Una vita dopo

di FioreAStella
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ~ Risveglio ***
Capitolo 2: *** ~ Vecchie e nuove conoscenze ***



Capitolo 1
*** ~ Risveglio ***


- Calarmi dal terrazzo della scuola sarà un gioco da ragazzi!

Affermò tutta contenta e piena di sé una ragazzina dai capelli rossicci, la quale stava cercando di calarsi dal terrazzo della sua scuola per riuscire ad arrivare puntuale a lavoro.

 

- Digli di smetterla, Akito!

Urlò deciso un ragazzino dai grandi occhiali rotondi, posto accanto al suo amico d’infanzia. L’amico, di risposta a quest’ultimo, non batté ciglio e né, tantomeno, disse una parola riguardo alla birbonata che stava commettendo nei confronti di Sana, una sua compagna di classe.

 

- Ma dove sarà finita? Faremo tardi agli studi.

Un uomo a bordo di una macchina, posteggiata vicino ad una scuola elementare, vestito elegante e con addosso degli occhiali da sole affermò quelle parole, scocciato dal ritardo che la sua piccola amica stava facendo.

 

- L’importante è non guardare giù, dai Sana puoi farcela.

Si disse tra sé e sé quella stessa ragazzina, la quale stava cercando di scalare la terrazza scolastica per riuscire ad arrivare fino al piano terra. Stava facendo tutto questo per evitare di arrivare tardi al suo amatissimo lavoro di attrice e, anche, per darsela a gambe da quella assurda punizione, inflittole da alcuni bulletti della sua classe.

 

- Solo un altro pass...AAAAAAAAAAAAH

 

Poi il buio.

 

- SANAAAAAA

La voce dell’uomo vestito elegante di poco prima, nonché manager della stessa bambina prodigio, aveva iniziato a rimbombare per i corridoi dell’edificio scolastico.

Il tempo sembrò strabordare, andò tutto troppo in fretta: il suono di un’ambulanza che arriva di corsa, le voci spaventate e strozzate di bambini, i quali hanno visto anche troppo per la loro età. La vittima concreta di quell’incidente era solo una, una bambina di poco più di undici anni, ma le persone che stavano subendo passivamente quell’accaduto erano fin troppe.

- Uno, due, tre scarica!

Occhi ambra che guardano l’insieme di eventi con uno sguardo spaventato, come alienati dal resti. Forse era questa la sua vera paura? Essere il carnefice di persone innocenti, pensiero che la sorella e il padre  non gli avevano mai fatto mancare nella sua vita.

 

- DOTTORE LA STIAMO PERDENDO!

- SCARICA DI NUOVO, PIÙ FORTE!

 

La voce tormentata di quell’uomo con gli occhiali da sole non c’era più, e né, tantomeno, le urla, miste ai pianti disperati, dei compagni di classe di quella simpatica ragazzina dai capelli rossicci. 

- Sana...

Ora, rimane solo una madre, in lacrime, in una stanza d’ospedale a sperare che la sua unica figlia riesca a superare un trauma fin troppo grande da aggirare, sopratutto per una bambina di soli undici anni. 

Un incidente del tutto evitabile era stato commesso per causa di un gruppetto di bambini delle elementari, chi l’avrebbe mai detto.

- Signora Kurata non tutto è perduto. In questo momento sua figlia si trova in uno stato di coma superficiale, confidiamo che in poco tempo si risveglierà. Anche se, la caduta che ha avuto dal sesto piano dell’edificio è stata devastante per lei, quindi non escludo che ci potrebbero essere non poche complicanze.

 

Pov. Akito

Era andato tutto troppo in fretta, il mondo intorno a me in quel preciso istante era cambiato e solo in quel momento mi resi conto che le mie azioni portano, inevitabilmente, a conseguenze fin troppo grandi. 

Io non avrei voluto questo, perché è dovuto succedere? Perché Sana, ci sei tu su quel letto d’ospedale, e non io?

Il dolore di uno schiaffo da parte di mio padre mi fece risvegliare dai miei pensieri.

- Dovresti vergognarti.

Solo due parole, le quali non mi colpirono perché dette da quell’uomo, che doveva essere identificato come mio padre, ma perché esprimevano esattamente come mi sentivo in quel momento.

I mesi passavano e mio padre si dimenticò velocemente dell’accaduto, avvenuto poco tempo prima; di fatti ritornò tutto come prima, all’incirca.

Io, nel tempo che stava passando, stavo sperimentando svariate tipologie di sentimenti: odio verso me stesso, vergogna, collera, solitudine.

Quelli che si proclamavano e che ambivano, il più delle volte, a essere miei amici erano piano piano scomparsi. Sicuramente, spaventati dalle conseguenze che avrebbe portato prendersi le responsabilità di quel gesto, commesso mesi prima. Di conseguenza mi addossarono tutte le colpe dell’accaduto, le quali non disdetti e anzi me le presi tutte senza farmi scrupoli. Questo mi sembrò il minimo da poter fare, anche se riconoscere i propri errori, per quanto potesse essere la scelta più giusta, non avrebbe riportato in vita completamente Sana.

Sana, era proprio una buffa ragazzina. 

Mi avevano attratto i suoi modi di fare e di comportarsi fin dal primo momento, sapevo bene che lei sarebbe stata la calma e la tempesta messe assieme. Ma nonostante questo, nonostante questa sintonia inspiegabile, ho preferito agire per mio puro egoismo, dando l’okay a quei quattro lecca piedi di chiuderla in terrazza.

Un brivido mi percorre tutto il corpo a ripensare a quel ricordo: il corpo di Sana quasi senza vita, disteso a terra, pieno di lividi con ferite aperte e sanguinanti. 

 

5 anni dopo...

Sono le sei del mattino, l’orario che più preferisco per mettermi a correre e scollegarmi almeno per un’ora dai miei soliti pensieri.

Non mi piace la mia vita. Ho pensato fin troppe volte di farla finita però più ci rifletto, più penso che la donna che mi ha messo al mondo non avrebbe voluto questo. Avrebbe potuto abortire se non mi avesse voluto e invece io sono qui e lei, chissà dove tra i Kami.

 

- Guardate c’è Hayama!

- Ma non è quello che fece precipitare dal terrazzo una bambina alle elementari?

- Sarà una semplice diceria, suvvia, guarda che carino!

 

Troppi commenti, troppe verità sdrammatizzate come se nulla fosse. Odio la scuola, ma in particolare modo odio tutte queste ragazze che parlano solo per dar fiato alla bocca. Si pensano che solo perché parlottano a bassa voce non le riesca a sentire e che, oltretutto, non senta ciò che loro riducono a “una semplice diceria”. 

Durante la lezione mi arriva un bigliettino.

“Hayama, volevo dirti che la merce è arrivata”

Il mittente è Gomi, il quale, nonostante gli anni che sono passati, è rimasto un mio fidato compagno e amico forse l’unico, insieme a Sasaki. Lui non si tirò indietro quando ci fu da prendersi le proprie responsabilità, durante quell’incidente di cinque anni fa.

Accartoccio il bigliettino che ancora mi ritrovo tra le mani, sperando come di cacciare quei vecchi pensieri su quella bambina delle elementari (anche se vecchi non lo sono proprio per nulla).

A ricreazione Gomi mi si avvicina; sicuramente per chiedermi riguardo il bigliettino di poco prima.

- Hai letto il biglietto?

Come si voleva dimostrare. La cosa che mi esorta a sbuffare è il suo solito comportamento, me lo sta chiedendo come se si trattasse di una svendita di caramelle.

- Si.

Rispondo secco e senza enfasi, facciamo questo “lavoro” da parecchio tempo è possibile debba sempre agitarsi così?

