Anime Nere

di alga francoise14
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Prigione dei Sogni ***
Capitolo 3: *** Il Coraggio di Amare ***
Capitolo 4: *** Il Crepuscolo degli dei (parte I) ***
Capitolo 5: *** Il Crepuscolo degli dei (parte II) ***
Capitolo 6: *** Le Radici dell'Anima ***
Capitolo 7: *** I lacci del destino ***
Capitolo 8: *** Il vaso di Pandora ***
Capitolo 9: *** L'unica certezza ***
Capitolo 10: *** Sainte-Catherine ***
Capitolo 11: *** Il seme del dubbio ***
Capitolo 12: *** Dritto al cuore ***
Capitolo 13: *** Segreti di famiglia ***
Capitolo 14: *** Fratelli ***
Capitolo 15: *** Icaro ***
Capitolo 16: *** L'ultimo bacio ***
Capitolo 17: *** A un passo da te ***
Capitolo 18: *** Le Requin ***
Capitolo 19: *** Candore e inganni ***
Capitolo 20: *** Come un ago in un pagliaio ***
Capitolo 21: *** Acque Nere ***
Capitolo 22: *** Scarti d'amore ***
Capitolo 23: *** Requiem ***
Capitolo 24: *** La rete ***
Capitolo 25: *** Persi ***
Capitolo 26: *** Disincanto ***
Capitolo 27: *** Le Pen Duick ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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Non ho mai temuto la morte. Per anni ho avvertito la sua presenza insidiosa e silente, ogni qualvolta la lama di un avversario incrociava la mia, ma questo, anziché terrorizzarmi, mi spingeva a battermi con ancor più foga e risolutezza, nella convinzione che essa sarebbe giunta per me con la stessa rapidità con cui la infliggevo ai nostri nemici. Di certo, per la vita che conducevo la fine dei miei giorni non sarebbe avvenuta nel mio letto, di vecchiaia o malattia, quindi perché aver paura di pochi, brevi istanti diretti verso il Nulla? 
Eppure oggi, sotto questo sole infuocato che mi ferisce lo sguardo, ho scoperto che se è pur vero che non ho paura della morte, ho in realtà una fottuta paura di morire.
Uno scossone, il carro si è fermato. Un  brivido mi percorre la schiena, alla vista del patibolo allestito in mezzo alla piazza. Con la forza della disperazione, provo per l’ultima volta a sciogliere il nodo che mi tiene legati i polsi. Se solo riuscissi a liberarmi… so bene di non avere alcuna possibilità di fuga né di salvezza, ma almeno cadrei combattendo. Invece anche questo tentativo si rivela vano e soffoco a stento un ringhio di rabbia.
E’ tutto inutile: sarò impiccato. Penzolerò da una forca dinanzi a una folla urlante e becera, arrivata qui solo per godersi lo spettacolo.
Sarà veloce, ma non come avrei voluto. Mi mancherà l’aria. Il mio corpo sarà scosso da orribili spasmi, il mio volto diventerà una maschera grottesca. Qualcuno inorridirà, i bambini più piccoli forse chiuderanno gli occhi, ma gli altri continueranno a guardare, ridendo e vomitando i loro insulti finché l’ultimo rantolo non decreterà la mia fine.
A questo pensiero, sento le gambe farsi quasi di piombo quando una delle guardie mi afferra per un braccio e mi costringe a scendere a terra. Con la stessa rudezza, mi spingono verso i gradini del palco; le urla aumentano d’intensità, dalla folla qualcosa mi colpisce… eppure, tengo alta la testa e vado incontro con orgoglio al mio destino.
Un silenzio irreale cala nella piazza mentre mi viene letta la sentenza. Un sacerdote si avvicina e mi chiede bruscamente se voglio pronunciare qualche parola, magari chiedere perdono dei miei peccati.
Lo riconosco, è lo stesso che ieri sera ho cacciato dalla cella… non gli rispondo. Non mi pento di nulla, non rinnego nulla… lo ignoro. Né lui, né questa gente meritano gli ultimi istanti del mio tempo.
Quelli sono per Lei. Il mio unico rimpianto, la mia dannazione… perché se c’è una cosa di cui mi debba pentire, è il fatto di non averla saputa amare come avrei voluto, come lei meritava. Mi sono lasciato risucchiare dall'abisso oscuro della mia anima, della mia frustrazione; l'ho amata di un amore malato, quell'amore capace di trasformare un uomo in un mostro.
Un dolore sordo mi colpisce il petto. Perdonami, perdonami amore mio…
 Il mio sguardo si perde per l’ultima volta sulla folla in attesa… e improvvisamente lo vedo. Riconosco il suo volto altero, i suoi occhi gelidi che mi fissano con odio; lo stesso sentimento, profondo e viscerale, che io nutro per lui. Che tu sia maledetto…  ciò che le ho fatto è stato solo colpa tua.
Il boia si avvicina reggendo un cappuccio, con uno scatto del capo lo rifiuto: voglio andarmene come sono vissuto, senza mai abbassare lo sguardo, tuttavia non posso fare a meno di deglutire, quando sento la ruvidezza del cappio intorno al collo.
Serro la mascella.
E’ davvero giunta la mia ora.
Quando avevo paura da bambino, pregavo, ora so che non serve a niente; e in ogni caso, se pure esistesse qualcosa oltre, quelli come me non possono essere accolti nella Luce.
Sono un dannato, un'anima nera destinata all'Inferno.
E così sia.

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Capitolo 2
*** La Prigione dei Sogni ***


La Prigione dei Sogni
 
 
Sempre al suo fianco, ma mai accanto a lei. Un passo indietro, quello era il suo posto. Compito, attento, discreto, sempre pronto ad obbedire agli ordini di colei che accompagnava, così da poterla sollevare, in ogni momento della sua impegnativa giornata, da tutte quelle minute incombenze che altrimenti le avrebbero impedito di svolgere con la dovuta attenzione l'importante ruolo cui era chiamata.
Strinse la mascella André e si sforzò di controllare l'amarezza che né l'aria dolce di quel tiepido mattino d'autunno, né l'incanto d'ambra e rame degli alberi, né tantomeno la serena bellezza dello stagno ai piedi della grotta dove Apollo si riposava attorniato dalle sue ninfe[1], riusciva a placare. Con un respiro lento e profondo cercò di distogliere la mente da quei foschi pensieri, chiuse gli occhi per un istante e quando li riaprì provò a concentrarsi sulla bellezza di ciò che lo circondava, sullo spettacolo del bosco screziato di rame che con le sue foglie arrossate, quasi palpitanti alla luce del sole, sembrava far rifulgere il candido marmo dei gruppi scultorei e le rocce del rifugio del Dio. Ma come è noto, la lingua batte dove il dente duole e così il ciarliero, piccolo drappello di cortigiani, che al seguito di Sua Maestà la Regina passeggiava chiacchierando e ridendo, non faceva che riportarlo al punto dolente e soprattutto alla conversazione avuta quella mattina con chi avrebbe volentieri evitato.
Un accessorio... ecco cosa erano in fin dei conti, lui e quelli come lui, per quella gente. Qualcosa di molto simile ad un grazioso ventaglio, un bell’orologio, o… un confortevole paio di guanti; qualcosa che serviva finché assolveva con discreta eleganza al proprio compito, pensò scuotendo impercettibilmente la testa. A ben pensarci, però, una differenza tra lui e gli altri che frequentavano la corte al servizio del proprio nobile signore, c'era. Una differenza che in un certo qual senso lo sollevava dalla sostanziale invisibilità cui tutti loro erano destinati dandogli un'identità specifica, se non proprio individuale.
Lui era infatti l'attendente del Comandante delle Guardie di Sua Maestà la Regina, l’affascinante donna soldato la cui peculiare unicità, unita ad un'integrità d'animo, che per l'ambiente della Corte era più unica che rara, rendeva lei un individuo totalmente fuori dal comune e di riflesso elevava lui da semplice domestico a poetica ombra, inscindibile dalla luce che lo proiettava.
A quel pensiero ad André quasi venne da ridere, la cosa infatti, oltre a costituire una ben magra consolazione per il suo amor proprio, non era di nessuna utilità nel suo complicato rapporto con Oscar, dal momento che non  rendeva di una goccia meno profondo l'abisso che lo separava da lei.
Oscar... La sua Oscar... la sua ragione di vita, il suo tormento... In quel momento camminava con passo sicuro e sguardo serio poco più innanzi, oltre il gruppetto dei cortigiani, alla sinistra di Sua Maestà che invece sorrideva al braccio della Principessa di Lamballe. Il suo portamento era come sempre impeccabile ed elegante, esattamente quanto quello delle due nobili dame che scortava, solo non aveva la delicata armonia delle loro movenze femminili, ma la fierezza impettita propria dei militari; i lunghi capelli che ad ogni passo ondeggiavano liberi lungo la schiena come nastri di seta, ne ammorbidivano però l'aspetto severo e le conferivano un che di unico e incredibilmente affascinante. Era superba, con gli occhi azzurri dal taglio affilato, lo sguardo di ghiaccio, gli zigomi alti; sempre così rigorosa nella sua uniforme scarlatta, così apparentemente austera e grave. L'integerrimo comandante della Guardie di Sua Maestà era un’anima inaccessibile il cui affascinante mistero in molti, ne era certo, avrebbero voluto poter compenetrare; tuttavia nessuno di loro poteva sperare di riuscire mai a conoscerla davvero, perché a dispetto del suo nome e della sua posizione, quello era un privilegio che apparteneva a lui soltanto.
Solo a lui, infatti, era dato sapere cosa si nascondesse in fondo alle acque profonde del suo sguardo, quanto dolce fosse il suo sorriso, quanto morbida sapesse essere la sua voce, ma anche quanto esasperante la sua propensione a certi lunghi, ambigui silenzi, talvolta più conflittuali di qualsiasi discussione. Solo lui conosceva ogni angolo del suo spigoloso carattere, ogni palpito della sua anima, e sapeva che dietro la maschera di una fredda impenetrabilità si celava un mondo vivo, sentito e profondo, un intimo fervore che la portava a vivere ogni emozione con straordinaria intensità e che era la causa prima di quell'impulsività che lui tanto amava. Solo lui sapeva quanto profondamente Oscar sapesse amare.
Un sospiro pesante gli allargò il petto.  Era stanco, stanco di nascondersi, stanco di fingere che gli bastasse la consapevolezza che apparteneva a lui il sapore delle sue labbra, l'inebriante profumo della sua pelle, la tenera morbidezza dei suoi piccoli seni, la serica carezza dei suoi capelli avvolti attorno alle proprie dita e riversi sul suo corpo durante quegli amplessi profondi, teneri e appassionati che li lasciavano sfiniti l'uno tra le braccia dell'altra.  Era stanco di non dover esistere al di fuori delle mura che racchiudevano il loro segreto e quella stanchezza cominciava a farsi pesante e soprattutto… pericolosa.
Si era accorto, infatti, che negli ultimi tempi non solo gli era diventato sempre più difficile far sì che nessun gesto, sguardo o piega del viso tradisse il proprio cuore o che qualcuna delle abitudini​ acquisite nel loro privato potesse involontariamente scoprirlo in pubblico, ma soprattutto si era reso conto che gli era diventato particolarmente faticoso trattenersi in situazioni che lo avrebbero voluto estraneo spettatore ma che di fatto lo coinvolgevano pericolosamente, come era accaduto quella mattina con il maggiore Girodelle, che negli ultimi tempi stava diventando una presenza pungente e sempre più fastidiosa.
A dire il vero, il nobile secondo di Oscar non gli era mai andato particolarmente a genio. Non poteva dire che fosse una persona spiacevole, era anzi garbato, cordiale, gradevole soprattutto nei contatti mondani con i suoi pari ed era di certo un uomo leale. Aveva tuttavia una sicurezza di sé e delle sue convinzioni che lo rendeva a tratti fastidioso, e un atteggiamento di sufficienza, tanto più con chi non aveva la possibilità di potersi rapportare a lui sul medesimo piano, che lo urtava non poco.
Per parte sua il maggiore Girodelle lo considerava, con tutta probabilità, un arrogante, incapace di stare al suo posto; un servo sfacciato che con la scusa di una conoscenza che risaliva all’infanzia, si permetteva con colei cui avrebbe dovuto muta obbedienza una familiarità eccessiva e il diritto di metter bocca laddove non gli competeva.
Nonostante il nervosismo André non riuscì a trattenere un sorriso a quell'ultimo pensiero…
Ad ogni modo non si era certo mai fatto un cruccio dell'opinione che il Visconte aveva di lui, né, del resto, di quella di chiunque altro. Sapeva chi era e quanto valeva, e tanto gli era bastato fino a quel momento per farsi scivolare addosso idee preconcette e giudizi privi di fondamento. Eppure negli ultimi tempi qualcosa era cambiato e la corazza delle sue certezze aveva cominciato a creparsi.
Era passato ormai quasi un anno da quando l'amore che provava per Oscar e che per tanto aveva creduto destinato a rimanere un'utopia, si era incredibilmente concretizzato; ma ora, superata l’euforia iniziale di quella gioia vasta ed appagante che gli aveva dato amarla ed esserne riamato, iniziava a rendersi conto che non gli bastavano i momenti, le ore, le notti rubate, l'amava troppo per potersi accontentare di briciole di vita. Lui la vita la voleva vivere pienamente, con lei al suo fianco; farsi bastare quello che avevano voleva dire rinnegare la vita, quella vera, rinnegare la vera felicità.
Lamore non può accontentarsi
Vivere in quel modo era come rincorrere il vento, senza contare che il vento in un solo attimo avrebbe potuto spazzare via tutto il loro fragile mondo senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Non era nessuno, non aveva un nome illustre, non aveva sostanze, non aveva meriti, nulla da offrirle a parte il suo amore. Non aveva voce André e in fondo sentiva di non avere neanche il diritto, malgrado ciò che li univa, di chiederle di rinunciare a tutto, per… nulla.
L'amore non può bastare...
Ci vuole forza, coraggio, ci vuole volontà, doti che Oscar certo aveva in abbondanza, e che neanche a lui mancavano, ma questo non toglieva che quello cui lei avrebbe dovuto rinunciare per amor suo era troppo.
Eppure se glielo avesse chiesto lei lo avrebbe fatto, ne era certo, ma allora, se l’amore che Oscar provava per lui poteva bastare, ebbene il suo poteva e doveva accontentarsi.
Il senso di colpa lo tormentava... era così difficile rinunciare.
Quella notte aveva avuto un incubo che lo aveva scosso profondamente. Aveva sognato di ucciderla, di toglierle la vita per poi seguirla così che nulla avrebbe mai potuto dividerli. Ricordava con una vividezza impressionante i particolari del sogno: era seduto al tavolo della sua stanza, aveva le mani incrociate sotto il mento e fissava un piccolo foglio di carta al cui centro era contenuta una polvere bianca. La stanza era cupa come un antro, illuminata solo dalla luce tremula di una candela che, poggiata sul tavolo gettava sul foglio ombre scure e guizzanti come piccoli demoni; ricordava l'angoscia che sentiva mentre lo fissava e che rendeva ancora più devastante l'uragano della sua confusa disperazione; la mente che quasi vacillava e infine la catena delle remore che si spezzava lasciando la via all’unica sicurezza possibile: insieme, per sempre... e la polvere bianca, inghiottita dal rubino del vino, si era dissolta. Con essa si erano dissolte anche le pareti della stanza, e lui, con i calici avvelenati in mano, si era ritrovato al limite dei giardini di Palazzo, là dove la regolarità delle siepi e dei tracciati si dileguava sfumando nell'ombra dei boschi.
Era il tramonto, Oscar era lì, ai piedi di una grande quercia, intenta a scavare una piccola buca. Si era avvicinato e lei, sentendo i suoi passi crepitare sul tappeto di foglie secche che ricopriva il terreno, si era voltata e gli aveva sorriso, quindi aveva ripreso a scavare finché non aveva dissotterrato una vecchia scatola nella quale lui aveva riconosciuto quella dove da bambini avevano seppellito il loro tesoro: una trottola e un piccolo coltello dal manico rosso.
Indietreggiando di un passo, come fulminato dalla vista di quell'oggetto che lo riportava a ricordi preziosi e dolcissimi e al tempo perfetto dell'innocenza, aveva lasciato cadere i calici. Oscar aveva preso il cofanetto e dopo aver soffiato via la terra che lo sporcava, lo aveva aperto e gli si era avvicinata. Lui lo aveva osservato per un lungo momento, poi aveva lentamente sollevato la mano a sfiorarne il contenuto e infine dopo un attimo di esitazione aveva preso il coltello. Nella sua mano si era fatto affilato ed estremamente pesante, del loro vecchio gioco conservava solo il colore. Perplesso aveva allora sollevato lo sguardo al viso di Oscar, come a chiederle una spiegazione, ma da lei non aveva avuto un cenno né una parola, solo uno sguardo infinitamente triste, sebbene tranquillo. Sotto quegli occhi limpidi che sembravano leggere nell’abisso del suo animo, André aveva sentito il cuore spezzarsi in mille frammenti, e mentre due lacrime splendenti sfuggivano dalle ciglia di Oscar scivolando lente lungo le guance, l'aveva abbracciata e con tutta la forza del suo disperato amore le aveva affondato la lama nel petto.
Si era svegliato di soprassalto, madido di sudore, con il respiro affannato e il cuore che batteva come impazzito. Il tempo di focalizzare dove fosse e realizzare che si era trattato di un sogno e si era girato in cerca di Oscar. Di lei però c'era solo il profumo e la traccia del corpo tra le lenzuola stropicciate. Albeggiava. Aveva preferito non svegliarlo… Con l'animo ancora carico di angoscia si era passato una mano tra i capelli e si era lasciato cadere all’indietro, stremato, domandandosi fin dove potesse portarlo la frustrazione…
Poche ore dopo aveva avuto la conferma che quella giornata, iniziata tanto male, non sarebbe migliorata.
Quella mattina al loro arrivo a Versailles, come d'abitudine aveva accompagnato Oscar agli appartamenti di Sua Maestà, così che potesse avere indicazioni su come la Regina Antonietta intendesse trascorrere la mattinata e dare conseguenti disposizioni per la sua sicurezza al maggiore Girodelle che era solito attenderla nella Sala delle Guardie[2].
Tuttavia, poiché da lì a pochi giorni la corte si sarebbe trasferita per alcune settimane a Fontainebleau[3], a sostituirlo, quella mattina, c'era un altro ufficiale. Il Maggiore era infatti rimasto nel suo ufficio per controllare alcuni rapporti sullo stato delle strade, necessari per poter stabilire il percorso che il corteo Reale avrebbe dovuto seguire per lo spostamento; al che Oscar, ritenendo comunque opportuno che il suo secondo fosse messo al corrente degli spostamenti della Regina, aveva chiesto ad André di informarlo e poi raggiungerla; ma quella che sarebbe dovuta essere una veloce comunicazione di servizio si era trasformata in qualcosa di diverso e niente affatto piacevole.
Comunicato quanto doveva, infatti, André aveva già aperto la porta per uscire quando Girodelle lo aveva richiamato.
“So che il generale Jarjayes è stato invitato con Madame Marguerite al ricevimento che il conte d'Angiviller darà per il suo genetliaco. Sapete se madamigella Oscar sarà presente?” gli aveva chiesto con noncuranza.
“Non so...” aveva risposto brevemente André “ma non credo... Oscar non ama la mondanità, tende ad evitare gli eventi che non richiedono necessariamente la sua presenza…”
Dalle labbra del maggiore era sfuggito uno sbuffo. “Oscar…” aveva ripetuto con un tono che lasciava trapelare tutto il suo fastidio per quella confidenza ritenuta impropria.
Chiaramente André era rimasto opportunamente in silenzio, ma senza attendere che Girodelle lo liberasse con un breve inchino si era congedato da sé. “Col vostro permesso, Maggiore”.
 “Un momento… ho qualcosa da chiedervi…” lo aveva tuttavia fermato Girodelle, con voce calma ma perentoria, un attimo prima che varcasse la soglia.
André aveva richiuso la porta e si era voltato.
Senza sollevare la testa dalle carte cui era tornato, l'ufficiale aveva continuato a scrivere ignorandolo per un po’, poi aveva poggiato la svolazzante penna d’oca e lo aveva guardato.
“Ditemi André… che ne pensate di Alphonse?” gli aveva chiesto.
André aveva aggrottato le sopracciglia.
“Intendete il vostro attendente?” aveva domandato perplesso in risposta a quella domanda di cui gli sfuggiva il senso.
“Quale altro Alphonse conoscete cui mi possa riferire con voi usando semplicemente il nome… Non di certo il duca di Mericurt...” aveva constatato con ovvietà e un sorrisetto il Maggiore “ A meno che non abbiate pensato al piccolo spaniel di Madame de Chincon...”
Se l’osservazione, per quanto pungente, poteva essere ritenuta lecita, l’ipotesi che l'aveva seguita e l'espressione beffarda che l'aveva accompagnata era stata una chiara provocazione, per non dire un'aperta offesa.
André si era irrigidito, Girodelle aveva sorriso cordiale.
“Allora… posso avere l'onore di una vostra opinione?” aveva insistito.
 “A dire il vero Maggiore, oltre a non capire il motivo della vostra richiesta non ne vedo l’utilità dal momento che la mia modesta opinione su chicchessia vale certamente meno dell’altissima vostra”.
André gli aveva risposto guardandolo dritto negli occhi per poi chinare lievemente il busto in un inchino che nulla aveva di umile o modesto.
Infastidito da quella risposta, che malgrado l'ineccepibilità di parole e forma, aveva il tono dell’irriverenza, Girodelle aveva per un momento stretto la mascella, ma poi si era subito ripreso.
“Eppure su questo argomento potrebbe tornarmi utile dal momento che vi chiedo un giudizio su chi è nella vostra stessa posizione. Vedete sto pensando di sostituirlo, osservandolo ultimamente mi è parso... come dire… appannato…”
“Non saprei, a me pare lo stesso di sempre…” aveva tagliato André che continuava a non capire dove il maggiore volesse arrivare.
Girodelle aveva sospirato.
“Ecco… appunto… lo stesso di sempre” aveva detto infine, accompagnando le parole ad un'espressione sconsolata “È proprio questo che mi dà pensiero. Credo che oramai Alphonse abbia fatto il  suo tempo e per quanto io ci sia affezionato  sia giunto il momento di dover trovare qualcuno più adatto al mio servizio”.
“Ho come l’impressione che voi ne facciate una questione di… apparenza…” aveva allora osservato André corrugando la fronte come se gli riuscisse difficile prendere in considerazione quell’ipotesi “ma credo sia altro quello cui dobbiate guardare… non si tratta di un paio di guanti o una cravatta ben annodata…”
Il modo in cui il Maggiore Girodelle lo aveva guardato era stato più chiaro ed eloquente di qualsiasi parola.
André aveva scosso la testa: ecco dove voleva arrivare...
“Vi consiglio di non commettete lo sbaglio di attribuire agli altri la vostra stessa relatività di sentimento” aveva ribattuto aspro.
Girodelle aveva sollevato le sopracciglia e sbuffato un sorriso.  “Non siete diverso da Alphonse, André… non pensate mai di essere insostituibile… perché vi assicuro che per un motivo o l'altro prima o poi lo sarete…”
Quelle parole erano state per André come un pugno nello stomaco, perché per quanto gli costasse ammetterlo, avevano un fondo di verità: in quella situazione in un certo senso si era infatti già imbattuto, e anche se l'epilogo era stato ben diverso da quello che il maggiore poteva immaginare, il rischio che per un motivo o l’altro, magari indipendente dalla volontà di Oscar, si potesse ripresentare con una diversa evoluzione era una reale possibilità.
Non aveva risposto, c’era poco da dire se non una verità che doveva essere taciuta ad ogni costo e che comunque, detta in quel momento, sarebbe stata più una sorta di rassicurazione rivolta a se stesso che non un'argomentazione valida a mostrare a Victor de Girodelle quanto si sbagliasse.
Si era voltato, e questa volta senza alcun cenno di saluto, aveva lasciato la stanza.
Da quel momento non era più riuscito a pensare ad altro: tutto ciò che fino ad allora si era sforzato di controllare e che aveva tenuto rannicchiato in un angolo della sua mente, era esploso in un silenzioso tumulto che aveva finito col renderlo assorto e cupo. Era così in quel momento, mentre seguiva Oscar con lo sguardo tra vialetti di ghiaia, statue e cespugli e così era rimasto per tutto il resto di quella interminabile giornata. Neanche quando si era finalmente ritrovato sulla via di casa solo con lei, era riuscito a scrollarsi di dosso il peso dei suoi pensieri.
Non era riuscito a sorridere come avrebbe voluto e parlarle come se tutto andasse bene, perché l'unica cosa che riusciva a pensare era che avrebbe voluto andarsene via da lì, il più lontano possibile, insieme a lei.
 
Il cielo iniziava a screziarsi di sottili venature dorate, quando Oscar e André lasciarono la reggia di Versailles. Tenendo il cavallo al passo, per buona parte del tragitto procedettero affiancati senza parlare, ciascuno immerso nei propri pensieri; e se lo sguardo di Oscar sembrava talvolta cercare il suo, André continuava a tenerlo fisso davanti a sé, limitandosi a seguire di tanto in tanto il volo di qualche uccello che si librava leggero nell’aria o a osservare distrattamente gli alberi che costeggiavano la strada, le cui chiome verdeggianti cominciavano a macchiarsi dei caldi colori autunnali.
Il suo volto non sembrava tradire la benché minima emozione, ma in quegli ultimi mesi Oscar aveva imparato a riconoscere l’inquietudine e l’insofferenza celate dietro le maniere impeccabili e certi sorrisi di circostanza che André riservava ad alcuni suoi interlocutori. Le bastava poco: il cenno di una smorfia, un sopracciglio aggrottato; particolari apparentemente insignificanti agli occhi altrui, ma non ai suoi, tanto più ora, dopo aver condiviso con lui l’intimità più profonda e completa del corpo e dell’anima.
Eppure, con un misto di stizza e di rammarico doveva ammettere di non riuscire ancora a leggere nel cuore di André com’egli sapeva fare con il suo, e aveva motivo di credere che fosse lui per primo, di fatto, a renderglielo impossibile. Le vecchie abitudini, d’altronde, sono dure a morire e se per anni André le aveva nascosto il suo amore folle e disperato, le sue idee politiche, il suo vero sentire, non c’era da stupirsi per quell’ostinata riluttanza ad aprirsi interamente con lei.
Con una punta di mestizia, Oscar si domandò allora se il cupo mutismo di quel pomeriggio fosse in qualche modo legato alla loro situazione. Non era mai stata particolarmente convinta, infatti, della calma rassegnazione con cui André sembrava aver accettato il compromesso di una relazione clandestina, soltanto perché il sentimento che li univa era sbagliato agli occhi del mondo; né tantomeno aveva creduto sino in fondo alle sue rassicurazioni, quando sosteneva con dolcezza che quei brevi momenti di passione strappati alla quotidianità, preziosi quanto rari, fossero molto più di quanto avesse mai osato sperare. Si può mentire con le labbra, ma non con il resto del corpo… e l’ardore con cui André la possedeva, il velo di malinconia che talvolta ne velava lo sguardo prima di perdersi in lei, parlavano di un amore frustrato che reclamava di essere vissuto in tutta la sua pienezza.
Il motivo di quell’atteggiamento, pertanto, poteva essere solo uno: la stava proteggendo. Presumibilmente, André temeva che qualora avesse esternato il proprio malcontento, lei si sarebbe sentita in dovere di prendere l’unica decisione in grado di renderli liberi: fuggire insieme. Una soluzione che tuttavia avrebbe comportato per Oscar un prezzo altissimo: la rinuncia all’uniforme e alla propria vita, il nome dei Jarjayes implacabilmente esposto all’onta del pubblico ludibrio… un prezzo che André non le avrebbe mai permesso di pagare. L’amava troppo. L’amava al punto di sacrificare se stesso pur di non sconvolgere la sua esistenza, come se non fosse abbastanza quanto aveva già patito a causa sua.
A quella considerazione, lo sguardo della donna cadde involontariamente sul profilo regolare del compagno e sulla sottile cicatrice, tra il sopracciglio e la tempia, in parte coperta dai suoi riccioli scuri.
Il ricordo di quella notte maledetta la colpì come una frustata… ma in realtà, come avrebbe mai potuto dimenticare? Solo per miracolo André era riuscito a schivare il meschino fendente indirizzato contro il suo occhio sinistro, ma la conseguenza di quel movimento, se da un lato aveva limitato i danni a quel taglio superficiale tra la fronte e la tempia, dall’altro lo aveva inevitabilmente destabilizzato, cosicché nulla aveva potuto contro il successivo, fatale affondo del Cavaliere Nero. 
     

Di quanto era accaduto subito dopo, Oscar rammentava con precisione solo di aver sparato d’istinto a quel vigliacco, colpendolo a una spalla, mentre André giaceva ormai esanime sull’erba umida. Il resto erano unicamente immagini e suoni confusi: il sangue e le sue grida che invocavano il nome di André; la corsa disperata verso casa, l’arrivo del dottore, l’angoscia dell’attesa.
Aveva rischiato di morire, il suo André: sebbene la lama avesse solo sfiorato il polmone, l’emorragia era stata copiosa e il cerusico aveva faticato ad arrestarla; poi era subentrata la febbre e per giorni la sua vita era rimasta appesa a un filo.
In quei momenti, Oscar aveva creduto di impazzire. Aveva odiato Bernard Chatelet così ferocemente da desiderarne la morte; un sentimento forte e imperioso che non aveva mai provato in precedenza, neanche nei confronti di individui abietti come Germain o Madame de Polignac, e di cui ora, a mente lucida, quasi si vergognava. Tuttavia, l'idea che quell'uomo se la sarebbe cavata mentre André lottava per sopravvivere, era stata insopportabile per lei. La notte dello scontro lo aveva lasciato a terra privo di conoscenza e solo dopo aver riportato André a Palazzo Jarjayes era tornata a riprenderlo; in seguito però si era pentita di non averlo lasciato morire in quel bosco ed era stata addirittura sul punto di trafiggerlo nel sonno, quando il dottore aveva consigliato a Marron di chiamare un sacerdote per l’Estrema Unzione.
Forse si sarebbe macchiata davvero di quell’infame delitto, se la flebile speranza che André potesse in qualche modo sopravvivere non l’avesse fermata. Di colpo, infatti, aveva pensato che non sarebbe più riuscita a guardarlo negli occhi, non dopo aver ucciso per mera vendetta un uomo, disarmato e inerme, che peraltro lui segretamente stimava. Ed era stato proprio nella camera in cui Bernard riposava ormai fuori pericolo, con la spada ancora in pugno e le lacrime agli occhi, che finalmente aveva capito.
Aveva sofferto, quando Fersen era partito per l’America, aveva persino temuto per la sua vita, ma non aveva avvertito mai, nemmeno lontanamente, quella sensazione devastante di smarrimento e disperazione che da giorni ormai le toglieva il respiro. Non aveva pensato che una vita senza di lui non meritasse di essere vissuta. Non lo aveva fatto perché non era Fersen, l’uomo che amava. Quell’uomo era André.
Il rimpianto per averlo compreso troppo tardi, naturalmente, l’aveva annientata… ma quando, una settimana dopo, era tornata a specchiarsi nel verde limpido dei suoi occhi, si era sentita pervadere da una gioia così grande e possente da far deflagrare il cuore. D’impulso gli aveva preso una mano e forse vi avrebbe posato persino un lieve bacio, se la ragione non avesse preso il sopravvento; si era limitata allora a stringergliela con forza, mentre con dolcezza si chinava un poco in avanti e gli sussurrava di non sforzarsi, ché avrebbero avuto modo di parlare.
“Sono così contento che non sia stata ferita tu al posto mio” aveva tuttavia mormorato André, cercando di camuffare con un debole sorriso la smorfia di dolore che gli era salita sulle labbra.
Ella aveva alzato la testa, incredula, perdendosi per un istante in quello sguardo ancora offuscato dal laudano, che fragile cercava il suo, mentre la luce del nuovo giorno irrompeva nella stanza. Sarebbe stato così facile, in quel momento, confessargli tutto … invece, sopraffatta dalla commozione, era riuscita a malapena a ringraziarlo, e nei giorni successivi l’insicurezza e il timore di una nuova delusione avevano fatto il resto. Aveva rinunciato senza tentare, convincendosi che André nutrisse per lei soltanto una fraterna amicizia e che quindi le sarebbe bastato amarlo in silenzio, affinché le loro vite potessero correre senza scossoni sulla via che meglio conoscevano.
In fondo, non c’è gente che ama una persona per tutta la vita senza che questa persona lo sappia?
Lasciare andare Bernard, solo perché André lo trovava giusto, era stata la prima prova d’amore che gli aveva segretamente offerto, ma più passavano i giorni più si rendeva conto che per lui avrebbe rinunciato a ben altro che a qualche convinzione.
 Nei giorni successivi questa nuova consapevolezza, unita alla paura che aveva provato quando era stata sul punto di perderlo e che ancora si portava dentro, l’aveva indotta a maturare un pensiero che sapeva assurdo e che però non riusciva ad accantonare: dispensare André dal suo antico incarico e destinarlo a una diversa occupazione all’interno del Palazzo, lontano da lei e da ogni dannato pericolo in cui avrebbe potuto coinvolgerlo.
La sera in cui, tornando dalla reggia, lo aveva trovato ad attenderla nelle scuderie con una spada in mano, aveva compreso quanto quell’idea fosse insensata, eppure…
“Che ci fai qui, André?” gli aveva domandato in tono brusco.
“Ti aspettavo per allenarmi, se non sei troppo stanca” aveva risposto lui con un sorriso “Secondo il dottor Lassonne ormai posso farlo, ovviamente senza esagerare”.
“C’ero anch’io ieri, quando Lassonne ti ha visitato, e non si è espresso esattamente così” aveva ribattuto con uno sguardo severo “Se non erro, la concessione che ha fatto alle tue richieste di accelerare i tempi, era preceduta da una premessa, ossia che a suo parere sarebbe comunque più opportuno che tu attenda ancora una decina di giorni, prima di riprendere le tue consuete attività… spada compresa”.
A quelle parole, André aveva dissimulato a stento un gesto stizzito.
“Certo sarebbe l’atteggiamento più prudente, ma sono stanco di fare il malato, Oscar…”
“Non c’è bisogno di essere affrettati, potrai tornare ad allenarti tra qualche settimana” aveva replicato imperterrita lei.
“No, non è vero. Non puoi continuare ad andare a Versailles senza un attendente e cacciarti da sola in chissà quale guaio… perché sappiamo entrambi quanto tu abbia un talento naturale in merito” l’aveva punzecchiata André.
“Mi stai per caso dicendo che ho bisogno di una balia, Andrè?” gli aveva domandato allora affilando lo sguardo.
“Oh no, affatto!” le aveva risposto prontamente lui “Solo di un attendente… abbastanza in gamba da starti dietro, chiaramente!”
A quel punto, Oscar aveva pensato che forse quella poteva essere l’occasione giusta per provare a dirgli quello a cui rimuginava da giorni o quantomeno per vedere come avrebbe reagito all'ipotesi.
 “E se non ritenessi più necessario avere un attendente? ” lo aveva gelato dunque con un tono niente affatto scherzoso.
André aveva aggrottato la fronte. L’espressione di Oscar era pericolosamente seria.
“C’entra il mio ferimento?” le aveva domandato, mentre la sua mente cercava freneticamente di capire quale potesse essere il motivo all'origine di quell’assurdità “Credi che non sia più in grado di assolvere il mio compito?” aveva continuato sentendo montare in lui la rabbia per quello che aveva tutta l’aria di essere un inaspettato benservito. “Rispondimi Oscar, maledizione!” era sbottato di colpo, esasperato dal teso silenzio calato tra di loro.
“No André” aveva replicato a quel punto lei, con una pacatezza che era ben lungi dal provare “In realtà, è una decisione che meditavo da tempo. So che mio padre ti ha affiancato a me con lo scopo anche di proteggermi, ma non sono più una ragazzina. Io credo... credo che sia arrivato il momento di camminare sulle mie gambe, e forse è il caso che mi affianchi qualcuno meno coinvolto emotivamente dalle mie… intemperanze”.
 “Ma cosa stai dicendo…”
“Semplicemente che per l'affetto che mi porti, ti fai coinvolgere in situazioni rischiose in cui non dovresti entrare. Non avresti dovuto mascherarti da Cavaliere nero: un altro al tuo posto non l’avrebbe fatto, non si sarebbe certo offerto di rischiare la vita per me, non avrei dovuto permettere che accadesse e di certo non permetterò che possa capitare ancora, non lo capisci?” gli aveva spiegato lei con veemenza.
“Sono io che non posso permettere che qualcosa capiti a te, perché non ti sono accanto” aveva replicato amareggiato André “Guarda quei segni sul legno... ” aveva ripreso dopo una breve pausa, indicando le tacche sul legno con cui, in un'estate lontana, avevano segnato le rispettive altezze “Eravamo solo due bambini, ti ricordi?”
“Sì… io avevo cinque anni e tu sei…”
“E quel giorno tu cadesti nel lago… ma io ero lì e riuscii a tirarti a riva, anche se per poco non affogammo entrambi. Quel giorno io c’ero, Oscar… ci sono sempre stato” aveva sottolineato con decisione “Ormai è una vita che vengo con te in ogni occasione. Non posso smettere adesso, ti pare?” aveva concluso con una battuta, cercando di stemperare la tensione.
“Non smetteresti nemmeno se ti chiedessi di farlo per me?” aveva mormorato Oscar.
André l’aveva guardata turbato, cercando di reprimere le emozioni contrastanti che si agitavano in lui.
“Perché dici così, Oscar?”
“Perché ho capito che non potrei sopportarlo un’altra volta. Perché nei giorni in cui tu eri in bilico tra la vita e la morte, ho pensato di morire anch’io. Perché, semplicemente, io…” di colpo si era interrotta, abbassando il capo.
Perché io cosa, Oscar?” aveva però sussurrato rauco lui, facendosi un poco più vicino.
Con dignità ella aveva sollevato il mento, fissando lo sguardo nel suo.
“Perché io ti amo”.
 

“Forse dovremmo accelerare l’andatura, di questo passo arriveremo tardi per cena”.
La voce atona di André la richiamò bruscamente al presente, spezzando il filo ora più dolce dei suoi pensieri. Oscar scrollò le spalle
“Non vedo il problema, non sarebbe neanche la prima volta in questi giorni” osservò con noncuranza “Se ti preoccupa il fatto che mio padre abbia qualcosa da ridire in proposito, in realtà lui per primo sa quanto tempo ed energie richieda l’organizzazione del trasferimento a Fontainebleau. A meno che” soggiunse con un sorrisetto ironico “tu non sia così ansioso di tornare a casa per l’arrosto che tua nonna stava preparando stamane…”
Si aspettava che André rispondesse a quell’insinuazione scherzosa con una facezia o per lo meno ricambiando il sorriso; invece egli tacque, il volto pensoso, lo sguardo spento. Oscar non riuscì più a resistere. “Si può sapere che cos’hai?” domandò ruvidamente, fermando César.
“Sono solo stanco” replicò evasivo André, arrestandosi a sua volta.
Oscar gli lanciò un’occhiata penetrante.
“Non mi riferisco solo a oggi. È da qualche tempo che qualcosa ti tormenta, André… Ti prego, non tenerti tutto dentro, parlami. Non c’eravamo ripromessi di non avere più segreti tra noi?”
Il giovane sospirò pesantemente. “Ascolta, Oscar... non ho voglia di parlarne ora” E non saprei nemmeno da dove iniziare, pensò snervato.
Oscar schiuse le labbra per ribattere qualcosa, ma un nitrito la distolse rapidamente dal suo bellicoso proposito di affrontare André una volta per tutte.
“Sta arrivando qualcuno” constatò laconico lui, voltandosi indietro.
In effetti, un uomo a cavallo stava procedendo di gran carriera verso di loro. Istintivamente entrambi si portarono sulla destra per lasciar libero il passo, ma vedendoli il misterioso cavaliere tirò bruscamente le redini sollevando un nugolo di polvere. E fu in quel momento, riconoscendo i tratti del suo volto, che André si domandò cupamente quanto quella giornata iniziata male, rischiasse di finire anche peggio…
 
 
 
 
[1] La grotta di Latona nei giardini di Versailles
[2]  Anticamera degli appartamenti della Regina
[3] Il castello di Fontainebleau si trova a circa 60 km da Parigi e fu per la corte di Luigi XVI una sorta di “Palazzo d'autunno” poiché in questo periodo dell'anno i sovrani, mantenendo la tradizione inaugurata da Luigi XIV, erano soliti trascorrervi un periodo di circa sei settimane

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Capitolo 3
*** Il Coraggio di Amare ***


Il coraggio di amare
 
Una silenziosa penombra avvolgeva ormai le scuderie di Palazzo Jarjayes, quando André terminò di riporre gli ultimi finimenti disponendoli ordinatamente, al pari degli altri, sui ganci che sporgevgano dalla superficie scabra del muro.
I suoi gesti avevano la rapidità e la sicurezza della consuetudine, tuttavia il leggero tremore delle dita e lo sguardo incupito ne tradivano la frustrazione e la rabbia che continuavano a pulsargli impetuose nel petto, nonostante i suoi sforzi di dominarsi.
Ad un tratto una staffa gli sfuggì dalle mani e cadde a terra, strappandogli un’imprecazione stizzita. La raccolse meccanicamente, domandandosi con un sospiro che fine avesse fatto quella lucida pazienza che per anni lo aveva sostenuto nei momenti più difficili, impedendogli di cedere ai moti del cuore.
In quelle condizioni, se ne rendeva conto, non poteva certo rientrare in casa; preferì pertanto restare lì ancora un poco, tra quegli animali che tanto amava, nel tentativo di riprendere il controllo delle proprie emozioni. D’istinto si avvicinò ad Alexander, il suo cavallo, e iniziò a carezzarne lentamente il manto scuro e setoso parlandogli a bassa voce, con dolcezza, come a un bambino.
Quell’atto, come di sovente capitava, alfine lo calmò. 
Inspirò profondamente, André, mentre sentiva la tensione allentarsi e cedere il passo a una profonda stanchezza. Per qualche istante dimenticò le sue pene e riuscì addirittura a sorridere quando, dal box accanto, César sembrò reclamare le sue attenzioni con un debole nitrito. Non era poi così diverso dalla sua padrona, pensò in quel momento con una punta d’ironia, rammentando certi sguardi che talvolta Oscar gli rivolgeva nell’intimità per sollecitare i suoi baci.
Quella curiosa analogia, tuttavia, finì per rabbuiarlo di nuovo, riportandogli alla mente il principale motivo della sua inquietudine. Alla fine, infatti, era avvenuto proprio ciò che non sarebbe mai dovuto accadere e che anzi aveva cercato di evitare: quel nervosismo sottile e pungente, che come un tarlo venefico si era insinuato in lui nel corso della giornata, era emerso implacabilmente nella maniera peggiore, ossia davanti a Oscar… e tutto questo solo perché Victor Clément de Girodelle aveva fatto la sua comparsa sulla strada di Versailles.
A quel pensiero, il volto di André si contrasse in una smorfia. In altre circostanze, probabilmente, il fortuito incontro con il visconte lo avrebbe lasciato del tutto indifferente; ma a poche ore da quel breve scambio di battute nell’ufficio, che aveva impietosamente riportato a galla incertezze e fragilità, non era stato facile nascondere il proprio disappunto. Girodelle, dal canto suo, non lo aveva degnato neanche di uno sguardo e si era limitato a salutare prontamente il suo diretto superiore con la dovuta deferenza.
 
“Buona sera, Comandante”.
 “Buona sera, Maggiore” aveva replicato educatamente Oscar “Ma… giungete anche voi da Versailles?” aveva domandato subito dopo, perplessa, notando che l’ufficiale aveva ancora indosso l’uniforme turchina delle Guardie Reali “Pensavo che foste tornato a casa per cambiarvi, altrimenti vi avrei aspettato per partire insieme”.
 “Vi ringrazio per la vostra premura, ma mi sarei fatto attendere troppo” si era schermito il visconte “Dopo aver studiato il percorso del corteo, infatti, ho preferito attardarmi in ufficio per stilare alcuni rapporti. In questo modo, possiamo dire quasi conclusa la parte burocratica del trasferimento a Fontainbleau” l’aveva quindi informata con un’espressione compiaciuta che ad André, indispettito, era sembrata decisamente inopportuna.
 “Bene, sono lieta di saperlo… a maggior ragione non amando particolarmente il tipo di incombenze da cui mi avete gentilmente sollevato” aveva osservato Oscar con un sorriso “Vi unite dunque a noi almeno per l’ultimo tratto di strada?”
A quelle parole, André l’aveva guardata stranito. In effetti, pur sorgendo su una via secondaria, in linea d’aria il palazzo dei Girodelle non era molto distante dalla tenuta dei Jarjayes e il tragitto, partendo dalla reggia, era per buona parte lo stesso; tuttavia, dal punto in cui si erano fermati, poteva già distinguere in lontananza il bivio dove il Maggiore si sarebbe dovuto comunque congedare. Non riusciva quindi a capire il senso di quell’invito, a meno che…
Irrequieto, aveva serrato la mascella.
“Lo farei volentieri, ma è richiesta la mia presenza a Palazzo Girodelle” aveva risposto nel frattempo il Maggiore.
“Non sarete dunque con noi, stasera?”
André aveva stretto le briglie con una tale forza da far sbiancare le nocche delle mani. La frase di Girodelle prima e la domanda di Oscar poi, confermavano le sue più fosche supposizioni; e per sua sfortuna, la successiva replica dell’ufficiale non era stata ovviamente quella sperata.
“Oh no, non mancherò, non potrei mai disattendere un Vostro invito” si era affrettato infatti a ribattere con galanteria Victor, distendendo a sua volta le labbra in un sorriso “Il fatto è che poco prima di lasciare Versailles mi è stato recapitato un messaggio da parte di mio padre. Mia madre è finalmente tornata da Rouen dopo essere stata più di un mese al capezzale di mio nonno e ho necessità di parlarle al più presto”.
“Spero che la vostra urgenza non sia legata alle condizioni del marchese de Villeneuve” aveva auspicato Oscar con sincera sollecitudine.
“Fortunatamente no… sembra che la caduta da cavallo che lo ha costretto a letto per settimane sia ormai solo uno spiacevole ricordo. In realtà si tratta di altro: prima di stasera vorrei metterla al corrente di una decisione che ho preso in concerto con mio padre quando lei era a Rouen. Se per tale motivo dovessi tardare, vi prego di perdonarmi sin da ora e di porgere le mie più sentite scuse al generale Jarjayes” le aveva spiegato il visconte.
“Non vi preoccupate, Girodelle. Prendetevi pure tutto il tempo che vi occorre”.
“Vi ringrazio. Allora a dopo, Comandante”.
“A dopo, Maggiore… e porgete i miei saluti a madame Amélie”.
 
“Monsieur André, avete finito o devo aiutarvi?”
L’esile voce di Gaston, il figlio della cuoca, distolse bruscamente André dallo sgradevole ricordo di quella conversazione. Di scatto si voltò indietro e nonostante il malumore non riuscì a reprimere un sorriso di fronte a quel ragazzino biondo dall’aria impacciata, che stava sulla porta in attesa di disposizioni. Il generale lo aveva da poco affiancato a Monsieur Christophe come mozzo di stalla, per sollevare l’anziano stalliere dalle mansioni più gravose e sin dal primo momento André lo aveva preso in simpatia: Gaston era sveglio, ben educato e volenteroso e gli ricordava un po’ l’adolescente che era stato, quando alla sua età, nei lunghi pomeriggi estivi, sgattaiolava nelle scuderie per cercare di carpire dal buon Christophe i segreti del suo mestiere. Un mestiere che, a dire il vero, su di lui aveva sempre esercitato un grande fascino, tanto che a distanza di anni, sebbene non facesse parte delle sue mansioni, continuava a volersi dedicare personalmente alla cura del proprio cavallo e di quello di Oscar, come quella sera, e Gaston era l’unico ad avere il privilegio di aiutarlo[1].
“Ti ringrazio Gaston, ma ho finito. Piuttosto, dov’è Monsieur Christophe?” domandò distrattamente.
“Non si sentiva molto bene, prima che voi e il colonnello Oscar ritornaste da Versailles, ha lasciato la scuderia raccomandandomi di non muovermi da qui finché non rientrerà la carrozza del padrone, e di farmi aiutare dal cocchiere, Monsieur Dupolle, per sganciare i cavalli dalla vettura e togliere i finimenti” rispose brevemente il ragazzo, avvicinandosi a lui.
“Per non attendere il Generale, Monsieur Christophe deve stare davvero male…” constatò dispiaciuto André.
“Credo sia di nuovo la gotta, signore. Ma non vi preoccupate, io e Monsieur Dupolle ce la caveremo egregiamente”.
“Il problema è che stasera è atteso anche un ospite e se Monsieur Dupolle non fosse ancora qui…” rifletté preoccupato André, pensando al prossimo arrivo del Maggiore; gli sarebbe dispiaciuto, infatti, se Gaston avesse avuto difficoltà, gli costava davvero tanto dargli una mano: incrociare di nuovo Victor de Girodelle e magari dover badare al suo cavallo era l'ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento. “Rimarrò con te…” disse infine con un sospiro rassegnato.
 “Oh no! No! Non ce n'è bisogno, davvero! L’ho fatto così tante volte sotto la guida di Monsieur Christophe che sono sicuro di poterci riuscire!” esclamò con convinzione Gaston.
“Ne sei sicuro?”
“Sì, certo!”
“Bene”convenne André “Allora non posso che darti fiducia” aggiunse subito dopo, scompigliandogli i capelli in una carezza affettuosa.
Un ampio sorriso illuminò il volto del ragazzo.“Davvero, monsieur Grandier?”
“Sì, Gaston. Come hai detto tu stesso, ormai hai una certa esperienza”.
“Oh sì, grazie della fiducia, monsieur Grandier! Vi prometto che non deluderò né voi né Monsieur Christophe!”esclamò con entusiasmo Gaston.
“Ne sono più che sicuro. Ad ogni modo, qualunque difficoltà tu possa incontrare, non esitare a chiamarmi” gli disse di rimando André, pur augurandosi vivamente che non ce ne fosse bisogno.
“Vi assicuro che non servirà!” promise il ragazzino con tono solenne.
“Allora buona fortuna Gaston” concluse André; chiacchierare con quel ragazzo, così giovane e pieno di entusiasmo, l'aveva aiutato a scrollarsi di dosso un po’ di malumore, e con il cuore un po’ più leggero, si sentì finalmente pronto a rientrare tra le mura di Palazzo Jarjayes.
 
 
 
Il rosso scintillio del sole al tramonto inondava il cielo di una calda luce aranciata e filtrando attraverso le leggere tende di candida mussola, che velavano le alte finestre della sala, riempiva di tenui riflessi dorati la stanza rendendo ancor più delicato l'incarnato perfetto e dolci i lineamenti della nobile dama che vi sedeva.
Victor la guardò pensando che il tempo era stato oltremodo generoso con sua madre, poiché più che toglierle la bellezza ne aveva accresciuto l'incanto e  se non l'avesse ben conosciuta, mai, guardandola, avrebbe pensato quanto carattere nascondessero quei dolci tratti: con una punta di impazienza tamburellò con l'indice  il bracciolo della sua poltrona.
Madame Amélie[2] aggrottò la bella fronte, e senza batter ciglio allungò il braccio candido al cui polso sottile splendeva un raffinato doppio giro di perle per posare sul piccolo tavolo innanzi a sé la graziosissima tazza di tè che teneva tra le mani.
L'eleganza e la naturalità del suo gesto furono perfette, tuttavia il tremulo tintinnio che la sottile porcellana emise quando toccò il piattino, la tradì svelando allo sguardo attento del suo interlocutore la propria contrarietà.
“Ebbene se questo è quello che volete io non posso che  augurarvi che di riuscire ad ottenerlo” disse dopo un attimo di silenzio  sollevando la testa a guardare il figlio seduto innanzi a lei.
Victor fissò sua madre negli occhi: era dispiaciuto che la propria scelta non incontrasse la sua approvazione, le voleva bene e  anche se lei era sempre stata fredda e distante, sia con lui che con suo fratello maggiore, non l'aveva mai ritenuta una madre inadeguata, anzi poteva dire che si era interessata a lui e alla sua educazione più di quanto non  facessero la maggior parte delle dame dell'aristocrazia con i propri figli, tanto più se non avevano avuto la fortuna di nascere primogeniti. Del resto egli sapeva che era stata, e probabilmente era ancora, infelice; troppo giovane e bella per il marito che le avevano dato. Suo padre, da cui la separavano anni e carattere, era infatti tanto riservato e indifferente alle sottigliezze della forma, quanto lei era mondana e attenta alle apparenze, ma soprattutto era un uomo pragmatico, incline a soprassedere su certi dettagli che sua moglie considerava importantissimi e che a lui, invece, apparivano del tutto trascurabili, esattamente come era avvenuto in quell'occasione. Egli infatti, dopo un momento di iniziale sorpresa, aveva accolto con entusiasmo il progetto del figlio, considerando che se fosse effettivamente andato in porto, sarebbe risultato un affare estremamente vantaggioso, dal momento che l'ultimogenita del generale Jarjayes avrebbe portato in dote non solo un ingente patrimonio, ma per concessione reale anche la trasmissione del titolo di Conte ai suoi figli, elevando così il ramo cadetto dei Girodelle.
Chiaramente tutto ciò a lui non interessava, erano ben altri i motivi che lo avevano  portato a compiere quella scelta, ma il punto era che non interessava neanche a sua madre, la quale a dispetto dei vantaggi che ne potevano venire, non riteneva quella donna tanto particolare adatta ad essere moglie di suo figlio, né, a dire il vero, di nessun altro. Chiaramente questa sua contrarietà era un dettaglio ininfluente dal momento che aveva ricevuto il consenso paterno; eppure ne era dispiaciuto. Teneva infatti al suo giudizio e per quanto conoscendola si aspettava una reazione negativa, aveva creduto che parlandole sarebbe riuscito a convincerla a guardare oltre le chiacchiere e le insinuazioni certamente pungenti, che ci sarebbero state quando la notizia si fosse risaputa.
Ora però si rendeva conto che non c'era ragione che potesse vincere in lei la forza delle convenzioni, né tantomeno l'avversione al solo pensare che qualcuna delle sue amiche potesse esprimerle le proprie felicitazioni per poi sorridere dietro il ventaglio.
“È quello che voglio, madre” rispose brevemente alzandosi, non avrebbe certo cambiato idea.
La Viscontessa volse lo sguardo altrove. “Potresti avere qualsiasi damigella tu voglia, Victor”.
“Non voglio nessun’altra” rispose lui, al che sua madre tornando a guardarlo si alzò a sua volta e gli si fece vicino.
“Bene… allora non mi resta che augurarti di essere felice” disse con un sospiro.
Victor abbozzò un sorriso “Vi ringrazio madre” rispose.
Per un breve momento i due si guardarono negli occhi, poi lei si voltò e tornò a sedersi.
“Un'ultima cosa Victor...” disse sistemandosi le pieghe dell’elegante abito malva “Da quanto mi hai detto mi è parso di capire che madamigella Oscar non sia ancora al corrente di ciò che tu e il Generale suo padre avete stabilito… mi sbaglio?” chiese inarcando un sopracciglio.
“No madre, non vi sbagliate. Ho ritenuto opportuno prima di ogni cosa chiedere il consenso di suo padre…”
“Certo… più che giusto figliolo, un comportamento ineccepibile il tuo, come sempre del resto…” approvò la Viscontessa con un sorriso, poi la sua espressione cambiò adombrandosi di quella preoccupazione che talvolta accompagna la nascita di un dubbio “Ma dimmi Victor… madamigella Oscar è  al corrente dei sentimenti che nutri nei suoi confronti? Li ricambia?”
Victor non rispose.
“No?” lo incalzò lei.
“Conto di farlo stasera”.
“Ah Victor… mio caro figliolo...” esclamò madame Amélie scuotendo la sua bella testa “Spero almeno che tu abbia fondati  motivi per sperare in un suo consenso. Oscar de Jarjayes non è  una ragazzina priva di volontà, ma una donna di  indubbio carattere. Credo di non sbagliarmi presumendo che non sia tipo da piegarsi senza nulla dire al volere del padre se questo non coincide con il proprio, da troppo è abituata a decidere per se stessa, a dare ordini agli uomini più che a prenderne da loro, del resto, suppongo questo sia parte del suo particolare fascino …” osservò rivolgendo al figlio uno sguardo eloquente “ma tu mio caro,  sei di certo un uomo che sa come far vibrare le corde di un cuore femminile anche se protetto da un intrico di rovi, e poi in ogni caso non hai di che preoccuparti, poiché in definitiva non c'è donna al mondo che, volente o nolente,  possa sottrarsi alla volontà paterna”.
“Vi ringrazio Signora per le vostre rassicuranti parole” rispose Victor incassando il colpo senza batter ciglio e ricambiando la madre con la stessa ironia che ella aveva usato; quindi si chinò a baciare la mano che lei, con un sorriso, gli porse per congedarlo ed uscì dalla stanza con l'animo più turbato di quanto fosse disposto ad ammettere con se stesso.
Le ultime osservazioni di madame Amélie avevano infatti colto il centro delle sue insicurezze; che speranze aveva che Oscar potesse accettare la sua proposta di matrimonio? Su cosa  fondava quella richiesta se non sui  propri sentimenti? Poteva essere certo che lei nutrisse della stima nei suoi confronti, della fiducia, che lo considerasse una persona valida, un ottimo secondo, magari addirittura che gli fosse affezionata, del resto era tanto che si conoscevano e lavoravano assieme, eppure doveva ammettere che tra loro non c’era mai stata quella confidenza che avrebbe permesso di definire il loro rapporto una vera e propria amicizia. Di lei in fondo non conosceva altro che ciò che era sotto gli occhi di tutti: quell’indole coraggiosa, generosa e pura che traspariva con chiarezza dalle sue azioni e dal suo comportamento e che sola gli era bastata per amarla. Per il resto Oscar de Jarjayes era un mistero. Non sapeva niente  dei suoi pensieri più profondi, delle sue abitudini private. Cosa conosceva dei suoi sogni, dei suoi desideri, delle sue paure? Nulla, eppure tutto agognava sapere e tutto immaginava e da quando si era concesso per la prima volta di fantasticare su come sarebbe stato averla accanto, l’aveva ritrovata vicino a sé ogniqualvolta aveva chiuso gli occhi. Inizialmente aveva lottato contro se stesso e cercato di ricacciare indietro quei sentimenti adducendo in suo aiuto la ragione e tutti i suoi argomenti, ma l'unico risultato che aveva ottenuto con tutto quel pensare, era stato di convincersi ulteriormente che lei era l'unica donna con cui avrebbe davvero potuto dividere la vita.
La ammirava e la desiderava… la amava e per farlo gli bastava il proprio cuore. Non aveva bisogno di null'altro, e da quando lo aveva capito niente era più stato più semplice, giacché il suo animo aveva iniziato a trasalire ogni qualvolta gli occhi del suo comandante si fermavano a guardarlo. E così un giorno aveva stabilito che se voleva avere la possibilità di averla accanto doveva correre il rischio di un suo rifiuto, che in definitiva non avrebbe cambiato nulla di ciò che di lei aveva avuto fino a quel momento.
Quanto alla possibilità che il Generale, il quale aveva accolto con un favore inaspettato la sua richiesta, imponesse alla figlia delle nozze che non desiderava, non lo avrebbe mai permesso, avrebbe preferito struggersi d'amore per una vita intera piuttosto che vederla acconsentire per mero dovere. Certo, sapeva anche che se  Oscar avesse accettato la sua richiesta non l’avrebbe fatto per amore, ma probabilmente solo per colmare quella solitudine che la vita che conduceva, sempre in bilico tra l’essere e l'apparire legato alla sua doppia natura, non poteva non aver creato. A quel pensiero, le sue labbra s’incurvarono appena in un mesto sorriso. Ecco una cosa che sapeva di lei, e che  gli altri non conoscevano, al di là delle apparenze Oscar portava nel cuore la fragilità della solitudine, e quella poteva essere per lui la chiave del suo cuore. Non andava orgoglioso di quell'idea, ma aveva capito che la sua unica possibilità di successo era di insinuarsi in quella fragilità che aveva scoperto per caso, quando tempo addietro la aveva riconosciuta in una affascinante quanto misteriosa dama che aveva danzato con il conte di Fersen durante uno dei tanti balli che animavano le serate della Reggia di Versailles. A quel tempo stava appena iniziando a rendersi conto dei suoi sentimenti e vederla ingoiare lacrime amare sul bordo di una fontana, avvolta in un turbinio di seta e di vento, dopo che  quel tracotante, stupido, bell’imbusto svedese, nella totale ignoranza della propria fortuna doveva averle spezzato il cuore, gli aveva aperto una finestra su quanto difficile dovesse essere per lei ostentare quotidianamente la maschera austera del soldato per nascondere non solo il suo cuore di donna, ma anche il disagio per una intera vita vissuta al contrario. Era stato come una deflagrazione. Egli stesso, in quanto  soldato era stato educato a nascondere e rifuggire ogni fragilità come segno di debolezza, e proprio perché sapeva quanto era  difficile farlo, pur avendo le larghe spalle di un uomo, aveva provato una pena infinita per quello che per una donna, designata dalla natura stessa alla fragilità, immaginava dover essere un fardello pesante come un macigno.
E intanto nelle settimane e nei mesi successivi, man mano che la consapevolezza dei suoi sentimenti cresceva, ripensando a quella sera, si era sempre più convinto che quel pezzo d'anima rubato al segreto di una notte, era l'unica cosa che egli avesse per convincerla ad amarlo e non gli importava se fosse giusto o sbagliato, avrebbe usato tutto per averla.
Questi ed altri, più o meno dello stesso tenore, erano stati i pensieri che avevano attraversato la mente di Victor dopo che, lasciati gli appartamenti di sua madre, era rientrato nelle sue stanze per prepararsi a quella che probabilmente sarebbe stata una delle serate più importanti e sicuramente più difficili della sua vita.
Aveva legato dietro la nuca i lunghi capelli castani, arricciati e appena incipriati, fermandoli con un semplice nastro nero, e aveva indossato una giacca di seta verde acqua sopra un panciotto del medesimo colore ornato sul bordo, le tasche e lungo l’abbottonatura, di preziosi ricami dorati che riprendevano quelli della  giacca. Calzoni al ginocchio, calze di seta, scarpe con fibbia e spada al fianco completavano il tutto. Uomo di mondo e d'armi, ecco come appariva e come da tutti era considerato il maggiore Victor Clément de Girodelle, eppure in quel momento, mentre innanzi allo specchio della sua camera fissava quasi senza vederla l' immagine di se stesso, non riusciva a non sentirsi nervoso, inadeguato ed insicuro come fosse un giovinetto di primo pelo.
E sì che non poteva certo dirsi uno sprovveduto; la vita era stata con lui abbastanza generosa da elargirgli tutte quelle occasioni di esperienza che gli erano valse ad acquisire, se pure non ne avesse avuta già a sufficienza, sicurezza di sé e del suo valore, nonché una consolidata reputazione di amabile e raffinato gentiluomo, che sommata ad un aspetto gradevole, gli era valsa un certo successo tra  molte delle più affascinanti dame che frequentavano la Corte di Versailles. Di questa fortuna, tuttavia, egli non ne aveva mai abusato; né tantomeno si era mai fatto vanto delle sue conquiste, facendo della discrezione il proprio vessillo. Non si sentiva, né voleva essere accostato ad un libertino, un vile seduttore che solo per soddisfare i sensi, circuisce le donne con l'inganno per poi rovinarne la reputazione con il vanto, trasformando gemme splendenti in fiori appassiti, per il triste giardino delle proprie glorie. Mai egli aveva chiesto ad una donna qualcosa in più di ciò che ella non fosse stata di per sé felice di offrirgli, e comunque ad ognuna di loro aveva donato un pezzo del suo cuore, amandola sempre, almeno per un po’. Quest’ultima convinzione era tuttavia svanita quando aveva iniziato a realizzare, che quel palpito lieve, quell’emozione contenuta, quel sentimento tiepido che aveva provato tenendo tra le braccia quelle donne, non era che un sussurro del cuore al confronto del tumulto confuso e rumoroso che gli esplodeva nel petto ogni qualvolta il suo sguardo incontrava quello fermo e tagliente di colei da cui, oramai da parecchi anni, prendeva quotidianamente ordini.
Un sorriso gli increspò le labbra: prendere ordini da una donna e non trovarci nulla di strano...certo non era da tutti…
A onor del vero, doveva  ammettere che non sempre era stato così.
Ricordava ancora quando suo padre gli aveva comunicato che il grado di Capitano, con cui avrebbe dovuto fare il suo ingresso nei ranghi delle Guardie Reali, per volere di Sua Maestà il Re non era stato concesso a lui, come era lecito aspettarsi, bensì al quattordicenne rampollo del generale François Augustin Reynier Conte de Jarjayes. Era andato su tutte le furie per quella che gli era apparsa come un’autentica sopraffazione. Quel grado, infatti, come gli era stato più volte spiegato da suo padre prospettandogli una carriera in rapida  ascesa, in virtù dei legami che la sua famiglia vantava con i Noailles[3] era per prassi appannaggio dei figli cadetti della nobile casata dei  Girodelle. Un grado da tenente, non era dunque ciò cui era stato abituato a pensare per se stesso, e poco gli importava che in quello che era considerato più prestigioso tra i Reggimenti della Maison Militaire du Roi anche l'ultimo degli ufficiali subalterni appartenesse al fior fiore dell’aristocrazia,  egli si era sentito comunque defraudato di un suo diritto. Tuttavia a quindici anni, non era più un ragazzino ed aveva la maturità necessaria per comprendere i giochi di potere che giravano dietro ad un incarico di prestigio, gli era stato dunque subito chiaro che, evidentemente, il Generale Jarjayes doveva aver giocato con molta abilità le sue carte, riuscendo ad ottenere appoggi ancor più potenti di quelli che i Girodelle potevano vantare. Seppur con fatica, aveva dunque messo da parte rabbia e delusione e si era rassegnato a quella nuova situazione, almeno finché non era venuto a sapere che il giovane figlio del generale Jarjayes, da cui avrebbe dovuto prendere ordini, era in realtà una figlia.
L'informazione taciutagli dal padre, che probabilmente dopo il primo duro colpo che era stato costretto a infliggere al suo orgoglio, non aveva avuto cuore di infierire con un secondo ancor peggiore, gli era giunta alcuni giorni dopo, quando durante un ballo gli era stata presentata la figlia ultimogenita del generale Jarjayes,  madamigella Oscar, futuro Capitano delle Guardie di Sua Maestà.
Sorrise a quel ricordo ed abbandonando il suo riflesso si volse a prendere  i guanti che Alphonse gli porgeva, ripensando mentre li infilava, a quel loro burrascoso primo incontro.
Per zittire le chiacchiere sullo smacco subito e dimostrare che nulla era cambiato nella posizione e nel prestigio della famiglia Girodelle, sua madre aveva dato un sontuoso ricevimento, una raffinata festa di Calendimaggio organizzata negli splendidi giardini della loro magione, con il pretesto di celebrare l'arrivo della Primavera. A quella festa, il cui successo era stato suggellato dall'inaspettato arrivo di Madame Adelaide, figlia prediletta del Re, il generale Jarjayes era stato invitato come tutti i più illustri nomi di Versailles e vi era intervenuto, accompagnato dalla sua splendida quanto riservata consorte e da suo figlio Oscar. Era stato proprio durante una conversazione cui aveva assistito tra Madame Adelaide, sua madre ed alcuni altri ospiti, tra cui la contessa de Jarjayes, che aveva appreso dalle auguste labbra della figlia del Re, quanto mai avrebbe potuto immaginare.
Rendendo manifesto, con modi e parole che esprimevano la stessa amabile cortesia alla padrona di casa come alla contessa de Jarjayes, il desiderio del Suo Augusto Genitore che tra le due casate non ci fosse acredine, la Principessa aveva fatto notare che la decisione presa dal Beneamato[4] era stata in quell'occasione quanto mai illuminata, giacché egli non solo aveva avuto cura di affidare la sicurezza della futura Delfina di Francia a due giovani  che di certo avrebbero saputo farsi onore per meriti e coraggio, ma aveva scelto di dare ad Oscar de Jarjayes, il grado di Capitano nella certezza che nessuno meglio di una fanciulla, di salda educazione ed animo nobile, formata dal padre stesso come un soldato, e per di più coetanea della futura Delfina,  avrebbe potuto adempiere con maggiore efficacia ad un ruolo che richiedeva non solo attenzione e responsabilità, ma anche una vicinanza assidua e continua.
Chiaramente tutti i presenti avevano assentito con convinzione, e quando la nobilissima dama degnandolo della sua attenzione gli aveva rivolto la parola, chiedendogli se avesse già avuto modo di conoscere il suo futuro superiore, praticamente immobilizzato dalla sorpresa egli non aveva saputo rispondere che scuotendo la testa in un attonito diniego, con l'effetto di apparire insicuro e goffamente timido. Il caso, che è spesso inopportuno,  aveva poi voluto che proprio in quel momento, il generale Jarjayes, seguito da Oscar, avesse raggiunto la moglie per porgere i suoi omaggi alla Principessa, cosicché il compito, marziale, perfetto inchino con cui Oscar completamente a suo agio aveva salutato Madame Adelaide, aveva finito con l'acuire dolorosamente l'imbarazzo per la consapevolezza della magra impressione che la sua muta risposta aveva dato. In tutto ciò, lo sguardo divertito che la giovane gli aveva rivolto, gli era giunto come uno schiaffo in pieno viso, facendogli subitaneamente stabilire che poco gli importava di chi fosse la decisione, ma mai avrebbe preso ordini dalla quella femmina arrogante; e poiché contrariamente all’impressione che poteva aver dato in quel momento, egli non era né insicuro, né tantomeno timido, ripresosi dalla sorpresa, non appena si era ritrovato solo con  “l’insolente”, non aveva impiegato molto a dirle ciò che pensava. Le aveva chiesto di stabilire con la spada, a chi  davvero spettava quel grado, intimandole di rinunciarvi una volta che fosse stata sconfitta.
La risposta di Oscar si era limitata ad un laconico e del tutto neutro quando volete .
Si erano battuti quel giorno stesso, in un angolo isolato del parco che circondava la tenuta, lontani da occhi indiscreti, coprendo con il clangore dei colpi di spada il suono della musica, che dai giardini, dove l’orchestra suonava per allietare gli ospiti di madame Amélie, giungeva loro come un sottofondo ovattato. Era stato sconfitto, indiscutibilmente, senza se e senza ma, tranne uno… a dire il vero, poiché contrariamente a quanto sarebbe stato lecito aspettarsi dopo che lui l’aveva sfidata con tanta presuntuosa sicumera, lei, indiscutibilmente vittoriosa, non aveva avuto una sola parola di scherno o di soddisfazione.
“Siete stato un degno avversario” gli aveva detto raccogliendo da terra la spada che lui aveva perso “non vi ho battuto per maggiore abilità, ma per un  vostro errore” aveva poi aggiunto porgendogliela.
La aveva guardata sorpreso, sapeva che non era così: la bravura di uno schermidore si giudica oltre che dalla sua abilità a maneggiar la spada anche dalla capacità che  ha di cogliere l'attimo sfruttando a proprio vantaggio gli errori dell'avversario. Lei l’aveva fatto egregiamente.
Oscar non aveva aggiunto altro, si era voltata ed era andata via lasciandolo a guardarla e chiedersi quanto potesse essere degna di stima quella ragazza e se servire ai suoi ordini potesse essere, in fondo, una possibilità da prendere in considerazione. Da quel giorno erano passati quasi vent'anni.
 
“Siete perfetto, Signore”.
La voce sinceramente ammirata di Alphonse lo distolse dai suoi pensieri.
“Ti ringrazio ” rispose Victor pensando che l'affetto che il suo vecchio attendente aveva per lui era sincero e che meritava di essere sistemato nel migliore dei modi, se mai avesse effettivamente deciso di non averlo più al suo servizio, quanto alla sua perfezione temeva non sarebbe bastata, ma era comunque qualcosa.
Uscì dalla stanza pensando con un sospiro che avrebbe voluto non averla mai riconosciuta quella lontana sera, né averla mai vista così bella e fragile lottare con il proprio dolore, perché forse, in quel caso, col tempo, sarebbe riuscito a convincersi che quel coraggio, quella forza, quell’audacia, quella indomita fierezza che la rendevano degna della silenziosa ammirazione di un uomo, la rendevano al contempo una donna impossibile da amare e non si sarebbe ritrovato a pensare di volerla stringere e proteggere, sollevarla dai suoi affanni, donarle ogni giorno un raggio di sole per vedere la luce splendere nei suoi occhi… e, soprattutto, quella sera non si sarebbe trovato trepidante d'emozione e perdutamente innamorato a compiere quel cammino  incerto che lo separava da un sogno.



 
Il letto scricchiolò un poco sotto il suo peso mentre, cedendo alla stanchezza, André si distendeva con gli occhi puntati al soffitto, cercando di scacciare i cupi pensieri che erano tornati a tormentarlo. La sensazione di sollievo legata all’incontro con Gaston, era durata giusto il tempo di percorrere i lunghi corridoi di palazzo e rientrare nella solitudine della sua stanza, costatò con un sospiro, volgendo distrattamente lo sguardo verso la finestra socchiusa che lasciava spirare l’aria fresca della sera. Il sole era ormai tramontato e nel cielo violaceo iniziavano a occhieggiare le prime stelle. Probabilmente, anche se da lì non poteva vedere il cortile principale, il Visconte era già arrivato.
A quella considerazione, André sollevò la schiena dal letto con uno sbuffo, mettendosi seduto. Come aveva potuto essere così stupido?
Sì, era stato uno stupido, perché in quel bosco, partito Girodelle, aveva lasciato tracimare le ombre del cuore.
 
“Quando pensavi di dirmelo?” Quasi non gli era sembrata sua, la voce che brusca aveva spezzato il silenzio.
Oscar si era girata a guardarlo attonita. “Che cosa, André?”
“Che avevi invitato il Maggiore a cena stasera. Non ne sapevo niente”.
 “A dire il vero me ne ero dimenticata… l’invito risale alla settimana scorsa e peraltro è stato un’idea di mio padre” aveva risposto lei, aggrottando la fronte.
“Di tuo padre?” aveva ripetuto con un sorrisetto sarcastico.
Oscar si era irrigidita.
“Sì, di mio padre, André. Sapendo che il trasferimento a Fontainbleau è imminente e che sono ancora molti i dettagli da prendere in considerazione per la sicurezza dei sovrani, una decina di giorni fa mi ha suggerito di invitare il Maggiore per discuterne con calma, senza essere disturbati dalle incombenze di Corte. In ogni caso, non vedo dove sia il problema” aveva replicato seccamente.
“Il problema è, Oscar” aveva osservato lui con uno sguardo tagliente “Il problema è che ieri mi avevi assicurato che stasera saremmo stati insieme… invece vengo a sapere solo per caso che hai invitato Girodelle a cena e che dunque, con molta probabilità, non avremo modo neanche di parlare!”
“Non me ne sono ricordata, André!”
“Come non ti sei ricordata di chiedermi magari se ero d’accordo!”
Oscar lo aveva guardato come se fosse impazzito.
“Ma che diamine stai dicendo?”
Solo in quel momento, dinanzi a quello sguardo azzurro fiammeggiante d’incredulità, André aveva compreso di aver oltrepassato i limiti. In realtà, lui per primo sapeva che quella scenata, per quanto figlia della frustrazione e dell’insofferenza, fosse del tutto gratuita; che in ogni caso Oscar non doveva rendergli conto di nulla né lui l’avrebbe mai preteso.
Eppure, gli era stato impossibile non pensare che se Victor de Girodelle poteva sedersi accanto a Oscar alla tavola del Generale, a lui sarebbe stato sempre precluso; che la confidenza che caratterizzava il suo rapporto con lei, era solo un’eccezione indulgentemente tollerata a Palazzo Jarjayes come a Versailles, perché anche se aveva ricevuto un’educazione di prim’ordine, aveva maniere impeccabili e sapeva maneggiare una spada meglio di tanti nobili ufficiali di Sua Maestà, era e sarebbe rimasto un domestico e il suo posto non poteva che essere nella sala della servitù e non certo alla tavola dei padroni. E poi c’era quella voce malevola che non riusciva a cacciare dalla mente… quella voce che continuava a ripetergli quanto forse Oscar non desse ai loro incontri l’importanza che lui vi attribuiva. In fondo, lei aveva il suo incarico, le sue guardie, la sua regina; lui invece… aveva solo lei.
“André, maledizione, mi vuoi rispondere invece di fissarmi?”
Le parole irritate di Oscar lo avevano riscosso. Si era passato una mano sulla fronte in un gesto nervoso. Ormai il danno era fatto, inutile correre ai ripari.
“Né più né meno di quello che ho detto” aveva risposto allora con un’espressione di sfida, puntando lo sguardo in quello di lei “Non pretendo assolutamente nulla da te, Oscar, sei libera di fare quello che più ti aggrada… ma quando ciò ha delle ripercussioni su di noi… be’, vorrei che per lo meno mi informassi delle tue decisioni prima di agire di conseguenza”.
“Avrei dovuto chiederti il permesso?” aveva replicato sarcastica lei.
“No, però magari se mi avessi consultato prima, avrei potuto suggerirti un’altra soluzione per parlare con il Maggiore, senza che questo ci impedisse di trascorrere insieme una delle ultime serate che avevamo a disposizione prima del trasferimento a Fontainbleau. Capisco che per te forse sono sciocchezze, ma…”
“Per me non sono sciocchezze, te lo assicuro!” lo aveva interrotto accorata Oscar “Credi davvero che non mi dispiaccia per stasera?”
“Fino a pochi minuti fa non mi sembravi particolarmente affranta” si era lasciato sfuggire caustico André, pentendosi però subito dopo nel vedere Oscar impallidire di colpo e sgranare gli occhi. Uno schiaffo in faccia, forse, le avrebbe fatto meno male.
“Sei ingiusto, André” era riuscita soltanto a ribattere, tra la delusione e la rabbia.
André aveva avvertito quasi un dolore fisico nel sentirla pronunciare quelle parole. Di colpo, violente e vivide erano tornate ad affacciarsi nella sua mente le immagini di quel maledetto incubo, e per un attimo si era chiesto se esso non fosse stato altro che una sorta di nero presagio, un cupo ammonimento dell’anima… perché ci sono parole che feriscono più di una lama, sguardi più affilati di un coltello.
Mai avrebbe voluto colpire Oscar in quel modo, mai.
“Perdonami, non volevo…” aveva cominciato, ma alzando una mano lei lo aveva zittito.
“Lascia stare, chiudiamola qui”.
 
Al ricordo del pesante silenzio che era calato tra loro dopo quel battibecco, in un moto di sconforto André si prese la testa fra le mani, domandandosi smarrito se qualcosa, quel pomeriggio, si fosse incrinato per sempre. Aveva accusato immeritatamente la persona cui teneva più al mondo, solo per sfogare le proprie frustrazioni, aveva visto il dolore e la delusione offuscare i suoi occhi… eppure, pensò subito dopo, se Oscar si era trincerata dietro quell’esasperante mutismo piuttosto che cedere all’impeto e alla collera, era stato solo per amore.  
Sorrise con amarezza, André, pensando a quanto fossero entrambi cambiati in quell’ultimo anno. No, non poteva lasciare che le reciproche incomprensioni e soprattutto le sue debolezze mettessero a repentaglio il legame che li univa. Doveva vedere Oscar e scusarsi con lei, spiegarle con sincerità e pacatezza, come lei gli aveva chiesto accoratamente di fare, ciò che lo affliggeva.
D’impulso si alzò in piedi. Forse Girodelle non era ancora arrivato e Oscar si stava ancora preparando nella sua camera. Uscì nel corridoio e raggiunse l’ala padronale senza incrociare nessuno, ma quando si accostò alla porta della stanza e bussò piano, nessuna risposta lo raggiunse dall’interno. Per un istante rimase immobile, indeciso… poi ruppe gli indugi e scese rapidamente le scale. Al diavolo Victor de Girodelle, prima di cena lui le avrebbe parlato.
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Nell’anime André è praticamente un factotum, ma dal punto di vista storico in una famiglia facoltosa come i Jarjayes era impensabile che qualcuno svolgesse contemporaneamente mansioni assai diverse tra loro come quelle di attendente, stalliere, cocchiere, cameriere ecc. ! In questa fan fiction è dunque “solo” un attendente, ossia una figura di rilievo nella gerarchia della servitù al pari della governante, ossia la nonna.
[2] Il personaggio di Madame Amélie è ripreso, e in parte ispirato, a quello che  RioKo Ikeda accenna nel Gaiden  dedicato a Victor de Girodelle, che per qualche incomprensibile motivo, lì però, chiama Florian
[3] I Noailles con i Villeroy  detenevano le  redini dei reggimenti della Guardie del Corpo. Qualche informazione più dettagliata sulla Maison Militaire du Roi e sulle Guardie del Re le trovate qui:http://dasandere.it/la-maison-militare-dei-re-di-francia/https://fr.m.wikipedia.org/wiki/Garde_du_corps_du_roi)
[4] Soprannome di Luigi XV

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Capitolo 4
*** Il Crepuscolo degli dei (parte I) ***


Oscar salì i gradini di marmo che dai giardini conducevano al grande atrio di casa profondamente assorta nei suoi pensieri. La discussione avuta con André l’aveva turbata più di quanto fosse disposta ad ammettere con se stessa e quando erano giunti a Palazzo Jarjayes, dopo aver concluso in un pesante silenzio l'ultimo tratto di strada, aveva dovuto fare un notevole sforzo per ignorare la delusione ed apparire serena. Alle scuderie, una volta smontati da cavallo, André le aveva detto di rientrare da sola poiché aveva intenzione di trattenersi ancora un po’ a prendersi cura di Alexander e Cesar. Oscar allora, in un estremo tentativo di distensione, si era offerta di restare a dargli una mano, ma lui aveva rifiutato con un educato no grazie per poi aggiungere, con un sorriso mesto, che non gli sembrava il caso che lei avendo ospiti si attardasse a perder tempo. Non era stata una risposta piccata, anzi il tono di André era stato tranquillo, ma lei l'aveva comunque percepita come un rigetto del suo faticoso tentativo di mettere una pietra su tutta quella storia e non era riuscita a soffocare una sensazione di contrarietà.
Tuttavia nessuno dei due si era mosso; si erano fissati l'un l'altra, muti, scrutandosi come se si fossero persi e si cercassero, lo sguardo di André era calmo e malinconico, quello di Oscar inquieto, ma ugualmente adombrato di tristezza. Nel silenzio calato tra loro l’esitazione dell’attesa era evidente, tanto che ad un certo punto Oscar aveva capito che nonostante le sue parole André non avrebbe voluto che andasse via, ma non poteva fare altro dopo che lei aveva tanto bruscamente troncato la discussione impedendogli di spiegare le ragioni del suo comportamento. Ora stava a lei fare il primo passo, ritornare indietro, ribadire che quella discussione non aveva avuto senso, che non le importava che di lui... che non servivano scuse o spiegazioni. Così abbandonando ogni remora ed esitazione, gli si era accostata chiamandolo per nome, con voce bassa, con dolcezza e tutto il suo amore. Aveva sentito un’emozione profonda quando aveva visto il volto di André accendersi di quella tenerezza e quell'amore che negli ultimi mesi aveva imparato a riconoscere nel suo sguardo l’attimo prima che la stringesse a sé, e aveva pensato che quel bacio soltanto sussurrato fosse finalmente riuscito a dissolvere le ombre calate tra loro; ma poi lui aveva aggrottato la fronte e stretto la mascella. Aveva abbassato lo sguardo e si era voltato, infine si era messo ad armeggiare con i finimenti di Cesar. Nel cuore di Oscar una delusione cocente aveva sostituito l'emozione, aveva sospirato pesantemente e senza dire altro si era voltata, era uscita dalle scuderie e con l'animo colmo di amarezza si era avviata verso casa.
Ed ora più ci pensava, più se ne convinceva: minimizzare era inutile e non avrebbe risolto nulla. Quello che era accaduto tra loro non era stato un diverbio, non una semplice discussione, ma un vero e proprio litigio. Erano volate provocazioni, accuse, repliche piccate, parole brusche; escludendo gli innocenti alterchi che avevano avuto da bambini, poteva dirsi che quella era stata la prima vera lite che avessero mai avuto. Fino a quel momento, infatti, le situazioni di tensione tra loro non erano mai esplose apertamente, come avrebbero potuto del resto? Finché André era stato il suo attendente, per quanto tra loro ci fosse un sincero legame di amicizia, i loro ruoli li avevano in un certo senso frenati. Anche quando si erano scontrati su qualche cosa su cui il loro modo di vedere non convergeva, non avevano mai veramente litigato.  André aveva sempre espresso il suo disappunto in maniera moderata e in definitiva, anche se non le condivideva appieno, aveva sempre accettato le decisioni che lei aveva preso. D'altro canto, lei, consapevole della sua posizione aveva sempre cercato di non imporsi apertamente, ammorbidendo per quanto le era possibile l’espressione della propria volontà. Quando poi le cose tra loro erano cambiate, quando l'amore aveva sostituito l'amicizia tutto il resto era passato in secondo piano e in quell’ultimo anno non c'era stato spazio che per grandi emozioni e momenti di tenerezza, nessuna nuvola aveva turbato l'azzurro del loro cielo o forse no… forse era stata lei che presa da quei sentimenti così intensi ed appaganti, da quella gioia sconosciuta e vasta non aveva voluto vederle, forse...
 “Bentornata colonnello”
La voce del valletto, che vedendola arrivare era accorso al suo ingresso, quasi fece sobbalzare Oscar che totalmente immersa nei suoi pensieri non si era accorta della sua presenza.  L'uomo si piegò in un inchino e lei si voltò a guardarlo come per mettere a fuoco quella figura apparentemente sbucata dal nulla.
 “Grazie Vincent” rispose infine riavendosi, e con un movimento meccanico slacciò gli alamari che tenevano chiuso il mantello per consentire al valletto di prenderlo.
… Forse avrebbe dovuto essere più attenta, soffermarsi a pensare che per André la loro relazione non era poi così scontata… le cose non erano così semplici, forse…
“Mio padre è già tornato?” si informò obbligandosi ad interrompere il filo dei propri pensieri. Sentiva la testa che stava per esploderle e pensò che avrebbe fatto volentieri a meno di presenziare a quella maledetta cena che da semplice impego un po’ noioso, era oramai diventata un vero e proprio peso.
 “Non ancora” rispose l’uomo.
Oscar annuì e volse lo sguardo al pendolo che tra un paesaggio di Watteau e una elegante consolle sormontata da un enorme specchio dorato, segnava le sei. C'era poco da fare, non le restava che cercare di metabolizzare in fretta ciò che era successo, concludere quella serata quanto più in velocemente possibile e poi andare da André, quella notte stessa, senza indugio, e chiarire una volta per tutte che per lei, lui veniva prima di ogni altra dannata cosa! Si diede della stupida per aver permesso al proprio orgoglio di averla vinta. Troppo tardi si rendeva conto che quel voltarle le spalle non era stato un rifiuto ma solo un’esigenza di difesa. Per quanto fosse in errore, André aveva pensato che lei lo avesse escluso, e dal momento che non era certo il tipo d' uomo che parlasse senza un valido motivo, era evidente che dovesse esserci dell’altro, che qualcosa non andasse e l'atteggiamento d'intransigenza che lei aveva avuto quando, sul finire del loro battibecco, lui aveva provato a spiegarsi, quel metterlo a tacere, quella sua dannata chiusura, non doveva aver certo migliorato la situazione.
 Maledizione! Non avrebbe dovuto lasciarlo da solo a crogiolarsi in chissà quali assurdi pensieri! In quella lite André si era scoperto, le aveva rivelato l'esistenza di un’insicurezza cui lei, da sempre abituata ad essere padrona della propria vita, non aveva mai pensato. Che stupida che era stata! Sarebbe dovuta restare! Lui doveva capire, rendersi conto, una volta per tutte, che per lei non esisteva nulla di più importante di loro. 
Con passo veloce salì il grande scalone che conduceva al piano nobile e percorse in fretta le sale che la separavano dai sui appartamenti, sentiva bisogno di gettarsi su letto e chiudere gli occhi, non pensare almeno per qualche minuto.
Non servì.
La sua mente continuava a tornare su quanto era accaduto, ma soprattutto le tornavano in mente alcune frasi apparentemente insignificanti e dettagli del comportamento di André che fino a quel momento non aveva colto, ma che ora le apparivano evidenti espressioni di una inquietudine nascosta. Infine fra i tanti pensieri, fu uno a prevalere scacciando via tutti gli altri: in quei mesi paga di ciò che aveva, aveva vissuto giorno dopo giorno senza porsi domande, senza pensare a quanto potesse durare quello stato di cose, se ad André stava bene… Concentrata solo su se stessa aveva praticamente finito col  dilatare ogni attimo di felicità che lui le donava fino a dissolvere il trascorrere del tempo e la realtà della vita, illudendosi che potesse continuare così indefinitamente. Ma il tempo e la realtà nel loro procedere avevano finito col consumare quell’illusione ed ora improvvisamente si rendeva conto che con la sua silenziosa egoistica felicità, gli aveva chiesto troppo, rischiando così di perdere tutto.
Fortunatamente non era troppo tardi per rimediare…. Gli avrebbe parlato, gli avrebbe spiegato, lo avrebbe ascoltato ed avrebbe capito ed insieme avrebbero risolto ogni cosa, perché ciò che avevano era troppo bello, troppo importante perché potesse finire lentamente divorato dalle incomprensioni.
Il rapido susseguirsi di due decisi tocchi alla porta distolse Oscar dai suoi pensieri, che, giusto un attimo prima che Marie entrasse, si tirò su mettendosi a sedere sul letto dove poco prima si era lasciata cadere senza neanche togliersi la giacca, a braccia aperte, stanca nel corpo e ancor di più nella mente.  Tuttavia, per quanto fosse stata veloce nel ricomporsi, non riuscì a nascondere all'occhio attento della sua cara Nanny che qualcosa non andava.
“Oscar, bambina mia! Cos’hai!? Mi sembri così stanca!” Esordì l'anziana governante osservandola con sguardo critico “Questa vita! Non smetterò mai di dire che non è adatta ad una fanciulla! Mi domando quando tu, e il tuo Signor padre ovviamente, vi deciderete a rinsavire!" esclamò mentre la cameriera che era entrata dietro di lei si profondeva in un rispettoso inchino.
Oscar sospirò “È da un bel po’ che non sono più una bambina Marie, e rassegnati... non ci saranno miracolosi rinsavimenti da parte di nessuno, anche perché la vita che faccio l'ho scelta, mi piace e non ne vorrei una diversa” disse pensando che quello che aveva detto, era oramai solo una mezza verità.
Marie fece spallucce, esprimendo così non solo la sua totale incomprensione, ma anche il  suo disaccordo con quell'affermazione, limitandosi a borbottare un contrariato  “Non ti sei neanche tolta la giacca…” per poi rivolgere una lunga occhiata severa alla giovane cameriera bruna che dietro di lei se ne stava immobile con le braccia conserte in grembo, ma che colto il muto sollecito della governante, quasi sobbalzò e si affrettò a raggiungere madamigella Oscar per aiutarla a liberarsi dell'indumento.
Marie alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
“Mi domando se riuscirò mai a trovare una degna sostituta di Louise, qualcuna capace di svolgere i suoi compiti con la medesima solerzia ed attenzione.” Sospirò “Lasciare il tuo servizio per metter su famiglia… che idea balzana…”
Oscar non rispose a quella constatazione di Marie che di fatto altro non era che un pensiero espresso a voce alta, del resto sarebbe risultato strano che si mettesse ad esprimere giudizi sulle questioni della servitù, ma pensò che la decisione di Louise era comprensibilissima dal momento che, se pure era vero che aveva rinunciato alla sicurezza che garantiva il servizio a Palazzo Jarjayes e al prestigio di un ruolo ritenuto ambito da molte sue pari, lo aveva fatto per poter vivere con l'uomo che amava, per poter condividere con lui la quotidianità… Lei lo avrebbe fatto? Si. Avrebbe rinunciato a sicurezza, agiatezza, prestigio e a quella particolare indipendenza che le dava essere chi era? Si… mille volte si! Si disse con convinzione. Agiatezza, prestigio sociale… non le importavano, sebbene dovesse ammettere che diventare una donna comune un po’ la spaventava. Non che lei si ritenesse speciale, ma indubbiamente sapeva di essere diversa, del resto era una vita che era abituata ad approcciarsi con gli altri come… un uomo, ad averne la libertà, l’autonomia, l'indipendenza, la stessa possibilità di poter decidere per sé, di poter dire no; ma poi, in fondo, quanto era veramente libera… Quanto era vero che poteva decidere completamente per se stessa, il nome che portava con tutti gli obblighi, i vincoli e le aspettative ad esso legate non era in fondo una catena? Non poter amare liberamente l’uomo che aveva scelto, non ne era una conseguenza?  Oscar pensò che chiunque abbia dei legami non è mai completamente libero e che in un certo senso è proprio la profondità dei sentimenti che ci lega a ciò e a chi si ama a determinare la libertà di un individuo. Dunque, dal momento che lei amava André più profondamente di qualsiasi altra cosa, avrebbe amato la vita vissuta al suo fianco. Il problema quindi non si poneva; tanto più che era certa che lui, per gli identici motivi, non le avrebbe mai imposto nulla che lei non volesse.
“Comunque ero venuta ad avvisarti che poc'anzi è arrivato un messaggero di tuo padre” riprese Marie interrompendo le sue riflessioni “Riferisce che ha avuto un imprevisto e tarderà leggermente, ti chiede di scusarlo con il Maggiore.”
Oscar scosse impercettibile la testa, pensando che quell’imprevisto non faceva che allungare il tempo che la separava dalla fine di quella serata.  
“È tutto. Allora io vado, ti lascio alle cure di Eleonoire” concluse Marie guardando di sottecchi la ragazza che assentì silenziosamente con la testa per poi abbassare lo sguardo intimidita.
Marie sospirò e dopo aver rivolto ad Oscar un sorriso affettuoso, si avviò verso la porta della camera; era già sulla soglia quando tornò a voltarsi.
“Ah che sbadata! Quasi dimenticavo! Tuo padre fa sapere anche che giungerà con un altro ospite.”
“Un altro ospite?” domandò Oscar aggrottando la fronte.
“Sì, ma non so dirti chi sia, il soldato che ha portato il messaggio di tuo padre non ha saputo dire altro.”
“Va bene Marie, grazie” rispose Oscar, nascondendo con voce neutra il fastidio per quel nuovo ulteriore imprevisto.
Quando Marie fu uscita, la cameriera si affrettò verso la piccola stanza da bagno ovale attigua alla camera da letto, prese dal portacatino la  brocca di porcellana e riempì d'acqua il bacile perché  Oscar potesse sciacquarsi il viso e rinfrescarsi, quindi andò all'armadio e preparò una candida camicia di seta bianca che posò sul letto.
 “Cosa preferite indossare per cena?” domandò infine.
Oscar sospirò.
“L’habit viola andrà benissimo” rispose rassegnata iniziando a slacciarsi la camicia.
 
