La colpa della nostra eternità - Semper Amemus.

di Longriffiths
(/viewuser.php?uid=264882)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vinum incendit iram - il vino accende l'ira. ***
Capitolo 2: *** Omnia vincit amor. ***



Capitolo 1
*** Vinum incendit iram - il vino accende l'ira. ***


-'Ma, quindi, stiamo insieme o cosa?'-
Aziraphale, dopo una ventina di minuti di silenzio sollevò gli occhi su Crowley. 
Erano soliti fare così, dopo i loro incontri ravvicinati.
Si prendevano sempre il tempo di stare ognuno nei propri pensieri, per inglobare, smaltire e mettere in ordine i sentimenti che li avevano pervasi nel corso dell'amplesso, solitamente in uno stato apparente di sonno, e con le dita delle mani intrecciate.
Quel silenzio non era pesante, né inopportuno tutt'altro, quasi idilliaco.
Di norma erano le rispettive mani destre, posate o sull'addome del demone o sul petto dell'angelo. Dipendeva, naturalmente, dalla posizione in cui si trovavano una volta conclusi i loro speciali e lunghi momenti di amore fisico, in cui entrambi avevano trovato una stabilità ed una scioltezza maggiore rispetto ai primi tempi. Riuscivano a concedersi l'un l'altro con maggiore zelo, e l'imbarazzo era stato quasi smorzato del tutto.
Adesso, l'angelo era disteso di lungo sulla schiena del suo amante. Le mani sinistre messe l'una sull'altra sotto i loro corpi, e quelle destre strette tra loro sul cuscino all'altezza delle loro teste. Dopo otto mesi dalla mancata Apocalisse, e due dal loro primo bacio, che era stato poi l'origine della loro prima volta insieme in tutto e per tutto nella libreria del biondo, era stato proprio quest'ultimo a condurre il ritmo della frenetica danza. 

Crowley aveva inteso il suo tacito desiderio, quando si erano denudati a vicenda. Ma il demone aveva anche intuito, per quanto gli era stato possibile intendere quella creatura, dalla sua espressione e dall'adorabile modo in cui diveniva impacciato il suo angelo quando l'imbarazzo si appropriava di lui, che non glielo avrebbe mai detto esplicitamente. 
Ormai si comprendevano molto più a fondo di prima, avendo avuto la libertà di conoscersi sotto un punto di vista che in seimila anni era stato solo un'inattendibile concretezza, un'aspirazione irragiungibile.
Gli ci era voluta una leggera spinta per fargli uscire le parole di bocca. Nel senso che il demone aveva dovuto minacciare di non fare più l'amore con lui, se non gli avesse espresso verbalmente l'intenzione di volerlo sotto di sé, di dominare il ritmo personalmente, per quella volta. 
Non ricordava di aver mai visto Aziraphale boccheggiare tanto in cerca di parole come un pesce fuor d'acqua, colorato molto più tendente al viola che al rosso sulle gote. Alla fine però, sicuro che per niente al mondo avrebbe rinunciato a lui una volta provata quella meravigliosa esperienza coronata proprio con la persona amata, lo aveva convinto.
Aveva anche dovuto insistere a lungo, perché gli restasse steso addosso una volta raggiunto l'apice, facendogli presente che il suo peso non rappresentava un problema, e che fosse stato per lui, sarebbe potuto restargli addosso per l'eternità. 

Crowley aprì gli occhi serpenteschi di scatto al suono della sua voce, girando maggiormente il collo per poter guardare il suo amante dritto in faccia. 
Era una domanda lecita, dato il fatto che effettivamente non si erano ancora mai confessati il loro amore come una qualunque altra coppia di creature divine o di esseri umani, non si erano mai chiesti a vicenda di uscire per un appuntamento reale, inteso come un incontro a scopo romantico, e non si erano mai premurati di fissare un'eventuale data da festeggiare ad ogni anno passato, come un'importante ricorrenza.
Ma era anche una domanda stupida, siccome ormai si vedevano quasi ogni giorno, si addormentavano spesso insieme di notte, e si assicuravano di far sapere all'altro luogo e tempistiche di ogni spostamento.
Ma confessarsi apertamente di essersi innamorati dell'altro, mai. Come se fosse futile dirlo ad alta voce, dato che i loro occhi si parlavano, e probabilmente lo sapevano già. Come se fosse superfluo, dopo tutto ciò che avevano passato.
Come se fosse una cosa da poter rimandare.
Finire invece a letto, a terra, su una sedia, su una nuvola, o a ribaltarsi come due circensi in volo lontano da occhi indiscreti, quasi sempre invece.
C'era da dire che il sentimento era nato forse secoli addietro, sempre represso fino a quel momento, e ne avevano di tempo da recuperare.

Per tutta quella serie di motivi, Crowley non sapeva esattamente cosa e come rispondere, ma se c'era una cosa che rendeva quanto più vicino al nervoso Aziraphale, quella era non rispondere alle sue domande. E rovinare un momento come quello, non era nelle corde di nessuno dei due.
Non da quando avevano affrontato per la prima e l'ultima volta l'argomento, agli inizi di gennaio. 
'Sai, ho sempre desiderato festeggiare San Valentino in termini di usanze umane!'. Crowley si era massaggiato le tempie con aria affranta rovesciando gli occhi al cielo, e si era voltato dall'altro lato senza replicare.
Aziraphale si era immediatamente accorto del disagio e della poca propensione del demone a tenere conto di frivolezze del genere. Non era proprio l'idea standard di partner romantico. Passionale, sì, non romantico.
L'angelo aveva smesso di curarsi della faccenda esattamente come lui, facendosi bastare la relazione che stavano intrattenendo. 
Ma sentiva ora che era proprio arrivato il momento di darle un nome. 

