lo dirò a nessuno, fino a che non sarai tu a farlo»
Lei tornò a respirare e si mise una mano sul petto, come per controllare che il suo cuore fosse ancora lì.
«La festa» ringhiò, come un cane rabbioso.
Fred rise di nuovo. «Ero alla festa di Blaise, sì» ammise, addentando il muffin. «Blaise ci ha chiesto del Whiskey delle nostre speciali scorte e poi ci ha chiesto di fermarci, sai, per ringraziarci. George se n’è andato quasi subito, ma io vi ho visti … arrivare dal cancello. Lui … rideva, e te lo giuro, non lo avevo mai sentito ridere. Mi sono goduto lo spettacolo qualche secondo, poi … me ne sono andato, sai, per lasciarvi vivere in pace questa cosa, qualsiasi cosa sia»
«Perché non me lo hai detto? Insomma, so che eri alla festa, ho litigato con Draco, per questo, ma … non sapevo ci avessi visti, ecco. Perché non dirmelo?» chiese lei con un filo di voce.  
Fred si strinse nelle spalle. «So che hai la testa a posto, Anastasia, e non ti cacceresti mai in quel tipo di guaio. Se sei in questa situazione, è perché ti va di starci, perché ci stai bene» esitò. «Ci stai bene, in questa situazione? Voglio dire, lui … ti tratta bene? Ti fa stare bene? Al di là del sesso, non voglio sapere di quello, a meno che tu non abbia bisogno di consigli o cose simili, perché per te farei anche quello, ma lasciatelo dire, diventerebbero un po’ imbarazzante»
Il modo in cui lei sorrise fu la risposta più sincera. «Non hai nulla di che preoccuparti»
«L’importante è che tu non abbia nulla di che preoccuparti» si pulì la bocca con il tovagliolo per sorseggiare un po’ di Fanta. «La Fanta è una delle cose migliori che i Babbani abbiano mai inventato» le disse, sottovoce. «Meglio anche degli aeroplani» Sperava di smorzare un po’ la tensione, ma vedeva il panico nei suoi occhi. «Puoi stare tranquilla, Anastasia, per quello che conta, avete la mia benedizione»
Lei si lasciò cadere sulla sedia e scosse la testa. «Promettimi di non dirlo a nessuno»
«Prometto»
«Neanche a George»
Lui esitò. «Neanche a George» acconsentì poi. «Non ne parlerò neanche più, se ti infastidisce. Volevo solo dirti che lo so, e che puoi contare su di me»
«Fred ma io so che posso contare su di te»
Lui le strizzò l’occhio, nascondendo una punta di commozione. «Allora, dimmi: è bravo come si dice?»
Anya gli tirò il suo tovagliolo usato, fingendosi scandalizzata.
«Mi è sempre sembrato uno che sa il fatto suo, in materia»
«Non avremo questo tipo di conversazione»
«Tuo padre e Remus ti hanno fatto il Discorso? Perché a noi lo fecero, e fu terribile»
Lei continuò a scuotere la testa. «Sono sempre in silenzio stampa» gli disse. «Fred, è una cosa mia» gli spiegò poi, cercando di mostrarsi calma ma decisa. «È una cosa meravigliosa, certo, e sono dannatamente felice e vorrei poterlo urlare al mondo intero, ma è una cosa mia, e per ora non voglio che lo sappia nessuno» gli spiegò, con aria implorante.
«Nessuno, chiaro. Ma a me sta bene, mi piacciono i segreti. Puoi contare su di me» ripeté lui. «Soprattutto se mi attribuisci i meriti del suo elfo» aggiunse sorridendo.
Lei rise di nuovo, scuotendo la testa. «Pensavo fossi preoccupato» ammise, poi.
«Che non sappia il fatto suo? Certe cose si imparano solo con l’esperienza»  ridacchiò di nuovo. Poi, tornò serio. «Ti riferisci al tatuaggio che ha sul braccio o alla storia con mia moglie?»
«A Kayla, ovviamente. Non mi importa nulla, del Marchio e di tutto il resto»
Fred scosse la testa. «Ho una mia idea, al riguardo»
Anastasia gli fece segno di esporla.
«Non sarebbero durati»
«Perché tu e lei eravate predestinati?»
«No, no, non c’entra» spiegò. «Perché era tutto un volerlo salvare da parte di lei, e non volersi lasciare salvare da parte di lui. Era più un gioco, una corsa, una gara. Se si fossero trovati, lei forse lo avrebbe anche salvato, ma non avrebbero avuto più nulla da dirsi»
Anya annuì, trovandosi stranamente d’accordo.
«E forse sì, alla fine noi eravamo predestinati … ma loro non sarebbero durati»
Lei annuì di nuovo, riuscendo finalmente ad esporre a parole ciò che si teneva dentro da settimane. «Vorrei tanto poterne parlare con Robert» disse, quasi in un sussurro. «Di tutta questa storia, è … è la cosa che mi fa più male. Anche più dei trascorsi con Harry, di sua zia Bellatrix o della storia con Kayla»
Non si pentì di averlo detto, perché Fred sorrise e annuì, come per dirle: lo so.
E lei seppe che era sincero.
 

«Mi dispiace, Draco»
«Non hai nulla di che dispiacerti» rispose lui dall’altra parte del telefono. «Dovresti imparare a scusarti solo quando hai davvero delle colpe»
Anastasia sorrise, seduta sul gabinetto chiuso nel bagno della stanza di Harry e Ginny.
«Incredibile, che ora tu dia delle lezioni di vita a me» lo punzecchiò.
Lo sentì sorridere. «Mai dire mai» le rispose, con un sospiro. «Senti, non mi importa se Fred Weasley lo sa, davvero» la tranquillizzò. «Alla fine, non facciamo nulla di male. Sei più preoccupata di quanto serva. Hai detto che di lui ti fidi, o no?»
«Certo»
«Ecco. È qualcosa di bello, Anastasia. Non hai di che preoccuparti»
Anya chiuse gli occhi. Qualcosa di bello. Draco aveva appena citato Robert, senza saperlo. Forse, alla fine, non era necessario essere così spaventata dall’idea che la sua famiglia lo venisse a sapere. Perché era davvero qualcosa di bello.
«Pensavo che … beh, che tu fossi preoccupato. Per quello che potrebbe pensare tua madre o … altra gente»
«Altri ex Mangiamorte, intendi?»
«Più o meno»
«Black, quello che pensa mia madre, che tu ci creda o no, non conta più come una volta. Se ci fosse mio padre, ecco, se ci fosse lui, sarebbe diverso; ma se lui ci fosse ancora, forse io e te non ci saremmo mai incontrati. E poi, una volta era la normalità, sposarsi tra cugini Purosangue»
«Non ti sembra un po’ avventato?»
«Nel senso che non siamo esattamente cugini?»
«No»
«Oh, era per dire, santo Salazar»
Lei rise e qualcuno bussò alla porta. «Occupato!» strillò.
«Ma dove sei?» chiese Draco. «Chiusa in bagno?»
«Anya, sto scoppiando»rispose la voce di Kayla dall’altra parte della porta.
«Vai nell’altro bagno, Kayla» le intimò la sorella.
«Okay, sei in bagno. Di quale casa?» sogghignò Draco.
«Di Harry» rispose Anastasia in un sussurro.
«Ma sei al telefono?» le chiese Kayla.
«Kayla, vai nell’altro
«Non puoi occupare un bagno per stare al telefono!» si lamentò la maggiore.
«Quindi sei al telefono con me nel bagno di casa Potter mentre Kayla bussa alla porta» le disse Draco trattenendosi dal ridere. «Forse non sono io che ho paura di cosa potrebbe pensare la mia famiglia»
«Vai a -»
«Anastasia, non osare» le disse Kayla.
Draco rise di cuore, senza più riuscire a trattenersi. «Vorrei chiudere questa telefonata, ti giuro, so che ti aiuterebbe. Ma è troppo divertente»
«Non parlavo con te, Kayla» sbuffò Anastasia. «Dammi un minuto»
«Oh, vorrei avercelo, un minuto» sbuffò la Serpeverde. «Quando sarai-»
«Ti richiamo»
«Mi manchi, Anastasia Black. Mi manchi più di quanto non mi piaccia ammettere, quando non ci sei»
«Lo dici perché sai che non posso risponderti a dovere»
«Si, può essere» ridacchiò lui. E attaccò. Lei rimase a fissare il telefono spento per qualche secondo prima di alzarsi e spalancare la porta.
«Mi hai davvero fatto un discorso che aveva a che fare con “quando sarai madre capirai”?» chiese alla sorella, corrucciando la fronte.
«No, non sono ancora così vecchia» rispose Kayla. «Era “quando sarai incinta e avrai due bambini che giocano a Quidditch con la tua vescica, capirai”» Entrò nel bagno e chiuse la porta dietro di sé. «E comunque lo sappiamo tutti, che hai un nuovo ragazzo» aggiunse, mentre Anya pensava che sarebbe stato meglio andarsene. «Non serve che tu ti chiuda in bagno per telefonargli»
Scuotendo la testa, si allontanò dalla porta e recuperò le scale per scendere e dedicarsi ai suoi nipoti con l’obiettivo di distrarsi da quella conversazione.
Kayla, se solo sapessi, non saresti così serena.

 

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Capitolo 18
*** cotto e ferito ***


17. 
cotto e ferito

 

Anastasia rimase a fissare Kora, sforzandosi di non lasciarsi prendere dal panico. «Come sarebbe a dire che non c’è?»
«Kora è veramente dispiaciuta, signorina Anastasia»
«Si, questo me lo hai già detto» sbuffò lei. «Quando è uscito?»
«Stamattina presto, signorina Anastasia» raccontò allora l’elfa. «Padrona Narcissa è scesa dai suoi appartamenti all’alba, ha chiesto a Kora di servire la colazione a lei e a padron Draco di fretta, e poi sono usciti dal camino»
Anastasia alzò gli occhi al cielo. Uscito con Narcissa. Dimenticando l’appuntamento con lei per pranzo. Lasciandola quasi un’ora ad aspettarlo a St. James’s Park. Perché era uscito con sua madre.
Le sembrò quasi di vedere la faccia di Robert di quando le diceva “te l’avevo detto”. E lei avrebbe solo dovuto stare zitta, perché se avesse potuto, Robert glielo avrebbe detto. L’avrebbe messa in guardia in ogni modo possibile, invece lei era rimasta ad aspettare Draco Malfoy per quaranta minuti, e nessuno l’aveva mai davvero messa in guardia.
«Grazie, Kora» si sforzò di dire, allontanandosi dai suoi pensieri. «Potresti per favore fargli notare, quando torna, che gli ho regalato un telefono apposta per avvisarmi in queste occasioni?»
«Il telefono babbano di padron Draco è rimasto a casa, signorina Anastasia, Kora lo ha sentito suonare moltissime volte»
Anastasia strinse i pugni, conficcandosi le unghie nel palmo della mano fino a farsi del male. «Perfetto» sputò. «Allora puoi per favore ricordargli che aveva appuntamento con me per pranzo?»
«Kora lo farà, signorina Anastasia»
«Ti ringrazio» le rispose allora lei. «E se ti capita, digli che è un vero cafone»
«Kora non può dire queste cose al padrone!» si spaurì lei.
Anastasia annuì. «Beh, tu pensalo» le disse allora. «E non passerai inosservata, te lo assicuro» sforzandosi di regalare a Kora un sorriso cordiale, chinò leggermente la testa da buona Black, a mo’ d’inchino. «Ti auguro una buona giornata, Kora» detto ciò, voltò i tacchi e non ascoltò nemmeno la risposta dell’elfa, mentre camminava a passo svelto verso il cancello.
 
«Tua sorella sta bene?»
«Dimmelo tu, è tua moglie»
Fred alzò gli occhi al cielo, con in mano una scatola piena di filtri d’amore Tumistreghi. «Intendevo Anastasia. Mi sembrava parecchio giù, oggi»
Robert annuì, avvicinandosi per aprire la scatola e incantare le boccette perché si sistemassero nei contenitori da esposizione. «Ha detto … che si era liberata per pranzo e aveva bisogno di un po’ di compagnia» raccontò. «Anche a me è sembrata giù, ma quando le ho chiesto cosa avesse, ha detto che non era nulla di importante»
Fred raccolse al volo una boccetta di filtro d’amore che stava per cadere a terra.
«E poi, abbiamo visto Malfoy e mammina»
Il rosso strabuzzò gli occhi. «Davvero?»
«All’angolo di Robivecchi, verso Nocturn Alley, ovviamente» continuò Robert. «E …» sospirò e con espressione corrucciata, guardò Fred.
«E?» lo incitò il rosso.
«Non mi è piaciuta, la faccia di Malfoy»
«Malfoy?» esclamò Ron riemergendo dal magazzino, seguito da George.
«Non ti è mai piaciuta la faccia di Malfoy» gli rispose George, lanciando al gemello un’altra scatola di filtri appena preparati da sistemare negli espositori.
«Anche questo è vero» gli sorrise Robert, aprendo quel secondo scatolone. «Ma, ecco, lui e Anya si sono guardati, per una frazione di secondo»
«Wow» lo schernì Fred. «Si sono addirittura guardati
Ron rise e George diede un colpo di bacchetta a un cumolo di polvere perché sparisse immediatamente.
«È una cosa strana, da spiegare»si giustificò Robert.
«E per quanto, esattamente, si sono guardati?» domandò quindi Fred, senza guardarlo per evitare di ridere insieme a Ron.
«Mezzo secondo»
«Allora è grave!» lo schernì ancora George.
«Già» sorrise Ron. «Dovresti chiamare il Dipartimento Sguardi Involontari»
«Non mi state prendendo sul serio» finse di offendersi Robert.
«Certo che ti sto prendendo sul serio» lo riprese quindi Fred. «Infatti spero che il racconto vada avanti»
«No, beh … lui poi mi ha fatto un cenno di saluto e sono spariti verso Nocturn Alley»
«E Anastasia?» domandò Fred.
«Li ha seguiti?» sorrise George.
Robert tirò all’amico una boccetta di filtro d’amore, e lui l’afferrò al volo ridendo. «La mando a tua sorella?»
«Credi davvero che ne abbia bisogno?» sorrise Ron, quando George passò la boccetta a lui. «Forse ne ha bisogno Malfoy, ora che anche la Greengrass l’ha piantato»
«La Greengrass l’ha mollato?» s’interessò Robert.
«Mesi fa, amico» gli rispose Fred.
«Oh, scusami se non leggo Il Settimanale Delle Streghe»
«Ma io non lo leggo, infatti» gli rispose Fred, facendo Evanescere lo scatolone. «Io l’ho sposato, Il Settimanale Delle Streghe»
Ron rise di nuovo e George si avvicinò a Fred e Robert per controllare che le varie boccette dei filtri fossero a posto. «E comunque» aggiunse Fred, annuendo soddisfatto. «Io non mi stupirei»
«Di aver sposato Il Settimanale Delle Streghe?» lo incalzò Ron.
«No, per Anastasia» rispose Fred paziente. «Insomma, tu forse non te ne rendi conto, Robert, ma tua sorella è davvero bella, ed è dannatamente giovane, il che forse la rende ancora più bella, soprattutto agli occhi della nostra generazione» spiegò. «Non mi stupisce per niente che abbia attirato uno sguardo di Malfoy. Così come non mi stupisce che lui e sua madre girino ancora per Nocturn Alley»
«Ha ragione» gli diede subito man forte il gemello. «E poi, quella ragazza è quasi più famosa di Harry, ormai»
«Questo è vero» aggiunse Ron.
Robert si strinse nelle spalle e scosse la testa.
«Dai, dillo» lo schernì George.
«Che si sente vecchio?» scherzò Ron.
«O qualcosa come “è cresciuta così in fretta”?»  diede loro corda Fred.
Robert li mandò a quel paese con un gesto e loro scoppiarono a ridere, e lui non poté fare a meno di seguirli.
 
Anastasia si era immersa nella vasca da bagno e l’aveva riempita di schiuma, lasciando le braccia fuori dall’acqua per fumare una delle magiche sigarette di Ted con una mano e gestire il telefono con l’altra, mentre dagli auricolari usciva a tutto volume la versione meno recente di Your song di Elton John.  Sul finale della canzone, si trovò a dover guardare lo schermo perché la canzone era stata interrotta dalla suoneria delle chiamate in entrata. Corrucciò la fronte leggendo il nome del mittente: Kayla.
«Kayla?» domandò, rispondendo.
«No, ti è andata male» rispose la voce di Fred dagli auricolari. «Ho imparato ad usare questo dannato aggeggio, hai visto?»
Anastasia sorrise e scosse la testa, tirando con la sigaretta. «A cosa devo l’onore?»
«Volevo sapere come stai» ammise il rosso con tono gentile. «Robert mi ha detto che oggi a Diagon Alley avete incrociato i Malfoy»
Anastasia sorrise di nuovo e poi sbarrò gli occhi. «Mi auguro che Kayla non sia a portata d’orecchio»
«Kayla è da Bill e Fleur»
«Oh allora mi hai davvero dovuto telefonare contando solo sulle tue forze!»  rise la giovane Black.
«Non hai idea di quanto io ci abbia messo» ammise Fred. «Allora, tutto okay?»
«Sì e no» confessò lei, tirando ancora con la sigaretta. «Senti, visto che ti sei offerto volontario, fai colazione con me da Lottie, domattina?»
«Con piacere, cognata. Ci vediamo lì alle otto»
«Alle otto?!»
«Ehi, ho un negozio di scherzi da portare avanti!»
Anastasia sorrise e scosse la testa. «Otto e mezza?»
«Otto e un quarto» ritrattò Fred. «Prendere o lasciare»
«Otto e un quarto» accettò Anastasia. «Fred?»
«Sì?»
«Grazie»
«Non ti dannare troppo, per quel biondino tinto»
«Dici che è tinto?»
«Ne parliamo domani, devo andare da Bill e Fleur» tagliò corto.
«A domani»
«Si, ecco, ehm, come si spegne un telefono
«Ohhh, siete tutti uguali» sbuffò lei, chiudendo la telefonata.
 
«Nessuno, quindi, ha intenzione di parlare dell’elefante nella stanza?» Con questa domanda, Nicole si guadagnò l’occhiata più cattiva che Anastasia avesse mai prodotto. «Chiedevo» si giustificò alzando le spalle, nascondendo un sorrisetto malandrino nel calice di Burrobirra.
«Lasciala stare» la difese Ted. «Se non ne vuole parlare …»
«… ne parleremo noi» concluse Lyall.
«Come se non aveste fatto altro tutta settimana» sbuffò Anastasia, incrociando le braccia sul petto.
«No, no» la fermò Ted. «Io ho anche ripassato Erbologia»
«E io ho fatto un tema di Pozioni sull’Amortentia» le disse Nicole. «Cosa sentireste, nell’Amortentia?»
«Te che ti fai i fatti tuoi» le rispose seccata Anastasia.
«No, quello nello Specchio … come si chiamava?»
«Delle Brame» Rispose Ted al fratello. «Non lo ascolti mai, eh, Harry?»
«Solo quando parla di Quidditch» sorrise Nicole. «Allora, mon amour: ha smesso di telefonarti?»
«No»
«E di mandarti lettere?» domandò Ted, mentre i suoi capelli diventavano di un verde acceso quanto la sua curiosità.
«Nemmeno»
«Forse dovresti rispondere»
«Lyall» lo richiamarono Ted e Anya all’unisono.
«Lyall, non so se hai capito di chi stiamo parlando» aggiunse la giovane Black. «La sola cosa che dovrebbe fare è inginocchiarsi e chiedere scusa, e non mi risulta che …» si guardò attorno rapidamente: i Tre Manici Di Scopa, si sa, non è frequentato da maghi discreti. «che Draco Malfoy abbia mai chiesto scusa»
«Mai dire mai» rispose Lyall. «Se la prima persona a ricevere le sue scuse fossi tu, sarebbe …»
«Lyall, io non me ne faccio niente dell’orgoglio da Grifondoro» lo fermò subito Anastasia.
«Infatti sei la perfetta rappresentazione della pazienza e della tolleranza dei Tassorosso, in questo momento» la provocò Nicole, scuotendo la testa. «Voglio dire, per Morgana: non muori dalla curiosità di sapere cosa avrà da dirti? Che scusa inventerà? Non vuoi guardarlo negli occhi e …»
«Non voglio guardarlo negli occhi» tagliò corto Anastasia.
«… renderti conto che è pazzo di te e poi sbatterlo al muro?»
«Nicole» la richiamò la cugina. «Evidentemente non è pazzo di me se si è dimenticato il nostro appuntamento» le fece notare. «E se lo sbattessi al muro, in questo momento, sarebbe solo per picchiarlo»
«Ecco, evita di dire in giro che sei una Tassorosso» si finse offeso Ted.
«Se non lo fossi, avrei detto ucciderlo»
«Sarà anche una Tassorosso, Teddy» rise Lyall. «Ma è anche un’esemplare di femmina cotto e ferito»
«Esemplare?» ripeté Anya, fingendosi offesa come Ted. «E poi, per Tosca, non  sono così cotta, smettetela»
«Non sei così cotta?» ripeterono i tre in un coretto.
«Cotta e ferita» ripeté allora Lyall. «I dettagli sono importanti»
«Anya, tu sei cotta a puntino, pronta per essere servita» le disse allora Nicole. «E giuro che non è un doppio senso»
«Il che è un evento» sorrise Ted.
«Io rimango della mia idea» proseguì indisturbata la francese. «Dovresti quantomeno sentire quello che ha da dirti. Poi forse hai ragione, è uno stronzo ingrato, un mostro senza cuore, come ti piace tanto ripetere, forse ti ha usata solo per il sesso e ti ha raccontato la storia della sua vita solo per fare un po’ di sana conversazione e ha permesso al suo elfo domestico di prepararti delle torte solo per lasciarla esercitare con la pasticceria, e forse …»
«Stai esagerando» le disse Anastasia.
«Oh, dai, è di Dr-»
«Silencio» lanciò svelto Ted. «Scusa, mon amour, abbassa la voce, o ti sentiranno anche alla Stramberga»
Nicole lo guardò con gli occhi che sembravano pieni di fuoco, e lui, con un leggero colpo di bacchetta, le restituì la voce. «Non osare mai più» sussurrò.
«Questo che è stupido e inutile orgoglio da Grifondoro»
«Ted Remus Lupin, per le mutande di Morgana, io …»
«Bambini» li richiamò Anastasia, fissando il suo bicchiere di Burrobirra. «Perché anziché litigare non impiegate le vostre preziose energie in qualcosa di più costruttivo?»
«Ora sì che ti riconosco» le sorrise Lyall, e alzò il calice per brindare.


NdA: è un poì più breve degli altri. Per farmi perdonare, il prossimo vi farà sciogliere in un brodo di giuggole. E poi, ritengo sano "mostrare" anche tutto ciò che sta attorno ai nostri due innamorati. 
Buona settimana, buona fine estate, buon quello che volete, insomma: buona fortuna. 

fatto il misfatto,
C


 
 

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Capitolo 19
*** stare con me ***



18. 
stare con me 


 
Destinazione, determinazione, decisione.
A volte aveva ancora bisogno di ripetersele, quelle dannate tre D. Quando era agitata, insicura, in ansia. Aveva bisogno di ripassare le cose certe della sua vita. La regola delle tre D che serve a Materializzarsi era una di quelle. Si trovò davanti al pesante cancello scuro e capì perché fosse così agitata da dover ripassare quella regola: le cose sicure la aiutavano, quando quello che aveva davanti era tutt’altro che sicuro.
Fece un respiro profondo e si sforzò di mettere un piede dietro l’altro, sorridendo ai pavoni con garbo mentre si rendeva conto che non sapeva assolutamente cosa dire, come iniziare, come porsi, se lasciarsi annunciare da Kora o fare come qualche settimana prima, entrando con passo deciso e spalancando le porte della stanza patronale.
Che cosa poteva dirgli? Come si inizia un discorso del genere?
Per fortuna, lui l’anticipò.
Mancavano una dozzina di metri alla porta della Malfoy Manor, quando fu lo stesso Draco a spalancarle e guardarla da lontano, con la camicia bianca abbottonata fino all’ultimo bottone e i capelli pieni di gel, i pantaloni fatti su misura e quello sguardo gelido che lei aveva imparato ad adorare.
Cotta e ferita.
Ecco le uniche parole che aveva in mente.
Cotta e ferita.
Da quando quello ad avere ragione era Lyall?
Forse ce l’aveva un po’ di quel dannato orgoglio Grifondoro, pensò, rendendosi conto che stava continuando a camminare verso di lui solo per non dare l’idea di non sapere cosa dire.
«Pensavo non tornassi più» esordì lui, non appena lei fu abbastanza vicino da permettergli di non alzare troppo la voce.
Ti ringrazio, Draco, ora non dovrò pensare a come salutarti. «Hai invaso casa mia di gufi» disse allora, senza pensare. «Non ho mai ricevuto così tante lettere» aggiunse. «Nessuno ha mai ricevuto così tante lettere»
«Le hai anche aperte, magari?»
«No» ammise. «Avrei dovuto?» chiese, rendendosi conto che forse, se non furbo, sarebbe stato quantomeno educato. E se in una di quelle lettere l’avesse lasciata? Se le avesse scritto che non la voleva più vedere, che la odiava? Complimenti, Anastasia. Dieci punti a Tassorosso!
Lui sporse il labbro inferiore e scosse la testa. «Alcune erano pergamene vuote» le disse. «Posso invitarti ad entrare?»
Fu lei a scuotere la testa. «Sono cotta e ferita»
«Prego
«Lo ha detto Lyall. E ha ragione, cazzo, ha ragione, ma non dirgli mai che ho detto una cosa del genere. Però è così: sono cotta e ferita»
«Tu hai sempre bisogno di un Lupin, per ragionare?» sorrise lui. «Ah, e per la cronaca: sono cotto e ferito anche io» Scese i gradini di pietra che lo separavano da lei. «Una settimana senza avere tue notizie» le disse, con aria davvero ferita. «Stavo per andare ai Tiri Vispi o dalla McGranitt»
«Questa si chiama propensione all’auto sabotaggio, biondo» rispose lei, mentre lui si posava le mani sui fianchi e la guardava con aria tesa.
«A te va ancora?»
Lei incarnò un sopracciglio.
«Questa cosa, intendo. Di me e te. Stare con me, ecco. Ti va ancora?»
La sua voce nascondeva nervosismo, emozione, paura e parecchie, forse troppe, ore passate a rifletterci su.
«Certo» ammise allora lei. «Se no perché sarei qui?»
«Propensione all’auto sabotaggio» ripeté lui. «E perché sei cotta e ferita. O forse ferita e cotta»
Anastasia scosse la testa. «Prima cotta, e poi ferita»
«Quindi sono assolto da tutte le accuse?» domandò lui. «Mi perdoni?»
«Chiedimelo»
«Come?»
«Chiedimelo, di perdonarti» spiegò lei.
Lui si guardò di nuovo intorno. Poi, fece quello che aveva già fatto tempo prima. Si avvicinò a lei e le prese le mani con dolcezza, arrivando con la punta del naso a sfiorare il suo e a poter sentire il suo cuore battere decisamente troppo veloce. «Perdonami» sussurrò quindi. «E sappi che è una cosa che ho detto davvero pochissime volte, e quasi mai sinceramente. Ma non sono mai stato così sincero. Sono stato un troll, ecco. Perdona questo vecchio troll che ti adora»
Riuscì a strapparle un sorriso e se ne compiacque.
«La verità, Anastasia eccetera eccetera Black, è che non so spiegarti quanto mi senta fortunato ad averti incontrata. Mi stai rendendo un uomo migliore, e vorrei sapertelo raccontare, ma … non ci riesco. Certe cose, vedi, non si possono spiegare a parole. E mi dispiace anche per questo, perché se vedessi il bene che mi fai, capiresti moltissime cose. Ma sono comunque un vecchio troll che si dimentica le cose, però ti giuro che mai, mai avrei voluto ferirti o dimenticarmi del nostro pranzo o di qualsiasi cosa che riguardi noi. E soprattutto, mai avrei voluto vederti fare quella faccia in mezzo alla strada e non poterti spiegare. Sono un troll, un troll che implora il tuo perdono»
Lei premette la fronte contro la sua. Poi, lentamente, si avvicinò di più per poterlo baciare con dolcezza ma con una determinazione che costrinse Draco a lasciarle le mani per afferrarla per i fianchi e permise a lei di posare le mani sul suo viso.
«Perdono accordato» gli disse dopo una manciata di secondi. «Ma mi devi un pranzo»
Lui annuì e la baciò di nuovo, per poi abbracciarla ridendo e baciarle i capelli. «Vieni» le disse poi, facendole segno di entrare. «Rimedio subito»
Le afferrò la mano e, insieme, entrarono nella Malfoy Manor, ridendo come bambini.
 
Anastasia se ne stava seduta a gambe incrociate su uno dei divanetti di pelle della stanza patronale, con espressione corrucciata, una matita nei capelli, gli occhiali da vista sul naso e addosso solo il completo intimo scuro come la sua chioma. Sulle gambe, un libro che aveva tutta l’aria di essere antico, pesante e complicato.
A qualche metro da lei, nel letto a baldacchino dalle tonalità cupe, Draco si svegliò di colpo. Si mise seduto, rendendosi conto di essere sudato, spettinato e di avere il respiro corto. Si mise una mano sul petto, avvertendo la palpabile paura che il cuore gli uscisse dal petto, per quanto forte batteva.
Poi la vide lì, seduta con quell’aria di normalità, e il cuore parve fermarsi. Del tutto.
«Ciao» gli disse lei con estrema tranquillità. «Hai avuto un sacco di incubi» lo informò, levandosi gli occhiali per guardarlo meglio.
«C-che ore sono?» chiese allora lui, rendendosi conto di essere al centro del letto e che quindi, probabilmente, l’aveva costretta a svegliarsi ed alzarsi.
«Le nove …» gettò un’occhiata probabilmente al telefono cellulare posato sul divano, lui da lì non riusciva a vedere. «… e trenta»
«Non sei tornata a casa» notò lui.
Anastasia si strinse nelle spalle e accennò un sorriso. «Hai avuto un sacco di incubi» ripeté.
«E sei rimasta … per questo?»
Lei lo guardò per qualche secondo, sentendosi dannatamente felice di trovarlo sincero, senza maschere, spettinato e vero. Lentamente, annuì.
Anche lui, allora, si perse a guardarla. E avrebbe voluto ringraziarla, ringraziarla come un romanticone senza dignità, per essere semplicemente così sé stessa, così Anastasia, da farlo sentire disarmato. E poi avrebbe voluto anche ringraziarla per avergli insegnato che disarmato non significa indifeso, che insieme non significa deboli, che anche uno come lui poteva aspirare a sentirsi buono, o avere dei giorni in cui avere la presunzione di considerarsi tale. Grazie, Anastasia, per essere te, per essere arrivata e avermi fatto vedere tutte le cose che prima non sapevo neanche potessero esistere, e per avermele regalata come se fossero sempre state mie.
Grazie.
«Anastasia Black»
«Sì?»
«Rifammi la domanda»
Lei inclinò la testa di lato, fingendosi scocciata. «Quale?»
«La prima, del primo giorno» rispose lui sicuro.
Lei ci pensò per qualche secondo.«Sai cosa è una Marlboro?»  domandò di nuovo, senza capire.
«Non quella» sbuffò. «L’altra»
«Che ci facevi tutto solo al Paiolo Magico di mercoledì sera?»
«Aspettavo te»
Grazie.
Lei sembrò spiazzata da quelle parole. Fece per parlare, ma serrò subito le labbra. Lo guardava con un sorriso nuovo, sincero, basito. «Ho una domanda» concluse, poi.
«Dimmi»
«Tu ieri hai detto … “stare con me”»
«Questa non è una domanda, signorina Black: cinque punti in meno a …» esitò.
«Tassorosso» sorrise lei. «Incredibile che tu non lo avessi capito»
«Sto ancora aspettando la tua domanda» si giustificò lui.
«Per fortuna che la pazienza è una cosa che riguarda me e non te» sorrise di nuovo lei, chiudendo il libro che aveva ancora posato sulle gambe.
«Lo avevo capito, comunque, andando per esclusione» si giustificò lui in fretta. «Allora, la tua domanda?»
«Hai detto “stare con me”» ripeté lei. «Noi … insomma, per te noi stiamo insieme?»
«Vedi? Per esclusione, non sei una Corvonero» sorrise lui.
«Non hai risposto»
«E tu dovresti essere quella paziente?!» sorrise lui, scendendo dal letto con un balzo. Si parò davanti a lei con addosso solo i boxer. Portò le mani sui fianchi e la guardò torvo. «Non credo ci sia altro modo per descrivere il nostro … legame, ecco» spiegò, con sorprendente calma. «Ma non temere, non ho intenzione di chiederti di sposarmi o di presentarti a mia madre, anche se lei vorrebbe, e non ho intenzione di andare da tuo padre e a chiedere la tua mano, perché ho cara la pelle»
«Nel tuo mondo si fanno ancora queste cose, vero?»
«Esatto» si vantò lui. «E niente sesso prima del matrimonio!» scherzò poi.
Lei tirò il collo in una finta espressione di dolore. «E non sei stato neanche il primo! Che scempio
Draco scosse la testa sorridendo. «Non lo avevi mai fatto, se non lo avevi fatto con me»
Anastasia finse di ridere e scosse la testa, per poi riaprire il libro e rimettersi gli occhiali sul naso. «Neanche tu potresti essere un Corvonero. O un Tassorosso, anche. Forse un Grifondoro»
«Non dirlo neanche per scherzo»
Lei rise di nuovo, tornando a leggere con concentrazione.
«Studi?» domandò quindi lui.
«Oh!» sembrò ricordarsi lei. «Mentre ero impegnata a tenerti il broncio, ho capito cosa fare nella mia vita» spiegò. «Studierò Magisprudenza»
Lui annuì soddisfatto. «Mi sembra un’ottima soluzione»
«Tu che faresti, se dovessi scegliere?»
Lui rimase a guardarla qualche secondo, di nuovo. Con tutta la naturalezza del caso, gli aveva appena fatto la domanda più difficile di sempre.
«Vuoi fare colazione?»
Lei capì, e annuendo, tornò a guardare il libro. Lui slacciò le mani dai fianchi per avviarsi verso la porta, e quando le passò accanto lei sporse il viso quel poco che bastò a lui per capire la tacita richiesta, e le posò un bacio leggero sulla tempia.


NdA: Mi rendo conto che anche questo capitolo sia straordinariamente breve, ma ... è voluta, come cosa. Volevo che il focus fosse su loro due, sul loro legame, su quello che hanno insieme. Perchè ogni tanto sono ancora la vecchia romanticona di qualche anno fa - non temete: la settimana prossima torneranno a combinare guai ... ad Hogwarts, questa volta. 
Buona settimana a tutt*!

fatto il misfatto, 

C

 

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Capitolo 20
*** Grifondoro contro Tassorosso ***


Vorrei conoscer l'odore del tuo paese
Camminare di casa nel tuo giardino
Respirare nell'aria sale e maggese
Gli aromi della tua salvia e del rosmarino
Vorrei che tutti gli anziani mi salutassero
Parlando con me del tempo e dei giorni andati
Vorrei che gli amici tuoi tutti mi parlassero
Come se amici fossimo sempre stati
(...)
Vorrei restare per sempre in un posto solo

Per ascoltare il suono del tuo parlare
E guardare stupito il lancio, la grazia, il volo
Impliciti dentro al semplice tuo camminare
E restare in silenzio al suono della tua voce
O parlare, parlare, parlare, parlarmi addosso
Dimenticando il tempo troppo veloce
O nascondere in due sciocchezze che son commosso
Vorrei cantare il canto delle tue mani
Giocare con te un eterno gioco proibito
Che l'oggi restasse oggi senza domani
O domani potesse tendere all'infinito
(F. Guccini, vorrei)
 



19.
Grifondoro contro Tassorosso
 

Draco si rigirò nel letto, non del tutto sicuro di volersi svegliare. Gli ci vollero una manciata di secondi per rendersi conto che Anastasia non fosse nel letto con lui, nonostante fosse più che convinto di essersi addormentato con un braccio attorno alla sua schiena.
Con enorme fatica, aprì un occhio, giusto in tempo per vedere la giovane Black uscire dal bagno saltellando su un piede solo mentre cercava di infilarsi la scarpa destra e con l’altra mano si pettinava i capelli.
Sempre più confuso, Draco si alzò per reggersi sui gomiti. «Credevo avessimo deciso che andava tutto bene» le disse con voce roca.
Lei si voltò verso di lui, riuscendo finalmente ad infilarsi la scarpa. «Certo che va tutto bene» lo tranquillizzò, senza nascondere una certa fretta anche nel tono di voce.
«Allora perché sembra che tu stia scappando?»
Anastasia regalò a Draco un mezzo sorriso. «Sono in ritardo» spiegò.
«Dove devi andare?»
Lei si infilò la giacca di pelle che avevano abbandonato ai piedi della poltrona su cui lei spesso si perdeva a leggere. «In uno dei miei posti preferiti al mondo» sorrise di nuovo. «Vuoi venirci con me?»
Allora lui le sorrise di rimando. «Certo» le disse, mettendosi a sedere sul letto per poi alzarsi, recuperare la bacchetta dal comò e vestirsi con un rapido incantesimo.
«Oh, sei così Purosangue a volte» si lamentò lei mettendosi gli occhiali da sole sul naso. «Io impiego dieci minuti solo per capire dove sia la bacchetta»
«Lo so» sorrise lui torvo. «Allora, dove andiamo?»
Anastasia rovistò in una delle tasche laterali della sua giacca di pelle fino al gomito per estrarne una cornetta di un telefono con il cavo arricciato tagliato di netto. La allungò verso di lui tenendone un margine, e nel momento in cui Draco l’afferrò, si maledisse per non essersi chiesto perché Anastasia portasse con sé un vecchio telefono scollegato.
La Passaporta diede loro il solito giramento di testa, ma entrambi riuscirono ad atterrare in piedi, e Anastasia riuscì a godersi appieno la faccia dell’ultimo dei Malfoy quando si rese conto di essere atterrato nel cortile della torre dell’orologio, nel cuore di una Hogwarts che si preparava ad abbracciare l’autunno.
«Anastasia …» iniziò lui con il tono di un serpente sibilante di rabbia, ma lei fu più veloce: gli afferrò la mano e gli posò un bacio sulla guancia.
«Non ti preoccupare» gli disse. «Nessuno si accorgerà di noi»
«Certo» sputò lui. «Avresti dovuto dirmelo»
«Non saresti venuto»
«Certo che non sarei venuto!» sputò di nuovo lui.
Anastasia scosse la testa e si incamminò verso quella che – Draco tirò un sospiro di sollievo – era l’uscita del castello. Bene. Quindi non sarebbe entrato a Hogwarts accanto ad Anastasia eccetera eccetera Black. Molto bene. Una volta resosi conto del fracasso che proveniva dall’immenso parco che circondava il castello, però realizzò che ci fosse qualcosa di ben peggiore dell’entrare dalla porta principale o qualsiasi altra cosa si fosse immaginato in quei pochi secondi che gli erano stati concessi per realizzare che forma avrebbe avuto la sua domenica. Era ormai evidente che Anastasia lo stesse conducendo verso lo stadio di Quidditch, dove era altrettanto evidente che si stesse per svolgere una partita.
«Avresti dovuto dirmelo» ripeté allora lui, a denti strettissimi.
Camminandole accanto, notò comunque che Anastasia alzò gli occhi al cielo.
«Eddai, biondo, è la prima partita dell’anno» gli spiegò. «E ti giuro che siamo così in ritardo che nessuno si accorgerà che-»
«Anastasia!» tuonò una voce alle loro spalle.
Draco si voltò sentendo lo stomaco in una gelida morsa: Minerva McGranitt, con il solito cappello da strega e un mantello rosso di velluto pregiato, camminava dietro di loro allo stesso passo spedito.
«Per Godric, Anastasia, riuscirai mai ad arrivare puntuale da qualche parte?» 
«Sei in ritardo quanto me, Minnie, o sbaglio?» la incalzò la ragazza.
«Io sono la Preside!» ribatté, superandoli di gran lunga per poi girarsi verso Draco. «Signor Malfoy, è un piacere riaverti tra noi» gli disse con un sorriso di pura gentilezza. Poi, riprese a camminare quasi trotterellando verso il campo da Quidditch che si faceva sempre più vicino.
«Che partita è?» domandò allora facendo un respiro profondo e capendo che non avrebbe avuto scampo.
«Grifondoro contro Tassorosso»
«Non esiste» rispose allora lui. «Io devo tifare per la mia Casa»
Anastasia gli sorrise con la stessa gentilezza di Minerva poco prima.
«Non posso sedermi in mezzo ai Grifondoro o ai Tassorosso, io devo …»
«Draco, non ci siederemo tra gli studenti» lo tranquillizzò lei con tono dolce. «Ci sono le tribune bianche e nere, te ne sei dimenticato?»
«Ci sono i professori, lì»
«Biondo, la metà dei professori non ti conosce, e l’altra metà non ha voglia di parlarti» sbuffò lei, rallentando perché erano giunti alla porta degli spogliatoi. «Lupin!» chiamò, a gran voce.
«Quale Lupin, adesso?!»
«Senti, la devi smettere di pensare che la gente voglia farti a fette e mangiarti per cena, solo perché – finalmente
Un ragazzo troppo alto e troppo magro, con dei capelli rossi e oro, uscì dalla tenda. «Oh, tu dici a me ‘finalmente’?! Dovevi essere qui mezz’ora fa!» si lamentò. «Lyall è teso come una molla, Nicole è in mutismo selettivo, Augustus ha sognato di cadere dalla scopa e Anne non – hai portato il tuo biondo!» si accorse poi. «Potevi avvertire, testa d-»
«Non mi sembra sia questo il problema principale» tagliò corto Anya. «Com’è la formazione?»
«Non lo so, Anastasia, anche mamma me l’ha chiesto, ma io non lo so, non capisco un accidenti di queste cose, lo sai, lo sapete!» continuò a lamentarsi lui.
«Tua madre Ninfadora?»  domandò Draco sentendosi improvvisamente la fronte sudata. «Ninfadora è qui
«Si, ma è un segreto, Lyall si agita il triplo se sa che ci sono mamma e pap-»
«Anche tuo padre?! Anastasia, non posso-»
«Stai un po’ zitto, biondo» tagliò corto lei di nuovo. «Dora e Remus sono con Neville e Minerva e gli altri insegnanti»
«Neville Paciock?!» sputò lui.
«Anastasia!» improvvisamente, un ragazzo con le spalle larghe quanto un armadio uscì dalla tenda e strinse Anya in un abbraccio che sembrava più una morsa letale. A Draco ci volle qualche secondo per riconoscere quel naso sottile e quegli occhi dorati, ma poi, senza margine di errore, catalogò quello che apparentemente era una sottospecie di gorilla come Lyall Lupin.
Distolse l’attenzione dalla conversazione tra i due quando notò come Anastasia con estrema cura si impegnasse a mantenere il contatto visivo con Lyall per tranquillizzarlo, fino a quando non fu effettivamente chiaro a tutti che il giovane Grifondoro fosse sinceramente più tranquillo. Anastasia allora gli batté un pugno forse troppo forte sul braccio muscoloso, perché a Draco non sfuggì affatto che ad essersi fatta male alle nocche, in realtà fosse lei.
«Torno dentro, sennò mi toglieranno la spilla da Capitano» decretò Lyall. «Grazie, Anya. Oh, tu devi essere Draco!» sorrise verso di lui.  «Chiedo scusa, sono un po’ agitato» si pulì la mano destra dal sudore nei pantaloni della divisa da gioco e la tese verso di lui. «Sono Lyall Lupin, tanto piacere»
Draco si trovò spiazzato: quel ragazzo era stato così gentile che non riuscì a fare altro che improvvisare un sorriso che assomigliava troppo ad una smorfia di dolore e accettare la stretta di mano.
«Spero che potremo offrirti da bere, alla festa dopo la partita»
«Lyall, non-»lo stava fermando Anastasia, ma una ragazza con capelli castani raccolti in due strettissime trecce e occhi verdi colmi di curiosità, saltellò fuori dalla tenda mostrando una divisa identica a quella di Lyall. «Draco? Hai detto Draco? Anya ha portato Draco?» domandò in uno squittio. «Uh!» come Lyall, si asciugò la mano dal sudore nella divisa e tese la mano verso il Serpeverde. «Finalmente!» squittì di nuovo. «Io sono Nicole, Nicole Redfort-Levre, e sono-»
«Oh, certo»le sorrise Draco. «Ho sentito molto parlare di voi» si sforzò di aggiungere, stringendole la mano, mentre sorrideva ai tre ragazzi. «In bocca al lupo, ehm … si fa per dire, ovviamente! Buona fortuna, ecco»
Sentì su di sé lo sguardo stupito e commosso di Anastasia e se ne compiacque. Alla fine, sapeva che tutto questo per lei era importante, e il fatto che lo avesse portato lì, per farlo stare a pochi passi di distanza da tre delle persone più importanti della sua vita, era una cosa importante e bella, e se ne era reso conto solo guardando Nicole che gli si presentava con fin troppo entusiasmo.
«Grazie» risposero i due giocatori, mentre Lyall lo scrutava cercando di non farsi notare.
E Anastasia, con tutta la naturalezza del mondo, si riavvicinò a lui per prendergli la mano e insieme si incamminarono verso la tribuna bianca e nera.

«Se vuoi, puoi salire prima di me, e io posso sedermi a qualche posto di distanza e fingere di non conoscerti» gli disse lei, a pochi passi dall’ingresso della tribuna. «Ma comunque ci tengo a dirti che se raccontassi a tutta la gente seduta qui oggi che stiamo insieme, gli unici a crederti sarebbero i tre disgraziati che hai appena conosciuto»
Lui si guardò rapidamente attorno e le prese il polso per attirarla a sé e posarle un bacio deciso sulle labbra. «Grazie, Black»
«Grazie?»
«Per avermi presentato Nicole e i Lupin e avermi riportato qui»
Lei sorrise e gli regalò un secondo bacio. «Si figuri, signor Malfoy»
«Ora vai a sederti e mi raccomando, se incroci il mio sguardo, fai una faccia schifata» scherzò allora lui. «Non vorrei mai che qualcuno pensasse male»
«Va bene» acconsentì lei. «Tu siediti accanto a Lumacorno e non fare il bulletto con Neville o con Dora»
«Agli ordini, signorina Black» rise lui, rubandole un terzo bacio. Le lasciò la mano e si incamminò verso l’ingresso degli spalti, voltandosi per guardarla prima di salire le vecchie scale di legno, e trovandola che lo guardava con un sorriso adorante.


