La luce di Aton e le nubi di Teshub

di Nolowende
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il faraone eretico [Akhenaton] ***
Capitolo 2: *** Occhi negli occhi [Ankhesenpaaton] ***
Capitolo 3: *** Vendetta [Suppiluliuma] ***
Capitolo 4: *** Tradimento [Tudhaliya] ***
Capitolo 5: *** Rimedio [Muršili] ***
Capitolo 6: *** Nel Sole [Merytaton] ***
Capitolo 7: *** Il faraone straniero [Zannanzaš] ***



Capitolo 1
*** Il faraone eretico [Akhenaton] ***


C'è aria di festa, intorno a te. Puoi percepire l'ondata di euforia che attraversa la gente.

Ma tu non sei mai stato tanto teso.

Tra pochi minuti, dovrai prendere il posto di tuo padre. Dovrai prendere le redini dell'intero Egitto e guidarlo per tutto il tempo che ti resta.

Sai già che nulla potrebbe essere più difficile.

Avrebbe dovuto essere Thutmosi a governare. Lui era sempre stato adatto a regnare, sarebbe stato il sovrano perfetto.

Ma è morto, e tocca a te prenderne il posto.

Cerchi di mantenere la calma, ed è quando vedi il sorriso dolce e rassicurante, colmo di fiducia, di Baketaton[1], che ogni paura scompare.

Accetterai l'incarico che ti era destinato. Porterai avanti l'opera di tuo padre.

Sai che Aton ti guiderà.

                                                                                       ...

L'ennesima notte è passata.

Aton si mostra glorioso all'orizzonte, tornando a benedire la terra d'Egitto con la sua luce.

E tu guardi il tuo Dio, ancora una volta vittorioso contro l'oscurità della notte, e il cuore ti si riempie di gioia.

Il giorno è cominciato, e Lui donerà nuova prosperità al tuo regno. E' Lui a permettere alla vita di continuare, Lui che porta sicurezza e benessere alla gente.

E tu Lo hai lodato ogni giorno da quando hai compreso la grandezza della Sua luce, hai fatto costruire una città dove i Suoi raggi potessero splendere senza timore, hai cantato la Sua sovranità perché continuasse a farlo.

Eppure il popolo non Lo ascolta. Non ti ascolta.

Sono ancora devoti a quelle divinità che tu sai non essere reali. Non accetteranno mai la verità, e i tuoi nemici non faranno altro che convincerli che sei nel torto.

Sai bene come ti chiamano.

Infedele.

Eretico.

Non avranno mai fiducia in te.

Eppure tu non hai paura. Come il Sole che ogni giorno sorge, battendo il buio, così tu riuscirai a trionfare e a dimostrare la grandezza dell'Unico.

E poi non sei solo. Ci sono la tua sposa, più bella e saggia di qualunque altra creatura, e le tue figlie, nate sotto la benedizione del Dio, e tuo figlio, il tuo erede, l'immagine vivente di Aton.

Loro ti aiuteranno, e alla fine vincerai, ne sei sicuro.

Aton ti aiuterà...

O forse, è troppo lontano per farlo.

                                                                                          ...

Sta crollando tutto.

La tua famiglia si sta lentamente sgretolando.

Potresti sopportare la morte di tua madre – era già avanti con gli anni, e se n'è andata in serenità e senza sofferenza. Ha ricevuto la sepoltura che meritava, e il suo viaggio non ha trovato impedimenti.

Ma non puoi tollerare ciò che è accaduto. La dolce Kiya è stata uccisa quando Tutankhaton era ancora piccolo e già da molti anni la voce gentile di Maketaton non risuona più nell'aria di Akhetaton, ma pensavi di riuscire a sopportarlo.

Ma ora, la bella Neferneferuaton, l'allegra Neferneferura, persino la piccola Setepenra sono giunte nell'Occidente. Solo Merytaton e Ankhesenpaaton, forti e sagge, sono riusciti a contrastare l'assurda morte che ha preso le loro sorelle.

È come se fosse una punizione.

Forse è davvero così. Forse Aton ti sa punendo per la tua incapacità nel far sì che venisse adorato come doveva essere.

Dev'essere per questo che hai fallito nel salvare chi più amavi.

