Etiam Capillus Unus Habet Umbram Suam di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fera In Somnio ***
Capitolo 2: *** Inter Sidera Versor ***
Capitolo 3: *** Mens Sana In Corpore Sano (…o magari no) ***
Capitolo 4: *** Carpe Diem ***
Capitolo 5: *** Amicus Omnibus, Amicus Nemini ***
Capitolo 6: *** Circa ***
Capitolo 1 *** Fera In Somnio ***
Fera
In Somnio
Un
rumore sordo fece sì che la minicon iniziasse a destarsi
dalla ricarica con più di un mugugno.
Rigirandosi
sotto la coperta, ancora sospesa in quello stato che
non era né sonno né veglia, Nickel
sentì che ben presto il calore e il torpore
avrebbero vinto la loro battaglia. Il suono molto attutito -a malapena
percettibile- e ritmico del pendolo nel corridoio accanto alla camera
da letto
giungeva in aiuto, conducendola passo dopo passo a sprofondare
nuovamente in
qualche sogno gradevole. Allungò una mano verso
l’altro lato del letto istintivamente,
cercando la presenza e la vicinanza di Bustin, il suo compagno.
Il
secondo rumore sordo, più forte del primo, giunse in
concomitanza col rendersi conto che le sue dita verde acqua non avevano trovato
altro che
vuoto.
Ormai
del tutto sveglia si alzò dal letto e si guardò
attorno,
rimuovendo anche i pannelli oscuranti che servivano a impedire che la
luce
proveniente dalle ampie vetrate che occupavano buona parte delle pareti
della
camera da letto svegliassero entrambi troppo presto al mattino.
Nella
parte di giardino che vedeva sembrava tutto in ordine, sul
balcone non c’era nessuno, Bustin poteva essersi alzato per
un trilione di
motivi del tutto validi anche se era notte fonda e poteva essere stato
lui a
far cadere qualcosa al piano terra, eppure si sentiva fortemente
inquieta,
sensazione che peggiorò ulteriormente quando il rumore sordo
di prima arrivò
nuovamente ai suoi recettori uditivi in maniera più
prolungata e più forte.
Dopo
una brevissima riflessione che la spinse ad aprire la
valigetta da medico posta accanto al comodino e afferrare il bisturi,
ciò che
più si avvicinava a un’arma tra quel che aveva
vicino, decise di uscire con
cautela dalla stanza e imboccare le scale verso il piano di sotto.
Una
parte di lei suggeriva che stesse agendo in modo irrazionale
- “Armarti sentendo un rumore pur sapendo di non essere sola
in casa? Per
fortuna che quelli del tirocinio apprezzano i tuoi cosiddetti nervi
saldi. E se
Bustin non si stesse sentendo bene? Un bisturi sguainato non lo
aiuterebbe
granché” - ma l’altra, preponderante, la
portò a stringere maggiormente la sua
arma impropria sentendo altri rumori di oggetti che cadevano a terra.
“Sembra
che vengano dal bagno” pensò.
Forse
il suo pensiero non era stato sbagliato e il suo compagno
stava male davvero, si disse, decidendo quindi di darsi una mossa. In
quale
altra maniera giustificare i rumori, la sua assenza, il fatto che nelle
stanze
e corridoi che stava oltrepassando sembrasse tutto in ordine
e…
Interruppe
i suoi passi appena prima di calpestare una pozzanghera
liquida grande quanto la sua mano, né la prima né
l’ultima di una lunga serie
che, come vide con una rapidissima occhiata, sembrava partire
dall’ingresso
principale della casa.
«Cos’è?...»
esclamò Nickel, sgranando i sensori ottici azzurri.
Riusciva
a vedere la delicata luminescenza delle gocce e delle
chiazze più vicine alla porta d’ingresso, ancora
molto tipica di quello che era
il fluido vitale di ogni transformer, ma si accorse anche -con
sentimenti che
ormai stavano superando l’inquietudine e diventando altro di
peggiore- che
quelle più vicine a lei e al bagno erano sempre
più inquinate da una materia
scura dall’aspetto vischioso alla quale non avrebbe saputo
dare né un nome né
un colore specifico. Neppure nei più crudi manuali di
medicina che trattavano
le patologie più strane e le più tremende
infezioni aveva mai visto qualcosa di
simile.
«Bustin?...»
si decise a chiamarlo, seppur memore di come in
certi film horror azioni come quella fossero fonte di guai
«Bustin, dove sei?…
stai bene?!»
La
casa del suo compagno, diventata da qualche tempo anche la
sua, in quel momento le sembrava totalmente aliena. Non più
un “nido sicuro”
che aveva rapidamente imparato a conoscere, considerare tale e
apprezzare,
bensì il rifugio di qualcosa di mostruoso e pericoloso,
ferito oppure no che
fosse.
“Dov’è
Bustin?” si chiese ancora.
Il
bisturi tremò leggermente nelle sue mani, mentre i suoi
audio
captavano i rintocchi del pendolo al piano superiore che scandivano le
tre del
mattino.
“Che
gli è successo?”
Si
avvicinò ancora di più al bagno. Le pozzanghere
si
allargavano, sempre più scure, e capì che
intravedere quello stesso liquido
iniziare a uscire da sotto la porta non era un’impressione.
“Cosa
è-”
Un
flebile lamento attraverso la porta rivelò a Nickel che
lì
dentro c’era il suo compagno. Avrebbe riconosciuto tra mille
la sua voce, per
quanto alterata potesse essere.
«Bustin!»
esclamò la minicon, avventandosi contro la maniglia
solo per scoprire che la porta era chiusa a chiave «Bustin,
che succede?!»
Dall’interno
giunse un altro lamento soffocato.
“Nnniiickeeeel…”
Il
variare delle tonalità tra una normale e una più
gorgogliante
e mostruosa più consona a una creatura infernale che a un
transformer la fecero
sobbalzare all’indietro. Quasi le cadde di mano il bisturi,
che brillò
leggermente a causa delle luci artificiali in giardino, e il liquido
scuro
arrivò a lambire i suoi piedi.
Fu
tentata di correre via. Sarebbe stata ancora in tempo per
raggiungere la porta e andarsene da quel posto lasciando al suo destino
qualunque cosa si trovasse dietro quella porta…
“Ora
basta!”
Che
invece decise di sfondare con tre spallate ben assestate,
scivolando miseramente nello sferrare l’ultima ed evitando di
cadere solo
grazie alla prontezza di riflessi che portò le sue manine
bianche ad
aggrapparsi agli stipiti.
Quando
però notò del movimento davanti a sé e
sollevò le ottiche
non riuscì a trattenere un grido.
Quello
che fino a poche ore prima era stato il corpo del suo
compagno per come lei lo conosceva si stava allargando e deformando
ogni
nanoclick che passava, dando forma a escrescenze che allungandosi
stavano dando
vita a interi nuovi arti, incluse quelle che sembravano ali membranose
con un
reticolato di condutture di fluido vitale disgustosamente gonfie e
pulsanti; i
colori di Bustin, prevalentemente bianco, nero e turchese, stavano
scomparendo
e lasciando spazio a sfumature che non erano né girgie,
né violacee né ruggine
scura, piuttosto un miscuglio; Fauci appuntite si aprirono sul grosso
“tentacolo”
che aveva sostituito la sua testa e si ripiegava contro il soffitto,
mentre dal
grosso squarcio che si trovava poco sotto il petto continuava a
sgorgare
materia scura come se fosse stata una piccola cascata.
Paralizzata
dalla vista orrorifica, Nickel assistette impotente
alla fine della mutazione della creatura che occupava tre quarti del
bagno -che
pure era ampio, come quello che condividevano al piano di sopra- e che,
ormai,
di Bustin aveva solo la maschera nera, posta poco sotto le fauci e
parzialmente
inglobata dalla “pelle”. Nickel vide che gli occhi
di pixel bianchi ebbero un
leggero tremolio quando la creatura si voltò nella sua
direzione.
“No.
Non ‘la creatura’, non è una
creatura” pensò, mentre i suoi
piedi si muovevano da soli in avanti “Questo è il
mio compagno. Non ho idea di
cosa gli sia successo o di cosa stia succedendo in generale, ma vedo
che è
ferito e che ha bisogno di aiuto”.
Non
avrebbe saputo dire se quel coraggio provenisse dallo stesso
spirito che tirava fuori come medico tirocinante o, più
“banalmente”,
dall’amore; di certo c’era solo il fatto che si
avvicinò al nuovo paziente con
passi più decisi, incurante anche del liquame.
Forse
era impazzita.
O
forse, semplicemente, non si era mai svegliata, quello era un
incubo e a livello inconscio lo sapeva, anche se aveva
tutt’altra impressione.
«Bustin!
Mi… mi riconosci ancora, è
così?!»
“Nnniiickeeeel”.
Non
c’era più un briciolo di normalità
neppure nella voce -che
Nickel aveva l’impressione di sentire risuonare direttamente
nel processore-
però lui la riconosceva, in caso contrario non avrebbe
pronunciato il suo nome;
e ogni circuito del suo corpo era convinto, o voleva convincersi, che
qualunque
cosa fosse diventato Bustin non le avrebbe fatto del male
finché avesse saputo
chi era.
«Non
so cos’è successo ma… ma non importa,
ok?! Troveremo…
troveremo il modo di risolvere questa cosa»
affermò la minicon «A cominciare da
quella ferita!»
“Vvvai… Nickel…”
Nella
mostruosità di quella voce Nickel avvertì
distintamente
una nota di stanchezza, e il fatto che Bustin fosse ancora in grado di
ragionare, che era qualcosa di più rispetto al riconoscerla,
la indusse ad
aprire ogni anta alla quale riuscisse ad arrivare cercando medicine e
qualsiasi
arnese che potesse aiutarla a rallentare o fermare
l’emorragia.
«No.
Tu sei ferito e io non ti lascio qui così, e non solo
perché ho fatto un cazzo di giuramento»
replicò lei, decisa «Ci sarà pure
qualcosa per- aah! Mollami
subito!»
esclamò quando uno degli arti del mostro la
afferrò da dietro all’altezza della
vita e la allontanò.
Seppur
ingrandita e deformata, il gesto della mano di Bustin
nell’accarezzarle il volto con delicatezza assoluta -anche
adesso che era un
mostro- risultò anche troppo familiare.
“Dormi, Nnnnickel…”
«Dormire?!
Come posso dormire in questa situazione?! M-ma sei…
sei…»
Sentì
il suo processore diventare rapidamente confuso, le
palpebre metalliche pesanti e le gambe cedere.
Prima
di sprofondare nel torpore e nell’incoscienza però
sentì
anche che il suo ultimo timore, finire a cadere riversa in quel liquame
scuro,
veniva scongiurato da un arto raccapricciante del suo compagno che,
pronto, la
sostenne.
***
La
prima cosa che vide Nickel quando aprì i sensori ottici
quasi
di scatto fu il soffitto in metallo brunito della camera da letto, con
le due
strisce led, ovviamente spente, che si incrociavano al centro
dividendolo in
quattro.
Si
catapultò fuori dalla cuccetta notando come prima cosa che
il
lato di Bustin sulla cuccetta era stato rifatto, esattamente come tutti
i giorni
-mai che riuscisse ad alzarsi prima di lui!- e, una volta rimossi i
pannelli
oscuranti, venire quasi accecata dalla luce del giorno le
rivelò che doveva
essere piuttosto tardi. Il suo orologio interno le rivelò
poco dopo che era
quasi ora di pranzo.
Vide
la valigetta da medico dove l’aveva lasciata,
l’aprì
velocemente e vide che tutti gli attrezzi erano puliti e ordinati al
proprio
posto come li aveva lasciati la sera prima. Fatto questo
uscì di corsa dalla
camera da letto, raggiunse le scale e si fiondò
giù scendendole tre a tre.
Con
la Scintilla in gola e le ottiche che si muovevano in modo
febbrile cercando di captare anche solo un minuscolo dettaglio fuori
posto,
Nickel si precipitò in direzione del bagno. Non
c’era traccia del liquido che
aveva visto, la porta non recava segni di sfondamento e, come sempre,
il bagno
era ordinato, candido e immacolato.
“Possibile?
È possibile che mi sia immaginata tutto e che sia
stato tutto solo un sogno?!” pensò.
«Nicky?
Nanetta?...»
Sentire
la voce di Bustin che la stava chiamando, la
sua voce normale, mise
metaforicamente le ali ai piedi di Nickel, che raggiunse la cucina in
pochi
secondi.
«Buongiorno!
Ammetto che stavo quasi iniziando a preoccuparmi»
disse Bustin, che indossava un virilissimo grembiule a fiorellini,
armeggiando
con una pentola piena di cristalli di energon tagliati a striscioline
lunghe e
salsa di alluminio «È praticamente ora di pranzo.
D’accordo, sei una
tirocinante e devi fare pratica, ma in quella clinica ti fanno lavorare
un po’trop-
ehm, che succede?» domandò a Nickel quando lei gli
strappò il grembiule di
dosso e iniziò a esaminare petto e addome «In un
altro momento direi che hai
voglia di fare l’amore ma la tua espressione non…
Nicky? Stai tremando» osservò
Bustin, avvicinandosi con l’intento di stringerla a
sé «Cos’hai? Cos’è
succe-»
«I
tuoi valori e il tuo fluido vitale» disse la minicon, con
voce ferma, tirandosi indietro «Voglio vederli. Voglio vedere
tutto, se no… se
no io…»
«Va
bene, adesso comincio a preoccuparmi sul serio» disse
l’altro minicon, obbedendo tranquillamente nel mostrarle i
valori «C’è una
pandemia in corso o qualcosa del genere? Qualcosa fuggito da un
laboratorio?
Basta che non finiamo come nel film di ieri sera».
Il
film horror con la piaga che trasformava la gente in mostri
che Nickel -pur essendo tornata stanca dalla clinica e felice che il
giorno
dopo sarebbe stato libero- aveva voluto vedere, per la precisione.
Avrebbe
impiegato parecchio tempo a smettere di pentirsi di
quell’idea.
Rovistò
in uno dei propri scomparti e tirò fuori una enerstud
sterile. «Piega la testa in avanti, faccio il
prelievo».