«Quella parata è stata un sogno, Nicole» le disse Draco. «Mai visto niente del genere»
Nicole mostrò il suo migliore sorriso. «Ti ringrazio» gli disse con tono commosso.
«E la vostra Cercatrice è una scheggia» aggiunse il biondo.
«Già!» si entusiasmò Lyall. «Ci credi che è solo al secondo anno?»
«Secondo anno?!» domandò Draco spalancando gli occhi. «Ed è così veloce?!»
«E ha una Nimbus» aggiunse Nicole. «Pensa se avesse una Firebolt!»
«Non c’è paragone» sospirò Anastasia. «Firebolt tutta la vita»
«Lo dici solo perché ti sei persa i tempi d’oro delle Nimbus» le disse Draco. «Chiedi ai tuoi fratelli!»
«Santo cielo, Draco, quanto sei vecchio in questo momento!» rise Anastasia.
Lui si finse offeso e scosse la testa. «Va bene, va bene. Siete stati davvero bravi, e non avrei mai pensato di dirlo, ma Grifondoro si meritava davvero di vincere»
«Sono un buon Capitano, in effetti» si compiacque Lyall.
Anastasia rise di gusto. «Grazie a me»
La stanza delle Necessità li aveva accolti come sempre, trasformandosi in un salotto con delle poltrone, un tavolino e cinque calici di Burrobirra. Draco non la smetteva di guardarsi attorno, e Anastasia dal momento in cui si erano allontanati dal campo di Quidditch, non gli aveva mai lasciato la mano.
«Lo scorso anno, con me come avversaria, non avresti avuto quello schema»
«Ti dedicherò un pezzo del mio discorso quando vinceremo la Coppa di Quiddtch» rispose Lyall, sorseggiando la sua Burrobirra.
«Oh, che carino» lo prese in giro Anastasia.
«Chi ha vinto lo scorso anno?»
«Noi» rispose fiero Ted. «E avremmo vinto anche la Coppa delle Case, se non fosse per …»
«Oh, ancora Ted?» gli disse il fratello con tono scocciato. «Superala!»
«No» si difesero i due Tassorosso.
«Che è successo?» domandò Draco sottovoce ad Anastasia.
«Il Prefetto Serpeverde tolse un sacco di punti a … come si chiama?»
«Penny, Penny Haywood» rispose Lyall sicuro. «La più bella Tassorosso di sempre. Dopo Anya, ovviamente»
«Così bella da essere beccata rientrare al castello all’alba e toglierci cento punti» scosse la testa Anastasia.
«Cento?!» si stupì Draco.
«Cento!» confermò Ted. «Così a vincere la Coppa delle Case sarebbero state le serpi, quegli infami. Beh, presenti esclusi, ovviamente»
«Oh, ma noi siamo infami» gli sorrise Draco debolmente, e Ted, inaspettatamente, rispose al sorriso e alzò il suo boccale di Burrobirra verso il Serpeverde. «Alle serpi infami» disse, e tutti alzarono il loro boccale quasi vuoto. «E a questa serpe infame nello specifico, perché ha la nostra benedizione»
Draco sorrise così tanto da lasciare i tre studenti a bocca aperta.

«Lyall è stato davvero bravo»
«Sì, lo hai già detto, Ninfadora» Lei guardò torva il marito e scosse la testa.
«Credo sia stato aiutato da Anastasia» aggiunse allora.
Sirius sembrò alzare le orecchie. «Tu dici?»
«Sì» confermò lei.
«Era lì?» domandò Martha.
«Sì» le disse Remus. «Non lo sapevi?»
Martha scosse la testa, tagliando la carne che aveva nel piatto. «Non ha dormito a casa»
«Allora è una cosa seria!» si entusiasmò Aaron.
«Non lo so» rispose Martha.
«No che non lo è» la corresse il marito. «Altrimenti ce ne avrebbe parlato»
«Forse non ve ne ha parlato proprio perché è una cosa seria» suggerì Damian. «La carne è ottima, Aaron»
«Ti ringrazio» gli sorrise Aaron. «Tu non sai niente? Nicole non ti ha detto niente?»
Damian scosse la testa. «Neanche per sbaglio, sai come sono unite»
Anche Sirius scosse la testa, sorseggiando il vino che Aaron aveva portato dal suo ultimo viaggio di lavoro. «L’importante è che Grifondoro abbia vinto e ch i ragazzi si siano divertiti» decretò.
«Sirius Black, signori e signore» sorrise Martha. «Più di cinquant’anni, quattro figli e cinque nipoti più due in arrivo, e ancora prega che Grifondoro vinca la Coppa del Quidditch»
«Ma ho anche dei difetti!»
 
NdA, questa volta discretamente utili: causa ferie, la prossima settimana non aggiornerò. Vi posso promettere, però, che tra due settimane sarò immancabile e che vi dedicherò un aperitivo sulla spiaggia. (Al mare a settembre, piccolo uragano? Sì, amici. Costa meno)
Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 21
*** quello che conta ***


Tra sparare oppure sparire 
scelgo ancora di sperare 
finchè ho te da respirare 
finchè ho un cielo da spiare. 
(Claudio Baglioni, Io sono qui)
20. 
quello che conta

 

«Perché non hai portato il tuo biondo?» domandò Lyall con aria scocciata, sedendosi all’ultima sedia libera del loro tavolo ai Tre Manici di Scopa.
«Non … non gliel’ho chiesto» ammise Anastasia, abbassando la testa. «Avreste voluto?»
Ted annuì, passandosi una mano nei capelli, quel giorno argentati.
«Quindi eravate sinceri, la scorsa settimana?»
«Certo che eravamo sinceri» la rassicurò il Tassorosso.
«Altrimenti non gli avremmo dato la nostra benedizione» si strinse nelle spalle Lyall.
«Se avessimo finto, Anya, non saremmo dei veri amici» le spiegò Ted. «Ma la nostra approvazione è vera quanto la nostra amicizia»
Anastasia sorrise di gusto. «Anche voi gli siete piaciuti»
«Ci mancherebbe altro» sbuffò Lyall. «Noi non possiamo non piacere»
La ragazza scosse la testa. «Qualcuno ha intenzione di dirmi con chi è uscita quella Grifondoro di mia cugina?»
«No» risposero i Lupin all’unisono.
«E poi, non me lo ricordo» ammise Lyall. «So solo che è Corvonero ed è uno dei preferiti di Neville»
Anya alzò le sopracciglia. «Christopher Goldman?»
«Ecco come si chiamava»
«Era la sua cotta al primo anno, come hai fatto a dimenticartene?»
«Beh» sorrise Ted. «Non posso darle torto. È simpatico e ha un bel sedere»
«Oh, allora è da sposare» lo prese in giro Lyall. «Queste sono le qualità principali»
«Si vede che sei etero» gli rispose il fratello con superiorità. «A proposito, anche Draco ha-»
«Non voglio sapere se gli hai guardato il sedere, Ted»
«È stato inevitabile» sorrise Ted. «Ed è anche per questo che è stato promosso a pieni voti»
«Questa conversazione finisce qui» si sforzò di non ridere Anya.
«Nicole è d’accordo con me»
«Ted!»
«Va bene, va bene» rispose lui, alzando le mani in segno di resa. «Posso dire l’ultima cosa?»
«No»
«E io la dico lo stesso»
Anastasia incrociò le braccia con sguardo dissentito.
«Molto meglio di Edward» decretò Ted, mentre il fratello scoppiava a ridere attirando l’attenzione di tutto il locale.
 
«Aaaaaaargh!»
Draco saltò in piedi dal divano su cui era seduto con Blaise, trovandosi a correre su per le scale della Malfoy Manor seguito dall’amico, entrambi con la bacchetta in mano. In pochi secondi, raggiunsero l’ingresso della stanza padronale.
«Anastasia!» gridò il biondo,  mentre Blaise correva verso la finestra spalancata per sporgersi e controllare che non ci fosse niente – o nessuno – di insolito nel parco, Draco spalancava la porta del bagno con un calcio.
Ciò che trovò, però, non era niente per cui valesse la pena allarmarsi tanto.
Anastasia era in piedi davanti allo specchio, in accappatoio, con i capelli ancora umidi e un’espressione terrorizzata.
«Porco Salazar, ti sembra il caso di-»
«Non mi è uscito!» si lamentò lei. «Guarda! Boccoli, sono piena di dannati boccoli da Black
«Che cosa non ti è uscito?» domandò titubante il biondo.
«L’Incantesimo Lisciante, naturalmente!» si lamentò di nuovo lei.
«Posso?» domandò Blaise, titubante, alle spalle di Draco.
«Non è niente di che» sbuffò Draco. «Pensavo ti fossi fatta male o che fosse entrato qualcuno in casa, cazzo!» la sgridò. «Anastasia, Merlino, pensavo fossi in pericolo, pensavo fosse qualcosa di grave
«Ma è qualcosa di grave!!» strillò lei. «Insomma, guardami! Merlino e Morgana, sembro Kayla
A quel punto, Blaise si spinse sulle punte per guardare oltre le spalle di Draco e si sforzò di trattenere una risata, riuscendo malamente nell’impresa.
Draco si portò le mani sui fianchi. «Mi sono spaventato» ripeté.
«Anche io sono spaventata!» ringhiò Anastasia. «Sembro Kayla!»
«Sei molto più bella di Kayla» rispose lui, abbassando la voce.
«Lo dici solo perché sono isterica!»
«Oh, certamente!» rispose lui alzando di nuovo il tono di voce. «Perché sono proprio il genere di mago che dice cose solo per compiacere!»
«Allora non dire fesserie, testa di troll» disse lei acida, allacciando le braccia sul petto. «Devo andare da Walburga»
«Da chi?!»
«Da Walburga, a Grimmauld Place! Lei è l’unica che sa come rimediare a queste cose!»
Draco corrucciò la fronte. «Walburga è …»
«Lo so che è morta, lo so, ma il suo quadro sa come sistemare i miei capelli!» ringhiò ancora lei.
«Walburga Black?!» domandò lui in un tono isterico ormai quanto il suo.
«Morgana, quante altre streghe con questo nome di merda pensi che potrei conoscere?!»
«Ti devi calmare» le ordinò lui.
«Tu ti devi calmare» sputò lei. «Io devo andare da Walburga»
 
Anastasia batté i piedi con forza sul pavimento dell’ingresso, entrando al numero dodici di Grimmauld Place. Aveva imparato che tanto non importava come si svegliasse, si infuriava comunque. Quindi, tanto valeva divertirsi un po’.
«Chi osa disturbare la casa dei padri dei miei padri?» tuonò il quadro.
Ecco, appunto.
«Sono io, nonna» sorrise lei, parandosele davanti.
«Tu … hai messo al mondo altri Black impuri …»
«Ecco» ringhiò lei. «Non sono Kayla, nonna, sono Anastasia»
«Tu! Sporca lurida-»
«Non mi è uscito l’Incantesimo Lisciante» spiegò. «Come faccio?»
«Come osi parlarmi-»
«Walburga ascoltami, per favore» le disse lei. «Non posso andare in giro con questi boccoli, persino tu mi hai confusa per Kayla» spiegò di nuovo. «Non importa che io sia impura o che non sia Serpeverde, non è mai importato, ho i tuoi capelli e il tuo cognome e quindi mi devi aiutare»
 
«Tutto questo per dei capelli» sbuffò Draco.
«Amico, credo che noi … noi maschi, insomma, non potremo mai capire davvero perché ci si possa struggere così per dei boccoli» sorrise Blaise, sedendosi dall’altro lato della Scacchiera dei Maghi, come d’abitudine. «E poi, c’è il fattore Kayla»
«Altra cosa che non riesco a capire» rispose Draco.
«Beh, questo non è così difficile» gli disse Blaise. «Crede … o almeno, credo che lei creda che tu stia con lei solo per Kayla»
«Se volessi stare con Kayla, starei con Kayla» sbuffò lui, accendendosi il sigaro.
«Lo so che a te pare un concetto semplice e banale, Draco, ma per lei non lo è»
«Non è che sembri semplice, è che lo è» si spazientì Draco. «E non … non è che vedendo lei con dei capelli diversi mi sarebbe venuta voglia di stare con sua sorella anziché con lei! Non penso a Kayla in quel modo da una vita. Voglio dire, è sposata. Con Fred Weasley. Sarei folle
«Draco, ma io queste cose le so» rispose Blaise calmo. «Evidentemente, è Anastasia che non lo sa. Credo che essere innamorati faccia questo effetto, sai. Perdi di vista i concetti più semplici, dai di matto per dei boccoli, sposi Fred Weasley, e cose del genere» gli sorrise.
Draco lo guardò con aria pensierosa. «Pensi che io sia innamorato?»
Blaise rispose spalancando gli occhi. «Perché sei tu a chiederlo a me?»
Il biondo si strinse nelle spalle. «Non lo so, non ci ho mai pensato» si trovò a spiegare quasi senza accorgersene. «Di Astoria credevo di essere innamorato, ma con Anastasia … è tutt’altra cosa»
«Beh, non so quanto conti il mio parere, ma non credo esista un solo modo di innamorarsi» spiegò allora Blaise. «Forse, ogni volta è diverso. Ogni volta ti cambia, e quindi la volta dopo è diverso»
«Ogni volta?» si stupì Draco. «Quante volte ci si può innamorare?»
«Non credo ci sia qualcuno che tiene il punteggio, amico» sorrise Blaise. «Altrimenti, toglieresti tutto il divertimento»
Draco non mutò espressione, mantenendo la fronte corrucciata e lo sguardo perso.
«Che c’è?»
«Non ci avevo mai pensato»
«Al fatto che potresti essere innamorato?»

«E se lo fossi?»
«Non è una cosa grave, Draco» sorrise Blaise. «Anzi, tutt’altro. A sentir alcuni, è ciò che permette all’umanità di andare avanti»
«Tecnicamente, è il sesso che permette all’umanità di andare avanti» lo corresse Draco. «E lo sai tu come lo so io, che per il sesso non è necessario essere innamorati. Altrimenti, parola mia, su questo pianeta saremmo la metà di quanti siamo»
«Anche questo è vero» ammise Blaise. «Rimane il fatto, che secondo me lo sei»
«Innamorato?»
«E, per definizione, fregato» sorrise lui. «Sai, forse … forse era destino»
«Non accetto discorsi che abbiano a che fare con il destino, Zabini» sputò Draco.
«No, fratello, ascoltami: forse, in qualche modo, sapevi che sarebbe arrivata lei. Era scritto che vi sareste trovati. Per questo con Kayla è andata male prima che iniziasse e Astoria ti ha mollato proprio al momento giusto»
Draco sbuffò e scosse la testa. «Detta così sembra che io la debba ringraziare» constatò. «E poi scusami, scritto dove? In che senso scritto? Se sta scritto da qualche parte, Merlino, credo di avere il diritto di leggerlo, visto che riguarda la mia vita»
Zabini scosse la testa. «Così levi tutti il divertimento. Di nuovo. Sei diventato un guastafeste!» lo prese in giro l’amico, e risero insieme, pur sapendo entrambi che Draco avrebbe rivisitato quella conversazione per giorni, per poter giungere a una conclusione lucida e logica su un argomento che di lucido e logico non aveva assolutamente nulla.

Anastasia trascinò i piedi nell’ingresso di Villa Black, e sua madre, guardandola, non seppe decidere se fosse più affranta o più scocciata. La guardò sfilarsi il cappotto e notò i capelli, non lisci, ma che formavano delle morbide onde e cadevano delicati dietro le spalle.
«Anastasia?» chiamò allora, quasi con timore.
La ragazza le rivolse uno sguardo decisamente scocciato. «Sono Kayla» mugugnò, afferrandosi una ciocca di capelli. «Non si vede?»
Martha non riuscì a trattenere un sorriso. «Oh, perdonami, Kayla» scherzò. «Sto diventando come mia madre»
«Che hai detto?» si allarmò Sirius scendendo le scale scalzo.
«Ho confuso Kayla per Anastasia» spiegò rientrando in cucina, notando però un timido sorriso sul viso della figlia. «Meno male che uno dei nostri figli maschi ha una cicatrice sulla fronte, sennò confonderei anche loro» aggiunse, aprendo le finestre. «Però» si contraddisse, girandosi di nuovo verso la figlia e il marito. «Sono abbastanza convinta che mia figlia Kayla, fino a questa mattina, fosse molto incinta»
Anastasia si lasciò cadere al suo posto al tavolo da pranzo. «Boccoli Black» spiegò. «Non riesco a tornare liscia e sono identica a Kayla»
«Da quando assomigliare a Kayla è un problema?» s’insospettì Sirius.
«Io non sono Kayla, papà» ringhiò la figlia.
Martha si portò una mano sulla bocca in segno di finto stupore. «Davvero?»
«Smettila, Martha»  la intimò Sirius. «Lo sai che vederti con l’Alzimer è la mia più grande paura»
«Alzheimer» lo corressero le due. «Vieni, bambina mia» disse poi alla figlia. «Te li sistemo io, i boccoli Black» le fece segno di avvicinarsi con un gesto dolce. Anastasia si avvicinò alla madre che le fece segno di darle le spalle e afferrò la bacchetta. «Sirius, intanto, per favore, prepara la tavola per Kayla – quella vera – e i nostri altri figli – quello con la cicatrice sulla fronte e quello alto con la barba, per intenderci» in men che non si dica, i capelli di Anastasia erano tortati più che lisci. «Ecco fatto, mostriciattolo»
Anastasia sembrò tornare a respirare, accarezzandosi ogni ciocca con cura. «Come hai fatto?! Neanche Walburga ha saputo aiutarmi!»
Sirius scosse la testa. «Walburga non ha voluto aiutarti» la corresse, sistemando le posate.
«E poi» aggiunse Martha «Saranno anche i boccoli Black, ma te li ho fatti io» sorrise. «Come tutto il resto» le strizzò l’occhio.
«E se posso permettermi» disse Sirius avvicinandosi alla moglie per passarle un braccio attorno alle spalle. «Lo hai fatto divinamente»
Martha posò la testa sulla spalla di Sirius, per poi notare che Anastasia li guardava con la sua espressione pensierosa – perfettamente identica a quella degli altri suoi figli e di suo marito. «Tutto bene, mostriciattolo?» domandò allora, con il tono dolce usato poco prima.
Anastasia annuì. «Certo»
«A cosa pensi?»
Anya guardò Martha. Avrebbe davvero voluto confidarsi, raccontarle tutto quanto, e avrebbe davvero voluto correre alla Malfoy Manor per chiedere scusa a Draco, Blaise, Kora e anche ai quadri e forse anche a Narcissa per aver dato di matto per dei boccoli inaspettati ma più che conosciuti.
«A niente, mamma»
Martha le sorrise: sapeva che non era vero.
E Anya sapeva che lei lo sapeva, ma a volte è meglio fare finta di niente.

                                                                                                   
Anastasia entrò nella stanza di Draco in punta di piedi, con in mano le Converse e i capelli sistemati in un’acconciatura arrangiata dietro la nuca. Trovando il Serpeverde seduto ai piedi del letto, però, lasciò cadere le braccia con delusione. «Che ci fai sveglio?» domandò, lasciando cadere le scarpe in un angolo della stanza.
Lui la guardò e sorrise. «Pensavo» si limitò a dire. «Tu che ci fai qui? Non sono neanche le sette del mattino!»
«Volevo venirti a svegliare» spiegò lei con un sorriso, levandosi il vecchio giaccone troppo largo per posarlo su una poltrona. «A che pensavi?»
«A una ragazza»
Si sedette accanto a lui. «Carina?»
«Bellissima» rispose lui, accarezzandole il viso. «Mi ha cambiato tutte le carte in tavola»
«Wow» sorrise lei. «Una tosta»
«Troppo, forse» continuò lui. «Settimana scorsa mi ha fatto una domanda a cui non ho risposto»
Anastasia si morse un labbro.
«Nulla di troppo impegnativo, ma mi ha dato un bel po’ a cui pensare» spiegò. «Credo sia questo … il suo potere, su di me. Mi permette di cambiare cose, anche piccole, pensieri o idee magari insignificanti, che credevo essere immutabili»
Anya sorrise e inclinò la testa di lato, per poi incrociare le gambe sul letto.
«Mi ha chiesto che lavoro farei, o cosa studierei, se potessi scegliere»
«E tu non hai risposto»
«E io non ho risposto» confermò lui. «Ma … se non importasse chi sono, chi sono stato o quello che ho fatto, ecco, credo che vorrei essere un Auror» disse, quasi con vergogna. Abbassò la testa, e lasciò che Anastasia gli afferrasse le mani, perdendosi ad osservare quei polsi sottili e quelle dita lunghe e piene di anelli più o meno preziosi.
La guardò afferrargli il braccio con decisione ma senza forza e senza fretta, alzare la manica del maglione fino al gomito per scoprire  quel tatuaggio che lui cercava di non guardare mai.
«Questo» sussurrò, accarezzando il serpente. «Non importa più a nessuno, tranne che a te» spiegò allora. «Quello che conta» e gli afferrò il mento con pollice e indice per costringerlo a guardarla negli occhi. «quello che conta davvero, intendo, è quello che c’è qui dentro» e gli premette l’indice sulla fronte. «E qui» e poi portò la mano sul cuore. «Solo questo»
Draco sospirò e afferrò la mano di lei che era rimasta sul suo petto, per baciarne il palmo.
Avrebbe voluto dire tantissime cose, ma non sapeva come mettere in ordine tutto ciò che stava pensando.
Lei sembrò capire, e, con la sua solita aria Malandrina, gli strizzò l’occhio e gli sorrise.
«Puoi diventare quello che vuoi, Draco Malfoy. Non oggi, non domani, se non ti senti pronto, ma quando lo sarai … potrai essere ciò che più desideri. Persino un Auror»
«Grazie» le sussurrò, con voce spezzata. «E non solo per stamattina»
Lei si avvicinò e con estrema delicatezza gli afferrò il viso tra le mani e gli baciò prima la punta del naso e poi le labbra.  
«Perché eri venuta qui all’alba?» domandò allora lui, cercando di recuperare una parvenza di normalità.
«Per svegliarti con il solletico e un sacco di baci» sorrise lei.
«Oh» sembrò pentirsi lui. «Aspetta, faccio finta di dormire, così lo puoi fare»
Lei rise così forte da svegliare ogni oggetto nella tenuta, ma a nessuno importava davvero.



NdA: credo sia importante, ogni tanto, fermarsi a riflettere. Perchè, che lo vogliamo o no, le persone a cui permettiamo di entrare nella nostra vita, ci cambiano sempre un po'. E per quanto faccia paura, non è detto che sia un male. 
Buona settimana a tutt*!

fatto il misfatto, 
C

P.S.: il prossimo capitolo contiene una bomba. Forse due. Dipende dai punti di vista. 

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Capitolo 22
*** qualcosa ***


Volevo scriverti una canzone speciale
Una canzone per tirarti su
Con ritornello che pian piano sale
E le lacrime che vanno giù
Però ti devi accontentare
Io non so fare davvero di più
E se qualcuno dice che è banale
Facciamo finta che l'hai scritta tu
(Brunori Sas, la canzone che hai scritto tu)



21.
qualcosa

 

«Perché chiedi a me?»
Anastasia alzò gli occhi al cielo e si sforzò per non inciampare sulle scale di pietra che portavano verso il Lago Nero, stretta in un giubbotto di pelle e con gli occhiali da sole incastrati tra i capelli, nonostante il cielo promettesse  di tutto meno che sole.
«Perché sei la mia madrina» spiegò, masticando una gomma. «Voglio dire, sei stata scelta apposta, o sbaglio?»
Minerva scosse la testa. «Sono stata scelta per insegnarti ad essere coscienziosa»
«Quindi è no?»
«Non posso darti questo tipo di consiglio, Anastasia» sospirò la Preside. «Questa è una cosa tua, insomma … è la tua relazione ed è la tua famiglia. Posso dirti che a tuo padre prenderebbe un coccolone, ecco, e che i tuoi fratelli non gradirebbero di certo, e tua sorella, oh, Godric solo sa come potrebbe reagire tua sorella!»
«Quindi è no» ripeté lei.
«Anastasia, raccontare alla tua famiglia della tua relazione è una follia, certo, ma anche imbarcarti in questa cosa lo è stato» spiegò di nuovo lei, facendo segno alla ragazza di procedere verso la solita sponda del Lago dove si rifugiavano a parlare. «È una tua decisione, bambina mia» sospirò allora. «Non posso dirti né sì né no, questa volta. Prima di tutto perché non voglio assumermi la responsabilità di un attacco di cuore di tuo padre, e poi perché … non sopporterei di darti il consiglio sbagliato. Una cosa te la posso dire, però: se scegli di raccontare tutto, la tua relazione cambierà. Non solo perché sarai un passo avanti a lui sotto moltissimi punti di vista, ma perché … oh, lo sai come finirebbe. I tuoi fratelli finirebbero per coinvolgerlo nei pranzi della domenica con la radicata convinzione di fare la cosa giusta e Narcissa inizierebbe a fare abuso di Pozioni di Pazienza sapendo cosa sta facendo della sua vita il suo unico figlio»
Notò il mutare di espressione della figlioccia al nome di Narcissa.
«Di tutto questo scenario, è Narcissa a turbarti?»
Anastasia raccolse un sasso da sotto i suoi piedi e lo lanciò verso la superficie del Lago – inequivocabile segno che stava pensando a qualcosa che le procurava dei bei grattacapi.
«Narcissa ci spia dalle finestre, ogni tanto» spiegò. «Spesso, credo, ma non lo dico mai. Vive nell’ultimo piano della villa, e lui … non parla mai di lei, se non per lamentarsene, ma raramente. E non parla mai neanche di suo padre, ma Minnie, ci sono così tante cose che vorrei chiedergli! Però neanche io parlo mai di papà o mamma, perché … perché cazzo, papà e Narcissa sono cugini, lei è la sorella di nonna Dromeda, e mamma ha ucciso Bellatrix, nella Battaglia di Hogwarts!» lanciò un altro sasso. «E lo so che Bellatrix ha ucciso Rosalie, e anche Robert Redfort,  e un sacco di altra gente, ma io non credo nella cosa dell’occhio per occhio»
«Meno male!» sorrise Minerva. «Vedi, la storia è scritta dai vincitori, e nessuno parla mai di persone come i Malfoy, che avevano messo in gioco tutto e si sono trovati con un pugno di mosche. Non dico che chi ha combattuto dall’altra parte non abbia perso niente, lo sai che non è così, e non sto neanche dicendo che loro siano meritevoli di compassione: hanno comunque deliberatamente scelto di combattere dalla parte di chi uccideva maghi e streghe per la sola colpa di essere nati in una famiglia piuttosto che in un’altra»  la guardò per qualche secondo. «Non ti devi vergognare di parlare dei tuoi genitori o dei tuoi fratelli con Draco per via dei loro trascorsi: sono cose che non ti riguardano, non direttamente, quantomeno, e quindi non ne hai alcuna colpa o responsabilità» guardò la ragazza lanciare un sasso verso la superficie con decisione. «Dovresti smetterla, bambina mia, di prenderti colpe che non sono tue»
Anastasia guardò la sua madrina con gli occhi così pieni di pensieri che a Minerva parve di poterli leggere, di vederli scorrere nelle iridi chiare.
«Tra di loro si odiano, è vero, ma tu ami tutti loro e loro amano te. Mi sembra più di un ottimo motivo per seppellire l’ascia di guerra, o quantomeno provarci»
Anastasia stava per rispondere, quando una figura decisamente troppo alta apparve alle spalle della Preside.
«Anastasia!» girdò Rubeus Hagrid. «Anastasia, ce lo devi dire al vecchio Hagrid quando vieni al castello!»
Anya scoppiò a ridere. «Prepara il tè!» gli disse, dubbiosa se la sentisse, visto l’avanzare dell’età.
«Vedi? Le persone che ti amano sono tantissime» sorrise Minerva. «Prova a dirlo a lui, vediamo come reagisce» sorrise poi. «E vai a salutare anche Neville, già che ci sei. Era preoccupato che fossi arrabbiata con lui per la faccenda di Edward»
Anastasia alzò le sopracciglia. «Gli ho già detto che …»
«Lo so, lo so, ma sai com’è fatto» sospirò lei. Si avvicinò ad Anastasia e le mise una mano sulla spalla. «So che farai la cosa giusta, come sempre» sussurrò. Poi, con dolcezza innata, le posò un bacio sulla fronte.
Anya riservò a Draco uno sguardo che pareva pieno di stelle.
Dopo la partita Corvonero-Serpeverde, Draco non solo aveva insistito per rimanere, ma aveva anche proposto a Ted, Lyall e Nicole di andare a Hogsmeade per una birra. Era sicuro, aveva detto, che ci fossero dei modi per arrivare al villaggio senza che nessuno lo sapesse.
Così, i quattro si erano guardati e si erano sorrisi, e dopo aver fatto giurare a Draco di portarsi quel loro segreto nella tomba, Anya si era offerta di fare gli onori di casa e aveva condotto il gruppo verso la statua di Gregory il Viscido.  Draco le aveva afferrato la mano all’inizio del passaggio, e non l’aveva mollata neanche quando ormai avevano mosso vari passi nel cuore del villaggio.
«Come hai detto che si chiama quel Portiere?» domandò Draco, mentre passeggiavano.
«Barnaby Lee» rispose Nicole guardandosi attorno. «Terzo anno, fiore all’occhiello del tricheco»
«Il tricheco?» domandò confuso Draco.
«Lumacorno» spiegarono Anya, Nicole e Lyall con un sorriso.
«In effetti assomiglia un po’ ad un tricheco» sorrise sghembo Draco. «Mi sorprende che abbia ancora la forza per collezionare studenti, alla sua età»
«Oh, sapessi» strabuzzò gli occhi Anya. «Metà delle lezioni le passa a raccontare i nostri alberi genealogici» sbuffò. «Signorina Black! Ha il talento di sua zia! La tenacia di sua madre! Gli occhi di suo padre! Le mani di suo zio! L’intelligenza di suo fratello!» lo imitò.
«Hai anche un fratello intelligente?» domandò d’istinto Draco, e Anya, senza lasciargli la mano, gli pestò un piede. Lui, guardandosi attorno con noncuranza, le si avvicinò per baciarle dolcemente la tempia.
E mentre lei sorrideva, riempiendosi il cuore di quel gesto di puro amore, sentì Lyall bloccarsi di colpo e vide Nicole, accanto a lei, cambiare espressione, perdendo quel sorriso spensierato per stringer gli occhi e ridurli a fessure.
Davanti a loro, Peter ed Edward Scott, con due cappotti pressoché identici, abbandonavano le espressioni serene per assumerne di stupite, come era appena successo a loro.
Si somigliavano, da sempre, in ogni minimo particolare, ma al contempo sapevano essere diversi come il giorno e la notte. Edward era più alto, ma Peter era più muscoloso. Avevano gli stessi riccioli scuri, ma Peter li curava di più, tenendoli lunghi e sempre ben pettinati, mentre Edward sapeva a malapena cosa fosse una spazzola, e spesso scuoteva la testa per spostarsi alcune ciocche dagli occhi. Edward aveva un naso più sottile, e Peter aveva gli occhi più grandi – che ora usava per scrutare quel gruppetto con cui, tantissime volte, si era trovato a ridere fino all’alba.
Anya si sentì gelare il sangue nelle vene e senza pensarci, strinse più forte la mani di Draco, che prese ad accarezzarne il palmo con dolcezza. Sentì chiaro nel petto l’istinto di proteggerlo, e sapeva che anche lui stava provando la stessa cosa.
Fu Peter a rompere il silenzio. «Studenti fuori dal letto!» sorrise, in una imbarazzata imitazione di Gazza. «Deduco che i passaggi segreti siano ancora in voga»
«Le deduzioni sono sempre state il tuo forte, Peter» rispose con tono gelido Anastasia.
«È un vanto, per noi Serpeverde. Non sei d’accordo, Malfoy?»
Draco, con tutta la classe e la freddezza che aveva imparato fin da piccolo, piegò gli angoli della bocca, impercettibilmente, e annuì lentamente. «Assolutamente d’accordo» disse, senza battere le palpebre e stringendo la mano di Anastasia.
«Piuttosto, Peter: già finita la luna di miele?» domandò Nicole, e a nessuno sfuggì che avesse gonfiato il petto e tenesse la bacchetta ben stretta tra le dita sotto al mantello.
«Oh, sì» sorrise lui. «Laetitia aveva fretta di tornare a lavorare»
«Deve essere stata una vacanza indimenticabile, allora» sorrise acido Lyall, guadagnandosi una impercettibile gomitata dal fratello.
Peter incassò il colpo e si inumidì le labbra con la lingua, scuotendo la testa. Dieci a zero.
Fu Edward allora a prendere la parola, per la prima volta. «Voi, invece, che ci fate a zonzo per il villaggio oltre il coprifuoco?»
La domanda era rivolta al gruppo, ma lui non aveva staccato gli occhi da Anastasia.
«I ragazzi hanno giocato un’ottima partita» spiegò la giovane Black, a testa alta. «Festeggiamo»
«Certamente, le tradizioni vanno onorate» replicò allora Edward, con un sorriso cordiale che però diede l’impressione a tutti di essere falso. «Non intendiamo ostacolarvi oltre, dunque» aggiunse, guadagnandosi uno sguardo sospettoso del fratello. «So di non essere più gradito tra di voi, e …»
«Ma che ti aspettavi, scusa?» sputò Nicole. «Che ti saltassimo in braccio commossi?»
«… e noto che i posti vacanti non lo restano mai tanto a lungo»
Nicole fece per alzare la bacchetta, ma Ted le prese la mano e le impose di calmarsi, mentre Lyall strabuzzava gli occhi e il cuore di Draco perdeva un battito.
«Decisamente, però» rispose allora prontamente Anastasia. «Non sono stata io quella più svelta a rimpiazzare l’altro. Con permesso» chinò la testa e rivolse ai fratelli Scott un sorriso colmo di veleno. Senza aspettarsi risposta, tirò Draco per la mano e riprese a camminare, seguita dalla cugina e dagli amici, passando esattamente in mezzo a Edward e Peter, che non poterono fare a meno di notare il sorrisetto di Malfoy e il fatto che Lyall stesse ridendo, coprendosi la bocca con la mano per cercare di nasconderlo.

«Io sarei geloso marcio»
Ted e Nicole guardarono Lyall stupiti. Non era solito esprimersi sulle questioni di cuore del gruppo, di solito, se ne chiamava fuori dicendo qualcosa che aveva a che fare con “se voi siete felici, io sono felice”. Così aveva detto quando Ted aveva detto di essersi innamorato di un babbano – non era durata, comunque – e così aveva detto quando Nicole aveva rotto con un loro compagno di squadra.
«Insomma, è stato davvero sgradevole, e non smetteva di guardarla» spiegò sottovoce, visto che la bibliotecaria si stava avvicinando con sguardo severo.
Nicole scosse la testa e chinò lo sguardo sul libro di Storia della Magia che aveva aperto sul tavolo davanti a lei, mentre la bibliotecaria, con la sua solita posa rigida, passava dietro ai fratelli Lupin.
«Sgradevole persino per lui» aggiunse, appena la strega si fu allontanata, come se ricordare continuamente gli standard di bon ton degli Scott servisse a qualche cosa.
«Abbiamo capito, Lyall» sbuffò Ted. «Quello che mi interessa sapere, è come siano andate le cose per loro dopo»
«Non lo so» disse Nicole, con espressione preoccupata. «Non risponde ai messaggi»
«Sicura che prenda?» domandò Ted.
«Sicura, Robert mi ha dato uno di quegli aggeggi che fanno sì che ci sia segnale ovunque»
«Ecco come hai fatto a scrivermi dalle cucine!» s’illuminò Lyall.
Nicole gli rivolse un sorriso acido. «Credevi ti prendessi in giro?»
«Mai» rispose il giovane Lupin con aria solenne. «Ma stavo copiando il compito di Pozioni, non avevo tempo di raggiungervi»
«Non sai che ti sei perso!» s’illuminò Ted.
«So quello che ho preso, però: una bella E»
«, ma a stomaco vuoto» rilanciò Nicole.
«Una E?! Da chi hai copiato?» s’interessò il fratello.
«Tablott!» rispose subito lui. «Non ne sbaglia una, quel corvo!»
«Gira voce che sia un Animagus» disse subito Ted.
«Poco importa, finché mi fa copiare» sorrise Lyall soddisfatto.
«Girano un sacco di voci, in questo castello» aggiunse Nicole. «Ad esempio, si dice che Ted Lupin sia un Metamorfmagus»
Ted alzò lo sguardo, più che divertito, e cambiò la forma del naso e il colore e la lunghezza di capelli, per assomigliare a Nicole. «Non so di cosa tu stia parlando» sorrise.
«Ti prego, non farlo mai più» rise Nicole, procurandosi un ordine abbandonare la biblioteca per aver riso troppo.


 
Draco fu svegliato da un suono dolce e nuovo. No, non nuovo: sapeva bene cosa fosse, solo che erano anni che non lo sentiva. Stranito, si mise seduto e ricordò la discussione con Anastasia la sera prima, i loro toni freddi e la sua nuova gelosia, che gli prendeva lo stomaco e non lo faceva ragionare come avrebbe voluto e dovuto. La sua solita vestaglia gli si infilò magicamente, come le pantofole, mentre il suono del pianoforte gli riempiva le orecchie ed il cuore. Non era andata via, allora. A meno che non avesse incantato il piano per suonare da solo, ma quello, si disse aprendo la porta, sarebbe stato un gesto troppo crudele per essere compiuto dalla sua Anastasia. La sua Anastasia. Assaporò queste parole mentre scendeva le scale. Raggiunse il salotto in men che non si dica, e la trovò china sul piano con i vestiti della sera prima, i capelli raccolti di fretta, che suonava senza spartito.
In una manciata di secondi, smise di suonare e si voltò a guardarlo.
Lui si trovò la mente annebbiata e la bocca secca. Non sapeva cosa dire. Non gli era mai successo che qualcuno rimanesse dopo un litigio.
«Sei ancora qui» disse, quindi.
Lei inarcò un sopracciglio. «Volevi che me ne andassi?»
«No» ammise lui in un sussurro. «In verità, pensavo che fossi tu a volertene andare»
Lei rimase in silenzio, inclinando la testa di lato senza espressione. «Se me ne fossi voluta andare» gli disse dopo un po’. «Me ne sarei andata»
Draco annuì lentamente. «Sei arrabbiata?» chiese con timore.
Lei, allora, accennò un sorriso. «Perché credevi che volessi tornare con Edward?»
Draco rimase a guardarla, temendo la risposta più della sera prima.
«Draco, per l’amor del cielo» Anya scosse di nuovo la testa. «Non è con Edward Scott che voglio stare» gli sorrise.
Anche lui, allora, sembrò rilassarsi. «Forse il punto è … che mi sembra troppo bello per essere vero»
Anya allargò il sorriso, e lui capì che la discussione era finita – ma che di sicuro, la sua gelosia non lo era.
«Hai fatto colazione?» domandò allora, non riuscendo a non fare la parte del buon padrone di casa. «Credo che Kora abbia fatto …»
«La marmellata, sì» concluse lei. «Ottima»
«Cosa suonavi?» chiese allora.
Lei, sorprendendolo, sembrò in imbarazzo. «Io, ehm … niente» disse, con un gesto della mano.
«Non è vero» rispose lui. «Qualcosa stavi suonando. E senza spartito»
Anya guardò il piano e poi lui con aria perplessa. «Ho una buona memoria»
«Anche io» replicò lui avvicinandosi. «E non ho riconosciuto la melodia»
Lei si morse un labbro e scosse la testa, mentre lui aveva raggiunto il piano e vi si era appoggiato con il fianco.
«Non l’ha mai sentita nessuno» spiegò, con una nuova timidezza.
Draco alzò le sopracciglia, senza nascondere stupore. «Quindi … è tua? Insomma, l’hai scritta tu
Ma lei, sorprendendolo ancor di più, scosse la testa con aria quasi colpevole. Draco la guardò senza capire.
«Anastasia» corrucciò la fronte lui.
«Non è mia, non l’ho scritta io, ma la conosco solo io, o almeno credo» spiegò. «L’ho trovata, e la suono spesso, quando nessuno mi sente. Credevo dormissi»
«Dormivo, in effetti, ma quel piano si sente in tutta la tenuta» rispose lui.
Anya strabuzzò gli occhi. «Tutta?»
«Mia madre non c’è, non preoccuparti» la tranquillizzò. «Ti è andata bene» sorrise poi.
«E dov’è?» s’incuriosì la giovane.
«Non cambiare discorso» rispose lesto Draco.
«Non parliamo mai di tua madre!» si lamentò allora Anastasia.
«Non c’è niente da dire, su mia madre» spiegò lui con un tono di finta calma. «E comunque, non è nulla a che vedere con una canzone che non hai scritto tu ma che conosci solo tu»
«Dimmi dov’è tua madre» disse allora lei. «E ti dico della canzone»
«Mia madre è in Francia» spiegò subito il biondo. «Abbiamo dei parenti lì, insopportabili, ma parenti, e lei crede molto nella famiglia e nel mantenere i rapporti solo perché sono dei Malfoy – che in realtà non lo sono, perché mio nonno aveva solo sorelle, quindi l’ultimo Malfoy, per tua informazione, sono io»
Anya lo scrutò e sospirò. «La canzone è di Rosalie»
Cinque parole, e lui cambiò espressione. Da spavaldo e sicuro, a colpevole e ferito al tempo stesso. Si sedette accanto a lei, lasciandosi cadere.
«E tu come …»
«Ho i suoi diari» spiegò svelta. «L’ho trovata lì. Non lo sa nessuno, neanche la mamma. O Remus, o Nicole»
«Remus?»
«Storia lunga» disse lei, stringendosi nelle spalle.
Lui rifletté qualche secondo. «Credevo che per Robert non avessi segreti»
«Più il tempo passa, più cose gli tengo nascoste. Il naso rotto, la canzone, e … e te» sorrise timidamente.
Lui si sforzò di ignorare il macigno che sentiva sul petto ogni volta che Rosalie Redfort veniva nominata. Incrociò le braccia sul petto e sospirò.
«Smettila di sentirti in colpa» gli impose lei, iniziando a far danzare le dita sui tasti in una melodia nuova. «Non c’eri nemmeno»
«Sì, ma se …»
«Non puoi saperlo» lo bloccò subito lei. «Con i ‘se’ e con ‘ ma’ non si va da nessuna parte. E comunque, eri un ragazzino»
«Non ero tanto più giovane di te adesso»
Lei sorrise e incalzò Per Elisa. «Da piccola, mio padre la chiamava Per Elizabeth, e diceva che era scritta per me» sorrise e scosse la testa, come si fa quando si pensa ai rimasugli di infanzia.
«Ti ha insegnato lui a suonare?»
Lei annuì, continuando a suonare con espressione soddisfatta. Smise di colpo e prese un respiro profondo. «Diceva che era una cosa … che gli aveva insegnato suo padre, e a suo padre l’aveva insegnata suo nonno, e così via. E … sai, a Robert, Kayla e Harry non è riuscito a insegnarlo, per vari motivi. Quindi lo ha insegnato a me, e poi io e lui lo abbiamo insegnato a loro tre, anche se Harry fa un po’ pena – non ridere» lo mise in guardia. «La canzone di Rose … funziona anche sulla chitarra. Ma sul piano ha un altro sapore»
«Suoni anche la chitarra?» sorrise lui. «Credevo di sapere tutto di te» aggiunse, guardandola ammaliato.
Lei fece segno che non importava. «Non avrei mai suonato il piano di casa Scott, per la cronaca» aggiunse poi. «Neanche se fosse stata deserta»
Draco sorrise e annuì. «Ti ho capita, Black» sussurrò. «Ma sono comunque geloso»
Anastasia scosse la testa e prese a suonare la melodia che l’aveva svegliato. «Don't you dare look out your window, darling everything's on fire» cantò con estrema grazia e dolcezza, regalando a Draco una voce nuova. «The war outside our door keeps raging on: hold onto this lullaby, even when the music’s gone»
Lui prese un respiro profondo e sentì il cuore in gola.
«Non devi dirlo a nessuno, mai» l’intimò lei continuando a suonare.
«Cascasse il mondo» sospirò lui, usando le stesse parole di qualche settimana prima in tutt’altro contesto.
«Just close your eyes, the sun is going down, you’ll be alright, no one can hurt you now. Come morning light, you and I’ll be safe and sound»
Draco, agendo senza pensare, lasciò cadere la testa sulla spalla di Anastasia, che si trovò spiazzata da quel gesto tanto quanto lui. E Draco Malfoy, per la prima volta dopo anni e del tutto inaspettatamente, scoppiò a piangere come un bambino.


NdA: sì, uso i nomi di Hogwarts Mystery. Un po' perchè è difficile inventarsene di nuovi, un po' perchè mi piacciono - Barnaby Lee è uno dei miei personaggi preferiti. 
Poi: pare che io non riesca a non far cantare o suonare i miei personaggi. Forse perchè è qualcosa che vorrei poter saper fare anche io. Comunque: la canzone che canta Anya è "Safe and Sound" di Taylor Swift, colonna sonora di Hunger Games, altra saga che ho amato da pazzi. 
Ecco, credo di aver detto tutto. 
Vi aspetto, come sempre, nelle recensioni, per fare due chiacchiere, che fanno sempre piacere. <3 
Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 23
*** mai dire mai ***


Vorrei dirti di meglio 
vorrei dirti di più
tutto quello che manca 
devi mettercelo tu 
che festeggi ogni giorno 
come tu soltanto sai
e che ogni giorno fai dire 
mai dire mai!
Voglio dirti di meglio 
voglio dirti di più
voglio farti sentire 
come vuoi sentirti tu
che ti fidi del mondo 
come tu soltanto sai
e ogni giorno mi ricordi che 
mai dire mai.
(Ligabue, mai dire mai)


 
22. 
mai dire mai

 
«Era a tanto così dal dirmi qualcosa, vi dico»
«Sirius» sbuffò Martha.
«E secondo me, era anche qualcosa di grosso»
«Sirius» lo richiamò Remus.
«Stai zitto, Moony, non hai sentito metà del racconto» rispose secco Sirius. «Non la sentivo suonare da …»
«Da quando stava con Edward» gli disse la moglie. «E questo, a cosa ti fa pensare?»
«Me lo stava per dire, ti dico!» si lamentò di nuovo, mentre Damian girava il sugo nella pentola con un silenzioso sorriso stampato in viso. «Quindi l’hai sentita suonare?» chiese.
«No» rispose Sirius. «Nel momento in cui sono entrato in casa, ha smesso» spiegò. «Mi ha salutato e io ho chiesto da quanto non suonasse la chitarra, lei si è stretta nelle spalle e ha detto “da un po’, in effetti”»
«Allora sicuramente stava per dirti qualcosa di davvero importante» lo prese in giro Remus.
«Stavo salendo in camera, quando mi ha fermato»
«Ti ha fermato?»
«Mi ha chiamato, e io sono sceso di nuovo. Poi ha detto: “niente, niente”, e ha rimesso a posto la chitarra»
«Sicuramente stava per dirti il suo più grande segreto» sorrise Aaron.
«Sì, prendetemi in giro» si difese lui. «Intanto, nessuno qui sa con chi sta»
«Non mi interessa, sapere con chi sta» rispose Martha. «Mi interessa che sia felice, e lo è: suona di nuovo la chitarra!»