-'Beh, angelo, stai dormendo nel mio letto. Hai idea di quante persone lo abbiano fatto? Fatti una domanda, e datti una risposta.'-
-'Ma io non voglio saperlo!'-
 
Crowley sbuffò divertito, mettendosi supino per incontrare il volto etereo del biondo, posandogli un bacio sulla punta del naso. Sapeva di avere al massimo dieci secondi prima dell'inizio di uno sproloquio sulla sua innata insensibilità di trattare certi argomenti, se non avesse smentito l'ambiguità delle sue stesse parole.
-'Guarda che intendevo nessuno oltre a te, sciocco di un angelo. Voleva dire di sì.'-
-'Oh..'-


Il sorriso tornò a rendere più splendente il volto di Aziraphale, sollevato più che contento di quella presa di coscienza. Non era sicuro che quella risposta valesse a dire che nessuno fosse entrato in quel letto anche se non per dormire, ma scacciò ogni sorta di pensiero negativo e si limitò ad accoccolarsi sul petto del suo demone, pur sapendo quanto a lui desse fastidio un contatto a pelle troppo prolungato. Sapeva anche però che non gli avrebbe mai negato di starsene così dopo aver fatto l'amore con lui, che era anche l'unico momento in cui lui si lasciava abbracciare. 
Lui, sosteneva che non era propriamente approfittarsi, e per quieto vivere, Crowley fingeva di credere alla sua rettitudine morale, divertito dalla sua affermazione.
Erano così da un po'.
L'uno stava assorbendo e concretizzando una minima sembianza dell'altro. Era diventato inutile, da quando si erano scambiati per la seconda volta, negare che ci fosse in entrambi un po' della natura opposta. 
Si limitavano quindi semplicemente a non farsi presente a vicenda quella piccola chiosa, ma loro malgrado, amavano punzecchiarsi quando assumevano un atteggiamento diverso da quello che era sempre stato il loro modo di essere.

Fu grato di essere venuto a capo del suo tormento. 
Stavano insieme, erano una coppia fissa. 
Si trattenne dal desiderio di piangere che gli scoppiò nel petto, solo perché non aveva voglia di suscitare nel suo demone nessun tipo di inutile preoccupazione. Aspettò che si addormentasse beandosi delle sue carezze nei capelli, a testa bassa, per asciugarsi gli occhi che aveva lasciato andare prima di assopirsi accanto a lui.
Lo amava, e tanto, ma non riusciva a dirglielo, e si odiava per questo. 

                                                                                                      ° ° ° ° ° ° ° ° ° 

Piovve quella notte.  
Aziraphale cadde in un profondo sonno senza sogni. Era completamente immobile, e respirava in modo strano perfino per uno che abita un corpo normale da seimila anni, e di respirare non avrebbe neanche bisogno in realtà. Tutti elementi che turbarono Crowley, sveglio e completamente cosciente. 
Non ebbe però lo stomaco di scuoterlo solo per accertarsi che stesse bene, sembrava così tranquillo che sarebbe stato un peccato destarlo dal sonno.
Di solito i fulmini e i boati dei tuoni lo rilassavano a morte, invece quella sera era tutto abbastanza inquietante, perfino l'appartamento così singolare che tanto amava, e aveva scelto proprio per l'invitante oscurità. Aleggiava un'atmosfera troppo cupa, e sembrava essere in balia non di un brutto presentimento, ma di quello che gli umani chiamavano sesto senso. Non quello del film del 1999 che gli era piaciuto tanto. 
Era un senso di allarme, di apprensione.

                               ° ° ° ° ° ° ° ° ° 

'Tutto bene, caro? Mi sono svegliato e tu non c'eri.' 
'Già, ero a.. bere. Torna a dormire, angelo.' 


L'incontro con Gabriele lo aveva stordito.
Doveva aspettarselo prima o poi, erano pur sempre dieci interi mesi che non avevano contatti con nessuna delle sedi, se non per ordinarie commissioni, e nessuno dei delegati dei due Poli si era fatto vivo.
Li stavano lasciando in pace, come promesso.
O almeno lo avevano fatto fino a quel momento.

Se avesse avuto delle fiamme infernali con sé gliele avrebbe sicuramente gettate contro, e da molto tempo. 
Aveva sempre odiato il modo spocchioso in cui quell'essere parlava agli altri, di come parlava a lui, prima e dopo la caduta.
Aziraphale non lo aveva mai conosciuto prima di quel singolare incontro sulla muraglia intorno all'Eden, ma Gabriele sì. Se lo ricordava bene, com'era avere a che fare con lui anche in Paradiso, quando era un'anima buona e priva di sentimenti grigi, ma l'intolleranza era sempre stata una parte di lui, e quell'Arcangelo la faceva emergere come acqua fresca da una fontana. 
Troppo supponente, anche per uno che adorava a dir poco essere al centro dell'attenzione. 

Nella quiete del suo letto, stretto tra le braccia di Aziraphale avrebbe solo dovuto chiudere le palpebre e abbandonarsi, strafottendosene come al solito, di quel che gli venisse detto da un angelo diverso dal suo.
Ed invece continuava a rimuginare principalmente nell'intento di scoprire per quale assurdo motivo fosse rimasto zitto, mentre un perfetto idiota con manie di protagonismo, ma così abbastanza bravo nel nasconderle sotto un sorriso tirato e un vestito elegante, gli diceva di dover rinunciare al proprio fidanzato. Accusandolo addirittura di sporcare la sua fedina, penalizzare il suo ruolo nel disegno divino, rischiare di farlo escludere o bandire dal suo luogo d'origine.
Una cosa però era vera.
Prima o poi, l'angelo sarebbe dovuto tornare in Paradiso, per una qualsiasi motivazione. Per essere assegnato come Custode di qualcuno, per esempio tra i tanti doveri di quelle creature, e la sua persona sarebbe stata vista sotto un'altra luce se etichettato come l'angelo che se la intendeva di proposito con uno dell'opposizione. 
Stare insieme a un demone, non era sotto un certo aspetto, come appoggiare, come amare il male, e andare contro tutti i principi del Creatore e le responsabilità che gli erano state affidate e che lui aveva preso, ovvero, combatterlo?

Non era qualcosa che si vedeva tutti i giorni, un demone che rifletteva sul beneficio del dubbio, e si concedeva di chiedersi se fosse davvero il caso di fare un passo indietro per il bene del prossimo.
Quello era l'esatto contrario dell'atteggiamento che avrebbe dovuto esercitare un malvagio come lui. 
Non che gli fosse mai piaciuto essere stato sbattuto all'Inferno. Ma la sua natura era quella, l'aveva sempre appoggiata, l'aveva sempre accolta, volta a suo vantaggio, usata.
Per causare il male, per combinare guai. 
Di fatto, era sempre stato solo l'Armageddon la sua unica riluttanza.
Se avesse avuto una qualsiasi possibilità di tornare nei cieli, lo avrebbe fatto. 
E sicuramente, non avrebbe mai voluto che un angelo, nemmeno un odioso bastardo come Gabriele, potesse perdere il proprio posto e finire come lui, specie se quell'angelo teneva particolarmente ad essere chi era.
Figurarsi quello che aveva accanto a sé.
Dovette ammettere per un attimo però, che Gabriele all'Inferno avrebbe fatto concorrenza a Belzebù. 
Indemoniato, avrebbe fatto la sua figura.
E lo poteva affermare dal fatto che avendolo conosciuto anche ai piani alti, sapeva che lui riteneva i richiami solo una perdita di tempo, e l'unico modus operandi dell'inferno che approvava, erano le punizioni immediate da parte di chi deviava gli ordini.
Gabriele odiava i demoni, talmente tanto che avrebbe fatto di tutto perché nessun altro collega si ritrovasse con quelle bestie nere, anche andare a parlare direttamente con uno di loro per avvertirlo che faceva sul serio.