Bustin
obbedì. «Tutto questo è molto strano
però immagino che tu
abbia le tue ragioni, dunque mi fido».
La
mitezza con cui Bustin fece quel gesto fece sì che la mano
con la enerstud restasse ferma a mezz’aria e Nickel rimanesse
immobile. Poco
dopo ritrasse lentamente la mano, senza dire una parola, vergognandosi
in modo
terribile di quel che era stata sul punto di fare e della sua completa
mancanza
di raziocinio.
“Cacciargli
un ago nel collo per colpa di un incubo? Sul
serio?!” pensò, rimettendo la enerstud al proprio
posto.
«No…
no, fa niente. Anzi, scusami» disse Nickel «Non
c’è una
pandemia in corso o roba del genere è solo che
sono…» stavolta non si ritrasse
quando lui la strinse a sé e la accarezzò
«Una deficiente. Ho avuto un incubo».
«Dev’essere
stato un incubo terribile. Ecco perché mi sembravi
spaventata... ma stai tranquilla, è tutto a posto»
mormorò lui, poggiando il
mento sulla testa della compagna.
«Volevo
infilarti un ago nel collo per colpa di un incubo! in
nome di Prion, come fai a sopportarmi?!»
«Contavo
sul fatto che se non avessi un buon motivo per farlo ti
saresti fermata prima, come infatti è successo. Ho una certa
stima di te,
Nanetta».
«Ancora
“Nanetta”? Non sei tanto più alto di me!
Lo sei solo di
una testa e mezza!» protestò Nickel, guardandolo
con aria di rimprovero ma
intimamente grata per le parole che le aveva rivolto e il fatto che non
la
reputasse una schizzata paranoica.
«Giusto,
messa così siamo praticamente alti uguali»
replicò
Bustin, senza nascondere un certo divertimento nella sua voce.
«Ehi! Ti ricordo che
nelle riserve di energon piccole c’è
l’energon più buono!»
«Mai
detto il contrario» sorrise Bustin «Ora va
meglio?»
Nickel
annuì. Ormai non tremava più. «Ho
sognato di essermi
svegliata per un rumore strano in casa… poi sono scesa, ho
trovato per terra
delle macchie di fluido vitale e di solo il cielo sa cosa che portavano
al
bagno qui sotto. Poi ho aperto la porta ti ho visto diventare una
creatura
orrenda con una ferita enorme che zampillava quella roba scura
e… e poi mi hai
fatta dormire e… ero… angosciata. Lo sono stata
fino a poco fa».
«Niente
più horror prima di dormire» sentenziò
il minicon.
Nickel
non protestò, poggiando la testa contro il suo petto.
«L’unica cosa buona è che mi hai
riconosciuta nonostante tu fossi diventato
quel mostro».
«Non
riesco a immaginare una situazione in cui potrei non
riconoscerti e in cui tu debba avere davvero motivo di avere paura di
me,
Nickel. Credo che questo lo sappia anche tu, in caso contrario il tuo
processore ti avrebbe fatto sognare qualcosa di un
po’diverso».
«Sì,
hai ragione. Però ti giuro, sembrava talmente reale, per
quanto sappia che era
assurdo!...»
Una
fiammata si levò dalla pentola che durante tutto il discorso
era stata lasciata incautamente sul fornello, e dopo una serie di
strilli di
sorpresa entrambi i minicon si adoperarono per cercare di risolvere.
«Il
coperchio sulla pentola in fiamme NO!»
esclamò Bustin.
L’avvertimento
giunse troppo tardi, e il contenuto della pentola
esplose parzialmente andando a invadere il fornello e parte del ripiano
vicino,
causando un principio d’incendio del quale però,
fortunatamente, si occuparono
gli impianti sul soffitto… innaffiando anche i due minicon,
che per qualche
secondo rimasero lì a guardarsi inebetiti.
«Tutto
il piano di sotto…» cominciò a dire
Nickel.
«No,
ha rilevato che il fuoco era qui, dunque l’impianto si
è
attivato solo qui».
«Ah!
Beh… meglio così» commentò
la minicon, sentendosi piuttosto
imbarazzata per il tutto.
Pochi
istanti dopo, imprevedibilmente, Bustin scoppiò a ridere.
«Possiamo risparmiarci entrambi la doccia per oggi, ne
abbiamo già fatta una!»
Vedendolo
tranquillo, Nickel sorrise a sua volta. «Già,
è vero.
Dato che l’incendio ormai è spento vado a prendere
degli stracci e-»
«No
no, non ho voglia di occuparmene adesso. Togliamo la pentola
dal fornello e ripuliamo lì, all’acqua penseremo
dopo se qui e allora non si
sarà asciugata da sola. Andiamo giù a valle in
quel ristorante che ti piaceva,
ho una certa fame!»
«E
pago io tutto» disse subito Nickel.
«Ni-»
«Ho
quasi mandato a fuoco la tua cucina» lo interruppe la
minicon.
«Eravamo
qui in due, e comunque è la nostra
cucina» replicò Bustin, quieto «Non ti
sei ancora
ambientata, mh?»
«No,
non è questo, mi sono ambientata, davvero. Mi hai fatto
portare qui tutto quel che avevo nella mia stanza al dormitorio e anche
tutto
quel che mi hanno mandato da casa quando hanno saputo che mi
trasferivo, sei
scatoloni…» sospirò, massaggiandosi la
fronte «E miei peluches, e quel tappeto
peloso viola…»
«È
un tappeto bellissimo».
Nickel
alzò gli occhi al soffitto. «Lo so che non
è vero».
«Ed
è più lungo di te, Nanetta!»
esclamò il minicon, scappando
via dalla cucina con una risata.
«Ancora?!
Se ti prendo ti abbasso!» gridò Nickel, tirando
fuori
da uno scomparto una chiave inglese e correndo dietro un fuggitivo che,
lei lo
sapeva, probabilmente era già volato in giardino.
Mentre raggiungeva la
porta d’ingresso si disse che era stato
solo un incubo, dopotutto… e in quel momento esso e la
bestia in sogno
sembravano qualcosa di molto distante.
Un disegno della bestia in sogno è
>>>>>> QUI
Ringrazio MilesRedwing
per la consulenza riguardo il titolo del
capitolo in latino :)
Alla prossima,
_Cthylla_
|
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Capitolo 2 *** Inter Sidera Versor ***
Inter
Sidera Versor
Quello
che Nickel poteva osservare dall’ampio balcone della
camera da letto era un panorama piuttosto invidiabile.
La
sua abitazione era posta in alto su una delle colline che
circondavano la cittadina nella quale aveva studiato -e ora lavorava- e
grazie
a questo le bastava abbassare lo sguardo per godere di una visuale
quasi
completa sulle luci che rendevano la valle brulicante di vita. Allo
stesso
tempo però la posizione della casa non permetteva
all’inquinamento luminoso di
rovinare troppo lo spettacolo offerto dal cielo notturno,
particolarmente
limpido quella sera e pieno di stelle che pulsavano leggermente come
tante
piccole Scintille.
Atmosfera
tranquilla, peccato che l’animo di Nickel non lo fosse
altrettanto, e non solo perché stava ripassando mentalmente
per l’ennesima
volta la lista di tutto quel che andava messo nella valigia.
«Il
datapad di riserva per gli appunti!» esclamò,
sbattendo una
mano contro la fronte.
«Ne
hai messi due la terza volta che hai ricontroll-ahio.
Devo ritenermi fortunato che fosse
solo un pugno e non la chiave inglese» fu tutto
ciò che disse Bustin,
massaggiandosi il petto appena colpito.
«Ooooh,
tu!... lo sai che per colpa dei miei cugini faccio così
quando la gente mi arriva dietro all’improvviso come facevano
loro!» esclamò
Nickel, un po’dispiaciuta per il pugno nonostante il tono di
rimprovero «E se
fossi stato uno di loro ti avrei beccato in piena faccia!»
Lui
sorrise. «Questo perché anche loro sono dei
nane-»
«Faccio
in tempo a rimediare, sai?!» lo interruppe la minicon,
incrociando le braccia davanti al petto.
«Io
comunque ti avevo chiamata due volte» disse Bustin
«Solo che
a quanto pare non mi hai sentito».
L’affermazione
fece dissolvere l’aria bellicosa di Nickel. «Sul
serio?... è che ero persa nei miei pensieri. Mi spiace,
scusami».
Si
lasciò condurre placidamente su uno dei due lettini da
esterno, sedendosi poi accanto a lui. Perfettamente consapevole di
avere un
carattere impulsivo, a volte si chiedeva come a Bustin, che di
impulsivo non
aveva granché, potesse star bene una cosa del genere.
«Fino
a stamattina mi sembravi contenta di andare a quella
conferenza. Che il professore abbia pensato a te per sostituirlo
è un’ottima
cosa a tanti livelli» disse Bustin
«Perché significa che al lavoro ti stai
facendo notare e lo stai facendo in bene. E per tre giorni non dovrai
farmi da
beta per la mia song-fic su Wallop Prion Ranger!»
Wallop
Prion Ranger, una serie tv che Bustin ormai conosceva a
memoria, cosa che Nickel ormai sapeva bene dato che l’aveva
sentito più volte
anticipare i dialoghi. Ricordare i tentativi imbranati del suo compagno
di
imitare i calci rotanti del protagonista, di solito finiti con qualche
soprammobile rotto a terra, minacciò perfino di farla
sorridere nonostante la
tensione.
«Ecco,
questa è una buona cosa» scherzò Nickel
«Comunque: sono
contenta quanto stamattina all’idea di andare, e voglio andare. È solo che
è una cosa piuttosto importante, ci
saranno tanti transformers comuni e non ci saranno molti altri minicon,
e quei
pochi contrariamente a me saranno professoroni conosciuti,
e… e sarà la prima
volta in assoluto che uscirò fuori da Prion!»
Nickel
aveva sempre vissuto la vita semplice di una persona
semplice nata in una famiglia semplice, cosa che di per sé
non aveva proprio
nulla di negativo, ma era per quella ragione che, se da un lato era
felice
all’idea di un viaggio tra le stelle, dall’altro
non riusciva a negare che
l’idea la rendesse un po'nervosa. Inoltre le aspettative e i
timori riguardo le proprie
capacità -timori infondati, dovuti solo a una comprensibile
ansia- non
l’aiutavano a sentirsi meno tesa.
«Quella
della conferenza è una zona tranquilla, abbiamo
già dato
un’occhiata insieme» le ricordò Bustin
«E tu e gli altri starete in un ottimo
albergo, belle camere, tanti servizi e un buffet al top. Uno dei
migliori nella
lontana Crystal City».
«Mi
avevi accennato di esserci stato qualche tempo fa, sbaglio?»
Lui
annuì. «Ben prima di conoscerci, sì.
Però la gestione non è
cambiata e, credo, nemmeno la qualità».
«Eri
con qualcuno della tua famiglia?»
La
domanda le era sorta spontanea sapendo che la loro bella casa
in collina era dovuta in parte al fatto che la famiglia di origine di
Bustin
fosse -fosse stata- benestante anche
se non “ricca” nel senso milionario del termine, e
che quindi era plausibile
che potessero aver portato lì Bustin in vacanza o qualcosa
di simile, però si
pentì rapidamente di aver tirato in ballo la questione,
ricordando che non era
il suo argomento preferito.
Il
che era comprensibile dato che lui nel parlarne aveva
lasciato intendere di essere rimasto il solo della sua famiglia a non
trovarsi
nell’Allspark.
Nickel
non sapeva bene cosa fosse successo, però collegando i
pochi elementi che era riuscita a estrapolare le volte in cui era
venuto fuori
l’argomento aveva concluso che l’intera famiglia di
Bustin -lui incluso- fosse
rimasta coinvolta in un incidente, e che Bustin si fosse salvato ma
fosse
rimasto sfigurato in volto in modo irreparabile: avrebbe spiegato il
motivo per
cui non toglieva la maschera neppure con lei, non se lei poteva
vederlo. In certi frangenti
piuttosto intimi Nickel aveva avuto modo di tenerla in
mano, ma era sempre stata bendata e, doveva dirlo, lui aveva fatto in
modo che
in quei momenti avesse avuto per il processore tutt’altro.
Neppure
le rassicurazioni sul fatto che l’avrebbe amato lo
stesso anche se lì sotto ci fosse stato un disastro erano
servite a
convincerlo, e lui riusciva perfino a mangiare senza toglierla, questo
grazie
alla tecnologia che permetteva alle “celle”
all’altezza della bocca di
spostarsi continuando però a nascondere quel che
c’era sotto.
«Nah!
Nessuno di loro» rispose Bustin «Tornando a noi:
capisco
che tu sia tesa ma sono sicuro che andrà tutto bene. Se il
professore pensasse che non sei
all’altezza del compito non avrebbe scelto te, se
l’ha fatto vuol dire che non
ha dubbi sulla tua competenza e che riuscirai a stare tranquillamente
al passo.
Ne sono sicuro anche io».
«Tu
però non sei un medico e non sai come sono le cose di
medicina» replicò Nickel, un
po’più tranquilla ma ancora non del tutto
«Non
sono più solo le cose che mi aiutavi a ripassare per gli
esami».
«Non
so come siano le cose di medicina ma so come sei tu. Tanto
mi basta».
«Non
è che lo stai dicendo solo perché sono io o per
farmi stare
tranquilla?»
Bustin
scosse la testa. «Se non lo pensassi ti farei complimenti
su altre cose. La forza del tuo pugno destro, per esempio!»
«Non
ho fatto apposta a dartelo! Cioè, in realtà
sì, ma allo
stesso tempo no!» si difese la minicon, mentre lui rideva
«E non ridere!... che
antipatico» borbottò, lasciandosi comunque
stringere tra le braccia.
Bustin
ovviamente non se la prese. «La mia antipatia è
un’altra
cosa di cui per tre giorni potrai fare a meno».
«Ti
chiamerò appena arrivo nella mia camera
d’albergo».
«Non
mi aspettavo altro».
«E
guai a te se ti dimentichi di curare le mie piantine!» lo
avvertì Nickel, indicando una serie di vasetti accanto al
parapetto. Erano una
delle cose che i suoi parenti le avevano mandato da casa quando lei si
era
trasferita da Bustin.