 
Il Visconte Girodelle prese il calice di vino dal vassoio che il valletto gli porgeva e accavallando le lunghe gambe si sistemò più comodamente sulla poltrona di damasco dorato e sorrise alla sua ospite.
“Non preoccupatevi Comandante, mi sono accertato personalmente della certezza delle informazioni, credo che non avremo problemi di alcun tipo”
Oscar sollevò le sopracciglia “Ciò che mi preoccupa sono le possibili interazioni con coloro che incontreremo lungo il percorso, oltre la sicurezza fisica dei sovrani dobbiamo tenere a mente anche la sicurezza sociale” osservò.
“Se vi riferite agli eventuali disordini che potrebbero creare i facinorosi siamo in grado di tenerli a bada, in proposito sono stati allertati i soldati della Guardia. Certo non possiamo garantire che il trasferimento dei sovrani sarà accompagnato dal saluto entusiasta del popolo lungo la strada, il momento purtroppo non è dei più felici, ma possiamo garantire un viaggio tranquillo… “
“Non ricordo che nei trasferimenti precedenti abbiamo avuto così tanti grattacapi da gestire; mio padre ieri mi accennava a delle informazioni circa la presenza di svariati fucili spariti dall'armeria degli Invalidi e ritrovati nel villaggio di Barbizone, poco distante da Fontainbleau”
“Potrebbe essere una coincidenza…” ipotizzò dubbioso Victor, ricevendo in risposta un’occhiata severa.
 “Il condizionale non è accettabile in tali frangenti, Maggiore”
“Scusatemi Comandante, avete perfettamente ragione” si affrettò a scusarsi Girodelle rendendosi conto dell’avventatezza della sua osservazione “Credo sia la stanchezza a farmi dire sciocchezze…”
“Non c'è bisogno che vi scusiate, può capitare un cedimento quando si è sottopressione…”
“Non a voi...”
Oscar sorrise, si alzò e si avvicinò al camino. Nonostante ottobre regalasse ancora mattine tiepide, le sere già annunciavano il rigore dell’inverno, e gli ampi salotti di Palazzo Jarjayes, nella loro eleganza, sapevano essere straordinariamente freddi. Tese le mani verso il calore delle fiamme, non era poi così sicura della sua infallibilità, visto l'ultimo scherzo che le aveva fatto la stanchezza.
Victor sorseggiò lentamente il vino osservandola al di sopra del calice. Era splendida, come lo era sempre ai suoi occhi del resto, ma quella sera aveva qualcosa che la rendeva ancor più bella. Forse era la particolare tonalità di ametista che indossava, così intensa e vibrante, che faceva risaltare il chiarore della sua pelle e splendere l’oro di suoi capelli,  o forse erano i suoi occhi cristallini, ombreggiati dalla frangia ondulata, ad avere quella sera un qualcosa di inquieto e vagamente malinconico che li rendeva particolarmente intensi.
Strinse le dita attorno al calice di vino e ne bevve un altro sorso cercando in quel gusto deciso l'aiuto che gli necessitava per dire ciò che doveva, ciò per cui quella sera era veramente lì, infine posò il bicchiere e con gli occhi pieni di colei da cui dipendeva la sua felicità, e il cuore palpitante di emozione si decise a parlare.
“Uno spirito come il vostro è un tesoro prezioso Oscar, ma anche tremendo…”
Gli occhi azzurri di Oscar si dilatarono per un istante incontrando quelli grigi di Victor che la fissavano con un'intensità sconcertante.
“Non capisco cosa vogliate dire Maggiore…”
Victor si alzò e la raggiunse innanzi al camino.
“Vi è così difficile chiamarmi Victor? Non ci conosciamo forse da abbastanza tempo?”
Oscar aggrottò la fronte, Victor sorrise.
“Siete sempre, così severa, inflessibile, con gli altri come con voi stessa, non mostrate mai un dubbio, mai un'incertezza… “
Oscar abbozzò un sorriso e volse lo sguardo verso le fiamme.
“Vi garantisco che per quanto mi sforzi del contrario, come ogni individuo di questo mondo vivo la vita nell'incertezza.” Rispose dopo un istante di pensoso silenzio tornando a guardarlo.
“Eppure nascondete la malinconia, la tristezza, il cattivo umore, l'irritazione ed ogni umana debolezza, sempre e comunque” osservò con tono obiettivo “e questo nonostante abbiate un animo ardimentoso e appassionato, concedetemi che vi conosco abbastanza da saperlo; dunque immagino non debba essere facile per voi. Ditemi Oscar… siete mai stanca?”
Non era la prima volta che qualcuno le faceva quella domanda, pensò ricordando che già Fersen un tempo glielo aveva chiesto e riflettendo che in fondo la sua vita non era poi così difficile come poteva apparire, tanto più da quando aveva le braccia di André ad accogliere i suoi affanni. Ad ogni modo nonostante la naturalezza e il tono colloquiale con cui il maggiore Girodelle aveva formulato quella domanda, così diverso da quello tormentato del Conte, Oscar sentì che non era superficiale come poteva sembrare, ma che aveva qualcosa di più profondo, qualcosa di deliberato. Improvvisa avvertì una sensazione di disagio.
 “Non vi pare di essere indiscreto, Victor…” si schermì.
Il Maggiore sorrise “Scusatemi, l'ultima cosa che voglio è essere inopportuno, seccarvi con i miei vaneggiamenti, è che…”
Si interruppe e distolse lo sguardo da lei che lo fissava con un’espressione perplessa come se stesse cercando di capire cosa gli passasse per la testa. Quasi non riusciva a credere di essere tanto nervoso, si passò una mano tra i capelli chiedendosi cosa ne fosse stato dell'uomo sicuro che era sempre stato, quindi tirò un profondo sospiro e tornò a cercare i suoi occhi: indugiare oltre era inutile, rischiava solo di perdersi tra le parole.
“Io vi amo Oscar e vorrei che voi diventaste mia moglie” disse d’un fiato, con voce vibrante ma ferma e chiara, così che la convinzione e la forza dei suoi sentimenti potesse giungerle senza ombra di dubbio.
Le parole del maggiore Girodelle furono talmente inaspettate che ad Oscar, lì per lì, parvero senza senso. Aggrottò la fronte e lo fissò immobile, e quando alcuni istanti dopo il loro significato si era fatto chiaro nella sua mente, impallidì.
Victor vide le labbra di Oscar socchiudersi e gli occhi blu spalancarsi per lo stupore.
“Voi... Voi non immaginate…non potete sapere…” aggiunse subito con trasporto, ansioso di farle capire ciò che rappresentasse per lui “Il vostro aspetto tra i soldati è di una bellezza tale da non potersi descrivere, il coraggio che dimostrate ogni giorno indossando quella divisa, la forza che avete nello sfidare il mondo…”
Come a voler mettere una distanza tra lei e ciò che Victor andava dicendo, Oscar indietreggiò di un passo, particolare che a Victor, pur con tutto il fervore che sentiva in quel momento, non sfuggì. Si interruppe turbato dal significato di quel gesto, smarrito abbassò lo sguardo. Tuttavia non aveva intenzione di arrendersi, del resto sapeva bene che Oscar non sarebbe certo caduta tra le sue braccia con poche parole e qualche lusinga, ma doveva toccare corde ben più profonde perché lei lo accettasse “E’ così difficile per me parlarvi di queste cose… trovare le parole adatte per dirvi ciò che sento per voi…”
Oscar aggrottò la fronte. Se la sua prima reazione per la rivelazione di Victor era stata la sorpresa ora si sentiva profondamente dispiaciuta: il suo turbamento, la sua sincerità erano evidenti, ma doveva fermarlo; lasciare che continuasse a parlarle a spiegare le ragioni di un sentimento che lei non avrebbe mai potuto accogliere né tantomeno ricambiare le sembrava una inutile crudeltà.
“Maggiore Girodelle… io non...”
 “Oscar Vi prego ascoltatemi, lasciate che vi spieghi” la interruppe lui che evidentemente aveva colto il suo intento e non voleva accettarlo “Io vi amo e da tanto, troppo tempo, perché possa ancora continuare a tacerlo” proseguì tornando ad avvicinarsi a lei e portandosi una mano sul cuore a sottolineare con il gesto la profondità di ciò che sentiva.
“Maggiore…”
“...e so che voi potete capire cosa si prova perché… anche voi lo avete provato …”
Completamente spiazzata da quell'ultima affermazione Oscar ammutolì.
“Si… voi sapete cosa vuol dire tenere nascosti i propri sentimenti, tenerli chiusi nel cuore per settimane, per mesi, in ogni momento del giorno e della notte, quando dormi, quando sei sveglio, voi sapete quanto è difficile soffocarli, trattenerli, controllarli, sapete che è impossibile non sperare e che a lungo andare diventa impossibile cercare di non concedersi almeno una possibilità…”
Abbandonando ogni tentativo di provare a farlo desistere Oscar scosse lentamente la testa.
“Non capisco a cosa vi riferiate” disse mentre il pensiero che  in un qualche modo egli avesse potuto cogliere uno dei più profondi moti del suo animo le creava una sgradevole sensazione di smarrimento e di disagio  “Mi dispiace dovervelo dire Maggiore, ma vi siete fatto delle idee sbagliate e delle illusioni senza alcun fondamento, oltre a stare dicendo delle assurdità sul mio conto”
Il fastidio che Oscar aveva provato per quell’ ultima affermazione di Girodelle era stato evidente: non solo le parole e il cambio di tono della sua voce, ma soprattutto l’improvvisa freddezza del suo sguardo ne erano la prova. Victor se ne accorse e tacque, per un momento rifletté su quanto fosse opportuno continuare con quell'argomentazione, infine decise che la verità era l'unica cosa che aveva perché lei lo ascoltasse e riflettesse seriamente su quanto le aveva proposto.
“No.. non sono assurdità” disse opponendo la tenerezza all’ indignazione “Io so... vi ho vista quella sera alla fontana di Latona…” confessò.
Oscar dilatò gli occhi e lo fissò esterrefatta.
“E da allora non sono riuscito più a pensare ad altro se non che vorrei poter raccogliere la tristezza che portate nel cuore, il peso della sofferenza…” continuò ignorando l'evidente turbamento comparso sul viso di lei “Rinunciate a volere l'impossibile” la incalzò  facendosi ancor più vicino “Vi prego Oscar concedetemi una possibilità, una speranza e soprattutto concedetela  a voi stessa… “ concluse avendo la sensazione  di sentire il battito del proprio cuore e quasi senza rendersi conto di quello che faceva allungò una mano a sfiorarle una ciocca di capelli.
 Oscar voltò lentamente il viso verso quella mano fissando per un momento le dita di Victor.
Una speranza? Concedergli una speranza e così concederla a sé stessa? Quale presunzione! Lei non aveva bisogno di lui per essere felice, né di speranze, lei aveva André e fintanto che erano assieme aveva la certezza della felicità.
Improvvisa una risata le salì alle labbra.
“Oscar…” Mormorò Victor bloccandosi, colpito come non avrebbe potuto esserlo da uno schiaffo.
Oscar tornò seria e lo fissò con fermezza.
 “No…” disse piano, allontanando con il dorso della propria mano le dita del maggiore dai suoi capelli.
Mille parole e spiegazioni non avrebbero potuto essere più eloquenti di quella risata e quella semplice negazione, Victor capì in quel momento di non avere alcuna possibilità che lei diventasse sua moglie. Si sentì gelare e preso dalla disperazione che gli diede quell’improvvisa consapevolezza, le afferrò il polso e lo strinse attirandola a sé come se trattenendo lei potesse trattenere lo sgretolarsi delle sue illusioni. Si sentiva morire dentro e se in quel momento la porta del salotto non si fosse aperta ed uno sconosciuto gentiluomo non fosse entrato seguito dal Generale, avrebbe finito col baciarla per poter fermare nell'illusione di un attimo il ricordo di ciò che non avrebbe mai avuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Il Crepuscolo degli dei (parte II) ***


Il Crepuscolo degli dei (parte II)
 
Il pasticcio di foie gras[1]non le era mai sembrato così amaro. Oscar mandò giù il boccone a forza, accompagnandolo subito dopo con un calice di vino, ma nemmeno il gusto vellutato del Bordeaux riuscì a mitigare la sgradevole sensazione di nausea che le torceva lo stomaco da quando si era seduta a tavola, peraltro proprio dinanzi all’uomo che, poco prima, con tanta veemenza le aveva dichiarato il suo amore.
In quel momento si domandò se fosse stata la difficoltà che aveva sempre avuto a entrare in contatto con i propri sentimenti, ad averla resa così poco empatica nei confronti di chi la amava, o se semplicemente fossero coloro che la amavano, a essere particolarmente bravi a mascherare ciò che provavano per lei. Del resto, il suo carattere non incoraggiava certo le manifestazioni di spontaneità… eppure nonostante ciò, Victor aveva avuto il coraggio di farsi avanti e chissà se tra i motivi che lo avevano spinto a fare quel passo, oltre a quello che aveva visto e credeva di sapere, non ci fosse stata anche l'accidentale vicinanza di quelle ultime settimane trascorse gomito a gomito per organizzare il trasferimento dei reali a Fontainbleau.
Ad ogni modo, si disse, era inutile piangere sul latte versato, anzi ringraziò Dio che a varcare la porta del salotto non fosse stato André, bensì il misterioso conte de Grammont, l’ospite di suo padre: se agli occhi di un estraneo il repentino movimento di Girodelle, che aveva avuto la prontezza di ritrarsi non appena la porta si era schiusa, poteva essere passato inosservato, così non sarebbe stato per André che con tutta probabilità ne avrebbe colto il senso; e considerando il loro recente battibecco avvenuto proprio a causa del Maggiore, non osava nemmeno immaginare quali esiti ne sarebbero derivati.
D’istinto il suo sguardo inquieto cadde allora sul risvolto ricamato della manica, che in maniera quanto mai opportuna celava i segni rossastri lasciati sul suo polso dalla morsa rabbiosa di Victor.
André non avrebbe mai dovuto sapere.
Certo, non era entusiasta di tacergli l’accaduto, rendendolo un segreto o peggio una mancata verità... tuttavia durante il loro litigio, quando inaspettatamente risentimento e tensione avevano sporcato il verde limpido dei suoi occhi, aveva percepito un aspetto di lui che non conosceva, una sorta di zona d’ombra del suo carattere, sempre così pacato e riflessivo, che fino a quel momento egli non aveva lasciato trasparire e che temeva lo inducesse a compiere gesti avventati.
La scelta del silenzio s’imponeva dunque come l’unica opzione per scongiurare una simile eventualità, ma poteva non essere sufficiente, poiché qualora Victor, nonostante il proprio netto rifiuto, avesse insistito con quell’assurdità arrivando a chiedere ufficialmente la sua mano al generale Jarjayes, la notizia sarebbe presto trapelata fino a giungere allo stesso André, acuendo così le sue insicurezze e minando la loro già fragile serenità.
 
“Dunque, da quel che mi dite, dagli interrogatori non è emerso niente di utile per capire come quei fucili siano arrivati a Barbizone e per quale scopo…”
Immersa nei suoi pensieri, Oscar udì appena l’osservazione di Victor e si lasciò sfuggire un pesante sospiro.
“Non preoccuparti, Oscar” dichiarò allora suo padre con un sorriso, equivocando il vero motivo alla base di quella reazione “per fortuna siamo riusciti a sventare per tempo qualsiasi cosa avessero intenzione di fare”.
Presa alla sprovvista, Oscar non avrebbe saputo che replicare, ma per sua fortuna fu Victor a toglierla dall’imbarazzo. “Ci sarà sempre tempo per venire a capo di questa faccenda, una volta che il trasferimento sarà stato ultimato”.
Oscar si limitò ad annuire mentre, infilzando con la forchetta una patata, la portava alla bocca tornando alle sue considerazioni.
…Ad André non doveva giungere proprio niente di tutta quella storia; era necessario che lei ribadisse al Maggiore il suo fermo proposito di non maritarsi, né con lui né con nessun altro… si ripeté, mentre con sguardo di ghiaccio fissava di sottecchi Girodelle, ancora intento a discutere con suo padre. Sì... alla prima occasione gli avrebbe parlato: nessuna esitazione, nessun tentennamento, sarebbe stata dura, fredda, scostante più di quanto non lo fosse già stata; e se lui avesse comunque manifestato l’intenzione di presentare una formale richiesta al generale Jarjayes per vincere le sue resistenze, allora avrebbe tentato di dissuaderlo paventandogli l’umiliazione della disfatta. Suo padre, ne era sicura, giammai avrebbe acconsentito alle nozze: non l’aveva nominata suo unico erede e destinata a una gloriosa carriera militare, per darla in sposa a un uomo che da quasi vent’anni prendeva ordini da lei.
C’era tuttavia la possibilità che Victor, vista la sua attenzione quasi maniacale per le regole dell’etichetta, avesse già informato il Generale dei suoi progetti matrimoniali…
Turbata, Oscar lanciò una rapida occhiata verso il padre, che, seduto a capotavola, in quel momento stava spiegando all’interessato giovane Grammont, come fossero giunti al ritrovamento delle armi nascoste in un fienile.
In realtà, a ben pensarci era più plausibile che il Generale conoscesse le intenzioni di Victor… ma in tal caso non riusciva a comprendere perché non gliene avesse parlato. Forse, ipotizzò, suo padre aveva giudicato quella faccenda una tale assurdità da ritenere superfluo anche informarla. In effetti, era la spiegazione più logica e immaginando l’eventuale colloquio tra i due uomini, nonostante la tensione Oscar non riuscì a trattenere un sorriso, nascondendolo rapidamente tra le pieghe del suo tovagliolo.
Le sembrava quasi di vedere lo sguardo del Generale brillare beffardo, mentre ringraziava cortesemente l’aspirante genero a nome di sua figlia, puntualizzando che avrebbe lasciato a lei l’onore della scelta… un escamotage per togliersi dall’impiccio e mettere fine quanto prima a una conversazione che, conoscendo l'indole di suo padre, rischiava di farsi decisamente spiacevole per il povero Visconte. Era pronta a giurare, infatti, che solo per educazione e soprattutto per l’amicizia che legava Marguerite a madame Amélie, François Augustin si fosse trattenuto dal ridergli in faccia… anche lui!
Sorrise di nuovo, Oscar, a quella constatazione, ma subito dopo un pensiero molesto affiorò in lei con prepotenza. D’impulso si agitò sulla seduta, come se l’imbottitura fosse improvvisamente divenuta piena di spilli.
Si trattava in realtà di un ricordo lontano… uno stralcio di conversazione, udito per caso, all’indomani del ferimento di André.
Rammentava ancora come quel giorno, folle di dolore, fosse uscita a cavallo per sfogare in una corsa impetuosa tutta l’angoscia e il senso di colpa che le attanagliavano il cuore, mentre lui continuava la sua lotta silente e disperata contro la morte. Quando era tornata, dirigendosi in camera aveva sentito delle voci provenire dallo studio di suo padre. La porta era socchiusa; d’impulso si era avvicinata per guardare all’interno, ed era rimasta di stucco di fronte alla scena che le si era presentata: sua madre, ancora avvolta nel mantello di velluto grigio con cui era giunta da Versailles, seduta su un piccolo canapè con il gomito poggiato al bracciolo e una mano alla fronte, e il Generale, al suo fianco, che con un’espressione dolente le carezzava delicatamente una spalla.
“Adesso basta Marguerite” le stava sussurrando con dolcezza “Anche se sono dispiaciuto per il povero André, ringraziando Dio a nostra figlia non è accaduto nulla. E poi ricorda che Oscar è un soldato, non è la prima volta che rischia la vita per adempiere i suoi doveri… è proprio questo che mi rende così fiero di lei, sai? Nostra figlia ha sempre saputo affrontare con decisione tutte le sfide, anche le più difficili, venendone sempre fuori a testa alta, perché questa volta sarebbe diverso, che motivo hai di essere tanto sconvolta?”
“Oh, François, come puoi non rendertene conto? E’ possibile che tu non pensi mai che prima o poi potrebbe essere diverso?” aveva replicato Marguerite scuotendo la testa, con gli occhi ancora velati di lacrime.
Colpito, il Generale aveva corrugato la fronte e stringendo le labbra, aveva tirato un lungo respiro.
“No Marguerite… ti sbagli, ti garantisco che ci penso e più spesso di quanto si potrebbe immaginare, ma oramai questo è il dovere e il destino di Oscar...” aveva mormorato cupamente.
La moglie lo aveva guardato sorpresa, lui le aveva sorriso tristemente.
“Sto invecchiando, Marguerite…” aveva quindi proseguito con amarezza “Sai, quando stanotte sono stato svegliato dalle urla di Marie, per un istante ho creduto che fossero per Oscar… che lei fosse…”
La sua voce si era abbassata quasi si sforzasse di controllarla e si era interrotto, lo sguardo improvvisamente lucido.
“Ma non è successo” era allora prontamente intervenuta Marguerite, poggiandogli una mano sulla sua, improvvisamente forte, come se non sopportasse di vederlo ferito.
A quelle parole il Generale si era riscosso e si era alzato in piedi, iniziando a camminare nervosamente per la stanza.
“Lo so, lo so… ma prima di distinguere la voce di Oscar, ho temuto davvero che fosse morta, e in quel momento ho pensato che fosse la giusta punizione per la mia arroganza, per aver voluto piegare la natura a un mio capriccio” le aveva confessato tutto di un fiato, come un fiume in piena, per poi fermarsi davanti alla finestra rimanendo in silenzio per alcuni secondi, con lo sguardo che si perdeva lungo i viali del parco mentre cercava di riprendere il controllo sulle proprie emozioni. “Come vedi ho i tuoi stessi pensieri, con in più il tarlo della responsabilità che rode incessantemente e fomenta le paure tanto che, anche adesso, a distanza di ore… continuo a domandarmi se davvero sia valsa la pena fare un soldato della mia figlia più bella, privandola così delle gioie che dovrebbe provare una qualsiasi giovane donna della sua età” aveva infine aggiunto con un sospiro, chinando la fronte.
“François…”
“In realtà, tu mi avevi messo in guardia, Marguerite…” aveva concluso accorato, voltandosi verso la moglie “se penso alle nostre incomprensioni di quegli anni… io…”
“E’ inutile rinvangare il passato, François” lo aveva interrotto pacatamente lei “E’ vero, non ho mai condiviso la tua decisione e non ne ho fatto mistero… ma oggi devo riconoscere che grazie alla tua decisione, pur entro i limiti imposti dalle leggi, hai dato a nostra figlia la possibilità di scegliere autonomamente il proprio destino, cosa che diversamente le sarebbe stata preclusa”.
“Sì…, ma non è certo questo ciò a cui ho pensato quando ho scelto di farne il mio erede!” aveva ribattuto con forza il marito “Io… io volevo soltanto un figlio maschio che prendesse il mio posto assicurando la sopravvivenza dell’insigne casato dei Jarjayes! Ma resta il fatto che Oscar è una donna ed io non ho fatto altro che prolungare di una generazione l'estinzione del nostro nome, sacrificando, per una manciata di anni, la vita di nostra figlia…”
“Sai bene che non è esattamente così, caro…” aveva obiettato Marguerite sorridendo mestamente “un modo ci sarebbe per impedirlo… anche se…”
Il rumore di alcuni passi lungo il corridoio aveva indotto Oscar ad allontanarsi dalla porta e a proseguire verso le sue stanze, impedendole di udire il resto della conversazione. Tuttavia, ella aveva comunque intuito a cosa alludesse sua madre: l’unico modo per assicurare la prosecuzione della dinastia dei Jarjayes, senza che il nome dei suoi avi finisse per affiancare come mero titolo accessorio quello di uno dei suoi nipoti maschi, era che lei sposasse il figlio cadetto di una qualsiasi famiglia aristocratica[2] portando in dote, grazie all’intercessione del Re, il nome e il titolo dei suoi antenati e trasmettendolo così ai suoi figli. Di fatto, un’eventualità lontana se non impossibile, giacché nessun uomo dotato di senno sarebbe stato disposto a prendere in moglie una donna tanto eccentrica, uno scherzo della natura capace di cavalcare, sparare e maneggiare la spada come e meglio di un uomo… o almeno così aveva pensato quel giorno, e nelle settimane successive, assorbita interamente da André e dalla scoperta del suo amore per lui, aveva finito per ricacciare il sottile disagio provato dietro quella porta in un angolo remoto del suo cuore. Eppure, ecco che la proposta di Girodelle la costringeva a confrontarsi con una possibilità scomoda… e cioè che quel padre che aveva stentato a riconoscere nella sua fragilità, potesse alla fine decidere di darla in moglie proprio al Visconte, nell’intento di riparare a quello che forse riteneva ora un terribile errore e soprattutto per garantire la successione in linea diretta del titolo di conte Jarjayes.
 
“Oscar, tu che ne dici?” domandò in quel momento il Generale, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Colta nuovamente in fallo, questa volta Oscar non poté che ammettere la propria distrazione, dal momento che, diversamente da poco prima, nessuno intervenne a toglierla dall’impiccio.
“Scusatemi padre, ero distratta” riconobbe e subito tacque, pronta a sorbirsi la probabile aspra reazione del padre, e per darsi un contegno allungò la mano verso il bicchiere che il valletto alle sue spalle le aveva appena riempito.
Tuttavia, non fu la voce del Generale a risuonare nella stanza.
“A una bella donna si può perdonare tutto, anche una momentanea distrazione” osservò infatti il conte de Grammont con un sorriso galante.
Disorientata da quell’inatteso complimento, Oscar restò con il calice a mezz’aria e guardò stranita l’ospite, provando una vaga sensazione di disagio di fronte a quei due occhi trasparenti, screziati di azzurro, che la fissavano con intensità.
“Ma non a un militare…” riuscì soltanto a mormorare.
Indubbiamente, constatò turbata, Jean de Grammont era un uomo attraente e ben consapevole di esserlo: alto e prestante, i tratti del volto gradevoli e regolari ma non femminei, le labbra sottili e sensuali… inoltre, nonostante la sobrietà degli abiti, il suo aspetto aveva un che di selvaggio e di esotico che finiva per accrescerne l’inconfutabile fascino. Forse per via della barba che, seppur corta e curata, risultava così inconsueta alla Corte francese, o per i lunghi capelli, di un caldo biondo scuro, raccolti in una coda a scoprire la bella fronte spaziosa, senza ricorrere a parrucche né a cipria come voleva invece la moda del tempo; oppure, semplicemente, per le origini creole[3] e i lunghi anni trascorsi in mare, che avevano tinto d’ambra il suo incarnato altrimenti pallido.
Il Generale lo aveva presentato a lei e Victor come il figlio di un suo vecchio amico, il conte Charles de Grammont, emigrato a Saint-Domingue[4]più di trent’anni prima e prematuramente scomparso quando Jean era poco più di un ragazzo, motivo per il quale il nuovo conte si era ben presto dovuto occupare della gestione degli affari di famiglia, compreso il commercio di caffè e zucchero con la madrepatria, difendendo anche, quando se ne era presentata l’occasione, gli interessi della Corona francese per mare.
In altre circostanze, la vita avventurosa del giovane Grammont avrebbe suscitato notevole interesse in Oscar; invece quando il Generale, per ragioni a lei sconosciute, con insolito entusiasmo aveva spronato il Conte a narrare le sue vicissitudini, si era limitata ad ascoltare distrattamente senza intervenire o facendolo a monosillabi. Quella frase, però, seppur con garbo sembrava reclamare la sua attenzione, per cui, superato l’iniziale smarrimento, Oscar pensò bene di aggiungere qualcosa alla sua prima, impacciata replica.
“Vi pregherei di avere più rispetto per il colonnello Jarjayes, conte de Grammont” la precedette tuttavia Victor, con un tono particolarmente irritato che colse tutti di sorpresa “State parlando con un ufficiale di sua Maestà, non con una delle signore che forse siete abituato a frequentare!”
Inarcando un sopracciglio, Jean de Grammont si girò verso di lui. “Non capisco a quali signore alludiate, Visconte… immagino che siano le stesse che di solito vi trovate a frequentare anche voi” ribatté con un sorrisetto ambiguo “Comunque, non era certo mia intenzione mancare di rispetto al vostro superiore… volevo semplicemente esprimere la mia sincera ammirazione per una donna, in cui il coraggio e l’impeto di Marte sono fusi in maniera così mirabile con le grazie e la bellezza di Venere. Se le mie parole vi hanno però offeso, colonnello Jarjayes” terminò tornando a guardare Oscar “vi porgo le mie più sincere scuse”.
“Non dovete affatto scusarvi, Conte. Il Maggiore Girodelle ha dimenticato che qualora lo ritenessi necessario, sarei assolutamente in grado di dar voce da sola alle mie eventuali rimostranze” puntualizzò lei con asprezza, rivolgendo una gelida occhiata all’indirizzo del Visconte.
“Oh, non ne dubito” replicò caustico Victor.
“Suvvia, signori… non mi sembra il caso di discutere per dei motivi così futili” s’intromise il Generale “Girodelle, conosco la vostra devozione a mia figlia, ma vi assicuro che il Conte non voleva assolutamente essere irriguardoso nei suoi confronti. Il suo modo di esprimersi può sembrare troppo diretto, ma solo perché nel Nuovo Mondo la conversazione è priva di quelle sovrastrutture che per noi risultano indispensabili. E spero che voi, Jean” continuò volgendo la sua attenzione verso Grammont “tenendo conto di questo, possiate comprendere per quale motivo le vostre parole abbiano suscitato una reazione così vivace da parte del Visconte”.
“Perfettamente, François” annuì il Conte incurvando le labbra in una smorfia più simile a un ghigno che a un sorriso “Anzi, vi domando scusa, Visconte, se per l’encomiabile dedizione che nutrite nei confronti del vostro comandante, in qualche modo vi siete sentito oltraggiato”.
“Accetto le vostre scuse e vi porgo le mie per aver evidentemente equivocato” replicò a denti stretti Victor.
Un lampo di scherno accese lo sguardo di Grammont. “Vi ringrazio… Confesso comunque di essere impressionato: se gli altri componenti del reggimento mostrano la vostra medesima affezione, il colonnello Jarjayes deve ritenersi un comandante molto fortunato”.
“La devozione per il proprio superiore è il primo dovere di un soldato, non vi vedo nulla di straordinario” tagliò corto Victor, infastidito dalla strana piega che stava assumendo la conversazione.
“Ne ero convinto anch’io un tempo… tuttavia ho avuto modo di sperimentare quanto essa sia sempre più merce rara, soprattutto in mare” osservò con noncuranza il Conte “Nel migliore dei casi un comandante può sperare nel rispetto dei suoi sottoposti, ma per lo più è il timore che è in grado di suscitare tra di essi a garantirgli l’obbedienza e una certa… dedizione, se così la vogliamo chiamare”.
“Destinate a venir meno alla prima occasione proprio perché fondate sulla paura e l’opportunismo” chiosò ruvidamente Girodelle.
“Forse…” osservò allora dubbioso il Generale, intervenendo nella questione “ma sapete anche voi che quando si è su un campo di battaglia, persino la paura di una punizione può essere un ottimo deterrente contro il tradimento e la vigliaccheria. Del resto, se così non fosse la legge marziale non avrebbe motivo di esistere…” continuò con convinzione .
“E vi dirò” aggiunse Grammont “talvolta è preferibile un appoggio condizionato, piuttosto che una cieca ed eccessiva devozione”.
“E per quale motivo, di grazia?” domandò Girodelle, sempre più indispettito dall’irritante sicumera ostentata dal suo interlocutore, peraltro spalleggiata dal padrone di casa.
“A mio parere, essere troppo attaccati a un superiore può indurre a scelte impulsive dettate unicamente dall’emotività e non dalla ragione… scelte prese al solo scopo di preservare l’incolumità della persona oggetto di tanta dedizione o per mettersi in evidenza ai suoi occhi” gli spiegò serafico Grammont “Così facendo però, spesso si perde di vista l’obiettivo principale, con risultati deleteri per tutti”.
“Pur non condividendo del tutto il vostro ragionamento, devo ammettere che ha una sua fondatezza” riconobbe in quel momento Oscar, che era rimasta in silenzio ad ascoltare l’animato scambio di vedute.
“E si adatta in parte anche alle questioni amorose, sapete? Se ci riflettete un istante, ne converrete con me…” soggiunse Grammont con un sorriso enigmatico.
“Ossia? Forse l’amore di una sposa o di un’amante dovrebbe reggersi sulla paura?” obiettò provocatoriamente Victor.
“No di certo… ma un eccesso di devozione non è mai auspicabile neppure in una relazione, perché spesso si arriva a pretendere che l’altra persona agisca e senta come si vorrebbe, finendo per rimanere delusi” replicò il Conte, divenendo improvvisamente serio “E in questi casi, può capitare che amore e odio finiscano per dormire sotto lo stesso tetto[5]”.
Un imbarazzante silenzio seguì quelle parole. Tacque Victor e soprattutto tacque Oscar, il cui pensiero irrazionalmente volò ad André. In quel momento un valletto si avvicinò al Generale per riferirgli qualcosa a bassa voce.
“L’argomento è interessante, signori, ma sarà più piacevole parlarne assaporando qualche dolce delizia nella sala accanto”annunciò allora François Augustin con tono gioviale, alzandosi in piedi.
“Ottima idea, Generale” convenne Grammont imitandolo, seguito dagli altri commensali “Sarò ben lieto di tediarvi ancora con le mie teorie dopo aver finalmente assaggiato la famosa marquise al cioccolato[6] che mia madre rimpiangeva tanto a Port-au-Prince[7]!”.
 “Io invece approfitto di questo momento per ringraziarvi della vostra ospitalità e congedarmi, Generale” mormorò il Visconte.
“Spero che non sia a causa del piccolo screzio di poco fa…” s’informò prontamente il padrone di casa.
“Oh, no… ve lo assicuro, Generale. Abbiamo ormai discusso di quanto era necessario, e purtroppo l’ora si è fatta tarda; domani sono di servizio alle prime luci dell’alba”.
“Capisco, tuttavia insisto perché ci onoriate ancora per un po’ della vostra compagnia…”
“Vi ringrazio” ribatté il Visconte con un sorriso tirato “ma come avrete notato, stasera in realtà sono una pessima compagnia. Anzi, vi porgo le mie scuse per quello che può essere sembrato un insolente attacco al vostro ospite. Non era affatto mia intenzione”.
“Lo so bene Girodelle… e mi dispiace davvero che dobbiate tornare già a casa. Ad ogni modo, l’importante è che questa serata sia servita al suo scopo…” osservò il Generale rivolgendogli uno sguardo penetrante.
Il Maggiore annuì appena. “Sì, certo..”
“Bene” dichiarò allora soddisfatto il Generale “A questo punto direi che possiamo spostarci nella sala accanto. Oscar, fa’ tu strada al conte de Grammont, mentre io accompagno il Maggiore”.
“No, Generale, vi ringrazio ma non c’è bisogno che vi disturbiate, non voglio rubarvi al vostro ospite…” si schermì il Visconte.
“Non preoccupatevi Girodelle, il conte de Grammont sarà ben lieto, mentre vi accompagno, di assaggiare con Oscar l’acquavite della mia tenuta in Provenza… è una vera specialità!”
“Ne sono convinto” asserì il giovane con un sorriso, per poi rivolgere un breve cenno di saluto al Maggiore, che ricambiò in pari modo.
Rimasti soli, Oscar si avviò verso la porta del salotto attiguo seguita dal Conte. A onor del vero, se solo le fosse stato possibile si sarebbe ritirata volentieri anche lei come Victor, ma sfortunatamente le regole dell’ospitalità e dell’etichetta la obbligavano a restare finché anche il Conte non si fosse congedato. Dissimulando un sospiro, invitò quindi il giovane a prender posto in una comoda poltrona mentre lei si avvicinava ad una consolle dove facevano bella mostra di sé numerose bottiglie di liquore.
“Allora volete assaggiare questa tanto decantata acquavite?” domandò poi cortesemente.
“Non vedo l’ora di farlo, a dire il vero. Stando a vostro padre è la migliore di Francia”.
Oscar sorrise. “Viene da una terra che gli è molto cara… E tutto ciò che ci è caro è inestimabilmente prezioso…”
Il Conte annuì con comprensione mentre Oscar gli porgeva il bicchiere alto e stretto pieno a metà di liquore trasparente.
“Hmmm... è davvero forte” osservò quando il caldo sapore scese ad accarezzargli la gola “ma al contempo è pulita e straordinariamente gradevole”.
“Mio padre sarà contento di aver trovato un nuovo estimatore... ma io continuerò a preferire l'Armagnac…”replicò Oscar portandosi alle labbra il bicchiere panciuto in cui splendeva il liquore ambrato.
“Oscar…” mormorò allora il Conte dopo alcuni secondi di silenzio “Prima, durante la cena... al di là delle vostre parole, spero davvero di non avervi offesa…”
“Non temete,Grammont… è tutto a posto” ribatté brevemente lei tornando a portarsi il bicchiere alle labbra, sentendosi però, suo malgrado, nuovamente in imbarazzo per la confidenza con cui il giovane, che doveva avere pressappoco la sua età, le si era appena rivolto.
“Ne sono lieto… ma...spero che non me ne vorrete nemmeno per quello che sto per dirvi”.
Oscar aggrottò la fronte in un’espressione interrogativa.
“So che non sono affari miei, ma vedete, al mio arrivo, quando precedendo vostro padre sono entrato nel salotto dove voi e il Maggiore Girodelle ci aspettavate, ho avuto modo di vedere quanto stava accadendo…” esordì l’uomo allusivo mentre gli occhi di Oscar si sgranavano sorpresi.
“In tutta onestà non so a cosa vi riferiate Conte” disse subito lei, cercando di mascherare con voce neutra il colpo che in realtà erano state quelle parole “ma stando al vostro tono, credo che qualunque cosa abbiate visto l’avete travisata!”
“Mi dispiace contraddirvi, ma non credo affatto di essermi sbagliato. Oltre che un indubbio spirito d’osservazione ho anche una discreta esperienza per certe cose, e quel che ho visto, per quanto poco, mi è comunque sufficiente per consigliarvi di stare attenta” la ammonì con garbo Grammont “ Ripeto, non sono affari miei e a dire il vero neanche mi interessa ciò che vi lega al Maggiore Girodelle, tuttavia benché ci conosciamo appena, mi piacete e sento di dovervi mettere in guardia. Questa sera, Colonnello, non sono stato il solo a vedervi , per cui se, come credo, volete che la faccenda rimanga segreta, vi invito ad adottare una maggiore cautela”.
A quelle parole, Oscar trasalì e si alzò; Grammont fece altrettanto “ A quanto pare la cosa vi turba… dunque ammettete che non mi sono sbagliato” la incalzò.
“Non ho proprio nulla da ammettere, Grammont” replicò lei con quanta più noncuranza le fosse possibile.
“Come volete” disse il Conte alzando  le sopracciglia con aria altrettanto indifferente “Comunque sappiate che quando sono entrato, oltre ad aver visto quel che vi ho detto poc’anzi, ho notato anche che l’altra porta del salotto era socchiusa e ho visto un’ombra allontanarsi rapidamente. Dall’altezza direi un uomo, probabilmente un valletto… ma chissà, magari ho equivocato anche su questo…”
A quelle parole, il cuore di Oscar mancò un battito. Poteva essere chiunque. Doveva essere chiunque. S’impose di restare calma, non voleva dare adito a ulteriori illazioni da parte di quell’uomo che, per quanto  in apparenza animato da oneste intenzioni, restava comunque un perfetto sconosciuto, e lei certamente non avrebbe messo nelle mani del primo venuto la sua vita e quella di André lasciandosi sfuggire anche un solo cenno che rischiasse di tradire il loro segreto.
Alzò lo sguardo verso di lui. Grammont la stava fissando, sembrava quasi in attesa di una sua reazione. Per tutta risposta, Oscar schiuse le labbra in un ampio sorriso.
“Si… è possibile che abbiate visto un valletto allontanarsi... questo non lo metto in dubbio, è sul resto che proprio non posso darvi ragione, sapete… credo che sia il mare a fare di un uomo un sognatore…”
 
 
 

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[1]Il paté di fegato grasso è un’indiscussa prelibatezza della grande cucina francese, ma vanta antichissime origini: infatti, era già conosciuto dagli Egiziani all'epoca dei Faraoni. Col passare del tempo, il foie gras trova il suo massimo fulgore presso i reali di Francia, in particolare con Luigi XV e Luigi XVI, grazie a preparazioni raffinate come il prelibato “pasticcio di fegato grasso in crosta”. 
[2] Escamotage per designare l’agognato erede di cui parla lo stesso Victor nel capitolo "Il coraggio di amare".
[3] Qui il termine ”creolo” è usato nella sua accezione di “persona di origine europea nata nelle colonie spagnole, francesi o portoghesi d’America”, ma può indicare anche i nati da genitore indigeno e uno bianco, in particolare nelle Antille e nel Centroamerica, e la lingua, nata da un pidgin nelle zone coloniali di lingue europee e locali(o tra lingue locali diverse).
[4] Situata nella parte occidentale dell’isola Hispaniola, poi divenuta indipendente nel 1804 con il nome di Haiti, è stata una colonia francese dal 1626 al 1804 (fonte Wikipedia)
[5] Riferimento a un brano tratto da ”Le Relazioni Pericolose” di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos (1782)
[6] Squisito dolce al cucchiaio a base di cioccolato, il cui nome si fa risalire  a Marie de Rabutin-Chantal, una marchesa di Sévigné che nel 1671 scrisse una lettera a sua figlia in dolce attesa, avvisandola che una donna aveva mangiato talmente tanto cioccolato durante la sua gravidanza da partorire un bimbo nero come il diavolo, morto entro pochi giorni. Per ulteriori, golose informazioni, visitate il sito: https://www.presidentformaggi.it/magazine/marquise-origine-e-come-preparare-e-gustare-questo-dessert-al-cioccolato?scp=1#.WpMTFejOXIV
[7] Fondata nel 1749, dal 1770 (anno in cui fu distrutta da un forte terremoto) al 1803 fu scelta come capitale della colonia francese di Saint-Domingue (fonte Wikipedia)

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Capitolo 6
*** Le Radici dell'Anima ***


Le Radici dell’Anima
 
L’orologio a pendolo aveva appena battuto la mezzanotte, quando Oscar poté finalmente sgusciare fuori dalla propria camera per raggiungere André. Tanto aveva dovuto attendere, dopo il sospirato congedo, affinché un silenzio profondo e inoperoso calasse tra le mura di Palazzo Jarjayes; un silenzio che sembrò amplificare a dismisura il cigolio della porta sui cardini e il battito tumultuoso del suo cuore.
Per prudenza, come d’abitudine, spense il suo doppiere prima d’inoltrarsi nell’oscurità; in fondo sin da bambina conosceva a menadito ogni angolo di quel palazzo e la luce argentea della luna, che filtrava dalla finestra in fondo al corridoio, le bastava per distinguere i contorni degli oggetti, evitandole di inciampare sui suoi stessi passi.
Scese dunque senza fretta lo scalone che conduceva al pianterreno, rabbrividendo involontariamente al contatto dei piedi nudi sulla superficie fredda e levigata del marmo, e dopo aver attraversato l’androne d’ingresso e alcune stanze di rappresentanza, entrò nella sala in cui aveva cenato poche ore prima, illuminata fiocamente dal fuoco ormai morente nel camino.
Accostando la sua candela alla fiamma, Oscar la riaccese e si avvicinò alla parete alla sua destra, laddove una piccola porta, mascherata dalla carta da parati a fiori, si apriva su una stretta scala che conduceva ai locali di servizio al piano seminterrato. Rimase per qualche secondo in ascolto per accertarsi che nessun suono provenisse da quegli ambienti; quindi scese i gradini, e dopo aver superato rapidamente la grande cucina, imboccò un lungo corridoio, giungendo infine a una nuova serie di rampe che saliva ai piani superiori nell’ala destinata alla servitù.
La camera di André, come pure quella di sua nonna, si trovava al primo piano, che ospitava le stanze più ampie di coloro che, nella gerarchia della servitù, rivestivano un ruolo di riguardo rispetto agli altri domestici che invece alloggiavano nel sottotetto in stanze di dimensioni molto più contenute. Anche l’arredamento, sobrio ma curato, rispecchiava la particolare condizione di privilegio di cui godeva: vi spiccavano diversi mobili di buona fattura, tra i quali un piccolo armadio di noce e un vecchio canterano sormontato da una specchiera; inoltre, davanti alla finestra c’era uno scrittoio con una seggiola imbottita e, poco lontano, una libreria, mentre in fondo alla stanza, accanto al comodino, campeggiava un grande e comodo letto… un letto che, entrando nella camera, Oscar trovò desolatamente vuoto.
Attonita, la donna richiuse la porta alle sue spalle e si guardò intorno nella penombra. Il camino spento, gli abiti da notte accuratamente ripiegati sul ripiano del comò e soprattutto il giaciglio appena sgualcito, suggerivano che André non si fosse mai coricato per dormire e che mancasse da qualche ora. Un’ansia sottile le pungolò il cuore.
Posò il doppiere sul comodino e si lasciò cadere seduta sul bordo del letto, cercando di rimanere lucida. Probabilmente André era uscito a cavallo, rifletté velocemente, d’altronde dopo la loro discussione era più che plausibile che avesse sentito il bisogno di sfogare la sua frustrazione altrove ed era altrettanto plausibile, pertanto, che non fosse lui il valletto notato da Jean de Grammont… sempre che l’enigmatico conte avesse visto davvero qualcuno al di là della porta. Continuava a domandarsi, infatti, se le parole di Grammont fossero state soltanto un tranello per strapparle qualche ammissione in merito alla sua presunta relazione con Girodelle, anche se in tal caso non riusciva a spiegarsi il motivo di tanto interesse. Non sono affari miei, aveva puntualizzato lui per primo e, a onor del vero, le era sembrato in buona fede, tanto più che nulla nella sua conversazione o nella schiettezza dei suoi modi, lasciava supporre che fosse un amante dell’intrigo o del pettegolezzo.
Ad ogni modo, il conte de Grammont era l’ultimo dei suoi problemi, concluse con un sospiro: non solo non le era sfuggito lo sguardo penetrante che suo padre aveva rivolto a Victor, mentre auspicava allusivo che la serata fosse servita al suo scopo, ma le era sembrato ancor più singolare che il Generale si fosse scomodato ad accompagnare l’ospite alla porta quando avrebbe potuto farlo tranquillamente un valletto, intrattenendosi con lui più di mezz’ora e ripresentandosi nel salottino con un’espressione particolarmente accigliata.
Di che cosa poteva aver mai parlato con Girodelle, per mutare d’umore così repentinamente?
Senza dubbio qualcosa doveva averlo turbato, perché nonostante avesse cercato di mascherare il suo cipiglio dietro un sorriso di circostanza, subito dopo la degustazione dei dolci aveva posto fine al convito in maniera abbastanza sbrigativa, sostenendo che data l’ora e gli impegni della giornata successiva, era opportuno che ciascuno si ritirasse nelle proprie stanze.
In un primo momento, ancora disorientata da quel suo strano comportamento, Oscar aveva creduto di aver equivocato il senso dell’ultima frase, ma quando poi il Generale si era accertato, interrogando Vincent, che il fuoco fosse stato acceso nella camera di Monsieur le Comte come da sue disposizioni, le era stato immediatamente chiaro che l’ospite avrebbe trascorso la notte a Palazzo Jarjayes.
Era stato l’ennesimo inconveniente di una serata disastrosa, constatò stizzita alzandosi in piedi: tutte le stanze private del piano padronale, tranne quella del Generale, si affacciavano sulla medesima fila di anticamere e piccoli salotti e pertanto, non conoscendo le abitudini di Grammont aveva preferito procrastinare ulteriormente l’agognato incontro con André, onde evitare possibili incontri. Se non altro, ora si trovava finalmente in quella camera, sarebbe riuscita a chiarirsi con lui… e al diavolo tutto il resto.
Immersa ancora in quei foschi pensieri, Oscar si avvicinò alla finestra, contemplando per un istante le ombre degli alberi che si stagliavano scure contro il cielo stellato. Solo in quel momento si accorse che le ante erano semplicemente accostate, tuttavia, invece di chiuderle, d’impulso le spalancò e inspirò profondamente, a occhi chiusi, lasciando che l’aria fredda della notte le pizzicasse le guance e le narici e smorzasse un poco la tensione dell’attesa.
Una folata di vento richiuse però un’imposta, facendola sbattere bruscamente. Quel rumore la riscosse; con una punta di preoccupazione, notò allora le nubi nere che iniziavano ad addensarsi sull’orizzonte e le sembrò di avvertire quell’odore pungente e dolciastro che spesso precede il temporale. Stava per piovere e André non era ancora tornato.

“Che cosa ci fai qui?”
Presa alla sprovvista, Oscar sobbalzò e si voltò di scatto, incontrando due occhi verdi cerchiati di stanchezza che la guardavano con diffidenza. Ciò nonostante, si sentì così sollevata nel vedere André fermo sulla soglia da ignorarne lo sguardo duro e il tono scostante, anzi era sicura che appena gli avesse aperto il suo cuore, rassicurandolo sui propri sentimenti e dichiarandosi pronta a seguirlo ovunque lui avesse voluto, avrebbe visto il suo volto tirato illuminarsi in un sorriso e ogni incomprensione di quella terribile giornata si sarebbe sciolta come neve al sole.
“Ti avevo detto che appena mi fossi liberata, sarei venuta da te” gli rammentò pertanto in tono pacato, mentre lui si decideva finalmente a entrare e a chiudere la porta dietro di sé. “Tu, piuttosto, dove sei stato finora?”
Per tutta risposta, André si liberò del mantello e si chinò sul camino per armeggiare con alcuni pezzi di legna e un acciarino nel tentativo di riaccendere il fuoco. La zaffata di alcool che Oscar avvertì nel momento in cui le passò vicino per posare l’indumento sulla seggiola, fu più eloquente di qualsiasi spiegazione.
“Hai bevuto” osservò allora, senza riuscire a celare una nota di rimprovero nella voce.
“Credo che quanto faccia nel mio tempo libero, non sia affar tuo, Oscar” replicò laconico lui “E dovresti chiudere la finestra, se non vogliamo gelare”.
“Se non erro, proprio oggi mi hai fatto notare che ognuno di noi è libero di fare quello che più gli aggrada finché non ha delle ripercussioni sul nostro rapporto… ” ribatté seccamente la donna, incrociando le braccia. Si rendeva conto che quello non era il modo giusto per affrontare la questione e in realtà non voleva affatto ricominciare a litigare, ma nonostante i buoni propositi quell’atteggiamento caparbiamente ostile iniziava a innervosirla.
“Non penso che ci sia bisogno di fare tante storie per un bicchiere in compagnia… a meno che non sia proprio questo il problema” replicava nel frattempo André, scrollando le spalle con noncuranza.
Oscar aggrottò la fronte.“Non capisco…”
“Non vuoi sapere con chi sono stato?” la provocò lui con un sorrisetto ambiguo, tirandosi su.
“Dovrei?” s’irrigidì lei.  
A quella domanda, per un lungo istante i loro sguardi si fronteggiarono duri in un silenzio teso; poi, improvvisamente, un’espressione triste si dipinse sul volto di André.
“No” mormorò piano, abbassando la fronte.
Era così vicino, ora, che se avesse voluto, avrebbe potuto allungarle una carezza… e per un attimo Oscar sperò che lo facesse, spezzando con quel gesto l’assurda spirale di ripicche e incomprensioni in cui erano caduti; tuttavia, analogamente a quanto era accaduto nelle scuderie poche ore prima, serrando la mascella André si spostò bruscamente, volgendo la sua attenzione alla finestra rimasta aperta.
Stava lottando di nuovo contro se stesso, era evidente, ma stavolta lei non lo avrebbe lasciato fare.
“Ho sbagliato”.
La sua voce risuonò ferma e limpida nella stanza, senza esitazioni. Colto di sorpresa, André lasciò la maniglia e si girò con gli occhi sgranati. 
“Trovi tanto strano che anch’io possa ammettere di aver commesso un errore?” domandò Oscar, sorridendo mestamente di fronte al suo sconcerto “In effetti, non sono mai stata brava in questo… eppure in tante occasioni avrei dovuto mettere da parte l’orgoglio e riconoscere di non essere infallibile né tanto meno integerrima…”
“Ma che cosa stai dicendo, Oscar?” mormorò confuso.
“Sto dicendo che sono un’egoista” replicò cupamente lei.
 André scosse la testa con amarezza. “ No, Oscar, se parliamo di egoismo dovrei essere io il primo ad accusare me stesso”.
“Non è vero, tu non hai niente da rimproverarti: sono io che ho preferito non vedere, ancora una volta, troppo concentrata su me stessa per degnarmi di considerare la tua infelicità!” ribatté con foga la donna “In questi mesi mi sono fatta bastare il poco che avevamo, senza mai davvero interrogarmi su quello che potevano essere le tue esigenze o i tuoi desideri e illudendomi che potessimo continuare così all’infinito… Così facendo non dovevo rinunciare alla mia carriera, al mio buon nome, alla mia vita dorata, e nel frattempo prendevo da te tutto quello che potevi darmi: la tua devozione, il tuo amore, la tua passione… ma io che cosa ti ho dato in cambio, André?” concluse dolorosamente, stringendo i pugni “Nulla, non sono stata meglio di quelle nobildonne che ho sempre disprezzato, pronte a spezzare la monotonia delle loro giornate tra le braccia di un valletto discreto! Dio mio, se penso a quello che devi aver pas… ”
“Oscar, ti prego, non attribuirti colpe che non hai e non fare di me la vittima che non sono” la interruppe accorato lui “In realtà, ciò che tu mi hai concesso l’ho preso senza esitazione, senza pensare che così facendo ti intrappolavo in una situazione complicata e priva di una via d’uscita… Ho avuto te e il tuo amore, che, di fatto, sono più di quanto avessi mai osato sperare, ma sono stato così sciocco da non esserne soddisfatto, da dimenticare che c’era stato un tempo in cui non avrei chiesto altro che poterti amare in silenzio, e ho finito per angustiarmi desiderando ancora, desiderando l’impossibile, quando per essere felice mi sarebbe bastato apprezzare quello che avevo già... ricordare come era prima…”
 “No, André, io…”
Ancora una volta André la fermò, facendole cenno con una mano di lasciarlo parlare.
 “Ascoltami, ci ho riflettuto per ore stasera, in quella dannata osteria… “ continuò inquieto “Io ti amo, ti amo così tanto che a volte fa quasi male… e non posso impedirmi di provare quel che sento, di desiderarti solo mia… Non sai quanto mi odi per essere stato ingiusto nei tuoi confronti oggi, per averti aggredita senza motivo. Finora ero riuscito a dominarmi, a impedire che la paura di perderti mutasse in smania di possesso, che il mio folle sogno di gridare al mondo che sei mia degenerasse in rabbiosa rivalsa… ma poi… poi non so cosa sia successo. Forse la storia di Girodelle è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ricordandomi impietosamente quale sia veramente il mio posto, ma non è questo il punto: oggi pomeriggio ho varcato un limite che non avrei dovuto oltrepassare, lasciando che le mie frustrazioni si ripercuotessero su di te… e non voglio che accada di nuovo” terminò in un sussurro.
 Oscar lo guardò sconcertata. “Che cosa stai cercando di dirmi, André?”
“Ho deciso di arruolarmi tra i soldati della Guardia”.
Quelle parole la colpirono come un pugno in pieno stomaco. Per un attimo le sembrò che persino il respiro si fosse fermato, mentre la nausea che la aveva oppressa per buona parte della serata tornava a stringerle le viscere in una morsa feroce.
“Arruolarti?” riuscì soltanto a pronunciare.
 “Sì, ho un amico nei soldati della Guardia ed è disposto ad aiutarmi” le spiegò con voce atona André, sfuggendo il suo sguardo.
 “Tu… tu devi essere impazzito!” proruppe allora sconvolta, rianimandosi di colpo “Ma ti rendi conto di cosa significhi davvero essere un semplice soldato in un reggimento della Guardia metropolitana, di questi tempi?”
“Abbassa la voce, Oscar, qualcuno potrebbe sentirti!”
“Al diavolo se qualcuno mi sente! Parigi è una polveriera pronta ad esplodere e tu ci staresti seduto sopra… e per che cosa, poi? Maledizione, André, non è certo questa la soluzione!”
“E quale sarebbe allora, Oscar? Fare finta di nulla fino alla prossima discussione?” sbottò lui esasperato.
“Di certo non lo è fuggire dai problemi, invece di affrontarli insieme!”
“Pensi che io stia facendo questo? Fuggire? Credimi, Oscar, se fuggire fosse la soluzione, io sarei fuggito da te tanto tempo fa!” ribatté con forza André “Non ti sto lasciando, se è ciò che supponi, non potrei nemmeno se volessi, ma credo che porre un po’ di distanza tra di noi sia l’unico modo che ho per non impazzire. Ti prego… cerca di capire” la supplicò infine, fissandola con intensità.
“Io capisco solo che forse non mi stai lasciando, ma di fatto è come se lo facessi” obiettò amareggiata Oscar “Potrebbero passare settimane prima che tu ottenga una licenza o un giorno di libera uscita e non è detto che riusciremmo a incontrarci, anzi, sarebbe ancora più complicato di quanto non lo sia ora”.
 “Ne sono consapevole e mi sento morire al solo pensiero… ti giuro che non è stato affatto facile arrivare a una simile decisione, quando vorrei soltanto tenerti stretta a me e non lasciarti andare” confessò André con altrettanta tristezza “Ma se non lo facessi, Oscar, se non cercassi di staccarmi da te e di dare comunque un senso alla mia vita… finirei per disprezzarmi. In un certo senso hai ragione, sto fuggendo… sto fuggendo dall’uomo che ho paura di essere diventato”.
“E se io ti dicessi che non ne avresti motivo e che ci sarebbe un’alternativa a quest’assurdità?” insinuò lei.
André allargò le braccia in un gesto sconsolato.
“E quale, di grazia? Io non ne vedo”.
“Andiamo via”.
Questa volta fu lui a rimanere di stucco. “Che cosa?”
“Sono disposta a lasciare tutto pur di stare accanto a te” ribadì Oscar con semplicità.
Quante volte aveva sperato di udire quelle parole… André le aveva desiderate con tutto se stesso, pur temendo, paradossalmente, il momento in cui sarebbero arrivate. Eppure, il suo viso non tradì la benché minima emozione, mentre osservava freddamente:
“Adesso sei tu a non renderti conto di quello che dici”.
“Credi che non lo farei? Io ti amo, maledizione!” s’infervorò Oscar.
“Lo faresti, non ne dubito… ma poi finiresti per odiarmi” replicò serio, pur mantenendo la calma “Io non ho niente da perdere, Oscar, ma tu… tu dovresti rinnegare te stessa, rinunciando a quello che sei riuscita a conquistare in questi anni e a una vita agiata che io non potrei mai garantirti… senza considerare il fatto che per te sarebbe difficile adattarti a vivere come una donna qualsiasi” sottolineò con fermezza.
 “Mi basta avere te. Tutto il resto non conta” tagliò corto lei “E so che tu non mi vorresti diversa da come sono né m’imporresti di esserlo”.
“Senza alcun dubbio” Un sorriso appena accennato distese i lineamenti dell’uomo. “Ciò non toglie che ovunque andassimo, non saresti libera di essere davvero te stessa, neppure con me al tuo fianco”.
“Non lo sono neppure adesso, André” mormorò lei, prendendogli una mano. “Come figlia e soldato, devo soprattutto obbedienza a regole stabilite da altri: non posso sposare l’uomo che amo, né decidere autonomamente il mio destino… questa non è libertà. Eppure ci sono luoghi, al di là dell’Oceano, in cui essa esiste davvero; luoghi in cui non conta né il censo né il titolo, né tanto meno le regole dell’etichetta, bensì ciò che un uomo e una donna sono in grado di costruire con le proprie forze… luoghi in cui potremmo essere marito e moglie senza il timore che qualcosa o qualcuno possa separarci! Ti prego, André... devi solo dirmi di sì”.
L’azzurro dei suoi occhi si era fatto così lucido d’emozione mentre gli parlava di quel futuro che avrebbero potuto avere, se soltanto avessero avuto il coraggio di afferrarlo… d’impulso André intrecciò le dita alle sue e le sollevò la mano avvicinandola a sé, fino a lambirne il dorso con le labbra.
Nell’interpretare quel gesto come un atto di resa, Oscar finalmente si rilassò, abbandonandosi per alcuni istanti alla piacevole sensazione di languore risvegliata dal sentire il respiro di André sulla propria pelle… ma quell’unico momento di debolezza la tradì.
 “C’entrano forse questi, con il tuo improvviso desiderio di libertà?”
Aveva pronunciato quelle parole senza rabbia né astio, André, dopo aver posato un lieve bacio sul polso offeso. Senza che lei se ne fosse accorta, le aveva tirato su il polsino quel poco che bastava a esporre i segni che con tanta cura aveva cercato di nascondere. Tuttavia, non sembrava sorpreso… come se sapesse.
“André, io... posso spiegarti” esordì tremante.
“Non mi devi alcuna spiegazione, ho visto abbastanza per sapere con esattezza quello che è successo” replicò lui, confermando i suoi sospetti “Da te non potevo aspettarmi un comportamento diverso... la mia fiera, bellissima Oscar…” L’espressione dell’uomo si addolcì, mentre con le nocche ruvide le sfiorava la guancia in una lieve carezza.
“Mi dispiace tanto, André... Io... io non so come abbia potuto pensare che… non credo di aver mai fatto qualcosa che potesse incoraggiarlo... Non volontariamente intendo”.
“Non l'ho pensato neanche per un momento” la rassicurò lui con un sorriso malinconico.
“Dunque… eri lì”.
“Sì, ero sceso a cercarti per chiederti scusa e sono arrivato proprio quando il Maggiore si è… fatto avanti” disse brevemente André, rabbuiandosi “In quel momento sono impietrito… non potevo crederci, sebbene di colpo mi fossero divenuti chiari tanti piccoli segni, nel suo comportamento degli ultimi tempi, che avrebbero dovuto indurmi a sospettare prima i suoi sentimenti verso di te. Dio mio, se non fosse arrivato tuo padre con quel tale...”
“Non sarebbe successo nulla, André. Lo avrei rimesso al suo posto”.
“Non ne dubito… il problema è che non te ne avrei dato il tempo” replicò cupamente il giovane, staccandosi da lei.
“Che cosa vorresti dire?” domandò turbata Oscar.
“Se non vi avessero interrotti, credo che lo avrei ammazzato con le mie stesse mani” mormorò André, lasciandosi cadere sulla seggiola.
“Non ne saresti mai capace…”obiettò lei con convinzione.
“Tu credi?” Il volto di André si contrasse in una smorfia “No, Oscar, ero fuori di me e ti assicuro che lo avrei fatto, lo avrei colpito fino a ucciderlo! Ma poi, quando mi sono ritrovato fuori, nel parco, improvvisamente ho avuto orrore di me stesso realizzando che avrei ucciso un uomo… solo perché colpevole di amare te”.
Aveva pronunciato quelle ultime parole in un soffio, prendendosi la testa fra le mani. Oscar provò una fitta al petto nel vederlo in quello stato e d’istinto s’inginocchiò dinanzi a lui, sfiorandogli appena un gomito con la punta delle dita.
“André…”
“E’ per questo che ho bisogno di arruolarmi, Oscar” aggiunse roco, senza più reprimere la sua disperazione “Sento che mi sto perdendo… e per ritrovarmi devo allontanarmi anche da te”.
“E poi? Poi che succederà?” domandò Oscar con una punta di angoscia.
“Poi, quando finalmente sarò in grado di guardare a noi con un po’ di serenità… ritornerò da te” rispose lui senza esitazioni, soffermando lo sguardo su quel viso tanto amato quasi a volerne fissare ogni minimo dettaglio “E se ancora sarai convinta delle tue intenzioni… allora andremo via lasciandoci tutto alle spalle”.
“E’ quindi anche questo il motivo per cui non riesco a farti cambiare idea? Temi che la mia sia una scelta avventata?”
 “Sì, Oscar… credo che entrambi abbiamo bisogno di una pausa per decidere del nostro futuro” annuì André “Egoisticamente ti seguirei in capo al mondo anche adesso… ma l’egoismo non è amore, e so che alla fine non sopporterei di vederti infelice per aver approfittato di una decisione, che non sarebbe ragionata e consapevole, bensì frutto dell’impeto di un momento. Stare separati ti darà modo di riflettere su quello che desideri veramente per te stessa, Oscar, senza che io ti condizioni in qualche modo”.
A quelle parole fu di nuovo silenzio, interrotto soltanto dal rombo di un tuono in lontananza. Il baluginio del lampo lo precedette di poco, rischiarando lugubremente la stanza. Il primo temporale di ottobre... la prima crisi… tutto si stava consumando rapidamente tra luce e oscurità. Oscar tirò un profondo sospiro.
“Se è questo che vuoi veramente… anche se resto fermamente convinta che sia un errore… ti aiuterò” capitolò alfine, rialzandosi in piedi “Parlerò domani con mio padre e gli dirò che intendo dispensarti dal tuo incarico. Non credo che solleverà obiezioni”.
“Ti ringrazio…”sussurrò riconoscente André
“Quando pensi di…?”
“Se tutto andrà come dovrebbe, la prossima settimana sarò di servizio presso la Compagnia B di Parigi”.
“Quindi… non sarai con me a Fontainbleau” considerò lei dopo una breve pausa.
“No”.
“Mi fa uno strano effetto pensare che tu non sarai lì con me”.
“Anche a me… ti sono stato accanto per una vita e tuttora c’è una parte di me convinta che solo io sia in grado di proteggerti” le confessò André, sollevandosi a sua volta dalla sedia per avvicinarsi a lei “Sicuramente sarà difficile abituarmi… ma dovrò imparare a convivere con l’ansia di non essere sempre al tuo fianco, pronto a difenderti”.
“Cercherò di non mettermi nei guai” provò a scherzare Oscar per stemperare la tensione, ma quel sorriso appena accennato le sfiorì rapidamente sulle labbra.
“In ogni caso, qualcosa mi dice che ci sarà qualcun altro a vegliare su di te… anche se ne farei volentieri a meno” osservò pragmatico André.
“Se ti riferisci a Girodelle, dopo quello che è successo, non credo proprio…” ribatté infastidita la donna“E comunque sono perfettamente in grado di badare a me stessa, dovresti saperlo”.
“Comunque sia, tieni sempre gli occhi aperti e non rischiare mai inutilmente” la ammonì lui in tono severo.
“Lo farò” annuì Oscar tornando seria. “Allora… a domani André” mormorò mestamente, muovendo un passo verso la porta.
“No… aspetta” la trattenne tuttavia André, sfiorandole un braccio con la mano “Questa è l’ultima notte che potremmo trascorrere insieme… se vuoi…”
“Lo vorrei, ma renderebbe tutto più difficile” sospirò lei.
“E da quando in qua siamo per le cose facili…” scherzò André, scansandole dagli occhi un ricciolo ribelle.
Le labbra di Oscar si piegarono in un sorriso. Lo baciò, lasciando che lui a quel suo bacio ne aggiungesse un altro, e poi un altro ancora, cosicché i baci si susseguirono, prima lievi e poi sempre più intensi, come le gocce della pioggia che battevano sui vetri al ritmo crescente dei loro respiri.
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Capitolo 7
*** I lacci del destino ***


I lacci del destino
 
 
Le gocce di pioggia picchiettavano lente e monotone sui vetri oltre i quali le perfette ed elaborate geometrie del parterre di Palazzo Jarjayes, lucide d'acqua piovana, sembravano rifulgere come se fossero di porcellana. Il cielo grigio si specchiava capovolto e percorso da nuvole scure nelle pozzanghere che costellavano i vialetti di ghiaia, mentre le basse siepi di bosso, i tassi, i lauri e i cipressi potati in forme geometriche, si opponevano orgogliosamente allo scompiglio di quel mattino di pioggia tanto da far pensare a colui che le osservava, che neanche una bufera sarebbe probabilmente riuscita a far stormire le foglie di quelle compatte masse verdi.
Jean de Grammont lasciò la finestra, annoiato da quel paesaggio piatto, da quel cielo grigio e quei colori smorti, da quella natura addomesticata e prigioniera che nulla aveva a che fare con la lussureggiante, vivida e selvaggia bellezza delle sue terre natie, né tantomeno con l’azzurra grandiosità dell'orizzonte senza confini che si offriva alla vista dalla plancia di una nave.
E tuttavia non poteva negare che la cosiddetta civiltà avesse i suoi vantaggi... si disse lasciando vagare lo sguardo sull'elegante e accogliente camera nella quale aveva trascorso una più che confortevole notte in qualità di gradito ospite del generale Jarjayes; vantaggi cui era facile abituarsi, tanto più per chi come lui era stato costretto ad acquisire la ben più difficile abitudine alle privazioni.
Con un sospiro si avvicinò al caminetto dove le braci del fuoco che aveva scaldato la camera durate la notte, ardevano ancora piacevolmente tiepide, fortunatamente a Saint-Domingue almeno non aveva dovuto mai patire il freddo... pensò con un mezzo sorriso.  Quello, quantomeno, se lo era risparmiato quando suo padre, morendo, aveva lasciato lui e sua madre con il fantasma di una tenuta ridotta a pochi ettari di terra per lo più abbandonati alle erbacce, una casa cadente, tre schiavi più morti che vivi, una mucca, qualche gallina, un mare di debiti e un nome pressoché inutile per far fronte a tutto quello sfacelo…
A dire il vero la morte di Charles de Grammont in sé, non era stata poi questa grande tragedia, anzi poteva tranquillamente dire che liberarsi della sua sferza e della sua rabbia era stato un autentico sollievo, e se non l’avesse fatto la natura, prima o poi in tutta probabilità ci avrebbe pensato lui a togliere di mezzo quel sadico bastardo.
Quanto a sua madre era tutto un altro discorso. Aveva amato la donna che l'aveva messo al mondo con tutto il cuore: per sé ma soprattutto per lei aveva deciso di tentare la fortuna tra la le onde del mare, valutando che fossero preferibili alle altrettanto pericolose, ma polverose, accaldate e maleodoranti strade di Port-au-Prince, dopo aver capito, nonostante la giovane età, che affrontare la vita era l'unico modo per fronteggiare la povertà che li assediava. Il ponte di una nave era così divenuto per lunghi anni la sua unica casa.
Per quanto nobile di nascita, non avendo mai frequentato l’Accademia Navale e non avendo né mezzi, né amicizie importanti a supportarlo, sapeva che difficilmente sarebbe potuto diventare un ufficiale della Marina Reale, e dunque dal momento che avrebbe comunque dovuto spezzarsi la schiena lustrando ponti e maneggiando cime, si era cercato un imbarco su uno dei tanti mercantili che affollavano la baia di Port-au-Prince. Senza la catena di una divisa e soprattutto con la consapevolezza che su un mercantile non c'erano discriminanti se non la volontà, il merito e le capacità individuali, che potessero impedire ad un semplice mozzo di diventare un giorno Capitano, aveva stretto i denti e puntato dritto al suo obbiettivo.
Del resto, grazie agli insegnamenti di suo padre, conosceva già la violenza fisica e psicologica e così sebbene appena quattordicenne, non si era fatto abbattere né tantomeno spaventare, dalla severissima disciplina che regnava a bordo, la cui linea di confine tra rigore e abuso era tracciata unicamente dal volere del Capitano.
Senza vacillare un giorno, con tenacia e determinazione, si era adattato a quella vita dura e pericolosa e senza nulla cedere al rispetto dovuto a se stesso, aveva obbedito e quando necessario subito, ma aveva anche osservato ed ascoltato, e imparato tutto ciò che poteva mentre le sue spalle diventavano sempre più larghe e le sue braccia più forti, crescendo di pari passo alle sue conoscenze della vita di mare. Infine, la sua volontà era stata premiata, il suo impegno, ma soprattutto le sue capacità, riconosciute, e così grazie anche all'indubbio vantaggio dell’istruzione ricevuta da ragazzo, era riuscito ad accedere ai gradi più alti della gerarchia di una nave e a restituire alla madre la vita che meritava.
Tuttavia, i suoi sforzi non erano serviti, nulla di ciò che aveva tanto faticosamente ottenuto gli era valso il suo amore, né tantomeno la sua riconoscenza. Il cuore di sua madre era rimasto duro e freddo, i suoi pensieri rancorosi, il suo sguardo fisso sui sogni infranti di una gioventù e un'innocenza perduta, di cui lui, a quanto pareva, continuava ad essere la quotidiana testimonianza.
Ma ormai era tutta acqua passata, le privazioni, la fatica e anche sua madre… tutto… e comunque il fatto di aver avuto una giovinezza difficile e di essere oramai abituato ad una vita tutto sommato priva di fronzoli, non comportava certo l'odio per il lusso... Anzi a dire il vero pensava che chiunque professasse l'odio per il lusso non fosse intelligente, ed egli si reputava una persona intelligentissima, oltre che dotata di un grande spirito di adattamento…
Ciò non voleva dire che avrebbe mai permesso ad un uomo di aiutarlo ad indossare le braghe… si disse pensando al valletto che poco prima gli era stato mandato perché, in assenza del suo domestico, lo assistesse nel disbrigo delle proprie esigenze e che egli aveva gentilmente congedato. Certe sottigliezze da damerino non gli si confacevano per natura; occuparsi da sé della propria persona, vestirsi e spogliarsi da solo erano norme di vita, più che abitudini, cui poteva derogare unicamente a favore di una signora e francamente si domandava come il generale Jarjayes potesse pensarla, e aver pensato di lui, diversamente…
Ma in fondo non c’era di che meravigliarsi, per quanto fosse un severo militare Jarjayes era pur sempre un gentiluomo di alto lignaggio, abituato ad essere oltre che obbedito, anche servito e riverito, e comunque a parte questo e qualche altro trascurabile dettaglio frutto della diversa educazione ricevuta, doveva ammettere che loro due erano piuttosto simili sotto molti punti di vista e che il suo stile gli si confaceva.
Nulla di eccessivo in casa sua... nulla di appariscente, lusso governato da sobrietà; perfino le decorazioni floreali delle tappezzerie e gli stucchi dorati erano irreggimentati in un’ottica di equilibrio che niente lasciava all'esuberanza. Sì… non gli sarebbe stato difficile abituarsi… del resto ci si abitua a tutto, anche alle cose più strane come una donna infilata in abiti maschili che se ne va in giro con una spada al fianco e delle mostrine da ufficiale sulle spalle della giacca.
Chissà come avrebbe reagito il fiero colonello de Jarjayes quando avesse saputo che il suo stile di vita stava per subire un radicale cambiamento; da quel che il Generale gli aveva detto di lei e da quel che lui aveva capito osservandola in quelle poche ore, di certo non bene. Non sembrava proprio il tipo di persona disposta a rinunciare ad essere padrona di sé, neanche per qualcuno che alla fine sarebbe potuto risultare di suo gusto, ma... il dado era tratto! Il destino di Oscar de Jarjayes era oramai strettamente legato al proprio ed era impensabile che un suo nodo si potesse sciogliere.
Sospirò soddisfatto il Conte de Grammont, un po’gli dispiaceva che quella mattina non l'avrebbe rincontrata, trovava la sua compagnia... stimolante, ma a quanto pareva agli ufficiali delle Guardie di Sua Maestà era richiesto un servizio pressante e impegnativo. Tuttavia, in fin dei conti era meglio così: senza la sua presenza sarebbe stato più semplice discutere col Generale.
Guardò l'orologio sulla mensola del camino: era ora di raggiungerlo e farsi aggiornare sugli ultimi risvolti del loro progetto.
 
Come sempre più spesso gli accadeva da alcuni mesi a quella parte il Generale non aveva chiuso occhio.
Da quando la sera precedente si era ritirato nelle sue stanze, i suoi pensieri non avevano smesso un solo istante di rincorrere i ricordi e la sua mente di analizzare i brandelli di un passato che aveva creduto sepolto ed oramai in parte sfuggito alla memoria, e di ricostruire gli eventi che lo avevano  portato a compier quella scelta inconsapevole,  rivelatasi clamorosamente errata, le cui conseguenze erano stata alla base di un'altra ben più difficile, che aveva segnato la sua vita, ma soprattutto  il destino della persona che più gli era cara al mondo.
Avrebbe deciso ancora allo stesso modo se avesse saputo almeno in parte? Avrebbe preso quella prima fatidica decisione nella stessa identica maniera? Gli sarebbe piaciuto potersi rispondere di sì e mettersi così l’animo in pace dicendosi che fra tutte le opzioni che in quel dato momento avrebbe potuto scegliere, quella era stata la soluzione migliore per tutti, se non l'unica possibile. Tuttavia, ad essere onesti, doveva ammettere che neanche allora ci aveva creduto fino in fondo, ed ora, pur volendosene convincere non poteva: aveva la coscienza troppo sporca per macchiarla ulteriormente con nuova ipocrisia.
Ma davvero aveva pensato di poter contrastare con la sua volontà quella di Dio? Quanti sforzi sprecati, e soprattutto quanta inutile fatica imposta a sua figlia per realizzare un destino che non le apparteneva e quante sofferenze a chi non le meritava!
Ma per fortuna non era tardi… poteva rimediare ai suoi errori e rimettere tutto a posto, far sì che tutto andasse come sarebbe dovuto andare, dal principio...
Certo sapeva che non sarebbe stato facile, che Oscar non avrebbe accettato di cambiar vita dall'oggi al domani, ma in fondo era giusto che fosse così, sua figlia aveva condotto per troppi anni una vita pericolosa e difficile, rinunciando per suo volere a tutte quelle piccole e grandi gioie, che ogni ragazza ha il diritto di provare. D’altra parte, nonostante il suo carattere forte ed impulsivo Oscar si era sempre comportata da persona assennata e figlia obbediente, devota come lui, al bene superiore del nobile casato cui appartenevano… e alla fine, in un modo o nell’altro, sarebbe riuscito a farla ragionare, a persuaderla...
Per lei, comunque, aveva scelto il meglio. Colui che avrebbe sposato era un gentiluomo di qualità e figura, un fedele suddito di Sua Maestà che portava un nome all'altezza di quello dei Jarjayes, un uomo dal cuore irreprensibile e l'animo coraggioso, dotato di spirito e reputazione, ma soprattutto con l’intelligenza di capire la fortuna che avrebbe avuto nell'avere al suo fianco una donna tanto fuori dal comune quale era la sua Oscar.
E quando lei sarebbe stata sistemata con un uomo alla sua altezza…
Il Generale tirò un profondo sospiro, prese la tazza del caffè che fumava sul tavolo imbandito per la colazione innanzi a lui, e se la portò alle labbra.
... In poco tempo finalmente ogni cosa sarebbe andata al proprio posto...
“Mi fa piacere vedere che vi siete svegliato di buon umore, Generale” esordì Jean de Grammont entrando in quel momento nella sala e notando l’espressione soddisfatta sul viso del padrone di casa “Questo mi fa pensare che quell'incertezza che vi preoccupava alla fine si sia sciolta nel migliore dei modi”.
Il Generale sollevò un sopracciglio “Purtroppo no Jean…” rispose rivolgendo al giovane un’espressione rammaricata “ma ciò non cambia di un punto quel che è stato stabilito” aggiunse subito dopo con noncuranza, invitandolo a sedersi con un gesto della mano mentre un valletto scostava prontamente la sedia accanto alla propria.
Il Conte de Grammont aggrottò la fronte.
“È quello che vi aspettavate in fondo... e a dire il vero dopo aver finalmente conosciuto di persona madamigella Oscar è esattamente quello che mi aspettavo anch’io, sebbene qualcosa cui ho assistito ieri sera mi avesse instillato un certo dubbio” disse  rifiutando i pasticcini al burro ché il domestico gli aveva presentato  e  portandosi alle labbra una tazza di caffè.
Il Generale congedò il valletto e appoggiando la schiena alla spalliera della sedia serrò un poco gli occhi.
“A cosa vi riferite?” domandò
“Oh, niente di particolare” rispose Grammont “semplicemente mi era parso di cogliere tra i due una complicità che mi aveva fatto pensare che in fondo Oscar potesse essere in un certo qual modo bendisposta nei confronti del Maggiore”.
“Non so sinceramente cosa avete inteso, ma vi garantisco che a detta dello stesso Girodelle, Oscar è stata piuttosto chiara nell'esprimere la propria totale mancanza d'interesse nei suoi confronti…” osservò il Generale puntando i gomiti sui braccioli della poltrona “ma il problema è che credo, sempre più fermamente, che sia nei confronti del matrimonio in genere…” aggiunse incrociando le dita e picchiettando nervosamente i pollici l'uno contro l’altro.
“Non siate categorico, non esiste donna al mondo, per quanto difficile, che non desideri l'amore… La risposta di vostra figlia alla proposta del Maggiore vi deve semplicemente far pensare che Girodelle, nonostante tutte le sue indiscutibili qualità, non ha evidentemente  ciò che Oscar ritiene che un uomo debba possedere per essere di suo gradimento, del resto come voi stesso avevate ipotizzato era difficile credere che potesse accettare di diventare la moglie di qualcuno cui d'abitudine dava ordini...”
Il Generale con un sospiro si alzò e andò alla finestra.
Grammont lo osservò. Erano passati oramai alcuni mesi da che lo conosceva e da ancor più da quando lo aveva visto la prima volta e oramai comprendeva abbastanza bene i meccanismi che regolavano le sue azioni. Era un uomo forte il Generale, ed autoritario, abituato a tenere saldamente in mano le redini del comando, che si trattasse dei suoi soldati o della sua famiglia, un uomo dalla volontà di ferro, un pragmatico visionario capace di trasformare in un mezzo anche un ostacolo e sfidare senza batter ciglio le regole basilari della società pur di realizzare il suo obbiettivo. Per quanto fosse incredibile in fondo quel vecchio bastardo gli piaceva, il che, visto quel che era destinato a diventare, non era poi, nonostante tutto, questo gran male. Ad ogni modo, nonostante la sua affermazione iniziale sembrava preoccupato e dal momento che la preoccupazione comporta la titubanza…
“Non si colpisce una nave se prima non si è calibrato il tiro dei cannoni con qualche colpo di prova…” osservò rassicurante.
“Mi state dicendo che voi sareste disposto ad accettare di aspettare ancora?”
Non vedo perché non dovrei” rispose con un sorriso franco “Quello che cercavo, quello che mi stava a cuore trovare, l'ho ormai trovato; tutto il resto, vi ho già detto non ha importanza…”
“Ne ha per me invece e dovrebbe averne anche per voi!”
Grammont sorrise, eccolo lì: l'orgoglio, un altro dei tratti salienti del generale, una caratteristica che se da un lato era parte della sua forza dall'altro ne era il principale limite, poiché lo rendeva vulnerabile a chi sapeva come incunearsi nelle pieghe delle sue convinzioni.
“Oh, ne ha! Non fraintendete” esclamò con convinzione alzandosi a sua volta e raggiungendolo alla finestra “Ma vedete, una delle prime cose che ho imparato, è che un’attenta osservazione dell’avversario, è importante quanto la rapidità degli affondi, per vincere un duello e voi converrete con me che questa è una regola fondamentale nella vita come nella scherma e che mai come in questo caso l'uso di qualche finta d'indagine è d'obbligo...”
A quelle parole il generale voltò il viso a guardare Grammont, aggrottò la fronte e lo fissò per qualche istante.
“Credo di non avervi mai visto in azione con una spada, ma ho motivo di credere che siate un abile schermidore” disse sollevando un angolo labbra in un sorriso insinuante.
“Fortunato, più che altro…”
“Si dice che la fortuna aiuti gli audaci… ma io sono sempre stato convinto che la fortuna aiuti i valorosi, e sebbene abbia già avuto modo di constatare la veridicità di questa mia convinzione, mi piacerebbe appurarla ancora una volta…”
“Sarebbe per me un piacere ed un onore darvene l'occasione…”
Il Generale sorrise “Non fatevi influenzare dai miei anni, sappiate che vi darò filo da torcere”
“Non ne dubito, conosco la vostra reputazione e non mi aspetterei di meno…”
“Comunque, cercherò di non strapazzarvi troppo…”
“Mi impegno a fare altrettanto…”
I due uomini si guardarono divertiti da quello scambio di battute che per quanto amichevole e scherzoso, preannunciava un incontro che si sarebbe rivelato quantomeno istruttivo, poiché ognuno dei due contendenti avrebbe avuto modo di cercare nella lama dell’avversario la conferma del suo valore.
“Venite Jean” disse il Generale poggiando una mano sulla spalla del giovane “vi mostro la sala d'armi… mia moglie non ritornerà da Versailles prima di un paio d'ore, avremo tutto il tempo di renderci nuovamente presentabili per il suo rientro.”
 
Il clangore delle spade echeggiava sotto i soffitti affrescati di dei ed eroi della sala del Leone. Per l'ennesima volta le lame si incrociarono e si distaccarono, fendenti e affondi continuavano a susseguirsi senza tregua portando in vantaggio ora l'uno ora l'altro in una oramai lunga prova di resistenza. Jean aveva iniziato lo scontro senza troppo impegno convinto che l’ineccepibile tecnica e l’abilità dell’anziano generale poco avrebbero potuto contro la vigorosa forza dei suoi attacchi e l’esperienza maturata in anni di scontri rabbiosi, in cui più volte aveva dovuto difendere la propria vita e affermare la propria supremazia.  Ma il braccio del Generale era sicuro, la sua mano leggera e veloce, il suo sguardo attento e ben presto dovette ricredersi ed impegnarsi al massimo delle sue possibilità per tener testa a cotanto avversario.
Le lame scintillavano nella luce fredda del mattino piovoso incrociandosi senza sosta. Augustine parò l’ennesima stoccata ed indietreggiò di un passo, sebbene facesse del suo meglio per non darlo a vedere cominciava ad avvertire la stanchezza, i fendenti di Grammont erano pesanti e  studiati, i suoi attacchi precisi, la sua guardia serrata, certo il suo stile era rozzo, ma la sua abilità fuori d’ogni discussione e il suo sguardo attento e concentrato gli ricordava straordinariamente quello di Oscar l'ultima volta in cui aveva incrociato la lama con lei, quando la figlia battendolo gli aveva definitivamente dimostrato che non aveva più nulla da aggiungere ai suoi insegnamenti. Ricordava ancora l'incredibile velocità e la perfetta sequenza di movimenti con cui era giunta a puntargli la lama al cuore, sancendo la sua indiscutibile vittoria. Ne era stato così orgoglioso in quel momento e continuava ad esserlo ogni istante della sua vita eppure…
Un colpo rapido e quasi imprevedibile ricordò al Generale che non doveva abbassare la guardia neanche per un istante, per un pelo riuscì a schivarlo scivolando all'indietro e mentre ritrovava la posizione difensiva, pensò che doveva chiudere al più presto quel duello se non voleva rischiare di uscirne sconfitto. Aveva notato che nei colpi bassi Jean tendeva a sbilanciarsi e così, approfittando d'essere fuori misura, sferrò un attacco deciso con un rapido susseguirsi di colpi per poi retrocedere e indurlo al contrattacco finché con una parata riuscì finalmente a fargli perdere l'equilibrio. Grammont cadde e in un attimo il Generale gli puntò la lama alla gola.
“A quanto pare sono sconfitto senza appello” ammise aprendo le braccia in segno di resa.
Il Generale sorrise.
 Jean si era rivelato straordinariamente abile e sarebbe stato imbattibile se solo avesse avuto un'adeguata preparazione, se solo avesse avuto lui come maestro… Sembrava nato per combattere quel ragazzo. Alto e possente, ma con la corporatura elegante da gentiluomo vissuto nelle armi, Jean era ciò che Oscar sarebbe stata se fosse nata uomo...
Avevano pochi mesi di differenza quei due, ed erano così simili…gli stessi occhi, lo stesso colore di capelli, la stessa energia, l'identica risolutezza, il medesimo coraggio nell'affrontare una vita che in un modo o nell'altro per nessuno dei due era stata facile. Era orgoglioso di Oscar, ma lo era anche di Jean... e come poteva non esserlo, non era da tutti passare ciò che lui aveva passato e venirne fuori vincente. Aveva sopportato le angherie di un uomo crudele che aveva sfogato su di lui frustrazioni e fallimenti, sua madre non era riuscita a nutrire per lui quell'affetto che gli sarebbe spettato di diritto e alla fine si era ritrovato solo, in un mondo selvaggio, ostile e senza più un soldo, ma malgrado tutto ciò era riuscito  con le sue sole forze a farsi una posizione e a dare nuova gloria ad un casato oscuro e fiacco e a un nome che non gli apparteneva e questo perché nel petto gli batteva il cuore intrepido e nelle vene gli scorreva il  sangue impetuoso e ardito dei Jarjayes. Il suo sangue.
Con un gesto pieno di soddisfazione e orgoglio il Generale gli allungò la mano per aiutarlo ad alzarsi.
"Non preoccuparti figlio mio, vedrai, avrai modo di rifarti..."

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Capitolo 8
*** Il vaso di Pandora ***


Il vaso di Pandora
 
Un piacevole tepore accolse Oscar nelle sue stanze, dopo l’ennesima, estenuante giornata trascorsa a Versailles. Ancora infreddolita per il vento gelido di quel pomeriggio di fine ottobre, la donna si sedette sul piccolo canapè cremisi dinanzi al camino e tese istintivamente i palmi in direzione del fuoco, restando per qualche minuto immobile a fissare il movimento guizzante delle fiamme mentre la mente tornava a perdersi nei foschi pensieri che, da qualche settimana ormai, tingevano di mestizia le sue giornate. Si riscosse soltanto quando udì qualcuno bussare timidamente alla porta.
“Avanti” mormorò con voce incolore, voltandosi appena verso l’entrata. Nel riconoscere la cameriera rimasta sulla soglia, tuttavia, sul suo viso comparve l’accenno di un sorriso “Vieni pure, Elenoire” aggiunse allora, sforzandosi di addolcire il tono per non incuterle timore.
La ragazza si affrettò ad obbedire e dopo aver posato su una piccola consolle il vassoio che teneva tra le mani, restò in silenziosa attesa di ulteriori disposizioni; Oscar, però, si limitò a congedarla distrattamente e solo quando fu di nuovo sola, allungò il braccio verso la tazza fumante e la avvicinò con cautela alle labbra.
Marie non si smentiva mai, non poté fare a meno di pensare con una punta di bonaria ironia, sorseggiando la cioccolata calda che, come ogni sera, la donna aveva premura di farle trovare al suo ritorno dalla reggia. Un piccolo rito che si ripeteva da anni segnando l’arrivo dei primi freddi e che sin da bambina aveva condiviso con André; e proprio la constatazione di quanto le pesasse la sua assenza in quei momenti di banale quanto serena quotidianità, le provocò una fitta al petto dolorosa e sottile, contro la quale nulla poterono né il sapore corposo né la consistenza vellutata di quella scura delizia.
André le mancava, le mancava terribilmente. Come lei stessa aveva cupamente profetizzato, dopo il suo inaspettato arruolamento nei Soldati della Guardia anche solo incontrarsi, per loro, era divenuto impossibile, nonostante la partenza per Fontainebleau fosse stata rimandata di qualche settimana per un improvviso malessere del Delfino. Quella forzata dilazione, infatti, anziché ridurre le sue incombenze le aveva moltiplicate, costringendo lei e Girodelle a riesaminare il percorso e a indire ulteriori ispezioni per evitare che potesse ripetersi un episodio analogo a quello di Barbizon. Dal canto suo, complice il recente ingaggio, André non era riuscito ancora ad ottenere una vera licenza, se non alcune ore di libera uscita che non erano mai coincise con i rari momenti di libertà di cui lei aveva potuto godere.
L’unico lato positivo di quella faccenda era che il Maggiore sembrava aver definitivamente accantonato i suoi progetti matrimoniali o comunque aveva evitato di tornare alla carica, togliendola dall’impiccio di dovergli opporre un nuovo e più duro rifiuto.
Sospirò, Oscar, mentre con un gesto nervoso posava rumorosamente la tazza sul piattino. C’erano giorni, come quello, in cui si domandava come avesse soltanto potuto concepire l’allontanamento di André, seppur per il suo bene, dopo il suo drammatico ferimento per mano del Cavaliere Nero, considerando che non riusciva ancora ad abituarsi alla loro separazione e con ogni probabilità non ne sarebbe stata mai capace... non dopo una vita trascorsa fianco a fianco, non dopo quello che avevano condiviso; e altrettanto intollerabile risultava per lei l’idea di non sapere. Non sapere se André fosse in buona salute, se mangiasse abbastanza... in generale, se fosse riuscito ad adattarsi a una realtà così diversa e forse addirittura ostile rispetto alla quiete dorata di Palazzo Jarjayes. Senza contare che ogni qualvolta giungeva notizia da Parigi di qualche disordine, le sembrava che il cuore si fermasse e che riprendesse a battere solo dopo la conferma del mancato coinvolgimento della Compagnia B... un ben effimero sollievo, rifletté amareggiata, dopo ore trascorse nell’angoscia.
Di giorno, se non altro, riusciva a placare almeno in parte quelle inquietudini tuffandosi a capofitto negli impegni richiesti al suo ruolo;ma all’imbrunire, nella solitudine della sua camera, puntuale e opprimente la assaliva quasi un senso di malessere al pensiero di un’altra notte senza il suo André... l’ennesima lontana dalle sue braccia, da quel senso di pienezza che le donava il sentire il proprio respiro fondersi con il suo.
In un moto di sconforto, Oscar sospirò pesantemente per la seconda volta e sentì il bisogno di alzarsi, di muovere qualche passo all’interno della stanza. Davanti alla finestra, tuttavia, si fermò: il cielo era plumbeo e gonfio di pioggia… esattamente come quel maledetto pomeriggio, in cui si era rivolta al Generale per dispensare André dal suo incarico di attendente.
Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma in quell’occasione una parte di sé, quella più egoista e irrazionale, per un istante aveva quasi sperato che suo padre si opponesse alla volontà del giovane; invece Augustin  aveva acconsentito senza batter ciglio, spiazzandola completamente. Non le aveva domandato neppure i motivi di quell’improvvisa decisione, anzi le era sembrato insolitamente sbrigativo e sovrappensiero, come se fossero state altre le sue preoccupazioni, e la conversazione si era esaurita rapidamente.
“C’è qualcos’altro che devi dirmi, Oscar?” le aveva chiesto tuttavia ad un tratto, quando lei si accingeva ormai a uscire.
Presa alla sprovvista, Oscar si era fermata sulla porta e voltandosi indietro, nell’incrociare lo sguardo penetrante del padre si era domandata se quelle parole fossero una velata allusione alla proposta di Girodelle. Per un momento aveva avuto la tentazione di affrontare la questione a viso aperto una volta per tutte, ma poi si era resa conto di non essere sufficientemente lucida e, soprattutto, che non sarebbe stato prudente avventurarsi in una conversazione tanto delicata senza aver precedentemente vagliato la reale posizione del Generale in quella faccenda. Aveva pertanto negato con noncuranza, cercando di dissimulare la tensione accumulata in quelle ore e la repentina tristezza che l’aveva assalita nel constatare che, con l’approvazione di Augustin de Jarjayes, la partenza di André era ormai inevitabile.

Un nitrito proveniente dal cortile sottostante strappò bruscamente Oscar da quelle cupe riflessioni. Benché iniziassero ad allungarsi le prime ombre della sera, abbassando lo sguardo ella non ebbe difficoltà a riconoscere il manto lucido e nero di Augustus, il destriero di suo padre, che Gaston stava riportando nelle scuderie. Il Generale, evidentemente, era appena rientrato.
Assorta, la giovane si staccò dalla finestra e tornò a sedere davanti al fuoco. Negli ultimi tempi non era infrequente che Augustin mancasse da casa fino a quell’ora, anzi talvolta tornava persino a notte fonda; non che ci fosse qualcosa di strano, visto il ruolo cruciale del suo incarico, eppure…  Istintivamente iniziò a sganciare i primi alamari della giubba, quelli che le serravano la gola.
Eppure c’era qualcosa di inconsueto nel comportamento di Augustine de Jarjayes, riconobbe turbata.
Non avrebbe saputo dire con precisione di che si trattasse... tuttavia, aveva l’impressione che, analogamente a quel pomeriggio in cui aveva acconsentito con tanta indifferenza alla richiesta di André, suo padre fosse con la testa altrove. Spesso lo sorprendeva a osservarla, il volto atteggiato in un’espressione indecifrabile, e a volte le sembrava di scorgere quasi un’ombra di malinconia nel mare cupo dei suoi occhi; il suo umore, inoltre, era altalenante e sembrava migliorare solo quando veniva a fargli visita il giovane Grammont. Costui, infatti, era divenuto nel frattempo una presenza particolarmente assidua a Palazzo Jarjayes, tanto da suscitare persino in lei, solitamente discreta, sospetto e curiosità, alimentati dal fatto che, interpellato in merito, Augustin si era rivelato stranamente evasivo sui motivi che portavano così spesso Jean de Grammont in casa sua a parte una lontana parentela.  Aveva accennato a imprecisati interessi comuni, senza però specificare di che tipo e soprattutto in quali circostanze i loro destini si fossero incrociati dopo che anni addietro aveva perso ogni rapporto con i suoi genitori.
Oscar avrebbe forse potuto ottenere qualche informazione in più da Grammont stesso, ma il lavoro l’aveva spesso tenuta lontano da casa come da André e oltre al fatto di non essere più riuscita a trovarsi sola con lui, rispetto al loro primo incontro il Conte si era dimostrato molto meno loquace e assai più pensieroso. Qualcosa le diceva che, in qualche modo, il motivo di quell’improvviso cambiamento fosse legato proprio ai misteriosi interessi comuni condivisi con il Generale.
Il loro, tra l’altro, non sembrava essere un semplice rapporto d’affari. Nelle rare occasioni in cui aveva avuto modo di osservarli insieme, Oscar aveva notato tra i due uomini, nonostante la differenza d’età, una notevole confidenza, stima reciproca e un’indubbia sintonia. Non conosceva a sufficienza Grammont, ma suo padre non era certo il tipo da concedere con tanta disinvoltura il suo favore a chicchessia, parente o meno che fosse, e a non farne mistero in maniera così plateale. Probabilmente le stavano tenendo deliberatamente nascosto qualcosa… ma cosa e perché?
La donna finì rapidamente di slacciarsi la divisa. Basta pensare, la testa le scoppiava... voleva solo infilarsi nel letto e dormire fino all’indomani, quando sarebbe finalmente partita per Fontainebleau. Tuttavia, in quel momento si ricordò di non aver ancora scritto ad André.
Cercando di ignorare la stanchezza, si rialzò in piedi e si avvicinò allo scrittoio; in fondo si trattava soltanto di poche righe di commiato, di più non le era concesso aggiungere. Non poteva scrivergli quanto avesse nostalgia di lui, del suo odore, delle sue labbra: purtroppo occorreva prudenza, il biglietto sarebbe potuto cadere nelle mani sbagliate decretando la rovina di entrambi.
Ancora una volta, la precarietà  della loro situazione, amplificata dalla lontananza, le apparve in tutta la sua assurdità. Maledizione, se solo lui non fosse stato così irremovibile...
Snervata, Oscar si sedette e intinse la penna nell’inchiostro. Fu però in quel momento che Elenoire bussò di nuovo alla porta per annunciarle che il Generale Jarjayes desiderava parlarle con urgenza.

Sin da bambina, Oscar aveva sempre avuto una particolare predilezione per lo studio di suo padre. In effetti era una stanza sobria e arredata con gusto, con numerosi quadri alle pareti raffiguranti epiche battaglie e una fornita libreria in cui spiccavano volumi rari per lo più di argomento militare; tuttavia le boiseries scure finemente intarsiate, le pesanti tende di velluto ocra e soprattutto le teste di marmo ritraenti i suoi avi, le conferivano un aspetto particolarmente tetro e austero, capace di intimidirla talvolta anche da adulta.
Intento a fumare la pipa, il Generale la attendeva seduto dietro l’imponente scrivania d’ebano di fronte alla finestra. Alla luce dei doppieri Oscar non poté fare a meno di notare le profonde occhiaie che segnavano il suo volto e la posa stanca delle spalle incurvate; eppure, non appena egli la vide sulla porta, con il consueto piglio autoritario la invitò a entrare e le fece cenno di sedersi sulla poltroncina azzurra davanti a lui.
“Mi avete fatto chiamare...” esordì allora, perplessa da quell’inattesa convocazione. Continuava a domandarsi, infatti, di che cosa mai egli avesse voluto parlarle con tanta urgenza da non poter aspettare l’ora di cena, ma non era riuscita a trovare una risposta convincente. Peraltro aveva scartato immediatamente l’ipotesi che il Generale volesse affidarle le sue ultime raccomandazioni per l’indomani: non era certo un ufficiale di primo pelo e onestamente le sembrava un motivo troppo banale. L’istinto le suggeriva, al contrario, che ci fosse ben altro.
“Sì, Oscar. C’è una questione che avrei voluto affrontare con te alcuni giorni fa, ma ho preferito aspettare per...seguirne l’evoluzione” replicò l’uomo, puntando i severi occhi azzurri in quelli della figlia.
“L’evoluzione di cosa? A che vi riferite?” domandò attonita lei.
“Alla proposta di matrimonio di Victor de Girodelle” rispose senza mezzi termini il Generale.
Nonostante quella frase confermasse i suoi precedenti sospetti, Oscar impallidì di colpo.“Dunque… voi sapevate?”
“Sì, prima di parlarti  il Maggiore è venuto da me” le rivelò Augustin in tono pacato “In tutta franchezza avrei caldeggiato la vostra unione, Oscar: Victor de Girodelle è un uomo d’onore, fedele alla Corona e appartenente a una delle famiglie più blasonate di Francia… e cosa più importante, nutre nei tuoi confronti un profondo rispetto e un amore sincero. Tuttavia, lui per primo mi ha informato che non sei stata della mia stessa opinione” sottolineò adombrandosi.
“Con tutto il rispetto per le doti di Girodelle e le vostre opinioni, padre, non riesco a capire come solo possiate aver pensato che avrei accettato!” ribatté lei senza riuscire a celare il proprio disappunto “Né per quale motivo non mi abbiate messo a conoscenza prima delle sue intenzio…”
 “Calmati, Oscar, non c’è bisogno di alzare la voce” la interruppe Augustin “E’ vero, forse avrei dovuto parlartene prima, ma...”
“Credete che sarebbe bastato questo? Io sono un soldato, padre, non una frivola damigella da maritare!”
“Sei un soldato, è vero, ma solo per un mio scellerato capriccio!” proruppe spazientito il Generale, pur tradendo una nota di amarezza nella voce “Un capriccio che ti ha privato di ciò che era tuo di diritto: il piacere di essere corteggiata, la gioia di amare ed essere amata, dei figli… Io ti ho defraudato di tutto questo, Oscar, condannandoti all’infelicità!”
“Io non sono infelice, padre” replicò con fermezza lei “Né mi è mai pesato ciò che faccio, perché mi piace farlo: amo impugnare la spada, amo guidare i miei uomini, amo la vita che conduco. Avermi cresciuto come un uomo mi ha aperto delle possibilità che non avrei mai potuto avere crescendo come una donna”.
“Ma non è questo l’ordine delle cose!” sbottò il Generale “Ascoltami, Oscar…” continuò ammorbidendo la voce “è da tempo che ci sto pensando… In passato ero così ottenebrato dal mio egoismo da sentirmi fiero ogni qualvolta davi prova del tuo valore al punto di rischiare la vita... ma dopo il ferimento di André... è stato come se qualcuno mi avesse sollevato un velo dagli occhi. La realtà è che tu sei una donna, Oscar, una bellissima donna… e benché ti ostini a non volertene rendere conto, la strada che ho scelto per te, oltre che essere impervia e pericolosa, ti sta condannando alla solitudine e all’infelicità. Ma forse... forse siamo ancora in tempo, io sono ancora in tempo per rimediare”.
“Facendomi sposare con un uomo che non amo?” osservò gelida la figlia.
“Se è Girodelle il problema, troveremo qualcun altro che sia di tuo gradimento” ribatté conciliante il Generale.
“Forse non sono stata chiara. Io non intendo sposarmi, padre… né con Girodelle né con nessun altro”. Nessun altro che non sia André.
A quelle parole, il volto di Augustin s’indurì.
 “E invece lo farai” pronunciò con freddezza “Se non per te stessa, per il bene dei Jarjayes”
“Per il bene dei Jarjayes?” ripeté sconcertata Oscar, pur iniziando a intuire a cosa il padre si riferisse.
“Sì. Se tu morissi domani, il casato si estinguerebbe con te; se invece avessi un figlio, per concessione reale potrei farne il mio erede”.
“Sempre che partorisca un maschio… “ rimarcò lei con un’occhiata di sfida.
“Oh, non mi deluderai, ne sono sicuro” sorrise caustico il Generale.
“In ogni caso, dovrete trovare un’altra soluzione perché non intendo farlo” replicò con asprezza Oscar alzandosi in piedi “Non sono un burattino da comandare a vostro piacimento. Buona serata, padre”
“Dimentichi una cosa…” l’ammonì  rigidamente Augustin “essendo io tuo padre, per la legge l’ultima parola spetta a me”.
Oscar sgranò gli occhi, sconvolta. “Che cosa?”
Il Generale posò la pipa sulla scrivania e a sua volta si sollevò dalla seduta, scegliendo di voltarsi verso la finestra per non guardarla in viso.
“Ti do tempo fino al tuo ritorno da Fontainebleau” decretò lapidario “Se non vorrai riconsiderare la proposta di Girodelle, allora indirò un ballo in tuo onore e vedremo chi si farà avanti per chiedere la tua mano. E se ti ostinerai a rifiutare chicchessia, vorrà dire…  che sarò io a scegliere per te”.
“Ma padre…”
“E’ tutto Oscar. Puoi andare”.
Strinse i pugni con rabbia, Oscar, aprendo la bocca per dire qualcosa, ma subito dopo si rese conto che non avrebbe ottenuto nulla…  per lo meno,non in quel momento. Scuotendo la testa, uscì dalla stanza senza preoccuparsi di accompagnare la porta dietro di sé.
Se suo padre credeva che si sarebbe arresa così facilmente, si sbagliava… ma prima di tutto, al diavolo la prudenza, doveva informare André.
 