- E allora?

Mi chiede, di rimando, con tanto di occhi speranzosi, sono certo di poter concludere la mia teoria: è proprio un bambino.

- Sai bene cosa va fatto, venderla.

Appena finisco di pronunciare quelle parole, mi dirigo verso il terrazzo della scuola. Quando mi ritrovo all’ultimo piano della scuola, mi sento sempre più vicino a lei.

Mi siedo su un piccolo soppalco, posto vicino alle ringhiere, messe appositamente dopo che quell’incidente accadde anni prima.

Dopo quel terribile giorno alla scuola elementare, diventai sempre peggio: sempre più scontroso, sempre più chiuso in me stesso e, sopratutto, con una pessima reputazione, sotto tutti gli aspetti.

Successivamente quando inizia ad andare a liceo, mi soffermai a provare il mercato della majiuana. Scoprì ben presto che nel venderla si faceva un buon guadagno e, con l’appoggio di Gomi e qualche altra persona fidata, stavo riuscendo nel mio passatempo. Perché si, alla fine, questo è un passatempo, come lo era il prendersela con gli insegnanti alle elementari senza un’apparente motivo. 

Mi soffermo su un punto indefinito, guardando sotto l’edificio della scuola; tutto sembra così minuscolo da qui, le persone sotto neanche si distinguono.

Un dubbio mi attanaglia la mente: quella bambina, quando cadde, fu costretta a questa visione?  

- È un bel panorama, tutto sommato.

La voce del mio amico Tsuyoshi mi riporta alla realtà; mi giro verso di lui, cercando come un’appiglio nella sua persona. A volte mi sento così inglobato nel mio passato, che non riesco neanche a rendermi conto di cosa accade intorno a me. Credo che se Tsu non mi avesse smosso dai miei pensieri, forse neanche mi sarei accorto che lui fosse posto proprio dietro di me.

- Non mi dispiace.

Rispondo ridestandomi dai miei pensieri.

Il mio amico, però, sa fin troppo bene a cosa sto pensando, perché subito dopo abbozza un sorriso.

Dopo un po’ si siede anche lui nel soppalco, accanto al mio, e mi fa compagnia in silenzio.

- Oggi andrai come sempre a farle visita?

La sua domanda è quasi sempre questa; mi sono spesso chiesto se me lo domanda per riuscire ad avere una risposta diversa, prima o poi, o se è solo un modo per riuscire a carpire se prima o poi impazzirò del tutto.

- Si, come sempre.

Taglio corto e non smettendo di fissare il vuoto.

- Sai in tutti questi anni mi sono spesso chiesto, perché lo fai?

Questa è una bella domanda; effettivamente perché andavo a trovare ogni pomeriggio quella ragazza dai capelli rossi? Io sono stato in parte la causa principale di quell’incidente, ma non completamente. Forse andarla a trovare è solo un modo per riuscire a ripagare, almeno in parte, al mio danno? Non lo so bene, anche se, a dire il vero, mi piace andare da lei; mi siedo accanto a lei e inizio ad ammirarla, ogni giorno che passa si trasforma sempre più in una bellissima ragazza. Quindi me ne sto lì, anche una mezz’ora buona delle volte, la squadro in ogni minima parte, ogni tanto le accarezzo i capelli ramati o le prendo una mano e le ripeto sempre di svegliarsi. Di non farlo per me, ma per sua madre, per il suo manager, per le persone che ancora, nonostante sia passato tutto questo tempo, la vanno comunque a trovare.

- Non lo so, non mi dispiace farlo.

Quella risposta sembra bastargli, perché subito dopo ritorniamo in silenzio finché la campanella non ci obbliga a tornare in classe per l’inizio della prossima lezione. 

 

La metro affollata di pomeriggio è la cosa peggiore che possa esistere in tutto il Giappone. Mi danno fastidio i luoghi affollati con le troppe persone tutte ammassate, con gli sguardi indiscreti dei ragazzini più piccoli (i quali mi conoscono per la famosa nomea, che mi sono costruito in questi anni) e con gli sguardi disgustosamente provocatori delle ragazze (le quali mi guardano, invece, come se fossi l’unico essere maschile lì dentro).

 

Appena scendo dalla metro sento una voce femminile che si avvicina sempre di più a me, spero non sia un’altra scocciatrice perché oggi non sono proprio dell’umore.

- Scusami, ti è caduto questo in metro.

Mi riconsegna il mio astuccio con all’interno le sigarette e l’accendino, dovrei smettere di fumare solo per evitare situazioni del tipo: “ringraziare gente a caso”.

Alzo lo sguardo dal mio astuccio e inizio ad analizzare il volto di quella ragazza, il suo viso mi sembra di averlo già visto svariate volte: capelli scuri e corti fin alle spalle, occhi castani e lineamenti molto marcati (differenti dalle ragazze giapponesi). Alla fine mi ridesto dai miei pensieri, notando lei che non smette di fissarmi a sua volta, e mi rendo conto che sarà solo un’assurda coincidenza. Tutto sommato, chissà quante ragazze straniere ci saranno in Giappone.

- Grazie.

Dopo aver ripreso il mio astuccio, mi incammino per la mia destinazione, ripensando a quei lineamenti fin troppo conosciuti.

- Ehi, scusami ancora!

Di nuovo quella ragazza, ma che vorrà mai da me? Mi maledirei solo per essere stato a squadrarla più del dovuto.

- Ancora tu, che ti serve?

Credo di aver esagerato con il tono di voce molto scocciato, perché subito dopo il suo sorriso viene soppresso da un espressione dispiaciuta.

- Ehi, potresti essere più gentile...alla fine ti ho riportato il tuo astuccio.

- Sono gentile solo con chi lo merita, quindi che ti serve?

Ma quanto possono mai essere insistenti le persone: mi cade una cosa per terra, me la riporti, ti ringrazio, ti accorgi che sono diretto da qualche parte, visto che non mi sono fermato a parlottare con te, e di rimando? Lei insiste.

- Io sono Matsui Fuka, vedendoti ho subito pensato che sei proprio un bel ragazzo. Mi chiedevo se ti andrebbe di uscire con me?

Ho capito. Era sicuramente una di quelle ragazze in metro, la quale desiderava una possibilità con me ed ha pensato di averla trovata riportandomi l’astuccio.

Tre parole: sfacciata perdi tempo.

-Mi chiamo Hayama Akito e la risposta alla tua domanda è no.

Mi rigiro verso la mia destinazione, iniziando ad incamminarmi.

- Ma aspetta, ti prego...

Mi sento tirare per un braccio, subito metto fine a quel contatto; odio essere toccato.

- Almeno posso sapere perché vengo rifiutata con così poco garbo?

Non c’è che dire è proprio insistente come ragazza.

- Ho una fidanzata più bella e intelligente di te, ti è chiaro il concetto adesso?

Non riesco a credere a quello che ho detto, però la mia balla sembra funzionare alla grande perché cambia subito espressione, passando dall’essere triste all’essere quasi rassegnata.

- Oh...allora scusami, mi dispiace di averti importunato in questo modo. Ti auguro una buona giornata Hayama.

Alla fine la vedo scappare via, correndo dalla parte opposta alla mia. Meglio così, una bugia detta per una scocciatrice in meno.

E poi chi vorrebbe mai avere una ragazza o, per meglio dire, averne una fissa. Insomma non sono un farfallone e né tantomeno un santo d’uomo, ma avere attivamente una ragazza proprio no.

D’altra parte quale fidanzata, anche la più indulgente, accetterebbe mai la stranezza di andare a far visita ad un’altra ragazza in ospedale, come prassi pomeridiana; e se volessimo essere pure più precisi, una bellissima ragazza.