Era venuto in casa sua senza chiedere neanche il permesso di accomodarsi, a minacciarlo nel vero senso della parola di scegliere al posto di Dio quale fosse la fine meno dolorosa per Aziraphale.
Se la loro relazione o la sua natura angelica.

Gabriele lo aveva sbattuto nelle fiamme eterne credendolo Aziraphale, e se c'era qualcosa di peggio dell'estinzione, quella era la Caduta.
Si figurò per un attimo dinanzi ai suoi occhi come uno dei lampi che incombevano all'esterno, l'immagine del suo amato incorniciato da enormi, tenebrose, oscure ali nere come la pece.

Non trattenne l'impulso di allontanarsi da lì.
Non reggeva quei pensieri, non riusciva a restare lucido, non riusciva neanche a respirare.
Non si prese nemmeno la briga di scegliere un calice in cui versarsi il Sangue di Giuda, bevendone direttamente dalla bottiglia, e staccandosi dall'estremità del collo di essa solo dopo averne ingerito metà del contenuto. 
Certo, lui era perfettamente al corrente di quanto inusuale e sbagliata, da qualunque punto di vista la si guardasse fosse la loro relazione clandestina. Ma il suo benedetto Dio era la definizione vivente di amore, che male poteva esserci nell'essere innamorati tra loro, se invece di farsi guerra, facevano l'amore.
Sempre che lo fossero davvero.
Innamorati. 

Lui lo era di sicuro, lo sentiva, perché era l'unico sentimento che lo faceva stare bene e non lo aveva mai provato per nessun'altra persona. 
Anche se non glielo aveva mai detto, di amarlo.
Non ancora, non ci era riuscito.
E neanche se l'era sentito dire, ancora.
 
Nessuno dei due aveva smesso di operare per conto del loro impiego. Crowley non aveva mai fatto volare un uccellino dalle ali spezzate come Aziraphale non aveva mai fatto appassire un fiore, la loro relazione non poteva essere tanto tossica, se non dava riscontri negativi ai loro Signori, e alla loro influenza sugli umani.
Ad interrompere il flusso di quel maledetto filo logico dei suoi pensieri era stato il biondo, ignaro che l'Arcangelo Gabriele fosse stato in quella stessa casa solo un'ora prima, che lo avesse miracolato affinché non si svegliasse per poter parlare a quattr'occhi con il demone, e intimargli di lasciarlo prima che potesse andare incontro a orribili conseguenze.
Erano stati scoperti, e quel piccolo segreto sarebbe rimasto soltanto tra loro tre, se la falla del piano divino, come aveva definito la loro relazione sentimentale, fosse stata chiusa di spontanea volontà.

-'Crowley, mio caro, adesso bevi anche di notte?'-
-'Come se non lo avessi mai fatto..'-
 
Il biondo si avvicinò al suo amante, recuperando quel recipiente di vetro dalle sue mani molto dolcemente. Allungò una mano verso il suo viso, ma quello si ritrasse mettendosi a sedere, a mani giunte sotto il mento, con i gomiti sulle ginocchia.
-'Perfino per essere te ti stai comportando in modo strano. Davvero, mi stai preoccupando.'-
-'Ti preoccupi troppo in fretta.'-
-'C'è qualcosa che ti tiene sveglio?'- 

Annuì quasi impercettibilmente.
Le pupille allungate rivolte verso il pavimento. 
'Vorrei tanto dirtelo, angioletto mio, ma complicherei tutto.' Fu il suo pensiero, quando Aziraphale s'inginocchiò dinanzi a lui. 
Quanto avrebbe voluto dirglielo.
Gli balenò la malsana idea di sfogliare ogni suo volume, in cielo e in terra, che potesse dargli una minima possibilità di parlare con Dio, senza dover spiegare niente al suo amato. 
Se Aziraphale avesse saputo, avrebbe potuto compiere qualcosa di cui poi si sarebbe pentito, invece che separarsi da lui. Dopotutto un'esistenza di Luce, eterna, santa, sarebbe stata ugualmente vuota senza Crowley. 
E questo, il demone non lo avrebbe permesso.
Non avrebbe nemmeno potuto chiedergli di metterlo in contatto con il Creatore, senza dirgli il perché.
Sarebbe stato un po' come chiedergli nuovamente dell'Acqua Santa, e il Dio in questione solo sapeva come si era sentito guardando la sua faccia nel leggere quelle due parole. Era letteralmente in trappola. 
Doveva solo pensare, lucidamente, da solo.
Da solo era qualcosa che Aziraphale non aveva esattamente in mente, e anziché sollevargli un po' il morale, la sua insistenza ed incapacità a lasciargli tempo e spazio quando aveva bisogno di stare in pace senza sentire neanche il rumore del vento, gli diede sui nervi già abbastanza esposti.
-'Ti posso rendere un po' più piacevole, e meno stressante la veglia?'- 
-'Sì, vorrei che te ne tornassi a dormire.'-

Aziraphale sgranò leggermente gli occhi senza neanche controllare gli impulsi. Era per certo il fatto che Crowley avesse colto il tono lascivo che non sarebbe dovuto appartenere a un angelo, e di sicuro, non si aspettava una reazione simile.
-'Se avessi voluto dormire da solo, me ne sarei stato a casa mia.'-
-'E allora vattene, perché non ho intenzione di dormire.'-
-'Bene, resto sveglio con te.'-
-'Ma io non voglio che resti con me. Ho bisogno di stare  solo, Aziraphale.'-
-'La mia compagnia è talmente soffocante, che hai bisogno di ubriacarti per sopportarmi?!'-

Crowley si alzò dalla sedia, e così fece anche l'angelo. Fronteggiarsi era un parolone, siccome dato che il demone superava la sua controparte di almeno quindici centimetri in altezza, ma non per questo la sua presenza era meno imponente.
-'Perché sei stato d'accordo al patto di comprendere e non discutere bisogni e necessità dell'altro, se quando ti chiedo di lasciarmi solo ti appiccichi di più, e ti arrabbi anche se ti esprimo una volontà mia?'-

Erano una coppia fissa.
Come tutte le coppie fisse, litigavano.