Ma non accadrà di nuovo. Farai in modo di rispettare il tuo incarico, e forse questa ondata di dolore finirà.

Forse il tuo Dio non ti abbandonerà di nuovo.

Tutte le creature del mondo sono nelle tue mani

Proprio come le hai fatte

Con il tuo sorgere, esse vivono

Con il tuo tramontare, esse muoiono[2]

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

[1]: Baketaton era una delle sorelle (o sorellastre) di Akhenaton, che aderì quasi subito alla sua riforma religiosa ed è a volte identificata con Kiya (ma non ho esplicitamente seguito l'ipotesi)

[2]: tratto dall'Inno a Aton

 

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Capitolo 2
*** Occhi negli occhi [Ankhesenpaaton] ***


"Mi riconosci? Sono Ankhesenamon, la sorella tua che tanto hai amato! Perché mi hai lasciata sola in questo mondo? Oh, perché sei partito per questo viaggio senza ritorno verso occidente senza portare anche me?" [1]

Non sai cosa stia succedendo. L'aria intorno a te, un attimo prima tesa, si è improvvisamente fatta diversa, decisamente più leggera e gioiosa.

Nonostante le braccia di tua madre ti tengano abbastanza in alto, non riesci a capire chiaramente. Ma tuo padre sembra felice, forse più di quanto tu non lo abbia mai visto.

Ed è allora che per la prima volta vedi tuo fratello.

È così piccolo e delicato e sta piangendo. Ti pare la cosa più dolce che tu abbia mai visto nella tua breve vita.

Ma dopo un po' il suo pianto si placa e per un attimo riesci quasi a vedere i suoi occhi, ora aperti. 

Non sai se anche lui ti veda, dopotutto è da solo pochi minuti che è giunto nel mondo. Ma ti sembra che lo stia facendo, e sei felice di poterlo guardare negli occhi per la prima volta.

                               ...

"Ankh!"

Fai appena in tempo a voltarti prima di vedere Tutankhaton raggiungerti, ancora abbastanza lentamente. Ha solo quattro anni, ma guardandolo negli occhi vedi in lui una paura che non dovrebbe esserci.

Sembra quasi preoccupato.

"Cosa c'è?"

Non l'hai mai visto così, e la cosa non ti piace. Non vuoi che stia male.

"Hai visto mia madre da qualche parte? Io non riesco a trovarla..." Sembra che stia per scoppiare in lacrime.

Scuoti la testa, ma esiti un po'. Non hai visto Kiya questa mattina, ma almeno hai visto i tuoi genitori parlarsi, e sembravano piuttosto provati.

Stavano parlando di lei[2].

E di tuo fratello.

Ma dopo il tuo cenno di diniego lui sembra così triste, e tu sei tanto dispiaciuta che non puoi fare a meno di cercare di consolarlo.

Lo stringi in un abbraccio solare, e lui si lascia sfuggire un sorriso, con tutta la sua serena innocenza.

Aton fa brillare i suoi raggi con più forza, quasi a coronare questo momento.

                             ...

Sono cambiate così tante cose.

La tua famiglia è stata distrutta. Tua madre è morta. Tuo padre è morto, e di lui non resta più alcun ricordo. Tuo zio, tua nonna, persino le tue sorelle li hanno seguiti. Hai sperato fino alla fine che almeno Merytaton si salvasse, lei che era sempre stata forte e combattiva, ma non è stato così.

Akhetaton è cambiata. Non è rimasto più nulla della sua calda bellezza. Sembra quasi impossibile che sia stato qui che hai trascorso tutta la tua vita. Addirittura una volta hai sentito Ay e Horemheb che parlavano di lasciarla, di andare a Menfi. Rabbrividisci al ricordo e speri di esserti sbagliata. Menfi è strana e ostile. Ti fa paura.

Tutankhaton - non sai quanto a lungo potrete conservare i vostri nomi, ora che Aton è stato condannato, ma sai già non potrai mai abituarti a chiamarlo diversamente - pare più spaventato di te, e puoi capirlo perfettamente. Pur essendo solo un bambino, dovrà farsi carico di tutto l'Egitto, e tu con lui.

Oggi è il giorno della sua incoronazione.