 

- Hayama, sei arrivato.

L’ex manager di Sana si sta combinando sempre peggio, da quando la sua amica non si può prendere più cura di lui. Non so con precisione cosa sia successo, ma, se non sbaglio, è stato cacciato di casa dalla signora Kurata dopo una crisi di nervi, avuta da quest’ultima.

Nonostante, inizialmente, non ho visto di buon grado questo ragazzo, poco più grande di me, alla fine ho capito quanto lui ci tenga veramente a Sana.

Si dirige qui in ospedale, a farle visita, subito dopo il turno al ristorante per cui lavora come cameriere e resta qui, finché non arrivo io: nessuno dei due vuole che Sana rimanga da sola neanche un attimo. 

Dire che siamo diventati amici è alquanto azzardata come considerazione, diciamo che è nata una certa simpatia prodotta da un qualcosa che ci accomuna: Sana.

- Si ci sono, tu puoi andare.

Mi fa un cenno con la testa di assenso e si dirige verso l’uscita dell’ospedale.

Entrando nella stanza d’ospedale assegnata a Sana, vengo subito inondato da un odore di disinfettante e amuchina per ambienti.

È quello stupido odore che mi fa sempre più pensare che quella bambina, posta in quel letto, non si risveglierà mai (bambina, insomma, si fa per dire).

Avvicino una sedia accanto al letto della ragazza dai lunghissimi capelli rossi. 

Inizio a guardare ogni minima parte del suo corpo: i capelli rossi che col passare degli anni hanno iniziato a crescere esponenzialmente, il nasino alla francese, le labbra color pesca che qualche anno fa mi riempivano sempre di insulti, le guance, un tempo rosse e piene di vita, ed ora così bianche e spente.

Le prendo la piccola mano destra, posta sul bordo del letto, e la intreccio con la mia, la quale, invece, potrebbe tenerne tre di quelle piccole mani.

- Svegliati.

Lo sussurro piano, stringendo più forte quella sua mano così piccola e debole.

Ad un tratto sento come un piccolo movimento delle sue dita nella mia mano, un brivido mi percorre tutta la colonna vertebrale.

Mi alzo di scatto ed esco dalla porta della stanza di corsa.

- INFERMIERA! INFERMIERA!

- Dimmi ragazzo che succede? 

- Sana...cioè la signorina Kurata, ho visto che ha fatto dei movimenti con la mano destra.

Concludo tutto d’un fiato, convinto di quello che ho visto e sentito sulla mia mano.

- Ragazzo mio, sono solo piccoli spasmi involontari del corpo. Purtroppo non certificano che la paziente Kurata si sveglierà o meno.

Chiudo la porta della stanza e mi rimetto seduto sulla sedia di poco prima, avvilito come mai prima d’ora. Una minima speranza aveva fatto breccia in me fino a pochi minuti fa, una piccola speranza dopo tutti questi anni.

- MI SPIEGHI PERCHÉ? PERCHÉ NON VUOI SVEGLIARTI? COSA TI COSTA? 

Urlo fuori di me davanti a quella ragazza distesa su quel letto, subito dopo mi rendo conto della sciocchezza che ho appena commesso. Mi poggio una mano sulla fronte, rimettendomi seduto sulla sedia, non so più cosa pensare.

- So di non essere la persona migliore del mondo, però ti prego svegliati. Fallo per tutte quelle persone che tengono ancora a te.

Quella frase, detta come un sussurro, è la cosa più vera e sincera detta in quest’ultimi anni. Lei è speciale, lei non merita tutto questo.

Dopo un pò la stanchezza di tutte quelle emozioni prende il sopravvento su di me e mi addormento sulla sedia, posta accanto al lettino di quella ragazzina.

 

Vario tempo dopo, sembrano trascorse ore, mi sento toccare la testa da una mano molto piccola e ossuta. 

Alzo il viso iniziando a stropicciarmi gli occhi, mi sento ancora stanco morto.

La visione che segue subito dopo il mio sguardo, mi sembra un sogno ad occhi aperti: Sana è lì, a pochi centimetri da me che mi fissa con un sorriso tra l’incerto e il confuso.

- Mi dispiace averti svegliato, ma non riesco proprio a capire perché mi ritrovo qui...anzi, in realtà non mi ricordo tante cose.

- Tu...

- Io...

- Sei sveglia.

- Sono sveglia.

Risponde lei, ovviamente confusa dalle parole insensate che sto dicendo.

- Ti dispiace se rimandiamo a dopo questo gioco?

Mi incalza lei non smettendo di sorridere, credo per la mia espressione alquanto sbalordita.

- Si..cioè no...aspetta qui.

- E chi si muove.

Risponde, indicando tutti i tubi che si ritrova attaccati al corpo e non smettendo di avere un espressione sorridente.

Mi alzo lentamente, sono confuso come non mai prima d’ora. Per fortuna riesco a biascicarmi fino all’uscio della porta della stanza dove si trova Sana.

- Infermiera.

La richiamo con un filo di voce. 

- Dimmi pure.

- La signorina Kurata è sveglia.

Lei mi guarda come se stessi dicendo la più grande balla ascoltata nella sua vita. Anche se il suo sguardo è un po’ dubbioso, come a dire “Scusami, prima per uno spasmo mi chiami come se si fosse svegliata e adesso, mi stai comunicando la notizia con così tanta leggerezza?”

Non convinta della mia affermazione entra nella stanza e si ritrova di fronte una Sana sorridente, che la saluta con la manina.

- Ma salve! Potrei sapere perché sono qui?

- Non ci posso credere...

- Si figuri io, non ricordo neanche chi sono a tratti.

Quella battuta detta con così tanta leggerezza, mi fa sperare che il suo buon umore non è sparito nonostante il coma.

- DOTTOREEEEEEE!

Urla alla fine sconcertata l’infermiera; neanche lei se lo sarebbe mai aspettato, dopo tutto questo tempo, che Sana si svegliasse.

- E tu chi sei?

A quella domanda mi giro di scatto nella sua direzione, mi guarda con occhi ammirevoli e contenti come se la mia risposta contasse più di ogni altra cosa. In tutta la mia vita, nessuno mi ha mai osservato con così tanta, e pura, felicità.

- Hayama Akito.

- Hayama...mhm...e chi saresti per me?

Già, io chi ero? Non posso dirle come stanno le cose e ne, tantomeno, posso dirle che è colpa mia se lei si ritrova qui. 

- Diciamo un amico.

Rimanere sul vago mi sembra un opzione molto azzeccata e lei, d’altra parte, sembra crederci, notando il suo sguardo rasserenato.

- Almeno avevo buon gusto in fatto di amicizie.

Ridacchia per la sua stessa battuta.

- E vediamo un pò, perché io mi ritrovo qui?

Perché deve essere così curiosa? Mi pone domande a cui è difficile trovare una risposta convincente sul momento e poi non posso evitare di dirle la verità, ma non posso neanche ometterla.

Il dottore che entra di corsa nella stanza, mi procede nel dover trovare una risposta esauriente ad una domanda, fin troppo scomoda.

- Bene signorina Kurata, innanzitutto ben svegliata, ora vedremo un pò come si sente. Abbiamo già avvisato i suoi familiari, i quali saranno qui a breve.

- Io andrei.

Prendo lo zaino della scuola di fretta e apro la porta per andarmene, sotto gli occhi di tutti i presenti in quella stanza.

- Hayama aspetta...

I suoi occhi color nocciola mi bloccano a guardarla, come se non ci fosse cosa più bella al mondo da osservare.

- Verrai a farmi visita ancora?

- Tutti i giorni.

- Allora a domani e grazie.