Anya avvicinò la tazza di tè bollente alle labbra, senza fare a meno di notare che Draco, seduto davanti a lei con ancora la faccia assonnata, stesse buttando le lettere appena ricevute sulla sedia vuota. «Non le leggi?» domandò, con finta noncuranza.
Draco scosse la testa e aggiunse il latte al suo tè.
«E perché no?»
«Perché non ho voglia» rispose il biondo, stringendosi nelle spalle. «Sono, ehm … cose di mio padre»
Anastasia annuì, sempre più pensierosa. «Non parli mai di lui»
«Non c’è molto da dire» tagliò corto Draco, con espressione notevolmente stizzita e infastidita. «Io, ehm … scusami, Anastasia, mio padre non è il mio argomento preferito» spiegò poi. «E poi, anche tu non mi parli mai dei tuoi o della tua famiglia» aggiunse. «E sono argomenti sicuramente più gradevoli delle rogne che mi ha lasciato il buon vecchio Lucius»
«Ma ti sei sentito?» sorrise lei. «Stai parlando quasi bene della famiglia Black!»
«Sto parlando quasi bene della famiglia della mia ragazza» ammiccò lui. «Voglio dire, come … come si chiamano i tuoi nipoti? Non so neanche quello» Draco fu colpito dal modo in cui lei sorrise, e da come lo sguardo gli si riempì d’affetto. «Albus Severus, James Sirius, e poi? Non ci sono anche delle femmine?» indagò, con sincero interesse.
Lei continuò a sorridere. «Stiamo parlando dei piccoli Potter? Davvero?» si stupì, posando la tazza sul piattino.
«Solo se mi dici come si chiamano» rilanciò lui.
«Violet Rose e William Robert Black» rispose pronta lei. «James Sirius, Albus Severus e Lily Luna Potter»
Lui sembrò elaborare l’informazione con calma, masticando un biscotto. «Violet Rose Black
Lei alzò gli occhi al cielo. «Robert, quel cretino» sbuffò.
Lui accennò un sorriso, cercando con tutto sé stesso di evitare di pensare alle lettere che aveva appena lanciato sulla sedia. «Immagino di non poterti chiedere se Kayla ha dei figli»
«Esatto»
«Credevo che fossimo a posto su questo argomento»
«Se mi chiedi di Kayla, io ti chiedo di quelle lettere»
«Andata» chiuse lui, gettando un altro biscotto nella tazza di tè. «Che fai oggi?»
«Sto con i miei nipoti» rispose lei sorridendo. «Vuoi venire?»
Lui sentì la gola secca e la salivazione cessare, ma si forzò di dirle: «Sai, in un’altra vita … avrei voluto una grande famiglia come la tua»
Lei, con tutta la sua nota dolcezza, sorrise commossa. «Mai dire mai»
 
«Un solo altro giro, zia» piagnucolò il bambino con gli occhi verdi. «Per favore! E non dire che non abbiamo più soldi babbani, puoi benissimo Confondere il giostraio!»
«Confondere il giostraio, Albus?» lo richiamò Anastasia con tono severo. «Come ti viene in mente?»
«Zio Ron lo fa sempre» si strinse nelle spalle James.
«Anche papà una volta l’ha fatto» aggiunse William, tenendo la mano della zia mentre con l’altra mangiava dello zucchero filato. «Ma ho promesso di non dirlo mai alla mamma»
Anastasia sorrise per come il bambino aveva sottolineato quel mai, e mentre stava per lasciarsi convincere dai grandi occhi verdi di Albus e dall’espressione da cucciolo abbandonato che James sfoggiava in queste occasioni, vide distintamente tra le decine di genitori babbani che popolavano quel parco, una chioma biondo platino e un cappotto da mago decisamente di dubbio gusto.
«Ehi!» esclamò William indicandolo. «Quello sta violando lo Statuto di Segretezza!»
Draco si avvicinò a loro e si godette appieno l’espressione ammaliata, sorpresa, compiaciuta e commossa allo stesso tempo di Anastasia. «Hai ragione» disse poi rivolgendosi al piccolo. «Ma quando me ne sono accorto, era troppo tardi per Trasfigurare questo cappotto in qualcosa di più consono» spiegò con tono insolitamente basso e calmo.
William girò la testa di lato, continuando ad immergere il viso nello zucchero filato ad intervalli regolari, senza smettere di scrutare il suo interlocutore con sincera curiosità. «Qui solo le femmine portano la pelliccia» disse, e Draco riconobbe in lui la saccenza di ogni Black – e di ogni Malfoy
«Però a me la tua giacca piace» si intromise Albus, mentre il fratello cercava di trascinarlo sulla giostra, giudicando privo di attrattiva il discorso.
«Hai del buongusto» gli rispose allora Draco, mentre Anya continuava a guardarlo con la bocca aperta e la gola secca.
«Al» si spazientì James. «Andiamo, Albus» gli tirò una manica del giaccone, mentre Albus era in piedi davanti a Draco con gli occhi rapiti da lui e il naso all’insù. «Comunque la mamma non te la lascerebbe mettere, una giacca come quella: è da vecchio
«James!» lo richiamò la zia.
«Ma è vero, zia: lo hai detto tu a nonno Sirius la settimana scorsa!»
«Io sono grande, e nonno Sirius aveva chiesto il mio parere»
«Perché Albus può dare il suo parere, e io no?» domandò subito James.
«Perché Albus si è espresso in modo gentile» rispose allora Anastasia.
«O forse» replicò allora James. «Perché ha detto che la sua giacca gli piace, allora si può dire. Che è da vecchio, non si può dire»
Draco dovette trattenere un sorriso, mentre rispondeva con una calma che stupì Anastasia ancora di più. «Possono essere entrambe le cose» spiegò. «Può piacere a tuo fratello, e può essere da vecchi»
«Non mi stai aiutando» lo richiamò allora Anastasia.
Nello stesso momento, William si grattò la fronte come faceva Hermione quando non capiva qualcosa – estremamente di rado. «Ma lo conosci?»
Anya aprì la bocca e poi la richiuse, sospirò e concluse con un «Sì, Will» e una carezza nei capelli del bambino. Guardò Draco poi, come se si volesse scusare con uno sguardo per non aver potuto o voluto dire tutta la verità.
«Quindi posso chiedere a lui per fare un altro giro sulla giostra?» s’interessò James. «Voglio dire: dite sempre di non chiedere e accettare cose dagli estranei, ma se lo conosci non è un estraneo, quindi posso chiedere a lui per fare un altro giro sulla giostra, visto che tu hai detto di no!»
«Se gli chiedi scusa per aver detto che ha una giacca da vecchio»
«Ma è vero!» si difese il piccolo. «E poi, lo ha detto anche lui: possono essere entrambe le cose! Lo sai che ad Albus piacciono le cose da vecchi, settimana scorsa voleva mettersi il cappello di zio Percy!»
Anya si voltò verso il nipote, che aveva alzato la mano e puntato il dito contro il fratello per difendersi. «Zio Percy non è vecchio!» rispose Anastasia.
«No, ma sono pronto a scommettere che si vesta peggio di nonno Sirius» sorrise Draco.
«Esatto» rispose James mentre William ridacchiava.
«Quindi lo possiamo fare, un altro giro sulla giostra?» domandò impaziente James, palleggiando lo sguardo da Anya a Draco.
La giovane Black sospirò e guardò Draco.
«Perché guardi me? Ha chiesto a te»
«Ho finito la moneta babbana» spiegò lei.
«E allora? Sei una strega, Merlino: Confondi il giostraio, persino loro ci riuscirebbero»
Anya non riuscì a trattenere una risata, insieme a William.
«Certo» disse James. «Lo fa anche zio Ron»
«E anche papà» confessò William. «Ma non dirlo alla mamma»
«Oh, certo» rispose Draco con tono serio. «Hai la mia parola»
«Lo farai anche tu?» domandò allora Albus.
«Se mi indichi il giostraio»
Con naturalezza, Albus fece segno a Draco di chinarsi per seguire il suo sguardo. Così, il biondo si chinò sul ginocchio e seguì con lo sguardo il dito puntato del piccolo Albus fino al giostraio indaffarato. «D’accordo» disse Malfoy concentrato. «Andate, ci penso io»
«Però non fare come lo zio Ron» si raccomandò Albus.
Anya, nonostante gli desse le spalle, vide chiaramente come Draco stesse trattenendo a forza la sua faccia schifata – un paragone con Ron Weasley, non vedeva l’ora di raccontarlo a Minerva.
«Che … che fa lo zio Ron?» chiese dunque.
«Ha sbagliato» spiegò il bambino. «E il giostraio si è messo a girare su sé stesso come la giostra»
«D’accordo, ometto, cercherò di non fare come lo zio Ron»
«Albus»
«Come?»
«Mi chiamo Albus, non ometto. Albus Severus Potter»
«Non ti piace che ti si chiami ometto?»
Albus sembrò pensarci su con tutte le sue forze. «In effetti, sì, mi piace!» rispose entusiasta.
«Allora ti chiamerò ometto» decretò Draco. «Ora, andate»
«Ah, io mi chiamo James» puntualizzò il primogenito Potter, mentre Albus correva verso il giostraio rischiando di inciampare. «E lui» e indicò Will. «è mio cugino William. E mi dispiace se ho detto che la tua giacca è da vecchio»
Draco gli strizzò l’occhio con complicità e gli indicò di seguire il fratello, dopo avergli accarezzato la testa di sfuggita.
Li guardò raggiungere gli altri bambini in fila, preoccupandosi di lanciare un ottimo Confundus per tre volte di fila e poi tornò a guardare Anastasia, che aveva la mascella più spalancata di prima.
«Mai» disse la ragazza. «Mai ho sentito James Sirius Potter dire ‘mi dispiace’»
Draco si voltò verso la giostra e scoppiò a ridere, tornando a guardare Anya. «Mai dire mai, Black!»

 

NdA: è un capitolo più breve degli altri, e tecnicamente lunedì è tra mezz'ora, ma non resistevo all'idea di regalarvi un Draco che ha a che fare con i piccoli del clan. Spero vi abbia fatto sorridere leggerlo come ha fatto sorridere me mentre lo scrivevo. 
Buona settimana a tutt*!

fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 24
*** strepitoso ***




23. 
strepitoso

Draco se ne stava in piedi nel salotto di Grimmauld Place, ad osservare la pioggia al di là della vecchia finestra, con una tazza di tè fumante tra le mani. «Mi piace, questo posto» sentenziò poi.
Anastasia, seduta sul polveroso divano con un libro sulle ginocchia e una matita in mano, accennò un sorriso ma senza alzare gli occhi. «Naturalmente» disse. «È tutto verde e argento!»
Anche Draco piegò gli angoli della bocca in un sorriso e si voltò per guardare quel salotto pieno di cimeli di qualche vita precedente di quelli che erano a tutti gli effetti i parenti di sua madre. In mezzo a tutta quell’argenteria con lo stemma Black, davanti a quel camino con fuoco flebile e accanto a quel pianoforte scordato, però, c’era una diciottenne tutt’altro che vecchia e polverosa che riusciva a sprizzare luce da ogni poro anche con gli occhiali sul naso e l’espressione corrucciata.
«Mi piace di più perché ci sei tu» sussurrò allora lui.
Anastasia alzò gli occhi dal libro e si mostrò commossa.
«Scusa, non volevo distrarti» aggiunse subito. «Il primo esame di Magisprudenza è la prossima settimana, e io ti sono sempre tra i piedi»
Anya sorrise, chiuse il libro e si alzò dal divano per raggiungerlo in una manciata di secondi. Si mise in piedi davanti a lui e gli sorrise. «Ti ho invitato io, testa di troll» spiegò con tono dolce. Gli afferrò una mano e la prese tra le sue per baciarne il palmo con estrema delicatezza. «Perché, che tu ci creda o no, anche a me piace di più il mio mondo da quando ci sei dentro anche tu»
Fu lui a guardarla commosso. La attirò a sé con la mano che lei ancora stringeva e la strinse contro il suo petto, lasciando che fosse quell’abbraccio a parlare, mentre la pioggia picchiava contro il vetro delle finestre e il tè ancora fumante riempiva il salotto di un profumo nuovo.


«Ma mi stai prendendo in giro?»
«Blaise, per favore»
Il salotto di casa Zabini non era troppo diverso da quello della Malfoy Manor: nonostante la casa fosse più piccola, gli spazi erano più ampi e luminosi, e l’arredamento centenario appariva meno polveroso ed ingombrante. Senza contare che la madre di Blaise, prima di partire per chissà dove in cerca di un nuovo marito, aveva riempito ogni angolo possibile di soprammobili di dubbio gusto, rendendo l’ambiente amichevolmente assurdo.
«Li conosco quei bambini, Draco» spiegò Zabini, versando un bicchiere di whiskey con un colpo di bacchetta. «Sono incontenibili e non gli sfugge niente»
Draco scosse la testa, allungando la mano per prendere il bicchiere. «Sono simpatici» spiegò. «E poi … sono così piccoli, Blaise. Hanno davanti così tante cose e così tanti sbagli»  rifletté. «E non ne hanno idea. Un giorno arriverà qualcosa che farà perdere loro quel modo di guardare il mondo come se fossero in estasi e … e non c’è niente che nessuno possa fare per fermare questa cosa»
«Non hai neanche fatto in tempo a diventare loro zio che sembri già un nonno»
Draco spalancò gli occhi. «No, il loro nonno è Sirius Black»
«Ed è anche tuo suocero» sorrise Blaise.
Draco, mostrando la più stranita delle espressioni, avvicinò il bicchiere al viso. «Non ricordarmelo»  sputò, prima di trangugiare il whiskey.
Blaise rimase a fissarlo per qualche secondo, posando i gomiti sulle ginocchia. «Cambiando argomento» disse, schiarendosi la voce. «Non hai detto ad Anastasia di …»
«No» rispose secco Draco, perdendo quell’espressione sognante per assumerne una seria e preoccupata. «Assolutamente no, e non lo farò. So come la pensi, so che mi odi, mi odio anche io, ma … lei non deve saperne niente»
Blaise aggrottò un sopracciglio. «Ti stai mettendo nei guai, fratello»
Lo sguardo che ricevette in risposta fu più che chiaro. Argomento chiuso.

«Sparito!» ripeté Anya, lasciandosi cadere sulla panchina.
Ted alzò le sopracciglia. «L’elfo?»
«Non può dirmi niente» ringhiò la giovane Black. «Gliel’ho chiesto in tutti i modi» si posò una sigaretta sulle labbra. «Voglio dire, andava tutto bene. Con i bambini è stato fantastico, così fantastico che non è stato neanche difficile convincerli a non dire niente a nessuno» accese la sigaretta. «E James mi ha chiesto se lo rivedranno mai, e io ho detto di sì. Ma a questo punto, forse non lo rivedrò mai più neanche io
«Hai chiesto a Zabini?»
«Non saprei dove trovarlo» sbuffò lei. «E poi, a meno che non sia in pericolo, non mi direbbe niente. E se è in pericolo e non mi ha detto niente, giuro, giuro che lo ammazzo a mani nude»
Ted prese posto accanto a lei sulla panchina e prese una sigaretta dal pacchetto, mentre il Lago Nero davanti a loro prendeva i colori di uno degli ultimi tramonti autunnali.
«Domani ho l’esame» sbuffò ancora lei, ma con tono quasi colpevole. «E lui è sparito»
Ted, allora, con fare fraterno si avvicinò a lei e passò il braccio attorno alle sue spalle, mentre entrambi affidavano i loro pensieri al tramonto e al complice di una vita.


Robert spalancò la porta  di Villa Black. «È tornata?»
Martha, seduta sul divano con in braccio Albus e James e Lily seduti accanto a lei, scosse la testa.
Robert batté il piede a terra contrariato. «Sapevo di dover passare dal Ministero»
«La mamma ha detto di non farlo assolutamente» lo richiamò William, nascosto dietro il suo cappotto, mentre Violet raggiungeva i suoi cugini sul divano e baciava Martha sulla guancia.
«Cosa guardate?»
«Stiamo leggendo Beda il Bardo di nuovo» si lamentò James. «Io volevo leggere Peter Pan!»
«Con calma, tesoro, poi leggeremo anche quello» lo tranquillizzò Martha mentre anche Violet e William prendevano posto. «E tu, pulce» disse, rivolta al primogenito. «Apparecchia la tavola e datti una calmata»
Robert sbuffò e s’incamminò verso la cucina, mentre Sirius scendeva le scale di marmo di fretta. «Anastasia è tornata?» chiese, con la stessa apprensione del figlio.
«No» replicarono James e William.
Lui storse il naso, e Robert riemerse dalla cucina con gli occhi spalancati. «Credevo fossi Anastasia» disse al padre.
«Anche io credevo che tu fossi Anastasia» rispose Sirius con la stessa aria scocciata, mentre raggiungeva il salotto e faceva segno a Will e Violet di correre a salutarlo. Loro, puntuali, corsero verso di lui mentre si stava chinando e gli posarono ciascuno un sonoro bacio sulla guancia, per poi correre di nuovo verso Martha che leggeva ad alta voce La Fonte della Buona Sorte.
Di nuovo, la porta di casa si aprì, e Fred saltò dentro casa. «Anastasia è già qui?»
«No!» replicarono all’unisono Martha, James, Robert e Sirius, mentre Lily sfogliava la pagina del libro con aria impaziente.
«E dovreste calmarvi, tutti quanti» li richiamò Martha.
«Martha ha ragione!» esclamò William.
«Will, per favore» sbuffò suo padre, rientrando in cucina, mentre anche Kayla, con la sua pancia sempre più grossa, entrava in casa.
«Non disperate» disse la nuova signora Weasley. «Sono sicura che l’esame è andato benissimo e che è con il suo ragazzo a festeggiare»
James accennò un sorriso e Albus cercò la complicità di William, che finse di ignorarlo, e niente di tutto ciò sfuggì agli occhi attenti dei loro nonni.
«E poi» aggiunse Kayla mentre l’appendiabiti le levava la sciarpa. «Stasera siamo qui per festeggiare il ritorno di zio Aaron»
«Aaron va in latitanza tre volte l’anno, principessa» le rispose Sirius. «E invece per Anya era il primo esame»
«E con tutta la pressione che le metti addosso, papà» replicò ancora Kayla. «Ti stupisci che avesse paura di dirti che non voleva diventare un Auror?»
«Tua sorella sarebbe stata un ottimo Auror» si giustificò Sirius.
«Lo hai detto ad ognuno di noi!» replicò Robert dalla cucina.
«Alastor!» esclamò Fred, apparentemente senza rendersi conto di essere totalmente fuori contesto. «Alastor Weasley!»
«Certo» rispose acida la moglie. «Alastor si abbrevia Al, e come lo distinguiamo da Albus?»
«Non lo abbreviamo ad Al» replicò Fred alzando le spalle con semplicità. «Alastor Weasley: pensaci!» si voltò verso Robert, ma questi scosse la testa e corrucciò la fronte. Fred tornò a guardare la moglie, che si strinse nelle spalle con un sorriso malandrino.
Con una nuova delicatezza, la porta di casa si aprì di nuovo, rivelando questa volta Ginny Weasley Potter con in testa un berretto con i colori di Grifondoro. «Dov’è Anastasia?» domandò ancor prima di entrare.
«Non è ancora tornata» le rispose il fratello di fretta. «Come ti sembra il nome Alastor Weasley?»
«C’è già un piccolo Al, nella nostra famiglia»
«Lo dicevo io che dovevamo essere noi i primi ad avere figli! Si sono presi tutti i nomi!» si lamentò Fred, facendo ridere tutti.
Harry seguì le orme della moglie ed entrò a Villa Black. «È tornata?» domandò.
«Dovete smetterla» gli intimò Martha, categorica.
«Ciao anche a te, Harry» finse di lamentarsi Robert. «Vieni ad aiutarmi in cucina e datti una calmata»
«Robert, tu hai proprio la faccia come il-»
«Sirius!» lo richiamò la moglie.
Harry si stava levando la giacca scura e stava per raggiungere il fratello in cucina, quando ad aprire la porta fu Aaron, più pallido che mai e con i capelli eccezionalmente spettinati, gli occhiali da vista appannati per il freddo e una fasciatura attorno al polso destro che destò preoccupazione in tutti gli abitanti di Villa Black.
«Beh, ciao, famiglia» ironizzò lo Spezzaincantesimi. «Bello vedervi»
«Sono tutti in ansia per l’esame di Anastasia» spiegò Albus. «Il primo esame di Magisprudenza!» esclamò poi.
«Oh!» si strabiliò Aaron. «E com’è andato?»
Tutti, allora, lo guardarono male.
«Non lo possono sapere, zio Aaron» lo illuminò William. «Finché zia Anya non torna a casa»
«Lo zio Aaron perde colpi» si giustificò allora lui, avvicinandosi a Kayla per chiederle con uno sguardo di poter posare una mano sulla pancia. Lei gli indicò un lato della pancia dove avrebbe trovato un bambino sveglio, mentre Lily sgattaiolava verso la finestra per premere il naso contro il vetro, seguita a ruota da Violet.
«Ecco!» esclamò la rossa. «È arrivata!»
«Ed è con la mamma!» aggiunse Violet.
Harry, Robert, Aaron e Sirius, allora, corsero verso la finestra per poter vedere anche loro ciò che le bimbe stavano indicando. Anastasia, con un lungo cappotto grigio e i capelli legati in una coda di cavallo guardava Hermione con espressione tesa. Hermione, intanto, le posava una mano sulla spalla e le diceva qualcosa con un sorriso. Anastasia non fece in tempo a rispondere, perché vide dalla finestra un numero indefinito di sorrisi sgargianti e di mani che salutavano con entusiasmo, e non poté fare a meno di scoppiare a ridere e mostrare un pollice all’insù, per dire: è andata bene!
Senza che se ne rendesse conto, allora, Sirius, Robert e Harry uscirono di casa di corsa, seguiti a ruota da Aaron, Fred e Kayla, e la abbracciarono con entusiasmo sollevandola da terra, in una risata generale.
 
Fred si schiarì la voce.
Anastasia si voltò di scatto, allontanando il telefono dall’orecchio e tirando un sospiro di sollievo quando riconobbe il cognato.
«Siamo ancora nella fase in cui ti nascondi per telefonare?» scherzò il rosso.
Anya tirò un profondo sospiro e mostrò a Fred un’espressione tesa.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» si preoccupò allora Fred.
«Draco è sparito» confessò allora lei in un sussurro. «Lunedì … ha ricevuto delle lettere, e ha fatto una faccia strana. Ha detto che sono dei problemi che gli ha lasciato suo padre, ma era chiaro che stesse mentendo. Poi è venuto al parco con i bambini e …»
«Ha conosciuto i bambini?!» si stupì.
«Non sapevo che sarebbe arrivato!» si giustificò subito lei. «E dopo è sparito! Sono due giorni che non risponde al telefono, non so dove sia, non so se sta bene, se è in qualche guaio, se ha a che fare con quelle lettere,e sto impazzendo
Fred si mostrò seriamente preoccupato. Guardò l’orologio da taschino, poi si voltò verso la loro famiglia in festa. «Ed è per questo che non ti godi il successo strepitoso del tuo esame?»
«Devi smetterla di dire strepitoso, mi dai sui nervi» ringhiò lei. «Sai cosa sarebbe “strepitoso”? Che mi rispondesse al telefono, o quantomeno che mi mandasse un messaggio!»
«Perché, sa farlo?» sorrise il rosso.
«Fred, non è il momento» ringhiò lei, risultando tremendamente simile a Kayla e Martha – e Padfoot.
«Okay, d’accordo, scusa. Allora, ehm, concentriamoci sul problema» disse quindi, accarezzandosi il mento con fare pensieroso. «L’elfo? Chiedi all’elfo!»
«Non può dirmi niente»
«Blaise?»
«Non lo tradirebbe mai!» si lamentò lei. «E poi non saprei dove trovarlo!»
«Oh, questo non è un problema»
Anya corrucciò la fronte.
«Ti ci porto io» spiegò il rosso. «Appena possibile, s’intende» disse poi, accennando con il capo alla festa alle loro spalle.
Anya sospirò di nuovo e si lasciò cadere sulla spalla di Fred, che l’abbracciò immediatamente e lasciò che si pulisse il naso nel suo maglione.
«Strepitoso» sorrise il rosso, mentre fingeva una faccia schifata ma era in realtà contento di essere riuscito a strapparle un mezzo sorriso.
 
La casa di Blaise non era grande, ma neanche piccola. Non c’erano pavoni in giardino e non c’erano cancelli che una volta erano stati incantati, ma questo non impediva al giardino e al vialetto d’ingresso di essere imponente, freddo e a tratti inquietante, ed il buio non giocava certo a favore di un’atmosfera accogliente. Anastasia camminava accanto a Fred, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta e se Draco avrebbe mai fatto lo stesso per lei. Mancavano una manciata di passi, quando il telefono che teneva nella tasca del cappotto prese a suonare con insistenza. Lei, istintivamente lo prese in mano pronta a spegnerlo, ma il nome sul display la costrinse a fermarsi e a perdere un battito, afferrando il braccio di Fred con decisamente troppa forza.
Draco.
Rimase a fissare lo schermo.
«Rispondi, no?» la incitò Fred.
Lei guardò il rosso e portò il telefono all’orecchio. «Draco?»
«Sono io» sbiascicò lui dall’altra parte, riuscendo a malapena a distinguersi da un brusio di sottodondo.
«Dove diamine sei?» domandò allora lei, notando un certo trambusto sotto alla sua voce.
«Sono a bere un Whiskey alla Testa di Porco» rispose allora Draco, pronunciando ogni sillaba con fatica.
«Alla Testa di Porco?» si stranì lei. «Ma con chi sei?»
«Non ti preoccupare, Black»
Le luci nella casa davanti a loro si accesero, una finestra del pianterreno si spalancò e Blaise si affacciò con sguardo incuriosito. In un immancabile POP, si Materializzò accanto a loro.
«Non ti preoccupare?!» ringhiò lei. «Per le mutande di Merlino, Draco! Non ti rendi conto?» 
«Senti, posso capire che tu sia preoccupata, ma … io, insomma … non …. Cazzo, è difficile, e poi tutto quel Whiskey!» si lamentò. «Dove sei?»
«Da Blaise»
«Da Blaise?»
«Sono venuta a cercarti!» si difese lei.
Lui rise nervosamente. Poi, dei rumori indistinti, e lui si schiarì la voce. «Ho vomitato» ammise, sbiascicando. «Non sono più quello di una volta»
«Ti vengo a prendere» decretò Anastasia. E chiuse la telefonata. 


NdA (questa volta discretamente utili): sì, ho finito i collage. Per ora riciclo, poi provvederò. 
Poi: siccome amo lasciarvi piccoli spoiler, nelle risposte alle recensioni allo scorso capitolo con qualcuno mi sono lasciata sfuggire che "tra un paio di capitoli" Anya avrebbe dovuto fare i conti con la sua famiglia. Ecco, come al solito, chi ha fatto i conti male sono io, perchè Anya dovrà affrontare Harry e Robert nel capitolo 25 e Kayla nel 27, quindi sono "un paio di capitoli" a partire da questo, giusto per essere precisi. 
Questo, ovviamente, non significa che il prossimo capitolo non sarà comunque pieno di colpi di scena. 
Colgo l'occasione per ringraziarvi di cuore per le recensioni: mi scrivete che miglioro il vostro lunedì ma non avete idea di quanto voi miglioriate il mio. Adoro ogni singola riga delle vostre recensioni, sia di quelle di chi recensisce ogni capitolo che di quelle di chi non aveva mai osato recensire o di chi mi racconta di leggermi in silenzio dai primi tempi di Più di ieri. Adoro chi mi scrive nei messaggi privati e chi mi cerca su instagram e wattpad (mi diverte immaginarvi mentre vi chiedete che faccia abbia piccolo uragano, che tipo di vita io possa avere e per cosa stia quella C con cui amo firmarmi); tutto questo mi dà carica, forza, voglia di fare e soprattutto voglia di credere in me e in questo mio piccolo "talento". 
Ecco, ora credo di avere detto tutto - se non rendo le mie NdA discretamente inutili non sono contenta.
Baci stellari e buon lunedì a tutt*!
Fatto il misfatto, 

C

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Capitolo 25
*** maledizione ***




24. 
maledizione

Draco fu svegliato dal suo stesso alito, e questo, si disse, non poteva che essere di pessimo auspicio. Mentre strizzava gli occhi e si rendeva conto di quanto fosse difficile avere a che fare con tutta quella luce, realizzò di sapere di vomito e di avere un mal di testa terribile, che mai aveva avuto in anni di onorevoli e più che rispettose sbronze. Mentre raccoglieva tutte le sue forze per mettersi a sedere, realizzò di non essere a casa sua, e che i colori che riempivano quelle pareti erano ben diversi da quelli che invece riempivano le mura della Malfoy Manor. Prima di potersi mostrare schifato dagli stemmi rossi e oro o dai poster di modelle babbane o dal disordine, si impegnò a mettere a fuoco la figura seduta ai piedi del letto in cui aveva dormito per un numero indefinito di ore.
Sebbene sentisse di poter giurare di aver visto Anastasia arrabbiata varie volte, la versione della piccola Black che si trovò davanti era decisamente peggio di ogni suo ricordo o aspettativa. Braccia conserte, sguardo fisso, e una netta delusione stampata in fronte. Quella faccia, pensò, avrebbe decisamente spaventato anche Voldemort in persona.
Cercò di dire qualcosa, ma mentre si sforzava di ricordare come mutare i pensieri in suoni, sentì un bruciore in gola – oh, ci mancava solo questa!
«Se ciò che hai da dire non sono scuse o spiegazioni» disse allora lei. «Puoi decisamente risparmiarti il fiato, stupido troll»
Draco corrucciò la fronte senza rendersene conto. Quel tono freddo non le apparteneva, e per un secondo gli parve di non riconoscerla. Si schiarì di nuovo la voce e riuscì a sussurrare un «Che ore sono?» mettendosi seduto e cercando disperatamente un orologio.
«È l’ora delle spiegazioni» sputò di nuovo lei, senza mutare espressione. «Sei sparito per tre giorni, tre giorni!» Anya si alzò dal letto e si posò una mano sul fianco per mettersi a guardare fuori dalla finestra.
Draco, sul comodino, anziché un orologio trovò una foto magica – quello era Harry Potter? No, niente cicatrice. Si avvicinò per vederla meglio. Quattro ragazzi si abbracciavano ridendo nel cortile di Hogwarts. In uno riconobbe Robert, Kayla e Anya in ugual misura, e vide anche delle tracce di sua madre e sua zia Bellatrix. Il giovane Sirius passava un braccio attorno ad un Harry Potter senza cicatrice e con gli occhi scuri, mentre un giovane ma già patito Remus Lupin alzava le sopracciglia e diceva qualcosa a quello che, senza dubbio, era un versione felice e mano-munito di Peter Minus. Istintivamente, fece per allungare la mano verso la foto, ma vide Anya afferrarla con più velocità.
«Loro non ti riguardano» ringhiò di nuovo, appoggiando con cura la foto ad una cassettiera piena di polvere e tornando a guardare fuori dalla finestra, passandosi una mano sul viso. «Hai intenzione di dirmi qualcosa, o ti devo Maledire?»
«Non-»
«Non mi sfidare» rispose di scatto lei voltandosi. «Perché ho passato più di dieci ore guardandoti dormire, e ho ripassato tutte le maledizioni che conosco»
«Anastasia …» sospirò mettendosi di nuovo seduto. «Cosa … cosa è successo?»
«Ti sei scolato più Whiskey Incendiario di ogni altro mago nella storia» spiegò lei con disappunto. «Aberforth era preoccupato, ma non so come tu sei riuscito a telefonarmi e siamo corsi a prenderti»
«Siamo
«Io, Fred e Blaise»
«Blaise?!»
«Ero da lui, quando mi hai chiamata»
«Eri … eri da Blaise? E perché mai?»
«Ero venuta a cercarti, razza di scemo!» alzò i toni lei allargando le braccia. «Tre giorni senza sapere dove fossi! Tre dannati giorni! Kora non poteva dirmi niente, a casa non c’eri, al telefono non rispondevi mai e io avevo quel dannato esame! Ero disperata!» scosse la testa e allacciò di nuovo le braccia sul petto, lasciando il peso su un fianco per battere sul vecchio pavimento di legno con il tallone.
«Siete venuti a prendermi?» domandò lui con un filo di voce.
«Credimi, vedendoti adesso, avrei preferito lasciarti lì a morire nel tuo stesso vomito»
«Ho vomitato» concluse lui, trovando una spiegazione a quell’alitosi.
«Avevi già vomitato quando siamo arrivati, ma Fred ti ha fatto vomitare di nuovo per sicurezza»
«Fred
«Fred!» affermò lei spalancando gli occhi. «Dopo che siamo fuggiti dalla cena a casa mia per venirti a cercare da Blaise!» sbraitò. «Per le mutande di Merlino, Draco, perché la diciottenne sono io ma quello che si ubriaca nei pub sei tu
Lui prese un respiro profondo. «Avevo … avuto una terribile giornata. Più di una, in effetti. E avevo molto … a cui pensare»
Nel momento in cui lo disse, si rese conto di averla ferita ancora di più. Anya scosse la testa impercettibilmente e lui fu sicuro di vedere un velo di lacrime dietro i suoi occhi.
«Draco, te lo chiedo per l’ultima volta» disse allora in un soffio. «Dove sei stato?»
Fu lui, allora, a cercare il suo sguardo per scuotere la testa e sentì che anche dietro i suoi occhi c’erano delle lacrime di puro e straziante dispiacere.
Anastasia, del tutto inaspettatamente, tornò verso il letto di fretta per sedersi davanti a lui. «Draco, non … non c’è niente di cui tu non possa parlare con me. Niente, te lo giuro» a quel punto, una lacrima le rigò il viso angelico, e lui sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi davanti alla consapevolezza di essere l’artefice di quel dolore. «Io voglio … voglio rimanerti accanto, qualsiasi cosa accada. Possiamo andare dove vuoi, possiamo fuggire anche subito e …» lui fece per asciugarle la guancia e lei lo precedette, come per volersi scusare di quel pianto. «Non posso aiutarti, se non so cosa succede» disse. «Ha a che fare con me? Ho fatto qualcos-»
«No» la fermò allora lui. «No, Anya, io … non ha niente a che fare con te, e io non voglio che abbia niente a che fare con te» una frase tanto lunga gli sembrò costare uno sforzo immenso.
«E allora?» domandò lei. «Possiamo affrontare tutto. Tutto! Lo sai. E se è per … per i bambini, o per i miei, o per i miei fratelli, glielo dirò oggi stesso, e gli farò cambiare idea su di te, e …»
Lui, di nuovo, scosse la testa con aria mortificata.
«Draco, te ne prego» lo implorò di nuovo allora lei. «Cosa sta succedendo?»
Draco sospirò e si avvicinò a lei per pulirle la guancia. Anastasia, però, si alzò di nuovo e si allontanò dal letto. «Hai fatto qualcosa di male?»
Draco scosse la testa.
«Sei … sei in pericolo?»
Di nuovo, lui negò con un cenno.
«E non me lo vuoi dire»
«Non posso»
«Potresti, invece» sospirò lei.
«No, amore mio» anche il suo tono si spezzò. «Vorrei, ma non posso»
«Potresti, ma non vuoi» ritrattò lei. «Perché non c’è niente che tu non possa dirmi, e lo sai. Io … ti ho presentato i miei nipoti, ti ho portato al castello con i Lupin e Nicole, e … ti ho cantato la canzone di Rose» accennò un sorriso che non aveva niente di felice. «Pensavo … che fossimo allo stesso punto»
«Sai che è così»
«No» rispose lei secca, voltandosi di nuovo verso la finestra. «Esci»
«Non stavo cercando di Leggerti»
«Esci da casa mia, stronzo»
Draco ci mise qualche secondo per uscire da quel letto, cercando di non soffermarsi a pensare che fosse il letto di gioventù di Sirius Black. Finse di sistemarsi la camicia, raccolse le scarpe ai piedi del letto, e con un colpo di bacchetta sistemò la questione dell’alito. Fece attenzione a fare tutto con meticolosa attenzione, mentre Anastasia rimaneva immobile a guardare fuori dalla finestra, trattenendo il pianto ed il respiro. Quando recuperò il maglione, si voltò a guardare la sagoma di Anastasia e rimase qualche secondo immobile come lo era lei, come per volersi mettere sulla stessa linea d’onda e farle capire che, per quanto a lei potesse apparire sbagliato quello che in quel momento lui le stava facendo, in realtà ai suoi occhi fosse la cosa più giusta, leale e protettiva che avesse mai fatto in più di trent’anni.
«Anastasia Elizabeth Helen Black» disse, sulla soglia.
Lei si voltò lentamente, mostrando senza timore uno sguardo pieno di dolore. «Dimmi cosa sta succedendo»
«Non posso»
Anya si coprì naso e bocca con le mani. «Ci sono … ci sono innumerevoli cose che non mi sarei mai aspettata, da questa vita. E tu fai parte di moltissime di queste. Non mi sarei mai aspettata di trovarti, di trovarmi in te e di regalarti così … così tanti piccoli pezzi di me, che adesso mi guardo allo specchio e vedo anche te, e se ti guardo, vedo anche me. Però mi sarei aspettata di valere per te quello che tu vali per me» guardò verso il soffitto per ricacciare indietro le lacrime.
Draco sentì il chiaro istinto di fermarla. «Tu sei – sei la cosa più bella che mi sia successa negli ultimi trent’anni, Anastasia»
«Eppure, non sono abbastanza per sapere cosa fai o dove sei» sospirò lei. «Ecco, un’altra cosa  che non mi sarei mai aspettata è …» lo guardò dritto negli occhi così intensamente che gli fece male. «è di innamorarmi di te, eppure … di odiarti così tanto in questo momento da non poter sopportare di averti davanti agli occhi»
Draco sentì quelle parole, così semplici e così importanti, colpirgli il cuore come una freccia, e si trovò ad ammettere che avrebbe preferito una di quelle maledizioni da lei menzionate poco prima. Almeno, per quelle c’era rimedio – quasi tutte, quantomeno. Ma quelle parole erano peggio di tutte le maledizioni che conoscesse, perché era la sola maledizione a ledere entrambi, e in modi irreparabili.
Avrebbe voluto rispondere, sentiva che avrebbe dovuto e voluto farlo, sentiva di doverglielo, ma sentiva anche che c’erano delle promesse fatte a sé stesso pochi giorni prima che andavano mantenute, e la più importante di queste era lasciare fuori Anastasia da tutta questa storia.
Così, promettendosi per l’ennesima volta di tenere fede solo a sé stesso, prese un respiro profondo, e piegò gli angoli della bocca in un velo di tristezza. Scosse la testa, si infilò il soprabito di renna e voltò le spalle a quella stanza rossa e oro, e a quella ragazza a cui avrebbe voluto dire troppe cose, ma se c’era una cosa che aveva imparato quella mattina, era che trasformare i pensieri in parole era davvero, davvero complicato.
Lasciò la stanza sentendo il cuore e la testa oltremodo pesanti, e sicuramente non era colpa dei postumi. Si costrinse a mettere un piede dietro l’altro, scendere le scale senza cadere, urlare, inciampare, piangere, sbraitare o addirittura radere la suolo quella casa vecchia di secoli. Raggiunto l’ultimo gradino, dalla cucina vide uscire Blaise, che gli mostrò un’espressione scocciata.
«Non dire niente» gli chiese il biondo in un sussurro.
«Oh, amico, non c’è niente che io ti possa dire» rispose Blaise. «Credimi, fai già abbastanza pena senza che io dica niente. Hai preso tutto? Ti porto a casa»
Draco non riuscì ad obbiettare. Abbassò la testa e aspettò che Blaise gli facesse strada, non riuscendo a non guardare su per le scale, ma trovando solo polvere e teste di elfi.
 
«Sono stata così scema!» Anastasia nascose il viso tra le mani, seduta sul divano di velluto. «Non si dice una cosa del genere in quel modo!»
«Anastasia, non credo esistano regole sull’argomento» le disse Minerva, seduta sulla poltrona da Preside. «Se hai detto quello che sentivi in quel momento, hai fatto bene»
«Ma non era quello che sentiva lui!» si lamentò ancora lei.
«Non m’importa, di quello che sentiva o sente lui. Tu sei stata sincera, come lo sei sempre»
Anya si alzò dal divano di scatto, emettendo un suono simile ad un ringhio e saltando sul posto. «Minnie, ho fatto una stronzata, per Morgana, una grandissima stronzata! Non mi devi sempre elogiare! Perché per una volta non mi dici che ho fatto una stronzata?!»
Anche Minerva si alzò, notando che i toni della figlioccia si erano accesi. «Calmati» le impose, con tono fermo. «Quando sarà il momento di sgridarti, non mancherò. Quando penserò che tu abbia sbagliato, sarò la prima a fartelo notare»
Anastasia si rimise seduta, con le braccia incrociate e l’espressione di una bambina colta a rubare la marmellata.
«Ma ti proibisco di pensare di avere sbagliato, in questo caso: hai confessato al ragazzo che ami i tuoi sentimenti, e l’unica a non essersi accorta che tu fossi innamorata, Anastasia, eri tu»
«Avrei dovuto lanciagli una qualche maledizione e lasciarlo a morire alla Testa di Porco» borbottò lei. «Adesso starei meglio»
«Ecco, questa sarebbe stata una stronzata»
Anya spalancò gli occhi.
«Non dire a nessuno che l’ho detto, ma non c’erano altri modi per esprimere le dimensioni colossali di un errore del genere»
Allora si lasciò cadere sullo schienale del divano e fissò il soffitto. «Forse questa giornata non è mai esistita» concluse. «Forse sto sognando. O forse sono morta!»
«O, forse» suggerì la madrina. «Stai crescendo»
«Sì, ma tu hai detto una parolaccia»
Minerva sapeva che, in un altro momento, Anastasia avrebbe riso tantissimo. Vista la situazione, si accontentò di vederle piegare gli angoli della bocca e scuotere la testa, lieta di averle dato un momento di leggerezza.
La giovane Black, poi, passandosi una mano sul viso, in fronte e poi tra i capelli con aria nervosa, non poté evitare di alzare lo sguardo e notare, non meno di un metro sopra la sua testa, un paio di occhiali a mezzaluna che celavano uno sguardo orgoglioso e commosso di un mago di cui non aveva ricordi materiali, ma solo racconti e affetto da persone per lei più che importanti. Si alzò e senza mostrare la minima esitazione, si posizionò sotto al quadro di Albus Silente, esattamente come aveva fatto qualche mese prima, ma con intenzioni, idee e sentimenti completamente diversi. Non gli disse niente, ma rimase a guardarlo per non meno di un minuto. Poi, dopo aver retto lo sguardo egregiamente, si voltò verso Minerva.
«Posso andare dai miei cugini?»
 
«Gli hai praticamente detto di andarsene» contestò Lyall.
«Sei il solito» si lamentò Nicole. «Poteva risponderle»
«Ma lei gli ha detto di andarsene!» replicò il più giovane. «Voglio dire, gli ha detto di essere innamorata e di non sopportare di averlo lì: sono due messaggi troppo diversi per una sola frase! Io probabilmente sarei rimasto lì in piedi a cercare di capire come reagire per delle ore
«Tu non fai testo, Lyall» gli disse il fratello. «Hai la capacità emotiva di un calderone»
«Questo non è vero» si lamentò allora Lyall. «Io seleziono molto bene le cose e le persone per cui sprecare e impegnare emozioni»
«E il novantacinque percento di queste cose accuratamente selezionate riguarda il Quidditch» sbuffò Nicole.
«E il restante cinque percento siamo noi tre» aggiunse Ted.
«E infatti sono quello che soffre di meno!» esclamò Lyall.
«Cazzo, Lyall, ricordami di chiederti consigli più spesso!» ironizzò Anya, con lo sguardo comunque rivolto verso il Lago, senza girarsi verso di loro.
«Tecnicamente non hai chiesto consigli» le fece notare la cugina. «Hai raccontato la tua ultima stronzata e poi ti sei fumata mezzo pacchetto guardando il Lago»
«Sto pensando» spiegò Anastasia, spazientita.
«Non ha senso piangere su pozione bevuta, mon amour» le rispose allora Nicole.
A quel punto, Anastasia si voltò verso di loro con espressione perplessa. «E allora cosa dovrei fare?»
«Smettere di dare messaggi ambivalenti» si intromise Lyall.
Nicole e Ted scossero la testa.
«Forse dovresti capire cosa senti davvero» ipotizzò Ted. «E poi andare a chiarire»
«Magari prima della prossima partita» aggiunse Lyall.
«Lyall!» lo sgridò il fratello.
«Che c’è? Ci hanno sempre portato fortuna! E le bevute post partita erano davvero divertenti!» si guardò attorno e colse il gelo che era sceso tra loro. «Tranne l’ultima volta, s’intende. Dannati Scott»
Anya scosse la testa e accennò un sorriso. «Non credete che abbia fatto una stronzata?» chiese quindi, guardando i suoi consiglieri più fidati.
«Io credo che tu abbia dato due messaggi troppo contrastanti» le disse di nuovo Lyall. «Ma non credo che sia una stronzata: insomma, hai fatto e detto quello che ti sentivi, no? Ecco, allora non può essere sbagliato»
«Per quanto mi costi ammetterlo» aggiunse allora Nicole. «Lyall ha ragione: non è stata una mossa saggia, non la trovo una cosa irreparabile»
«E poi» concluse Ted. «Non esistono emozioni sbagliate. Me lo hai insegnato tu, ricordi? Se senti certe cose, c’è un motivo. Forse tu non lo vedi, perché non sei pronta o perché non hai cercato nei posti giusti, ma c’è un motivo»
«Ti ho insegnato questo?» si stupì Anya.
«Questo e un sacco di altre frasi che uso per beccare»
Anastasia sorrise e allargò le braccia. E loro tre, come in una danza, si avvicinarono e la abbracciarono quasi fino a farle male.