E del vostro matrimonio.

Ti senti tesa come non mai - anche se sai che lui sarà un buon marito per te, e non ti farà mai del male - ma devi dominarti.

Stai per diventare regina, dovrai essere forte, salda, come tua madre e tua sorella.

Lui respira profondamente, scostando dietro la spalla la treccia corvina, ultimo retaggio di un'infanzia che da oggi perderete. "Sono pronto."

Ma guardandolo negli occhi capisci che non è vero, e speri che il tuo sguardo riesca a trasmettergli un po' di sicurezza, come quando eravate bambini.

                             ...

Apri gli occhi mentre i primi raggi di Aton - non ti sei ancora abituata a vedere il tuo dio sostituito da divinità che, nonostante siano note a tutta la Terra Nera, per te sono sconosciute - piovono sulla terra, la stanchezza di ieri notte improvvisamente scomparsa.

Tuo marito si muove leggermente contro di te. Siete cresciuti entrambi, e ora lo guardi con lo stesso amore che vedevi negli occhi dei tuoi genitori.

Con gli anni, nella tua mente lui è cambiato. Da tempo lo vedi come uno sposo.

E l'idea non ti spaventa più come un tempo.

Sembra che abbia capito che non stai più dormendo, perché anche lui si risveglia. Sorride, e guardandolo negli occhi puoi vedervi una dolcezza infinita, la stessa che riempiva il suo sguardo stanotte mentre facevate l'amore.

Distogli lo sguardo al ricordo, un po' imbarazzata.

"Salve, Ankhesenpaaton."

Sentirlo chiamarti in quel modo riesce solo a far affluire ancora di più il sangue al tuo volto, ma guardandolo in viso ti senti felice.

Raramente lo vedi sorridere così.

Gli anni in cui avete dovuto regnare insieme per te sono stati duri, e tu sei più anziana, più stabile di salute, e con meno responsabilità.

È solo in momenti come questi, quando siete completamente soli, che il faraone, il re delle Due Terre, l'astro del Mattino e della Sera, sparisce, lasciando posto solo a Tutankhaton, a colui che hai imparato ad amare.

E spesso, quando non c'è nessuno oltre a voi due, lo vedi anche felice. Ti piace pensare che forse anche tu l'hai un poco aiutato.

È cresciuto, e cambiato. Non è più il bambino impaurito di un tempo, ora, ma un ragazzo dall'animo forte, capace di trovare il coraggio di sopportare le avversità.

Ma ogni tanto tornano in lui tracce dell'antica insicurezza, e allora torni a essere la sua protettrice, come un tempo.

Sul suo viso si dipinge per un attimo una smorfia quando appoggia la gamba, e tanto basta ad allarmarti, ma è solo un istante, e quando lo rivedi sorridere finalmente ti rilassi.

Sono momenti come questi che vi permettono di essere felici, e tu speri che sia per sempre.

                             ...

Se ne avessi la possibilità, guarderesti Tutankhaton negli occhi per un'ultima volta.

Ma se anche il suo volto non fosse coperto dalle bende, i suoi occhi sarebbero spenti e vuoti, come quando hai sentito per la prima volta il suono del suo ka che fuggiva, e non potrebbero rispondere al tuo sguardo. Non brillerebbero più di rabbia, dolore, gioia e amore, come hanno fatto in questi pochi anni.

Il tempo a voi destinato sarebbe dovuto essere molto di più, ma lui è già salito sulla nave che lo condurrà nella terra dei morti.

Hai sempre saputo quanto fragile fosse quel faraone bambino - lo conoscevi più di chiunque altro - ma non avresti mai creduto che prima o poi si sarebbe spezzato.

E invece è accaduto.

Non puoi riportarlo indietro, ma dentro di te continui a implorarlo di ascoltare le tue preghiere, di non andarsene da solo, di portarti nell'aldilà insieme a lui. Senza di lui, non saresti mai sopravvissuta alla perdita di vostro padre, delle vostre sorelle, delle vostre figlie[3]. Senza di lui non sopravvivrai alla vita che ti aspetta.

La morte sarebbe molto più dolce del dolore, ma tu sei tanto spossata dal vuoto che si è aperto nella tua anima da non riuscire ad attraversare il fiume e giungere dall'altro lato.