Ancora una volta, nessuno mi aveva rivolto un sorriso così sincero.

Appena uscito dall’ospedale, mi accascio sul muretto dell’edificio. 

Cosa mi sta succedendo? Non mi sono mai sentito così in tutta la mia vita, come se avessi qualcosa dentro di me che sta per esplodere solo alla vista di quello stupido sorriso.

 

Innanzitutto buon pomeriggio a tutti/e!

Io sono FioreAStella, una nuovissima utente di questo fandom ma, nonostante ho registrato il mio account da poco, non della stessa piattaforma di efp.

Diciamo che ho spesso letto fanfiction su questa piattaforma, di lettura/scrittura, da esterna e sono rimasta sempre ammirata dalle storie scritte qui sopra; e non parlo solo delle tematiche esposte (tra l’altro di un’originalità introvabile il più delle volte). Ma anche della stessa pulizia grammaticale, della punteggiatura, del filo logico di idee che segue la storia e così via. A tal riguardo, vi prego di essere clementi con i miei inguardabili errori 🙈, ma sono ben accettate critiche costruttive per migliorare! :)

Ci tenevo ad inaugurare il mio account proprio su questo fandom, perché per me l’anime di Kodocha ha rappresentato una grande “guida” durante la mia infanzia. 

Spero di fare un buon lavoro con questa storia e, sopratutto, di non far vergognare gli/le scrittori/scrittrici più esperti/e di questa sezione sopratutto ahahahah

Giuro che cercherò di impegnarmi e essere brava il più possibile <3

- FioreAStella

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Capitolo 2
*** ~ Vecchie e nuove conoscenze ***


L’ultima noiosissima lezione di quella giornata non intendeva finire: geometria, per intenderci.

Non mi sono mai piaciute le materie di ambito matematico - nonostante ho voti alti in tutte le materie scolastiche - e in particolare modo in questa: di fatti, questa lezione, proprio non la reggo.

Non mi piacciano le figure geometriche come i triangoli, i quadrati, i poligoni e perfino i triangoli incastonati dentro i cerchi. Perché mai, una persona, sana di mente, dovrebbe studiare un triangolo inscritto in un cerchio? A cosa dovrà mai servirgli nella vita?

Ma la cosa che mi da più sui nervi, sinceramente, è il comportamento del professore; sono certo di non stargli particolarmente simpatico, anche se, d’altra parte, compatisco il Professor Sengoku. Lui non può neanche sfogarsi nel mettermi voti bassi, dato che sono sempre stato il secondo della classe con la media più alta (superato di mezzo punto da quel cervellone di Tsuyoshipff). Però, credo che la mia nomea scolastica, e al di fuori di essa, non gli vada particolarmente a genio. Mi dispiace per lui, ma a me non interessano le sue paranoie da ultra quarantenne incallito.

Il mio sguardo, particolarmente scocciato, cade su una foto, fatta insieme a Sana qualche giorno fa, con la polaroid che le portò sua madre. Questa foto la tengo sempre nel mio astuccio delle penne così, quando devo sopportare alcune lezioni noiose, come quella del Professor Sengoku a punto, mi convincerò, guardandola, che mancherà sempre meno tempo nel rivederla durante il pomeriggio.

 

*Inizio Flashback*

- Akito guardaaa! Tadann!

Ormai è una settimana che Sana si è svegliata dal coma e, sempre da una settimana, non riesce stare più “ferma” (nel verso senso della parola).

In ospedale la conoscono tutti ormai, nonostante deve utilizzare la sedie a rotelle per spostarsi, e in modo particolare nei reparti per bambini (dov’è amata e ricercata costantemente).

D’altra parte, poterla andare a trovare ogni giorno è davvero una fortuna. Non è così petulante come me la ricordavo alle elementari e possiede, inoltre, un umore che riesce a calmarmi; sopratutto quando mi sento frustrato, perché le vendite nel mio “lavoro” stanno scendendo parecchio. Ma, nonostante questo, più la guardo, più non riesco a non pensare che la colpa sia solo mia, se lei si trova qui. Ed inoltre, arriverà il giorno in cui dovrò essere proprio io a dirle come stanno le cose. Lei, comunque, non mostra di ricordare quasi nulla dell’incidente e, del resto, i dottori non vogliono sforzare il suo fisico e la sua mente assieme; a quanto mi ha riferito Sana stessa, preferiscono agire un gradino per volta. Però, quando arriverà il turno della sua memoria, io non saprò più cosa fare o, addirittura, come comportarmi con lei.

- Akito, ti sei imbambolato?

Sana mi passa una mano davanti agli occhi, cercando di risvegliarmi dal mio trance infinito di pensieri. Il suo sorriso, perennemente presente sul suo volto, mi fa sparire immediatamente molti dei miei timori sul futuro che mi aspetterà, di lì a poco.

- Stavo pensando.

- A cosa?

- Quando uscirai di qui, ti porterò in un bel posto.

Mentire mi sembra la cosa più giusta, seppure, alla fine, non è totalmente una bugia. Ho spesso pensato, da quando Sana si è svegliata dal coma, che una volta dimessa dall’ospedale, potrei portarla in qualche posto carino. Iniziando a conoscerla sempre di più, ogni giorno che passa, credo che portarla ad un luna park, potrebbe essere una scelta molto azzeccata: è diversa dalle altre ragazze della sua età. Se avessi chiesto di uscire ad un’altra ragazza, certamente, mi avrebbe fatto intendere, che l’avrei dovuta invitare in qualche ristorante o chissà cosa.

- Davvero e dove?

Mi guarda con occhi sognanti, come se le avessi già esposto, ove avrei in mente di andare con lei.

- Segreto, quando uscirai di qui lo saprai.

- Promesso? 

Mi da il mignolino per sigillare quella promessa. Credo di essere ritornato alle elementari, ma, dopo tutto, non posso aspettarmi molto da lei: avendo subito un trauma quando era ancora una bambina, possiede alcuni comportamenti molto obsoleti per la sua età.

Ci vorrà del tempo a convincerla che oramai è diventata una ragazza di diciassette anni, nonostante un po’ mi piaccia riscoprire con lei la mia “fanciullezza perduta”. Tra la mia famiglia, la quale non si è mai comportata da tale, l’incidente a scuola, le risse, le compagnie sbagliate venute dopo: non ho mai potuto avere un momento, in cui mi sono fermato a pensare che un bambino delle elementari non vive così.

Alla fine stringo il mignolino di Sana, felice di aver ritrovato una “compagna di giochi” un po’ cresciuta.

Ad un tratto sentiamo come il rumore di una macchina fotografica, ci giriamo entrambi verso la direzione da cui proviene quel rumore e alla fine ci ritroviamo davanti un bambino. Il quale ci ha scattato una foto, con la stessa polaroid che Sana aveva poggiato sul comodino, poco prima.

- Eravate così carini, allora ho deciso di farvi una foto.

- Hiro, vieni qui.

Sana allarga le braccia e il bambino ci si fionda in mezzo secondo, scavalcando la ringhiera del letto, dove si trova la ragazza dai lunghi capelli rossi.

Alla fine questo Hiro si ritrova accollato tra le braccia di Sana, e, se devo dirla tutta, lo invidio molto: io, adesso, a malapena posso tenerle la mano, che subito verrei etichettato come un pervertito. È proprio vero il detto: “quando sei un bambino, tutto ti è concesso (o quasi)”.

- Hai un buon profumo Sana...profumi proprio di mamma.

Vedo Sana irrigidirsi parecchio a quelle ultime parole pronunciate, innocentemente, da quel marmocchio - il quale potrebbe avere su per giù 5/6 anni - ma, subito dopo, la vedo ritornare sorridente, come all’inizio.