NdA: se vi sentite gasati per questo capitolo e quelli che arriveranno, sappiate che io lo sono almeno il doppio.
E friendly reminder che non esistono emozioni sbagliate, ricordatevelo sempre (e ricordatelo anche a me, se vi capita). 
Buona settimana a tutt*!

fatto il misfatto, 
C

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Capitolo 26
*** scelte ***


Che cosa non andasse non lo so 
forse l'ho amata troppo 
e troppo non si può, 
ma c'è un inverno in ogni primavera
per questo l'ho cercata fino a sera
(Brunori Sas, colpo di pistola)



25. 
scelte



Anya era pronta a salire due a due i gradini che la separavano dall’imponente porta della Malfoy Manor, quando questa si aprì, rivelando una donna dai capelli argentei e lo sguardo gelido.
La somiglianza con nonna Andromeda la spiazzò, in un primo momento, costringendola a strizzare gli occhi per vederla meglio. Era chiaro che quella non fosse Andromeda Tonks perché Andromeda era una donna piena di vita, di idee e di colori. Non smetteva mai di sorridere o di parlare, e ogni giorno indossava un colore diverso, rendendogli onore.
La donna che aveva davanti, invece, pareva non aver mai indossato alcun colore, se non il nero. Pareva anche che non sorridesse da anni, e che fosse a disagio almeno quanto lei, vista la sua posa rigida e il modo in cui teneva le mani allacciate sotto il seno.
Si bloccò, con il piede fermo a mezz’aria, pronto per saltare. «Oh, chiedo scusa» disse subito allineando i piedi e portando le mani dietro la schiena. «Non volevo disturbarla, cercavo Draco»
«Lo so bene che cercava Draco, cara» rispose lei, squadrandola. «Ma Draco non c’è»
Anya si sforzò di mantenere la testa alta e lo sguardo fermo, ammettendo a sé stessa di avere più paura di Narcissa di quanta non avesse di affrontare un drago.
«Grazie per avermelo detto, signora Malfoy»
«Non credo che Draco ci abbia mai presentate» continuò lei, quasi come se non la stesse minimamente ascoltando, ma senza nascondere di stare aspettando quel momento da settimane. «Posso sapere il suo nome, così da dirle che è stata così gentile da passarlo a trovare?»
«Mi chiamo Anastasia» disse lei tutto d’un fiato.
«Anastasia come?» domandò di nuovo Narcissa, incarnando un sopracciglio per squadrarla di nuovo. Lei si pentì di quei jeans strappati e di quella maglietta che le arrivava a malapena all’ombelico, della giacca di pelle e del trucco del giorno prima che le segnava le occhiaie, di non essersi pettinata, di non sentirsi preparata, di avere la percezione di essere nel torto marcio, quando invece era corsa alla Malfoy Manor dopo ore passate a riflettere, con tutte le migliori intenzioni.
Narcissa la guardò dritta negli occhi, trovandoli identici ai suoi. «Anastasia Black, dico bene?»
Anya chiuse gli occhi.
Colpevole.
«, signora»
«Lo sospettavo» sospirò Narcissa. «Anastasia, lei è sorprendentemente giovane, inaspettatamente bella, e da quello che si dice, incredibilmente intelligente»
Anya deglutì, convinta che, a quel punto, Narcissa avrebbe estratto la bacchetta dalla manica del vestito da strega e l’avrebbe resa una statua da giardino. E così la sua vita sarebbe finita in quel momento, da lì al resto dell’eternità sarebbe servita solo a reggere un tavolino sopra le proprie spalle, passando le giornate in attesa che qualcuno andasse a berci un tè, senza notare che quel tavolo non aveva gambe, ma una statua che assomigliava a qualcuno che un tempo era stata Anastasia eccetera eccetera Black.
«Non mi è chiaro perché da parecchie settimane si ostini a frequentare mio figlio, e casa nostra» continuò. «Ciò che mi è chiaro, e mi auguro che sarà chiaro anche a lei dopo la nostra conversazione, è che mio figlio ha fatto la sua scelta. E, per quel che mi riguarda, ha fatto la scelta giusta» si concesse qualche secondo di pausa teatrale. «Se però ha così fretta di vederlo, posso darle l’indirizzo della cara Astoria Grengrass»
Fu come sentire tutte le vetrate della casa rompersi in mille pezzi nello stesso momento. E fu come se tutte le stessero cadendo addosso, ma nessuno, a parte lei, potesse sentirle o vederle. Eppure, era chiaro: andava a sangue, più o meno ovunque. Sarebbe svenuta, da un momento all’altro. O almeno, questo era quello che era sicura di percepire.
Avrebbe voluto avere il sangue freddo di sua madre, per non tradire espressioni, o la faccia tosta di suo padre, per rispondere prontamente, in quel momento. Si trovò a sentirsi però straordinariamente sola e indifesa, davanti a quella realtà così evidente e così cruda.
«Astoria Greengrass» ripeté, abbassando notevolmente il tono di voce. «Perché è lì che Draco si trova, giusto?»
Narcissa sembrò accennare un sorriso. «Vede, l’ho detto: lei è incredibilmente intelligente»
Anastasia annuì e fece un passo indietro e un respiro profondo. «Signora Malfoy, per favore, non dica a Draco di avermi vista qui, oggi»
Narcissa sembrò non aspettarsi affatto quella richiesta. «Ne è sicura?»
La ragazza annuì. «Come ha detto lei, ha fatto la sua scelta»
Narcissa esitò di nuovo qualche secondo. «Farò come desidera, allora» 
Anya annuì e accennò una riverenza. In una frazione di secondo, scomparve. Narcissa rimase a fissa il giardino, indecisa sul da farsi, decisamente spaesata da quella nobile richiesta.

Robert la vide arrivare. Scese dalla scala con un balzo troppo alto persino per lui, attraversò il piccolo magazzino a grandi passi, e la abbracciò prima che potesse dire qualsiasi cosa. La strinse forte, premendole l’orecchio sul suo petto, sperando che il suono del suo cuore la potesse in qualche modo calmare. Le accarezzò i capelli e ciondolò a destra e a sinistra, come per cullarla, in ricordo dei tempi in cui cullarla era stata la sua pozione magica, il modo più dolce e più efficace per farla smettere di piangere.
«Va tutto bene» ripeteva, mentre lei gli macchiava la camicia e singhiozzava. «Va tutto bene, Anya, ci siamo noi, adesso. Ci sono io, adesso, e nessuno potrà farti nulla, te lo prometto»
Nel momento in cui Ron aprì la porta del magazzino, si trovò davanti a quella scena terribilmente dolce. «Chiama Fred!» gli urlò Robert. Urlò, ma senza voce. Probabilmente, l’avrebbe spaventata ancora di più.
Continuò a cullarla, a baciarle i capelli, e a sentire la banale voglia di proteggerla da ogni male. Avrebbe voluto poterle dire di nuovo che era tutto un brutto sogno, che non c’era nessun mostro sotto al letto, che era solo un brutto voto, che Ted le avrebbe sicuramente chiesto scusa, o che Nicole non intendeva dire quello che aveva detto. Avrebbe voluto poterla salvare anche da quello, qualsiasi cosa fosse, ma la verità era che più il tempo passava, meno si sentiva capace di capire e proteggere quella che sarebbe sempre stata la sua sorellina.
«Ci sono io» ripeté, constatando che quella fosse la sola unica verità. Perlomeno, l’unica che lui sapesse. E gli bastava.
Fred apparve alla porta con aria preoccupata, si passò una mano nei capelli e disse qualcosa a George, dietro di lui, con tono nervoso. Si avvicinò ai fratelli Black con passo lento, quasi come se avesse paura di rompere Anastasia in mille pezzi.
Afferrò il braccio di Robert e mise una mano sulla spalla di Anastasia, e si Smaterializzarono.
Il salotto di casa Black li accolse con il solito calore. Anya si staccò da Robert per guardarsi attorno e notare solo in quel momento la presenza di Fred che chiudeva la porta blindata dietro di sé, e alla vista della sua espressione dura, piangere ancora più forte.
«Ti ha fatto del male?» domandò, con le mani sui fianchi.
«N-no» singhiozzò lei.
«Chi ti avrebbe dovuto fare del male?» domandò Robert, mentre il gatto gli si strusciava tra le gambe.
«Ti ha trattata male?» chiese allora Fred, Appellando una scatola di fazzoletti per porgergliela.
«Oh, Fred …» singhiozzò di nuovo lei lasciandosi cadere sul divano. «Fred, sono una povera scema
«Mi pare evidente che Fred sappia qualcosa che io non so» iniziò a spazientirsi Robert.
«Gli ho detto che mi sono innamorata, capisci? Sono una povera scema!» strillò di nuovo lei, affondando il viso in uno dei fazzoletti di carta.
«E lui che ti ha detto? Che non sa nemmeno cosa voglia dire?»
Si portò una mano sul viso, come se si vergognasse. «Non ha detto niente! Niente
«Sto per urlare» annunciò Robert con fermezza.
«Robbie, mi … mi dispiace tanto! Io avrei v-voluto dirtelo, davvero, d-dal primo momento, ma … non c-ci riuscivo! Ci provavo, e n-non ci riuscivo!» 
Robert palleggiò lo sguardo da Fred ad Anya, mostrandosi sempre più preoccupato.
«Sei tornata con Edward?» chiese, appena sussurrando.
«Non c’entra Edward» sorrise Fred, mentre in cucina un tè iniziò a prepararsi da solo con un solo colpo della bacchetta del rosso.
«Perché tu lo sai e io no?» domandò allora Robert, mentre Anya si soffiava nuovamente il naso. «Voglio dire, perché sei riuscita a dirlo a lui e non a me
«Non me lo ha detto» spiegò Fred. «Li ho visti per caso»
«Ma visto chi?» strillò Robert.
Si maledisse per avere strillato, perché Anya prese a piangere più forte e lui avrebbe voluto dirle, in tutta sincerità, che non avrebbe mai fatto nulla per spaventarla. Non fece in tempo a scusarsi, perché in quel momento, Harry, con nei capelli più gel del solito, spalancò la porta di casa, in viso dipinta la stessa espressione preoccupata di Robert.
«Sono stato al negozio» spiegò, avvicinandosi al trio e battendo una pacca amichevole sulla spalla a Fred e Robert. «Che cosa è successo?»
«Gli ha detto che lo ama» spiegò Robert, con finta sicurezza. «E lui non ha detto niente»
Harry strabuzzò gli occhi, mentre una tazza a forma di unicorno fluttuava verso il salotto, per posarsi sul tavolino davanti al divano.
«Niente di niente?» domandò quindi Harry, portandosi le mani sul fianchi.
«Niente di niente!» strillò Anya, abbracciando un cuscino.
«Terribile» commentò Harry. «Davvero terribile»
«Ma tu sai chi sia?» chiese Robert sottovoce, visibilmente pronto a strillare di nuovo.
«Beh … Edward, no?»
«No!» strillarono i tre all’unisono.
«Come no?» si stupì Harry. «Pensavo fossi … oh, Godric! Ho bisogno di un tè anche io» mosse un leggero colpo di bacchetta e si sedette sull’altro capo del divano. «Non lo sapevo, voglio dire, quando … quando, quando è successo? Quando hai incontrato qualcun altro? E poi perché non ce lo hai detto?»
Anastasia si rimise seduta composta. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Sapeva che avrebbe dovuto fronteggiare i suoi fratelli. Sapeva che da certe cose non si può scappare per sempre. Sapeva anche che prima o poi lo sarebbero venuti a sapere anche Martha, Sirius e Kayla, e poi anche Remus, Dora, Gabriel, Damian e Aaron, e dopo di loro, tutto il mondo magico e anche quello Babbano.
Tutti avrebbero saputo che Anastasia Black era una povera scema. 
Avrebbe dovuto raccontare a tutti di quando si era fidata di Draco Malfoy, e di come fosse stato l’errore più grande che potesse commettere.
Fece un respiro profondo.
Si asciugò di nuovo il viso, e con lo sguardo cercò la complicità di Fred. Il rosso annuì con dolcezza.
«Ci siamo conosciuti al Paiolo Magico, la sera … la sera in cui sono tornata dalla Spagna» iniziò. «Ero passata a salutare Hannah, era tardi, stava per chiudere. Lui era seduto a un tavolo, aspettava la sua ex, si erano dati appuntamento per chiarirsi»
Robert si  sedette su una delle poltrone, senza poter fare a meno di perdersi ad osservare le mille foto che Martha aveva appeso per il salotto. I momenti più felici della loro vita, dal primo giorno di scuola delle sorelle Redfort al matrimonio di Kayla e Fred.
«Faccio un tè anche per te» annunciò il rosso.
«Grazie» sussurrò Robert.
«Lui … aveva capito che lei non si sarebbe presentata. E si è alzato per uscire. Io ero seduta accanto all’ingresso, quando ha salutato Hannah, ci siamo guardati e ci siamo …»
«Innamorati?» domandò Harry.
«No, scemo» gli rispose Robert. «Solo nei film, succede così»
«Ci siamo riconosciuti» concluse Anastasia.
Le due tazze, storicamente appartenute a Robert e Harry, fluttuarono verso il tavolino.
«Mettici qualcosa sotto» si distrasse Harry. «Martha ci ammazza, se roviniamo il tavolino di Rose»
Fred immediatamente fece apparire tre tovaglioli di carta sotto le tazze.
«Riconosciuti?» ripeté Robert. «Vuoi dire che … che lo conoscevi già?»
Anya annuì, facendo un terzo respiro profondo.
«Ma non è Edward» ragionò Harry. Lei accennò un sorriso e scosse la testa. «Scusami, Anya, ma … non sono pronto ad un altro ragazzo!» si giustificò. «Insomma, lui … è durata una vita! E poi quando è finita sembrava la fine del mondo! E poi è anche tornato!» cercò lo sguardo di Robert e Fred.
«Non hai visto ancora niente» gli disse il rosso coprendo il sorriso con la mano, in piedi dietro di lui.
«E poi perché Fred lo sa già?» domandò ancora Harry.  «Perché io sono sempre l’ultimo?»
«Perché ci metti di più a metabolizzare» spiegò Robert. «Sei ancora sconvolto per Edward!»
«Certo che lo sono!» Harry si alzò in piedi. «Ma non imparerò mai a metabolizzare se non mi dite le cose! Sono stato persino l’ultimo a sapere che Hermione fosse incinta!»
«Ancora con questa storia?!» risposero i due Black con il medesimo tono.
«Cresci!» aggiunse Robert. «Tuo nipote ormai vola bene quanto te!»
«E io sono sempre l’ultimo a sapere le cose!» si lamentò lui di nuovo, rimettendosi seduto e passandosi una mano sui capelli pieni di gel. «Voglio dire, questo … questo ragazzo, chi è? Lo conosco? Quanti anni ha? Ti ha trattata male? Dobbiamo andare a dirgliene quattro?»
Anastasia sembrò ancora più spaventata, e di nuovo, cercò lo sguardo di Fred. «Harry, amico, respira» ordinò allora il rosso. «E dammi la bacchetta»
«Cosa?»
«Hai capito benissimo»
«Perché dovrei darti la mia bacchetta?!»
«Perché sei troppo agitato per avere il diritto di usarla»
«Ha ragione, Harry, dagli la bacchetta» gli diede man forte Robert.
«Anche tu, Robert» ordinò allora Fred.
«Ma io sono calmissimo!» si oppose lui, tradendosi lasciando salire il tono di troppe ottave.
«Ne riparliamo tra qualche minuto» sogghignò Fred. «Signori, le bacchette» tese la mano verso il centro e con uguale riluttanza, i due fratelli consegnarono quanto richiesto e tornarono a sedersi visibilmente scocciati.
«Okay, Harry ora puoi ripetere le domande»
«Ma non me le ricordo!» si lamentò lui, prima di trovare un richiamo severo nello sguardo di Robert. «Okay, ehm: quanti anni ha?»
Anya chiuse gli occhi. «Ha la tua età»
«Che cosa?!»
Sapeva che avrebbero risposto in coro.
«La mia età!»Anche la voce di Harry salì di parecchie ottave. «Anastasia!» la richiamò, ma prima della seconda sillaba, il richiamo assunse il tono di un lamento.
Anastasia aprì la bocca e cercò di dire qualcosa, ma non emesse alcun suono.
Il primogenito, allora, afferrò la tazza di tè e se la avvicinò alle labbra. Soffiò, e con l’intento di mostrarsi calmo, lo sorseggiò, scottandosi la lingua e trovandosi costretto a posare di nuovo la tazza sul preziosissimo tavolino di zia Rose.
«Bene, ha la mia età» ripeté Harry, sforzandosi di apparire tranquillo e di non alzare la voce. «Quindi ha fatto scuola con noi. O è un babbano?»
Lei accennò un sorriso. «Non è un babbano»
«Quindi ha fatto la scuola con noi!» esclamò Harry, saltando di nuovo in piedi, quasi contento davanti a quella logica conclusione.
Anya sentiva il cuore in gola. Silenziosamente, sperava che i suoi fratelli fossero abbastanza intelligenti da non costringerla a dirlo ad alta voce.
«Ora che il campo si restringe» ironizzò Robert, lasciandosi cadere sullo schienale della poltrona. «Anastasia, non vorrai che ci mettiamo a tirare ad indovinare?»
Per la terza volta, Anastasia cercò lo sguardo di Fred per una rassicurazione.
E lui, di nuovo, annuì con dolcezza, ma anche con decisione.
Anastasia fece un respiro profondo, senza nascondere il tremolio nella voce, nel respiro, e nelle mani.
«Mi sono innamorata di Draco Malfoy»
Robert rimase immobile.
Immobile, come se stesse rifiutando l’informazione tanto attesa.
Harry invece si lasciò cadere sul divano di nuovo, senza preoccuparsi del rumore, dei piedini del divano che rovinavano il pavimento, o di  spostarlo all’indietro. Si levò gli occhiali dal viso, portò i gomiti alle ginocchia, e si coprì il naso con i polpastrelli. Sul palmo della mano, la pallida scritta: non devo dire bugie.
«E lui … non ti ha risposto» aggiunse Harry, con voce così bassa che Fred a malapena lo sentì.
«Gliel’ho detto mentre stava uscendo» spiegò lei. «Avevamo litigato, lui … era sparito per giorni e non voleva dirmi dove fosse stato, e io ero furiosa. Non sopporto la sensazione che qualcuno mi nasconda, qualcosa, per via … beh, per via di Edward, ovviamente. Gli avevo chiesto di andarsene, di lasciarmi sola, ma mentre stava uscendo … gliel’ho detto, ho detto che ci sono una serie di cose che non mi sarei mai aspettata, e tutte riguardano lui. E la più importante, era che non mi aspettavo di innamorarmene e di … e di non sopportare di averlo davanti agli occhi, allo stesso tempo»
Robert sbatté appena le palpebre.
«Oggi sono tornata da lui per scusarmi, sia per la litigata sia perché … beh perché certe cose non si dicono così, ecco» continuò. «Prima che potessi bussare alla porta, sua madre mi si è parata davanti»
«Sua madre!» strillò di nuovo Harry, e per la prima volta anche Fred si mostrò scioccato. «E ti ha invitata a prendere il tè nei sotterranei dove tenevano prigioniera della gente?!»
Anya incassò il colpo. «Mi ha detto che Draco non c’era, e mi ha detto che sono … giovane, bella, e intelligente»
«Narcissa Malfoy?» si stupì Fred.
«… che non le è chiaro perché io frequenti suo figlio, ma che le è chiaro che lui ha fatto la sua scelta»
«Che scelta?» domandò Harry.
«E quindi se avessi avuto urgenza di vederlo, avrebbe provveduto a darmi … l’indirizzo di Astoria Greengrass»
Harry saltò di nuovo in piedi e si mise a camminare avanti e indietro per il salotto, esattamente come faceva Sirius quando era agitato.
«Ha scelto Astoria» sussurrò Fred.
«Ha scelto Astoria» ripeté Anastasia, mentre le lacrime le accarezzavano nuovamente il viso. «Robbie, per favore, dì qualcosa»
Robert, impercettibilmente, scosse la testa. «Sono passati mesi, Anastasia» sussurrò. «Perché non me lo hai detto?»
Anastasia si portò una mano sul viso, vedendo la sua più grande paura concretizzarsi: deludere le persone che amava. Deludere Robert, il suo porto sicuro, il suo più grande confidente, il suo primo amico, la persona da cui sapeva che sarebbe sempre potuta tornare.
«Per non vedere la faccia che hai adesso» ammise lei.
Robert piegò gli angoli della bocca. «Ti voglio bene, mostriciattolo»  ammise, strofinandosi il naso. «Non sono entusiasta, ho una gran voglia di prendere a pugni il muro e anche quello stronzo e forse anche te, ma voglio che tu sappia che ti voglio bene»
«Anche io, naturalmente» si aggiunse Harry, senza smettere di camminare avanti e indietro. «Ma non posso nasconderti della preoccupazione. Voglio dire, Kayla lo sa
«No» rispose Fred.
«Lo sapete solo voi, Nicole, Ted, Lyall … e Minerva»
Harry annuì, assumendo la sua famosa espressione misteriosa.
«E Narcissa» precisò Robert.
Anastasia si soffiò di nuovo il naso. «Ormai, che differenza fa?»
«Oh, Narcissa non sa tenere la bocca chiusa» spiegò Harry. «Ricorda che è pur sempre la sorella di Andromeda»
Robert alzò gli occhi al cielo e fece un respiro profondo. «Anastasia, non riesco ad evitare di ricordarti che Draco Malfoy sia una persona a dir poco spregevole» disse, come se non riuscisse a trattenersi. D’altronde, era il primogenito: doveva metterla in guardia, anche se in ritardo di mesi.
«Robbie, non …»
«Fammi finire. Non ricordo un solo momento in cui non ci abbia trattati come merda di drago, e quando si dimenticava di farlo, era solo perché era troppo impegnato a cercare di uccidere Silente facendosi parare il culo da Piton»
«Per favore»
«Senza contare che sono sicuro che tu abbia notato quel piccolo tatuaggio che ha sul braccio, e spero vivamente che non viva più nella casa in cui mia moglie è stata torturata»
«Robert, basta» lo richiamò Fred.
«Per non parlare di suo padre o di sua zia»
«Sono morti
«Anche zia Rose! E Malocchio! E un sacco di altra gente!» Anche Robert si alzò e si passò una mano nei capelli, senza riuscire a trattenersi dal camminare avanti e indietro, insieme a Harry, ma in due versi opposti.
«Tu credi che io queste cose non le sappia?» domandò lei, alzandosi in piedi per raggiungere lui e Harry.
«Evidentemente no
Harry, vedendo l’espressione affranta della sorellina, si sentì in dovere di intervenire. «Anastasia, quello che Robert sta cercando di dirti è che …»
«È che meriti di meglio, cazzo!» sbraitò il primogenito, tirando un calcio al nulla. «Meglio di Edward e sicuramente meglio di Draco Malfoy! Merlino, come fai a non accorgerti di quanto vali? Come fai? Non ti abbiamo fatto mancare mai niente! Sai bene quel meriti!»
Harry si portò di nuovo le mani sui fianchi. «Devo darti ragione, ma lo hai visto anche tu quanto è cambiato»
«Oh, intendi che ha smesso di far entrare Mangiamorte a Hogwarts? Grazie tante!» tirò un calcio alla scala di marmo e si maledisse per il male che sentì al piede.
«Mi ha salvato la vita, a Villa Malfoy»
«L’ha salvata anche a me» si intromise Fred.
«Lo ha fatto per Kayla!» protestò Robert serrando i pugni. «Anastasia, Merlino santissimo, meriti molto, molto di meglio di qualcuno che è sempre stato invaghito di tua sorella
«Ma pensi che io me la sia scelta questa cosa?» rispose Anastasia, infastidita. «Credi che volessi che succedesse?»
«Hai lasciato che succedesse!»
«Ti ho detto che non me lo sarei mai aspettato! L’ho detto anche a lui, prima di guardarlo uscire senza aprire bocca!» rispose lei con lo stesso tono isterico «E comunque non mi sembra che qui abbiamo grandi esempi di amori convenzionali!» si difese alzando il tono di voce ancora di più. «Tu hai sposato la migliore amica di tuo fratello, e Fred e Harry hanno sposato le sorelle dei loro migliori amici!»
«Nessuna delle nostre mogli è un’ex Mangiamorte!» rispose prontamente Robert, urlando più forte.
Harry ciondolò la testa avanti e indietro. «Narcissa ha detto a Voldemort che ero morto, per evitare che mi desse il colpo di grazia»
«Harry ma da che parte stai?» lo attaccò Robert.
«Sto cercando di mettere le cose su una bilancia!» si difese lui, mimando il gesto della bilancia con le mani.
«Beh, te lo dico io, il gioco non vale la candela!» replicò il primogenito.
«Lascia che sia Anya a deciderlo» si intromise Fred.
Robert allora se la prese con lui. «E tu perché cazzo non me lo hai detto?!»
«Gliel’ho fatto promettere io» lo difese subito Anastasia, mettendosi fisicamente tra loro.
«Ma che bravi!» rispose Robert acidamente. «I miei complimenti!»
Anastasia si sedette sulle scale di marmo, mentre i suoi fratelli continuavano a passeggiare in direzioni opposte ma con in viso le medesime espressioni.
«Perché Minerva lo sa?» chiese Harry.
«Ho … ho dovuto parlare con Silente, tempo fa»
«Con il ritratto di Silente, vorrai dire» rispose secco il Prescelto.
«Con il ritratto, sì»
«Kayla non può non saperlo» constatò Robert.
«Credo che questo sia un problema che potremo senz’altro affrontare quando ci saremo tutti calmati» gli rispose Fred, ancora in piedi in salotto con le mani dietro la schiena e le loro bacchette tenute ben strette.
«Mamma e papà?» domandò Robert. «Non lo sanno neanche loro, immagino»
«Non ne hanno idea» rispose subito Anastasia, mortificata.
«E come … come ti giustifichi
«Harry, è passato il tempo in cui mi fanno l’interrogatorio quando esco di casa»
Harry si guardò i piedi per mezzo secondo. «Non smetterò mai di fare l’interrogatorio a Lily»
«Mai» gli diede man forte Robert. Proprio mentre passava davanti alla porta blindata, suonò il campanello. Harry ci fece a malapena caso, mentre Robert spalancava la porta con aria furiosa.
Davanti a loro, Draco Malfoy, nel suo completo buono con un’espressione tra il basito ed il dispiaciuto.
«C-ciao» si trovò a balbettare. Poteva vedere chiaramente Harry e Fred dietro di lui. «Disturbo?»
Non poteva vedere Anya, e Anya non poteva vedere lui, ma lo poteva sentire più che bene.
«Moltissimo» rispose Robert con durezza. «Senza contare che la tua occasione l’hai avuta»
«La mia occasione?» si stranì Draco.
Harry si avvicinò alla porta. «Sei andato via, senza risponderle»
«Beh, pare che finalmente vi abbia raccontato tutto»
«Giusto adesso» rispose Harry acido.
«Si risponde, a certe cose, Malfoy» lo richiamò subito Robert. «Credevo che papino ti avesse insegnato le buone maniere, oltre alle Arti Oscure»
Anche Fred si avvicinò alla porta. «Basta così» decretò. «Malfoy, non credo sia il momento»
«C’è stato un equivoco» rispose subito lui.
«Oh! È tutto un equivoco?» domandò Robert. «Non stai con Anastasia, quindi? È un equivoco?»
«Mia madre è l’equivoco» specificò lui. «Vorrei parlare con Anastasia, per favore»
«Te l’ho detto, Malfoy: hai avuto la tua occasione»
«Potter, è stato un equivoco, e mia madre è stata una stronza, e …»
«Oh, musica per le mie orecchie!» esclamò Robert.
«Posso parlare con Anastasia, per favore?» ripeté lui.
«Credi davvero di averne il diritto?» replicò Robert.
«Voglio dire, tu lo sai che merita molto di meglio, vero?» lo incalzò Harry.
Draco si mostrò stupito. «Certo che lo so! Gliel’ho detto mille volte!»
«Perfetto!» rispose Harry. «Allora torna da Astoria!»
«Potter, se mi lasciassi spiegare …»
Si bloccò. Sulla soglia, dietro ai tre imponenti Grifondoro, apparve Anastasia. Il viso rigato dalle lacrime, nessun sorriso ad illuminarle gli occhi. Lo sguardo stanco e profondamente deluso. I tre si scostarono, per lasciarle lo spazio che, lo sapevano, si meritava.
Se inizialmente pareva dispiaciuto, Draco adesso sembrava mortificato. «Anya, ti devo parlare. Io non …»
Lei non disse niente.
Scosse la testa.
E chiuse la porta.
 



NdA: mi considero, ormai, una fanwriter espera. Non per la mia età anagrafica, ma per il tempo che ho passato accanto a questi personaggi, e che loro hanno passato accanto a me. Dopo quasi sei anni, dopo che la mia coppia del cuore ha dato al mondo quattro figli e dopo che mi sono trovata senza accorgermene a narrare delle vicende dei figli perchè loro avevano avuto il loro lieto fine, ecco, mi piace dirmi una fanwriter esperta; e, in quanto tale, vi confesso che i confronti sono le cose che mi stimolano di più, stando da questa parte della tastiera. Forse è per questo che per questo confronto ci è voluto così tanto: per il piacere dell'attesa e per aggiungere un po' di pepe al tutto. E poi perchè sono sì una fanwriter esperta, ma sadica, come amate dirmi a volte - e io vi ringrazio sempre, vuol dire che vi trasmetto tanto, e per me è la cosa più importante!
Tutto questo per dire che spero che questo capitolo abbia gasato voi quanto ha gasato me. 
Buon lunedì a tutt*, mettetevi la mascherina che dalle mie parti siamo già di nuovo in alto mare, e se mi ammalo non saprete come va a finire!

fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 27
*** vivi e lascia vivere ***


Avrai, avrai, avrai 
la stessa mia triste speranza 
e sentirai di non aver amato mai abbastanza;
se è amore, amore, amore avrai. 
(Baglioni, avrai)



26. 
vivi e lascia vivere

 
«Lo sai che non mi piacciono i tirocinanti» si stava giustificando Sirius Black, sul vialetto verso casa.
«Non ho detto che ti devono piacere» replicò sua moglie, cercando le chiavi nella sua storica borsa tracolla. «Ho detto che dovresti trattarli meglio! O quantomeno evitare di affidargli solo le scartoffie che tu non hai voglia di compilare!» sbuffò. «Non saremmo diventati gli Auror che siamo, se Malocchio …»
«Nessuno di noi sarà mai un insegnate al pari di Malocchio, Martha, per Godr – oh!»
Sirius estrasse di getto la bacchetta e la puntò senza timore verso l’intruso che aveva allertato i suoi sensi canini.
A pochi metri da lui, in piedi e con le mani alzate in segno di resa, l’ultimo erede Malfoy li guardava con aria mortificata. Non solo era, tecnicamente, nella loro proprietà, ma non sembrava esserci finito per caso. Il dondolo dietro di lui si muoveva avanti e indietro, a conferma del fatto che si fosse alzato di scatto per la sorpresa.
Sembrava proprio essere lì per scelta, e soprattutto, sembrava intenzionato a rimanerci.
Martha posò delicatamente la mano su quella del marito per costringerlo ad abbassare la bacchetta.
«Buonasera, Draco» disse poi con tono cordiale.
Sirius ringraziò in silenzio Merlino e Morgana per aver sposato la regina del sangue freddo.
«Chiedo scusa» si giustificò subito il biondo. «Non volevo spaventarvi, né tantomeno origliare»
«Credo che tu ti sia perso, ragazzo» gli disse allora Sirius.
«No, affatto» rispose Draco.
«Beh, allora credo che tu abbia sbagliato casa» ringhiò Sirius. «Kayla non vive con noi da parecchio, e lasciatelo dire, sei un pochino in ritardo»
Sentì Martha accanto a lui alzare gli occhi al cielo. Ramanzina in arrivo.
«C’è qualcosa che possiamo fare per te, Draco?» domandò allora lei, ignorando il marito.
«Vorrei parlare con Anastasia» spiegò il giovane.
«Anastasia?» sputò Sirius. «La mia Anastasia? Voglio dire, la mia … la mia bambina
Martha annuì con dolcezza. «Certo, Draco, non mancheremo di dirle che sei qui»
«Parla per te!» rispose Sirius in falsetto. «La mia bambina! Draco Malfoy!  Un’altra volta!» si voltò di nuovo verso il biondo, senza nascondere di essere sconvolto, mentre i boccoli ancora perfetti gli incorniciavano il viso. «Tu hai proprio deciso di farmi uscire di testa, ragazzo! Prima Kayla e adesso Anastasia! Meno male che non abbiamo altre figlie femmine, altrimenti …»
«Altrimenti il tuo cuore non reggerebbe, Sirius» lo interruppe Martha, posandogli una mano sulla spalla per spingerlo verso l’ingresso di Villa Black. «Sono sicura che ci rivedremo presto, Draco» gli disse con un cenno della testa, mentre si allontanavano.
«Ma che diamine vai blaterando?» s’indispettì Sirius. «Insomma, hai capito? Malfoy! Di nuovo! È una maledizione!»
Martha raggiunse la porta di casa. «Vivi e lascia vivere» gli disse, scuotendo la testa.
«Oh, hai rotto le palle, con il tuo mantra da hippy!» si lamentò lui. «Abbiamo lasciato vivere Anastasia così tanto che ci siamo trovati Draco Malfoy in giardino, Martha!»
«Ti devi calmare» gli ordinò, puntandogli addosso le chiavi di casa. «Anastasia ha la testa sulle spalle, e lo sai anche tu»
«Tu e il tuo mantra del cazzo!» si lamentò lui. «Guarda cosa è successo, a lasciarla vivere! È andata a lasciarsi vivere con il figlio di Narcissa!»
«Senti, Sirius, io ne so quanto te» spiegò la moglie. «Quello che so è che quel ragazzo …»
«Quel ragazzo è Draco Malfoy
«Non m’importa di chi è!  So che sta aspettando seduta sul dondolo nel nostro giardino con espressione mortificata e so che sicuramente ad Anastasia non servirà a nulla vederti così scosso!»
«Ma è giusto che mi veda scosso! Martha, io sono scosso! Hai sempre voluto ch fossimo sinceri con i ragazzi: io sono scosso! E ritengo giusto che nostra figlia lo sappia e che …»
«E immagina quanto possa essere scossa lei» rispose Martha, abbassando la voce. «Adesso fai un respiro profondo, ti metti la più bella delle tue facce toste e vai a consolare la tua bambina, perché quella era la faccia di uno che l’ha fatta grossa, e se lui sta così, immagina come possa stare lei»
Sirius si ritrovò a dover eseguire l’ordine, costringendosi a ben più di un respiro profondo. Si appoggiò al muro, chiuse gli occhi, e respirò così profondamente da essere sicuro di aver capito l’esatta dimensione dei suoi polmoni. Quando aprì gli occhi, Martha lo stava guardando il suo sguardo più dolce ed orgoglioso. «Sei pronto?»
«Andiamo» disse. Rubò le chiavi dalla mano della moglie, e spalancò la porta di casa.

Ciò che trovò, lo avrebbe costretto a sorridere in un qualsiasi altro momento.
Dalla cucina, un profumo che poteva promettere solo cose buone. In salotto, Harry se ne stava seduto con le gambe incrociate sul divano e un pacchetto di patatine in mano. All’altro capo del divano, Anastasia era seduta con le gambe sopra a quelle del fratello, i capelli umidi da doccia e un pigiama composto da una felpa oversize e dei pantaloni felpati di una marca babbana che Nicole adorava. Robert, con la camicia ancora perfettamente abbottonata e la barba sempre più curata, teneva un braccio attorno alle spalle della sorella, e sembrava intrattenere con Harry una conversazione fintamente superficiale sull’ultima formazione del Puddlemore United, e la TV era accesa su qualcosa che nessuno stava davvero guardando.
«Parola mia, fratello, non si arriva da nessuna parte con un Battitore in quella posizione»  stava dicendo Robert. «Andava messo almeno cinque metri più a destra!»
«Io direi anche dieci» si annunciò Martha, con un sorriso. «Chi sta cucinando?» domandò poi, indicando la cucina vuota.
«È un nuovo incantesimo di Fred» raccontò Robert. «Era qui con noi fino a un quarto d’ora fa»
«Ricordami di ringraziarlo!» rispose allora Martha. Con un gesto abitudinario, iniziò a sfilarsi il cappotto, e immediatamente Sirius, con un gesto altrettanto abitudinario ma sempre gradito, la aiutò e lo ripose sul solito appendiabiti, che ringraziò con un gesto.
«E anche di dirti di insegnartelo» aggiunse Sirius, levandosi anche il suo cappotto. «Allora, ehm …»
Fu immediatamente fulminato dalla moglie. I figli notarono quel gesto, e si irrigidirono notevolmente.
«Fai parlare me» ordinò di nuovo Martha.
«No, no» protestò Sirius. «Sono calmo, calmissimo»
Anastasia abbassò la testa come un cucciolo impaurito: era più che ovvia la piega che avrebbe preso quel discorso. Robert la strinse a sé e Harry si schiarì la voce, mettendo il muto alla televisione.
«Vostra madre dice che devo lasciarvi vivere»
«Sirius, ho detto che parlo io» il tono di voce di Martha era notevolmente salito, e lui sapeva cosa volesse dire: si stava arrabbiando. Lasciò che si avvicinasse al salotto e si sedesse sul preziosissimo tavolo regalato da Rosalie in una vita precedente. «Anastasia, tesoro, io e papà non abbiamo potuto fare a meno di notare che un bel biondo alloggia nel nostro giardino e chiede di parlare con te»
«E non un – ehi, aspetta, hai detto bel biondo?»
«Non mi sembra di averti dato diritto di parola, Sirius Black» ringhiò Martha. Poi, in una frazione di secondo, recuperò il  tono dolce di prima. «C’è qualcosa che vorresti dirci?»
«Tipo il perché?» sputò Sirius.
Martha si voltò verso il marito e lo guardò in cagnesco, senza proferire parola.
Poi, con lentezza, tornò a guardare la figlia.
Lei aveva le lacrime agli occhi e Robert le accarezzava i capelli.
«Mi dispiace, mamma»  sussurrò la più giovane.
«Non hai nulla di che dispiacerti, è lui quello seduto sul dondolo che chiede udienza» rispose lei con un sorrisetto malandrino. «Voglio sapere se c’è qualcosa che possiamo fare per te»
«Che possibilmente non abbia a che fare con il ‘vivi e lascia vivere’, perché inizia a darmi la nausea»
«Sirius» lo richiamò secca la moglie.
«Oh, mi sono rotto!» replicò lui avvicinandosi e prendendo posto accanto alla moglie. «È figlia tua quanto mia!» allungò una mano verso Harry, che gli avvicinò il pacchetto di patatine. «Sono tuo padre, per Morgana, e noi siamo la tua famiglia: abbiamo il dovere, il diritto e anche il piacere di proteggerti» si cacciò in bocca tre patatine e finse di sistemarsi in una posa più o meno composta.
«Grazie, papà» rispose lei, con voce tremante. «Ma non c’è niente che voi possiate fare»
Sirius rimase spaesato da quella risposta. Cercò lo sguardo degli altri due figli, e poi si alzò. «Bene, allora gli dirò di andarsene»
«No» risposero i tre all’unisono.
«Non dargli più attenzioni di quante non ne abbia già ricevute» suggerì Harry.
«Prima o poi, uno dei due si stancherà» continuò Robert.
«Uno dei due?» domandò Anastasia.
«Beh, non so come tu faccia» rispose lui. «Io morirei dalla voglia di sentirlo mentre si arrampica sugli specchi per pararsi il c-»
«Vacci tu, allora» lo interruppe la ragazza.
«Magari» rispose il primogenito. «Ma la mamma mi rinnegherebbe»
«Esatto» sorrise Martha. In quel momento, il forno li chiamò dalla cucina. «Beh, è pronto da mangiare, qualsiasi cosa sia»
Martha si maledisse.
Non erano affari suoi.
Se Anastasia, Robert e Harry avevano deciso di non dirle niente, avranno avuto i loro buoni motivi. Se avevano omesso di raccontarle della relazione della sua quartogenita con il famigerato erede Malfoy, sicuramente ci sarà stato un buon motivo. O forse, anche più di uno. E a pensarci bene, questi motivi non erano neanche così difficili da immaginare.
Eppure, in piedi davanti alla finestra, si maledisse.
Si appellò ai ricordi di Rose, James, Lily, e anche a quello dei suoi genitori, perché avrebbe voluto che potessero vederla, alla sua età e con tutta quella vita alle spalle, ancora a stupirsi di sé stessa.
Non avrebbe mai pensato che Draco Malfoy potesse farle pena.
Ribrezzo sì, disgusto certo, indifferenza forse. Ma pena, mai.
In quel momento, poi, le faceva pena perche sembrava di tutto meno che Draco Malfoy.
Sembrava solo un uomo pentito, che aspettava di porgere della dannate scuse a una persona a cui teneva.
Non sapeva cosa fosse successo, è vero, però era ormai ovvio che Draco tenesse ad Anastasia in un modo davvero singolare e decisamente sorprendente.
Erano passate più di tre ore, da quando lei e Sirius erano rincasati. E i ragazzi non avevano saputo dirle a che ora fosse arrivato. Ciò che era certo, però, era che fosse ancora seduto su quel maledetto dondolo.
E che fosse avanzata una buona dose di polpettone.
Oh, ‘fanculo il mantra.

Era buio quando Martha chiuse la porta di casa dietro di sé. Lui era seduto sul dondolo, che si era persino stufato di cigolare. Osservava il giardino, abbondantemente illuminato dalle lampade da esterno lungo il vialetto e dai cavi di lucine natalizie avvolti attorno ai tronchi e ai rami di alcuni alberi dall’aspetto centenario. Dondolava avanti e indietro, perso ad osservare l’altalena arrugginita, immaginando quanto l’infanzia di una persona possa prendere una piega diversa quando si ha un’altalena in giardino.
Quando la vide avvicinarsi, sobbalzò.
Non l’aveva vista uscire di casa, non l’aveva sentita chiudere la porta, e non aveva sentito i suoi passi percorrere la veranda. La vide semplicemente venirgli incontro, con in mano un piatto, un bicchiere, ed una coperta. E dipinto in viso, un timido sorriso.
Si alzò in piedi quando Martha lo raggiunse, come per istinto.
«Riposo, soldato» disse lei sorridendo. «Vengo in pace»
Draco, più che intimorito, si rimise a sedere sul dondolo.
«Ho pensato che fossi affamato» continuò lei, porgendogli il piatto con la porzione di polpettone. «E infreddolito» aggiunse, giustificando la coperta.
«Io, ehm … grazie» rispose lui. «Pensavo che fosse venuta a cacciarmi a suon di Schiantesimi»
«Te l’ho detto: vengo in pace» sorrise lei di nuovo, mentre lui si sistemava il piatto sulle ginocchia. «E non alzerei mai la bacchetta contro uno con questa faccia»
Avrebbe voluto sorriderle, ma riuscì a produrre semplicemente un’apatica smorfia.
«Spero che tu non sia vegano o roba simile» continuò Martha. «Perché quello è il miglior polpettone dell’anno»
«Grazie» ripeté. «Non era tenuta a farlo»
«Ti devo confessare che non so troppo come comportarmi, con un ospite del tuo calibro in giardino» sorrise allora lei. «Posso?» domandò, indicando i tre posti sul dondolo vuoti accanto a lui.
«Certo, ci mancherebbe» rispose Draco tagliando la fetta di polpettone. «È suo, d’altro canto»
Martha si sedette con delicatezza per evitare di cambiare il ritmo del dondolio. «Beh questo è vero» ammise. «Vedi, Draco, per l’adolescenza di Anastasia ho deciso di  adottare un metodo educativo basato sulla fiducia ed il rispetto reciproci» iniziò lei. «Non le chiedo dove va, con chi esce o quando torna, mi aspetto che sia abbastanza intelligente e responsabile per non mettersi nei guai o almeno, essere in grado di tirarsene fuori prima che io o mio marito possiamo venirlo a sapere. Credo che essere nata all’inizio della Seconda Guerra Magica ed aver avuto tre fratelli molti più grandi di lei l’abbia aiutata molto, in questo: è cresciuta così in fretta che a volte ancora mi stupisco che abbia smesso di gattonare»
Draco masticò con lentezza il polpettone. Si aspettava che quella conversazione lo avrebbe messo a disagio, eppure si scoprì curioso di dove Martha volesse andare a parare.
«Questo per dirti che non so cosa sia successo tra di voi, non solo perché non ho mai chiesto dove andasse quando ho capito che tornava la mattina presto e si infilava nel letto per farmi credere di avere dormito a casa – e l’ho capito subito – ma perché mi sono anche sforzata di non chiedere niente a nessuno dei miei figli, nemmeno stasera»
Draco si tagliò un altro pezzettino di polpettone.
«Non credo me lo avrebbero detto, comunque. Sanno essere fastidiosamente leali» continuò lei. «La cosa che voglio dirti, prima di lasciarti in pace, è che mi auguro che tu abbia imparato ad essere sincero, prima che con chi ti sta attorno, con te stesso»
Draco la guardò stupito: davvero gli stava dicendo questo?
Nessun discorso del tipo ‘stai alla larga da mia figlia’?
«E non lo dico per Anastasia: è giovane, e so che mi capirai quando dico che a diciotto anni non ci si rende conto di quanta vita si ha davanti»
Lui annuì.
«Lo dico per te, perché non ti meriti di aspettare per ore nel giardino di nessuno, se le tue intenzioni e i tuoi sentimenti non sono assolutamente sinceri. E mi perdonerai se ti dico che visti i tuoi precedenti, mi preoccupo che non lo siano»
«Non credo che nella mia vita ci sia mai stato qualcosa di più sincero del mio rapporto con Anastasia» si trovò ad ammettere lui.
Lei sorrise sinceramente. «Bene» rispose. «Allora, per quel che mi riguarda, puoi aspettare qui anche per settimane. Io e Sirius usciremo di nuovo domani mattina alle otto e trenta, ma ho appena deciso che useremo la Metropolvere per andare in ufficio, così da evitarvi altri incontri imbarazzanti. Da quell’ora in poi, hai il mio permesso per attaccarti al campanello e far valere le tue più che sincere ragioni» si alzò dal dondolo con la stessa delicatezza con cui vi si era seduta. «Credo tu sappia come Evocare un letto o come arrangiare una sistemazione» Draco annuì di nuovo. «E siccome so che muori dalla voglia di saperlo, le finestre della stanza di Anastasia sono le prime due da sinistra sul lato della casa opposto a questo»  aggiunse, facendogli l’occhiolino. «Immagino sia tutto. Buonanotte, Draco»
«Buonanotte, signora Black. E, ehm … grazie, di tutto»
«Martha» lo corresse lei. «Sai bene che ‘signora Black’ non mi si addice per niente» e senza dargli possibilità di replica, raggiunse la veranda, aprì la porta e se la chiuse alle spalle.
 