Allora aspetterai.

Prima o poi, la morte prenderà anche te, e potrai finalmente vedere di nuovo i suoi occhi.

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

[1]: da una lettera di Ankhesenpaaton al marito

[2]: pare che la madre di Tutankhamon fosse Kiya, sposa secondaria (e forse sorellastra) di Akhenaton. E dalla presunta mummia sembra che sia morta assassinata...

[3]: due feti femminili abortiti spontaneamente e mummificati - quasi certamente figli della coppia reale

Inoltre mi sono rifiutata categoricamente di utilizzare i nomi post-amarniani...

 

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Capitolo 3
*** Vendetta [Suppiluliuma] ***


Oggi è cambiata, l'imponente Hattusa. 

Il sole non illumina una città prospera e potente. Non si sentono voci per le strade. Nessuna vita la percorre.

Come occhi spalancati, le piccole finestre delle case cercano sbigottite una figura assente.

Ammantata di silenzio, la città comprende. La scorta incaricata di condurre il principe alla dahamunzu[1] è tornata.

Ma non lui.

E Suppiluliuma urla, dentro di sé. Il ruggito di un leone ferito. Anche se la voce gli si blocca in gola e lo soffoca, e il suo cuore esplode in un tripudio di fiamme e gelo.

Percepisce su di sé lo sguardo degli uomini che gli hanno portato la notizia. E vorrebbe ucciderli. Vorrebbe ucciderli tutti, esattamente come temono. 

Gli dei non dovrebbero permettere che loro continuino a vivere, mentre...

Ma l'impeto passa. Non c'è più forza in lui. Non c'è più nulla. In questo momento, il potente re vorrebbe solo fuggire - lontano, in un punto della terra così remoto da permettergli di sottrarsi a tutto ciò che sta nascendo in lui.

Schiacciato dal peso della morte, ora non è più di un semplice uomo.

Un semplice uomo che ha appena perso un figlio.

Non ha mai pensato che un giorno si sarebbe sbagliato. Non ha mai creduto che sarebbe potuto accadere. Non così. Zannanzaš era forte, valoroso e indomabile come i suoi fratelli, destinato a diventare re e guerriero sin dall'istante in cui è uscito dal ventre di Henti. Non sarebbe mai morto, se non fosse stato per quel vile inganno.

Maledetti cani!

E si sente di nuovo bruciare quando il suo pensiero corre alle terre a sud, là dove suo figlio ha trovato la morte – e lui riesce a vederlo, riesce a vedere una chioma fulva confusa col sangue e occhi scuri chiusi troppo presto dalla mano della morte. 

Dovranno pagare.

Si è lasciato ingannare una volta dalla maschera da vedova infelice indossata dalla loro piccola regina, ma non si lascerà ammorbidire ancora dalle pretese d'innocenza che quel popolo di codardi vorrà accampare. 

Ha bisogno di saperli come loro - sofferenti o morti. Ne ha bisogno, o non riuscirà mai a riprendersi. 

Forse neanche questo basterà. 

Suppiluliuma sorride tetro, gli occhi brillanti di rabbia e disperazione. Già vede i villaggi in fiamme e gli schiavi in arrivo nella terra di Hatti. Dovranno pagare in molti, per il sacrilegio che hanno compiuto. Dovranno pagare tutti.

Ti vendicherò, figlio mio. 






[1]: termine ittita per indicare la Grande Sposa Reale egiziana

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Capitolo 4
*** Tradimento [Tudhaliya] ***


Notte. Silenzio. Hattusa è tranquilla, sebbene Teshub si stia scatenando con ferocia su di essa.

Ma Tudhaliya non dorme.

Non riesce più a farlo. Non da quando ha conquistato il trono. È da allora che sa che c'è qualcosa di sbagliato nel suo regno. Non ne ha le prove, ma la sua mente lo riconosce. I sussurri incomprensibili ma carichi di pericolo, la delusione e il rancore nello sguardo di Suppiluliuma – uno sguardo che continua a trafiggergli il cuore.

È come una rete, che si stringe intorno a lui, lentamente.

E stanotte, sente di essere già intrappolato.

