Confidenze

di girasole1197
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


Maggio 2020

Una volta da qualche parte ho letto che i piccoli momenti che hanno cambiato la tua vita finiscono per sommarsi e stratificarsi fino a formare una massa informe di intensità . Non ho mai trovato parole migliori per definire questa storia e sono certa neanche tu.
Non ti vedo da tre mesi perché siamo bloccati ai poli opposti del globo: io a Los Angeles e tu in Francia , in  un posto con molto più silenzio. Mi mandi messaggi ad orari in cui sai benissimo che non posso leggerli e la maggior parte delle volte li cancelli. La mattina apro la nostra chat e mi rendo conto che hai fatto sopravvivere soltanto un ‘ehi’. L’altra notte ho lasciato la suoneria perché speravo di poterti battere sul tempo e leggere ciò che realmente avevi voglia di dirmi: non mi hai scritto. Indugio sul tasto ‘’chiama’’ ogni giorno alle 15 quando so che anche tu sei sveglio e il fuso orario non ci rema contro. Mi chiudo in uno stanzino dell’ospedale e controllo il telefono, mi sento una ragazzina nel corpo di una trentenne.
Non ti vedo da tre mesi e abbiamo litigato da cinque. L’altro giorno Stella mi ha chiesto che cosa ricorderò di questo periodo assurdo e io le ho saputo solo dire  ‘’la notte’’. Turni di lavoro folli, litri di caffè, il segno dolorante della mascherina sulla faccia e la crema idratante all’aloe vera il cui profumo mi ricorda solo quelle settimane da te in Francia la scorsa estate. La notte fisso il soffitto del mio stanzino in ospedale , perché di tornare a casa non ho quasi mai voglia, e prego che finisca tutto presto, prego per poter riascoltare presto la tua voce , prego perché so che tu non puoi sentire e prego per riuscire a perdonarti. Spengo la sveglia al primo squillo perché so che anche quella notte non siamo stati insieme e che nemmeno quella sarà l’alba del perdono.
Ogni tanto ripenso alla prima volta in cui mi hai visto rullare una sigaretta e sei rimasto a fissarmi per 2 minuti buoni perché eri convinto che non ne  fossi capace. Ti ho detto ‘’non sai niente di me’’ , hai risposto ‘’vorrei che non fosse vero’’. Oggi so che probabilmente sapevi di me molto più di quanto io non abbia mai saputo di te e forse è questo che ha rovinato tutto.
Ti ho promesso che ogni giorno  ti avrei scritto se stessi bene così non salto mai il messaggio delle 19 in cui ti dico che anche quel giorno non ho febbre, che anche quel giorno ho visto gente morire e gente andare via guarita. Mi rispondi solo ‘’ti prego mangia e dormi’’ e so che vale molto più di un messaggio di circostanza.
Hai smetto di firmarti  a fine messaggio da quando hai scoperto che ti controllano gli sms e cambi sim praticamente ogni settimana. Ogni volta che mi arriva un messaggio da un numero sconosciuto spero che sia tu perché ne ricevo mille al giorno da pazienti diversi. Lily mi manda lunghissimi audio da trenta minuti in cui mi racconta delle sue pene d’amore e di quanto sia opprimente avere venti anni in questo momento storico. Li ascolto mentre ceno in mensa così ho una scusa per distrarmi dalla disperazione della terapia intensiva, mi lascio cullare dalla sua voce mentre mi chiedo da quanto non sento la tua.
 A fine messaggio mi dice sempre che le manco e poi aggiunge che non ti dirà niente di questi messaggi e che posso stare tranquilla, le rispondo che mi manca anche lei.
Ieri ho aperto la lettera con dentro l’invito a deporre in tribunale sull’incidente. Abbiamo iniziato a chiamarlo così e non abbiamo mai smesso.
Nella mia mente si susseguono in maniera lucidi pochi brevi momenti: il giorno della mia laurea, quella notte sotto la pioggia battente a Londra, il momento in cui ho capito che papà non ce l’avrebbe fatta, la prima volta che ti ho visto, la prima volta che abbiamo stappato insieme una bottiglia di vino rosso, l’ultima volta che ti ho sentito cantare, quando mi hai chiesto di leggere per te quella poesia di Baudelaire in italiano, il cielo pieno di stelle quella notte in Provenza.
Stavo dando da mangiare al cane quando il postino si è fermato di fronte casa per riempire la cassetta della posta e lì per lì ho solo pensato che fossero le classiche pubblicità, qualche bolletta, il numero della rivista scientifica al quale sono abbonata. Però quando si è allontanato ho irragionevolmente avvertito l’impulso di andare immediatamente  a controllare come presa da una frenesia. Ed eccola lì: la lettera che mi invitava a deporre al tuo processo di gennaio. Non solo me lo aspettavo ma ero stata avvisata dal direttore dell’ospedale circa un mese prima ma avevo ignorato totalmente il pensiero. Ho cacciato questa storia in un angolo della mia mente talmente piccolo da non riuscire più a visualizzarlo.
La mia terapeuta dice che devo imparare a metabolizzare le cose senza cancellarle. Ora solo le tre di notte e tu mi hai appena scritto che il copione per il nuovo film ti fa venire mal di testa.
Come è iniziato tutto? Forse così.