-'Beh non pensavo fosse sottinteso nel patto il cacciarmi di casa dopo avermici portato apposta per quello, e pensavo di essere più utile per te di una bottiglia di alcol per alleviare le tue pene.. ma tu non ci parli con me delle cose che ti fanno male!'- 
-'Forse ci sssono pene per me troppo grandi perché tu possssa alleviarle, e poi non ti ho cacciato!'-
-'Mi hai detto prima di tornarmene a dormire e poi di andarmene a casa! Ti stai comportando come..'-
-'Come un demone?! Come quello che sono, come una persona orribile.'-
-'Io non ho detto questo!'-

-'No, certo, però hai detto praticamente che mi ssservi, per non dire che ti uso per sesssso, che tengo di più al vino che a te, e che..-'-
Aziraphale annaspò. Non aveva mai scorto quella luce negli occhi che tanto amava.
Non comprendeva, non concepiva la ragione di quella sfuriata nei suoi confronti, né perché Crowley affermasse convinto che non poteva far niente per aiutarlo a sopperire i suoi mali.

-'Lascia perdere, dimentica quello che ho detto, è evidente che niente è come dovrebbe essere, e qualsiasi cosa dirò la userai contro di me.'-
Crowley respirò a fondo, annuendo risoluto. 
-'Anche io credo che la cosa ci sia sfuggita di mano. Come sssempre d'altronde, quando ci frequentiamo troppo a lungo nello stesso periodo. Forse qualche altro decennio senza vederci schiarirà le idee, dopotutto hai tutta l'eternità per insssultarmi ancora un po'.'-

Fu questione di cinque minuti.
Cinque minuti in cui il tempo si fermò, e Aziraphale sperimentò la condizione psichica umana di depersonalizzazione. 
Non distinse la sua posizione rispetto alla stanza, i passi di Crowley, il fatto che aveva aperto la porta d'entrata, ed era andato via sulla sua Bentley. Non distinse il rumore del motore, non distinse il silenzio, la solitudine. 
-'Io.. intendevo dire che niente è come dovrebbe essere in questa conversazione..'-
Mormorò afflitto, tra le lacrime copiose.
Ma solo quando Crowley aveva già svoltato il vicolo.

------------
*Il Sangue di Giuda è un vino rosso, e tra l'altro è il preferito in assoluto della sottoscritta.
Non mi date una bottiglia di Sangue di Giuda perché sarei capace di berla tutta da sola.
Ne esiste anche uno che si chiama Lacryma Christi, ovvero Lacrime di Cristo, non mi pagano per dirlo ma non trovo vini più azzeccati da far bere a questi due xD

EHM-- giuro che mi hanno suggerito loro di farli litigare. Un po' di sano Angst, ah, che bellezza. Oddio non è vero, ma ogni tanto mi ci vuole.
Mi perdonerete, ma è un dato di fatto che ognuno di noi ci mette del proprio in ogni personaggio, e il mio Aziraphale è estremamente emotivo! Secondo me è una caratteristica molto angelica che hanno anche gli esseri umani, piangere o sentire il nodo in gola anche se due bambini si tengono la mano o si danno un bacino, credo che la sensibilità sia la condizione più pura che abbiamo in affinità con Dio, si può fingere l'amore, ma non la commozione, se ti viene da piangere i segnali si notano xD 
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Omnia vincit amor. ***


Basta cose zuccherose, è il momento di mettere in tavola un po' di caffè amaro xD

--------


Furono i dieci giorni più brutti della sua esistenza.

Quale persona al mondo non si era mai ritrovata a trascorrere dieci giorni di fila in vita sua, in quell'orrendo oblio che era il vuoto interiore. Con la costante sensazione che il corpo abitato fosse un involucro vuoto, privo di cervella e terminazioni annesse in grado di far provare al cuore anche un solo sentimento.
Uno qualsiasi.

Non un angelo. 

Non prima di allora, non prima del momento in cui Aziraphale aveva aperto gli occhi il mattino dopo quell'alterco, e la realtà gli era piombata addosso nella solitudine di quella stanza.
Aveva avvertito per i primi tre secondi della fase rem, una magnifica sensazione di quieta incoscienza che gli donava il risveglio, nel quale si era crogiolato amorevolmente, per il tempo che gli era stato concesso.
Le immagini dell'incubo che aveva disturbato il suo sonno per l'intera notte erano state cancellate in quei dolci millisecondi. 
La consapevolezza che l'amore della sua vita lo aveva lasciato davvero non aveva ancora fatto presa al suo animo tormentato. 
Poi, la beata ignoranza lo aveva abbandonato, e fu lui stesso a crollare nella realtà, nello stesso modo in cui parte di uno scoglio che sovrasta l'infinita distesa del mare, si staccava dalla roccia portante e si schiantava nello specchio d'acqua, infrangendone la superficie perfettamente piatta e affondando lentamente fino a toccare il fondale. 
Così si sentiva Aziraphale.
Mai un dispiacere gli aveva arrecato tanto male.

Un sassolino, piccolo ma estremamente pesante, solo in mezzo a un banco di sabbia in fondo al suo cuore, seppellito nell'acqua che aveva versato dalle magnifiche pozze azzurre delle sue iridi prima di addormentarsi, e durante la notte.

L'appartamento di Crowley era molto ampio, con molte stanze, decorazioni, il suo personale angolo di verde.
Non lo lasciava mai avvicinare a quei vegetali. Doveva limitarsi a stare sullo stipite della porta, e non oltrepassare quell'area.
Non che lo facesse, a lui piaceva restare sul divano del salotto, ad osservarlo litigare con le piante. A ridere di sottecchi di quelle sue smanie iraconde completamente ridicole ed immotivate, infondendo al massimo un po' di calore a quegli esseri viventi senz'anima, almeno come scienza raccontava, quando lui era distratto.
L'unico luogo a lui inaccessibile era ora scoperto. L'unico luogo in cui non si era trovato insieme a Crowey.
Provò molte volte a rifugiarsi in quella stanza, sperando che l'assenza del demone smettesse di seguirlo, ma fu un infelice tentativo.
Le piante erano lucide, colorate, fresche.