Non si è vista una tempesta simile per settimane. Il dio sta cercando di parlargli, di mandargli un messaggio. Vorrebbe solo capire quale.

Tenta di calmarsi, ma il senso di oppressione rimane.

Poi li sente.

Passi. Sono leggeri, ma lui è certo che non siano semplicemente frutto della sua immaginazione. Si stanno avvicinando.

È normale, sussurra la sua ragione. Non è il solo a vivere qui, e certo non è l'unico sveglio. Non c'è nulla di cui preoccuparsi.

Ma i passi, rapidi, furtivi – quasi inudibili – lo raggiungono, e lui sente il cuore cominciare a battere come se fosse nel mezzo di una battaglia.

È in trappola.

Succede tutto troppo in fretta, non fa in tempo nemmeno a voltarsi.

Il terrore e il dolore esplodono nello stesso istante in cui si sente trafiggere dalla lama di un pugnale. Eppure il sangue, l'ira, la consapevolezza della morte sono nulla, rispetto alla disperazione quando incrocia gli occhi di Suppiluliuma.

Non è cambiato, il suo sguardo. C'è ancora lo stesso gelo del giorno in cui lui è diventato re.

Potrebbe lottare, finché è ancora in vita. Potrebbe chiamare aiuto, strappare quel pugnale dalle mani del fratello e colpirlo finché è in tempo. Ma nel momento in cui incrocia quello sguardo, non ne ha più la forza.

"Perché?"

Sa fin troppo bene la risposta, ma aveva sperato di non doverla mai chiedere.

Negli occhi di Suppiluliuma non c'è alcun rimorso. "Sarei dovuto essere io il tuhkanti[1]. Lo sai anche tu."

Ed è vero. Fin da quando era un ragazzino Suppiluliuma è stato troppo abile, forte e astuto, un guerriero nato, con tutte le doti necessarie a un re - troppo ambizioso. 

Ma lui non ha mai voluto credere che tutto sarebbe finito per mano sua, nemmeno quando si è reso conto della silenziosa minaccia nel suo sguardo cupo e nei suoi pugni chiusi, il giorno in cui lo ha superato.

Vorrebbe non accettarlo nemmeno ora che sta morendo.

Mentre si dissangua a terra, rabbrividendo e tremando, maledice gli dei che rendendoli figli di madri diverse, dando loro questi pochi fatali anni di differenza, li hanno condotti a questo punto, e insegue senza risultato un tempo ora irraggiungibile, quando ancora erano in grado di guardarsi negli occhi senza odiarsi e temersi.

Fratello...

 

 

 

[1]: principe ereditario ittita

 

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Capitolo 5
*** Rimedio [Muršili] ***


Non c'è più tempo.

Non può più aspettare. La peste è giunta da troppo tempo. Li sta spezzando. Se va avanti, presto di questo regno un tempo così glorioso non rimarrà nulla.

Muršili non può più aspettare.

Se continuerà ad attendere, la Terra di Hatti verrà distrutta. Non può più negarlo, nemmeno volendo. Vede i cadaveri nelle strade, sente i lamenti dei moribondi, l'odore della malattia. Se anche si strappasse i sensi, non potrebbe dimenticare i funerali di suo padre, di suo fratello e di suo nipote. Non potrebbe dimenticare la violenza del vuoto dentro di lui nel vederli cadaveri.

E, ormai, ha capito chiaramente il motivo di questa piaga.

Da quando ha compreso, ha pregato molte volte di essersi sbagliato. Ma non può illudersi. Non più.

È solo per questa ragione che la sua famiglia è andata distrutta. Sua madre scacciata per lasciare posto a Tawananna, a una strega indegna del posto di regina, Zannanzaš assassinato dagli egiziani, Arnuwanda e Tulpi consumati dalla stessa malattia che ha ucciso suo padre. Probabilmente è solo questione di tempo prima che lo stesso accada a Telepinu e Piyassili, e sa che allora giungerebbe anche la sua fine. Nemmeno Gassulawiya potrebbe salvarlo, se perdesse anche loro.

Gli dei sono in collera. La sua è una stirpe maledetta, posta sul trono da sangue sparso ingiustamente.

Ed è lui a dovervi porre rimedio.