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Capitolo 2
*** II ***


Maggio 2016
Respiro  profondamente controllando l’orario sul mio cercapersone. Le 16 del pomeriggio: più di ventiquattro ore di turno in ospedale. ‘’Da quanto tempo non vado in bagno? Cazzo saranno almeno cinque ore’’ , pensavo con la testa poggiata al cuscino della sala medici. Fissavo un punto indefinito della stanza alla ricerca di un caffè o della forza per prepararmelo.
Soffocavo dal caldo in quell’ospedale a maggio,a Los Angeles.
Stella entra nella stanza tirando un leggero calcio alla porta e mi fa un segno di saluto accasciandosi sulla sedia.
‘’Stremata anche tu?’’
‘’Tu che dici babe?’’ le rispondo massaggiandomi il collo
‘’Hai fatto pronto soccorso?’’ mi chiede con aria distratta mentre addenta una mela.
‘’Mh-mh, in realtà sono qui per prendermi  cinque minuti di pausa prima di andare a controllare il paziente al letto 23’’
‘’Oh buona fortuna’’
‘’Me ne servirà’’ rispondo sarcastica tirandomi su controvoglia. Mi trascino in bagno chiudendomi la porta alle spalle. Mi sciacquo il viso con dell’acqua gelida e mi guardo allo specchio pensando ‘’sono fatta per il 70% di occhiaie, fanculo’’. Mi slego i capelli e li ravvivo con la mano: tentativo disperato. Sono solo ricci rossi senza una precisa forma. Ripenso alle mani di mia nonna , in Italia, che me li tira per intrecciarli  e quel pensiero mi basta per uscire della stanza.
Mi sento chiamare un secondo dopo essere tornata in corsia. E’ Lee, la mia caposala.
‘’Dottoressa la paziente della 16 chiede se può mettersi in piedi per un po’’
La guardo un attimo e rispondo ‘’dica alla paziente che può fare una piccola passeggiata di dieci minuti in corridoio. La controlli e non la faccia affaticare’’
Penso di essere strato troppo scontrosa e le faccio un flebile sorriso di incoraggiamento.
Mi passa una cartella clinica da firmare, un piccola sigla e gliela ripasso. Le mani mi tremano un po’ per la stanchezza.
Chiedo ‘’dove cazzo è Greg quando serve?’’riferendomi al mio collega sempre in ritardo per il cambio di turno.
Stanza 23, metto i guanti e la mascherina prima di entrare.La signora Richard mi accoglie con un gran sorriso beffardo. Non lo ammetterei mai ad alta voce ma è la mia paziente preferita: vecchia, burbera ma con una forza dirompente ed assoluta.
‘’Come stiamo oggi?’’ le chiedo controllando i suoi valori
Lei mi guarda in cagnesco come al solito e poi risponde ‘’come sempre meglio di lei! Almeno io dormo a differenza sua’’
‘’Signora Richard vorrei poterle rispondere che stanotte ho riposato ma non è così..Ora, faccia un respiro profondo e dica trentatrè’’
‘’Quando mi cambiate il compagno di stanza? Praticamente è muto’’ sogghigna lei guardando il letto accanto al suo
‘’Deve solo dire trentatrè , non le ho chiesto un commento sul suo compagno di gite in ospedale’’ le rispondo piccata abbassandole la maglietta.
‘’cosa fa stasera dottoressa?’’ mi chiede adagiandosi di nuovo sul letto
‘’quello che faccio tutte le sere dopo 24 ore di lavoro signora: bevo un paio di bicchieri di vino rosso sperando che abbiano poteri rigeneranti e vado a dormire’’ le rispondo annuendo all’infermiera per confermarle che va tutto bene.
Mentre mi sistemo il fonendo sul collo mi scopro incredibilmente in ansia per quella donna: lo sguardo stanco, le mani rovinate dalle flebo continue, quel letto anonimo in una stanza di ospedale. Penso che potrebbe morire da un giorno all’altro sotto i miei occhi e che al suo capezzale non ci sarebbe nessuno. Fino a che punto può spingersi l’indipendenza di una donna? Fino a che punto si può preferire la solitudine ad una comoda compagnia?
Pensavo quelle cose e mille altre mentre risistemavo le coperte della signora Richard.
Ed è stato allora che è successo , come una cazzo di scena di un film. E’ stato allora che lei ha detto ‘’forse questa sera no, non può saperlo’’. Poi si è rigirata su un fianco e ha chiuso gli occhi per porre fine a quella conversazione. Ricordo di essermi allontanata dal suo letto leggermente innervosita da quella supposizione invadente ma più i minuti passavano più sentivo montare dentro di me la sensazione irrazionale che quelle parole potessero avere un significato.
Nemmeno quattro passi fuori dalla stanza e il mio cercapersone inizia a vibrare con insistenza. Controllo il numero di stanza dal quale stanno chiamando: è la 13/.