«Agli
ordini, capo!» esclamò lui, con un gesto da
militare «E
tu, se nella conferenza o lì in giro vedi qualche spunto per
la fanfic su
Wallop, mandamelo a dire. Andiamo a letto? Domani devi alzarti presto,
quindi
sarebbe bene se andassi in ricarica alla solita ora».
«Alla
solita ora manca un’ora» disse Nickel, perplessa,
per poi
comprendere «Ma tu in effetti hai detto “a
letto”…»
«L’importanza
dei dettagli, visto?» annuì lui, mentre
rientravano in casa decisi a compensare ciò che nei tre
giorni successivi,
causa lontananza, sarebbe mancato.
.::
Sera del giorno
successivo ::.
Portando
il datapad accanto ai recettori audio, Nickel attese
con impazienza che Bustin rispondesse alla chiamata. Pur essendo
arrivata in
albergo all’incirca mezz’ora prima sentiva di avere
già di che raccontargli.
Il
viaggio, durato parecchie ore, era andato bene.
Nell’astronave aveva avuto modo di conoscere i colleghi
minicon del suo
professore, aveva parlato con loro e, con suo sollievo, si erano
rivelate tutte
persone molto cordiali -cosa dovuta anche al fatto che il suo superiore
le
avesse fatto un’ottima pubblicità-. Sarebbe stata
capace di farsi rispettare lo
stesso se fossero stati maleducati, perché Nickel non era
tipo da farsi mettere
i piedi in testa da chicchessia, però che tutto fosse filato
liscio come l’olio
era stato molto meglio.
Essere
integrata nel gruppo l’aveva anche aiutata a sentirsi
molto più entusiasta che intimidita davanti
all’architettura imponente e
pomposa di Crystal City, che teneva fede al proprio nome grazie a
palazzi alti,
strade e ponti sospesi sinuosi, edifici più bassi spesso
tondeggianti in certe
parti e, soprattutto, pieni di vetrate. Era stato interessante trovarsi
sotto
gli occhi qualcosa di tanto diverso dal solito, però non
aveva impiegato molto
a capire che, per quanto affascinante potesse essere quello stile, lei
preferiva quello più semplice delle cittadine di Prion. Per
i suoi gusti
c’erano anche poche piante tecnorganiche, il che era un
po’triste.
L’unica
nota stonata fino a quel momento c’era stata al suo
arrivo in hotel, quando le avevano comunicato che purtroppo, a causa di
un
disguido, la camera in cui lei avrebbe dovuto soggiornare non era
disponibile.
Anche quella però era stata una fortuna e lo aveva capito
subito dopo, perché
avevano messo a sua disposizione una delle suite più belle
dell’albergo -in
quanto partecipante a quella conferenza lei e gli altri erano
considerati
ospiti “importanti”, le avevano detto.
Risultato: in quel momento si trovava al
penultimo piano, stesa su una cuccetta in cui venti minicon sarebbero
stati
larghi, e meditava di entrare nella vasca idromassaggio
all’energon posta
accanto a una vetrata immensa per guardare da lì il sole
artificiale tramontare
su Crystal City.
“Dai,
rispondi!” pensò Nickel, iniziando a tamburellare
con le
dita sul bordo della vasca.
–
Nanetta. Come sta
andando? È tutto a posto? –
«Sì!
Ma dov’eri?! Ci hai messo una vita a rispondere!»
lo
rimproverò, seppur sorridendo nel sentire il suono della sua
voce.
–
Oggi è una delle serate
in cui sono al Crawling Mist! –
Mentre
Nickel aveva studiato da medico e puntava a un posto
fisso nella clinica dove lavorava attualmente, il suo compagno non
aveva mai
mostrato interesse a cercare qualcosa di altrettanto stabile,
preferendo
lavorare da tecnico freelance -con un buon numero di clienti fissi che
garantivano entrate regolari- e, in linea con quel che faceva durante
gli
studi, come bartender a chiamata al Crawling Mist, un locale carino
nella loro
cittadina.
Tutte
scelte che Nickel non aveva mai criticato, trovava una
buona cosa che il suo fidanzato avesse voglia di lavorare e che quei
mestieri
fossero di suo gusto, specie il secondo, che gli permetteva di
conoscere molta
gente.
«Già
a quest’or… ah! Dimenticavo, a Prion siete tre ore
avanti
rispetto a qui» ricordò Nickel.
–
Esatto. Ma non c’è
problema, sono entrato in pausa poco fa! –
Nickel
stava per riprendere parlare, però fu interrotta
dall’avviso che un cameriere ai piani -un minibot per la
precisione, tipo di
transformer spesso addetto a certi tipi di lavori- si trovava fuori
dalla porta
ed era stato incaricato di consegnarle qualcosa.
«Non
ho ordinato niente» disse Nickel, perplessa.
–
Se fossi in te però
andrei a vedere cos’è. –
Qualcosa
nel tono del suo compagno la persuase a far entrare il
minibot, che le consegnò con garbo un pacco di medie
dimensioni e si congedò
dopo un lieve e garbato inchino.
«Tu
c’entri con questa cosa, Bustin?...» disse nel
datapad
mentre apriva il pacco.
Ai
suoi occhi si palesò un delizioso vasetto con una piantina
di
campanule vosniane cristalline dalla sfumatura rosa perla, un fiore che
lei, in
quanto amante di certe cose, sapeva essere difficile da reperire al di
fuori di
Vos stessa.
–
Un’altra pianta di cui
prendermi cura quando andrai alla prossima conferenza, se ti piace.
–
Nickel
non riuscì a dire una parola, impegnata ad aprire una
scatola
accanto al vasetto e scoprendo all’interno due ornamenti per
le braccia che,
seppur di fattura semplice, erano visibilmente costosi.
–
Rimprovero per il regalo
numero due in arrivo in tre, due, uno… –
«Tu
non devi… cioè, già solo la
piantina…» furono le prime
parole di Nickel, alla quale sembrava di aver perso la
capacità di mettere le
parole in fila e aveva le ottiche pericolosamente lucide
«I-io amo tutto, adoro
tutto, ti ringrazio TANTO,
però non dovresti-»
–
Però voglio. Voglio fare
un regalo alla mia compagna, che col suo impegno sta facendo carriera e
si
merita questo e di più –
replicò Bustin – E sono
felice che ti piaccia, Nanetta. –
«Come…
come hai fatto? Voglio dire, come hai fatto a prevedere…
e sono arrivata nella mia stanza cinque minuti fa e non è
nemmeno quella
prevista, perché quella non era disponibile!»
–
Sono uno dei principali
azionisti di quell’albergo, quindi non era difficile!
–
«Oh,
su!» sbuffò Nickel.
–
Ho fatto qualche lavoro
lì quando ero ancora uno studente. Quando ci siamo
conosciuti ero già piuttosto
avanti nel corso, se ricordi – disse Bustin
– Ho conosciuto parte del personale
dell’albergo, sono rimasto in
contatto con vari di loro e mi hanno dato un aiutino a organizzare
questa
sorpresa. –
Nickel
concluse che la spiegazione fosse sensata. «Ho capito.
Però davvero, io ti ringrazio molto, mi è
piaciuta tantissimo, solo… non posso
fare a meno di pensare che non posso ricambiare allo stesso modo,
né adesso né,
forse, mai».
–
Noi due abbiamo già affrontato
più volte l'argomento... –
«Non
è tanto per una questione di soldi, è
che… è… l’ultimo
regalo che ti ho fatto è stata una coppia di gnomi da
giardino!» esclamò la
minicon, passandosi una mano sul viso al ricordo «Non saprei
scegliere un
regalo decente nemmeno se ne andasse della mia vita!»
–
Scherzi? Sono perfetti,
ricordano noi due: lei gli arriva a stento alla spalla! –
«Te
ne approfitti perché non sono a casa, ma ricordati che
dopodomani torno! E mi vendicherò!» lo
avvertì Nickel.
–
E io non vedo l’ora. Casa
è un po’troppo silenziosa senza di te che protesti
per quel che combinano i
tuoi colleghi, per quel che combino io o perché il mio tempo
di lavaggio delle
mani è inferiore al minuto! “Palmo contro palmo/
cooosììì!/ la sinistra sulla
destra! La destra sulla sinistra!...” –
«No,
la canzone del lavaggio delle mani NO, ti prego!»
esclamò
Nickel, inutilmente dato che le stava venendo da ridere e lui se
n’era accorto
benissimo.
–
“E sfregare bene qui!
Così, così, così!”
–
Dopo
qualche secondo di canzone, Nickel si accorse di rumori di
sottofondo dalla parte di Bustin simili a dei cori, o delle
invocazioni, o
qualcosa di simile. Cercò di ascoltare meglio ma non
riuscì, dunque chiese
direttamente delucidazioni.
«Sento
come dei cori dietro di te, non capisco…»
–
La partita a Cube tra l’East
Prion e il West Prionia è ancora in corso, sono gli ultimi
dieci minuti e qui
sono tutti abbastanza presi, tanto per cambiare! –
«Il
Cube non l’ho mai capito granché»
sbuffò Nickel «Non so
proprio perché ne vadano matti. Anche i colleghi del mio
professore, me l’hanno
detto durante il viaggio…»
–
Filato tutto liscio?
–
«Sì,
assolutamente! Ora ti racconto!»
La
telefonata andò avanti per altri dieci minuti prima che
Nickel decidesse di concludere il suo racconto. Si disse che avrebbe
avuto più
tempo e più cose da raccontargli il giorno dopo o
direttamente al ritorno, però
avrebbe mentito se avesse detto che non avrebbe voluto continuare la
chiamata a
oltranza. Si diede perfino della sciocca per questa ragione, per il
fatto di
sentire la mancanza del suo ragazzo pur avendolo appena concluso la
chiamata:
era roba da ragazzine e lei non era una ragazzina, era biologicamente
adulta da
tempo, era in carriera e di carattere volitivo, poteva tranquillamente
riuscire
a stare senza di lui per un giorno, tre, una settimana o mesi, lo
sapeva.
“Potrei”
concesse la minicon, mentre osservava la piantina di
campanule vosniane “Ma preferisco averlo vicino, se posso
scegliere”.
Ringraziamo
Highlander DJ e Barbara D'Urso per la canzone del lavaggio
delle mani :'D
Grazie
a chi ha letto fin qui e alla prossima, qui o su TSB 2 :)
_Cthylla_
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Capitolo 3 *** Mens Sana In Corpore Sano (…o magari no) ***
Mens Sana In
Corpore Sano
(…o magari no)
Era
stata una tra le prime cose di cui le avevano parlato sia
quando ancora studiava, sia quando aveva iniziato a lavorare in
clinica: la
possibilità di finire col dover prestare aiuto medico ad
amici, familiari e
conoscenti e la necessità di restare lucidi nonostante
l’attaccamento emotivo
più o meno forte.
Nickel
non poteva dire di aver avuto grandi problemi a riguardo,
si poteva dire che fosse piuttosto abituata. Veniva da una famiglia
piuttosto
numerosa -non tanto il nucleo più ristretto, quanto
piuttosto a livello di zii,
zie e cuginanza- nella quale era presente un buon numero di
scavezzacollo che
lei aveva avuto modo di curare già prima di studiare da
medico; perlopiù si era
trattato di lievi distorsioni, qualche contusione e qualche ferita,
tutto
tipico dei prioniani provenienti dalle “campagne”
con relativa tendenza a
vivere e giocare all’aria aperta. Ovviamente, prima durante
il tirocinio e poi
da interno, aveva trattato cose decisamente più serie che
andavano da patologie
più o meno gravi a ferite da aggressioni -Prion era una
colonia pacifica ma
neppure il posto più pacifico del cosmo, finché
ci fosse stato il libero
arbitrio, sarebbe mai stato esente dal crimine- e incidenti.
Qualche
incidente era successo anche a persone che conosceva di
vista, e il caso più eclatante era stato conseguenza di un
rally clandestino
nel quale erano stati coinvolti cinque suoi ex compagni di studi: uno
aveva
perso il controllo finendo addosso a un altro, e da lì si
era creato un
tamponamento a catena che aveva coinvolto una dozzina di persone. In
quel caso
Nickel ricordava di aver sbuffato il giusto per la loro incoscienza
-“Siamo a
Prion, non a Velocitron!”- ma ovviamente aveva prestato la
sua opera di chirurgo
senza battere ciglio.
“Chirurgo”
appunto. Quella era la branca che le piaceva e nella
quale si era specializzata, non si poteva essere medici esperti di
tutto. Di
solito, a parer suo, chi cercava di essere esperto in tutto finiva con
l’essere
esperto in niente.
“Quindi
la domanda è: perché sono stata richiesta nel
reparto
psichiatrico?” pensò, mentre l’ascensore
la portava al quarto piano della
clinica.
I
suoi punteggi negli esami iniziali l’avevano resa idonea a
poter scegliere praticamente qualsiasi cosa nel momento in cui aveva
dovuto
decidere quale sarebbe stata la sua specializzazione, dunque se avesse
voluto
avrebbe potuto scegliere di studiare da mnemosurgeon e lavorare come
tale, ma
non l’aveva fatto. A voler essere del tutto onesta riteneva
l’idea piuttosto
spaventosa: nessuno secondo lei avrebbe dovuto poter agire sul
processore
altrui ai livelli in cui operavano i mnemosurgeon. Riconosceva la loro
utilità
medica in determinati casi ma era inquietata lo stesso da quelle
pratiche.
Quando
le porte dell’ascensore si aprirono trovò ad
accoglierla
proprio il caporeparto di psichiatria, il che rese tutto ancora
più bizzarro.
«Oh,
eccola qui. Mi fa piacere che sia stata così celere,
dottoressa».
«Che
mi abbia voluta qui è talmente strano che non potevo fare
altro se non sbrigarmi» replicò Nickel
«Serve aiuto con un paziente?»
Il
caporeparto annuì. «Possiamo dire di
sì, anche se in realtà è
più un tentativo… inutile a prescindere
ahimè ma quando si fa un giuramento…»
disse, più a se stesso che a lei «Le
spiegherò mentre andiamo».