Draco se ne stava con le mani in tasca a fissare quelle due finestre che Martha gli aveva indicato. Erano le uniche, su tutta la facciata della villa, ad avere ancora le luci accese. Dalla prima, non riusciva a vedere nulla, per via delle sottili tende di raso bianco tirate. Ma dalla seconda vedeva chiaramente un armadio di legno scuro pieno di foto e di poster. Non era molto, ma era qualcosa. Era paradossale, pensò, che non avesse mai visto la sua camera da letto. Vide l’armadio aprirsi e poi chiudersi un paio di volte, ed ebbe il chiaro istinto di cercare a terra qualcosa da lanciare contro quella finestra per attirare la sua attenzione, per dirle “sono qui, Anastasia, qui per te, guardami”. Ma sapeva bene quale sarebbe stata la sua risposta: la stessa di qualche ora prima. Lei che, con gli occhi pieni di tutto e di niente, chiudeva la porta senza dirgli niente. Sentì di doversi accontentare di guardare quelle ante che si aprivano e si chiudevano rapidamente, immaginando le sue mani pallide e i suoi polsi sottili mentre afferravano i pomelli per poi perdersi a cercare qualcosa tra le mensole.
Forse era quello, ora, tutto ciò che gli sarebbe stato concesso di sapere della sua vita. Per sempre. Dopo aver visto tutto, non poter vedere più niente, se non quello che si vede dalle finestre.
Anya richiuse le tende anche di quella finestra con un gesto meccanico, senza guardare giù.
E spense la luce.




NdA: mille volte grazie per l'entusiasmo per lo scorso capitolo!
Giuro che vorrei potervi abbracciare uno per uno, e comunque non basterebbe. 
Buona settimana a tutt*!

Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 28
*** tutto, dall'inizio ***


Tutto scende per rilsalire
Si tiene duro e si lascia andare
E tutto passa per un canale
Tutto serve, tutto è speciale
È così che mi piace pensare
Io con te ho imparato a dire
Ti voglio bene
E a saltare senza contare
E che conta quel che rimane
Cambia il tutto, ma quello resta
Sempre uguale
E credo che sia questo amore
E credo che sia questo amare
(Elisa, Promettimi)




27. 
tutto, dall'inizio

Anastasia stava abbracciando il cuscino, sforzandosi con tutta sé stessa di non ricominciare a piangere. Più cercava di ripetersi che piangere fosse totalmente inutile, più il respiro le si spezzava per i singhiozzi.
Quel letto non le era mai sembrato tanto grande e vuoto. Nelle settimane precedenti, non aveva potuto fare a meno di chiedersi come sarebbe stato quando Draco avrebbe messo piede in quella stanza.
Non era un se, era una certezza.
Era quasi scontato per lei, fino a una manciata di ore prima, pensare che per lei e Draco ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo, che avrebbero passato insieme tutti i momenti che rimanevano, e che sarebbe andato tutto bene.
E invece, adesso si trovava a fare i conti con il fatto che lui avesse scelto di passare ogni momento che gli restava accanto a qualcun altro, e che forse non aveva mai neanche preso in considerazione l’idea di scegliere lei – mentre lei aveva scelto lui in ogni momento, e avrebbe continuato a farlo, se gliene fosse stata data la possibilità.
Si girò di nuovo sull’altro lato, quando qualcuno aprì la porta. Sirius, con un pigiama da classico uomo inglese sotto la vestaglia di Regulus, la guardava nella penombra. «Non dormi, eh, mostriciattolo?» sussurrò, avvicinandosi.
Lei sospirò e scosse la testa, senza guardarlo. Lui allora, con passo felpato, entrò in camera e si avvicinò al letto con sicurezza. Prima che la raggiungesse, udirono un POP più che riconoscibile nella stanza accanto, e Robert uscì dalla stanza di Harry con aria assonnata almeno quanto il padre. senza dire niente, entrò nella stanza della sorella e percorse gli stessi passi del padre, per arrivare a stendersi accanto ad Anastasia e allargare le braccia. «Come quando eri piccola» le disse. «e tutto si poteva risolvere così» le passò un braccio attorno alle spalle e poi fece segno a suo padre di raggiungerli. «Beh, che aspetti?»
Anya sistemò il cuscino che stava abbracciando accanto a lei, così che Sirius avesse dove poggiare la testa. Lui sorrise ai ragazzi, e accolse l’invito levandosi la vestaglia, mentre Robert alzava la coperta in modo che il padre potesse entrarvi. E Anastasia, tra di loro, si addormentò quasi subito.
 
Anastasia scese le scale strizzandosi gli occhi. Erano poco meno che le nove del mattino, Robert dormiva ancora nel suo letto, Sirius e Martha erano probabilmente appena usciti, quindi … chi c’era in cucina? Si avvicinò con preoccupazione e trovò Harry, con addosso il grembiule con la scritta “kiss the chef” che Martha aveva regalato a Sirius troppi Natali prima. Posato al bancone, leggeva il Profeta fresco di gufo mentre dei pancake si preparavano da soli accanto a lui.
«Oh, buongiorno!» esclamò, vedendola. «Sono venuto per assicurarmi che mangiassi, che stessi meglio, che … beh, sono venuto anche per scusarmi, in effetti, ieri avrei voluto reagire meglio, ecco, ecco tutto»
Anya accennò un sorriso. «Ti scusi con dei pancakes?»
Harry annuì con convinzione, ripiegando il giornale per controllare la cottura della sua opera. «Una buona percentuale del clan Weasley non ha fatto altro che spiegarmi l’incantesimo per la ricetta, ieri sera, quindi spero davvero che non sappiano di cacca di troll» guardò la sorella senza nascondere preoccupazione. «Come stai?»
Anastasia si lasciò cadere su una delle sedie e posò la testa sul palmo della mano. «Vorrei poterti rispondere» sospirò. «Appena sveglia, per un attimo … ho creduto che fosse un incubo. Ho creduto che fosse stato tutto un incubo, in realtà, ho creduto che quello a russare accanto a me fosse Draco e non Robert e che voi continuaste a non saperne niente che … che andasse tutto bene, ecco. L’ho sperato, anche» sussurrò. «Poi la realtà arriva come un … come un pugno, o uno schiaffo, o un Bolide, o tutte e tre le cose»
«Come quando cadi dalla scopa» le suggerì Harry.
Anastasia inclinò la testa di lato. «Sono caduta dalla scopa, al mio primo allenamento, e mi sono rotta il naso»
Harry strabuzzò gli occhi. «Che cosa?!»
Lei annuì senza espressione. «Non lo sa nessuno, a parte Madama Chips e … Draco. Ah, per la cronaca, ti ricordi al tuo compleanno, quando Robert ha detto di aver visto Draco con il naso rotto?»
«Era caduto dalla scopa?»
«No, gli ho … gli ho tirato un pugno»
Lui strizzò gli occhi e scosse la testa. «Anche questo non lo sa nessuno?»
«No, questo lo sa un po’ di gente, ma dirlo a te o agli altri … è tutt’altra storia»
«Per questo sapevi che si fosse preso un pugno solo, quindi» concluse Harry.
«Esatto» ammise lei sottovoce. «Mi dispiace per avervelo tenuto nascosto»
Harry la guardò per qualche secondo. Così cresciuta, così donna, così tormentata, da innamorarsi e non riuscirlo a dire ai suoi fratelli. «Dispiace anche a me» ammise quindi lui. «Alla fine, per quanto lui sia … una persona che non mi piace, ecco, o che non ha mai avuto la possibilità di piacermi davvero, insomma, è a te che deve piacere, e quello che vi è successo è … una cosa bella, alla fine. Sì, decisamente. Non possiamo scegliere di chi innamorarci, Anastasia, credo che tu lo sappia meglio di me, a questo punto»
Anastasia annuì pensierosa. «Devo dirlo anche a Kayla» sussurrò, fissando il vuoto. «Vero?»
«Credo di sì» le disse lui. «Però non sei sola, lo sai, vero? Voglio dire, noi … siamo con te. Anche fisicamente, se serve»
«Harry?»
«Sì?»
«Hai bruciato i pancakes, ti sei deconcentrato»
 
Fred l’aveva salutata con un leggero bacio sulle labbra, e lei era rimasta seduta al tavolo della cucina a leggere Il Settimanale delle Streghe che il giorno prima non aveva avuto il tempo neanche di aprire. Aveva dovuto smettere di lavorare appena rimasta incinta, eppure, non sembrava che le sue giornate fossero meno pesanti. Secondo Ginny, era la pancia sempre più pesante a contribuire a quella stanchezza. E Ginny aveva sempre portato in grembo un bambino per volta, aveva pensato acidamente Kayla. Scosse la testa e sfogliò le pagine della rivista, sorseggiando il tè ancora bollente e maledicendosi per essersi scottata la lingua. Nella cucina di quel loro grazioso appartamento, regnava un silenzio invidiabile. Alla fine, era quasi contenta di potersi godere ogni mattina in santa pace quel loro adorabile nido coniugale che, lo sapeva bene, nel giro di qualche settimana sarebbe stato il regno di pappette e pannolini, e quel silenzio che ora le dava tanta pace sarebbe stato un sogno lontano. Sfogliò un’altra pagina accarezzandosi la pancia, notando che uno dei due bambini iniziava a muoversi e tirarle calci. Incredibile, che questi bambini non ancora nati dessero già così fastidio. D’altronde, forse avevano ragione George e Robert: nessuno poteva sapere cosa sarebbe uscito dalla combinazione di geni Black e Weasley.
Il campanello suonò e lei si trovò costretta a interrompere la lettura della Posta del Calderone per aprire la porta con un colpo di bacchetta, stirando il collo come una giraffa per vedere chi sarebbe entrato. «Fred?» chiese, alla porta che si apriva lenta.
«No» rispose la dolce voce di Anastasia. «Sono solo Anya, posso entrare lo stesso?»
Kayla le sorrise con gioia. «Che bella sorpresa» le disse. «Sono mesi che non ti si vede da queste parti, “solo Anya”»
Anastasia abbassò la testa con aria colpevole, raggiungendo la cucina timidamente. «Ti disturbo?»
«Macchè» le fece segno Kayla, indicandole una sedia. «Hai fatto colazione?» s’interessò subito.
«Sì» sbuffò Anastasia gettando l’occhio al Settimanale aperto sul tavolo. «Harry mi ha preparato i pancakes»
La Serpeverde alzò le sopracciglia. «Harry Potter
Anastasia si sforzò di sorridere. «Esatto»
«Aveva qualcosa da farsi perdonare?»
La giovane annuì. «Ieri gli … gli ho confessato una cosa, e ha reagito male»
Kayla annuì, quasi come se se lo aspettasse. «E lo hai perdonato?»
«Certo» rispose subito Anastasia. «Non so se sia lui però ad aver perdonato me»
Di nuovo, Kayla alzò le sopracciglia e la guardò stupita. «Harry dovrebbe essere arrabbiato con te? Che cosa puoi mai avergli detto?» poi cambiò espressione. «Scusami, non voglio forzarti a raccontarmi. Ma ti sei un po’ allontanata da me, da qui, ultimamente, e mi dispiace. Sei mia sorella, alla fine. Harry e Robert sono fantastici, lo sai, ma io e te … io e te siamo un’altra cosa»
Anastasia annuì. «Mi dispiace di essermi allontanata» sussurrò, pesando ogni parola.
«Harry ti perdonerebbe qualsiasi cosa, Anastasia» la tranquillizzò Kayla. «E anche Robert, non temere»
«E tu?» chiese Anya a bruciapelo.
«Anche io, ovviamente» rispose secca Kayla. «Anche a loro, per la cronaca» aggiunse. «Perché ti vengono questi dubbi idioti?»
Anastasia prese un respiro profondo mentre la sorella poneva la domanda. «Draco Malfoy» le rispose.
Kayla corrucciò la fronte. «Che c’entra lui adesso?»
Anastasia avrebbe voluto poterla guardare negli occhi, ma fissare il tavolo le sembrava la sola cosa da fare. Avrebbe voluto trovare le parole, saperle spiegare, sapersi giustificare, poterle regalare ogni dettaglio, ogni passo che l’aveva portata dove era ora. Come aveva detto lei, erano sorelle, alla fine. E lo sapeva bene, che lo erano. Lo sapevano tutti, persino Draco.
«Oh, Salazar» concluse Kayla con un sospiro. «È lui? Voglio dire, sono mesi che hai una relazione e questo lo so bene, ma … con Draco Malfoy
Se l’avesse guardata, Anya avrebbe visto la mascella della sorella spalancata e la fronte anche più corrucciata di prima, e uno sguardo che racchiudeva sorpresa e delusione allo stato brado.
«Cazzo, Anastasia!» esclamò, alzando i toni. «Draco è un … è un disgraziato! Pensa solo a sé stesso, e nessuno lo sa meglio di me! Per le mutande di Merlino! Draco Malfoy! Ci sono andata al Ballo del Ceppo l’anno in cui sei nata!» Si passò una mano sul viso e sentì le budella tremare. «Da quanto va avanti?»
«Ci siamo conosciuti a luglio»
«A luglio?!» ringhiò lei. «È quasi Natale, Anastasia! Lo dici ora per portarlo a pranzo alla Tana?!»
«No» si difese flebilmente Anastasia. «Lui … è tornato da Astoria»
Si aspettò che Kayla le urlasse contro di nuovo, ma la stupì, e rimase in silenzio, limitandosi a cercare di controllare i respiri per evitare di agitarsi ancora di più.
«Stava con te … e ha scelto Astoria Greengrass?»
Anastasia annuì, maledicendosi per le lacrime che le pungevano gli occhi.
«Allora lo vedi che è un disgraziato?»
Anastasia raccolse il coraggio di alzare lo sguardo, e trovò la sorella tra l’arrabbiato e il preoccupato, ma quando i loro occhi dello stesso colore si incontrarono, Kayla sembrò tranquillizzarsi.
«Mi dispiace» le sussurrò Anastasia.
Kayla si trovò a fare i conti con una sorella troppo cresciuta, come era successo ai loro fratelli il giorno prima. «Dispiace a me per te, bambina mia» le disse, passandosi una mano tra i boccoli. «Ci sono dei validi motivi, per cui ho scelto Fred, quell’anno»
Anastasia annuì. «All’inizio, appena conosciuto … non lo capivo, come avessi fatto a scegliere Fred. Ora credo di capirlo»
Kayla annuì, abbandonando definitivamente la rabbia. «Quindi … Harry lo ha saputo ieri?»
«Sì» confermò la più giovane. «Anche Robbie»
«E mamma e papà?»
«Anche loro ieri sera. Lui, Draco, insomma, è venuto a casa per spiegarsi, o scusarsi, chi lo sa. Non l’ho voluto ascoltare. E lui è rimasto in giardino, tutta la notte»
«Draco?» si stupì lei.
«Sì»
«Per Morgana, Anastasia, se è rimasto una notte ad aspettare che lo ascoltassi, doveva avere delle ottime motivazioni da illustrarti»  le fece notare lei.
Anastasia scosse la testa. «Questo non vuol dire che io lo voglia ascoltare»
«Raccontami tutto» la invitò allora Kayla. «Tutto, dall’inizio, per favore»


NdA: sono sempre un poco in imbarazzo sull'argomento "sorelle", perchè ho passato l'intera infanzia desiderando una sorella che mi potesse capire con uno sguardo, che fosse stata sempre con me anche quando con me non ci volevo stare nemmeno io, e tra le cui braccia poter trovare sempre il sapore di Casa. Ho un fratello fenomenale, certo, ma da piccolini ci stavamo abbastanza antipatici e il mio desiderio più grande era appunto una sorella. 
A un certo punto della mia vita, più di sei anni fa,  ho trovato un'amica, un'amica vera, che corrisponde dal primo istante alla mia idea di sorella e al sogno che avevo da bambina. 
Questa storia, questo piccolo universo parallelo di Più Di Ieri, è anche merito suo, se non sopratutto merito suo.

(che cosa tenera che sto scrivendo, puah)
Per voi altri: voglio le vostre reazioni in direttissima. E voglio che apriate un giro di scommesse su cosa farà adesso Kayla. 
Buona settimana a tutt*!

fatto il misfatto, 

C

 

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Capitolo 29
*** trova un modo ***


Could you find a way to let me down slowly?
A little sympathy, I hope you can show me
If you wanna go then I'll be so lonely

If you're leavin', baby, let me down slowly.
(Alec Benjamin, let me down slowly)



28. 
trova un modo 

 

Era una sera come tante alla tenuta Malfoy. 
Draco era tornato a casa dopo essere rimasto fuori per due giorni consecutivi. Quando era tornato da casa di Astoria, aveva avuto giusto il tempo per scambiarsi qualche furtiva informazione con sua madre, infuriarsi, sbraitare, rompere un vaso che valeva quanto l’intera tenuta, non preoccuparsi di raccoglierne i cocci, ed uscire di nuovo di casa. Dal momento in cui era uscito, sbattendo la pesante porta d’ingresso, Narcissa si era rifugiata nel suo appartamento, e aveva rifiutato ogni offerta di cibo che Kora si preoccupava di farle. Quando lo aveva sentito tornare, aveva avuto l’impressione di tornare a respirare, e aveva chiesto all’elfo di prepararle il suo pasticcio di carne cruda preferito. 
Naturalmente, lei e Draco non si erano rivolti la parola; lei, però, lo aveva guardato allenarsi in giardino per tutto il giorno, percependo la sua rabbia anche attraverso gli spessi vetri scuri. 
Quando era rientrato in casa, Narcissa aveva chiesto a Kora di assicurarsi che mangiasse abbastanza. E Draco aveva chiesto a Kora di assicurarsi che la madre facesse lo stesso. 
Ora, Draco se ne stava seduto in poltrona in una posizione apparentemente scomoda, ma era così immobile che sembrava  non accorgersene assolutamente. Quando sentì l’elfo dirigersi verso l’ingresso a grandi passi, non si mosse, e quando la sentì aprire la porta e sparirvi dietro, smise di pensare a chi potesse essersi spinto fino lì – chiunque fosse, ammise, non gli importava.
Kora aprì la pesante porta della Malfoy Manor con un semplice schiocco di dita. «Buonasera» disse, alla bellissima ragazza che si trovò davanti. 
Boccoli corvini facevano da cornice ad uno splendido viso a forma di cuore, con espressione gentile, labbra carnose, un sorriso cordiale e degli immancabili occhi grigi. Portava un cappotto celeste abbottonato solo fino sotto al seno, perché nessun cappotto sarebbe stato in grado di contenere il ventre gravido a quel punto della gravidanza. 
«Tu devi essere Kora» le sorrise. «Io mi chiamo Kayla Black, sto cercando Draco» 
«Kora ci può provare, signora Black» rispose l’elfa. «Ma padron Draco non è di ottimo umore, da quando è tornato» 
«Oh, lo immagino» rispose Kayla, mantenendo il dolce sorriso. «Potresti fare comunque un tentativo, per favore?»
«Kora farà un tentativo, signora Black» rispose allora l’elfa, stupendosi per la gentilezza adoperata anche da quella Black. «Kora però si chiede se la signora Black non si voglia sedere nell’attesa, viste le sue delicate condizioni» 
Kayla allargò il suo sorriso. «Credo aspetterò qui, ma grazie per il pensiero»
«In questo caso, Kora torna subito, signora Black» 
Kayla annuì e giocherellò con un bottone del cappotto, per poi prendere ad accarezzarsi la pancia. Si guardò attorno, scuotendo la testa nel cercare di immaginare cosa avrebbe risposto se anche qualche anno prima le avessero detto che avrebbe chiesto udienza a Draco Malfoy per cercare di sistemare la sua relazione con Anastasia, mentre portava al dito la fede che la rendeva la nuova signora Weasley, e mentre portava in grembo due bambini che sembravano giocare a prendersi a calci tra di loro. 
Draco si Smaterializzò sulla porta con gli occhi sbarrati. Spalancò la bocca quando si rese conto di essere davanti a Kayla. «Perdonami» esordì. «Quando Kora ha detto “signora Black”, pensavo …»
Lei sorrise e fece segno che non importava. «Immaginavo succedesse» rispose. «Anzi, forse un po’ ci speravo» aggiunse. «Ma è proprio per questo che sono qui»
Draco annuì. «Uh, ehm, entra pure» disse poi, come se si fosse scordato delle buone maniere. «Non penserai che lasci in piedi al freddo una persona nelle tue condizioni!» 
Kayla stava per rispondere, ma lui la capì ancora prima che lei potesse aprire bocca. Uscì dalla porta e saltò i cinque scalini di pietra che li separavano, per mettersi accanto a lei e tenderle il braccio. 
«Sei diventato un vero galantuomo» commentò lei, accettando il suo aiuto. Sorridendo, salirono i cinque scalini e lei si trovò nell’atrio della famosa Malfoy Manor. Si sfilò i guanti da passeggio e lasciò che l’appendiabiti l’aiutò a sfilarsi il cappotto, sorridendo quando notò che Draco le stava fissando la pancia. 
«Perdonami, è che … deve pesare moltissimo» constatò. «Senza contare che … beh, che non lo sapevo»
Lei strabuzzò gli occhi. «Ah no?» 
«No» ammise lui. «Con il senno di poi, credo che Blaise abbia provato a dirmelo un paio di volte»
Kayla annuì, posandosi una mano sulla pancia. «Che tu ci creda o no, non sono qui per chiederti di aiutarmi a scegliere il nome per i miei figli» 
«Figli?!» si stupì di nuovo lui.«Vuoi dirmi … che ce n’è più di uno, lì dentro?»
Kayla sorrise di nuovo e annuì. «Due» spiegò, alzando due dita della mano. 
«Oh, beh, certo» rispose lui. «Buon Weasley non mente mai»
Kayla finse di guardarsi attorno, mentre lui le fece segno di seguirla per il labirinto di corridoi fino ad arrivare allo studio di Lucius. Le aprì la porta e poi, come un vero galantuomo, le indicò una delle poltrone verdi davanti al camino.
«Praticamente vivi in una gigantesca Sala Comune Serpeverde» 
Draco finse di sorridere, prendendo posto davanti a lei. «Vogliamo fingere che tu sia qui per questo?» 
Lei scosse la testa. «Sono qui perché a quanto pare sono l’ultima a sapere le cose» 
«Sono sicuro che tu ne capisca il motivo, Kayla» 
«E sono qui anche perché, di tutto il clan di disgraziati che è la mia famiglia, sono la sola che vuole concederti il beneficio del dubbio e ascoltare anche la tua versione dei fatti» 
«Pensavo fossi qui per farmi la ramanzina» 
«Forse dopo» rispose lei. «Cominci tu o comincio io?» 
«Che cosa vuoi sapere?» 
«Tutto» 
Draco fece un respiro profondo e si sforzò di fingersi calmo. 
Raccontò di come la sua relazione con Astoria si stesse sgretolando sotto i suoi stessi occhi, ma di come lui avesse abilmente imparato ad ignorare la cosa. Raccontò di come gli sembrasse facile, adesso, riconoscere che quella non fosse una vera relazione. Raccontò di come lei se n’era andata, e di come lui se ne fosse a malapena accorto. Raccontò di quando, un giorno allenandosi, decise che non sarebbe finita così. Rimanere solo gli dava l’impressione di essere più cattivo di quanto non si sentisse. Allora raccontò di come l’aveva cercata, per chiederle di rimettere insieme i pezzi. 
Raccontò delle ore che aveva passato ad aspettarla al Paiolo Magico, e di come, ad un certo punto, tutto il locale sembrava avere occhi solo per la bellissima diciottenne che rideva con Hannah Abbott. 
Guardando Kayla negli occhi, per la prima volta riuscì a dire ad alta voce che l’aveva riconosciuta proprio per Kayla, perché sapeva essere così diversa da lei, ma così simile. 
Raccontò di come si era sentito completamente spiazzato davanti alla sua gentilezza, raccontò di come essere Draco Malfoy, negli ultimi quindici anni, non significa altro aspettarsi che la gente ti odi, ti schivi, ti eviti. 
Raccontò di come lei sapeva essere tutto il contrario di come lui si aspettava. Raccontò di come sapeva sorprenderlo, di come non aveva mai creduto di potersi credere buono, gentile, o addirittura compassionevole, e di come lei invece gli avesse insegnato ad esserlo. 
Racconto di Notturn Alley e del pugno sul naso, del cappuccio di Lottie, della sbronza in mezzo ai pavoni, e di come fosse stato felice di addormentarsi con lei sul divano. Raccontò della Polaroid, di come fosse strano trovare una nuova immagine di sé stesso, di come lei lo facesse sembrare semplice. 
Raccontò della festa di Blaise, delle partite di Quidditch al castello, delle Burrobirre e delle risate con Ted, Lyall, e Nicole, di come non se lo sarebbe mai aspettato. 
Raccontò di come aveva accolto il racconto della vita di suo padre, di come era rimasta in silenzio quando gli aveva raccontato di Silente, e della dolcezza con cui gli aveva accarezzato il viso quando aveva sentito la sua voce spezzarsi. 
Raccontò anche delle litigate, di come lo facesse andare su tutte le furie. Di come il solo pensiero di Edward Scott gli facesse venire il sangue al cervello come non gli era mai successo, di cose avesse paura di sé stesso per questa cosa.
Raccontò di come riusciva a farsi adorare anche da Kora, di come suonava il piano, e di come sembrasse ancora più bella quando rideva. 
Raccontò di quel primo bacio e di tutte le notti insieme, della sensazione di non volersi staccare mai, di temere l’arrivo dell’alba, e di come si era scoperto bramoso del costante contatto con la sua pelle diafana.
Raccontò anche di come Astoria fosse tornata nella sua vita senza chiedere e senza avvisare. 
«Vedi, Astoria è … è malata» sospirò. «Non lo sa nessuno, a parte me. E Blaise, ovviamente. E te, adesso» 
Kayla sbarrò gli occhi. «Malata?» 
«Una … maledizione del sangue, per così dire. Un suo antenato è stato maledetto, ed è venuto fuori in lei. Sai … può succedere» 
Lei annuì, visibilmente dispiaciuta.
«Ha sempre saputo di non essere destinata ad invecchiare, non me lo ha mai nascosto. Ora è … debole, estremamente. È successo tutto così in fretta, non … non se ne è nemmeno resa conto» continuò. «Sua sorella mi ha mandato dei gufi, io ho capito di cosa si trattasse, ma per non allarmare Anastasia ho mentito e ho detto che erano cose di mio padre. Anzi, forse … forse l’ho fatto per mentire a me stesso, per posticipare il momento in cui avrei aperto quelle lettere. Ho passato una mattinata con lei e i suoi – i vostri – nipoti, poi mi sono deciso ad aprirle, e … sono dovuto correre al San Mungo, la situazione era più grave di quanto mi aspettasse. Ha chiesto di essere riportata a casa, subito. La conosci, è … insomma, tiene più alla sua reputazione che a qualsiasi altra cosa. Non vuole che nessuno la veda ridotta così. Non fa che peggiorare, e tutto quello che mi dice è di lasciarla andare ma … sono così codardo che non ci riesco. Anastasia si è accorta che le stessi nascondendo qualcosa, ma … ho giurato a me stesso di lasciarla fuori da questa storia. Non so perché: forse perché la vedo come troppo pura per avere a che fare con qualcosa del genere. Astoria non fa che pregarmi di andarle a raccontare tutto, e io … non ci riesco. Una sera, con la testa che scoppiava sono andato alla Testa di Porco, e poi mi sono svegliato a Grimmauld Place con Anya in lacrime che mi chiedeva di dirle cosa stesse succedendo, si assicurava che non mi fossi messo dei guai e che non avessi fatto del male a nessuno. E mi sono reso conto … che se riesco a vivere attaccato al capezzale di Astoria perché non sopporto l’idea che muoia da sola, è grazie a tutte quelle piccole cose che mi ha insegnato Anya. Il vecchio me non lo avrebbe mai fatto, non avrebbe neppure aperto le lettere di Daphne» scosse la testa, perdendosi a guardare il fuoco. «Ha detto che mi ama, e io non sono riuscito a dire niente. Nessuno me lo aveva mai detto. Neanche Astoria, in secoli di relazione, e neanche adesso che sta così male» si passò una mano sul viso. «Blaise mi ha portato a casa, e io non riuscivo a dire niente. Niente. Ero sconvolto. Sono solo riuscito a tornare da Astoria e a raccontarle tutto, e lei non ha fatto che sgridarmi, in lacrime. Dice … che era terrorizzata all’idea che io rimanessi solo, ma che con qualcuno che ti ama così tanto, non si è mai soli. Io sapevo solo che nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere e che non riuscivo a pensare ad altro, e me ne sono andato. Non ho detto a mia madre o all’elfo dove andavo, e mia madre … ha dedotto che fossi da Astoria, di nuovo. Così, quando Anya è venuta a cercarmi, le ha detto che quello stronzo di suo figlio Draco aveva evidentemente fatto la sua scelta» 
«Ora si spiega tutto» 
«E io ero da Blaise a tirare pugni al sacco da boxe e a rendermi conto che la amo anche io» scosse di nuovo la testa. «Sono tornato a casa, deciso a mettermi il vestito buono e andare ad urlarle che la amo anche io. Kora mi ha detto che qualcuno mi aveva cercato, ma non aveva fatto in tempo a vedere chi fosse, perché mia madre glielo aveva impedito. Ho capito subito. Sono corso da lei e l’ho costretta a dirmi cosa si fossero dette. Ero … ero fuori di me» continuò. «L’ho cercata ovunque: da Lottie, al Paiolo,  a Hogwarts, a Grimmauld Place. Sapevo che cercarla a Villa Black voleva dire trovarmi faccia a faccia con i vostri genitori, i vostri fratelli o addirittura con te. E sapevo quanto ci teneva a … a fare le cose a modo suo, ecco. Sapevo quanto le pesava non riuscire a parlarne con voi, di tutta questa storia. Però mi sono deciso e ho raggiunto Villa Black. E il resto … credo che tu lo sappia»
Kayla si accarezzò la pancia, e si perse ad osservare Draco alla luce del caminetto. «Draco Malfoy si è innamorato» 
«Non dirlo troppo in giro» 
Kayla annuì, soffocando una risata. «Vedi, io sono venuta qui con la presunzione di essere la sola persona a poter mettere a posto questa storia. Credevo di urlarti contro un paio di frasi fatte, costringerti a prendere il coraggio a quattro mani e dare a questa storia un degno finale. Non avrei mai creduto … di trovarti innamorato della mia piccola Anya»
«Speravo anche io che tu avessi qualche saggio consiglio che mi facesse stare un po’ meglio» ammise lui. 
«Oh, ma ce l’ho, un consiglio: non ti arrendere. Per quanto mi renda conto che sia la cosa più semplice, soprattutto in certi casi, soprattutto per te, non farlo. Non lasciare che il sipario cali, Draco. Quella che mi hai raccontato è una storia vera e bellissima, e non merita di finire con Narcissa che decreta che tu abbia fatto la tua scelta. Se proprio deve finire, deve essere un finale grandioso. Ma per come la vedo io, sai … quando ci si innamora è solo l’inizio» con non poca fatica, si alzò dalla poltrona. 
Lui seguì il suo gesto, allargando le braccia, pronto a prenderla se fosse caduta. 
«Stammi bene a sentire» disse poi Kayla. «Anastasia è una delle persone migliori che io conosca. Sarò fortunata se i miei figli saranno leali e sinceri la metà di quanto lo è lei. E non lo dico perché è mia sorella è perché ne sei innamorato, lo dico perché è vero. Robert non fa che ripetere che è proprio per questo che si merita di meglio, io dico che è proprio per questo che si merita la verità. Trova un modo, scrivilo sui muri di tutta Londra, scrivile una canzone, manda a Villa Black dieci gufi al giorno, ma trova un modo per farle sapere la verità» sorrise e tese la mano verso il suo viso sbigottito. «Anche questa nuova versione di te merita la verità. E Anya merita di sapere che se sei l’uomo che sei oggi, il merito è suo. Trova un modo: non lasciare che il sipario cali»
Draco sfoggiò il suo sorriso più vero e le strizzò l’occhio. «Hai la mia parola, Black»
Lei allargò il suo sorriso. 
«Promettimi che mi farai sapere quando …» con un gesto, le indicò la pancia gonfia. 
«D’accordo» disse lei, indietreggiando. «Non ti scomodare: per nulla al mondo rifarei quei gradini» con un sonoro POP, scomparve. E lui si coprì il viso con le mani come per proteggersi dalla piega assurda che stava prendendo tutta quella situazione. 


Kayla entrò a Villa Black con i ricci zuppi di pioggia, mentre Martha le veniva incontro dallo studio con gli occhiali sul naso e una matita nei capelli. «Tesoro» le disse, allargando le braccia per abbracciarla e baciarle una guancia. «Tutto okay?» 
Kayla annuì. «Stai lavorando?» 
«Sono un po’ indietro con alcune cose» spiegò Martha, invitandola a levare il cappotto. «Cosa fai in giro?» 
«Sono, ehm … ho parlato con Anastasia, stamattina» 
Martha sorrise e annuì dolcemente. «Che ne dici se ci beviamo un tè e facciamo due chiacchiere?» 
«Oh, sì» sospirò lei. «Ne avrei davvero bisogno»


NdA: avevo avvisato che non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno scoprisse la verità ... ora resta solo da vedere tra quanto la scoprirà Anastasia!
Sono anche abbastanza sicura di avervi avvisati nelle NdA del prologo: ho odiato e rinnegato The Cursed Child, ma seguire la  linea della maledizione del sangue mi è sembrata una buona idea. 
Buona settimana a tutt*! 
fatto il misfatto, 
C

 
 

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Capitolo 30
*** disarmante ***


If a picture is all that I have
I can picture the times that we won't get back
If I picture it now it don't seem so bad
Either way, I still wish you were here
Don't say everything's meant to be
'Cause you know it's not what I believe
Can't help but think that it should've been me
Either way, I still wish you were here
(Neck Deep, wish you were here) 


 
29. 
disarmante

 
Più volte a Draco, in quei giorni folli e senza significato, era parso di vedere Anastasia. L’aveva vista al Ministero, l’aveva vista svegliarsi accanto a lui, quella mattina l’aveva vista chiaramente guidare un autobus a Londra e ora la vedeva seduta al piano, con le mani in grembo e il suo sorriso che sapeva di purezza. 
E a lui andava semplicemente di rimanere lì, seduto sul divano con lo sguardo più malinconico che avesse mai avuto, a fissare quello che – lo sapeva bene – non era altro che il frutto della sua immaginazione, specchio di ogni suo più profondo desiderio. Gli andava di rimanere lì, seduto, con la schiena dolorante per la posizione scomoda e una voglia matta di alzarsi per abbracciarla, ma la paura che, se avesse raggiunto il piano, avrebbe realizzato di trovarsi davanti ad un altro sogno, fin troppo simile a tutti quelli che ormai lo tormentavano. 
C’era stato un tempo in cui i suoi incubi erano fatti di labirinti, urla, Cruciatus, stati di sangue e Marchi Neri. Ora, i suoi incubi erano la faccia di Anastasia, che, da felice e spensierata come era sempre stata, diventava triste e ferita come l’ultima volta in cui aveva avuto la possibilità di averla davvero davanti agli occhi. 
Si strofinò le mani sul viso e tornò a guardare il piano, desideroso di essere abbastanza bravo a suonarlo da poter riprodurre quella dolce ninnananna che lei aveva suonato qualche giorno prima con tutta la sua innata semplicità e dolcezza. 
«No» si disse da solo. «Non posso suonare quello che suonavi tu» aggiunse, sussurrando. 
L’Anastasia che si trovava davanti allargò il sorriso e scosse la testa. Era chiaro, a questo punto, che si trattasse di un’illusione: la vera Anastasia Black lo avrebbe preso a male parole, gli avrebbe detto di crederci, o quantomeno di tentarci, gli avrebbe detto che sbagliando s’impara e che solo chi non cade non cresce mai e tutte quelle altre cose così semplicemente da Anastasia che solamente a pensarci, a Draco venne mal di stomaco e una gran voglia di prendere a pugni il muro. 
«Se solo mi lasciassi spiegare» sussurrò poi, rivolto di nuovo a quel riflesso di sogno che aveva davanti agli occhi. Quella versione muta di Anastasia, allora, perse il sorriso e scosse di nuovo la testa. 
Ecco. 
Ho rovinato tutto, di nuovo.


Anastasia strisciò i piedi giù per le scale polverose di Grimmauld Place, con addosso l’ennesima vestaglia siglata R.A.B., i capelli raccolti alla bene e meglio e una tazza stretta in mano. Quando entrò in cucina, non ebbe la forza di fare altro che non fosse inclinare la testa di lato alla vista di Ted, Lyall e Nicole, ognuno perso a fare qualche cosa di diverso: Ted stava cucinando (che novità), Lyall stava cercando di impilare le stoviglie per farle rientrare nella credenza e Nicole stava mettendosi lo smalto sulle unghie, seduta a capotavola. 
«Oh, buongiorno buonumore!» esclamò Lyall, guadagnandosi uno sguardo in grado di uccidere. 
«Non prendertela con noi, principessa» si giustificò subito Ted. «Ci manda Minerva» 
«Già» continuò Nicole, alzando a malapena gli occhi verso di lei. «Ci ha praticamente cacciati dal castello e spediti qui a badare alla sua alunna preferita e depressa»
«Nicole!» la richiamarono i Lupin. 
«Oh, andiamo, guardatela!» si difese lei, indicandola con un gesto. «Quanto è che non ti lavi? O che non vedi la luce del sole?» 
«Perché non ti calmi e la lasci parlare?» propose Ted.
«Perché, credi che si ricordi come si fa a parlare?» replicò Nicole. 
«Bambini, non litigate!» intervenne Lyall, abbracciando una pila di bicchieri per cercare di infilarli nella credenza. 
Anastasia scosse la testa e si avvicinò ai fornelli per mettere a bollire un po’ d’acqua e non degnare nessuno di uno sguardo. «Dite a Minerva di non preoccuparsi» sussurrò allora, per poi rendersi conto del tono troppo basso di voce dato dal fatto che, si rese conto in quel momento, erano due giorni che non parlava con un altro essere umano. «Mi sere solo qualche altro giorno per metabolizzare» sospirò. 
«Non osare farti il tè mentre io ti sto preparando il pranzo!  Devi mangiare, bellezza, scommetto che senza di me non fai altro che bere tè allo zenzero» la richiamò subito Ted, spostandola dai fornelli mettendole le mani sulle spalle. «Vai ad aiutare Lyall o a farti mettere lo smalto da Nicole, ma levati»
Anastasia si trovò a reggere delle tazze per conto di Lyall senza nemmeno rendersene conto. 
«Dunque, ehm» iniziò il giovane Lupin. «Corvonero ha battuto Tassorosso, settimana scorsa. Oggi gioca ancora contro Serpeverde, e se perde, okay, perfetto, ma se vince, poi si monteranno la testa e la prossima settimana …» 
«Perché parla di Quidditch?» sussurrò Nicole, soffiandosi sulle unghie sgargianti. 
«Per metterla a suo agio» rispose Ted, senza distogliere l’attenzione dal piano cottura. «O perché è un deficiente, non saprei» 
Era chiaro, comunque, che Anastasia non stesse ascoltando, o se anche lo stesse facendo, che non avesse la minima intenzione di darlo a vedere. Si preoccupò solo un paio di volte di evitare che dei bicchieri si scaraventassero al suolo, mentre Lyall era partito a raffica raccontando di formazioni, conteggio punti e strategie. 
Quando Ted disse che il pranzo era pronto, chiese ad Anastasia di apparecchiare con un colpo di bacchetta e Lyall sembrò scocciato dal fatto che, con quel gesto, avesse dovuto disordinare la credenza appena sistemata. 
«Grazie» sussurrò Anya, girando la forchetta negli spaghetti. 
«Lo sai che non ti lasceremmo mai da sola» le disse Ted, sorridendole. «E soprattutto che non ti lasceremmo mai senza pranzo della domenica in ottima compagnia» 
«Anche perché abbiano saputo che giovedì per prepararti la cena si era offerto Harry» scherzò Nicole. 
«E mentre cercava di cucinare, cercava anche di confortarmi»  aggiunse Anya, con l’intento di far sorridere i suoi più cari amici, ma con un tono troppo triste per ottenere nulla di più che tre sorrisi sghembi. 
«E come hai fatto a sopravvivere?» scherzò ancora Ted.
«Sono arrivate Kayla e Ginny» raccontò Anastasia. 
«Kayla passa dalle porte?» domandò Lyall, scatenando l’ilarità del fratello e ottenendo una sonora sberla sulla nuca da Nicole. 
Anastasia accennò un sorriso e poi si lasciò cadere sullo schienale della sedia di legno, mostrando uno sguardo pieno di niente. Tutti, allora, posarono le forchette, certi che stesse per dire qualche cosa. 
«Come faccio a svegliarmi da questo incubo?» sussurrò, senza aspettarsi davvero una risposta. 
Ted, seduto accanto a lei, posò la mano sulla sua e le sorrise. 
«Voglio dire, perché … perché scelgo sempre persone che però non scelgono me?» 
«Oh, fanculo» le disse Lyall, ricominciando a mangiare. «Non esistono solo le relazioni romantiche, sai? Noi continuiamo a sceglierti, e lo faremo sempre»
«Non credo che questo sia-» provò ad interromperlo Nicole. 
«Lo so che non è la stessa cosa, se mi lasciassi finire, capiresti che sto cercando di dirle che deve smetterla di credere di valere meno di uno zellino falso! Edward ha scelto qualcun altro perché era la cosa più semplice da fare, e Draco … beh, Draco è stato un coglione, ecco tutto» 
«Non la pensavi così quando ce lo portava al castello» contestò Ted.
«Non la pensavo così fino a che l’ha resa felice» si difese Lyall. 
Anastasia cercò di sorridergli.  «Lo hai letto da qualche parte?» 
«No, me lo ha detto papà. Non ricordo quando, ma mi fece un discorso del genere convinto che io stessi male per qualche ragazza, in realtà invece avevo puntato tutto su un Cacciatore che valeva davvero meno di uno zellino falso»
 Ted rise di nuovo e le ragazze scossero la testa. 
«Se c’è qualcuno che è davvero senza speranza, fratello, quello sei tu»
 
 

Nicole uscì dal bagno del piano terra con un’espressione di pura stanchezza dipinta in volto, mista a della sana preoccupazione. Alzò lo sguardo e trovò un altrettanto preoccupato Remus Lupin, con il suo solito completo marrone e i capelli che gli accarezzavano il volto. 
«Oh, ciao» gli disse la ragazza con stupore. «La McGranitt mi ha dato il permesso di stare con Anastasia anche oggi, e …» 
«Lo so, lo so»  la tranquillizzò lui. «So anche che hai notevolmente insistito per questo permesso»
Nicole si strinse nelle spalle e infilò le mani nelle tasche dei jeans. «Dovevo» sospirò. 
Remus sorrise e annuì. «Sono passato solo a controllare» spiegò allora lui. «Mi dispiace molto, per tutta questa situazione» aggiunse, mentre lei incantava delle tazze perché si lavassero. 
«Già» gli disse lei, sedendosi. «Lui … voleva parlarle, sai. Spiegarle il malinteso, ha detto» 
«Tu … che ne pensi?» chiese, titubante. 
Nicole si strinse di nuovo nelle spalle. «Ha importanza?»
Remus le accennò un sorriso.
«Penso che lui sia un vero cretino, ecco» disse allora lei. «E che lei meriti di capirlo, quantomeno» aggiunse. «Ma mi importa solo che lei stia bene, o che almeno stia meglio, anche a costo di sgattaiolare qui o a Villa Black ogni tre giorni» 
Il modo in cui Remus la guardò la costrinse a smettere di parlare. 
«Remus?» domandò, preoccupata. 
Lui scosse la testa, con il sorriso più nostalgico che Nicole gli avesse mai visto – e gliene aveva visti moltissimi. 
«Nicole, assomigli a tua madre in un modo disarmante» 
Lei sbarrò gli occhi. 
«So che te lo avranno detto in centinaia …» 
«Ma tu non me lo hai mai detto» sussurrò lei commossa.
«Ma io non te lo avevo mai detto» ammise lui annuendo. «Lo so, lo so. Questo però non significa che non lo abbia mai pensato» 
Nicole continuava a sembrare scioccata. 