Greg mi guarda ‘’è una delle stanze dei medici’’ sussurra e gli sento la voce leggermente rotta.
‘’se iniziamo a sentirci male anche noi questo ospedale va in pezzi. Andiamo’’ gli dico avviandomi verso la 13/.
Camminando lungo i corridoi mi rendo immediatamente conto che qualcosa non stesse andando per il verso giusto: quell’ospedale era casa mia e riconoscevo i piccoli cambiamenti nell’ambiente anche dai singoli gesti delle infermiere. C’era qualcosa di grosso in ballo.
Le penso tutte: incidente aereo, scontro a fuoco, paziente infartuato durante il lavoro, malattia rara appena manifestata. Mentre cammino velocemente con Greg al mio fianco sento insistentemente squillare il telefono. Non rispondo quasi mai quando sono  di turno in pronto soccorso perché non vi è possibilità di distrazione. Lo esco dalla tasca del camice per silenziarlo e mi rendo conto che mi stavano chiamando dalla direzione dell’ospedale. Sbuffo costretta a rispondere.
Dall’altra parte la voce del direttore in persona.
‘’Vittoria abbiamo un paziente in pronto soccorso’’
‘’ci sto andando proprio ora anche se mi stanno facendo andare nella 13/. Chi di noi sta male?’’
‘’Nessuno di noi, sarebbe molto più semplice’’
‘’James mi dici cosa cazzo succede? perché vorrei prepararmi se devo occuparmene nell’immediato’’
‘’Ti chiedo solo di restare concentrata. Non si possono fare errori’’ mi dice serio. Inizio a preoccuparmi.
Mentre mi avvicino all’area dell’ospedale riservata al personale medico mi rendo conto che due figure mai viste sono ferme di fronte alla porta della stanza 13/. Una donna con una telefono in mano fa avanti e indietro dalla stanza con aria concitata, nel frattempo uno dei miei infermieri esce dalla stanza con sguardo funereo.
‘’senti James qui la situazione mi sembra leggermente agitata . Cerca un medico più lucido perché lavoro da più di ventiquattro ore e forse in quella stanza c’è Obama’’ scherzo guardando fuori dal finestrone del corridoio. C’era un cielo così terso e sereno da far paura quel giorno.
  Mi hai sempre detto che dietro a tutte le cose c’è un preciso significato ed io non ti ho mai creduto perché troppo presa dalla mia ossessiva razionalità.
Una volta ti ho detto ‘’non avevi scelta quel giorno, ti avrebbero comunque portato nell’ospedale più vicino’’ e tu hai fatto di sì come la testa come se stessi parlando con una povera pazza che cerca di convincersi. Poi mi hai passato la sigaretta e sei rientrato in casa mormorando ‘’non sempre le cose seguono degli schemi precisi, te lo assicuro’’
‘’Vic, non mi serve un medico qualsiasi e non mi serve il sarcasmo. Mi servi tu.’’ Mi risponde sbrigativo e poi chiude la telefonata. Guardo Greg per un attimo e gli dico di entrare con un cenno del capo.
Non ho capito subito che si trattasse di te perché la prima cosa che ho notato entrando nella stanza era l’eccessivo numero di persone vicino al letto dove eri sdraiato. Era una cosa che mi aveva insegnato papà, mi diceva ‘’quando entri in una stanza di ospedale e ci sono troppe persone le cose sono due: o il paziente è un criminale o è così tanto amato che nessuno vorrà mollarlo un attimo .In nessuno dei due casi devi farti intimorire. Tu sei il medico, falli uscire perché tu hai bisogno di aria. ‘’
Fu Jude ad avvicinarsi per primo, uno degli infermieri ‘’dottoressa abbiamo..’’. Non riuscì a finire di parlare perché una voce si sovrappose alla sua. Un uomo alto, sui sessant’anni e dai capelli brizzolati  mi si parò di fronte ‘’lei è la dottoressa Sky? Abbiamo chiesto di lei. ‘’
Ero in quella stanza da circa tre minuti e non avevo ancora visto il paziente. Mi stavo innervosendo. Mi sentivo chiamare da tutte le parti.
‘’Per cortesia signori, vi chiedo di uscire per farmi lavorare’’
Il tono risoluto di mio padre attraverso le mie corde vocali. Quella frase bastò per far uscire tutti dalla stanza.Fu allora che ti vidi: steso, addormentato, con un paio di occhiali da sole.
Ti ho riconosciuto subito, il tuo volto è sempre stato inconfondibile. C’era sangue ovunque e i tuoi collaboratori erano totalmente nel panico.
Feci segno a Jude di avvicinarsi con un cenno della mano. Ricordo che pensai con chiarezza che avresti certamente perso il dito ma che non mi sarei arresa.
‘’che cosa abbiamo?’’ mormoro fingendo innocenza verso la tua identità
 