Il
reparto di psichiatria non somigliava a una brutta prigione
sotterranea, c’era il giusto grado di spazio e di
illuminazione, però Nickel si
sentiva a disagio lo stesso chiedendosi quante stanze fossero occupate
e per quali
motivi. Certi casi richiedevano tempo e più di una seduta
oltre che aghi nel
cervello.
«Il
fatto è che la mnemosurgery può molto»
esordì lo
mnemosurgeon «In certi casi direi che può
moltissimo, ma non è la panacea che
vorremmo. Scintilla e processore, la scienza dice che siamo tutto
lì ma avendo
alle spalle una carriera piuttosto lunga ho imparato che purtroppo
certe ferite
riescono ad andare oltre. Lei crede nel concetto di
“anima”, dottoressa?»
«Onestamente
non so risponderle… e non capisco ancora perché
sono qui» replicò Nickel, sempre meno tranquilla
«Vuole fare un tentativo
inutile a prescindere riguardo cosa?»
«Lei
conosce il signor Copper, giusto? Un mese fa era entrato in
clinica quale inserviente ».
Sentire
quel nome sorprese non poco Nickel. «Sì, lo
conosco, per
un po’è stato anche un mio compagno di
studi».
Aveva
conosciuto il minicon in questione nel primo anno dei suoi
studi di medicina, iniziando presto a ritenerlo non un amico ma un
conoscente con
cui fare quattro chiacchiere e parlare delle lezioni. A un certo punto
aveva
avuto l’impressione di piacergli in quel
senso ma, alla fine del primo vorn di studi, Copper aveva abbandonato
il corso
e si erano persi di vista, reincontrandosi solo un mese prima proprio
in
ospedale.
A
Nickel non era dispiaciuto incontrarlo di nuovo, per qualche
giorno avevano parlato del più e del meno e avevano bevuto
insieme dell’energon
caldo durante le pause… finché lui, a un certo
punto, l’aveva guardata nelle
ottiche e le aveva detto quanto gli fosse sempre piaciuta e gli
piacesse
ancora. Nickel aveva ritenuto opportuno chiarire di essere felicemente
fidanzata, eppure Copper il giorno dopo si era procurato in qualche
modo il suo
indirizzo e le aveva mandato dei fiori a casa. Una faccenda per lei a
dir poco
imbarazzante, specie perché Bustin era stato presente alla
consegna.
“Ti giuro che ha
fatto tutto da solo! Io ci ho solo chiacchierato durante le pause, e
quando si
è dichiarato io gliel’ho detto che sono fidanzata,
gliel’ho detto chiaro e
tondo a quel deficiente! E tantomeno gli ho dato
l’indirizzo!... come gli è
venuto in mente di mandarmi dei fiori?!”
“Un po’lo
capisco:
qualunque persona dotata di buon gusto in fatto di femme ti manderebbe
dei
fiori”.
“Bustin, non
è
divertente. È una cosa imbarazzante e non capisco come tu
possa prenderla in
questo modo! Cazzo, se un’altra ci provasse con te in questo
modo le farei
ingoiare una chiave inglese!”
“Non dico che quel
che è successo mi piaccia, però so anche di non
avere niente da temere. Non
avrebbe molto senso farti una scenata di gelosia perché
qualcuno ti ha mandato
dei fiori che tu neanche volevi”.
Per
fortuna Bustin era una persona ragionevole e aveva una
fiducia assoluta -e ben riposta- in lei, dunque su quel fronte non
c’erano
stati problemi, e il giorno successivo Nickel aveva avuto una
conversazione
piuttosto dura con Copper. Era riuscita a farlo desistere, ma lui non
le aveva
più rivolto la parola e da lì in poi si erano a
malapena incrociati. Nulla di
male: due chiacchiere durante le pause non valevano tanto stress.
«Ecco.
Dunque forse si sarà fatta qualche domanda sul
perché sia
assente da quasi una settimana?...» le domandò il
professore.
«È
assente? No, non mi ero accorta, eccetto che nei primi giorni
non abbiamo più avuto a che fare uno con l’altra,
ma non capisco...»
Si
interruppe facendo un collegamento che, nonostante la
stupidità dimostrata dal suo ex compagno di studi, mai
avrebbe desiderato o
pensato di trovarsi a fare.
«Non
mi vorrà dire che Copper si trova qui?»
L’altro
minicon, molto serio in volto, annuì.
«È stato trovato
in uno dei quartieri di periferia della nostra cittadina. Si aggirava
lì in uno
stato confusionale gravissimo e di aggressività a livelli
bestiali, dal quale
non si è ancora ripreso, gridando parole assolutamente prive
di senso».
«M-ma
cosa… come?»
allibì Nickel «Com’è
successo?! Se ne sa qualcosa?»
Il
caporeparto scosse la testa. «Nessuno ha la minima idea di
come sia successo, dove sia successo di preciso e perché.
Nessun medicinale ha
funzionato e i nostri migliori mnemosurgeon, tra i quali posso
annoverarmi senza
falsa modestia, non sono ancora riusciti a cavare un aracnobot dal buco
pur
avendo già scavato più in profondità
di quanto sarebbe stato medicalmente
saggio. Tutto ciò che abbiamo trovato nella mente di quel
povero disgraziato è
stato il caos, e devo aggiungere che qualcuno dei più
giovani ad aver operato
si è anche sentito piuttosto male in seguito»
affermò «Purtroppo ho già visto
casi di transformers ridotti in questo modo, alcuni aggressivi, alcuni
in stato
vegetativo. È un fenomeno raro ma tutt’altro che
unico: quando io ho iniziato
gli studi era già conosciuto. In passato è stato
colpito anche più d’un
transformer piuttosto eminente… la prova che le malattie non
risparmiano
proprio nessuno».
L’idea
faceva sentire Nickel piuttosto destabilizzata. Era
consapevole che esistessero delle patologie difficilmente o per niente
curabili, ma non era mai piacevole sentire che un proprio conoscente
era andato
completamente fuori di testa.
«Quindi…
perché io sono qui?»
«Lei
è uno degli ultimi tentativi di penetrare la barriera di
caos e trovare qualcosa a cui aggrapparsi per iniziare a rimettere in
ordine il
processore del signor Copper. Si spera sempre che la vista di amici,
familiari
e conoscenti riesca a far scoccare quella scintilla» le
spiegò il medico.
«Immagino
che abbiate già tentato con le prime due
categorie».
«Confermo.
Abbiamo provato, nonostante io avessi capito molto
presto di cosa si trattava, perché il nostro giuramento ci
impone di fare ogni
tentativo possibile di aiutare i nostri pazienti… anche
perché, in caso di
incurabilità dichiarata, sa bene qual è la scelta
che tende a fare chi ne
assume la tutela».
«Eutanasia.
E solitamente in casi come questo non impiegano
molto a far avviare la procedura» disse Nickel, in tono
piuttosto neutro «Se i
pazienti non sono più funzionali in alcuna parte e non
c’è la neanche la minima
possibilità che tornino a esserlo
viene considerato un atto di pietà. Quindi cosa vuole che
faccia di preciso,
dottore?»
«La
stanza del signor Copper è questa» disse il
caporeparto,
indicando una porta coperta da un pannello oscurante di colore chiaro
«Tolto il
pannello, lui potrà vederla. Tutto quel che deve fare lei
è stare qui, magari
provare a chiamarlo. Si spera in una reazione diversa dal
solito…»
«Ma
non ci conta».
«No».
La
minicon esitò solo brevemente prima di dire
all’altro di
aprire il pannello, più che altro in nome di un giuramento
che aveva fatto,
come tutti i medici, e nel quale credeva.
Un
grido animalesco precedette di poco la testata che il povero
minicon impazzito e stretto in una sorta di camicia di forza diede
contro la
porta, proprio davanti a Nickel, che sobbalzò
all’indietro suo malgrado.
« N’ghftnyth
mgepnog!»
urlò il minicon «Iä!
Iä! N’ghftnyth
mgepnog!»
Era
stata preparata a quel che avrebbe visto, eppure lo
spettacolo era perfino peggio di quanto Nickel avesse immaginato. Non
c’era un
briciolo di raziocinio in quelle ottiche, riflesso del caos nel
processore, e
il resto dei movimenti scattosi del minicon e dei suoi versi
sconclusionati
mostrava solo un miscuglio di aggressività bestiale e
terrore. Decise di farsi
comunque forza e provare a chiamarlo.
«Copper-»
«Ephaiah Mgehye! Ephaiah
N’gha!» sbraitò il minicon
folle, con la visibile intenzione di cercare
nuovamente di spaccarsi la testa contro la porta o le pareti, fatte
fortunatamente di materiali adatti a evitarlo «Ahhai
nilgh’rishuggogg ephaiah uh’eor Chhaos…»
Nickel
provò a chiamarlo ancora e ad attirare la sua attenzione,
senza risultato: lui continuò a gridare e ringhiare i suoi
strani versi, che in
certi punti le sembravano quasi somigliare a parole vere e proprie in
una
lingua sconosciuta.
«Come
immaginavo e temevo» disse lo mnemosurgeon, cupo
«Nessunissima differenza. Ha fatto il suo, dottoressa,
può andare».
Nickel
non se lo fece dire due volte, desiderosa solo di
allontanarsi, e si congedò con un breve cenno
d’assenso raggiungendo l’ascensore
più velocemente che poteva. Non poteva fare assolutamente
niente per il suo ex
compagno di studi, restare ancora lì era inutile e sperava
di riuscire ad
allontanare dalla testa quel pensiero proprio come aveva imparato ad
allontanare dalla propria sfera emotiva i dolori e le miserie dei suoi
pazienti: era necessario farlo -in una certa misura- per evitare di
consumarsi
dietro la sofferenza altrui.
«…
N’ghftnyth,
h’Uaaahgof’n ng f’Gof’nn ephaimgahnnn ngluii!» sentì urlare ancora il
disgraziato ex inserviente «Ng h' ephaiah ephaii yar ot Mgepogor R'luhhor!
N’ghftnyth! N’gha!
N’gha! N’ghaaaaa!»
***
La
prima cosa che fece Nickel quando rientrò a casa svariate
ore
dopo fu dirigersi verso il mobile bar e servirsi un cubetto di energon
extra
forte, come faceva spesso dopo giornate particolarmente pesanti, e
quella indubbiamente
lo era stata. Col passare delle ore aveva concluso che avrebbe superato
abbastanza presto la faccenda di Copper, ma vedere un minicon in quelle
condizioni non era
stato gradevole.
Sentì
i passi di Bustin a poca distanza da lei, e pensò che non
essere da sola in casa era più che consolante in certi
momenti.
«Bentornata.
Giornata dura?»
«Abbastanza»
disse la minicon, svuotando il cubetto con un lungo
sorso, per poi sospirare. «Hai presente Copper?»
Bustin
la guardò con aria interrogativa. «Chi?»
«Il
cretino che mi ha mandato dei fiori».
«Ah,
lui! Mi avevi detto che avevi chiarito, è venuto a darti
noia di nuovo? So che sei abituata a risolvere certe cose da sola ma se
serve
aiuto dimmelo».
«No,
non mi serve aiuto, non credo che possa più darmi fastidio
ormai. Vedi, lui…» sospirò nervosamente
«È in psichiatria al momento, e il
caporeparto è piuttosto convinto che non ci sia speranza, e
dopo averlo visto
ne sono abbastanza convinta anche io».
«In
psichiatria? Sul
serio?» si stupì Bustin «Che gli
è successo?»
«L’hanno
trovato a vagare impazzito in periferia. Io l’ho visto
perché in casi come quello sperano sempre di
“smuovere” qualcosa nei processori
dei pazienti facendo vedere loro gente conosciuta»
spiegò rapidamente Nickel
«Ci avevano notati mentre eravamo insieme al bar della
clinica, prima che lui
si dichiarasse e tutto il resto, quindi hanno pensato che
magari… ma è stato
inutile. Continuava a urlare cose incomprensibili e cercare di rompersi
la
testa».
«Mi
spiace sia per quel povero disgraziato sia per te che l’hai
visto così. Quasi quasi bevo un po’di extra forte
anche io, qui ci vuole» disse
Bustin, servendosi un cubetto come quello di Nickel «Hanno
una vaga idea del
perché sia messo così? Una malattia, dei traumi,
non so…»
«Se
si fosse trattato di quello avrebbero potuto risolvere con
le medicine o con la mnemosurgery. Il caporeparto ha fatto un discorso
che
tirava in ballo le ferite dell’anima o roba del genere, poi
mi ha chiesto se
credo al concetto di anima e…» sbuffò
«Da un uomo di scienza non me l’aspettavo,
anche se effettivamente, con quel che ha visto e che ho
visto…»
«Riguardo
il concetto di anima cosa gli hai risposto?»
«La
verità, ossia che non lo so. Però lo vedo
più come un concetto
organico, noi siamo processore e Scintilla, sono quei dati che si
riuniscono
all’Allspark, il tutto volendo pensare che abbiano ragione i
neoprimalisti e
che quindi l’Allspark esista» disse Nickel
«Tu invece che pensi?»
«Che
è inutile farsi domande su concetti che non possiamo
comprendere. Per quanto ne sappiamo, Primus, Unicron, noi stessi e
tutta la
compagnia potremmo essere solo un lunghissimo sogno di qualcuno e
niente di più».
La
minicon alzò gli occhi al soffitto. «Una risposta
strana come
questa dovevo aspettarmela. Adesso che ho parlato di tutta questa cosa
però mi
sento meglio».
«Sono
qui apposta».
«Pensare
che io ho iniziato a lamentarmi appena sono tornata e
non ti ho nemmeno detto
“ciao”…»
«Sei
ancora in tempo!»
Nickel
sorrise. «Hai talmente tanta pazienza e sei così
carino
con me che a volte mi domando se sei vero».
Bustin
le prese una mano con delicatezza e l’accarezzò.
«Sono
dell’idea che la mia parte migliore e più vera sia
proprio tu e tutto quel che
ti riguarda, Nickel. Comunque, sei ancora dell’idea di uscire
questa sera?»
«Usci-ah,
già! Avevamo detto di andare al Crawling Mist
insieme»
ricordò lei «Sì. Sì,
possiamo andare, credo che uscire un po’mi farà
solo
bene».