Quando sentì la porta chiudersi alle sue spalle, il Generale lasciò andare un pesante sospiro e sciogliendo le braccia che aveva tenuto fino a quel momento rigidamente allacciate dietro la schiena in una posa atta a sottolineare la sua totale intransigenza, abbandonò la finestra e tornò a sedere a quella poltrona di fronte alla quale poco prima aveva invitato sua figlia ad accomodarsi, nel vano tentativo di convincerla a seguire la sua volontà.
Ancora una volta…
Si passò una mano sulla fronte, sapeva che quel che chiedeva, anzi che pretendeva, poteva apparire ingiusto, ma non lo era…
Al contrario, a quel punto, era forse l'unica cosa giusta che potesse fare per rimediare ai tanti errori commessi in passato e dare ad entrambi quei figli che a causa sua erano stati costretti ad una vita ben difficile, ciò che gli aveva tolto: il diritto di essere ciò che davvero erano, di rivestire il loro giusto ruolo, di svolgere i compiti per cui erano nati e ricoprire quella funzione specifica, che sola, gli avrebbe permesso nell’ambito della società, di realizzare pienamente se stessi e contemporaneamente l'interesse superiore della conservazione e del prestigio del nobile casato cui appartenevano.
Entrambi erano creature fuori dal comune, su questo non aveva dubbio alcuno, e se le cose fossero andate come aveva programmato, ognuno dei due alla fine avrebbe potuto vivere una vita degna della propria eccezionale natura, traendone tutto il prestigio e la soddisfazione che meritava. Certo, si rendeva conto che per Oscar era difficile in quel momento capirlo ed accettare di punto in bianco quella sua richiesta che doveva apparirle una nuova, assurda imposizione. Sapeva che le stava chiedendo di sovvertire la sua vita e cancellare in un sol colpo quella che egli stesso aveva reso la sua normalità, ma sapeva anche, come lei stessa del resto doveva sapere, che quella condizione di normale aveva poco o nulla e che se non ne fosse uscita, avrebbe finito col rimanere invischiata in una vita contro natura destinata a diventare, sempre più, una lotta tra farsa e dramma.
Rientrare nei ranghi della normalità era il solo modo perché Oscar potesse sfuggire a quel triste destino che con troppa incoscienza egli le aveva predisposto. Già da tempo del resto aveva iniziato a capire quanto scellerata fosse stata quella decisione e a considerare di porvi rimedio con l'unica soluzione possibile: il matrimonio. Le nozze con un gentiluomo adeguato avrebbero infatti reso a sua figlia quella normalità cui l'aveva strappata, sottraendola ad una vita troppo piena di insidie e pericoli e ad un futuro di solitudine. Tuttavia, pur avendo individuato quella risoluzione come la cosa più giusta da farsi,  numerosi dubbi e svariate considerazioni, non ultima la possibile opposizione di Oscar, lo avevano sempre frenato trattenendolo dal metterla in atto, finché, l'ingresso di Jean nella sua vita non aveva cancellato ogni incertezza.
Scoprire di avere un figlio maschio, proprio nel momento in cui si rendeva conto di aver commesso un madornale errore e valutava di rinunciare a quella chimera cui aveva sacrificato la vita di Oscar, gli era parso come un segno del destino, una conferma che la strada che oramai sempre più assiduamente pensava di dover intraprendere, fosse  quella giusta… checché lei ne dicesse…
Lasciò cadere la testa all'indietro, contro lo schienale, dovrete trovare un’altra soluzione perché non intendo farlo... Era stata categorica sua figlia... Non sono un burattino da comandare a vostro piacimento
Le sue parole, dure e piene di amarezza, lo avevano colpito molto più di quanto potesse immaginare, le capiva… perfettamente...
Capiva il suo risentimento ed era consapevole di come dovesse apparirle quella sua nuova pretesa, eppure il matrimonio era l'unico modo per staccarla definitivamente da quella vita, tanto più pericolosa ora che le cose stavano cambiando… Era per il suo bene che lo faceva, per la sua sicurezza... Se le fosse capitato qualcosa non se lo sarebbe mai potuto perdonare e poi… poi oramai… Oramai non era più necessario, che  sacrificasse la sua vita! Jean avrebbe portato avanti l'antica e gloriosa tradizione militare dei Jarjayes! Suo figlio avrebbe assicurato un futuro al loro nome e liberato Oscar dal pesante onere che  tanto ingiustamente le aveva imposto.
Essere un Jarjayes non era facile…  era un onore ma era anche un impegno. Ad un Jarjayes si richiede, in primo luogo la piena consapevolezza della propria dignità e la volontà di mantenerla intatta sopra ogni cosa, e poi coraggio, senso del dovere, integrità… e chiaramente lealtà assoluta al Re.
Oscar era stata educata con questi valori, vi era cresciuta, li aveva assimilati e fatti propri ed egli era più che certo che mai li avrebbe traditi  venendo meno ai suoi doveri  e per questo era anche sicuro che alla fine avrebbe accettato di fare ciò che le veniva richiesto perché era la cosa migliore per il suo bene, ma soprattutto per il suo casato.
Doveva tuttavia darle tempo… era irruenta sua figlia, impetuosa nelle azioni come nei pensieri, ma era una donna intelligente e come a suo tempo aveva capito e saputo cogliere le opportunità che l’eccezionalità della sua educazione le aveva offerto, così ora avrebbe capito e colto il vantaggio di rientrare nella società con un ruolo più adeguato alla sua natura, avendo avuto una privilegiata esperienza nel  mondo maschile che le sarebbe per sempre valsa una particolare e più alta considerazione.
Quanto a Jean, era certo che sarebbe stato all'altezza del casato che lo avrebbe accolto.
Comunque anche per lui non era stata una decisione rapida, né facile. Mettere da parte il risentimento che inevitabilmente aveva accompagnato la scoperta di com'era venuto al mondo, superare il rancore, la delusione, comprendere... perdonare... ma anche semplicemente rinunciare alla vita libera e avventurosa cui era abituato e accantonare i suoi interessi a Saint Domingue e ciò che con tanta fatica aveva ricostruito, aveva richiesto tempo e riflessione. Per un uomo rinunciare a quel che è, e a ciò che ha costruito, non è mai facile, e se questo poteva considerarsi vero per chiunque, tanto più lo era per Jean, le cui azioni, da quel che aveva avuto modo di vedere, erano sempre state guidate da saldi principi e correttezza. Un po’ gli ricordava se stesso prima che le afflizioni lo corrompessero e le delusioni  lo indebolissero, portandolo a  compiere errori indegni e a prendere decisioni prive di ogni buon senso.
Ad ogni modo, alla fine Jean aveva accettato di tornare in seno alla famiglia cui di diritto apparteneva; si era reso conto che, malgrado tutto, non poteva rinnegare il suo sangue e aveva deciso di offrirgli la possibilità di rimediare ai suoi errori. Tuttavia non poteva concepire, neanche lontanamente, che il nome di sua madre fosse sporcato dalla rivelazione della sua vera paternità, quindi  aveva chiesto che il loro reale legame restasse un segreto dicendosi disposto a prendere il nome dei Jarjayes unicamente ricorrendo all'escamotage dell'adozione. Chiaramente Augustin aveva prontamente acconsentito a quella che era una richiesta più che legittima. Egli stesso, del resto, la riteneva preferibile ad un pubblico riconoscimento che non solo avrebbe macchiato irrimediabilmente la memoria di Elodie, colpevole soltanto di  averlo amato, ma avrebbe anche messo il nome dei Jarjayes sulle labbra di tutti, e dato a Marguerite un dispiacere che non meritava. La cosa, ad ogni modo, sarebbe stata annunciata solo dopo che Oscar fosse convolata a giuste nozze, cosicché da non creare impedimenti di sorta ad una sua unione che sarebbe stata ritenuta più vantaggiosa se la sposa, oltre ad una cospicua dote, avesse avuto la possibilità di trasmettere il titolo ai suoi eredi. Superato questo scoglio avrebbe quindi adottato Jean e lo avrebbe dichiarato suo erede. Nessuno avrebbe potuto dire nulla dal momento che egli aveva nelle vene il sangue dei Jarjayes, e non  perché lui era suo padre, cosa che sarebbe rimasta segreta, ma perché  figlio dell'ultima discendente di un ramo ormai estinto della famiglia.
Ricordava ancora la prima volta che aveva incontrato Elodie de Jarjayes, quando aveva diciassette anni ed era appena giunta da Gordes, piccola città  sperduta tra i monti della Provenza dove era nata ed aveva sempre vissuto. Dopo la morte del fratello maggiore avvenuta qualche  anno addietro, era rimasta sola con sua madre, che vedova già da tempo, non disponeva dei  mezzi necessari per poterla sistemare adeguatamente senza l'intervento del potente e ricco cugino del suo defunto marito. Gli aveva così scritto mettendolo a parte delle proprie difficoltà e chiedendogli in nome dei loro legami di aiutarla a trovare un marito degno alla sua preziosa bambina. Così Elodie, con la benedizione di sua madre, il cuore imbevuto di sogni e fantasticherie e l'animo pieno di  speranze, era partita per Parigi con il doppio scopo di fare compagnia a Marguerite, che dopo aver  dato alla luce la loro penultima figlia passava un momento difficile e delicato, e trovare marito.
 Il Generale chiuse gli occhi cercando almeno per un momento di non pensare a nulla, ma la sua mente non voleva saperne  di riposare e l'immagine del viso  di sua moglie, che l'aveva accolto con gli occhi lucidi di lacrime trattenute e il volto pallido, quando lui era entrato nella sua camera dopo aver avuto la notizia che aveva partorito l'ennesima femmina, affiorò prepotentemente ai suoi ricordi. Lo amava profondamente Marguerite e anche lui nutriva per lei gli stessi profondi sentimenti, eppure, non era riuscito suo malgrado a non ritenerla colpevole di quell'ennesimo fallimento e mostrarsi sereno, nonostante sapesse che le bruciasse come fuoco la consapevolezza di avergli dato l'ennesima delusione.
Dopo la nascita di Sigyn[1] avevano passato un momento diffcile. Il parto era stato per Marguerite piuttosto complicato e il dottore aveva raccomandato alla puerpera un periodo di assoluto riposo,  consigliando loro di  procrastinare almeno per sei mesi qualunque tentativo di una nuova gravidanza, che nelle condizioni di Marguerite sarebbe potuta rivelarsi fatale. L'inquietudine, la stanchezza, la delusione, e non ultima la forzata mancanza d'intimità, li aveva così portati pian piano ad allontanarsi alimentando un sotterraneo, silenzioso, reciproco rancore. Nonostante i suoi sforzi, infatti, Augustin non  riusciva a non  considerare sua moglie colpevole per la mancata nascita di quell'erede maschio che riteneva fosse suo sacrosanto diritto  avere, sentendosi al contempo frustrato dall'impossibilità di  realizzare quel suo desiderio e colpevole al pensiero che  persistendo rischiava di far del male a colei che amava. Marguerite d'altro canto, nonostante il marito non avesse mai pronunciato una sola  parola di biasimo nei suoi confronti e si comportasse con lei sempre con cortesia e sollecitudine, percepiva in certi suoi sguardi, tutto  il peso di quell’accusa silenziosa che in fondo a se stessa credeva di meritare, ritenendo, secondo il pensiero comune, l'incapacità di partorire un maschio una sua esclusiva responsabilità nonché una mancanza al suo principale dovere. Tutto ciò l'aveva fatta sentire inadeguata e profondamente infelice, spingendola a chiudersi in se stessa e ad allontanare ulteriormente Augustin, ritenuto più o meno inconsciamente, responsabile della propria infelicità.
Fu in questo clima di tensione emotiva che Elodie, sensibile, dolce, comprensiva e per la sua età, straordinariamente matura, fece il suo ingresso a Palazzo Jarjayes e nella vita di Augustin come una brezza di primavera,  leggera e rigenerante, come una carezza delicata che riempie il vuoto e scaccia la solitudine, diventando per lui  prima un'amica inaspettata e poi un dolce rifugio dalle sue pene.
Così in un matrimonio che si faceva sempre piu complicato, il legame con Elodie semplice e rilassante, aveva finito per inghiottirlo facendogli perdere di vista i doveri che aveva verso quella ragazza che con tanta fiducia gli era stata affidata.
Rendendosene conto, aveva provato a porre un freno prima che le cose precipitassero e con piglio  severo le aveva fatto un discorso su ruoli e doveri concludendo che non doveva essere lui l'uomo cui avrebbe dovuto riservare il suo affetto e la sua dolcezza. Ma Elodie, che malgrado l'apparenza di bambola di Biscuit,  aveva un carattere forte e  poco suggestionabile, nient'affatto intimorita o minimamente imbarazzata  gli aveva  sorriso e risposto che tra tutti i difetti che aveva potuto scorgere in lui, la presunzione di conoscere ciò che era bene per gli altri, era di certo il più fastidioso, e gettandogli le braccia al collo lo aveva baciato con tanta enfasi che lui non aveva saputo rifiutarla.
 Era stato debole, era stato egoista,  ed Elodie  ne aveva fatto le spese pagando interamente e a caro prezzo una leggerezza di cui, per quanto consapevole, non poteva essere ritenuta  principale responsabile.
E così quando alcuni mesi dopo quel primo bacio le aveva detto, che quel che c'era  tra loro era finito, Elodie non aveva sorriso; non aveva risposto quella volta, ma si era  limitata a stringere nelle mani che teneva conserte in grembo la gonna di mussola  gialla e ad abbassare il viso. Non c'erano state spiegazioni, non ce n'era stato bisogno; entrambi erano consapevoli che quella relazione era stata un errore e il suo unico destino  era finire così com'era iniziata. Eppure innanzi a quel muto dispiacere, a quella sofferenza trattenuta che corrugava la sua bella fronte,  per un attimo era stato tentato di prenderla tra le braccia per rassicurarla, per dirle che non la lasciava sola, che avrebbe continuato ad esserci, a rimanerle accanto come il più sincero degli amici. Ma non poteva, sapeva che quello era un addio e non l'avrebbe rivista mai più.  L'indomani lui sarebbe partito con il suo reggimento e quella sera stessa Marguerite avrebbe scritto alla madre di Elodie per informarla di aver trovato un buon partito per sua figlia che sarebbe diventata, almeno nominalmente, contessa di Grammont e  accompagnato il marito nelle colonie dove, con i proventi della vendita delle ultime proprietà di famiglia, tra cui il bel castello avito, aveva acquistato una vasta, florida e redditizia, piantagione di canna da zucchero.
Quando quel pomeriggio Marguerite lo aveva informato dell'intenzione del conte di Grammont di chiedere la mano di Elodie, appresa  da Amelie de Girodelle, incaricata dal gentiluomo di sondare con l'amica  le sue possibilità di successo, non si era mostrato molto ben disposto. Per quanto ne sapeva  Grammont, di antica schiatta normanna, aveva ereditato dal padre quella stessa passione per il gioco che era già costata al suo augusto genitore buona parte del proprio patrimonio, motivo che lo rendeva completamente inadatto ad ambire alla mano di sua cugina.
Tuttavia Marguerite aveva insistito ribattendo che il figlio non era il padre e che quelle che giravano sul suo conto erano solo voci prive di fondamento considerando che Charles de Grammont,  gentiluomo brillante, arguto e assai garbato, non sedeva al tavolo da gioco né più né meno che la maggior parte delle loro conoscenze. Aveva poi aggiunto, che non era saggio per il bene della fanciulla, che egli continuasse a rifiutare le proposte di matrimonio che le venivano fatte dal momento che già aveva scartato due partiti, a suo avviso  più che adeguati, ritenendoli, erroneamente, non adatti a sua cugina. Gli aveva poi fatto notare che la ragazza, che aveva da poco compiuto i diciotto anni e che negli  ultimi tempi appariva spesso pensosa ed inquieta,  doveva probabilmente risentire di questi rifuti temendo di non riuscire a trovare quella sistemazione che la avrebbe sollevata da un destino  di eterna dama di compagnia, che  non solo non rispondeva all'effettivo motivo per cui era stata affidata alle loro cure, ma di certo non era l'ambizione di alcuna ragazza in età da marito. Infine, aveva concluso ricordando ad Augustin che non doveva giudicare i partiti che si presentavano ad Elodie con gli stessi criteri che avrebbe utilizzato per una delle loro figlie poiché la sua condizione, per quanto da loro agevolata, non era la stessa e che il passare del tempo quando la gioventù e la bellezza erano doti di prima importanza non andava sottovalutato.
Chiaramente Marguerite aveva ragione, ne era consapevole come lo era di dover porre fine a quella  relazione insana.  Quel giorno dunque aveva capito che era giunto  il momento di riscuotersi da quella debolezza che lo aveva indotto a comportarsi in maniera tanto indegna e a tornare alle responsabilità  e i doveri cui era chiamato in qualità di capofamiglia e marito. Era giunto il momento  di riprendere in mano le redini della sua vita e  di provare a ricucire il rapporto con Marguerite che sembrava aver oramai recuperato la salute e con essa il sorriso, e messa da parte la malinconia che tanto l'aveva afflitta dopo la nascita di Sigyn, era tornata ad essere la donna amabile e affascinante che amava e che con tanta determinazione aveva voluto come compagna della sua vita[2].
Sebbene non avesse di Charles de Grammont un'altissima opinione, aveva pertanto acconsentito a dargli in sposa Elodie, animato soprattutto  dalla speranza che il radicale cambiamento di vita che la giovane avrebbe dovuto affrontare seguendo il futuro marito oltre oceano, dove stava progressivamente spostando i propri interessi, le avrebbe reso più facile dimenticare quanto era stato. In ogni caso  per maggior sicurezza aveva rafforzato la dote della sposa così da essere certo di  garantirle un futuro sicuro da ogni preoccupazione. Una precauzione inutile, dal momento che Charles de Grammont, confermando le  perplessità  che nutriva sul suo conto, era riuscito a dissipare tra affari discutibili e tavoli da gioco, tutto  il suo patrimonio e quello della moglie. Ma questo ad Augustin, che aveva gradualmente perso i contatti  con la sfortunata cugina, le cui  cortesi e formali missive erano divenute  col passare del tempo sempre più rare, fino a sparire del tutto, era giunto come una voce lontana, confermata solo molti anni dopo quando un giovane sconosciuto, che poi aveva scoperto essere il figlio di Elodie de Jarjayes e di Charles de Grammont, lo aveva aiutato a tirarsi fuori da una difficile situazione  nelle vie di Parigi, senza sapere di aver  salvato la vita, all'uomo che era venuto a cercare. Dopo la morte di sua madre il giovane aveva infatti trovato alcune lettere da lei scritte  molti anni prima e mai spedite, avvolte in un nastro  rosso e conservate tra i suoi effetti personali, lettere ancora sigillate indrizzate al Generale François Augustin Reynier, conte de Jarjayes, ed assieme a quelle una a lui indirizzata  in cui gli chiedeva di non aprirle ma consegnarle al destinatario, quel vero padre di cui nulla gli aveva mai detto, ma che  alla fine aveva ritenuto giusto che conoscesse.
Sospirò Augustin, a quel mesto ricordo, e d’impulso si alzò dalla poltrona per versarsi da bere. Leggere quelle lettere era stato come aprire il vaso di Pandora: il passato, e con esso il peso dei propri errori, lo aveva travolto inesorabilmente, facendo riemergere antichi rimorsi e sensi di colpa mai veramente sopiti per quella parte poco onorevole della propria vita che aveva cercato di dimenticare nella convinzione  di aver fatto, infine,  la cosa giusta. Ma non era stato così… non aveva fatto la cosa giusta e ne avevano pagato le conseguenze tutte le persone a lui più care. Nei confronti di Elodie, in particolare, era stato superficiale, leggero, egoista.  Quanto doveva essersi sentita tradita da quell’uomo che con l’innocenza dei suoi diciassette anni troppo aveva idealizzato, proiettando su di lui fantasie che appartenevano solo a se stessa… fantasie che lui  egoisticamente non aveva saputo, o forse voluto, davvero arginare. Lo scontro con la realtà per quella povera ragazza doveva essere stato terribile ancor di più, sapendo di aspettare un figlio proprio da colui che aveva finito per sbarazzarsi di lei come di un vestito dismesso! Non si sarebbe mai perdonato per questo, né avrebbe mai assolto se stesso per aver messo Elodie nelle mani di quel debosciato di Charles de Grammont, condannando lei e suo figlio a una vita di stenti e di vessazioni.
Dannazione, se solo avesse saputo…
Scosse la testa, Augustin, prima di vuotare tutto di un fiato il contenuto del suo bicchiere. Purtroppo non poteva cambiare quel che era stato né tornare indietro, ma il destino era stato generoso, offrendogli la possibilità di rimediare in parte ai suoi sbagli, e aveva il dovere di approfittarne.
Ancora poche settimane e Jean avrebbe portato il nome che gli spettava, quello antico e glorioso della casata Jarjayes; ancora poche settimane e Oscar avrebbe avuto la possibilità di iniziare una nuova e più serena vita; ancora poche settimane e la sua coscienza avrebbe finalmente trovato tregua.
 
[1] Il nome scelto è ripreso da un personaggio di Tixit, una delle sorelle di Oscar, a cui ha dedicato molte bellissime storie.
[2] Riferimento al bellissimo Gaiden dedicato al Generale e alla sua travagliata storia d’amore con Marguerite.

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Capitolo 9
*** L'unica certezza ***


Salve a tutti! Innanzitutto, ci scusiamo per il ritardo, chi ci segue dai tempi dell’Intruso sa che talvolta ci capita, specie in alcuni periodi, di non riuscire nemmeno a mettere le dita sulla tastiera, ebbene questo è stato uno di quei periodi! Comunque promettiamo che cercheremo di farci perdonare con un prossimo aggiornamento più rapido, anche perchè siamo a buon punto con il prossimo capitolo ;)
Ma bando alle ciance, visto che è passato più di un mese e mezzo e la trama inizia a farsi intricata, ricapitoliamo a grandi linee cosa è successo finora (ovviamente chi non ci ha mai letto e volesse iniziare a farlo, eviti di proseguire!)
 
La storia prende avvio a un anno dal ferimento di André da parte del Cavaliere Nero, episodio che non lo ha reso cieco ma lo ha messo in pericolo di vita, portando Oscar a comprendere, in quel frangente, i suoi sentimenti per lui e a farsi avanti. Alla vigilia della partenza della Corte francese per il soggiorno autunnale al castello di Fontainbleau, i nostri stanno quindi vivendo da quasi un anno una relazione clandestina con tutte le sue complicate implicazioni, che mette a dura prova entrambi, in particolar modo André, tra i due il più nervoso, insofferente e soprattutto insicuro.
In tutto questo Victor de Girodelle, già da tempo innamorato di Oscar, decide di farsi avanti, dichiararle il suo amore e chiederle di diventare sua moglie. Lo fa in occasione di una cena di lavoro a Palazzo Jarjayes a cui partecipa anche il Generale accompagnato da un  misterioso ospite, un conte creolo che risponde al nome di Jean de Grammont.  Victor viene ovviamente rifiutato (ed anche in malo modo), ma questo episodio, cui André ha assistito nascosto nell’ombra, spinge il giovane a riflettere su quello che è il suo rapporto con Oscar e quello che potrebbe essere il loro futuro insieme. Preoccupato dal pensiero di non poterle dare la vita cui è abituata, ma soprattutto resosi conto che la frustrazione per quel rapporto senza sbocco, avrebbe potuto portarlo a ferire in qualche modo la donna che ama, decide di arruolarsi nei soldati della Guardia per ritrovare se stesso, ma anche per lasciare ad Oscar lo spazio per capire se una vita totalmente diversa da quella che ha sempre vissuto è davvero ciò che vuole. Oscar, che si sente sicura dei propri sentimenti e vorrebbe solo fuggire con lui, accetta a malincuore la sua decisione. Poco dopo la partenza di André ha un duro confronto con il padre, in cui viene a sapere che il Generale non solo era a conoscenza delle intenzioni di Girodelle ma le caldeggiava e desiderava che lei lasciasse la divisa per sposarsi. A tal proposito la informa che, dal momento che ha rifiutato Victor de Girodelle, al suo ritorno da Fontainbleau, organizzerà un ballo per trovare un pretendente adatto a lei.
Oscar è infuriata, le ragioni del padre le appaiono assurde, ma non sa che dietro quella improvvisa e ferma decisione paterna, c’è ben altro che la preoccupazione per il suo futuro… c’e Jean de Grammont, il tanto agognato erede maschio, frutto di una relazione illegittima del Generale.
 
Buona lettura da A&F  

 


L’unica certezza
 
Gli uomini del II plotone della compagnia B erano dei veri talenti nell'arte del ronfare. Russavano in vari toni e con diverse modulazioni come contrabbassi in un concerto senza ritmo, dando vita ogni santa notte, a una sinfonia simile a quella dei rospi in uno stagno. A questa rumorosa esecuzione notturna, ospitata in una camerata  dove venti individui si dividevano il poco spazio disponibile in due file di letti sovrapposti,  si sommavano spesso e volentieri colpi di tosse, gemiti diffusi e all'occorrenza qualche scoppiettante deflagrazione, che rendevano ancor più difficile a coloro che  non avevano la capacità di dormire come sassi appena si infilavano in branda, trovare il meritato riposo. Così, André, il più assiduo tra gli insonni, aprì gli occhi che fino a quel momento si era sforzato di tener chiusi nel vano tentativo di addormentarsi ed aggiunse un suo sospiro a quelli degli altri due o tre suoi pari, che ogni tanto, con lo stesso suono più o meno spazientito, facevano da contrappunto a coloro che se la russavano beatamente.
Abituarsi a dormire in una camerata era solo una delle tante difficoltà che aveva dovuto, e ancora doveva, affrontare quotidianamente, nel difficile adattamento alla vita di caserma. Essere un semplice soldato della Guardia non era facile e non solo per le faticose attività di addestramento, i pesanti turni di servizio, e le continue e massacranti ronde cui erano tenuti, ma anche per gli inevitabili conflitti di relazione che si accompagnavano alla vita quotidiana di una caserma, dove molti uomini dovevano dividere spazi ristretti e sottostare non solo ai rigidi regolamenti ufficiali, ma anche a regole non scritte stabilite da rapporti di forza e anzianità, spesso più pesanti dei primi. Chiaramente il fatto che lui fosse tanto evidentemente diverso dalla maggior parte dei suoi commilitoni, per lo più uomini rozzi con cui poco o niente aveva in comune, non era d'aiuto nell'instaurazione di equilibri e rapporti interpersonali...
Tuttavia, André aveva sempre avuto doti da osservatore e negli anni in cui aveva affiancato Oscar a Versailles, aveva imparato piuttosto bene a capire le persone che si trovava innanzi e a gestire rapporti spinosi e situazioni  in cui diritti e precedenze erano di fondamentale importanza non solo tra i nobili signori della corte, ma anche tra i domestici che li accompagnavano. In fondo i soldati della guardia non erano granché diversi da quegli uomini, solo più propensi a risolvere certe questioni con l'uso delle mani, ma da questo punto di vista André aveva chiarito ogni qual volta era stato necessario, che per quanto fosse un tipo tranquillo non era uno che si tirava indietro e che, all'occorrenza, certo sapeva il fatto suo. Era così riuscito ad ottenere una certa tranquillità, aiutato a dire il vero, anche dal fatto che era entrato nelle simpatie di Alain Soisson, il più rispettato, e temuto, tra i soldati dell'intera Compagnia B, un uomo la cui parola per molti valeva più che quella degli ufficiali.
Con un movimento pesante l'occupante del letto di sopra si voltò per l'ennesima volta facendo vibrare l'intera struttura, André  tornò a chiudere gli occhi tentando ancora di prendere sonno, ma la voce di Alain che lo chiamava lo privò di ogni residua speranza di riuscire a dormire.
"Ehi André tirati su, è ora, dobbiamo montare di guardia" gli disse  affacciandosi nello spazio tra la sua branda e quella soprastante, suscitando così il disappunto dell'inquilino del piano di sopra, che, disturbato, emise un grugno infastidito, quindi tornò a voltarsi per poi rimettersi subito a russare come una zampogna.
André aprì gli occhi e sospirò, Alain sorrise.
"Be'... poteva andarti peggio... pensa se sopra avessi avuto Nicolas Le Turbillon..."
"Ho sempre pensato di essere un uomo fortunato..." osservò di rimando André mettendosi a sedere e infilandosi gli stivali.
" Forse dovrei trovarti un soprannome che sottolinei questa tua peculiarità...  qualcosa di elegante chiaramente, tipo... che so... André le Gran C..."
"Grazie del pensiero Alain" lo interruppe prontamente André alzandosi, non si sapeva mai che qualcuno fosse sveglio, afferrasse la cosa e l'indomani gli venisse la bell'idea di farsi quattro risate giocando sul doppio senso "ma non ce n'è bisogno, non preoccuparti..." disse poggiandogli una mano sulla spalla con gesto amichevole.
"Non vorrai dirmi che non ti piace?" domandò Alain calcando col tono l'espressione teatralmente sorpresa.
"Ma no! Che dici! è bellissimo..." rispose André accorato, stando al gioco mentre si infilava la giubba  "è solo che... sai com’è... la fortuna è volubile, oggi a me domani a te e poi finisce che debba passarti l'appellativo e mi dispiacerebbe veramente tanto..."
Alain inarcò le sopracciglia e le labbra alzando le spalle con indifferenza "Come vuoi amico..." disse, e con un sorrisetto divertito seguì André che si avviò verso la porta della camerata.
Il  posto di Guardia assegnato per il II turno di notte ai soldati Soisson e Grandier era sul camminamento est che circondava le mura della Caserma ed affacciava sul Boulevard du Dépot, una delle strade principali del tortuoso dedalo di vie che era il Fabourg Chauseé d’Antin[1].
Arrivati che furono al loro posto, Alain si tolse il fucile che portava in spalla, lo poggiò al parapetto di pietra e si sedette allargando le gambe piegate e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
"Che fai André, non ti siedi?"
"Saremmo di guardia, Alain..."
"Te l'ho già detto una volta amico, l'unica cosa che potrebbe succedere è che i poveri di Parigi decidano di assaltare la caserma per rubarci il rancio, cosa piuttosto improbabile visto la robaccia che ci danno..."
André sorrise. "Preferisco di no" rispose "la prossima settimana mi è stata finalmente concessa una licenza e vista la mia fortuna, non vorrei che mi venisse revocata perché magari sono stato trovato a poltrire durante il servizio".
"Capisco, uomo innamorato..."  assentì Alain con un sospiro tirandosi su e stiracchiandosi per poi prendere il fucile e rimetterselo in spalla "E non sia mai detto che per colpa mia non dovessi riabbracciare la tua bella... ci mettono poco qui a fare di tutta l'erba un fascio..."
André lo fissò sorpreso chiedendosi come sapesse, sebbene gli fosse oramai chiaro che quell'uomo dall'aspetto imponente, con la battuta  pronta quanto il pugno, che se ne andava in giro con un coltello infilato nella manica, sempre pronto alla mischia come alla baldoria, era un attento osservatore, oltre che un'ottima persona. Al primo impatto poteva sembrare uno sbruffone, ma l'aria spavalda accentuata anche dal foulard rosso che con totale noncuranza dei regolamenti portava regolarmente annodato al collo, traeva in inganno. Alain era un uomo leale e aveva un cuore coraggioso, era sì temuto, ma non era un prepotente, era sincero e questo lo sapevano tutti, soldati e ufficiali, e per questo tutti egualmente lo rispettavano.
"A parte la nonnina che ti porta la biancheria pulita e ti fa la predica ogni giovedì, non ti è mai venuto a trovare nessuna donna; eppure ricevi  lettere con la stessa regolarità che un prete l'ostia, e che lettere! Carta pregiata, sigillo di ceralacca, grafia elegante e poi sei sempre pensieroso e  invece che giocare a carte e farti due risate in compagnia te ne stai sempre lì a scrivere... manco fossi Molière... Per non parlare di quando si esce a far baldoria! Ti limiti a bere un paio di bicchieri e passi il resto della serata a tenere a bada ragazze per cui ognuno di noi si caverebbe un occhio... Tutto questo non può che significare che due cose: la prima, battute a parte, la escluderei...; la seconda... be'... la seconda è che hai un'amante! Anzi che sei innamorato di qualcuna troppo altolocata per farsela apertamente con un povero soldato della Guardia, per quanto bizzarramente istruito e con l'aria da damerino, e di conseguenza per farsi vedere da queste parti..."
"E tu che ne sai delle lettere che ricevo..."
"Be'... Ho un amico in fureria e visto che, come ho già avuto modo di dirti, proprio non mi sembravi il  figlio di un falegname, gli avevo chiesto di tenere gli occhi aperti... Giusto per esser certi di non avere una spia in camerata... Ma non preoccuparti, è stato un esame superficiale... Nessuno le ha aperte le tue lettere..."
"Alain te l'ho già detto, non sono..."
"Sì, sì... lo so... e ti credo oramai... in fondo non saresti il primo uomo che per un motivo o per un altro si stanca di stare a servizio... E quanto al resto, ognuno ha diritto ai suoi segreti tanto più se c'è una donna per il mezzo. Spero solo per te che ne valga la pena..."
André sospirò, per quel che ne sapeva lui l'amore era tutt'altro che semplice, era anzi piuttosto complicato, per non dire ai limiti dell'impossibile... Amare per lui aveva a che fare con l'insicurezza di non essere adeguato, con la paura di non bastare, con la necessità di dover sacrificare una parte di sé... Voleva dire combattere ogni singolo giorno contro tutto e  tutti... rischiare di sprofondare in un pozzo, doversi perdere per ritrovarsi. Amare per lui voleva dire sforzarsi di vedere le cose da una prospettiva che non era solo la sua, cercare di capire, comprendere... A pensarlo tutto ciò poteva sembrare folle, e forse lo era... ma di fatto era la sua ragione, l'unica per cui valesse la pena sognare di notte o magari star sveglio a pensare... l'unica per cui valesse la pena, respirare, vivere. Dividere il suo tempo con Oscar, stare con lei senza dir niente o parlare di qualsiasi cosa, fare l'amore o leggere un libro, giocare a scacchi, bere una cioccolata, ma anche allenarsi a tirare di scherma o magari uscire a fare una corsa a cavallo, gli era essenziale quanto l'aria che respirava. I giorni passati senza poterla vedere neanche per qualche minuto, senza mai incontrare il suo sguardo, senza sentirne la voce, erano stati giorni interminabili; sapere che non l'avrebbe ritrovata alla sera, che non ne avrebbe accolto i pensieri, le riflessioni, i desideri, le paure, i progetti... i sogni di cui gli diceva con sorrisi appena trattenuti, era stato più difficile di quanto avesse potuto immaginare. Non era certo la prima volta che trascorrevano del tempo lontani, ma era la prima volta che la lontananza assumeva i contorni di una possibile, reale, prospettiva. E questo era ciò che più di ogni altra  cosa gli era stato intollerabile, quasi non riusciva a credere che era stato lui a volerlo, che aveva pensato di dover allentare il loro legame per dare a lei spazio per capire, e a se stesso per impedirsi di diventare morboso, che aveva pensato che in fondo gli sarebbe stato possibile vivere senza lei. Ma quando, durante un fugace incontro con Oscar, aveva saputo dei piani del Generale e l'effettivo rischio di perderla gli si era paventato in tutta la sua concreta realtà, in una frazione di secondo aveva cancellato ogni suo buon proposito.
Si erano visti la sera prima che lei partisse per Fontainbleau, in una strada poco illuminata nei pressi della Bonne Table, la locanda dove i soldati della Guardia erano soliti passare quelle due, tre d'ore di libera uscita che gli toccavano una volta a settimana. Certo non era il luogo ideale per un appuntamento, ma era l'unico possibile dal momento che, in qualità di ultimo arrivato, non poteva astenersi dal partecipare alle attività dei suoi compagni d'armi che già lo guadavano con sospetto; e soprattutto perché nel coinciso biglietto che Oscar gli aveva fatto recapitare poche ore prima da Gaston, era evidente un'urgenza che mal si accordava con la ricerca di posti alternativi. Così si era recato alla locanda con la squadra di cui faceva parte, era entrato, aveva bevuto con loro un paio di bicchieri e cantato qualche canzonaccia alla loro maniera e quando Oscar, che era già lì ad attenderlo avvolta in un lungo mantello verde e con un cappello di feltro calato sui capelli era uscita, con la scusa di una necessità fisiologica, l'aveva seguita.
Non appena il buio li aveva avvolti l'aveva presa tra le braccia stretta a sé e baciata con la foga di una passione a lungo trattenuta. Oscar aveva risposto a quel bacio con lo stesso ardore, ma quando l'urgenza era stata soddisfatta e i cuori acquietati avevano consentito alle labbra di staccarsi, era stato uno sguardo inquieto che aveva accolto il suo.
Egoista... Sì... sarebbe stato egoista, non gli importava: Oscar aveva ragione, l'aveva sempre avuta, fuggire era l'unica soluzione, la loro unica possibilità di essere felici, era inutile stare ad arrovellarsi su alternative inesistenti, dovevano andare via, lontano, dove nessuno li conosceva, dove nessuno avrebbe potuto decidere delle loro vite a dispetto dei loro sentimenti, dove finalmente sarebbero stati liberi, avrebbero potuto essere se stessi. Oramai era questione di giorni, presto i nuovi documenti che tanto faticosamente si erano procurati, sarebbero stati pronti e avrebbero potuto lasciarsi tutto alle spalle, a partire da quelle ultime, difficili settimane che li avevano visti fingere e vivere nella menzogna per non destare sospetti sui loro piani di fuga.
Vivere con lei, solo questo era importante, poco importava che fosse in un palazzo o in una stamberga, smettere di nascondersi, di rubare ore e minuti, poter stare assieme sotto gli occhi di tutti e al diavolo i problemi, le difficoltà della vita, chi si era o non si era, quello che il mondo voleva... e  se ogni giorno sarebbe stato una sfida... ebbene l'avrebbero colta ed affrontata, come avevano sempre fatto, forti dell'unica certezza che veramente contava: essere l'uno dell'altra. Era giunto il momento di  mettere da parte le sue insicurezze e avere fiducia in loro, la stessa incrollabile fiducia che  Oscar gli aveva dimostrato di avere. Essere uniti, sentirsi bene, semplicemente...
Sorrise André, mentre il suo sguardo si accendeva di una luce che da sola sarebbe bastata a far capire ad Alain quale sarebbe stata la risposta alla sua osservazione. "Più di ogni altra cosa al mondo..." Disse con convinzione.
 
Vasi di lillà e cespi di rose, drappi di oro e porpora, cristalli e candelabri scintillanti, cameriere indaffarate che andavano avanti e indietro sotto lo sguardo severo di Marie che, con un cipiglio degno del Generale, impartiva ordini a destra e a manca.  Era oramai una settimana che a Palazzo Jarjayes fervevano i preparativi per il sontuoso ricevimento che per volere di suo padre, l'avrebbe vista protagonista di un evento mondano di cui, a suo dire, si sarebbe a lungo parlato e dove lei  sarebbe finalmente apparsa in abiti adatti al suo sesso, impeccabile e sfolgorante, così da poter mostrare ai  presenti quanto perfetto fosse il risultato, quando alle virtù naturali di un animo nobilissimo e alle speciali doti derivanti dalla  particolare educazione, si univano innata beltà e grazia femminile. Erano state più o meno queste le parole di sua madre quando aveva convocato Madame Bertin per spiegare alla prediletta sarta della regina, cosa voleva per sua figlia che sarebbe dovuta essere  perfetta, la più desiderabile tra le donne e le spose.  Certo Madame Marguerite non se ne era resa conto e nelle sue parole era evidente l'orgoglio, ma sta di fatto, che mai come in quel momento Oscar si era sentita merce da mettere in mostra, preziosa magari... ma pur sempre merce. Il suo primo impulso era stato dunque di alzarsi e uscire dalla stanza, ma si era dominata: lei e André avevano stabilito un piano e perché riuscisse  era essenziale che si mostrasse remissiva al volere paterno, fingendo di aver accettato, secondo coscienza, l'opportunità della sua decisione. Ma quanto era stato difficile... quante volte in quei giorni Oscar avrebbe voluto fuggire e più volte in effetti l'aveva fatto, sfuggendo con il pretesto di impegni improvvisi e urgenti, del resto continuava pur sempre ad essere Comandare delle Guardie di Sua Maestà la Regina, all'agitazione dei preparativi che fervevano a Palazzo e concedendo il minimo indispensabile alle prove richieste da Madame Bertin per ultimare la sua toilette e soprattutto a quelle del divino Leonard capace di armeggiare per ore attorno ai suoi capelli.
La meta delle sue fughe era in genere il bosco, che dal confine della tenuta dei Jarjayes si spingeva fino a raggiungere un'ansa della Senna dove diradava in un lieve pendio erboso prima di toccare la sponda del fiume, in un punto in cui, in una rientranza nascosta da una roccia ed ombreggiata da un grande salice, l'acqua punteggiata di ninfee e ciuffi di canne, diventava quasi immobile. Era stato proprio lì che lei e André avevano imparato a nuotare da bambini e spesso in età adulta, vi erano tornati e protetti dalla coltre del grande salice, talvolta si erano amati.
Anche quel pomeriggio Oscar era stata in quel luogo tanto speciale e pieno di ricordi sperando di calmare l'ansia e soprattutto di trovare la forza necessaria per affrontare la difficile serata che l'attendeva e portare a termine con la dovuta freddezza, l'assurda pantomima che era chiamata a interpretare. Fino a quel momento aveva creduto di essere pronta, di poterci riuscire... di poter fare il suo ingresso nel salone in abiti femminili sapendo che tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei, che  sarebbe stata misurata, soppesata, giudicata dalle donne dietro sorrisi e ventagli di pizzo e valutata dagli uomini, che con sguardi interessati e vagamente salaci avrebbero paragonato colei che era in quel momento al soldato che erano abituati a vedere e probabilmente tratto ghignanti conclusioni  sulla base della propria immaginazione. Aveva creduto che sarebbe riuscita a sopportare il cambio di atteggiamento che certamente avrebbe accompagnato il tono delle conversazioni con persone che erano solite misurare le parole quando si rivolgevano al comandante Oscar de Jarjayes, che avrebbe saputo gestirlo e all'occorrenza ammansire se stessa riportando alla mente il vero motivo che l'aveva spinta ad accettare quell'assurda situazione.... Ma ora, mentre le abili mani di monsieur Leonard le sollevavano i capelli imprigionandoli con nastri, pettini e forcine,  mentre la  cameriera personale di sua madre, abile truccatrice cedutale per l'occasione, disponeva sul tavolo da toilette belletti e ciprie ed Elenoire si affaccendava attorno allo splendido abito ametista adagiato sul letto, si era resa conto di non essere  più tanto sicura che quella fosse la strada giusta...
 Poco prima, di ritorno dalla sua fuga al fiume, aveva incontrato André...
Era appena giunto a palazzo per quella tanto agognata licenza, che per una assurda coincidenza gli era stata concessa proprio in quei giorni, con la conseguenza che sarebbe stato costretto ad essere presente a quella dannata serata, cosa che lei gli avrebbe volentieri risparmiato, immaginando che per lui dovesse essere penosa quanto, se non  più, che per lei. Nella frenesia delle ore che precedevano il ricevimento, avevano potuto parlare solo per pochi minuti, sufficienti però ad André per capire la bufera che attraversava il cuore ed i pensieri di Oscar .
"Non c'è battaglia al mondo  che il Comandante De Jarjayes non sappia fronteggiare" le aveva detto ad un tratto prendendole le mani e stringendole  tra le sue. A quelle parole Oscar aveva sospirato e sorriso scuotendo mestamente la testa pur sentendosi  sollevata da tanta dolcezza, che ancora una volta le dimostrava come lui sapesse leggerle dentro "Non temere Oscar" aveva aggiunto "frequenti la corte da quando eri una ragazzina e sebbene indirettamente, ne sai abbastanza da non dover temere affondi che non sei in grado di parare... E poi...  non sarai sola, io sarò lì come sempre, il mio sguardo non ti abbandonerà mai, come il mio amore assoluto..."
Si era sentita stringere il cuore Oscar e lo avrebbe baciato lì in quel piccolo salotto azzurro, in pieno giorno, senza badare a chi potesse o non potesse vederli se lui, prudente e riflessivo, non le avesse lasciato le mani e fosse indietreggiato di un passo giusto un attimo prima che una entusiasta Marie entrasse senza neanche bussare, per venire ad avvisarla che  monsieur Leonard era appena arrivato e l'attendeva  per cominciare.
 
 
André  si gettò l'acqua sul viso e si passò le mani bagnate tra i capelli, quindi alzò la testa e si fissò nello specchio alcuni istanti mentre piccole gocce splendenti  scendevano lente dalle tempie al mento ... Avrebbe voluto gridare...
Afferrò l'asciugamano di tela e se lo passò sulla testa, quindi lo gettò su una sedia ed andò a sedersi sul bordo del letto e poggiando i gomiti sulle ginocchia, si prese la testa tra le mani. Doveva resistere... Doveva riuscire a tenere duro e a non pensare che di lì a poco ciò che era stato esclusivamente suo non lo sarebbe più stato. Altri avrebbero scoperto la curva elegante delle sue spalle, avrebbero posato lo sguardo sull'aggraziata linea delle braccia candide, sul lungo collo affusolato e si sarebbero sorpresi di quanto il viso di Oscar risultasse morbido con i capelli alzati e probabilmente avrebbero pensato di poter un domani accampare su di lei quei diritti che a lui ufficialmente erano negati. Serrò la mascella e strinse i pugni.
"Dannazione!" Imprecò tra i denti alzandosi e tornando allo specchio. Non era la prima volta che passava quell'inferno... Era già accaduto una volta e ne era uscito vivo... e questa volta non sarebbe stato diverso, si disse mentre con movimenti nervosi si annodava al collo la cravatta candida.
Ricordava ancora perfettamente quando aveva dovuto lasciarla andare tra le braccia di Fersen, dopo che l'aveva vista scendere lo scalone di palazzo Jarjayes, bella come mai l'aveva immaginata.
Con una punta di rammarico pensò che per lui Oscar non aveva mai indossato vesti femminili e che anche quella sera l'incanto della seta che le accarezzava la pelle non sarebbe stato per lui, ma subito si diede dello sciocco... Che bisogno aveva Oscar di apparire con lui diversa da quella che era? Non l'aveva forse conosciuta da sempre in culottes e camicia? Non se ne era perdutamente innamorato affrontandola in duello giorno dopo giorno? Correndo con lei a cavallo, arrampicandosi sugli alberi, facendo a pugni in un prato, studiando, crescendo, vivendo assieme a lei e condividendo con lei ogni esperienza. Non l'aveva forse trovata bellissima scarmigliata e in disordine dopo una scazzottata? O quando era intenta al piano in maniche di camicia? E poi... poi che bisogno aveva lui di accarezzarne con lo sguardo brandelli di pelle tra stoffe preziose, quando l'aveva avuta tra le braccia vestita solo della seta dei suoi capelli...
No, non era importante, non significava niente, ed era veramente stupido pensarci, eppure...
"Basta!" Esclamò ad alta voce interrompendo con quell'ordine perentorio rivolto a se stesso il fastidioso filo dei suoi pensieri, quindi con un gesto brusco afferrò la giacca, se la infilò ed usci dalla stanza.
 
Le sale di Palazzo Jarjayes sfavillanti di luci e cariche del profumo dei fiori erano oramai gremite da una folla raffinata e ciarliera. Le carrozze continuavano ad arrivare fermandosi innanzi al portone del palazzo il tempo necessario a far scendere i loro eleganti occupanti, per poi sparire verso le scuderie lasciando spazio alla vettura successiva. La musica si spandeva per le sale accompagnando le risa e giungendo fino al piano superiore.
Oscar si guardò allo specchio un’ultima volta, si sistemò una ciocca di capelli e si avviò verso la porta della sua stanza. Poggiò la mano sulla maniglia, sospirò pesantemente e raddrizzando le spalle sollevò il viso con fierezza ed uscì dirigendosi verso il salone del pian terreno.
 
André era in piedi, appoggiato al muro in fondo allo scalone, nascoso tra l'ombra di una colonna e un grande vaso di marmo che ospitava un rigoglioso filodendro. Era lì già da un po' di tempo con le braccia incrociate sul petto e la fronte aggrottata in attesa che Oscar facesse la sua comparsa in cima alle  scale. Voleva essere il primo a vederla e voleva che a sua volta lei lo vedesse prima che il vortice degli invitati la risucchiasse. Non aveva idea di come sarebbe stato l'abito che avrebbe indossato, aveva deliberatamente evitato di dare ascolto alle chiacchiere di sua nonna in proposito, del resto immaginava che sarebbe stata stupenda e lo avrebbe stupito come già era accaduto una volta, ma mai avrebbe immaginato ciò che vide quando comparve in cima alle scale
Spalancando gli occhi avanzò di un passo uscendo dal cono d'ombra in cui si era rifugiato e palesandosi ad Oscar che scendeva piano. I loro  sguardi si incrociarono, lei si fermò, lui la fissò per alcuni brevi attimi con le labbra schiuse per la sorpresa, senza parole, quindi scosse la testa; lei sorrise e sollevò la mano sinistra ad aggiustarsi la spilla a forma di croce che tratteneva il cordone dorato che dalla spalla frangiata della giubba andava al collo.
Non avrebbe ripetuto l’errore di quella sera lontana... Mai più avrebbe indossato una veste femminile per qualcuno che non fosse André, almeno quella era una certezza…
 
 
[1] Il quartier de La Chauseé-d'Antin, dal nome dell'omonima via così ribattezzata nel XVIII secolo, ospitava all'angolo di Boulevard des Italiens, allora chiamata Boulevard du Dépot , il deposito delle Guardie francesi costruito dal colonnello Duc de Biron nel 1764.

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Capitolo 10
*** Sainte-Catherine ***


 
 Sainte-Catherine
 
 
“Gradite del cognac, signore?”
 
Assorto nei suoi pensieri, alla domanda del valletto Victor de Girodelle annuì distrattamente prendendo il calice in mano, mentre lo sguardo continuava a vagare incupito per l’ampio salone illuminato a giorno.
Il ricevimento a Palazzo Jarjayes era giunto al culmine, tuttavia, colei che sola era riuscita a infiammargli il volto e il cuore, ancora tardava ad arrivare.
Non che cambiasse qualcosa, constatò con un sorriso amaro mandando giù tutto d’un fiato il contenuto del suo bicchiere, probabilmente non sarebbe stato molto il tempo che gli avrebbe dedicato… A dire il vero, ancora si domandava perché diavolo avesse accettato l’invito del Generale: se pure sua madre non gli avesse riferito gli ultimi pettegolezzi che in quel periodo circolavano a Versailles, non occorreva essere dotati di chissà quale acume per intuire il reale scopo della serata data dai Jarjayes proprio il giorno di Santa Caterina[1].
Era evidente, infatti, che quel ballo cui si vociferava che madamigella Oscar avrebbe partecipato in abiti femminili, era soltanto un modo per annunciare l’intenzione di porre fine al nubilato dell’ultimogenita di Augustin de Jarjayes e accendere l’interesse da parte di eventuali pretendenti nei suoi confronti. Chiaramente, non potendo oramai per ovvi motivi essere annoverato tra questi, esso sanciva ancor più dolorosamente la sua sconfitta.
Era inutile illudersi: Oscar lo aveva rifiutato e lo aveva fatto con cristallina chiarezza, senza lasciargli adito alla benché minima speranza. Da quella malaugurata sera, del resto, niente tra loro era stato più lo stesso: al di là delle mere comunicazioni di servizio o delle occasioni ufficiali che li avevano visti affiancati per questioni di dovere o di etichetta,durante i preparativi per Fontainbleau e il successivo soggiorno al seguito dei sovrani entrambi avevano preferito limitare al minimo i loro contatti, peraltro sempre più improntati a una cortese freddezza.
Certo, dopo quanto accaduto, non poteva essere altrimenti… eppure, a dispetto dell’onta subita in quello stesso palazzo e del distacco con cui Oscar si ostinava a trattarlo, egli non riusciva a portarle rancore: troppo intenso era ancora il suo amore per lei, per poterla odiare; troppo vivido il ricordo di quella donna sola e fragile davanti a una fontana, per non provare nei suoi confronti rammarico e pena. Non credeva affatto,Victor,che ella avesse accettato di buon grado la volontà paterna. Oscar non voleva sposare né lui né nessun altro, tranne forse quell’idiota cicisbeo di uno Svedese, e con ogni probabilità il Generale aveva fatto leva su tutta la sua autorità genitoriale per convincerla a presenziare a quello stupido ricevimento.
Purtroppo,come aveva chiosato madame Amélie, nessuna donna poteva opporsi al proprio padre, nemmeno se si chiamava Oscar François de Jarjayes…
Il Maggiore si lasciò sfuggire un pesante sospiro. Se solo quel giorno lei gli avesse dato una possibilità, quella farsa le sarebbe stata certo risparmiata: nessuno l’avrebbe costretta a indossare abiti femminili anziché la divisa, nessuno avrebbe preteso che si esponesse agli sguardi altrui, come la volgare mercanzia di un banco al Marché des Enfants Rouges[2].
In un gesto stizzito, strinse con forza le dita intorno allo stelo del calice. Lui sicuramente non l’avrebbe mai permesso, non quella sera, non in quel modo… lui l’amava! Non era in quella sala attratto dalla prospettiva di un matrimonio vantaggioso, per prestigio e dote della sposa, non considerava la sua Oscar alla stregua di una bizzarria, quantunque splendida, della natura… ma poteva dirsi lo stesso degli altri uomini presenti? C’era in quella stanza qualcuno davvero disposto a comprenderne l’animo indomito e fiero, qualcuno in grado di renderla felice?
Questi pensieri molesti lo rabbuiarono, se possibile, ancora di più e per un momento valutò l’idea di congedarsi con una scusa… ma poi incontrò lo sguardo di sua madre. Madame Amélie, bellissima nel suo sfarzoso abito di seta bordeaux dalle sfumature dorate, pur essendo apparentemente intenta a conversare con una nobildonna, lo osservava da lontano con un’espressione aggrottata che lui ben conosceva; la stessa di quando, da ragazzo, lo aveva costretto a partecipare al ricevimento da lei stessa indetto in onore del nuovo Capitano delle Guardie Reali, perché, come gli aveva ripetuto fino alla nausea per persuaderlo, è la dignità con cui si sa accettare la sconfitta, e non l’orgoglio, a fare di un individuo un gentiluomo.
Con un sospiro rassegnato, Victor riconsegnò il bicchiere  ormai vuoto a un valletto e si spostò verso il centro del salone, dove aveva appena individuato la padrona di casa. Se proprio doveva sottoporsi a quel supplizio, lo avrebbe fatto fino in fondo interpretando la sua parte… ma al riparo da quelle iridi  scure che lo avevano così impietosamente richiamato alle sue responsabilità.
“Madame…” salutò quindi Marguerite de Jarjayes con un compito inchino.
“Maggiore Girodelle, sono felice di vedervi… credevo non sareste più arrivato” sorrise la Contessa, sollevando appena la mano per consentire al giovane di sfiorarla galantemente con le labbra “Siete qui con il Visconte vostro padre?”
“In verità questa sera ho l’onore di fare da chaperon alla Viscontessa in persona” pronunciò il Maggiore rialzandosi, senza riuscire a celare nelle sue parole una punta d’ironia  “A tal proposito, mio padre vi porge le sue più sentite scuse, ma una lieve indisposizione lo ha trattenuto a palazzo”.
Era una palese bugia, chiunque conoscesse Louis Armand de Girodelle – peraltro dotato di una salute di ferro – sapeva quanto fosse poco amante della mondanità e disertasse puntualmente, salvo rare eccezioni, i ricevimenti cui era invitato; a maggior ragione, ritenendo,  a differenza della moglie e nonostante un certo pragmatismo, che orgoglio e dignità fossero due concetti pressoché equivalenti, si era rifiutato di presenziare a quel ballo dopo l’ennesima umiliazione che, a suo dire, il figlio aveva subito da Oscar de Jarjayes.
Ad ogni modo, madame Marguerite si affrettò a esprimere al Maggiore il suo dispiacere per l’assenza del padre e ad augurargli, come di rito, una pronta guarigione; nulla, nel suo sguardo quieto e nell’espressione gentile, lasciava pensare che nutrisse qualche dubbio sulla veridicità di quelle affermazioni.
“Dov’è ora vostra madre? ” domandò invece educatamente.
“La sua compagnia mi è stata subito sottratta dalla baronessa de Sauvignon… e credo sia ancora tra le sue grinfie, o chissà, magari sono entrambe ostaggio del Marchese” celiò Victor indicando con lo sguardo le due dame, che ora conversavano poco più in là con un gentiluomo pallido e magro dall’aria funerea.
Marguerite rise sommessamente dietro al suo ventaglio piumato.“Credo allora che sia il caso di intervenire… a difesa di chi è tutto da vedere” osservò in tono leggero, tuttavia al suo interlocutore non sfuggì l’ombra di mestizia celata nei begli occhi cerulei appena segnati dal tempo.
Per un istante tacque, Victor, chiedendosi se Madame de Jarjayes non fosse preoccupata per la figlia, e se davvero considerasse un bene quel tardivo ravvedimento del Generale.
Inquieto, scrutò il viso della donna e improvvisamente si rese conto che non era preoccupazione, bensì una sorta di turbamento ciò che vedeva nei suoi occhi. Accorgendosi che ella stava guardando verso un punto indefinito alle sue spalle, d’impulso si girò… e il suo volto si fece di ghiaccio.
 
 
“Siete davvero un incanto stasera, Aurore”.
 
Il Generale de Jarjayes sorrideva benevolo, ma ciò non impedì che le guance della giovane dama al braccio di Jean de Grammont si tingessero di rosa.
“Io… vi ringrazio…”  farfugliò la ragazza, abbassando lo sguardo.
“Suvvia cara, non c’è bisogno di arrossire per un omaggio così garbato alla vostra bellezza” la rimproverò scherzosamente Grammont, afferrando la piccola mano guantata posata sulla sua manica e portandosela alle labbra “Vi domando scusa, Generale, ma la spigliatezza nei modi non è tra le innumerevoli doti della mia splendida sposa…” aggiunse, rivolgendosi con cordialità al padrone di casa “d’altronde non è facile abituarsi alla galanteria dell’alta società francese, specie se, ad eccezione degli ultimi due anni a Port-au-Prince, si è passata metà della propria vita in un convento!”
“Non avete nulla di cui scusarvi, Jean, né da rimproverare alla vostra Aurore… anzi, ritengo che la modestia e il pudore siano caratteristiche di cui il bel mondo della Capitale si è disfatto con troppa facilità… e poi ricordate che la bellezza senza pudore è un fiore staccato dal suo stelo[3],e vi assicuro che in un giardino la vostra sposa sarebbe il bocciolo più bello ” chiosò comprensivo il Generale.
“Indubbiamente…” annuì compiaciuto il Conte, cercando lo sguardo limpido di sua moglie.
L’espressione di Augustin si addolcì. Anche lui un tempo aveva guardato Marguerite come suo figlio guardava ora Aurore, e sebbene amasse ancora sua moglie teneramente sapeva che quell’incanto era ormai perduto, sepolto dal passare degli anni  e da grandi e piccole incomprensioni… e con una punta di malinconia si augurò che per Jean non fosse così. Non avrebbe potuto scegliere una sposa migliore quel ragazzo, ma non doveva ripetere i suoi medesimi errori, dimenticando di avere al proprio fianco la più preziosa delle rose cui serbare la devozione del suo cuore.
Aurore de Bellecombe, da poco meno di un anno contessa de Grammont,era infatti un fiore di rara bellezza e il Generale ne era rimasto colpito sin dal loro primo incontro, forse perché c’era qualcosa nel suo aspetto delicato e nella timidezza dei modi che gli aveva involontariamente ricordato Elodie. Come lei, in effetti, Aurore era esile e minuta, con lunghi capelli lisci e biondi, di un caldo color miele e l’incarnato candido; tuttavia, nel suo viso etereo dai tratti gentili non brillava deciso l’azzurro dei Jarjayes, ma due occhi di un verde chiaro e puro come le profondità dell’Oceano che ella aveva solcato un anno e mezzo prima, a bordo di una nave, per raggiungere suo zio nella caotica Port-au-Prince. Aurore era, invero, la nipote prediletta di Guillaime Léonard de Bellecombe[4], vecchio compagno d’arme di Augustin seppur di ben più umili natali, nominato governatore di Saint-Domingue a coronamento di un’invidiabile carriera lontano dal suolo natio. Pochi mesi dopo il suo insediamento, tuttavia, l’uomo era stato raggiunto dalla notizia della prematura scomparsa dell’adorato fratello Robert. La consapevolezza che la sua sfortunata nipote, già orfana di madre e di cui peraltro era il padrino, fosse rimasta sola al mondo in uno sperduto convento della Provenza, lo aveva pertanto indotto a scrivere al suo avvocato di fiducia in Francia, affinché la fanciulla potesse arrivare al più presto: benché Saint-Domingue fosse una terra aspra e lontana, lui era l’unico parente rimasto in vita ed era suo dovere garantirle un futuro migliore.
Questi ed altri fatti il Generale aveva appreso per bocca dello stesso Bellecombe, alcuni mesi prima, avendolo incrociato casualmente lungo un corridoio della reggia. L’uomo, infatti, di rientro in Francia  dopo l’investitura come suo successore del conte de Luzerne, si era recato a Corte per rendere omaggio ai sovrani, imbattendosi così nell’amico di un tempo. A onor del vero, era stato lui per primo ad avvicinarsi ad Augustin e a stringergli calorosamente la mano: inizialmente il Generale aveva stentato a riconoscere in quell’uomo compito dai capelli incipriati, il giovanotto di belle speranze e un po’ sfrontato che ricordava. Eppure gli aveva fatto piacere rivivere con lui i bei tempi andati davanti a una tazza di caffè nell’orangerie di Palazzo Jarjayes, ed era stato altrettanto lieto, qualche settimana dopo, di accettarne l’invito al ricevimento con cui l’ex governatore aveva voluto festeggiare l’onorificenza di cui il re lo aveva insignito, ossia quello di Gran Croce dell’Ordine Militare e Reale di San Luigi[5].
Certo non avrebbe mai immaginato, Augustin, che in quel ballo il Destino avrebbe riportato a galla un passato che credeva sepolto per sempre…
 
“Conte di Grammont, che piacere rivedervi…”
 
La voce melodiosa di Marguerite, sopraggiunta in compagnia del Maggiore Girodelle, spezzò il filo dei pensieri del Generale, che accolse la moglie con un sorriso e rivolse al Visconte un saluto formale.
“Il piacere è tutto mio, madame, come il privilegio di poter essere ancora vostro ospite” replicava nel frattempo il Conte con un profondo inchino.
Marguerite, con garbo, sorrise a sua volta, quindi spostò la sua attenzione alla fanciulla dal volto delicato e l’aria un po’ spaesata al fianco di Grammont. “Immagino che questa graziosa giovane signora sia la sposa di cui ci avete tanto amabilmente parlato durante la vostra ultima visita a palazzo” disse con affabilità, cercando di sottrarre la ragazza dall’evidente imbarazzo con uno sguardo rassicurante e colmo di approvazione.
Il Conte s’impettì compiaciuto. “Madame, ho l’onore di presentarvi Aurore Jacqueline Bellecombe, contessa de Grammont e mia sposa adorata, esattamente come avete immaginato” rispose con orgoglio, mentre la giovane s’inchinava con tutta la grazia della sua deliziosa timidezza all’elegante dama vestita di turchese, che il marito le presentava intanto come Louise Marguerite Émilie Quetpée de Laborde[6], contessa de Jarjayes e padrona di casa.
“Credo, conte, che conosciate già il Maggiore Victor de Girodelle…” disse quindi Marguerite, rivolgendo uno sguardo incerto prima all’uno poi all’altro dei due gentiluomini, che fino a quel momento si erano deliberatamente ignorati.
“Ho avuto questo onore” replicò Grammont  facendo un cenno del capo al Maggiore, il quale ricambiò il saluto allo stesso modo.
“Sì, è vero” confermò Victor senza precisare meglio le circostanze del loro incontro “Non ho tuttavia avuto il piacere di conoscere la vostra incantevole consorte” aggiunse rivolgendo un inchino ad Aurore de Grammont, che arrossì vistosamente accennando una riverenza.
In quel momento Victor considerò tra sé che tanta modestia in una donna sposata e di evidente bellezza fosse quanto meno insolita e a dire il vero anche un po’ fuori luogo, specie per l’ambiente cui apparteneva, tanto che per un attimo pensò di usare questa carenza per vendicarsi dei passati affondi del marito mettendola in imbarazzo. Tuttavia, fu un pensiero fugace quanto il battito d’ali di una farfalla: sarebbe stato un comportamento meschino e lui mai si sarebbe abbassato a tanto. Volse dunque la sua ironia a chi certo sapeva come difendersi.
“E’ una sorpresa per me sapervi sposato, Grammont. Dai vostri discorsi sulla devozione avrei detto che foste uno scapolo impenitente…”
“Lo ero… finché Poseidone non ha fatto emergere la mia Afrodite dalla spuma del mare” ribatté pigramente il Conte, ignorando la velata provocazione e rivolgendo alla moglie un ampio sorriso.
“Visti i vostri trascorsi in mare, la metafora è un po’ scontata, Grammont, mi sarei aspettato di meglio da un fine conversatore quale avete dimostrato di essere, ma ammetto che è inevitabile, data la bellezza della vostra signora…” lo punzecchiò il Maggiore.
 “Oh, ma quella del conte de Grammont non è affatto una metafora…”intervenne a quel punto il Generale, mal celando il proprio orgoglio e suscitando la perplessità di Girodelle, che inarcò un sopracciglio. “Vedete, il Conte si riferisce alle circostanze che lo hanno portato a salvare valorosamente la vita della sua sposa” iniziò a spiegare.
”Immagino sia una storia traboccante di azione e d’avventura…” pronunciò con calore Marguerite.
“E una storia avventurosa è proprio quello che mi ci vuole dopo aver sentito parlare per mezz’ora soltanto di malanni e di sventure!” esclamò in quel momento la voce briosa di madame Amélie, che arrivando alle spalle della padrona di casa, si unì al piccolo gruppo sventolando con eleganza il suo ventaglio di pizzo.
“Amélie, cara” la accolse madame de Jarjayes facendole spazio accanto a sé, mentre i gentiluomini s’inchinavano alla nuova arrivata “Ne deduco che la salute del povero marchese de Vuillon sia ancora malferma…”osservò quindi con un’espressione più divertita che dispiaciuta.
“Parrebbe che sia a un passo dalla tomba” ribatté la nobildonna con aria fintamente sconsolata “Ho pensato bene di lasciarlo alle amorevoli cure di madame de Sauvignon, che come sapete ha un debole per i vedovi in difficoltà”.
“Quale generosità, madre…” ironizzò Victor scuotendo la testa, mentre la battuta della Viscontessa suscitava nei presenti, ad eccezione di Aurore, una contenuta ilarità. “Presumo che la Baronessa ve ne sarà immensamente grata”.
“Più di quanto sia lecito supporre ” insinuò madame Amélie con un sorriso malizioso.
“Ne sono convinto anch’io… ma solo perché dubito che in vostra presenza il Marchese avrebbe mai potuto volgere la sua attenzione su di lei” osservò in quel momento il conte de Grammont con aria sorniona “Non si può certo mirare la luna quando a oriente irrompe il sole”.
Ignorando il lieve fremito delle narici, che peraltro unicamente a lei rivelò il fastidio di suo figlio, madame Amélie, lusingata dal complimento, volse la sua attenzione all’affascinante sconosciuto.
“Abbiamo dunque anche un poeta, stasera…” considerò in tono frivolo “Credo di non aver avuto ancora il piacere di conoscervi, signore…”
“Avete ragione, cara Amélie, permettetemi di rimediare” disse allora il Generale con un sorriso gioviale, affrettandosi a ultimare le presentazioni.
“Grammont…  come il conte Charles de Grammont?”domandò sorpresa la Viscontessa inarcando un sopracciglio, quando ebbe sentito il nome del gentiluomo.
“Era mio padre” dichiarò pacatamente Jean, incrociando per un istante lo sguardo di Augustin.
“Dunque voi siete il figlio della cara Elodie! Ma quanto è piccolo il mondo!” esclamò la nobildonna “Sapete, vostro padre era un mio carissimo amico… fu in casa mia che conobbe vostra madre rimanendone fulminato e io fui davvero felice di adoperarmi affinché il suo interesse per vostra madre si concretizzasse in quelle nozze che da subito desiderò!”
“Devo pertanto a voi i miei natali…” chiosò il Conte con un sorriso enigmatico.
“E a madame de Jarjayes, ovviamente, che perorò la causa di vostro padre con il nostro severissimo Generale, quanto mai attento, quando si tratta di decidere con chi mischiare il proprio nobile sangue…” puntualizzò madame Amélie sfiorando il figlio con lo sguardo per poi soffermarsi, eloquente, sul Generale, consapevole che quelle ultime parole della Viscontessa de Girodelle erano un monito a ponderare con attenzione l’imminente scelta dello sposo di Oscar e a meglio considerare la candidatura di suo figlio, più che un’osservazione sulle incertezze che ebbe a suo tempo per le nozze di Elodie.
“Quando il casato è tanto illustre la prudenza è d’obbligo” intervenne Jean “tanto più se c’è per il mezzo un profondo legame d’affetto” rimarcò, tornando a incrociare lo sguardo del padre che, sebbene fosse certo che suo figlio avesse compreso e perdonato i motivi che lo avevano spinto a concedere a Charles de Grammont la mano di Elodie, non poté non domandarsi quanto in quelle parole ci fosse di rimprovero e quanto di comprensione per quella difficilissima decisione.
“Non potete lontanamente immaginare il dispiacere che provai quando giunse in Francia la notizia della morte del povero Charles! Era ancora tanto giovane…” esclamava intanto con trasporto Madame Amélie, che detto a chi doveva capire ciò che le premeva capisse, riportò il discorso su un terreno lontano da allusioni.
“Già…” fu il laconico commento di Grammont in risposta.
“Dunque il Conte è vostro lontano parente, Generale…” osservò in quel mentre Victor, che aveva ascoltato con crescente stupore lo scambio di battute “Mi meraviglia che non lo abbiate presentato come tale al nostro primo incontro…”
“Presentare Jean come il figlio di mia cugina Elodie avrebbe comportato anche il rievocare le tristi circostanze della sua recente scomparsa e vista la gravità della perdita, non volevo rinnovare in lui un dolore non ancora sopito” replicò prontamente il Generale “In seguito non abbiamo avuto modo di rincontrarci, Victor, per chiarire questo dettaglio… ma considerate che la stessa Oscar non lo ha appreso che da poche settimane”
“Quindi anche la povera Elodie è morta prematuramente?” proruppe tristemente meravigliata Madame Amélie.
“Purtroppo è venuta a mancare per un tragico incidente qualche mese dopo le mie nozze” le spiegò Jean senza riuscire a dissimulare una nota di commozione nella voce, mentre la moglie posava istintivamente la mano sulla sua in un gesto di conforto “Una banale caduta in casa… le è stata fatale”.
“Oh, povero caro, mi dispiace immensamente per la vostra perdita… ma per fortuna avete al vostro fianco una sposa amorevole che, consentitemi di dire, mi ricorda tanto vostra madre nella bellezza e nei modi...” mormorò la Viscontessa, questa volta sinceramente angustiata.
“Ammetto che una certa somiglianza c’è, in effetti, e devo dire che è stata tra le cose che più mi hanno colpito la prima volta che ho incontrato Aurore… ma non l’unica” sorrise allora Jean, rivolgendo alla moglie uno sguardo affettuoso.
“Ma se non ho capito male, Augustin parlava in proposito di un eroico salvataggio…” osservò la Viscontessa.
“Ebbene sì” disse il Generale, ben felice di abbandonare quei mesti discorsi che andavano a pungolare a sua coscienza “Quel che vi sto per raccontare non l'ho però appreso dalle labbra del Conte di Grammont, troppo modesto per farsene vanto, ma mi è stato riferito da Guillaume de Bellecombe in occasione del ricevimento che diede alcuni mesi orsono, quando il nostro amato sovrano si degnò di concedergli la Gran Croce di San Luigi…” esordì con enfasi “…occasione durante la quale non solo ebbi il piacere di conoscere la sua preziosa nipote” continuò rivolgendo un sorriso affettuoso alla giovane contessa de Grammont  “ma anche la sorpresa di scoprire che il suo novello marito fosse il figlio della mia carissima cugina Elodie, di cui da tempo, oramai, non avevo notizie”.
In realtà, non era stata l’unica sorpresa di quella sera, pensò, ricordando il profondo stupore con cui aveva riconosciuto in Jean de Grammont il misterioso gentiluomo che, appena una settimana prima, gli aveva dato una mano a liberarsi di un piccolo gruppo di malintenzionati  in Rue de Francs-Bourgeois[7], per poi congedarsi senza rivelare il proprio nome e consentirgli di ringraziarlo adeguatamente per essere intervenuto in suo appoggio. In tale circostanza forse Jean aveva dato prova di coraggio e nobiltà d’animo più che nel salvataggio di Aurore, irrompendo disarmato e affrontando a mani nude i  manigoldi che, spuntati come fantasmi dalle ombre della strada, avevano circondato il suo cavallo per derubarlo. Tuttavia, non avendo raccontato nulla a Marguerite per evitarle inutili preoccupazioni, in quel momento Augustin preferì tacere quell’episodio che invece, a suo tempo, aveva riferito con dovizia di particolari a Bellecombe, apprendendo di rimando che quella era stata solo una delle molte dimostrazioni del valore di Jean de Grammont, fatto che aveva inevitabilmente accresciuto l’ammirazione e la stima per quel giovane che si sarebbe poi rivelato suo figlio.
 
“Che cosa ha fatto dunque di così eroico il nostro Conte?”
 
La domanda pungente del  Maggiore Girodelle riportò Augustin alla conversazione in corso. Il suo sguardo si riempì d’orgoglio.“Oh... L'ha semplicemente salvata da morte sicura quando la nave su cui viaggiava per raggiungere suo zio a Saint-Domingue fu presa dai pirati”.
“Pirati? Credevo che ormai la pirateria fosse un ricordo lontano…” obiettò Girodelle, mentre sua madre e Madame de Jarjayes soffocavano un’esclamazione di sgomento.
“Siete mal informato, Maggiore” s’interpose Grammont “La pirateria è ancora un flagello nel Nuovo Mondo, sebbene le marine delle grandi potenze, oramai, non abbiano più bisogno di ricorrere alla controversa pratica delle lettere di marca[8]”.
“Consentitemi di dire, per fortuna” commentò caustico Victor “Ho sempre trovato assurdo che una Nazione civile dovesse ricorrere all’uso di pezzi di carta che facessero di  fuorilegge prezzolati dei gentiluomini!”
“Se intendete dire che non c'è pezzo di carta, come dite voi, che possa fare di un furfante un gentiluomo, mi trovate concorde, ma vi faccio notare che senza l’argine delle lettere di corsa, i pirati sono tornati a compiere scorrerie, depredando navi d’ogni bandiera e lasciandosi dietro una lunga scia di sangue e di terrore” gli fece notare serio Grammont  “Quanto capitato a mia moglie ne è la riprova”.
“Ma infatti, che cosa le successe poi?” lo incalzò impaziente madame Amélie, annoiata da quella digressione che considerava superflua ai fini del racconto.
Cogliendo tutti di sorpresa, fu Aurore stessa a rispondere a quella domanda. “Mentre infuriava la battaglia, per mettermi in salvo il Capitano della nave su cui viaggiavo mi fece salire su una scialuppa insieme a monsieur Martin, l’avvocato di mio zio, e a un marinaio di fiducia che avrebbe dovuto condurci verso la costa, che sembrava non essere lontana dal punto in cui eravamo stati assaliti ” espose mentre un soffuso rossore tornava a imporporarle il volto e il petto “Ma purtroppo una pallottola vagante uccise sul colpo quel pover'uomo e io e monsieur Martin…”
Un singulto soffocato interruppe le sue parole, al che il marito, in un gesto gemello a quello che lei gli aveva usato poco prima quando aveva fatto cenno alla tragica fine di sua madre, le strinse con delicatezza la mano cercando di rincuorarla e aggiunse in sua vece: “Si ritrovarono in balia delle onde: il mare era agitato e monsieur Martin non era certo capace di governare una scialuppa… ben presto i flutti li spinsero lontano dalla nave, ma anche fuori rotta e quando il vento calò, erano oramai in mare aperto, senza acqua né provviste… sotto l’implacabile sole dei Caraibi” concluse lugubremente, cercando lo sguardo della moglie.
“Ed è qui che si colloca il vostro provvidenziale intervento, di cui il vostro zio acquisito mi ha così lungamente parlato” annunciò il Generale con un sorriso volto ad alleggerire i toni drammatici in cui era scivolata la narrazione.
“Oh, io non ho fatto niente di speciale” si schermì il Conte alzando le spalle “Mi sono limitato a seguire le regole del mare”.
“Non siate troppo modesto, figliolo…” replicò il Generale “Voi avete fatto più di quanto tali regole comandino, mettendovi alla ricerca di una fanciulla che avevate ben poche speranze di trovare in vita. Dovete sapere” proseguì quindi, rivolgendosi ai suoi interlocutori “che sfortunatamente la nave su cui viaggiava madame de Grammont fu conquistata da quei crudeli bucanieri, che dopo averla depredata di ogni ricchezza, sterminarono l’equipaggio senza alcuna pietà; stavano quindi per completare la loro scellerata opera di distruzione affondando l’imbarcazione, quando avvistarono la fregata del Conte che si dirigeva verso di loro con i cannoni puntati. A quel punto, quei vigliacchi preferirono evitare un nuovo scontro e si allontanarono rapidamente, lasciando incompiuta la loro opera. Quando il conte de Grammont mise piede sulla nave in cerca di superstiti, purtroppo non c’era più nulla da fare… ma trovò, seppur in fin di vita, il Capitano, che prima di spirare gli rivelò di aver fatto calare in mare una scialuppa con una giovane nobildonna a bordo. Potete immaginare il resto della storia…” concluse con un sorriso.
“Oh, che racconto avvincente!” eruppe madame Amélie “Immagino lo spavento che dovete aver provato, povera cara!”
“Ho fortunatamente un vago ricordo di quei momenti” mormorò la ragazza.
“Quando individuai la loro imbarcazione, mia moglie era svenuta e l’uomo che l’accompagnava giaceva accanto a lei privo di vita” chiarì Grammont “Pensavo di essere arrivato troppo tardi, finché ella non ebbe aperto gli occhi… e io… mi persi nel verde più incredibile in cui mi fossi mai imbattuto” concluse rivolgendo alla sua giovine sposa uno sguardo rapito che incantò le signore.
“Un amore a prima vista…” lo stuzzicò allora Victor, prendendo un calice di vino da un vassoio che un domestico porgeva agli ospiti  “E’ proprio vero il detto che gli opposti si attraggono…”
Solo il  lieve incresparsi di un labbro, rivelò che la battuta era andata a segno, suscitando una certa irritazione nel suo interlocutore; Victor sorrise tra sé. “Ad ogni modo, è una storia affascinante” proseguì con noncuranza, senza dargli modo di replicare “e non posso che farvi i miei complimenti per il vostro tempismo…”aggiunse quindi portandosi alle labbra il bicchiere di cristallo.
“Non parlerei di tempismo, dal momento che se fossi arrivato prima avrei potuto salvare tante vite innocenti” controbatté indispettito Grammont “In ogni caso, ringrazio il buon Dio per avermi almeno permesso di evitare la morte di colei che oggi è mia sposa, volgendo peraltro il suo favore su di me al punto da farle accettare la proposta di matrimonio rivolta in prima istanza a suo zio… un onore che non tutti hanno la fortuna di provare” sottolineò con un’occhiata eloquente verso il Maggiore.
Le ciglia di Madame Amélie tremarono impercettibilmente, rendendosi conto che quanto accaduto non era rimasto riservato come aveva creduto, mentre Victor, per non essere sgarbato nei confronti delle signore presenti e del padrone di casa, si trattenne dal rispondere che quel paragone era del tutto fuori luogo, dal momento che Oscar non era certo una timida ragazzetta pronta a cadere tra le braccia del suo salvatore. Tuttavia, l’orgoglio ferito reclamava soddisfazione e già si stava accingendo a ribattere che la maggior parte degli uomini preferisce vantarsi di facili successi, piuttosto che affrontare difficili imprese sapendo di rischiare l'insuccesso, quando vide il Conte sgranare gli occhi per la sorpresa e il volto del Generale farsi livido di rabbia.
Con indosso l'alta uniforme delle Guardie Reali[9], la preziosa croce, simbolo del suo grado, appuntata sul petto e le lunghe gambe inguainate in pantaloni aderenti e stivali tirati a lucido, Oscar fece il suo ingresso nel salone, supplendo senza esitazione alcuna al mancato annuncio di monsieur Dubois, primo cameriere di Palazzo Jarjayes che, ritto sulla soglia del salone, impettito nella sua livrea verde e oro quasi gemé quando invece della tanto attesa Madamigella Oscar Françoise de Jarjayes, che dal principio della serata attendeva di annunciare con un sonoro colpo del suo bastone dal pomo dorato, si trovò  innanzi il Comandante delle Guardie di Sua Maestà la Regina. Con la spada da cerimonia dall'elsa dorata allacciata al fianco, l'abituale postura rigida e fiera, e lo sguardo a tutti noto, Oscar avanzò sicura verso il centro della sala seguita dagli occhi attoniti degli ospiti e da un silenzio stupefatto che ad ogni suo passo spegneva chiacchiere e risate. Nello stupore generale Victor sorrise e svuotato in un brindisi silenzioso il calice che reggeva nella destra, posò il bicchiere sul vassoio che un pietrificato valletto reggeva poco distante e lasciò il gruppo con cui fino a quel momento si era trattenuto per raggiungere Oscar.
“Sembrerebbe che questa sera non abbiate intenzione di danzare, Comandante, almeno non con un gentiluomo ...” esordì in tono faceto mentre portandosi una mano al petto e si inchinava  lievemente in un rispettoso saluto “Immagino di dover dunque rinunciare a chiedervi un ballo … “
“Immaginate bene, Maggiore” convenne laconica Oscar “e qualora qualcun altro avesse fatto un progetto simile al vostro, ebbene vi dovrà parimenti rinunciare, dal momento che non essendo portata per questo tipo di svago, credo proprio che non danzerò affatto, né con un gentiluomo né con una dama. L’alta uniforme è solo per accontentare il mio augusto genitore, che questa sera mi voleva elegantissima per far adeguatamente onore ai nostri gentili ospiti…”
“Be’ direi che in quanto a eleganza non avrà nulla da eccepire, anche se temo che non sia esattamente ciò che intendeva...” insinuò il maggiore in tono di rivelazione.
“Potrei in effetti aver mal interpretato i suoi desideri” ammise Oscar con un sorriso.
Victor increspò la fronte. “Ma di certo il Generale avrà colto con sufficiente chiarezza la vostra dichiarazione d'intenti, le vesti che  indossiamo ci definiscono agli occhi del mondo anche più delle parole” osservò con facezia “Ad ogni modo, consentitemi di dire che la vostra bellezza risplende di luce propria, al di là di come decidete di abbigliarvi...” aggiunse quindi in tono serio.
“Victor, io... ”
“Non temete Comandante, non sono così sciocco o presuntuoso da dimenticare la vostra risposta in merito a una certa proposta... ma ci tenevo che lo sapeste. Comunque,” proseguì con tono leggero “non so se ve l'ho mai detto, ma anch'io, per quanto si dica il contrario, non sono mai stato un amante del ballo, temo di aver preso da mio padre... ho avuto il piacere di assaggiare uno squisito Ygrec[10] e ne berrei volentieri un altro bicchiere”.
“Victor vi ringrazio e sappiate che apprezzo il vostro tentativo di salvataggio. Ma sono abituata a combattere le mie battaglie, come sapete, quindi credo proprio che ora raggiungerò mio padre e gli altri nostri ospiti e mi comporterò da figlia rispettosa ed educata con la massima naturalezza possibile...”
“Avete ragione Oscar, e come sempre avete scelto la migliore tra le possibili soluzioni, anche se non è certo la più facile... Non mi resta che augurarvi buona fortuna dunque, credo ne avrete bisogno...”
Oscar accennò un sorriso in segno di ringraziamento e senza nulla replicare lo salutò con un breve movimento del capo per poi voltarsi. Esitò solo un istante, mentre i suoi occhi sembrarono cercare qualcosa o qualcuno nella sala, ma poi scrollò le spalle e con passo sicuro raggiunse suo padre, mentre nella sala il cicaleccio degli invitati riprendeva come se nulla fosse ma avendo certamente qualcosa in più di cui parlare.
 
 
 
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[1] Secondo la tradizione francese, il 25 novembre, in occasione del giorno di Santa Caterina, si festeggiano tutte le Catherine ma anche le “Catherinettes”. Così vengono chiamate le ragazze, che a partire dall’ età di 25 anni non sono ancora sposate. Fin dal Medioevo in questa giornata si organizza una festa per porre fine al nubilato delle ragazze. 
[2] Così chiamato in ricordo di un antico orfanotrofio che un tempo si trovava poco lontano e che vestiva di rosso i suoi sfortunati ospiti in segno di carità, è il mercato coperto più antico di Parigi, costruito nel lontano 1615 per rifornire il quartiere del Marais
[3] Citazione di Jean-François Marmontel (1723-1799), tratta da “Insegnamenti di un padre ai propri figli”, pubblicato postumo nel 1806).
[4] Personaggio storico realmente esistito, governatore di Saint-Domingue tra il 1782 e il 1785. Ai fini della trama e non trovando notizie storiche sul suo successore, un certo de Coustard, abbiamo prolungato il suo mandato sino all’aprile del 1786, anno in cui subentrò a Coustard il conte de La Luzerne.
[5] Grado più elevato della decorazione militare istituita da Luigi XIV nel 1693 e abolita nel 1830, di cui Bellecombe fu realmente insignito dopo il suo ritorno da Haiti
[6] Nome storico della seconda moglie del vero Generale Jarjayes.
[7] Antica strada nel quartiere del Marais.
[8] Le lettere di marca o di corsa erano una sorta di commissione o garanzia emessa da un governo nazionale, che autorizzava l'agente designato a cercare, catturare o distruggere, beni o personale appartenenti ad una parte che aveva commesso una qualche offesa alle leggi o ai beni o ai cittadini della nazione che rilasciava la patente. Questa veniva di norma usata per autorizzare dei gruppi di privati ad assalire e catturare bastimenti mercantili di una nazione nemica, e di fatto trasformava i pirati in corsari. L’emissione di lettere di corsa ai privati fu vietata con il trattato di Utrecht del 1713, ma realmente abolita solo nel 1856 con la Dichiarazione di Parigi (fonte Wikipedia)
[9] Il colore della divisa di Oscar in questa occasione non viene volutamente menzionato, ovviamente è facile immaginare che sia quella bianca e argento indossata da lei nell'anime durante il ballo con la Regina ed entrata nell'immaginario collettivo di noi fan di LO. In realtà però, gli ufficiali delle Guardie del Corpo vestivano sfarzosissime e preziose uniformi dalla giubba rossa o blu a seconda del corpo e reggimento di appartenenza, quella del presunto reggimento di Oscar doveva probabilmente essere blu, ma che ne esistesse anche una versione di gala, non sono riuscita a scoprirlo, Detto questo potete immaginarla come preferite...
[10] Lo Chateau d’Yquem, chiamato Ygrec, è uno dei vini più apprezzati, composto da un’uguale percentuale di Sémillon e Sauvignon. La bottiglia più costosa è datata 1787 e ha attualmente un valore di 73.500 euro circa, stai a vedere che è la stessa bottiglia…

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Capitolo 11
*** Il seme del dubbio ***


A quasi tre mesi dall'ultimo aggiornamento, riusciamo finalmente a postare questo benedetto capitolo! Ovviamente ci scusiamo per l’immane ritardo… a nostra discolpa, possiamo dire che tra i motivi, oltre a un’oggettiva mancanza di tempo da parte di entrambe, c’è stata anche la volontà di portarci avanti con il lavoro prima di postare, in modo da tornare ai nostri consueti ritmi di un capitolo ogni due, max tre settimane, tanto più ora che entriamo nel vivo della storia. Per chi volesse rinfrescarsi la memoria, ricordiamo che c’è un piccolo riassunto nel capitolo 9 ( scusate, inizialmente avevamo indicato erroneamente il 10!!) mentre nel capitolo 10 abbiamo finito di presentare i nostri personaggi, tra i quali una certa Aurore de Grammont che ha suscitato dubbi e perplessità… a voi scoprire se tali sospetti siano fondati XD!
A chi ancora vorrà… buona lettura!
A&F
 
 
 
 
Il seme del dubbio
 
La soffice isoletta di meringa adagiata su un piccolo mare di profumata crema inglese aveva un aspetto invitante. Con fare serio Jean  affondò il cucchiaio nella delicata ile flottante e se lo portò alla bocca, guardando di sottecchi la moglie che, seduta di fronte a lui, lo scrutava attenta con un'espressione vagamente apprensiva,  quindi lo assaporò con aria critica per un lungo momento e infine sentenziò soddisfatto:
"Deliziosa”
Il viso di Aurore si distese in un sorriso.
“Meno male !” Esclamò sollevata “Temevo di non essere riuscita a fonder bene lo zucchero con le uova, Suor Geneviève mi rimproverava sempre di non mescolare abbastanza”.
“Suor Geneviève doveva essere estremamente severa...” osservò di rimando Jean “e molto probabilmente anche poco pia...”
“Poco pia? Oh no, no.." si affrettò a rispondere Aurore, allarmata dall'idea di poter aver dato un’errata impressione di quella che era stata una delle sue più care insegnanti “Vi garantisco che era estremamente devota oltre che di dolcissimo cuore, la Madre Superiora la additava sempre come esempio a noi educande, diceva che lei era...”
"Che io sappia, gli angeli come voi vanno solo  adorati...e non certo fatti oggetto di rimproveri tanto pretestuosi”  la interruppe Jean fissandola con un sorriso. 
Aurore arrossì e tacque all'istante.
Imbarazzata, abbassò lo sguardo non tanto per il complimento  quanto per essersi resa conto di non aver avuto lo spirito per cogliere il senso delle parole di suo marito ed essersi lanciata in una sciocca arringa in difesa della pia donna.
“Mia Aurore...” sospirò Jean e congedato con un cenno il valletto che presiedeva alla colazione, si alzò dal suo posto e raggiunse la moglie che sedeva, ora incupita, all'altro capo del tavolo “Così dolce, ingenua, amabile” continuò in tono lievemente canzonatorio raccogliendo tra le dita un ricciolo ribelle sfuggito all'acconciatura “ma così totalmente inadeguata...”
Aurore corrugò la fronte e per un momento strinse le labbra mortificata.
“Mi dispiace Jean, l'ultima delle mie intenzioni è essere per voi fonte di imbarazzo” mormorò continuando a tenere lo sguardo imbronciato sulle mani conserte in grembo.
“Mia colomba... siete per me fonte di delizia non certo di imbarazzo; ricordatelo sempre..." ribatté il marito sfiorandole la nuca scoperta con il dorso delle dita in una carezza lieve che tuttavia provocò ad Aurore un brivido tanto intenso che, percorrendo rapido la schiena, arrivò dritto al cuore facendolo sobbalzare.
“Non crucciatevi, non è colpa vostra se non avete avuto la possibilità di esordire in società avendo al vostro fianco una chaperon che vi facesse dono della sua esperienza[1]” continuò Jean “Se la mia amatissima madre non ci avesse tanto tragicamente abbandonati, avreste avuto la più perfetta delle maestre da cui prendere esempio, ma vedrete... imparerete ugualmente, purché parliate poco ed osserviate molto. Certo sarà più impegnativo, ma sono sicuro che riuscirete, rendendomi il più orgoglioso tra i mariti oltre che il più innamorato tra gli uomini...”
“Oh Jean, per me è così difficile...” obiettò Aurore sconsolata “So di non avere scioltezza nei modi, né gusto nella scelta degli abiti, e i miei pensieri poi... sono spesso vaghi e confusi e così ogni qualvolta devo incontrare qualcuno o partecipare ad un'occasione  mondana vado in agitazione...”
“Vi garantisco che ciò che traspare è solo grazia e amabilità” la rassicurò lui carezzandole una spalla per poi chinarsi a posarvi un bacio lieve mentre le dita scendevano lente lungo il braccio.
Aurore quasi tremò chiudendo gli occhi per un lungo istante.
“Sì certo, avete ragione farò  come mi consigliate,” disse con voce malferma “mi impegnerò ad imparare per diventare la moglie elegante e garbata che meritate" continuò  mentre le dita di Jean si facevano più audaci “Eppure... eppure non posso negare che mi sentirei  più tranquilla ed infinitamente più sollevata se solo avessi una guida in questo difficile percorso...” aggiunse in un fiato dopo un momento di esitazione.
Le carezze di Jean si interruppero bruscamente “Ma purtroppo, come già detto, colei cui spettava questo compito non è più tra noi e voi  non avete una madre, né una sorella maggiore, né una zia o qualsivoglia altra parente che possa assolverlo...” ribadì Jean tornando a sedersi evidentemente infastidito.
“Ma madame Jarjayes in quanto moglie del cugino di vostra madre lo è... seppur lontanamente” insisté Aurore, troppo spaventata dall'idea di dover affrontare da sola quella vita di società che le trasmetteva malessere ed ansia, per rendersi conto del rischio cui stava andando incontro indugiando in una richiesta che suo marito aveva mostrato di non gradire “la sua conversazione e le sue maniere sono sempre ineccepibili  e da tutti è ritenuta un modello di grazia ed eleg...”
 La voce le morì in gola e le parole le si spensero sulle labbra quando si accorse che il viso di Jean era diventato duro come pietra.
“Marguerite de Jarjayes è l'ultimo degli esempi che vi serve di seguire!” sbottò  con durezza il marito "È una presuntuosa intrigante che agisce guidata da invidia e fatuità. Indegna di baciare le vesti di mia madre ha tuttavia deciso  della sua vita, ma per Dio starà ben lontana da mia moglie!”
“Mi... mi..dispiace...  Non... non pensavo che...” balbettò Aurore spaventata, rendendosi conto, ormai troppo tardi, di essersi spinta in un terreno spinoso e soprattutto di aver irritato suo marito, che sapeva quanto non gradisse essere contrariato.
Jean non rispose ma la fissò per un lungo istante. “Venite qui” le ordinò in tono perentorio.
Aurore sentì seccarsi la gola e senza dire una parola, posò sul tavolo il tovagliolo che teneva sulle gambe, scostò la sedia, si alzò e lo raggiunse.
Rimase in piedi innanzi a lui, come una scolaretta, senza il coraggio di guardarlo, con  lo sguardo  rivolto alle mani che teneva strette in grembo, sentendo lo sguardo di suo marito, che adagiato allo schienale della sua sedia la fissava senza parlare. Solo quando lo sentì alzarsi trovò il coraggio di sollevare gli occhi a guardarlo.  
“Siete confusa,  me ne rendo conto” esordì Jean comprensivo “per  voi tutto è nuovo ed indubbiamente difficile, lo capisco...”
Aurore annuì sforzandosi di trattenere le lacrime mentre fissava gli occhi azzurri del marito, taglienti e freddi come il vento di tempesta ed il volto tanto simile a quello che immaginava dovesse avere un angelo delle tenebre.
“E per questo farò finta che nulla sia accaduto” continuò intanto suo marito, mentre col dorso dell'indice le asciugava una lacrima impigliata tra le ciglia, per poi scendere ad  accarezzarle con le dita guancia e collo.
La tempesta sembrava passata, Aurore pensò che Jean si era indubbiamente arrabbiato ma sembrava averla perdonata e si rilassò un poco, ma proprio mentre tirava un sospiro di sollievo sentì la carezza sul collo trasformarsi in stretta. La giovane impallidì mentre spalancando gli occhi sollevava la mano a stringere con le sue esili dita il polso ferreo del marito, che avvicinando il volto fin quasi a sfiorare il suo con le labbra le sibilò all'orecchio “Ma azzardatevi a contraddirmi ancora e mi vedrò costretto a dovervi ricordare nuovamente come si comporta una moglie rispettosa” .
Atterrita, sentendo il fiato mancarle ed un sudore freddo imperlarle la schiena, Aurore riuscì con un enorme sforzo a dominare il panico e trovare la forza  per annuire. Solo allora Jean allentò la presa e sorrise; e quando pochi istanti dopo il generale Jarjayes, preceduto da un valletto che annunciava il suo arrivo entrò nella sala, quello che i suoi occhi colsero fu un momento di affettuosa tenerezza tra due coniugi innamorati.
“Buongiorno Jean” esordì Augustin per poi inchinarsi brevemente ad Aurore che lo fissava spaesata.
“Vi sentite bene Madame? Sembrate pallida” domandò osservando il viso tirato della giovane.
“Sto bene, grazie Generale, ho solo un leggero mal di testa... Nulla di cui preoccuparsi” mentì Aurore.
“Le  stavo giusto facendo notare la medesima cosa” intervenne Jean “Consigliandole di  riposarsi un po' invece che andare a passeggio al Parc Monceau[2], come sembra sia intenzionata a fare, ma a quanto pare ne ha sentito meraviglie e non vuole darmi ascolto”.
“La capisco, ed approvo  la sua decisione” sorrise il Generale "In effetti i giardini Monceau anche in questa stagione sono un luogo incantevole, il duca di Chartres ha saputo realizzarvi un'autentica terra di illusioni e poi non c'è niente di meglio che un po' d'aria per lenire una leggera emicrania "
“E sia amore mio! Fate come volete! ma non stancatevi troppo e copritevi bene”.  Aurore annuì ed accennò un sorriso
 “Allora se volete scusarmi vado a prepararmi” disse, quindi rivolgendosi subito dopo al Generale lo salutò con grazia ringraziandolo per il sostegno ricevuto ed uscì dalla stanza.
Quando furono soli Jean invitò il Generale a seguirlo in un piccola sala sobriamente arredata che affacciava su rue Pas de La Mule, eletta, tra le  sale dell'elegante appartamento che la giovane coppia aveva fittato nel Marais, a suo studio, avendo preferito lasciare alla moglie la bella veduta dei giardini di Place Royale[3].
“Allora, siete riuscito a riportare la mia ostinata sorellastra all'obbedienza se non alla ragione?” esordì sedendosi ed invitando il Generale a fare altrettanto.
“Obbedienza e ragionevolezza non sono tra le peculiarità di Oscar a quanto pare...”
“La cosa non dovrebbe essere per voi una sorpresa Generale, non posso certo dire di conoscerla bene, ma che una donna come lei non fosse incline a delegare mi pareva una cosa abbastanza evidente”.
Il Generale sbuffò ed iniziò a tamburellare nervosamente le dita della mano sul bracciolo della poltrona.
“No, certo che non lo è” convenne “Eppure dopo il netto rifiuto che aveva opposto in principio, sembrava essere scesa a più miti consigli; sembrava avesse compreso che non poteva continuare a vestire l'uniforme, che la vita che aveva condotto oramai non era più nel suo interesse, né tantomeno in quello della famiglia, ed io mi ero illuso, scioccamente lo ammetto, che fosse stata proprio la ragionevolezza delle motivazioni che accompagnavano  la mia decisione ad averla convinta, assieme chiaramente, alla possibilità che le davo di poter scegliere il suo futuro marito, dal momento che il Maggiore Girodelle, contrariamente a quanto supponevo, non era di suo gradimento”.
“Avete mai pensato che il cuore di Oscar possa essere già impegnato?” domandò Jean all'improvviso.
Perplesso il Generale aggrottò la fronte valutando per un istante quella possibilità che effettivamente non lo aveva mai sfiorato, quindi scosse la testa deciso.
“Se così fosse stato non avrebbe avuto che da dirlo” obbiettò “del resto il suo comportamento al ballo è stato piuttosto esplicativo circa la sua totale mancanza di interesse, se non peggio, per qualsivoglia dei gentiluomini presenti."
“E se colui che le interessa non fosse stato presente... ?”
“Non è possibile. Al ballo c'era ogni singolo, giovane uomo di rango adeguato che potesse aspirare alla sua mano”
“Sì, è vero, avete ragione" convenne Jean "ma ipotizziamo per un momento che costui per un qualche motivo non possa essere tra i pretendenti”.
“Volete dire che Oscar potrebbe avere una liaison con un uomo sposato?" domandò il Generale dubbioso "No... Non è possibile, non sarebbe da lei ve lo garantisco e su questo sono disposto a mettere la mano sul fuoco...”
Jean si alzò. "No, Generale, non è questo che intendevo” ribatté andando verso la finestra dove, con lo sguardo rivolto alla strada, rimase qualche istante in cerca  delle parole adeguate per dire quanto credeva. Quando si voltò nuovamente verso il suo interlocutore che ancora seduto lo fissava in attesa, tirò un pesante sospiro “pensavo più che altro al fatto che magari, colui che le interessa potrebbe... non essere un gentiluomo di rango adeguato, o più semplicemente potrebbe non essere affatto un gentiluomo” disse con gravità.
Come colpito da uno schiaffo il Generale scattò in piedi: il viso rosso di collera.
“Cosa dite!” sbottò a voce alta “State forse insinuando che mia figlia possa essersi invaghita di qualcuno che non fosse un suo pari?! Di un borghese?! Di uomo di bassa estrazione?! O magari come la protagonista di un qualche romanzetto addirittura di un lacchè o un palafreniere...”
“O di un attendente...” suggerì Jean per nulla intimorito, fissando con calma il padre dritto negli occhi .
A quelle parole da rosso che era il viso del Generale si fece pallido. La rabbia sparì  improvvisa come era comparsa, lasciando spazio ad un senso di smarrimento e  il nome di André gli sfuggì dalle labbra in un mormorio quasi impercettibile. 
“No... non può essere...”  disse, ma qualcosa dentro di lui era oramai scattato “Certo loro hanno un rapporto particolare ma è perché sono cresciuti assieme; lui per Oscar è sempre stato un punto di riferimento, un modello maschile, io stesso ho voluto che lo fosse dandogli a tal proposito un'educazione adeguata, certo lei lo stima e lui le è affezionato e forse nel loro rapporto c'è più familiarità  di quanto sarebbe lecito aspettarsi, ma è solo una sincera amicizia... non di più...” continuò cercando di convincere se stesso più che il figlio, che dal suo posto accanto alla finestra lo guardava andare su e giù per la stanza in preda ad un turbamento che lo spingeva  ad affannarsi in un turbinio di ragionamenti che tuttavia sembravano sortire l'effetto contrario a quello voluto “ll tempo che passano assieme... be'.... sì... è molto e certo esula da quello del dovere, ma lui è sempre stato per Oscar una compagnia, e starle dappresso, tenerla d'occhio, è per mia stessa  volontà, un preciso dovere di André, ma lui è un uomo d'onore... una persona dabbene... mai tradirebbe la mia fiducia ed Oscar, per quanto sia un’idealista non potrebbe mai...”
D'un tratto una ineluttabile consapevolezza agghiacciò il Generale interrompendo quel fiume di parole. L'altero militare ammutolì sentendo un peso opprimente  schiacciargli  il cuore. Chiuse gli occhi e portandosi una mano alla fronte esclamò sopraffatto “Dio Misericordioso!”
“Calmatevi, non è detto che sia così...” intervenne Jean raggiungendo il padre e poggiandogli una mano sulla spalla in un gesto di incoraggiamento "la mia è solo un'ipotesi che nasce da quel poco che ho avuto modo di osservare, non ho alcuna certezza in merito; vi ripeto, potrei essermi sbagliato".
Il Generale  scosse la testa con un'espressione amara senza però riuscire a pronunciare il no che aveva sulle labbra.
“E invece sì” rispose Jean a quella muta constatazione “Ad ogni modo credo sia il caso di approfondire e se fosse come supposto non mancheranno i modi per risolvere il problema, anzi paradossalmente direi che se le cose stessero così, sarebbe piuttosto facile  trovare la strada per vincere la riottosità di mia sorella e risolvere una questione che diversamente sarebbe di difficile soluzione”.
Col volto ancora pallido e l'espressione tesa il Generale voltò le spalle a Jean e si avvicinò  ad una consolle dove una bottiglia di liquore di un caldo color ambrato faceva bella mostra di se contornata da una serie di calici panciuti. Con la mano agitata da un leggero tremito la afferrò per il collo e riempì fin quasi all'orlo uno dei bicchieri.
“È un Rum proveniente della Martinica Generale, è piuttosto forte vi consiglio di andarci piano...”
Il Generale sbuffò un sorriso e in tutta risposta si portò il calice alla bocca e lo vuotò in un sorso .
“La vostra logica è ineccepibile, Jean” disse con ritrovata fermezza  posando il bicchiere “tuttavia vi garantisco che mi è davvero difficile augurarmi che mia figlia abbia intessuto una relazione con un servitore” aggiunse con un  tono pieno di disprezzo “Ad ogni modo, ora che mi avete aperto gli occhi non posso che considerare questa possibilità alla luce della quale tante cose mi appaiono più chiare a partire da una frase che Oscar mi ha  detto durante la discussione che abbiamo avuto dopo il ballo e che avevo mal interpretato...”
“E cioè?” chiese Jean in tono interessato.
“Mi ha detto che né l'interesse né l'imposizione  sarebbero state le basi su cui avrebbe costruito la sua vita e che per questo non avrebbe mai sposato qualcuno che non avesse scelto in piena libertà, e quando io le ho risposto che le avevo dato tutta la libertà che le occorreva, lei ha ribattuto che essere liberi di scegliere non equivaleva ad essere liberi di amare e che comunque non aveva bisogno di concessioni per scegliere quale sarebbe stato il corso della sua vita, poiché in proposito aveva deciso già da tempo”.
“Una risposta piuttosto decisa... e chiara”.
“Già... io lì per lì ho pensato che si riferisse ad una volontà di essere indipendente, di non avere vincoli, ho ribattuto che le sue sono utopie irrealizzabili, ma probabilmente si riferiva al fatto di aver già scelto con chi dividere il proprio futuro”.
“Potrebbe essere, come no... Non dimenticate che al momento tutto ciò è comunque una supposizione; permettetemi tuttavia di occuparmi della cosa così che possa portarvi  la certezza e allora, nel caso, valuteremo il da farsi...”
Il Generale sospirò. “E sia Jean” concesse “Ad ogni modo, benché mi auguro che i vostri sospetti siano stati fallaci quanto le mie supposizioni, ho pochi dubbi. Ho sbagliato a sottovalutare  il rapporto che unisce Oscar ed André e ancor più i rischi di una  così assidua e continua vicinanza, ma l'inconcepibilità della cosa unita alla stima per l'una e alla fiducia nell'altro, mi hanno impedito di avere quello sguardo obbiettivo che a voi non è mancato”.
“Non fatevene una colpa, non si è trattato di obiettività. Vi garantisco che neanche io avrei mai azzardato una simile supposizione se il caso non mi avesse  messo nel posto giusto  al momento giusto, instillandomi una curiosità che mi ha spinto ad una più attenta osservazione; e comunque se ho dubbi e non certezze è perché il comportamento di Oscar e Andrè a parte alcune sfumature è sempre stato molto misurato”.
“Non sarebbe potuto certo essere altrimenti... Immagino siano entrambi ben consapevoli di quel che costerebbe loro una simile relazione. Ad ogni modo, che siamo o meno in errore, è giunto il momento di mettere fine all'idealismo di Oscar e a qualsiasi illusione abbia di poter cambiare il mondo. Il suo comportamento al ballo, al di là di ogni altra cosa, è stato deplorevole. Contravvenire così apertamente ad una mia manifesta volontà è stata una fonte di imbarazzo su cui non mi è possibile soprassedere. Oggi per me finisce il tempo dei rimorsi e delle esitazioni e vi garantisco che, volente o nolente, per Oscar inizierà quello dell'obbedienza”
 
 
 
Dicembre era alfine arrivato. Sin dal mattino, infatti, un vento gelido sferzava i giardini della reggia piegando impietosamente alberi e siepi, e alla pioviggine si era appena sostituito un nevischio sottile, che avrebbe presto iniziato a formare a terra una patina trasparente e insidiosa. Con l’incombere della sera spostarsi a cavallo non sarebbe stato affatto semplice, constatò allora Oscar con un sospiro… ma lei era ancora lì, a Versailles.
Incupita da quelle considerazioni, si staccò bruscamente dalla finestra che dava sul piccolo cortile sottostante il Petit Appartament[4] e si avvicinò al camino, un tripudio di marmo rosso e decorazioni dorate in stile pompeiano, guardando distrattamente, alla luce dei doppieri, la propria immagine riflessa dall’imponente specchio che lo sovrastava. Si sentiva così stanca… e nonostante il fuoco fosse acceso dalle prime luci dell’alba, la stanza era gelata.
Sospirò ancora, Oscar, e mentre tendeva le mani intirizzite in direzione delle fiamme, si augurò che la Regina avesse ormai terminato la sua toilette per la cena di commiato del principe Cảnh e del suo accompagnatore, padre Pigneau de Béhaine[5], ormai prossimi alla partenza, dopo il lungo soggiorno a Corte, per fare ritorno nella lontana Cocincina.
Se non altro, pensò in quel momento, poiché Girodelle si era offerto di provvedere in sua vece al normale servizio d’ordine, scortare Sua Maestà sino alla sala del banchetto sarebbe stata per lei l’ultima incombenza della giornata; poi, neve permettendo, avrebbe potuto finalmente raggiungere André a La BonneTable, come concordato grazie al breve scambio epistolare affidato a Gaston.
Quel proposito  le strappò un sorriso. Sì, aveva bisogno di vedere André, gli ultimi giorni erano stati un inferno e specchiarsi nel verde gentile dei suoi occhi l’avrebbe aiutata a scacciare le inquietudini del cuore. Suo padre, infatti, anziché rassegnarsi continuava a farle pressioni affinché accettasse di sposarsi con Victor de Girodelle, a suo dire l’unico disposto ancora a prenderla in moglie dopo il ballo, e aveva persino minacciato di trascinarla all’altare, nell’ultima, furibonda discussione che avevano avuto. Ovviamente lei non aveva alcuna intenzione di cedere – diamine, era un soldato! –, ma  sapeva che suo padre, purtroppo, avrebbe fatto altrettanto: non si sarebbe mai arreso, lo conosceva troppo bene, forse perché in se stessa rivedeva la medesima cocciutaggine, l’identica determinazione.
Per tale motivo, negli ultimi giorni Oscar si alzava ogni mattina pregando il buon Dio che i documenti per l’imbarco fossero finalmente pronti, anche se, allo stesso tempo, le rimordeva la coscienza al solo pensiero di agire alle spalle dell’uomo che l’aveva cresciuta e per il quale aveva a lungo nutrito un sentimento quasi di venerazione.
Il suo volto tornò ad adombrarsi. Sì, senza dubbio lo avrebbe deluso, tuttavia non c’era altra soluzione, soltanto lasciando la Francia lei e André avrebbero avuto la possibilità di realizzare il loro sogno. Presto Versailles sarebbe stata solo un ricordo lontano… eppure, mentre lo sguardo vagava sulle raffinate boiseries bianche e oro alle pareti e sulla sgargiante seta verde che tappezzava le poltroncine e il canapè del Cabinet Doré[6], si domandò se avrebbe avuto nostalgia di quell’opulenza artefatta e sontuosa in cui aveva vissuto per oltre vent’anni. La risposta affiorò decisa: no. Non sarebbe stato certo facile adattarsi a una vita semplice e modesta, ma non le importava: avrebbe rinunciato a ogni lusso o comodità pur di essere la compagna di André Grandier.
Queste ed altre di simile tenore erano le riflessioni di Oscar, quando Madame Campan[7] entrò nella stanza in uno stato di evidente agitazione. Poche, concitate parole e, in un solo istante, le sue speranze di potersi congedare in anticipo dalla reggia s’infransero miseramente: a causa di uno spiacevole contrattempo Sua Maestà non era ancora pronta e l’attendeva nel suo boudoir.
 