‘’il signor Depp ha una ferita lacero-contusa al dito medio della mano dx. E’ sedato’’
‘’Lo abbiamo sedato noi?’’
‘’E’ già arrivato addormentato’’ sussurra Jude  sapendo che avrei reagito male a quella notizia.
‘’Mi dite chi ha avuto la straordinaria idea di sedare un paziente prima di arrivare in ospedale?’’
Una voce maschile dietro di me ‘’gli abbiamo dato dei sonniferi’’
‘’e nessuno ha pensato di svegliarlo?’’ chiedo avvicinandomi alla tua mano. Ti mancava un pezzo di dito.
Porca puttana, pensai osservandoti la mano.
‘’Avete trovato la parte restante della falange?’’
‘’sì dottoressa’’
‘’portatela in laboratorio perché va trattata prima del reimpianto. Io devo svegliare il paziente’’
Jerry sospirò dietro di me ‘’sentirà molto dolore?’’
‘’Lei che dice?’’ risposi piccata
Ti ho tolto gli occhiali da sole per controllarti il viso. Il colorito non mi piaceva. La mia mente registra :‘’ematoma sull’occhio dx, indubbiamente c’è stato scontro fisico’’
‘’signor Depp, signor Depp mi sente? Deve svegliarsi’’ mi viene fuori una voce stridula,stento a riconoscerla. Penso ‘’se sbaglio questo caso la mia carriera è finita’’
Nella stanza tutto era immobile. Aspettavamo solo un cenno da te. E per cinque lunghi secondi in cui tu non hai dato segni di vita ho pregato che non fossi in overdose. Papà mi aveva insegnato a contare i secondi picchiettando la lingua sul palato, mi aiutava a controllare la tensione mentre agivo.
Uno
Ti pizzico leggermente il piede nudo per cercare una reazione.
Due
‘’che cosa avete dato al signor Depp?’’ mormoro tra i denti
Tre
Ricordo di aver avuto un attimo di esitazione prima di darti un buffetto sulla guancia. Non volevo infliggerti altro dolore.
Una voce femminile, una delle tue assistenti ‘’sonnifero, qualcosa per il dolore’’ biascica
Quattro
‘’Il signor Depp era sotto effetti stupefacenti quando lo avete trovato?’’ chiedo continuando a scuoterti per farti svegliare.”
Cinque
Porca troia Depp, svegliati
Hai tossito leggermente e hai aperto gli occhi. Hai urlato subito dopo. ‘’Bene’’ pensavo ‘’ottimo modo per conoscere una star’’
‘’facciamo 50cc di morfina al signor Depp’’ grido all’infermiera fuori dalla porta ‘’e portatemi un cuscino per alzargli la testa immediatamente’’
Tu mi guardi e in un attimo so che già mi odi. Perché  i pazienti fanno così: riflettono il dolore sulla prima persona che vedono. E quella tendenzialmente sono io. Quel giorno ero io.
‘’Signor Depp sa dove si trova?’’ chiedo guardandoti negli occhi per controllarti i riflessi
‘’probabilmente all’inferno’’
Le prime parole che mi hai detto, avevi già il potere di farmi sorridere
‘’sa che giorno è oggi?..mi guardi un attimo e segua il mio dito’’
‘’Jerry, Jerry. Dove cazzo è Amber?’’
‘’Signor Depp deve rispondere a me. Si tranquillizzi ora e faccia respiri profondi. La morfina le sta per fare effetto.’’
‘’ tu chi sei? Il diavolo?’’ gridasti
 ‘’mi sa dire che giorno è oggi?’’ ti chiesi come se non riuscissi a sentire ciò che mi urlavi contro
‘’forse il giorno del giudizio’’ sussurrasti tu
‘’senta signor Depp sono domande che mi servono a capire se è lucido o ci sono altri traumi di cui devo venire a conoscenza’’
‘’tu mi puoi sistemare il dito? E mi puoi dire dove cazzo è il mio staff?’’
Respirai profondamente. Mi era già capitato di avere a che fare con pazienti particolarmente complessi in dieci anni di carriera ma oggi posso liberamente affermare che tu sei stato tra i più ingestibili.
‘’Io posso fare ciò che mi ha chiesto ma deve darmi una mano’’
‘’è successo un macello, sta andando tutto a puttane’’. All’epoca non sapevo assolutamente nulla di te che non fosse collegato alla tua carriera di attore. Tutto ciò che dicevi mi sembrava sconnesso.
‘’ricorda tutto quello che è successo? Può dirmi, cortesemente, perché ha perso il dito?’’ Io insistevo, dovevo farlo .Era il mio lavoro. Ma sentivo montare dentro di me un rabbia immotivata per quella situazione assurda in cui mi ritrovavo.
‘’Ricordo tutto’’ mormorasti fissandomi negli occhi. I tuoi erano stanchi, solcati da occhiaie non sane e puzzavi maledettamente di gin.
‘’Jude, per favore una flebo di liquidi al signore e cortesemente ricontrolla la medicazione alla ferita mentre io chiamo chirurgia plastica. Dobbiamo essere veloci a ricucire’’
Scoppiasti in una risata amara. Non eri soltanto traumatizzato e  strafatto di morfina: eri anche incredibilmente triste.
‘’Hai sentito che ha detto Jerry? Che devono essere veloci a ricucire! Sono una cazzo di bambola’’
Lanciai uno sguardo preoccupato a Jerry dall’altra parte della stanza.
‘’signor Depp io la lascio riposare, tornerò qui tra una mezz’ora massimo.’’
Ti sei girato dall’altra parte dopo aver ripetuto ‘’fanculo’’ un paio di volte.
‘’abbiamo bisogno che lei firmi delle carte in cui ci conferma la massima discrezione per la faccenda’’ mi disse Jerry mentre uscivo dalla stanza. Registrai quelle informazioni a stento perché avevo i nervi a fiori di pelle.
‘’scusi può un attimo concentrarsi sul fatto che il suo capo ha perso un dito oggi?’’sbotto voltandomi
‘’firmerò le sue carte, le può mandare alla direzione dell’ospedale. E’ una cosa assolutamente scontata per me. Faccio il medico’’
‘’Io dovevo dirglielo’’ sussurra Jerry ‘’è il mio lavoro’’
Sento montare il senso di colpa per quell’immotivato atteggiamento. Annuisco leggermente.
‘’pensa di riuscire a sistemare il dito di Johnny?’’ mi chiede Jerry puntando lo sguardo nel mio.
Johnny. Johnny Depp. Ci sono situazioni in cui un medico non dovrebbe mai trovarsi e questa è una di quelle.
‘’Ho bisogno di  sapere come il signor Depp si è procurato la ferita perché dobbiamo limitare il rischio di infezione’’
Sono stata la prima a capire che non ti eri fatto del male da solo. Perché il silenzio che ha seguito quella domanda non l’ho mai dimenticato. Non conoscevo la tua storia, non conoscevo l’inferno che stavi attraversando ma di una cosa ero certa: è molto difficile perdere un osso dando un pugno ad una porta scorrevole.
‘’il signor Depp si è tagliato con un coltello mentre cucinava’’ mi dice Jerry guardandomi fisso negli occhi.
Prendo la tua cartella clinica, la mano mi trema leggermente mentre la compilo scrivendo il tuo nome
‘’sarebbe disposto a scriverlo su questa cartella clinica?’’ chiedo mentre scrivo. Mi era venuto fuori un tono di sfida e leggermene beffardo. Lì per lì non riuscivo a spiegarmi quel nervosismo. Non era soltanto il fatto che si trattasse di te, non era solo quello. Sarebbe stato più semplice: invece è stato incredibile fin dai primi istanti. Ero arrabbiata, infastidita.
Jerry non risponde.
‘’senta io non voglio immischiarmi anche perché il mio lavoro sarà lungo e le possibilità che perda il dito ci sono ma non ci credo’’
‘’cosa?’’
‘’io non credo che si sia tagliato con un coltello. Non ha una ferita precisa e ha perso parte di osso. Quindi le cose sono due: o ha messo il dito sotto una ruota oppure qualcosa gli si è frantumato addosso’’ rispondo guardando Jerry negli occhi
‘’scriva quanto le ho detto, non abbiamo altro da dichiarare’’
‘’se io mi assumo la responsabilità di prescrivere degli antibiotici al paziente a prescindere dal materiale con il quale si è ferito penso che lei potrebbe assumersi il rischio di dirmi la verità. Nel frattempo lasciamolo riposare perché ora avrà un po’ di sollievo, domani per lui sarà dura  ‘’. Passo la cartella clinica a Jude e mi allontano verso la corsia con il cuore fuori dal petto.
‘’ah, signori’’, dico mentre mi volto  verso la decina di persone fuori dalla tua  camera ,‘’non ho alcuna intenzione di compilare la sua cartella clinica affermando che si è fatto male con un coltello. Lasciatelo dormire e buonanotte’’