«Domani
poi siamo a casa tutti e due, quindi se ci gira bene
possiamo anche fare chiusura!»
«Un’altra
volta?!» esclamò Nickel,
“disperata” ma solo per modo
di dire dato che il locale e il tipo di clientela non le dispiacevano
«O beh,
basta non finire entrambi a ballare sopra il bancone del bar di nuovo…»
«Quello,
sempre se ci gira bene, succederà di sicuro!»
«Perlomeno
stavolta lascia a casa la vuvuzela, altrimenti-»
«“Altrimenti”
me la rubi un’altra volta per soffiarci dentro
mentre balli?»
Nickel
gli lanciò un’occhiataccia. «Prima che
ci mettessimo
insieme queste cose non succedevano, ero una persona seria, TU mi hai traviata».
«Sì,
l’ho fatto!» annuì Bustin «Io
vado a prepararmi».
«Non
metterci due ore come tuo solito!... e per fortuna che
dovremmo essere noi femme a stare in bagno
un’eternità» commentò Nickel,
vedendolo sparire su per le scale.
Buona
parte della giornata forse era stato pesante ma, per sua
fortuna, c’era qualcuno che era sempre pronto ad alleggerire
la sua esistenza.
Bustin
era carino, premuroso, comprensivo, intelligente, tranquillo,
piaceva ai suoi genitori, avevano una bella casa e avevano entrambi una
carriera ben avviata: sarebbe stata l’atmosfera perfetta per
diventare compagni
di vita e di mettere su famiglia, idea che lei aveva già
tirato fuori in più di
un’occasione, soprattutto da quando il tirocinio era finito.
Lui non era ancora
molto convinto, ma Nickel era sicura che avrebbe capito a sua volta che
potevano davvero permettersi di farlo… prima o poi.
Spingendo
in fondo al processore i pensieri negativi, le persone
che non poteva aiutare e le parole che non poteva comprendere,
andò a
prepararsi a sua volta immaginando un futuro sereno e felice col suo
bel lavoro,
il suo amato compagno e i loro futuri figli nella colonia di Prion.
Cosa sarebbe
mai potuto andare storto?
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Capitolo 4 *** Carpe Diem ***
Carpe Diem
«Cosa
cazzo prende adesso a questo coso?!» sbottò
Nickel, guardando sconfortata la schermata blu del suo datapad munito
di
tastiera olografica.
La
povera minicon iniziò a scuotere
il dispositivo sperando in un miracolo che risolvesse il suo problema.
Era
andato tutto benissimo durante le lezioni del mattino, ma adesso che aveva
riacceso
il datapad per studiare i suoi testi e i suoi appunti sui tessuti
connettivi
tecnorganici -oltre ad approfondirli con varie ricerche così
da ottenere un
buon voto all’esame che avrebbe dovuto dare a giorni-
riusciva a vedere solo la
dannata schermata blu, per quante volte avesse provato a spegnere e
riaccendere.
Sempre
più sconsolata, poggiò la
testa sopra il datapad con uno sbuffo. Si trovava in un luogo pubblico,
per la
precisione nel bar di quello che in termini terrestri sarebbe stato un
grande
campus universitario, ma non si curava di nascondere la frustrazione:
quel
tavolino ormai le era diventato familiare quanto la sua stanzetta
singola nel
dormitorio, e comunque era normale veder aggirarsi nel campus persone
infinitamente più isteriche di quanto lei fosse mai stata.
Sentì
qualcuno schiarirsi la voce a
pochissima distanza da lei.
«A
volte i datapad fanno scherzi poco
simpatici, ne so qualcosa anche io».
Dopo
aver aggrottato un attimo la
fronte, Nickel sollevò rapidamente la testa dal tavolo e
alzò lo sguardo,
trovandosi a incrociare i due candidi ovali fatti interamente di pixel
che
erano al posto dei sensori ottici del suo interlocutore; un dettaglio
bizzarro,
al punto che impiegò qualche istante prima di riuscire a
distogliere le ottiche
e vedere il resto.
Di
altezza considerevole, accentuata
dalla postura dritta di spalle e schiena, il minicon che le aveva
parlato
presentava un design carino, estremamente semplice e
perlopiù rotondeggiante.
Il corpo bianco era parzialmente coperto dal grembiule con il logo del
bar e,
mentre un braccio era ripiegato dietro la schiena, l’altro
sorreggeva un
vassoio con sopra il cubo di energon liscio che lei aveva ordinato poco
prima.
Nickel notò solo di sfuggita la targhetta - recitava
“Bustin”- appuntata al
lato sinistro del grembiule, perché in breve tempo la sua
attenzione venne
catturata nuovamente dal volto, che comprese essere del tutto celato da
una
maschera. Ciononostante non era inespressivo, anzi, grazie ai pixel le
stava sorridendo.
«Credo
che il caso peggiore che ho
visto sia stato quello di un pad “finito in mano a delle
scimmie elettriche che
lo hanno usato per andare in siti sadomaso discutibili”: mai
visti tanti virus
in un solo sistema. Dovevano essere bestiole davvero terribili... o una
scusa pessima»
proseguì il minicon, poggiando sul tavolino un tovagliolo di
carta e poi il
cubo di energon.
«Probabilmente
era la seconda» disse
Nickel, con la sensazione che la lingua si fosse mossa prima di
interpellare il
suo processore «A meno che le scimmie elettriche si stiano
segretamente
organizzando per conquistare Prion a colpi di frustino e astronavi
ignoranti e
cercassero ispiraz… ma che sto dicendo?!»
esclamò, coprendosi il viso con una
mano mentre Bustin rideva di gusto «Ignorami, è lo
stress da esame imminente,
non so quello che-»
«Questa
cosa delle scimmie malvagie
armate di frustino va dritta nel prossimo capitolo della mia fanfiction
su
Wallop Prion Ranger, te lo dico».
«Fanfiction
su Wallop? Sei serio?!»
esclamò Nickel, sgranando le ottiche.
Quella
conversazione era diventata abbastanza
strana, eppure non aveva voglia di concluderla e anzi, dopo
l’impatto iniziale
si sentiva curiosamente più a suo agio di quanto avrebbe
dovuto sentirsi nel
parlare di scimmie sadomaso e fanfiction con un semi sconosciuto in un
luogo
pubblico.
«Ha
una trentina di recensioni a
capitolo» annuì Bustin «Si chiama
“Le nuove avventure di Wallop”, la trovi
facilmente in rete».
«Col
titolo non hai avuto molta
fantasia ma se il tono della storia permette di infilare le scimmie hai
compensato con la trama, immagino» commentò Nickel
«Quindi… se ho capito bene
tu forse sai sistemare questo coso?» domandò a
Bustin indicando il datapad «Sei
nella facoltà di tecnica?»
«Quinto
livello su sette» confermò
lui «Tu?»
«Secondo
livello di medicina».
«Capisco.
Quella è bella tosta, la
maggioranza di studenti stressati che capitano qui ha un esame di
medicina in
ballo».
«Come
me tra pochi giorni, e il mio
pad si è rimbecillito» sbuffò Nickel
«Ora immagino che farai uno dei vostri
strani numeri da tecnici inaccessibili ai comuni mortali?»
Parole
che erano uscite fuori in modo
molto più acido di quanto avrebbe voluto, e se ne
rammaricò un po’: nonostante
il mettersi in mostra degli studenti di tecnica fosse una tendenza
reale -e
abbastanza fastidiosa- all’interno del campus,
l’atteggiamento di Bustin non
era stato da “spostati e lascia fare al genio”.
“Per
fortuna però non sembra
essersela presa… anche se forse in realtà da
sotto la maschera mi sta guardando
malissimo” pensò la minicon.
«Credo
che sia sufficiente dirti di
spegnere il datapad, rimuovere il disco di archiviazione esterna che
noto
essere inserito e poi riaccenderlo» disse lui, con perfetta
calma, per poi
attendere che lei seguisse quelle semplici istruzioni «Questo
modello ha un
difetto di fabbrica che, se c’è un supporto
esterno inserito, lo porta a
cercare lì il sistema
operativo nel
momento dell’accensione, solo che il sistema operativo nel
supporto esterno non
c’è, dunque dà la schermata blu di
errore. Non è niente di grave, perché non
succeda più basta ricordarsi di inserire
l’archiviazione esterna dopo aver
acceso il datapad».
«O
cambiare datapad direttamente»
aggiunse Nickel, osservando lo schermo del dispositivo che era tornato
a essere
perfettamente funzionante.
Bustin
fece una breve risata. «Anche,
ma forse è un po’drastico».
«Sì.
Già. Grazie per l’aiuto» disse
la minicon «Non ero sicura che avresti… sai, dopo
ciò che ho detto prima su
quelli di tecnica…»
«La
tendenza a mettersi in mostra ce
l’hanno in tanti, è la verità. Io
comunque ho pensato che dicendoti come
risolvere il problema ti avrei lasciato qualcosa di più
concreto rispetto a uno
“U-A-U! Chissà come ha fatto”. Se mai
dovesse servirti una mano in futuro,
tieni a mente che da oggi sarò sempre di turno a
quest’ora. Prima ero qui di
sera».
“Ecco
perché non l’avevo mai visto”
comprese Nickel. «Anch’io. Ehm. Non nel senso che
sono di turno qui, nel senso
che a quest’ora sono sempre qui anche io, di solito per
studiare».
«Quindi
ti vedrò spesso. Ne sono felice,
ragazza di cui non conosco ancora il nome!»
«Nickel».
«Nickel»
ripeté il minicon «Adesso so
che nome devo mettere nelle note dell’autore del prossimo
capitolo. Per l’idea
delle scimmie, sai».
«NO!
No, non c’è bisogno, te la regalo,
davvero… e non ridere!» esclamò,
restando
inascoltata.
«Va
bene, diventerai famosa un’altra
volta. Se serve qualcosa chiamami, Nickel» concluse lui
«Il cartellino col nome
l’hai letto».
“Direi
che abbia notato che l’ho
squadrato da capo a piedi” pensò la minicon.
«Va bene» disse, osservandolo
girare sui tacchi per tornare verso il bancone «…
una volta finito il turno che
programmi hai?»
Ancora
una volta la lingua era
partita da sola ma, contrariamente a prima, in quel caso
scoprì che il suo
processore era del tutto d’accordo. In fin dei conti
perché non avrebbe dovuto?
Il design della corazza di Bustin era carino e lui sembrava un tipo
particolare, dunque non c’era niente di male a cogliere
l’attimo e chiedergli
di uscire: era un semi sconosciuto, ma uscire serviva proprio per
conoscersi.
Se
poi lui avesse detto di no, pace…
ma il modo in cui si era comportato le faceva dubitare che la risposta
sarebbe
potuta essere negativa.
«Nulla
di cui non possa fare a meno»
disse infatti Bustin «Stacco tra un paio
d’ore».
«E
io me ne sarei andata tra un paio
d’ore una volta finito qui» sorrise Nickel,
indicando il datapad.
«Perfetto
direi!»
Rimasti
d’accordo così, Nickel poté
iniziare a concentrarsi sui tessuti connettivi tecnorganici mentre
beveva dal
cubo di energon con una lunga cannuccia. Le due ore passarono molto in
fretta,
talmente in fretta che le parve che fossero passati solo venti minuti.
A volte
il tempo diventava proprio una cosa strana.
Uscirono
fuori dal locale insieme, e
Nickel concluse che fosse carino anche senza il grembiule.
«Pensavo di fare una
passeggiata…»
«Va
benissimo» sorrise Bustin.
«Non
so se lo sai ma in una strada
qui vicino c’è un chiosco che serve energon
all’azoto liquido, è buonissimo,
potremmo passare da lì se… ehi» Nickel
aggrottò la fronte «Che succede?»
Fino
a un istante prima il rumore del
chiacchiericcio li aveva circondati, ma adesso attorno a loro era
calato un
silenzio tombale, e le persone sembravano essersi immobilizzate,
cristallizzate
nelle azioni che stavano compiendo appena prima che tutto si fermasse.
Da
familiari che erano, i volti dei
minicon che Nickel riusciva a scorgere si stavano trasformando,
diventando
sempre più grotteschi al punto di somigliare a una maschera
di loro stessi;
strade che conosceva a menadito si distorsero e si riempirono di ombre
scure,
le luci artificiali iniziarono a lampeggiare velocemente e gli edifici
ad
alzarsi e incurvarsi, incombendo su tutti loro, mentre i colori di
tutto
l’ambiente circostante degradavano nello loro versioni
più marce e disgustose.
«Bustin,
lo vedi anche tu?!...»
esclamò, voltandosi verso di lui e toccandogli un braccio
«Bus-»
Il
braccio di Bustin cadde a terra
con un rumore sordo, e di seguito il resto del corpo del minicon
iniziò a
tremolare per poi andare a pezzi. A quel punto lei lo vide chiaramente:
le parti
più grandi dei resti dell’altro minicon erano
fatte dello stesso materiale di
cui erano fatti certi giocattoli e bambole particolarmente realistiche.
L’ultima
cosa a cadere fu la testa,
che rotolò andando a cozzare contro un piede di Nickel e
fissandola con un
sorriso vacuo sul visore rovinato da una crepa.
Nickel
gridò.
«Nickel…»
«No,
no, no-»
«Nickel?»
«NO!...»
Totalmente
sveglia ma ancora
perseguitata dalle immagini del suo incubo, Nickel si trovò
seduta sul letto a
tremare leggermente, con gli occhi sgranati dalla paura.
Stavolta,
contrariamente a quando
aveva sognato la creatura mostruosa, Bustin era vicino a lei e la
guardava con
aria preoccupata, ma la cosa la tranquillizzò solo fino a un
certo punto.
«Tu
sei vero, giusto?»
riuscì a farfugliare «Non sei fatto di pezzi di
bambola, giusto?»
«L’ultima
volta che ho controllato
era tutto normale» disse Bustin, accarezzandole la testa
«Qualunque cosa tu
abbia visto era solo un incubo».