Il Cabinet de la Meridienne era un grazioso salotto ottagonale eletto da Maria Antonietta a luogo di riposo e spogliatoio personale. Al pari degli altri ambienti facenti parte del Petit Appartament,  predominavano il bianco dei pannelli lignei e i preziosi stucchi dorati, che facevano risaltare mirabilmente l’azzurro brillante delle tende e dei broccati di cui erano rivestite le sedute e il piccolo letto, incastonato nella parete opposta alla finestra e talvolta utilizzato dalla sovrana per dormire. Fu proprio su quel lussuoso giaciglio, in effetti, che Oscar trovò adagiata la Regina, ma vestita solo in parte e pallida come un cencio, mentre intorno a lei si affaccendavano ansiose alcune dame di compagnia, una decina di cameriere e una costernata Madame Bertin, che continuava a sventolare energicamente un ventaglio davanti al volto cereo della sovrana.
“Maestà!” si allarmò immediatamente “Che cosa vi è successo?”
“Nulla di grave, Oscar” minimizzò Maria Antonietta con un debole sorriso, cercando di tirarsi su a sedere nonostante le proteste generali “Si è trattato solo di un piccolo mancamento…”
“Un piccolo mancamento? Maestà, siete praticamente svenuta!” obiettò con forza Madame Bertin, affrettandosi a porle dei cuscini dietro la schiena per sostenerla “Insisto perché sia chiamato il dottor Lassonne!”
“Non scomoderò monsieur Lassonne per un semplice capogiro, né voglio che giunga parola di quanto accaduto a Sua Maestà il re” ribatté irritata Maria Antonietta, posando i piedi sul pavimento con il chiaro intento di alzarsi in piedi “Piuttosto, continuiamo”.
“Come volete, Maestà, ma vi prego… restate seduta ancora per un po’!” la supplicò la modista, giungendo le mani quasi in preghiera.
“E forse sarebbe opportuno lasciare il corsetto allentato…” suggerì timidamente una delle cameriere.
“Madame Bertin ha ragione, Maestà… e anch’io credo che sia preferibile non serrare troppo il corsetto” intervenne a quel punto Oscar, guardando con una certa apprensione l’attillato corpino di velluto scarlatto che sottolineava implacabilmente quanto i fianchi della sovrana non fossero più esili come un tempo.
“E sia, farò come dite” capitolò la Regina con un sospiro, facendo cenno di proseguire la complessa opera di vestizione.
Oscar seguì in silenzio le ultime fasi di quello che le era sempre sembrato un autentico supplizio, ringraziando in cuor suo la presunta follia di suo padre che glielo aveva risparmiato. Subito dopo, tuttavia, con un velo di mestizia non poté fare a meno di constatare quanto le dure prove alle quali era stata di recente sottoposta la sovrana, ne avessero inevitabilmente segnato il volto e l’anima. La malattia del Delfino e la morte, pochi mesi prima, della principessa Sophie[8], avevano infatti spento da tempo il suo incantevole sorriso e venato di tristezza quello sguardo limpido come l’acqua, capace di ammaliare e sedurre persino un donnaiolo come il conte di Fersen. Fersen che alla fine si era arreso ai propri sentimenti, scegliendo di rimanere al servizio della donna amata pur di starle accanto… come tanti anni prima aveva fatto André per lei, votando la propria esistenza a un amore impossibile.
La voce ancora flebile della Regina la distolse da quelle malinconiche riflessioni.
“Ora potete andare, signore. In attesa di Monsieur Leonard, vorrei conferire in privato con il colonnello Jarjayes”. 
Seppur tra qualche borbottio di rimostranza, il piccolo entourage si congedò rapidamente lasciandole sole. Soltanto allora il volto della sovrana sembrò rilassarsi “Sedetevi pure, Oscar” disse in tono gentile.
Perplessa, Oscar obbedì accomodandosi sulla poltroncina di fronte al letto e lanciando un’occhiata preoccupata in direzione della nobile dama. Nonostante il belletto, era ancora molto pallida.
“Di che cosa volete parlarmi, Maestà?” esordì quindi titubante.
“Il principe Joseph mi ha detto che gli avete promesso di portarlo a cavalcare alla prima giornata di sole…” rispose Maria Antonietta.
“Perdonatemi se ho avuto l’ardire di farlo senza prima consultarvi, Maestà” si affrettò a scusarsi Oscar con una punta d’imbarazzo “ma l’altro giorno ho visto Sua Altezza particolarmente abbattuto e ho pensato che adeguatamente vestito e in condizioni climatiche migliori, una cavalcata nel parco potesse…”
“Non dovete giustificarvi, madamigella” la interruppe affabilmente la sovrana “Anzi, ve ne sono grata: negli ultimi giorni il mio Joseph non ha fatto altro che piangere per l’imminente partenza del suo piccolo amico, il principe Cảnh, ma voi gli avete dato un motivo per tornare a sorridere”.
“Non ho fatto nulla di straordinario, Maestà… In passato, con il Vostro permesso ho portato anche Sua Altezza la principessa a cavallo”.
“Ma la mia fiera e testarda Madame Royale non era certo innamorata di voi” puntualizzò la Regina ridendo sommessamente, mentre un guizzo birichino tornava a ravvivare i begli occhi turchesi “Forse non ve ne siete accorta, Oscar, ma il Delfino nutre una vera e propria adorazione nei vostri confronti… pensate che ha confidato a suo padre che una volta adulto intende fare di voi la sua Regina!” Il riso, tuttavia, le morì in gola tramutandosi in un singulto soffocato. “Il mio povero bambino… ” gemette affranta.
“Maestà, non dovete disperare…” mormorò Oscar rattristandosi.
“Oh, io non mi rassegno certo, amica mia, ma purtroppo i medici non lasciano molte speranze” proruppe sconsolata la Regina, sollevandosi dal letto e muovendo qualche passo nervoso per la stanza. D’un tratto si fermò, e per un lungo istante restò in silenzio dinanzi alla finestra che si affacciava sulla Cour du Dauphin, fissando pensosa i fiocchi di neve che lievi e copiosi erano iniziati a scendere dal cielo plumbeo. “Sapete, a volte mi chiedo… se tutto questo dolore, questa sofferenza… siano semplicemente la punizione che Dio ha deciso di infliggermi a causa dei miei errori” aggiunse in un sussurro.
“Siete troppo dura con voi stessa, Maestà…” disse Oscar, cercando di celare il sottile disagio suscitato da quelle parole.
“Voi dite?” obiettò la sovrana voltandosi verso di lei e incurvando le labbra in una smorfia colma d’amarezza “Amare un altro uomo al di fuori del matrimonio non sarebbe dunque una colpa?”
Turbata, Oscar non osò replicare: lei per prima, in fondo, un tempo aveva ritenuto tale il legame tra i due amanti, nonostante avesse sempre cercato di giustificare l’infelice regina agli occhi di André e persino di se stessa. Poi Maria Antonietta emise un profondo sospiro e abbozzando un sorriso disse: “Ad ogni modo, non vi ho convocato qui per affliggervi in questi giorni di letizia, amica mia… in realtà volevo esprimervi in privato, prima che la notizia diventi di pubblico dominio, le mie più sincere felicitazioni”.
Felicitazioni?” ripeté Oscar aggrottando la fronte.
“A quanto pare non sarete mia nuora e probabilmente dovrò consolare il principe Joseph per la sua prima delusione d’amore, ma… sono davvero felice per voi, Oscar, il Generale Jarjayes non poteva scegliere uomo migliore!” esclamò di rimando la Regina, ritrovando per un attimo l’antico entusiasmo.
“Maestà, io… non capisco a cosa vi riferiate…” farfugliò l’altra con gli occhi sgranati.
“Sto parlando del vostro fidanzamento con il Maggiore Girodelle, è ovvio! Vostro padre non vi ha informato del colloquio che ha avuto ieri con Sua Maestà il re?” si stupì Maria Antonietta “Eppure al termine dell’udienza ha chiesto anche il vostro congedo in vista delle nozze, congedo che per inciso il re è stato ben lieto di concedergli dopo avermi ovviamente consultato, conoscendo il profondo affetto che nutro per voi”.
Il cuore di Oscar perse un battito
“Dunque io… sarei stata dispensata dal mio incarico in base alla richiesta di mio padre?” domandò con voce tremante, mentre sentiva il sangue affluirle sul viso insieme a un’indefinita sensazione di calore.
 “Sì, Oscar, dalla prossima settimana non sarete più al mio servizio, per lo meno non in veste di colonnello… “ le confermò la Regina, equivocando le ragioni di quella strana reazione “Tuttavia, per me sarebbe un onore e un piacere accogliervi tra le mie dame di compagnia, tanto più che vostra madre ha chiesto di essere dispensata dal suo incarico a Corte per motivi di salute. Naturalmente non mi dovete dare subito una risposta, capisco che non sarà facile per voi adattarvi a una vita così diversa da quella a cui siete avvezza… ma sono sicura che grazie alla comprensione e al sostegno del vostro futuro sposo, riuscirete velocemente a trovare la vostra…dimensione”.
Non un suono uscì dalle labbra di Oscar, mentre ascoltava attonita quel fiume di parole senza realmente seguirne il filo. Un solo pensiero le martellava nella testa: era in trappola. Privandola del suo incarico e annunciando al re il suo fidanzamento con Girodelle come un fatto ormai assodato, suo padre l’aveva messa con le spalle al muro.
In quel momento l’istinto le gridò di ribellarsi: magari poteva confidarsi con la Regina e invocare il suo aiuto, perché non era Victor de Girodelle l’uomo che amava… ma sarebbe servito davvero a qualcosa aprirsi con lei? Per l’amicizia che dichiarava di nutrire nei suoi confronti e per la travagliata liaison con il conte di Fersen, Maria Antonietta sarebbe stata disposta ad appoggiarla pienamente in una scelta che andava al di là delle leggi e delle convenzioni?
Esitò, Oscar, e fu il destino a scegliere per lei. Madame Campan, infatti, in quel momento bussò alla porta per annunciare l’arrivo di Monsieur Leonard e non ci fu modo di riprendere la conversazione.
Rimase però nella stanza, mentre il famoso coiffeur acconciava sapientemente i capelli della sovrana, persa nelle sue cupe riflessioni. Nessuno sembrò badare a lei o alla sua espressione accigliata. Nessuno poteva immaginare la tempesta che le si agitava nel cuore.
Suo padre, l’uomo che le aveva insegnato cosa fossero onore e lealtà, integrità e rispetto, l’aveva tradita. Aveva tramato contro la sua stessa figlia senza batter ciglio, quando lei ancora si macerava tra rimorsi e sensi di colpa al pensiero di deluderlo con la sua fuga. Com’era stata stupida!
Ben presto lo sdegno e la rabbia ebbero la meglio sullo smarrimento e la frustrazione; e quando, più tardi, Oscar rimontò in sella per lasciare Versailles, era giunta alla conclusione che se quella di suo padre era una dichiarazione di guerra, ebbene, lei non si sarebbe tirata indietro.
 
 
 
[1] Mentore o chaperon era una madre, una suocera o una parente che si incaricava di accompagnare in società per almeno due anni una fanciulla appena sposata per insegnarle gli usi del mondo.
[2] Parc Monceau nasce per volere del duca di Chartres che nel 1769 acquistò un vasto terreno suburbano, ampio il doppio dell'attuale estensione del parco, per costruirvi una folie. Nel 1773 il duca affidò a Louis Carrogis Carmontelle l'architettura di un pays d'illusions, popolando il parco di padiglioni eclettici, secondo la moda esotica del giardino anglo-cinese del tempo: vi sorsero così, disseminati tra boschetti e sentieri labirintici, le rovine di un tempio di Marte e quelle di un castello gotico, un minareto, una fattoria svizzera, un mulino olandese, una piramide egizia, una pagoda cinese, una tenda tartara, e vi furono creati due ruscelli che alimentavano un laghetto artificiale circondato da colonne corinzie, la Naumachia. Fino alla rivoluzione il Parc Monceau fu uno dei punti di ritrovo preferiti del bel mondo, sede di feste, spettacoli e vita lussuosissimi. Fonte:Wikipedia.
[3] Attuale Place De Voyages.
[4]Serie di stanze situate dietro il Grand Appartament de la Reine, che si aprivano sui cortili interni della reggia di Versailles; furono gli appartamenti privati delle varie regine di Francia, sino a Maria Antonietta, che li fece ristrutturare tra il 1779 al 1783 (fonte Wikipedia).
[5] Girovagando in rete, abbiamo scoperto che proprio nel 1787 dalla lontana Cocincina – l’odierno Vietnam del Sud – giunse alla Corte di Francia questo particolare duo: il piccolo Cảnh, di soli sette anni, figlio di Áhn, l’unico principe della dinastia Nguyễn sopravvissuto alla rivolta  dei fratelli TâySớne, e il missionario francese Pierre Joseph Georges Pigneau, comunemente noto come Pigneau de Béhaine (1741-1799), incaricato di perorare la causa di Áhn per ottenere l’aiuto militare francese contro i ribelli e riprendere così  il controllo sui territori usurpati. Il principino fu inviato in Francia come segno di amicizia e fiducia nei confronti dei Borbone e fece subito amicizia con il Delfino, che aveva all’incirca la sua età. Il trattato tra i due paesi fu quindi firmato il 21 novembre 1787 dopo mesi di estenuanti trattative, vista la situazione economica e politica della Francia, e nel mese di dicembre i due tornarono in Cocincina.
[6] Questo ambiente, il più vasto all’interno del Petit Appartament de la Reine,  era il cosiddetto Grand Cabinet Intérieur, ma dopo la ristrutturazione voluta da Maria Antonietta nel 1783, in cui la costosa stoffa da parati fu sostituita da pannelli lignei dorati progettati da Richard Mique e realizzati dai fratelli Rousseau, fu comunemente denominato“Cabinet Doré”; era in pratica l’ufficio privato della regina, dove Maria Antonietta s’intratteneva con gli ospiti o prendeva lezioni di clavicembalo o arpa.
[7] Jeanne Louise HenrietteGenet, (1752-1822), più nota come Madame Campan dopo il matrimonio con il guardarobiere della contessa di Artois Monsieur Campan, pur non essendo nobile ricevette un’ottima educazione e fu dapprima lettrice per le figlie di Luigi XV, quindi nel 1770 fu assegnata come cameriera alla principessa Maria Antonietta, che la nominò prima cameriera (Première femme de Chambre) nel 1786, importante incarico che prevedeva la direzione delle varie attività della Regina nelle sue stanze private.
[8] la piccola Sofia Elena Beatrice, nata nel luglio 1786, morì nel Castello di Meudon nel giugno del 1787; a tale proposito, su Wikipedia è citato un curioso quanto triste aneddoto, riguardante il famoso quadro commissionato alla Le Brun, che raffigura Maria Antonietta con i figli. Ebbene, a causa della morte della principessina, la pittrice di Corte fu costretta a toglierla dal dipinto e a lasciare la culla desolatamente vuota, indicata dal principino Joseph. Come sappiamo, questi morì a sua volta due anni più tardi, evento che indusse Maria Antonietta a far portar via il quadro perché le recava troppo dolore.

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Capitolo 12
*** Dritto al cuore ***


Dritto al cuore
 
 
“Come avete detto di chiamarvi?”
 
Oscar soffocò un’imprecazione, incrociando lo sguardo beffardo del soldato alla guardiola. Doveva restare calma, si disse, ma non poté fare a meno di pensare che avrebbe volentieri strozzato quell’uomo dal sorrisetto strafottente con il suo stesso foulard[1]… ma poi, che razza di abbigliamento era, in barba a qualsiasi regolamento? Erano militari o filibustieri?
“Ve lo ripeto per l’ennesima volta, sono il Colonnello delle Guardie Reali Oscar François de Jarjayes e devo conferire con il vostro comandante!” ringhiò stizzita.
“Perdonatemi signore, potete essere anche re Luigi, ma come vi ho già detto, in assenza di un lasciapassare a quest’ora non sono autorizzato a far entrare chicchessia. Tornatevene a casa e magari ne riparleremo domani” replicò serafico il soldato.
“Non è una questione che può attendere domani, maledizione!” sbottò esasperata, tirando un poco le redini per placare César, che come lei iniziava a dare segni di insofferenza, scalpitando nervoso. Era ormai da una decina di minuti, infatti, che stava discutendo con quell’uomo irritante per farsi aprire i cancelli della caserma e iniziava davvero a spazientirsi. Purtroppo, al contrario di quanto auspicato lungo la strada, non era bastata l’uniforme né qualificarsi come il comandante delle Guardie Reali per raggiungere il suo scopo…
“Mi dispiace, ma non posso contravvenire alle disposizioni del colonnello d’Agoult” ribadiva intanto il soldato.
“Bene, allora limitatevi ad avvisarlo che sono qui e che chiedo di parlargli!”
“Non sono autorizzato ad allontanarmi da…”
“Mi pare che non siate l’unico soldato di guardia in questa caserma! Dannazione, mandate qualcun altro ad avvisare il vostro comandante o giuro su Dio che vi farò rapporto, soldato…”
“Soisson. Soldato Alain Soisson” disse l’uomo senza scomporsi dinanzi a tanta furia e lanciandole piuttosto un’occhiata divertita “Non serve che vi scaldiate tanto, colonnello Oscar François de Jarjayes… se proprio vi preme questo colloquio, vedrò che posso fare” e senza darle modo di replicare, dopo aver dato voce alla sentinella in garitta raccomandandosi di non farla passare, si allontanò dalla guardiola lasciandola sotto la neve, con il vento che le sferzava la faccia e il cuore denso di angoscia.
Dopo alcuni interminabili minuti, il soldato Soisson ritornò con un giovane ufficiale biondo che portava sull’uniforme i gradi di tenente. Questi, accertatosi dell’identità dell’inatteso visitatore – che più volte aveva visto al seguito della Regina e conosceva di fama – si affrettò a farla entrare per condurla dal Colonnello, avendo prima cura di scusarsi per l’eccesso di zelo dell’incauto sottoposto, che non esitò a redarguire con durezza. Tuttavia, benché aspramente rimproverato per la sua inettitudine, il soldato Soisson non si scompose più di tanto, e smontando da cavallo Oscar non poté fare a meno di notare che la sfuriata del tenente non aveva minimamente intaccato l’espressione vagamente insolente che connotava il suo volto.
Poco male, pensò infastidita, aveva ben altro di cui occuparsi che dei problemi di disciplina che non le competevano. Indubbiamente, però, se fosse stato un suo sottoposto, avrebbe volentieri dato una lezione a quel Soisson …
“Colonnello, non posso che esprimervi il mio sincero rammarico per l’accaduto” si scusò nuovamente l’ufficiale, strappandola alle sue considerazioni.
“Non avete nulla di cui rimproverarvi, tenente, il soldato Soisson stava rispettando le consegne” si limitò a rispondere educatamente lei “La perspicacia, purtroppo, non è di tutti” aggiunse quindi con uno sguardo eloquente in direzione della sentinella, che per tutta risposta la fissò sornione.
 
 
Un silenzio quasi irreale avvolgeva la caserma in rue de la Chausée-d’Antin, mentre Oscar ne percorreva i gelidi corridoi al seguito dell’ufficiale che la stava conducendo dal colonnello d’Agoult[2]. Con una punta d’inquietudine, la donna non poté fare a meno di domandarsi se alla fine sarebbe riuscita nell’intento di vedere André.
Le sfuggì un sospiro. Purtroppo, niente quel giorno era andato come avrebbe dovuto: a causa del malore della Regina aveva lasciato la reggia solamente in tarda serata e la neve, per quanto non abbondante, le era stata d’intralcio lungo la strada, con il risultato che era arrivata nella locanda dove di solito s’incontrava con André solo quando il giovane era ormai rientrato nelle camerate.
Non trovarlo e decidere di andare da lui era stato un tutt’uno: certo, aveva azzardato molto presentandosi lì a quell’ora, ma quanto appreso dalla Regina non ammetteva né deroghe né prudenza; ormai non sapeva più cosa aspettarsi da suo padre, anticipare la partenza era forse l’unica mossa che le rimaneva per batterlo sul tempo.
“Ecco, comandante, siamo arrivati” le annunciò in quel momento il giovane tenente, fermandosi dinanzi a una porta chiusa. Il soldato che vigilava su di essa, poco più di un ragazzo dai capelli rossicci e il volto pieno di lentiggini, si scostò prontamente per dare modo al suo superiore di bussare.
Oscar si ritrovò così in un’ampia stanza arredata sobriamente: pochi quadri, una libreria, un camino di marmo bianco nel quale ardevano ancora due grandi pezzi di legna e, poco lontano, davanti alla finestra, una grande scrivania intarsiata dietro la quale sedeva un uomo alto e segaligno che doveva essere il colonnello d’Agoult. Al suo ingresso costui si alzò per salutarla, per poi invitarla, in tono gentile ma fermo, a liberarsi del mantello ormai bagnato e a sedersi davanti al fuoco.
Provata dal freddo e dalla tensione, Oscar non se lo fece ripetere due volte e accettò di buon grado: dopo aver cavalcato nella bufera da Versailles a Parigi, il gelo le era entrato nelle ossa.
“Il vostro arrivo è stato davvero una sorpresa, colonnello Jarjayes” esordì quindi d’Agoult con un sorriso cordiale, dopo aver congedato il tenente  con un cenno del capo “Come sta vostro padre?”
“Lo conoscete?” domandò lei stupita.
“Ho avuto quest’onore sette anni fa, seppur nella triste circostanza dei funerali a Meylan[3] del Generale Bourcet[4]. Vostro padre era lì dal giorno prima, io invece facevo parte della delegazione di ufficiali giunta da Parigi per rendere l’ultimo omaggio al luogotenente generale di Francia” le spiegò il Colonnello.
“Probabilmente ne avrei fatto parte anch’io, se in quei giorni non mi fossi trovata in Normandia per una licenza” rammentò Oscar con una punta di rimpianto “Confesso che mi dispiacque molto non poter partecipare alle esequie: Bourcet non era soltanto un grande uomo d’armi e un insigne cartografo, ma anche un caro amico di famiglia. Mio padre gli era profondamente legato, avendo a lungo collaborato con lui quando era di stanza a Grenoble, tanto che partì immediatamente per Meylan non appena saputo del suo peggioramento… purtroppo non arrivò in tempo”.
“Sì, rammento questo episodio… fu proprio vostro padre a parlarmene all’epoca, rammaricandosi del suo presunto ritardo. Tuttavia, chi poteva immaginare, nonostante l’età avanzata, che un banale raffreddamento potesse condurre alla morte il grande Bourcet?” osservò d’Agoult alzando le spalle.
“Sic transit gloria mundi[5]” chiosò laconica Oscar.
“Sì, è così… anche se a volte vorremmo dimenticarlo” convenne l’uomo con un mesto sorriso, alzandosi in piedi per avvicinarsi a una piccola consolle “Ad ogni modo, colonnello Jarjayes… “ proseguì porgendole un bicchiere di cognac “posso sapere il motivo che vi ha condotto qui, in piena notte, con questo tempo?”
 Con studiata noncuranza, Oscar accettò il calice e alzò lo sguardo verso il Colonnello, che si era appena seduto sulla poltrona davanti a lei e la scrutava perplesso in attesa di una risposta. Per un istante esitò. Le sembrava un brav’uomo, il colonnello d’Agoult, lo stesso André glielo aveva descritto come un superiore giusto e leale per il quale avevano ancora valore parole quali onore e dignità. Forse era proprio per questo che, nonostante l’aspetto severo e l’austerità dei modi, quell’ufficiale sulla quarantina dai penetranti occhi neri le ispirava istintivamente simpatia e rispetto, rendendole così ancor più difficile mentirgli. Peccato, però, che non avesse altra scelta…
 “Ho l’ordine di interrogare uno dei vostri uomini” rispose dunque con sussiego per dissimulare il proprio disagio.
“E chi, di grazia?” domandò incuriosito d’Agoult.
“Il soldato André Grandier”.
“Grandier… la nuova recluta?” si stupì l’ufficiale “E per quale motivo, se mi posso permettere?”
“In realtà si tratta di una questione molto delicata di cui non posso parlarvi”.
“Capisco…”
“…anzi, vi pregherei di mantenere il massimo riserbo anche riguardo alla mia presenza qui questa sera”.
“Potete contare sulla mia assoluta discrezione riguardo alla vostra visita di stasera, vi do la mia parola colonnello Jarjayes, e vi assicuro che i soldati che vi hanno visto manterranno la medesima riservatezza…” replicò condiscendente D’Agoult.
“Ve ne sono grata”.
“Tuttavia” continuò serio l’uomo puntando lo sguardo scuro in quello limpido di lei “se la vostra richiesta è legata alla questione dei fucili, non intendo farmi da parte, dal momento che quanto avviene in questa caserma è sotto la mia diretta responsabilità”.
“Vi assicuro che non so nemmeno di che cosa stiate parlando, colonnello… il soldato Grandier ha delle informazioni da riferirmi, ma non hanno nulla a che vedere con i vostri fucili, sono piuttosto attinenti a questioni relative al mio… comando” si affrettò a ribattere Oscar “Di più non posso dirvi”.
“Dunque Grandier sarebbe un vostro informatore?” la incalzò d’Agoult aggrottando la fronte “Una specie di spia?”
“No, non lo è” negò lei con fermezza “In realtà il soldato Grandier è casualmente venuto a conoscenza di queste informazioni, e ha pensato di avvisarmi solo perché per molti anni è stato al mio servizio come attendente”.
 “Capisco” ripeté pensoso d’Agoult, stirandosi i lunghi baffi neri. “Questo spiega molte cose…”
 “Che cosa intendete dire?”domandò Oscar, cercando di mascherare il suo turbamento dietro a un distacco che era ben lungi dal provare.
“Innanzitutto che ho finalmente chiaro come mai i modi di quel giovanotto fossero così diversi da quelli degli altri soldati…” osservò l’ufficiale con uno strano sorriso” E poi… in tutta onestà… questo spiega anche perché abbia riferito prima a voi, anziché al suo diretto superiore”.
“Vi assicuro che non era affatto intenzione del soldato Grandier mancarvi di rispetto… “ ribatté Oscar, che in quel momento tutto voleva fuorché urtare la suscettibilità del suo interlocutore “semplicemente, una volta edotto su quanto scoperto da André, ho ritenuto più opportuno…”
“State tranquillo, comandante Jarjayes, la mia è soltanto una considerazione priva di qualsiasi acrimonia” la interruppe divertito d’Agoult  “Anzi, poiché con la mia petulanza vi ho fatto perdere sin troppo tempo e che per di più non ho alcuna intenzione di mettere in discussione questioni legate presumibilmente alla sicurezza dei sovrani… vi faccio subito chiamare il soldato Grandier“ concluse affabilmente sollevandosi dalla sua poltrona e, affacciatosi nel corridoio, ordinò al soldato di guardia di convocare immediatamente André Grandier.
“Vi ringrazio” mormorò sollevata Oscar.
“Dovere, colonnello” replicò d’Agoult tornando a sedersi “Naturalmente potete rimanere qui a parlare con Grandier, sarò ben felice di fare due passi con il soldato Lasalle prima di ritornare alle mie scartoffie” aggiunse scherzosamente, indicando la pila di documenti sulla sua scrivania “Certo, vi confesso che avrei preferito cedervi questo ufficio in via permanente, ma a quanto pare Sua Maestà non ha ancora sciolto la sua riserva…”
“A cosa vi riferite?” fece perplessa Oscar.
“Dalla vostra domanda, deduco che non siete a conoscenza di quanto accada negli altri reggimenti, colonnello Jarjayes” osservò allora l’ufficiale con una punta d’ironia “Ebbene, dovete sapere che Sua Maestà il re non ha ancora nominato il successore del duca Biron[6], purtroppo deceduto ormai da quasi due mesi, e per un attimo, quando vi ho visto là fuori sotto la neve, ho creduto e sperato che la scelta fosse ricaduta su di voi…”
“Dunque non avete ancora un comandante?” si meravigliò la donna.
“Allo stato attuale è così, per cui in questa caserma sono io a farne le veci ad interim” le spiegò d’Agoult “E’ un incarico che fino a qualche anno fa sarei stato ben felice di ricoprire, ma purtroppo ora mia moglie è gravemente malata e a causa dei miei impegni, non riesco a starle vicino come vorrei”.
“Mi dispiace…” mormorò Oscar, commossa dall’ombra di tristezza che aveva ammantato lo sguardo dell’ufficiale.
“Purtroppo la vita non va sempre come vorremmo, colonnello… anzi, il più delle volte è il destino a decidere per noi”.
Quelle parole colme di amarezza risuonarono nella mente di Oscar come un cupo presagio… suo malgrado rabbrividì.
Si chiese allora se davvero fosse così, se anche la sua vita e quella di André fossero alla mercé di un Fato volubile e baro. Al solo pensiero, l’anima si ribellò… proprio mentre, confuso e inquieto, André bussava alla porta dell’ufficio, materializzandosi di colpo nella stanza.
 
 
 
“Che cosa è successo?” domandò preoccupato André non appena d’Agoult si fu chiuso la porta alle spalle. “Perché sei qui?” insisté “Ho creduto che con questo tempo fossi rimasta bloccata a Versailles…”
Per tutta risposta Oscar sospirò, e facendosi più vicina gli prese una mano tra le sue. “Dobbiamo partire entro questa settimana, André” gli disse accennando appena un sorriso.
Il giovane la guardò attonito.
“Entro questa settimana? Oscar, sai anche tu che è impossibile, i documenti…”
“Al diavolo i documenti!” esplose lei “Di’ a Bernard di darsi una mossa, maledizione, dopo quello che abbiamo fatto per lui sarebbe il minimo, non credi? Sollecitasse chi vuole, ma noi dobbiamo partire entro domenica, André, non possiamo più aspettare!”
“Ma… si può sapere che ti prende?!” esclamò André, che non riusciva a capire né la tensione di Oscar, né il motivo di quell’improvvisa premura “Ora calmati e spiegami che diamine sta succedendo!”
“Mio padre…” sibilò lei, serrando la mascella in un moto di stizza.
“Immagino che continui a farti pressioni…” constatò turbato.
“Immagini bene… ma purtroppo non si sta più limitando solo a questo” gli rivelò Oscar sorridendo amaramente “Devi sapere che questo pomeriggio, in privato, Sua Maestà la Regina si è voluta congratulare con me per le imminenti nozze con il Maggiore Girodelle… peccato, però, che io non ne sapessi niente, dal momento che è stato mio padre a comunicare la notizia ai sovrani, richiedendo con l’occasione al re, in mia vece, il congedo permanente dalle Guardie Reali! Capisci, André?” proruppe con rabbia, stringendo i pugni “Mentre io in questi giorni mi lasciavo assalire dal senso di colpa al pensiero di tradirlo, progettando di fuggire insieme a te, lui mi ha pugnalato alle spalle senza pensarci due volte, pur di raggiungere i suoi scopi!”
Per un momento tacque, André, come se stesse riflettendo su quanto aveva appena appreso, quindi osservò in tono pacato:
“Capisco cosa stai provando, Oscar, ma non essere così dura… Probabilmente è convinto di agire per il tuo bene”.
“Non ne sarei così sicura” obiettò lei scrollando il capo.
“Io credo invece che sia arrivato a questo punto soltanto perché pensa di proteggerti. Tu stessa mi raccontasti che, all’indomani del mio ferimento, riconobbe dinanzi a tua madre di aver commesso un errore crescendoti come un soldato”.
“Solo perché si era reso conto che il nome dei Jarjayes si sarebbe estinto con me…”
“Questo non puoi dirlo, Oscar…”
“L’ho sentito pronunciare dalle sue labbra![7]
“Non me lo avevi mai detto…” mormorò incupito André.
“All’epoca non gli avevo dato importanza, non potevo certo immaginare quello che sarebbe successo, anche se, conoscendo mio padre, avrei dovuto…” gli spiegò lei “Ad ogni modo, ora dimmi, André… sei ancora convinto che le scelte di mio padre siano dettate unicamente dal suo amore per me?”
André scosse la testa. “Per un uomo del suo rango è normale che la perpetuazione del casato abbia tanta importanza, non a caso ti ha cresciuto come un uomo. Questo però non cambia i sentimenti che nutre nei tuoi confronti” dissentì.
“Io non ti capisco… lo stai giustificando?” gli chiese incredula Oscar.
 “No Oscar, non voglio giustificarlo… sto solo cercando di capire le ragioni alla base del suo comportamento, per tentare di comprendere le sue prossime mosse”.
“Le sue prossime mosse a questo punto sono piuttosto intuibili, non trovi?” replicò lei caustica.
“Non può costringerti con la forza a sposarti, Oscar. Non sei un’educanda uscita dal convento, ancora sottoposta al volere paterno” ribatté pragmatico André.
“Gli basterebbe scoprire di noi… ”
Nonostante la sicurezza mostrata fino a quel momento, dinanzi a quell’ipotesi il giovane accusò il colpo e impallidì vistosamente.
“Credi… credi che abbia capito qualcosa?”
“Non lo so, André… ma se soltanto lo sospettasse, potrebbe usarlo a suo vantaggio, Dio solo sa in che modo”.
Per un lungo istante André rimase di nuovo in silenzio, cercando di raccogliere le idee e di ignorare il nodo d’angoscia che gli stringeva la gola da quando era entrato in quella stanza e aveva iniziato a parlare con Oscar. In realtà, se già l’improvvisa accelerazione del Generale lo aveva messo in ansia, poiché rifletteva la volontà dell’uomo di chiudere la faccenda, i sospetti di Oscar alimentavano le sue paure più profonde, quelle che aveva cercato di soffocare nel corso dei mesi a ogni incontro clandestino, a ogni bacio rubato. Non osava neppure immaginare la reazione di Augustin de Jarjayes se avesse scoperto la loro relazione… in particolare, aveva il terrore di quello che avrebbe potuto fare a sua figlia. Costringerla a sposare Victor de Girodelle sarebbe stato, in fondo, il male minore.
“Forse… forse hai ragione” riconobbe allora cupamente “Restare a Parigi inizia a essere troppo rischioso… tuttavia espatriare senza documenti sarebbe difficile, se non impossibile, specie per la traversata”.
“Potremmo cambiare destinazione e farci spedire i documenti da Bernard in un secondo momento oppure imbarcarci clandestinamente...  in ogni caso dobbiamo partire al più presto, André: senza la divisa, di fronte alla legge e alla società io… sono solo una donna” sottolineò lei con un fil di voce.
“Allora partiamo. Anche domani, se vuoi” disse d’impulso André increspando la fronte e attirandola a sé.
Il volto di Oscar si distese in un sorriso.
“Dammi solo il tempo di preparare alcune lettere di cambio a mio nome. Credo che per sabato saranno pronte”.
“Sabato, perfetto. Ho un intero giorno di licenza e non si accorgerebbero della mia diserzione se non in tarda serata” mormorò lui, chinandosi a imprimerle un tenero bacio sulle labbra.
“Bene, allora è deciso e… stavolta sarò puntuale” sussurrò lei rauca, staccandosi a malincuore dal calore morbido della sua bocca.
 “In ogni caso cerca soprattutto di stare all’erta e di apparire a tuo padre il più normalmente ferma e ostinata possibile” le consigliò André sorridendo a sua volta “Stai attenta, non possiamo permetterci la minima distrazione”
“Stai tranquillo… terrò gli occhi aperti” lo rassicurò lei “E… sarò scontrosa nella norma”.
“Bene. Allora direi… che è ora di andare. A Palazzo Jarjayes saranno preoccupati…”
“Ho mandato un messaggero per dire che mi sarei trattenuta alla reggia per la notte, dato il tempo ma… sì, credo che sia il caso di rientrare” convenne la donna stringendosi nelle spalle.
“Credo anch’io” replicò laconico André, distogliendo lo sguardo dal volto di lei “Ora vai… o non so se sarò capace di lasciarti andare”disse sciogliendola dalle sue braccia.
“André, io…” mormorò Oscar, tornando a cercare i suoi occhi, e forse le loro labbra si sarebbero unite in un ultimo bacio, se d’improvviso la porta non si fosse spalancata bruscamente e alcuni soldati con la divisa verde dell’esercito francese non avessero fatto irruzione nella stanza coi fucili in mano, seguiti da un imbarazzato colonnello d’Agoult.
“Ma... ma che significa?” domandò esterrefatta Oscar vedendo i soldati circondare André.
“Mi dispiace, colonnello Jarjayes, ma hanno un mandato di arresto e non ho potuto impedire che venissero qui…” disse desolato d’Agoult.
“Un mandato di arresto? Ma cosa…”
“Siete voi André Grandier?” domandava nel frattempo quello che doveva essere il capitano del drappello.
”Sì, sono io” rispose pallido il giovane.
“Siete pregato di seguirci senza fare resistenza, soldato. In nome di Sua Maestà il re, siete in arresto” gli comunicò freddamente l’ufficiale.
 “Un momento, che significa? Su che base lo arrestate? Con quale accusa?” si agitò Oscar.
“Non vi riguarda” pronunciò seccamente il Capitano, facendo cenno di portare via il prigioniero.
“Sì che mi riguarda! Non avete alcun diritto di arrestare un uomo senza dire di cosa che è accusato!” proruppe Oscar fuori di sé, posando istintivamente la mano sulla spada e muovendo un passo in avanti.
“Oscar, calmati!” esclamò André vedendo che alcuni fucili erano ora puntati su di lei “Deve esserci un equivoco!”
“Ottimo suggerimento, soldato” convenne in tono asciutto il Capitano rivolgendo alla donna uno sguardo astioso “e comunque non ci sono equivoci… Ecco, leggete pure se sapete farlo” aggiunse sprezzante consegnando il mandato ad André.
Questi scorse velocemente il documento, poi sollevò la testa e con gli occhi spalancati di sorpresa guardò Oscar senza riuscire a proferir parola.
“Portatelo via!” ordinò bruscamente l’ufficiale in quel momento, strappandogli il foglio dalle mani e poggiandolo con un sonoro colpo sulla scrivania di d’Agoult.
 “Maledizione, che cosa credete di fare!” gridò Oscar scagliandosi verso i soldati, che intanto avevano afferrato le braccia di André per legargli i polsi dietro la schiena. Avrebbe senza dubbio commesso una pazzia, se d’Agoult non l’avesse trattenuta, afferrandola a sua volta per un braccio,
 “Maledizione, lasciatemi d’Agoult, cosa fate?!” urlò stravolta cercando di divincolarsi, mentre le guardie, seguite dal loro Capitano, lasciavano la stanza portando via André.
“Vi evito la Corte Marziale, colonnello! O credete che così facendo sarete di aiuto al vostro amico?” le soffiò l’uomo in un orecchio senza allentare la presa “Vi consiglio vivamente di fare come vi ha suggerito il soldato Grandier e cercate di calmarvi!”
Con le labbra serrate per la rabbia, inalando profondamente Oscar cercò di dominarsi, finché con un lamento stizzito si arrese.
Soltanto allora d’Agoult allentò la presa liberandola. Come svuotata, la donna si lasciò cadere su una sedia e si prese la testa fra le mani. Le tempie pulsavano come impazzite.
“Di che cosa è accusato?” mormorò tremante alzando il viso verso l’ufficiale, che intanto, preso dalla scrivania l’ordine di arresto, lo stava leggendo.
“Furto e contrabbando di armi a fini eversivi”
“Armi?” ripeté lei con gli occhi sgranati “Ha a che fare con la storia di cui mi avevate accennato poc’anzi?”
“No, Colonnello, non credo… quella è una questione che riguarda pochi fucili, ufficialmente persi ma con tutta probabilità venduti dai rispettivi proprietari per raggranellare qualche soldo in più… una questione che va avanti da molto prima che il soldato Grandier si arruolasse in questo reggimento e che non può giustificare un’accusa di una simile gravità”.
“E’ assurdo, non è possibile… “ gemette Oscar passandosi una mano fra i capelli “Ci deve essere un equivoco, fino a due mesi fa André era alle mie dipendenze, come avrebbe mai potuto imbastire un traffico del genere a mia insaputa?”
“Non so che dire, colonnello. Il mandato non dice molto altro”
“Posso vederlo?” domandò nervosa “Si può sapere chi diamine l’ha firmato?”
D’Agoult sospirò, allungandole il foglio con aria affranta.
“Mi dispiace, colonnello”
A quelle parole, Oscar prese il mandato e scorse velocemente le poche righe. Quando infine i suoi occhi si posarono sul nome in calce al capo d’imputazione, si lasciò sfuggire un gemito strozzato,  riconoscendo la firma chiara e sicura del generale François Augustin Reynier, conte de Jarjayes.


 
 
[1] Ringraziamo gr_lady 863 per l’ispirazione di questo pensiero malsano di Oscarina ;)
[2] Abbiamo scoperto grazie a Wikipedia che in quegli anni è esistito realmente un ufficiale di nome d’Agoult: si tratta di Louis Annibal di Saint-Michel d'Agoult (1747-1810), appartenente a una nobile famiglia francese e all’epoca brigadiere; fu nominato colonnello, o meglio maresciallo di campo solo nel marzo del 1788 (titolo che sotto la Rivoluzione Francese, nel 1793, verrà sostituito dal termine “generale di brigata”, usato erroneamente dall’Ikeda nel manga per indicare i gradi di Oscar), ma ovviamente, per non generare confusione, seguiamo la terminologia di manga e anime!
[3] Cittadina situata nell’attuale regione dell’Alvernia-Rodano-Alpi, dipartimento dell’Isére, all’epoca facente  parte del cosiddetto Delfinato, nella Francia sud-orientale.
[4] Pierre Joseph de Bourcet (1700-1780),  luogotenente generale degli eserciti francesi nonché diplomatico e illustre cartografo, ebbe ai suoi ordini come aiutante di campo il vero Generale Jarjayes, che ne sposò in prime nozze la nipote quindicenne Marie Anne Louise Bourcet de la Saigne. Una curiosità: il fratello di Marie Anne, Pierre Jean, adottato dal facoltoso zio (che era senza figli), dopo aver militato nell’esercito fu nominato primo valletto del Delfino, a cui era sinceramente legato, e fu proprio tra le sue braccia che lo sfortunato bambino spirò il 4 giugno 1789 (fonte Wikipedia francese).
[5] Citazione latina “Così passa la gloria del mondo”, usata per lo più alla morte di grandi personaggi a indicare la caducità della condizione umana di fronte alla morte.
[6] Il duca Biron, comandante dell’intero reggimento delle Guardie Francesi, fu sostituito solo nel  1789, poco prima dello scoppio della rivoluzione, dall’odiato duca du Châtelet
[7] Cap 2, “La Prigione dei Sogni”, quando Oscar ricorda l’episodio del ferimento di André per mano del Cavaliere Nero

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Capitolo 13
*** Segreti di famiglia ***


Segreti di famiglia
 
Raccogliendo la rabbia e cercando di soffocare le emozioni, avendo negli occhi l'immagine di André portato via con le mani legate dietro la schiena, Oscar abbandonò rue de la Chausée-d’Antin e si precipitò al galoppo verso palazzo Jarjayes con l'intento di affrontare suo padre.
Non riusciva a capacitarsi che l'ordine di arresto portasse la sua firma; le accuse mosse ad André erano talmente assurde da avere dell'incredibile. Nessuno che lo conoscesse minimamente avrebbe mai potuto credere che si fosse reso colpevole di contrabbando d'armi, e se suo padre aveva avallato quella ridicolaggine, senza peraltro fargliene prima parola qualora ne avesse avuto anche un minimo sospetto, non poteva che avere un significato: sapeva e quello era il metodo scelto per mettere fine alla cosa.
Sì... ne era certa, in un qualche modo doveva aver saputo o capito... Non c'era altra spiegazione e da quando era saltata in groppa a Cesar non faceva che pensare a come tirar fuori André da quella dannata prigione, a come affrontare quella maledetta situazione.
Mente e cuore le ardevano... I pensieri si urtavano l'un l'altro e l'ansia che sentiva in petto era talmente forte da stordirla, soffocandone la lucidità di ragionamento al punto che nessuna idea riusciva a prendere distintamente forma. L'unica cosa che davvero riusciva a pensare oltre al fatto che André ora si trovava rinchiuso in qualche cella buia e fredda del carcere dell'Abbazia, era che avrebbe finalmente detto a chiare lettere a suo padre dell'amore che nutriva per l'uomo che aveva fatto tanto meschinamente, arrestare; che gli avrebbe gridato la rabbia per la sua grettezza, il disgusto per la pochezza con cui intendeva piegarla e per tutte le convenzioni sociali e gli egoismi personali per i quali era disposto a calpestare ogni onore, rispetto e  altro principio le avesse insegnato e di cui era solito gloriare se stesso ed il nome dei Jarjayes!
Ma forse no... Non poteva... Se lo avesse affrontato in quel modo, se lo avesse colpito in maniera così dura e diretta il Generale si sarebbe ulteriormente irrigidito, lo conosceva... E soprattutto sapeva quanto non tollerasse che si mettessero in discussione quelle che riteneva le regole  fondanti della società, non poteva rischiare di trasformare in una pericolosa guerra di principi quello che le occorreva restasse, per quanto spinoso, uno scontro personale. Suo padre stimava André, di questo era certa, più volte lo aveva detto e dimostrato, e se lui fosse stato di nobili natali, era sicura che non avrebbe battuto ciglio sulla loro relazione, ma che anzi, probabilmente, avrebbe caldeggiato la loro unione...  Era su questo che doveva far leva se voleva tirarlo fuori dall'Abbazia... Ricordare a suo padre il valore dell'uomo che era André e non lo  status che per mero per fato rivestiva.
L'aver deciso la strada da percorrere per quanto acquietò un po' l'a sua agitazione non riuscì tuttavia a spegnerne la rabbia, così quando varcò la soglia di Palazzo Jarjayes , Oscar aveva la calma austera del guerriero pronto ad affrontar battaglia.
Liberatasi del mantello che consegnò frettolosamente al valletto che le era venuto incontro, si avviò su per le scale. Era poco più tardi delle undici e il Generale, come da sua abitudine, doveva certamente essere ancora nel suo studio. Con animo e passo deciso, attraversò le eleganti sale silenziose e fiocamente illuminate da pochi candelieri ancora accesi nell'ora in cui il Palazzo si preparava al sonno, pensando a quante volte in quella stanza aveva dovuto  fronteggiare suo padre e le sue decisioni, e a come per tutta la vita avesse dovuto subirle. Ebbene quel tempo stava per finire, quella sera, in quello stesso studio, in un modo o nell'altro avrebbe recuperato le redini della sua vita e l'avrebbe orientata, una volta e per sempre, verso il lato che lei desiderava.
Giunta all'uscio dello studio ebbe tuttavia un ultimo attimo di esitazione, cosciente dell'importanza delle conseguenza di quanto sarebbe avvenuto in quella stanza.  L'alta porta bianca era socchiusa ed una  luce tremula filtrava dall'interno da cui proveniva un rumore di passi ed un leggero odore di fumo di candela. Oscar posò la mano sulla maniglia, se c'era una cosa che aveva imparato era che con suo padre, come con il resto del mondo, ad eccezione di André, non doveva dimostrare debolezza ma apparire sempre forte decisa e sicura di sé. Con un sospiro alzò il mento e le spalle e senza annunciasi ed esitare oltre entrò nella stanza.
 "Padre..."
Un domestico in livrea scarlatta, con in mano uno spegnitoio quasi sobbalzò e si voltò sorpreso per poi inchinarsi subito in un saluto.
"Il Generale?" Chiese Oscar  dopo aver velocemente scrutato la stanza "Si è già ritirato?"
"No, Vostra Signoria" rispose l'uomo compito "Un soldato del reggimento del Signor Generale  è venuto a consegnargli un messaggio ed Egli ha lasciato il Palazzo circa mezz'ora fa..."
"Non ha detto quando sarà di ritorno? Il motivo per cui è stato chiamato? Dove andava?" Chiese Oscar visibilmente irritata dall'imprevisto.
"No Colonnello, mi dispiace non so dirvi altro... posso però chiedere a..."
"Il Suo Reggimento è stato chiamato d'urgenza a Libourne a causa di non so bene quale disordine[1]"
La voce limpida di Madame de Jarjayes tolse d'impaccio il confuso domestico che si inchinò profondamente  alla Signora Contessa, per poi uscire congedato da un suo cortese cenno del capo.
Voltatasi Oscar aggrottò la fronte e fissò sua madre, che avanzò nella stanza.
"Di più preciso non saprei dirti Oscar" disse con un sospiro Madame Marguerite
 "Tuo padre  parla poco, lo sai; è come te, va... viene...  ed è sempre tanto pensieroso. Ultimamente poi gli impegni ed il silenzio  sembrano essere raddoppiati, come  per te del resto... Comincio a pensare che potrei addirittura rimpiangere le chiacchiere e la confusione della vita di corte ora che ho deciso di lasciare il servizio Sua Maestà la Regina..."
Un sorriso stanco increspò le labbra di Oscar che volgendo le spalle a sua madre raggiunse la massiccia scrivania di mogano scuro che troneggiava al centro della stanza e vi si poggiò.
"Sembrerebbe che la reticenza sia un tratto di famiglia, madre." Osservò in tono amaro slacciandosi l'alamaro che le teneva la giacca stretta al collo. "Giusto oggi ho saputo della vostra decisione di lasciare il servizio di Sua Maesta. È stata la Regina stessa a darmi la notizia... e non è stata l'unica cosa che non sapevo e di cui la nostra amata Sovrana ha avuto la compiacenza di informarmi..." Aggiunse incrociando le braccia al petto e guardandola dritta negli occhi.
Il viso di Madame Jarjayes si fece scuro.
"Oh... Mi dispiace Oscar..."
"Anche voi ne eravate al corrente dunque..."
"Sì... tuo padre mi aveva avvisata di questa sua intenzione, ma mi aveva promesso che prima te ne avrebbe parlato... Che ti avrebbe avvisata perlomeno..." si giustificò Marguerite in tono accorato.
"Davvero? E voi gli avete creduto?" Domandò Oscar con asprezza "Non avete pensato che non avrebbe mai fatto qualcosa di tanto stupido come avvisarmi che aveva deciso di calpestare in maniera definitiva la mia volontà  mettendomi innanzi ad un fatto compiuto!? Perché mai l'avrebbe dovuto fare, per correttezza forse? O magari per rispetto... O per qualcuna di tutte quelle altre belle parole di cui a quanto pare ama solo riempirsi la bocca!"
Madame Jarjayes trasalì.
"Oscar..."
"E del resto, se pure me l'avesse detto secondo voi sarebbe cambiato qualcosa? Credete forse che spaventata dalla prospettiva di contraddire la volontà di mio padre nel momento in cui fosse stata rafforzata dal consenso delle loro Maestà, avrei ceduto e acconsentito in silenzio? Che il timore di uno scandalo mi avrebbe fatto desistere? Che la paura delle chiacchiere mi avrebbe fatto tacere il trascurabile particolare che i suoi desideri non coincidono con i miei? Non conoscete bene né lui né me a quanto pare..."
"Sei ingiusta Oscar" ribatté Marguerite in tono fermo, ma con voce mesta. "Tu sai bene quanto certe decisioni prese da tuo padre mi abbiano addolorata. Ciò che non sai è quanto abbia sperato, e pregato, perché tu nonostante tutto riuscissi a vivere una vita serena, aggrappandomi alla speranza che saresti potuta essere padrona di te stessa... Ma non è possibile Oscar... Forse non lo è mai stato e ad ogni modo non lo è più ora... Non dopo quello che tuo padre ha scoperto..." Scosse la testa Marguerite e lo sguardo s'incupì di tristezza "Mi dispiace figlia mia.." disse cercando i suoi occhi.
Un tuffo al cuore accompagnò la definitiva conferma dei sospetti di Oscar
"Dunque non mi sbagliavo..." mormorò voltando le spalle a sua madre e gravando con le braccia tese e il viso basso sulla scrivania dove fino a poco prima era poggiata. "Ha saputo di André... e per questo ha montato quelle false accuse!"
Marguerite aggrottò la fronte "False accuse?" Domandò smarrita.
Oscar tornò a voltarsi, il suo viso era cupo e tutto in lei sembrava fremere come tempesta.
"Poche ore fa André è stato arrestato..." Disse quasi a fatica.
Con un'epressione di stupore madame Jarjayes spalancò gli occhi e si portò una mano alle labbra socchiuse.
"Ma cosa... Come è possibile..."
"Come sia stato possibile non so, sebbene non mi sia difficile immaginarlo... ad ogni modo so con certezza che l'accusa è falsa e che l'ordine di arresto porta la firma di mio padre."
"Io non riesco a capire... perché mai tuo padre avrebbe dovuto far arrestare André per costringerti a sposare Girodelle, non ha senso... Cosa c'entra il tuo attendente in tutto questo, certo è per te un caro amico ma far leva su questo mi sembra..."
Oscar strinse gli occhi  perplessa rendendosi conto che sua madre non sapeva, o per lo meno non sapeva tutto, domandandosi dunque a cosa  si fosse riferita poco prima quando aveva fatto cenno ad una scoperta fatta da suo padre che aveva ineluttabilmente cambiato le cose. C'era dunque dell'altro? Dire tutto a sua madre era l'unico modo per saperlo, d'altronde, oramai, non aveva più né voglia, né motivo di tenere segreto quel che la legava al suo attendente e amico.
"André ed io ci amiamo"
Questa dichiarazione, tanto semplice e fatta con totale franchezza, produsse in Marguerite un vivo stupore che però non aveva nulla dello sdegno, né tantomeno dell'impossibile, ma era piuttosto la sorpresa che accompagna lo svelarsi di un sospetto, talvolta immaginato, e che ben presto mutò in uno sguardo amaro e triste.
"Oscar..." Mormorò sua madre in un soffio pieno di malinconia.
"Lui è l'unica persona che io possa immaginare di avere al mio fianco, l'unico uomo al mondo con cui possa pensare di dividere la mia vita. È già da tempo che l'amicizia che ci legava è diventata qualcosa di più profondo e sebbene entrambi siamo fermamente convinti che non ci sia in questo nulla di riprovevole o vergognoso, per proteggere il nostro amore  e noi stessi dalle convenzioni sociali, le ipocrisie e tutte le altre pericolose assurdità di questo  mondo, siamo stati costretti a tenerlo nascosto con tutta l'infelicità che ne è conseguita..." disse, e la piega amara delle sue labbra spinse Marguerite a vincere quella rigidezza di forma  anch'essa frutto di regole e convenzioni sociali, nonché del particolare riserbo da sempre avuto nei rapporti con sua figlia onde evitare di poterle trasmetterle debolezze femminili inadatte ad un soldato.
Fu dunque con sorpresa che Oscar la guardò avvicinarsi e allungare una mano per sfiorarle il viso in una carezza. Spiazzata da quella inusuale manifestazione d'affetto, per un attimo rimase rigida, sentendosi impacciata da quel gesto tanto dolce quanto insolito, ma poi si lasciò andare. Chiuse gli occhi e inclinando un po' la testa su un lato posò la mano su quella di sua madre e la strinse come a voler trattenere quella carezza di cui, in quel momento  si accorgeva di aver sentito la mancanza, e che tanto inaspettatamente leniva il dolore che sentiva dentro e che d'improvviso non riusciva più a trattenere.
"Deve averlo scoperto..." Disse con voce sommessa "E non riesco a capacitarmi che sia successo proprio ora, quando innanzi alla definitiva dimostrazione dell'impossibilità di poter vivere la nostra vita assieme rimanendo qui, avevamo finalmente deciso di andare via e  concederci la possibilità di essere felici dove nessuno ci conosceva... È stata colpa mia... Avrei dovuto mangiare il mio maledetto orgoglio e ogni dannato principio, chinare il capo e indossare quel dannato abito femminile,  far finta di obbedire..." Scosse la testa mentre il rimpianto ad ogni parola le opprimeva più il cuore "...col mio atteggiamento l'ho messo in guardia, l'ho reso vigile ed ora André... "
Sentì le lacrime velarle gli occhi, strinse la mascella e con uno sforzo di volontà si liberò dalla carezza di sua madre e  andò alla finestra, volgendo lo sguardo a quei giardini che suo padre era solito contemplare quando doveva comunicarle una decisione per cui non non era ammessa replica.
Non poteva permettersi di essere debole proprio nel momento in cui forza di carattere, fermezza e freddezza le erano più che mai necessarie. Inalando silenziosamente per recuperare il controllo di sé, incrociò le mani dietro la schiena e raddrizzò le spalle.
Guardandola e trovando nel suo atteggiamento una  straordinaria similitudine con i modi di suo padre Marguerite sentì stringersi il cuore. C'era così tanto di Augustin in lei...
Era vero, l'aveva cresciuta con severità, finanche con durezza, imponendole una vita  destinata a procurarle una inevitabile sofferenza, le aveva chiesto impegno, fatica, ma anche per lui non era stato facile...
Oscar aveva sempre avuto un posto speciale nel cuore del generale, che aveva profuso tutto il suo impegno perché superasse i limiti della propria natura,  le debolezze legate alla sua condizione  e si elevasse al di sopra della maggior parte delle altre persone, donne o uomini che fossero. Suo padre ne era sempre stato orgoglioso, la rispettava e in fondo mai l'avrebbe obbligata fare qualcosa che non volesse veramente, che si sposasse contro la sua volontà. Egli aveva sempre voluto che sua figlia potesse vivere una vita piena e serena se non completamente felice e probabilmente se Jean de Grammont non fosse esistito, seppure in un qualche modo fosse venuto a conoscenza  di lei ed André, avrebbe fatto finta di non sapere.
Ma scoprire di avere un figlio maschio,  aveva cambiato ogni cosa e non era  perché in virtù di quel figlio  egli aveva smesso di essere la maglia debole che aveva spezzato la continuità della suo casato per tornare ad essere  un anello forte che ne perpetuava la prosecuzione. Jean de Grammont non era solo  l'autentica realizzazione di un dovere mancato,  non era un balsamo su una ferita che malgrado tutto rimaneva  aperta. Egli, due volte sangue del suo sangue, era la voce stessa della sua stirpe che lo chiamava, era un debito che andava rimesso non solo al proprio onore e alla propria coscienza, ma soprattutto al proprio lignaggio e per questo non poteva in alcun modo essere ignorato.
Tutto ciò Marguerite de Jarjayes, che meglio di chiunque al mondo conosceva l'animo del marito, lo sapeva molto bene. Ne era dolorosamente consapevole ora come lo era stata trent'anni prima, allorché,  scoperta la relazione di suo marito con la giovane cugina e saputo che lei ne aspettava un figlio, aveva capito quanto elevata fosse la caparra che il destino aveva concesso a quella ragazza, perché fosse possibile ignorarla. Aveve dunque deciso che Augustin non avrebbe mai dovuto sapere e che Elodie doveva sparire dalla  loro vita, poiché  se avesse partorito un maschio, suo marito avrebbe potuto imporle di fingerlo suo, come spesso si mormorava accadesse in casi simili, e così, se anche lei un giorno fosse riuscita a fare altrettanto, all'umiliazione subita si sarebbe sommato lo smacco, perché suo figlio per quanto legittimo  sarebbe stato sempre secondo al figlio di Augustin ed Elodie de Jarjayes.
In seguito, dopo che aveva partorito Oscar ed Augustin aveva fatto ciò che aveva fatto, avendo saputo che Elodie aveva dato alla luce un maschio,  aveva rimpianto amaramente quella decisione che in definitiva aveva finito col condannare la sua ultimogenita ad un ben triste destino. Tornare indietro a quel punto era però impossibile e così aveva dovuto ingoiare lacrime e rimpianti ed adattarsi ad amare sua figlia da lontano, rassegnandosi ad avere nella  vita e nell' educazione della sua ultimogenita un ruolo assolutamente marginale, come suo marito aveva preteso nel timore che i vezzi materni ne potessero guastare la tempra.
Ed ora Oscar era lì, ferita e sofferente, a guardar fuori dalla  vetrata dello studio di suo padre nell'evidente sforzo di  soffocare  l'emozione cui poco prima aveva ceduto e che le aveva incrinato la voce, quando aveva pronunciato il nome di colui che amava.
Chissà quante volte in sua figlia la donna e il soldato avevano dovuto  scontrarsi in silenziose battaglie, e quanto doveva esserle stato difficile riuscire a trovare un equilibrio tra ciò che era e ciò che per dovere, doveva essere. Un'anima  difficile come quella di Oscar, razionale ed inquieta ad un tempo, aveva dovuto richiedere un'enorme pazienza ed un grandissimo amore  per potersi schiudere a un sentimento fatto di sensazioni e impulsi qual è l'amore, che trasferisce il pensiero al centro del petto. André doveva aver avuto una volontà di ferro ed un amore sconfinato ed Oscar, per come  la conosceva,  una volta arresa non poteva che avergli risposto con pari intensità.
Per  tutto questo sua figlia, quale donna innamorata e soldato,  doveva essere due volte pronta a dar battaglia, e certamente sarebbe stata disposta  a combattere fino all'ultimo respiro, senza curasi di quanto le sarebbe costato.
Ma per lei non era così.
Lei si rendeva conto perfettamente di quanto alta fosse l’improbabilità del successo perché conosceva il vero motivo che c'era dietro la decisione del Generale e non era disposta a vedere sua figlia bruciare ogni possibilità di essere felice.
 Augustin non si sarebbe mai arreso, mai fermato, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per piegare la volontà di Oscar e lei non aveva alcuna possibilità di prevalere su suo padre. Né coraggio, né decisione, sarebbero bastate, troppe erano le armi, lecite e meno lecite, di  cui  il generale disponeva e l'arresto di André, ne era una chiara dimostrazione. Oscar non aveva possibilità di vincere, prima o poi avrebbe finito per  dover soccombere e  la resa , priva di condizioni, sarebbe stata allora ancora più dura. Era evidente, non serviva un soldato per capirlo, bastava lo sguardo lucido di una madre preoccupata per il bene della propria figlia, una madre che da quando l'aveva sentita piangere la notte in cui era venuta al mondo, mentre   sollevandola al cielo suo padre le imponeva un ben triste destino, non aveva fatto che preoccuparsi per lei e  rimproverarsi per l'astio, la gelosia, l'orgoglio e il timore, che l'avevano spinta a compiere una  meschinità di cui sua figlia aveva dovuto pagare lo scotto.
Persuaderla  a desistere da una  ribellione, che avrebbe solo sancito la sua definitiva infelicità era un dovere cui non poteva venire meno.Tuttavia  perché Oscar capisse contro cosa andava a scontrarsi ed avesse un quadro obiettivo della realtà delle cose, occorreva che sapesse  tutta la verità. Una verità che  Augustin ignorava che lei conoscesse, una verità scomoda e triste che lei stessa aveva contribuito a costruire.
Con il volto teso si avvicinò alla figlia. Oscar sentì la sua mano sfiorarle lieve  il braccio, pensò volesse consolarla e si voltò pronta a dirle che stava bene, che non ce n'era bisogno, che il suo era stato solo un momento di sconforto, che era passato e che era certa che in un modo o un altro, sarebbe riuscita a risolvere tutto. Con sorpresa invece incontrò uno sguardo mesto, ma fermo e deciso.
“Vieni Oscar, mettiamoci a sedere" disse Marguerite voltandosi ed invitandola a seguirla verso le due poltrone che fronteggiavano il camino, dove riverberi rossastri ancora baluginavano  tra le braci quasi spente "C’è una cosa di cui devo parlarti"
 
 
 
 
 
 
 
[1] Sul finire del 1787 il re, nell'ambito di una conflittualità iniziata al principio dell'anno con l'Assemblea dei Notabili per imporre nuove tasse che riteneva necessarie per far fronte al debito crescente, aveva dovuto inviare delle truppe a Libourne, per costringere il Parlamento di Bordeaux,  lì in esilio (dopo che già quello di Parigi era stato esiliato a Troyes e poi richiamato nella capitale  in seguito alle contestazioni)  a scegliere tra l'alternativa di registrare gli ultimi decreti emanati o essere disciolto. Fonte:La Francia in rivolta di Charles Tilly

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Capitolo 14
*** Fratelli ***


Fratelli
 
Il pallido lucore dell’aurora aveva appena squarciato la spessa coltre di nubi verso la Bastiglia[1], quando Jean de Grammont si avvicinò alla finestra della propria camera per mirare quello che, ai suoi occhi esotici, appariva come un paesaggio decisamente insolito:  Place Royale sotto la neve. Il suo sguardo vagò lentamente, quasi stupito, sui tetti d’ardesia spruzzati di bianco e sul manto uniforme che aveva improvvisamente annullato le rigide geometrie della piazza, rendendo indistinguibili i viali dai prati, per soffermarsi infine, con una punta di meraviglia, sulle imponenti galaverne che pendevano dal monumento equestre di Luigi XIII[2] come dei grandi pugnali di ghiaccio.
Era la prima volta che vedeva la neve. Rammentava ancora l’entusiasmo quasi fanciullesco con cui sua madre aveva talvolta provato a descrivergli quella distesa immacolata capace di trasformare il luogo più insignificante in un panorama incantato. A quel pensiero, un velo di malinconia offuscò il suo viso.  D’impulso spalancò i vetri e con un profondo respiro inalò l’aria frizzante del mattino, mentre le dita correvano sul davanzale ghiacciato saggiando la friabile consistenza del candido strato che lo copriva.
Un flebile lamento alle sue spalle gli ricordò di non essere solo. Cercando di non fare rumore, pertanto, richiuse velocemente la finestra e tornò davanti allo specchio, non senza aver prima controllato, nell’immagine riflessa, che Aurore continuasse a dormire.
L’aveva voluta nel suo letto, quella notte. Aveva preteso le sue labbra morbide  e il timido calore del suo abbraccio, ed ella era stata come creta tra le sue mani… eppure…  Con un gesto deciso, Grammont strinse il nodo del suo jabot, cercando di non pensare all’insoddisfazione sottile che la nottata appena trascorsa gli aveva lasciato. In quel momento qualcuno bussò alla porta della stanza.
“Avanti” pronunciò infastidito, invitando così a entrare l’attempato monsieur Duvalle, il suo unico valletto “Che succede?” lo apostrofò quindi bruscamente, mentre terminava di allacciarsi la marsina“Mi auguro che tu abbia un valido motivo per presentarti qui a quest’ora, quando avevo dato precise disposizioni di non essere disturbato fino alle dieci!”
“Ecco, vossignoria…”
“Abbassa la voce, la Contessa sta ancora riposando e giuro che dovrai cercarti un altro lavoro se si dovesse svegliare a causa tua!”
“Perdonatemi, signor Conte, non era mia intenzione disturbare… ma c'è una persona particolarmente insistente che chiede di Voi. Ho provato a spiegarle che non ricevete così di buon'ora, ma non ha voluto sentire ragioni!” replicò agitato il pover’uomo.
“E si può sapere chi diavolo sarebbe costui?” domandò Grammont aggrottando la fronte.
“Il colonnello Jarjayes, signore!” esclamò l’altro “Mi dispiace signor Conte, io l’ho pregata di tornare più tardi, ma mi ha ignorato ed è entrata praticamente di forza…”
“Immagino che non ti abbia riferito per quale motivo sia venuta…”
“No, signor Conte… ha solo detto che ha urgenza di parlare con voi, non ha aggiunto altro. Nell’attesa, l’ho fatta accomodare nello studio”.
A quelle parole, Jean tacque turbato, cercando di valutare rapidamente la situazione. Se Oscar era piombata in casa sua all’alba e con tanta foga, doveva essere accaduto qualcosa di grave… l’ipotesi più probabile era che il Generale avesse fatto alfine di testa sua, procedendo con l’arresto di quel povero diavolo di André Grandier, piuttosto che provare di nuovo a far ragionare la figlia come lui gli aveva consigliato. Non che ne fosse sorpreso, quando Augustin de Jarjayes prendeva una decisione era più ostinato di un mulo… ma perché Oscar era venuta proprio da lui? Voleva chiedergli di intercedere presso suo padre? Sospettava il suo coinvolgimento? Oppure…
Un’ombra fugace gli attraversò lo sguardo.
“Riferisci pure al Colonnello che arriverò tra poco” disse brevemente, congedando monsieur Duvalle con un cenno della mano “E fai preparare del caffè… ce ne sarà bisogno”.
 
Stava ricominciando a nevicare. Al di là dei vetri, Oscar sbuffò stizzita e abbandonò la finestra, riprendendo a camminare per la stanza in attesa di Grammont.
La notte insonne iniziava a farsi sentire; tuttavia, nonostante la stanchezza che le faceva pulsare la testa e dolere ogni singolo muscolo, era determinata ad affrontare l’uomo da cui forse dipendeva il suo futuro e, soprattutto, quello di André.
Dal momento in cui sua madre le aveva rivelato le vere origini di Jean, infatti, rompendo un silenzio durato più di trent’anni, dopo l’iniziale sconcerto non aveva fatto altro che chiedersi se dietro le macchinazioni di suo padre ci fosse proprio lui… suo fratello.
Suo fratello.
Si  fermò di colpo, le labbra tese in un sorriso amaro. Che strano effetto le facevano quelle due semplici, banali parole legate tra loro… ancora stentava a credervi. Eppure, ogni frase di Marguerite, ogni particolare del suo drammatico racconto continuavano a rimbombarle nella mente: la relazione di suo padre con Elodie, l’intervento di sua madre, il ritorno dal passato di Jean de Grammont.
Le sfuggì un sospiro. In realtà non aveva alcuna prova che confermasse i suoi sospetti sul coinvolgimento di Jean nelle ultime vicende, ma era innegabile che il Generale non fosse più lo stesso da quando lo aveva conosciuto… che quell’uomo lo stesse manipolando, facendo leva su eventuali rimorsi e sensi di colpa? In effetti, non riusciva a trovare altre spiegazioni per giustificare il comportamento di suo padre, perché non poteva credere, nonostante tutte le  possibili ragioni di famiglia, che egli avesse deciso così rapidamente di metterla da parte – ricorrendo peraltro a manovre che definire scorrette era dir poco – solo per aver scoperto dell'esistenza di un figlio maschio. Davvero era stata per lui un semplice palliativo? Possibile che la considerasse alla stregua di un rattoppo mal riuscito sul prezioso ordito del loro comune nome?
Purtroppo non poteva escludere nulla, neanche le risposte più sgradite a delle domande che, invero, aveva cercato di soffocare sin dall’adolescenza e che ora tornavano implacabili a tormentarla. Del resto, poteva dire di conoscere veramente suo padre? Per anni non aveva fatto che ripeterle l'importanza di principi quale lealtà e onore, insistendo sul valore superiore insito in colui che li fa propri, ma chissà... magari non si riferiva a se stesso, dal momento che nel suo passato nascondeva una tresca amorosa che ben poco aveva di onesto o di onorevole.
A quel pensiero, per l’ennesima volta una rabbia sorda le percosse il petto. Come era potuto accadere… come aveva potuto, l’integerrimo Generale Jarjayes, tradire la moglie in quel modo, sotto il loro stesso tetto… E come aveva fatto, Marguerite, a tacere per tutti quegli anni senza affrontarlo, senza sbattergli in faccia le sue colpe, arrivando persino a comprendere e perdonare… lei, al suo posto, non ci sarebbe riuscita. Non avrebbe compreso, né perdonato, perché nessuna crisi coniugale poteva legittimare l’insensata relazione  di suo padre: che si fosse lasciato irretire o che avesse approfittato dell’ingenuità di una ragazzina, poco importava, aveva commesso un errore imperdonabile.
Al contrario, pur non condividendone in parte le scelte e la condotta ambigua, non si sentiva di biasimare del tutto sua madre. In fondo, si era trovata in una situazione che non le aveva lasciato molte possibilità di scelta e pur di difendere la propria famiglia e finanche se stessa, era ricorsa alle uniche armi che aveva a disposizione, sbarazzandosi opportunamente della rivale con un matrimonio in apparenza vantaggioso e costringendola al silenzio. All’epoca non poteva certo prevedere che Charles de Grammont si sarebbe rivelato un pessimo marito o che il Generale avrebbe deciso di allevare la sua ultimogenita come un uomo… proprio per questo, non aveva niente di cui rimproverarsi. Non doveva sentirsi in colpa, sua madre, per degli errori commessi da altri… né tanto meno credere, come le aveva confidato, che Jean de Grammont fosse la sua nemesi, la giusta punizione per i suoi peccati.
Incupita da quelle ultime considerazioni, Oscar si avvicinò al camino e per l’ennesima volta alzò gli occhi verso l’imponente ritratto che lo sovrastava. Jean de Grammont vi era raffigurato a figura intera, volto leggermente di profilo sul ciglio di una scogliera in una posa che ne esaltava fierezza e nobiltà, mentre con la mano poggiata sull'elsa della spada, fissava con sguardo altero il mare in tempesta dove tra i flutti si intravedeva la vela di una nave. Tutto in lui esprimeva fermezza e determinazione e guardando quel dipinto, Oscar si rendeva conto di quanto fosse dannatamente simile a suo padre nell'aspetto come nell'atteggiamento… suo fratello.
“Immagino che l'interesse con cui state osservando quel ritratto sia dovuto all'abilità del pittore più che al soggetto raffigurato” osservò una voce ridente alle sue spalle.
 “Buongiorno, Conte” pronunciò freddamente, voltandosi e incontrando lo sguardo sornione di Grammont .
“Buongiorno a voi, colonnello… ” rispose con garbo il gentiluomo.
“È indubbiamente un dipinto di raffinata fattura” riprese lei, tornando a guardare per un momento il quadro “Quanto al soggetto non lo conosco abbastanza  da poter dire quanto la raffigurazione fatta ne rispecchi l'animo, ma certo è che esternamente sembrerebbe quanto mai somigliante...”
“Ahimè!” sospirò con affettazione il Conte "Temo che la bravura di monsieur Armand abbia un po' trasformato la realtà facendo apparire come fiera alterigia quella che in realtà è semplice intolleranza…  Non amo stare in posa  a dire il vero, ma non potevo certo rifiutarmi dopo che il Generale Vostro Padre aveva tanto insistito...”
Oscar aggrottò la fronte in un’espressione interrogativa.
“Il quadro è stato una sua idea… “ le spiegò allora Grammont “Ha insistito perché mi facessi ritrarre nelle terre che diedero i natali ai miei avi, avendo alle spalle il mare che tanto amo e da cui sono venuto”.
 “Quello dunque è il mare di Étretat“ constatò la donna, riconoscendo di colpo le bianche scogliere a picco sull’Oceano[3].
“Esattamente” le confermò Jean “Inizialmente non mi era sembrato il caso, dal momento che se è pur vero che sono un Jarjayes per parte di madre, è il nobile nome dei Grammont quello che porto, ma poi riflettendo sul fatto che in fondo anche mio padre era originario della Normandia...”
 A quelle parole Oscar impallidì. Altro che Grammont… Il vero ed unico motivo per cui Jean aveva assecondato il desiderio del Generale, era perché quel dipinto sanciva le sue vere origini raffigurandolo, come i Jarjayes prima di lui, in quelle terre di cui un giorno sarebbe stato Signore. Per un momento le venne da ridere pensando che lei si era sempre rifiutata di farsi fare quel tipo di ritratto che riteneva eccessivamente celebrativo.
 “La cosa vi diverte, colonnello?” domandò quindi Jean facendosi più vicino e puntando i suoi occhi in quelli di lei.
Per un istante Oscar ebbe la sensazione di guardarsi allo specchio, perdendosi in quell’azzurro intenso e magnetico… in quello sguardo che era indubbiamente lo sguardo dei Jarjayes.
“Non come avrebbe potuto in altre circostanze...” rispose infine.
Jean de Grammont ebbe un'esitazione. “Non capisco cosa vogliate dire...”
“Davvero non lo intuite?” replicò lei con un sorrisetto ambiguo.
“In tutta onestà, no” sbottò l’uomo, iniziando a spazientirsi per quell’atteggiamento che sembrava volerlo deliberatamente provocare.
“Ebbene, allora forse è giunto il momento di spiegarvi, sebbene forse siate voi quello che dovrebbe fornire più spiegazioni… fratello” disse a quel punto Oscar con un’occhiata eloquente, calcando la voce su quella parola che in poche ore aveva sconvolto la sua vita.
Un vivo stupore si dipinse sul volto di Grammont.
“Che cosa avete detto?” mormorò attonito, perdendo di colpo la sua sicumera.
“Esattamente ciò che avete udito, a meno che non siate diventato improvvisamente sordo” lo punzecchiò caustica lei.
In vita sua quasi mai a Jean de Grammont era capitato di restare senza parole, ma lo sbalordimento in quel momento fu tale da spiazzarlo completamente. “Io non...” balbettò incoerentemente.
“Per quanto eccelliate nella sottile arte della dissimulazione, non è più il caso che continuiate a fingere di essere all'oscuro dei vostri veri natali. So, come sapete voi; quindi è del tutto inutile ostinarvi a negare...”
 “Non intendo negare alcunché! ” ribatté piccato il Conte, riprendendosi finalmente dalla sorpresa “Sì, è vero, conosco la verità sulle mie origini, ma se non ve ne ho fatto parola finora è stato per compiacere la volontà di vostro pa…”
Nostro padre, vorrete dire” sottolineò bruscamente Oscar, interrompendolo “Dunque la farsa degli ultimi mesi sarebbe una sua idea?”
“Non so che cosa egli vi abbia riferito in proposito, ad ogni modo non era nelle nostre intenzioni ingannarvi…” rispose lui senza lasciarsi intimidire “Semplicemente nostro padre, come giustamente avete detto, aspettava il momento più opportuno per parlarvi di una cosa indubbiamente difficile da dire, e io l’ho assecondato in questo suo desiderio, trovandolo più che legittimo. Immagino che vi abbia spiegato le circostanze in cui…”
“Immaginate male, non è stato lui a informarmi di questa storia” puntualizzò impulsivamente Oscar.
“Che cosa? E allora chi…”  Un lampo passò negli occhi di Grammont. “Ma certo, avrei dovuto prevederlo…  vostra madre!” intuì, senza riuscire a nascondere una punta d’irritazione.
L’impercettibile tremito che colse nello sguardo della sorellastra gli rivelò di aver colpito nel segno.
“Non ha importanza chi sia stato a farlo”.
 “Forse per voi, ma non per me” sibilò l’uomo“Evidentemente non ha perso l’abitudine a intromettersi dove non le compete”.
 “Come osate …” scattò sdegnata Oscar, serrando i pugni in un moto di rabbia.
“Volete essere voi a negare stavolta, sorella?” la rimbeccò lui con freddezza “Ormai sarete sicuramente a conoscenza di quale ruolo ella abbia avuto in questa storia, in caso contrario potrei farvi leggere una lettera di mia madre in cui è tutto riportato nero su bianco. Madame Marguerite sapeva della gravidanza e ha spinto nostro padre ad acconsentire alle nozze, guardandosi bene, come ho scoperto in seguito, dal rivelargli ciò di cui era al corrente!”
“Quindi che cosa avrebbe dovuto fare, secondo voi? Lasciare che lo scandalo travolgesse la sua famiglia? Che le fosse imposto di crescere in casa propria il figlio di un’altra?” proruppe la donna alzando la voce.
“Bastava dire la verità” osservò con durezza Jean “Il Generale aveva diritto di sapere e decidere di conseguenza, peraltro sono convinto che alla fine avrebbe cercato di fare la cosa giusta… per tutti”rimarcò tagliente.
Nonostante tutte le possibili scusanti che aveva cercato di trovare in quelle ore, per natura Oscar non amava la menzogna né condivideva il ricorso al sotterfugio, pertanto le parole di Grammont toccarono dritte quella che, fin dal primo momento in cui aveva saputo la verità, era stata la sua maggiore perplessità sul comportamento di sua madre. Si rendeva perfettamente conto che nascondere ad un padre l'esistenza di un figlio non era una cosa giusta, e forse se avesse saputo di tutta quella storia un anno prima, non avrebbe giustificato Marguerite, bensì avrebbe condiviso appieno il pensiero del Conte; ma la vita è maestra ed ella aveva imparato che talvolta le circostanze, unite alla forza dei sentimenti, rendono difficile se non impossibile dire certe verità.
“Non ne sarei così sicura” si limitò dunque a borbottare cupamente.
Nel silenzio teso che seguì, ancor più nitidi risuonarono alcuni colpi sulla porta, ad annunciare l’arrivo della cameriera incaricata di servire il caffè. Grammont, tuttavia, dopo aver fatto cenno alla ragazza di  posare sul tavolo il vassoio che aveva tra le mani, la congedò rapidamente per volgere di nuovo la sua attenzione verso la sorella, che si era appena spostata verso la finestra e sembrava guardare assorta la piazza innevata.
“Volete?” domandò non appena furono nuovamente soli, porgendole una delle tazze.
“No, grazie” fu la laconica risposta.
Senza insistere, il Conte si sedette sulla poltrona accanto al camino e iniziò a sorseggiare lentamente il suo caffè, fissando le fiamme con un’espressione indecifrabile. Oscar, dal canto suo, riprese a muovere qualche passo nervoso per la stanza, nel vano tentativo di calmarsi.
“Ascoltatemi, Oscar” esordì in quel momento lui in tono pacato, cercando il suo sguardo “Non vi negherò che quando ho scoperto la verità, ho odiato vostra madre con tutto il cuore. Mi rendo conto che all’epoca non poteva saperlo, ma Charles de Grammont non era solo un giocatore improvvido, come vi sarà giunta voce, capace di dilapidare il suo patrimonio nel giro di pochi anni: dietro l’apparenza dello squisito gentiluomo, celava un animo oscuro, capace delle peggiori nefandezze… vi risparmio i dettagli delle vessazioni e delle violenze che io e mia madre abbiamo dovuto subire per mano sua.  Scoprire di non esserne il figlio, vi dirò… per certi versi è stata una liberazione” le confessò con voce roca.
 “Mi dispiace , ma come voi stesso avete appena riconosciuto, mia madre era del tutto ignara della vera natura del conte de Grammont…” obiettò turbata Oscar.
“Sì, razionalmente ne sono consapevole e solo per questo ho preferito tacere con il Generale riguardo al suo coinvolgimento in questa spiacevole vicenda, sebbene in diverse occasioni abbia avuto la tentazione di fare l’esatto contrario” ammise il giovane “Non è affatto facile, ma sto cercando di dimenticare…  e soprattutto di perdonare”
“Eppure non avete avuto particolari difficoltà a dimenticare le colpe di nostro padre…” insinuò sferzante lei “Deduco che tanta magnanimità nei suoi confronti nasca da un deciso mutamento di prospettiva: dalla plancia di una nave alle scogliere di Étretat!” alluse quindi con una punta di sarcasmo.
“Vi sbagliate di grosso, fosse stato per me sarei già ripartito per Saint-Domingue con mia moglie, infischiandomene delle vostre dannate scogliere!” sbottò allora Jean, posando rumorosamente la tazza sul tavolino davanti a sé “Se alla fine sono riuscito a perdonare nostro padre e ad accettare la  proposta che mi fece alcuni mesi orsono, è stato solo per mettere una pietra sopra il passato e onorare la memoria di mia madre. Lei… lei avrebbe voluto questo da me” sussurrò infine abbassando il capo.   
“E in che cosa consisterebbe questa proposta, se è lecito saperlo?” gli domandò a bruciapelo Oscar.
“Essere nominato suo erede per adozione, dopo il vostro matrimonio con il Maggiore Girodelle. Si tratta di una soluzione che non implicherebbe il mio riconoscimento ufficiale e che preserverebbe intatto l’onore di mia madre, e con esso l’orgoglio della vostra e il buon nome dei Jarjayes. È stata l’unica condizione che ho posto… per accettare”.
“Una condizione che nostro padre sarà stato ben felice di soddisfare, dal momento che è lui quello che avrebbe più da perdere se scoppiasse uno scandalo” ribatté con asprezza la donna “Quanto a voi, non vi siete fatto scrupolo di accettare: è evidente che defraudare il vostro stesso sangue non costituisce un gran problema… Mi domando se mio, ops scusate... nostro padre , abbia debitamente tenuto conto di questa cosa...”
“Vi assicuro che non era mia intenzione privarvi di ciò che vi spettava e inoltre vi garantisco che, almeno inizialmente, non avevo idea che nostro padre avesse questa intenzione!” si giustificò accorato Grammont , alzandosi  in piedi.
“E io vi garantisco che non sono titoli e denaro ciò di cui mi defraudate, ma qualcosa di ben più prezioso...” ribatté sprezzante Oscar
“Capisco benissimo a cosa vi riferiate... Non c'è nulla di più prezioso della propria libertà, ma vedete, il Generale mi ha sempre ripetuto che voleva soltanto rimediare ai suoi errori, primo fra tutti il fatto di avervi cresciuta come un soldato, esponendovi ai pericoli connaturati a tale condizione e privandovi della vita a cui eravate destinata, e dunque  non potevo certo immaginare che…”
 “Non m’interessa cosa abbiate immaginato… Anzi, sapete che vi dico, visto che siete tanto comprensivo? Tenetevi pure onori e oneri incluso l’affetto di nostro padre! Io voglio soltanto essere libera di…”
“Amare André Grandier?” domandò serio il gentiluomo, scrutandola in viso.
Oscar sentì le parole spegnersi in gola mentre occhi e labbra le si spalancavano per lo stupore.
“Voi… voi sapete!” esclamò sconcertata “Sapete tutto!” ripeté poi fuori di sé, afferrando d’istinto il Conte per il bavero della giacca e strattonandolo in malo modo  “Ci siete voi dietro al suo arresto, non è vero? Ditelo! Abbiate il coraggio delle vostre azioni!”
“Nostro padre mi aveva confidato le sue intenzioni in merito, ma ero convinto di averlo dissuaso!” ribatté con foga Jean.
“Vorreste farmi credere che non ne siete complice?” ringhiò lei senza lasciare la presa.
Jean arretrò di un passo per tenerla a bada; per quanto fosse forte avrebbe potuto facilmente liberarsi della  presa di sua sorella, ma preferì lasciare che sfogasse la sua rabbia.
“Spesso mi rende partecipe dei suoi pensieri e cerca il mio consiglio, ma il più delle volte agisce poi senza ascoltarmi, come in questo caso. Siete libera di non credermi, Oscar, ma vi assicuro che finora ho cercato, per quanto possibile, di limitare i danni!” si giustificò.
“Che generosità…” sibilò lei lasciandolo di colpo.
“Vi giuro che non ho nulla contro di voi, né contro André” continuò una volta libero, sistemandosi il bavero della giacca “E mi spiace di aver indirettamente fatto sì che nostro padre scoprisse di voi due…”
“Voi?!Che cosa volete dire?” lo interrogò lei inarcando un sopracciglio.
“Ho commesso l’errore di esternargli i miei sospetti su una vostra eventuale relazione con André, nella convinzione che questo lo avrebbe acquetato …” confessò imbarazzato.
“Solo un idiota o un pazzo avrebbe potuto pensare una cosa simile, e sinceramente non mi pare che siate l'uno o l'altro...”
“Vi ringrazio per la considerazione, ma in realtà sono stato abbastanza stupido da pensare che alla luce di quello che c’era stato con mia madre, avrebbe compreso… e vi avrebbe lasciato stare”.
“Da ciò si vede che non lo conoscete affatto… “ osservò allora Oscar con un fil di voce, lasciandosi cadere su una seggiola e prendendosi la testa fra le mani “Il Generale Jarjayes non comprende che l’amor proprio…”
“Non credo sia così, Oscar” replicò Jean “Vedete, io sono convinto che vostro padre voglia solo il vostro bene: da come parla di voi è evidente che gli stiate molto a cuore e vi rispetta anche... Vi garantisco che avrei dato un occhio della testa perché l'uomo che mi ha cresciuto avesse avuto un minimo della considerazione che lui ha di voi. Purtroppo è convinto di essere nel giusto e di capire meglio di voi cosa sia appropriato per il vostro bene, e sfortunatamente credo sia impossibile farlo rinunciare a questa convinzione… mi dispiace, davvero”.
“Non dovete dispiacervi ma aiutarmi, se è vero che non condividete il suo modo di agire!!" gli ingiunse allora brusca, alzandosi di scatto “Perché magari, se nonostante tutto il rispetto che mi porta non riesce a fare a meno di considerarmi, come qualsiasi donna di questo mondo, irragionevole e incapace  di discernere cosa sia meglio per sé, darà ascolto al suo ragionevole figlio maschio! Parlategli voi, dunque! convincetelo a liberare André… ditegli quel che vi pare, qualsiasi cosa pensiate possa convincerlo, non mi interessa cosa... sarò ben felice di sparire dalla vita di entrambi purché ci lasci stare!”
 “Sopravvalutate il mio ascendente su di lui, senza contare che la vostra presenza nella mia vita non mi è di alcun fastidio, anzi devo dire che mi dispiacerebbe che ne usciste senza aver avuto modo di conoscervi meglio” ribatté pungente Jean “Comunque, visto che conoscete così bene il Generale nostro padre, dovreste sapere che non darà più ascolto a me che a voi… Non è questa la soluzione”.
“E quale sarebbe, di grazia?” fece esasperata lei.
“Dovete guadagnare tempo. Date il vostro assenso al matrimonio con Girodelle a patto che André sia scarcerato”.
“E voi credete che nostro padre sia così sprovveduto da liberarlo prima delle nozze?” obiettò scettica.
“No, affatto… ma potreste comunque ottenerne il trasferimento dall’Abbazia a un luogo che non sia una prigione, un luogo più accessibile da cui sarebbe più facile farlo fuggire al momento opportuno”.
“Mi state per caso offrendo il vostro aiuto in tal senso?”
Jean si lasciò sfuggire un sospiro.
“No, il mio è solo un... consiglio fraterno..."
Un sorriso ironico increspò le labbra di Oscar.
 “Voglio essere franco con voi” riprese Jean “La verità è che non me la sento di rischiare l’affetto di nostro padre, dopo averlo finalmente ritrovato. Comunque sappiate che non vi sarò d’intralcio, né gli rivelerò i vostri piani, anzi vi assicuro che farò il possibile per ricondurlo a più miti consigli  ma… non tradirò fino a tal punto la sua fiducia”.
“Che figlio amorevole…”
“Siete libera di pensare ciò che volete Oscar, ma questo è quanto”.
“Non preoccupatevi, non ho bisogno del vostro aiuto. Ero venuta qui spinta dal sospetto più che lecito, ne converrete, che foste attivamente coinvolto in quello che mi sta accadendo, ma stando alle vostre parole, a quanto pare, a parte l'essere stato la causa scatenante di tutto ciò, non avete colpe dirette. Non so se credervi, a dire il vero, ma vi concedo il dubbio e quindi per il momento tolgo il disturbo. Comunque sappiate che nemmeno io ho nulla contro di voi: in fondo, come me, anche voi siete una vittima del nostro augusto genitore... Arrivederci quindi... Grammont...”
Jean... Almeno arrivederci Jean... Se non fratello...” mormorò allora il Conte.
“Per essere fratelli ci vuole altro che un padre comune...”
“È vero...ma bisogna pur cominciare da qualche parte... E per questo Oscar, se non sorella, permettetemi di darvi un consiglio... C'è una persona che potrebbe aiutarvi... Qualcuno che potrebbe essere un alleato prezioso e insospettabile...”
Oscar aggrottò la fronte e lo fissò perplessa.
 “Il Maggiore Girodelle. Sono certo che lui sarebbe disposto ad aiutarvi” disse Grammont con uno strano sorriso, ricevendo in cambio uno sguardo sconcertato “Riflettete: quell’uomo vi ama e vi è leale, vi offrirebbe in dono la luna, se potesse… perché non dovrebbe farlo?”
“Immagino che il fatto che aspiri a divenire mio marito non costituisce per voi un valido motivo…” gli fece notare lei.
Jean scrollò le spalle con noncuranza. “Alcuni uomini hanno la strana inclinazione ad amare il proprio tormento più che le proprie aspirazioni, e credo proprio che il maggiore Girodelle sia uno di questi...” osservò con tono pragmatico “Vedete, per quanto ne sappia, Victor de Girodelle non era affatto d’accordo con la decisione presa da suo padre, in concerto con il Generale, di forzarvi la mano: egli aspira innanzitutto al vostro cuore e chissà… potrebbe aiutarvi proprio nella speranza di ottenerlo. Felice è chi possiede un sogno che gli consenta ancora di illudersi[4]…”
 “Non ho alcuna intenzione di alimentare illusioni irrealizzabili, né di ingannarlo in qualche modo. Il maggiore Girodelle è un ottima persona e di certo non lo merita” rimarcò Oscar con decisione, inorridendo alla sola prospettiva.
“Non siete costretta a ingannarlo, ma nemmeno a farvi troppi scrupoli sulle motivazioni che lo potrebbero indurre ad aiutarvi” ribatté Jean con altrettanta fermezza “Credo di aver capito che non siete persona da compromesso eppure talvolta è inevitabile. L'idealismo non conduce alla felicità”.
Le parole di Jean erano indubbiamente ragionevoli e i fatti del resto le confermavano. Cercare di cambiare il mondo, lottare contro le sue regole era difficile, richiedeva energie e sacrificio e lei era stanca di lottare; in fondo era una vita che lo faceva e soprattutto  non aveva  intenzione di fare di André  l'agnello sacrificale del suo idealismo. Quello che voleva, era solo poter vivere con lui in santa pace…
“Il mondo stesso di basa sul compromesso” continuò suadente Jean facendosi più vicino e guardandola negli occhi “Se davvero volete salvare il vostro André, quindi, forse è il caso che scendiate dal vostro piedistallo e vi sporchiate un po’ le mani…”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Il quartiere di Marais, dove risiedono Jean e Aurore, confinava a est con l’antica Place de la Porte Sainte-Antoine, (l’odierna Place de La Bastille), in cui sorgeva l’antica fortezza, poi divenuta  simbolo della Rivoluzione.
[2] Monumento presente nella piazza sin dal 1639, commissionato dal cardinale Richelieu e poi distrutto durante la Rivoluzione; nel 1825 è stato inaugurata una statua equestre similare in sostituzione di quella andata perduta.
[3] Autocitazione che non dovrebbe essere sfuggita a chi ha letto l’Intruso… per la serie la prima follia non si scorda mai!
[4] Giovanni Soriano, “Maldetti”
 