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Capitolo 3
*** III ***


‘’Dottoressa’’ mi sento chiamare dalla 13. Eri tu. Respiro profondamente e cambio direzione oltrepassando la porta.
‘’Mi dica signor Depp’’
‘’perché tutti hanno un compagno di stanza e io no?’’ mi chiedi con uno sguardo ironico che avrei imparato a decifrare. Era lo sguardo alla Jack.
Sollevo gli occhi al cielo: maledetta morfina. Rende tutti dei perfetti idioti .
‘’mettiamola così: lei è in una stanza in cui al massimo possono arrivare altri medici ma mai altri pazienti’’
‘’devo passare la notte senza nessuno?’’
‘’può restare uno dei suoi collaboratori con lei. Non più di uno perché non è il carnevale di Rio’’
Che cazzo sto dicendo?
Così hai riso. Ed è stata la prima volta che ti ho visto farlo. Con la testa piegata all’indietro, pallido, stanco, completamente abbandonato su un letto di ospedale quel sorriso sghembo somigliava comunque ad un piccolo inaspettato miracolo.
‘’e lei dove va questa notte?’’
‘’in un posto in cui non sarò reperibile. Ora cerchi di riposare, passerà un infermiere a controllare ogni ora e domani mattina faremo il consulto con il chirurgo.’’
Ok, brava. Molto più professionale.
Ti vedo accasciarti sul cuscino e chiudere gli occhi.
Penso ‘’questo deve essere Saturno contro  o qualcosa del genere’’ ma dico solo ‘’buon riposo signor Depp’’ e chiudo lentamente la porta uscendo.
 
**
In sala medici trovo 4 o 5 persone con gli occhi sgranati. Erano tutti lì per lo stesso motivo: sapere perché Johnny Depp fosse nel nostro ospedale. Entro nella stanza ruotando gli occhi al cielo con teatralità e mi tolgo in camice. Volevo solo tornare a casa e fare una doccia.
‘’Vic’’ sussurra Stella venendo verso di me
‘’Sì allora, cosa volete sapere?’’ chiedo alzando la testa di scatto
‘’Tutto?’’ risponde piccato Greg
‘’ha una ferita lacero-contusa alla mano destra. Vogliono farmi credere che si accidentale ma,ragazzi, ha perso parte di osso!’’
‘’ti ha chiamato James? Ha affidato il caso a te dopo un turno così lungo?’’ chiede Stella
‘’esattamente e fidatevi che non avevo molta scelta: dovevo accettare. Quella sembra la stanza degli orrori. L’ultima volta che ho visto così tanto sangue è stato quando..’’
‘’Vic, frena. Frena. Noi vogliamo sapere altro! Vogliamo sapere lui com’ è fatto, insomma..Cazzo!’’ Stella spalanca leggermente gli occhi con un’espressione che le ho visto fare un miliardo di volte e mi trovo costretta a sorridere: era oggettivamente impossibile tenere un segreto con lei
‘’Ok, ragazzi è un essere umano con un dito rotto. Niente di più. Se trovo qualcuno di voi passare casualmente vicino alla 13/ domani vi giuro che vi lascio tutte le prossime gastroscopie’’
‘’Sei il peggior primario del mondo’’ sussurra Greg
‘’Vogliamo solo un po’ di gossip’’
‘’E loro vogliono esattamente l’opposto’’
‘’Loro chi?’’
‘’Loro, tutto il team che si è portato appresso come una donna gravida’’ rispondo mentre prendo la borsa e le chiavi per andare via.
‘’Sei una stronza , lo sai vero?’’ mi dice Stella
‘’Sempre la peggiore. Stella lascio il cellulare acceso, per qualsiasi cosa io..’’
‘’Si, lo sappiamo ! per qualsiasi cosa sei reperibile. Perché non  vai a dormire su una barella già che ci sei ? così domani mattina sei giù qui prima che il gallo canti?’’
Sbuffo fingendomi offesa e poi aggiungo ‘’nessuno sa che lui è qui, fate come sempre ragazzi ok? Tombe.’’
Li saluto ed entro nell’ascensore. La mia testa era un groviglio impossibile di sensazioni: ero stanca, confusa, stremata dall’ansia , completamente incredula. Esco dall’ospedale e mi dirigo verso la macchina controllando il cellulare: 2 messaggi di mia madre dall’Italia, un lunghissima mail della mia migliore amica e una marea di sms sul gruppo dell’ospedale. Mentre cerco disperatamente le chiavi in borsa mi rendo conto nel Range Rover parcheggiato accanto a me Jerry dorme con il sedile reclinato.
Ti hanno sempre amato tutti.
‘’posso parlarle?’’
‘’il mio turno  è finito circa sei ore fa’’ affermo risoluta entrando in macchina
‘’senta, io non so se ha idea di quello che sta succedendo’’ mi dice Jerry avvicinandosi al finestrino della mia auto
‘’facciamo così: io faccio il mio lavoro e lei fa il suo. Io salvo il dito al suo capo e lei invece me lo fa salvare lasciandomi tornare a casa a riposare eh? Che dice?’’
Jerry ride, una di quelle risate da uomo anziano ma non ancora stanco della vita. Penso a papà.
‘’può andare a riposare anche lei, l’ospedale ha un ottimo team di vigilanza e il signor Depp è in un’ala assolutamente tranquilla del reparto’’
‘’le uniche notti che passo lontano da Johnny  durante l’anno sono quelle di Natale e per il compleanno di mia moglie’’
‘’ho capito’’ sussurro ‘’il suo lavoro è la sua vita. Siamo sulla stessa barca. Stia tranquillo, è in buone mani’’
‘’è una brava persona’’ mi dice Jerry serio
‘’chi?’’ chiedo ormai stremata dalla conversazione
‘’Johnny. E’ una brava persona e chi dice il contrario è un falso’’
‘’non sono un giudice, ho salvato assassini da morte certa perché questo è il mio lavoro. Un mio giudizio positivo o negativo sulla faccenda non influirà sulle cure che gli riserverò. Buonanotte signore’’
Metto in moto ponendo fine alla conversazione.
‘’E’ solo un dito del cazzo’’ pensavo mentre guidavo verso casa ‘’solo un dito. Hai operato di peggio, hai sistemato situazioni impossibili. Qual è il problema? Dieci anni di carriera e poi arriva un attore di Hollywood con un dito rotto e hai l’ansia come una scolaretta al primo esame?  E perché sono tutti così drammaticamente nervosi? ‘’
Quella sera sono tornata nel mio appartamento  a due isolati dall’ospedale completamente ignara di tutto ciò che sarebbe successo dopo ed  è stata una delle ultime volte in cui ho bevuto un bicchiere di vino rosso senza pensarti. Apro la porta, c’è Dante che mi fa le feste, lo accarezzo come per scusarmi della mia assenza.
Casa era vuota: come sempre. Ammassi di vestiti sporchi nella cesta, il frigo che piange dalla disperazione, il letto sfatto pieno di fogli sparsi per un caso studiato due notti prima, il rossetto rosso sul comodino e un libro di poesie lasciato lì per caso.
Penso ‘’devo chiamare la signor delle pulizie’’ e lo appunto su un post-it che attacco sul frigo. Guardo la foto con mamma e papà e sorrido.
 Ora che ripenso a quei momenti mi guardo con tenerezza perché quattro anni fa non ero soltanto uno stimato primario di chirurgia generale ma ero anche un disastro ambulante e l’essere umano più cinico ed incline all’abbandono che io abbia mai incontrato. Ero esattamente quello che ci si potrebbe aspettare da una che a trentanni ha lasciato il proprio paese per fare carriera ed inseguire il sogno americano: giovane, cinica , realizzata e indiscutibilmente sola.  
Accendo il pc mentre addento un panino e tutto ciò che è accaduto dopo è stato assolutamente naturale. Ho digitato il tuo nome su Google alla ricerca di qualcosa che ancora non sapessi di te. I tuoi film, la musica, due figli, molte ex ragazze tutte spaventosamente belle, tue foto degli anni novanta sempre con una sigaretta in bocca, una moglie più giovane di te conosciuta su un set.
 