«Era
iniziato bene, ho rivissuto il
nostro primo incontro esattamente com’è
andato» raccontò Nickel, ancora agitata
«Poi siamo usciti dal locale, stavamo per andare a fare la
passeggiata e…»
Non
aveva voglia di aggiungere altro,
quindi si zittì e si strinse nelle coperte. Quando Bustin la
abbracciò fu
sollevata di sentire che effettivamente era fatto di metallo vero.
«Questo
conferma quel che avevamo
capito un bel po’di tempo fa: tu, gli horror appena prima di
andare in
ricarica, no» disse il
minicon con
semplicità.
«Con
tutto quello che vedo in clinica
è assurdo che mi facciano un effetto simile!»
sospirò lei «Sono ridicola».
«Non
sei ridicola, ognuno è fatto
com’è fatto» affermò Bustin
«Adesso che abbiamo avuto la conferma, sappiamo
cosa è meglio evitare».
«Sì…
direi» mormorò Nickel «Torniamo
a dormire, o almeno a provarci. Per fortuna che ci sei tu e non sono da
sola»
si lasciò sfuggire addirittura.
«Sicura
che sia una fortuna? Sono
stato parte del tuo incubo».
Borbottando
un “Non dire sciocchezze”
convinto al cento per cento, Nickel si sdraiò e si
raggomitolò contro di lui
sulla cuccetta. Avrebbe impiegato un po’per tornare in
ricarica ma era convinta
che ci sarebbe riuscita: sapeva di essere al sicuro.
Immagino
abbiate che creduto che
questo capitolo fosse senza stranezze. Consolatevi, fino a un certo
punto ci ho
creduto anche io, la mia intenzione era raccontare il loro primissimo
incontro
(cosa che effettivamente ho fatto) e basta, complice il fatto che la
cronologia
di questa storia sia svaccata (…ho davvero scritto svaccata?)
Solo
che poi, che dire, eccoci.
Grazie a chi legge e a
chi recensisce
<3
|
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Capitolo 5 *** Amicus Omnibus, Amicus Nemini ***
In
precedenza avevo detto che i capitoli sarebbero stati messi
in modo abbastanza casuale a livello cronologico; finora sono andata
abbastanza
in fila, mentre il capitolo che vi apprestate a leggere è
precisamente un
esempio di ordine cronologico random. L’episodio che narro
qui si svolge prima
di tutti quelli che avete già letto, precisamente poco prima
che i nani
andassero a convivere. Non aspettatevi particolare azione o
inquietudine, qui
si parla della famiglia d’origine di Nickel :) buona lettura!
Amicus
Omnibus, Amicus
Nemini
Se
il desiderio era quello di trovare nell’Universo qualcosa di
costante, il primo pensiero di Nickel correva sicuramente alle campagne
di
Prion.
Benché
nella colonia fossero presenti più aree urbanizzate che
rurali, non erano pochi i minicon che vivevano felicemente in queste
ultime tra
fiumi di olio, fauna che svariati dei minicon più
“cittadini” non avevano mai
visto e piante tecnorganiche che di solito erano tanto decorative
quanto delle
possibili fonti di cibo. I frutti non erano fatti dello stesso
materiale dei
frutti organici presenti su altri pianeti -frutti che loro in quanto
mecha non potevano
neanche assaggiare- ma lei era sicura che a livello di sapore fossero
migliori
degli altri, soprattutto quelli del
frutteto della sua famiglia, creato qualche generazione addietro e che
la
maggioranza dei suoi parenti contribuiva a mandare avanti; e proprio
suddetti
parenti erano il motivo per cui lei e Bustin stavano percorrendo le
strade
strette di quei luoghi.
Sebbene
Nickel si fosse trasferita in città da qualche tempo per
studiare medicina -con profitto: aveva sempre dato in tempo tutti gli
esami e le
restava solo un di livello per avere il titolo- riteneva ancora molto
importanti
i legami con la propria famiglia. Era stata cresciuta con valori
“tradizionali”
che si erano ben radicati nella sua personalità e allo
stesso tempo con la
consapevolezza di due cose: che sarebbe stata sempre libera di
scegliere la
propria e strada e che, qualunque essa fosse stata, aveva tutte le
capacità per
intraprenderla.
La
sua gratitudine per questo era infinita, perché venendo a
contatto con altre persone aveva scoperto che erano cose
tutt’altro che
scontate. Altre persone non potevano dare per scontato neanche il fatto
che la
propria famiglia desiderasse il meglio per loro.
“Il
che, in questo caso, significa mettere Bustin sotto esame”
pensò, poggiando la nuca contro il sedile.
Aveva
parlato presto di Bustin ai propri genitori che, sapendola
una persona di buonsenso e dunque senza la tendenza a frequentare
brutte
persone, erano stati felici per lei nel sentirla usare termini tanto
entusiastici nel corso del tempo.
Adesso
però si prospettava un inizio di convivenza
all’orizzonte, segno che le cose si stavano facendo
particolarmente serie,
quindi l’intera famiglia -composta da genitori, nonni, nonne,
undici zii in
tutto, sette prozii e i vari cugini che non si erano trasferiti altrove
su
Prion- desiderava conoscerlo, e Nickel si sentiva piuttosto in ansia.
«“Cause the eyes of a
ranger are upon youuuuu, any wrong you do he’s gonna seeee!”…»
Bustin
invece cantava a squarciagola la sigla di Wallop Prion
Ranger mentre era alla guida.
Probabilmente,
pensò Nickel, lei si stava sentendo in ansia
anche al posto suo. Sperava che andasse tutto bene, e da un lato
pensava
“Perché non dovrebbe?”, ma Bustin, pur
non essendo stato il suo primo partner,
era il primo presentato alla famiglia.
Aveva
già deciso che sarebbe rimasta con lui anche se i suoi
nonni per qualche ragione avessero iniziato a lanciargli contro la
frutta -sua
la vita, suo il compagno, sua la scelta- però avrebbe
preferito che tutti
piacessero a tutti.
«…-ntenta
di tornare a casa».
«Mh?
Non mi ero accorta che stessi parlando, scusami» disse la
minicon «Dicevi?»
«Credevo
che fossi contenta di tornare a casa, però mi sembri
più che altro pensierosa. Lo sei stata per tutto il
viaggio» disse Bustin.
«Io
sono contenta infatti. È che prima d’ora non
avevano mai
voluto conoscere nessuno dei ragazzi con cui sono stata, te
l’ho detto» rispose
lei «D’altra parte con nessuno di loro è
mai durata tanto da voler andare a
convivere. A proposito, tu sei proprio sicuro-»
«Sarei
felice di dividere con te quella che diventerebbe la
nostra casa, te l’ho già detto più
volte. Se non fossi stato sicuro non ne
avrei nemmeno parlato» replicò lui, capendo dove
Nickel voleva andare a parare
«Piuttosto, non è che quella poco convinta sei
tu?» aggiunse poi, in tono divertito.
«Che?!
Io sono convinta eccome, altro che “poco”! Io voglio vivere con te!»
ribatté la
minicon «Mi chiedo solo se tu ti renda conto di quel che
vorrebbe dire dividere
ogni giorno il tuo spazio con un’altra persona, visto che
tu…»
“Quando
ho visto casa tua per la prima volta mi è sembrata
troppo grande, e tu mi sei sembrato troppo piccolo e troppo solo
lì dentro. A
me a volte sembra grande la mia stanzetta
all’università”.
«…
sembri amare l’idea di averne molto tutto per te»
concluse
Nickel.
«Questo
non lo nego, ma tu puoi stare tranquilla: sei una
fidanzata in formato compatto, non ingombri per niente».
«A
pensarci bene credo che continuare a stare nel dormitorio
andrà benissimo!» ribatté lei, senza
però togliere la mano che Bustin aveva poggiato
sulla sua gamba sinistra «… sul serio non hai
problemi all’idea?»
«Neanche
mezzo. La strada è quella a destra?» le
domandò il
minicon, indicando un sentiero un po’sterrato e un
po’in salita.
Nickel
annuì e, una volta imboccato il sentiero, impiegarono
solo un cinque minuti per giungere a destinazione.
Casa
non era cambiata di una virgola rispetto all’ultima volta
in cui Nickel c’era stata: al centro del frutteto era
visibile un agglomerato
di case in stile rustico -per quanto “rustico”
potesse essere qualcosa
costruito da dei transformers- che si ergevano attorno a un ampio
cortile
interno nel quale la famiglia soleva radunarsi durante qualche
occasione
particolare, o semplicemente quando si poteva, facendo abbuffate
generosamente
preparate da nonne, mamma, zie e prozie. Riusciva già a
immaginare imbandito il
lungo tavolo in cortile e a sentire l’odore del cibo.
Nonché
il caos di tutto il parentado: non sapeva cos’avesse
combinato il cugino Radio, ma sapeva che gli strilli di zia Pillage
erano
potenti proprio come quando era piccola.
«Un
range vocale impressionante» commentò Bustin una
volta che
furono entrambi scesi dall’auto, ebbe preso in mano il
vasetto di fiori
cristallini che aveva portato e, con l’abilità del
cameriere, ebbe poggiato
sullo stesso braccio il vassoio di paste.
«La
cosa non sarebbe dovuta iniziare così…»
sospirò Nickel.
«Non
so molto di famiglie numerose, ma mi risulta che se non
sono rumorose c’è qualcosa che non
va. Tranquilla, dunque» disse Bustin, accarezzandole il viso.
Lei
sorrise.
«Ma
che bella coppia che siete!» esclamò una voce
femminile a
poca distanza da loro.
Voltandosi
videro una coppia di minicon, maschio e femmina,
entrambi somiglianti a lei in più di qualche tratto; che
fossero sua madre e
suo padre si capiva subito, il padre per vari particolari fisici -come
i colori
e la forma della testa- la madre perché gli occhi, le
espressioni e il modo di
muovere il corpo lilla dalle curve accentuate erano identici a quelli
della
figlia, così come la voce era molto simile.
Nickel
li salutò con un abbraccio, passando poi al motivo per
cui si trovava lì. «Lui è Bustin, il
mio fidanzato. Bustin, loro sono Cesium e
Alumina, i miei genitori».
«Sono
lieto di conoscervi» disse il minicon, stringendo la mano
prima alla madre di Nickel e poi al padre, come l’etichetta
su Prion richiedeva
«Nickel mi ha parlato molto di voi e di quanto fosse bello
questo luogo. Aveva
ragione come suo solito» aggiunse poi, con un sorriso
«Ho portato un pensiero».
La
madre di Nickel prese i fiori e il vassoio di paste. «Molto
gentile da parte tua, ma non c’era ragione di
disturbarsi…»
Nickel
notò sia lo sguardo di sua madre, sia che Bustin lo aveva
notato a sua volta.
«Due
metri e tre centimetri» disse infatti.
«Prego?
Oh! Ehm» tossicchiò Alumina «Ti chiedo
scusa, non
intendevo… è solo che per essere un minicon sei
così alto!...»
“Dopo
questo mi chiamerà Nanetta fino alla fine dei tempi, e
anche voi” pensò Nickel, alzando brevemente gli
occhi al cielo.
«Immagino
che sia normale amministrazione, vero?» domandò il
padre di Nickel, con l’aria da “ne so qualcosa,
amico, credimi” «Per me quando
ero più giovane era lo stesso, anche se non arrivavo a
tanto… uno come te
avrebbe fatto comodo prima, quando farlo a mano era il modo migliore
per
raccogliere la frutta. In parte lo facciamo ancora, è che
serve delicatezza».
«Dei
raccoglitori automatizzati di ultima generazione però si
sentono dire buone cose» osservò Bustin
«Il modello F25 con braccia estensibili
della società Atlach-Nacha, per
esempio…»
“E
lui che ne sa delle
macchine per raccogliere la frutta?!” si stupì
Nickel.
Se
anche avesse voluto dire qualcosa a Bustin non avrebbe
potuto: Cesium, entuasiasta di poter parlare
dell’attività di famiglia con
qualcuno diverso dalle solite persone, aveva iniziato un fitto discorso
-più un
monologo- con Bustin e se lo stava portando via.
«…
e da quella parte ci sono gli alberi che preferisco in tutto
il frutteto, ti faccio vedere-»
«I
ragazzi sono reduci da un viaggio abbastanza a lungo, non
sarebbe il caso di lasciarli riposare?! Tu e il frutteto,
Cesium!...» sbuffò la
madre di Nickel.
«Forse
hai ragione» ammise il minicon, un po’imbarazzato
«Mi
sono lasciato trascinare, scusate… e poi non ci sarebbe
neanche stato tempo,
tra mezz’ora si cena…»
«In
effetti si sente un ottimo profumo, signor-»
«Niente
“signor”, solo Cesium andrà
benissimo… almeno il cortile
interno glielo posso far vedere?» chiese alla moglie.
«Lo
avrebbe visto a cena, ma se ci tieni… andati»
commentò
Alumina «Povero Bustin, spero che tuo padre non lo metta
troppo a disagio».
«Ci
vuole ben altro per riuscirci» disse Nickel
«Lavorando anche
a contatto col pubblico ne vede e ne sente di ogni».
Effettivamente,
si rese conto, la sua ansia non era stata dovuta
al fatto che Bustin potesse non piacere alla sua famiglia -e
soprattutto ai
suoi genitori-: in realtà era esattamente il contrario e a
impensierirla era
l’idea che fossero loro a non piacergli e che, con la
consapevolezza che quella
non sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe dovuto avere
a che fare con
loro nel caso in cui fossero rimasti insieme, decidesse di concludere
la
relazione.
A
livello razionale però sapeva che Bustin non
l’amava così poco
da fare una cosa del genere e che non era lui il colpevole delle sue
ansie,
cercava sempre di farla stare tranquilla. Era a sua volta sempre
così
tranquillo, così carino e premuroso con lei!
Ed
era così cordiale e/o scherzoso con tutti gli altri, proprio
com’era stato con i suoi genitori, e con i frequentatori
più assidui del
Crawling Mist -il locale dove lavorava part time- si comportava sempre
in modo
molto amichevole. Era piuttosto sicura che se altri avessero dovuto
parlare di
lui l’avrebbero definito un “amico di
tutti”, solo che, a ben pensarci, lei non
l’aveva mai sentito riferirsi ad alcuno con una definizione
diversa da
“conoscente”.