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Capitolo 15
*** Icaro ***


Icaro
 
L'ufficiale responsabile del servizio di guardia notturno scattò sugli attenti e battendo i tacchi uscì dall’ufficio del maggiore Girodelle, che con un gesto scocciato quasi lanciò sulla scrivania il rapporto che gli aveva consegnato e si lasciò andare contro lo schienale della sua poltrona.
Quella notte tre persone erano state fermate  nei giardini attigui alla Reggia, e non si era trattato dei soliti gentiluomini che avevano esagerato con il vino durante una partita a carte ed erano poi usciti a schiarirsi le idee in modo più o meno degno, né tantomeno di amanti clandestini in cerca di un po' d'intimità tra alberi e siepi, ma di tipi piuttosto loschi e  privi di ogni autorizzazione o qualsivoglia valida motivazione che ne giustificasse la presenza lì a quell'ora, che vistisi alle strette, nel tentativo di fuggire, avevano sparato ferendo una delle guardie.  Tutto ciò voleva dire due cose: la prima, piuttosto grave, era che degli sconosciuti armati si erano avvicinati pericolosamente alla Reggia e la seconda, ancor peggiore, era che qualcuno dei suoi non aveva fatto con sufficiente attenzione il proprio dovere.
Si sentiva inquieto: con tutto quello che aveva per la testa in quei giorni, l'ultima cosa che ci voleva era dover far i conti con canagliumi sospetti e potenzialmente pericolosi che se ne andavano in giro indisturbati nel parterre della Reggia e doverne fare rapporto al suo, di superiore...
A quel pensiero gli sfuggì un sospiro, dal giorno in cui aveva chiesto ad Oscar di sposarlo i rapporti tra loro erano diventati piuttosto difficoltosi, Oscar aveva infatti marcato le distanze irrigidendosi nella freddezza dell'etichetta ed abbandonando qualsiasi comportamento potesse essere equivocato, foss'anche un gesto o un saluto informale, consueto tra due persone che si conoscono da lungo tempo e quotidianamente si frequentano. Quanto ai suoi già rari sorrisi, in quelle settimane, erano del tutto spariti. A ben pensarci erano proprio quei momenti la cosa che più gli era mancata, quegli istanti preziosi in cui il viso del suo comandante si distendeva in un'espressione che ne addolciva i tratti ed un pezzetto della sua vera anima trapelava dagli occhi che divenivano splendenti accompagnando il sollevarsi degli angoli della bocca. Aveva creduto che non l'avrebbe vista mai più rivolgergli un sorriso ed invece la sera del ballo era avvenuto il miracolo.
Vederla entrare nel salone in alta uniforme, accolta dallo stupore nel silenzio generale, vedere la fronte di suo padre corrugarsi e il suo sguardo incupirsi d'ira e sapere che quella sfida lanciata a lui come a tutti i presenti da lì a poco avrebbe riversato su di lei una marea di chiacchiere e più di qualche malignità, l'aveva spinto a mettere da parte qualunque remora, ad ignorare la distanza che gli era stata, suo malgrado, imposta e ad avvicinarla. L'aveva fatto d'impulso perché, per quanto lei potesse essere forte e avere chiaro ciò a cui era andata incontro con quel comportamento, egli sapeva che non era cosa da poco dover fronteggiare da sola una sala gremita di tigri travestite da gattini, per dimostrare chiaramente a tutti i presenti, pretendenti o meno che fossero, con chi effettivamente avessero a che fare. Del resto a lui era ben chiaro con chi avesse a che fare e l'amava nonostante e per questo, e davvero poco gli importava se indossasse una veste e maneggiasse un ventaglio o un paio di culotte e adoperasse una spada.
Ad ogni modo la risposta di Oscar al motto di spirito con cui l'aveva avvicinata ed invitata a ballare, era stata quella che si aspettava; tuttavia a quel prevedibilissimo no era seguito un sorriso... il più bello che ricordasse. Un sorriso malinconico che in un solo istante aveva piegato le sue pene e riempito quel senso di vuoto che in tutti quei giorni, trascorsi pensando che di lei non gli era rimasto più niente, era andato costantemente crescendo, fino a portarlo in quel salone con il cuore stordito e stanco. Un sorriso che da allora non era riuscito a togliersi dalla mente e a fare a meno di rielaborare finché era giunto alla conclusione che quel sorriso, così come la breve conversazione che era seguita, volevano dire che aveva ancora una possibilità. Lei non gli portava astio, e seppure non provava per lui i suoi stessi sentimenti, non li disprezzava e quando le aveva teso una mano sebbene avesse deciso di non appoggiarvisi, non l'aveva rifiutata, conscia che in lui, al di là di tutto, avrebbe sempre trovato una persona amica, qualcuno di cui potersi fidare. E chissà che avendo capito che non le avrebbe mai chiesto di essere diversa da quella che era e sapendo ora dei suoi sentimenti... con il tempo... un giorno...magari...
Che cosa strana, pensò sentendo accendersi nel cuore il dolce fuoco della speranza: una sua risata[1] gli aveva tolto la vita, un suo sorriso gliel’aveva restituita.
Era per questo motivo che aveva accolto con dispetto e un certo sgomento la notizia, ricevuta da suo padre, che il suo fidanzamento con Oscar François era oramai cosa fatta e che non aveva da preoccuparsi della volontà della futura sposa.
Storcendo le labbra, scosse il capo e colpì con una serie di lievi pugni nervosi il bracciolo della poltrona. Come aveva detto a suo padre egli aspirava al cuore di Oscar prima che alla sua mano e quella forzatura rischiava di compromettere definitivamente ogni possibilità che ella potesse arrivare ad amarlo. Ma a quanto pare la sensibilità di Louis Armand de Girodelle, sull'argomento sentimenti era pari a quella del Generale, dal momento che l'unica cosa che gli stava a cuore era  l'ingente dote che avrebbe portato la sposa unita alla possibilità che i  figli maschi nati dalla loro unione, mancando un erede di linea maschile, avrebbero potuto avere, per concessione reale, la possibilità di elevare il ramo cadetto della famiglia Girodelle alla dignità di Conti, aggiungendo il titolo dei Jarjayes, con tutti i possedimenti che quella contea portava, ai loro nomi uniti. Le sue rimostranze erano dunque state liquidate con la considerazione che quel matrimonio era da considerarsi un più che ottimo affare e ogni considerazione, che non fosse di carattere pratico, era da ritenersi superflua. Suo padre aveva infine aggiunto l'ulteriore considerazione che in fin dei conti lui non aveva nulla di cui lamentarsi poiché, mano o cuore, otteneva colei che voleva, quanto ai sentimenti, se avesse saputo comportarsi, cosa sulla quale non nutriva dubbio alcuno, sarebbero certamente venuti e se così non fosse stato pazienza...  avrebbe trovato altrove ciò cui aspirava, come d'altronde era d'uso in questi affari.
Da quella conversazione erano passati alcuni giorni, tuttavia il fatto che l'atteggiamento di Oscar, che dalla sera del ballo si era fatto più disteso, non fosse mutato, lo portava a pensare che lei ancora non fosse al corrente della cosa. Era infatti probabile che suo padre non gliene avesse ancora fatto parola, volendo ritardare la notizia per rendere più difficili le sue obiezioni, motivo per cui doveva essere lui a parlargliene e doveva farlo quanto prima se non voleva che le cose tornassero a complicarsi. A dire il vero, avrebbe voluto farlo già all'indomani del giorno in cui aveva appreso la notizia, ma un frammento di tempo rubato tra i vari impegni legati al previsto ricevimento di commiato per il principe di Khan[2], non era certo ciò di cui aveva bisogno per poterle parlare di una cosa tanto importante; aveva pertanto rimandato al giorno dopo. Sfortunatamente però, la mattina successiva Oscar aveva inviato un biglietto in cui avvisava che per un'indisposizione si sarebbe assentata dal servizio per qualche giorno; intanto la notizia aveva cominciato a diffondersi a Corte al punto che quella mattina, arrivando alla Reggia aveva ricevuto le prime felicitazioni...
Il volto del Maggiore s’indurì. Doveva assolutamente sbrigarsi e informare Oscar di quanto deciso alle sue spalle prima che lo sapesse da altri, o peggio ancora prima che ricevesse la Dichiarazione Ufficiale di Congedo...
Se soltanto non avesse dovuto occuparsi del trambusto creato da quegli intrusi la sera prima, quella mattina si sarebbe certamente già recato da lei a Palazzo Jarjayes per farlo, ma l'episodio era piuttosto grave e i necessari approfondimenti rendevano la cosa impossibile.
Tuttavia, conoscendo Oscar sapeva che non era da lei assentarsi a lungo dal dovere e avendo ricevuto notizia di quanto accaduto a Versailles, c’erano buone probabilità che in giornata rientrasse… e allora una volta riferito su quella incresciosa faccenda, senza ulteriori indugi le avrebbe detto quanto gli premeva sapesse.
Trovare le parole non sarebbe stato facile, e il rischio che lei non credesse alla sua estraneità alla decisione presa, era notevole soprattutto perché in fondo, al di là di tutte le obiezioni che aveva mosso, dalle sue labbra non era uscito quel monosillabo che solo avrebbe troncato ogni accordo.
Perché non lo aveva fatto... era la cosa giusta, lo sapeva... avrebbe dovuto... avrebbe voluto... eppure né il dovere, né la volontà erano bastate ed il motivo, per quanto gli fosse difficile ammetterlo, era che in fondo a se stesso sapeva che le parole di suo padre avevano una base di verità e sebbene fosse una verità che bruciava al suo orgoglio e rimordeva alla sua coscienza, non era riuscito a dire no all'unica certezza che davvero aveva di ottenere colei che voleva...
Stupido... si disse, sposarla non voleva dire averla... Però... però voleva dire avere almeno una concreta possibilità! Voleva dire poter avere tempo e modo di scalzare dal cuore di Oscar l'amore assurdo per quel donnaiolo svedese! E se mai lei lo avesse già fatto per proprio conto allora perché mai precludersi la possibilità di poter riempire con il suo di amore, il vuoto lasciato da lui? Una volta che fosse stata sua moglie Oscar avrebbe dovuto dargli quella possibilità... Non avrebbe potuto trincerarsi dietro la divisa ed il grado.
A quel pensiero Victor sentì l’animo infiammarsi di audacia: avrebbe trovato le parole giuste, le avrebbe spiegato e l'avrebbe convinta che quelle nozze potevano essere una possibilità, che mai sarebbero state una prigione e chissà che le cose tra loro, con il tempo, non potessero cambiare per il meglio.
Placato da quelle riflessioni prese in mano il rapporto lasciatogli dall'ufficiale e cominciò a leggere, era oramai immerso nella descrizione dei fatti, quando un colpo alla porta, che subito dopo si aprì, gli annunciò l'arrivo di colei che aveva nelle mani il tenore dei suoi giorni a venire.
"Comandante..." Disse alzandosi "bentornata..."
"Grazie Maggiore."
"Spero vi siate rimessa completamente e che la notizia degli avvenimenti di questa notte non vi abbia spinta a rientrare prima del dovuto"
"Sto benissimo, non preoccupatevi" lo rassicurò lei sbrigativa, quindi, indicando la poltrona al lato opposto della scrivania domandò con un sospiro “Vi dispiace?"
"Ma no certo" si affrettò a rispondere Victor invitandola a sedere e facendo altrettanto "Stavo giusto leggendo il rapporto e..."
"Non dubito che abbiate gestito quanto accaduto stanotte nel migliore dei modi" lo interruppe Oscar "non è certo stata la preoccupazione per il vostro operato a portarmi qui stamane come del resto, non è stata la salute a tenermi lontana dalla Reggia in questi giorni..."
Victor aggrottò la fronte sentendo i suoi timori concretizzarsi.
"ma una questione di carattere... personale…" concluse lei mentre egli, accusando silenziosamente il colpo, si rimproverava aspramente per avere troppo atteso.
"Una questione che coinvolge entrambi suppongo..." disse quindi cercando di tenere un tono neutro per non mostrare quanto lo turbasse l'argomento.
Oscar annuì lentamente “Vedo che ne siete al corrente..."
"Ne sono stato informato alcuni giorni orsono, a cose fatte, esattamente come voi Oscar, ma non ho parte in quello che è successo; tutto è stato deciso dai nostri rispettivi padri" spiegò con  tranquillità e fermezza guardandola in viso  in cerca di una luce nel suo sguardo, un fremito delle narici, una piega delle labbra o qualsiasi altra minima reazione gli consentisse di coglierne l'umore, capire cosa le passasse per la mente e modulare di conseguenza quelle che sarebbero state le sue successive argomentazioni.
Oscar tuttavia ne sostenne lo sguardo senza battere ciglio, consapevole che in quel momento se avesse voluto ottenere l’aiuto di Victor de Girodelle, avrebbe dovuto evitare reazioni che avrebbero potuto creare tensioni o risentimento.
"L'ho immaginato" si limitò dunque a rispondere, soffocando il sorriso sarcastico che le saliva alle labbra assieme alla voglia di rinfacciargli che l'unica parte che avrebbe dovuto avere in quella faccenda, l'aveva accuratamente evitata, mancando di comunicare a suo padre in maniera chiara ed inequivocabile che, dato il disinteresse chiaramente espresso dalla futura sposa, non era disposto a contrarre alcun impegno.
"E tuttavia ormai è cosa fatta ..." Aggiunse invece limitando a quella constatazione il suo pensiero.
Malgrado il tono neutro della sua voce, Victor si sentì comunque accusato da quegli occhi di zaffiro che silenziosamente sembravano volerlo trafiggere.
 "Oscar, voglio che sia chiaro che non vi obbligherei mai a far qualcosa che non volete..." disse alzandosi con impeto e protendendosi verso di lei, che seduta con disinvoltura dall'altra parte della scrivania, lo guardava serafica.
"Lo so bene Victor... non preoccupatevi, non ho pensato neanche per un minuto che potreste farlo, " replicò con tranquillità "anche perché pur volendo non potreste in alcun modo riuscirci..."
A quelle parole Victor la fissò sentendosi leggermente ridicolo, mentre si rendeva conto di quanto stupido fosse stato a pensare di poter riuscire a convincerla ad accettare la sua proposta di matrimonio sulla base di argomentazioni legate alla convenienza di una unione pacata e pianificata. Oscar non era persona da accettare un legame di facciata, e di certo non si sarebbe fatta indurre a contrarre un matrimonio in cui non credeva, al di là dei vantaggi che gliene sarebbero potuti venire.
Sorrise passandosi una mano sulla fronte con un gesto lievemente imbarazzato "Ma certo..." disse e tornò a sedersi con la consapevolezza che non c'era niente che potesse fare...
Sapeva bene, anche se aveva cercato di convincersi del contrario, di non aver speranza, e per quanto si sentisse sciocco a soffrire tanto per una passione amorosa che mai avrebbe ritenuto potesse addirsi al suo carattere e che certo non si addiceva al suo rango e alla sua educazione, non poteva fare a meno di sentirsi avvilito. E così mentre una parte di sé reclamava il diritto a chiudere quella penosa faccenda con un minimo di stile e conservando almeno un po' di decenza, un’altra non voleva saperne di arrendersi senza aver prima provato tutto ciò che era in suo potere. Come spesso succede quando c'è l'amore di mezzo, la passione fu più forte della logica ed egli decise che valeva mille volte la pena bruciarsi alla sua fiamma, piuttosto che arrancare piegandosi ai motivi della ragione.
 "Tuttavia la situazione si è complicata" esordì preparandosi a combattere con le armi della logica la sua battaglia per la passione "Già di per sé contravvenire alla volontà paterna è cosa piuttosto difficoltosa, quando poi ci si ribella senza un motivo ragionevole a quelli che sono unanimemente ritenuti i doveri di natura e di riconoscenza di un figlio, la cosa si fa ancor più problematica, tanto più se il re ha espresso il suo gradimento all’unione stabilita dai padri."
Oscar tacque e lo guardò immobile per alcuni secondi fissando Victor con un’intensità che quasi gli fece trattenere il fiato mentre si domandava cosa le passasse per la testa.
"Avete ragione" rispose quindi alzandosi, e passandogli accanto senza guardarlo raggiunse la finestra alle sue spalle e lasciò vagare lo sguardo sul Cortile Reale[3] dove alcune guardie si stavano dando il cambio “oramai acconsentire è la cosa migliore che io possa fare" convenne infine voltandosi verso di lui.
Victor sentì i battiti del cuore accelerare "Intendete dire che...  accettate di diventare mia moglie ?" domandò alzandosi a sua volta  credendo di aver frainteso  il senso delle sue parole.
"Mi pare di capire che sia la cosa più saggia da fare, se non l'unica o mi sbaglio...?" Chiese lei di rimando.
"Ma sì! Sì! Certo!" Rispose Victor senza riuscire a soffocare l'entusiasmo che lo sopraffaceva pur rendendosi conto che potesse apparire inopportuno. "Perdonatemi Oscar" disse dunque mentre lei tornava a sedersi "Ma i miei sentimenti per voi sono tanto forti che non posso fare a meno di essere felice, io vi giuro che..."
"Ascoltate Victor, voi vi rendete conto che il nostro matrimonio sarebbe solo un  contratto finalizzato alla continuazione del nome e alla conservazione della famiglia?"
"Sì... Me ne rendo conto..."rispose Victor, quindi dopo un attimo di esitazione,  cedendo ad un impulso troppo forte perché potesse esser soffocato, avanzò verso di lei come a voler annullare la distanza che Oscar aveva frapposto tra loro, e stringendo un pugno aggiunse con convinzione "tuttavia non potete sapere! Non è detto che con il tempo conoscendoci meglio le cose non possano cambiare" .
Oscar scosse la testa, ma Victor non si diede per vinto  "Forse... forse voi non ve ne rendete conto Oscar ma il mio amore per voi è profondo ed io... io sono disposto ad aspettare! La costanza dei miei sentimenti non avrà limiti di tempo e..."
"Credo che siate voi a non rendervi conto" lo interruppe bruscamente Oscar tornando ad alzarsi "la nostra unione non impegnerebbe la vostra costanza, così come non impegnerebbe la mia fedeltà..."
A quelle parole Victor quasi impallidì e mentre la sua mente iniziava ad analizzare  freneticamente quell'affermazione cercando di trovarvi una diversa  interpretazione, Oscar eliminò ogni residua possibilità di dubbio.
"Amo già un altro uomo: suo è il mio cuore, sua la mia anima,  sua è la mia fedeltà e non c'è tempo che potrebbe cambiare questo dato di fatto."
Fu come ricevere un pugno allo stomaco.
"Capisco..." Disse con voce bassa Victor mentre ogni sua speranza andava in frantumi "E posso permettermi di  chiedervi il nome di questo fortunato? Fersen forse..." Azzardò con malcelata ironia.
"Fersen? No... " rispose Oscar perplessa "Colui di cui vi parlo è una persona che conoscete da lungo tempo, da quando conoscete me per l'esattezza, è la persona che in tutti questi anni avete quotidianamente visto al mio fianco, si potrebbe dire che... è la mia ombra"
Il sorriso, fuggevole e dolce, che assieme alle ultime parole apparve per un istante sulle labbra di Oscar, affondò come un coltello nel cuore di Victor svelandogli con l’identità del suo rivale, tutta la portata della sua illusione.
"André" concluse per lei in un soffio.
Oscar non ebbe bisogno di replicare, il suo silenzio bastò a dargli conferma, ed egli non poté che darsi dello stupido, perché accecato, forse, dai suoi sentimenti e, certo, dalla sua presunta superiorità, aveva deliberatamente ignorato una sensazione che più volte lo aveva sfiorato.
Per un lungo momento i due si guardarono, l'uno cercando di metabolizzare quella che oramai era una ineluttabile e dolorosa realtà, l'altra dandogli il tempo per farlo, consapevole di quanto dovesse essere difficile dopo che con tanta sincerità e trasporto le aveva offerto il suo amore.
"Immagino che non ci sia altro da aggiungere" disse infine Victor con un sorriso triste "se non le mie scuse per avervi importunata"
"Victor io..."
"No Oscar, vi prego... Non dite nulla... non voglio la vostra compassione..."
"Compassione? Non siete né mai sarete uomo da compatire Victor! La stima ed il rispetto che ho per voi sono immutati e mai vi farei il torto di offrirvi parole di consolazione"
"Vi ringrazio Oscar, e vi garantisco che ciò che dite lenisce almeno un po' il mio provato amor proprio..." Disse sforzandosi di dare un tono leggero alla sua voce. "Comunque oggi stesso metterò fine a questa faccenda" aggiunse quindi tornando a sedere alla sua scrivania. "Parlerò con mio padre e scriverò ufficialmente al vostro per ritirare la mia proposta. Chiaramente troverò motivazioni che non vi coinvolgano. Vi auguro di essere felice Oscar, davvero, per quanto, in tutta onestà, non credo sarà facile..."
Aveva pronunciato quelle ultime parole, senza alcun astio, ma con un senso di profonda malinconia non solo per se stesso, ma anche per colei che amava, perché sapeva che quel legame che la univa ad un uomo di estrazione sociale tanto lontana dalla sua e destinato per forza di cose a rimanere invisibile, difficilmente sarebbe stato fonte di gioia e serenità. Tuttavia, egli sapeva che Oscar era una donna diversa da qualunque altra e che la scelta fatta non poteva che essere stata consapevole. Per questo rimase sorpreso quando la vide aggrottare la fronte in un'espressione turbata che raramente le aveva visto in volto.
"No, non è facile... Non lo è assolutamente" la sentì dire tristemente e la guardò distogliere lo sguardo dal suo volto per poi iniziare a tamburellare nervosamente le nocche della mano sul bordo della scrivania.
Victor tacque e non solo perché non c’era nulla che potesse dire, ma perché quel frammento di fragilità mostratogli, unito all'indugio che ancora la tratteneva dall'andare via avendo oramai chiarito quanto le premeva, non era da lei. Era tesa ed era evidente che volesse dirgli ancora qualcosa e che quel qualcosa non dovesse essere facile da dire.
Un silenzio carico di attesa calò dunque nella stanza finché arrestando il movimento ritmico della mano, Oscar sollevò il viso e volse a Victor uno sguardo deciso.
"Come vi ho detto poc’anzi non è stata una indisposizione a tenermi lontana dalla Corte in questi giorni, né ciò che è avvenuto questa notte il motivo che mi ha spinto stamane a rientrare e neanche, in un certo senso, l'esigenza di chiarire la questione del nostro fidanzamento..." Sospirò, non sapendo bene come affrontare il discorso  "Si tratta di André..."
Un perplesso aggrottar di ciglia accolse quelle parole.
"In questo momento è agli arresti nella prigione dell'Abbazia accusato di contrabbandare armi sottratte al reggimento delle Guardie in cui da alcuni mesi presta servizio. L'accusa è ovviamente una montatura ed è opera di mio padre, che venuto a sapere del nostro legame ha pensato di usare questo escamotage non solo per troncarlo ma anche per convincermi a sposare voi..."
Sbigottito, mentre sentiva crescere dentro una sensazione di rabbia per essere stato lo strumento involontario e inconsapevole di un ricatto tanto vile, Victor rimase a fissare Oscar immobile, rendendosi conto, con un crudele senso di vergogna, che era stato sul punto di divenire  lo squallido destinatario di una promessa estorta e di una felicità ricevuta a prezzo di amarezza e sofferenza.
"Mi rendo conto che non ho alcun diritto di chiedere il vostro aiuto e che voi non abbiate alcun motivo per concedermelo" continuò Oscar equivocando la sua reazione "ma ho bisogno di recuperare tempo per poter trovare una via di uscita e non posso che farlo facendo credere che io abbia accettato di diventare vostra moglie, ma... non posso e non voglio ingannarvi! Non è giusto e voi di certo non lo meritate. Perciò sono qui per chiedervi di..."
"Ma sì certo... Non dove neanche chiederlo. Avrete il mio appoggio".
Quelle parole pronunciate senza esitazione, colpirono profondamente Oscar, che ancora una volta ebbe modo di constatare quanto il maggiore Victor de Girodelle, in circostanze in cui la maggior parte delle persone avrebbe quantomeno tentennato, si dimostrasse deciso e pronto a cedere il proprio interesse per agire secondo coscienza   "Vi ringrazio Victor" aggiunse quindi con tono profondamente sentito "Avete la mia più sincera gratitudine".
"Dal momento che non posso avere altro, immagino che dovrò accontentarmi…" osservò lui di rimando con un sorriso un po' triste.
"Meritate di essere amato" rispose Oscar con la stessa espressione "vi auguro di trovare quanto prima la felicità di un amore corrisposto ".
Victor sollevò le sopracciglia.
"Si, certo" disse sospirando profondamente "ma in fondo è già una felicità poter amare..."
 
 
Il cielo era di un bel colore turchese, insolito in quel periodo dell'anno ed interrotto solo da qualche rada nuvola trasparente. Il colonnello de Jarjayes, seguita a pochi passi dal maggiore de Girodelle, attraversò la Galleria Degli Specchi, dove piccoli gruppi di cortigiani chiacchieravano godendo dalle ampie finestre del piacevole calore dello splendente sole invernale.
Erano diretti agli Appartamenti della Regina e quella consueta passeggiata che in altri giorni non avrebbe suscitato una particolare attenzione, quella mattina era invece fonte di vivo interesse, poiché il loro passaggio accendeva la curiosità dei cortigiani, che cercavano nell'atteggiamento dei due ufficiali qualche dettaglio che desse conferma a quanto oramai sempre piu insistentemente si andava mormorando sul loro conto. Tuttavia, con rammarico dei curiosi, l'atteggiamento di Oscar e Victor appariva immutato, dal momento che l'una era come sempre distante e altera e l'altro disinvolto e affascinante, con quella sua aria a metà tra fierezza guerriera ed eleganza.
Eppure, un osservatore che li avesse guardati con attenzione nel momento in cui giunti alla sala delle Guardie si separarono, avrebbe notato che lo sguardo con cui il maggiore Girodelle seguì il suo comandante un attimo prima che la porta degli appartamenti privati della Regina si richiudesse alle sue spalle, aveva un che di mesto e perduto.
Ma nessuno fu tanto perspicace... e chi notò qualcosa vi vide solo l' indugiare rapito di un uomo perso nella contemplazione della sua futura sposa. Del resto, è più facile immaginare ciò che la convinzione suggerisce piuttosto che ciò che realmente è, e quindi difficilmente qualcuno avrebbe potuto indovinare quanto lacerato e triste fosse in quel momento l'animo del disincantato Maggiore Victor Clement de Girodelle, che come Icaro si era visto precipitare in mare dopo che il sole della realtà aveve sciolto la cera delle sue illusioni.
 
 
[1] Victor si riferisce alla risata che ebbe in risposta da Oscar alla sua proposta di nozze
[2] L’evento viene accennato nel capitolo 11
[3] Cortile d'ingresso della Reggia antistante la Corte di Marmo.

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Capitolo 16
*** L'ultimo bacio ***


L’ultimo bacio
 
Alla debole luce del nuovo giorno, Parigi iniziava a svegliarsi. Era un rigido mattino di fine febbraio e un cielo plumbeo incombeva sulla città, eppure dalle botteghe ancora immerse nella foschia si levavano i suoni più disparati, dal battere energico dei fabbri e dei maniscalchi, al vociare allegro delle lavandaie pronte a uscire con le loro ceste ricolme di panni, mentre sulla strada riecheggiavano i richiami degli ambulanti e di qualche strillone, a spezzare il monotono cigolio delle ruote sul selciato e lo scalpiccio cadenzato dei cavalli.
Indifferente a quel brulicare operoso, Oscar continuava a procedere in sella a César lungo l’animata Rue Sainte Marguerite, con lo sguardo puntato in avanti e il cuore denso di angoscia, nonostante fosse ormai vicina  a riabbracciare l’unica persona il cui pensiero, in quei giorni, le aveva impedito di commettere una pazzia. La sera precedente, infatti, a due settimane esatte  dal fastoso ricevimento che aveva ufficializzato il suo fidanzamento con Victor e fissato le nozze per la prima domenica di maggio, suo padre le aveva finalmente consegnato il sospirato lasciapassare per incontrare André, detenuto da quasi tre mesi nella Prigione Militare dell’Abbazia[1].
Quella prima concessione, nelle intenzioni del Generale, doveva essere un segnale di distensione, un tentativo di riavvicinarsi alla figlia dopo averla – lui credeva– piegata, tuttavia non aveva minimamente intaccato il vivo rancore che Oscar provava nei suoi confronti, un rancore che in diverse occasioni, peraltro, era stata incapace di dissimulare, in barba ai consigli di Jean e agli inviti alla prudenza da parte di Marguerite.
Ciò nonostante, il Generale aveva tenuto fede ai patti, pur rammentandole con feroce chiarezza che qualsiasi colpo di testa, qualsiasi opposizione, avrebbero annullato il loro accordo e che di conseguenza André sarebbe stato deferito alla Corte Marziale con l’accusa di alto tradimento. In tal caso, nella migliore delle ipotesi avrebbe trascorso il resto della sua vita in una cella, oppure… 
Un brivido le percorse la schiena. D’istinto la donna si strinse nel mantello e abbassò la testa, cercando di distogliere la mente dagli scenari più cupi evocati dalle parole paterne. Doveva restare lucida senza lasciarsi andare al pessimismo, si disse, in fondo stava andando tutto secondo i piani: poteva contare sull’appoggio di Victor e presto il Generale avrebbe predisposto la traduzione di André in un luogo più confortevole di quella tetra e umida prigione, dove lo avrebbe tenuto recluso sino alla celebrazione delle nozze… questo però solo in teoria, puntualizzò tra sé con una punta di compiacimento. Infatti, grazie all’informatore reclutato da Victor tra le guardie dell’Abbazia, da qualche giorno conosceva ormai data, modalità e destinazione del  trasferimento e avrebbe dunque tentato di liberare André lungo il tragitto, tendendo un’imboscata all’esigua scorta incaricata di vigilare sul suo spostamento.
 L’impresa non era certo semplice né scevra di rischi, ma non sarebbe stata sola: ancora una volta il Maggiore Girodelle si era dimostrato un amico prezioso e devoto, offrendosi di affiancarla con la spada in mano.
A quella considerazione, le sfuggì un sospiro. Senza dubbio, il sostegno di Victor si era rivelato una fortuna, ma essere stata schietta con lui sin dall’inizio poteva davvero bastare alla sua coscienza? In fin dei conti, si stava comportando proprio come Jean le aveva suggerito, approfittando dell’amore incondizionato e sincero di un uomo per raggiungere i suoi scopi…
 In quel momento le campane di Saint-Germain-des- Prés suonarono la terza[2]. Riscuotendosi di colpo, Oscar tornò a guardare in avanti, verso la piazza che si apriva sulla sinistra in fondo alla via, scorgendo così, in lontananza, una delle torrette dell’Abbazia che si stagliava tozza e ostile nella livida caligine del mattino.
Il suo volto s’indurì. André era rinchiuso lì, in quell’edificio orribile… era una velleità continuare a farsi degli scrupoli morali. Con decisione pertanto spronò César e percorse l’ultimo tratto di strada che la separava dalla prigione.
 
L’Abbazia era una massiccia costruzione quadrata a tre piani, fiancheggiata ai quattro angoli da altrettante torrette di avvistamento, che si ergeva in Place Sainte-Marguerite, nel quartiere di Saint Germain[3]. Dopo aver fatto anticamente parte del monastero attiguo, da più di un secolo era ormai adibita a carcere militare e le sue celle sporche e umide non godevano purtroppo di buona fama, motivo per cui Oscar, osservando inquieta le fitte grate alle finestre della facciata principale, non poté fare a meno di chiedersi in quali condizioni avrebbe trovato André.  Tra l’altro, poco prima del suo fidanzamento ufficiale con Victor, il Generale  le aveva accennato qualcosa in merito a una presunta, grave malattia che aveva colpito il giovane durante la detenzione. Magari era una  menzogna bella e buona o per lo meno un’esagerazione, per far leva sulle sue preoccupazioni e assicurarsi così che continuasse a comportarsi come le era stato imposto… questo almeno si era ripetuta nei giorni passati, per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto. Ad avvalorare questa ipotesi, c’era il fatto che l’informatore di Victor, interpellato in proposito, non aveva confermato alcunché; tuttavia l’uomo aveva ripreso servizio soltanto da pochi giorni dopo un periodo di congedo, di conseguenza  le notizie in suo possesso sulla salute di André potevano essere incomplete.
 “Chi va là?”
La voce stentorea del piantone alla garitta la riportò bruscamente al presente. Con passo sicuro Oscar si avvicinò  alla guardiola e porse al soldato il suo lasciapassare.
“Sono Oscar François de Jarjayes, comandante in congedo della Guardia Reale. Sono qui per incontrare il prigioniero André Grandier”.
Per qualche istante l’uomo guardò dubbioso il foglio accuratamente ripiegato, prima di romperne il sigillo e leggerlo con attenzione. Il risultato della scrupolosa disamina fu l’ingresso del visitatore, che dopo aver affidato il cavallo a un mozzo di stalla e lasciato, come richiesto, spada e pistola in un ufficio, fu condotto nell’ala occupata dalle celle.
Impassibile in volto, ma con il cuore in gola, Oscar si ritrovò così a percorrere un lungo corridoio al seguito della guardia a cui era stata affidata, fino a svoltare in una piccola stanza di disimpegno. All’interno, nonostante la scarsa illuminazione data da una finestrella che si affacciava sulla piazza esterna, le bastò un’occhiata per scorgere alla sua sinistra l’imponente porta blindata sorvegliata da un secondino.
“C’è una visita per il prigioniero, Jacques” comunicava nel frattempo il suo accompagnatore, facendo cenno all’altro di aprire. Il secondino obbedì prontamente, rivelando al di là dell’uscio una stretta scala di pietra che scendeva nell’oscurità.
 “Che cosa significa?” domandò tesa Oscar “Per quale ragione mi avete portato qui?”
“Perché il soldato Grandier è rinchiuso nella cella dabbasso, signore” le rispose il soldato come se avesse appena detto un’ovvietà, aggrottando perplesso la fronte dinanzi al suo volto accigliato.
“Una cella? Vorreste farmi intendere che sarebbe una cella come tutte le altre?” ribatté lei, fulminandolo con uno sguardo.
“Ecco, a dire il vero…”
“Nessuno mi aveva informato di tutto questo… addirittura rinchiuso nelle segrete, neanche fosse un cospiratore o un volgare assassino!” sbottò la donna come un fiume in piena, serrando i pugni in un moto rabbioso “Vorrei capire perché un soldato di Sua Maestà debba attendere il giudizio in un posto del genere, quando fino a prova contraria andrebbe ritenuto ancora innocente!”
“Il soldato Grandier sarà anche innocente, ma dal momento che non si è dimostrato propriamente docile, si è ritenuto opportuno lasciarlo qui sino alla data del processo” intervenne a quel punto il secondino “Ordini superiori, mi dispiace signore. Non dipende da noi”.
 Oscar borbottò qualcosa tra sé, avvicinandosi ai gradini.
“Se volete ancora scendere, questa vi servirà” aggiunse allora  l’uomo, porgendole una fiaccola che lei accettò meccanicamente.
“Da qui in poi posso proseguire da sola?”
“Mi rincresce, ma non è possibile,” replicò la guardia che aveva zittito poco prima, scrutandola di sottecchi come se temesse un nuovo scatto d’ira “Sarà Jacques a condurvi là sotto e a farvi entrare nella cella… comunque, se lo desiderate, potrete restare qualche minuto da solo con il soldato Grandier”.
“Sì, lo vorrei… Vi ringrazio” capitolò rassegnata Oscar, che aveva ormai perso tutta la sua foga nel veder concretizzati i suoi più nefasti timori. Senza dire altro seguì quindi il secondino, cercando di non cedere alla disperazione neanche quando, prendendo come riferimento una minuscola finestra sul corridoio che si apriva in prossimità del soffitto, si rese conto di essere scesa ad almeno trenta piedi[4] di profondità. Tuttavia,  non poté fare a meno di inorridire nel momento in cui il suo accompagnatore si fermò davanti alle celle: al di là delle grate, infatti, le volte erano così basse che un uomo di altezza media non  avrebbe mai potuto stare in piedi senza piegarsi su se stesso; i muri inoltre erano neri e scrostati e, nonostante il pesante mantello di feltro, il freddo umido di quel luogo le era penetrato sino alle ossa. Quale mente crudele aveva mai potuto progettare una simile mostruosità?
“Grandier! Hai visite” annunciava intanto il secondino, girando rumorosamente la chiave nella toppa.
Nessun suono si levò dalla penombra.
L’uomo spostò la fiaccola in avanti per illuminare la cella, palesando sulla destra un braciere spento e, poco lontano,  un ammasso informe e scuro adagiato su un pagliericcio.
“Credo che stia dormendo, ma potete entrare lo stesso” disse pertanto, tradendo tuttavia un certo disagio nel vedere gli occhi del visitatore velarsi di lacrime “Io… io allora vi lascio soli”.
Oscar, pallidissima, si limitò a un cenno di assenso, restando immobile finché non udì la porta del piano superiore richiudersi pesantemente. Soltanto a quel punto, con la torcia in mano, avanzò lentamente in direzione del prigioniero, rabbrividendo al rumore della suola sul pavimento bagnato dall’umidità. Bagnata era in parte anche la base del pagliericcio, accanto al quale c’era una tazza ancora ricolma di brodo e un pezzo di pane. In preda all’ansia appoggiò la torcia nel braciere e si abbassò un poco verso quel corpo apparentemente esanime, avvolto da una lacera coperta di lana
“André…” sussurrò tremante “André!” quasi gridò subito dopo, scuotendolo leggermente per una spalla.
“Chi… chi è?” farfugliò finalmente una voce impastata, strappandole un sospiro di sollievo.
“André, amore mio… sono io, sono Oscar!” esclamò allora inginocchiandosi accanto al pagliericcio e prendendogli una mano tra le sue.
“Oscar… Oscar, sei davvero tu?” balbettò il giovane mentre apriva faticosamente gli occhi e si girava verso di lei.
Quanto aveva atteso quel momento? Eppure, dinanzi al suo sguardo vacuo Oscar soffocò un gemito: quasi stentava a riconoscere, in quel volto smunto e ispido di barba, i lineamenti gentili del suo André.
“Sì amore, sono io…” bisbigliò pertanto, abbandonandosi a un pianto sommesso “Dio mio, che cosa ti hanno fatto, André, che cosa ti hanno fatto?”
“No, Oscar, non piangere… Sono così felice di vederti…” disse lui con un fil di voce, sforzandosi di sorridere e allungando una mano a sfiorarle il viso “Stavolta non è un sogno, non è un sogno… non me ne andrò senza averti rivista…”
A quelle parole Oscar sgranò gli occhi, rendendosi conto con sgomento che quasi delirava.
“Ma che stai dicendo, André? Tra pochi giorni sarai fuori da qui, te lo assicuro, non andrai da nessuna parte senza di me!”
“No Oscar…  No… è un posto in cui non puoi accompagnarmi… ” ribatté l’uomo, provando debolmente a mettersi seduto.
“No, no, resta giù, non ti stancare!” lo fermò lei, costringendolo a sdraiarsi di nuovo “Andrà tutto bene, hai capito André?” aggiunse più dolcemente, scansandogli una ciocca di capelli dalla fronte “Tra meno di una settimana, tu…”
Suo malgrado s’interruppe, impietrita.  “Dio mio, quanto sei caldo…”
“Era a questo che mi riferivo, Oscar…” pronunciò mestamente André   “I miei compagni di cella, quelli con cui ho condiviso il freddo e gli stenti, avevano i miei stessi sintomi… e sono morti uno a uno nel giro di poche settimane. Ora… ora credo che tocchi a me”.
“Non dire sciocchezze! Tu non morirai!” proruppe Oscar.
“Oscar…” provò a replicare lui.
 “Da quando stai così?” gli domandò imperterrita.
“Non lo so… due settimane, forse tre” rispose André con fatica  “Riesco a malapena a distinguere la notte dal giorno… mi sembra di essere qui da un’eternità”.
Un’espressione dolente si dipinse sul volto di lei. “Se penso che sei qui solo a causa mia, io… io” gemette affranta, torcendo le mani.
“Ma che stai dicendo, Oscar?” fece lui sforzandosi di dare un senso alle sue parole.
“E’ stato mio padre a farti imprigionare…” gli rivelò nervosamente “Lui ha capito quello che c’è tra noi… e per piegarmi alla sua volontà, ha pensato di colpirmi dove sapeva mi avrebbe fatto più male!”
A quelle parole, lo sguardo spento di André si rianimò per un momento.
“Adesso è chiaro… È difficile credere che tuo padre possa essere giunto a tanto, ma a questo punto mi viene da pensare che sia solo perché intende farti sposare Girodelle, che ancora respiro”.
“André, mi dispiace così tanto… “
“No Oscar, non voglio sentirti parlare così… conoscevo i rischi che avrei corso amandoti e se il prezzo di ogni minuto passato con te è questa cella, sarei disposto a pagarlo mille volte”.
Oscar sentì il cuore lacerarsi nel petto e ringraziando l’oscurità che le nascondeva in parte il volto, si asciugò frettolosamente le lacrime. Avrebbe voluto raccontare tutto ad André, dirgli quali erano state le reali motivazioni che avevano spinto suo padre ad agire in maniera tanto meschina; dirgli di quel fratello che aveva stravolto la loro vita e che in quei tre mesi era divenuto una presenza sempre più assidua a Palazzo, che sembrava leggerle dentro e non si dava pena di nasconderlo. Era certa che quella capacità di giudizio che tante volte André aveva dimostrato di possedere, l’avrebbe aiutata a capire di Jean ciò che le sfuggiva, decifrandone indole e intenzioni…  ma tacque. Tacque perché in quel momento André era fragile e non poteva instillargli nuovi motivi di ansia e preoccupazione.
 “Mia nonna come sta?” domandò in quel momento il giovane con voce atona, distogliendola bruscamente dai suoi pensieri.
“Sta… sta bene” si affrettò a rispondere, senza riuscire a dissimulare del tutto il suo disagio.
“Le hai detto…”
“No… no, stai tranquillo” lo rassicurò “Crede che tu sia stato trasferito alla guarnigione di stanza a Lione. Almeno su questo… mio padre ha avuto un barlume di umanità e ha avallato il mio racconto”
“Se sapesse… ne morirebbe…” constatò lugubremente André.
“Ma non lo saprà e a te non accadrà niente…ti tirerò fuori di qui…”
La replica di André non fu tuttavia quella che si sarebbe aspettata.
“No” ribatté infatti con lapidaria fermezza, nonostante l’affanno che gli spezzava il respiro.  
“Ma che diamine stai dicendo, André?”
Per tutta risposta l’uomo puntò i gomiti e seppur con qualche difficoltà riuscì a mettersi seduto, reclinando la schiena all’indietro per cercare l’appoggio sicuro del muro.
“Sono troppo debole Oscar, non credo che riuscirò a resistere a lungo…” ansimò “So che non vuoi sentirtelo dire, ma non credo di avere molte probabilità di poter uscire da qui sulle mie gambe… e non voglio… non voglio che tu faccia qualche sciocchezza a causa mia… non voglio che tu ti senta costretta a...”
 “Non mi sento costretta a fare niente, André!”
“E allora spiegami… se tuo padre mi ha rinchiuso qui per obbligarti ad accettare il matrimonio con il Maggiore, perché ora ti ha concesso di vedermi? Che cosa hai fatto O…” Un violento colpo di tosse lo scosse con forza, interrompendo le sue parole.
“Calmati, non ti agitare!” si allarmò lei “ Io gli ho solo promesso che sposerò Victor, ma non avverrà mai, te lo giuro!”
“E lui… lui si sarebbe fidato della tua parola?” domandò scettico André dopo aver ripreso fiato.
“Si fida di Victor ma non sa che ci sta aiutando…”
“Aiutando?” ripeté lui  pungente “Victor de Girodelle starebbe aiutando me, Oscar?”
“Sì André, gli ho detto tutto e che tu ci creda o meno, è quello che sta facendo” replicò la donna puntando le iridi chiare in quelle cupe di lui“Di più non posso dirti qua dentro… ma ti prego, fidati di me”.
Un’ombra di tristezza passò negli occhi del giovane, mentre le sfiorava delicatamente il viso con una carezza.
“Io… io mi fido di te, amore mio… ma non di chi ti sta intorno”
“Io non ho dubbi sulla lealtà di Girodelle, André e tra una settimana ti faremo uscire” disse lei in un sussurro, tendendo le orecchie per assicurarsi che il secondino non stesse scendendo proprio in quel momento “Ti chiedo solo di resistere ancora qualche giorno… per me”.
“Ci proverò…” ironizzò allora André e per un istante un guizzo impertinente tornò ad accendere il suo sguardo dell’antica vivacità.
Sono questi gli occhi che conosco, esultò tra sé Oscar di fronte a quegli occhi verdi che brillavano nell’oscurità e d’impulso cercò le sue labbra.
“Oscar, no... “ protestò spiazzato André, provando a scostarsi imbarazzato dalle sue misere condizioni .
“E perché mai… Cosa vuoi che m’importi se non profumi esattamente di lavanda!” lo canzonò dolcemente lei con un sorriso.
Sorrise a sua volta, André, ed accolse le sua bocca  con un impeto che per un momento soverchiò il malessere e la ragione, prendendole il  viso tra le mani e baciandola con veemenza, quasi con disperazione, al pensiero che quello sarebbe potuto essere il loro ultimo bacio.
“Ora vai” le ingiunse quindi rauco, staccandosi da lei “E ti prego… non voltarti indietro” aggiunse con voce angosciata.
Troppo forte, infatti, era il dolore di lasciarla andare sapendo che avrebbe potuto non vederla mai più; e se lei si fosse girata anche solo per un momento, sentiva che non sarebbe più riuscito a trattenersi e non voleva che l’ultimo ricordo che Oscar serbasse di lui fosse il suo viso rigato di lacrime.
“Sì… ma tu..”
“Lo farò… resisterò per te”.
Rincuorata, Oscar gli lambì la fronte con le labbra…poi si alzò e uscì dalla cella senza cercare i suoi occhi, come gli aveva promesso.
Nel silenzio del seminterrato, il rumore dei suoi passi riecheggiò sulle scale, facendosi via via sempre più lontano… soltanto però quando ebbe udito il cigolio dei cardini e il rimbombo della porta che si richiudeva, André cedette e  si lasciò andare ad una smorfia dolente, mentre il suo corpo tremava di nuovo, squassato dalla tosse.
Sfinito, infine, da quel feroce addio, chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul pagliericcio, cercando di non pensare al sapore ferrigno del sangue che sentiva nella bocca.
“Sì, vai amore mio, e vivi… vivi come il tuo cuore ti suggerisce… anche senza di me”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] La prigione de l'Abbaye (nota a noi fans di Lady Oscar per l’imprigionamento dei Soldati della Guardia, episodio peraltro storicamente avvenuto) fu una prigione di Parigi in uso dal 1522 al 1854, facente anticamente parte dell’Abbazia di Saint- Germain de Prés. L’edificio finale fu realizzato nel 1631 dall’architetto Christophe Garmard e adibito quindi  a prigione militare. Per la descrizione e la topografia ci siamo attenute alle informazioni  e alle illustrazioni di santo Wikipedia francese (!) e a due  preziosissimi siti, uno all’indirizzo  https://prisons-cherche-midi-mauzac.com/des-prisons/l%E2%80%99abbaye-maison-d%E2%80%99arret-et-de-discipline-militaire-a-saint-germain-des-pres-211 l’altro su http://www.cosmovisions.com/monuParisPrisonAbbaye.htm
[2] Nella tradizione cattolica, corrispondeva alle nove del mattino.
[3]La prigione, oggi non più esistente, si trovava all’estremità sud-orientale del recinto del monastero; la parete sud confinava con Rue Sainte-Marguerite, oggi Rue Gozlin, mentre la parete est formava uno dei lati di Place Sainte-Marguerite. Il sito della costruzione è occupato oggi dal boulevard Saint Germain.
[4] Circa nove metri

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Capitolo 17
*** A un passo da te ***


A un passo da te.
 
“Mai abbassare la guardia”.
Era questo il motto che  Augustin de Jarjayes aveva fatto suo sin dall’adolescenza, ritenendo che si adattasse perfettamente alla battaglia come alla vita: entrambe, infatti, erano irte di insidie, celate che fossero da un’ingannevole quiete o semplicemente dietro un sorriso di circostanza. D’altronde, se  in passato aveva pagato a caro prezzo l’ingenuità della gioventù, che lo aveva talvolta indotto a guardare il suo prossimo con fiducia e a rilassarsi a un passo dalla meta, con la maturità aveva imparato che il più amabile dei sorrisi può essere infido quanto una lama affilata e che spesso non basta neanche arrivare in cima per dire di aver scalato la montagna, se al di sotto si apre il precipizio.
Nelle settimane successive all’arresto di André e all’apparente resa di Oscar, pertanto, il Generale aveva mantenuto il suo consueto atteggiamento di vigile diffidenza, nella convinzione che quella figlia che tanto gli somigliava per indole e audacia fosse sconfitta ma non certo doma.
“Avete vinto” gli aveva detto con freddezza, quando di ritorno  dalla sua missione a Libourne[1], l’aveva trovata ad attenderlo nel suo studio; non gli aveva chiesto spiegazioni, né ne aveva  date, ma il suo sguardo… oh, quello sguardo cupo di preoccupazione eppure, al tempo stesso, scintillante di rabbia e di rancore…  Non era lo sguardo di chi si sottomette, di chi è sconfitto e si rassegna… era sguardo di tempesta più eloquente di mille parole.
Consapevole di quanto dovesse ribollire in quel momento il sangue di sua figlia, aveva dunque accolto quella concisa dichiarazione senza aggiungere superflue e oramai inutili accuse, ma si era limitato ad un altrettanto laconico: “Bene”.
Oscar era quindi uscita dalla stanza dopo avergli assicurato che avrebbe agito secondo il suo volere, purché André fosse libero e salvo, ricevendo in cambio la sua parola. Da allora non gli aveva più parlato se non necessario e sempre brevemente, ma ogni sua azione successiva aveva dimostrato la sua intenzione di tener fede a quanto promesso; dal canto suo, anch’egli aveva intenzione di mantenere in tutto e per tutto la parola data e proprio per questo sperava vivamente che lei non stesse bluffando. Non voleva spingersi più in là di dove fosse già arrivato.
In realtà, l’arresto di André era stato più frutto di un impeto che di una decisione calcolata, e a scatenarlo era stato l’impatto emotivo delle prove che si era trovato tra le mani a conferma dei sospetti insinuati da Jean. Era stato infatti lo sdegno per le parole che André rivolgeva a Oscar in una missiva piena di trasporto,  affidata a Gaston[2] senza immaginare che il ragazzo fosse stato scoperto e costretto a tradirlo, ad aver spinto la sua mano su quell’ordine di arresto. Venire a conoscenza della natura sensuale del loro legame e di un’intimità goduta appieno e senza tentennamenti, con totale disprezzo per ogni regola, gerarchia sciale e per la dignità stessa del suo nome, era stato un colpo troppo forte perché potesse contenersi.
Solo in un secondo tempo, quando la rabbia per l’onta subita era sfumata, aveva visto in quella scelta impulsiva un’inaspettata opportunità per piegare la figlia ai suoi voleri.
Certo, doveva ammettere che nel profondo del cuore non era contento di ciò che aveva fatto e per quanto in suo potere aveva cercato di assicurarsi che in prigione André fosse trattato decentemente; qualche settimana dopo,però, gli era stato riferito che il soldato Grandier, reo di aver colpito una guardia con un pugno durante una zuffa in cella, era stato rinchiuso nelle segrete dove, come spesso capitava, si era ammalato.
Quella notizia ovviamente non gli aveva fatto piacere, ma il fine giustifica i mezzi e per Augustin il proprio fine era nobile e giusto: in fondo stava cercando di ristabilire il corretto ordine delle cose, restituendo a Oscar e Jean la vita di cui li aveva scelleratamente privati… quanto ad André Grandier, alla fine lo avrebbe liberato, ma era una pedina troppo preziosa per privarsene anzitempo, considerando che le sue precarie condizioni di salute avrebbero sicuramente dissuaso Oscar dal commettere qualche scelta avventata. Non aveva dubbi, difatti, sul profondo legame che univa sua figlia a quel giovane taciturno e remissivo che aveva accolto in casa quasi trent’anni prima; un legame cementato da un’infanzia e da una giovinezza condivisa, forse anche da una certa affinità di carattere e da una comune educazione, e al quale avrebbe persino guardato con favore se André fosse stato nobile; tuttavia, così non era e pertanto non avrebbe mai permesso che il glorioso sangue dei Jarjayes fosse annacquato da quello di un roturier di oscure origini, né che l’insormontabile differenza di classe tra di loro, esaurita la passione, fosse per la minore delle sue figlie causa di dolore e infelicità.  
Oscar se ne sarebbe fatta una ragione.
Di questo e altro tenore erano dunque i pensieri del Generale, mentre con passo marziale e sguardo fiero percorreva quel pomeriggio i corridoi della reggia; eppure, nonostante la consapevolezza di aver vinto soltanto una battaglia e non la guerra, dinanzi agli auguri e alle felicitazioni che continuavano a piovergli da più parti, gli risultava davvero difficile non lasciarsi andare a un cauto ottimismo. Sebbene in quel periodo avesse disertato Versailles, infatti, a Corte non si era ancora spenta l’eco del sontuoso ricevimento in cui Oscar si era presentata al fianco di Victor de Girodelle, vestita come si confaceva alla sua bellezza e al suo rango; persino il Re, in udienza, si era congratulato pubblicamente con lui e il Cappellano reale si era offerto di celebrare le nozze.
Gongolava in cuor suo, Augustin, e poco importava che il cielo fosse grigio e l’aria ancora fredda: la primavera era vicina e a maggio avrebbe affidato la sua rosa più bella all’unico uomo che reputava degno di lei, un uomo che la amava per quella che era e che di certo l’avrebbe resa felice. A quel punto, trascorso un congruo lasso di tempo, avrebbe potuto finalmente rendere pubblica la sua intenzione di adottare Jean, con buona pace di Louis Armand de Girodelle e delle sue speranze di acquisire il titolo dei Jarjayes, e al contempo avrebbe rivelato a Oscar la verità, nella speranza che, a dispetto delle circostanze che avevano incrociato i loro destini, tra lei e suo fratello potesse instaurarsi un sentimento di reciproco affetto, come in fondo dovrebbe sempre essere quando nelle vene di due persone scorre il medesimo sangue.
Assorto in quelle considerazioni, il Generale salì l’imponente scala marmorea che portava al piano superiore e si diresse verso l’ufficio, occupato da Oscar  fino a tre mesi prima, in cui si era recentemente insediato  il nuovo comandante. Il giovane militare che piantonava la porta dell’anticamera, riconoscendolo, si mise prontamente sull’attenti.
“Buon pomeriggio, Signore” lo apostrofò quindi con deferenza.
“Buon pomeriggio a voi, Blanchard. Il colonnello Girodelle è nel suo ufficio?” domandò distrattamente l’anziano gentiluomo.
“Sissignore, ma ha dato disposizione di non essere disturbato. Non so se…”
“E per quale motivo, di grazia?” fece contrariato Augustin, aggrottando la fronte.
“Ecco…  ha ricevuto ora una visita e…” farfugliò  il soldato, visibilmente imbarazzato.
“E chi mai sarebbe questo misterioso ospite per richiedere tanta riservatezza?”
“Si tratta del Coman…” Resosi conto dell’involontaria gaffe, la guardia s’interruppe, nella vana ricerca di un termine più adeguato “ehm... di vostra figlia, signore” si risolse infine, evitando di impelagarsi ancora di più.
A quelle parole, un sorriso compiaciuto affiorò sulle labbra del Generale. La presenza di Oscar in quell’ufficio sembrava confermargli per l’ennesima volta l’avvicinamento che nelle ultime settimane aveva notato tra lei e Victor de Girodelle; un avvicinamento fatto di sguardi, cenni d’intesa e qualche sorriso, culminato la sera del fidanzamento con il ballo concesso al suo promesso per aprire le danze.
Per un attimo ebbe la tentazione di tornare sui suoi passi per non disturbarli, ma aveva  bisogno di parlare con il futuro genero e il dovere non ammetteva sconti né deroghe .
“La vostra ottemperanza agli ordini vi fa onore, mio caro Blanchard” replicò pertanto con una punta d’ironia “ma ho urgenza di conferire con il Colonnello riguardo al servizio di scorta richiesto per domani e non credo che la presenza di mia figlia costituisca un problema”.
“Volete dunque che vi annunci, signore?” capitolò rassegnato il soldato.
“Non vi preoccupate, faccio da solo…” ribatté serafico il Generale, abbassando la maniglia senza troppi complimenti.
Il giovane Blanchard si scansò con un sospiro, permettendogli così di accedere nell’anticamera. Era questa un’ampia stanza quadrata, un tempo utilizzata come boudoir, il cui sobrio arredamento, costituito da una grande libreria e da alcune sedute imbottite poste vicino al camino, rifletteva il gusto del precedente comandante. Del resto, Oscar non aveva mai amato le chincaglierie, constatò tra sé Augustin richiudendo piano i battenti alle sue spalle; l’unico vezzo di quell’ambiente altrimenti spoglio, infatti, erano le sontuose cornici dorate alle pareti, che racchiudevano scene di caccia e di battaglia capaci di creare, con i loro colori accesi e il dinamismo delle forme, un violento ma piacevole contrasto con il monotono candore delle boiseries. Bianca era anche la grande porta a due ante, finemente decorata, che separava l’anticamera dall’ufficio vero e proprio; raggiungendola, il Generale notò che era stata lasciata socchiusa e si accinse pertanto a bussare per palesare la sua presenza. Dall’interno dell’ufficio, tuttavia, un mormorio sommesso attirò la sua attenzione.
 “Oscar…”
Augustin riconobbe la voce di Victor de Girodelle e pensò che non lo aveva mai aveva udito rivolgersi a sua figlia chiamandola per nome. Quell’inaspettata confidenza e soprattutto il tono accorato usato dal suo futuro genero lo colpirono a tal punto che, d’istinto, si accostò allo spiraglio tra i due battenti.
Ciò che vide, in realtà, lo rallegrò: Oscar era in piedi davanti alla finestra e il Visconte, dietro di lei, le aveva appena posato con delicatezza le mani sulle spalle. L’intimità e la naturalezza di quel gesto sedarono dunque ogni suo dubbio e lo sollevarono, convincendolo ulteriormente della bontà della decisione presa; una decisione che non solo salvaguardava l'interesse del casato, ma contribuiva anche a creare un futuro sereno per sua figlia, che evidentemente, tutto sommato, iniziava a superare quella che non poteva essere stata altro che un'infatuazione per l'amico d'infanzia, nata dalla particolare condizione in cui egli aveva posto entrambi.
Le disposizioni per l’indomani potevano anche aspettare, si disse pertanto con un sorriso malinconico ritraendosi dalla soglia, era giusto che Oscar e Victor vivessero ogni momento utile a cementare il loro nuovo legame; tuttavia, proprio in quell’istante la voce di sua figlia si levò gelida nel silenzio della stanza.
“Voi lo sapevate, non è vero?”
Turbato dalla durezza con cui Oscar si era rivolta al suo promesso sposo, il Generale si riavvicinò alla porta. Dalla posizione in cui si trovava non poteva vedere né il volto di lei né quello di Victor, ma percepiva chiaramente la tensione che si era creata improvvisamente tra di loro, una tensione di cui non riusciva a darsi una spiegazione.
“Sì” ammetteva nel frattempo Girodelle con un profondo sospiro.
Sotto lo sguardo sconcertato di suo padre, Oscar si voltò, staccandosi bruscamente da Victor coi pugni serrati e gli occhi sfavillanti d’ira.
“Perché non me lo avete detto?” sibilò risentita.
“E che cosa sarebbe cambiato, se lo aveste saputo prima?” ribatté il Visconte con tono pacato ma fermo“Vi sareste soltanto angustiata ulteriormente, senza poter far nulla se non attendere con angoscia il giorno del vostro incontro… o, peggio, avreste commesso una follia. Ho pensato a questo, quando mi è stato riferito delle segrete… quanto alle reali condizioni del vostro André ne ero all’oscuro quanto voi, ma vi assicuro che avrei comunque evitato di parlarvene per gli stessi motivi”.
A quelle parole il Generale restò di stucco e non certo perché da esse si evinceva che Oscar si fosse già recata all’Abbazia. Dunque Girodelle sapeva di André Grandier?
“Quanta premura nei miei confronti… siete sicuro che è stato solo per questo?” replicava intanto caustica sua figlia.
“Mi ritenete davvero così meschino, Oscar?” mormorò amareggiato il Visconte.
Dinanzi al suo sguardo ferito eppure così colmo di dignità, la rabbia di Oscar svaporò come neve al sole.
“No” rispose in un sussurro, chinando la fronte “Perdonatemi, Victor… ma stamattina vederlo lì, in quello stato…”
“Non avete nulla di cui scusarvi, Oscar… immagino che sia stato terribile” disse con dolcezza Victor “Tuttavia non dovete abbattervi, André ha un fisico robusto e una volta fuori da quella maledetta prigione guarirà sicuramente”.
“Non ne sarei così certa, Victor… se solo lo aveste visto!” esclamò affranta lei scuotendo la testa “Io… io non so neppure se sia in grado di resistere fino al giorno del trasferimento!”
“Ce la farà” la rassicurò Girodelle con convinzione.
“Voi dite?” obbiettò dolorosamente lei “Ma poi… anche ammettendo che riuscissimo a liberarlo… dove potremmo mai portarlo nelle sue condizioni? Imbarcarsi immediatamente come avevamo progettato sarebbe pressoché impossibile!”
“Vorrà dire che ve ne starete nascosti per un po’, finché André non potrà tornare a viaggiare. Se volete, posso mettervi a disposizione il mio palazzo di Meudon… nessuno della mia famiglia vi si reca più da anni e vostro padre non sospetterà mai che possiate trovarvi lì” le propose allora Victor “Quanto alle cure necessarie, non dovete preoccuparvi neanche di quelle, penserò a inviarvi un bravo medico appena possibile, ovviamente con la dovuta discrezione”.
“Io… io non so che dire, Victor… se non che vi ringrazio dal profondo del cuore” mormorò commossa “Mi chiedo come avrei fatto in questo periodo senza di voi”.
“Non dovete ringraziarmi… ” replicò il Visconte con un sorriso triste ”Sapete bene quanto tenga a voi, ma non mi avete certo obbligato.  Io… io lo faccio forse più per me che per voi... Starvi accanto e aiutarvi come posso mi fa stare bene e sono felice di poterlo fare, anche se ammetto che il pensiero che presto lascerete la Francia al fianco di un altro…” La fronte di Victor s’increspò e per un momento un velo di amarezza gli calò sul volto; ma fu un attimo, veloce quanto il battito d'ali di una farfalla e quell'ombra sparì per lasciare nuovamente posto ad un sorriso “Ma bisogna pur trovare un punto di equilibrio tra altruismo ed egoismo, non credete?”
Il tono disinvolto e vivace con cui Victor pronunciò quelle parole non riuscì tuttavia a nascondere ad Oscar l'effimera tristezza che un momento prima gli aveva incupito lo sguardo.
"Victor, siete una persona come poche davvero... e che vi piaccia o meno  devo ringraziarvi, sono stata fortunata ad avervi trovato sulla mia strada " disse d’impulso, prendendogli la mano.
“Stolta! Tu non conosci il significato della parola fortuna!"
La voce del Generale tuonò nella stanza. Esterrefatti, i due giovani si voltarono verso la porta che l’uomo, fremente d’ira, aveva appena spalancato rumorosamente.
“Se  te ne rendessi veramente conto non butteresti alle ortiche la famiglia in cui hai avuto l'onore di nascere, la tua vita e il tuo avvenire per l'amore indecente di un miserabile servo, per fuggire con un ingrato meschino che ha avuto l'ardire di alzare gli occhi dalla terra cui erano destinati!” proclamò con rabbia, facendosi vicino ai due che lo fissavano con occhi spalancati di sorpresa.
Alla sua vista Oscar si era sentita morire, aveva sentito la schiena gelarsi di un  freddo sudore comprendendo che suo padre aveva ascoltato tutto e che oramai sapeva; eppure, mentre la paura per le conseguenze di ciò che stava accadendo le trafiggeva lo stomaco, il disprezzo usato nel riferirsi ad André e lo spregio per il sentimento che li univa le fece fremere il sangue, tanto che la collera a lungo trattenuta esplose in un ruggito.
“Follia? Voi parlate a me di follia! Voi accusate me di essere folle?! Siete voi e non io a non conoscere il significato delle parole che pronunciate!” proruppe a sua volta avvicinandosi a lui.
 “Oscar, vi prego, calmatevi” intervenne allora Victor cercando di sedare gli animi e recuperare per quanto possibile  la situazione  “E voi Generale, non so che cosa abbiate udito, ma vi assicuro che avete frainteso…”
“Credete per caso che sia uno sciocco, Girodelle? So bene ciò che ho sentito e quanto a voi mi domando come possiate dichiarare di tenere al suo bene!  Se davvero così fosse stato, non l'avreste certo appoggiata in questa follia!”
“Generale, vi prego” insisté Victor “Abbassate la voce, non dimenticate che siamo a Versailles e qui anche i muri hanno orecchie...”
“Magari se finisse sulla bocca di tutti finalmente smetterebbe  di  blaterare di onore e nomi...” osservò pungente Oscar.
 “Taci, scellerata!” le intimò furibondo il Generale, sollevando minacciosamente un braccio per colpirla.
Tuttavia, prima che la violenza dello schiaffo si abbattesse sul volto della donna, Victor de Girodelle si frappose tra di loro e bloccò con decisione il polso del Generale.
“Toglietevi di mezzo, Victor, questa faccenda non vi riguarda!” sibilò questi fuori di sé, cercando di divincolarsi.
“Mi riguarda eccome, dal momento che vi sono coinvolto, e se non dispiace a entrambi io ci tengo al mio onore!”
 Un sorriso cattivo aleggiò sulle labbra livide del Generale.
“Ma davvero? Visto il giochetto a cui vi siete prestato avrei creduto il contrario… Mi sembrava di aver capito che foste estimatore dei menage a trois come vostro padre, un’attività non molto onorevole a dire il vero… ma  d’altronde, com’è che si dice? La mela non cade mai lontano dall’albero!”
“Come vi permettete?!” ringhiò Victor, lasciandogli il polso ma afferrando l’uomo per il bavero della marsina “Se non vi chiedo ragione di quello che avete detto è solo per Oscar!”
“Come mi permetto io?” domandò il Generale liberandosi con uno strattone dalla presa del Visconte “Come vi siete permesso voi, a tradirmi in questo modo indegno! Io… io vi stimavo, Girodelle, vi credevo un uomo d’onore… e invece… invece vi siete fatto abbindolare per tramare alle mie spalle!”
“Sapete, credo che abbia ragione vostra figlia quando dice che non vi rendete conto del senso delle parole... voi che parlate di onore, Generale Jarjayes?” proruppe sdegnato Girodelle. “Voi che…”
"Victor! Non avete appena consigliato di mantenere la calma?" intervenne in quel momento Oscar, che, tornata in sé, si rendeva conto che ogni parola era una potenziale corda stretta attorno al collo di André.
Victor capì e si azzittì.  Da tempo sapeva di Jean; era stata proprio Oscar ad aggiungere l’ultimo tassello di quella squallida storia rivelandogli la verità, ma gli aveva fatto giurare di mantenere il segreto per non compromettere l’eventuale aiuto che suo fratello, che non voleva che la cosa si sapesse, avrebbe potuto offrirle in caso di bisogno. In realtà, complice l’istintiva antipatia nei suoi confronti , Victor non riponeva particolari aspettative sul conte creolo, ma ora che Augustin aveva scoperto i loro piani, Jean de Grammont diventava la loro unica possibilità.
“Vorrei vedere se si fosse trattato di vostra figlia! O magari della vostra preziosa Isabelle[3]!!” esclamava nel frattempo Augustin, equivocando il senso di quelle sue allusioni “Ditemi, Girodelle, fareste sposare vostra sorella con un uomo che fino al giorno prima vi puliva gli stivali? O anche voi vi siete riempito la testa delle corbellerie che girano per la Francia di questi tempi?”
Punto sul vivo, Victor tacque.
“Dissentire da una scelta non giustifica il ricorso al ricatto né tantomeno  il sacrificio di un innocente” obiettò severo, tuttavia, un attimo dopo.
“Imparerete a vostre spese che nella vita non è tutto bianco o nero e che a volte è necessario sporcarsi le mani… e soprattutto che nessuno è davvero innocente”  replicò lugubremente il Generale.
“Padre,” parlò allora Oscar “è inutile negarlo. È vero, ho mentito quando vi ho detto che accettavo la vostra decisione e  vi ho ingannato sperando di riuscire a liberare André, coinvolgendo nel mio piano il Colonnello Girodelle, che al di là di quel che pensate, mi ha appoggiata unicamente per affetto. La responsabilità di tutto ciò è dunque esclusivamente  mia, come mia è stata la volontà di legarmi ad André. Ma oramai è finita... Io ho perso e Voi avete vinto. Avete in pugno la sua vita, la vita di André... dell'uomo che amo, una vita che mi è preziosa  più della mia... Perciò io vi prego,padre, vi supplico, non lasciate che André muoia in quella prigione… Vi scongiuro…  È malato e ogni giorno,ogni ora che passa li dentro potrebbe essergli fatale! Non lasciatelo in quel buco oscuro e freddo che è già una tomba… farò quello che volete, ma vi prego, liberatelo!”
Il Generale la squadrò con uno sguardo colmo di disprezzo.
“Ti rendi conto che non sei nelle condizioni di chiedere nulla, Oscar?” pronunciò con asprezza.
Oscar annuì e questa volta in lei tutto era sconfitta.
“Sì....” rispose “Me ne rendo conto”.
“Bene. Da questo momento in poi, André Grandier per te è morto, hai perso ogni possibilità di avere sue notizie o di vederlo… e se non vuoi che passi anzitempo a miglior vita, ti converrà fare come dico. Quanto a voi, Victor, se volete tirarvi indietro, siete libero di farlo, confido ovviamente in una discrezione che è nell'interesse comune.  Ad ogni modo, sappiate entrambi che ho già previsto un nuovo partito e poco importa se sarà gradito o meno alla futura sposa”.
Victor sentì le budella torcersi dalla rabbia
“Come potete...”
“Posso!” lo interruppe freddamente il Generale “E lo farò, sta a voi decidere... A voi e a mia figlia chiaramente... Come vedete le lascio libertà in proposito, in fin dei conti sono anch'io un uomo di larghe vedute... “
Senza aggiungere altro, quindi, Augustin de Jarjayes  girò sui tacchi e uscì teatralmente dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.
Come svuotata, Oscar si lasciò cadere su una sedia e nascose il volto fra le mani. Restò in quella posizione per qualche minuto e quasi sobbalzò nel sentire il tocco lieve di Victor posarsi su una spalla.
“Tenete” mormorò l’uomo, porgendole un calice di cognac.
Ella lo ringraziò appena con un cenno del capo e trangugiò tutto di un fiato il contenuto del bicchiere. Il liquore le graffiò la gola e la stordì un poco, ma si sentì meglio. D’istinto alzò lo sguardo verso l’uomo di fronte a lei, a quegli occhi grigi screziati di verde che la guardavano con intensità.
“Non è ancora tutto perduto, Oscar, coraggio. Abbiamo commesso un errore, abbiamo abbassato la guardia e siamo stati imprudenti, ma non è ancora finita…  dobbiamo solo ponderare con attenzione  la prossima mossa per non sbagliare di nuovo. Sempre che chiaramente vogliate farmi l'onore di continuare ad essere la mia fidanzata...”
Nonostante la tristezza, Oscar non riuscì a far a meno di sorridere.
"Bene, essere capaci di sorridere dopo una sconfitta è garanzia della vittoria finale” disse Victor versandosi da bere, e alzando il calice in un brindisi lo svuotò a sua volta in un sorso, pensando che non si sarebbe dato pace finché non l'avesse vista salire su una dannata nave con quell'uomo immeritatamente fortunato che era André Grandier.
 
 
 
 
[1] Episodio citato nel cap 13, “Segreti di Famiglia” (quando Oscar, dopo l’arresto di André, non trova il padre nello studio bensì un’assai loquace Marguerite…)
[2] Il giovane mozzo di stalla di Palazzo Jarjayes usato anche da Oscar per inviare lettere in caserma; compare la prima volta nel cap 3 “Il Coraggio di amare”
[3] Non c’è niente da fare, nel nostro immaginario ormai Isabelle de Girodelle è la sorella di Victor!
 

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Capitolo 18
*** Le Requin ***


Le Requin
 
Già da tempo la luce rischiarava la stanza, quando il caldo bacio di un raggio di sole si posò sulla schiena nuda di Amelie de Girodelle inducendola ad abbandonare il sopore che ancora l'avvolgeva.
Era sveglia già da un po', a dire il vero, destata dall'invadenza del mattino e dalla percezione del frusciare delle lenzuola e del movimento del materasso quando lui si era alzato; tuttavia non si era mossa, preferendo indugiare in quella  piacevole sensazione di appagamento che accompagna il pigro ritorno della coscienza, ma oramai era giunto il momento di scuotersi.  Con un sospiro sommesso ed un pigro mugugno, pertanto,  si voltò con indolenza tra i morbidi cuscini e le lenzuola sfatte e stiracchiandosi aprì gli occhi al nuovo giorno, scoprendo così il suo amante intento alla ricerca delle proprie braghe nel disordine della camera...
"Vicino ai fiori!" esclamò divertita.
Poggiando le mani sui fianchi, nudo come quando era venuto al mondo, Jean de Grammont si guardò intorno, facendo vagare lo sguardo smarrito per la stanza, dove tra sedie, poltrone e mobili vari, gli abiti sparsi si confondevano con i resti della cena ancora sul tavolo e i rimasugli sparsi di dolci delizie e calici oramai vuoti abbandonati qua e là . Con aria interrogativa si voltò dunque verso Amelie,  che sorridendo gli indicò un'angoliera tra la parete del camino e quella della finestra, dove  assieme ad un  un  vaso ricolmo di anemoni  e tulipani freschi, facevano bella mostra di sé un paio di culotte evidentemente giunte lì dopo un volo alla cieca.
"Siete la mia salvezza!" Esclamò sollevato afferrando le brache  ed infilandole con soddisfazione "Cominciavo a credere che fossero volate fuori dalla finestra..."
Amelie sorrise "Ma dovete proprio vestirvi di già?” Chiese imbronciata un attimo dopo, sistemandosi ad arte  la  coperta di cangiante broccato azzurro attorno al seno nudo  mentre con malizia scopriva una  gamba candida “Non volete rimanere ancora un po' qui con me?"
"Oh... vorrei... vorrei eccome mia cara" rispose Jean raggiungendola, e chinatosi sul letto catturò in una mano la caviglia sottile e vi posò un bacio, mentre con l'altra risalì ad accarezzarle lentamente la gamba: il polpaccio... il ginocchio... la pelle morbida della coscia...
Amelie ebbe un gemito quando le sue dita lievi, insinuandosi sotto le pieghe della coperta, le sfiorarono i riccioli morbidi del pube, ma non fece in tempo a lasciarsi andare al languore nascente, che egli si ritrasse interrompendo bruscamente ogni promessa di piacere.
"Ma non posso..." Disse sollevandosi con  un sospiro dispiaciuto e una tale aria da furfante che la contessa non riuscì a trattenere un sorriso prima di aggrottare la fronte nell’espressione più contrariata che le riuscisse.
"Siete un mostro!" Protestò  quindi con disappunto "A causa vostra sarò nervosa tutto il giorno e quel poveretto di mio marito ne farà le spese!  Dovrebbe sfidarvi a duello e uccidervi per il pessimo servizio che gli rendete!"
Grammont assunse un'espressione offesa "E voi siete ingiusta!" Esclamò rapido di rimando "Sapete bene quanto meticoloso sia il mio impegno per la vostra soddisfazione e sono più che certo che l'eccellentissimo marito vostro non può che averne tratto sempre il debito vantaggio" si difese, ricevendo in cambio una smorfia dubbiosa che tuttavia ignorò "ma, ahimè" continuò quindi conciliante "capita talvolta che abbia impegni che m’impediscano la  piena dedizione, il che non è detto che sia del tutto un male se considerate che la sazietà dei sensi potrebbe a lungo recare noia"
"È un rischio che non si corre se c'è il giusto trasporto... " minimizzò con sufficenza la bella viscontessa .
Jean  sollevò le sopracciglia e sconfortato scosse il capo sospirando   
"Comunque sia, lungi da me il volervi ulteriormente contrariare, ma mi costringete a farvi notare  che il vostro Signor marito difficilmente riuscirebbe  a battermi in duello" osservò, mentre con studiata indifferenza si sistemava la camicia nei calzoni guardandosi allo specchio "anzi, in tutta sincerità penso che non riuscirebbe neanche a sfiorarmi..."
 "Non datevi troppe arie Grammont..." ribatté Amelie  "Sí... è vero... lui forse non ci riuscirebbe, ma mio figlio Victor vi batterebbe certamente ad occhi chiusi! "
"Potrebbe essere un degno avversario" concesse Jean "tuttavia non credo che  riuscirebbe in un'impresa in cui in molti, e vi garantisco migliori di lui, hanno fallito; in ogni caso, converrete con me, che non sarebbe da madre  amorevole, quale voi siete, turbare  il proprio figlio con simili quisquilie in un momento per lui tanto felice..."
Ogni traccia dell'ilarità scomparve dal viso di  Amelie de Girodelle, che si rabbuiò come se avesse ricevuto un’offesa.
"Non me ne parlate Jean, vi prego... o davvero mi rovinerete  la giornata!" esclamò  con un fastidio questa volta del tutto sincero.
Sorpreso da quel repentino cambiamento d'umore e dalla scoperta di un' avversione che non sospettava, Jean aggrottò la fronte e abbandonando  le pieghe dello jabot che in quel momento si stava sistemando si voltò verso di lei.
"Queste nozze non incontrano il vostro favore?" chiese incuriosito.
"Oh Santo Cielo Jean... No!  Come potrebbero!? Quella... donna, non è certo la moglie adatta a Victor!"
"Ah no? E perché mai... A me sembrano una coppia molto ben assortita a dire il vero... Stesso tipo di educazione, stessa carriera e stessi interessi, e mi pare anche caratteri simili. Certo forse vostro figlio è un tantino più edonista... Ma in sostanza..."
"State forse insinusndo che Victor è un libertino?"  lo interruppe la viscontessa con nervosismo.
Jean capì, senza più ombra di dubbio, che per Amelie l'argomento era serio e che il figlio minore della Signora de Girodelle doveva occupare un posto speciale nel suo cuore di madre, decise dunque di contenere per quanto possibile l'ironia.
"Affatto Amelie! non fraintendetemi mia cara, intendo solo dire che è una persona che apprezza ciò che la vita ha da offrire in termini di bellezza e piacevoli attività, un po' come voi... Cosa che non si può certo dire della rigida madamigella Oscar..."
"Madamigella Oscar..." ripeté Amalie, cupa come un cielo pronto a tuonare  "Un ossimoro già nell'appellativo..." mugugnò.
Colpito da quell'osservazione inaspettata Jean la fissò per un attimo in silenzio "Avete ragione!" esclamó quindi senza riuscire a trattenere il divertimento "Non ci avevo mai pensato,  sarà... che passata la sorpresa iniziale ci si abitua e si perde il senso della contraddizione... Bizzarro in effetti!"
"Bizzarro? Direi ridicolo..."
"Suvvia Amelie non è il caso di prendervela a male, in fin dei conti l'unione di vostro figlio con l'ultimogenita dei Jarjayes è indubbiamente vantaggiosa; la possibilità di un balzo all'insù del ramo cadetto dei Girodelle val bene  qualche bizzarria della sposa, non credete? Tanto più se é gradita al futuro marito..."
"Al contrario di mio marito io non sono disposta a passare sull'onore di mio figlio per un titolo!" dichiarò con fierezza la Viscontessa "E per quel che riguarda quello sciocco di Victor, non riesco a capacitarmi che sia a tal punto annebbiato dalla smania per quella donna da non vedere il ridicolo in cui rischia di incorrere sposandola!"
"Suvvia siate obiettiva Amelie... Oscar de Jarjayes ha un certo fascino" le fece notare lui  cauto "Il numero dei pretendenti presenti al ballo che il Generale diede in suo onore ne è la testimonianza.."
"Siete dunque anche voi tra i suoi estimatori?"
"Assolutamente no!" si affrettò a rispondere il Conte. "Son di tutt'altro calibro le donne che stimolano la mia passione, non provo interesse alcuno per l'ambiguità e non mi sollecita la fantasia l'idea di render doma un tal tipo di giumenta. Non ho bisogno di  conferme e sinceramente sono ben più difficili le sfide che mi allettano..."
Amelie abbozzò un sorriso.
"A quanto pare invece mio figlio non ha il vostro buon gusto, né tanto meno il vostro giudizio..." Sospirò "E sì che ho sempre creduto che fosse  uomo dalla ragione vigorosa, finanche eccessivamente rigido nel suo amore per il vero ed il giusto. È per questo che proprio non riesco a capacitarmi di come abbia potuto decidere di legarsi ad una creatura tanto ambigua, che ha vissuto una vita di falsità, che sovverte ogni regola e che ha già dimostrato di non tenere in alcun conto l'autorità che la sovrasta!"
"In effetti è una donna difficile..." convenne Jean sedendosi sul bordo del letto dove Amelie era ancora adagiata "Suo padre ha fatto un ottimo lavoro nel darle la convinzione di se stessa e delle sue azioni, ovvio che poi ne abbia dovuto subire le conseguenze, ma il Generale è un osso duro e sa il fatto suo..." osservò rivolgendole uno sguardo incoraggiante "Suvvia! Vedrete che vostro figlio non sarà da meno, mi pare un uomo in gamba e poi ha una forte motivazione... Sono certo che saprà tenerle testa..."
"Augustin de Jarjayes è un astuto manipolatore oltre che un pazzo... Mio figlio invece è un buono ed essere innamorato non l'aiuta di certo! Non si rende conto del rischio cui va incontro sposando quella creatura! Mi domando come sia possibile che abbia dimenticato l'umiliazione  che ha dovuto subire quando quella donna gli ha sottratto l'incarico cui  era destinato e come possa ignorare quella che subisce quotidianamente obbedendo ai suoi comandi! Certo posso capire che questa  condizione obbligata negli anni gli abbia fatto sviluppare qualche fantasia  ed una certa attrazione, e che quale uomo d'impeto possa immaginare una buona dose di soddisfazione all'idea di rimetterla al suo posto... ma l'amore...  E al punto di volerla sposare poi! "
"Al cuor non si comanda..."
"Grammont, non dite assurdità!"
Jean sospirò rassegnato.
"Comunque oramai il dado è tratto" disse alzandosi e andando a prendere la sua spada poggiata in un angolo  "consolatevi... In fin dei conti la vostra futura nuora gode della stima dei Sovrani e da quel che ho potuto osservare la  Regina la tiene in gran conto..."
"Oh sì, sì... certo..." disse Amelie accompagnando le parole con uno svolazzo annoiato della mano "Voi siete nuovo a Versailles, Jean e probabilmente non avete ancora sentito i sussurri in proposito di questa amicizia..."
"Come sapete non mi interessano i pettegolezzi, ma so a cosa alludete... Comunque, seppure fosse vero, cosa di cui dubito fortemente, non ne vedo il problema, ma solo il vantaggio... Vi facevo di più ampia veduta mia cara... " osservò allacciandosi l'arma al fianco.
Amelie sbuffò la sua contrarietà "Non la sopporto, né lei né quell' arrogante superbo che l'ha messa al mondo!"
Un lampo tagliente, troppo veloce perché la viscontessa se ne potesse rendere conto, passò a quelle parole negli occhi del conte.
 "Non mi piace e non voglio che sposi mio figlio!" continuò la donna ignara di aver usato parole pungenti, e con un gesto stizzito spinse  via le lenzuola, si alzò e si infilò una superba vestaglia di seta damascata disposta per lei accanto al letto la sera prima da una accorta quanto lungimirante cameriera.
"Una donna abituata  a vivere e comportarsi come un uomo, che non conosce alcuna delle prerogative femminili, che non ha idea della  discreta sottigliezza delle armi del suo sesso, né della loro potenza quando adoperate con capacità, non potrà mai essere una buona  moglie!" Sbottó annodando  con nervosismo i nastri di seta destinati a chiudere il sontuoso indumento "Per quanto importanti siano le sue relazioni, una che si espone come lei è solita fare, che prende posizioni  scomode, che contrasta apertamente persone influenti e senza scrupoli come la Contessa di Polignac o addirittura sfida a duello, per motivi tra l'altro discutibili, uomini potenti quale  il Duca di Germain e che è costantemente al centro delle chiacchiere, non è che una sciocca e non contribuirà mai in maniera efficace alla carriera del marito! Non  gli sarà mai d'aiuto! In alcun modo! E questo perché è destinata a cadere  spinta dal peso della sua stessa sicumera, e quando accadrà, purtroppo,  trascinerà inevitabilmente con sé anche Victor! "
L'enfasi con cui aveva pronunciato quell'infuocata invettiva aveva reso rosse le guance della Viscontessa e un tremito di nervosismo la scuoteva. Jean le si avvicinò e con delicatezza le pose le mani sulle spalle.
"Comprendo le vostre preoccupazioni, ma calmatevi Amelie, l'agitazione non vi si addice!" le disse dandole un bacio sulla bella fronte corrugata dalla rabbia.
"Facile parlare per voi, dal momento che la faccenda non vi tocca" disse lei scostando il viso infastidita.
Jean sorrise.
"Vi giuro amica mia che se non fosse che non sopporto vedervi infelice, meritereste che vi lasciassi alla vostra affiliazione..."
La luce improvvisa dell'interesse ravvivò lo sguardo buio di Amelie.
"Avete forse un modo per tirarmene fuori?" domandò interessata.
L'espressione di Jean rispose al posto suo.
"E posso sapere, di grazia, quale sarebbe dal momento che ho passato notti insonni a cercarlo?"
"Ditemi Amelie, siete certa  che Oscar de Jarjayes sia lieta di convolare a nozze con vostro figlio? Sapete vero,  che  ha avuto delle esitazioni prima di accettare la sua proposta di matrimonio... "
"Che domande, certo che lo so!" rispose la Viscontessa con sufficienza  "E ne ero talmente sollevata! Non potete immaginare! Tuttavia  a quanto pare più che lo sposo era l'idea stessa del matrimonio a non allettare madamigella Oscar  ed il Generale sfortunatamente sembra essere riuscito ad  indurla alla ragione..."
"E voi ci credete?" chiese perplesso Jean "Eppure mi pareva di aver capito che non la giudicaste facile alla persuasione né tantomeno conciliante. Come potete  dunque  pensare che abbia ceduto tanto facilmente alle argomentazioni del padre "
"Che volete che importi se abbia ceduto facilmente o meno..." ribatté Amelie "Che sia convinta della sua scelta o obbligata a compierla il risultato non cambia. Ha ceduto, sposerà Victor e questo è quanto!"
Jean sorrise e guardò per un lungo istante la gentildonna con l'espressione tranquilla di chi sa il fatto suo.
"Non c'è niente di certo finché il prete non dice Amen... " sentenzió infine pungolandone ulteriormente la curiosità, tanto che lei si affrettò subito a domandargli cosa volesse intendere.
"Che ho la soluzione a ciò che vi affligge!" le rispose.  "Non chiedetemi altro amica mia perché non ve lo dirò, ma sappiate che so da fonte attendibilissima che la futura sposa aveva ben altri piani per il suo futuro, piani che stando agli ultimi sviluppi sembra siano diventati di difficilissima realizzazione tanto che al momento si dibatte come un pesce in una rete..."
"Spiegatevi meglio, non vi capisco..."
"Non occorre che capiate mia cara, ho dato la mia parola che sarei stato una tomba e lo sarò, ma se voi desiderate che questo matrimonio non si faccia, da schiavo devoto dei vostri desideri, quale sono, non posso che adoperarmi per la vostra felicità e togliervi di torno l'invisa sposina..."
Gli occhi di Amelie brillarono.
"Vorreste dire che  sareste disposto a..."
"A trarvi d'impaccio, fornendo alla recalcitrante fidanzata il coltello per... tagliar le corde... " la interruppe Jean impedendole cavallerescamente di pronunciare parole  che non  andavano dette.
"Ah!" esclamò Amelie con una nota di delusione nella voce
"L'idea non vi aggrada?"
"Avrei preferito una  diversa soluzione, qualcosa che magari  non arrecasse a mio figlio l'onta dell'abbandono..."
"Siete incontentabile mia bella! " esclamò Jean divertito.
"Sono solo una madre premurosa..." si schermì lei in risposta.
"Destinate allora la vostra premura a chi la merita... quanto all'onta sono piú che certo che troverete  il modo di trasformarla  in trionfo"
Amelie assunse un'aria innocente "Mi fate più scaltra di quello che sono" celiò e sollevando in un accenno di sorriso gli angoli della bocca aggiunse "ma sì... con un po' d'impegno immagino di poterci riuscire...."
Tornata di buon umore, grazie all'inaspettata piega degli eventi, Amelie prese un campanello d’argento posato sulla console davanti ad una grande specchiera dalla cornice dorata e suonò per chiamare la cameriera "E sia Jean, fate come volete" acconsentì aggiustandosi un ricciolo con distratta civetteria guardando il suo riflesso, per poi voltarsi e sorridere all’amante.
Il Conte non ebbe il tempo di baciarla come pensò che meritasse, che un delicato colpo alla porta annunciò l'ingresso della cameriera di Madame con un vassoio su cui facevano bella mostra di sé una teiera d'argento, un  piatto cesellato ricolmo di profumati pasticcini, una zuccheriera e due eleganti tazze di delicata porcellana a fiori dal bordo dorato. La giovane, non appena la ragazzetta che la seguiva ebbe sgomberato il tavolo dagli avanzi della cena, senza batter ciglio iniziò a predisporre il necessario per la colazione.
"Il conte non mi farà compagnia..." disse Madame fermandola quando la vide prendere dal vassoio il piattino con la seconda tazza per poggiarlo sul piccolo tavolo rotondo, quindi rivolgendosi a Grammont e prendendogli una mano con premura aggiunse con un sorriso "Sempre ché, mio devoto amico,  non abbiate cambiato idea e deciso di rimandare i vostri improrogabili impegni..."
"Purtroppo non posso" confermò Jean " tanto più ora che se ne sono aggiunti di nuovi..."
"È giusto" convenne la viscontessa accomodandosi serafica, mentre la cameriera si affrettava a versarle il caffè "E allora andate... Non vi trattengo oltre, e portatemi quanto prima buone notizie"
Jean  de Grammont si inchinò leggermente e sfiorò con le labbra la mano che Amelie de Girodelle gli porse
"Al vostro servizio madame...".
 
 
Con un balzo il conte di Grammont montò a cavallo, prese le redini che il mozzo di stalla gli porse, diede un colpetto di stivale al fianco dell'animale e  canticchiando si avviò verso il cancelletto dell'incatevole piccolo Chalet di campagna eletto da Amelie de Girodelle quale luogo dei loro incontri. Era una bella giornata ed egli era straordinariamente di buon umor mentre pensava che la vita sapeva essere piacevolissima e in grado di offrire infinite occasioni di soddisfazione ad un uomo  che sapesse coglierle, un uomo come lui...
Appena un paio di giorni prima Oscar de Jarjayes era andata a trovarlo, per chiedergli, non senza difficoltà, un aiuto che  non si era sentito di poterle offrire.
Non che gli avesse chiesto un coinvolgimento diretto  nella liberazione di André Grandier, dopo che a quanto pareva il piano d'origine era andato in fumo, cosa di cui tra l'altro egli era già stato largamente informato da un esagitato  Generale; si era semplicemente limitata a chiedergli di sondare il loro comune genitore per carpirgli delle informazioni.
Tuttavia egli, quale figlio, leale, affezionato, disinteressato e allo stato attuale anche prediletto, non se l'era sentita di essere sleale e tradire la fiducia paterna, quindi sebbene con molto dispiacere per l'evidente infelicità della sorella minore,  si era visto costretto a  rifiutare quanto gli veniva richiesto, confermando la sua volontà di tenersi fuori da quella faccenda.
Ma la verità era che egli era un uomo di buon cuore... un animo sensibile... e se gli si proponeva l'occasione di  far del bene  ad una coppia di giovani innamorati e  contemporaneamente rendere serena una cara amica, nonché madre preoccupata... be'... non poteva esimersi!
Oltretutto, a ben pensarci, rendeva un servigio anche all'amato padre dal momento che, liberandolo di quella figlia ingrata, gli facilitava il percorso che egli aveva con tanto fervore pianificato per il bene del casato, la felicità dei figli tutti e la pace della sua coscienza, dal momento che sarebbe  stato ancor più facile renderlo suo successore (nonostante la sua disinteressata avversione) se l'erede designata si fosse  tanto disdicevolmente data alla macchia!
Un filantropo ecco cos'era! Un vero, autentico, filantropo! L'avrebbero dovuto chiamare il Santo e non Le Requin[1], pensò senza riuscire a trattenere un sorriso, doveva proporlo al suo quartiemastro...
Simon glielo diceva  sempre: quel soprannome che gli avevano affibbiato non gli piaceva; un pirata della sua risma non aveva  bisogno di un nome che incutesse timore, ci voleva anzi qualcosa di più discreto,  tutto il resto lo faceva la fama e, al momento giusto, la punta della sua lama.
 
[1] Lo Squalo in francese.