‘’Tipico’’ penso mentre clicco su una vostra foto che vi ritrae felici, schifosamente fotogenici. Ricordo di aver pensato quasi subito al perché lei non fosse arrivata con te in ospedale e mi sono chiesta se non ti sentissi solo anche tu quella notte.  
Cercavo su Google il motivo della tua infelicità perché sentivo che ne sarei stata comunque tagliata fuori. Che non avrei mai potuto capire la tua vita e tu non avresti capito la mia. Saresti stato l’ennesimo paziente curato e dimenticato. E forse sentivo il bisogno di aggrapparmi a qualcosa per sentirmi viva senza imbattermi nella solita retta parallela che non incontra mai la mia.
Papà diceva che i pazienti e le loro storie ci sfrecciano accanto come un monoposto in formula uno e mi sono sempre chiesta il perché.
Prendo il telefono e apro il gruppo con colleghi di reparto.
23:30: Qualcuno può andare a controllare la ferita del paziente nella 13/?
Cancello un paio di volte e poi lo invio.
Stella mi risponde quasi subito che ci  è andato Greg e che posso stare tranquilla. Due emoticon assonate.
Fisso il messaggio e mi trascino sul letto con un calice di vino, Dante mi segue e si accoccola accanto a me.

Non ho mai avuto abbastanza tempo per fare nulla da quando ho scelto di fare il medico: per dormire, per mangiare con calma tagliando piano il cibo come nelle pubblicità, per fermarmi a pensare al passato. Tutte le volte in cui  ho creduto di potermi fermare a riflettere il mondo mi ha nuovamente invaso con novità, dolori, passioni e gioie. Così la mia vita è diventata una proiezioni delle sensazioni altrui di cui io rappresentavo solo una lente su cui riflettere.

Quando ne abbiamo parlato la prima volta mi stavi facendo guardare delle vecchie fotografie di un pomeriggio sul set con Tim e mi hai detto che le caratteristiche dei personaggi che interpreti ti restano attaccate addosso ‘’come meduse’’. Hai detto proprio così. Poi mi hai tirato un pizzicotto sul braccio e ti sei messo a ridere. ‘’Hai presente?’’ ho annuito e ti ho detto che dovevo andare.
 