Lo sa. Non può più aspettare.

Adesso è lui il sovrano. Figlio di un re più grande di quanto chiunque altro potrà mai essere, di un fratricida che non avrebbe mai dovuto possedere questo potere. Fratello di due vittime della vendetta di uomini traditi e di due guerrieri valorosi che hanno visto in lui qualcosa che non c'è e hanno deciso di consegnargli questa responsabilità.

Non dovrebbe avere questo posto.

Ma ormai è troppo tardi. La sua terra è sotto la sua responsabilità, e solo lui può impedirle di morire definitivamente, di trasformarsi in una leggenda di potenza ridotta in polvere.

E allora continua a pregare. Ma il suo pensiero fugge, corre lontano, a una notte di sangue e tradimento che non ha mai visto. L'unica causa della loro rovina.

Non avrebbe mai creduto che suo padre sarebbe stato capace di un simile peccato.

Li ha cresciuti bene, rendendoli in grado di comandare un esercito e un regno, e li ha guardati con orgoglio. Ha conquistato terre e portato potere e ricchezza, ha vinto guerre e mantenuto la pace. Era un uomo spietato, ma come un monarca. Non come un assassino.

Eppure era quello ciò che era davvero, e ora troppi stanno pagando per la sua colpa.

Può sentirlo, lo spirito di Tudhaliya. Intrappolato nel dolore, privo di pace, affamato di una vendetta che gli dei sono determinati a dargli.

Tocca a lui chiedergli perdono. È l'unico che può. Anche se è figlio dell'uomo che gli ha tolto la vita, anche se sta usurpando il posto che dovrebbe essere occupato dai suoi discendenti.

Ma deve almeno provare. Laverà via il peccato dal proprio sangue, e saranno liberi.

Solo lui può rimediare, ora.

"Poiché ho confessato il peccato di mio padre, l'animo del Dio della Tempesta e gli Dei siano placati. Pietà di me! Scacciate la peste dalla terra di Hatti!" [1]
















Nota dell'autrice:

[1]: da un'iscrizione contenente la preghiera di Muršili contro la peste

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Capitolo 6
*** Nel Sole [Merytaton] ***


È tutto finito.

Tra pochi istanti morirai. Il tuo ka si distaccherà dal mondo dei vivi, e di te non resterà che un freddo corpo immobile.

Ed è tutto ciò che desideri.

Sei troppo stanca. Stanca di vivere una vita già da tempo completamente priva di felicità.

Non ricordi nemmeno più quando sia stata l'ultima volta in cui ti sia sentita veramente completa.

Tutto ciò in cui credevi è crollato. L'esistenza della tua famiglia è stata cancellata, il nome di tuo padre è stato maledetto, il tuo dio è stato soppiantato da divinità che non avevi mai conosciuto, persino la stessa Akhetaton ha tradito la memoria di ciò che è avvenuto.

E tu non hai potuto fare nulla.

Hai solo potuto guardare impotente il tuo mondo che si sgretolava.

E hai dovuto fingere di accettarlo, quando tutto ciò che desideravi era riportare indietro il tempo e impedire che tutto precipitasse così velocemente. Ti sei dovuta mostrare forte davanti alla fine di ciò che era stata la tua vita, mentre dentro la tua anima si consumava e si spegneva.

Forse, se avessi avuto la forza di lottare, avresti potuto vincere. Ma non è stato così, e ora morirai e cadrai nell'oblio, come quasi tutta la tua famiglia.

In un ultimo attimo di rimpianto, pensi che saresti stata felice se avessi almeno avuto qualcuno da amare, qualcuno che si curasse di te e ti aiutasse a non arrenderti, a ritrovare la forza che doveva appartenerti come regina e a fermare la vostra rovina.

Ma non ti è mai capitato di provare qualcosa di simile per qualcuno, nemmeno per Smenkhkhara, che ti ha sposato semplicemente per la corona e si è rivelato troppo debole per regnare, ed è morto prima che potessi imparare ad amarlo.

Non avrai mai la possibilità di trovare qualcun altro.

L'ultima cosa che riesci a sentire sono le parole confuse di Ankhesenpaaton, spezzate dal pianto. Vorresti sorriderle, rassicurarla.