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Capitolo 19
*** Candore e inganni ***


Finalmente riusciamo a pubblicare! Per tirare le fila del discorso, visto che è passato un mese e mezzo dall’ultimo aggiornamento, vi lasciamo prima un breve riassunto degli ultimi capitoli (da non leggere, ovviamente, se siete capitati qui per caso e avete intenzione di iniziare a seguire questa storia!).
0 Buona lettura
A&F
 
Dove eravamo rimaste…
Dopo l’arresto di André, Oscar apprende dalla madre che il misterioso conte creolo Jean de Grammont è in realtà suo fratellastro, nato da una precedente relazione del Generale con la cugina Elodie de Jarjayes. In questo modo viene a conoscenza anche dei reali motivi che hanno portato il padre a concedere la sua mano a Victor: Augustin vuole infatti adottare Jean e nominarlo suo erede, non prima però di aver “sistemato” la figlia, convinto com’è di operare per il suo bene.
Dopo il necessario confronto con Jean, su suggerimento di quest’ultimo Oscar decide quindi di chiedere aiuto a Victor, che per amore accetta. Purtroppo, però, il Generale scopre le loro trame spiando una conversazione nell’ufficio di Victor, dove Oscar si è recata, sconvolta, dopo aver fatto visita ad André, gravemente malato.
Ovviamente Augustin reagisce con violenza, facendo saltare ogni accordo… l’unica speranza per Oscar diventa così l’aiuto di Jean. Questi, dopo essersi inizialmente tirato indietro, decide di venirle in soccorso per compiacere la sua amante, Amelie de Girodelle, la madre di Victor, per nulla contenta del fidanzamento.
Tutti i personaggi coinvolti ignorano però un inquietante segreto: il conte venuto dal mare è conosciuto tra i suoi uomini come il pirata “Le Requin”…
 
Candore e inganni
 
“Prego, signore”.
Con uno svolazzo della mano e un pomposo inchino, l’anziano monsieur Duvalle[1] invitò l’ospite a entrare nella stanza.“Come vi stavo dicendo poc’anzi, il Conte si scusa con Vossignoria, ma un improvviso impegno ha richiesto la sua presenza altrove” aggiunse subito dopo con deferenza “Ad ogni modo sarà di ritorno tra breve e vi prega di attenderlo qui, nel suo studio”.
“Immagino che uscire di casa dopo aver convocato qualcuno all’alba sia una tipica usanza d’oltremare” borbottò caustico il gentiluomo in divisa, varcando la soglia del salottino con un’espressione decisamente contrariata.
“Nel frattempo gradite del caffè? Oppure della cioccolata calda?” domandò il valletto senza scomporsi, fingendo di non aver udito l’aspro commento del suo interlocutore.
“Un caffè andrà benissimo” tagliò corto Victor de Girodelle volgendogli la schiena e avvicinandosi al camino, per tendere le mani intirizzite in direzione delle fiamme.
Avvezzo ai modi bruschi del suo padrone, il domestico capì di essere stato, di fatto, congedato e si affrettò a uscire. Soltanto allora, finalmente solo, l’ufficiale sbuffò stizzito mentre lanciava un’occhiata torva all’imponente ritratto sopra al camino, descrittogli dalla sua promessa sposa con tanta dovizia di particolari[2]. Che uomo irritante era quel Jean de Grammont… credeva forse di avere tutti al suo servizio? O voleva soltanto portarlo all’esasperazione?
Tentando di dominare la propria insofferenza, il Visconte si sedette e lasciò vagare lo sguardo intorno a sé per ingannare l’attesa; la poltroncina non era però particolarmente comoda, circostanza che acuì il suo malumore mentre accavallava le lunghe gambe in cerca di una posizione migliore.  Da una tasca della giubba estrasse quindi il biglietto che Grammont gli aveva fatto recapitare la sera prima e lo esaminò per l’ennesima volta. Erano soltanto poche righe, vergate con una grafia decisa e priva di fronzoli, ma continuava a rileggerle da ore, chiedendosi ogni volta, inquieto, quale potesse essere il misterioso interesse comune che aveva indotto il Conte a convocarlo con tanta urgenza in casa propria.
Aveva appreso da Oscar, infatti, che Jean si era praticamente chiamato fuori da qualsiasi coinvolgimento nei loro piani, pur rammaricandosi – ipocritamente, per sua opinione – della spiacevole situazione in cui si trovava la sua povera sorella e assicurandole che avrebbe fatto del suo meglio per riportare il Generale a più miti consigli nei confronti di André, delle cui condizioni, nel frattempo, avrebbe cercato di informarsi.
Alla luce di quell’unica, stentata promessa, c’erano buone ragioni per temere che l’uomo avesse cattive notizie da riferire proprio sul prigioniero.
In tal caso, che cosa avrebbe detto a Oscar?
Victor si passò nervosamente una mano fra i capelli, cercando di respingere quella voce maligna che da qualche giorno continuava a ripetergli che forse…nonostante tutto…se André Grandier fosse sparito per sempre dalle loro vite, avrebbe avuto almeno una possibilità. In fondo mancavano soltanto due mesi al matrimonio e sebbene fosse dolorosamente consapevole che Oscar non avrebbe mai provato nei suoi confronti l’ardente sentimento che l’aveva legata al suo attendente, col tempo, chissà… magari avrebbe imparato a volergli bene.
Magari sarebbero stati felici.
A quel pensiero, il volto del gentiluomo si contrasse in una smorfia.
Si odiava per quelle idee, ogni volta, eppure non riusciva a evitarle, frutto com’erano di uno struggimento continuo che, suo malgrado, non riusciva a soffocare.
Con uno scatto teso, si alzò in piedi e mosse qualche passo all’interno della stanza, ripetendosi meccanicamente che non avrebbe lasciato nulla d’intentato per la salvezza di André Grandier. Come avrebbe potuto guardarsi ancora allo specchio se avesse costruito la propria felicità sulla rovina di un innocente e, soprattutto, sulla disperazione della donna che amava?
Assorto in quelle cupe considerazioni, si fermò per un istante davanti alla finestra che si affacciava in Rue du Pas du Mule[3], osservando distrattamente il via vai delle carrozze lungo la strada. Era una rigida mattina di marzo, l’inverno era stato gelido e la primavera sembrava non volerne sapere di arrivare; un cielo terso, azzurro e limpidissimo ma incredibilmente freddo, sovrastava la città, che, ormai desta, brulicava di voci e di rumori anche nell’elegante quartiere del Marais. Quei suoni, però, gli giungevano quasi ovattati attraverso le ampie vetrate, per cui quasi sobbalzò, nell’udire la porta cigolare alle sue spalle.
“Oh, perdonatemi!” esclamò confusa una voce femminile mentre egli si voltava verso la soglia.
Rossa in viso, con un libro fra le mani portato d’istinto davanti al petto per nascondere la profonda scollatura della sua veste da camera[4], Aurore de Grammont farfugliò ancora qualche parola di scusa e fece per uscire.
“Madame, vi prego!” la bloccò tuttavia l’ufficiale “Di cosa dovreste mai scusarvi? Siete in casa vostra, sono io, piuttosto, a essere in difetto, e sono dunque io a dovermi scusare. A mia discolpa, però, permettetemi di aggiungere che non è mia abitudine disturbare la quiete del risveglio altrui e me ne sarei ben guardato se non fosse stato per un’esplicita richiesta fattami in tal senso da vostro marito…” puntualizzò dispiaciuto.
“La vostra presenza non m’importuna affatto, Visconte Girodelle” mormorò imbarazzatala fanciulla, richiudendo la porta dietro di sé “E sono davvero mortificata per non aver bussato prima di entrare, avrei dovuto: è vero che sono in casa mia, ma è pur vero che questo è lo studio di Jean”.
“Credetemi se vi dico che ben poche tra le signore che conosco, si farebbero lo scrupolo di bussare prima di entrare nello studio del proprio marito. La vostra delicatezza è encomiabile, contessa de Grammont” sottolineò Victor con un sorriso, che Aurore contraccambiò timidamente “Ad ogni modo, è un onore per me sapere che dopo tanto tempo ricordiate ancora il mio nome…” osservò subito dopo, piegandosi in un galante inchino.
A quelle parole le guance della giovane, se possibile, s’imporporarono ancora di più.
“Ecco, a dire il vero…”
“Immagino che avere una buona memoria per le persone sia tra le vostre innumerevoli doti” le venne in soccorso il suo interlocutore “Io invece sono un disastro, a meno che non si tratti di una creatura speciale” aggiunse per poi chiedere con disinvoltura il permesso di sedersi.
Rendendosi conto della sua mancanza, questa volta Aurore impallidì.
“Oh… Ma certo! Vi prego, visconte” si affrettò dunque a rispondere invitandolo ad accomodarsi con un gesto della mano mentre Victor, meravigliandosi ancora una volta della sua totale incapacità di nascondere le emozioni e al tempo stesso della sua semplicità, si compiacque di non aver aggiunto alle proprie parole quel “come voi” che per un attimo lo aveva tentato, pensando che, se lo avesse fatto, probabilmente la giovane contessa sarebbe svenuta.
Tuttavia, seppur in difficoltà, Aurore riuscì a recuperare il contegno e a intavolare una conversazione con sufficiente leggerezza.
“In effetti, ho la fortuna di rammentare anche a distanza di tempo volti e nomi… almeno così sostenevano le mie compagne a Bolléne[5]” replicò, sedendosi a sua volta su un piccolo canapè davanti al fuoco e poggiando il libro sulle ginocchia.
“Bolléne?” ripeté incuriosito Victor.
“È un piccolo paese della Provenza, dove sorge il convento delle Orsoline in cui studiò mia madre prima di sposarsi. Alla sua morte, il mio povero padre ritenne opportuno che fossi istruita nel medesimo luogo” gli spiegò brevemente lei.
“Quanti anni avevate, se posso chiedervelo?”
“Sei”.
“Eravate appena una bambina… “ constatò colpito il gentiluomo.
“Sì, è vero…” convenne la ragazza con una nota di mestizia nella voce “Ad ogni modo era l’età giusta per entrare in convento e comunque sono stata fortunata: le suore non erano poi così severe e hanno saputo crescermi con affetto. Sono rimasta lì fino alla mia partenza per Port-au-prince e conservo un caro ricordo degli anni passati tra quelle mura… dei pomeriggi estivi trascorsi all’ombra degli alberi del giardino, o delle lunghe sere invernali, quando ci riunivamo di nascosto tutte in una stanza a chiacchierare, immaginando come fosse il mondo fuori da lì…”
Una vita pressoché di clausura in un modesto convento di campagna e un animo probabilmente troppo sensibile e introverso: di colpo fu chiaro a Victor il motivo dell’insolita timidezza della Contessa de Grammont, catapultata suo malgrado, nel giro di pochi mesi, dalla quiete provenzale a un paese lontano, totalmente diverso da tutto ciò che conosceva, per poi tornare in Francia, a seguito del marito, e ritrovarsi a frequentare Versailles, la Corte più elegante e insidiosa d’Europa. In cuor suo non poté fare a meno di compatirla e di chiedersi, soprattutto, cosa avesse mai indotto un uomo di mondo come Jean de Grammont a scegliere in sposa una creatura, certamente bella e di ottima famiglia, ma assolutamente inadeguata per le sue ambizioni.
“Anche mia sorella sta studiando in convento, benché soltanto da pochi mesi… tuttavia per ora non ne parla in termini così lusinghieri” disse allora, spezzando il silenzio che si era creato tra loro “Non so se avete mai sentito nominare l’Abbazia di Penthemont[6]”.
“So che è uno dei collegi più prestigiosi di Parigi…”
“E a dire di mia sorella, anche uno dei più austeri… A quanto pare, lei non ha avuto la vostra fortuna e nelle lettere che ci manda, non fa che lamentarsi dell’acqua fredda e del fatto che non possa scambiare neanche una parola con le sue compagne tra una lezione e l’altra…”commentò ironicamente lui.
“Dunque avete una sorella minore?” domandò con interesse Aurore.
“Sì, si chiama Isabelle… e non mi vergogno di dire che in casa si avverte la sua assenza”.
“È un nome molto bello… immagino che si adatti perfettamente a colei che lo possiede, se è incantevole come vostra madre” osservò la ragazza, abbozzando un sorriso.
“In effetti, le somiglia molto, tranne che nell’indole fortunatamente… altrimenti, dopo il matrimonio di mio fratello Dominique, come avremmo mai potuto fronteggiare da soli, mio padre ed io, due donne di simile temperamento?”sospirò il Visconte, scuotendo la testa.
Era ovviamente una battuta, ma per un istante Aurore de Grammont lo fissò interdetta; poi, finalmente, la sua risata cristallina riecheggiò nella stanza.
Veder brillare il verde limpido dei suoi occhi fu per Victor una piacevole quanto inattesa novità. In quel momento la trovò deliziosa; peccato davvero che l’eccessiva insicurezza e la mancanza di qualsiasi forma di malizia la rendessero scialba e insignificante rispetto a dame dotate forse di minor fascino, ma di maggior spigliatezza.
“Ridete dunque delle mie sventure, madame?” pronunciò scherzosamente, inarcando un sopracciglio e cercando di assumere l’espressione più offesa che gli riuscisse.
“Perdonatemi, ma… all’inizio sembravate così serio!”rise ancora la fanciulla, mostrando i piccoli denti perfetti, bianchi e lucenti come due fili di perle. Nella leggerezza del momento, si lasciò sfuggire dalle mani il piccolo tomo dalla copertina cremisi che teneva poggiato in grembo. Victor si chinò prontamente a raccoglierlo.
“Catullo… vi piacciono quindi le poesie d’amore?” chiese porgendoglielo.
“Come a ogni donna, temo” rispose vivacemente la Contessa, allungando una mano per riprendere il prezioso volume. Così facendo, tuttavia, le ruches della sua manica si alzarono un poco, rivelando impietosamente all’ospite i segni violacei che le macchiavano la pelle candida.
Sgranò gli occhi attonito, Victor, e ad Aurore bastò seguire la direzione del suo sguardo per intuire le ragioni di quel repentino turbamento.
“Non è nulla” mormorò, aggiustandosi rapidamente la manica per coprire di nuovo i lividi.
“Se posso permettermi… come è successo?”domandò incupito il gentiluomo.
“Sono scivolata ieri mentre uscivo dalla vasca… e tutto per non aver voluto aspettare che la cameriera tornasse ad aiutarmi” replicò lei con un sorriso tirato.
“Un’imprudenza che potevate pagare a caro prezzo. Vi siete fatta visitare da un dottore?”
“Ho soltanto battuto un braccio, visconte, tra pochi giorni sarà sparito” minimizzò la giovane “Ma ditemi, avete già fatto colazione? Perdonatemi, stiamo già conversando da dieci minuti e non vi ho ancora fatto portare nulla, dimostrandomi per l’ennesima volta una pessima padrona di casa!” si rammaricò subito dopo, cambiando opportunamente discorso.
A quelle parole, per un attimo Victor tacque. Quell’improvvisa disinvoltura, unita a un atteggiamento sfuggente, sembrava un evidente tentativo di distogliere l’attenzione da quei segni, il che li rendeva sospetti. Certo, poteva essere che la Contessa volesse semplicemente non parlare di un incidente che la imbarazzava, eppure… c’era qualcosa che non lo convinceva in quella storia.
“Il vostro valletto sta già provvedendo” disse quindi affabilmente “Ma tornando a Catullo, non credevo che conosceste il Latino… di solito non è contemplato il suo studio nell’educazione di una fanciulla”.
“Infatti non lo conosco, ma accanto ad ogni carme c’è la traduzione in Francese” gli spiegò la Contessa, rasserenandosi un poco.
“Un dono di vostro marito?” le chiese lui con noncuranza.
“Oh no, per Jean sono soltanto inutili sdolcinerie!” ribatté Aurore scuotendo la testa “Fu una mia compagna a regalarmelo, il giorno in cui lasciai il convento”.
“Una lettura alquanto insolita per delle educande…” obiettò allora Victor con una punta d’ironia “Scherzavo, madame Aurore, vi prego!” esclamò poi, divertito, vedendo le gote della Contessa tingersi per l’ennesima volta di rosa “Catullo non è certo un autore proibito, sebbene alcune sue odi siano alquanto ardite... comunque, suppongo che la vostra amica lo abbia tenuto debitamente celato!”
“In effetti, sì” sorrise la ragazza, superato l’impaccio “Temo che suor Génevieve, una delle mie insegnanti più care, non avrebbe affatto gradito… il suo punto di vista non era poi così lontano da quello di mio marito”.
“E voi? Cosa pensate a riguardo?” la interrogò con tono greve Victor, scrutandola in viso.
“Ecco… forse un tempo avrei risposto diversamente, ma oggi credo che… avessero ragione loro” mormorò lei abbassando lo sguardo “L’amore descritto dai poeti non esiste, non è reale… anche se a noi donne piace immaginare che lo sia”.
Quella riflessione così disincantata stonava proprio sulle labbra di una giovane sposa; tuttavia, prima che Victor potesse replicare qualcosa, Jean de Grammont fece il suo ingresso nella stanza.
“Colonnello Girodelle, perdonatemi, sono davvero desolato!” esclamò allargando le braccia con aria contrita “Purtroppo sono dovuto uscire prima del vostro arrivo, per ragioni che vi spiegherò a breve… vedo comunque che avete potuto contare sulla compagnia della mia splendida consorte. State meglio, mia cara?” domandò quindi alla moglie “Monsieur Duvalle mi ha detto che ieri sera non avete neanche cenato, dopo che sono uscito”.
Un leggero tremito percorse lo sguardo di Aurore.
“Sì, ma non dovete preoccuparvi… si è trattato solo di un malessere passeggero”.
“Ne sono lieto… sapete quanto tenga a voi” mormorò il Conte con trasporto, chinandosi a prenderle la mano e deponendo un tenero bacio sulle nocche pallide, non prima di averle sfiorato lieve il braccio con il dorso delle dita.
 Quel gesto, per quanto casto, ebbe qualcosa che infastidì Victor. Forse fu l'intimità che svelava, che, seppur accennata, gli diede l'impressione di un'ostentazione fuori luogo, o forse la rigidezza con cui lo accolse Aurore, che gli parve qualcosa di diverso dal semplice imbarazzo; fatto sta che sentì la necessità di interrompere quel momento.
“Ebbene, conte, quali sarebbero le misteriose ragioni di cui parlavate poc’anzi?” domandò pertanto bruscamente, alzandosi “Devono essere di una certa importanza per avervi strappato dal letto così di buon’ora”.
Un ghigno sornione affiorò sulle labbra del giovane creolo.
“Si è trattato semplicemente di una questione di priorità… e credo che una volta udito quanto ho da riferirvi, concorderete con la bontà del mio operato e scuserete la mia condotta” rispose sibillino.
“Forse… forse è il caso che vi lasci ai vostri affari, Jean” intervenne a quel punto Aurore, alzandosi a sua volta.
“Sì, andate pure mia cara… sono faccende da uomini, non voglio che la vostra graziosa testolina possa rimanerne turbata” convenne Grammont “Vi raggiungerò appena possibile, ho qualcosa per voi…un piccolo pensiero per farmi perdonare”aggiunse addolcendo la voce.
“Non avete nulla da farvi perdonare” obiettò lei con un flebile sorriso.
“Oh sì, invece” asserì con convinzione il gentiluomo “Ne parleremo più tardi”.
“Va bene, Jean” annuì la fanciulla “Colonnello Girodelle, è stato un piacere” disse quindi rivolta all’ufficiale, che s’inchinò rispettosamente.
“Il piacere è stato tutto mio” replicò Victor “Vi auguro buona giornata, madame”.
Aurore de Grammont contraccambiò il saluto con un impercettibile cenno del capo e uscì dallo studio, proprio mentre da una piccola porta di servizio entrava finalmente una cameriera con due fumanti tazze di caffè; costei, tuttavia – poco più di una ragazzina dai capelli rossi e il volto punteggiato di efelidi, - su indicazione del padrone si affrettò ad appoggiare il vassoio su una piccola consolle e si congedò rapidamente, lasciandoli soli.
A quel punto Victor inspirò profondamente, preparandosi a un confronto che non si prospettava per nulla semplice. Gli sembrava, infatti, che Grammont stesse giocando con lui come il gatto con il topo, tenendolo volutamente sulle spine. La domanda che gli aveva rivolto pochi istanti prima era, di fatto, rimasta in sospeso e sembrava che il Conte avesse tutta l'intenzione di continuare a tergiversare, mentre con studiata indolenza prendeva in mano la tazza a lui più vicina e iniziava a sorseggiarne il contenuto.
“Allora, Conte?”lo incalzò spazientito.
“Sedetevi e bevete il vostro caffè prima che si raffreddi, Colonnello, e ditemi cosa ne pensate. È arrivato con la mia nave la scorsa settimana direttamente da Saint Domingue” replicò serafico il suo interlocutore.
“Non credo che mi abbiate convocato all’alba per farmi degustare il caffè delle vostre terre d’origine, conte de Grammont!” sbottò l’ufficiale “Siete libero di informarmi o no sulle ragioni del vostro ritardo di stamane, ma abbiate almeno la compiacenza di spiegarmi per quale motivo avete voluto vedermi!”
“In realtà, le due cose sono collegate…” disse l’uomo con un sorriso ambiguo “… ed entrambe riconducono a un’unica persona, la cui felicità, per quanto ne sappia, vi sta molto a cuore…”
“Intendete dire vostra sorella?”
Grammont aggrottò la fronte.
“Dunque sapete… La cosa non mi stupisce, in verità, immaginavo che Oscar ve ne avrebbe parlato prima o poi, vista l'amicizia e la complicità che vi lega... ”
“Avete ragione, siamo buoni amici e non abbiamo segreti, del resto è noto che l'amicizia raddoppia le gioie e divide le angosce[7]”citò Victor, tornando a sedere.
“Sì, mi pare di averlo sentito dire, in effetti… Quindi immagino che la vostra ottima amicavi abbia detto anche che sono stato io a suggerirle di chiedervi aiuto, chissà come non ci aveva pensato... ” insinuò il Conte con un’occhiata beffarda.
Victor incassò il colpo senza tradire alcuna emozione.
“A dire il vero no” ammise con tono pacato “Comunque, è un dettaglio senza importanza, suppongo invece che il vostro sia stato un consiglio fraterno…”
Jean strinse gli occhi sollevando per un attimo un angolo della bocca in un mezzo sorriso, quindi scosse la testa con sdegno.
“Esattamente….” ribatté facendosi serio “So che non vi vado a genio, Colonnello, e a dire il vero neanche voi mi siete particolarmente simpatico, ma qui non si tratta di me o di voi, due perfetti estranei che la vita ha fatto incrociare e che volendo possono tranquillamente decidere di ignorarsi, ma di una persona che per quanto poco conosca, è mia sorella, il mio sangue... E in quanto  tale non posso voltarmi dall'altra parte e continuare a fare finta di niente”.
“Che cosa state cercando di dirmi, Grammont?”
“Che sono disposto ad aiutare Oscar, Colonnello”.
Per un attimo Victor ammutolì rimanendo a fissare il suo interlocutore con un'espressione incredula.
“Voi vorreste aiutarla?” domandò infine dubbioso “E per quale motivo, di grazia, se appena dieci giorni fa vi siete rifiutato di farlo?”
“Perché sono un uomo di coscienza e non intendo avere parte nell'infelicità di mia sorella, negandole un aiuto che ho la possibilità di darle e lasciando che subisca le conseguenze di una decisione per lei tanto nefasta, sebbene dettata dalle migliori intenzioni” rispose asciutto Grammont “Se finora mi sono tenuto al di fuori da questa faccenda, è stato solo per non tradire la fiducia che il Generale, pur conoscendomi appena, aveva riposto in me quale suo figlio. Non ho nulla contro Oscar, né contro André Grandier, e a dire il vero ho una visione molto meno rigida del Generale su certi aspetti della società in cui viviamo e che, peraltro, ritengo retaggio di un mondo che si sta inesorabilmente avviando al declino”.
“Non condivido questo pensiero, tuttavia concordo che ci possano essere delle eccezioni che sfuggono alla regola” replicò secco Victor, che non aveva intenzione di mettersi ad ascoltare discorsi sull'eguaglianza da un altro nobile illuminato che non si rendeva veramente conto di quale fosse la posta in gioco e criticava l'orgoglio della sua classe pur continuando a goderne di tutti i privilegi “E certamente una persona fuori dal comune come Oscar de Jarjayes è tra queste. La limpidezza dei suoi sentimenti, come la purezza dei suoi principi e la sua volontà di autodeterminazione, sono tali che non potrà mai piegarsi a nessuna imposizione se non a quelle dettate dal proprio cuore, e il Generale più di chiunque altro avrebbe dovuto rendersene conto…”
Grammont pensò che il colonnello Girodelle fosse indubbiamente innamorato della sua eccentrica sorella come una pera cotta e che per quell’amore fosse stupidamente disposto a farsi strappare il cuore dal petto. Amelie aveva ragione, era uno sciocco, e quasi gli venne da ridere pensando a quanto sarebbe inorridita sua madre se lo avesse sentito in quel momento.
“Non è semplice per un genitore convinto di agire per il bene della propria figlia” si limitò invece a commentare “Ad ogni modo, è fuori discussione che l'ostinazione del Generale a voler piegare Oscar inizi a sconfinare in accanimento e temo che se non interverremo prima che rinsavisca da questa sorta di delirio, a farne le spese sarà quel povero diavolo di Grandier”.
 “Interverremo?” ripeté perplesso Victor, inarcando un sopracciglio.
“Sì, dobbiamo essere noi a farlo” ribatté deciso Grammont “Oscar dovrà restarne fuori”.
“Impossibile...”
“Necessario!”
“Oscar non accetterà mai di farsi da parte! Capisco che pensiate che sarebbe preferibile, dal momento che il suo coinvolgimento emotivo potrebbe portarla a commettere qualche imprudenza, ma considerate che è più che abituata alla pressione di situazioni rischiose...”
“Il Generale la fa seguire” tagliò laconico il conte de Grammont “Me l’ha confidato qualche giorno fa, ed è proprio per questo che ho scelto di parlare di questa faccenda con voi e non direttamente con mia sorella. Conosce ogni suo minimo movimento e dunque, se non vogliamo avere problemi, non possiamo coinvolgerla direttamente. In realtà anche voi dovreste rimanere defilato, la prudenza non è mai troppa… dunque sarà meglio che sia io a pensare a tutto”.
“In che modo, di grazia, se mi è lecito chiedervi, la cosa risulta difficile per me che pure ho conoscenze in ambienti chiave, come potreste farlo voi che siete a Parigi da pochi mesi?”
“Ho le mie risorse, non preoccupatevi… questo è il motivo per cui non ero qui fino a poco fa”.
“Quali?” insisté il Visconte.
“Colonnello, non sono uno sprovveduto, credo che almeno di questo me ne possiate dar merito… forse non ho conoscenze in ambiente militare come voi, ma oltre che le informazioni giuste, in quanto capitano di una nave ho uomini fidati che hanno buoni amici e amici di amici, che penseranno a ogni aspetto della fuga, senza che stavolta ci siano intoppi” replicò Grammont “André è ricoverato all’Hotel Dieu…[8] Nonostante tutto, mio padre non è quel mostro che credete e ha predisposto il suo trasferimento lì per fargli prestare le cure necessarie. Le accuse contro di lui, però, non sono cadute e dal momento che le sue condizioni di salute sono un poco migliorate, domani all’alba sarà riportato all’Abbaye… lo liberemo durante lo spostamento”.
“Negli ultimi tempi, a causa di alcuni disordini Parigi pullula di soldati e ci sarà sicuramente una scorta di uomini scelti , a vigilare lungo il tragitto… come pensate di farlo fuggire in piena città, senza ritrovarvi qualcuno alle calcagna?”obiettò il Visconte.
“Vi ho detto che non dovete preoccuparvi, le persone che ci aiuteranno conoscono la città forse anche meglio di voi, sanno cosa fare. Non mi esporrò in prima persona e anche voi non sarete direttamente coinvolto. Chiaramente a cose fatte il Generale penserà che ci sia la vostra mano e quella di Oscar dietro l’evasione di André, ma non ne avrà mai le prove. Mi auguro che ricambierete la cortesia con il vostro silenzio sul ruolo da me avuto in questa storia”.
“Sì, ovviamente” annuì Victor “Ditemi però che cosa devo fare”.
“Al tramonto, fatevi trovare con Oscar sulla strada per Bordeaux. Nei pressi di Villebone, c’è una vecchia masseria abbandonata, al bivio, sulla strada, un’edicola votiva… ci aspetterete là. Oscar deve portare solo lo stretto indispensabile per qualche giorno e il denaro di cui può disporre. Quanto al fatto che sia seguita, non dovete preoccuparvi, penserò anche a questo”.
“E poi?”
“Poi io e voi li scorteremo ancora sino a Orléans per assicurarci che non ci sia nessuno sulle loro tracce. Lì li lasceremo, torneremo indietro e ci comporteremo come se fossimo all’oscuro di tutto”.
“Ma perché proprio Bordeaux?”
“Da lì potranno imbarcarsi per le Antille in tutta tranquillità, perché quasi sicuramente il Generale li cercherebbe prima sulla strada per Calais… essendo più vicina a Parigi, sarebbe più logico pensare che vogliano lasciare la Francia attraversando la Manica. A questo proposito, prima che obiettiate qualcos’altro, ho già pronti i documenti per l’imbarco … ovviamente, sempre che vogliate aiutarli…”
“Certo che lo voglio!” ribatté piccato il Visconte ”Mi pare sia lampante!”
“Talvolta l’amore è egoista…” replicò Jean scrollando le spalle “e non ci sarebbe nulla di male se la purezza dei vostri nobili propositi si scontrasse con la forza del vostro sentimento e il desiderio di avere Oscar tutta per voi… Basterebbe che ora vi tiraste indietro e lei non ne saprebbe mai nulla” rimarcò con uno sguardo eloquente.
Quelle parole andavano ad affondare con lucida spietatezza nelle più infami debolezze della sua anima, ma il senso dell’onore di Victor de Girodelle fu più forte di qualsiasi tentazione.
“Ho preso da tempo la giusta decisione” dichiarò con fierezza.
“Allora il dado è tratto” sancì Grammont alzandosi in piedi “A questo punto ci vorrebbe un brindisi per suggellare il nostro accordo, ma non mi sembra l’orario più opportuno…”
“Tra gentiluomini è sufficiente una stretta di mano” disse Victor, sollevandosi a sua volta e stendendo il braccio in direzione dell’uomo.
Uno strano sorriso aleggiò sulle labbra di Grammont, mentre allungava la mano per stringere quella del Visconte.
“Ovviamente...”
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Per chi non lo ricordasse, è il valletto di Jean de Grammont nel capitolo 14, Fratelli.
[2] Non è altro che il dipinto raffigurante Jean sulle scogliere della Normandia (commissionato dal Generale), che compare sempre nel capitolo 14.
[3] La via in cui si affaccia lo studio di Jean, come è riportato anche nel cap. 11, Il seme del dubbio
[4] Piccola precisazione: non si trattava di una camicia da notte come la intendiamo noi oggi, ma di una andrienne, ossia di un vero e proprio abito, di moda soprattutto nella prima metà del Settecento.
[5] Cittadina provenzale, che durante la Rivoluzione vide l’arresto e la successiva condanna a morte di ben ventinove suore, tra Orsoline e Sacramentine, che fanno parte delle cosiddette “Beate Martiri di Orange”.
[6] Istituto religioso agostiniano in rue de Grenelle, a Parigi, destinato all’educazione di fanciulle appartenenti all’elite dell’aristocrazia, nonché ad accogliere nobildonne che desideravano allontanarsi dalla famiglia o dai propri mariti.
[7] Massima di Bacone
[8] Il più antico ospedale di Parigi, fondato nel 651 nell’Ile de la Cité, poi riedificato nell’Ottocento

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Capitolo 20
*** Come un ago in un pagliaio ***


Per la serie chi non muore si rivede (!), archiviati i bagordi estivi e riconsegnata la prole a chi di dovere (santa scuola), siamo finalmente tornate, con la speranza di recuperare insieme al tran tran quotidiano, anche ritmi più umani di aggiornamento. Per chi volesse riprendere le fila del racconto, un riassunto più dettagliato è al capitolo 9 e uno più conciso in quello precedente a questo (il 19); per chi invece ha solo bisogno di una “rinfrescata”, avevamo lasciato Victor e l’ambiguo Grammont a tramare per la liberazione del povero André, momentaneamente trasferito all’Hotel Dieu per essere curato. Il piano andrà a buon fine? Ai posteri l’ardua sentenza!
Buona lettura
A&F
 
 
 
 
Come un ago in un pagliaio

Il sole era calato da un pezzo e il cielo aveva oramai perso ogni riflesso della poca luce che aveva accompagnato un tramonto sbiadito e grigio, per lasciare il posto ad una notte buia, contro la quale poco poteva l'esile spicchio di luna che a tratti si affacciava tra la coltre compatta delle nuvole.
Con un sospiro d'impazienza Oscar si mosse inquieta sulla sella di Cesar, che percependo l'agitazione della padrona scosse il capo e nitrì nervoso.
"Sarebbero dovuti arrivare poco dopo il tramonto" disse cupa "e invece... Quant'è che siamo qui? Un'ora? Un'ora e mezza? Magari non è questo il posto..."
"Non credo, siamo sulla strada per Bordeaux, nei pressi di Villebone e i riferimenti che ci ha dato Grammont ci sono tutti: la masseria abbandonata lì in fondo e qui, sul ciglio della strada, l'edicola votiva... Il punto d'incontro è questo senza ombra di dubbio. Qualcosa deve averli rallentati." osservò Victor
"O deve essere andato storto... " ribatté Oscar dando voce al vero pensiero che l'amico aveva voluto tacere per non aggiungere ulteriore ansia ad un'attesa che si era fatta snervante.
Senza replicare Victor diede un colpo secco al fianco del proprio cavallo, e si portò al centro della via provando a penetrare con lo sguardo l'oscurità della notte nel punto in cui ingoiava la strada in direzione di Parigi.
"Se stessero arrivando sentiremmo gli zoccoli dei cavalli ancor prima di vederli..." gli fece notare Oscar raggiungendolo.
Victor sospirò "Non se procedessero al passo, e in una notte come questa sarebbe difficile fare altrimenti".
"A meno che non siano inseguiti... ".
"Ma in tal caso i piani sarebbero cambiati e noi staremmo attendendo qui per niente" si arrese Victor voltandosi a guardarla.  
Proprio in quel momento, un raggio di luna sfuggendo dalla coltre delle nuvole illuminò il viso di Oscar, che gli apparve livido e teso, come raramente l'aveva visto.
Era dritta in sella a Cesar, immobile e come sempre il suo atteggiamento era perfettamente marziale, ma le sue mani stringevano con troppa forza le briglie e lo sguardo inquieto svelava appieno il timore che la voce aveva cercato di nascondere. Victor sentì stringersi il cuore e non seppe frenare il movimento della propria mano che, istintivamente, cercò il volto della donna per accarezzarlo. Altrettanto istintivamente Oscar si irrigidì e si ritrasse prima che le sue dita potessero sfiorarle la guancia. Imbarazzato, rendendosi completamente conto solo in quel momento dell' eccessiva intimità del gesto che stava per compiere, Victor si bloccò.
"Aspettiamo ancora un po'" disse Oscar tirando le briglia di Cesar per voltarsi e tornare al ciglio della strada "Se non dovessero arrivare entro mezz'ora torniamo a Parigi e cerchiamo di capire cosa è successo..."
Victor annui "Spero solo che Grammont non abbia deciso all'ultimo momento di cambiare bandiera..." osservò cercando di non pensare a quanto idiota e fuori luogo fosse stato cedere a quel moto di tenerezza, tanto più in un momento in cui era evidente che ogni fibra di Oscar fremesse per la sorte dell'uomo che amava.
"Che volete dire?" domandò lei aggrottando la fronte.
Per un attimo Victor esitò, ma era inutile cercare di volerla proteggere da una possibilità di cui, in fondo, lei stessa era perfettamente consapevole. Oscar non ne aveva bisogno, e di certo non voleva che fosse lui a raccogliere i frammenti di fragilità sfuggiti dalla sua corazza.
"Non mi fido di quell'uomo... Lo sapete benissimo..." rispose pertanto.
"Sì... ne abbiamo già discusso: ma non avrebbe avuto motivo di  offrirci il suo aiuto per poi tradirci; aveva già ottenuto ciò che voleva, e non avrebbe certo avuto bisogno di tutta questa messa in scena se si fosse voluto solo vantare con il Generale dell'ulteriore merito di aver definitivamente chiuso ogni mia velleità di fuga" disse Oscar ripetendo a se stessa, più che a lui, il ragionamento che più volte aveva opposto ai dubbi sull'affidabilità di Jean de Grammont. "D'altra parte, se fosse vero che è interessato unicamente al proprio tornaconto personale, perché mai non avrebbe dovuto approfittare dell'ulteriore opportunità che costituirebbe avermi definitivamente fuori dai piedi... "
"Non ne ho idea Oscar, ma il fatto che non abbia voluto che né io né voi avessimo parte nella fuga di Andrè, e che abbia accuratamente evitato di darci la benché minima informazione su come ha organizzato la cosa, non mi è mai piaciuto."
"Ha i suoi metodi...".
"Dei tagliagole prezzolati? Non credo siano un metodo sufficiente per avere la meglio su una scorta composta da soldati addestrati e scelti da vostro padre. C'è  qualcosa che non vuole che sappiamo, ne sono certo".
"E se anche fosse? Cosa importa, purché abbia successo... Grammont era la nostra unica possibilità, fidarci ed adattarci alle sue regole era l'unica chance che avevamo e poi nessuna decisione è esente da rischi... " constatò pragmatica Oscar.
Vero...
Victor ricordava perfettamente quando Grammont gli aveva offerto il suo aiuto, era stato chiaro: se avessero accettato sarebbe stato il solo e l'unico ad occuparsi dell'intera faccenda e così era stato. Anche quando successivamente avevano cercato di sapere qualcosa in più sulle modalità dell'azione era stato irremovibile: lui ed Oscar  dovevano restarne fuori. L'unica cosa che gli aveva concesso di sapere, era che avrebbero agito durante il trasferimento di André, e ovviamente l'ora e il luogo in cui avrebbero dovuto attenderli.
L'ora... Dannazione! Era passata da un pezzo... cominciava a credere seriamente che non sarebbero mai arrivati...
Come se gli avesse letto nel pensiero Oscar decise in quel momento, di rompere ogni indugio.
"Basta, abbiamo atteso abbastanza!" esclamò e contro ogni prudenza, con un colpo deciso al fianco di Cesar, sfidò il buio della notte spingendo l'animale al galoppo in direzione di Parigi.
Imprecando ed augurandosi che non rovinassero in qualche fosso lungo la strada, Victor la seguì. Non avevano percorso che poche miglia che al di là di una curva incrociarono un gruppo di uomini anch'essi a cavallo che ad andatura sostenuta venivano dalla direzione opposta.
Oscar tirò con forza le redini frenando la corsa di Cesar, che si arrestò pochi metri dopo il drappello. Voltandosi, spalancò gli occhi per scrutare il gruppo di cavalieri e sentì il cuore perdere un battito quando, tra loro, riconobbe la sagoma di André.
"Non è la notte adatta per lanciarsi al galoppo, dovreste essere più cauta madamigella Oscar, e anche più paziente..."
La voce pungente di Jean de Grammont ruppe il silenzio, ma Oscar neanche lo udì mentre con lo sguardo seguiva André farsi largo tra gli uomini ed avanzare verso di lei. Tutto il resto scomparve, tranne lui che si fermò a pochi passi di distanza.
Era pallido ed aveva il viso smagrito, evidentemente stanco, ma i suoi occhi splendevano, e l'intensità del suo sguardo... l'amore che vi si leggeva... Quanto gli era mancato sentirsi lambire da quell'impalpabile carezza,  quella silenziosa dichiarazione d'amore, muta custode di un segreto che tanto a lungo era stato solo il loro e che ogni volta le sfiorava il cuore! Sentì l'emozione avvolgerla.
Avrebbe voluto piangere di gioia, gettargli le braccia al collo, stringersi a lui e baciarlo, dirgli che le era mancato come l'aria, ma non riuscì a pronunciare neanche il suo nome, si limitò ad abbassare il capo, per controllarsi, come sempre...
André capì, ovviamente, e come sempre  quando vedeva Oscar combattere contro se stessa, andò in suo soccorso.
Dando un colpetto leggero al fianco del suo cavallo avanzò ancora  di qualche passo fino a che le loro cavalcature furono abbastanza vicine da sfiorarsi. Sporgendosi appena dalla sella allungò quindi una mano a coprire e stringere una delle sue, troppo stretta alle briglie. Fu un gesto discreto e naturale eppure potente e pieno di tenerezza, e quando Oscar sollevò il capo, fu il più dolce e bello dei suoi sorrisi ad accogliere il suo sguardo e dirle che capiva, sapeva e l'amava, immensamente, anche per quello...
Per quanto discreto fosse stato quel saluto tra due persone che in realtà avrebbero solo voluto gettarsi l'uno nelle braccia dell'altra, Jean de Grammont ritenne che fosse durato abbastanza e fosse opportuno riportare l'attenzione dei due innamorati a faccende di ordine pratico.
"Lungi da me il voler interrompere un momento tanto toccante" esordì con un'espressione che la diceva lunga su quanto fosse dispiaciuto "ma credo sia il caso che raggiungiamo quanto prima il posto stabilito per trascorrere la notte, non che ci inseguano ma... "
"Sì, in effetti è meglio essere prudenti" convenne Victor "Conoscendo vostro padre a quest'ora i suoi uomini staranno rivoltando Parigi" aggiunse quindi rivolgendosi ad Oscar "e basta poco per avere l'informazione che li metta sulla strada giusta."
Ancora scossa per l'incontro con André, Oscar si limitò ad annuire.
Grammont sospirò. "Giusto. Quindi, visto che siamo tutti d'accordo direi di muoverci velocemente" ordinò e mentre i suoi uomini si rimettevano in cammino egli affiancò Oscar, che con  André seguì il gruppo, chiuso in coda dal Colonnello Girodelle.
"Non vi nascondo che oggi è stata una giornata impegnativa, e un po' di meritato riposo è quello che ci vuole" disse  quindi alla volta della sorella "soprattutto per il vostro André...".
"Vi ringrazio per la vostra premura conte de Grammont, ma non avete di che preoccuparvi, sto molto meglio di quanto possa sembrare" ribatté pacato André "tanto più ora..." aggiunse quindi abbassando la voce e strizzando un occhio ad Oscar, che rassicurata dal  tono scherzoso sorrise scuotendo la testa. 
"In effetti star bene è il minimo che possiate fare Grandier, dopo averci dato tanto da fare per liberarvi...".
"Non vi ho ancora ringraziato Conte...".
"E non dovete farlo. Aiutarvi è stato un piacere e poi avevo proprio bisogno di un po' di avventura. Da quando ho lasciato il ponte di comando della mia nave conduco una vita fin troppo tranquilla".
"Non conosco la vita di mare, e non immaginavo che quella del  capitano di un mercantile potesse essere avventurosa, ma è evidente che mi sbagliavo: avete condotto l'assalto ai soldati della mia scorta, come se non aveste fatto altro nella vita...".
"Il mare è maestro d'avventura amico mio... Non si sa mai cosa possa riservare ed imparare ad essere pronti ad affrontare una tempesta come un arrembaggio è una necessità per qualsiasi capitano. Se a questo aggiungete che ero più che determinato a rendere un buon servigio alla mia neotrovata sorella..." aggiunse tra il serio ed il faceto.
L'espressione stranita con cui André accolse quelle parole, rivelò a Grammont che egli non sapeva nulla del legame di sangue che lo univa ad Oscar, ma il conte non se ne meravigliò più di tanto. Era abbastanza logico in effetti che la sua pragmatica sorella, avesse ritenuto preferibile tacergli quel dettaglio onde evitare di dargli nuovi pensieri durante la sua già difficile prigionia.
"Sorella?" ripeté pertanto André, voltandosi smarrito verso Oscar.
"Non lo sapevate Grandier?" domandò Jean fingendosi stupito "È una lunga storia... ma mia sorella vi spiegherà di certo con calma... "
Sempre più confuso André si voltò verso Oscar.
"Sì André, a quanto pare il conte di Grammont ed io abbiamo avuto la fortuna di avere lo stesso padre" confermò brevemente Oscar, calcando l'accento sull'ultima frase.
"Come ho avuto già modo di dirvi, il criterio con cui valuto nostro padre e le sue azioni, diverge dal vostro... Io credo davvero che tutto sommato possiamo ritenerci fortunati"
Oscar non rispose, conosceva il padre certamente meglio di  quel figlio spuntato dal nulla. Augustin de Jarjayes non solo l'aveva messa al mondo, ma aveva stabilito la sua ragione d'essere, il suo destino e l'aveva plasmata a sua somiglianza. Di lui  conosceva pregi e difetti, e di entrambe le categorie molti ne aveva ereditati. Non gliene aveva mai voluto per la scelta di educarla come un uomo, che anzi col tempo, aveva imparato ad apprezzare per la libertà che comportava.
Il Generale le aveva insegnato il senso dell'onore, il rispetto, il coraggio, la correttezza, era stato spesso duro con lei, che lo aveva  giudicato autoritario ma mai prevaricatore, sempre coerente con i suoi valori e tutto sommato giusto. Per questo, quando aveva deciso di imporle un marito e cancellare con un colpo di spugna tutto quello che era sempre stata e che lui le aveva insegnato ad essere, la delusione era stata cocente. Il rispetto, il consenso, la stima che da sempre provava nei suoi confronti erano crollati, finendo poi con l'essere sepolti dalle macerie del ricatto.
Che avesse avuto un figlio fuori dal matrimonio, per quanto fosse stata una scoperta sconcertante, avrebbe potuto capirlo e accettarlo: ogni uomo o donna al mondo, può avere un momento di debolezza, ma che a distanza di anni,  spinto da un orgoglio insensato per aver scoperto di avere un figlio maschio e col pretesto di rimediare ad un suo sbaglio schiacciasse la sua vita come se non fosse niente e giocasse con quella di colui che lei amava... No... non era perdonabile, né giustificabile.
"Non vi ringrazierò mai abbastanza Jean"  si limitò a replicare. Per un attimo Grammont la fissò in silenzio.
"Non dovete ringraziarmi Oscar" ribatté "Non abbiamo avuto la fortuna di conoscerci da bambini e crescere insieme, da fratelli, ma ci è stata offerta la possibilità di diventare amici, ora, e sarebbe stato sciocco rinunciarci"
"Sono stata prevenuta nei vostri confronti..."
"Ne avete avuto tutti i motivi..." rispose Jean per poi cambiare discorso e lanciarsi in un entusiastico racconto dell'impresa appena compiuta.
Mentre Grammont descriveva ad Oscar i dettagli delle peripezie conclusesi con la liberazione del suo amato, André aveva  rallentato l'andatura e si era affiancato a Girodelle.
"E voi Maggiore, sapevate?"
Victor si voltò a guardarlo.
"Per vostra informazione, ora sono Colonnello” sottolineò accompagnando le parole con un sorrisetto  pungente.
“Perdonatemi, non ne ero a conoscenza, anche se dopo il congedo di Oscar era abbastanza prevedibile che la sua carica passasse a voi” osservò di rimando André.
“Ritrovarsi come futuro suocero il Generale Jarjayes ha anche i suoi vantaggi”osservò scherzosamente il gentiluomo ”Comunqe sì... Oscar me ne aveva parlato" aggiunse quindi brevemente,  per poi tornare a guardare la strada "ma non fatevene un cruccio, non sono certo divenuto suo confidente durante la vostra assenza. È abbastanza normale che abbia informato me,  parte attiva nel progetto per la vostra liberazione e  taciuto  con voi, preoccupata dalle  vostre condizioni, non credete?"
"Certo" convenne André "e non me ne faccio un cruccio; anzi apprezzo che voi le siate stato vicino e che le abbiate dato il sostegno della vostra amicizia in un momento tanto difficile. "
Victor annuì.
"Siete un uomo fortunato Grandier, sapete, davvero non so come sia stato possibile, che abbiate conquistato il cuore di una donna tanto eccezionale e tanto al di sopra della vostra portata"
André sorrise, come mai avrebbe immaginato di poter fare sentendo parole simili pronunciate dal Colonnello  Victor Clement de Girodelle, che del resto le aveva dette senza ombra di disprezzo, ma con una tristezza velata di ironia.
Mentre cavalcavano l'uno di fianco all'altro lo osservò,  aveva il viso assorto  e sembrava immerso nei propri pensieri. Non gli era difficile immaginare quali fossero. Conosceva i  sentimenti che provava per la sua Oscar, li aveva intuiti già  molto  prima che li palesasse chiedendone la mano, e dando inizio a tutta quella storia.  Era questo, più che altro, il motivo per cui non gli era mai andato a genio. Victor de Girodelle non poteva dirsi una cattiva persona, era  anzi uno di quei rari aristocratici che malgrado la convinzione della propria superiorità non avevano l'ego sproporzionato e fastidioso che contraddistingueva la maggioranza dei loro pari, tuttavia  l'idea che, per un casuale privilegio di nascita, al fiero e disinvolto visconte, sarebbe potuto essere concesso, come era poi effettivamente accaduto, ciò che a lui sarebbe stato violentemente negato, glielo aveva sempre reso inviso.
Ora però tutto era cambiato. Ora che l'insicurezza, la frustrazione e la paura di perdere la sua Oscar erano svanite, sentiva un sincero dispiacere nei confronti dell'antico rivale che, in quel momento, come lui un tempo, carezzava con sguardo malinconico la schiena della donna che  cavalcava innanzi a lui, struggendosi al  pensiero che mai gli sarebbe potuta appartenere.
"Avete ragione, sono un uomo fortunato; ma non solo per Oscar..." Non è facile incontrare una persona che sia disposta a privarsi della possibilità di essere felice per  qualcuno che conosce  superficialmente." disse André superando ogni residua reticenza e dandogli atto di una nobiltà ben più importante di quella legata ad un qualsiasi titolo.
"Non è per voi che l'ho fatto André... Lo sapete benissimo... "
"Sì, certo, lo avete fatto per Oscar. Ma ciò non toglie che è per me che avete rinunciato a lei, che sono io a beneficiare del vostro sacrificio e credetemi, so quanto deve essere stato  doloroso... Ho un debito incommensurabile con voi, Colonnello, e spero che un giorno riuscirò in qualche modo a ripagarlo"
“Con un oceano a separarci sarà un po’ difficile” osservò serafico il Visconte “Anche se, pensandoci bene, un modo per sdebitavi ci sarebbe” aggiunse facendosi serio.
“Quale?” domandò incuriosito André, rallentando istintivamente l’andatura del suo destriero.
Victor a sua volta si fermò e con freddezza  puntò  le iridi grigie in quelle verdi di lui.
“Non fatemi mai pentire della mia scelta, Grandier” rispose quindi bruscamente “Rendetela felice, perché giuro su Dio, che se in qualche modo venissi a sapere che non è così, nessun oceano potrà  impedirmi di farvela pagare..."


Oscar cominciava a sentirsi indolenzita. Cavalcavano già da diverse ore e un'altra almeno ce ne sarebbe voluta prima di arrivare a Poitiers, dove lei e André avevano stabilito di fermarsi per trascorrere la notte.
Jean e il suo gruppo li avevano scortati fino a Orleans e lì, ormai abbastanza certi che nessuno li seguisse, come stabilito, li avevano lasciati per far ritorno a Parigi. Con Victor invece si erano separati già a Villebone, la sera stessa in cui André era stato liberato,  ritenendo più opportuno che l'uomo si facesse trovare a palazzo Girodelle,  per sviare i sospetti del Generale che certo sarebbe andato a chiedergli ragione di un suo presunto coinvolgimento.
Separarsi era stato più triste di quanto avrebbe mai immaginato. In tutti quei mesi in cui aveva portato avanti la pantomima del suo fidanzamento con Victor, Oscar aveva allacciato con lui un  rapporto di amicizia sincero e molto più stretto di quanto fosse mai stato in  tanti anni di quotidiana frequentazione. Così, senza che neanche lei se ne  fosse resa  ben conto, grazie  alla sua sempre costante disponibilità e ad una abituale discrezione, egli era finito col diventarne, di fatto, il confidente. Tuttavia,  benché da quando aveva saputo del legame che la univa ad André, non  avesse più fatto parola dei suoi sentimenti, Oscar  sapeva che ciò che lei provava per Victor, non era uguale a ciò che egli sentiva nei suoi riguardi e che dietro ogni parola, sorriso,  rassicurazione, che le aveva rivolto, così come ogni momento di ascolto o silenzio che avevano condiviso, c'era qualcosa in più d'un amichevole affetto.
Vederla con André non doveva essergli stato facile, separarsi da lei, da loro due assieme, doveva essere stata una necessità per non continuare a farsi del male. Glielo aveva letto negli occhi quando si erano salutati, e la malinconia del suo sguardo le aveva come graffiato il cuore rivelandole indubitabilmente ciò che le parole tanto abilmente mascheravano. Prendergli la mano, tenerla stretta tra entrambe le sue e ringraziarlo augurandogli di trovare la felicità, le era suonato scontato, insufficiente, quasi ridicolo, ma cosa avrebbe mai potuto dirgli? Non c'erano parole d'addio che potessero suonare adeguate e comunque nulla sarebbe stato più vero di quell'augurio fatto con il cuore.
Era andato via senza voltarsi Victor, e mentre gli uomini di Jean si affaccendavano rumorosamente ad accendere un bivacco nel cortile cadente del vecchio casale, alla luce delle fiamme guizzanti Oscar era rimasta a guardarlo riprendere la strada. Solo un attimo prima che sparisse nel buio, lo aveva visto girare leggermente il viso verso di lei  e alzare la mano in un ultimo malinconico saluto, aveva sentito  un nodo stringere la gola, e se non fosse stato per la voce di André che l'aveva chiamata riportandola a lui, e alla constatazione che la felicità viene sempre dopo la sofferenza, avrebbe lasciato che le lacrime che le riempivano gli occhi cadessero a bagnarle le guance.
Un violento accesso di tosse scosse André costringendolo a rallentare l'andatura e richiamò l'attenzione di Oscar, che tirando la briglie arrestò la corsa di Cesar e gli si fece subito vicina.
"Cosa succede André? Tutto bene? " domandò preoccupata.
"Sì" rispose lui sforzandosi di controllare un nuovo colpo di tosse.
"Dobbiamo fermarci, hai bisogno di riposare..."
"Ma no Oscar, sto benissimo davvero..." provò a minimizzare l'uomo.
"Per quanto ne so sei vivo per miracolo e sei convalescente; e comunque anche io sono stanca, troviamo un posto e fermiamoci" tagliò corto.
"Un posto... Bel problema in mezzo ad un bosco..." osservò André senza neanche provare  a convincerla a proseguire, ma facendole presente l'oggettiva difficoltà che avrebbero incontrato a  trascorrere la notte su quel tratto di strada.
"Poco fa prima di entrare in questa boscaglia abbiamo incrociato dei campi coltivati e se ci sono campi ci sono contadini e possibilità di trovare un posto per passare la notte" obiettò Oscar facendo voltare il  cavallo e avviandosi  nella direzione da cui erano venuti.
André sospiro rassegnato "E va bene" acconsentì  "ma muoviamoci, il tramonto è vicino e se perdiamo  tempo davvero  dovremo passare la notte sotto gli alberi".
"Non abbiamo mai trascorso una notte insieme in un bosco..."  considerò Oscar mentre lui le si affiancava.
"No, in effetti no..." convenne André
"Potrebbe essere piacevole, pensa: le stelle...le lucciole... il fruscio delle foglie... La carezza della sera sulla pelle...".
André aggrottò la fronte. 
"E da quand'è che sei così... sentimentale?" domandò perplesso, ma Oscar non rispose, limitandosi a scuotere il capo ed atteggiare il viso nell'espressione tipica di chi non sa. André  la osservò divertito.
"Comunque hai ragione..." concordò infine dopo una pausa di  pensoso silenzio "le zanzare... l'erba bagnata... l'umidità... la mia polmonite... Molto, molto poetico in effetti".
  "Sei un cinico insensibile" commentò Oscar sforzandosi di esser seria.
"Mmm... visto che tu  hai improvvisamente perso ogni senso pratico..."
Oscar schiuse le labbra in un sorrisetto divertito "L'amore gioca brutti scherzi!" asserì usando il più scontato dei luoghi comuni.
Scoppiarono a ridere. Una lunga, allegra, spensierata, risata liberatoria, la prima dopo tanti mesi di tensioni e angoscia. Si godettero quel momento senza trattenersi, ridendo come  ragazzini fino a che le risate non si spensero ed Oscar si ritrovò la vita stretta da un braccio di André, che sporgendosi  dal suo cavallo la attirò a sé e premé le proprie labbra contro le sue. Fu un bacio leggero, ma che andò dritto al cuore facendolo sobbalzare. Oscar chiuse gli occhi assaporando il dolce sapore della sua bocca e sollevò la mano ad accarezzargli il viso ispido di barba. Avrebbe voluto che quel momento durasse in eterno, ma la posizione non era delle più comode e soprattutto i cavalli sembravano non essere d'accordo e allargando la distanza tra loro li costrinsero a separarsi.
Proprio in quell'istante si resero conto che poco più in là una coppia di contadini intenti all'aratura si era fermata e li fissava attoniti. Da principio non capirono il perché di quegli sguardi tanto sorpresi e vagamente disgustati, poi l'uomo sputò a terra nella loro direzione  e mormorando qualcosa alla moglie si asciugò con la manica la fronte madida di onesto sudore e riprese il suo lavoro, subito imitato dalla donna.  
"Immagino non sia il caso di chiedergli se hanno un posto in cui possiamo trascorrere la notte" disse Oscar con sarcasmo, realizzando che agli occhi dei due contadini  erano apparsi come due uomini che si baciavano e che se l'uomo si era limitato  sputare a terra e ad ingiuriarli tra i denti rivolto alla moglie, era solo perché l'aspetto li identificava come appartenenti ad un ceto elevato.
"Non è detto..." ribatté André senza perdersi d'animo e rivolgendosi con naturalezza al bracciante gli chiese se ci fosse nei paraggi un posto dove lui e sua moglie  avessero potuto trascorrere la notte, facendo contemporaneamente presente che erano intenzionati a pagare bene il disturbo.
Il contadino tornò a guardarli avendo l'aria di non essere convinto.
"Da dove venite?" chiese brusco
"Da Parigi" rispose André senza scomporsi.
Incrociando le mani sul manico della vanga e un piede sullo staffale, l'uomo fermò il suo lavoro e squadrò silenziosamente André per poi soffermarsi con più attenzione su Oscar. Infastidita da quell'esame, l'insofferente  ed orgoglioso ex comandante delle guardie della Regina, stava per perdere la pazienza e mandarlo al diavolo, quando  il viso cupo del contadino si schiarì come se avesse avuto un'illuminazione e rivolgendosi alla moglie l'uomo considerò con  un sorriso sdentato  che i signori della capitale erano proprio strana gente.
Alcuni minuti dopo Oscar e André legavano i cavalli ai ganci fissati alle assi del fienile dove avrebbero trascorso la notte.
"Ci è andata  bene" disse André entrando all'interno della  costruzione di legno e lasciandosi cadere su un mucchio di paglia morbida e profumata.
"Sarebbe potuta andare meglio... " osservò Oscar storcendo il naso.
André si  mise a sedere  "Non credo..." ribatté in tono serio  "Dubito che avessero una camera da poterci offrire, molto probabilmente dormono con i figli e gli animali domestici nell'unica stanza in cui cucinano, mangiano e soggiornano, oppure, se sono molto fortunati, hanno un piccolissimo ambiente, che difficilmente chiameremmo camera, separato dal resto."
Oscar accusò il colpo, pentendosi di quelle parole superficiali. Sapeva bene che la dura realtà dei contadini era ben diversa dal sogno bucolico che la Regina aveva realizzato nel suo Hameau, ella stessa  del resto aveva avuto modo di constatarlo  anni addietro, quando  si era trovata ad affrontare la difficile situazione di alcuni contadini di suo padre stesso, impossibilitati a pagare le cure per salvare la vita del proprio figlio; ma a quanto pareva una cosa era sapere, un'altra sperimentare sulla propria pelle il significato della parola privazione. Strinse le labbra e tacque mortificata.
Quella di André tuttavia era stata una semplice constatazione, senza alcun intento di puntualizzazione o rimprovero, pertanto rendendosi conto del turbamento che le sue parole avevano suscitato in Oscar si alzò e la raggiunse.
"E poi scusa, non eri quella che voleva dormire in un bosco?" chiese scherzoso cercando recuperare la situazione, ma lei non accolse l'opportunità e sbuffò appena un sorriso senza convinzione.
"So bene che persona sei, so quanto odi l'iniquità e l'ingiustizia, e come sei disposta a batterti  per chi non ha voce, non ha possibilità..."disse allora con dolcezza prendendole le mani e stringendole nelle sue" non volevo certo farti la morale... "
Lei abbozzò un sorriso "È che..." iniziò a dire, ma un bacio improvviso e inaspettato  come la pioggia in estate, le chiuse la bocca impedendole di finire la frase. Così, senza quasi rendersene conto Oscar si ritrovò catturata dalle  braccia di André, che la avvolgevano stringendola contro il petto. La sorpresa la bloccò per un attimo, un breve istante prima che tutto svanisse  inghiottito delle sue labbra che si confondevano con le proprie e che il suo sapore passasse da quelle dolci sponde all'anima, gonfiandole il cuore  come un mare in tempesta. Avvertendo la  carezza della sua mano che saliva lenta dalla schiena alla nuca, reclinò la testa all'indietro, che Andrè raccolse dolcemente mischiando le dita ai suoi capelli. Cullata da un languore crescente, Oscar gli  si abbandonò stringendogli le braccia al collo e lasciando che il proprio corpo si modellasse contro il suo. Troppo era trascorso, dall'ultima volta che si erano persi l'una nelle braccia dell'altro, in un intreccio che non aveva tempo né luogo, ma solo la sensazione che tutto attorno a loro si fermasse, perché André potesse resistere ancora un minuto senza provare quell'appagamento che solo il suo sapore riusciva a suscitare. In tutto il tempo in cui erano stati lontani si era sentito non semplicemente solo o perso ma  mancante di un pezzo di sé, e come un assetato sopporta la sete con la promessa dell'acqua ristoratrice, per giorni ed ore interminabili egli aveva sopportato la sua prigionia sostenuto dalla  speranza di riunirsi a lei. Ora, che finalmente era avvenuto, baciare e assaporare ogni angolo della sua pelle era l'unica cosa che  poteva placare la sua sete. Senza lasciarla, indietreggiò di qualche  passo e si lasciò cadere sulla paglia portandola con sé. Il fieno era morbido e odoroso sotto di loro, Oscar si sollevò sui gomiti e tra la pioggia dei suoi capelli  lo guardò perdendosi nelle profondità smeraldine dei suoi occhi velati di desiderio. André sentiva il suo respiro carezzargli la pelle e ricambiò il suo sguardo sfilandole dai capelli una pagliuzza dorata. Un attimo dopo la fece rotolare sotto di sé; le baciò le guance, gli occhi, il naso per poi tornare alla bocca e catturare la sua lingua in un bacio appassionato dopo aver indugiato a lungo sulle labbra morbide. Oscar mormorò il suo nome e lui si lasciò sfuggire un gemito rauco, mentre lasciata la bocca le percorreva con le labbra la gola  e le  mani si insinuavano tra gli indumenti cercando bramose la sua pelle nuda. Accese di desiderio le carezze divennero sempre più intime e febbrili superando l'ostacolo di giacche, camice e pantaloni che finirono  ammucchiati da qualche parte. Le dita e le labbra di lui le bruciavano la pelle ed Oscar  sentì le membra fremere mentre  indugiavano sui suoi seni. E quando la sua bocca avida, sazia della loro delizia li abbandonò per tornare alle sue labbra, gli posò una mano sul petto per sentire il suo cuore battere forte mentre ardente scivolava in lei soffocando un gemito. Ondeggiarono assieme in un ritmo prima lento poi più frenetico finché il fuoco che li bruciava si ridusse in cenere.
Restarono a lungo stretti, allacciati l'uno all'altra, il sole era oramai quasi completamente  tramontato e i suoi raggi rosati che avevano tinto  di rosa le pareti del fienile e fatto rifulgere d'oro i mucchi di paglia durante il loro amplesso si spegnevano come la fiamma della passione che li aveva avvolti, lasciando spazio alla luce vellutata della sera e all'aria fresca della notte.
André posò un bacio leggero sul capo di Oscar adagiato sul suo petto, lei sollevò il viso a guardarlo e lui le scostò con dolcezza i capelli della fronte. Oscar sorrise e gli carezzò lieve le labbra.
"Inizia a far freddo" osservò André catturando la sua mano e baciandole la punta delle dita.
"Vero" disse lei stringendoglisi di più.
"Oh ma qui abbiamo coperte degne di dei!" esclamò André con aria divertita e affondando un braccio tra la paglia che li circondava ne spinse su di loro un mucchio consistente.
"Solletica!" protestò Oscar agitando le spalle per far cadere le pagliuzze che la punzecchiavano.
"Ma tiene caldi" ribatté lui massaggiandole la schiena.
“Una vera fortuna” ironizzò lei.
“Sì, una fortuna” ripeté  André “e non è stata l’unica” aggiunse serio scrutandola in viso.
Oscar si sentì travolgere da un'ondata di emozione  per l'intensità di quelle parole pronunciate con tanta  granitica certezza, per quell'amore solido come una roccia.
“André, io…”
“Credevo di averti persa, Oscar” la interruppe brusco lui “Ero convinto che non sarei mai uscito da quella maledetta prigione sulle mie gambe… finché non sono stato trasferito all’Hotel Dieu. All’inizio ero così frastornato da pensare che finalmente quell’incubo fosse finito, ma i giorni continuavano a passare e tu non arrivavi mai. Allora ho pensato che avesse vinto tuo padre, che il prezzo di quelle cure fosse il matrimonio con Girodelle e che tu non avessi avuto il coraggio di dirmelo”
 “Non avrei mai permesso che andasse così, avrei usato ogni mezzo per costringere mio padre a dirmi dov'eri, a liberarti. Ti garantisco che è stata una fortuna per lui che la tua liberazione sia riuscita...” disse seria.
André le accarezzò con un dito il profilo della mascella “Sì, adesso lo so… ciò non toglie che dopo quello che abbiamo passato, considero il poterti stringerti di nuovo tra le braccia la fortuna più grande che mi potesse capitare. La felicità è un dono raro Oscar, e prezioso… e non è mai semplice da trovare”
“Come un ago in un pagliaio” osservò lei in tono solenne, ma con un sorriso birichino capace di stemperare rapidamente la malinconia del momento.
Rise sommessamente, André, prima di tornare a cercare le sue labbra.
“Sì hai proprio ragione… come un ago in un pagliaio”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 21
*** Acque Nere ***


Acque Nere

Le acque nere della Senna iniziavano a riflettere il tenue chiarore dell’aurora, quando in sella al suo baio Victor de Girodelle raggiunse finalmente il porto di Bercy[1]. Benché l’oscurità avvolgesse ancora buona parte della Rive Droite, guidato dalla luce tremula dei radi lampioni sfuggiti alle mire degli ubriaconi[2] e dal vociare concitato dei mozzi intenti a scaricare le merci sul molo, l’ufficiale riuscì a individuare agevolmente la sagoma della grande chiatta ormeggiata a riva.
Celando la tensione, con una noncuranza che era ben lungi dal provare si avvicinò al pontile d’approdo, luogo concordato per l’incontro, tentando di confondersi tra i primi mercanti, per lo più vinai, che iniziavano ad assieparsi in cerca del buon affare. Tuttavia, mentre fingeva di osservare con interesse le grandi botti stipate sui barrocci, non poté fare a meno di alzare il bavero del mantello e calcare il cappello sulla testa. Per meglio confondersi tra coloro che affollavano il molo aveva ovviamente escluso di indossare la divisa e, dopo aver scelto un modesto e anonimo completo scuro, aveva quindi legato la lunga capigliatura; tuttavia la prudenza non era mai troppa e il rischio che un dettaglio potesse attirare l’attenzione e compromettere gli sforzi degli ultimi giorni, andava minimizzato. 
Infatti, pur ricorrendo alla fitta rete di spie di cui talvolta lui e Oscar si erano avvalsi ai tempi degli intrighi della Du Barry[3] non era stato affatto facile raccogliere informazioni, tanto più che i brutti ceffi di cui Grammont si era avvalso per liberare André e che, a quanto pareva, negli ultimi tempi facevano la spola tra Bercy e La Rapée offrendosi come uomini di fatica per sbarcare il lunario, si erano rivelati tanto diffidenti quanto parchi di parole. Trovare quel tale disposto a parlare era stato pertanto un vero colpo di fortuna, ed ora finalmente era a un passo dalla meta... una meta però dal sapore amaro, si ritrovò a pensare, perché rappresentata da quella verità che da tempo aveva intuito ma non cercato, svuotato com'era dallo sforzo che gli era costato aiutare colei che amava a sparire per sempre dalla sua vita, e che suo malgrado aveva  finito col renderlo apatico verso il resto del mondo, compreso il destino di una giovane innocente.
Sì, aveva sbagliato, avrebbe dovuto seguire il suo intuito, riscuotersi e agire prima e non dopo aver incontrato su quel dannato ponte  lo sguardo vacuo di Aurore de Grammont.
Victor non avrebbe mai dimenticato il giorno successivo al suo rientro da Villebone. Quella notte, come da copione, si era recato immediatamente a Versailles, in modo da essere nel suo ufficio alle prime luci dell'alba. Nessuno aveva notato il suo allontanamento – aveva opportunamente congedato il piantone di guardia alle sue stanze, per potersi muovere in libertà – e così  quando, poche ore dopo, un furibondo  Generale Jarjayes si era precipitato da lui per chiedere conto della liberazione di André e della sparizione di sua figlia, simulando una viva sorpresa aveva respinto con sdegno ogni accusa, sostenendo di aver trascorso la notte nella reggia e sfidando l'anziano gentiluomo a interrogare i suoi sottoposti, se pensava che mentisse.
Nessuna minaccia, nessun insulto di Augustin de Jarjayes avevano scalfito la sua gelida fermezza.
"Non finisce qui!" aveva ringhiato alfine il Generale, sconfitto ma non domo,  prima di uscire sbattendo rumorosamente la porta.
Soltanto allora Victor aveva tirato un sospiro di sollievo, ma il malumore lasciatogli da quel duro confronto, sommato alla tristezza che si portava dentro e all’apprensione per le sorti di Oscar, lo aveva accompagnato per tutta la giornata fino a diventare insopportabile, inducendolo a lasciare anzitempo la reggia nel tentativo di placare con una cavalcata le inquietudini del cuore. Così, dopo aver delegato i suoi compiti all'ufficiale, fresco di nomina, che ricopriva il suo antico ruolo, varcati i cancelli della reggia si era lanciato al galoppo lungo la via, rallentando l’andatura del cavallo soltanto alla vista dei tetti di Parigi.
Per un attimo aveva ponderato di tornare indietro, il sole iniziava a tramontare, ma poi improvviso, fra i tanti pensieri che avevano  accompagnato la sua cavalcata, gli era venuto alla mente il celebre detto di Eraclito, “Panta Rei”, e con esso l'idea  che nella vita tutto scorre come l'acqua di un fiume e che anche quel dolore che provava in fondo al petto prima o poi sarebbe passato. Un po’ rinfrancato da quella considerazione aveva dunque deciso di proseguire lungo la Senna, ritenendo che la compagnia di quello scorrere incessante potesse in qualche modo giovare al suo animo ferito, aiutarlo a lasciar andare la malinconia e a rinascere a nuovi e più fausti pensieri. Si era così trovato nei pressi di Pont Neuf.
Era stato in quel momento che l’aveva vista. Su uno dei balcons che si affacciavano sul fiume, c’era una donna; del tutto indifferente al viavai delle carrozze alle sue spalle, continuava a fissare le acque sottostanti, stringendo convulsamente l’allacciatura dell’elegante cappa grigia che aveva indosso.
Era sola, e già questo era strano, visto che dagli abiti non poteva certo essere una popolana; il suo atteggiamento poi, il modo in cui fissava il fiume, la sua immobilità e allo stesso tempo la tensione emotiva che emanava l'intera sua figura, aveva qualcosa di preoccupante. Senza pensarci due volte, Victor si era diretto verso di lei… appena in tempo per vederla posare i palmi sul parapetto e sporgersi pericolosamente. Solo per miracolo era riuscito a smontare da cavallo e ad afferrarla, un attimo prima che si lasciasse cadere giù.
“Che cosa volete? Lasciatemi, lasciatemi vi dico!” aveva gridato la sconosciuta, cercando di divincolarsi.
Al suono della sua voce, il Visconte aveva sgranato gli occhi, incredulo, lasciandola di colpo.
 “Madame de Grammont… ma… ma cosa…”
Con un’espressione altrettanto attonita, Aurore de Grammont si era  voltata indietro… e Victor era impallidito.
“Dio mio… che cosa vi è successo?”
Per tutta risposta, la giovane aveva abbassato la fronte balbettando incoerentemente qualcosa.  
“Cosa vi è accaduto, Aurore? Chi vi ha fatto questo?” aveva insistito lui, sollevandole con delicatezza il mento e guardando inorridito l’ampio livido bluastro sotto lo zigomo della fanciulla. “Vi hanno aggredito? Qualcuno vi ha fatto del male? Vi prego, parlate!”
“No… non mi ha aggredito nessuno… è stato un incidente… solo un incidente!” aveva detto lei, sottraendosi alla sua presa “È stato solo un incidente…” aveva quindi ripetuto tirandosi sulla testa il cappuccio foderato di seta cremisi che la faceva apparire ancora più pallida.
“Un incidente piuttosto grave se stavate per gettarvi nella Senna…” l’aveva incalzata cupo il gentiluomo.
Sopraffatta, Aurore de Grammont si era nascosta il viso tra le mani e si era accasciata sulle ginocchia, mentre la gonna si gonfiava attorno a lei in una nuvola di seta.
 “Io… io volevo soltanto un po’ di pace” aveva sussurrato, mentre un singhiozzo le saliva alla gola.
 Victor si era chinato davanti a lei e le aveva sfiorato una spalla in un gesto di conforto.
“Pace?” aveva ripetuto guardandola confuso , lei aveva scosso la testa.“Aurore, vi prego... Fatemi capire... spiegatemi… che cosa vi è accaduto per indurvi a desiderare un tale terribile oblio, che motivo avete per…” Si era interrotto bruscamente, le parole gli erano morte sulle labbra trafitte dal lampo improvviso della consapevolezza “È stato lui...”aveva pronunciato tra rabbia e sconcerto... “È stato lui... È stato vostro marito!”
Colpita da quella  rivelazione, Aurore aveva spalancato gli occhi e mentre con le ciglia ancora imperlate di lacrime e le labbra rosee leggermente tremanti lo guardava sgomenta, si era rialzata scuotendo lentamente il capo in un silenzioso diniego.
“No... non è vero, non è stato Jean…” aveva mormorato fissandolo come un angelo dagli occhi tristi.
Victor, paralizzato dalla vista di tanta pena e dal peso delle sue stesse parole, era rimasto immobile nel punto dov'era seguendola con lo sguardo e trovando nel suo volto e nella voce flebile con cui si era affrettata a negare, la conferma alla sua intuizione. Si era quindi rialzato e facendosi vicino alla fanciulla aveva mormorato con dolcezza il suo nome.
“Aurore...”
La ragazza si era voltata, lui le aveva messo le mani sulle spalle che avevano tremato scosse da un singhiozzo trattenuto; delicatamente l'aveva costretta a tornare a guardarlo.
“Non è stato lui, non è stato Jean” aveva nuovamente ripetuto con voce lamentosa.
Victor aveva scosso la testa.
“Quei lividi sul polso, le vostre parole di quella sera… “aveva detto con gli occhi verdi incupiti di costernazione “Adesso è tutto chiaro… Ah, perdio, se solo lo avessi tra le mani…” era esploso infine, incapace di trattenere il disprezzo. Tuttavia quelle ultime parole avevano causato una reazione inaspettata nella ragazza, che d'improvviso si era scossa e liberandosi dalle sue mani che ancora le tenevano le spalle, gli aveva gridato:
“No!Voi non capite! Lui l'ha fatto a ragione! È colpa mia...Sono io che... che...l'ho costretto, è stato il mio atteggiamento... Mio marito mi vuole bene, mi ama… e comunque questa storia non vi riguarda affatto, Colonnello Girodelle! Voi non sapete niente di com'è lui! Non capite!Non potete capire… nessuno può capire!”
Victor l’aveva fissata incredulo.
 “Che cosa c’è da capire, Madame Aurore? Un uomo del genere non sa cosa sia l'amore! Un uomo che picchia una donna non è un uomo, è un vigliacco!” aveva ribattuto, accalorandosi ulteriormente “Dannazione, quale marito amorevole, quale uomo d’onore farebbe questo alla donna che ha giurato di rispettare e proteggere davanti a Dio?”
Sentirsi dire apertamente quella verità che tante volte aveva negato a se stessa e che tuttavia aveva finito col portarla su quel ponte in preda alla più cupa disperazione, l'aveva definitivamente svuotata delle ultime forze che le erano rimaste. Aurore si era sentita fragile e impotente come una foglia alla mercé del vento, stanca, come non lo era mai stata in vita sua.
“Vi prego, Colonnello… voglio solo andare a casa” aveva mormorato disperata a voce bassa, ma per quanto quelle parole fossero state un sussurro quasi  impercettibile, nella loro cupezza erano echeggiate alle orecchie di Victor come un grido di disperazione, che lo aveva disarmato facendolo ammutolire e perdere d’un tratto tutta la sua foga.
“Come volete, madame de Grammont” aveva capitolato  con un sospiro “Permettetemi però di accompagnarvi” si era quindi offerto porgendole la mano affinché vi si potesse appoggiare. Tuttavia Aurore aveva esitato e lo aveva fatto per un momento tanto lungo che egli aveva temuto che rifiutasse. “Vi prometto che non tornerò più sull’argomento di poc’anzi, a meno che non siate voi a farne parola per prima” si era pertanto affrettato ad aggiungere.
Posando silenziosamente la piccola mano guantata su quella di lui, Aurore aveva accettato. Rinfrancato, il Visconte l’aveva fatta salire sul suo cavallo e, montato a sua volta in sella dietro di lei, aveva imboccato Quai de la Ferrille[4] in direzione di  Place Royale. La distanza non era molta, ma ben presto, sfinita, la ragazza si era addormentata tra le sue braccia e lui aveva volutamente rallentato il passo, cercando di raccogliere le idee per poter liberare la giovane da quell’essere indegno che aveva avuto la sfortuna di sposare.
Ormai non c’era alcun dubbio, aveva concluso tra sé il gentiluomo, Jean de Grammont non era chi voleva far credere di essere. Era un violento e uno spregiudicato, che celava dietro i modi affabili e in apparenza schietti, un uomo ambiguo e brutale, capace di muoversi con disinvoltura nei salotti dell’alta società come nei bassifondi… e i pendagli da forca che avevano liberato André e manifestato un’obbedienza sospettosamente familiare nei suoi confronti, ne erano la dimostrazione.
Chi erano veramente quegli uomini? Perché mai a Grammont quasi bastava un cenno perché l’intendessero, che legame potevano avere con lui?  
Era iniziato tutto così: Victor si era sentito in dovere di dare una risposta a quelle domande e non perché credesse che Oscar fosse in pericolo, dal momento che ormai era lontana, né perché gli importasse di chi il Generale avesse deciso di mettersi in casa, ma perché, semplicemente, non avrebbe avuto il coraggio di guardarsi allo specchio se avesse lasciato Aurore de Grammont tra le mani del suo aguzzino.
Doveva aiutarla...ma come?
Purtroppo, seppure Aurore avesse trovato il coraggio di denunciare il marito superando il timore del biasimo sociale, anche dimostrando le violenze da lei subite, difficilmente avrebbe ottenuto qualcosa in più che la redazione di un patto di rappacificazione: persino all’interno dei tribunali vigeva la convinzione che lo schiaffo di un marito, per il suo naturale potere correzionale quale capo della famiglia, si rendesse talvolta necessario, e nessun giudice si sarebbe intromesso nell’intimità del legame coniugale. Nella migliore delle ipotesi avrebbe probabilmente consigliato un periodo di separazione. Ovviamente nulla di tutto questo avrebbe liberato Aurore dal suo legame malato, né tanto meno avrebbe toccato in alcun modo Jean de Grammont, che come prassi avrebbe giustificato il suo comportamento adducendo a scusa la petulanza della moglie e l’esercizio del suo diritto[5].
Tuttavia, se fosse riuscito a smascherare Grammont… se avesse trovato quegli scheletri che era convinto nascondesse, Aurore con il supporto di suo zio, il signore di Bellecombe [6], non avrebbe avuto difficoltà a ottenere l’annullamento del matrimonio  e magari quest’ultimo, grazie alla sua influenza, sarebbe riuscito anche a sbattere quel maledetto in una cella, con buona rassegnazione del Generale Jarjayes.
Quel pensiero lo aveva in parte rincuorato. Quando aveva fermato il cavallo davanti all’elegante palazzo in Place Royale, benché ancora frastornata, Aurore aveva finalmente riaperto gli occhi e lui l’aveva aiutata a scendere per consegnarla alle cure della servitù, con la speranza che l’assenza di Jean – l’uomo non sarebbe tornato da Orléans[7] prima di qualche giorno – le potesse dare il tempo di riprendersi nel corpo e nello spirito. Per giustificarne lo stato miserevole, all’anziano valletto che gli aveva aperto, aveva raccontato di una vile aggressione che lui, passando per caso, era riuscito fortunosamente a sventare; una menzogna approssimativa e inutile, dal momento che il fugace sguardo di compassione che Monsieur Duvalle aveva rivolto al volto tumefatto della padrona e il distacco con cui aveva accolto la spiegazione dell’accaduto, gli avevano suggerito che l’uomo conoscesse la vera origine di quei segni e il motivo che aveva portato la sua signora a girare da sola per le strade di Parigi. Con ogni probabilità, le angherie subite dalla Contessa non erano un mistero tra quelle mura… eppure, come spesso accade, nessuno era intervenuto per impedirle.
In un moto di rabbia, Victor strinse con forza le redini tra le mani fino a sentire il cuoio sferzargli la pelle nonostante la protezione dei guanti. Ogni volta, il ricordo del senso d’impotenza e frustrazione  provato quella sera gli faceva ribollire il sangue… forse perché, nei giorni successivi, quella medesima sensazione non  lo aveva mai abbandonato.
All’inizio, infatti, non era stato facile partire con le indagini e aveva disperato di riuscire nel suo intento di screditare Jean. L’unico appiglio alla sua ipotesi, che il Conte avesse una doppia vita, erano i tirapiedi di cui si era avvalso per l’evasione di André. Di certo erano forestieri, alcuni non parlavano neppure il Francese… ma quanti individui del genere potevano popolare la Capitale passando inosservati? Era come cercare un ago in un pagliaio… Poi, però, si era ricordato di un particolare che, durante la notte della fuga, non aveva potuto far a meno di notare, pur non dandogli al momento eccessiva importanza: uno di quei brutti ceffi aveva un grande squalo tatuato sul dorso della mano. Un simbolo insolito, forse riconducibile al mare… d’altronde, Grammont era stato capitano di un mercantile e quegli uomini  potevano far parte della sua antica ciurma.
Le ricerche dei suoi informatori erano dunque partite dagli ambienti portuali della Senna, portando alla scoperta che, in effetti, negli ultimi tempi erano arrivati da Le Havre alcuni marinai che attendevano  di reimbarcarsi. Gente per lo più rissosa, seppur votata alla fatica, di cui si sapeva ben poco e della quale molti avevano paura; forse proprio per tale motivo non era emerso altro sul misterioso equipaggio… fino al giorno prima.
 
“Buongiorno, monsieur Florian[8]!”
Colto di sorpresa nel sentirsi chiamare con il suo secondo nome, il Colonnello Girodelle si riscosse dalle sue fosche considerazioni e si voltò indietro, rivolgendo un’occhiata perplessa all’uomo basso e corpulento, vestito elegantemente, che lo aveva appena salutato con tanta confidenza. Non c’era ancora luce a sufficienza per vederlo bene in volto o definirne l’età, e una folta barba scura ne celava i lineamenti, ma quando quello distese le labbra sottili in un ghigno sghembo rivelando i grandi denti radi, il volto del gentiluomo si schiuse in un sorriso.
“Monsieur Richard, finalmente!” esclamò allora con tono cordiale, scendendo da cavallo “Avete buone notizie per me?”
“Buona come le dieci botti di Romanée[9]  che ho fatto scaricare poc’anzi” rispose l’uomo stringendogli con calore la mano “D’altronde, non sono il vostro miglior fornitore? Vedrete come saranno soddisfatti i vostri clienti altolocati, monsieur Florian…”aggiunse ammiccando.
Victor non poté fare a meno di sorridere ancora. Richard Dacourt era da anni al suo servizio come informatore e si era dimostrato in più di un’occasione abile e fidato; evidentemente doveva avere buone ragioni per ricorrere a quella pantomima e l’unica cosa che poteva fare era assecondarlo stando al suo gioco.
“Forse lo saranno un po’ meno le mie tasche, stamane, se la cifra resterà quella pattuita…” ironizzò pertanto con prontezza.
“Purtroppo non posso scendere di prezzo, monsieur, il vino è costato anche a me un occhio della testa…  non è stato affatto facile trattare con gli intermediari del principe Conti. Ad ogni modo, se non siete convinto dell’acquisto, potete sempre tirarvi indietro...”
“Non è mia intenzione mancare alla parola data, ma converrete che prima di sborsare una cifra così importante, sia lecito chiedermi se il vostro prezioso vino valga effettivamente tutto l’oro che mi avete chiesto…”
“Ne vale ogni singolo luigi, monsieur… “ replicò Dacourt con aria fintamente offesa “Se è solo questo il problema, sarò ben lieto di porre fine ai vostri dubbi offrendovene un calice”.
“Trovo che sia una soluzione ragionevole. Dov’è dunque questo nettare degli dei?” domandò con leggerezza il Colonnello.
“Se volete seguirmi… il magazzino dove sono state stipate momentaneamente le botti non è molto lontano da qui” rispose l’uomo con uno sguardo eloquente.
“Con vero piacere” annuì Victor.
Ciondolando sulle corte gambe fasciate di velluto, seguito dal suo padrone, Richard Dacourt s’incamminò  lungo il molo, facendosi largo tra i carri e i capannelli di mercanti. In prossimità di una piccola costruzione a un piano, presumibilmente usata come magazzino, svoltò quindi a destra, lasciando la banchina e addentrandosi in una via stretta e ancora avvolta dall’oscurità, delimitata da alcuni palazzi in muratura.
“Ottimo travestimento, Richard… addirittura la barba! Per un momento siete riuscito a ingannare persino me” si complimentò a quel punto Victor, affiancandolo. Per tutta risposta, però, l’uomo gli fece cenno con l’indice di tacere.
“Non siamo ancora lontani da orecchie indiscrete, monsieur… comunque complimenti anche a voi per avermi retto il gioco con disinvoltura nonostante il cambio di programma. Mi dispiace di non avervi potuto avvertire prima, ma…”
“Immagino che abbiate avuto validi motivi” tagliò corto Victor.
“In effetti sì, come avrò modo di spiegarvi… d’altronde, la prudenza non è mai troppa” chiosò serio Dacourt, fermandosi davanti a  una piccola porta di legno posta appena sotto il livello della strada. Senza aggiungere altro, scese i tre gradini che conducevano alla soglia ed estrasse una chiave che si affrettò a infilare nella toppa; dopo essersi guardato intorno, aprì infine la porta con uno strattone “Prego, Colonnello… entrate pure”.
Victor accolse l’invito accedendo per primo nella stanza. Era una cantina umida e buia, rischiarata appena dalla finestrella che si affacciava sulla via soprastante e dalla tremula luce di alcune candele; al centro, dietro a un tavolaccio di legno, sedeva un bel giovane di circa quindici o sedici anni, dal volto pallido e affilato, che si alzò immediatamente all’ingresso dei due uomini.
Victor non riuscì a trattenere un moto di stupore.
“Sarebbe questo il nostro uomo, Richard?”
“Sì colonnello” confermò  Dacourt, impegnato a sprangare l’uscio dopo averlo richiuso a chiave.
“Ma è soltanto un ragazzo!” esclamò contrariato il gentiluomo.
“Sarò anche un ragazzo, ma credo che troverete molto interessante ciò che ho da riferirvi, monsieur” ribatté con fierezza il giovinetto e i suoi grandi occhi scuri, neri come i lunghi capelli che gli ricadevano ribelli sulle spalle esili, si accesero di sdegno.
“Davvero?” domandò il Visconte, squadrandolo senza molta convinzione.
“Vi assicuro che è così, colonnello” intervenne Dacourt “Quando ieri vi ho mandato quel biglietto  per fissare il nostro incontro di stamane, nel timore che cadesse in mani sbagliate non ho potuto spiegarvi molto… ma vi garantisco che una volta ascoltato il racconto di Marcel sarete della stessa opinione”.
“Sono curioso allora di udire questo racconto. Orsù, tornate a sedere e parlate, ragazzo, vi ascolto” ribatté Victor, trascinando uno sgabello sgangherato dall’altra parte del tavolo e sedendosi davanti al giovane “Vi chiamate dunque Marcel?” domandò scrutandolo attentamente
“Il mio nome è Marcel Philippe La Ville e sono il figlio del capitano Dominique Marie La Ville, comandante della Fortune” rispose con orgoglio il ragazzo, restando in piedi nonostante l’invito a sedersi.
La Fortune?” ripeté Victor tamburellando impaziente le dita sul tavolo.
“Una nave mercantile che faceva la spola tra Saint Domingue e Bordeaux, colonnello” gli spiegò Richard  “Non so se ne avete mai sentito parlare… durante la guerra d’Indipendenza americana è stata anche impiegata per portare rifornimenti ai nostri soldati”.
“No, mai udito questo nome. Passiamo oltre… C’entra qualcosa con i nostri uomini?”
“Oh sì, e più di quanto possiate immaginare, signore!” esclamò con enfasi Marcel “Gli uomini che, a  detta di Monsieur Richard, vi interessano tanto, due anni orsono assaltarono la nave di mio padre per depredarla!”
Lo sguardo di Victor si fece sottile.
“Si tratta di un’accusa molto grave, Marcel…  siete certo che…” obiettò scettico.
“Come è certa la morte, signore! Io ero lì… e non potrò mai dimenticare i loro volti né quello del maledetto bastardo che li guidava!” asserì il ragazzo, stringendo i pugni con rabbia.
 “Dunque avete visto il loro capo in faccia?” chiese attento il gentiluomo.
“Non solo l’ho visto… ho udito anche il suo nome”.
Sempre più interessato, poggiando le mani sul tavolo Victor si protese verso il giovane.
“Ebbene?”
“È un nome che non dimenticherò mai… sono state le ultime parole che mio padre ha pronunciato prima di essere ucciso” sibilò Marcel, il volto trasfigurato in una maschera d’odio.
Victor impietrì. Possibile che…
“Come si chiamava quell’uomo, Marcel? Qual è il nome dell’assassino di vostro padre?” lo incalzò inquieto.
Grammont, signore. Quel bastardo si chiamava Grammont”.  
Grammont? Il Conte Jean de Grammont?!” ripeté esterrefatto, alzandosi di scatto in piedi e facendo cadere il suo sgabello a terra “Ne siete sicuro?”
“Come del fatto che mi chiamo Marcel, signore. Mio padre doveva conoscerlo ed è rimasto di stucco quando lo ha visto saltare sulla tolda con la spada in mano. Io ero poco lontano da loro e ho sentito bene le sue parole… Che diamine state facendo, conte de Grammont, gli ha urlato abbassando la lama, come se non volesse incrociarla con la sua… ma quel vigliacco… non ha esitato un solo istante… e lo ha trafitto al petto senza pietà” gli raccontò Marcel, asciugandosi gli occhi improvvisamente  umidi di pianto “Poi si è chinato su di lui e prima di finirlo gli ha detto qualcosa…  purtroppo non sono riuscito a sentirli”.
“Sapreste descrivermi questo Grammont?” domandò, ancora incredulo, il Visconte.
Lo sguardo del giovane si fece di ghiaccio.
 “Alto, capelli lunghi e biondi, occhi chiari” rammentò lucidamente “Il suo volto si direbbe quello di un angelo… ma un angelo dal cuore nero”.
“Dio mio, è lui… senza ombra di dubbio…” mormorò sconvolto Girodelle, passandosi una mano fra i capelli. “Dunque Jean de Grammont sarebbe… un pirata?”
“Sì, pirata è il termine giusto, monsieur” confermò Marcel “La nave che ci ha assaltato batteva bandiera francese, ma poi, quando ha iniziato ad avvicinarsi, un attimo prima che puntassero i cannoni contro di noi, il vessillo di re Luigi è stato ammainato e al suo posto è stata issata una bandiera nera con un grande squalo bianco al centro”.
Era lo stesso simbolo tatuato sull’uomo di Jean, pensò rapidamente Victor… i nodi stavano finalmente  venendo al pettine.
“A Saint-Domingue si dice che quello squalo sia il simbolo de Le Requin, forse il più feroce e sanguinario degli ultimi filibustieri” continuava nel frattempo Marcel “Chiunque si sia imbattuto in lui o nella sua ciurma, non ha mai potuto raccontarlo: quei pochi che hanno descritto la sua imbarcazione e le sue insegne, sono sempre fuggiti prima dello scontro, nessuno che lo abbia visto in faccia è mai sopravvissuto. Nessuno… tranne me”.
“E come è accaduto che voi siete sopravvissuto?”  chiese a bruciapelo il gentiluomo.
Un intenso rossore imporporò le guance del giovane Marcel.
 “Be’, quando ho visto mio padre morire… io… io ho avuto paura di finire come lui. Ho provato ad allontanarmi senza farmi vedere ma... indietreggiando sono inciampato in una cima e in quel momento Grammont si è accorto di me. Deve avermi considerato troppo innocuo per perdere tempo ad uccidermi e così ha gridato a uno dei suoi tirapiedi di prendermi… ma io sono riuscito a scappare e a nascondermi nella stiva. Sono riuscito a gettarmi in mare da un boccaporto poco prima che  la nave affondasse… ero in mare da due giorni,quando un mercantile olandese diretto a Port-au- Prince mi ha recuperato aggrappato ad una tavola di legno”.
“Sei stato fortunato, ragazzo…”
“Già... Il resto dell'equipaggio, i pochi che ancora erano sopravvissuti allo scontro con i pirati, vennero radunati sul ponte e uccisi uno per volta, prima che quelle canaglie se ne andassero con il bottino. Io li ho sentiti, signore… ho udito le loro grida, le implorazioni di pietà… poi il silenzio. E io… io non ho fatto niente per impedirlo!” proruppe il ragazzo, soffocando a stento un singulto.
Victor gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
“Non dovete farvene una colpa, Marcel, sarebbe stato impossibile per chiunque fronteggiare da solo una ciurma di pirati, e voi eravate poco più di un bambino…” osservò addolcendo la voce.  
“Avevo tredici anni, non ero più un bambino… e sarei dovuto morire anch’io con loro!”ribatté Marcel scuotendo con forza la testa.
“Vostro padre non lo avrebbe mai voluto”.
“Mio padre avrebbe voluto vedermi combattere con onore per vendicare la sua morte! E per Dio, giuro che è quello che farò!”
“Certo! Se prima non ti farai ammazzare, ragazzino!” s’intromise  Dacourt  con tono severo “Ti ricordo che se non fosse stato per me, ieri avresti fatto una brutta fine!”
“Di che cosa state parlando, Dacourt?” domandò perplesso il Visconte.
“Stavo seguendo uno di quei nostri amici, ma non ero il solo a farlo… vedete Colonnello, c’era anche questo soldo di cacio. Peccato però che si sia fatto scoprire e che quell’uomo lo abbia pure riconosciuto” rispose Dacourt “C’è mancato poco che non gli tagliasse la gola…”
“Sì, era lo stesso uomo che mi aveva inseguito sulla nave…”
“Posso immaginare i motivi che vi avevano messo sulle tracce dell'assassino di vostro padre e dei suoi uomini, quello che non riesco a capire è perché abbiate deciso di cercare vendetta da solo e non denunciare la vera identità de Le Requin, lasciando che ci pensassero le autorità ad arrestare l'inconsapevole Grammont al momento opportuno” obiettò Victor.
"Grammont era un membro onorato della nobiltà con amicizie influenti, e se nessuno avesse creduto al mio racconto avrebbe  facilmente potuto finire ciò che aveva iniziato. Due anni  fa ero uno sciocco ragazzino impaurito e vivevo nel terrore che qualcuno della sua ciurma mi riconoscesse, fu per questo che decisi di tornare in Francia con la prima nave disponibile… ma  quel ragazzino non esiste più, oramai sono un uomo e già da qualche mese meditavo di tornare a Saint-Domingue per farmi giustizia da solo… Potete dunque  immaginare la mia faccia quando ho visto quell’avanzo di galera sul molo di Bercy!”
“Un uomo... “ sorrise Victor “Un uomo che stava per farsi ammazzare...”
“È stata solo sfortuna...” ribatté Marcel piccato
“Sì, certo... Ma ditemi, che ne è stato di quel tizio?” domandò Victor rivolgendosi  a Richard “Non l'avrete mica ucciso?” 
“State tranquillo, colonnello,  l’ho solo... spedito al Creatore! ” rispose quell'ultimo con un sorriso sghembo
“Ottimo. Il fatto che avesse riconosciuto Marcel sarebbe stato un problema, la cosa sarebbe certamente giunta a Grammont, che di conseguenza avrebbe alzato la guardia, oltre a fare di tutto per trovare il ragazzo che, a quanto pare, è l'unico ad essere riuscito a  sfuggire alla sua follia omicida”.
“A dire il vero sono l'unico ad averlo visto in faccia, ma non l'unico ad essergli sfuggito” replicò Marcel “Quest’onore lo divido con  la nipote del governatore…”
Il cuore di Victor mancò un battito.
“Avete detto la nipote del governatore?”
“Sì, Aurore de Bellecombe. Era in viaggio con noi per raggiungere suo zio, mio padre fece calare una scialuppa in mare per metterla al sicuro quando capì con chi avevamo a che fare, poco prima che ci arrembassero... Non so cosa sia stato di lei a dire il vero, ma spero che si sia salvata, era una ragazza simpatica oltre che molto bella... Ma perché vi interessa tanto?” domandò confuso il ragazzo.
Victor non rispose, mentre la sua mente tornava al racconto dell'eroico salvataggio di Aurore ad opera di Jean de Grammont, ascoltato mesi prima dal Generale Jarjayes durante la festa per Sainte Catherine. Quell'uomo era un autentico  maestro degli inganni. Uno spregiudicato millantatore  capace di trasformare un misfatto in un atto di valore, a questo punto era lecito domandarsi se davvero fosse figlio del Generale, sebbene la cosa cambiasse poco, dal momento che al di là dei suoi natali era un criminale e un assassino. Ancora una volta sentì una rabbia sorda crescergli nel petto.
“Dannazione, lo sapevo che c’era qualcosa di strano in quella storia!” ruggì, sbattendo il pugno sul tavolo “Erano tutte fandonie, maledetto! L’ha ingannata, ha ingannato tutti noi!”
“Colonnello, vi prego… calmatevi… potrebbero udirci da fuori” intervenne Dacourt, allarmato per quella reazione così scomposta.
“Sì, avete ragione… perdonatemi” ammise Victor, cercando di recuperare la calma e allentando i lacci del mantello che mai, come in quel momento, gli sembrava che stringessero la gola. Doveva rimanere lucido, si disse… per quanto sconvolgente, quella era la verità che cercava e che avrebbe liberato Aurore.
“Marcel… sareste disposto a ripetere il vostro racconto davanti a Bellecombe o a un magistrato?”
“Senza dubbio, monsieur… ma sarebbe sempre la parola di un mozzo contro quella di un gentiluomo, in assenza di prove…”
Lo sguardo del Colonnello si assottigliò.
“Oh, io penso invece che Bellecombe vi crederà, Marcel… datemi solo il tempo di ragionare sul da farsi e vi prometto che  avrete la vostra vendetta…”
 
 
 
  
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] In quelli che erano i limiti della città, questo odierno quartiere del XII arrondissement era il più importante porto fluviale parigino per quanto riguardava il commercio del vino; era qui infatti che arrivavano e venivano stoccate le botti provenienti per lo più dalla Borgogna (fonte wikipedia e altri siti web).

[2] L'illuminazione urbana a Parigi nasce nel tardo 600 con lanterne delle quali in ogni strada la polizia fissava posizione e misure. Per tutto il XVII e XVIII secolo l’illuminazione stradale mantenne lo scopo principale di garantire l’ordine pubblico, e per questo, se da un lato il monopolio statale della luce veniva apprezzato perché prometteva sicurezza, dall’altro, in quanto istituzione di polizia attirava su di sé tutte le antipatie che tradizionalmente erano rivolte a quest’ultima. Non stupisce, quindi, che le lanterne delle strade di Parigi abbiano sin dall’inizio istigato all’aggressività gli ubriaconi e i nottambuli che le prendevano di mira con i loro bastoni e, più tardi, tagliavano le corde che le sorreggevano. Veniva così spento, simbolicamente, il potere che le lanterne rappresentavano: l’oscurità che subentrava era un frammento di disordine e di libertà. Ogni gesto distruttivo era un atto di ribellione contro l’ordine pubblico e, come tale, veniva punito. A Parigi veniva considerato un crimine, mentre a Londra, dove le lanterne non erano simboli di potere assoluto, ci si limitava a pene pecuniarie  (“Origine dell’illuminazione pubblica in alcune città europee” di Gian Luca Lapini).

[3] Riferimento alla puntata n. 7 dell’anime, “Una notte a Parigi”, quando Victor scopre il piano della favorita per screditare Maria Antonietta tramite una falsa lettera indirizzata al conte di Fersen.
 
[4] Oggi Quai de la Méssiggerie, è la via che correva lungo la Senna, chiamata all’epoca Quai de la Ferrille o Quai de la Ferronerie  a causa dei mercanti che spargevano i rottami lungo i muri di sostegno (fonte Wikipedia francese).
 
[5]Ragionamento che facciamo fare a Victor sulla base di ciò che abbiamo letto sull’argomento, in riferimento ovviamente al XVIII secolo.

[6] Amico di vecchia data del Generale ed ex governatore di Saint Domingue, che abbiamo incontrato nel cap 10, “Sainte- Catherine”.
 
[7] Nota necessaria visto che sono passati due mesi dal precedente capitolo: secondo il piano di Jean, lui e i suoi “compari” avrebbero accompagnato Oscar e André fino a Orléans, che non era propriamente dietro l’angolo!
 
[8] Questo è il nome inspiegabilmente usato dalla Ikeda nel Gaiden dedicato a Girodelle, forse per distaccarsi ulteriormente dall’odiato anime!
 
[9] Pregiato vino di Borgogna, proveniente dall’omonima vigna allora appartenente ai principi Conti dopo una lunga diatriba con Madame de Pompadour.