«Nicole, tesoro mio, tua madre era la strega più insolente e testarda che il nostro mondo abbia mai conosciuto» continuò. «Diceva quello che pensava senza preoccuparsi delle conseguenze, e sapeva … sapeva rimanerti accanto, quando neanche tu saresti voluto rimanere accanto a te stesso. E lo faceva in un modo tutto suo, senza essere invadente, non … non te lo so spiegare» s’imbarazzò. «Era una cosa … da Rose»
Lei lo guardò con le lacrime agli occhi. «Ho ascoltato centinaia di maghi e streghe sproloquiare su mia madre» gli disse, pesando ogni parola. «Ma … l’unico che mi interessasse realmente ascoltare eri tu. Almeno da qualche anno, diciamo, da quando Anastasia si è lasciata sfuggire che stavate insieme» 
«Nicole, io … ho amato Rosalie come non credevo di essere capace. E mi dispiace, mi dispiace davvero non avertene mai parlato o non essere stato io a dirtelo» anche negli occhi di Remus, adesso, si celava un velo di lacrime. «Ma … non ne parlo quasi mai. Non passa giorno senza che io la pensi, però: le devo tutto quello che sono oggi. Se sono un padre, un marito, e soprattutto se sono un uomo felice, è perché Rosalie non ha mai smesso di credere in me, è perché non ha mai smesso di credere che io potessi diventarlo e perché … perché mi ha amata quanto io ho amato lei, almeno fino a che ci è stato concesso»  si passò una mano sul viso. «E ha amato anche te, per favore non dubitarne mai. Avrei voluto potertelo dire prima, ecco. Ma non dubitarne. Ti ha amata così tanto che riesci ad essere uguale a lei pur non ricordandotela. E sono più che certo che ti ami ancora, ovunque sia» 
Delle lacrime rigarono il viso angelico di Nicole. «Remus …» 
«Mi dispiace davvero non avertene mai parlato prima» ripeté. «Spero che potrai perdonarmi» 
«Oh, Remus» gli disse lei passandosi una mano sul viso per asciugarsi le lacrime. «Mai, mai sono stata arrabbiata con te per questo. Come potrei?» 
Per la prima volta da quando era bambina, Remus allargò le braccia e le fece segno di abbracciarlo. Lei, senza esitare, accolse l’invito, e piansero l’uno sulla spalla dell’altra.
 
 
Anastasia non aveva chiuso occhio, dopo che anche Nicole se n’era andata. Le aveva chiesto di farle sapere se i Lupin stessero bene, una volta arrivata al castello, e di assicurarsi che nessuno fosse arrabbiato con lei per il suo muso lungo o la sua pessima compagnia. Nicole le aveva scritto di non preoccuparsi, che nessuno sarebbe stato così idiota da farle una colpa del suo pessimo umore. 
Aveva avuto la netta impressione che lei e Remus avessero avuto un incontro-scontro, non per forza qualcosa di negativo, ma qualcosa di pesante a livello emozionale. Non aveva domandato nulla: poteva tranquillamente immaginare quale fosse stato l’argomento. Ciò di cui nessuno parla mai. 
Sistemò la teiera sul fornello e accese il fuoco con un rapido incantesimo, tenendosi con l’altra mano l’asciugamano sopra la testa, che teneva i capelli bagnati al sicuro. 
Remus aveva creato una Passaporta per Nicole e le aveva baciato i capelli prima che partisse, con una dolcezza che Anya raramente aveva visto. Forse perché lui e Dora avevano avuto solo figli maschi con cui la dolcezza era più difficile da esprimere, e forse perché il rapporto tra i coniugi Lupin non prevedeva effusioni in pubblico se non in casi eccezionali o formali come la notte di Capodanno o i brindisi agli anniversari, ma ne era rimasta quasi basita. 
Per questo, era chiaro che si fossero detti qualcosa di speciale. Accennò un sorriso e si sistemò l’accappatoio. 
Quattro giorni chiusi a Grimmauld Place potevano bastare. 
E poi, le urla di Walburga cominciavano a darle sui nervi. 
 
 
 
 




NdA: non ho troppo da dirvi, questa settimana. Sapevamo tutti che i fantastici quattro dovevano riunirsi e che Rose "non è una che se ne va". 
Buona settimana a tutt*! 

Fatto il misfatto, 
C

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Capitolo 31
*** marmellata ***


30. 
marmellata
 

Sirius chiuse il giornale e la guardò come si guarda un tramonto in riva al mare. «Buongiorno, mostriciattolo» le sorrise, levandosi gli occhiali da vista. 

Lei piegò le labbra in un sorriso abbozzato. «Ciao» sussurrò. «Tutto bene?» 

«Io sì» rispose il padre, lasciando il giornale sul tavolo. «E tu?» 

Lei si strinse nelle spalle e si sedette davanti a lui, come da tradizione. Prese una fetta di pane tostato e con un cenno del capo, chiese a Sirius di passargli il vasetto di marmellata. «Voglio dire, non … non mi ha cercata nessuno, vero?» 

Sirius si prese qualche secondo per apprezzare il tono di finto disinteresse della figlia. «Beh, i tuoi fratelli ti hanno cercata con una certa insistenza. E anche i Weasley, tutti quanti. Charlie era basito. Ron … beh, credo che Harry e Ginny gli abbiano dovuto spiegare la faccenda un paio di volte, ma alla fine, era preoccupato come gli altri» 

«Papà» si lamentò lei con un nuovo sorriso sul volto.

«Kayla è stata qui l’altro ieri, ha blaterato un sacco di cose così veloce da risultare incomprensibili a me e ai tuoi fratelli, ma la mamma ed Hermione continuavano ad annuire pensierose e a dirle che aveva ragione e che aveva fatto bene» 

Anastasia incarnò un sopracciglio, rimanendo con la fetta di pane a pochi centimetri dalle sue labbra. «Che ha fatto?»

«Te l’ho detto: non ho capito» ripeté lui, incrociando le gambe e appoggiandosi allo schienale della sedia. «Potresti chiedere a lei, però: non fa che fare marmellate, da tanto è agitata» aggiunse poi, indicando il vasetto vicino a lei. 

Anastasia scosse la testa. «Qualcun altro?» 

Sirius sospirò. «No, bambina mia» ammise, quasi dispiaciuto. 

Lei annuì di nuovo, come se stesse cercando di evocare qualche ricordo sbiadito. «Bene» sussurrò. «Anzi, benissimo»

Sirius alzò le sopracciglia. «Come mai hai lasciato il tuo rifugio dopo solo quattro giorni?» 

«Tua madre urla troppo» scherzò lei. «E poi, Kayla non mi manda le marmellate, lì»

Sirius sorrise alla figlia. «Ora ti riconosco» le disse, con la sua risata più che famosa. 

«Papà, tu … tu e la mamma siete arrabbiati con me?» 

Sirius, di nuovo, scrutò la figlia per qualche istante.

«Anastasia, per quale valido motivo dovremmo essere arrabbiati con te?» chiese poi, con sincero interesse. 

«Hai preso una Pozione di Pazienza?» 

«Un paio, da quando te ne sei andata. E poi, beh, non servivano, in realtà: ho sposato Martha Redfort, la strega che potrebbe convincere la Piovra Gigante di saper volare» 

Anya addentò il suo pezzo di pane e scosse la testa. 

«Al di là delle capacità persuasive di tua madre, mostriciattolo» continuò allora lui. «La mia mensile corsetta nei boschi mi ha regalato un po’ di pensieri tutti miei, riguardo a te e quel biondo che si era appostato nel nostro giardino» 

Anastasia fece un respiro profondo.

«Tra tutti e quattro voi, tu sei quella che assomiglia di più a vostra madre» iniziò allora lui. «Lo so che tutti dicono che è Robert che assomiglia a Martha, e non dico che non sia vero, ma tu … tra tutti e quattro, tu sei quella che ha quella sua caratteristica di arrivare dritta al cuore sin da subito. È ciò che colpì me, quando eravamo più giovani di te ora. È ciò che colpisce chiunque la incontri, da sempre. Ha combattuto due guerre, cresciuto i tuoi fratelli da sola, ed è riuscita a tirare fuori me dall’Inferno sulla terra, con la sua determinazione, ma questo non ha mai … non le ha mai impedito di farlo con dolcezza, con delicatezza. Ecco, tu avrai anche i boccoli di Walburga e i tratti dei Black, ma hai il cuore di Martha» piegò la testa di lato e sorrise. «Non mi è difficile immaginare come Draco Malfoy abbia passato gli ultimi quindici anni, Anastasia, e mi è ancora meno difficile immaginare come tu sia entrata nella sua vita creando lo stesso effetto di una cometa in una notte buia. È ciò che è successo a me quando ho conosciuto tua madre. Naturalmente io ero ben diverso da lui, insomma, ero già stato rinnegato ed ero … oh, non importa. Ero un’anima dannata. Ma poi lei mi ha sorriso. E io in quel momento ho visto un lato della medaglia che prima non vedevo»

Anastasia gli sorrise commossa. 

«Credo che a Draco sia … successa più o meno la stessa cosa. Con te. Credo che tu sia stata … la sua stella cometa» continuò. «Oh, questo non toglie che sia un coglione arrogante razzista, ma ha salvato la vita ad Harry – dopo avergliela resa impossibile, ma lo ha fatto. La mamma, Kayla e lo stesso Harry non hanno fatto ch ricordarmelo. E non posso nemmeno odiare Narcissa, perché anche lei ha salvato Harry»

«Un sacco di gente ha salvato Harry, papà» gli fece notare allora lei. 

«Ma solo due Malfoy» replicò allora lui. Si ributtò sullo schienale della sedia e guardò l’orologio da polso. «Ti va un giro in moto con il tuo vecchio?»



 

«Ma è vero che sei triste?» domandò Albus. 

Anastasia annuì, mentre il piccolo si metteva seduto sulle ginocchia di Sirius. 

«Ce lo ha detto zio Robert» spiegò, come per scusarsi, mentre James si sedeva tra Sirius e Anya sulla panca di legno del  giardino di casa Potter. «Ma perché sei triste?» 

Anya gli scompigliò i capelli, identici a quelli di Harry. «A te non capita mai di essere triste?» 

«Certo» rispose subito lui. «Settimana scorsa, non ho parato un lancio di Will che faceva davvero schifo»

«James» lo richiamò Sirius.

«Scusa: che faceva schifo solo un po’» 

«James!» sorrise Anya, mentre Sirius si copriva la bocca con una mano per nascondere una risata. 

«Okay, okay: faceva pena. Ma mamma e papà dicono sempre che i tiri degli Stonewall Storners fanno schifo, perché io non posso dirlo di quelli di William?»

Sirius alzò le sopracciglia. «Perché gli Stonewall sono canadesi» rispose velocissimo. «E i canadesi non centrerebbero il cerchio neanche se a parare ci fosse Remus» 

«Papà» lo richiamò allora Anastasia. 

«Remus ha moltissime qualità, ma parola mia, non parerebbe una Pluffa neanche se avesse cento anni di tempo» disse, facendo ridere i bambini. «Oh, non ditegli che l’ho detto. Che ha molte qualità, intendo»

La porta di casa si spalancò e Lily corse verso di loro, mentre Ginny rimaneva sulla porta. 

«Ciao, rossa» gli disse Sirius. «Ben svegliata» 

Lily saltò in braccio ad Anastasia e le baciò la guancia, e Sirius, immediatamente, si sporse per ricevere un bacio identico, mentre Harry si avvicinava a loro con passo stanco. «Non sono riuscito neanche a farla vestire, quando ha capito che c’eravate qua voi è voluta correre qui» 

«Hai fatto bene, Lily» disse Sirius, dando il cinque alla piccola, che rise moltissimo. «Questione di priorità» 

Harry prese posto accanto alla sorella e si guardò attorno. «Perché siamo seduti qui fuori al freddo? Tra poco nevicherà» 

«Appunto!» risposero in coro i bambini, Sirius e Anya. 

 

Draco si accese il sigaro con aria annoiata, sedendosi sui gradini di pietra che portavano alla porta della Malfoy Manor. Rivide sé stesso scendere quelle stesse scale di corsa per rincorrere Anastasia, afferrarla, stringerla a sé, e baciarla. 

Scosse la testa. 

Sembravano passati anni. 

Non era da escludersi che fossero effettivamente passati anni, pensò. Se quelle che fioccava attorno a lui era neve, forse, erano passati anni. E lui non se n’era accorto. Era tornato tutto grigio, come prima che lei arrivasse. Ma un grigio più spento, un grigio più cupo. 

D’altronde, una stanza buia che non ha mai visto la luce, pensò, non sa cosa si perde. 

Una stanza buia che conosce la luce, invece, sa bene cosa le manca. 

Alzò gli occhi. 

Sì. 

Era proprio neve. 

 

Anastasia se ne stava stesa al centro del letto,  con le mani in grembo e lo sguardo perso verso il soffitto. Le sembrava di essere in quelle condizioni da settimane, eppure era certa di aver mollato il libro di Magisprudenza sulla scrivania meno di mezz’ora prima. Non ci poteva fare niente: la neve aveva ricoperto ogni centimetro d’Inghilterra da ormai due giorni, e tutto quello che riusciva a fare lei era guardare fuori dalla finestra e chiedersi come fosse la Malfoy Manor ricoperta di neve. E i pavoni? Non poteva fare a meno di chiedersi se Draco, negli anni, avesse pensato di costruire loro un rifugio per i mesi più freddi. 

Chissà dov’era lui, anche. Chissà se con Astoria si sarebbero sposati a breve o se preferivano continuare a giocare a fare gli amanti. Una volta le aveva detto che il padre di Astoria non aspettava altro che le loro nozze. Bene, si disse. Sarà accontentato – sarà tutto meraviglioso e la storia con Anastasia verrà archiviata per essere ricordata solo per sbaglio ed in silenzio, quando qualcuno avrebbe chiesto loro dei mesi che avevano passato separati prima di decidere di convolare a nozze. 

Per fortuna qualcuno bussò alla porta, allontanando Anastasia dal pensiero di Astoria Greengrass in abito bianco. 

«Che c’è?» domandò, senza smettere di fissare il soffitto. 

La porta si aprì e Kayla mostrò alla sorella uno sguardo curioso. «Dormi?» 

«No» rispose secca Anya. «Sto studiando» spiegò. 

«Oh, non lo metto in dubbio» rispose Kayla vedendo il libro aperto sulla scrivania.«Hai un altro esame?» 

Anastasia annuì. «Dopo le vacanze» raccontò. «Prima devo sopravvivere a questo fottuto Natale» sospirò. 

Kayla, dopo averci riflettuto qualche secondo, entrò nella stanza, si avvicinò al letto e si stese accanto alla sorella, nel verso opposto. «Tutti dobbiamo sopravvivere a questo fottuto Natale: zio Aaron ha raddoppiato le decorazioni» 

Anastasia si portò una mano sul viso e scosse la testa, soffocando una risata. «Non è umanamente possibile» 

Kayla annuì. «Hai già comprato dei regali?» 

«Neanche uno» ammise la più giovane. «Non sono dell’umore. Credo che il giorno di Natale mi vestirò di nero e strapperò i petali ai fiori e poi mi ubriacherò» 

Kayla sorrise. 

«Pensi che si sposeranno?» 

«Chi, ancora?» si allarmò la Serpeverde, mettendosi seduta di scatto. 

«Draco e Astoria» sospirò Anastasia. 

«Non credo proprio» tagliò corto Kayla con tono stizzito.

«Draco ha detto che … che il padre di Astoria non aspettava altro»

«Il padre di Astoria sarebbe disposto a sposare personalmente Draco, se questo servisse loro per avere il potere e la fama di un tempo» sospirò Kayla. «Ad ogni modo, non è nulla che ci riguardi. Non ho la minima intenzione di partecipare ad un altro matrimonio, anche perché ci metterò secoli prima di rientrare in uno dei miei vestiti da cerimonia» Guardò la sorella, ancora stesa sul letto a fissare il soffitto e sospirò. «Ti ha scritto?» 

«No» 

«Tu gli hai scritto?»

«Neanche morta»

«Ha ragione Minerva, quando dice che saresti stata una Grifondoro perfetta» rise allora, prendendo il naso della sorella tra le dita, costringendola a voltare la testa a destra e sinistra. «Alzati, mostriciattolo: usciamo» 

«Devo studiare» si lamentò Anya, alzandosi dal letto. 

«Già, perché eri proprio impegnata quando sono entrata» la riprese Kayla alzandosi dal letto. «È quasi Natale, e io non so quanto tempo ho per girare liberamente per Londra facendo shopping» disse, indicando la sua enorme pancia. 

«Kayla» sbuffò Anya, mentre la sorella le prendeva il braccio e la trascinava verso il corridoio. 

«Non puoi dirmi di no» spiegò allora Kayla. «Sono tua sorella maggiore, e sono moralmente instabile in quanto incinta» 

«Kayla, non provare a-» 

«Insomma, vuoi che mi venga una crisi di pianto isterico?!» 

«Le crisi di pianto isterico le hai avute solo nel primo trimestre» sbuffò la ragazza. 

«Oh, vuoi scommettere?» 

«Merlino, no!» si stufò. «Andiamo!» 

 

Draco si ficcò le mani nella tasca del cappotto e si pentì immediatamente di quello che stava facendo, catalogandolo fin troppo lucidamente come un suicidio di dubbio gusto. Prima di tutto, perché il negozio di scherzi era pieno zeppo di clienti. Poi, perché non sapeva cosa cercare. E poi, perché sarebbe stato imbarazzante. Sebbene ormai all’imbarazzo fosse abituato – insomma, tre mesi di relazione con una Black lo avevano preparato a tutto – erano i primi due punti a costringerlo a catalogare quel gesto come un suicidio.

Stava per decidere di girare i tacchi e fingere di non essere mai stato lì, di non avere mai avuto un’idea tanto assurda, quanto niente di meno che Robert Black, con una camicia scura e un panciotto nero con una fantasia argentata, si parò davanti a lui con un’espressione basita,identica a quella di Anastasia quando le aveva detto che i pavoni non avevano dei nomi. 

«Ciao» disse, sbattendo gli occhi. «Cerchi Fred?»

«Io, no, insomma, io, ehm …» Draco si grattò la nuca. «Vorrei comprare dei regali» 

Robert cercò di nascondere un sorriso divertito e si mise le mani nelle tasche dei pantaloni di velluto verde bottiglia, facendo ciondolare il peso dai talloni alle punte dei piedi. «Certamente» disse, quindi. «Che tipo di regali cerchi?» 

«Io … non lo so, in realtà» ammise Draco. «Vedi, sono per Ted, Lyall e Nicole» spiegò. «Io, beh, mi stavano simpatici quei tre, e parlavano sempre di scorte e di questo posto, ed è quasi Natale» mentre lo diceva, si rese conto di suonare patetico e assurdo, e stava per aggiungere che non faceva niente e forse anche per Obliviarlo, ma lui lo guardò e annuì pensieroso, senza dare l’impressione di trovare niente di assurdo nel suo discorso e mettendolo a suo agio, più di quanto si aspettasse.

«A Lyall servono un po’ di Caccabombe, me lo ha scritto stamattina» spiegò, mordendosi le labbra per rimanere serio. 

«Le prendo» disse subito Draco. «Altro?» 

«Ci sono delle nuove Puffole Pigmee, Nicole le adorerebbe» disse Robert accarezzandosi la barba. «E Ted è sempre a corto di Orecchie Oblunghe»
«Le prendo, qualsiasi cosa siano» decretò il biondo. 

Robert non riuscì a non sorridere. «Non sai cosa siano?»

Draco si strinse nelle spalle. «Dovrei?» 

«Servono per origliare attraverso le porte» spiegò Robert, mentre, con la bacchetta, chiamava a sé una Puffola Pigmea arcobaleno e una scatola di Caccabombe, per lasciarle in mano a Draco, che si trovò a guardare la Puffola con diffidenza. Prima che il Serpeverde potesse obiettare, Robert gli fece segno di seguirlo, e si trovò a percorrere vari metri in quel negozio pieno di cose che Draco trovava assurde, per arrivare ad una cassa vuota. Robert si sistemò dietro il bancone della cassa, per Appellare due scatole contenenti tre Orecchie Oblunghe ciascuna, con una scritta lampeggiante che vantava uno sconto natalizio e un più lungo raggio d’azione. 

«Ti serve altro?» 

«No, grazie» rispose lui, capendo di poter appoggiare la scatola e la Puffola. 

«Questa è per Ted» spiegò Robert, battendo sui tasti della cassa con estrema velocità, mentre indicava una delle due confezioni di Orecchie. «E questa, invece» disse, indicando l’altra confezione identica. «È per te» 

«Per me?» sputò Draco. 

«Per te» ripeté Robert. «E anche questo» aggiunse sorridendo, togliendosi dalla tasca posteriore dei pantaloni un Marchio Nero Commestibile e mostrando la sua espressione più malandrina. «Così magari imparerai a prenderti meno sul serio»

Draco raccolse la caramella con diffidenza. «C’è scritto che dà nausea immediata» contestò. «Li vendevate anche a scuola!» si ricordò poi. 

«Fanno sempre ridere» spiegò Robert facendo spallucce. «Glieli spedisci al castello?» 

Draco si trovò spaesato. «Non ci avevo pensato» ammise, abbassando la testa. 

«Possiamo spedirteli noi, se vuoi. Due galeoni a gufo. E … eviteresti l’imbarazzo di trovare questi regali piazzati sotto il mio albero di Natale»

«Spedisco tutto» sentenziò Draco, aprendo il portafogli, mentre Robert gli porgeva tre fogli bianchi e tre buste, guadagnandosi uno sguardo interrogativo. 

«Beh, non vorrai mica spedire regali anonimi»  spiegò Robert. «Ti dovrai firmare, no?» 

«Non avevo pensato neanche a questo» ammise di nuovo Draco, raccogliendo penna e calamaio da vicino alla cassa, mentre Fred raggiungeva Robert con espressione divertita ma stupita.

«Ma guarda un po’!» esclamò il rosso, battendo una pacca sulla spalla a Draco decisamente troppo forte. 

«Se non lo picchio io» gli disse Robert con tono calmo, senza alzare gli occhi dalla cassa. «Non lo picchia nessuno»
«Apprezzo» rispose Draco acido, fissando quel foglio bianco con astio. Non aveva davvero idea di cosa scrivere. Voleva solo far sapere ai Lupin e Nicole che era dispiaciuto, che augurava loro buon Natale e che si augurava che il campionato stesse procedendo bene. Ma mettere quelle cose su un bigliettino, era più difficile del previsto. 

«Marchio Nero Commestibile?» domandò Fred sorridendo. 

«Regalo di Natale da parte mia» spiegò Robert. «Non ho resistito» aggiunse, sorridendo. 

Draco intinse la penna nel calamaio di nuovo. Non aveva capito che fosse un regalo, pensò sorridendo di nascosto. 

 

Avrete bisogno di un po’ di scorte per portare avanti questo campionato. 

Buon Natale. D.M.

Posò la penna con aria orgogliosa del suo lavoro e chiuse il foglio in una busta. 

«Uno solo per tutti e tre?» domandò Robert. 

«Per chi sono?» si intromise di nuovo Fred.
«Lyall, Ted, Nicole»  rispose Robert indicando i tre pacchetti. 

«Ooooh» si stupì Fred. «Guadagnerai un sacco di punti»

Draco corrucciò la fronte, sistemando sulla cassa i galeoni necessario. «Non avete una specie di segreto professionale?» 

«Non siamo mica Curatori» sorrise Robert. «Non mangiare il Marchio, se non vuoi dare di stomaco in un quarto d’ora» spiegò. «Le istruzioni per le Orecchie sono nelle scatole» aggiunse. «Fanne buon uso, sono tra i nostri prodotti migliori» sorrise. Alzò gli occhi dalla cassa e dai pacchetti per tornare a guardare Draco. «Li spediamo domani mattina, arriveranno ai ragazzi con i gufi della colazione» poi guardò Fred. «Altro che dovrei dire al nostro nuovo cliente?» 

«Che ha guadagnato un sacco di punti» ripeté Fred. 

Draco si sforzò di sorridere. «Non sono più in gara, però» rispose, malinconico. Rimise le mani nelle tasche, e con un cenno del capo, sparì tra gli altri clienti, lasciando i due Grifondoro con l’amaro in bocca. 

«Gli hai detto che Anastasia e Kayla sono in magazzino?» domandò il rosso. 

«No, certo che no» ammise Robert. «Non mi sembrava il caso» 

«Ecco, tu invece, hai perso un sacco di punti» si lamentò il rosso. 

 


NdA: buongiorno! Chiedo umilmente perdono per non aver pubblicato a mezzanotte come mio solito - devo dirvi la verità, a mezzanotte già dormivo come un sasso, ormai ho un'età. 
Molt* di voi mi hanno scritto, con un pizzico di delusione, perchè Draco e Anya non abbiano risolto subito: A parer mio, la risposta è abbastanza semplice: non sarebbe stato realistico. Draco è comunque una persona, ai miei occhi, che lascia che le cose gli accadano senza opporsi. E Anya ... Anya è una diciottenne ferita, e questa definizione credo basti. 
Detto ciò, oggi mi prendo le ultime righe delle NdA per un pizzico di propaganda. Always_Potter, la mia sorella per scelta di cui ho accennatto qualche capitolo fa (e in innumerevoli capitoli di Più di ieri) sta riscrivendo da capo a piedi la sua Wizard's Note, o come la chiamo io, la sua opera prima. Credo che questa storia meriti moltissimo, anche solo per il gesto di riscrivere tutto daccapo - quindi non posso fare a meno di intimarvi di passare a dare un'occhiata.
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3947813&i=1 ) 
Ecco, credo di avere detto tutto. 
Buona settimana! 
Fatto il misfatto, 
C

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Capitolo 32
*** zenzero e limone ***


Capirai che il cielo è bello perché
In fondo fa da tetto a un mondo pieno di paure e lacrime
Oh, e piangerai, oh, altroché!
Ma dopo un po' la vita ti sembrerà più facile
E così fragile tornerai a ridere
(Cesare Cremonini, Vieni a vedere perchè)
 



 

31. 
zenzero e limone

 

Draco se ne stava seduto davanti ai tasti bianchi e neri del piano, a fissarne il contrasto e a sentirsi stranamente d’accordo con loro. Se c’era una cosa che sapeva per certo, era che la sua vita fosse stata costernata da contasti di ogni tipo, e non poté fare a meno di sentirsi ridicolo quando si trovò a pensare che quel piano e quei tasti potessero in qualche modo capirlo. Avvicinò la pallida mano destra ai tasti e la ritrasse subito: erano freddi. Ecco un’altra cosa che quel piano aveva in comune con la sua vita. Scosse la testa. Era ridotto proprio male, ammise a sé stesso. 

«Draco?» chiamò sua madre dalla sala da pranzo. 

Lui non si mosse, rimase a guardare quei tasti in contrasto, con la testa bassa e lo guardo fisso. 

«Draco» lo richiamò lei, avvicinandosi con passo regale, le mani giunte e un vestito lungo che oscillava al ritmo dei suoi passi svelti e leggeri.

«Draco» ripeté la terza volta, ormai giunta davanti al pianoforte a corda. 

Lui alzò gli occhi per trovarne un paio gelidi e identici ai suoi, ma sinceramente preoccupati. 

«Draco, ho pensato che sarebbe carino invitare a cena la giovane Anastasia» 

«Che cosa?» sputò lui al sentir nominare Anya. 

«Non ho potuto fare a meno di notare che la nostra ... incomprensione, vi abbia scossi. Vorrei potermi scusare di persona e come si deve, se sei d’accordo» 

Draco assaporò quel momento. “Sarebbe carino”? Narcissa voleva scusarsi? A cena? “Come si deve”?

«Inoltre» continuò lei. «Credo di dovere le mie scuse anche a te, per non aver rispettato la tua privacy» 

Draco scosse la testa. «Non ti dar pensiero» sussurrò, avvicinando entrambe le mani ai tasti del piano. 

«Oh, no, mi fa piacere» insistette la donna. «Chiederò a Kora di preparare la cena, credo sappia cosa le piace e poi …»
Draco lasciò cadere le mani sui tasti, producendo un insieme di suoni che scosse Narcissa tanto da costringerla a smettere di parlare. 

«Non tornerà» disse piano. 

«Non tornerà?» 

«Anastasia non tornerà» precisò lui abbassando ancora la voce, sentendo il peso di ogni singola sillaba sulla bocca dello stomaco. 

Narcissa rimase a guardare il figlio, sentendo palpabile nell’aria il suo dolore ma trovandosi totalmente disarmata davanti ad esso. «Oh» si trovò a dire. «Mi sembravate felici» 

Draco annuì impercettibilmente, sentendo qualcosa trafiggergli il petto. «Troppo, forse» 

«È a causa di quello che le ho detto io?» 

Draco rimase immobile, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi. 

«Io le ho detto quello che sapevo, Draco» 

Lui scosse la testa e si alzò, cercando di ignorare la rabbia davanti all’evidenza dei fatti: Narcissa si stava giustificando, cercando di fare in modo che nessuna colpa ricadesse su di lei. Non era colpa di sua madre se quel comportamento, ora più che mai, gli faceva venire il voltastomaco. Era lui ad essere cambiato. 

E per quel cambiamento non c’erano colpe, ma solo meriti. 

Ed erano tutti di Anastasia Black.



 

Ted si lasciò cadere accanto al fratello e a Nicole, al tavolo della casata rossa e oro. Con i capelli di un luminoso grigio e gli occhi ancora mezzi chiusi, ringraziò Nicole con un cenno quando gli passò una tazza colma di caffè. «Non puoi ridurti sempre all’ultimo con i compiti di Astronomia, Ted» lo rimproverò la ragazza.

«Lo so» sbuffò lui, rubando un biscotto dalla mano del fratello. 

«E ti sei corretto un’occhiaia soltanto» continuò lei. 

Lui chiuse gli occhi in un’espressione concentrata e rese di nuovo simmetrico il suo viso a punta. 

«Molto meglio» sorrise Nicole. «Come mai questo colore di capelli?» s’informò. 

«Non lo so» si strinse nelle spalle Ted. «Non ho ancora avuto il tempo di guardarmi allo specchio» 

«Questo è grave» commentò Lyall. «Mi preoccupi, fratello» 

«A me preoccupa che si riduca ancora all’ultimo con i compiti di Astronomia» commentò acida Nicole. «Se ci vengono assegnati un mese prima, c’è un m-» 

«C’è un motivo, lo so, lo so» la interruppe lei. «Si chiama Astronomia apposta» le fece il verso. «Oh» disse poi guardando il soffitto. «Finalmente questa giornata prende la piega giusta» 

«Scorte!» sorrise Nicole, vedendo volare gufi verso di loro con tre pacchetti più che riconoscibili.

«Ho scritto a Robert solo l’altro ieri» si stranì Lyall. «Pensavo di non ricevere niente prima di Natale» 

Ted accarezzò il gufo che gli si posò accanto, mentre Nicole prendeva il suo pacchetto tra le mani con aria insospettita. Lyall, intanto, slegò dalla zampa del suo gufo la busta con il sigillo del negozio con nonchalance, mentre il cucchiaio nella sua tazza di tè continuava a girare. Aperta la busta, si rigirò il biglietto tra le mani con gli occhi sbarrati, come se si aspettasse di trovarne un altro. 

«OH!» strillò Nicole aprendo il suo pacchetto. «Ma è meraviglioso!» aggiunse, attirando l’attenzione di tutto il tavolo, mentre accarezzava la sua nuova Puffola Pigmea dal pelo di ogni sfumatura di viola e questa la guardava contenta. «Deve essere una di quelle nuove! Perché Robert me la manda adesso?» domandò a Lyall. 

Il Grifondoro esitò. Aprì la bocca, per richiuderla immediatamente, e d’istinto, allontanare la busta ed il biglietto da lei e dal fratello. 

«Lyall» lo richiamò lei. 

Lui si schiarì la voce e scosse la testa. «Beh, è … è un regalo di Natale» 

«Appunto» si stranì Ted. «Dopodomani saremo a casa, perché mandarci oggi i regali di Natale? Non poteva aspettare?» 

«Tu cosa hai ricevuto?» finse d’incuriosirsi allora Lyall. 

«Lyall» lo richiamarono i due all’unisono. 

«Uh, delle Orecchie!» sorrise indisturbato Lyall. «Astuto!»

Nicole si posò la Puffola sulla spalla, si sistemò la cravatta rossa e oro e con estrema classe si alzò, iniziando ad allungarsi verso Lyall, con l’obiettivo di afferrare quel biglietto anche avendo il tavolo tra loro e tutti i loro compagni pronti ad osservare quello show mattutino inatteso. 

Ted, meno lento e agile di Nicole, la imitò e con un accenno di solletico al fianco del fratello, riuscì ad afferrare il biglietto ormai stropicciato.

E, dopo averlo letto, fece la stessa faccia del fratello. 

Prima che potesse commentare, Nicole glielo strappò dalle mani, e ai due Lupin parve di vedere del fumo uscire dalle sue narici e dalle sue orecchie. Senza aggiungere altro, allora, e recuperando il suo portamento fiero e freddo con una particolare attenzione a battere i piedi a terra per farsi sentire e notare, lasciò la Sala Grande con la Puffola sulla spalla. 

Mentre Ted e Lyall la guardavano allontanarsi, si avvicinò invece il professor Lumacorno, con un’immancabile tonaca verde oliva. «Va tutto bene, ragazzi cari?» 

I due fratelli annuirono nello stesso modo. 

«Regali di Natale, signore» spiegò Lyall. 

«Oh, meraviglioso!» sorrise il tricheco. «Però, miei cari ragazzi, mi duole ricordarvi che le Caccabombe sono ancora bandite dal regolamento e …» 

«Da parte di Draco Malfoy» sogghignò Ted. 

Lyall dovette trattenersi dal non ridere vedendo l’espressione di Lumacorno. Prima terrorizzata, poi sorpresa, poi stranita. «Oh, il buon Draco!» si forzò di commentare. «Un talento nato, il ragazzo. Non sapevo foste così in buoni rapporti con i Malfoy!» 

«Merito di Anastasia» sorrise allora Lyall. «Come sempre, d’altronde» 

L’insegnante si perse ancora per qualche secondo a guardare la carta dei regali. «Direi che, considerato il mittente, potrò, ecco, chiudere un occhio … a patto che gli portiate i miei più cari auguri di Natale» convenne, abbassando il tono di voce. 

«Senz’altro, professore» risposero i due ad una sola voce. 

«Molto bene, molto bene» concluse. «Ci vediamo in classe, allora!» e, con il suo passo lento e leggermente claudicante, si allontanò, pronto a salutare altri studenti con il suo buonismo. 

«Godric» sbuffò Lyall. «Mi toccherà scrivere a Draco per ringraziarlo»

Ted alzò le sopracciglia. «Potremmo andarlo a trovare, dopodomani»  suggerì. «Oppure, offrirgli una Burrobirra anche stasera, per ringraziarlo» 

«Sei pazzo!» lo richiamò il fratello. «Nicole ti ammazzerà!  E anche Anya! Per Merlino, Ted, l’hai vista come sta!»

«Certo che l’ho vista!» si difese il primogenito. «Ma ho visto anche quanto lui fosse cotto di lei! Immagina come sta!» 

«Con un’altra, ecco come sta!» sussurrò allora Lyall, mostrandosi alterato dalla conversazione. 

«Oh, perché tu ci credi? Insomma, hai visto quello che vedevo io, quando venivano qui?» fece pressione ancora Ted. «E poi non è detto che tutta la nostra famiglia lo debba venire a sapere!» 

Lyall alzò gli occhi al cielo. «Sei incorreggibile» si lamentò. «Dovrei coprirti, quindi?» 

«Questo lo hai detto tu» sorrise malandrino Ted. «Ma non posso che appoggiare questa tua bella idea!» 

«Sei incorreggibile» ripetè Lyall. «Nicole ti farà passare un brutto quarto d’ora» 

Ted si strinse nelle spalle, raccolse il biglietto ed il suo pacchetto,  i suoi libri, e mentre i capelli tornavano castani dorati, fece cenno al fratello di essere in ritardo.  


Anastasia aveva corso sotto la pioggia per svariati chilometri, poi aveva deciso di tornare a casa. Incurante dello Statuto di Segretezza, si era Smaterializzata nel bel mezzo di Londra per tornare a Villa Black e farsi un bagno caldo, infilarsi una vecchia tuta e una felpa rubata a Lyall o Robert, e poi aveva spostato la poltrona della sua stanza, che di solito stava accanto al letto, e l’aveva messa sotto alle due finestre. Aveva deciso che sarebbe rimasta seduta lì, con i capelli ancora umidi e gli occhi ancora gonfi per il pianto, a guardare quella giornata finire sotto alle fitte gocce di pioggia e ai grigi nuvoloni che con ogni probabilità, coprivano ogni centimetro di cielo inglese. La pioggia stava sciogliendo la neve, e per quanto fosse uno spettacolo orribile per l’occhio umano, lei non riusciva a fare a meno di fissarlo, senza mai davvero vederlo. Era chiaro che oltre a quelle vetrate vedesse altro, ma forse, anche quelle erano cose che non aveva voglia di vedere. 

Quando qualcuno bussò alla porta, lei semplicemente finse di non accorgersene. 

«Anya?» chiamò Robert al di là della porta. «Anya, so che ci sei»

«E allora perché bussi?»  rispose lei scuotendo la testa. «Entra, Robbie» voltò la testa verso la porta.

Robert entrò, con in mano una tazza dal contenuto fumante. «Zenzero e limone» spiegò, porgendogliela. «La tua preferita»

Anya sorrise e allungò le mani verso la tazza. «Non ti ho sentito arrivare» gli disse poi. 

Robert si strinse nelle spalle e prese la sedia della scrivania per sedersi accanto a lei. «Mamma e papà hanno il turno di notte» spiegò. «Non mi andava di saperti qui da sola» aggiunse. «In più, dobbiamo fare due chiacchiere»

Anya alzò gli occhi al cielo e tornò a guardare fuori. «Robbie, ti prego» 

«Io, tuo fratello e tua sorella siamo in difficoltà» continuò lui, incurante. 

«Vorrai dire tuo fratello e tua sorella»

«È il primo anno che non sappiamo cosa regalarti a Natale»

Anastasia alzò le sopracciglia e tornò a guardare il fratello, in viso dipinto un timido sorriso. 

«Senza contare che nessuno di noi riesce a ricordarsi quanti e quali occhiali da sole tu abbia, quindi persino regalarti quelli è diventato difficile»

«Vuoi sapere cosa vorrei?» 

Robert annuì con un mezzo sorriso. 

«Vorrei poter cancellare il Natale» 

Il fratello maggiore incassò il colpo. 

«Anzi, no» ritrattò lei. «Vorrei poter tornare a festeggiare il Natale come prima» 

«Come quando Tonks faceva Babbo Natale?» 

Lei allargò il sorriso e annuì nostalgica. «Così» 

Robert tirò un respiro profondo. «Me lo avresti detto?» 

«Che Babbo Natale era Tonks?» 

«Di Draco, per Natale, me lo avresti detto?» 

«Come regalo di Natale» sorrise tristemente lei. «Poi ti avrei comprato una bottiglia di Whiskey» 

«Anche due» rispose lui passandosi una mano nei capelli. 

«Ecco, se dovessi scegliere un regalo di Natale, vorrei poter tornare indietro» sospirò Anya. 

«Non innamorartene?» 

«Non innamorarmene» confermò lei. 

«Che scemenza» dissentì Robert. «Quello che provi è … è prezioso. Quello che avete avuto, o che avete, è raro. È una scemenza desiderare di tornare indietro e cancellarlo»

Anastasia guardò il fratello stranita.

«Questo non vuol dire che io lo approvi, ovviamente» specificò allora lui. «Vuol dire solo che … che stai crescendo, che stai andando avanti, e che hai dato la possibilità di essere felice a qualcuno che, per quel che ne so, è stato infelice per tutta la vita, e questo ti fa onore» 

Anastasia rimase a guardare Robert per qualche secondo, desiderando profondamente di capirne ogni pensiero, e riuscendoci, grazie ad un’intesa innata che li aveva sempre resi così legati da fare paura. 

«Ma questo non risolve il mio cruccio più grande: cosa ti regalo per Natale?» 

Anastasia scoppiò a ridere e scosse la testa, sorseggiando la tisana. 

«Stai ridendo!» si sorprese il Grifondoro. 

«Mi hai fatto ridere, troll» spiegò lei. 

«Stai ridendo! Questo è il miglior regalo di Natale!» 

Anya recuperò la sua espressione nostalgica. «Tornerò a ridere, solo per te»

 
NdA: ormai ho una certa età, pubblicare a mezzanotte non mi riesce sempre, perdonatemi!
A mia discolpa, vi regalo un po' di Robert e un po' dei tre moschettieri. 
Lo so, lo so che vorreste vedere Draco e Anya riuniti. Ma la pazienza è la virtù dei forti!
Forse mi ispiro troppo alla mia vita privata, ma ... per ritrovarsi ci vuole tempo. 

Buon inizio settimana!
 
fatto il misfatto, 

C

 

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Capitolo 33
*** fatto il misfatto ***


 
io mi nascosi in te, poi ti ho nascosto
da tutto e tutti per non farmi più trovare
e adesso che torniamo ognuno al proprio posto
liberi finalmente e non saper che fare.
Non ti lasciai un motivo né una colpa
ti ho fatto male per non farlo alla tua vita
tu eri in piedi contro il cielo e io così
dolente mi levai, imputato alzatevi
(Claudio Baglioni, mille giorni di te e di me)




32. 
fatto il misfatto

 

«No, dico, ti sembra normale?!» 

Anya strizzò gli occhi nella speranza di mettere a fuoco meglio ciò che aveva davanti. «Dora? Ma che ore sono?!» 

«Non importa!» sbraitò Ninfadora entrando in casa fradicia di pioggia. «Tu stai con Draco Malfoy! E non me lo hai detto!» strillò.

Anastasia si strinse nella vestaglia e strizzò di nuovo gli occhi. «Mi ha lasciata» 

«Non me lo hai detto!» ripeté lei. «Sono l’esperta degli amori impossibili e sconvenienti! Ho sposato un lupo mannaro di tredici anni più vecchio, e ci ho fatto due figli, che per la cronaca, sono i tuoi migliori amici! E tu non me lo hai detto!» Dora spalancò gli occhi. 

«Ninfadora!» tuonò la voce di Sirius dalla cima delle scale. «Che dolce risveglio che ci hai regalato» scese un paio di gradini e si sistemò i boccoli con un gesto semplice. «Ora tutto il quartiere sa i fattacci nostri» 

«Guarda che ne ho anche per te» disse al cugino, puntandogli l’indice contro. «Nemmeno tu me lo hai detto!» 

«E chi te lo ha detto, allora?» 

«Remus!» strillò di nuovo lei. 

«A quest’ora del mattino?» domandò Martha apparendo dietro al marito. «Senza neanche aver preso un caffè?» 

«Mamma ha ragione» mugugnò Anastasia, passandosi una mano sul viso. «Facciamo colazione» 

«Magari per Ninfadora una camomilla, più che un caffè» suggerì Sirius, raggiungendo la cucina. 

«Non chiamarmi Ninfadora

 

«Abbiamo deciso di non raderci più?»

Draco alzò gli occhi al cielo. «Tu raditi se vuoi» rispose insofferente. «Io non ne ho voglia»

Blaise scosse la testa, ringraziando Kora con un cenno mentre gli porgeva la solita tazza di tè. «E perché?» 

«Non mi va» rispose ancora Draco senza espressione, mentre Kora porgeva anche a lui la sua solita colazione e ne spiava l’espressione. 

«Vuoi assomigliare a Babbo Natale?» 

Il biondo corrucciò la fronte. «A chi?» 

«Lascia stare» si arrese l’amico. «Che facciamo a Capodanno?» 

«Blaise»

«Le treccine alla tua barba?»

«Sono solo due giorni che non la faccio» si difese Draco passandosi una mano sul viso ruvido. «Piuttosto, ho una domanda» 

Blaise finse di stupirsi. «Per Salazar! Una domanda! Un segno di vita! Un accenno di sinapsi!» 

«Ti prendo a calci» lo minacciò il biondo. 

«Oh, no» si difese Zabini. «Tu mi farai una domanda, ecco cosa farai»

«E poi ti prenderò a calci» 

«Sono tutto orecchie» 

Draco lasciò passare qualche secondo, sapendo che l’amico li avrebbe vissuti nella più totale tensione. «Perché non mi hai detto che Kayla e Fred aspettano due Weasley?»

Blaise strizzò gli occhi e si sistemò sulla sedia, si stirò la camicia con la mano e finse di cercare la risposta nella tazza di tè ancora bollente. «Io, ehm … come- come fai tu a saperlo? Hai … rivisto Anastasia? Te lo ha detto lei?» 

Blaise si pentì immediatamente di aver reagito così: davanti al nome della piccola Black, il suo amico s’incupì ancora di più, fingendosi di perdere a guardare il giardino della Malfoy Manor dalla finestra accanto a loro. «No, ovviamente no» ammise, sottovoce. «Ho visto Kayla e la sua pancia»

«Kayla? Quando?» 

«Quando … quando sua sorella è andata a dirle che ci siamo lasciati e che mi sono rimesso con Astoria, lei non ci ha creduto ed è venuta qui a chiedermi la mia versione dei fatti»

A Blaise non sfuggì il fatto che avesse detto “sua sorella” anziché pronunciare il nome di Anastasia, e non poté fare a meno di sentirsi ancora più mortificato per il suo amico. 

«Le ha detto che vi siete lasciati? Quindi le aveva già detto che stavate insieme?» 

Draco scosse la testa. «Non che io sappia» ammise di nuovo, fissando il tavolo. «Allora?» lo esortò poi. 

«Beh, io … non sapevo come dirtelo, ecco. Quando l’ho saputo, tu ti stavi lasciando con Astoria e poi … poi è arrivata Anastasia, e non mi sembrava che nient’altro per te avesse più importanza» 

Di nuovo, Blaise desiderò di poter essere stato in grado di scegliere parole diverse, perché risultò evidente come quelle usate, a primo impatto, avessero ferito Draco. Se per una vita intera era stato abituato a vederlo tenere la testa alta e l’espressione da duro, da quando Anastasia se n’era andata, a lui pareva che al posto del suo amico davanti a lui ci fosse sempre l’ombra di qualcuno che stava diventando la versione migliore di sé stesso che ci fosse mai stata, ma che adesso, improvvisamente, aveva perso la ragione e la voglia di fare. 

«Poi è arrivata Anastasia» ripeté allora il biondo. «E nient’altro aveva più importanza» 

«Scusami, fratello, non …» 

«Non ti scusare» lo fermò Draco, per la prima volta con una nota di vita nella voce. «Credo sia la cosa più vera che tu abbia mai detto»

Blaise finse di sistemarsi di nuovo la camicia. «Grazie» disse, con tono indeciso. «Allora, ehm … Kayla» riprese. «Kayla è incinta di due gemelli. Secondo me, esploderà prima dell’anno nuovo» 

«Esploderà?» 

«Sì, nel senso … non può portarseli dentro ancora tanto!» 