Mentre continua ad accarezzargli i capelli biondo cenere, vedo Sana, con la coda dell’occhio, controllare il respiro regolare del bambino; ormai si ritrova con gli occhi chiusi da un bel po’, sinonimo che si è addormentato tra le braccia di lei.

- Sai Hiro mi è saltato subito all’occhio, quando sono andata, la prima volta, nel reparto dell’infanzia. Ti assomiglia molto.

Inizia lei poggiando lo sguardo, prima su di me e poi sul bambino che si ritrova tra le braccia. Effettivamente, c’è una forte somiglianza esteriore: capelli biondo cenere, occhi dorati e anche i lineamenti del volto sono molto simili. Se non avessi solo diciassette anni, potrei affermare che quel bambino è proprio mio figlio.

- È un bambino fantastico. Sempre allegro, gentile con tutti, ed, inoltre, gli piace molto giocare con i dinosauri.

Ma guarda po’ sembrerebbe quasi la fotocopia spiccicata mia e di Sana: lei sempre di buon umore, sempre felice, anche per la minima sciocchezza e io, che gli assomiglio solo esteriormente, con la passione per i dinosauri.

- Però, nonostante questo, la vita è troppo ingiusta con lui.

Il suo sguardo si incupisce di colpo, stringendo più forte quel bambino a sé, come avendo l’intenzione di proteggerlo dal resto del mondo.

- Che vuoi dire?

Chiedo io ingenuamente. Non riuscendo a comprendere, a pieno, quelle parole e quei gesti, riservati a questo bambino.

- Ha la leucemia e i dottori sono molto titubanti sulla sua completa guarigione.

Quella gelosia provata, poco prima, nei confronti di questo bambino, il quale si ritrova ancora tra le braccia di Sana, sparisce di colpo in me, facendo posto ad un’altro sentimento: l’angoscia.

Come può un bambino, così piccolo,  soffrire di una malattia così grave e difficile da superare e, sopratutto, da reggere, anche per uno stesso adulto.

- E la sua famiglia? I suoi genitori, dove sono?

- Hiro non ha una famiglia...è stato abbandonato, quando aveva pochi mesi, in quest’ospedale.

Leggo lo sconforto nei suoi occhi, la delusione, la paura di perdere la piccola creatura che si ritrova tra le braccia. 

Se non avessi il volto di Sana ben visibile ai miei occhi, mi verrebbe quasi da dire che è quello che tiene in braccio è nostr...suo figlio.

Mi alzo dalla sedia come spinto da un qualcosa che ha coinvolto, terribilmente, anche me, compiendo una gesto che neanche io, mi sarei mai aspettato di fare: li stringo tra le mie braccia, entrambi. Tutto questo sotto gli occhi sbalorditi e incerti di Sana, la quale è inizialmente titubante a quel contatto, anche se, subito dopo, si lascia cullare tra le mie braccia: sento il suo corpo, infatti, sciogliersi sempre di più in quel fugace contatto.

- Se non ha una famiglia, potrebbe averla con noi.

- Che intendi dire?

Mi domanda lei confusa.

- Lui ti considera già la sua mamma. Bene, io sarò il suo papà.

- Lo faresti davvero?

- Si.

Contenta come non mai, afferra con la mano, lasciata libera, la polaroid vicino a sé e scatta delle foto a noi tre, mentre Hiro continua a dormire appoggiato al suo petto.

*Fine flashback*

 

Il dolore di una bacchetta spaccatemi in testa, mi fa risvegliare bruscamente dai miei pensieri.

- Allora Hayama, intendi ancora dormire durante la mia lezione?

La persona che mi ritrovo davanti, mi fa venire voglia di mettermi a dormire seriamente, giusto per dargli fastidio: il Professor Sengoku.

- Purtroppo non più, sa com’è la sua bacchetta mi ha svegliato fin troppo.

Le risate generali prodotte dagli alunni della classe lo fanno innervosire ancora di più: noto, infatti, il suo volto che sta iniziando piano piano a cambiare colore di quanto è infuriato.

- Akito, sta zitto.

Mi sussurra Tsuyoshipreoccupato per me. Ormai è sempre così: io combino guai col professore e il mio amico cerca sempre di tirarmici fuori.

- Non si preoccupi professore, non ricapiterà più. Vero Akito? Su chiedi scusa al Professor Sengoku.

Tsuyoshi cerca di farfugliare frasi di scuse davanti al professore, impacciato come non mai, mentre la classe non smette di ridere per la situazione che si sta creando.

- Ma non ci penso nemmeno.

Concludo secco io, notando che l’insegnante continua ad irritarsi sempre di più. Sono certo che di qui a breve esploderà.

La situazione è molto tragicomica: il professore sta diventando tutto rosso per quanto è irritato con me, Tsuyoshi non smette di chiedere scusa e inchinarsi al mio posto e, ultimo ma non meno importante, io che sono rimasto nella stessa identica posizione, da quando l’insegnante si è accorto che ero distratto.

- Hayama, fuori dalla classe.

Peccato. Pensavo sarebbe esploso, di lì a breve, e invece un semplice “fuori dalla classe” con un’aria fin troppo calma. Che stia apprendendo la mia tattica? Chissà.

- Adesso.

Conclude voltandosi e dandomi le spalle.

- Con molto piacere.

Rispondo io, dirigendomi fuori dalla classe e finendo per sbattere la porta, sotto gli occhi sconcertati di tutti i presenti. Se pensano, che solo perché un professore cerca di andarmi contro, io smetterò di essere quel che sono si sbagliano di grosso.

 

Dopo qualche minuto vedo Gomi, il quale, sicuramente, stava tornando dal bagno.

Mi si avvicina e subito dopo mi chiede perché sono fuori; successivamente mi fa segno che dobbiamo parlare di “alcune cose”. Capisco immediatamente a cosa si riferisce, allora gli faccio un cenno di assenso con la testa e ci dirigiamo nella terrazza.

- Le vendite scarseggiano e a quanto ho capito, abbiamo dei concorrenti nella nostra zona.

Questa proprio non ci voleva, chi è il pazzo che si stava mettendo contro di noi? Ma sopratutto contro di me. Molti ragazzi, appartenenti al liceo Jambo e non, sono addirittura, terrorizzati dalle voci poco raccomandabili che girano sul mio conto e, sopratutto, sui miei metodi “poco ortodossi”.

- Scopri chi sono, li troviamo e gli diamo una bella lezione.

- Sei sicuro Hayama?

- Mai stato più sicuro e poi non è mica la prima volta che facciamo rissa. Se ci scopre qualcuno, inventiamo una balla, come sempre.

- E se non dovesse bastare?

- Chiamiamo i poteri forti, mi sembra ovvio.

Lo vedo irrigidirsi, appena pronuncio quelle parole. Lui non ha mai avuto niente a che fare con loro, sono io che organizzo sempre gli incontri e che tratto i prezzi, quando ci propongono la roba da vendere. Gomi, al massimo, va a ritirarla e poi la distribuisce agli altri ragazzi, i quali successivamente la vendono.

- Non c’è né sarà bisogno. Non preoccuparti. Ora chiederò un po’ in giro chi sono questi farabutti e ti riferirò tutto.

La conversazione si chiude lì. Gomi ritorna in classe e io alla fine decido di rimanere ancora sulla terrazza, mentre mi accendo una sigaretta.

- Sapevo che ti avrei trovato qui.

La voce Tsu mi fa girare nella sua direzione. Mi accorgo, immediatamente, che mi sta fissando con un espressione piuttosto arrabbiata.

- Su avanti. Comincia a farmi la morale, anche sta volta.

Lo precedo con quella battuta, volutamente ironica.