Eppure sembrava ugualmente un ambiente unico, torvo, soffocante. Troppo nero e triste per infondergli almeno un minimo di buonumore, una piccola parte di qualcosa in grado di sollevarlo, alleviare lo sconforto.
Quelle mura non erano certo così quando Crowley era presente. Era come se il rosso dei suoi capelli, l'amamelide delle sue iridi, rimbalzassero sulle pareti oscure e creassero un incantevole gioco di fulgore più acceso del sole. 
Come se quei colori, che non erano altro che le tonalità dell'inferno, in sua compagnia fossero esotiche.
lo aveva notato in quei dieci giorni in cui si era sentito un'anima in pena vagante. Un avvilito abitante del purgatorio grigio.
No, non aveva sentito niente. 
E quelle pareti buie, facevano esattamente al caso suo. Dovunque guardasse, si sentiva riflesso attorno a sé.
L'unica cosa che faceva da contrasto a quel connubio perfetto tra l'ombra della casa in cui si era rinchiuso e il suo spirito, era il chiarore che lui stesso emanava. 
Quando posava le mani sul tavolo in mogano, o sulle lenzuola di quel letto duro, poteva vedere il suo bagliore eburneo, che gli ricordava che era lì, che era sveglio.
Solo.
Il fastidioso difetto candido in mezzo a tutta quella pacifica oscurità. Lo stesso che aveva spinto Crowley ad andarsene, intimandogli di riflettere.
Ma per quanto tentasse, non era riuscito a comprendere qual era stata la causa del suo rifiuto verso di lui.
Certo, non avrebbe potuto e non si sarebbe dovuto aspettare che una creatura martoriata dentro e fuori dalle fiamme eterne, fosse capace di accettare un sentimento tanto a lungo rinnegato come l'amore.

Dopotutto, era stato quasi sempre Aziraphale stesso, a tenersi ad una certa distanza emotiva da lui.
Aveva sempre creduto che una vicinanza ambigua con il demone potesse scatenargli troppa antimonia interiore, ma nel corso del tempo, fermatosi a dichiarargli faccia a faccia che per lui fosse un essere che correva troppo, dovette ammettere a se stesso che rifiutandolo stava cercando di proteggersi. A lungo andare, aveva dovuto riconoscere i propri sentimenti.
Stava agendo egoisticamente, allora.
Era un ragionamento illogico e complicato, quello architettato dalla sua mente fin troppo pura, timorosa.
Aveva alla fine ceduto all'amore, quello vero, caduto in un cuore inadatto a mantenerlo. 
Volette credere e convincersi di essere ricambiato, trovandosi invece a fare un passo indietro e richiudere la porta dal quale aveva fatto uscire uno spiraglio di speranza, nel quale Crowley si era infilato per metà.
E aveva serrato l'entrata.
Aveva avuto paura, dell'ignoto in cui si stava spingendo.
Non dei suoi superiori. Non del suo Creatore, non dell'inferno stesso. Non del suo amato.
Aveva avuto timore dei suoi stessi sentimenti, della possibilità che sarebbe potuto sconfinare in un bene tanto grande e ingestibile da farsi sopraffare al punto da impazzire, di non essere all'altezza di una creatura tanto complicata, di fargli più male che bene, di farsi male da solo. Aveva avuto paura, che fosse stato lui a stancarsi della sua bontà, della sua dolcezza. Aveva avuto paura di non riuscire più a riemergere da un rifiuto.
Di morire dentro non più corrisposto. 
Di finire esattamente come era finito. Inconsolabile.
Non era e non era mai stato pronto ad affrontare una situazione di quel genere. Ecco perché aveva deciso, in oltre seimila anni, di non condividere il suo amore verso il prossimo in una sola direzione, di non affezionarsi a nessuno più degli altri.
Di non innamorarsi.

Non aveva mai compreso che in realtà, Crowley avesse bisogno quanto lui della sua presenza morale, ma per risanare gli squarci dell'anima perseguitata dall'orrore di essere una creatura maligna. Dal miliardo e più peccati commessi. Per sentirsi ancora vero, ancora un angelo. 
Per una piccola, minima parte, sentirsi amato.
Avere qualcuno da poter irradiare con quel sentimento nero, da parte sua, indegno di un essere tanto perfetto.

Quando finalmente, dopo tanto tempo e tante vicende avevano compreso innegabilmente di appartenersi come corpi e anime, avevano varcato insieme quella nuova prospettiva di vita, e da un po' la stavano sperimentando senza freni. E stavano divinamente e dannatamente bene, stavano benissimo.
Si chiedeva sì, notte e giorno, perché Crowley se ne fosse andato. Come gli era stato chiesto di fare.
Stava riflettendo, ma non riusciva a capire.
Non concepiva per quale ragione fosse stato lasciato di punto in bianco dopo che per settimane idilliache erano stati una coppia felice. Giorni trascorsi forse più velocemente del solito per due che avevano visto i secoli dei secoli, resi ancor più belli dagli screzi in cui incombevano quando erano in contrasto coscienzioso e mentale, e dal modo in cui rimettevano a posto i pezzi.
Settimane in cui aveva avuto modo di conoscere un Crowley senza restrizioni, libero a modo suo, di esternargli quello che Aziraphale significasse per lui.
Si era sentito talmente bene, da avere la sensazione di galleggiare in una piscina di acqua benedetta praticamente ogni minuto della giornata. 
Si era beato così tanto delle sue attenzioni, della sua prospettiva di vita insieme, da sentirsi letteralmente lacerato a metà, straziato dal dolore ora che tutto quello che avevano condiviso era sparito con lui.
Non riusciva a evitare di piangere sino a singhiozzare, e sentirsi soffocato dai suoi stessi vagiti dilanianti.
Piangeva come Dio pianse quando aveva perduto le sue care e dilette creature.
Il suono di un angelo che piangeva, era la più acuta fonte di martirio per l'anima di chiunque ascoltasse.
Anche le piante di Crowley, parvero perdere vigore, quando la voce rotta di Aziraphale attraversava le pareti.
E riaddormentarsi e risvegliarsi in quel letto vuoto, era un'oppressione insopportabile. Non aveva mai neanche cambiato le lenzuola per estinguere il suo profumo e smettere di farsi cullare da esso, come se poggiare il volto sul suo cuscino fosse come stargli sul petto, in una sorta di masochismo volontario.