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Capitolo 22
*** Scarti d'amore ***


Scarti d’amore
 
Il sole aveva da poco iniziato a calare quando lasciandosi alle spalle l'imponente profilo delle torri di Notre Dame, un'elegante carrozza imboccò Pont Marie, e fiancheggiando la Senna si diresse verso Place Royale. Al suo interno, nascosto dal profilo delle tende scarlatte che bordavano i finestrini,  Jean de Grammont guardava le strade impregnarsi della luce calda del tramonto che come una nuvola d'oro, calava sulla città abbracciando  con uguale amore miseria e bellezza. Tuttavia, preso dai suoi pensieri, egli non vedeva tutto quello splendore: non notava quanto straordinario fosse il gioco dei raggi del sole morente che, tuffandosi nella Senna, facevano vibrare di luce dorata le sue acque frementi e finanche le pozzanghere fangose delle vie. 
Jean era cupo, come la notte che di lì a poco sarebbe calata su Parigi, e spento l'oro in torbido viola, avrebbe ingoiato tutto nel suo manto oscuro.
Se qualcuno lo avesse visto in quel momento, certamente si sarebbe meravigliato nello scoprire fino a che punto la semplice contrazione di un muscolo della mascella potesse alterare i tratti di un volto tanto bello e rivelare con così incredibile chiarezza il demone nascosto dietro una maschera d'angelo. 
Jean de Grammont sentiva la collera scorrergli nelle vene come un veleno. Incapace di trattenere oltre lo sdegno che lo divorava, lasciò andare un sibilo da serpente mentre la sua mano destra, abbandonando il  soffice  velluto della seduta su cui fino a quel momento era stata adagiata, si mosse alla ricerca dell'elsa della spada e la strinse tanto da far divenire bianche le nocche. In quel momento il più fausto dei suoi pensieri contemplava la morte, non la propria, ovviamente...
Lentamente scosse il capo mentre per l'ennesima volta da quando aveva lasciato Palazzo Jarjayes si domandava come... Come aveva potuto lasciare che quello che doveva essere burattino diventasse burattinaio.
Come era potuto accadere che si fosse fatto stordire dai proclami di pentimento del Generale e da quelle patetiche storie sulla possibilità di scelta che non aveva avuto, sul rimpianto, sulla volontà di rimettere ogni cosa al proprio giusto posto. 
Credeva di essersi liberato da tempo dal bisogno di consenso così come dalle catene di scrupoli e legami che condizionavano la vita degli uomini. E invece, a quanto pareva, si sbagliava. A quanto pareva, avere l'approvazione di quel vecchio bastardo che lo aveva messo al mondo lo aveva rimbecillito al punto da fargli perdere se stesso e fargli dimenticare quello che da tempo si era prefisso: assaporare il delizioso piacere della vendetta, e tutto ciò solo perché quell'uomo era suo padre.
Padre... era sempre stata una parola che aveva sillabato con disprezzo, anche solo nel pensiero, una parola che gli suscitava odio fin nelle ossa. Il primo uomo che aveva chiamato a quel modo era stato colui che l'aveva cresciuto a suon di umiliazioni e botte, un vigliacco che lo prendeva a calci per poi ridere delle sue lacrime di bambino. L'ultima volta che aveva pianto era stata anche l'ultima in cui quell'uomo avesse riso.  Era ubriaco fracido Charles de Grammont, quella  sera ormai lontana, quando preso dalla foga, mentre per chissà quale inezia lo colpiva selvaggiamente,  era inciampato in  un tappeto e perdendo l'equilibrio era caduto  urtando violentemente la testa contro lo spigolo di pietra alla base del camino. Ricordava perfettamente di averlo guardato strabuzzare gli occhi mentre una macchia di sangue, si era andata allargando lentamente sul pavimento all'altezza della nuca, ed egli, con un lamento incoerente aveva allungato, in cerca del suo aiuto, la stessa mano che poco prima aveva stretto la cinghia con cui l'aveva colpito. Ancora stordito dalle percosse, Jean lo aveva fissato, poi, senza dire una parola gli aveva voltato le spalle e presa una sedia l'aveva avvicinata. Si era asciugato le lacrime, si era seduto davanti a lui e avvertendo ad ogni suo rantolo un crescente senso di sollievo, senza rendersi ben conto di quel che faceva, era rimasto a guardarlo morire. Aveva poco meno di dodici anni. Qualche mese dopo quella sera, questa volta in piena consapevolezza, si era preso la sua prima vita piantando con tutta la rabbia che aveva in corpo, un coltello nello stomaco di un tizio che si era permesso di chiamarlo moccioso, meravigliandosi nel farlo, di quanto fosse facile, di quanta soddisfazione gli desse e di come fosse stato sciocco a non farlo con suo padre, invece che lasciare al caso la sua morte.
Quello era stato il giorno in cui aveva chiuso con ogni residua traccia di innocenza e non aveva più permesso a nessuno di prendersi gioco di lui. Da allora, anche quando le necessità lo avevano costretto ad abbassare la testa, o ad agire in un modo che non era frutto della sua più autentica volontà, lo aveva fatto sempre e solo per un suo scopo, ma mai, mai per debolezza né tanto meno per uno stupido bisogno di approvazione.
Eppure quando aveva incontrato l'uomo che gli aveva dato la vita, era accaduto qualcosa di imprevedibile, poiché colui che si era trovato innanzi era distante mille miglia dall'idea che si era fatto.
Il generale Jarjayes non era l'arrogante e vacuo, presuntuoso che si era immaginato, né tanto meno uno stupido che sarebbe stato facile abbindolare con qualche chiacchiera, un paio di lettere false e poche energie. Il Generale era un galantuomo... un uomo d'onore, dall'animo nobile e la mente fredda e acuta. Sempre attento e misurato, di maniere squisite ma mai affettate, vestiva con la stessa severa eleganza con cui viveva e parlava. Era stimato, rispettato e proprio il suo rigore e la sua integrità gli avevano consentito di fare ciò che nessun altro avrebbe potuto senza perdere la propria credibilità.
Il generale Jarjayes era agli antipodi di colui che lo aveva cresciuto e quanto più il suo patrigno gli era apparso bieco e spregevole tanto più il suo vero padre gli sembrava degno di stima, un uomo che ogni figlio sarebbe stato fiero di poter chiamare padre.
Così il desiderio di piacere al Generale aveva lentamente iniziato a farsi strada nell'animo di Jean soppiantando quello di vendetta.
E quando un giorno Augustin gli aveva detto di essere fiero di averlo come figlio riconoscendogli quel valore che egli aveva sempre pensato gli spettasse, aveva messo definitivamente da parte il suo proposito, spostando unicamente su Marguerite de Jarjayes ogni colpa e nemesi.
Mai, fino a quella sera aveva pensato che le parole del Generale potessero non essere state autentiche.
Conosceva abbastanza l'animo umano da saper cogliere una lusinga quando la sentiva e nulla nelle parole di suo padre, nei suoi modi, nel tono e nella fermezza della sua voce,  aveva mai saputo  di finzione. Quando gli aveva detto che gli avrebbe restituito tutto quanto gli appartenesse per diritto di nascita, Augustin lo aveva fissato dritto negli occhi e scandito senza esitazione alcuna, ogni singola parola. Il non aver messo tempo tra parole e fatti nella ricerca della strada da seguire era stata, poi, un'ulteriore prova.
 Solo quella sera si era reso conto di quanto si fosse sbagliato, di quanto fosse stato stupido a fidarsi...
Era furente, non sopportava l'idea di essere stato abbindolato, eppure quella era la realtà.
Si era lasciato affascinare al punto di dimenticare che quello stesso uomo che appariva ora così integro e retto, che gli parlava della sua volontà di rimettere le cose a posto e dell'importanza del loro legame di sangue, era lo stesso uomo che per insoddisfazione se non per puro divertimento, aveva sedotto una ragazzina affidata alla sua casa e alla sua tutela  per poi disinteressarsene, rimettendo  il suo destino alle trame della legittima consorte e quindi alle mani di un bruto; ma soprattutto era lo stesso uomo che  era stato capace di stravolgere  le regole basilari della società al punto da riuscire ad imporre la propria volontà sulle più forti  convenzioni sociali. Un uomo del genere, aveva di ammirevole unicamente la capacità di ottenere ciò che voleva e per questo andava osservato con attenzione e sospetto, e non certo con fiducia.
Che stolto era stato a bersi i suoi proclami di innocenza e pentimento e a credere al valore, che il Generale attribuiva al tanto decantato sangue dei Jarjayes!
Con un gesto nervoso tamburellò con la punta del piede il fondo della carrozza, poi un pensiero gli attraversò la mente strappandogli un sorriso amaro: era il cuore e non il sangue a rendere padri e figli e a quanto pareva nessuno era o sarebbe mai stato nel cuore di Augustin de Jarjayes quanto la sua ultimogenita...
La mia Oscar... Mia figlia!
Con quanto orgoglio aveva pronunciato quelle parole. Con quanto sentimento, quanta preoccupazione e quanto dannatissimo amore!
Quelle poche parole, dette sovrappensiero in risposta al suo consiglio di lasciarla alla vita che si era scelta, erano state una rivelazione.
Mentre le pronunciava il suo viso si era oscurato, e non per rabbia ma per dolore.
Era evidente che il generale Jarjayes non poteva lasciarla andare così sua figlia, cancellarla dalla sua vita, dimenticarsi di lei senza sapere cosa ne sarebbe stato; non avrebbe mai permesso che sparisse nel nulla, ingoiata da un futuro incerto, né si sarebbe dato pace finché non l'avesse ritrovata e portata a casa… e tutto questo  perché, in definitiva, non c'era figlio maschio, erede di diritto, o qualsiasi altra cosa che potesse soppiantargli nel cuore la sua Oscar..  Sua figlia...
In pratica, metabolizzata la rabbia per l'inganno subito e fatto i conti con la volontà e il carattere di sua figlia,  tanto simile al proprio perché  potesse rinunciare a ciò a cui teneva,  Augustin aveva evidentemente stabilito che non poteva, né in fondo gli importava davvero costringerla all'obbedienza.
A quanto pareva, l'unica cosa che gli interessava, era sapere che stesse bene, offrirle il suo perdono e con esso la possibilità di trovare una soluzione che le consentisse di vivere la sua vita con colui che aveva scelto, senza per questo doversi nascondere come una reietta chissà dove. Era sua figlia... La sua Oscar, il suo orgoglio, e non voleva che lei, né i suoi figli, qualora ne avesse avuti, si potessero perdere nelle maglie di una vita anonima, a prescindere dal nome che avrebbero portato.
Ebbene, in virtù di tutto questo sua sorella doveva morire! Lasciarla in vita era stato un errore, anche se oramai era lontana, finché avesse respirato Oscar sarebbe stata un pericolo, un possibile ostacolo, alla concreta realizzazione del proprio interesse. Il tempo della magnanimità che l'aveva infettato come un morbo era finito.  Da quel momento sarebbe tornato al suo progetto originale e semmai il destino gliene avesse fornito l’occasione si sarebbe liberato di lei come presto avrebbe fatto con Madame Jarjayes, e avrebbe annientato suo padre brindando alla loro disfatta in quella stessa casa che era stata il teatro della rovina di sua madre e di cui egli sarebbe diventato unico padrone.
Padre... Non significava nulla
Padre... era sempre stata una parola che aveva sillabato con disprezzo, anche solo nel pensiero, una parola che gli suscitava odio fin nelle ossa, e nulla era cambiato...
 
Seduta innanzi allo specchio e alle sue bugie, Aurore fissava il viso della giovane dama che si lasciava intrecciare file di perle, nastri di seta e fiori tra le morbide onde dei cappelli artisticamente sollevati sulla fronte, e i perfetti riccioli raccolti sulla nuca. Il lavoro del parrucchiere era complesso e durava ormai da un paio d'ore, e la giovane, poco abituata alle lungaggini della moda parigina, cominciava ad essere insofferente. Tuttavia, per quanto volentieri avrebbe congedato l'artista e disfatto quella creazione che le solleticava fastidiosamente la testa, non osava muovere un muscolo dal momento che era stato Jean ad averglielo mandato, riuscendo chissà come, ad ottenere che ad acconciarla per quell'esclusiva serata, fosse nientemeno che Villenoue detto il 'bel Julien', ovvero il cugino del divino Leonard[1].
Fu per questo che, quando finalmente  indietreggiando di un passo, dopo aver osservato attentamente, e da ogni angolazione, la sua opera, il rinomato coiffeur si dichiarò soddisfatto, Aurore tirò un sospiro un po' troppo profondo.
"Forse non vi piace Madame?" domando l'artista turbato.
Un leggerissimo rossore pervase le guance di Aurore "Oh no... no! Che dite mai! È bellissima" esclamò pronta con il tono più convincente di cui era capace, mentre osservandosi allo specchio voltava il capo, da un lato e poi dall'altro, per meglio ammirare il trionfo di riccioli e onde che le incorniciava il viso, così che, il bel Julien, non avesse dubbi sulla sua effettiva soddisfazione e si convincesse definitivamente che non potevano esserci ulteriori margini di miglioramento alla sua opera.
"Sì, in effetti lo penso anch'io" convenne compiaciuto il parrucchiere "La foggia dell'acconciatura esalta la vostra bellezza e le perle sparse tra i fiori richiamano il candore della vostra pelle come la seta opalescente dell'abito che indosserete" disse volgendo lo sguardo  alla sontuosa veste adagiata sul letto  che attendeva d'essere indossata "Bene, dunque  se vostra grazia è soddisfatta posso dire di aver  finito e lasciarvi  alle cure della vostra domestica".
Aurore sorrise e complimentandosi un'ultima volta per la perfetta interpretazione dei propri desideri congedò il bel Julien, che profondendosi  in un elegante inchino,  uscì seguito dal suo assistente, che frattanto  aveva raccolto tutti gli attrezzi del mestiere. Tuttavia prima di giungere alla porta, si fermò innanzi alla cameriera della contessa, in attesa di poter vestire la sua signora "Mi raccomando ragazza" la ammonì con voce severa e uno sguardo di superiorità "fate attenzione! "
Quando fu finalmente fuori, Aurore sospirò pesantemente e lasciandosi cadere in una poltrona si portò una mano alla tempia destra e chiese alla cameriera un grattoirs[2]. La ragazza annuì e con  un sorriso comprensivo  si avvicinò alla toilette dove  estrasse da un cassettino, un astuccio d'argento contenente alcuni bastoncini di avorio cesellato.
"Dobbiamo affrettarci Madame" disse porgendogliene uno che terminava con una piccola foglia dorata "si è fatto tardi, tra poco il Signor Conte sarà di ritorno e voi dovete ancora vestirvi,lo sapete che lo irrita attendere troppo..."
Aurore gettò uno sguardo all'orologio dorato a forma di lira sulla mensola del camino. "Si, hai ragione Camille, facciamo in fretta" disse e sollevandosi slacciò la veste da camera che le scivolò ai piedi lasciandola in corsetto, camiciola e calze di seta[3].
Aveva appena finito di indossare il sottogonna di lino sul piccolo panier fissato ai fianchi quando, annunciato da due rapidi colpi alla porta, Jean fece il suo ingresso nella stanza.
"Aurore! Ancora non siete vestita! Il concerto inizia alle..." esclamò allargando le braccia, visibilmente contrariato.
"Mi dispiace Jean, ma il coiffeur ci ha messo tantissimo..." si affrettò a giustificarsi lei, facendo cenno alla domestica di continuare.
“Capisco. I capricci della moda necessitano del proprio tempo" osservò Jean, accomodandosi in una poltrona e accavallando le gambe con un sospiro "ma aggiungono un indiscutibile allure a ciò di cui  la natura vi ha tanto generosamente fatto dono" disse quindi con una punta di compiacimento che gli distese il viso, ancora incupito dopo l’incontro con il Generale.
Aurore sentì il cuore balzarle nel petto ed abbassò lo sguardo sulle mani abili della cameriera, che aveva iniziato a fissare sul davanti del bustino una pettorina ornata da un trionfo di nastri e ruche di pizzo. Pensò con amarezza che quel  turbamento che ancora provava quando suo marito le rivolgeva un complimento, non era più la semplice e pura  emozione che sentiva i primi tempi del suo matrimonio, quando un solo sguardo del suo affascinante  sposo la mandava in confusione, ora quel sentimento  era inquinato da una  implacabile e neanche tanto sottile vena di paura, ora che le sue illusioni erano cadute, ora che il sogno sempre più sembrava perdersi nelle ombre dell'incubo.
 "Avete avuto modo di parlare col Generale di quella questione che vi stava a cuore?" domandò, per dissimulare i suoi pensieri, avendo imparato quanto Jean fosse abile a leggerle il viso.
 "Da quando vi interessate alle mie  questioni…" ribatté il marito corrucciando la fronte.
"Oh..." sillabò confusa Aurore mentre la cameriera incrociava il suo sguardo dilatando impercettibilmente gli occhi per raccomandarle attenzione. "Io... Io l'ho domandato solo... solo perché mi siete parso pensieroso ed ho pensato che magari... Insomma... è dovere di una moglie interessarsi agli affanni del proprio marito, e alleviarli se possibile con ..."
"Dunque me lo avete chiesto solo per dovere? Non per sincero interesse..." domandò Jean con un mezzo sorriso sulle labbra.
Un brivido gelido corse lungo la schiena di Aurore. "No certo che no..." disse sparendo per un attimo nella gonna di seta damascata che la cameriera la stava aiutando ad infilare dalla testa, per poi ritrovarsi faccia a faccia con il marito che alzatosi dalla poltrona l'aveva raggiunta ed ora la fissava sorridendo apertamente.
"Andate" ordinò Jean alla cameriera quando ebbe finito di fissare i nastri che chiudevano la gonna "finirò io di aiutare madame"
"Ma... Jean..." azzardò Aurore guardando la ragazza, che le rivolse uno sguardo rammaricato prima di inchinarsi ed uscire senza osare un soffio.
"Dubitate che ne sia capace mia cara?" rispose ironico l'uomo prendendo la veste poggiata sul letto, mentre la domestica si chiudeva la porta alle spalle "Aiutare una donna ad indossare un abito non è poi tanto diverso che aiutarla a liberarsene, i passaggi salienti son gli stessi, sapete" disse ponendosi alle  spalle della moglie  per aiutarla ad infilare le strette maniche dell'abito e posando al contempo un bacio sulla pelle candida tra una spalla e il collo .
Aurore a quel contatto deglutì e svincolandosi dalla presa del marito avanzò di un passo.
"Vi prego Jean” disse con leggero affanno, portandosi una mano al petto, “non è il momento, arriveremo tardi e sarebbe un peccato non sentire l'aria di apertura, il colonnello Girodelle mi ha spiegato che è una delle più belle" aggiunse cercando di darsi un contegno, prendendo da uno scatolino delle piccole spille con cui iniziò ad appuntare il davanti dell'abito al corsetto.
"E quando di grazia avreste incontrato il colonnello Girodelle?" domandò Jean, inarcando un sopracciglio.
Aurore impallidì.
"Sarà stato una settimana fa, forse dieci giorni..." rispose confusa rendendosi conto di essersi appena cacciata in un vespaio "L'ho incontrato casualmente una mattina in cui ero andata a passeggiare al Parc Monceau. Allora neanche sapevo che saremmo stati invitati al concerto della Loge Olimpique, l'argomento venne fuori casualmente, parlando di musica..."
"Di musica! che cosa piacevole!" esclamò il marito con un’amabilità così sfacciatamente fasulla che Aurore si sentì divorare dalla più  tetra angoscia "E di cos'altro avete parlato?" domandò quindi con un interesse che sapeva di condanna.
"Non ricordo esattamente..." rispose incerta Aurore con un filo di voce "di... di disegno! Sì! Di disegno. Io stavo dipingendo un acquerello quando l'ho incontrato e lui si è complimentato..."
"Ma certo, lo immagino! Del resto il colonnello Girodelle è notoriamente un gentiluomo galante" osservò Jean calcando il tono sull'ultima parola  "Dunque, musica, disegno, e... null'altro?" domandò rendendo palese il suo fastidio.
"No..." rispose Aurore mentre un tremito iniziava a percorrerle le membra  al pensiero  della premura  con cui  il gentiluomo  le avesse chiesto come stesse e come andassero le cose, dopo le tristi circostanze del loro ultimo incontro sul ponte Neuf.
"Siete certa?" la incalzò Jean.
La giovane, ormai in panico, non rispose ed egli allora la fissò con uno sguardo così penetrante che Aurore pensò che in qualche modo lui avesse capito che il nocciolo dell'interesse del colonnello Girodelle fosse stato tutt'altro che musica e disegno. Sentendosi in trappola svelò dunque un altro dettaglio di quanto si erano detti, un dettaglio che, pensò, potesse dimostrasse che la loro conversazione pur avendo toccato anche un piano più personale, era rimasta comunque nel limite richiesto da una conversazione di circostanza.
"Ovviamente gli ho chiesto nuove sulla salute di Madamigella Oscar, e abbiamo accennato al conseguente annullamento delle loro nozze... "
"Immagino fosse molto dispiaciuto..."
Aurore annaspò "Sì, certo..."
"E vi ha fatto tenerezza? "
La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì ad emettere alcun suono, la mano di Jean la precedé abbattendosi con violenza sul suo volto. Cadde a terra portandosi una mano alla guancia infuocata, fissando suo marito con gli occhi sbarrati pieni di paura.
"Immagino lo abbiate consolato" ringhiò Jean stravolto di rabbia "siete così sensibile agli animi in pena..."
"Cosa dite... Jean... Io non... "
"Alzatevi!" le ordinò incombendo minaccioso sopra di lei.
 Tremante, col volto che le pulsava per il dolore dello schiaffo, Aurore indietreggiò sul pavimento.
 "Vi prego Jean..." lo implorò.
 "Vi ho detto di alzarvi!"
Aurore obbedì, un singhiozzo le sfuggì dalle labbra mentre aggrappandosi ad una  sedia si tirò su cercando disperatamente di trattenere le lacrime che sapeva avrebbero ulteriormente irritato suo marito.
"Piangete ora ?!"
"Jean, per l'amor del cielo..."
"Perché non me ne avete parlato prima! " tuonò
"Io... io..."
"Non provate a giustificarvi... Ve lo dico io piccola civetta: il suo interesse vi lusinga!"
"No, non è vero, io... Amo solo voi Jean, voi siete tutto per me è solo il vostro interesse che cerco, solo a voi ambisco piacere!”
"Ne siete certa?"
"Oh sì Jean, sì..."
Per un momento Jean sentì la rabbia spegnersi, Aurore sembrava sincera, le parole accorate, lo sguardo limpido, esattamente come quelle del Generale…
Improvvisa una rabbia incontenibile gli esplose nel petto ed esondò rovinosamente assieme alla frustrazione che aveva dovuto reprimere quel pomeriggio, all'odio che sentiva divorarlo.
"Credete di potervi prendere gioco di me?" gridò schiaffeggiandola nuovamente. Aurore incespicò all'indietro ma lui la afferrò per una spalla "Credete davvero di poterlo fare?!" e la colpì ancora.
Aurore sentiva la testa girarle e il viso pungerle di dolore.
"Jean... Vi... vi prego, non fatemi male..." lo supplicò guardandolo con occhi pieni di lacrime e paura mentre un rivolo di sangue iniziava a scenderle dal naso, ma lui le rivolse uno sguardo di disprezzo e senza dar conto a lacrime e preghiere la colpì allo stomaco con un pugno.
Aurore sentì le gambe piegarsi e un senso di nausea avvolgerla, mentre la mano di Jean che fino a quel momento le aveva stretto la spalla come una tenaglia, allentava la presa, lasciandola scivolare sulle ginocchia. Allora le afferrò i capelli e facendola piegare la testa all'indietro si chinò su di lei.
"Voi siete mia!" le sibilò all'orecchio "Ricordatelo sempre."
Quando la lasciò andare con uno strattone, Aurore si accasciò priva di sensi. Jean rimase a guardarla per alcuni istanti, quindi si avvicinò allo specchio, dove poco prima la ragazza si era seduta per farsi pettinare, e poggiando le mani sul piano ingombro di spazzole, profumi, pomate e belletti, fissò la sua immagine, finché d'un tratto con un colpo secco fece volare via tutto. Lasciò andare un profondo respiro, mentre il rumore degli oggetti caduti si spegneva, assieme alla rabbia. Si voltò a guardare Aurore, che gli apparve come una fragile bambola di porcellana abbandonata sul pavimento.
Un senso di tenerezza misto ad una strana commozione lo avvolse. In fondo non poteva avergli mentito, come avrebbe mai potuto la sua dolce, docile sposa alzare lo sguardo su un uomo che non fosse lui, preferirgli addirittura quel damerino. Le si avvicino e chinandosi su di lei, le accarezzò piano i capelli per poi pulirle con il pollice il sangue che le sporcava il viso. Forse si era sbagliato, forse aveva esagerato, ma oramai era fatta, pazienza... In fondo un'azione preventiva non era mai da considerarsi un errore. Si sarebbe fatto perdonare. La prese in braccio e la portò sul letto, con premura la adagiò tra i cuscini. La guardò ancora per un momento, quindi volse lo sguardo all'orologio. Si era fatto dannatamente tardi. Suonò il campanello per chiamare la cameriera che arrivò pochi istanti dopo.
"Madame ha bisogno di voi" disse con indifferenza, quindi volgendo un ultimo sguardo ad Aurore sospirò "Un peccato dover andare da solo" e con passo tranquillo uscì dalla stanza.
 
 
Lo scuro manto della notte aveva ormai sostituito il tramonto, quando la berlina dei Girodelle varcò i cancelli del Palazzo delle Tuileries per arrestarsi infine, con uno scossone, davanti al padiglione centrale dell’imponente costruzione.
All’interno dell’abitacolo il Colonnello Victor de Girodelle si riscosse bruscamente e alzò lo sguardo verso le finestre del piano nobile, illuminate a giorno, da cui giungeva, ovattato, il suono penetrante e un po’ nasale degli oboi e quello più dolce e vibrante dei violini.  Un’espressione di disappunto gli adombrò ancor più il viso tirato: era decisamente in ritardo, constatò, il concerto della Loge Olimpique doveva essere iniziato da almeno un’ora e probabilmente il buon Conte d’Ogny[4], suo amico di vecchia data nonché cofondatore della compagnia, si stava chiedendo dove diavolo fosse finito. La sua assenza, infatti, non poteva certo essergli sfuggita, dal momento che quella sera solo una ristretta cerchia degli oltre seicento abbonati alla Loge – un’elite costituita dai più influenti esponenti della Corte e, soprattutto, dagli amici più cari del Conte  – avrebbe avuto l’onore di ascoltare in anteprima i due brani di Haydn[5] a lui dedicati, dopo l’esecuzione della celebre “Reine”, che tanto successo aveva riscosso a Parigi negli ultimi mesi… senza contare che Victor era solito passare da lui per un saluto prima di ogni esibizione.
Il gentiluomo sospirò. In realtà, avrebbe fatto volentieri a meno di presenziare a quel concerto, troppi ancora erano i pensieri che gli affollavano la mente dal mattino, dopo le incredibili rivelazioni del giovane Marcel. A dispetto delle parole di rassicurazione che aveva rivolto al ragazzo prima di congedarsi, infatti, ancora non aveva idea di come assicurare quel miserabile di Grammont alla giustizia senza mettere in pericolo le persone coinvolte in quella storia, prima fra tutte Aurore… e se nell’enfasi del momento si era persuaso che sarebbe bastato sfruttare la testimonianza di Marcel e coinvolgere l’influente Guillaume de Bellecombe, nel corso delle ore aveva maturato il più realistico timore che la denuncia potesse non avere l’esito sperato. Senza ulteriori prove, in fondo, era soltanto la parola di un ragazzino contro quella dell’ultimo discendente di una casata, che per quanto avesse visto tempi migliori apparteneva comunque alla più antica nobiltà di Francia. Seppure Jean fosse finito davanti al Parlamento di Parigi[6] per rispondere delle accuse mosse nei suoi confronti, c’era la concreta possibilità di un suo completo proscioglimento...  e, in quel caso, Aurore sarebbe stata perduta.
“Signore… Siamo arrivati”.
Perso in quelle cupe riflessioni, Victor alzò appena lo sguardo verso il suo attendente, che, seduto di fronte a lui, lo scrutava perplesso.
“Sì, lo vedo, grazie Alphonse” replicò laconico, sollevandosi dalla seduta “Resta pure, non è necessario che mi accompagni” aggiunse subito dopo, vedendo che l’uomo si apprestava a seguirlo “Piuttosto, riferisci a Tristan di lasciare la carrozza in cortile, senza condurla nelle scuderie… non credo che ci vorrà molto, vista l’ora”.
“Come volete, signore. Vi attenderemo qui”.
Ancora sovrappensiero, l’ufficiale si limitò ad annuire e scese dalla vettura, affrettandosi a raggiungere l’ingresso dell’edificio e a imboccare, al suo interno, la rampa del maestoso Grand Escalier.  La musica si era improvvisamente arrestata, si rese conto in quel momento, udendo l’eco secca dei suoi passi sul marmo risuonare in un insolito silenzio; tuttavia, gli bastò raggiungere la porta dell’immensa Salle des Cents Suisses[7] per essere investito dal brusio degli spettatori, amplificato peraltro dalla considerevole altezza del soffitto e soprattutto dalla massiccia presenza di legno nella stanza, che ne garantiva l’ottima acustica. Lignea era difatti l’ingegnosa struttura rimovibile, disposta su tre lati della sala e destinata ad accogliere il pubblico più altolocato, così come di legno erano il palco rialzato dell’orchestra, il pavimento e persino la volta a coste che tanto colpiva chi si trovava ad ammirarla per la prima volta.
Victor si guardò intorno, cercando di abituare la vista alla luce quasi accecante dei lampadari, nove sontuosi portacandele in cristallo di Boemia che facevano risplendere i rilievi dorati dei palchi. Nessuno sembrava aver notato il suo ingresso, considerò con una punta di sollievo… inoltre, fatta eccezione per la platea, di fatto semivuota, il pubblico era più numeroso di quanto si sarebbe aspettato e occupava tutti gli eleganti palchetti del secondo ordine. Magari Ogny non si era accorto del suo ritardo, d’altronde talvolta era capitato che lo raggiungesse dietro le quinte solo nell’intervallo… rinfrancato, consegnò il mantello a un valletto e avanzò verso il palco per raggiungere la porta dell’attigua Salle des Gardes.
Era questa una sala di dimensioni più modeste ma comunque spaziosa, dal soffitto mirabilmente affrescato, che durante i concerti veniva  utilizzata dai musicisti come camerino e per riporre le custodie dei propri strumenti. In quel momento non era particolarmente affollata, molti membri dell’orchestra erano usciti a prendere un po’ d’aria o avevano preferito rimanere nelle loro postazioni, pertanto Victor non ebbe difficoltà a individuare l’amico, impegnato  a conversare con due gentiluomini davanti ai tavoli del piccolo rinfresco che era stato allestito per gli artisti in fondo alla stanza.
“Victor… finalmente!” esclamò questi vedendolo a sua volta e facendogli cenno con una mano di avvicinarsi.  
Neanche il tempo di illudersi, sorrise rassegnato il Colonnello, intuendo dall’espressione preoccupata di Ogny che il suo posto vuoto non era passato inosservato; tuttavia, non appena ebbe raggiunto il piccolo gruppo e i due interlocutori del Conte si furono voltati, quello stesso sorriso mutò in una smorfia.
“Signori… buona sera” mormorò a denti stretti, nascondendo la sua espressione stizzita con un breve inchino.
Il Generale Jarjayes s’irrigidì a sua volta, nel ricambiare il saluto, mentre Grammont, insolitamente taciturno, rispose appena con un cenno del capo, dandogli l’idea di essere con la mente altrove. Poco male, dopo ciò che aveva appena scoperto su di lui, solo incrociarne lo sguardo gli faceva ribollire il sangue e dubitava di poter mantenere la calma se gli avesse rivolto una delle sue battute affilate. Quanto ad Augustin de Jarjayes, ne riusciva a tollerare la presenza soltanto perché negli ultimi tempi si erano ritrovati a collaborare, spinti dalla comune volontà di preservare le rispettive famiglie dallo scandalo, ma senza dubbio con la fuga di Oscar i loro rapporti si erano definitivamente guastati. Nulla era rimasto, infatti, della reciproca stima, e se il Generale covava rancore nei confronti del mancato genero, ritenendolo complice dei due fuggiaschi, dal canto suo Victor stentava a celare il profondo disprezzo verso il medesimo uomo che, per anni, aveva considerato un fulgido esempio di rigore e moralità da cui trarre ispirazione.
 “Sono così felice di vedervi, amico mio!” esordiva nel frattempo Ogny, del tutto ignaro della tensione tra i suoi ospiti “Credevo che non sareste più venuto…”
“Sono davvero mortificato, François, ma purtroppo non sono riuscito a liberarmi prima dalle mie tediose scartoffie… non ho avuto neppure il tempo di cambiarmi, come avrete notato” replicò contrito il Visconte, indicando l’uniforme che aveva ancora indosso.
“Non avete nulla di cui essere mortificato, Victor… anzi, in un momento come questo non eravate nemmeno tenuto a partecipare!” ribatté con calore il Conte d’Ogny “Non riesco ancora a capacitarmi… quando sono partito per Amiens, due settimane fa, dalle vostre parole avevo inteso che si trattasse di un banale malanno… invece il Generale Jarjayes mi stava giusto dicendo che è oramai impossibile che le nozze possano essere prospettate a breve”.
“Purtroppo non siamo padroni di nulla, caro François” commentò il Colonnello Girodelle, dissimulando dietro un sospiro il disagio sottile che, talvolta, gli procurava recitare quella ridicola pantomima. Era stato il Generale ad avere l’idea di utilizzare la scusa di un'improvvisa quanto imprecisata malattia della futura sposa per giustificarne la scomparsa e motivare il rinvio delle nozze, contando anche sul fatto che frattanto che l'avesse ritrovata, perché sembrava esser certo che vi sarebbe riuscito, l'interesse per la vicenda si sarebbe sgonfiato e l'annullamento  definitivo delle nozze non avrebbe suscitato particolare clamore. Ovviamente, pur avendo accettato di stare al gioco onde evitare che la situazione si complicasse ulteriormente, Victor non poteva fare a meno di avvertire il peso dell’inganno ogni volta che si trovava a mentire a una persona cara, che fosse la sua smaliziata genitrice o un amico leale come il conte d’Ogny.      
“La vostra promessa sposa si è dunque aggravata?” domandava intanto questi, visibilmente turbato.
 “Sfortunatamente sì, anche se c’è stato un lieve miglioramento da quando si è trasferita in Normandia” rispose Victor “A questo punto, non ci resta che confidare nella sua tempra e nel clima mite di Étretat… oltre che nell’aiuto del buon Dio, ovviamente”concluse abbozzando un sorriso.
“Étretat?” ripeté il gentiluomo con aria interrogativa.
“Si tratta di un piccolo villaggio di pescatori nei pressi di Fécamp” intervenne il Generale “Ho diversi possedimenti in quella zona, tra cui la villa di famiglia dove risiede ora mia figlia”.
“Soggiornare dinanzi all’oceano non potrà che giovare alle sue condizioni” chiosò Ogny con un sorriso “E vedrete che tornerà a Versailles più bella e fiera che mai, la vostra Oscar! Dico bene, Conte de Grammont?”
“Come? Oh, sì, senza alcun dubbio” si affrettò a rispondere Jean, colto di sorpresa, riscuotendosi dal suo pensoso mutismo.   
 “Detto questo, signori miei… “ proseguì Ogny, spostando improvvisamente lo sguardo verso la porta d’ingresso della sala “Vedo che il buon Saint Georges[8] già freme per tornare sul palco… purtroppo devo lasciarvi”.
“Sarà il caso che anche noi torniamo a sedere” osservò il Generale.
“Oh no, non è ancora necessario, non inizieremo prima di un quarto d’ora” lo rassicurò bonario il musicista “Piuttosto, approfittate del rinfresco… avete tutto il tempo di assaggiare il rum che il Conte de Grammont ha fatto gentilmente consegnare ieri sera. Vi assicuro che ne vale davvero la pena, signori miei,  è un vero nettare degli dei… a nome della Loge non posso che ringraziare ancora il Conte per il suo gradito omaggio”.
“In verità sono io che dovrei esservi grato… se non fosse stato per la vostra intercessione, non avrei mai potuto assistere all’esibizione di stasera, non essendo ancora un vostro abbonato” replicò con sussiego Jean “Una cassa di rum è ben poca cosa rispetto all’onore di sedere in questa sala”.
“L’onore è solo mio” sorrise affabile Ogny, prima di congedarsi definitivamente con un inchino.
Finalmente si spiegava la presenza di Grammont a un evento tanto esclusivo, constatò a quel punto Victor, mal celando la sua irritazione dinanzi all’espressione di serafico compiacimento spuntata sul volto dell’uomo alle parole del Conte. Jean de Grammont era come la gramigna, riusciva a insinuarsi dappertutto… la tentazione di punzecchiarlo fu più forte di qualsiasi buon proposito atto a evitare lo scontro.
“Ammetto di non essere un estimatore di liquori esotici, ma considerando che vi ha spalancato le porte della Loge, sono curioso di assaggiare il vostro mirabolante rum, conte de Grammont!” esclamò pertanto con un sorriso forzato, facendo cenno a un valletto di versargli da bere “Volete provare anche voi, Generale?”
“No, vi ringrazio” declinò Augustin “L’ho già fatto e pur apprezzandone il sapore corposo, credo che sia più adatto alla fine di un lauto pasto che a digiuno…”
“Sì, forse avete ragione…” riconobbe il gentiluomo sorseggiando lentamente il contenuto del suo bicchiere “ma ha un gusto davvero eccezionale, non ha nulla da invidiare ai nostri migliori distillati. Adesso capisco la riconoscenza del buon Conte d’Ogny, caro Grammont… anche se trovo che privarsi di una cassa di questa delizia per partecipare a un concerto, sia stato quanto meno bizzarro da parte vostra…”
“E per quale motivo, di grazia?” obiettò Jean, aggrottando la fronte.
“Converrete con me che i vostri sottoposti non baratterebbero nemmeno una bottiglia di sidro per trovarsi qui stasera…”
“Perdonatemi, ma continuo a non capire…”
“Ecco, pensavo… sbagliando probabilmente… che da buon capitano nonché uomo di mare condivideste almeno in parte i gusti del vostro equipaggio e, di conseguenza, ben altri tipi d’intrattenimento” alluse caustico Victor.
“L'uomo di mare è sempre secondo al gentiluomo. Pensare l'inverso sarebbe come ammettere che voi, come ogni altro uomo d'armi in questa sala, siate più incline a grette voluttà da soldataglia che a nobili piaceri e che il ruolo faccia più dell'educazione,  il che forse sarà  vero per voi, Colonnello, ma non di certo per me” ribatté piccato Grammont.
“In effetti, ammetto di non trovare totalmente disdicevoli certe grette voluttà” osservò serafico il Colonnello “Sarà che sono stato educato a Parigi, e non su una piccola isola d'oltreoceano. O forse chissà... è tutta una questione d'animo e predisposizione...” insinuò  rivolgendo a Grammont una lunga occhiata.
“E i qui presenti sono tutti ottimamente predisposti...  Ed altrettanto ottimamente educati” s’interpose a quel punto il Generale, rivolgendo a Victor uno sguardo severo che voleva essere un monito a tacere.
“Oh sì, senza alcun dubbio!” esclamò questi con aria innocente “Perdonatemi Grammont, non avevo assolutamente intenzione di insinuare qualcosa di diverso… semplicemente, non vi credevo un appassionato di musica da camera. Dunque si ascolta Haydn a Port au Prince?”
“Non soltanto Haydn… ma anche Mozart, Cavalli, Gluck… e tanti altri che è superfluo citare! Di certo Saint Domingue non è la Francia e Port au Prince non può competere con Parigi, ma non mancano concerti né rappresentazioni teatrali” rispose con asprezza Jean, a cui non era sfuggito il velato sarcasmo del suo interlocutore “Ho intenzione di aderire alla Loge proprio per riprendere con mia moglie la piacevole consuetudine di partecipare a questi eventi”.
“Madame Aurore ne sarà di certo felice… a proposito, è presente anche lei stasera?” chiese Victor con apparente noncuranza. Era riuscito a vederla solo una volta, dopo il loro ultimo, drammatico incontro sul Pont Neuf e ormai erano trascorsi più dieci giorni. Si augurò che la fanciulla fosse ancora serena e sorridente come quel mattino, in cui lui si era fatto trovare casualmente nei giardini di Parc Monceau, dopo aver saputo da Alphonse che quella era il luogo prediletto dalla Contessa per le sue sporadiche passeggiate… un piccolo espediente di cui non andava fiero ma che gli aveva permesso di sincerarsi delle sue condizioni.
Per un istante Jean lo fissò senza rispondere, mentre il pensiero andava al viso di Aurore, ai suoi occhi pieni di lacrime, alle labbra tremanti che gli giuravano il suo amore e la sua devozione. Non un'emozione trapelò sul suo volto quando il morso della gelosia tornò a rodergli il cervello, alimentato da quella domanda in apparenza tanto banale .
“No, purtroppo. All’ultimo momento, un’improvvisa indisposizione l’ha costretta a casa” replicò infine brevemente, continuando a studiare l’espressione del Visconte alla ricerca di un segno – uno sguardo, una smorfia, qualsiasi cosa – che confermasse i suoi sospetti.
Un’improvvisa indisposizione… Al pensiero che Aurore potesse aver subito per l’ennesima volta gli abusi di quell’uomo, Victor serrò la mascella, frenando l’impulso di afferrare Grammont per il bavero della giacca.
“Nulla di grave, spero”.  
“Una semplice emicrania, credo”.
 “Vivete sotto lo stesso tetto e non siete nemmeno certo di che cosa affligga vostra moglie, conte de Grammont?” ironizzò l’ufficiale, ma a dispetto del tono leggero con cui aveva pronunciato quelle parole, nei suoi occhi non c’era alcuna traccia d’ilarità.
“Le donne, come noto, sono creature instabili e comunque non sono certo un medico!” sbottò a quel punto Jean “Ad ogni modo, vedo che la salute di mia moglie vi sta particolarmente a cuore, Colonnello Girodelle… non so se essere lusingato o preoccupato del vostro interessamento”.
“Vi assicuro che la lusinga è l'ultima delle azioni che mi interessa attuare nei vostri riguardi, quanto al preoccuparvi di me… ebbene posso capirlo, ma non è certo nell’onestà di vostra moglie che dovreste cercarne il motivo” ribatté con durezza Victor.
“Che cosa vorreste dire…” proruppe il Conte alzando la voce e attirando l’attenzione di alcuni gentiluomini che stavano conversando a pochi passi da loro.
“Adesso basta!” si spazientì il Generale, interrompendoli prima che l’alterco degenerasse “E comunque non qui…” aggiunse a bassa voce, indicando con un cenno del capo la porta finestra alle sue spalle.
Il tempo di uscire e si ritrovarono sul balcone, l’aria fresca della sera a sferzare i volti tesi, mentre sotto di loro la penombra incombeva ormai sulle rigide geometrie del parco, dissolvendone lentamente linee e colori in una coltre scura e silenziosa.
Fu il Generale a prendere parola per primo, visibilmente contrariato.
 “Credo che un alterco pubblico tra voi e una persona che mi è notoriamente amica, sia l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento, Colonnello… non pensate che siamo già abbastanza al centro dell'attenzione?"
“Il problema dei vanagloriosi è che credono che l'attenzione loro riservata non sia mai troppa, oltre a non riuscire a vedere le cose nella giusta prospettiva, altrimenti il Colonnello Girodelle si sarebbe reso conto che chi ha da temere non sono certo io...”sibilò Jean.
“Non so che cosa abbiate entrambi questa sera, vi comportate come due ragazzini!” replicò il Generale “Jean, non fatevi istigare, e voi Girodelle fatela finita con queste vostre inutili provocazioni! Non so cosa vi sia preso, ma rendetevi conto che state andando pericolosamente vicino al limite che un gentiluomo possa tollerare! Tenete a freno la lingua, Visconte!”
Un sorriso beffardo increspò le labbra di Victor.
 “Un gentiluomo, Generale? Oh, perdonatemi, ma non avete idea di cosa stiate parlando!” ribatté con veemenza “Quest'individuo non è un gentiluomo e di certo non sono io ad aver passato il limite. Forse dovreste chiedere al vostro adorato figlio quale invalicabile limite dell'onore abbia oltrepassato… ”
A quell’inaspettato affondo, un lieve sussulto tradì il turbamento di Grammont, mentre Augustin, pur realizzando solo in quel momento che Girodelle ne conosceva la reale identità, non batté ciglio: in fondo, negli ultimi tempi Oscar aveva trovato in quell’uomo un amico e un confidente, sospettava da tempo che entrambi avessero scoperto la verità.
“Bene, dal momento che siete al corrente del nostro rapporto di parentela, converrete che le vostre provocazioni sono ancor più fuori luogo, Girodelle” pronunciò pertanto con freddezza “Esigo le vostre scuse nei confronti del Conte de Grammont, oltre che del sottoscritto!”
“Non mi scuserò mai per aver detto ciò che penso…”
“E allora pagherete per le vostre parole!” esclamò Jean portando una mano all'elsa della spada.
“Jean! State calmo e riponete la spada!” disse il Generale bloccandogli la mano "Come ho già detto non è prudente, sebbene, per quanto mi riguarda, il Visconte avrebbe ben più delle parole per cui rendere conto”.
“Se alludete alla fuga di vostra figlia con André, dal momento che è finalmente lontana dalle vostre macchinazioni, non ho più motivo di negare: sì, li ho aiutati a lasciare Parigi” replicò con fierezza Victor “Tuttavia, il mio è stato un ruolo del tutto marginale rispetto al vero eroe di questa storia… non è vero Grammont?”
Questa volta il colpo andò a segno: con gli occhi sgranati il Generale si girò verso il figlio, che colto alla sprovvista guardava ora Victor col volto livido di rabbia.
“A che cosa diamine si sta riferendo, Jean?”
“Suvvia, Grammont… non siate modesto, raccontate al vostro caro padre l’ennesima impresa che avete compiuto! E con l’aiuto di quali raccomandabili soggetti…” lo esortò Victor con un ghigno “Vi assicuro che erano dei veri pendagli da forca, Generale, sospetto che il vostro caro figlio li conoscesse piuttosto bene, un paio di loro avevano anche uno squalo tatuato su una mano, come fosse il segno distintivo di una qualche ciurma…”
 “Jean?” mormorò Augustin, sempre più interdetto.
Ormai era impossibile negare l’evidenza. In cuor suo Jean maledisse Victor de Girodelle, che dopo aver giurato di tacere aveva deciso senza alcun valido motivo di vuotare il sacco, ma soprattutto maledisse se stesso: era stato uno sciocco, avrebbe dovuto farlo infilzare con la spada quella sera stessa, sulla via del ritorno per Versailles, e ricordare che c’era un motivo se le Requin non lasciava mai testimoni dietro di sé… ma in quel periodo, a quanto pareva, era stato veramente fuori di senno.
“Sì, è vero, sono stato io a organizzare tutto” ammise alfine, con una calma che era ben lungi dal provare.
“Non riesco a crederci… come hai potuto... tu che ancora poche ore fa mi dichiaravi la tua devozione dicendo di essere l'unico di cui potevo veramente fidarmi, che mai e poi mai avresti tradito tuo padre… e poi… e poi questo?” proruppe sconvolto suo padre, alzando la voce.
“Giulio Cesare deve aver pensato lo stesso quando Bruto lo ha accoltellato…” osservò beffardo Victor.
“Tacete, Girodelle” lo zittì Jean con uno sguardo di fuoco. Subito dopo si voltò verso il Generale. “Padre” pronunciò con tono accorato, portandosi la mano al cuore “Se davvero avete imparato a conoscermi, dovreste sapere che non vi ho mentito. Io non avrei mai tradito la vostra fiducia senza un valido motivo”.
“Un valido motivo?” domandò scettico il Generale.
 “Sì, è così, giuro che vi spiegherò ogni cosa, ma non è questo il momento… Vi chiedo solo di pazientare e di non credere a una verità opportunamente alterata da un manipolatore, un bugiardo che ha dato abbondantemente prova delle sue capacità”.
Io?!” esclamò Victor esterrefatto “Io sarei un bugiardo e un manipolatore?! Proprio voi osate parlare?!” domandò fissandolo negli occhi “Generale, vi assicuro che non avete la minima idea di chi sia davvero costui! Aprite gli occhi! Mettete da parte le vostre illusioni, i vostri desideri, guardatelo bene e rendetevi finalmente conto di chi sia veramente l'uomo che avete davanti! Quest'uomo, se anche fosse davvero vostro figlio, è un farabutto, un lestofante, un assassino, uno che l'onore non sa neanche cosa sia!
“Vi invito a rimangiarvi le parole che avete detto o dimenticherò gli inviti alla calma di mio padre e ve le farò ringoiare con il sangue!” ruggì furibondo Grammont.
 “Come del resto è abituato a fare uno squalo” rimarcò Victor con un’occhiata sprezzante  “Peccato per voi che io non sia uomo che si lascia spaventare dalle minacce di un filibustiere senza onore!”
 A quelle parole, Jean impallidì.  Benché gli sembrasse impossibile, si domandò se Girodelle avesse scoperto qualcosa sulla sua identità, del resto aveva notato il tatuaggio dei suoi uomini… e se una parola sola poteva essere un caso, due sapevano di indizio… Ad ogni modo, doveva tappargli la bocca prima che parlasse troppo. Con un gesto rapido si sfilò via il guanto e lo gettò sdegnato contro il gentiluomo, colpendolo sotto lo zigomo.
“Ora basta” sibilò “Esigo soddisfazione!”
“Con vero piacere” rispose freddamente Victor, chinandosi a raccogliere il guanto della sfida “Lascio a voi la scelta dell’arma e del luogo[9]”.
“Da qui a un giorno, al sorgere del sole, al Bois de Bolougne. Il mio padrino vi fornirà i dettagli sul luogo esatto ” comunicò seccamente Grammont “Con la spada e all’ultimo sangue, ovviamente…”
“Non chiedo di meglio” replicò Victor e dopo un breve inchino, girando sui tacchi, rientrò nella sala.
 
 “Tutto questo è una follia, Jean, avresti dovuto controllarti...  Sai che sua maestà ha vietato i duelli vero?”  
Riscuotendosi di colpo, Jean si voltò verso il padre, che lo guardava con amarezza.
“Come lo sa il Colonnello Girodelle… e comunque non potevo fare diversamente, non potevo lasciare impunite le sue calunnie e voi lo sapete bene” replicò con durezza.
“Potresti morire…” mormorò cupamente il Generale.
“Non accadrà, non temete...” dichiarò il giovane senza esitazioni “Tanto più se sarete al mio fianco” aggiunse alzando lo sguardo verso di lui.
“Mi stai per caso chiedendo…”
“Sì, padre, vorrei che siate voi il mio padrino”.
Per un istante Augustin tacque. Le  accuse che Victor aveva mosso a Jean erano state forti e nonostante fosse evidente da tempo che tra i due non scorresse buon sangue, non riusciva a credere che il Colonnello lo avesse calunniato in quel modo senza un minimo di fondamento, lo conosceva abbastanza da sapere che non rientrava nelle sue caratteristiche. E suo figlio? Quanto poteva dire di conoscerlo davvero? Cosa veramente sapeva di lui se non quello che gli aveva raccontato? Le informazioni che era riuscito a raccogliere per proprio conto gli avevano confermato che a Saint Domingue fosse un uomo stimato e perbene, un gentiluomo a tutti gli effetti, ma cosa sapeva della sua parte più profonda? E se gli aveva mentito così facilmente e bene sul suo coinvolgimento nella fuga di Oscar, su cos'altro avrebbe potuto farlo? A volte gli era capitato di osservarlo senza che se ne accorgesse quando era distratto o pensieroso e in quei momenti gli era parso di notare  un cambiamento quasi impercettibile nel suo sguardo, qualcosa di sotterraneo che si rivelava per un attimo mostrando come una sorta di aggressività trattenuta che lo lasciava perplesso. Poi però, quando si voltava a guardarlo, quello che incontrava era uno sguardo aperto e sincero, lo sguardo di suo figlio, un giovane uomo che aveva superato con coraggio e determinazione avversità che avrebbero perso la maggior parte delle persone, ma che per lui erano state solo fonte di crescita. Era lo stesso sguardo screziato di azzurro, trasparente e fiducioso che  lo fissava ora nel volto pallido e tirato. Uno sguardo muto e dolente che attendeva una risposta.
“Sì figliolo. Domattina sarò con te” fu la sua. L’unica che un padre poteva dare al proprio figlio.
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] https://www.baroque.it/abbigliamento-e-moda-nel-barocco/leonard.amp.html
[2] Bastoncino con la parte piatta e leggermente ricurva che usavano le dame per grattarsi con grazia  la testa. Questi strumenti erano generalmente usati per alleviare il fastidio che davano le pettinature elaborate, così come le parrucche e potevano essere di avorio, argento, oro e perfino diamanti
[3] Aurore come tutte le dame francesi dell'epoca, e diversamente da quelle  italiane,  non indossava mutande, ritenute un  indumento da donna di facili costumi,  e il cui uso venne introdotto  dalla seconda moglie di Napoleone, nonché pronipote di Maria Antonietta https://lehameaudemarieantoinette.blogspot.com/2016/02/biancheria-intima.html?m=1
[4] Claude-François-Marie Rigoley, conte d'Ogny (1756 – 1790): nobile francese, massone e ufficiale militare, nonché ultimo intendente delle Poste sotto l’Ancient Regime, fondò insieme all’amico Étienne-Marie de La Haye, la Loge Olimpique, una compagnia musicale in cui lui stesso suonava come violoncellista; la sua caratterizzazione è ovviamente frutto di fantasia, anche se era considerato da Maria Antonietta “uomo sicuro e fedele” e alla sua morte il barone d’Aigaliers scrisse di lui definendolo  uno dei “giovani più cortesi e affabili che conosca (fonte wikipedia inglese e francese)
[5] Tra il 1784 e il 1785, il grande compositore austriaco Franz Joseph Haydn (1732-1809), per l’astronomica cifra di venticinque luigi d’oro a sinfonia più altri cinque per i diritti d’autore, ricevette l’incarico dal conte  d’Ogny di comporre sei sinfonie (le cosiddette Parigine, dalla 82 all’87) per la Loge Olmpique, all’epoca impegnata in una serrata rivalità con l’orchestra del Concert Spiritual. Delle sei, la n.85, pubblicata a Parigi nel 1788 , fu chiamata appunto  “La reine” per la predilezione che avrebbe dimostrato Maria Antonietta nei suoi confronti. Ogny ne commissionò poi altre tre, che il compositore dedicò a lui e scrisse tra il 1788 e il 1789… ovviamente qui abbiamo anticipato la loro prima esecuzione di qualche mese(fonte gbopera.it, wikipedia e flaminioonline)
[6] Riabilitato da Luig XVI nel 1774 dopo la soppressione nel 1771, il Parlamento di Parigi era un tribunale sovrano che tra i vari compiti aveva anche quello di giudicare casi che coinvolgevano nobili e pari di Francia. Piccola curiosità: fu proprio questo tribunale a giudicare gli imputati al celebre Affare della collana
[7] Poco avevamo reperito in rete su questa bellissima sala e in generale sugli interni del Palazzo delle Tuileries, distrutto da un terribile incendio nel 1871 e demolito definitivamente nel 1883: le descrizioni e le illustrazioni successive, infatti, erano per lo più relative all’Ottocento, finché non ci siamo imbattute nell’opera di Warwick “Amico: The life of  Giovanni Battista Viotti”, in cui si parla di un concerto del violinista  torinese proprio nella Salle des Cents Suisse”. Le descrizioni sono dunque fedeli a quella dell’autore, che riporta addirittura una piantina e dei disegni raffiguranti la struttura lignea che corredava la stanza.
[8] Joseph Boulogne Chevalier de Saint-George (1745-1799) è stato un importante compositore e violinista. Soprannominato il "Mozart nero" (era di carnagione mulatta), fu il primo compositore di origine africana a operare nell'ambito della musica classica europea (da Wikipedia)
[9] All’epoca, le regole del duello davano all’offeso il diritto di scegliere l’arma.

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Capitolo 23
*** Requiem ***


Requiem
 
La bruma del primo mattino velava il Bois de Boulogne, indugiando bassa tra gli alberi e il sottobosco, quando una carrozza senza insegne si fermò in una radura circondata da betulle, il cui fusto chiaro e sottile quasi spariva nella nebbia. Augustin de Jarjayes, preceduto da suo figlio e seguito dal dottor Lassonne e da un gentiluomo smunto dall'aria compita, ne discese, col volto cupo e l'animo angustiato.  
Preso da mille pensieri e da quell'ansia che immancabilmente accompagna l'attesa di un giorno importante, aveva dormito poco e male, contrariamente a Jean, che invece, per quanto ne avrebbe avuto più motivi, appariva sereno e riposato, con lo sguardo tranquillo e il viso che non manifestava la minima tensione. Ancora una volta lo osservò cercando qualcosa che tradisse un minimo turbamento, un’emozione, ma nulla... Suo figlio era più che tranquillo: era indifferente, di quell’indifferenza che nasce dalla più completa sicurezza. Augustin si ripeté che non c'era nulla di strano in quell'atteggiamento, ma, inesorabili come una mannaia, ancora una volta, le parole di Girodelle si abbatterono sulle proprie rassicurazioni. Era dalla sera prima che non riusciva a smettere di pensarci, esattamente da quando aveva lasciato casa di Jean dopo essersi recato da lui per comunicargli i dettagli del duello stabiliti col secondo del Visconte. Al suo arrivo lo aveva trovato intento al tavolo da gioco con uno sconosciuto gentiluomo che gli era stato presentato come il cavaliere d’Arvieux. Il Generale, dopo essere stato messo al corrente che il Cavaliere era il testimone scelto da Jean per l’indomani[1], aveva fatto notare, non senza fastidio, che circostanze come quella che si accingeva ad affrontare richiedevano riposo e concentrazione, cose che poco si accordavano con una serata trascorsa al tavolo da gioco. Jean non gli aveva risposto subito, ma lo aveva fissato per un momento durante il quale al Generale era parso di scorgere nei suoi occhi un che di beffardo. Era stata tuttavia un’impressione fugace quanto un lampo, tanto che quando suo figlio, increspando le labbra in un sorriso affettuoso, aveva risposto che quell’unica partita estorta al suo recalcitrante ospite, era stata solo un mezzo per ingannare l’attesa, l’aveva già dimenticato.
"Figliolo, ho accolto il mandato che hai voluto darmi e formalizzato un duello a oltranza[2] così come mi hai chiesto. All’alba di domani il Bois de Boulogne vedrà il sorgere di un giorno che potrebbe vedere scorrere il tuo ultimo sangue, se non lo affronti con il dovuto rispetto” spiegò il Generale con tono grave.
 ”Non avete di che preoccuparvi” rispose Jean ora serio “Non sono uno sconsiderato né tantomeno uno sciocco. Tranquillizzatevi dunque, perché la mia non è incoscienza, ma piena e semplice consapevolezza di chi io veramente sia”.
Augustin lo aveva allora guardato perplesso, non capendo appieno cosa volesse intendere, al che Jean si era voltato per riempire due bicchieri di quel liquore che si faceva arrivare dalla sua terra d'origine e che tanto apprezzava, e porgendogliene uno aveva aggiunto con fierezza "Sono vostro figlio, e credo sinceramente che questo la dica già lunga. E tuttavia se non doveste ritenerlo un motivo sufficiente, sappiate che ho smesso da tempo di guardare in faccia la paura, preferendo vederla negli occhi di chi si mette sulla mia strada".
Quelle parole pronunciate con tanta convinzione, avevano riempito il Generale di orgoglio e gli erano parse una spiegazione più che sufficiente, ma quando sulla via di casa, vi era tornato col pensiero, si era reso conto che in un certo qual modo quel che Jean aveva detto non aveva senso. Abituato a incutere paura… Perché mai, si era chiesto. Seppure si fosse riferito ai giorni più turbolenti trascorsi sulla plancia della sua nave e al piglio duro che deve giustamente avere un capitano col proprio equipaggio, sarebbe stato più ovvio parlare di rispetto che di paura; tanto più considerando che era stato al comando di un mercantile e non di una nave da guerra. E come poteva poi essere tanto certo di battere un uomo d'arme qual era il colonnello Girodelle, se quella determinazione cui aveva alluso ricordandogli di essere suo figlio, non era stata sufficiente a fargli battere lui quando si erano affrontati, anche se per gioco o allenamento?
La risposta a quelle domande erano il nocciolo della sua preoccupazione sull'esito del duello e della sua perplessità sull'atteggiamento del figlio.
Egli sapeva bene che Jean era un'ottima lama, potente e veloce, del resto lo aveva constatato più volte nel corso dei loro incontri, durante i quali spesso aveva dovuto prestare la massima attenzione per non finire battuto. Tuttavia proprio in virtù di quei duelli, egli sapeva che Jean aveva pericolose pecche. Colmarle era stato, infatti, il motivo principale per cui dopo il loro primo incontro[3]  Jean gli aveva chiesto di potersi misurare ancora, così da riuscire a sanare le sue carenze grazie all'esercizio assiduo e ai consigli di un uomo considerato tra le migliori lame di Francia. Egli ovviamente aveva accolto con piacere quella richiesta, da allora si erano battuti svariate volte e lo stile e la precisione di Jean erano molto migliorati. Tuttavia quegli incontri ancora non avevano dato tutti i propri frutti: egli era ancora imbattuto e suo figlio finiva ancora immancabilmente per perdere il controllo.
Alla luce di tutto ciò era dunque quantomeno strana, se non incomprensibile, tanta sicurezza, specie in considerazione del fatto che Jean ben sapeva che il suo avversario nella spada aveva il proprio mestiere e che a una nota abilità, univa l'esperienza di una pratica costante.
Quindi come poteva... Era stato allora che le parole di Girodelle avevano iniziato a insinuarsi striscianti come serpi nei suoi pensieri.
Non avete la minima idea di chi sia davvero costui! Aprite gli occhi...
E se fosse stato vero?  Se davvero Jean fosse il manipolatore che Victor lo aveva accusato di essere?  Una parola in particolare, era stata per Jean il colmo della misura, una parola precisa, insolita, non casuale, una parola specifica: Filibustiere...
Possibile? E se fosse stato quello il motivo del suo atteggiamento e di quel suo cadere improvvisamente in fallo da una posizione di vantaggio durante i loro duelli? Più volte gli erano parse strane quelle brusche perdite di controllo che aveva attribuito all’avventatezza di suo figlio e non certo a una scaltra dissimulazione… Possibile che... che... No! No! Certo che no!
Eppure, suo malgrado non riusciva a smettere di pensarci.
Il seme del sospetto aveva ormai iniziato a vegetare e nonostante si sforzasse di contrastarlo, cresceva, e la sua ombra scura allungandosi faceva vacillare le sue certezze.
"Buongiorno, Signori" esordì in quel momento Jean raggiungendo Girodelle che, arrivato poco prima, lo attendeva impaziente, e rivolgendo il suo saluto, secondo l’uso, unicamente ai secondi[4].
“Buongiorno a voi” rispose allo stesso modo Victor.
Senza indugiare in convenevoli, i due secondi esaminarono rapidamente il terreno, stabilirono il campo di azione, tirarono a sorte i posti e confrontarono le armi per assicurarsi che le lame avessero l’identica lunghezza e il medesimo peso. Nel compiere queste operazioni il Generale avvertiva una strana sensazione di disagio, come se in quel che stava accadendo ci fosse qualcosa di sbagliato. Non era il duello in sé, anzi, egli era talmente convinto che per un uomo degno di questo nome non ci fosse modo migliore per aver soddisfazione nelle questioni d’onore, da ritenere addirittura lecito, per non dire doveroso, ignorare gli editti regi che avevano vietato questo genere di risoluzioni. Era piuttosto qualcosa legato a quella specifica situazione, qualcosa d’indefinito eppure profondo, che lo faceva sentire inspiegabilmente fuori posto o forse… dal lato sbagliato. Quel pensiero improvviso lo colpì come uno schiaffo: come poteva pensare una cosa del genere! Soffocando con stizza quell’idea assurda si avvicinò a Jean, che intanto si era sfilato la giacca e parlottava con il suo testimone.
“Siete pronto?" domandò porgendogli il guanto da cui pendeva una fettuccia che avrebbe dovuto legare all’elsa della spada, in modo da non restare disarmato in caso di urto[5].
Jean annuì. “Certo” rispose rivolgendo lo sguardo a Girodelle che poco più in là era intento nella medesima operazione “Sarà una cosa breve” aggiunse quindi a voce abbastanza alta perché il Visconte potesse sentirlo “Stamane non ho fatto colazione ed ho una certa premura di mettere qualcosa sotto i denti…”
“Jean vi prego!” esclamò il Generale urtato da quella presuntuosa spavalderia. “Sta per essere versato del sangue e merita rispetto, certe provocazioni sono fuori luogo” lo ammonì “e non dimenticate che quel sangue potrebbe essere il vostro…” sottolineò abbassando il tono, mentre finiva di legargli la spada al polso.
Tuttavia Jean sembrava non essere incline a sorbire ramanzine né tanto meno a prestare ascolto a moniti. “Ne dubito” rispose secco e con un certo fastidio “e comunque di sicuro ricorderete che mi è stato fatto notare che mi comporto come uno squalo, è dunque comprensibile che l’odore del sangue mi metta appetito...” concluse sarcastico rivolgendo al suo avversario uno sguardo tagliente quanto la lama che si apprestava a impugnare.
“Generale, perdete il vostro tempo a richiedere il rispetto delle regole dell’onore a chi dell’onore non ha neanche il concetto“ intervenne Victor “Quanto a voi Grammont, ogni parola che ho detto l’altra sera continuo a pensarla oggi e la ribadisco con ancor più forza in questo momento” aggiunse restituendo a Jean lo stesso sguardo “Bando alle chiacchiere, dunque, e preparatevi a tornare nell’abisso cui appartenete!”
Quasi strappando dalle mani del suo testimone la spada che questi attendeva di porgergli, Jean scartò il Generale e si portò innanzi a Girodelle. “Fatevi avanti” ringhiò con rabbia e i due avrebbero iniziato in quel momento stesso il loro scontro se il marchese de Tondou, secondo del Visconte, non si fosse frapposto tra loro.
“Conte di Grammont calmate il vostro impeto, un duello ha delle regole!” protestò vivacemente "Jarjayes, vi prego…”
“Sì, certo…” rispose il Generale facendosi appresso a Jean “Calmatevi, Signore” lo ammonì “tra non molto avrete la vostra soddisfazione, ma prima come da regola e come convenuto ripeterò a entrambi le regole e le condizioni stabilite, e vi impegnerete sul vostro onore a rispettarle”.
Jean sospirò, strinse la mascella e annuì. Entrambi i duellanti si portarono al centro del terreno di sfida, con la spada in pugno, ponendosi a pochi metri l’uno dall’altro. Mentre si fissavano negli occhi, nessuno dei due prestò molta attenzione alle parole che il Generale andava pronunciando, le regole del duello erano a entrambi note: non parare le stoccate con la mano sinistra, non afferrare il braccio o il corpo dell’avversario… tutte superficialità, in fondo, perché l’unica cosa che davvero contava era che uno dei due non ne sarebbe uscito vivo.
Quando ebbe finito di parlare il Generale si voltò verso Jean per l’ultimo degli assolvimenti di rito: scoprire il petto per mostrare, così come avrebbe fatto Girodelle, di non portate oggetti che potessero attutire il colpo di spada o spezzarne la punta.
Mentre le mani del padre gli aprivano la camicia, Jean sorrise a se stesso pensando quanta ipocrisia ci fosse in tutta quell’etichetta cerimoniale, costruita per edulcorare agli occhi della società civile la sostanza delle cose: ferire o uccidere un uomo per orgoglio o per vendetta. Come se trapassare il petto a qualcuno in un duello regolato fosse più gentile e onorato che l’infilzarlo in un corpo a corpo senza esclusione di colpi, che sciocchezza… Aveva ucciso abbastanza uomini da sapere che chi riceveva una lama nel cuore e si vedeva soccombere immerso nel proprio sangue, provava la stessa identica paura, lo stesso annichilimento che a infilzarlo fosse stato l’elegante fioretto di un gentiluomo o il brutale ferro di un pirata.
Con l’orgoglio di chi si sente migliore, mostrò dunque il petto nudo dove poco più in alto del cuore la sagoma di uno squalo tatuato con inchiostro nero, uscendo da un timone, spalancava le fauci verso l’osservatore. Non si rese conto di come gli occhi del Generale si spalancassero mentre fissava quell’immagine, avvertì solo le sue mani stringersi attorno ai lembi della propria camicia e un attimo dopo si ritrovò a terra spinto da suo padre, che lo fissava con i pugni serrati e lo sguardo carico di una rabbia che poche volte gli era capitato di vedere.
“Generale! Ma cosa…“ fu Victor a parlare mentre Jean, troppo sbalordito per proferir parola, tirandosi sui gomiti fissava suo padre a bocca aperta.
“Fatevi da parte Girodelle! Non con voi ma con me dovrà battersi questo tagliagole bugiardo!” inveì furibondo il Generale “Avevate ragione! Quest’uomo è un millantatore, ma ero troppo offuscato dalle sue menzogne per accorgermene…” continuò rivolgendosi a Victor con un tono che fondeva rabbia e amarezza, ma senza distogliere da Jean uno sguardo pieno di disgusto. Serrò le labbra e per un momento tacque, troppo scosso dal turbinio di emozioni che sentiva montargli dentro per proseguire, ma si fece forza e si obbligò a parlare, anche se gli faceva male, anche se le parole acuivano la sua collera, perché tutti dovevano conoscere la bruciante quanto inconsapevole rivelazione, che gli aveva appena fatto colui che aveva voluto chiamare figlio e che ora lo fissava come se fosse un pazzo. 
“Quel tatuaggio che ha sul petto… L’ho già visto in due diverse occasioni: la prima sulla mano di uno degli assassini da cui casualmente mi salvò quando ci incontrammo, la seconda poche settimane fa, sul braccio di un uomo del mio reggimento condannato all’impiccagione per furto e che durante il processo si è scoperto aver avuto dei trascorsi sulla nave del famigerato pirata Le Requin di cui, a quanto pare, quel particolare tatuaggio è il simbolo…” spiegò “E pensare che l’altra sera alla Lodge volevo parlarvene” aggiunse rivolgendosi a Jean mentre sentiva la rabbia trasformarsi in dolore “raccontarvi questa strana coincidenza di cui ero venuto a conoscenza, condividerla con voi, ma poi…” mentre pronunciava quelle ultime parole gli occhi del Generale si velarono di tristezza e sul suo viso tirato il furore sparì lasciando spazio ad un’espressione amara.  Aveva amato Jean dal momento in cui aveva sollevato gli occhi dalle lettere di Elodie per posarli su di lui, suo figlio… lo aveva amato come si ama un desiderio impossibile scivolato via col tempo e poi improvvisamente realizzato. Lo aveva amato al punto da metterlo innanzi ad Oscar, quella figlia che da sempre era stata il suo più grande orgoglio, che egli aveva voluto diversa da ogni altra, e che per assecondare il suo capriccio aveva dovuto lottare e soffrire. Una creatura ammirevole in cui ogni azione era dettata da una purezza d’intento e una nobiltà d’animo che molte volte finiva col portarla a scelte difficili, tormentate, ostiche per chi, come lui, quella purezza non la possedeva. E proprio su quella purezza, che legandosi all'amore la rendeva fragile, egli aveva spinto per piegarla, nel più bieco dei modi, ad accettare la sua volontà. Come aveva potuto pensare di annientarla per far spazio a quel perfetto sconosciuto, che se pure fosse stato veramente suo figlio e un uomo di valore, non sarebbe comunque valso la metà di Oscar…
Eppure… eppure l’aveva amato come un sogno fatto al mattino e tornato la sera…
Una risata prima sommessa, poi sempre più chiara ruppe il silenzio seguito alle parole del Generale, echeggiando alta e sonora nel bosco. Ancora a terra, seduto con le gambe divaricate e il busto poggiato sulle braccia tese, Jean aveva reclinato il capo all’indietro e rideva di gusto.
“Ecco dove si era cacciato Bertrand” disse infine rialzandosi e ripulendosi le braghe dal terriccio che gli si era attaccato addosso nella caduta. “Doveva essere proprio terrorizzato per pensare di arruolarsi, ma si può sapere che ti aveva fatto? ” domandò rivolgendosi a d’Arvieux.
 “Niente di che, Capitano… ma sapete com’è…" sorrise d’Arvieux sollevando le sopracciglia con aria sorniona "Un animo onesto ingiustamente accusato può finire coll’irritarsi più del normale…”   
Jean annuì. “Che vuoi farci amico mio…” replicò “Boriosi e idioti sono categorie che spesso parlano senza pesare, senza rendersi conto di quel che dicono. Il nostro povero Bertrand quasi certamente apparteneva alla seconda categoria” s’interruppe e puntò sul Generale uno sguardo carico d'odio e di disprezzo “mentre voi, padre, senza ombra di dubbio rientrate nella prima”.
“Non osare chiamarmi in quel modo…” ringhiò il Generale.
“Borioso o padre? Perché lo siete entrambi e l’uno non esclude l’altro” ribatté serafico “Comunque sia, padre, il vostro spirito di osservazione vi ha portato alle giuste conclusioni sul mio conto, come anche a voi Victor, sebbene non mi sia chiaro cosa esattamente, prima di adesso avevate capito…”
“Ogni cosa” fu la lapidaria e sprezzante risposta di Victor.
Jean sollevò le sopracciglia. “Ammetto di essere sorpreso, ma non sto a chiedervi come abbiate potuto sapere, immagino di non essere stato sufficientemente attento. Ad ogni modo entrambi avete ragione: sono un poco di buono, un fuorilegge, un filibustiere, per dirla con parole vostre. È vero, anzi verissimo, ma è pur vero che sono vostro figlio, padre. O credete che voi e la vostra progenie siate stati toccati dal Signore…”
"Oh no… No, non lo credo affatto” rispose con amarezza il Generale, quindi sospirò profondamente sollevando leggermente il viso al cielo, dove un'unica nuvola con i lembi resi splendenti dal sole chiaro del primo mattino, vagava placidamente. Chiuse gli occhi per un momento e quando tornò ad aprirli per posare nuovamente lo sguardo su Jean sembrava che tutta la rabbia che fino a quel momento lo aveva animato fosse sparita.
“Credo semplicemente che tu sia stato il giusto castigo che Dio mi ha mandato per i miei troppi errori" disse con tristezza" come Oscar invece è stata il segno della sua benevolenza. No… non credo di essere stato toccato dal Signore, o per lo meno non come intendi… "
Quelle parole e quello sguardo così mesto, rassegnato, ma improvvisamente sereno, furono per Jean il peggior colpo che potesse ricevere. Era pronto, anzi felice di affrontare l’odio di suo padre, il suo disprezzo, ma non la commiserazione, se ne sentì schiacciato. Strinse la mano attorno all’elsa della spada, trattenuta al polso dal cordino che poco prima, quello stesso uomo che lo compativa, gli aveva assicurato con orgoglio.  Al diavolo Girodelle e la sua inutile vita, era il sangue di suo padre che quella mattina avrebbe bagnato la sua lama, e poco importava che non avrebbe attuato la lenta vendetta che tanto a lungo aveva accarezzato, togliergli la vita sarebbe stato compiere la più antica delle giustizie, e se pure quell'atto avrebbe sancito definitivamente il suo ingresso all'inferno che lo attendeva, avrebbe almeno dato un senso a quello che già aveva attraversato.
"Non angustiatevi! " esclamò pertanto con tono tagliente "Vi aiuterò io a togliervi il dubbio, prendete la spada così che possa mandarvi a chiarire col diretto interessato… padre" aggiunse puntando la spada verso il Generale.
"Siete un essere spregevole Grammont!" sbottò Girodelle con tutto il suo disprezzo, frapponendosi fra i due con l'arma in pugno.
 "E voi ridicolo…" lo schernì Grammont senza degnarlo di uno sguardo.
"Fatevi da parte" lo ammonì d’Arvieux o chiunque diavolo fosse, portando la mano all’elsa, pronto ad ingaggiare.
"Mai!" ringhiò il Colonnello, mentre anche gli altri due gentiluomini del suo seguito si preparavano allo scontro.
"Victor! Ve ne prego…” La voce del Generale arrivò più come un ordine che una richiesta, ma non fu per questo che Victor obbedì. Il Generale lo aveva chiamato col suo nome, forse per la prima volta da quando si conoscevano, non con il rango né con il titolo: era la richiesta di un amico quella che gli aveva fatto e come tale non poteva rifiutarla. Quindi, pur pensando che Grammont non meritasse affatto di affidare ad un duello la sua sorte, ma dovesse semplicemente pendere da una forca, non poté fare a meno di rifiutarsi. A malincuore annuì stringendo la mascella e si fece da parte imitato dagli altri, in fondo era giusto che fosse il padre, ancor prima della Giustizia, a farsi carico del destino di quel figlio degenere.
Fissando Jean dritto negli occhi il Generale si sfilò la giacca e sfoderò la spada che come sempre portava al fianco; non ebbe il tempo di un respiro che il figlio gli fu contro. Fu un attacco fulmineo, preciso e potente, che niente aveva a che vedere con le scaramucce dei loro allenamenti e rivelava appieno le vere capacità di Jean.
Bloccò quel primo colpo e quelli a seguire, combinando un’abile serie di parate. Tuttavia, per quanto riuscisse a tenerlo a bada, fu comunque costretto ad arretrare senza poter trasformare. I movimenti di Jean erano agili, leggeri e precisi; alternava stoccate e affondi senza dargli spazio, ma l’esperienza consentì al Generale di trovare un’apertura e allora con un impercettibile quanto rapido movimento del polso insinuò la sua lama sotto quella di Jean, spezzandone il gioco senza però trasformare la risposta in un attacco. Ristabilito l’equilibrio riprese fiato, ma ben presto Jean veloce e instancabile tornò ad incalzarlo, tuttavia questa volta Augustin non si fece mettere alle strette, ma parò e contrattaccò respingendolo indietro. Concentrati l’uno contro l’altro i due uomini si studiavano, ma sebbene ugualmente attenti i loro occhi, tanto simili, avevano sguardi diversi che ne rispecchiavano appieno l’animo: freddo e determinato quello del figlio, ombroso e grave quello del padre.
Le lame tornarono a incrociarsi, ancora Jean fu all’attacco e ancora Augustin parò ogni singolo colpo deviando la spada ma senza cercare un vantaggio, benché, per provocarlo, Jean gli avesse appositamente offerto un’apertura.
“Adesso mi avete stufato, se non vi decidete a fare sul serio tanto peggio per voi” inveì allora Jean e con un affondo rapido e preciso puntò al viso del Generale, che si vide sfiorare la tempia ma ebbe la prontezza di arretrare e deviare il colpo, che scivolò ferendolo al braccio. Una macchia rossa si allargò sul tessuto lacerato, il Generale aggrottò la fronte, scosse la testa in un moto amaro e serrando la mascella si lanciò in offesa. Jean sorrise soddisfatto parando i colpi che ora il Generale portava avanti con enfasi destreggiandosi sapientemente tra affondi e finte. Lo scontro s’intensificò, un rivolo di sudore scese lungo la fronte di Jean mentre cercava un’apertura nella difesa del padre, ora inarrestabile nel suo ritmo. Con una serie di colpi veloci riuscì infine a procurarsi un varco. Strisciando il filo della sua lama su quella del Generale puntò dritto al suo petto; troppo tardi si accorse che la spada di Augustin era scivolata a un tocco dal cuore. Con angoscia capì di essere perduto. Spalancò gli occhi per la sorpresa quando non sentì la lama affondare: suo padre si era fermato un attimo prima di trafiggerlo… un ghigno beffardo gli affiorò sulle labbra.
“Stupido vecchio...” sussurrò e senza pietà gli piantò la spada all’altezza del cuore.
Augustin lasciò cadere la sua arma e si piegò sulle ginocchia, mentre Jean arretrando di un passo, con un movimento veloce estraeva la lama lasciandolo crollare.
Vedendo il Generale accasciarsi al suolo, Victor accorse al suo fianco seguito da Lassonne, che subito si adoperò attorno alla ferita cercando inutilmente di fermare il fiotto di sangue, mentre Jean, senza batter ciglio, guardava morire l’uomo che l’aveva messo al mondo, come già aveva fatto con colui di cui portava il nome.
Percependo la vita sfuggirgli, Augustin de Jarjayes chiese al dottore di smetterla di premere sulla ferita per risparmiarsi almeno quell’inutile dolore, non aveva paura, ma si sentiva stanco e immensamente triste. Volse lievemente il capo su un lato dove sapeva essere suo figlio, lo vide fissarlo e gli parve di scorgere qualcosa in fondo ai suoi occhi. Volle credere che fosse pena, non potendo immaginare che fosse solo curiosità. Jean lo guardava chiedendosi se anche lui prima di tirare le cuoia avrebbe rantolato come il suo patrigno, a parte questo ora come allora non provava nulla, o forse sì… qualcosa lo sentiva, un piacevole senso di sollievo…
Richiamato da d’Arvieux, che intanto aveva sguainato la spada, si pulì la lama sporca del sangue di suo padre sulla coscia, e volse la sua attenzione ai due uomini del seguito di Victor che gli si erano fatti dappresso con l’evidente intenzione di non lasciarli andare.
Non vide suo padre aggrapparsi con le ultime forze che gli erano rimaste alla camicia di Victor per chiedergli di lasciarli andare. Se lo avesse visto probabilmente ancora una volta avrebbe riso, pensando quanto sciocco fosse quel povero vecchio.
 
 
 
Lo svegliò il fragore del tuono. Aprì gli occhi, André, cercando di abituare lo sguardo alla pallida luce del nuovo giorno. Ancora frastornato, si tirò su con la schiena, rendendosi conto solo in quel momento che Oscar non dormiva al suo fianco. 
“Oscar?” la chiamò piano, voltandosi verso la finestra che, alla destra del letto, si affacciava sull’imponente Porta Cailhau[6].  Nel vederla in piedi, di spalle, una mano a toccare il vetro appannato, tirò un sospiro di sollievo, dandosi silenziosamente dello stupido per l’irrazionale inquietudine che lo aveva colto.
In realtà, non era la prima volta che quella sensazione irrompeva in lui, specie al risveglio, quando, ancora in bilico tra sogno e realtà, persino tra le braccia della sua donna faticava a ricordare di non essere più tra le tetre mura dell’Abbaye o nell’angusta stanza che gli era stata assegnata all’Hotel Dieu[7]. In quei momenti provava la medesima angoscia di quei giorni, lo stesso, identico terrore: vivere o finanche morire senza di lei.
Per un istante rimase a contemplarla, cercando di scacciare quei cupi pensieri che erano tornati a tormentarlo: non gli era mai sembrata così bella, la sua Oscar, con quella camicia un po’ troppo grande per lei, che lasciava scoperte le gambe flessuose e la pelle candida di una spalla... era quasi un raggio di luce, in quella mattina di maggio insolitamente buia e piovosa dopo la calura dei giorni passati[8].
 D’impulso scese dal letto e la raggiunse, avvolgendola da dietro con il calore del suo abbraccio.
“Che fai, adesso mi rubi i vestiti?” osservò con tono scherzoso, sfiorandole il collo con le labbra.
A quel contatto, Oscar sussultò.
“Perdonami, non volevo spaventarti… pensavo che mi avessi sentito” farfugliò dispiaciuto.
“Oh no, scusami tu… ero sovrappensiero” mormorò lei, voltandosi con un sorriso tirato.
“Va tutto bene?”
“Sì… certo”.
Il tono evasivo e lo sguardo assente con cui gli aveva risposto, tuttavia, non lo rassicurarono affatto.
“No, non è vero…” ribatté “Ti conosco, Oscar, c’è qualcosa che ti preoccupa. Se è per via dell’imbarco, vedrai che…”
“L’imbarco non c’entra” lo interruppe bruscamente la donna, scuotendo la testa “Anche se… non nego che mi sentirei più tranquilla se riuscissimo finalmente a trovarne uno accessibile per le nostre tasche…”
A quelle parole, André sospirò. Da giorni ormai non faceva che maledire il momento in cui le aveva proposto di dirigersi verso il più vicino porto de La Rochelle[9], raggiungibile in poco meno di un giorno da Poitiers, dove si erano fermati, anziché a Bordeaux come preventivato. Avrebbero così evitato ulteriori soste lungo la strada, guadagnando tempo e riducendo contemporaneamente il rischio di poter essere rintracciati. Tuttavia, non aveva fatto i conti con il suo vacillante stato di salute, e all’indomani del loro arrivo a La Rochelle, forse proprio per lo strapazzo di quell’interminabile giornata a cavallo sotto il sole, la febbre era tornata ad affliggerlo. Nel timore di una ricaduta Oscar si era rivolta a uno dei migliori medici della città, che aveva confermato le sue precarie condizioni e consigliato, per evitare una pericolosa ricaduta, un periodo di riposo assoluto. Rinviare la partenza, cercare un adeguato alloggio in città e pagare le cure necessarie, era stato dunque un obbligo che aveva intaccato non poco le loro finanze, costringendoli a ridimensionare i propri piani. Trovare un imbarco veloce a La Rochelle era infatti possibile solo se si era disposti a pagare una cifra ingente, diversamente i tempi di attesa si allungavano di molto.
Per questo motivo, non appena André era stato nuovamente in grado di viaggiare, erano tornati al progetto originario e si erano spostati a Bordeaux, nella speranza che un porto più grande offrisse loro maggiori opportunità di reperire velocemente e, soprattutto, a buon prezzo, un imbarco adatto alle loro mutate esigenze. La scelta era così ricaduta su navi mercantili di piccole dimensioni, meno richieste per quel tipo di viaggio e in più con il vantaggio di essere spesso sotto il comando di uomini più interessati alla moneta sonante che alla veridicità di salvacondotti che, per quanto ben contraffatti, avrebbero potuto dare adito a qualche sospetto in caso di un esame più attento.
Corse di quel tipo per le Antille o per il Canada, però, anche a Bordeaux erano vendute a peso d’oro e benché nessuno dei due volesse dirlo ad alta voce, ogni giorno che passava era un ulteriore vantaggio per gli sgherri che il Generale, molto probabilmente, aveva messo sulle loro tracce.
“Se solo non avessi proposto La Rochelle...” mormorò sovrappensiero André.
“Non sarebbe cambiato nulla” osservò Oscar “La tua salute era ancora troppo instabile, ti saresti ammalato comunque, anzi quasi sicuramente sarebbe accaduto durante il viaggio e allora…” la voce s’incrinò, non riusciva nemmeno a concepire un’eventualità tragica come quella a cui stava pensando “Se ti fosse capitato qualcosa durante la traversata, io…” scosse la testa come per cacciare quel pensiero “è stato meglio così…” concluse in un soffio, aggrottando la fronte.
A quelle parole, il volto di André si addolcì. Sovente, nelle ultime settimane, si era domandato come avesse mai potuto, in passato, dubitare dell’amore di Oscar al punto da mettere in discussione il loro legame, lasciandosi sopraffare dall’orgoglio, dalle sue misere frustrazioni, dalla sua assurda gelosia nei confronti di Victor. Dio solo sapeva quanto doveva averla fatta soffrire con le sue scelte, con la sua ottusa durezza… e quanto ancora stesse soffrendo, ritenendosi ingiustamente responsabile delle azioni di suo padre.
“Hai ragione, forse è stato meglio così…” convenne con dolcezza, mentre lei si limitava ad annuire senza guardarlo.
“Oscar… guardami” disse allora, sollevandole delicatamente il mento con la punta delle dita e fissando lo sguardo nel suo “Qualunque cosa fosse successa durante il viaggio, non avresti avuto colpe né tanto meno ne hai per le azioni di tuo padre.  È stato lui a imprigionarmi, non tu… e per motivazioni che vanno ben al di là del nostro legame”.
Oscar sospirò. “Sì, lo so… ma ciò non toglie che sia stato tu a pagare il prezzo più alto e che io non ho saputo impedirlo”.
“Hai fatto l’impossibile, non continuare a tormentarti! E comunque quello che è stato non può essere cambiato, compreso l’aver dilapidato metà delle nostre sostanze per farmi stare a riposo tra morbidi cuscini” chiosò ironico, staccandosi da lei e strappandole un sorriso. “Adesso però rispondimi, ti prego… è solo il passato ad affliggerti o c’è dell’altro?”
“Non è nulla d’importante, André…”
“Non si direbbe”.
Con un gesto nervoso, Oscar si ravviò un ricciolo ribelle dalla fronte e si scostò dalla finestra, avvicinandosi a un piccolo tavolo di legno tarlato su cui la proprietaria della locanda dove ora alloggiavano – un donnone corpulento e dai modi spicci – aveva lasciato una brocca d’acqua e un catino la sera prima. Senza dire una parola si sciacquò il viso e lo tamponò con un panno di cotone ruvido, sotto lo sguardo preoccupato di André.
“Oscar…” la incalzò.
Per tutta risposta, ella si spostò verso di lui e gli prese una mano, intrecciando le dita alle sue.
“Baciami, André” disse, rivolgendogli uno sguardo così intenso e magnetico che fece accantonare all’uomo ogni altro argomento.
Obbedì, André, posando le labbra su quelle ancora umide di lei… e in quel momento fu solo il sapore di Oscar, il suo profumo, il suo respiro.
Il bacio si fece più profondo, la mano, risalendo alla nuca di lei, affondò nell’oro dei suoi capelli… la attirò a sé. Quasi fu colto da un senso di vertigine nel sentire quel corpo morbido e caldo aderire al suo. E quando le braccia di Oscar gli furono al collo e una sua coscia si levò a cingergli il fianco, il respiro gli si spezzò. Gemette… e la dolcezza cedette il passo all’urgenza, il languore alla foga. La schiacciò contro il muro e si avventò su di lei, le mani febbrili a cercarne la pelle, la bocca a suggere con avidità, mentre le dita di Oscar impazienti scendevano a sciogliergli le brache e deboli lamenti si levavano dalle sue labbra. Non resistette oltre, André, a quel muto invito: le sollevò i fianchi e si spinse in lei, fino a perdere se stesso fra le sue braccia.
 
“Sarà il caso di vestirci… o per lo meno di tornare a letto”.
Erano scivolati a sedere sul pavimento, i corpi ancora allacciati e scossi, mentre la pioggia continuava a battere sui vetri, impetuosa come la passione che li aveva travolti fino a pochi istanti prima.
Oscar mugugnò qualcosa in segno di protesta.
“Sei gelata, ti prenderai un malanno!” ribadì perentorio André, sciogliendosi, seppur a malincuore, dal tepore del suo abbraccio.
Oscar rise. “Semmai sarà il contrario, non sono io ad esser reduce da una polmonite…” constatò “E solo per questo ti darò retta!” concesse alzandosi e sistemandosi la camicia che Andrè le aveva slacciato in cerca del suo seno.
Solo per questo?” ripeté divertito André inarcando un sopracciglio, mentre ancora seduto ai suoi piedi, con un’espressione sfrontata allungava una mano a sfiorare con la punta delle dita la coscia, laddove la pelle era più morbida e sensibile. “Ne sei proprio sicura?” le sussurrò suadente.
“Assolutamente sì!” lo sfidò lei ritraendosi e cercando di celare, dietro un’occhiataccia, il brivido di piacere che il suo tocco le aveva provocato “Anche perché, visto l’attuale stato delle nostre finanze, una nuova degenza la dovresti trascorrere in un sanatorio, il che, tra l’altro, mi farebbe sentire terribilmente in colpa…”
André la fissò per un momento, incassando la frecciata, quindi reclinò il capo all’indietro e scoppiò in una risata chiara, profonda e sincera, che le scaldò il cuore.  Rise a sua volta, Oscar, mentre lui attirandola a sé la circondava in un abbraccio.
Stringendola, Andrè pensò che troppo rare fossero le sue risate, che amava la sensazione che provava nel vederla ridere, che amava ogni cosa di quella donna unica e speciale che gli riempiva il cuore e i sensi ed ogni pensiero. Ancora col sorriso sulle labbra s’infilarono sotto le coperte ormai gelide.
“Vieni qua, ti scaldo io!” esclamò André, cingendole le spalle con un braccio, mentre Oscar si sistemava in quel nido accogliente e chiudeva gli occhi per assaporare la sensazione di tranquillità che gli dava sentire il battito del suo cuore.
Andrè le accarezzò la nuca e le baciò i capelli. Rimasero così per un po’, a bearsi l’uno dell’altra, finché lui non si accorse che Oscar aveva riaperto gli occhi e fissava persa un punto nel vuoto “Oscar… vuoi dirmi una buona volta cos’è che ti impensierisce?” mormorò allora con tono gentile ma fermo, mettendosi a sedere e puntando gli occhi nei suoi “E non negare di nuovo, ti prego…”
“Sono solo pensieri stupidi, André… nulla d’importante” tergiversò lei, distogliendo lo sguardo.
“Mi risulta difficile crederlo, vedendoti”.
“Ti assicuro che non è niente di cui tu debba preoccuparti”.
A quell’affermazione André tacque per un istante, soppesando le parole da usare: conosceva profondamente Oscar, forse più di quanto conoscesse se stesso e sapeva che dietro quell’ostinata reticenza gli stava nascondendo qualcosa, il blu inquieto dei suoi occhi non mentiva… non poteva lasciar cadere di nuovo la questione.
“Parlamene” disse pertanto, cercando di nuovo lo sguardo di lei “Parlamene comunque… parlamene anche se ritieni che sia qualcosa di stupido o di poco importante”.
Oscar sospirò. Aveva pronunciato quella richiesta senza enfasi, André, senza cambiare tono, ma con una fermezza e una determinazione che non potevano essere ignorate.
“E sia…” capitolò cupamente “Stanotte ho sognato mio padre”.
“Tuo padre?” ripeté perplesso André.
“Sì…” confermò la donna con un sussurro, tornando a raggomitolarsi contro di lui e posando la guancia sul suo petto “All’inizio ero nel mio ufficio, a Versailles, anche se non indossavo la mia solita uniforme ma una blu, simile a quella del tuo reggimento ” cominciò a raccontare “poi, all’improvviso, entrava un soldato con un messaggio... qualcuno aveva ferito mio padre nella sua carrozza ed io dovevo correre da lui. E ci sono andata André, ci sono andata cavalcando come una pazza… ma quando sono arrivata… era troppo tardi”.
Nel sentire la voce di lei tornare a incrinarsi, un velo di mestizia offuscò il viso di André.
“Oscar… mi dispiace” mormorò, stringendola ancora più a sé.
“E di che cosa? Di un sogno?” sorrise con amarezza lei.
“Non di un sogno, ma di quello che esprime” replicò André “Non importa quanto tu sia adirata con lui per quello che ha fatto, tuo padre resta comunque l’uomo che ti ha dato la vita, l’uomo che ti ha forgiato e reso la splendida donna che sei… non puoi cancellare con un colpo di spugna tutto questo o l’amore che provi nei suoi confronti”.
“Cosa c’entra…”
“C’entra, invece, perché io credo che tu stia soffrendo più di quanto sia disposta ad ammettere per la sua lontananza… a maggior ragione con la prospettiva di doverti separare per sempre da lui senza aver avuto modo di rappacificarvi”.
“Non è soltanto per questo…” sbottò irrequieta Oscar, stendendosi sulla schiena e fissando il soffitto “Vedi, nel sogno i servitori parlavano di un uomo misterioso, un bandito con una maschera che aveva trafitto mio padre. Io non so come riuscivo a trovarlo, André… iniziavo a inseguirlo a piedi per le strade di Parigi, fino ai vicoli più malfamati, e poi sui tetti, saltando da un palazzo all’altro, ma non riuscivo mai a raggiungerlo… poi, all’improvviso, si è fermato in un punto dove non potevo arrivare e si è voltato verso di me, scoppiando a ridere. Io gli urlavo di scendere e di combattere, di avere il coraggio di affrontarmi se era un uomo, ma lui continuava a ridere… finché non si è tolto la maschera e ho scoperto che era… mio fratello”.
“Jean?” domandò sorpreso André.
“Sì, proprio Jean… e… mi domando se questo voglia dire qualcosa”.
“Di certo che non ti fidi di lui, ma mi stupirei del contrario” rispose pragmatico André, voltandosi su un fianco e piegando un braccio sotto la testa per meglio guardarla“In fondo è spuntato dal nulla e poco conosciamo del suo passato, se non quanto riportato da lui stesso… eppure è innegabile che senza il suo aiuto non saremmo qui”.
Oscar sospirò e si mise a sedere, strofinandosi gli occhi con il palmo delle mani. “Sì, è vero,”disse poggiando la testa sulle ginocchia che si era portata al petto e voltandosi a guardarlo “è stato Jean a rendere possibile la tua liberazione… ma se avesse avuto un secondo fine?”  
 “E quale, di grazia? Se non ricordo male, mi hai raccontato che inizialmente si era rifiutato di intervenire, temendo di perdere il favore di vostro padre…” replicò André.
“Sì, però chi mi dice che la sua non sia stata tutta una finzione? O che magari ci abbia ripensato, proprio perché aveva più da guadagnare che da perdere dalla mia partenza?” s’infervorò lei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli “Rifletti, André: mio padre avrebbe sempre potuto cambiare idea sulla faccenda dell’eredità… ma ora, con me lontana e fuori da ogni gioco, dopo che l’ho sfidato apertamente e sono fuggita con te…”
“Jean non avrebbe più alcun ostacolo ai suoi progetti” concluse per lei André “Tuttavia, sei davvero convinta che voglia questo? Essere l’erede di tuo padre? In fondo non ha bisogno del rango dei Jarjayes: il suo è un nome di tutto rispetto, il suo casato è antico e illustre, e sua moglie è nipote di un ex-Governatore, quanto alla fortuna… ebbene, certo i Grammont hanno perso la loro, ma lui ha saputo ricostruirla, almeno in parte, e per quanto non sia paragonabile a quella della tua famiglia…”
Oscar scosse la testa.
“Non lo so, non so più niente, André! A volte, quando faccio queste considerazioni, mi sento persino in colpa nei suoi confronti, se ripenso all’aiuto che ci ha dato! Eppure c’è una zona d’ombra in lui, qualcosa che mi sfugge… e questo non mi piace”.
“In effetti, nelle rare occasioni che ho avuto di imbattermi in lui e da quanto mi hai riferito, sembra una persona ambigua o per lo meno abile a nascondere ciò che davvero pensa dietro una maschera di apparente cortesia… ma da qui a ipotizzare che possa fare del male a tuo padre come hai sognato…”
“E se non fosse chi dice di essere?”
“Un dubbio legittimo ma improbabile. Siete due gocce d’acqua, Oscar, tanto che dopo aver saputo che eravate fratelli, mi sono stupito di non aver notato prima la somiglianza che c’è tra di voi. E poi tua madre ha indirettamente confermato il suo racconto: Elodie de Jarjayes era già incinta di tuo padre quando abbandonò palazzo Jarjayes e tu sei stata concepita poco dopo… tutto torna, in effetti, anche la manciata di mesi che vi separa”.
“Una manciata di mesi che ha segnato per sempre il mio destino e soprattutto quello di Jean. Da quanto ho capito, la sua non è stata una vita facile”.
“Nemmeno la tua, se è per questo”.
“Sì, ma non è la stessa cosa. E soprattutto mi chiedo se questo possa essere per lui motivo di… risentimento”.
A quelle parole, d’impulso André si tirò su a sedere e le prese le mani tra le sue.
“Oscar, ascoltami… “ mormorò con dolcezza “Capisco i tuoi dubbi e in buona parte li condivido, ma tuo padre non è uno sprovveduto e, soprattutto, se Jean avesse voluto fargli del male, avrebbe già agito di conseguenza. Un conto è provare del rancore nei suoi confronti, un conto trasformarsi in un assassino come nel tuo incubo. Lo hai detto tu stessa: ha più da guadagnare che da perdere con la tua fuga. Forse, più che al denaro mira a prendersi in società e soprattutto nel cuore di tuo padre il posto che ritiene suo di diritto…”
“Sì, probabilmente è così…” convenne Oscar “Ma vedi…”
S’interruppe, sentendo bussare alla porta.
“Monsieur Deproix, sono io, Marie! Aprite, devo consegnarvi una cosa!”
“È Madame Lescaut!” disse Oscar, posando i piedi nudi sul pavimento “Che cosa vorrà a quest’ora? Vado ad aprirle!”
“No, aspetta, non così!” la fermò André.
“E perché mai, di grazia?” fece disorientata lei.
“Perché hai deciso di chiamarti Xavier Deproix, invece di Amelie o Elenoire o che so… Danielle! Se mi avessi dato ascolto e scelto un’identità femminile, ora potresti anche aprire la porta con indosso solo la mia camicia suscitando tutt’al più un’occhiata scandalizzata, ma dal momento che sei Xavier Deproix, a meno che tu non voglia far saltare la nostra copertura o nella migliore delle ipotesi togliere a Madame ogni residuo dubbio sul fatto che siamo due depravati, è meglio che vada io…”
 “Guarda che se avessi scelto di prendere un’identità femminile, ti garantisco che avremmo dato molto più nell’occhio! Mi sarei sentita un pesce fuor d’acqua, non è il momento di essere ciò che non sono mai stata!”
“Va bene, adesso non è questo il problema!” ribatté André, alzando gli occhi al cielo mentre recuperava la giubba ai piedi del letto e la indossava sul petto nudo. Subito dopo, quindi, si avvicinò alla soglia e schiuse appena la porta per dare modo a Oscar di ricomporsi senza essere vista.
“Madame Lescaut, buongiorno!”esclamò con affettazione, sfoggiando il suo miglior sorriso.
“Oh, buongiorno monsieur La Ville… “ rispose la locandiera, lanciandogli un’occhiata perplessa “Cercavo monsieur Deproix… non c’è?”
“Mio cugino sta ancora dormendo… complice la bottiglia di buon vino che ci avete dato ieri sera a cena” replicò ammiccando André “Di qualsiasi cosa si tratti, dite pure a me”.
“Oh sì, certo…” borbottò la donna, tirando fuori un biglietto da una tasca della gonna “Hanno lasciato questo per lui”.
“Per Xavier?” fece stupito André.
“Sì, mi hanno fatto proprio il suo nome” rispose la donna cercando di sbirciare nella stanza oltre la spalla di André.
 “Allora grazie… non appena si sarà svegliato, sarà mia premura consegnarglielo”.
“Ecco… non saprei” obiettò la donna “L’uomo che mi ha consegnato questo biglietto si è raccomandato di recapitarlo a lui in persona”.
“Ma io sono suo cugino, non certo un estraneo!”
Madame Lescaut per un momento rimase in silenzio, soppesando il da farsi. “Oh, be’… forse avete ragione” convenne infine, porgendogli il biglietto “Allora dateglielo… e se volete far colazione, vi attendo di sotto. Ho preparato i croissant, so che voi parigini ne siete ghiotti…”.
“Oh sì ! È vero!” esclamò André con tono sognante “A Parigi non c’è uomo, donna o bambino che non li adori… Vi ringrazio, ma al momento sono ancora sazio da ieri sera… il vostro arrosto era davvero delizioso, madame, degno del compianto monsieur Vattel!” replicò affabile.
“Ne sono lieta” rispose la locandiera con un sorriso compiaciuto “ Allora i miei ossequi, signore” e si congedò accennando una goffa riverenza.
Sollevato, André richiuse la porta e si voltò verso Oscar, che nel frattempo si era alzata dal letto per infilarsi un paio di calzoni.
“Che cosa significa?” le domandò porgendole il biglietto.
Per tutta risposta, Oscar quasi glielo strappò dalle mani.
“Sì! Finalmente!” esclamò, non appena ebbe finito di leggere, con un entusiasmo che André non le vedeva da tempo “Non ci crederai, ma finalmente abbiamo un imbarco!”
“Davvero?” fece incredulo lui.
“È del quartiermastro della Misericordia, non so se ti ricordi… quel vascello che fa la spola tra Bordeaux e Saint Domingue”.
“Abbiamo parlato con così tante persone e visto altrettante navi, che il nome mi dice poco!” replicò André allargando le braccia.
“Forse perché non ci sei mai salito a bordo… eravamo arrivati qua da poco e ancora non ti eri rimesso completamente, per cui ero andata da sola. Però te ne avevo parlato” gli rammentò Oscar con un sorriso.
 “Non me lo ricordo proprio... Immagino tuttavia che tu abbia ricevuto un rifiuto in quell’occasione”.
“All’inizio sì: avevo parlato proprio con il quartiermastro e mi aveva detto che non sono soliti imbarcare passeggeri, salvo poi cambiare idea dopo essersi consultato con un altro uomo dell’equipaggio. Non che mi avesse dato molte speranze, ma mi aveva promesso di contattare il suo capitano e armatore, che da quanto ho capito, al momento è lontano da Bordeaux”.
“Bene! A quanto pare ha dato il suo assenso!”esclamo André felice “Ti ha scritto anche per quando è prevista la partenza?”
“In realtà no… ma mi ha dato appuntamento per le dodici sul pontile. Suppongo che sia per parlarne”
“Allora sarà il caso di finire di vestirci e andare, Oscar”.
A quelle parole, Oscar lo guardò come se fosse impazzito.
“Non credo proprio! Sarò io soltanto ad andare, André… Sta diluviando, non vorrai ammalarti di nuovo?”
“Oscar…”
“No, non se ne parla!” s’impuntò lei “Voglio che tu resti qui… “
André sospirò.
“Immagino che non abbia alcuna speranza che tu possa cambiare idea…”
“Nessuna” replicò la donna, gettandosi il mantello sulle spalle.
“E sia… “ sospirò “Vorrà dire che scenderò ad assaggiare i croissant di Madame Lescaut e te ne terrò uno da parte“ mormorò  chinandosi a lambirle la fronte con le labbra “Ma tu non metterci troppo”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Il duello tra gentiluomini prevedeva la presenza di due padrini per parte cui spettava il compito di organizzare la sfida nel rispetto delle regole cavalleresche, scegliere il luogo adatto, regolarne le condizioni e condurla a termine. In particolare questi compiti spettavano al secondo accompagnatore, anche detto padrino, che in particolarissimi casi poteva anche sostituirsi al primo (ossia al duellante) nel combattimento.  Il testimone aveva invece compito di sola osservazione. Il padrino, visto la particolare importanza del suo ruolo doveva essere una persona di rango pari al primo e di eccellente reputazione. Al testimone e al secondo si aggiungeva infine il medico ("Codice italiano sul duello scritto dal professore di scherma cav. Luigi de Rosis", di Luigi De Rosis).
[2] Il Padrino poteva ricevere dal primo due tipi di mandato: il mandato libero, in cui l'offeso delegava il suo padrino a regolare il duello secondo le modalità che credeva e si impegnava ad attenersi a tutto ciò che questi decideva con il padrino dell’avversario, da un eventuale accomodamento alla scelta dell’arma, delle condizioni ecc.; il mandato speciale dove invece il padrino doveva attenersi a condizioni precise date dal primo ("Doveri del secondo nel duello"di Teodoro Pateras”).
[3] Capitolo VII - I lacci del destino
[4] Codice Cavalleresco italiano. Achille Angelini
[5] Codice italiano sul duello scritto dal professore di scherma cav. Luigi de Rosis
[6] Antica porta d’ingresso di Bordeaux, risalente al XV secolo e costruita a pochi passi dalla Garonna in stile gotico.
[7] Per chi non lo ricordasse, visti i nostri tempi biblici di aggiornamento: per volontà del Generale, André era stato imprigionato nell’Abbaye (come succede nell’anime ad Alain e i suoi compagni per non aver voluto obbedire agli ordini di Bouillé) e in un secondo momento, date le sue precarie condizioni di salute, era stato trasferito in un ospedale destinato ai soldati, ossia l’Hotel Dieu.
[8] Come riporta il testo “I più grandi eventi meteorologici nella storia”, di Paolo Corazzoni, la primavera del 1788 fu eccezionalmente calda e asciutta in gran parte dell’Europa, raggiungendo temperature di 32-34 gradi nel mese di maggio e giugno. La Francia fu duramente colpita dalla siccità, specie al sud; in alcune zone non piovve mai, in altre le scarse precipitazioni ebbero per lo più carattere temporalesco. Il risultato fu che il livello dei fiumi scese a tal punto da non garantire l’irrigazione dei campi né la loro navigabilità, pregiudicando il raccolto e gli scambi commerciali.
[9] La Rochelle, con gli altri porti situati lungo l’estuario della Gironda, tra cui soprattutto Bordeaux, era una delle teste di ponte della tratta Atlantica.