 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** IV ***


Maggio 2020

Oggi mi hai chiamato 5 volte. Con insistenza. Mi sono allarmata dopo la terza telefonata ma ero di turno e non avevo modo di rispondere in nessuno modo. A pranzo ti ho richiamato fregandomene del fuso orario, le mani mi tremavano. Mi hai risposto al sesto squillo: li ho contati con le dita.
Mi sono data della patetica ma sono certa che se avessi potuto guardarmi lo avresti trovato divertente.
"John, John. Mi senti?"
"pronto? cazzo Vic, finalmente"
Eccola lì: la tua voce.
"ti ho svegliato. Mmm. Pazienza"
"assolutamente sì e lo sai benissimo. Avevo.. Avevo bisogno di parlarti prima."
Ho sospirato.
"ci stiamo parlando. Ti ho chiamato solo perché temevo fosse successo qualcosa"
Hai sospirato tu. Riuscivo perfettamente ad immaginarti nel letto di legno della tua casa in Provenza,le finestre  spalancate perché odi tenerle chiuse di notte e finisci inevitabilmente per svegliati con il mal di gola, il tabacco ppoggiato sul comodino accanto al quaderno dove scrivi. In pelle, rigorosamente nero.
Quando hai scoperto che ne ho uno assolutamente uguale sulla prima pagina ci hai scritto "gemelle" con quella calligrafia da serial killer che ti ritrovi.
"ho..ho parlato con Adam. Ha detto che ti sarebbe già dovuta arrivare la convocazione per il processo. Volevo dirti che non sei costretta ad accettare, questo è un cazzo di incubo in cui sei finita senza volerlo"
Eccolo lì :il fiume di parole che mi aspettavo sulla questione. I tuoi sensi di colpa, la mia angoscia, i ricordi aggrovigliarti per troppo tempo, tu che cerchi di convincermi a riparlarti scegliendo l'argomento sbagliato.
"Io ci sarò. A prescindere da tutto. È giusto che io ci sia John. Voglio che questa storia fisica una volta per tutte. Al resto non ci pensiamo più"
La parole mi vengono fuori rotte, taglienti come lame lungo gola.
"Io ci penso ancora. Non passa giorno senza i  ci pensi e so che non vuoi parlarne. Per me è un miracolo che tu mi abbia chiamato. So che giorni d'inferno stai vivendo ma mi manca la mia migliore amica. E.. Niente, lascia perdere"
Lo dici così, tutto d'un fiato. Non ti aspetti una risposta. Ti sento ridere tra te e te. E poi continui:
"Lo sai che ho scoperto che Lily sta leggendo Frammenti di un discorso amoroso? So che tu c'entri qualcosa"
"è un libro necessario per la formazione di una giovane donna"
"dove sei?" mi chiedi.
Un lampo: il ricordo di me a Piazza San Marco mentre scatto una polaroid prima della tua conferenza stampa. La agito e la chiudo nel taschino della mia camicia a quadri bianca e blu. Il tuo SMS "dove sei? Non faccio una conferenza stampa da troppo, ho bisogno di sapere che ci sei."
Ti avevo risposto "sarò sempre lì accanto a te. Ci vediamo in hotel. Sto respirando"
E di nuovo quel:"dove sei?"
"sono in mensa. Sto mangiando una terribile zuppa ai funghi"
"quando la finirai con questa storia che in America si mangia male?"
Sento una leggera interferenza, ero sicura che stessi tenendo il telefono tra l'orecchio e la spalla per rullarti una sigaretta.
"mai. Perché siete degli assassini della gastronomia."
Ti sento ridere poi il suono inconfondibile del fiammifero.
"e come stai?"
"sai che c'è una canzone italiana che dice: e come stai? Domanda inutile. Stai come me e ci scappa da ridere"
Canticchio Battisti al telefono con te e la mia vita diventa sempre più assurda. Sono costretta a tradurti la canzone e mi vergogno un po' per quello scatto di spontanea ironia.
"mi manchi Vic. Io... Io.. Cazzo. Le cose hanno meno colore senza di te. Non rivoglio indietro tutto, non rivoglio indietro niente se non, se non, quella.. Quella...comunicazione. Tra me e te. Lo sai? Sai di cosa parlo. Ho cercato persone vere per anni e l'idea di perderti per questa storia mi fa diventare matto. Ci ho già rimesso troppo, io.. "
Il cercapersone vibra e lo maledico perché non ci parliamo così da mesi e perché so che probabilmente non ritroverò subito il coraggio di chiamarti, di fare i conti con la distanza e il dolore.
" mi chiamano dal pronto soccorso. John? "
" ehi"
Il modo che hai pronunciare le parole quando sei sovrappensiero è un bisbiglio timido di un calore proibito.
"quando finirà tutto?"
"dovresti dirmelo tu"
"ascolto Heroes tutte le notti prima di infilarmi il camice e ricominciare"
"non sparire  di nuovo, cazzo"
"buonanotte Johnny. Leggi quel dannato copione senza fare storie. E se non ti piace pazienza, passiamo al prossimo"
"buon lavoro Vittoria"
Il modo che hai di pronunciare il mio nome con il tuo accento.
Ho messo giù, ho respirato profondamente fino a sentire i polmoni colmi di aria pulita e mi sono alzata dalla sedia pronta a combattere per un'altra giornata.