Nella lotta contro l'opposizione, il concetto era sempre stato chiaro e semplice per entrambe le fazioni, specie per la propria. Bisognava essere forti, e coraggiosi per vincere un demone. E la loro supremazia in quel caso era indiscussa. Non sarebbe stato di certo lui, il primo angelo a farsi sopraffare da un opposto in una qualunque circostanza, in guerra come in pace.
La luce vinceva le tenebre in campo di battaglia, la luce intrisa di bontà, di amore.
Ma in un frangente come quello in cui era l'amore stesso a creare sofferenza, non sarebbe stata certo la luce l'arma vincente del duello. Urgeva qualcosa di altrettanto potente, di uguale e contrario.
Crowley era un essere malvagio. E per lui, per causa o per merito, aveva sperimentato la debolezza di amare.
Adesso, toccava a se stesso imparare a muovere la forza di combattere solo per amor proprio. Piangersi ancora addosso era impensabile.
L'angelo non aveva fatto niente per meritarsi la sua ira.
Gli aveva solo dato quello che in quel tempo insieme il demone chiedeva, che voleva. Che aveva voluto anch'egli alla fine. 
Assecondato tutti i suoi capricci e la sua sete. Prediletto oltre ogni convenzione e logica. Sanato le sue ferite, inglobato ed estinto il suo odio, preso il male su di sé, spartito la sua essenza. Reso parte del proprio mondo, ed entrato nel suo. Tutto solo per i sentimenti che erano accresciuti in lui. 
Lo aveva chiamato amore.
E adesso che se lo era preso per mesi interi, non sarebbe andato via a gettarlo al vento o a spargerlo in giro senza rendergli giustizia.
Era suo e se proprio doveva finire, allora lo rivoleva indietro. Fino all'ultima goccia di tutto l'amore che gli aveva dato. 

Lo aveva cercato il decimo giorno, quasi al tramonto di esso. Aveva intenzione di disseppellire le montagne, affrontare insidi tortuosi, girare il mondo in lungo e largo fino a che le ali non gli si sarebbero consumate, finché non avessero preso fuoco dal loro incessante sfregamento con l'aria.
Era determinato a cantarne di tutti i versi del Paradiso quando lo avrebbe incontrato, ci avesse messo quei decenni da lui prospettati prima del loro prossimo incontro, ma gliele avrebbe cantate per bene.
Per la prima volta dopo dieci giorni riaprì la propria libreria, in cerca di qualche testo che potesse accompagnarlo durante il cammino, dargli un'indicazione dal quale cominciare come se gli fosse potuta piovere dal cielo, visto che nella sua mente, non lo avrebbe di certo trovato a Londra.
Era logico, matematico.
Se qualcuno non voleva essere trovato, andava via molto lontano da dove aveva lasciato l'altro.

Aveva intenzione di scovare quanto vasto e difficoltoso fosse quel suo via, e avrebbe iniziato dall'Europa, perché lì si trovavano i vini migliori.
Ripeteva mentalmente i titoli dei manoscritti che avrebbe arraffato prima di mettersi in viaggio, mente apriva le porte della struttura. 
Quel luogo era esattamente come lo aveva lasciato l'ultima volta. I libri intonsi, l'odore di pagine e pergamene antiche che per lui era ritrovo di spiritualità.
Si sentì vivo e arso di sentimenti, e si avviò agli scaffali riempiendo un borsone di grossi mattoni pieni di pagine ingiallite dal tempo, presi un po' dappertutto.
L'ultima parte, in cui vi erano quelli per lui più importanti era il suo studio sul retro, che percorse a grandi falcate. 
Pile di libri tra le mani in cerca del testo giusto, caddero rovinosamente in terra, quando varcato lo stipite della porta, vi trovò Crowley, intento a giocare a jenga con una buona parte dei suoi testi. 
Non seppe come comportarsi.
Era talmente provato dal suo sentimento e dalla sua ragione, da non avere la minima idea di che reazione avere. Se avesse ascoltato la propria mente, sarebbe apparso come una pecorella nel tentativo di sbranare un orso, e l'ultima cosa che voleva era sentirsi umiliato dalle sue risate, dinanzi a una reazione irruenta e adirata. Se avesse ascoltato la voce del cuore, sarebbe risultata la vittima da mangiare come un dolce prelibato gustando ogni boccone, e lo avrebbe autorizzato sempre e comunque a fargli qualunque cosa, dandogli la certezza di essere sempre perdonato, incondizionatamente. 
Volle dar capitolo alla razionalità.
Seppe solo che non ricordava di averlo mai visto tanto bello in vita sua, e lo aveva visto in ogni salsa.
Si fece coraggio.

-'Che cosa diavolo stai facendo?'-
-'Sto aspettando.'-
-'Di distruggere quei poveri libri come il tempo e le circostanze non hanno mai fatto in secoli e secoli dalla loro pubblicazione?'-
-'No. Te. Mi chiedevo da un paio di giorni se ti fossi dimenticato dove abitavi.'-
-'Perché aspettavi me?'- 

-'Credevo fosse scontato che sarei venuto qui, visto che quando abbiamo litigato tu eri a casa mia, e me ne sono andato io.'-
Crowley si alzò dalla seggiola sul quale era appoggiato, con un tallone posto sulla scrivania del biondo. Si avvicinò a lui distanziandolo alla fine solo di un metro al massimo, ed inarcò un sopracciglio dinanzi la sua espressione vacua e incredula. Gli occhi erano visibili senza le lenti scure a fargli da barriera, ed ora erano fisse su di lui, sbalordite, confuse.
-'Aspetta un po'. Tu non sei venuto qui per me?'-
-'No. Cioè, sì, ma non in quel senso.'-
-'E allora perché sei qui?'-
-'Punto primo, perché questa è casa mia, che ci fai tu qui! Tu sei stato qui per tutto questo tempo e non sei mai tornato indietro? Non un cenno di vita, non di pentimento, niente di niente! Hai.. hai una minima idea di come sono stato, Crowley?!'-


Crowley in realtà, si era già pentito molto, esattamente come l'ultima volta che aveva fatto un gran torto a un'essenza celeste di cui gli importasse.
Come sempre quando sbagliava con una creatura divina molto più forte di lui, malgrado nella coppia di eterni rivali, poi di amici ed infine di compagni su cui il rapporto era rimbalzato di volta in volta nel corso del tempo, la sua figura sembrava sovrastare e ombreggiare quella dell'angelo. 
Quanto avevano torto, quelli che credevano che lui fosse una specie di dominatore. 
Il suo spirito non era debole, sottomesso. Aziraphale era la persona più forte che avesse mai conosciuto.
L'unica in grado di accettare di stargli così vicino, di mettere in gioco la sua forma apparentemente a rischio di andare in rovina accanto a lui, l'unico come lui in grado di fregarsene altamente delle rigide disapprovazioni della sua fazione, e rischiare una pena enorme e devastante per quell'insubordinazione. 