«Oh, tu intendi “partorire”!» Draco sembrò accennare un sorriso. «Non lo so, non so molto di queste cos-» corrucciò la fronte e si concentrò su ciò che vedeva fuori dalla finestra. Nel cielo terso, volava un gufo a lui sconosciuto con una busta giallastra. Sotto lo sguardo perplesso di Blaise, Draco si alzò e spalancò la finestra. Il gufo entrò, si posò sul tavolo e lo guardò, porgendogli la busta con tranquillità. Draco se la rigirò tra le mani e allungò al gufo un pezzo di biscotto. 

«Non sai di chi sia!» lo rimproverò Blaise. 

«È di Hogwarts» rispose Draco senza guardarlo, aprendo la busta e sorridendo sotto ai baffi appena accennati. 

 

Draco, 

è straordinariamente difficile stupire me, mio fratello e quella sclerata di Nicole: i miei complimenti. Dire che il tuo gesto ci ha colti di sorpresa è poco. 

Poi, ammetto che pensarti ai Tiri Vispi a chiedere un regalo per noi tre, è davvero divertente. Altri dieci punti a Serpeverde – forse, se fossimo stati compagni di scuola, ci saremmo davvero giocati la Coppa! 

Avendoci colti alla sprovvista, nessuno di noi ha pronto un regalo di Natale per te … e a dirla tutta, credo che Nicole ti regalerebbe solo Fatture: la Puffola le piace da matti, ma è combattuta perché gliel’hai regalata tu. 

Per sdebitarmi però ho pensato di offrirti una Burrobirra, un bicchiere di Whiskey o di quello che vuoi, dove e quando vorrai. Sono sicuro che avrai un po’ di cose da raccontarmi: e non temere, ho tutta l’intenzione di ascoltarti … lo avrai capito, ormai, che sono una persona che vuole sempre sapere tutto! 

Se riesco a convincere quel troll di Lyall a mettere da parte l’orgoglio, porterò anche lui, se hai piacere. 

Fatti vivo, ogni tanto. Sei un tipo a posto – e non sbaglio mai, su queste cose. 

Fatto il misfatto, 

Ted

 

Draco scosse la testa e sorridendo ripiegò la lettera. «Che vuol dire “fatto il misfatto”?» 

«Amico, tu fai troppe domande» si lamentò Blaise. «Chi ti scrive da Hogwarts? Lumacorno?»

«No» ammise Draco. «Ma credo proprio che oggi passerò a salutarlo»

«Però raditi, prima» si raccomandò Zabini. «O gli prende un coccolone» prima che Draco potesse rispondere, Blaise prese di nuovo la parola. «Piuttosto, non hai risposto alla domanda più importante: che facciamo a Capodanno?» 

Draco scosse la testa  e si alzò dalla sedia. 

«Dove vai, ora?» 

«Al castello, te l’ho detto»  si lamentò. «Vuoi venire?» 

«No» rispose Blaise. «Andrò dalla mia amica Kayla a chiederle perché ti ha detto di essere incinta prima che potessi dirtelo io»

Draco alzò le sopracciglia. 

«Lo so che sembra una che si è ingoiata una Pluffa, mi serve una scusa per irrompere in quella casa: muoio dalla voglia di sapere cosa pensa di tutta questa faccenda!»

«Due» precisò Draco. 

«Due?» 

«Sembra che si sia ingoiata due Pluffe» 

E insieme, risero di gusto come non facevano da tempo.

Tonks si lasciò cadere sulla sedia e prese un respiro profondo. «Io … porca troia, Anastasia» 

Su Villa Black l’alba era stata grigia, e prima che si potesse sperare in un raggio di sole tra le nuvole, aveva ripreso a piovere come il giorno prima, mente Anastasia, Martha e Ninfadora si erano sedute attorno al tavolo della cucina, ciascuna stringendo tra le mani la propria tazza, mentre Sirius annunciava che avrebbe fatto colazione sulla strada per il Ministero, aveva baciato la moglie sulle labbra, la figlia sulla tempia e aveva riservato a Tonks un’affettuosa carezza sulla guancia. Mentre usciva, sentì Anastasia iniziare a raccontare quella storia che continuava a sembrargli assurda, ma, suo malgrado, dannatamente bella. 

Anastasia aveva appena finito il racconto, quando Tonks si era passata una mano nei capelli e le sue sopracciglia erano diventate bionde, come succedeva a Ted quando ragionava. «Voglio dire … wow!» esclamò poi. «Remus non … non sapeva almeno la metà di queste cose, mi ha raccontato perlopiù della chiacchierata con Nicole, ma … wow

«Con Nicole?» s’incuriosì Martha. 

«Oh, te lo racconterà lui. O lei, forse. Lui è a pezzi»

«Vuoi dire che hanno fatto quella chiacchierata?»

«Quella, esatto» 

Martha avvicinò la tazza alle labbra. «Meglio tardi che mai» sospirò, perdendosi in pensieri troppo contorti guardando fuori dalla finestra.
«Non è questo il punto!» esclamò Tonks alzandosi in piedi e mettendosi una mano sulla fronte. «Anya se … se sei riuscita a entrare così tanto in così poco nel cuore e nell’anima di quel ragazzo, perché … perché non lo hai ascoltato?!»

Anya la guardò senza capire, palleggiando lo sguardo dalla madre a lei. 

«E quei due disgraziati lo sapevano!» 

«Ma chi?!» domandò ancora Martha. 

«I miei figli! Li ho messi al mondo tra atroci sofferenze, per Tosca, e mi ripagano così?»

«Per favore Ninfadora, con Lyall non ti eri accorta che ti si fossero rotte le acque fino a che non te lo ha detto Robert» le fece notare Martha.

«Poco cambia!» strillò ancora lei. «Quei due non sbagliano un colpo, se Draco gli è piaciuto a pelle, significa che con te era davvero una persona migliore» 

«Non sbagliano un colpo? Ma se Ted sceglie solo ragazzi sbagliati!» 

«Per sé stesso, certo, ma non ti lascerebbe accanto a uno che potrebbe farti una cosa del genere» rispose pronta Tonks. 

«Che cosa intendi?» 

«Che lo dovevi ascoltare!» 

Anastasia sospirò, posò i gomiti sul tavolo e si prese il viso tra le mani.«Mamma?» chiamò, con voce spezzata.

«Lo penso anche io, sweetheart» rispose Martha con tono dolce. «Uno con la coda di paglia non sarebbe rimasto ad aspettarti qua fuori per tutta la notte» 

«Davvero è rimasto per tutta la notte?» domandarono sia Tonks che Anastasia. 

Martha annuì. «Sirius non lo ammetterà mai, ma non ha chiuso occhio per rimanere a fissarlo fino all’alba e borbottare» tornò a guardare la figlia con un sorriso dolce. «Mostriciattolo, io capisco che ti abbia ferita e che tu possa temere che rivederlo ti possa fare solo male, ma … un uomo che ha scelto un'altra donna, non sarebbe venuto qui con quell’espressione dipinta in viso»

A quel punto, Anya scoppiò a piangere. Un pianto diverso da quelli a cui si era abbandonata nei giorni precedenti, un pianto nuovo, confuso, pieno di emozioni contrastanti. E quando Martha e Tonks le si avvicinarono per abbracciarla, lei finalmente ammise: «Non so cosa fare».

 

Draco camminava con le mani in tasca e il naso in su, ammirando il castello in tutta la sua bellezza. Non aveva mai smesso di nevicare, lì, la neve era ancora soffice e bianca, faceva rumore sotto alle sue scarpe di drago e attorno a lui rendeva tutto cotonato e fiabesco, mentre piccolissimi fiocchi continuavano a scendere per non interrompere la magia. Non aveva intenzione di entrare: sapeva benissimo che Ted e Lyall lo avrebbero trovato in poco tempo, non sapeva come, ma lo sapeva. Se c’era una cosa che aveva imparato, era che i Lupin, Nicole e anche Anya a suo tempo, avevano a loro favore delle armi per rendere il castello completamente loro. Forse, si disse in quel momento, le stesse armi, gli stessi segreti, che avevano avuto Robert, Harry e Kayla anni prima, nella vita precedente che avevano vissuto insieme sotto il tetto fatato della Sala Grande. Lontani, ma insieme.

Troppo perso osservare il castello coperto di neve, non si rese conto della presenza di un grosso cane nero a pochi metri da lui che lo fissava con uno sguardo che non sembrava affatto quello di un cane.

Draco chinò la testa di lato ed il cane fece lo stesso. 

Decisamente, si disse, c’erano milioni di cose di quel castello che ancora non sapeva, nonostante per anni fosse sempre stato convinto di conoscerne ogni dettaglio. 

Si strinse nelle spalle davanti ad una nuova ma familiare consapevolezza: niente è mai come sembra. 

«Vai a farti un giro, Padfoot!» tuonò la voce di Ted Lupin alle spalle di Draco. «Draco, sei il Serpeverde più rapido della storia» aggiunse con tono più dolce, avvicinandosi. 

«Conosci quel cane?» domandò allora Draco con sospetto. 

«Tu no?» sorrise Ted, avvicinandosi. 

«Ha a che fare con i passaggi segreti e con il fatto che sappiate sempre dove sono tutti?» 

«Puoi dirlo forte» rispose Ted, battendogli una pacca sulla spalla per salutarlo. «Padfoot, guai a te» disse allora rivolto al cane, che, con espressione contrariata, trotterellò verso i primi alberi della Foresta. 

«Non smetterete mai di stupirmi» constatò allora Draco, sorridendo a Ted. 

«Anche questo puoi dirlo forte» apparve Lyall, con la cravatta allacciata storta. 

«Ciao» lo salutò Draco con inaspettata dolcezza. «Mi fa piacere che ci sia anche tu» 

Lyall sembrò spiazzato da quelle parole. «Non potrei mai perdermi un incontro del genere, però … dovremmo levarci, da qui, prima che ci veda anche Nicole» 

«Chiaro» rispose subito Ted, prendendo Draco per un braccio e spingendolo amichevolmente verso il castello. 

Draco, intanto, era tornato a guardare verso le finestre del castello con aria sospettosa. 

«Non dalle finestre» gli spiegò Ted. 

«L’ho detto: non smetterete mai di stupirmi»
E, insieme, varcarono le porte del castello. 


 

 
NdA: sono orgogliosa di essere arrivata a mezzanotte e mezza con un occhio ancora aperto, questa settimana. 
Ordunque: le cose che vi devo dire hanno ben poco a che fare con il capitolo, perdonatemi. 
La prima cosa che voglio dirvi è che questa settimana vi regalo una delle mie canzoni preferite, abbiatene cura.
La seconda: lo scorso mercoledì ho coronato il sogno di ogni Potterheas d (gli studios? già andata, pff) e mi sono fatta un tatuaggio a tema. Così, mi andava di dirvelo. Dopotutto, se a vent'anni e rotti sono ancora una Potterhead accanita lo devo anche alle fanfiction, a chi le scrive, e a chi le legge, e anche a chi legge le mie. 
Che sviolinata, non è da me. 
Credo sia tutto. 
Per qualsiasi cosa sapete sempre dove trovarmi. 

Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 34
*** di legno duro e pregiato ***


The world's not perfect, but it's not that bad
If we got each other, and that's all we have
I will be your brother, and I'll hold your hand
You should know I'll be there for you
(Alec Banjamin, If we have each other) 
 


​33. 
di legno duro e pregiato

 

«Ma il problema non è neanche questo» sentenziò Robert con tono serio.

«Il problema è che uno come Patel sia ancora Battitore» rispose Harry sistemandosi gli occhiali sul naso. 

«Esatto» gli diede corda il fratello. «Ho visto giocare Ken Baker, settimana scorsa, a proposito: dei tiri da invidia»

«Il problema» si intromise Kayla. «È che tifiate ancora per i Cannons» 

«Anche tu tifi Cannons» le fece notare il primogenito. «Ma solo quando ti conviene» 

«Quindi mai» rise Harry, mentre Lottie si avvicinava al loro tavolo per servire tre cappuccini. 

«Grazie, Lottie» dissero i tre all’unisono. «Bel cappello» aggiunse Kayla, accennando al cappello da Babbo Natale che la barista portava con orgoglio. 

«Grazie, cara» sorrise. «Anche vostra sorella l’ha apprezzato»

«Forse dovremmo presentarci a casa così anche noi, allora» rispose Robert, cercando le bustine di zucchero. 

«Non credo servirebbe» rispose sconsolato Harry. «A meno che non troviamo il biondo e lo facciamo indossare a lui»

Kayla roteò gli occhi all’indietro. «Il biondo ha un nome» 

«E quel nome non mi piace» ribatté Harry. 

«Però sarebbe divertente, se a Natale ci fosse anche lui e se avessimo tutti quel berretto» tentò di dire Robert per smorzare la tensione sull’argomento. 

«Sarebbe divertente se lo portasse solo lui» gli diede allora corda Kayla avvicinando la tazza al viso. «Sarebbe anche divertente se Harry si togliesse la Nimbus dal c-» 

«Ehi!» la richiamò subito Il Prescelto. «Vuoi dirmi che a te davvero questa cosa sta bene?»

«Sì» rispose Kayla stringendosi nelle spalle e sorseggiando il cappuccio. 

«E a te?» domandò allora a Robert. 

«Ovviamente avrei preferito che non succedesse mai niente del genere» iniziò lui. «Ma se Anya è innamorata, avrà i suoi motivo. E se è felice, lo sono anche io» 

«Anya non è felice» puntualizzò allora Harry. «Perché lui le ha spezzato il cuore»

Trovò però nei suoi fratelli uno sguardo perplesso, avvertendo un’atmosfera colma di cose non dette. Non si guardarono tra loro, ma guardarono lui direttamente alzando un sopracciglio e arricciando il naso.

« …Oh» Si lasciò cadere sulla sedia e si sistemò il colletto della camicia. «Prego» disse, con un gesto di esorto.

«Prego?» domandarono i due.

«Mi pare abbastanza evidente che voi due sappiate qualcosa che io non so» spiegò allora Harry. «Qualcosa che ripulisce la fedina penale di Draco e lo trasforma nel cognato che ogni uomo vorrebbe, a quanto pare»

«Draco non è il cognato che ogni uomo vorrebbe» specificò allora Kayla.
«Però non ti sei arrabbiata con lui e Anya, e dici che sono io a dovermi togliere la scopa dal culo» 

«Ho detto Nimbus» sorrise allora Kayla con astio. «Sono stata davvero specifica, è di legno molto duro ma molto pregiato, e sono anni che ti dico che probabilmente era inclusa nella tua divisa da Auror ma tu non te ne sei accorto»

Robert rise sotto i baffi, mentre Harry incassò il colpo. «Stiamo sviando» riprese allora. «Perché all’improvviso la storia con Malfoy ci va a genio?» 

«Non è all’improvviso» si difese allora Robert. 

«Per questo non mi tornano i conti: c’è qualcosa che non so?»

Di nuovo, sul tavolo cadde il silenzio e nessuno osò guardare qualcosa che non fosse la sua tazza. 

«Io sono stata da lui» ammise allora Kayla. «Non guardatemi così, cretini. Non in quel senso» specificò subito. «Sono andata a chiedergli la sua versione dei fatti» spiegò allora. «Non vi dirò niente, e lo sapete. Mai, neanche sotto tortura – e non potete torturarmi» 

«Dammi tre buoni motivi» sorrise Robert dopo averle lanciato un tovagliolo. 

«Perché è illegale, perché sono incinta e perché sono la tua sorella preferita!» rise allora Kayla. 

«La mia sorella preferita è Harry» sorrise Robert, guadagnandosi un pugno sulla spalla. 

«Tu che scusa hai, piuttosto?» domandò allora Harry. «O non ne hai e sei solo vecchio e molle?» 

«Io non sono né vecchio né molle» si difese Robert. «Chiedi pure a mia mog-» 

«Troll» lo riprese il fratello. «Sono serio»

«Malfoy è venuto in negozio» 

«In negozio?» domandarono con lo stesso tono Harry e Kayla.

«Tu non lo sapevi?» chiese allora Harry alla sorella. 

«Non lo sapevo!» rispose lei. «E lui non sapeva che sono stata alla Malfoy Manor!»

Harry sorrise. «Per una volta non sono l’ultimo a sapere le cose!» esclamò felice. «Scusa, fratello, vai avanti: che ci faceva il biondo in negozio? Voleva prendersi un tè in compagnia?» 

Robert lo guardò torvo. «Voleva comprare dei regali» 

«Per i suoi amichetti Mangiamorte?» 

«Per Ted, Lyall e Nicole» lo spiazzò Robert. «Ha detto … che i ragazzi parlano sempre bene del negozio e che essendo Natale gli sembrava giusto fare loro dei regali. Era … era davvero imbarazzato ed impacciato, quasi non lo riconoscevo. Gli ho regalato un Marchio e gli ho detto di imparare a prendersi meno sul serio»

«Oh, Salazar! E quel cretino di mio marito non mi ha detto niente!» 

«E tu e Anya eravate in magazzino a mangiare Lumache e prendere in giro Ron»

Kayla spalancò la bocca. 

«Sto iniziando ad adorare questa conversazione» sorrise Harry. «Dovete dirvi altro che non sapete? Così imparate un po’ come ci si sente ad essere me»

Kayla gli fece una linguaccia e Robert gli tirò un tovagliolo stropicciato. 

«Tecnicamente, l’ultima a sapere di Draco sono stata io»

«No» la corresse Robert. «L’ultima, ad oggi, è Dora. Ed era furiosa»

«Perché è suo cugino di primo grado?» domandò Harry. 

«No, no: perché è stata l’ultima a saperlo»

«Ecco, ora anche lei sa cosa si prova ad essere me: ditelo a chi ancora scrive articoli sul caro vecchio Harry Potter!»

«Ne ho letto uno che diceva che hai divorziato» gli disse Kayla.

«Di nuovo?» rise Robert. «Cosa è, la terza volta quest’anno?» 

Harry alzò gli occhi al cielo. «Sono l’ultimo a sapere le cose anche quando si tratta del mio matrimonio»

«È il prezzo da pagare per essere noi» sorrise Robert, fingendo di brindare con la tazza del cappuccio. 

Harry rise e si prese qualche secondo per osservare i due fratelli. «Però, devo ammettere che un po’ la capisco»

«La cronaca rosa?» domandò Robert. 

«Anastasia» spiegò lui. 

«Per essersi innamorata di Draco?» chiese allora Kayla.

«Per aver avuto paura di dirlo a noi e a Martha e Sirius»

«Oh!» si stupì Kayla. «Stiamo facendo qualche passo!» 

«Si è tolto la divisa da Auror» sorrise Robert. «Ben fatto, Potter»

«Chiudi il becco» si difese subito Harry. «Alla prima occasione, lo arresto»

«Questo aiuterebbe davvero Anastasia: complimenti Harry!»  rise Robert. «Terapia d’urto!» 

«Harry, sei l’unico che non ha ancora parlato né con Draco, né con Anya» sospirò allora Kayla. 

«Non andrò a parlare con Draco e non credo che lui verrà in ufficio a chiedermi qualcosa» sentenziò lui. 

«Allora vai da Anya» gli impose Robert. 

«Ma per dirle cosa?» 

«Quello che hai detto a noi: che la capisci» 

«Ha senso?» 

«Certo

«Le ho già parlato. Subito, la mattina dopo: le ho detto che non possiamo scegliere di chi innamorarci, e che quello che le è successo, alla fine, è una cosa bella»

Robert spalancò la bocca. «Ed è farina del tuo sacco?» 

«No, naturalmente, è farina del sacco di tua moglie e della mia, ma va bene così: è quello che penso anche io, ma lo sai che non sono capace di fare discorsi sentimentali» 

«Certo che lo so, ti ho scritto i voti nuziali!» gli rispose il fratello. 

«Se hai già parlato con Anya» sorrise Kayla. «Devi parlare con Draco» 

«No» sentenziò Harry. «Anastasia potrà anche essersene innamorata, ma io e Malfoy ci odiamo! Da prima che lei nascesse!»

«Appunto!» si scaldò Kayla. «Devi parlarci, guardarlo negli occhi e vedere quello che abbiamo visto io e Robbie» 

«E cosa avete visto?» 

«Un uomo solo e ferito» 

«Solo e ferito? Draco Malfoy?» si stupì Harry. «Ma siete sicuri?»

«E innamorato» specificò Robert. 

«Cotto, marcio, andato» aggiunse la sorella.

«Non ci credi?» chiese allora Robert.

«No!» 

«Vacci a parlare!» lo incalzarono i due.


NdA: Questo è il primo "capitolo prova" - non temete, la prova è per me, non per voi: stessi personaggi, stessa ambientazione, nessun movimento. Credo di avervelo accennato, che avrei scrito qualcosa di "prova", quasi di sfida, perchè questo è quello che mi piace fare (scrivere) e questo è quello che voglio fare (migliorarmi), e darmi delle piccole sfide credo sia l'unico modo, motivo per cui ci terrei molto ad avere il vostro parere. 
Detto ciò: il giorno di Natale vi regalo un capitolo, con la speranza di alleggerirvi la giornata, visto che quest'anno sarà piuttosto pesante ... e non per il cibo, o almeno credo. 
Bene, aspetto a farvi gli auguri, tanto ci rivediamo qui il 25. 
Intanto, buona settimana!

fatto il misfatto, 
C



 

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Capitolo 35
*** come stai? ***


 

34. 
come stai?
 

Anastasia rimase qualche secondo a fissare il cassetto pieno di occhiali da sole che stava aperto davanti a lei, nel suo immenso armadio pieno di ogni genere di cosa. 

Con il cappotto già indossato e le scarpe già ben allacciate, non poteva fare a meno di fissare quel cassetto pieno di occhiali dalle montature bizzarre e colori di ogni tipo. 

Le era chiaro da tempo cosa volesse dire quella sua collezione: era un modo per proteggersi, per mettere uno scudo, un filtro, tra lei ed il resto del mondo. Con addosso degli occhiali scuri, poteva guardare chiunque con l’illusione che nessuno guardasse lei, che nessuno la potesse riconoscere o indicare o decifrare. 

Dietro la porta socchiusa, qualcuno batté un leggero colpo attirando la sua attenzione.

«Ambasciator non porta pena» si difese subito Sirius. «Ma tua madre mi ha chiesto di dirti che siamo in ritardo» 

Lei gli rivolse un veloce sguardo. «Siamo perfettamente in orario»

«Ma lo sai che per lei non essere perfettamente in anticipo vuol dire essere in tremendo ritardo» sorrise Sirius, aprendo un poco la porta. «Cosa ti turba, mostricattolo?» chiese, accennando al cassetto.

Lei sembrò rifletterci qualche secondo poi gli fece segno di avvicinarsi. «Vieni qui» lo invitò. «Scegli un paio di occhiali» gli chiese dunque. 

«Devo dire che in generale non amo vederti con gli occhiali scuri»spiegò Sirius. «Però ammetto di averne fatto uno spropositato uso anche io, ai miei tempi. Anche a lezione, per nascondere le occhiaie o dare fastidio a Lumacorno»

Anya accennò un sorriso. «E perchè su di me non ti piacciono?»

«Perchè non ti si vede il viso» spiegò lui. «Tu sei una di quelle anime rare a cui si vede l’anima negli occhi, Anastasia» aggiunse, afferrando un paio di occhiali con una montatura a forma di cuore di un rosso sgargiante. Con delicatezza, li infilò alla figlia e le sorrise. 

«Non li ho mai messi, questi» ammise lei. «Sono assurdi!» 

Sirius sorrise. «Vai, mostriciattolo: soprendili tutti!» poi tornò a guardare il cassetto. «Io metto questi» decretò, raccogliendo un paio di occhiali con la montatura alla John Lennon. «In memoria dei bei vecchi tempi andati, vedrai Remus come ride quando mi vede»

Anya raccolse la borsa e si girò verso il padre. «Dai, papà, li allarghi!» si lamentò sorridendo. 

«Te li ricompro» sminuì lui facendole segno di uscire. «Ora andiamo, o questo Natale mi toccherà divorziare» 


Draco se ne stava seduto sulla vecchia poltrona di Lucius, che non aveva perso l’odore di pelle e di cattiverie che il buon Malfoy Senior si era preoccupato di lasciare lì, forse per sempre. Davanti a lui, il camino acceso, che il biondo guardava senza vedere.

Non gli era mai piaciuto il Natale, certo. Forse solo durante i primi anni di Hogwarts, quando aveva la possibilità di lasciare i sotteranei per un po’ e tornare dove si sentiva il re indiscusso. Con il passare del tempo, tornare alla Malfoy Manor non  gli aveva più dato le stesse sensazioni. Dopo la prova finale del Torneo Tremaghi, tornare a casa gli era sembrato come uno schiaffo in pieno viso di cose che aveva cercato di ignorare: Voldemort era davvero tornato, e per quanto gli sarebbe piaciuto essere ancora il bambino innocente e viziato che non capiva niente e non poteva essere tirato in mezzo, si rendeva conto di essere abbastanza grande per capire ed essere coinvolto. Ricordò con un brivido lungo la schiena l’entusiasmo di sua zia Bellatrix: il Signore Oscuro era tornato, ce l’aveva fatta, ed era riuscito anche a far passare Potter e Silente per folli. Lei era euforica, mentre Narcissa e Lucius avevano mantenuto un’espressione impenetrabile, ma non avevano mancato di dirgli che “ora che puoi capire” anche lui avrebbe dovuto gioire di quel loro trionfo. 

A quel punto, tornare a casa non significava più essere venerato e ascoltato da tutti quanti qualsiasi cosa dicesse, ma doversi trovare casa invasa da volti poco rassicuranti che progettavano di spazzare via l’intera umanità. 

Draco non si era mai fatto domande: se Lucius, Narcissa e Bellatrix erano convinti, allora lo era anche lui. Se era quello che loro volevano, allora lo voleva anche lui. Senza porsi troppe domande. 

Le domande non ti fanno dormire, avrebbe detto Anastasia.

Draco chiuse gli occhi e si lasciò cullare dai ricordi – non quelli di un’adolescenza deviata, quelli di una manciata di settimane in cui aveva creduto di poter essere diverso, di poter essere un uomo nuovo. 

Poi si lasciò cullare anche dai ricordi del giorno prima. 

Astoria era sempre più debole, ma aveva smesso di rifiutare di vederlo: aveva capito che non si sarebbe arreso. Gli aveva detto che era contenta, che fosse diventato così determinato, perchè così avrebbe cambiato le carte in tavola per il suo futuro. Sentir parlare Astoria di futuro era la cosa più normale e assurda di sempre. Ne avevano parlato raramente, ma era tutto abbastanza scontato: al momento giusto si sarebbero sposati, e avrebbero messo al mondo uno o al massimo due bambini, per non strafare e mantenere il basso profilo che aveva contraddistinto le loro famiglie negli anni dopo la guerra. 

Invece, quando sarebbe stato per lui il momento di fare la fatidica proposta, aveva sentito qualcosa dentro che gli diceva che non era quello che voleva e che non voleva assolutamente che qualche altro Malfoy venisse al mondo. I Malfoy avevano già fatto abbastanza per quel mondo. 

E invece adesso Astoria rifiutava il suo aiuto per mettersi seduta sul letto e la cosa più difficile che potesse pensare di fare era un giro in giardino o mangiare in sala da pranzo il giorno di Natale. 

Non c’era stato bisogno di dirle che si era innamorato di Anastasia: lo aveva capito da sola. Alla festa, aveva detto, e aveva aggiunto che lo avrebbe capito chiunque, ma che sapeva che loro se ne sarebbero accorti dopo un bel po’. Aveva giurato di non essere gelosa o rancorosa: prima di tutto, perchè nelle sue condizioni non aveva senso, e poi, perchè loro non si erano mai amati così, quindi non sentiva di avere neanche nulla di cui essere gelosa. 

«Ti avrò guardato così giusto un paio di volte al primo anno» gli aveva detto sorridendo, e lui aveva accennato un sorriso e scosso la testa. 

Aveva salutato Daphne, i loro genitori e anche gli zii irlandesi scesi per le feste, aveva recuperato il cappotto e si era Smaterializzato poco fuori i confini del castello per eccellenza. Ted lo aveva raggiunto quasi subito, e così anche Lyall. Avevano passeggiato parlando male di Lumacorno ed elogiando il pasticcio di patate degli elfi, e Lyall lo aveva aggiornato sul campionato – non che ce ne fosse bisogno, aveva risposto Draco, era più che sicuro che il Capitano Grifondoro se la cavasse alla grande, e aveva aggiunto di essere contento di non averlo avuto come avversario, altrimenti i Serpeverde sarebbero stati davvero spacciati.

Era finito con il raccontargli come si fosse approcciato al negozio di scherzi per i loro regali e lui raccontò tutto, dalla voglia di Obliviare Robert dei primi istanti alla scioltezza del primogenito Black e alle batuttine di Fred, e i fratelli Lupin avevano riso moltissimo, regalando a Draco una sensazione nuova e tremendamente gradevole. L’idea di averli fatti ridere, di aver regalato loro un momento di buon umore, lo aveva fatto sorridere in un modo totalmente nuovo. 

Ted vedendolo sorridere, approfittò per chiedergli come stesse. 

Lui aveva sospirato e aveva detto che era complicato da spiegare, per quanto dall’esterno potesse sembrare invece l’esatto opposto. 

Si era reso conto in quell’istante che mai aveva dato una risposta più sincera ad un “come stai”. Ecco un’altra cosa che Anastasia gli aveva regalato senza saperlo: la voglia di essere totalmente sincero e trasparente, e, soprattutto, qualcuno di cos’ genuino da porre una simile domanda ad una persona come lui.

Lasciò cadere la testa all’indietro nel profumo del vecchio Lucius e si rese conto che il suo rapporto con Blaise, il solo amico ad esserci sempre stato per lui, andava ben oltre il chiedersi “come stai”, perchè loro si erano sempre capiti con uno sguardo, senza bisogno di aggiungere altro. Però, si disse, questo non significava che Draco non potesse chiedergli ogni tanto come stesse. 

Si alzò di scatto dalla sedia e Appellò il suo cappotto preferito, per poi dirgersi a grandi passi verso il camino del salotto. 

«Kora, sono da Zabini, per qualsiasi cosa» avvisò svelto l’elfa.

Raccolse una manciata di polvere e si infilò nel camino con aria sicura. 

In meno di tre secondi, si trovò nel camino del salotto di casa Zabini, e si meravigliò dello spettacolo davanti ai suoi occhi: seduta sui divani identici a quelli della Malfoy Manor, c’era una sorridente Kayla Black, che stringeva una tazza dal contenuto bollente e aveva davanti a sè aperto un libro nuovo di zecca. 

Gli sorrise come se non fosse per niente stupita di vederlo lì, quasi come se se lo aspettasse, e ne fosse felice. «Ciao» disse con naturalezza. «Va tutto bene?» domandò, inclinando leggermente la testa esattamente come faceva Anastasia. 

«Sì, ehm … sono venuto a chiedere a Blaise come sta» 

Il sorriso di Kayla si allargò, e lui ebbe la netta impressione che lei avesse colto all’istante tutto il ragionamento che lui aveva appena fatto davanti al fuoco nello studio di Lucius. E in quel momento si rese conto che anche Kayala lo aveva sempre capito con uno sguardo, anche e soprattutto quando era nei guai, solo che lui aveva sempre preferito non accorgersene.

«E anche a te, in effetti: come stai?»

 
NdA: è un capitolo che ho riletto poco ma forse va bene così. 
Spero di aver fatto un gradito regalo di Natale.
Vi auguro il meglio - e anche un buon panettone. 
fatto il misfatto, 
C

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Capitolo 36
*** l'elefante nella stanza ***


È che li sento anche io i lividi sul cuore
Non ce la faccio più, però continuo sai
Perché era importante andare, andare
Con la pioggia o col sole come fai tu
(Come fai tu, I segreti)
 

35. 
l'elefante nella stanza

 
 

Kayla non si mostrò spiazzata o sorpresa come Draco si sarebbe aspettato, ma gli fece segno di avvicinarsi con naturalezza. «Sono un po’ agitata» ammise, mentre Draco si avvicinava, e prima che potesse chiedere il perchè, notò che il libro aperto davanti a lei era una sorta di encicolpedia dei nomi e capì immediatamente il dilemma.

«Quanto manca?» chiese allora, indicando stranito la pancia. 

«Beh, il termine sarebbe a fine gennaio, ma essendo due, potrebbe succedere da un momento all’altro e io non ho ancora scelto i dannatissimi nomi»

Draco si schiarì la voce e indicò il posto accanto a lei. «Posso?» 

«Certo, certo» disse lei. «Blaise è in cantina a scegliere il vino con mio fratello» aggiunse. «Allora, i patti con Fred sono … ehm. Io scelgo due nomi da femmina, lui due nomi da maschio. L’ho proposto io, ma … non sono più così sicura che sia stata una buona idea» spiegò. «Ha accettato poi ha detto che però non potevamo lavorare da soli, ci serviva una squadra. Così, con tutti i fratelli che ha, ha scelto mia sorella per la sua squadra da Grifondoro infame, io ho prenotato Robert e l’ho portato qua»

Draco accennò un sorriso, afferrando il libro dei noi per sfogliarlo. «Io, ehm … ho visto Ted e Lyall, ieri» 

Kayla corrucciò la fronte. «Ieri?»

«Ieri» confermò Draco, notando un paio di nomi sottolineati. «Sono tutti nomi …»

«Babbani, sì» confermò lei. «Ma li hai visti per caso o li sei andati a cercare?» domandò con nonchalance, per niente sorpresa da quell’informazione. 

«Li ho cercati. Intendo: ho mandato loro un regalo di Natale, Ted mi ha scritto per ringraziarmi e mi ha chiesto di vederci, e io sono andato al castello» sfogliò un’altra pagina. «Lyall è un nome babbano?» 

«Non lo so, ma è un nome da maschio: non ci compete»
Draco si mostrò sorpreso per quel plurale, alzando la testa e mostrando un’espressione quasi commossa. 

«Non ti stupire: sei letteralmente apparso dal nulla, era ovvio che saresti stato reclutato»

«Tecnicamente sono apparso dal camino» sorrise allora lui, e Kayla scosse la testa. 

«Ecco, se non avessi saputo che hai una storia con mia sorella, lo avrei capito in questo momento: solo lei o mio padre potrebbe dire certe cose»

«Ho avuto» la corresse lui cambiando totalmente tono di voce, diventando distante e malinconico. 

«So quello che dico, Draco Malfoy» rispose lei altezzosa. «Io non sbaglio mai»

«Oh, Salazar» si lamentò Blaise tornando dalla cantina. «Ti sei rimessa a parlare con la pancia?!» mentre finiva la frase, entrò in salotto seguito da Robert Black, che teneva in mano una bottiglia di vino rosso. «Oh, qual buon vento!» esclamò vedendo l’amico. «Hai fatto bene a chiamarlo: non posso farcela, da solo»

«Che tu ci creda o no, Draco è dotato di libero arbitrio» replicò subito Kayla. 

«Beh, meglio! Un soldato volontario!» esclamò Robert sorridendo. «Bevi?» 

«Oh, no, io-» 

«Lui è una femminuccia» lo interruppe Blaise. «Beve solo bianco, o Whiskey» 

«Per Godric» sbuffò Robert posando la bottiglia sul tavolino di gelido marmo e lasciando che Blaise Appellasse i calici. «Peggio di Anya»

Di nuovo, Draco abbassò gli occhi e solo Kayla sembrò accorgersene. Quando rialzò lo sguardo, dopo una manciata di secondi, trovò gli occhi di Kayla pronti a trasmettergli conforto senza parlare. 

«Allora, io rimango della mia idea» iniziò Robert. 

«Tu sei un cretino» gli disse subito la sorella. 

«No, io sono un genio. Malfoy, senti un po’: non sarebbe geniale se scegliesse dei nomi unisex?» 

Draco alzò le sopracciglia. «Nomi unisex

«Robert, nessuno ti sostiene in questa cosa» gli disse Blaise, mettendo il naso nel bicchiere per poi iniziare a sorseggiare.  

«Pensaci! Qualcosa tipo … tipo Skye

Kayla serrò la mascella. «Terribile»

Robert cercò la complicità nello sguardo di Blaise, che scosse la testa. Poi, inaspettatamente, si voltò verso Draco. 

Draco sostenne lo sguardo per un istante, poi scosse la testa amareggiato. 

«Non capite niente» si lamentò Robert. «Ecco perché i nomi per i miei figl-»

«Tua figlia si chiama Violet Rose» gli ricordò velocemente la sorella. «Io non aprirei questo tasto»

«Violet Rose Black» specificò Blaise trattenendo una risata. 

Draco cercò di non ridere e poi, non riuscendoci, alzò le mani in segno di resa. «Perdonami, Black» disse poi passandosi una mano sul viso. «Ma detta così è terribile» 

Robert, contrariamente alle aspettative di Draco, gli sorrise. «Vedi?» 

«Cosa?» domandò il biondo. 

«Devi imparare a prenderti meno sul serio» senza lasciare il tempo a Draco di rispondere, si alzò dalla poltrona per recuperare il libro. Dopo aver proposto Sunshine e Sunday ed essersi preso i peggiori insulti dalla sorella e delle occhiatacce terribili da Blaise, passò a proporre altre accoppiate assurde come Lola e Liz o Lorena e Leila. Cercò lo sguardo di Draco un paio di volte, e lui scuoteva sempre la testa, seppur divertito. 

La verità era che quella era una situazione decisamente paradossale: era nel salotto di Blaise a scegliere i nomi per dei Black-Wealey, e lui e Robert riuscivano a stare nella stessa stanza senza dirsi ogni cinque minuti di odiarsi a morte, come era sempre successo, Blaise sembrava perfettamente a suo agio, come se fosse tutto assolutamente normale e se si fosse trovato al centro di quella scena assurda già altre centinaia di volte. E Kayla era semplicemente Kayla: sguardo dolce ma fermo, sembrava non perdersi un dettaglio di quello che le succedava attorno, e aveva lo strano potere di mettere tutti perfettamente a proprio agio – esattamente come Anastasia la sera del loro primo incontro, e anche tutte le volte a seguire.

«Marie Martha?» propose Robert. 

«Senti, la mamma si chiama Martha Marie, e …» 

«Appunto

«Robert! Non posso dare a una delle mie figlie il nome di mia madre invertito!» 

Robert alzò gli occhi al cielo. «Mi sto stancando» decretò. «Blaise, proponi un nome» gli disse, passandogli il libro. «Anzi, due, e possibilmente abbinati» 

Blaise posò il calice sul tavolino e iniziò a sfogliare il libro. «C’è un motivo se la gente normale fa un solo figlio per volta» sbuffò. «Perché devi sempre strafare?» 

Kayla scosse la testa e soffiò sulla sua tisana. «L’ho fatto apposta, infatti» rispose. «Salazar, non mi vedo i piedi da due mesi, credi che a me piaccia questa situazione?»

«Kristal» propose Blaise ignorandola. «Kristal Weasley
Kayla, in tutta risposta, alzò indice e medio, mimando la parola “due” con le labbra.

«Certo, ehm …» Blaise lasciò scorrere velocemente una manciata di pagine. «Iris» scelse. «Kristal e Iris!»

Lo sguardo di Kayla fu abbastanza chiaro. «Draco?» chiamò quindi.

Lui parve svegliarsi da un sonno ad occhi aperti. «Che c’è?»

«Prendi il libro, tocca a te» gli disse Kayla con naturalezza. 

Blaise gli passò il libro e lui si trovò a sfogliarlo esattamente come gli altri due prima di lui. «Gillian» scelte, con convinzione. «E, ehm … Flora» 

Kayla sorrise. «Ragazzi miei, ci servono rinforzi» 

 

Draco si accese il sigaro e si strinse nella sciarpa. La nebbia impediva di vedere le stelle e buona parte del giardino, ma niente gli avrebbe impedito di sentire il chiasso dentro casa Zabini. Non avrebbe mai detto che fosse così in buoni rapporti con il clan Black: quando erano arrivati Ted e Lyall, avevano salutato Blaise con calore ed entusiasmo, lasciando Draco di stucco. Ciò che lo lasciò ancora più di stucco fu che nello stesso modo avevano salutato lui, e a lui era risultato sinceramente naturale rispondere con la stessa dose di entusiasmo. Si erano detti contenti dell’invito perché avevano saputo che Anastasia, Nicole e Remus erano “nell’altra squadra”, mentre Tonks e Martha avevano un turno lungo al Ministero. 

«Ehm, Malfoy?» chiese incerto una voce alle sue spalle. 

Lui si voltò di scatto, trovando Robert Black in un lungo cappotto nero.

«Sì?» chiese incerto.

«Tutto bene?»

Draco annuì convinto, senza neanche riflettere sulla domanda.

«Posso unirmi?»

«Certo» disse Draco facendo un passo indietro, inconsciamente convinto che Robert volesse stargli a distanza di sicurezza. «Vuoi un sigaro?»

«Oh no, ti ringrazio» disse, estraendo dal cappotto un pacchetto di Marlboro. «Li trovo eccessivamente pesanti»

Draco annuì, sentendo risuonare nella testa una delle prime frasi che aveva sentito pronunciare ad Anastasia. 

«Se ti offro una Marlboro, sai di cosa parlo?»

«So che preferisco le Pall Mall o le Winston.»

«Le Winston? Quanti anni hai, dodici?»

Il ricordo di quella serata lo colpì come un pugno nello stomaco. Più cercava di non pensarci, più i piccoli dettagli di quell’assurda storia sembravano fare a gara per dargli il tormento. Anche cose piccole e apparentemente insignificanti, ogni tanto tornavano come per ricordargli di ciò che aveva avuto e aveva rovinato, e ogni volta faceva male in un modo nuovo, diverso, e non avrebbe saputo dire se facesse più o meno male della volta precedente, e forse era questo a rendere questa tortura così strana e terribile. 

«Perdonami» si trovò a dire Robert. «Ho detto qualcosa che non va?» 

«No, no» si affrettò a rassicurarlo Draco. 

Si costrinse a non distogliere lo sguardo. 

Di norma, lo avrebbe fatto solo per autodifesa ed abitudine. 

Adesso, lo avrebbe volentieri fatto perché non si era mai accorto che anche lui fosse identico ad Anastasia, in un modo decisamente diverso rispetto a Kayla. Lui aveva lo stesso fisico alto e slanciato di Anastasia, le stesse mani pallide e magre con dita lunghissime e lo stesso modo di tenere la sigaretta ed avvicinarla alla bocca. Gli stessi occhi, la stessa forma del viso, lo stesso naso stretto che però Kayla non aveva.
«Hai brutti pensieri?» domandò allora Robert con tono piatto. 

«Stavo pensando che assomigli moltissimo ad Anastasia» ammise Draco tutto d’un fiato, rendendosi conto di averlo detto quando era ormai troppo tardi. 

Robert avrebbe avuto tutto il diritto di prendere ed andarsene, perché Draco riconobbe solo a cose fatte di essere stato un dannato incosciente ad aver tirato fuori l’argomento Anastasia in quel momento – ma forse, si disse, un buon momento non poteva esistere. Forse per certi argomenti era necessario agire così, come quando si strappa un cerotto. 

Robert tirò con la sigaretta e accennò un sorriso. «Vorrei valere la metà di quello che vale lei» ammise, con un sospiro. «Perciò, ti ringrazio» 

Draco si trovò spiazzato da quella risposta, rimase con il sigaro in mano a pochi centimetri dal suo viso. 

Prima che potesse aggiungere qualcosa, Ted Lupin, con dei capelli celesti acconciati in dei riccioli angelici, seguito dal fratello Lyall e dal padrone di casa, fecero irruzione in veranda con dipinti in viso dei sorrisi pieni di ebbrezza. 

«Che musi lunghi» commentò Ted. «A chi posso rubare una sigaretta?» 

«A nessuno» rispose duro Robert. «Non dovresti fumare»

«Disse con una sigaretta in mano» rispose acido Blaise.

Robert scosse la testa e passò a Ted il pacchetto di Marlboro. «Non dirlo a tua madre» lo mise in guardia. «O mandi all’aria più di trent’anni di amicizia» 

Ted e Lyall sorrisero, e Blaise batté una pacca sulla spalla a Draco, che aveva preso a guardarsi le scarpe con aria pensierosa. Non servivano parole: Draco alzò lo guardo e trovò Blaise con le sopracciglia arricciate in segno di preoccupazione, allora scosse la testa per dirgli di non preoccuparsi. 

«Di che parlavate?» chiese allora Blaise a bruciapelo. 

«Dell’elefante nella stanza» rispose Robert con un sorriso. 

«Oh, finalmente!» esclamò Ted. «Non ce la si faceva più»

«Devi imparare a non impicciarti» lo riprese Robert. «Te lo dico sempre» 

«E io non ti ascolto mai» sorrise Ted buttando fuori il fumo. «Cosa dicevate?» 

«Che non vi dovete impicciare» puntualizzò Lyall. «Sono affari loro» 

«Sono affari loro ma sono anche affari miei se sembrano entrambi due cuccioli di drago abbandonati nel bosco» si spazientì Ted. 

Draco allora alzò gli occhi di scatto. «Ti sembro un cucciolo di drago abbandonato?» 

Ted annuì con un sorriso sghemo. «Abbandonato nel bosco» specificò malandrino. «Non ti ci rivedi?» 

Draco piegò gli angoli della bocca e non rispose. «Sono d’accordo con Robert: non dovresti fumare» 

Robert iniziò a tossire per nascondere la risata. «Merlino, questa sì che è la magia del Natale: Draco Malfoy è d’accordo con me» 

«Senti, i posti da cugino apprensivo sono tutti occupati» si difese Ted. «Scegliti un altro ruolo»

Draco di nuovo stava per rispondere, quando si trovò a ragionare sulla logistica di quell’affermazione. Se, di petto, stava per dire che non era loro cugino, la consapevolezza della realtà dei fatti lo travolse: Ted e Lyall erano figli di Ninfadora, che era figlia di sua zia Andromeda, sorella di Narcissa. E Robert … beh, il legame di parentela con i Black era più che chiaro, ormai, a tutti. Quindi abbassò la testa e rimase in silenzio, sorridendo compiaciuto davanti ad un’altra nuova verità.

 

«Io volevo stare nella squadra delle femmine» si lamentò nuovamente Anastasia. 

«Vai» la provocò allora Fred, seduto a capotavola.

«Bene!» esclamò Anastasia alzandosi. «Dove sono?» 

«Da Blaise» rilanciò il rosso, lanciandole uno sguardo di sfida. 

«Sei uno stronzo» si lamentò Anya risedendosi. 

«Io?!» 