- La morale? Akito non si dorme durante le lezioni e, sopratutto, non si fuma a scuola.

Mi prende la sigarette dalle dita e la butta a terra, finendo per calpestarla col piede.

- Non era neanche a metà.

Sbuffo dal suo comportamento, il quale, nonostante gli anni che passano, non intende variare. Sono fatto così, perché si infuria tanto?

- E sopratutto, quando uscirai da quel giro?

- Hai sentito la conversazione.

Rispondo trucido. Odio quando, per carpire le cose che io non gli comunico direttamente, origlia di nascosto le mie conversazioni con Gomi.

- Certo che l’ho sentita. Pensi davvero che ti lascerò rovinare la tua vita in questa maniera?

Tsuyoshi e le sue domande senza risposta. È ovvio che non mi lascerebbe mai nei casini, d’altra parte mi comporterei allo stesso identico modo, se anche lui si trovasse nella mia stessa situazione.

- Potresti dirmi perché ancora lavori per quelli? 

Mi chiede con un espressione molto seria, ma, allo stesso tempo, comprensiva. Lui, sa bene che sono stato io ad accettare l’offerta di quei tizi, poco raccomandabili. Ma nonostante questo, comprende, anche, che non sono solo io ad andarci di mezzo: ci sono circa 6/7 persone in questo giro, quindi, se affondo io, affonderanno anche gli altri.

- Abbiamo concorrenza e finché non venderemo l’ultimo carico non posso tirarmi indietro. 

Si siede vicino a me, sconsolato, togliendosi gli occhiali e poggiandosi una mano sul volto, come a farsi venire un’idea sull’immediato.

- E a quanto ammonta il tutto?

- 241487 yen * 

- Akito, ma sei scemo? Come hai potuto accettare un carico così grande, se poi non riuscirai a venderlo?

- Non è mica colpa mia, se abbiamo concorrenza in questo periodo. 

- Mi prometti che non ti metterai nei guai?

- Non ti prometto proprio niente. Cercherò solo di stare attento, se è questo che vuoi sentirti dire.

Lui sembra più risollevato, dopo la mia risposta, e in poco tempo iniziamo a parlare del più e del meno; fin quando non gli racconto di Sana e dei progressi che sta avendo in ospedale.

- Questo pomeriggio posso venire con te a farle visita?

Tsuyoshi ha sempre avuto una leggera cotta per quella ragazza e spero, vivamente, che negli anni si sia affievolita; non mi piace che lei possa affezionarsi a qualcun altro. È debole: deve rimettersi prima in sesto, fare un lungo percorso e, sopratutto, ci sono già io che mi prendo cura di lei. Di conseguenza non ha, certamente, bisogno di altre persone.

- Va bene puoi venire, ma non credo si ricorderà di te comunque.

Cerco di raggiarlo con questa considerazione poco carina, per evitare che venga insieme me, questo pomeriggio a farle visita. Mi dispiace per Tsuyoshi, perché è un buon amico, ma io ci tengo a lei e anche molto.

- Vabbè mi presenterò.

- Mhm.

- Akito non le hai detto nulla di come sono andate le cose quel giorno?

- Ovvio che no e tu non dirai nulla.

 

L’appuntamento con Tsuyoshi per andare in ospedale da Sana è alle 16:30, davanti al parco, nel quale andavamo spesso da più piccoli. Spero vivamente che non farà ritardo, se no lo lascio qui e me ne vado. Sana si preoccuperà se non arrivo al solito orario e non voglio metterle ansie addosso, visto che già né ha tante per la riabilitazione.

- Eccomi Akito.

Sento da lontano la voce di Tsuyoshi, il quale mi saluta con la mano alzata.

- Finalmente, andiamo.

 

- Cos’hai in quella busta Akito?

Dopo un po’ che stavamo camminando in silenzio per dirigerci a prendere la metro, lui mi pone quella domanda; è sempre stato un impiccione curioso, non c’è che dire.

- Niente di importante.

Rispondo lapidario.

- Dai su, dillo al tuo Tsuyoshi caro...è un regalo per Sana vero?

Mentre finisce di pronunciare quella domanda, gli dò immediatamente una pacca sulla testa.

- Che dolore, ma perché devi reagire sempre così!

Esclama lui, rimanendo indietro rispetto a me per massaggiarsi la parte dolorante sulle tempia.

La cosa che mi da più fastidio è che ci ha quasi azzeccato; ci sono due regali e uno è per Sana. Anche se, “regalo” non è il termine adatto, io la definirei più come un’ “accortezza” nei suoi confronti.

 

Appena ci dirigiamo verso la stanza nella quale è ricoverata Sana, sento delle urla provenire proprio dalla sua camera.

- Sana ti prego, ascoltami!

Sento una voce maschile, la quale tenta di supplicare Sana per qualcosa.

Una sorta di sentimento di protezione, nei confronti di quest’ultima, cresce in me, esponenzialmente. Spero di non essere arrivato troppo tardi.

- No, lasciami stare! Io non so neanche chi sei tu, depravato!

Appena entriamo in stanza, ci capita davanti una scena abbastanza insolita: Sana è sul letto che lancia disperata, addosso a quel ragazzo, qualsiasi cosa le capiti sotto mano, mentre lui cerca di schivare gli oggetti, avanzando, sempre più, verso di lei.

- Ti prego aspetta, lasciami spieg...

Neanche il tempo fargli finire quella patetica frase, che lo blocco per i polsi, portandoglieli dietro la testa e sbattendolo contro il muro.

- Chi sei e cosa vuoi da Sana?

Gli chiedo trucido, aspettando una risposta convincente, prima di fargli davvero male. Non mi sono mai sentito così protettivo nei confronti di qualcuno, ma appena ho sentito Sana urlare, disperata, in quel modo non ci ho visto più. Non permetterò mai a nessuno di farle del male.

- Akito, sei qui!

Mi dice lei, guardandomi con uno sguardo supplicante ma con un tono di voce molto rasserenato: sicuramente per la mia presenza in quella stanza.

- Chi è questo?

Le domando, indicando con la testa l’essere che ho immobilizzato poco prima.

- Non lo so. È entrato in camera, mentre stavo dormendo.

Mi risponde lei, asciugandosi le lacrime, provocate sicuramente dalla crisi nervosa avuta poco prima.

- Posso spiegarti davvero, non è come pensi.

Cerca di farfugliare, dimenandosi dalla mia presa lui. Scelta sbagliata, perché subito dopo stringo la presa sui suoi polsi con più forza, provocandogli un espressione tutt’altro che piacevole.

- Akito, lascialo stare. Lui è Kamura, l’attore, quello famoso della televisione.

Tsuyoshi mi precede nel fargli male, davvero. Alla fine lo guardo bene in volto ed effettivamente mi rendo conto di averlo già visto in qualche spot pubblicitario o, addirittura, in qualche serie tv. D’altra parte, solo un attore poteva ritrovarsi una faccia, così, come dire, da damerino. 

Lascio andare piano la stretta sui suoi polsi, non vorrei facesse qualche massa azzardata nei confronti di Sana; non mi fido per nulla di questo qui.

- Per l’appunto. Io e Sana avremmo dovuto girare uno spot, prima di quel terribile incidente che l’ha coinvolta. E, appena ho saputo che si era risvegliata, sono venuto a farle visita.

Inizia a spiegare lui massaggiandosi i polsi, sui quali per chissà quanti giorni rimarranno i segni della mia stretta. Così impara ad entrare nella camera di una ragazza, senza chiedere il permesso e mentre sta dormendo sopratutto.

- Solo che appena sono entrato, mi sono accorto che stava riposando, quindi ho cercato di fare il più piano possibile per non svegliarla. Ma, non volendo, ho sbattuto col piede contro il comodino e di conseguenza l’ho svegliata.