Forse
era amico di tutti e amico di nessuno, e lei al momento
era il suo legame più significativo, se non
l’unico che fosse davvero
definibile tale. Forse era così
da quando era rimasto senza famiglia.
Il
pensiero che Bustin fosse molto solo -a parte lei- divenne
ancora più concreto nel suo processore, così come
la sua determinazione a far
sì che questo cambiasse. Si sarebbe impegnata
perché lui potesse iniziare a
considerare anche la sua famiglia come persone care, e in un futuro
prossimo ne
avrebbero creata anche una tutta loro.
Senza
sforzarsi troppo, Nickel riusciva già a immaginarsi
moglie, madre e medico in carriera. Le politiche della colonia di Prion
permettevano a tutti i minicon di non dover scegliere tra lavoro e
famiglia,
coppie con tre o quattro figli erano la normalità -senza che
questo rendesse la
colonia inabitabile per mancanza di spazio o di risorse- e quelle
fantasie
sarebbero diventate la realtà anche per lei e Bustin.
«Nickel?
Prion chiama Nickel, rispondi!»
«Cos…
hai detto qualcosa, mamma?»
«Pensavi
al tuo fidanzato, giusto? Sei così presa da lui…
se me
l’avessero detto, difficilmente avrei creduto di poterti
vedere così».
«Perché?
Non sono anaffettiva» disse Nickel, un po’perplessa
«E
non è il mio primo ragazzo».
«No,
ma sei sempre stata una persona con le gomme ben piantate a
terra. Perlomeno i tuoi sogni riguardano un minicon che sembra essere
beneducato… e che fa i compiti, direi»
osservò Alumina «Un tecnico e bartender
che conosce i macchinari per raccogliere la frutta non si vede tutti i
giorni.
È questo che ho detto mentre non ascoltavi. Non che a
cercare di fare una buona
impressione ci sia qualcosa di male, naturalmente».
«Può
essere che sia andata così ma non sarebbe la prima volta
che lo sento parlare di cose molto al di fuori del suo campo, e non da
ignorante» disse Nickel «Gli interessano tante
cose, si può parlare con lui di
tante cose, è anche per questo che ci sto insieme».
«Messa
così è senz’altro
interessante» riconobbe l’altra minicon
«Avremo tutti modo di conoscerlo meglio durante la cena,
immagino. Chissà che
ci sorprenda anche lì!»
***
«…
Micronus ti maledica te do un sciafon che te impituro su pal
muro, to mare putana-»
«È
anca to mare-»
«Che
te copo, Micronus can’! L’asso di bastoni dovevi
calare, Coglioneeee!»
Nickel,
con la mano sul volto e la voglia di andare a
sotterrarsi da qualche parte, allargò leggermente le dita
per occhieggiare
l’ovvia conclusione della partita a carte tra i suoi due
nonni, tre dei suoi
prozii e Bustin: insulti alla madre, minacce di morte -“Te
copo”- e maledizioni.
Ora suo nonno paterno e uno dei prozii avevano afferrato le sedie.
“Io
l’avevo detto, a mio padre, che dovevamo tenerli lontani
dalle carte” pensò Nickel.
La
cosa era degenerata piuttosto in fretta, quindi altri tre
giocatori si erano alzati ed erano tornati a bere energon extra forte,
come
stavano facendo anche la maggioranza degli zii e i cugini
più grandi -come se
durante la cena non avessero bevuto abbastanza- e Bustin, dal canto
suo,
sembrava decisamente incuriosito dallo spettacolo che stava osservando
dopo
essersi messo a distanza di sicurezza.
«Questa
era una delle cose che non dovevano succedere» disse
Nickel dopo essersi avvicinata a lui.
«Perché?»
replicò Bustin, con tono decisamente divertito
«È
bellissimo».
Il
nonno di Nickel, dopo essere salito sul tavolo, saltò
addosso
al proprio fratello con un urlo di guerra che avrebbe fatto invidia a
un
gladiatore di Kaon.
«EHI!» strillò
Nickel,
che ne aveva avuto abbastanza, andando perfino a infilarsi tra i due
litiganti
«Piantatela, voi due! Avete già dato abbastanza
spettacolo».
«Nipote,
una partita di valtti che non finisce a sediate non è
una vera partita di valtti! Giovine!» esclamò poi
il nonno di Nickel, rivolto a
Bustin «Prendi una sedia!»
«NO non prenderla! Non
ci provare» lo bloccò Nickel, vedendolo
avvicinarsi a una di esse «Torniamo
da-»
«Aiuuuuuutooooo!»
esclamò uno dei cugini di Nickel da sopra uno dei tetti del
complesso. Come
fosse finito lì era un mistero, dato che non era di tipo
volante, ma l’energon
extra forte poteva causare quello e altro.
Una
cugina di Nickel si avvicinò a Bustin. «Scusa, non
è che tu
che voli potresti tirare giù quello scemo? Ha la mania di
finire sui tetti
ogni volta che beve… e qui nessuno sa
dov’è finita la scala».
«Non
c’è problema. Non è la prima volta che
mi chiedono aiuto
per cose del genere» rispose il minicon «Al
Crawling Mist a volte succedono
cose molto più strane».
«Di
sicuro non ti capita spesso di annoiarti…»
«Non
corro proprio il rischio!» confermò Bustin,
volando
tranquillamente sul tetto.
«È
alto, è carino, vola…»
cominciò a elencare la cugina di
Nickel, guardando Bustin recuperare l’ubriaco di turno con un
po’troppa
attenzione.
«Ed
è mio» la interruppe seccamente Nickel
«E tuo marito è qui
da qualche parte».
«Quanto
te la prendi!» sbuffò l’altra
«Se non volevi che la
gente guardasse il tuo ragazzo potevi prenderne uno un
po’meno interessante.
Rispetto ai minicon che conosco ha visto così tanto...
lui sì che ha argomenti interessanti di cui
parlare a
cena!»
Nickel
su quel punto non poteva dare torto alla cugina. Era
indubbio che Bustin rispetto alla media dei minicon avesse visto varie
città
non solo di Prion, ma anche di Cybertron, comprese
città-Stato satelliti quali
Nova Chronum e Praxus, ovviamente per lavoro e da prima di conoscere
lei
durante gli studi in facoltà.
Aveva
raccontato parecchie storie interessanti, alcune delle
quali conosciute, altre inedite anche a lei, e per tutto il tempo era
riuscito
sia a sostenere la conversazione -il fuoco
incrociato- e la curiosità di nonne, zie e prozie,
sia a guidarla, almeno a
tratti. Nickel aveva sperato che ne fosse in grado, perché
oltre che curiose le
donne della sua famiglia erano anche testarde, ma Bustin, quando lei
l’aveva
avvertito riguardo i soggetti che avrebbe incontrato, l’aveva
rassicurata
dicendole di avere sufficiente esperienza con quel tipo di persone -
“E con le
folle in genere”, aveva aggiunto, di certo riferendosi a
quelle nel locale.
«Dovresti
portarlo qui più spesso, Nicole!» si intromise zia
Pillage.
“Nickel.
N- i- c- k- e- l. Possibile che si sbagli ancora?!”
pensò la minicon.
«Finalmente
qualcuno che fa davvero onore alla tavola: l’ultima
volta che ho visto qualcuno mangiare così è stato
quando tuo nonno aveva sul
groppone vari vorn in meno» continuò la zia
«Sono queste le persone
per le quali fa piacere cucinare!»
“La
notte scorsa era di turno nel locale, quando è
così spesso il
giorno dopo mangia cinque volte più del solito. E anche
normalmente non è che
mangi come un lilleth” rifletté Nickel.
«E
a me fa piacere mangiare! Ecco qua» disse Bustin, posando a
terra il cugino del tetto.
«Radio!
Ovvio che eri tu, e chi altri?!» sbuffò zia
Pillage
«Grazie» disse, andandosene via trascinando con
sé Radio e seguita a ruota dall’altra
cugina.
Stavolta
ad avvicinarsi con passo un po’incerto fu il padre di
Nickel. «Allora, stavamo dicendo, quegli alberi del
frus… del frupp… del
frutteto, ecco, quegli alberi del-»
«Babbo,
vai in casa e mettiti a dormire, sei un po’troppo
brillo» sbuffò Nickel «Forse qualcuno
dovrebbe riportarti dentro…»
«Se
serve vai pure, io ti aspetto qui» le disse Bustin, e lei si
allontanò assieme al padre.
Notando
Bustin da solo, Alumina lo raggiunse con un cicchetto di
energon extra forte per uno. «Vuoi?»
«Volentieri,
grazie» sorrise il minicon «È proprio
una bella
serata, mi sto divertendo molto. Purtroppo Nickel mi ha impedito di
unirmi alla
battaglia con le sedie, sarà per un’altra
volta».
«Alcuni
dei mech di questa famiglia prendono il valtti molto sul
serio. Allora, Nickel mi ha detto che avete accettato
l’invito a passare qui la
notte».
«È
così. Il viaggio da qui alla città è
piuttosto lungo, credo
che per lei potrebbe essere stancante. Siete molto gentili a
ospitarci… o forse
è meglio dire ospitarmi: per Nickel questa è e
sempre sarà casa sua. E a breve
anche casa mia diventerà “nostra”. Sono
stato felice quando gliel’ho chiesto e
mi ha detto di sì».
«Immagino,
immagino!» sorrise Alumina «Credo che sia molto
emozionata, anche perché per lei è la prima
volta».
«Anche
per me lo è, sarà una bella avventura per tutti e
due».
«Sai
che invece per qualche motivo davo per scontato che tu ci fossi
già passato? Sarà che hai avuto una vita
piuttosto piena di esperienze, più di
quante ne abbiano avute minicon con vari vorn in più. A dir
la verità mi stupisce
che qualcuno che ha concluso gli studi col massimo del punteggio, a
dire di
Nickel, e che ha fatto lavori su altri pianeti, sia ancora qui a
Prion» disse
la minicon «La stragrande maggioranza di noi minicon non ha
la minima
intenzione di espatriare, ma alcuni venderebbero l’anima
all’Unicron pur di
avere possibilità del genere, e da qualcuno che ha
già viaggiato così tanto mi
sarei aspettata una cosa simile».
Bustin
sorrise. «Mi preferivi altrove? E io che credevo di
esserti piaciuto!»
«Cos-»
«Sto
scherzando. Capisco il discorso e ammetto che prima avevo
in mente di andarmene, avevo già deciso la destinazione e
tutto il resto» disse
Bustin «Solo che poi ho cambiato i miei progetti e ho deciso
di restare qui, per
Nickel, naturalmente. Sono abbastanza fortunato da poter scegliere, e
tra lei e
il miglior lavoro ad Iacon sceglierei Nickel senza
esitazione».
«Ehi!
Tu che sei alto, riesci a tirare giù quelli?»
gridò da una
certa distanza uno dei cugini, indicando un grosso contenitore di
dolcetti
finito chissà come sul ramo di un albero. Meglio non farsi
domande.
«Credo
che mi reclamino! Se posso…»
«Certo,
Bustin, vai pure».
Lasciò
che si allontanasse, continuando però a osservarlo. Non
aveva
critiche da muovere a quel minicon, sembrava proprio una brava persona,
la
voglia di lavorare non gli mancava, economicamente non pareva avere
problemi e
da come parlava di Nickel, da come parlava a
Nickel e dai gesti che gli aveva visto fare nei riguardi di
quest’ultima era
intuibile che tenesse a lei; ciononostante, quel vago alone di mistero
che
Alumina vedeva addosso al fidanzato di sua figlia non si era dissipato
minimamente, ed era ridicolo dato che aveva conversato con chiunque per
tutto
il tempo.
“Forse
è solo una mia impressione. Sappiamo chi è,
sappiamo dove
ha studiato, sappiamo che lavoro fa, ho scoperto che la fanfiction su
Wallop
che ho messo nei preferiti è sua, di che altro avrebbe
dovuto parlare? Della maschera?
Chi, quando conosce i genitori della fidanzata, si mette mai a parlare
di
argomenti spiacevoli?” pensò, memore del fatto che
Nickel le avesse accennato
di un incidente o qualcosa di simile “Sono semplicemente
paranoica perché la
mia unica figlia ha deciso di andare a convivere, ma devo smetterla di
fare l’idiota
ed essere contenta che si sia innamorata di un minicon per bene. Questo
è
quanto”.
***
«Quindi…
sei sicuro di essere stato bene?»
«Certo,
Nicky. Mi sono divertito, mi piace la tua famiglia».
La
cuccetta a una piazza e mezzo nella vecchia stanza di Nickel
era sufficiente a ospitare entrambi per quella notte. Ogni tanto essere
una
minicon “compatta” -in realtà per modo
di dire, perché non era una minicon
bassa- tornava utile. In quella camera da letto c’erano
ancora tutti i suoi
peluches e varie delle sue cose di quando era bambina o ragazzina ma,
oltre a
piacerle ancora, non se ne vergognava nemmeno un po’. Non con
lui.
«Voglio
essere onesta con te, avevo paura che tra tutti fossero
un po’… troppi.
E troppo. Non mi
fraintendere, io adoro i miei parenti anche quando si ubriacano, si
prendono a
sediate e ballano sul tavolo, però tu non sei abituato a
queste cose. Nel
senso, magari le vedi con certi clienti, però non le vedi
in, ecco-»
«Famiglia?»
Nickel
annuì. «È diverso rispetto al solito,
credo».
«Se
ho a che fare con i miei conoscenti più o meno stretti
è
sempre per questo o quel motivo, qui invece il motivo ero proprio io.
È stato
diverso rispetto al solito ma l’ho apprezzato molto, mi sono
sentito parte del
gruppo».
«Se
ti è piaciuto potremmo costituire anche noi un gruppo un
po’più
piccolo» disse Nickel.
«È
quel che faremo, stiamo per andare a convivere. Non vedo
l’ora!»
«Anche,
ma non intendevo solo quello. Te l’ho accennato
più
volte, sai che vorrei mettere su una famiglia anche
io…»
«Con
chi?»
«Ma
come “con chi”? CON TE, scemo!»
sbuffò la minicon.