«Tu, certo!» recuperò la matita ed il foglio e sospirò. 

«Non l’ho mica scelto io, Blaise» le spiegò. «Altrimenti saremmo noi da lui» 

«Io non sarei con te, se tu avessi scelto Blaise» 

«Ma perché ce l’hai con Blaise, poi?» s’incuriosì George.  

«Io rilancio su Jacob e Nathan» cercò di distrarli Nicole. 

«Io su Jacob e Samuel» le diede corda rapidamente Remus. 

«Blaise poteva avvisarmi!» 

«No!» rispose George agguerrito. «Assolutamente no, Blaise è stato leale, come tu lo saresti stata al posto suo» 

«A me piace Hugo» buttò lì Ron, imbarazzato dall’argomento. «E l’altro, Gideon o Fabian» 

«La mamma non reggerebbe» li richiamò Ginny. 

«Io lo avrei messo in guardia, Blaise» s’intestardì Anya, decidendo di ignorare il vero scopo della riunione. «Invece lui è venuto alla Testa di Porco a recuperarlo e poi è stato con noi a fargli da infermiera a Grimmauld Place» 

«Chiamateli Grimmauld e Place» rise Ron alzando lo sguardo dal tavolo nel vano tentativo di smorzare la tensione ed evitare la discussione che già si sentiva nell’aria. 

«Ronald» lo richiamò Ginny. 

«Blaise è stato un amico leale» continuò George. «Mi rifiuto di credere che al suo posto, non avresti fatto la stessa cosa: è il solo amico che ha, da sempre» 

«Draco non ha solo Blaise, è solo che non se ne rende conto» rispose secca Anya, sentendo una fitta allo stomaco pronunciando il suo nome ad alta voce. «Alla fine, è anche amico vostro, e di Kayla, e di Ted e Lyall» 

«Oh, perché credi che se davvero ti ha tradita, lo avrebbe confidato prima a Ted e Lyall o a noi e Kayla?» si scaldò George.

«George» lo richiamò allora Fred cercando di trovare il suo sguardo per chiedergli, senza parlare, di calmarsi. 

«Se davvero mi ha tradita?!» rispose Anastasia alzando i toni e chiudendo i pugni, alzandosi in piedi di nuovo. 

«Non hai prove» la punzecchiò George ciondolando la testa a destra e sinistra. 

«Sua madre mi sembrava abbastanza sicura» 

«Sua madre ha detto anche che Harry era morto!» strillò allora George, mentre Remus si teneva la mano sulla fronte e Ron fingeva di guardare le foto appese alle pareti, Nicole e Ginny palleggiavano lo sguardo tra George e Anya insieme a Fred, indecisi se intervenire o se lasciarli fare. 

«Non è il caso di urlare» li richiamò piano Remus. «E non è il modo per dire le cose, Anastasia è già abbastanz-» 

«L’ha condannato senza prove!» 

«George, Merlino e Morgana, da quando stai dalla parte di Draco Malfoy?!» lo richiamò allora Nicole con tono di rimprovero.

«Da quando ho visto la sua faccia in negozio!» 

«In negozio?» domandò Anastasia in un sussurro, e fu Nicole a coprirsi il viso con le mani passando inosservata. Anya allora rivolse le sue attenzioni a Fred, cercando di appellarsi al fatto che gli fosse stato vicino dal primo momento senza fare domande. «Fred?» 

Fred serrò le labbra e annuì con aria quasi colpevole, mentre lei spalancava gli occhi e Ron annunciò che avrebbe preparato delle tisane per tutti.  

«Quando?» 

«Anya, non-» 

«QUANDO?» tuonò, spaventando tutti.
«Lunedì» si trovò ad ammettere Fred, mentre anche Remus e Ginny avevano preso a guardare i gemelli con aria perplessa. 

«E per fare cosa?» sputò lei. «Fred, se mi dici che ha comprato qualcosa per la Greengrass, o per l’altra Greengrass, ti giuro che-»

«Magari non sa per chi ha comprato» tentò di difenderlo Remus debolmente. 

«Ha comprato dei regali di Natale» disse Nicole tutto d’un fiato. «Per me, Ted e Lyall»

Anastasia serrò gli occhi prese un respiro profondo. Come le era successo davanti a Narcissa, ebbe l’impressione che l’intero edificio le fosse caduto addosso, ma nessuno a parte lei lo potesse vedere. Di nuovo, aveva visto la sua fiducia tradita dalle persone che più aveva a cuore. Dopo Draco, di nuovo Ted, questa volta insieme a Lyall e Nicole, suoi complici dal momento della loro nascita. 

«Ted e Lyall?» chiese Remus basito. 

«Io te lo volevo dire» cercò di difendersi Nicole. «Cazzo, te lo avrei scritto immediatamente, ma loro hanno deciso che-» 

«Loro!» tuonò di nuovo Anastasia voltandosi verso la cugina. «Nicole! Da quando accetti decisioni che non siano prese soltanto da te? Decidi tutto tu e soltanto tu da quando giocavamo con le Barbie, Tosca santissima, non prendermi in giro!» le puntò l’indice con fare minaccioso. «Non aggiungere altro, o giuro, giuro che ti lancio una Cruciatus» prima che chiunque potesse aggiungere qualsiasi cosa, spostò la sedia alle sue spalle e, battendo i piedi a terra, Appellò il cappotto e la borsa, e ignorando lo sguardo di Remus e i richiami di Fred, spalancò la porta e una volta uscita, si premurò di sbatterla a dovere. 


NdA: buongiorno miei adorati, non so da voi, ma da me nevica come in un film di Natale. Spero possiate godere del mio stesso panorama. 
Oggi vi consiglio una canzone di un gruppo meno conosciuto del solito, ma che adoro. Fatemi sapere cosa ne pensate - anche del capitolo, naturalmente. 
Buona settimana!
fatto il misfatto,
C

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Capitolo 37
*** accontentarsi ***


Didn't I, didn't I, didn't I love you?
Didn't we, didn't we, didn't we fly?
Know that I, know that I still care for you
But didn't we, didn't we say goodbye?
Didn't I, didn't I, didn't I love you?
Didn't we, didn't we, didn't we try?
Know that I, know that I still care for you
Tell me why good things have to die
(Didn't I, OneRepublic)

 
36. 
accontentarsi 
 

In casa Weasley Black, continuò a regnare un silenzio assordante. 

A Nicole raramente era capitato di essere zittita, e sicuramente non le era mai capitato che a zittirla fosse Anastasia. Avevano passato la vita l’una accanto all’altra, tanto che a scuola le chiamavano “le siamesi”, e Lumacorno non riusciva a non ricordare ogni volta che gli era già capitato di richiamare “Black e Redfort”, in un’epoca precedente. Quindi era rimasta seduta al tavolo, con la mano sul viso e l’espressione più colpevole che chiunque, in quella stanza, le avesse mai visto. Mentre Ron, incurante  di tutto, faceva fluttuare delle tazze stracolme di camomilla bollente verso il tavolo da pranzo, Remus si schiarì la voce. 

«Ti hanno davvero convinta Ted e Lyall?» domandò. 

«Credevano che si sarebbe arrabbiata» spiegò lei. «Ma anche io mi sono arrabbiata, per il regalo. Quindi ho detto loro che si sarebbe arrabbiata di più se lo fosse venuta a sapere dopo» alzò lo sguardo. «E infatti»

«Stai dicendo che è colpa mia?» domandò George ancora alterato. 

«Sto dicendo che non ti dovevi immischiare» lo richiamò Nicole. «Ma l’hai vista come sta?»

«E tu hai visto come sta lui?» 

«Non mi interessa come sta lui!» si difese Nicole. 

«Forse dovrebbe» la provocò allora George. «Se vedessi come sta lui, capiresti che non è tutto come sembra» 

 

«Tu sai qualcosa della faccenda di Draco e Astoria, vero?» sussurrò Fred, facendo prendere un colpo alla moglie. 

«Merlino» rispose lei in un sussulto, mentre si stava infilando nel letto. «Pensavo dormissi! È l’alba!»

«George ha litigato con Anya, prima» spiegò lui, mettendosi seduto. «E anche Nicole ha litigato con Anya, perché Draco ha spedito loro dei regali» 

Kayla accese l’abat-jour che stava sul comò e guardò il marito allarmata. «Anya ha litigato con Nicole e George?!» chiese, spalancando gli occhi. 

«Tu sapevi dei regali!» disse allora Fred, saltando sul posto. «Chi te l’ha detto?» 

«Anastasia e Nicole non hanno mai litigato, Fred, sei sicuro di quello che dici?!»

«Chiaramente te l’ha detto Robert» concluse il rosso. «E chiaramente sai qualcosa che non so»

«Credevo che la sola persona in grado di litigare con George fosse Percy!» esclamò Anastasia. «Hanno risolto, poi? O lei se n’è andata?» 

«Come sai che se n’è andata?» domandò Fred perplesso.

«Perché Anastasia non sa gestire il conflitto» sbuffò lei. «Pensaci, è palese» incrociò le gambe per iniziare a contare con le dita. «Quando avrebbe dovuto discutere con Edward per la storia del corso da Spezzaincantesimi, ha semplicemente evitato l’argomento, come se servisse, poi. Quando ha saputo che noi sapevamo che Edward era in città, si è murata viva a Grimmauld Place. E dopo aver visto Narcissa, ha letteralmente chiuso la porta in faccia a Draco – e Merlino, Draco non andrebbe a bussare alla porta di Villa Black senza delle spiegazioni più che valide!» Imbronciata, Kayla si lasciò cadere sui cuscini.

«Quindi è tutto un grande malinteso» concluse Fred dopo qualche secondo. «Se aveva delle scuse più che valide, intendo, è tutto un grande malinteso. E se ha comprato i regali per Nicole, Ted e Lyall, era pure dispiaciuto»

Kayla storse il naso e finse di guardare da un’altra parte. 

«Okay, diciamo che è un silenzio assenso. Quindi aveva ragione George a difendere Draco e a dire che Anastasia lo ha condannato senza prove» 

Kayla sbuffò. «Le ha detto così?» 

«Certo» rispose Fred. «E se vuoi sapere come la penso, ha fatto bene» 

Kayla si rimise seduta e si alzò a fatica imprecando Salazar. 

«E adesso dove vai? È l’alba!» 

«Vado a dire a Draco di muovere il suo regale fondoschiena» grugnì lei recuperando una vestaglia. 

«E ci vai in pigiama?» rise Fred. «Come ai tempi della scuola?» 

«Ci andiamo in pigiama» specificò lei. «Io, te, e pure George» 

 

«Padron Draco?» 

Draco aprì un occhio, confuso. Attorno a lui, la sua stanza buia, e accanto a lui, naturalmente nessuno, ma era ormai abitudine gettare uno sguardo o la mano verso la parte vuota del letto. Ai piedi del letto, però, Kora lo guardava intimorita. 

«Kora?» chiese strizzando gli occhi e alzando il collo per reggersi sui gomiti. 

«Kora è molto dispiaciuta, padron Draco, Kora sa che il padrone è tornato da poco e desiderava dormire» disse lei con timore. «Ma alla porta ci sono i signori Weasley che hanno urgenza di parlare con padron Draco» 

«Chi?» si stupì lui. 

«I signori Weasley, padron-»

«Quanti Weasley? E – e quali?» domandò sempre più allarmato, mettendosi seduto.

«Due gemelli e la signora Weasley incinta, padrone, Kora ha detto loro di ritentare dopo le feste, ma …» 

Draco scosse la testa, si alzò di scatto e si infilò dei jeans e un maglione di cashmere grigio scuro che aveva sfilato svogliato prima di buttarsi nel letto poco più di un’ora prima. «Va bene, Kora, falli accomodare in salotto prima che mia madre li veda, per favore» 

Kora annuì e scomparve all’istante, mentre lui apriva le tende oscuranti e si passava le mani sul viso per svegliarsi. Fuori dalle finestre, un’alba grigia copriva la tenuta per accogliere la giornata della vigilia di Natale. Recuperato un paio di scarpe, scese le scale e percorse i corridoi bui e freddi per raggiungere il salotto, trovando i gemelli lievemente a disagio ma perfettamente abili a nasconderlo, mentre Kayla era già seduta sul divano e si guardava attorno con espressione pensierosa e quasi preoccupata. 

«Dì un po', non ce l’hai un albero di Natale o qualche decorazione?» gli disse, vedendolo arrivare.

«Se avessi saputo di questa visita, avrei provveduto» rispose lui con un mezzo sorriso. «A cosa devo l’onore?» 

«George ha litigato con Anastasia» spiegò allora Kayla facendosi seria. 

«Oh» annuì il biondo. «E vuole fondare un club?» 

«Per difenderti» aggiunse allora Kayla, inclinando la testa in avanti per guardarlo male. 

Draco spalancò la bocca. «Davvero?» 

«No» si intromise allora George. «Io ho detto che ti ha condannato senza prove, e che non può prendersela con Blai-» 

«Per difenderti» riprese Kayla facendo segno al cognato di stare zitto. «E anche Nicole» 

«Nicole mi ha difeso?» chiese Draco con crescente stupore.

«Non-» iniziò Fred, ma Kayla fermò anche lui. 

«Draco, quello che stiamo cercando di dirti è-»

«Non stiamo, non ci lasci parlare!» si lamentò George. 

«Che devi muovere le tue regali chiappe verso Villa Black, perché io non ho intenzione di passare la Vigilia di Natale con la mia famiglia spaccata in due a causa tua, e soprattutto, non voglio essere l’unica a sapere la verità»

Draco alzò gli occhi al cielo. «Kayla, non … non è così semplice, lo sai»

«E invece dovrebbe!» si lamentò lei. «Sei ancora innamorato di lei o no?» 

Draco non rispose, ma lo sguardo che rivolse all’amica bastò. 

«Ecco» continuò allora lei. «Nessun innamorato vorrebbe passare il Natale da solo!» si lamentò. «Vi siete presi fin troppo tempo, non potete rischiare di perdervi» aggiunse, mostrandosi sinceramente preoccupata. 

Draco prese un respiro profondo e incrociò le braccia sul petto, scuotendo la testa. «Credevo che Nicole mi odiasse» disse poi, perplesso. 

Kayla inclinò la testa e lo guardò con dolcezza. «Draco, la sola persona che ti odia è quella che vedi riflessa nello specchio» 


James era seduto sulle gambe di Anastasia, stringendo la chitarra di Martha con sguardo fiero. «No, no» gli stava dicendo Anastasia. «Questo va qui» disse, spostandogli un dito da una corda all’altra. 

James annuì con la fronte corrucciata e riprovò a muovere la mano destra sulle corde, ottenendo un suono più dolce. 

«Ecco» sorrise Anya, con la testa sulla sua spalla. «Bravo» aggiunse, mentre Lily, Violet e Sirius raggiungevano il salotto con addosso dei grembiuli da cuoco.

«Abbiamo fatto tantissimi biscotti!» esclamò la giovane Potter. 

«Ma non li possiamo mangiare tutti» puntualizzò Violet. «O ci verrà mal di pancia»

Anya sorrise guardò il padre, che era riuscito a sporcarsi di farina ovunque, tranne che sul grembiule. «Non guardare me» si difese Sirius. «Sono Aaron e Moony che ci hanno detto che non li potevamo mangiare!» 

Anastasia rise di gusto e il giovane James attirò la loro attenzione accarezzando di nuovo le corde, e le due bambine lo guardarono estasiate. «Hai imparato tutto mentre facevamo i biscotti?» esclamò Lily. 

«Beh, ci abbiamo messo moltissimo a fare i biscotti» fece notare Violet,  guadagnandosi uno sguardo di richiamo da parte della zia. «Però sei stato comunque bravo, James» ammise in un sospiro.  

«Voglio suonare stasera!» si entusiasmò James.  

Anastasia gli spostò un ciuffo di capelli ribelli. «Stasera?» 

«Stasera! Davanti a tutti!» esclamò lui di nuovo quasi saltando sul posto. «Albus sarà verde d’invidia, lui non sa suonare neanche il flauto!» 

«Neanche tu sai suonare il flauto, James» gli disse la sorella. «Ci sputi dentro!» 

«Andate a controllare i biscotti» le invitò Sirius, e le bambine corsero verso la cucina di Villa Black quasi facendo a gara. «Sei bravissimo, James» gli disse in un sussurro. «Loro sono solo invidiose!» 

«Papà!» lo richiamò allora Anya. 

Sirius sorrise e le fece l’occhiolino, per poi tornare verso la cucina al grido di «Remus! Lo sapevo che mi hai cacciato con una scusa per poter mangiare i miei biscotti!»

 

Anastasia se ne stava avvolta in una coperta, con i capelli sciolti e uno sguardo pensieroso. Con una mano teneva la sigaretta, con l’altra si stringeva la coperta addosso, seduta sulla sedia a dondolo di Martha, mentre guardava il giardino di Villa Black e i vani tentativi di sua madre di tenere un orto.

Era “la notte di Natale” da parecchie ore, ormai, eppure non era riuscita a godersela come avrebbe voluto, come aveva sempre fatto. Aveva evitato accuratamente lo sguardo di Nicole, Ted e Lyall, e loro avevano fatto lo stesso, e ai vari tentativi di Fred e George di fare conversazione aveva risposto a monosillabi, mentre Ron le aveva riservato una pacca sulla spalla di conforto appena entrato in casa e Ginny non aveva tenuto nascosto il fatto di averla tenuta d’occhio per tutta la cena e anche dopo. 

Il piccolo James era riuscito ad imparare una dose di accordi sufficienti per improvvisare una Have yourself a merry little Christmas che aveva commosso i suoi genitori e anche i suoi nonni, che avevano però cercato di nasconderlo. 

Prima che la tradizionale cena arrivasse al secondo, un infreddolito Gabriel aveva fatto irruzione in casa con i suoi modi gentili, trovandosi subito sommerso da abbracci, sorrisi e domande – aveva deciso di anticipare il rientro in Inghilterra di qualche giorno, perché era vero che la Francia era casa sua, ma lo era anche quella tavolata, aveva detto, e Robert gli aveva dedicato un brindisi, dicendo che ora la tavola era completa ed era davvero Natale. 

Dopo cena, Percy e sua moglie avevano bussato con timore dicendo che la piccola Molly e la piccola Lucy avrebbero tanto desiderato scartare i regali insieme ai loro cugini, e anche ad Arthur era scesa una lacrimuccia, mentre Fred e George avevano guardato il fratello con sospetto. 

«Beh, è andata bene» sussurrò una voce accanto a lei, facendola sobbalzare. 

Voltandosi di scatto, trovò Kayla e sospirò. «Mi dispiace, non ero dell’umore ideale» ammise senza guardarla, avvicinando la sigaretta alle labbra. «Mamma e papà dormono?» 

«Sì» rispose Robert, raggiungendo le sorelle sulla veranda, immediatamente seguito da Harry che si stringeva nella sciarpa che gli avevano regalato loro. 

«Ti sta bene» gli disse allora Anya, indicandolo. «Avevo ragione, fa molto medio borghese»

Robert trattenne un sorrise e scambiò con Kayla uno sguardo d’intesa. 

«Hai risolto con Nicole e George?» domandò la Serpeverde a bruciapelo. 

Anastasia piegò gli angoli delle labbra. «Non fai neanche finta di non saperlo» commentò con una punta di disprezzo, scuotendo la testa. 

«Non serve» rispose la sorella, stringendosi nelle spalle. «Abbiamo una famiglia così numerosa che non ci serve far finta di non sapere le cose»

Anastasia continuò a scuotere la testa. «Allora non fingere di non sapere che ci siamo a malapena salutati» le rispose acida. «Io non sono come te, Kayla, io non riesco a fingere» aggiunse in un sospiro. «E tenere nascoste le cose mi pesa. Invece, alla maggior parte di noi, riesce benissimo»

Robert stava per parlare, ma Kayla lo fermò con un gesto della mano. «Hai ragione» le disse, stupendola al punto di costringerla a voltare lo sguardo verso di loro. «Io non sono come te, ma la ritengo una grande fortuna» le spiegò, mentre la sorella aspirò di nuovo nervosamente con la sigaretta. «Perché se fossi stata come te, non mi sarei accontentata» 

«Accontentata?» sputò la più giovane incredula. «Io mi sarei accontentata

«Ti sei accontentata, Anastasia, ti sei accontentata delle parole di Narcissa» 

Anastasia soffocò una risata finta e buttò fuori il fumo. «Certo» disse. «Voi due non dite niente? Cosa siete, le sue guardie del corpo?» attaccò allora i due fratelli. 

«Noi siamo d’accordo con Kayla» rispose Robert calmo. «E con quello che ha da dirti» 

«Quindi sì, siete due guardie del corpo» li attaccò ancora Anya. «Fossi in voi penserei a portare a casa i bambini e non immischiarmi» 

«Non ci stiamo immischiando» puntualizzò Harry. «Sei nostra sorella» le ricordò. 

Anastasia li guardò rapidamente tutti e tre, riuscendo a riconoscere, nonostante la rabbia ed il fastidio che provava in quel momento, che i suoi fratelli fossero sinceramente preoccupati. Poi, si disse, per starsene la notte di Natale sulla veranda di casa dei genitori cercando di farla ragionare anziché tornare a casa con i propri coniugi, dovevano avere delle valide ragioni o comunque un piano ben consolidato e studiato. 

Così, spegnendo la cicca controvoglia, si strinse più forte nella coperta e si alzò dalla sedia a dondolo di Martha. 

«Okay» disse loro con aria convinta ma scocciata. «Quale è il punto?» 

«Ti sei accontentata della parola di Narcissa» ripeté Kayla. «Ma noi no» 

Anastasia aprì la bocca e la richiuse immediatamente, guardando Robert e Harry, che cercavano di lanciarle sguardi di solidarietà e supporto. 

«Non … non è giusto negare a qualcuno che amiamo la possibilità di spiegarsi» continuò Kayla, con fatica. «L’ho fatto anche io, lo abbiamo fatto tutti, ma è una stronzata, e … lo sai che abbiamo sempre cercato di evitarti di fare i nostri stessi sbagli» le sorrise. «Forse abbiamo sbagliato anche in questo, forse dovevamo lasciarti cadere perché potessi imparare a rialzarti contando solo su di te. Ma non è vero che puoi contare solo su di te, perché potrai contare sempre su di noi, perché siamo la tua famiglia» si strinse nelle spalle e lasciò che una timida lacrima le bagnasse il viso. «Mi dispiace se sono stata invadente, e dispiace a loro, e a Fred e George e tutti quanti – ma è il nostro modo di agire, non ne conosciamo altri» si voltò verso i fratelli, che annuirono. «E ti chiediamo scusa, anzi, ti chiedo scusa io a nome di tutti, perché sento di essere quella che lo deve fare» Anastasia stava per replicare, ma Kayla la fermò con lo stesso gesto con cui aveva fermato Robert. «Ti sei accontentata delle parole di Narcissa, e se c’è una cosa che ti voglio augurare, per questo Natale e per tutta la tua vita, è di non accontentarti mai, di andare sempre in cerca di risposte» si mise una mano nella tasca della giacca, mostrando ad Anastasia una busta di pergamena pregiata dal sigillo inconfondibile. «Non so … se questo ti farà cambiare idea o ti permetterà di vivere meglio, di rimanere ferma sulla tua decisione o ti farà venir voglia di tornare sui tuoi passi. So che … beh, spero che qui ci siano delle risposte»

Con un sorriso colmo d’amore, le porse la busta, trovando nella sorella una sincera commozione e uno sguardo perso. 

Allora Kayla, con naturalezza, le accarezzò il viso. «Buon Natale, mostriciattolo» le disse, strizzandole l’occhio. Fece poi un passo indietro, per avvicinarsi alla porta e chiamare Fred, che la raggiunse subito e la prese a braccetto. Rivolse ai Black uno sguardo pieno di riconoscenza e raccomandazioni, soffermandosi su Anya, e poi si Smaterializzò insieme alla moglie.
«Kayla ha detto che ti dobbiamo lasciare da sola mentre la leggi» spiegò velocemente Harry. «Ma noi volevamo dirti che … che possiamo restare con te, se lo vuoi»

«Certo» gli diede corda Robert. «Tutta la notte, se lo vuoi. Senza problemi. Hermione e Ginny hanno già portato a casa i bambini con la metropolvere, mamma e papà sono in camera loro, ti possiamo anche portare dove vuoi» 

«E possiamo saltare il pranzo di domani alla Tana» aggiunse Harry, guadagnandosi un’occhiataccia di richiamo da entrambi. «Potremmo, insomma»

Anastasia gli sorrise e si rigirò la lettera tra le mani. «Grazie» sussurrò, guardandoli commossa. «Ma … è una cosa che devo fare da sola» spiegò, accarezzando il sigillo di lacca con il logo Malfoy. «Andate a casa» li invitò poi, con uno sguardo di rimprovero. «E non cercare scuse per saltare il pranzo di domani» disse rivolto ad Harry. 

Harry alzò gli occhi al cielo. «Ti stavo solo esprimendo la mia totale solidarietà!» cercò di giustificarsi lui. 

Anya scosse la testa e rientrò in casa, fermandosi all’ingresso per recuperare il cappotto e una sciarpa, la bacchetta ed il telefono, e sorridendo guardò di nuovo i fratelli. 

«Dove andrai?» domandò Harry sbigottito. 

Prima che potesse sperare di avere una risposta, Anastasia si era Smaterializzata. 






NdA: buonasera e buon anno miei fedeli lettori, dalla vostra amichevole piccolouragano di quartiere.
Ormai è innegaibile che io mi stia arrugginendo: sono passata dal pubblicare a mezzanotte spaccata a pubblicare a pomeriggio inoltrato ... sono comunque fiera di aver sempre rispettato la scadenza settimanale, però; è anche innegabile che siamo vicini ad un capitolo che nel file di "cascasse il mondo" si chiama "epilogo (forse)", e credo che quel forse rimarrà tale anche in data di pubblicazione. Sapere che non mi piacciono gli addii, i finali, le porte chiuse, ma credo che per un po' dovrò lasciare il mondo potteriano da parte - come buon proposito per questo 2021, ho di inviare qualcosa di mio a qualche editore, mi serviranno moltissime energie e soprattutto tutte le vostre good vibes.
Il prossimo capitolo, giusto a proposito, è un esperimento narrativo totalmente nuovo per me, quindi capirete la mia ansia a mille. 
Bene, credo di avervi detto tutto. 
Dove credete stia andando la nostra Anya? E cosa ci sarà nella busta? :D

Buon anno, di nuovo. Che sia migliore di quello appena concluso, qualsiasi cosa per voi possa voler dire. 

Fatto il misfatto, 
C

 

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Capitolo 38
*** la notte di Natale ***


I've got a feeling
This year's for me and you
So happy Christmas
I love you baby
I can see a better time

When all our dreams come true
("Fairytale of New York")

 
37. 
la notte di Natale

 

Anastasia si rigirò la lettera tra le mani per la centesima volta. Aveva perso il conto delle volte in cui l’aveva letta, e non era riuscita ad impedire che una lacrima sporcasse quella pergamena costosa e pregiata che aveva deciso che avrebbe conservato per sempre. 

Mentre Londra, attorno a lei, festeggiava il Natale, lei se ne stava seduta alla dannatissima fermata dell’autobus di Charing Cross Road, davanti al teatro e in mezzo a ristoranti ancora stracolmi di gente piena di voglia di festeggiare, e a pochi metri da lei, l’ingresso del Paiolo Magico. Lì, dove si era seduta accanto ad un Draco appena conosciuto e aveva studiato ogni dettaglio di quel viso angelico che le sembrava di conoscere da sempre e che, ancora non lo sapeva, ma le avrebbe cambiato la vita, forse per sempre, e forse, senza che lei avesse mai la possibilità di dirgli quanto banalmente gli fosse grata per questo. 

Quella lettera le aveva dato delle risposte a delle domande che non sapeva di doversi porre, e delle nuove domande che non si sarebbe mai immaginata.

Prendendo un respiro profondo e preoccupandosi di non averla stropicciata o rovinata, la lesse di nuovo.

 

So che non mi vuoi ascoltare, ma a quanto pare sono così presuntuoso da pensare che mi vorrai leggere.
So che non ci sono scuse per quello che ho fatto, per come lo hai saputo, e per non avertene parlato prima. 

Ma vedi, ci sono centinaia di cose che ho imparato in questi mesi che la vita mi ha regalato accanto a te. Centinaia, lo giuro, dalla più piccola alla più importante. 

Una di queste è che niente è come sembra.  

So quello che sembra tutto questo: sembra che quello stronzo egoista di Draco Malfoy ti abbia usata e scaricata nel peggiore dei modi, proprio quando tu gli avevi detto le più belle parole che si possano dire ad un altro essere umano. 

Non posso negare. 

Ma non pensare mai che io ti abbia usata, ti prego. 

Non c’è niente di più sbagliato. 

Ho passato metà della nostra relazione a respingere l’idea di te e l’altra metà a bramarla, ma ciò che non ho mai smesso di fare, dal primo istante, è imparare da te ad essere una persona migliore. A non giudicare un libro dalla copertina, ad aspettare che la ruota giri, ad apprezzare i colori dell’alba e i cappucci babbani, a vedere più in là del mio naso e ad ascoltare le ragioni di tutti. 

Non avrei mai pensato di poter cambiare e di poter apprezzare la persona che vedevo nello specchio: tu lo hai reso possibile, e te ne sarò eternamente grato. 

Ciò che ho imparato da te mi ha permesso di sedermi sul letto di Astoria, perché lei era troppo debole per alzarsi. 

Mi ha permesso di ascoltarla, di raccogliere le sue scuse e le sue ragioni. 

Mi ha permesso di mostrarle che niente è come sembra: mi aveva lasciato quando  ha sentito che la sua malattia stava peggiorando, eppure io sono tornato perché sono così testardo che volevo dimostrarle che le sarei comunque rimasto accanto.

“Rimanere accanto” è un concetto che mi era totalmente estraneo prima che tu facessi irruzione nella mia vita. 

Invece oggi guarda cosa sono riuscito a fare!

Mi hai reso un Draco migliore, e sinceramente, non credevo che un Draco migliore potesse esistere. 

Nel caso non sia chiaro: ti amo anche io. Ti amo in un modo sciocco e infantile, ti amo per gratitudine, ti amo in un modo che non credevo fosse possibile, e ti amo perché ho la certezza matematica che non sono mai stato così felice come lo sono quando ti ho accanto o come quando ti sento suonare il piano, quando ti prendo per mano, quando ti guardo dormire, o quando mi volto per guardarti ma tu mi stavi già guardando. 

Sei una persona eccezionale e una strega meravigliosa, Anastasia Black, e sono fortunato ad averti incontrata e averti potuta stringere a me, anche solo per un po’. 

Sarò sempre qui per ricordarti quanto vali e quel che vali per me, anche se questo ultimo dettaglio potrebbe sembrarti insignificante. 

Ti prometto che non dimenticherò mai tutto questo, e che ovunque andrai, io saprò amarti fino lì. Farai grandi cose, farai la differenza, ne sono certo.

Ti amo. 

Draco



 

Si sforzò di prendere un respiro profondo, perché ogni volta che la rileggeva, c’era qualcosa di diverso che le arrivava dritto al cuore e allo stomaco e le faceva sia male che bene allo stesso tempo. Con un enorme sforzo, si riempì i polmoni di aria quasi fino ad avere idea che stessero per scoppiare, e poi, tenendo la bocca ben chiusa per far uscire tutta l’aria dal naso, espirò; dopo una manciata di secondi, le lacrime non le oscuravano più la vista e il respiro non le sembrava più così corto. E dopo aver constatato di aver rovinato per sempre le maniche del cappotto perché vi si era pulita il naso e le lacrime innumerevoli volte, si rese conto di non sapere da quanto fosse lì. Ore, giorni? Da quanto tempo era la notte di Natale? Quanto può durare la notte più magica dell’anno? La gente attorno a lei continuava a festeggiare. Qualcuno le si era seduto accanto aspettando il bus, alcuni non avevano osato. Qualche bambino, tenendo per mano i propri genitori, l’aveva indicata: chi piange con una lettera in mano mentre tutto il mondo festeggia? E mentre le luci decorative illuminavano la città a giorno e l’ennesimo autobus si fermava davanti a lei, decise di alzarsi. Si pulì di nuovo le lacrime nel cappotto e voltò le spalle a quella fermata del pullman e alle persone che l’avevano evidentemente presa per pazza. Mentre ripiegava la lettera per mettersela in tasca, ragionava se raggiungere il Paiolo Magico e Smaterializzarsi lì per tornare a casa, oppure cercare un posto poco affollato rimanendo nella Londra babbana; e mentre stava concludendo che non avrebbe mai trovato un angolo adatto, alcune frasi della lettera le risuonavano in testa senza darle tregua. 

Così, in mezzo alla folla, si trovò costretta a fermarsi. 

Prima di tutto, perché le lacrime le stavano oscurando di nuovo la vista, e considerata la folla e la vicinanza con la strada, era meglio vedere dove mettesse i piedi. 

E poi, perché ciò che si trovò davanti sembrava assolutamente inverosimile. 

Lui era lì, con le mani nelle tasche dei pantaloni, una camicia bianca, senza dare l’idea di sentire il freddo di fine dicembre. 

Le solite scarpe di pelle di drago, i biondi capelli pettinati all’indietro, come sempre. Dipinta in viso, però, un’espressione nuova, che né Anastasia né nessun altro gli aveva mai visto. 

Negli occhi arrossati, un velo di lacrime, come se avesse appena smesso di piangere, ma avesse il disperato bisogno di ricominciare. Sopracciglia corrucciate, come se non capisse cosa ci facesse lei lì, ma un mezzo sorriso, come se in realtà lo sapesse, ma non se lo aspettasse assolutamente. 

Non aveva idea di da quanto tempo fosse lì, non sapeva se anche lui stesse camminando e si fosse bloccato vedendola o se fosse in piedi lì da prima che arrivasse lei. Entrambe le ipotesi erano perfettamente plausibili, anche perché se c’era una cosa che Anastasia aveva capito, era che loro due, insieme, sapevano essere dannatamente imprevedibili, fino a ribaltare completamente la situazione in una sola mano di gioco. 

Anya provò ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma rivelò un singhiozzo dato dal troppo pianto, così Draco si costrinse a guardare altrove per evitare di piangere di nuovo.

Tornò a guardarla, stringendo i pugni nelle tasche, perché sentiva nel petto che per lui fosse impossibile non guardarla. Dal momento in cui era arrivato e l’aveva vista con la lettera tra le mani, seduta dove si erano seduti insieme solo qualche mese prima, quando non erano che due sconosciuti e lei aveva dato il via a quella storia meravigliosa che lo aveva portato a rimanere in piedi, bloccato solo da sé stesso, in mezzo a sconosciuti ignari di tutto, a guardarla piangere con in mano una lettera che aveva scritto solo la mattina stessa su insistenza di Kayla. Scrivere quella lettera lo aveva costretto a mettere in ordine i suoi pensieri, ma anziché sentirsi meglio, più leggero, più libero, più consapevole, si era solo sentito più stupido e miserabile che mai. Su quella lettera, nero su bianco, c’era il malinteso più sciocco della sua intera esistenza ed il sentimento più vero che avesse mai provato. Chiudere quelle cose in una busta e consegnarla a Kayla avrebbe dovuto regalargli un senso di chiusura, o quantomeno di meritato time out, invece gli aveva solo lasciato un senso di vuoto e di voglia di continuare a raccontare la verità, perché incredibilmente aveva capito che dire la verità gli piaceva moltissimo. 

E adesso, riusciva solo a guardare Anya con la chiara necessità di imprimersi quell’immagine nella mente più che riusciva, perché ancora una volta qualcosa e qualcuno gli avevano insegnato che la vita è troppo breve e lui aveva capito di non avere più voglia di sentire che il tempo e le occasioni gli scorressero tra le mani senza avere modo di fare niente per fermarli. 

Riusciva solo a guardarla, pensando che c’erano moltissime cose che avrebbe voluto dire, ma mettere in ordine i pensieri per scriverli in una lettera non era bastato: si sentiva comunque un bambino incapace di trasformare i pensieri in parole e frasi, come poche settimane prima a Grimmauld Place, quando fregandosene del mal di testa assurdo avrebbe dovuto dirle “ti amo anche io, ma adesso siediti, calmati, che ti racconto tutto, così la risolviamo insieme”. 

Non riusciva a non guardarla, a non pensare che fosse perfetta anche così, con gli occhi rossi di pianto ed il naso rosso dal freddo, le labbra tremanti mentre si asciugava il pianto in un cappotto grigio come i suoi occhi. Anche così avrebbe avuto voglia solo di baciarle ogni centimetro di pelle per ricordarle che non avrebbe mai voluto farla piangere e che sicuramente, da quel momento in poi, non avrebbe mai più pianto. 

Ciondolò il peso dai talloni alle punte e dalle punte ai talloni, si morse un labbro e la guardò, strappandole un sorriso che gli regalò delle farfalle nello stomaco mai sentite prima d’ora. 

«Ti … ti va di sederci a bere qualcosa?» disse allora, con un filo di voce. 

O magari no, si disse, magari non dovremmo bere niente, dovremmo sederci lì  e guardare gli autobus passare. O forse dovremmo scegliere una casa qui, in questa piazza, e farla nostra per sempre. O forse ancora dovremmo prenderci per mano  e passeggiare per tutta Londra fino all’alba, fino ad avere male ai piedi, fino a dirci tutto quanto, fino a trovare la fine dell’arcobaleno e poi darci una meta nuova. Forse invece dovremmo andare a casa, fare l’amore in quel modo tutto nostro, domani metterci i vestiti nuovi e festeggiare il natale insieme a tutte quelle persone che ci hanno permesso di essere qui, l’uno davanti all’altra in lacrime, in questa notte affollata ed illuminata.

Lei annuì, sorridendo e passandosi la manica sotto al naso per asciugarsi. 

Poi, con dolcezza, allungò l’altra mano verso di lui. Lui l’afferrò, e si lasciò guidare, consapevole che l’avrebbe seguita ovunque, e per sempre. 






NdA: Credo di non aver mai scritto, in vita mia, un capitolo con una sola battuta. Mai. 
Ma credo anche che mi serva e serva anche a loro, per dare più spazio alle parti introspettive - che, adesso, ci volevano proprio. 
Spero davvero che vi sia piaciuto, io vi confesso che ne sono soddisfatta più del previsto. 
Ah, una NdA effettivamente utile: il capitolo "Epilogo (forse)" verrà pubblicato non lunedì 18, ma lunedì 25. E poi si vedrà. Lo sapete, odio gli addii e comunque ... mai dire mai. 
Vi abbraccio. Buona settimana!

fatto il misfatto, 
C

P.S.: essendo io allergica alle festività natalizie, a inizio capitolo trovare l'unica canzone a tema che abbia mai sopportato ... è un canto irlandese, almeno così mi pare di ricordare, che forse avrete sentito in "PS I love you". 

 

 

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Capitolo 39
*** epilogo (o forse no) ***


All of these lines across my face
Tell you the story of who I am
So many stories of where I’ve been
And how I got to where I am
But these stories don’t mean anything
When you’ve got no one to tell them to
It’s true, I was made for you!
(The Story, Brandi Carlile)
//
Mantieni il bacio
oltre l’errore del tempo
fanne qualcosa di eterno
non lasciarne cadere
neanche solo un frammento
come polvere sul pavimento
non staccare le labbra neanche un solo secondo
e non farti distrarre dal rumore di fondo
perché alla fine ogni volta

è l’amore che ci salva
(Mantieni il bacio, Michele Bravi) 


 

Epilogo (o forse no)
 

 

Nel cuore di Londra, in un tranquillo quartiere residenziale chiamato Earl’s Court, il sole era tramontato da una manciata di ore, e le stelle avevano recuperato la loro postazione nel cielo, per dare a chiunque le guardasse la sensazione di stare andando da qualche parte. In un condominio storico con i mattoni rossi e le finestre dal vetro sottile, al quarto piano una ragazza con dei folti boccoli neri attraversava il corridoio in punta di piedi, per raggiungere la camera da letto con due culle identiche, e sulla porta due nomi importanti, le cui lettere in legno, grazie ad un incantesimo, prendevano un colore diverso a seconda dello stato d’animo delle gemelle.

Il primo nome, Margaret, era dipinto di un profondo blu notte, con qualche stellina qua e là: segno che la piccola stesse dormendo profondamente nel suo lettino. Il secondo nome, il nome di Melody, era invece di un blu un poco più tenue, segno che la piccola stesse sì dormendo, ma non nel suo lettino, come invece avrebbe dovuto.

Anastasia, allora, aprì la porta con delicatezza, sapendo già lo spettacolo che si sarebbe trovata davanti.

«Lumos» sussurrò, con la bacchetta davanti al viso. 

«Shhhh» le intimò Draco con un sussurro infastidito.

Come aveva previsto, Draco se ne stava seduto sulla sedia a dondolo di legno chiaro di Robert Redfort, con in braccio la sua figlioccia che dormiva beata. 

«Devi metterla a letto» lo rimproverò Anastasia. «Se Fred e Kayla tornano dalla cena e ...»

«Lo so, lo so» si lamentò Draco, senza distogliere lo sguardo dalla piccola, che dormiva beata, con una manina dalla pelle diafana posata sul petto di Draco, quasi come per rassicurarlo.

«Spegni quella luce» la rimproverò. «Non vorrai svegliarla!» 

«Non vedo niente, al buio» si lamentò allora Anastasia. «Non ho la vista da Padfoot!» 

Draco aggrottò le sopracciglia e si mostrò perplesso. «Padfoot non è il cane nero che sta ad Hogwarts?» 

«Hai visto Padfoot a Hogwarts?» sorrise allora Anastasia, inclinando leggermente la testa. 

«Quando sono andato a parlare con Ted» raccontò Draco. «Immagino faccia parte di quelle cose della tua famiglia che saprò a tempo debito, come dice Robert» 

«A tempo debito» ripeté Anya.

«Non è un vero cane, quindi?» 

«A tempo debito»

Draco sbuffò, tornando a guardare Melody, sussurrandole un lamento sulla “tua famiglia di matti”, e Anastasia scosse la testa, ben decisa a lasciar cadere l’argomento. Con la bacchetta ancora accesa, si avvicinò al letto di Margaret Molly, che dormiva beata, con il viso tondo incorniciato dai boccoli rossi e un accenno di lentiggini sul naso e sugli zigomi. Una Weasley fatta e finita. Melody Martha, invece, da cui Draco non si staccava mai, era una Black come si deve: pelle dello stesso colore di una perla, occhi grigi come le nuvole inglesi, capelli folti e neri, labbra sottili, portamento elegante. 

Erano nate il trentun dicembre, mentre Anastasia cercava di trovare un modo per dire a Draco e alla sua famiglia che avrebbe voluto che si sforzassero di passare il Capodanno tutti insieme, perchè lei non avrebbe saputo scegliere. Kayla le aveva facilitato il lavoro, chiamandola prima di pranzo e dicendole che stava andando al San Mungo, chiedendole di prendersi l’incarico di avvisare tutti. Lei aveva eseguito gli ordini, e proprio mentre stava per preoccuparsi perchè Draco non era ancora arrivato, aveva visto William, James e Albus arrivare con Draco per mano, dicendo di averlo trovato all’ingresso del reparto maternità. «Aveva una fifa blu di entrare!» aveva riso Albus, facendo ridere anche Sirius, che fino a quel momento aveva mantenuto un’espressione tesa. 

«Primo nipote, immagino» aveva scherzato allora Martha strizzandogli l’occhio.

«Dopo il terzo, diventa una passeggiata» aveva aggiunto Robert, battendogli una pacca sulla spalla, senza chiedersi perché William lo conoscesse.

Quando, dopo qualche ora e dopo che Sirius per l’ansia aveva percorso avanti e indietro il corridoio così tante volte da aver coperto il perimetro del Regno Unito, un’infermiera aveva chiamato George e Draco, in qualità di padrini. Persino i bambini si erano stupiti.

Draco non si era più staccato da Melody, e nessuno riuscì più a crederlo “cattivo” dopo averlo visto tenere in braccio la figlioccia appena venuta al mondo. Con le lacrime agli occhi, aveva sussurrato che non credeva potessero esistere esseri umani così piccoli e così belli, e aveva giurato a Melody che avrebbe avuto cura di lui come un vero padrino - anche se lui un padrino, disse, non lo aveva mai avuto. 

«Le stavo raccontando una storia» le disse Draco, strappandola ai suoi ricordi. 

«Una favola della buonanotte?» 

«No, una storia: non credo le racconterò mai le favole delle principesse che racconti tu a Lily e Violet, non voglio che si illuda. Le stavo raccontando una storia vera» 

«Una storia vera?»

Draco annuì, orgoglioso. 

«E quale?» 

«La nostra»





NdA (questa volta di rilevante importanza): decisamente, mi sto arrugginendo e affezionando agli happy ending. Per questo, dovreste ringraziare AlwaysPotter che per mesi non ha fatto altro che ripetermi "non puoi farla finire male!!! Non!! Puoi!!!" nella mia testa, il finale sarebbe stato una scena di Draco e Anya che si incotrano per caso al Paiolo dopo decenni e si raccontano le rispettive vite vissute - a proposito di AlwaysPotter, vi ricordo, in temporanea mancanza di qualcosa da leggere, la sua Wizard's Note, è una bomba
Passando alle cose pratiche ed importanti: ormai lo sapete quale è il mio rapporto con gli addii, no? Ecco. Quindi, non disperate. 
Ogni primo del mese, partendo dal primo marzo per questioni organizzative, pubblicherò una Slice of Life della nostra adorata famiglia Black, riuniti in una raccolta che si chiamerà "
cascasse il mondo, impara a volare", in onore di una scritta trovata da me medesima per strada a Milano in centro, mentre camminavo in solitaria riflettendo sul destino del mio e nostro clan preferito: non poteva che essere un segno. 
Ecco, ora credo di avere detto tutto. 
Agli addii non ci si abitua mai, quindi in onore del mio amato Derek Sheperd: see you around. 
Oppure, ci sentiamo direttamente il primo marzo. 
Vi abbraccio tutti, uno per uno, e vi ringrazio di cuore per la fedelità e l'entusiasmo dimostrato negli anni. Se mai arriverò a scrivere un libro, come sogno e medito da anni, gran parte del merito sarà vostro. 
Ah, e sì, ci sono due canzoni all'inizio del capitolo: non ho saputo scegliere. 


ora e sempre 
fatto il misfatto, 

C

 

 

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