Maggio 2016

Sei del mattino, la sveglie suona e Dante rizza le orecchie. Io sono già sveglia da una buona mezz’ora e fisso il soffitto. Mi rendo conto di essere particolarmente agitata, ho passato la notta ad analizzare le possibilità per salvarti il dito. Ho letto una quantità imbarazzanti di articoli sull’innesto di pelle: un intervento che ho fatto e visto fare almeno un cinquantina di volte da quanto lavoro ad LA.” Impressionante la tendenza degli americani a perdere pezzi di corpo” penso mentre metto la prima e parto verso l’ospedale.
Arrivare  a lavoro  in anticipo era il mio segreto da specializzanda per seguire gli interventi migliori ed è sempre stata un’arma valida per tenere sotto controllo tutto anche da primario. Anche quella mattina sono arrivata presto, ho messo il camice in sala medici, passato il tesserino, attivato il cercapersone e bevuto un paio di caffè mentre guardavo fuori dalla finestra la grande città che si svegliava. La luce di maggio inondava i viali di Los Angeles, due specializzandi si baciano sulla panchina dopo aver finito il turno di notte. Forse hanno cinque o sei anni in meno di me, lei è bassina con i capelli afro e lui alto e magrissimo. Sembrano felici. Nel parcheggio un uomo e una donna litigano in auto, non riesco a sentire quello che dicono ma li vedo gesticolare animatamente, lei forse piange.  Perché nessuno ci avvisa quando l’amore finisce? Perché nessuno ci lascia un biglietto con scritto la data di scadenza della felicità iniziale?  
Qualcuno entra nella stanza e interrompe quei pensieri.
‘’Dottoressa,buongiorno. Mi sa dire a che ora iniziamo il giro visite?’’
Saluto Jude con un cenno del capo.
‘’tra una mezz’ora va bene?’’gli chiedo guardando l’orologio
‘’certamente, vado a preparare i pazienti’’
‘’Jude, com’è andata stanotte?’’
Lui mi guarda, sa a  cosa mi riferisco.
‘’ha dei dolori lancinanti e ho dovuto chiudere tutte le porte del reparto perché il suo telefono squillava continuamente’’
Gli faccio cenno di entrare e di chiudere la porta.
‘’qualcuno del suo staff è rimasto con lui?’’
‘’una donna , probabilmente è la sua manager. Dottoressa io..insomma io credo che qualcuno gli abbia tirato addosso qualcosa. ‘’
‘’ora dorme?’’
‘’ è  sveglio perché dalla sua stanza c’è già via vai’’
Mi alzo di scatto e mi dirigo verso la tua stanza. L’ho trovata nello stesso modo in cui l’avevo lasciata: stracolma di gente, come fosse un party privato su un attico di New York alle sette della sera.
Busso tre volte e poi entro senza aspettare risposta. Eri in piedi vicino alla finestra, la mano fasciata appoggiata al petto, una maglietta di quello che poi avrei scoperto essere la tua band. Parlavi animatamente con Jerry.
Hai spostato lo sguardo e mi hai vista.
‘’Oh dottoressa’’ mi dici avvicinandoti . Mi rendi conto che sei a piedi scalzi.
‘’buongiorno , le devo chiedere ancora di far uscire tutte queste persone da qui’’
Hai guardato in basso, imbarazzato e ti sei passato due dita sulle labbra.
‘’mi…mi hanno detto che ieri ero un po’ fuori di me tra la morfina e..il resto. Mi vorrei scusare’’mormori sedendoti sul letto
‘’non si preoccupi, dire che ci sono abituata è un eufemismo. Mi fa vedere?’’
Ti chiedo indicando la ferita.
Tu mi porgi il braccio e giri la testa dall’altro lato. Per la prima volta noto i tuoi tatuaggi sulle braccia.
‘’le da fastidio la visione del sangue?’’  Chiedo srotolando la benda attorno al tuo dito. C’era davvero troppo sangue.
‘’mi da fastidio tutta questa storia’’ bofonchi sommessamente
‘’posso immaginarlo. Il dolore  è abbastanza acuto. Ha mangiato e si è riposato?’’
Sospiri e mi guardi fisso negli occhi. Lo trovo un po’ sfrontato ma non abbasso lo sguardo.
‘’Lei non ha idea..di..di tutto’’
‘’sto provando a fare del mio meglio per renderle meno traumatica questa operazione. Oggi pomeriggio ho organizzato un consulto con il miglior chirurgo plastico che ci sia in zona. Decideremo insieme il piano…’’
‘’Ma che cazzo..’’
‘’scusi?’’ ti chiedo fingendo di non capire.
‘’ma lei è una macchina? Cosa..cosa è? Perché mi sta dicendo queste cose come se non si trattasse di me?’’
Non ti capivo all’epoca, non potevo capirti.
‘’è il mio dovere comunicarle cosa ha intenzione di fare’’
Sento dei passi dietro di me, una donna.
‘’dottoressa deve scusarlo, è molto stanco..lui’’
‘’c’è qualcuno in questa stanza che abbia una dannata idea di come io mi senta?’’ sbotti cambiando tono di voce. Ancora quello sguardo triste.
Respiro profondamente cercando di mantenere il controllo.
‘’la risposta è: probabilmente no. Così come probabilmente nessuno ha idea di come mi senta io a dover ricucire una dito che vale un miliardo di dollari. Però ora siamo qui’’ noto che mi stai ascoltando senza ribattere e continuo ‘’e so che questa storia è complessa per tutti, che lei mi odia perché ho la faccia da fottuta stronza insensibile ma mi deve credere quando le dico che è nel mio interesse farla uscire da qui il prima possibile’’
‘’posso andare a fumare una sigaretta?’’ mi chiedi con un tono di resa, come se fosse il tuo ultimo desiderio.
‘’l’unico balconcino in ospedale è quello nella sala medici’’ rispondo mettendo via i guanti
‘’questo posto è tipo un manicomio?’’ mi chiedi sarcastico
‘’non ha idea di quanta gente rischierebbe di buttarsi giù mr.Depp’’
‘’si fidi, inizio a capirlo’’
‘’può seguirmi se vuole, la accompagno’’
Tu scendi dal letto e prendi il tabacco dal cassetto nel comodino. Mi fai cenno di sì con la testa.
Sento Jerry muoversi dietro di me  e mi rendo conto che non ti sarebbe stato concesso fare un solo passo senza un bodyguard. ‘’Terribile’’ penso
‘’non ti preoccupare J, al massimo la dottoressa mi butta di sotto’’
Fingo di non sentire  e ti faccio strada nel corridoio. Un’infermiera ti squadra da capo a piedi e penso che deve essere strano sentirsi osservato così tutto il tempo. Tu le fai un sorriso e lei ridacchia mentre io spero con tutto il cuore che non ti chieda una foto perché sembri più simile ad un fantasma che all’attore a cui siamo abituati.
Entriamo nella stanza e stiamo in silenzio per un tempo che mi pare infinito. Cerco di distogliere lo sguardo guardando verso la finestra mentre ti rulli una sigaretta e mi rendo conto che per te è una specie di rito.  A separarci c’è un tavolo con le mie cose sparpagliate sopra. Mi rendo conto che non riesci a chiudere la sigaretta con una sola mano funzionante , ti guardo per qualche secondo. Stai facendo di tutto per non chiedermi una mano.
‘’dia a me’’ dico
‘’cosa? No! Non si preoccupi’’
‘’vogliamo stare qui tutta la mattina?’’
‘’chiamo qualcuno dei miei..’’
Non ti lascio finire e dico ‘’oh ma per favore! Mi dia quella sigaretta’’
Sorridi debolmente e me la passi. La chiudo, mi rendo conto che devo porgertela per farti leccare la cartina.
‘’faccia lei’’
‘’non leccherò la sua sigaretta’’
Ti avvicini e lo fai tu. Piano, segui il bordo lungo la colla della cartina con la lingua. Per una manciata di secondi trattengo il respiro e ti guardo.  Mi si secca la gola.
‘’può andare fuori, io ho il giro visite ’’ dico e mi allontano verso la porta dall’altra parte della stanza.
Fuori mi aspetta un’infermiera che mi avverte di una visita per il signor Depp, dico che non è l’orario di visita. Lei mi dice ‘’è la moglie’’.

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