Non piangere, le diresti, se avessi la voce. Sii forte.

Le stesse parole che ti ha rivolto tua madre prima di morire.

Ma non servirebbero a nulla. Tua sorella è solo una bambina, ma ha già visto morire quasi tutti i vostri familiari. Nemmeno lei riuscirà a fermare la vostra condanna. E Tutankhaton è ancora troppo piccolo per poter regnare consapevolmente, non potrà fermare la fine del sogno di vostro padre.

La fine di quello che era anche il tuo sogno.

E tu non puoi fare altro che tramontare con esso, e dissolverti nel Sole.

Tu stesso sei la durata della vita

Perché gli uomini vivono attraverso di Te[1]

 

 

 

 

 

Nota dell'autrice:

[1]: dall'Inno a Aton

 

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Capitolo 7
*** Il faraone straniero [Zannanzaš] ***


Davvero eri convinto di arrivare?

La morte ti sorride maligna, ancora troppo distante, senza fare altro che infierire su di te nei tuoi ultimi istanti di agonia. E tu la cerchi, perché possa prenderti prima che tu ti renda conto della tua ingenuità.

Sei stato uno sciocco. Hai commesso un errore, e questo basta per trasformarti in un cadavere sulla sabbia. Probabilmente resterai qui. A meno che non sia sopravvissuto qualcuno.

Ma a questo punto, una degna sepoltura non è il tuo desiderio più importante.

Hai sempre saputo che certi errori possono essere fatali, tuo padre te lo ripete da quando sei in grado di parlare.

Eppure, stavolta non te ne sei ricordato. Hai abbassato la guardia, certo di essere al sicuro, e questo è bastato perché ti uccidessero.

Una smorfia di dolore ti deforma il viso. Questi egiziani non sono nemmeno stati capaci di finirti in fretta. Quando ti hanno colpito, hai sperato che sarebbe stato solo un attimo. Non è così. Stai soffocando. Vorresti respirare, ma l'aria è stata sostituita dal tuo stesso sangue, nauseante e vischioso.

Non vuoi morire così.

Tu dovevi concludere il tuo viaggio, consegnare l'Egitto alla terra di Hatti, e soprattutto dovevi vivere. Non ti senti pronto. Non ti aspettavi che il tuo momento sarebbe giunto ora, non così presto, non così lontano da Hattusa.

Ma il tuo destino era già stato deciso. Era tutto una trappola, e tu non te ne sei accorto finché non è stato troppo tardi.

E invece avresti dovuto sapere che tutte le possibilità che ti venivano offerte erano troppo allettanti per essere vere.

Ma, forse, le desideravi così tanto da non pensarci.

Saresti potuto diventare re, come pensavi non sarebbe mai successo. Avevi sempre accettato che Arnuwanda avrebbe preso il potere, ma questo sarebbe stato un modo di dimostrare che anche tu, figlio di re, saresti stato capace di essere sovrano. E tuo padre sarebbe diventato ancora più potente e sarebbe stato fiero di te...

E avresti voluto almeno incontrare la dahamunzu. Ti è stata descritta come una bella donna. Forse con il tempo sareste potuti essere uniti da un legame diverso dal governo e dal matrimonio, più simile a quello che unisce Muršili alla sua giovane amante[1]... o forse lei sarebbe comunque sempre rimasta troppo legata al nibhururiya[2]per diventare qualcosa di diverso dalla tua regina.

Non hai mai avuto il tempo di pensarci. Se qualcosa del genere fosse possibile, in un matrimonio come quello che avreste celebrato, per te sarebbe stata la prima volta.

Ma non avverrà mai.

Non eri destinato ad arrivare. Qualcuno aveva già progettato di farti morire qui, in mezzo al nulla, un pugnale piantato nel petto e il sangue ovunque...

Stai soffocando.

Non ti importa più dell'Egitto o della dahamunzu. Vuoi solo respirare, e vivere.

Per la prima e ultima volta nella tua vita, implori.

Solo questo... 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice:

[1]: non ho la più pallida idea di quando e come si siano incontrati Muršili e Gassulawiya, quindi vogliate perdonare la licenza poetica...

[2]: titolo ittita per indicare il faraone.

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