Ed era per quella pena, che Crowley se n'era andato.
Gabriele era stato fin troppo chiaro, nel suo silenzio. 
'Non so come abbiate fatto a sopravvivere alla vostra condanna, ma se sei così convinto di poter tentare la natura di un angelo, allora l'unico modo per averlo con te in questo modo sarà tra le fiamme dell'Inferno'.
Questo aveva letto nelle ametiste dei suoi occhi. Non lo aveva lasciato solo perché la sua presenza lo soffocasse. Lui al contrario era il suo respiro.
Non se ne era andato perché era stanco di lui.
Aziraphale era l'unica cosa sensata per cui valesse la pena passare l'eternità col desiderio di vedere i secoli prossimi. Non gli aveva detto di trascorrere qualche anno in solitudine senza vedersi né sentirsi perché lo volesse, ma perché gli era stato imposto.
Dalla sua coscienza, non da Gabriele.
Lui era stato messo dinanzi una decisione.
Aveva potuto scegliere. 
E aveva scelto di preservare quell'essere meraviglioso, e lasciare che non fosse penalizzato a causa sua, sperando che standogli lontano, il sentimento nei suoi confronti presto o tardi sarebbe cessato.
Ma era andato via in un orribile modo, vomitandogli addosso tutto il disappunto che l'impossibilità di stare insieme gli creava, e aveva scaricato addosso a lui tutte le colpe, facendolo sentire male. 
Ma non era colpa sua, e prima di dargli l'addio che meritava la sua salvezza, voleva che sapesse che in lui non c'era niente di sbagliato. 
Si era preparato per dieci giorni a quel discorso, ma ora che Aziraphale era dinanzi a lui, non trovava le parole per confessargli che tutto ciò per cui avevano lottato era destinato a morire. 
Non prima di avergli mai confessato che lo amasse.
-'Ma, dico, è così che si fa ora? Me ne vado, ci sentiamo in tempi migliori quando la rabbia è sfumata? Tanto per un essere immortale come me una settimana o un secolo sono la stessa cosa! E tu te ne stai qui, aspettando che io venga a braccia aperte e ti perdoni tutto come ho sempre fatto?'-
-'Ma tu sei qui adesso.'-
-'Sì ma non è certo per saltarti addosso!'-

Crowley annuì, posando le mani sui fianchi, le dita nei passanti della cintura. Schioccò la lingua sotto il palato per qualche istante, cercando di non sentirsi provato dallo sguardo arido e allo stesso tempo supplichevole dell'angelo.
-'Credevo che ti servisse del tempo, e che saresti venuto a cercarmi solo quando fossi stato pronto, come me.'- 
-'Del tempo per cosa?'-
-'Per metabolizzare prima di affrontarlo a mente fredda. Ti amo, Aziraphale, ma dobbiamo stare ognuno per conto proprio. Se c'era qualcosa, adesso è finita.'-

La stanza sembrò vorticare rovinosamente, lottare contro la fisica per crollargli addosso.
Tremò da capo a piedi, completamente smarrito.
La sua bocca si aprì e si chiuse più volte, senza emettere alcun suono. Non riusciva a pensare, quasi neanche riusciva a reggersi in piedi.
-'E la prima volta che scegli per dirmi che mi ami, è anche quella in cui mi dici che non vuoi più stare insieme a me? Si può essere.. più cattivi di così?'-
Dovette fare appello a tutte le astratte entità esterne fonti di forza, da poter sostituire a quella che interiormente non aveva per non piangere. 
E Crowley ne fu grato, perché non era sicuro di potersi trattenere di rimando, se lo avesse visto struggersi ancora per causa sua e dello stesso amore che provava e che rendeva loro impossibile la vita insieme.
Quell'insinuazione, quell'accusa, se la meritava tutta.
Non lo aveva mai guardato in quel modo osceno.
Cercò di avvicinarsi a lui, per stringerlo, per addolcire una pillola che sapeva di fiele. Aziraphale si ritrasse indignato indietreggiando, e lo sguardo del demone non fece che indurirsi ulteriormente, come il suo tono.
-'Stare insieme è sssbagliato. Lo sai. Abbiamo sbagliato tutto. Finché non ci influenzavamo a vicenda era un conto, ma cosssì è troppo. Accettalo, non complicare le cose, non è il caso.'-
-'Ascolta, io lo so che non ci sai fare con queste cose, ma così è davvero troppo. Perché me lo hai detto, ti costava a questo punto tenerlo per te? Con quale criterio io dovrei accettare tutto ciò?'-
-'Scegline uno a caso.'-
-'Non posso.'-
-'Fallo per te.'-

Aziraphale passò esausto una mano sul volto, massaggiandosi le palpebre chiuse. 
Sapeva che il demone avesse tutte le ragioni del mondo, ma ancora non era in grado di entrare nell'ottica di quella decisione improvvisa.
-'Perché? Solo questo. Sulla base di cosa, oltre all'ovvio, intendo, è chiaro.'-
Sentì che glielo doveva. Una spiegazione. La verità.
Solo così avrebbe tolto ogni dubbio del suo amato, e avrebbe evitato che in futuro compisse la follia di tornare sui suoi passi.
Anche se il sapore della lontananza da lui era acre, era sopratutto necessario.
Sospirò pesantemente, prima di trovare le parole adatte a raccontargli tutto. La visita di Gabriele, il suo discorso, la loro discussione a riguardo.
Il suo punto di vista. La sua decisione.
Non seppe chi esattamente gli diede la fermezza di incontrare i suoi occhi, ma quando li trovò, erano spenti e disorientati. 
-'Non può essere davvero arrivato a tanto.'-
-'E invece si, e adesso basta.'-