«Io
però non credo di essere molto tagliato per fare il
padre»
disse Bustin «O di volere dei figli, soprattutto adesso
che-»
«Adesso
magari no, prima voglio finire di studiare e arrivare ad
avere il lavoro che sogno da sempre, però poi vorrei avere
dei figli. Lo desidero
tantissimo, se fossi stata una persona un po’meno
“pratica” o semplicemente più
grande ne avrei voluti da te già dopo due mesi».
«Vedendo
dove e come sei cresciuta lo capisco, però non tutte le
famiglie sono fortunate come questa, certe hanno davanti un destino che
alcuni
o molti troverebbero abbastanza spiacevole per vari motivi. Dovresti
pensarci
su».
Bustin
per il momento non appoggiava la sua idea di avere figli,
anche in precedenza non si era mai mostrato molto convinto,
però Nickel non si
sentiva arrabbiata per questo. L’unico sentimento che provava
era dispiacere, e
non per il mancato appoggio, ma per lui.
Non sapeva cosa fosse successo di preciso a lui e ai suoi famigliari ma
doveva
essere stato un grande trauma, in caso contrario avrebbe parlato
diversamente.
Si
strinse di più a lui e lo abbracciò.
«Comunque ora non è il
momento, e in futuro magari si può sempre cambiare idea. Le
cose non devono
andare male per forza».
«La
vedo un po’difficile».
“Sono
solo il trauma e la paura che parlano. In futuro si
convincerà che anche con una famiglia le cose possono andare
bene” pensò
Nickel.
«E
comunque potresti decidere di lasciarmi dopo la prima
settimana di convivenza, per quanto ne sappiamo» aggiunse
Bustin «Magari ti
stuferai per il tempo che passo in bagno a prepararmi!»
«Di
bagni in casa ne avremo più d’uno, non
dovrò mai andare a
farla nei cespugli» replicò Nickel.
«Vero.
Ora direi di dormire, domani mattina dovremo alzarci
abbastanza presto. Buonanotte, Nanetta».
«Buonanotte».
E
poco dopo questo Nickel scivolò in ricarica, sognando un
futuro che per più di una ragione non ci sarebbe mai stato.
Questo
è venuto più lungo degli altri, sì.
I
parenti di Nickel sono dei veneti, sì :’D
Grazie
a chi sta avendo la pazienza di leggere e alla prossima
:)
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Capitolo 6 *** Circa ***
Che
ci crediate o no, siamo arrivati alla
fine.
Sì,
anche io pensavo che sarebbe stata un po’più
lunga, però oggi ho avuto l’ispirazione per
scrivere questo, e questo è :’D …
ciò non toglie che, da buona disgraziata, un giorno possa
trovarmi ad
aggiungere altri capitoli mettendoli prima di questo
(l’ultimo), ma al momento
finisce così, con più domande che risposte.
Grazie a coloro che hanno
apprezzato questa storia e buona lettura :)
Circa
Il
giorno stava cedendo il posto
alla sera, era da solo in casa e le sue valigie erano pronte. Non aveva
preso
troppe cose, solo quel che c’era in alcune parti del suo
armadio.
“Io
non dovrei essere qui”.
L’intera
Prion era in fermento
ed era anche più popolata del solito: era in corso una
festività in onore della
nascita della loro colonia, tutti i minicon sparsi per il cosmo erano
tornati a
casa. Quella dei prioniani una razza che teneva molto alle proprie
radici, non c’era
minicon che si sarebbe perso la festa, nemmeno quelli che provavano
meno
attaccamento verso la loro terra d’origine.
“Io
non dovrei essere qui”.
Fin
dal mattino era stato
perseguitato da quella sensazione, ma aveva cercato di ignorarla e
godersi la festa
insieme Nickel.
“Nickel…”
Bustin
guardò il tappeto viola
peloso ai piedi del letto, il comodino della sua compagna e le poche
cose
essenziali che c’erano sopra, in contrasto con il numero di
statuine di vetro
colorato che sempre lei aveva messo su una serie di mensole;
osservò gli
ologrammi delle loro fotografie, di
bei
momenti insieme ne avevano passati tanti, dunque erano tante anche le
foto, e
lui aveva nei suoi dispositivi personali la copia di ognuna di esse.
“Nickel,
io…”
Tempi
simili non sarebbero
tornati mai più: c’era solo una Nickel il tutto
l’Universo, e lui la stava
abbandonando. Si era allontanato con una scusa mentre lei era ancora
alla
festa, lei gli aveva detto “A dopo”…
peccato che per loro non ci sarebbe stato
un “dopo”, non era un “A dopo”,
era un addio.
Abbassò
lo sguardo.
“Mi
dispiace”.
Era
da un mese a quella parte
che aveva iniziato a pensare che forse portare avanti la loro relazione
non era
una buona idea.
Non
perché avesse smesso di
provare dei sentimenti per lei, forse non sarebbe riuscito a sradicarli
nemmeno
se avesse voluto e se ci avesse provato: magari Nickel non era stata il
suo
primo interesse verso l’altro sesso, ma era stata
l’unica per cui avesse
provato qualcosa di vero, o anche più di
“qualcosa”. Prima di lei non aveva mai
pensato di esserne in grado, non gli era mai successo.
“Non
posso darti quello che
vuoi. Non me la sento di fare il padre, non sarebbe ancora tempo in
ogni caso
e, anche se lo fosse, mettendomi una mano sulla coscienza non potrei
comunque
dirti di sì”.
Più
volte si era espresso a
sfavore del mettere su famiglia quando era venuto fuori
l’argomento, lei però
non demordeva, infatti era tornata alla carica anche poche ore prima.
Da un
lato riusciva anche a capirla: era cresciuta circondata
dall’affetto di una
famiglia, a Prion metterne su una era la normalità, lei ora
aveva una carriera
avviata, avevano una casa grande, una relazione stabile…
probabilmente credeva
che lui dicesse di no per paura. Non era precisamente così
ma era una di quelle
cose che sarebbe stato molto difficile spiegarle.
Forse
avrebbe dovuto metterla
una volta per tutte davanti a una scelta precisa: scegliere di restare
con lui
sapendo che però non avrebbero avuto figli o scegliere di
andare ognuno per la
sua strada. La seconda scelta avrebbe fatto male a tutti e due, tanto
che Bustin
non sapeva quale risposta sarebbe stato più egoistico
sperare di ricevere, e-
“Io non dovrei
essere qui”.
Forse
avrebbe dovuto parlarle
prima che quel pensiero iniziasse a pungolarlo, perché ormai
era troppo tardi.
Lui
non avrebbe dovuto essere
lì.
Riflettere
sul da farsi in tutto
l’ultimo mese, il pensiero urgente che fosse tempo di
andarsene via proprio il
giorno in cui avrebbe avuto più tempo e miglior modo di
farlo senza che, nel
caos della festa, non ci si badasse granché, non subito
almeno: evidentemente
era destino.
Sul
suo datapad giunse la
conferma che il trasferimento di proprietà della casa -con
tutto quel che
conteneva- da lui a Nickel aveva avuto successo.
“Ti
lascio, ma non ti lascio
senza casa”.
Lei
non avrebbe meritato di
essere abbandonata in quel modo, avrebbe quantomeno avuto il diritto di
poter
dire la sua: desiderio di figli a parte, che poi era la ragione per cui
lui
stava letteralmente fuggendo, era
stata la miglior compagna che avesse mai -e avrebbe mai- potuto sperare
di
avere al proprio fianco. Bustin si stava comportando da carogna e lo
sapeva
benissimo, quindi aveva pensato che il minimo che potesse fare era
darle una
buonuscita, che in verità a parer suo restava sempre poco.
Nickel
vrebbe potuto tenere la
loro casa o venderla, quella decisione sarebbe spettata a lei; in ogni
caso
riusciva già a immaginare che l’opzione scelta
sarebbe stata la seconda e che sarebbe
riuscita a ricavare molti shanix coi quali avrebbe potuto comprare
un’altra casa
dove voleva, o quattro più piccole allo stesso prezzo,
magari affittandone tre e
mettendosi ancor più “a posto” di quanto
fosse col lavoro da medico.
“Ti
ringrazio per tutto quello
che mi hai dato, è molto più di quanto potrai mai
immaginare. Non lo
dimenticherò. Se solo certe cose fossero state diverse,
io…”
Carico
di valigie, Bustin uscì
sul balcone e prese il volo.
“Addio”.
***
«Bustin?
Sei qui a casa?... no,
non c’è… comincio a preoccuparmi, ormai
è sparito da qualche ora» borbottò
Nickel, abbastanza allarmata, girovagando in casa e non trovando
nessuno.
Il
suo fidanzato sembrava essere
scomparso dalla faccia di Prion senza lasciare traccia, era sera e
nessuno
aveva la più pallida idea di dove fosse finito, nessuno
l’aveva visto, nessuno
sapeva niente.
“Forse
è già tornato alla festa.
O forse potrebbe essere lì…”
.::
Poco al di fuori di Prion, tempo addietro
::.
«Che
posto… curioso».
«“Curioso”?
Non “in rovina”,
abbandonato, disastrato?»
Appena
oltre il confine di
Prion, nascosta da ammassi di rocce e piante tecnorganiche,
c’era quel che
rimaneva di una casa. Lei non era un’appassionata di
architettura ma non
serviva un occhio allenato per notare che lo stile di quelle rovine era
diverso
rispetto a quello usato in quel periodo o qualche decina di vorn prima,
vagamente
simile ma ben più antico. Edifici così vecchi
dentro Prion non ne aveva mai
visti, neppure quelli con una particolare valenza storica.
«Sì,
senza dubbio è anche tutto
questo che hai detto, però è come
se…» si strinse nelle spalle e si
massaggiò
le braccia «Non è la prima volta che mi porti in
angoli sconosciuti di Prion e
solitamente li apprezzo, ma questo posto mi dà sensazioni
che non capisco».
«Buone
o cattive?»
«Non
le capisco bene, te l’ho
detto» ripeté Nickel continuando a guardarsi
attorno.
Oltre
che antica quella doveva
essere stata una casa grande, forse anche bella. Le strutture
sopravvissute a…
qualunque cosa fosse successa -Nickel non riusciva a capire se qualcosa
fosse
precipitato lì sopra o piuttosto se qualcosa fosse uscito da
sotto, o se fosse
esploso, facendo poi collassare tutto- suggerivano almeno quattro
piani, bei
colonnati e alti soffitti. Una larga scalinata consumata dal tempo era
stata
risparmiata dal disastro, ma il buio che riusciva a intravedere nei
punti in
cui i piani superiori non erano crollati non la invogliava troppo ad
approfondire l’esplorazione, nonostante la
curiosità che provava e che restava comunque
innegabile. Trovava anche curioso il modo in cui le piante
tecnorganiche
circondavano la casa ma, allo stesso tempo, non si fossero
riappropriate del
terreno su cui era stata costruita. Non c’era neppure un
piccolo arbusto in
mezzo alle rovine, c’erano solo polvere e calcinacci.
«Provo
come una sensazione di…
non so, familiarità? Il che è assurdo,
perché io qui non ci sono mai stata»
continuò Nickel «E allo stesso tempo mi sento
inquieta come se ci fosse
qualcosa di strano, o di pericoloso, o tutti e due».
«Non
c’è niente che possa farti
del male qui dentro» disse Bustin «Tra i vari
angoli sperduti di Prion, o Prion
e dintorni in questo caso, credo sia quello che preferisco! Se non
fosse per la
lontananza verrei qui più spesso. Capita che in alcuni tipi
di caos ci sia un
tipo di pace che è introvabile in qualsiasi altro
posto».
«Se
lo dici tu. Quindi posso
essere sicura che non mi porterai in punti dove rischia di crollarmi
qualcosa
in testa?» domandò la minicon, guardandosi
attorno.
«Puoi
stare tranquilla,
Nanetta».
«Conosci
bene questo posto?»
chiese poi lei, avvicinandosi alla scalinata «Quanto tempo fa
l’hai trovato?»
«Abbastanza,
però non saprei
darti una data precisa. Ricordo solo che ci sono finito
perché avevo sentito
dei vecchi che ne parlavano, e sai come sono fatto quando si tratta di
certe
cose» rispose Bustin, facendo spallucce «Per il
resto, posso dire che lo
conosco bene quasi come conosco casa mia. O meglio, casa
nostra» sorrise «Sono
davvero contento di averti lì».
Nickel
sorrise a sua volta.
Tutto
sommato quei piani
superiori bui non sembravano più così pericolosi,
se era possibile avrebbe
anche potuto salire su a vederli, avendo lui vicino.
.::
Prion, casa di Nickel e Bustin, ora
::.
“Nei
posti che frequenta
abitualmente non c’era, nei posti
‘sperduti’ più vicini che mi ha mostrato
non
c’era, il datapad è muto e in quel posto fatica ad
arrivare il segnale, se ci arriva,
l’ho visto quando mi ci ha
portata. Certo, non so per quale ragione avrebbe dovuto andarci, ma
dove altro
potrei cercarlo?” pensò Nickel, decisa a non
arrendersi “Forse gli è successo
qualcosa, non lo so, quando si è allontanato si comportava
come suo solito…”
Pensò
perfino che forse fosse
tornato in mezzo alla calca e la stesse cercando come lei lo cercava,
ma una
cosa simile avrebbe mantenuto inspiegabile il datapad muto. Si stava
preoccupando sempre di più, il livello di ansia aveva
raggiunto un picco non da
poco, al punto che si ripromise di prenderlo a botte con un cacciavite
appena l’avesse
ritrovato e avesse verificato che stava bene.
Sarebbe
andata a cercarlo tra le
rovine di quella casa, aveva deciso.
***
Prion
venne distrutta quella
stessa sera.
Aver
deciso di raggiungere le
rovine ed essersi infilata quanto più profondamente
possibile nei sotterranei
semi distrutti della casa fu una salvezza e una condanna per Nickel:
ebbe salva
la vita e, allo stesso tempo, la maledizione di ricordare.
Ricordare
i volti felici della
sua famiglia e dei suoi amici durante la festa, ricordare la sua casa e
tutto
quel che aveva perso, ricordare un saluto che per colpa di
un’organizzazione
anti mecha era diventato un addio.
Ricordare
di essere rimasta la
sola prioniana in vita di tutto l’Universo.
Circa.
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