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Capitolo 24
*** La rete ***


La rete

Un timido raggio di sole si era appena affacciato nel cielo livido, quando Oscar riuscì finalmente a raggiungere la Chapelle des Chartreux de Vauclair[1], il luogo indicato dal quartiermastro della Misericordia per il loro appuntamento.
In realtà, non era stato difficile per lei trovare quella piccola cappella che si ergeva ai margini del vivace quartiere degli Chartrons[2]: troppe volte aveva percorso il lungofiume lasciandosi alle spalle la possente Port Cailhu[3], per proseguire lungo la sponda sinistra della Garonna, lì dove il fiume descriveva una curva panciuta su cui s’innalzavano, maestosi, i palazzi di pietra antistanti al porto[4].
In quelle occasioni, per quanto spesso scoraggiata dall’esito negativo del suo peregrinare, amava farsi cullare dalla voce sommessa della Garonna, che scorreva placida sotto di lei; le piaceva respirarne l’odore salmastro che pervadeva l’aria, lasciando  vagare lo sguardo sulle acque azzurrognole punteggiate di navi, in cerca della riva opposta, così distante da ingannare l’occhio e dare l’illusione di essere sul mare.
Quel mattino, però, le acque del fiume erano grigie e tumultuose e una fitta nebbia le impediva di distinguere persino l’imponente sagoma del palazzo Trompette[5] che a breve distanza dal punto in cui si trovava, abbracciava l’intero perimetro della piazza intitolata a Luigi XVI.
Con un gesto nervoso, estrasse dalla tasca l’orologio – uno degli ultimi regali di suo padre, si ritrovò a pensare con una punta di malinconia – maledicendo, per l’ennesima volta, la pioggia caduta con forza fino a dieci minuti prima: mezzogiorno era ormai passato da un pezzo, a poco era servito partire in anticipo, rinunciando ai croissant di Madame Lescaut e agli ultimi baci di André. Durante il tragitto, infatti, era stata costretta a fermarsi più volte in cerca di un riparo, con il risultato di ritrovarsi non solo bagnata dalla testa ai piedi, nonostante il mantello e gli stivali unti di grasso, ma anche in ritardo, impiegando più di un’ora per un tragitto che a malapena ne richiedeva mezza[6].
Si guardò intorno, non senza una certa preoccupazione. La banchina – una larga distesa di ghiaia e sabbia, priva di parapetti e pontili, che digradava dolcemente verso il fiume[7]– era pressoché deserta, svuotata di quella variegata umanità che solitamente l’affollava nelle ore di punta. Solo alcune gabares[8] avevano ripreso a far la spola tra le navi ancorate al largo e la terraferma, approfittando della momentanea tregua del tempo, per trasportare a riva oppure prelevare dai magazzini grandi barili carichi di merci.
 Di monsieur Deren, il quartiermastro, non c’era traccia.
Oscar si augurò che l’uomo non fosse ripartito, non vedendola arrivare… magari aveva incontrato le sue medesime difficoltà, tanto più se il temporale lo aveva sorpreso a bordo della Misericordia, all'ancora nel bel mezzo della Garonna, piuttosto che in qualche bettola degli Chartrons. Respinse invece con forza la possibilità, in verità nemmeno così remota, che con quel tempo da lupi avesse preferito rinunciare all’appuntamento: da troppi giorni lei e André aspettavano quel dannato imbarco e non poteva certo sfumare per un po’ di pioggia! Una pioggia che peraltro, ironia della sorte, entrambi avevano invocato per scongiurare il rischio che il livello del fiume potesse calare ulteriormente a causa della siccità, rendendone impossibile la navigazione fino a mare aperto[9].
Nella speranza che Deren si presentasse, quindi, decise di aspettare ancora qualche minuto prima di rientrare alla locanda e per ingannare l’attesa iniziò a seguire le operazioni di carico di una gabare attraccata nel frattempo sulla riva. Era la prima volta che osservava con attenzione qualcosa del genere e non poté fare a meno di ammirare la rapidità e la perizia con cui i quattro uomini dell’equipaggio stavano svolgendo le rispettive mansioni: mentre due di loro avevano il compito di prelevare man mano dei barili da un piccolo magazzino costruito sulla sponda del fiume, gli altri dovevano farli rotolare fino a una rudimentale passerella di legno, che era stata improvvisata appoggiando alcune assi tra il terreno e l’imbarcazione, per stiparli così a bordo. I barili sembravano piuttosto pesanti, eppure grazie a quel sistema la chiatta era già a metà della sua capienza e probabilmente sarebbe ripartita in breve tempo se un banale incidente non avesse interrotto bruscamente il caricamento delle merci. Uno dei due uomini preposti alla fase finale, infatti – un  marcantonio biondo alto almeno sei piedi – spingendo con troppa foga il suo barile rischiò di travolgere il compagno che lo precedeva ai piedi della passerella.
“Maledizione, Gaston, stai più attento!” s’inalberò questi, un giovane lentigginoso dalla folta zazzera rossa “Per poco non mi schiacciavi un piede!”
“Non puoi rimanere  impalato come uno stoccafisso in mezzo al passo, idiota di un irlandese!” ribatté a brutto muso il marinaio biondo.
“E tu non puoi infischiartene di dove vanno a finire i barili che spingi, pezzo di cretino! Se non c’ero io a fermarlo, mandavi tutto in malora!” insisté il ragazzo avvicinandosi minacciosamente, per nulla intimorito dalla stazza del compagno.
Di fronte a quella scena era difficile restare seri: soffocando una risata per non attirarsi qualche improperio da parte dei due litiganti, Oscar si girò dalla parte opposta, fingendo di osservare con particolare interesse la facciata della cappella, proprio mentre un uomo basso e tarchiato spuntava fuori da un magazzino vicino, attirato dagli schiamazzi.
“Adesso piantatela, voi due, o quando torniamo sulla nave giuro che vi faccio frustare a sangue! Forza, continuate a caricare… e tu, Gaston, smettila!” tuonò adirato.
“Ma Simon, è stato O’Riley a iniziare!”
“E ha fatto bene! Ti ricordo che questi barili sono pieni di vino e devono arrivare a Port au Prince sulla tavola del Governatore… tutti! Ti è chiaro?”
Simon…  D’impulso Oscar si voltò verso la banchina, schiudendo le labbra in un sorriso alla vista del nuovo arrivato.
“Monsieur Deren, finalmente!” esclamò sollevata, affrettandosi a raggiungere l’uomo sulla battigia.
Per tutta risposta Simon Deren, quartiermastro della Misericordia, la squadrò da capo a piedi con un’espressione ostile.
“E voi chi diavolo siete?”
“Ma come, non mi riconoscete?” si meravigliò lei, abbassando il cappuccio del mantello.
Soltanto alla vista del suo capo biondo, un guizzo si accese negli occhi scuri del quartiermastro.
“Ah… sì, Monsieur Deproix! Perdonatemi, così conciato non vi avevo riconosciuto!” disse allora, usando un tono più cordiale “E per dirla tutta, non pensavo che vi sareste presentato con questo tempo…”
“Ho avuto il medesimo pensiero riguardo a voi…” replicò affabile Oscar “Fortunatamente, la pioggia ci ha concesso una tregua e possiamo approfittarne per parlare degli ultimi dettagli... magari davanti a un buon boccale di birra, se lo gradite”.
“Berrei volentieri con voi, monsieur, ma oltre ad avere a disposizione poco tempo, temo che non ci sia più niente di cui parlare” obiettò Deren scrollando le spalle.
Oscar lo guardò perplessa.
“Che cosa volete dire?”
“Voglio dire che non se ne fa più nulla, mi dispiace. Perdonatemi se non vi ho fatto avvisare, ma con tutto il trambusto che c’è stato stamane, me ne sono dimenticato”.
“Ma… se proprio questa mattina mi avete mandato un biglietto, sostenendo che potevate imbarcare me e mio cugino!”
“Vi sbagliate, non questa mattina ma ieri sera, monsieur" puntualizzò Deren "ma voi dormivate già alla grossa…In ogni caso, ora più ora meno, fa poca differenza: le cose sono cambiate e non posso più ospitarvi a bordo”.
“Come sarebbe a dire, maledizione!” sbottò allora Oscar alzando la voce.
“Non sono tenuto a darvi spiegazioni, monsieur, è così e basta” tagliò corto il quartiermastro “Mettetevi il cuore in pace e cercate un’altra nave”.
“Se è una questione di soldi, vi assicuro che posso pagare! Anche  adesso!” insisté lei, tirando fuori un sacchetto nero che cercò di allungargli.
Deren si ritrasse infastidito.
“I soldi non c’entrano nulla, anzi vi consiglio di rimetterli in tasca prima che qualcuno li noti e vi pianti un coltello in pancia per derubarvi… Semplicemente, sono cambiati gli ordini e non possiamo più imbarcare passeggeri, mi dispiace. Non fatemi perdere altro tempo e non perdetelo voi, visto che avete tanta urgenza. Cercate altrove piuttosto, troverete certamente qualcun altro!”
Quelle parole, pronunciate con brutale indifferenza, dopo che in quelle ore aveva maturato la convinzione che finalmente la   nuova vita oltreoceano  che lei e André sognavano stava per iniziare, le arrivarono come un pugno nello stomaco.
“NO, dannazione !” esclamò in un misto di rabbia e disperazione “Voglio parlare con il vostro capitano!”
“Adesso basta! Mi avete stancato!” ringhiò spazientito Deren “Sparite immediatamente o giuro che…”
“Che diavolo sta succedendo qui?”
A quelle parole, Oscar sgranò gli occhi voltandosi di scatto, incredula... Solo un uomo conosceva con quel timbro di voce caldo e tagliente, eppure per un istante faticò a riconoscerlo: vestito con un habit di raso marrone e una camicia di cotone priva di rouches o pizzi, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, Jean de Grammont sembrava molto diverso dall’elegante gentiluomo che aveva incontrato per la prima volta a Palazzo Jarjayes soltanto qualche mese prima. Persino il suo sguardo azzurro, così penetrante, così dannatamente simile a quello di suo padre, aveva qualcosa d’insolito… qualcosa che andava ben al di là della reciproca sorpresa, ma che in quel momento non riuscì  a decifrare.
“Oscar?!” esclamava nel frattempo suo fratello, altrettanto stupito.
Simon Deren lo guardò confuso.
“Lo conoscete, capitano?"
Jean sorrise.
 "Ad occhio e croce direi proprio di sì" rispose poggiando una mano sulla spalla del suo quartiermastro, senza però staccare gli occhi dalla donna.
“Ma no capitano, vi sbagliate… Quest’uomo si chiama...”
Scuotendo la testa, Jean proruppe in una sonora risata.
Uomo? Oh no, amico mio, non direi proprio…  inizi davvero a invecchiare se è bastato un mantellaccio e un nome maschile a trarti in inganno!” lo canzonò divertito, avvicinandosi a Oscar e cingendole le spalle con un braccio, senza che lei, ancora frastornata, provasse a sottrarsi “Ebbene Simon” proseguì con sussiego “ho l’onore di presentarti il nobile, impavido e fiero Colonnello Oscar François de Jarjayes, ex comandante delle Guardie Reali di Sua Maestà la Regina, nonché… mia carissima sorella!
Sorella?! ” esclamò esterrefatto il quartiermastro “Una donna!?”
“Mi pare ovvio, dal momento che non ho parlato di fratelli, Simon… sebbene si potrebbe tranquillamente dire che mia sorella ha più attributi di molti uomini” lo punzecchiò Grammont con un’espressione sorniona “Adesso però spiegami per quale motivo le stavi urlando contro…”
La voce di Jean si era abbassata di un tono e per quanto ancora vagamente divertita aveva assunto un che di tagliente.
 Deren si fece pallido.
“Non lo avrei mai fatto se avessi saputo, capitano!" esclamò impacciato "A onor del vero stavo solo eseguendo i vostri ordini… ma la signora… vostra sorella… non aveva preso molto bene la faccenda dell’imbarco” si giustificò, visibilmente a disagio.
“Gli ordini? Vorresti dire che è  lei il gentiluomo che avremmo dovuto imbarcare?” domandò Jean aggrottando la fronte.
“O quantomeno questi erano gli accordi…” puntualizzò Oscar, riprendendosi finalmente dallo sconcerto che l’aveva ammutolita “ma a quanto pare, il capitano della Misericordia non era dello stesso avviso!”
“Solo perché non sapevo che si trattava di voi… mi pare ovvio che questo cambia tutto!” ribatté suo fratello, facendosi serio.
"Vi garantisco che è un sollievo saperlo…" disse Oscar sentendo sciogliersi la tensione  che poco prima le aveva contratto i muscoli e lo stomaco.
 “Piuttosto, che fate ancora qui a Bordeaux? Vi credevo ormai lontana dalla Francia…”
“André ha avuto una ricaduta e abbiamo dovuto rimandare la partenza. Cercare un  imbarco  si è poi  rivelato  più difficile di quanto immaginassimo”.
“Capisco… quindi il caso ha voluto che vi siate rivolti al mio quartiermastro, che…”
“… che dopo avermi  garantito un passaggio, si è rimangiato tutto dalla sera alla mattina” sintetizzò brusca la donna, lanciando un’occhiataccia verso Deren
“Spezzo una lancia a favore del buon Simon, assumendomi tutta la responsabilità di questo increscioso disguido” dichiarò Jean “Tuttavia, a mia discolpa posso dire che le circostanze possono mutare in un battito di ciglia: ero ancora a Parigi quando ho ricevuto una lettera, in cui mi veniva chiesta l’autorizzazione a imbarcare due passeggeri, e inizialmente avevo accettato… ma poi degli affari urgenti ed improvvisi hanno richiesto la mia presenza a Port au Price e poiché mia moglie, come ben sapete, ha un carattere  estremamente riservato, ho ritenuto inopportuno imporle la presenza di due estranei in uno spazio ristretto e già fin troppo affollato, quale è una nave”.
Il discorso non faceva una piega, pensò Oscar,  nelle rare occasioni in cui avevano avuto modo d’incontrarsi, Aurore de Grammont le era apparsa come una persona timida e solitaria, poco amante della confusione e della mondanità, tanto da essersi chiesta cosa avesse mai indotto un uomo spregiudicato e ambizioso come suo fratello a prenderla in sposa.
Il suo viso dovette tradire l'avvilimento che provava  in cuor suo mentre valutava quanto quelle parole rendessero l'invito del fratello una mera formalità dettata dall'educazione, cui, per lo stesso motivo, avrebbe dovuto seguire il suo declino dell'invito.
“Naturalmente ciò non vale per la vostra compagnia e quella di André” si affrettò infatti ad aggiungere  con entusiasmo Grammont  “La mia Aurore ha sempre manifestato un aperto apprezzamento verso di voi, Oscar: sono certo che sarà ben lieta di avervi accanto durante la traversata e non ho dubbi che André sarà altrettanto ben accetto”.
“Ne siete certo? Non vorrei mai essere di disturbo a madame Grammont” si costrinse a domandare lei, suo malgrado, non riuscendo a far a meno di accantonare quell'educazione che le imponeva un passo indietro.
 “Ne sono più che sicuro: la vostra presenza non potrà che esserle gradita” rispose con convinzione Jean “Quanto a me, sarò più che felice di avervi a bordo, sorella - concedetemi ormai  di chiamarvi così - perché viaggiare insieme sarebbe l’occasione per conoscerci meglio e recuperare in qualche modo ciò di cui siamo stati privati in questi anni. Se ancora lo desiderate, quindi, sarò lieto di avere voi e André come miei ospiti sulla Misericordia”.
Quelle parole vibranti e accorate dissolsero gli ultimi timori della donna.
“Oh sì, sì!” esclamò di slancio “Accetto il vostro invito, Jean, e vi ringrazio! Non so davvero come sdebitarmi, è la seconda volta che venite in mio aiuto…”
“Avrete modo di farlo prima o poi, non temete…” replicò Grammont con un mezzo sorriso “Ad ogni modo, dal momento che ho una certa urgenza di partire e so per certo che nostro padre ha ingaggiato degli uomini per scovarvi, credo che prima salpiamo da questo maledetto posto e meglio è”.
Oscar annuì.
“Datemi soltanto il tempo di tornare alla locanda per avvisare André  e prendere i bagagli”.
“A questo può pensare anche Simon… voi intanto potreste venire a bordo con me” le propose Jean “In questo modo, faremo una gradita sorpresa ad Aurore e avremo modo di parlare con calma e  trovare insieme la sistemazione più opportuna per il vostro compagno, dal momento che si trova ancora in una fase di convalescenza”.
Oscar tacque. In effetti, pur non volendolo ammettere con lei, André aveva bisogno di particolari attenzioni e farlo trovare di fronte al fatto compiuto avrebbe ovviato a qualsiasi sua protesta o tentativo di opposizione.
“Sì, forse è meglio fare come dite” convenne.
“Allora prego, sorella…!" esclamò l'uomo in tono solenne, indicando con un ampio gesto della mano la scialuppa ormeggiata a pochi passi dalla riva “La Misericordia ci aspetta”.
Insieme si avviarono verso la piccola imbarcazione e quando la raggiunsero Jean salì a bordo con passo fermo e senza esitazione, per poi voltarsi a tendere la mano verso la sorella.
“Riesco a fare da sola” ribatté lei con un sorrisetto ironico, avvicinandosi alla scialuppa.
“Insisto” replicò imperterrito Jean “Sorreggetevi a me, Oscar…vi prego”.
Oscar lo guardò per un lungo istante. Non c’era traccia di derisione o scherno sul bel volto virile, né ombre nello sguardo azzurro di suo fratello. Era lì, davanti a lei, e le tendeva la mano. Suo fratello le stava chiedendo di fidarsi.
“E sia” cedette alfine con un sorriso “ma solo per questa volta”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Questa cappella compare in una pianta del 1791 sul sito gallica.bnf.fr ed era quindi sicuramente in piedi all’epoca dei nostri; a oggi, però, non ne abbiamo trovato più traccia, probabilmente a causa dei continui rimaneggiamenti che cambiarono l’aspetto della città.
 
[2] Quartiere di Bordeaux, che deriva il suo nome da un monastero medioevale dei certosini e che all’epoca era sede di vasti magazzini per la stagionatura e lo stoccaggio del vino (per ulteriori informazioni, consultare Wikipedia francese alla voce omonima)
 
[3] Possente porta medievale, ma dal tetto slanciato con eleganti torrette e baldacchini sopra le nicchie, che anticamente dava accesso al Palazzo dell’Ombrerie (per secoli sede del Parlamento); presenta sul lato fiume un gruppo scultoreo, con Carlo VIII che tiene in mano lo scettro e il globo, il Cardinal d’Epernay, a fianco del re nella battaglia di Fournoue, e San Giovanni Battista, mentre alle basi delle finestre troviamo animali e chimere inquietanti.
 
[4] Bordeaux si trova a 22 leghe dalla foce della Gironda nell’ Atlantico, al centro di una vasta pianura quasi a livello dell’acqua alta. La Garonna descrive davanti alla città un ampio semicerchio, il cui centro corrisponde esattamente al centro della città, che sollevandosi interamente sulla sponda sinistra e poggiando sulla convessità della curva, copre un vasto spazio a forma di mezzaluna. Nella seconda metà del Settecento fu realizzato un restyling del porto, restaurando e abbellendo le facciate dei palazzi.
 
[5] Antica e imponente fortezza, costruita diverse volte e infine abbattuta nel 1818 per realizzare l’odierna Place des Quisconces.
 
[6] Confrontando cartine nuove e vecchie, il tragitto era all’incirca di 2,6 chilometri e a piedi, a passo spedito, richiedeva una mezz’ora di cammino.
 
[7] All’epoca non c’erano banchine verticali né parapetti: la sponda digradava dolcemente verso il fiume e barche leggere scaricavano le merci dalle numerose navi (a volte potevano essere addirittura cinquecento)ancorate nella Garonna.
 
[8] In italiano gabarra, ossia imbarcazione a fondo piatto (detto “suola”) destinata al trasporto merci in mare (gabarre o chiatte marittime) o per fiume (chiatte o gabarre fluviali). In particolare a Bordeaux le gabarre trasbordavano merci e botti di vino dai moli fino alle navi ormeggiate in mezzo al fiume
[9] Come riportato in una nota al capitolo precedente, nella tarda primavera del 1788 una grave siccità colpì la Francia, rendendo alcuni fiumi non navigabili.
 

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Capitolo 25
*** Persi ***


Persi
 
"Messier Fournier, di grazia, sapreste indicarmi un posto chiamato Le Pen Duick?[1]  Credo si trovi nei pressi dei moli… " s’informò Victor, fermandosi al bancone della conciergerie e infilandosi un paio di morbidi guanti di pelle bianca ricamati d'argento.
L'albergatore, un uomo alto e asciutto, vestito di verde e con una parrucca troppo calata sulla fronte bassa, lo guardò per un momento perplesso, chiedendosi cosa un gentiluomo tanto distinto dovesse andare a fare in un posto tanto malfamato. Avesse fatto il nome di una qualche elegante casa di piacere, avrebbe capito, ma per quanto ne sapeva Le Pen Duick era la più nota tra le bettole di Saint-Seurin[2], un postaccio per gentaglia in cerca di vino e compagnia a buon mercato. Tuttavia, faceva quel mestiere da troppo tempo per meravigliarsi più di tanto, del resto in una città come Bordeaux, dove ogni giorno transitavano centinaia di persone, gli affari e i gusti della gente erano quanto mai variegati, esattamente come la loro tipologia.
"Sì…" rispose quindi con cortesia, lieto di potersi rendere utile "Ma non si trova sul lungofiume, è a Saint Seurin, dalle parti di Rue Saint Martin. Alle spalle di Place Dauphin… "aggiunse per maggior chiarezza, notando l'espressione pensosa del suo ospite "Se volete, dispongo affinché siate accompagnato, quel posto è un dedalo per chi non è di Bordeaux…"
"No, vi ringrazio" rispose Victor "ma preferisco andare solo. Riuscirò a trovarlo. Piuttosto avete fatto preparare il mio cavallo?"
"Ma sì, sì… certo Signore! È fuori che vi aspetta." rispose con sussiego l'albergatore.
"Bene" ribatté Victor e senza aggiunger altro si voltò e uscì. In strada ad attenderlo accanto al suo Grigio, c'era un ragazzo esile, che appena lo vide si piegò in un inchino per poi porgergli le redini e tendergli la staffa. Victor montò in sella con un movimento rapido e dopo aver dato un'occhiata al cielo ancora carico di nuvole, lanciò una moneta al ragazzo e si avviò verso la sua destinazione.
Superata Rue Royale,[3] si lasciò alle spalle le linee ordinate degli eleganti edifici che si affacciavano sull'ampio spazio della nuova Place, per entrare poi nelle strette vie del centro di Bordeaux.
Fortunatamente aveva smesso di piovere, ma un fastidioso vento proveniente dall'estuario spazzava le strade della città, rese fangose da una miriade di piccole pozze che il temporale del mattino aveva disseminato un po' ovunque. Victor si passò le dita tra il collo e la camicia per allentare un po' la stretta della cravatta. Era stanco: stanco per il viaggio, stanco per quel tempo infame, ma soprattutto stanco di tutta quella dannata situazione che si augurava di chiudere quella sera stessa, ovviamente nel miglior modo possibile che, nelle sue intenzioni, prevedeva Jean de Grammont con la testa poggiata su un ceppo in attesa della mannaia.
Riportare a casa il corpo senza vita del Generale era stato uno strazio. Nell'arrivare aveva ordinato al cocchiere di non passare per il cancello d'onore ma dall'ingresso di servizio, cosicché, se la contessa fosse stata in giardino o presso una delle grandi finestre che davano sul parterre d'ingresso, non vedesse arrivare la carrozza e soprattutto discenderne il corpo di suo marito, ricoperto di sangue, portato a braccia dai domestici.
Era ovviamente conscio che sarebbe spettato a lui l'ingrato compito di darle la drammatica notizia e voleva farlo nel modo più delicato possibile. Per tutto il tragitto aveva pensato alle parole da usare, ma non ne aveva trovate, giungendo ben presto alla conclusione che non ce n'erano.
Madame Marguerite lo aveva ricevuto nel suo boudoir, una luminosa stanza deliziosamente arredata. Si era alzata da poco e si accingeva a prendere un caffè, avvolta in una sontuosa veste da camera di seta damascata. Al suo ingresso aveva congedato la cameriera che ancora le stava acconciando i capelli e con un sorriso cortese lo aveva invitato a farle compagnia ad un piccolo tavolo, dove su un vassoio d'argento faceva bella mostra di sé una fumante caffettiera panciuta circondata da delicate tazze di porcellana e un piatto ricolmo di piccole delizie. Dal suo atteggiamento era evidente che il marito le avesse taciuto del duello, il che rendeva ancora più difficile, se possibile, il suo triste compito. Rifiutato il suo invito, le aveva quindi annunciato di essere venuto per portarle notizie del Generale.
L'espressione della contessa si era fatta dapprima sorpresa e subito dopo attenta, supponendo, forse, che il giovane colonnello fosse venuto ad informarla di qualche importante faccenda che vedeva coinvolto Augustin e che magari lo avrebbe tenuto lontano. Tuttavia era rimasta tranquilla, non immaginando certo l'enormità di quanto stava per ascoltare. Facendosi forza Victor aveva quindi proseguito e sorvolando sui dettagli per non caricare d'ulteriore peso una vicenda che già nell'epilogo aveva il suo dramma, le aveva spiegato che quella mattina il Generale aveva preso parte ad un duello, che si era battuto con onore avendo dalla sua ragione e giustizia, ma che…
Era impallidita… Victor aveva visto i suoi occhi dilatarsi e la bocca aprirsi in cerca d'aria, mentre si portava al petto una mano stretta in pugno come a voler trattenere l'oppressione che doveva averla avvolta con la dolorosa violenza di una verità che non poteva essere accettata.
"È ferito?" gli aveva chiesto con voce vibrante, in una domanda che suonava come una preghiera.
Non aveva avuto la forza di sostenerne lo sguardo. Aveva distolto gli occhi da quelli della contessa divenuti pozze blu cupe di angoscia e scuotendo la testa, aveva mormorato: mi dispiace.
Quando poco dopo aveva rialzato lo sguardo sulla donna, l'aveva trovata immobile: il viso chino sul petto, una mano ancora stretta sul cuore e l'altra poggiata in grembo aggrappata alla veste. Le spalle piegate. Spezzata. Poi d'improvviso aveva sollevato la testa e si era alzata, al che lui, credendo che potesse crollare, le si era fatto da presso per sostenerla, ma non era accaduto. Con una fermezza che non si sarebbe aspettato, gli aveva chiesto se suo marito fosse già a casa e al suo assenso, senza dire una parola, si era avviata alla porta.
L'aveva seguita mentre attraversava con passo veloce le sale che separavano i suoi appartamenti da quelli del marito, per poi vederla fermarsi sulla soglia della sua camera da letto. I domestici, affaccendati attorno al letto, nel vederla si erano bloccati, nella stanza era calato il silenzio.  Marguerite era avanzata piano mentre i servitori, abbassando i volti contriti, si erano fatti da parte svelando ai suoi occhi il corpo senza vita di Augustin.
Era adagiato sul letto, il volto cereo, le labbra esangui, i capelli sfatti, una mano abbandonata oltre il bordo. Indossava una camicia bianca e immacolata che i valletti non avevano fatto in tempo a chiudere e che svelava sul petto la ferita che lo aveva ucciso. Poco distante un catino colmo di acqua rossa del suo sangue. Marguerite non era riuscita a reggere a quella vista, chiudendo gli occhi si era lasciata cadere sulle ginocchia mentre la gonna azzurra si gonfiava attorno a lei come un fiore. Una donna anziana, con una cuffia candida sui capelli raccolti e gli occhi gonfi di lacrime dietro un paio di piccoli occhiali, era accorsa al suo fianco. La contessa le si era aggrappata come una bambina accogliendo il suo abbraccio e con un gemito di dolore si era lasciata andare a un pianto sommesso e lacerante, finché volgendo il viso sfatto verso il suo sposo, si era sciolta dalle braccia amorevoli che la stringevano per prendere tra le sue la mano esangue di Augustin. L'aveva stretta e con labbra tremanti aveva baciato le dita fredde mentre lacrime silenziose scendevano a rigarle le guance, quindi se l'era portata al cuore, trattenendola a sé con una mano e allungando l'altra ad accarezzargli il viso con una tenerezza infinita.
Era rimasto immobile sulla soglia della stanza a guardare quella scena straziante, consapevole che in quel momento nessun suo gesto, nessuna parola, avrebbe potuto alleviare la pena di Madame Marguerite. Andare via gli era parsa la cosa migliore da fare per non violare, con la sua presenza, l'intimità di quel dolore così grande.
Era tornato a casa avvilito e stanco, con l'unico desiderio di riposare almeno qualche ora prima di mettersi all'opera e denunciare la vera identità del conte di Grammont, ma le cose non erano andate come previsto, poiché ad attenderlo aveva trovato la cameriera di Aurore con una lettera e aveva capito che non avrebbe avuto riposo finché quell'uomo non fosse calato in una fossa.
La ragazza aveva avuto l'ordine di mettere la missiva unicamente nelle sue mani e di attendere una risposta. Prendendo la lettera Victor le aveva chiesto se venisse dalla sua padrona, al che la cameriera, abbassando gli occhi con mestizia, aveva scosso la testa e risposto di essere stata incaricata dal Signore. Ignorando la lettera, Victor le aveva chiesto allora notizie della contessa; il viso della giovane si era contratto, la fronte si era corrugata, le labbra strette; aveva distolto lo sguardo, incapace di guardarlo negli occhi, quando dopo un momento di esitazione aveva mormorato un quasi impercettibile: bene. Quell'evidente menzogna gli aveva provocato un moto di rabbia tale che si era dovuto trattenere dal prendere la lettera e gettarla via senza neanche aprirla. Era infatti certo che non fosse affatto un biglietto di scuse: doveva contenere qualcosa che Jean riteneva fondamentale che lui sapesse, e che molto probabilmente giocava a suo favore. Con mani tremanti di collera, quindi, l'aveva aperta, scoprendo che conteneva un'altra missiva, a sua volta ripiegata e redatta su una particolarissima carta, con petali di fiori inglobati nella trama, che riconobbe come la stessa che sua madre si faceva arrivare dall'Italia e che utilizzava per la sua corrispondenza privata. Il sangue gli si era gelato nelle vene, quel dettaglio tanto peculiare non poteva essere una coincidenza; allarmato, aveva deciso dunque di aprirla e leggerla per prima.
Il contenuto lo aveva lasciato basito.
Diverso era stato per le parole di Grammont che l'accompagnavano, poiché ciò che aveva immaginato  dopo aver letto la prima lettera, era stato esattamente quel che aveva trovato nella seconda:
"Credo abbiate riconosciuto la scrittura della vostra deliziosa Signora Madre" esordiva "ad ogni modo, se avete dubbi potete domandare a lei, saprà dirvi di certo, seppure verosimilmente con qualche imbarazzo. A tal proposito vi chiedo l'accortezza di non essere troppo insistente nel chiederle spiegazioni, la donna che vi ha messo al mondo è una creatura straordinaria, capace di vivere le passioni senza tutti gli odiosi limiti e i condizionamenti che reprimono le donne della nostra triste società e mi dispiacerebbe davvero se dovesse sentirsi urtata da accuse che la vorrebbero moglie e madre unicamente dedita a marito, figli e lustro del casato.
Ad ogni modo sappiate che quella che vi apprestate a leggere, o che come credo, avete già letto, non è la sola lettera che la cara Amelie ha avuto la gentilezza di scrivermi, né tanto meno la più significativa. Ne conservo gelosamente, e devo dire con orgoglio, una decina, e mi dispiacerebbe davvero dovermene separare per metterle nelle mani di chi non le riserverebbe la mia stessa attenzione.
Non costringetemi a farlo.
Quello di stamani è stato un duello come mille altri, un duello in cui due gentiluomini hanno risolto definitivamente e nell'unico modo degno, un conto d'onore da troppo tempo sospeso. E come qualsiasi altro duello dovrà restare tra coloro che erano presenti. Lo stesso vale per il mio pittoresco soprannome e l'attività ad esso legata. Del resto, vista la mia amicizia con la vostra Signora madre, è nel vostro stesso interesse che rimanga tale. Che poi, a volerne discutere, converrete con me che non è il caso di giudicarla troppo severamente. In fin dei conti i pirati non fanno nulla di diverso dai corsari, solo che gli uni esercitano il brigantaggio per conto del re, gli altri liberamente e senza distinzione di bandiera[4]. Per quanto riguarda i vostri testimoni, sono certo che saprete perorare la mia causa. Siete un uomo stimato e l'eloquenza non vi manca, troverete certo le giuste parole per convincerli, tuttavia per aprirvi la strada, farò in modo che una mia umile dimostrazione di stima vi preceda facilitandovi il compito. Mi pare infatti di aver riconosciuto in uno dei due distinti gentiluomini che vi hanno accompagnato un appassionato frequentatore dei tavoli da gioco, una passione, ahimè, piuttosto costosa, specie per chi non gode di particolare fortuna.
Tuttavia, se né la mia generosità né le vostre parole dovessero bastare, ebbene ricorderete a lui, come all'altro vostro amico, che come avranno ormai appurato, non conviene inimicarsi persone del mio calibro e che se nessuno ha mai potuto descrivere il volto di Le Requin un motivo c'è… vedrete che cambieranno idea.
Vi saluto, dunque, e vi aspetto a Bordeaux fra tre giorni a partire da ora. Quando sarete in città lo saprò e vi farò riferire il luogo esatto in cui ci incontreremo, abbiate pertanto cura di venire solo. Come segno di buona fede, in quella circostanza, vi consegnerò un'altra delle lettere di Amelie, le rimanenti le avrete poi a tempo debito. Spero che accettiate la mia proposta, personalmente non ho nulla contro di voi e mi dispiacerebbe sinceramente che l'onore e il nome di vostra madre finissero su bocche indegne di pronunciarlo.
Credetemi vostro devotissimo etc. etc.
Si era seduto, o meglio si era lasciato cadere su una poltrona ed era rimasto per qualche minuto con lo sguardo perso e i fogli stretti in una mano, incredulo e completamente annichilito. A schiacciarlo non era stato scoprire che sua madre avesse un amante, non era un bambino e ben sapeva che era prassi comune tra le dame di Versailles, ma piuttosto che si fosse fatta soggiogare da Grammont al punto da consegnare la sua reputazione nelle sue mani, affidando alla carta, e con parole tanto esplicite, passioni e sentimenti fatti per rimanere racchiusi tra le pareti dell'alcova. Non riusciva a credere che una donna accorta come lei, avvezza alle dinamiche della corte, avesse potuto commettere una tale leggerezza, perché un conto era che nei salotti si facessero congetture e si sussurrassero pettegolezzi dietro i ventagli, un altro che si commentassero apertamente dati di fatto. L'invidia era un'ulcera fin troppo diffusa a Versailles e quelle lettere, messe nelle mani di qualcuno interessato a screditare la sua famiglia, avevano il potenziale di una lama puntata al cuore. Sarebbero state la loro rovina. Sua madre, se pure non avesse subito l'ipocrita ostracismo della corte, ne avrebbe certamente subito la derisione, il che era anche peggio; le sue appassionate parole, riservate a un uomo tanto più giovane, sarebbero passate di bocca in bocca divenendo fonte infinita di lazzi. Suo padre, screditato nell'onore, per salvarsi a sua volta dal ridicolo ed evitare di perdere i suoi prestigiosi incarichi, probabilmente avrebbe finito per ottenere una lettera di Cachet per rinchiuderla in qualche convento se non peggio… Quanto a lui… dubitava seriamente che sarebbe riuscito a trattenersi dallo sfidare a duello chiunque gli avesse rivolto uno sguardo anche solo vagamente ilare… Un sorriso amaro gli aveva increspato le labbra: lo aspettava una lunga fila di risvegli all'alba e lui odiava alzarsi troppo presto…
Era rimasto ancora un po' sprofondato nella poltrona a combattere tra ciò che era giusto e ciò che era opportuno fare. Infine si era alzato, aveva poggiato su un tavolo i fogli che ancora stringeva in mano e si era versato da bere, chiedendo alla ragazza di attendere di sotto la sua risposta per Grammont.
Sua madre non era certo una santa, ma non meritava di essere annientata per aver mal riposto la sua fiducia, per essersi troppo persa in una passione per un uomo che non aveva saputo giudicare. Dopo aver annoverato quelle ore tra le più difficili della sua vita, aveva preso le lettere e le aveva avvicinate a una candela. La carta era bruciata in un lampo, l'aveva gettata nel camino spento ed era rimasto a guardare il fuoco consumare i fogli e divorare le parole. Avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco e ceduto al ricatto di Grammont, per il momento non poteva fare altro. Quanto a sua madre, aveva deciso per il momento di non dirle una parola: si era comportata come una sciocca e aveva perso di vista la realtà, be'... non era l'unica in famiglia a cui l'amore faceva questo effetto…
 
 
Dalla finestra della loro camera André l'aveva guardata attraversare la strada e avviarsi, con quella sua andatura fiera e lieve nonostante il passo veloce, verso l'agognata chiave della loro nuova vita. Sarebbe voluto andare con lei, condividere l'ansia del tragitto, la tensione della trattativa e infine l'emozione quando, stretta la mano al capitano, avrebbero finalmente avuto una data di partenza. In quell’istante, nascosto tra le pieghe dei mantelli, avrebbe preso la sua di mano e gliel’avrebbe stretta, aspettando il momento in cui nel primo angolo di strada, lontano da occhi indiscreti, avrebbe potuto suggellare con un bacio la gioia di quel momento.
Ma non poteva… Oscar aveva ragione: uscire con quel tempo e rischiare una ricaduta era impensabile e soprattutto inutile; era perfettamente in grado di cavarsela da sola, abituata com'era a comandare e gestire un reggimento di soldati, non aveva certo bisogno di essere sostenuta in una trattativa, come in nient'atro del resto… L'aveva salutata dunque, sollevando la mano oltre il vetro e restituendole il sorriso quando lei si era voltata, un attimo prima di sparire, con passo veloce, oltre le mura della città. Lasciata la finestra, si era quindi liberato di quel sotterraneo senso di rammarico che lo punzecchiava, si era vestito ed era sceso di sotto, dove aveva trascorso una tranquilla mattinata sfogliando il Journal de Guienne[5] e l'ultimo numero de La Gazzette[6], cui l'attenta Madame Lescaut, per soddisfare le esigenze della sua clientela di piccoli avvocati e frequentatori a vario titolo del vicino Palazzo de L'Ombrière[7], aveva deciso di abbonarsi. Stava appunto facendo quattro chiacchiere con uno di questi signori, quando aveva rivolto il primo di una lunga serie di sguardi, via via sempre più preoccupati, all'orologio appeso in un angolo della sala.
Oscar non era rientrata per il pranzo che André, dopo averla a lungo attesa, aveva consumato da solo e di malavoglia su insistenza della locandiera che, sapendolo convalescente, aveva liquidato la sua preoccupazione per il ritardo del cugino come eccessiva, facendogli notare che se non era stato trattenuto da qualche contrattempo, certamente era stata la pioggia a fargli mutare programma per il pranzo.
Tuttavia, quando le nuvole si diradarono, lei non era ancora tornata. André decise di averne abbastanza e uscì a cercarla.
Trascorse l'intero pomeriggio a vagare in lungo e in largo per gli Chartrons, chiedendo invano di lei ai rari passanti avventuratisi in strada con quel tempo da lupi e sentendosi man mano divorare, col passare delle ore, dall'angosciosa paura di non riuscire a ritrovarla.
Dove… dove mai poteva essere finita, perché sembrava essere sparita nel nulla?
Sconsolato, si fermò per un momento sulla riva, tentando di individuare nella foschia che velava ancora le acque del fiume increspate dal vento, il profilo delle imbarcazioni ancorate al largo. Forse Oscar era salita a bordo di uno di quei vascelli, ma perché non aveva fatto ancora ritorno? Troppo tempo era passato per giustificare il protrarsi della sua assenza…
Tornò a ripetersi che doveva rimanere lucido, che non poteva lasciarsi andare alla disperazione, ma la ragione iniziava a ritenere plausibile ciò che l'istinto gli aveva suggerito sin dall'inizio: doveva esserle capitato qualcosa, che fosse l’incontro con qualche tagliagole o un’accidentale caduta nel fiume…
Lo stomaco gli si contrasse in una morsa.
Il pensiero che gli sgherri del Generale potessero averla trovata gli sembrò quasi più accettabile di saperla morta o in pericolo di vita.
Eppure respinse con forza ognuna di quelle ipotesi, deciso a non arrendersi e divorato dalla tensione si addentrò nel cuore della città.
Fu proprio mentre si aggirava per le fangose strade di Bordeaux, che ad un tratto udì una voce alle sue spalle chiamare il suo nome.
 
 
[1] Pen Duick significa “piccola testa nera” ed è il nome che danno i bretoni alla cincia mora, un modesto uccellino poco più piccolo di un pettirosso.
[2]Sul finire del XVIII secolo le "ragazze di mondo" erano raggruppate nel quartiere di Saint Seurin. Nei dintorni della chiesa esistevano infatti svariate osterie e spesso capitava, con grande disperazione del Capitolo, che gli incontri galanti si tenessero finanche nel chiostro.
(La prostitution et les prostituées à Bordeaux Di ft Laurence Amiell)
[3]RueRoyale è il nome precedente dell'attuale Rue Philippart; questa strada, che congiunge Place de la Bourse a Place du Parlement (allora Place Royale), era destinata, secondo i desideri degli intendenti Tourny e Boucher, che furono responsabili dei rifacimenti che cambiarono l'aspetto di Bordeaux nella seconda metà del Settecento, a formare una sorta di svolta nel cuore della città vecchia ponendosi quale passaggio privilegiato dalle banchine al centro della città. Ancora oggi svolge perfettamente questo ruolo.
[4]Durante una guerra la predazione delle navi mercantili nemiche era un'attività ampiamente legalizzata e molti marinai s’imbarcavano su navi da guerra private dove svolgevano attività di Corsari, imparavano il mestiere del brigantaggio e si abituavano a standard di guadagno elevati, dividendo il bottino con armatori e governo. Con la pace, l'attività di predatori su commissione dei corsari, si riduceva sensibilmente e molti marinai si ritrovavano senza lavoro. Impossibilitati a passare nella marina militare, che in pace non arruolava ma anzi congedava, potevano solo passare alla marina mercantile, ma gli ingaggi erano estremamente più bassi di quelli cui si erano abituati, molti decidevano così di passare alla pirateria.
(L'economia secondo i pirati. Di Peter T. Leeson).
 
[5] Nel 1784 a Bordeaux si comincia a stampare il quotidiano “Journal”, il primo giornale provinciale Francese d'impronta critica e riformista. Il Giornale che mirava non solo a "favorire il commercio", ma a "diffondere la luce", oltre ad avvisi vari relativi a meteorologia, marina, commercio, cerimonie religiose, civili e militari, nascite, morti e matrimoni etc., riportava sentenze della Corte del Parlamento di Bordeaux, editti, decreti del Consiglio di Stato del Re ma anche a articoli relativi alla vita intellettuale e artistica della città, nonché aneddoti e fatti vari, curiosi o drammatici, dalla provincia e dall'estero. Dal giugno 1789 si aggiungerà una sezione dedicata agli Stati Generali e all'Assemblea Nazionale che si farà sempre più invasiva a scapito degli articoli relativi alle arti, alle scienze, alla letteratura...e altre distrazioni. L'ultimo numero uscì nel 1790. https://dictionnaire-journaux.gazettes18e.fr/journal/0647-journal-de-guyenne.
[6]La Gazette, anche detta Gazette de France, fu una rivista settimanale francese il cui primo numero uscì il 30 maggio 1631. Organo ufficiale della monarchia, raccoglieva una serie di notizie da ogni dove, datate il giorno della loro uscita. Le informazioni francesi, non erano altro che notizie dalla Corte o da Parigi, comunicati ufficiali - il testo di decisioni reali, alcuni discorsi ministeriali - o informazioni minori come programmi, concorsi accademici, celebrazione dei centenari, ecc. Nella seconda metà del XVIII secolo, vengono aggiunti alla fine di ogni numero, una serie di annunci molto concisi. Da 1792, fu rinominata “Gazette nationale de France”, divenne quotidiano e fu per tutto il 19° sec. la voce principale del partito realista. Cessò le pubblicazioni nel 1914. All'epoca dei fatti narrati usciva il martedì e il venerdì.
https://dictionnaire-journaux.gazettes18e.fr/journal/0492-gazette-de-france
[7] L'Ombrière era un palazzo, ora scomparso, costruito nel Medioevo per ospitare la Corte e l'amministrazione giudiziaria e finanziaria della provincia in epoca inglese. Dopo la caduta dell'Aquitania e del Bordeaux nel 1453 e l'annessione alla Corona di Francia, divenne sede del Parlamento di Guyenne, dei tribunali, e principale prigione della città fino al 1790. Fu demolito nel 1800.

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Capitolo 26
*** Disincanto ***


Disincanto
 
L’orologio a pendolo batté le due. Aurore chiuse di scatto il libro che stava leggendo e lanciò uno sguardo inquieto verso le slanciate finestre della cabina, che si affacciavano sulla Garonna.  Non pioveva più da qualche ora, ma le acque del fiume erano ancora agitate e poteva udire distintamente, all’esterno, il lugubre muggito del vento…  proprio come il giorno in cui, carica di sogni e di speranze, aveva lasciato la Francia alla volta di Port au Prince. Erano passati appena due anni da quel suo primo viaggio, eppure nulla era rimasto dell’ingenua ragazzina che era stata e che mai più sarebbe potuta essere. Non dopo gli ultimi mesi… non dopo Jean.
Lo specchio dorato che sormontava lo scrittoio, le restituì l’immagine del suo volto pallido, dei suoi occhi spenti ancora gonfi di pianto.
Non voleva tornare a Saint Domingue.
Non voleva lasciare di nuovo la Francia e ritrovarsi sola, in quella terra così selvaggia e ostile, alla completa mercé di un uomo che non aveva più nulla, se non qualche sprazzo, del giovane gentile e passionale che per la prima volta le aveva fatto battere forte il cuore.
In preda allo sconforto si alzò in piedi, facendo qualche passo nell’elegante salottino, tappezzato di seta azzurra e preziosi tappeti d’Oriente, che soltanto pochi mesi addietro suo marito aveva voluto ricavare per lei in occasione del loro rientro in Europa, arrivando a sacrificare parte dei propri alloggi pur di donarle un luogo appartato dove poter dipingere o leggere in tranquillità, senza la seccatura di essere disturbata dal viavai degli ufficiali di bordo nella cabina del Comandante. Erano i primi tempi del loro matrimonio, giorni felici in cui le bastava uno sguardo di Jean o un suo sorriso per incendiarle i sensi e farle desiderare soltanto di essere tra le sue braccia. Ma poi…
Soffocò un singulto. Talvolta si chiedeva se quello che stava vivendo non fosse altro che un incubo, uno stupido, insensato prodotto della sua mente, da cui prima o poi si sarebbe svegliata, perché c’erano dei giorni in cui non riusciva a credere che l’uomo che l’aveva salvata da morte certa e giurato di amarla per tutta la vita, si fosse improvvisamente trasformato in uno spietato aguzzino.
A onor del vero, la prima volta che Jean le aveva dato uno schiaffo si era sentita mortificata, ma non aveva ritenuto quel gesto qualcosa di deprecabile o inconsueto: in convento le avevano insegnato che il primo dovere di una sposa fosse quello di essere obbediente e sottomessa e che un marito avesse tutto il diritto di ricorrere a una punizione, anche corporale, qualora ne ravvisasse la necessità… e la necessità, quel giorno, era stata l’eccessiva confidenza che, evidentemente, aveva concesso a monsieur d’Avrieux, il primo ufficiale, intrattenendosi con lui sul ponte più del dovuto.
Aurore, pertanto, aveva fatto ammenda tra le lacrime per la propria civetteria e Jean l’aveva prontamente perdonata, relegando quell’episodio a un semplice incidente di percorso e adoperandosi piuttosto a rendere indimenticabile, con i suoi baci ardenti e le sue premure, il resto della traversata.
A Parigi, tuttavia, l’incidente di percorso non era rimasto un fatto isolato, ripetendosi nel tempo fino a diventare quasi una consuetudine: una sera per l’arrosto bruciato dalla cuoca, conseguenza della sua incapacità nello scegliere la servitù, il mattino dopo per una parola di troppo…  e nonostante Aurore trovasse nella propria inadeguatezza un valido motivo a quegli scatti d’ira, a quell’aggressività che rapida esplodeva nei suoi confronti per placarsi subito dopo con altrettanta velocità, aveva iniziato ad avere paura. Paura di vedere lo sguardo di suo marito farsi di ghiaccio, paura delle sue mani capaci di stringerla fino a farle male o di colpirla senza pietà; una sensazione che le successive premure di lui o i suoi doni sontuosi riuscivano appena a mitigare e che si era trasformata in puro terrore la sera in cui Jean, in preda a uno dei suoi ennesimi accessi, dopo averla afferrata per i capelli e trascinata in camera, l’aveva posseduta con brutalità.
“Guardate cosa mi avete fatto fare…” aveva poi borbottato scuotendo la testa, mentre si sollevava da lei, e come se nulla fosse le aveva abbassato le gonne ed era uscito dalla stanza, lasciandola scossa e tremante sul pavimento.
A quel ricordo, calde lacrime tornarono a inumidire gli occhi di Aurore: quella violenza l’aveva spezzata. Da allora, nessun bacio di Jean, nessuna carezza erano riusciti a evocare in lei qualcosa di diverso dal timore e dal disgusto; il suo corpo non aveva più vibrato di passione tra le sue braccia… anzi, aveva provato quasi un senso di sollievo, avvertendo una sera il profumo di un’altra donna sulla sua giacca.
In verità, si era sentita a lungo in colpa per questo. Nonostante le umiliazioni e le percosse, Jean la amava, ne era sicura: lo percepiva nei suoi rari slanci di affetto, dalle piccole attenzioni che talvolta le riservava…  e lei, come sua sposa, aveva il dovere di ricambiarlo ed essergli devota. Aveva pertanto continuato a giustificarne il comportamento, a ripetersi che quei segni violacei impressi sulla pelle, che tentava di celare agli sguardi estranei in un afflato di pudore e vergogna, altro non fossero che la prova impietosa delle proprie mancanze… finché il volto sgomento di Victor de Girodelle sul Pont Neuf non l’aveva costretta ad ammettere ciò che la ragione si ostinava a negare.
Non era amore, quello.
L’amore non colpisce, non offende, non umilia.
L’amore non è violenza.
L’amore non può essere possesso.
Si era ritrovata su quel ponte in preda alla disperazione, pronta a farla finita per cercare un po’ di pace e non subire più le feroci conseguenze della propria inadeguatezza, ma quella desolante verità, paradossalmente, l’aveva resa libera. Di colpo aveva capito, infatti, che non era lei a essere sbagliata, che non c’era colpa alcuna nelle sue azioni né c’era mai stata, e nei giorni successivi, seppur lentamente, aveva iniziato a maturare la convinzione di meritare un uomo diverso.
Un uomo forte e gentile che la rispettasse e la facesse sentire al sicuro.
Un uomo affettuoso e fedele, che la amasse con dolcezza.
Un uomo che non poteva essere Jean de Grammont.
Aurore sospirò. Forse suo marito non era stato così, un tempo, ma lasciandosi risucchiare dai fantasmi del passato, aveva permesso all’odio e al rancore di prendere il sopravvento fino ad abbandonarsi alla violenza e alla prevaricazione, persino nei confronti delle persone che più lo avevano amato... a cominciare dal Generale Jarjayes.
 
“L’ho ucciso” le aveva annunciato con freddezza al suo rientro dal duello, piombandole in camera con le mani ancora lorde del sangue di suo padre.
Il cuore di Aurore aveva mancato un battito. Bianca come un cencio si era alzata di scatto dal piccolo canapè cremisi su cui era rimasta seduta per ore, nell’angosciosa attesa di notizie.
“Dunque il visconte Girodelle… è morto?” aveva domandato tremante, cercando di reprimere il singhiozzo che le era salito alla gola. Non conosceva le motivazioni che avevano portato suo marito e il visconte a scontrarsi a duello – del resto Jean l’aveva informata di quanto sarebbe accaduto al Bois de Boulogne soltanto la sera prima – ma il sospetto che quell’uomo così buono e gentile potesse aver pagato a caro prezzo l’amicizia che le aveva mostrato, l’aveva gettata nella costernazione.
“Oh no, state tranquilla, il vostro protetto gode ancora di buona salute… purtroppo” aveva risposto in tono sprezzante suo marito, gettando a terra la camicia che si era appena tolto di dosso, per indossarne una pulita “Se non altro, ho finalmente avuto la soddisfazione di vendicare mia madre…”
“Che cosa intendete dire…” aveva mormorato interdetta Aurore. Subito dopo, tuttavia, aveva sgranato gli occhi con orrore e si era portata le mani alla bocca, quasi a soffocare un grido “Mio Dio, Jean, ditemi che non è vero… ditemi che non state parlando di vostro padre!”
“Il generale Jarjayes non era mio padre” aveva ribattuto gelido lui “Non basta disonorare una donna per esserlo”.
Aurore era impietrita. Conosceva la verità da qualche tempo – era stato proprio Jean a confidarsi con lei, annunciandole con soddisfazione l’imminente ingresso ufficiale nella famiglia Jarjayes – e mai si sarebbe immaginata un simile epilogo.
“Era comunque sangue del vostro sangue, Jean… perché? Perché incrociare la vostra spada con la sua?”
“E’ stato lui a volerlo ed io non mi sono certo tirato indietro. Poi vi spiegherò con calma… in ogni caso ha avuto quel che si meritava” aveva ribattuto suo marito alzando le spalle.
Tanto erano stati lo sgomento e l'incredulità provati che Aurore per un attimo aveva dimenticato la paura di suo marito e avvicinandosi a lui, gli aveva preso una mano tra le sue e lo aveva guardato negli occhi con intensità.
“Non ci credo che voi pensiate davvero una cosa del genere… Lui… lui vi amava! Sì, ha commesso degli errori, ma non sapeva nemmeno della vostra esistenza… e ciò nonostante, non appena ha scoperto il legame che vi univa, non ha esitato ad accogliervi a braccia aperte, con tutto l’affetto che solo un padre può dare!”
“Mi ha accolto a braccia aperte solo perché aveva finalmente uno stallone da riproduzione con cui perpetrare il suo nome” aveva sibilato con rabbia Jean, liberandosi dalla presa di lei con uno strattone “Ha sempre contato soltanto questo per lui: io ero semplicemente l’agognato erede maschio che mia sorella non potrà mai essere”.
“Vi sbagliate, ne sono sicura!” insisté la giovane “E dovete essere uscito di senno, per macchiarvi di un delitto che grida vendetta presso Dio!” aveva esclamato con voce vibrante di emozione.
“Dio?!”
Grammont aveva inarcato un sopracciglio per poi erompere in una sonora risata.
“Siete proprio una piccola ingenua, mia dolce, tenera Aurore… quante idiozie vi devono aver inculcato in quella vostra adorabile testolina! Credete davvero che a Dio, sempre che esista, importi quello che ho fatto? Davvero pensate che gli interessi qualcosa, di ciò che accade a noi o agli altri su questo mondo?”
“Ecco, io… io credo di sì” aveva ribattuto lei in un soffio.
“E dov’era, allora, il vostro Dio, quando mia madre è caduta dalle scale per morirmi tra le braccia? Dov’era quando il mio patrigno sfogava su di me tutta la sua rabbia?”
Per un istante Aurore era rimasta in silenzio, profondamente turbata da quelle parole. In fondo, lei per prima aveva dubitato quando aveva pensato al suicidio, ma poi il Padreterno o chi per Lui aveva messo sulla sua strada Victor de Girodelle…
“La Sua Volontà è spesso imperscrutabile, ma Lui è sempre accanto a noi, soprattutto nella sofferenza” aveva dichiarato pertanto con convinzione.
“E allora siete voi a essere uscita di senno, mia cara, se credete in queste baggianate! Quanto al sottoscritto, vi assicuro di essere perfettamente in me: come vi ho detto poc’anzi, si è trattato di un regolare duello e Jarjayes ha pagato per le sue colpe. Questo però è solo l’inizio: pagheranno, pagheranno tutti!  Marguerite, Amelie de Girodelle… e anche quella cagna di mia sorella con il vostro cavalier servente, statene certa. Voglio vederli soffrire uno a uno come quel bastardo del mio patrigno il giorno in cui finalmente ha tirato le cuoia!”
Aurore lo aveva guardato attonita.
“Mi avevate detto che non eravate con lui quando è venuto a mancare…”
“E invece ho avuto la fortuna di essere presente” le aveva rivelato Jean, scrollando le spalle con noncuranza.
“…e che era morto per un malore…” aveva aggiunto lei, cercando disperatamente una conferma in quegli occhi di ghiaccio.
Per un momento Jean era rimasto a guardarla senza proferire parola, poi aveva reclinato la testa all’indietro ed era scoppiato di nuovo a ridere.
“Oh sì, state tranquilla, mia cara, così è stato… del resto ero soltanto un ragazzino e lui un uomo fatto e, come vi ho confidato, non mi ha mai lesinato il tocco della sua cinghia… come avrei mai potuto fargli del male, se a malapena ero in grado di difendermi? Quel giorno è stato il destino a liberarmi di lui…” aveva aggiunto subito dopo, mentre un lampo feroce gli aveva illuminato lo sguardo “ma vi assicuro che ho goduto di ogni suo singolo rantolo, di ogni suo gemito strozzato… non potete immaginare il piacere che ho provato, leggendo nei suoi occhi il terrore per essere giunto alla fine. Ecco, oggi avverto quelle medesime sensazioni: godo per la morte di un uomo che ha reso la vita di mia madre un inferno”.
 
Al solo ricordo dell’espressione con cui Jean aveva pronunciato quelle parole, Aurore rabbrividì. Quel mattino, per la prima volta aveva compreso di essere nelle mani di un uomo che aveva ormai varcato la linea sottile che separa la luce dall’ombra, la ragione dalla follia… un uomo che, anche se lei avesse voluto, non avrebbe potuto più salvare.
D’altronde, era Jean per primo a non voler essere salvato.
Nonostante quella nuova consapevolezza, tuttavia, Aurore non aveva potuto far altro che preparare i bagagli come lui le aveva ordinato e abbandonare Parigi in fretta e furia, senza neanche aver modo di avvisare suo zio.
“Gli scriverai durante il viaggio” aveva tagliato corto il marito dinanzi alle sue deboli rimostranze, ma così non era stato e ora, da quella nave, come avrebbe mai potuto farlo? 
Alcune voci concitate dal ponte la riscossero bruscamente da quei cupi pensieri. Probabilmente Jean e Simon erano rientrati… la partenza era vicina.
Rassegnata, Aurore si asciugò in fretta le lacrime e tornò a sedersi, afferrando un libro a caso dallo scrittoio per darsi un contegno e fingere una tranquillità che era ben lungi dal provare. Proprio in quel momento la porta della cabina si aprì e Jean, accompagnato da un uomo biondo avvolto in una cappa scura, entrò nella stanza.
“Jean, siete tornato finalmente…” esordì lei. Subito dopo, tuttavia, non riuscì a trattenere un moto di stupore. “Oscar?!” esclamò incredula, riconoscendo in quel giovane alto e slanciato il comandante delle Guardie Reali.
“Felice di rivedervi, madame de Grammont” rispose la donna con un sorriso.
“Jean mi ha raccontato… vi credevo ormai lontana!”
“Purtroppo la salute di mio marito è ancora malferma e abbiamo dovuto rimandare la partenza…” le spiegò brevemente Oscar.
Mio marito? Dunque voi e il vostro… attendente…”
“Perdonate mia moglie, sorella, di solito la discrezione è tra le sue virtù… ma non oggi, a quanto sembra” la interruppe brusco Grammont, inarcando un sopracciglio a voler sottolineare la sua disapprovazione.
“Oh, non vi preoccupate, la curiosità di Madame de Grammont è più che legittima” minimizzò sorridendo Oscar “Purtroppo monsieur Grandier ed io non siamo ancora sposati secondo la legge, ma lo sono i nostri cuori dinanzi a Dio”.
“E il vostro André dov’è, adesso?” domandò Aurore guardando oltre la soglia, quasi aspettandosi di veder arrivare il giovane attendente dei Jarjayes.
“In una locanda vicino a Port Cailhu… manderò d’Avrieux a recuperarlo” intervenne Jean.
“Dunque… partirete con noi?” domandò la fanciulla a Oscar, sentendo il cuore battere come impazzito. Il solo pensiero di avere a bordo con lei due persone che avrebbero potuto aiutarla, aveva di colpo riacceso le sue speranze.
“Ebbene sì…” le confermò Jean prima che Oscar potesse rispondere “A questo proposito, Aurore, prima di partire non dovevate passare per il vostro vestito in rue de… ”
Un’espressione di sconcerto si dipinse sul volto della ragazza.
“Quale vestito? Io non capisco…” mormorò interrompendolo.
“Ah, avete ragione, non ve l’ho detto!” esclamò Grammont portandosi la mano alla fronte come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa “Dal momento che avete dovuto lasciare la maggior parte dei vostri abiti a Parigi, al nostro arrivo qui ho commissionato la confezione di un abito da sera per il nostro rientro a Port au Prince. Sapete come tengo che voi possiate sfoggiare le ultime creazioni della moda francese, mia cara… Doveva essere una sorpresa, ma purtroppo la sarta vuole una conferma delle vostre misure”.
“Ma… non dovremmo partire tra poche ore?”
“Non dovete preoccuparvi, sarà una cosa rapida”.
“Non credo, se ha bisogno delle mie misure, vuol dire che non è finito” obiettò sempre più attonita la ragazza.
“In realtà l’abito era già stato confezionato, non so dirvi se per essere esposto in vetrina oppure per un’altra gentildonna che non l’ha più ritirato… ma in fondo che importa? Il tempo a disposizione era poco ed io volevo assolutamente farvi dono di un nuovo abito da sera! E visto che il suo colore si addiceva perfettamente allo splendido verde dei vostri occhi…” ribatté Jean con un sorriso tirato “ La brava sarta ha solo bisogno di prendere alcune misure per essere certa che ben si adatti alla vostra figura”.
“Io… non so che dire…” mormorò Aurore.
“Non dovete dire nulla, ma solo andare. Avrete modo di ringraziarmi, non temete…” la rassicurò lui con un sorriso malizioso, quindi girandosi verso Oscar, mentre con il braccio cingeva la vita di Aurore, aggiunse “Se potete scusarmi un istante, sorella, accompagno la mia sposa alla scialuppa e sono da voi… intanto, mettetevi comoda”.
“Grazie mille, Jean”
“Di nulla” replicò Grammont e con un sorriso affettato uscì dalla cabina insieme a sua moglie. Solo quando furono sul ponte, la sua stretta si trasformò in una morsa costringendo Aurore a girarsi verso di lui.
“Siete una sciocca!" proruppe adirato "Per poco non mandavate tutto in malora!”
Aurore lo guardò con un misto di spavento e stupore.
“Io… io non capisco. Che cosa… che cosa avrei fatto di male?”
Per tutta risposta, Jean le afferrò il volto affondando le dita nelle guance.
“Dovevate assecondarmi, non certo contestare quanto vi stavo dicendo!” le sibilò sulla faccia.
“Jean… vi prego… mi state facendo male…”
Jean la fissò con disgusto. “Siete solo una civetta! Andatevene ora, mi avete stancato!" sbottò allontanandola con una spinta.
Aurore rovinò a terra con un tonfo sordo e per un momento rimase accasciata sulla plancia, la mano destra portata istintivamente a tenere il volto offeso.
Vedendola così inerme, con il viso pallido, contratto dal dolore e dall'umiliazione, Jean sbiancò, come innanzi a uno spettro. Un impeto di tenerezza lo avvolse e con uno slancio degno della più sensibile delle anime si affrettò a chinarsi su di lei.
“Amor mio perdonatemi, non volevo… state bene?” domandò preoccupato “ Vi prego, sorreggetevi a me…”
“Non c’è bisogno, posso fare da sola” replicò lei in un afflato d’orgoglio, ignorando il braccio steso dell’uomo mentre si rialzava in piedi. Subito dopo, si rassettò la gonna e sollevò lo sguardo verso di lui, senza una lacrima, senza un lamento… ma per la prima volta, il verde dei suoi occhi era gelido e asciutto come una mattina d’inizio primavera.
“Dunque, che cosa volete che io faccia?”
 
 
 

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Capitolo 27
*** Le Pen Duick ***


Le Pen Duick


“Grandier… siete proprio voi!" 
Dall'alto della sua cavalcatura, Victor de Girodelle guardava stupito l’uomo che si era appena voltato verso di lui.
"Girodelle…" pronunciò André di rimando, spalancando gli occhi con la medesima sorpresa. 
"Cosa ci fate qui? Vi credevo ormai oltreoceano…" riprese il gentiluomo smontando da cavallo e avvicinandosi a lui con un sorriso gioviale, che tuttavia si spense rapidamente quando notò che superata la sorpresa, i tratti del viso di André si erano fatti tesi e gli occhi cupi, così come la voce, quando senza preamboli, lo informò di essere alla ricerca di Oscar, ormai sparita da molte ore. 
"Sparita…" ripeté Victor sconcertato. 
"È uscita stamattina e doveva rientrare entro un paio d'ore ma… non è più tornata. L'ho cercata ovunque… oramai non so più che pensare, temo che le sia accaduto qualcosa o che magari gli uomini di suo padre possano averci trovato e… " 
"Non credo che quest'ultima ipotesi sia possibile…" lo interruppe bruscamente Victor "So con ragionevole certezza che il Generale non ha mai dato l'ordine di seguirvi per riportare Oscar a Parigi o altro e comunque, se anche lo avesse fatto, oramai i suoi uomini non avrebbero più motivo di eseguire una tale disposizione… " 
André aggrottò la fronte e strinse gli occhi in una muta domanda a cui Victor esitò per un attimo prima di rispondere. 
"Il Generale… non è più tra noi". 
"Cosa?" 
"È morto Grandier… poche settimane fa." 
Una sensazione di profonda amarezza, un vuoto cupo, intenso, colpì André con una forza inaspettata, pervadendo in un momento ogni fibra del suo essere. 
Da che bambino era rimasto orfano, Augustin de Jarjayes era stato la figura più vicina a un padre che avesse avuto. Se non aveva dovuto subire le nefaste conseguenze di una ben triste infanzia trascorsa in uno dei tanti orfanotrofi della capitale, subissato da maltrattamenti, fiaccato dalla malnutrizione e da tutte quelle malattie che decimavano gli sfortunati ospiti degli ospizi di Parigi, lo doveva al Generale. Quell'uomo non soltanto gli aveva messo sulla testa un tetto molto più che decente, ma gli aveva anche dato la possibilità di un'infanzia tranquilla e tutto sommato spensierata, oltre che straordinariamente proficua. Il Generale gli aveva offerto sicurezza ed educazione e con quest'ultima i mezzi che gli avrebbero permesso di elevarsi e avere una vita degna e libera dalle fatiche del lavoro corporale e dello sfruttamento, cui certamente la sua condizione di orfano lo avrebbe condannato. Una vita di cui avrebbe potuto essere pienamente padrone se solo avesse voluto… se solo… non fosse cresciuto con lei.
Nelle intenzioni di Augustin de Jarjayes, André avrebbe dovuto accompagnare sua figlia all'età adulta, fungendo da compagno di giochi e studio, ma soprattutto ponendosi come un modello maschile di riferimento, un giovane uomo con cui confrontarsi e dal quale apprendere quei comportamenti e quei modi di fare tipici di un ragazzo. Gli aveva chiesto di essere per Oscar lo specchio della realtà riflessa dagli occhi di un uomo, e invece era accaduto che lo sguardo di quella giovane tanto speciale aveva frantumato lo specchio, riducendo la realtà a una miriade di frammenti che riflettevano le mille sfaccettature della sua anima. In ognuno di essi egli aveva finito per perdersi alla ricerca di uno spazio in cui tutto poteva accadere. 
E infine in quello spazio impossibile lui ed Oscar si erano ritrovati; ed amati, e tutto il resto era passato in secondo piano, compresa la sua devozione all'uomo che lo aveva accolto e la possibilità di vivere una vita diversa da quella che aveva avuto scegliendo di restarle affianco come suo attendente, con buona pace di ogni altra aspirazione o velleità che avesse potuto avere. 
Ma mentre legare la sua vita a quella di Oscar era stato qualcosa che aveva percepito come naturale e per cui non si era dovuto forzare neanche per un momento, diverso era stato per la lealtà che sentiva di dovere al Generale. 
Essere fedele al padre e amarne la figlia, così come lui la amava, in quel mondo era un binomio impossibile e non potendo rinunciare a quell'amore che gli scorreva nel sangue come un torrente in piena, aveva deciso di sacrificare la lealtà all'amore, immolando la sua coscienza sull'altare di quel silenzio che è fratello della menzogna, soffocandola ogni qualvolta il Generale gli aveva raccomandato di tenere d'occhio sua figlia, di starle accanto mitigandone l'irruenza, di essere attento, fedele, discreto come un'ombra, ma come un'ombra, ovviamente, relegato ad un mondo che per quanto vicino distava infinitamente da quello di Oscar e che mai e poi mai avrebbe dovuto veramente incontrare. 
Era anche per questo che la sua morte lo rattristava ancor più profondamente, in fondo a se stesso aveva sperato che un giorno, nonostante tutto, il Generale potesse capire, comprendere che lui non aveva mai voluto tradire di proposito la sua fiducia e che ciò che era sbocciato tra lui e Oscar non era stato cercato, ma era nato spontaneo come un fiore su una roccia. Aveva sperato che un giorno capisse, seppure senza accettarlo, che il loro era un amore profondo, sincero, unico; un sentimento che aveva camminato a lungo in silenzio prima di gridare, oppresso da quelle differenze sociali che per quanto pesanti non erano riuscite a soffocarlo e che alla lunga avevano finito col rivelarsi per ciò che erano: una gabbia con la pretesa di intrappolare il vento. 
Ora quella possibilità, seppur vaga, era svanita ed egli sempre si sarebbe portato nel cuore il rimpianto per non essere riuscito a far capire all'uomo cui doveva tutto che il suo bene più prezioso, quella figlia che aveva voluto impavida, fiera, forte e limpida come acqua, era con colui che aveva liberarmene scelto di amare, lo stesso uomo cui anni addietro egli stesso l'aveva affidata nella consapevolezza che l'avrebbe custodita come il più prezioso dei tesori. 
Dolorosa come un coltello affondato nel petto sentì l'angoscia attanagliargli il cuore. Il pensiero di aver perso Oscar ed esser venuto meno alla fiducia del Generale, mancando all'unica, muta promessa, che davvero contasse, gli provocò un groppo alla gola che faticò ad ingoiare. 
"Come è accaduto?" riuscì solo a chiedere.
"In duello" rispose Victor "ma è una storia lunga. Per ora vi basti sapere che è stata la lama di Grammont a porre fine ai suoi giorni, e che la vita del Generale è solo una delle molte che quell'uomo ha indegnamente preso".
Nel dargli quell'informazione, nella voce di Victor vibrò un disprezzo così veemente che André ne rimase sconcertato. Di Grammont fino a quel momento aveva avuto tutt'altra visione. Lo aveva conosciuto come una persona degna, che in circostanze difficili si era dimostrata amica, liberandolo prima dalla prigionia e poi aiutando lui e Oscar nella fuga, il tutto senza badare alla possibilità di compromettere la sua delicata posizione in seno alla famiglia Jarjayes. Quello che Girodelle gli aveva appena rivelato cozzava, quindi, fortemente con l'idea che si era fatto dell'ultimogenito del Generale, che gli era sembrato avesse non solo le caratteristiche fisiche, ma anche quelle morali dei Jarjayes. 
"Non immagino i motivi che possono aver incrinato i rapporti tra Grammont e il Generale… il legame che li accomunava era indubbiamente delicato e credo soggetto a un fragile equilibrio, quindi non mi sorprende che possano aver deciso di risolvere una questione, probabilmente d'onore, in un duello che si è rivelato malauguratamente tragico, ciò che mi sorprende è sentir descrivere un assassino…" osservò incredulo. 
"Un pendaglio da forca…" puntualizzò Victor con fermezza "e della peggior specie. Le mani di Grammont sono lorde di sangue e vi garantisco che è stato versato in maniera tutt'altro che onorevole… È da tempo che la Marina Reale gli dà la caccia…" 
"La Marina Reale? " 
Victor annuì.
"L'onorevole conte di Grammont si è rivelato essere un pirata, un bucaniere[1] per l'esattezza.  Per quanto ne so, la sua nave potrebbe essere ancorata qui, da qualche parte agli Chartrons o comunque lungo la Garonna…" 
Il lampo di un'intuizione passò rapido negli occhi di André, animandone il viso e spazzando via ogni altro pensiero. 
"Oscar!" esclamò repentinamente "Se quel che dite è vero, potrebbe essere lui il motivo per cui è sparita. Doveva andare agli Chartrons per discutere con il capitano di un mercantile un passaggio verso le Antille, ma se avesse incontrato Grammont? Lui potrebbe…" 
"Dannazione! Sì! Potrebbe essere come dite!" 
"Avete idea di dove possa essere? Se siete qui, immagino sia perché siate sulle sue tracce… " 
"Esattamente" gli confermò Victor. "Quando ha ucciso il Generale e la verità sul suo conto è venuta a galla, per impedirmi di smascherarlo e ottenere il mio silenzio, ha usato come arma di ricatto alcune lettere in suo possesso che coinvolgono la mia famiglia, una faccenda delicata… Fatto sta che so precisamente dove sia, perché sono qui per incontrarlo… " 
"Dove ?" 
"In un posto chiamato Le Pen Duick".
"Vengo con voi!" 
"Non credo sia una buona idea, se davvero Grammont ha Oscar, vedervi non farebbe altro che peggiorare la situazione, capirebbe che sappiamo e non avremmo più alcun vantaggio, se invece…" 
"Ho detto che vengo con voi, non se ne discute!" tagliò corto André "Ho bisogno della certezza che Oscar sia incolume e solo guardandolo negli occhi potrò averla, diversamente non avrete alcun motivo di preoccuparvi dei suoi ricatti né tanto meno di assicurarlo alla giustizia, perché vi garantisco che non uscirà vivo da quel posto… " 



In una stradina cupa e maleodorante dove una prostituta, afferrando un cliente per la camicia lo trascinava contro di sé in un anfratto buio, un'insegna di legno con sopra dipinto un uccello dalla testa nera indicò a Victor e André di aver trovato il luogo che cercavano. 
Non senza difficoltà Victor riuscì a convincere André ad attenderlo fuori, garantendogli che in breve tempo sarebbe tornato con le informazioni che bramava. 
Varcata la soglia, si ritrovò in un locale dal basso soffitto a botte; un massiccio candelabro di ferro rotondo pendeva al centro della sala e con poche altre candele sparse qua e là e infilate in vecchie bottiglie ricoperte di cera, illuminava fiocamente pareti che avevano visto tempi migliori. C'era odore di vino e il posto risuonava di voci e risate provenienti da una clientela tutt'altro che tranquilla. Per un momento si fermò a osservare la gente seduta ai tavoli in cerca del suo uomo. Un rumoroso gruppo di gente di vario tipo giocava a dadi, un altro stonava canzonacce in compagnia di donne vistose e discinte che ridevano senza ritegno, alcuni discutevano animatamente, altri se ne stavano soli ad affogare il mondo nel fondo del bicchiere che avevano innanzi, ma di Grammont neanche l'ombra. Si avviò dunque verso il bancone dall'altro lato della sala, per capire se l'oste potesse essergli d'aiuto, ma non arrivò al centro della stanza che un vecchio seduto a un tavolo si alzò e lo raggiunse. Senza parlare, gli indicò con un cenno della testa una rientranza nella parete, che in fondo al locale formava un angolo appartato e abbastanza ampio da poter accogliere un tavolo che offrisse l'intimità necessaria a chi non volesse essere disturbato. 
Lì, ad attenderlo, con due uomini armati fino ai denti alle spalle ed uno al suo fianco, sedeva serafica Aurore de Grammont. 
La sorpresa nel trovarsi innanzi la giovane contessa lo spiazzò. Per un lungo momento rimase a fissarla senza parole, mentre lei, avvolta in un lungo soprabito scuro che ne celava la figura sottile, si alzava e con lo stesso sorriso educato che gli avrebbe rivolto ricevendolo nel salotto della sua casa di Parigi, lo invitò ad accomodarsi. 
"Madame…" mormorò imbarazzato Victor, non riuscendo a evitare di inchinarsi leggermente in cenno di saluto. 
"Colonnello, che piacere rivedervi… anche se in circostanze tanto particolari" rispose lei con lo stesso imbarazzo, mentre abbassando lo sguardo tornava a sedersi. 
"Devo ammettere che sono piuttosto sorpreso, non era certo voi che mi aspettavo d’incontrare".
 "Oh sì… immagino, ma mio marito ha avuto un… contrattempo… e…"
"Un contrattempo…" ripeté Victor sarcastico "Aurore, non è necessario che ne giustifichiate la vigliaccheria" aggiunse distogliendo gli occhi dal viso della fanciulla e facendo vagare uno sguardo tagliente sui tizi alle sue spalle "perché cos'è, se non un vigliacco, un individuo che manda la moglie ad eseguire le sue vili manovre…" concluse fissando l'uomo seduto accanto a lei. 
Per nulla turbato dalle parole riservate al suo Capitano, colui che Victor aveva riconosciuto come lo stesso uomo che aveva fatto da secondo a Jean nel duello con il Generale, si lasciò andare contro lo schienale della sua sedia, mentre accavallando le gambe con disinvoltura gli rivolgeva un sorriso beffardo "È un piacere anche per me rivedervi, Colonnello… sbaglio o dovevate venire solo?" 
Per un attimo Girodelle rimase disorientato, ma ben presto si riprese considerando che fosse abbastanza ovvio che qualche scagnozzo di Grammont fosse appostato fuori dalla locanda, probabilmente quel tipo avvinghiato alla prostituta nel vicolo. 
"E lo sono d'Arvieux" rispose prontamente, recuperando dalla memoria il nome dell'uomo "Colui che mi attende fuori è semplicemente il mio palafreniere…" spiegò brevemente, valutando che difficilmente André potesse essere stato riconosciuto in quella strada buia, avvolto com'era nel mantello. 
"Come state?" domandò quindi con tenerezza, tornando a rivolgere la sua attenzione ad Aurore, che se ne stava seduta con la schiena rigida e lo sguardo basso sulle mani serrate in grembo, in una condizione di evidente disagio che palesava più di mille parole, quanto la sua presenza in quel luogo dovesse essere una costrizione, così come ogni momento che doveva trascorrere al fianco di suo marito. 
La ragazza alzò lo sguardo puntando sul viso di Victor due occhi profondi e limpidi che, per quanto si sforzasse, non riuscivano a celare l'inquietudine che l'agitava. Sorrise mestamente e socchiuse le labbra per rispondere, ma prima che potesse proferir parola, d'Arvieux rispose per lei. 
"Madame sta benissimo e ha fretta di ritornare da suo marito, direi quindi di chiudere con i convenevoli e venire al dunque" disse infilando la mano nella tasca interna della giacca ed estraendo un pacchetto di lettere strette da un nastro.  Per un momento lo sollevò mostrandolo a Girodelle, quindi tirò fuori con lentezza una lettera apparentemente a caso e la mise sul tavolo innanzi ad Aurore "Prego madame…" la esortò con un cenno della mano per poi riporre nuovamente le altre nella giacca. 
Aurore prese la lettera, chiuse gli occhi per un momento come per farsi coraggio e quindi la porse a Victor. 
"Questa è un gesto di buona volontà" esordì con voce atona "le altre le riceverete quando mio marito avrà ottenuto dal Re una Lettera di Corsa e con essa il riconoscimento del valore delle sue azioni a supporto della Marina Reale e a salvaguardia dei commerci e dei sudditi di Francia nei pericolosi mari caraibici".
Un'espressione di stupore mista a ira si dipinse sul volto di Victor. Quel nuovo assurdo ricatto era l'ennesima dimostrazione di quanto Jean de Grammont non avesse onore né limiti e di come la sua morte fosse l'unico modo possibile per chiudere quella faccenda. Ma mandando Aurore, Grammont gli aveva precluso quella possibilità e avrebbe continuato a tenerlo in pugno fino a che non avesse ottenuto la sicurezza dell'impunità per i suoi crimini. 
"Non era questo l'accordo!" sbottò con rabbia, alzandosi di scatto e colpendo il tavolo con i pugni mentre rivolgeva uno sguardo di fuoco a d'Arvieux.
"Calmatevi Colonnello" rispose freddamente questi "Ricordate che non siete nella posizione di poter dettare condizioni, quindi sedete e lasciate che la mia Signora continui. La state spaventando e non è un comportamento da gentiluomini, mi pare… " concluse in tono ilare. 
Victor volse lo sguardo ad Aurore, che li fissava pallida e atterrita. 
Si sentì in trappola. 
Serrò la mascella e inalando profondamente nello sforzo di contenere la collera che gli bolliva nel petto, tornò a sedere. 
"Scusatemi Aurore. Non era mia intenzione… " 
La giovane scosse la testa accennando un sorriso triste. Avrebbe voluto poter far qualcosa per evitare a Victor di subire l'odioso morso di Jean, ma prigioniera com'era della volontà di suo marito, non poteva nulla se non dimostrargli la sua empatia e il suo affetto. Si sporse quindi sul tavolo, e allungando entrambe le braccia posò le sue piccole mani delicate sui pugni ancora serrati di Victor. Per un attimo si fissarono negli occhi e lo sguardo di lei era così pieno di sincero calore e allo stesso tempo di tristezza che l'ufficiale ne fu turbato, realizzando in quell'istante che non poteva lasciarla al triste destino che l'attendeva nelle mani del marito. 
Un breve colpo di tosse di d'Arvieux bastò a ricordare ad Aurore quali fossero il suo ruolo e il suo posto, pertanto ella si allontanò tornando a sedere con la schiena dritta e le mani serrate in grembo. 
"Avete due mesi di tempo" riprese, recitando senza espressione alcuna, parole non sue "Vi ricordo che l'onore e il nome della vostra famiglia dipendono dall'esito di questa richiesta, vi suggerisco quindi di perorare il massimo impegno per il suo successo. Quanto al duello col Generale, farete in modo che le vere motivazioni che lo hanno causato vengano alla luce e che il suo sfortunato esito passi per quel che è effettivamente stato: un increscioso e non voluto incidente, il cui rimpianto il mio Signore si porterà tristemente nel cuore per il resto dei suoi giorni". 
Victor rimase per qualche istante in silenzio. Non voleva cedere al ricatto, ma sapeva di non avere molta scelta, la sua unica possibilità era guadagnare tempo. Era necessario per capire come muoversi, ma anche per cercare il modo per liberare Aurore… e poi prima di dare qualsiasi risposta aveva ancora una cosa fondamentale da sapere…
"Dov'è Oscar?" 
La voce alle sue spalle sembrava avergli letto nel pensiero, e pur sapendo perfettamente a chi appartenesse Victor si voltò. 
André era emerso dal tramezzo che isolava il tavolo. Aveva lo sguardo duro, deciso e tutta l'intenzione di avere una risposta immediata a una domanda precisa. Aveva dato fin troppo tempo a Girodelle e non intendeva attendere oltre per sapere quell'unica cosa che gli interessava. 
"È il tizio che abbiamo liberato a Parigi" osservò uno degli sgherri riconoscendolo e informando il suo capo, che non avendo partecipato all'azione lo vedeva allora per la prima volta.
Realizzando repentinamente le implicazioni della presenza di André in quella stanza, d'Arvieux scattò in piedi cercando con le dita l'elsa della spada.
"André, vi prego… " intervenne Victor alzandosi a sua volta e posandogli una mano sulla spalla nel tentativo di invitarlo alla calma. 
"Non preoccupatevi Girodelle, ho fatto solo una semplice domanda…" rispose lui con freddezza allontanandogli la mano, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di d'Arvieux. 
"Non so di cosa parlate…" ribatté l'altro sprezzante. 
La tensione si fece palpabile. Aurore si portò una mano al cuore: avrebbe voluto rispondere lei ad André, assicurargli che la sua Oscar stava bene e che nessuno le avrebbe fatto del male, ma non sapeva quanto potesse essere vero e soprattutto le mancava il coraggio di parlare e disobbedire agli  ordini di Jean, che era stato più che chiaro su come non dovesse fare cenno a nessuno della loro preziosa ospite. 
Ma il silenzio non la salvò. 
"E voi madame? Lo sapete?" le domandò André pensando bene di andare dritto all'anello debole della catena, ricevendo in cambio uno sguardo di rammarico più eloquente di qualsiasi ammissione. 
D'Arvieux scosse la testa con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. "Considerando che ci dovete la vita, il vostro atteggiamento è quanto meno da ingrato. In tutta onestà non meritereste risposta, ma fortunatamente per voi sono un uomo di buon cuore e voi così evidentemente preoccupato… Ebbene, sappiate che la vostra amica, nonché sorella carissima del nostro Capitano, è gradita ospite a bordo della Misericordia e tale rimarrà fino a che le sue richieste non verranno completamente soddisfatte". 
Il tono tranquillo e l'espressione pacata da gentiluomo svanirono nel pronunciare l'ultima frase, lasciando spazio a una durezza minacciosa e a un ghigno sprezzante che rivelavano appieno la vera natura di d'Arvieux . 
"Se le torcete anche un solo capello vi ammazzo tutti con le mie mani!" minacciò André rabbioso, muovendo un passo in avanti.
"State calmo André!” esclamò Victor, sbarrandogli la strada e afferrandolo per un braccio “Non siamo in condizione di fare minacce!" gli sussurrò quindi in un orecchio, invitandolo a riflettere e frapponendosi più fermamente tra lui e d'Arvieux, che intanto era avanzato a sua volta e lo fronteggiava a pochi passi di distanza. 
"Volete sapere qual è la cosa divertente di tutta questa storia?" lo provocò ancora quest’ultimo, ridendo di gusto "È stata lei a venire da noi! Pensate, voleva un passaggio per le Antille e quando le abbiamo detto che non era possibile ha insistito! Vi giuro che abbiamo provato a mandarla via ma non ne voleva sapere! Poco c'è mancato che Simon la prendesse a calci nel culo! Poi è arrivato il capitano e abbiamo scoperto che era la sorella! Ovviamente non poteva certo rifiutarle un passaggio! E che cazzo, è un gentiluomo lui!" esclamò scoppiando in una risata ancora più fragorosa, accompagnato dai suoi uomini. 
"Adesso basta, d'Arvieux! Vi prego di contenervi!" intervenne Aurore esasperata, alzandosi di scatto e portandosi innanzi a lui. 
"Scusatemi madame, avete ragione, mi sono lasciato andare" rispose costui ricomponendosi "È che volevo chiarire che non siamo andati noi a cercarla, ma si è trattato di una fortuita manna dal cielo" spiegò tornando a rivolgersi ad André "Converrete che sarebbe stato da stupidi non cogliere un tale imprevisto incentivo per il vostro nobile amico… La nostra dolce Signora ci sarebbe arrivata, ma ringraziando Dio l'avete tolta dall'imbarazzo…"
"Siete dei bastardi figli di puttana…" ringhiò Victor. 
D'Arvieux, indifferente all'offesa, inarcò appena la fronte. "Credo non ci sia altro da dire, a parte che come avrete intuito i legami di sangue non sono propriamente sacri per Le Requin, vi conviene quindi muovervi a fare quello che dovete. Avete sessanta giorni e non è poco, il nostro Capitano è stato sin troppo magnanimo. A tempo debito saremo noi a contattarvi" concluse, mentre con un cenno della testa ordinava ai due sgherri di farsi vicini ad Aurore per lasciare la locanda. 
"Mi dispiace…" mormorò la ragazza tirando su il cappuccio "non avrei mai volu…" 
Un improvviso clamore di voci alterate proveniente dalla sala coprì le sue parole; due uomini si stavano scambiando accuse e insulti, qualcosa era andato storto a un tavolo da gioco. In un attimo fu il caos. Urla, vetri rotti, pugni e calci che volavano ovunque: la taverna si trasformò in una bolgia. Poco distante dal punto in cui si trovavano un tale ruppe un boccale di birra sulla testa di un altro. 
Rendendosi conto che la situazione stava pericolosamente degenerando, d'Arvieux ordinò ai suoi uomini di farsi più da presso ad Aurore, ma nello stesso momento il compare di quello colpito caricò l'aggressore come un toro e lo colpì con tale violenza che questi volò all'indietro, schiantandosi sul tavolo in mezzo a loro e rovesciandolo. Approfittando del momento André afferrò per un braccio Aurore, che si era trovata separata dai suoi guardiani e con un gesto rapidissimo, la trasse alle sue spalle per poi indietreggiare nella confusione della locanda. 
"Portatela via!" gridò a Victor mentre d'Arvieux, ripresosi dalla sorpresa, con i suoi tirapiedi si faceva largo verso di loro a suon di pugni. Victor estrasse la spada e così fece anche André.
"Fate attenzione" gli raccomandò accorato prima di sparire tra la folla in direzione della porta.
André non rispose limitandosi a impugnare saldamente l'arma, ma l'intensità del suo sguardo carico di rabbia, fisso sugli uomini che avevano preso Oscar, annunciava che coinvolgerli in quella dannata storia era stata la peggiore delle idee… 
 
 
Non fu facile affrontare gli sgherri di Grammont, ma la collera che covava in corpo fu per André un valido aiuto. Attaccò i suoi avversari con tutta la forza dell'odio, lanciandosi contro di loro come un ariete, schivando i loro colpi mentre la lama della sua spada li incalzava senza sosta con una serie di rapidi fendenti. Tuttavia, per quanto inizialmente riuscì a tenergli testa, quello scontro impari, che anche al meglio delle sue possibilità sarebbe risultato arduo, finì col rivelarsi insostenibile. Le sue precarie condizioni di salute ben presto gli fecero accusare la stanchezza, rallentandolo e offuscandogli i riflessi, tanto che solo per miracolo alcuni colpi dei suoi avversari non andarono a segno. Nonostante la fortuna fosse dalla sua, non poté dunque tener banco a lungo e ormai fiaccato finì col commettere un errore fatale, ritrovandosi a terra, disarmato, sovrastato da d'Arvieux e circondato dagli altri. Riverso e inerme André fissò il viso soddisfatto di d’Arvieux, lo guardò asciugarsi con deliberata lentezza il sudore dalla fronte col dorso della mano destra, per poi rivolgergli un sorriso di scherno quando uno dei suoi, in segno di disprezzo, sputò a terra a un pelo dal suo viso mormorando un pesante insulto. Continuò a fissarlo mentre sollevava il braccio sopra la testa, teso e con la lama ben stretta in pugno, pronto a sferrare il colpo finale. In quell'attimo realizzò che stava per morire, ma pochi istanti prima che la spada si abbattesse sul suo petto, ebbe la prontezza di pronunciare le uniche parole in grado di salvarlo.
“Senza Aurore De Grammont mi seguirete presto all’inferno!" sbottò richiamando alla gola il poco fiato che gli rimaneva.
Neanche lo sguardo di Medusa avrebbe potuto pietrificare tanto rapidamente la mano del suo quasi assassino. D'Arvieux si bloccò di colpo arrestando la lama a un soffio dal petto di Andrè, rendendosi improvvisamente conto che la misera vita di quell'uomo non sarebbe bastata a salvare la sua, quando si sarebbe presentato a bordo della Misericordia senza la preziosa moglie di Le Requin ne alcunché per trovarla.
Quel maledetto gli aveva fatto perdere troppo  tempo. Victor de Girodelle e la ragazza ormai erano svaniti. Cercarli alla locanda dove il Colonnello alloggiava sarebbe stato inutile, solo uno stolto sarebbe tornato lì e Girodelle di certo non lo era, inoltre considerando i mezzi di cui disponeva, non avrebbe certo avuto problemi a pagare un nascondiglio sicuro per il tempo necessario a sparire. Una volta a Parigi poi, la situazione si sarebbe ulteriormente complicata… A quel punto, l'unica possibilità che aveva per sapere qualcosa e sperare di uscire vivo da quella situazione era quell'uomo.
"Alzatevi" sibilò abbassando la spada.
"Ma come? Volete risparmiare questo bastardo?!" domandò uno dei gaglioffi con un’espressione così incredula e al tempo stesso delusa, da ricordare un bambino a cui fosse stato portato via un giocattolo appena ricevuto.
"Stai zitto, idiota!" 
Fu il turno di André di sorridere compiaciuto fissando il volto tirato di d'Arvieux, prima di togliersi la soddisfazione di sputare il proprio disprezzo ai piedi dell'uomo che poco prima lo aveva dato per morto.
"Fatemi strada" disse quindi con calma "Sono ansioso di incontrare il famigerato Le Requin…"
D'Arvieux scosse la testa. "Non so se siete più pazzo o più idiota per essere tanto felice di mettere la testa nella bocca di uno squalo" disse senza trattenere un ghigno divertito.
André non rispose, non doveva certo spiegare a lui, né a nessun altro, che sarebbe sceso anche all'inferno se fosse stato necessario per riavere Oscar.
 
 
 
[1]I filibustieri erano i pirati dei Caraibi e delle coste dell'America, i bucanieri erano invece pirati, per lo più francesi, che intorno al 1600 si stabilirono nell'isola di Hispaniola, l'attuale Haiti, e Santo Domingo.
 

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