Conclude lui, cercando di sorridere per le sue stesse disavventure, avute poco prima: già non l’ho sopporto. Se crede, che con un sorriso e due moine da attore da quattro soldi smetterò di dubitare di lui, si sbaglia di grosso. Chissà cosa avrebbe fatto a Sana, se non fossi intervenuto in tempo.

- Uh, non né sapevo niente. Mi dispiace per averti dato del depravato. Però, potevi almeno presentarti, appena sei entrato.

Sana è ancora molto titubante nei suoi confronti. Vorrebbe perdonarlo, e credere alle sue inutili spiegazioni, lo leggo nei suoi occhi, però non è sicura di questo sconosciuto, che si ritrova davanti. E sono d’accordissimo con lei.

- Ma come, se mi hai aggredito!

Ribatte lui, agitato. Basta così poco per scalfirlo? Pff, dilettante.

- Scusami. Hai proprio ragione. Pensandoci, comunque, non hai proprio la faccia da depravato. Anzi, saresti perfetto per qualche programma per bambini.

Mai osservazione più giusta di questa Sana; Kamura è proprio un bamboccio e io l’ho capito appena l’ho avuto in pugno.

- Cosa vorresti dire con questo?

Controbatte subito lui, offeso come non mai. Niente di speciale Kamura “caro”, semplicemente ti ha detto che se dovessero scegliere tra un bambino e te, per un programma per i più piccoli, prenderebbero, senza mezzi termini, te. Tutto questo, solo perché il bambino risulterebbe troppo mascolino, se messo in confronto a te. 

- Io...

- Sana che succede? Perché urlavi in quel modo prima?

Sana non riesce a finire il discorso iniziato con Kamura che viene subito interrotta da Hiro. Il quale cerca di passare, imperterrito, tra le gambe fin troppo lunghe di tutti noi presenti qui dentro. Tutto questo, solo per cercare di andare verso la figura di Sana.

- Non ti preoccupare Hiro. Non è successo nulla. Ora è tutto risolto.

Lei lo prende in braccio, stringendolo a sé e dandogli un bacino sulla fronte.

- Ma...com’è possibile, scusate...

Kamura cerca di farfugliare qualcosa, spostando lo sguardo, ininterrottamente, prima sul bambino e poi su di me. Sicuramente non riesce a comprendere, fino a fondo, quell’eccessiva somiglianza tra me e Hiro. Ora ti faccio rosicare, damerino che non sei altro.

- Che c’è di tanto sconvolgente? È nostro figlio.

L’espressione di Kamura è, sicuramente, mille volte meglio, di qualsiasi sua interpretazione fatta nei film. 

- Ma sei un farabutto, come hai potuto! Pervertito!

Lo sguardo di Kamura si imputa su di me, arrabbiato e incredulo, come non mai. Se bastava così poco per infastidirlo, avrei dovuto saperlo fin da subito.

- Akito!

Mi rimprovera Sana, tenendo ancora in braccio Hiro, il quale mi fissa con un espressione un po’ confusa. D’altra parte un bambino così piccolo, sicuramente neanche sa come nascono i suoi “simili”.

- Sana!

La rimprovera Kamura, cercando una spiegazione (non che se la meriterebbe, comunque).

- Akito! Sana!

Ci richiama Tsuyoshi, scioccato. Pensandoci però, lui non sa neanche chi sia quel bambino.

- Kamura!

Lo rimprovera Sana, cercando di evitare che mi stritoli per la giacca. Se vuole finire in rissa, questo damerino da strapazzo, ha scelto la persona giusta.

- Hiroo!

Esclama il bambino ancora in braccio a Sana, volendo sicuramente partecipare a quel che, per lui, sembra un semplice gioco di nomi.

All’istante ci fermiamo tutti, immobilizzati, senza sapere bene cosa fare o dire.

- C’è una spiegazione a tutto, comunque.

Cerca di dire Sana. Mettendo a terra Hiro, il quale si dirige curioso verso Tsuyoshi, forse incuriosito dai grandi occhiali da vista che porta.

Notando che il marmocchio è distratto dal mio amico, Kamura si avvicina di più a Sana: questo non è un buon segno. Di conseguenza, mi avvicino anch’io verso di loro, stando sempre al fianco di Sana.

- Quindi lui non è vostro figlio?

Rimarca molto il termine “vostro”, guardando prima Sana e poi indicando me, con un espressione abbastanza schifata.

- Non nel concetto tradizionale di “vostro figlio”. È un bambino che sta qui in ospedale e non avendo una famiglia, sta spesso in compagnia mia e di Akito. Forse in noi ritrova una sorta di figura genitoriale, se così vogliamo dire.

Perché deve dare tutte queste spiegazioni, mi domando io. Neanche lo conosce, non sa chi è; dice di essere un attore, ma potrebbe essere benissimo chiunque, perfino un semplice malintenzionato.

- Ah, ora ho capito. Certo è una bellissima idea. E io che ero andato a pensare chissà cosa...

Si ferma immediatamente prima di pronunciare qualcos’altro, sicuramente di molto compromettente: dapprima, guardando me e poi ritornando a guardare fisso negli occhi Sana. Cosa c’è damerino da quattro soldi: ti da per caso fastidio, che io e Sana avessimo potuto avere un figlio insieme, mentre tu, saresti rimasto a bocca asciutta?

- Io ora dovrei andare, perché ho degli impegni di lavoro. Questi li avevo portati per te in ogni caso, però si sono un po’ rovinati nelle incomprensioni del momento.

Le porge delle rose rosse mezze rovinate, sorridendole. Ho detto che non lo sopporto? Bene, lo ripeto. Come puoi consegnare delle rose ad una ragazza che neanche conosci? Potevi scegliere delle margherite, dei gigli, dei tulipani o, addirittura, non venire del tutto a trovarla.

- Grazie, davvero e scusami ancora per prima.

Lei prende i fiori e li poggia accanto al comodino, vicino a lei, cercando di non rovinarli più del dovuto.

- Nessuno problema. È stata solo colpa mia. Ripasserò a trovarti presto.

- Ora credo che dovresti proprio andare.

Interrompo quel teatrino, che si sta creando tra loro due. Non intendo aspettare un secondo di più, questo qui ha già creato abbastanza problemi.

- Akito!

Sana mi guarda con uno sguardo di dissenso e rimprovero. Lo so che adesso non riesce a comprendere a pieno le mie azioni, ma se faccio tutto questo è solo per lei.

- Nessun problema Sana...certo, devo andare per il lavoro.

Rimarca l’ultimo termine, guardandomi, come a valermi dire: “guarda che, se me né sto andando non è, perché me lo stai imponendo tu”.

Mi dirigo a passo spedito verso la porta e gliela apro con finta gentilezza.

- Prego.

Alzo la mano, facendogli il gesto di dirigersi fuori dalla porta.

- Grazie e ciao San...

Non riesce a finire di dire quella frase, che si ritrova con la porta sbattuta in faccia; tutto questo sotto l’espressione divertita di Sana.

- Sbaglio o noto una certa gelosia?

Mi incalza lei non smettendo di ridere.

- Pff per te? Ma non diciamo sciocchezze. Lui semplicemente non mi piace e, oltretutto, non sembra una persona raccomandabile.

Se dapprima lei era divertita da quel gesto, appena compito nei confronti di Kamura, subito dopo, noto come una certa tristezza e malinconia nei suoi occhi.

Che si sia offesa per quello che ho detto?

- Vabbè, comunque, chi è il tuo amico?