-'E non vedo come tu abbia fatto a farti soggiogare in questo modo da lui. Lo hai lasciato giocare così facilmente con i tuoi scrupoli di coscienza!'-
-'Soggiogare? E' della tua esistenza che stiamo parlando! Sto cercando di proteggerti! Ringrazia il tuo Dio che ancora ce l'ho una coscienza.'-
-'Sarebbe il caso che iniziassi ad accettare che non sei tu a scegliere per me, e che so badare a me stesso. Io voglio stare con te, lo capisci o no che non è più solo il Paradiso a rendermi felice? Crowley!'-

-'Non mettermi in condizione di dover usare la forza. Io se fossi in te me ne starei lì, io avrei sempre voluto restare lì, e non mi giocherei l'anima per un demone.'-
-'Quindi se tu fossi al posto mio un angelo, e io un demone, non verresti all'inferno per me?'-

Crowley tacque. 
Le odiose domande retoriche lo avevano sempre innervosito. Non si era preparato a quella domanda, perché per lui era impensabile anche solo immaginare Aziraphale in veste diversa da quella che era.
Non ricordava di essersi mai odiato tanto, come nel momento in cui si morse a sangue la lingua e mimò una negazione col capo, per non dirgli a voce che lo avrebbe seguito anche nella gola di Satana, se fosse stato l'inverso in quella situazione.
Non ricordava di essere mai stato tanto perfido in vita sua, come nel momento in cui aveva mentito ad Aziraphale. Avrebbe tradito Dio altre mille volte, e lui si reputava l'essere più improbo al mondo per aver fatto quel che aveva fatto, ma lo avrebbe compiuto di nuovo  quel gesto pur di non dover mai tradire il suo amore, come stava facendo in quel momento.
L'angelo scosse la testa, spingendo le labbra all'interno della bocca.
-'Io non ci credo.'-
-'Dovresti farlo, mi conosci, lo sai chi sono.'-
-'Sei un demone bugiardo, e sei anche la mia punizione per non aver accettato il ruolo di Cherubino tanti millenni fa, quando mi è stato proposto.'-

-'Non sto mentendo. Non dobbiamo stare insieme.'-
Gli girava la testa, talmente tanto da avvertire il bisogno di sedersi, ma non avrebbe lasciato cadere quella conversazione ora che tutto era diventato trasparente.
Non era pronto a dirgli addio.

-'Allora fallo, vattene di nuovo, se devi lasciarmi fallo senza farmi morire per dieci, venti, cinquant'anni. Uccidimi e basta, subito. Anzi no, Crowley, tu odiami per la mia incapacità di comprendere quanto sia dura per te, se proprio devi continua ad odiarmi, ma resta lo stesso. Io ho bisogno di te.'-
Le iridi serpentesche di Crowley si velarono di una patina lucida fin troppo bollente per essere sopportata.
Fu Aziraphale questa volta, ad avanzare per cingerlo tra le braccia. E fu talmente grato a Dio per non averlo visto ritrarsi, da sospirare tutta la frustrazione su quel petto che gli era mancato tanto da sentirsi mozzare il fiato, quando inalò quel profumo come il padre eterno comandava che un uomo innamorato dovesse fare.
Crowley dal canto suo, non aveva atteso altro. Ma non era il momento per l'ardore, per la passione. Non che la sua vicinanza non gli scombussolasse le viscere ed il corpo, ma tutto il sangue del suo tempio carnale stava affluendo esattamente dove l'angelo aveva poggiato la testa. Riuscì solo ad affondare il naso in quei riccioli argentei, e chiudere gli occhi.
-'Io non avrei voluto farlo. E non volevo litigare ancora. Ed io mi conosco, anche se non avessi voluto, avrei litigato fino a spennarti le ali dall'esasperazione.'-
-'Tu ci verresti all'inferno per me, non è vero?  Mi hai mentito, Crowley?'-
Se gli avessero chiesto chi dei due fosse quello debole, avrebbe risposto lui, senza ombra di dubbio.
Mai come quella volta in cui aveva mandato all'aria piani, motivazioni, giorni di meditazione a riguardo. Era lì apposta per lasciarlo per sempre, ed invece si ritrovò avvinghiato alle sue labbra, in un contatto che era stato l'angelo a cercare per primo, quella volta.
Tutti quei giorni di martirio erano stati annullati. Aziraphale era di nuovo in pace, tra le braccia del amato, pronto ad affrontare una nuova sfida.
Per la prima volta, era stato lui a tentare un demone.
Quell'abbraccio fu la cosa più vicina alla salvezza che Crowley avesse mai vissuto. Ma non era del tutto in pace. I suoi pensieri ancora lo tormentavano, e difficilmente lo avrebbero abbandonato.
-'Gabriele tornerà. Che cosa gli diremo?'-
-'Che siamo sempre agli ordini dei nostri luoghi di appartenenza, ma che facciamo parte di una fazione solo nostra. E che se provasse a buttarmi giù, lo trascinerò con me.'-
-'Un angelo non dovrebbe parlare così.'-

-'Non dovrebbe nemmeno amare uno come te, ma ormai niente importa. Io sono fiero di essere al servizio del Signore e operare per lui, e non farò mai marcire una radice di un albero, ma non voglio che questo mi impedisca di amarti. Gli diremo così. Tu fidati di me. Perché io non mento mai.'-
Crowley inspirò energicamente con aria truce e colpevole, prendendo il viso dell'angelo tra le mani. 
-'Dimmi come devo fare ad espiare la mia colpa, te ne prego angelo.'-
-'Me lo potresti ripetere, per esempio, e questa volta assicurati che non sembri, né che sia un addio. Me lo devi ripetere sempre, ogni giorno, ogni notte.'-

Il demone annuì devoto, posando un bacio a fior di labbra a quella mistica creatura aurea, con un risentimento che non gli apparteneva affatto.
-'Ti amo.'-
-'Ti amo anch'io. E non ti permettere mai più di andartene, guai a te, sei avvisato.'-

Per la prima volta dopo dieci giorni, entrambi sorrisero.
L'equilibrio era stato ristabilito, ancora e per sempre.

------------------
E questo era il sequel della precedente. Le altre saranno tutte a sé, diverse sia in argomenti che personaggi, ma non potevo farli restare in quel modo un minuto di più.
Spero vi piaccia e sappiate che questo conflitto con Gabriele sarà riportato anche sulla mia long in corso.
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3909431