Il suo sguardo malinconico viene soppresso, immediatamente, da una certa curiosità, che vi si pone verso la figura di Tsuyoshi. Il quale, però, sta cercando di dimenarsi da Hiro che, a sua volta, cerca, in tutti i modi, di arrampicarsi dai pantaloni di lui, per riuscire a prendergli gli occhiali rotondi.

- Hiro, Tsuyoshi venite qui.

Dico, facendo segno a Tsuyoshi di avvicinarsi.

- Ciao Sana. Non so se ti ricorderai di me, ma sono Sasaki Tsuyoshi, un tuo compagno di classe delle elementari.

Tsuyoshi si presenta porgendole la mano, Sana l’afferra stringendola e iniziando squadrarlo ben benino. La guarda con occhi sognanti, come se non avesse mai visto una ragazza più bella di lei: questo comportamento, proprio non mi va a genio.

- Guardando la tua faccia...non mi dice proprio niente. Scusami ma non mi ricordo veramente chi sei.

Lui si lamenta, sconsolato, cercando di posizionarsi in tutti modi possibili, per cercare di farsi riconoscere da lei.

- È permesso?

Sentiamo una voce, provenire dall’uscio della porta della stanza di Sana.

È una ragazza, la quale mi sembra di aver già visto da qualche parte: di fatti, il suo viso non mi è nuovo. Ha un espressione molto docile e timida e tiene in mano in mano un pacchetto, sicuramente un regalo per Sana.

- Aya, entra pure!

Sana l’accoglie con un gran sorriso, intimandole di entrare.

- Ma quanta persone che c’è qui dentro. Sana sei proprio una ragazza richiesta, non c’è che dire.

- Ma su finiscila ahaha. Posso presentarti due miei amici? Lui è Hayama Akito.

- Molto piacere, sono Aya.

Ma si certo, ora ricordo. Andavamo alle elementari insieme, nella stessa classe. Se non sbaglio lei aveva una leggera cotta per Tsuyoshi, peccato che poi, con l’incidente, è cambiato tutto.

- L’altro è Sasaki Tsuyo...

- Ma noi per caso andavamo alle elementari insieme?

Tsuyoshi la precede nel presentarlo a quella ragazza. Il comportamento del mio amico mi sorprende e anche molto: solitamente non è un ragazzo così eloquente, sopratutto con persone che non conosce.

- Si, infatti. Appena ti ho visto mi sono subito ricordata di te, sei rimasto sempre uguale.

Risponde lei, riservandogli un bel sorriso. Poi si gira verso di me.

- Hayama, invece tu sei cambiato tantissimo. Neanche ti avevo riconosciuto. Sembra passato tanto tempo e, invece, sono solo pochi anni.

Conclude lei, ritornando a guardare Sana. 

- Ma guarda un po’. Quindi andavamo tutti nella stessa classe...

Sana è molto confusa e del resto non posso che darle ragione: io mi sono presentato a lei, semplicemente, come un amico e nulla di più. Non le ho mai detto che eravamo compagni classe, proprio per evitare di condurla fino alla completa verità sull’accaduto.

- Si, esatto. Pensa che tu litigavi sempre con Hayama. Eravate così carini.

Perché deve parlare? Non può stare zitta? 

- Ah, litigavo spesso con lui.

Sana, fino a poco prima felice per la visita della sua amica, continua a fare considerazioni non smettendo di fissarmi; come per riuscire a capire perché non le ho detto le cose come stavano, fin da subito. Il clima, dentro questa stanza, si sta facendo tesissimo e credo che, da un momento all’altro, potrei esplodere davanti a tutti i presenti. Il mio amico mi guarda e, capendo la situazione in cui mi ritrovo, interviene in mio soccorso.

- È sempre bello riaffiorare i ricordi del passato, vero? Ma Aya, scusa la curiosità, cos’hai in quel pacchetto così tanto carino?

Tsuyoshi, e il suo essere logorroico, nel momento giusto, mi hanno salvato ancora una volta.

- Giusto, me né stavo dimenticando.

L’amica di Sana prende il pacchetto che aveva appoggiato, temporaneamente, a terra e lo consegna a Sana

- Questo è per te Sana.

- Un regalo? Ma non dovevi disturbarti.

- Nessun disturbo. Su apri, sono certa che ti piacerà.

La ragazza dai lunghi capelli rossi apre il pacchetto, che la sua amica le ha posto davanti, e subito dopo la sua espressione cambia nettamente: diventando visibilmente felice.

- Ma sono dei biscotti al cioccolato, che pensiero tenero che hai avuto. Li hai fatti tu?

- Biscottiii!

La voce di Hiro fa scoppiare una risata generale, la quale, almeno in parte, riesce a risollevare quella situazione di astio, che si stava andando a creare.

Alla fine ci ritroviamo tutti a mangiare i biscotti preparati di Aya, mentre Sana non smette di fissarmi, a sottecchi, con uno sguardo alquanto arrabbiato, il quale esige assolutamente delle spiegazioni. Me ne rendo conto all’istante: il momento per sputare il rospo è arrivato.

 

Dopo un po’, visto che si è fatto tardi, Tsuyoshi accompagna Aya a casa, e alla fine restiamo io, Sana e Hiro; il quale, tra l’altro, si è addormentato vicino a Sana.

- Allora?

Cerca di incalzarmi la rossa, con un espressione tutt’altro che serena.

- Allora cosa?

- Perché non mi hai detto che eravamo compagni di classe, quando ti sei presentato?

- Era così importante?

- Non rispondere ad una domanda con un’altra domanda!

Senza accorgersene alza di un tantino il tono di voce, che fortunatamente non fa svegliare Hiro, il quale, però, si sposta di fianco, dandoci le spalle. Sana inizia a passargli una mano sui capelli biondo cenere, cercando di farlo riaddormentare del tutto.

- Perché?

Mi ridomanda, guardandomi fissa negli occhi.

- Saresti stata contenta nel sapere che, una delle poche persone che veniva a farti visita, quotidianamente, era anche la stessa con cui litigavi più spesso?

Non so bene cosa sto dicendo, però quella risposta mi sembra l’unica via di uscita.

- Sinceramente, si. Perché avrebbe significato che non eri poi così terribile, come volevi far credere.

Non mi aspettavo una motivazione così particolare: lei, d’altra parte, riesce sempre a trovare il positivo in tutto,  qualsiasi situazione le capiti davanti.

- Akito...non c’è per caso qualche altra motivazione che non mi hai detto?

Quella domanda mi fa salire una certa ansia. Non è che per caso, nella sua testa, sia riaffiorato qualche ricordo di quel giorno?

- No.

- Sei sicuro?

- Si.

- Mhm...va bene. Cosa c’è in quella busta che hai portato con te?

Indica la busta, accanto a me. Tiro fuori il pacchetto per lei e glielo porgo.

- Tieni.

Lei lo scarta e poi lo guarda, mentre le si illuminano gli occhi.

- Un porta fotografie per polaroid, grazie davvero.

- Ho pensato che nel mentre che resterai qui in ospedale, potrai racchiudere tutte le  foto che farai in questo porta foto. Così, quando uscirai di qui, chiuderai un capitolo della tua vita, ma non te lo dimenticherai del tutto.

Lei dapprima felice per il mio regalo, subito dopo mi guarda con gli occhi lucidi. Ma perché sbaglio sempre quando parlo?

- Che c’è?

Le domando. Non sapendo cosa ho realmente sbagliato, questa volta.

- Akito, tu fai parte di questo periodo?

La sua domanda mi spiazza. Sto diventando davvero così importante per lei?

- Io...io farò parte di tutti periodi che tu vorrai.

- Dici davvero?

- Davvero.

- E Hiro?

Mi chiede iniziando a guardare la figura del piccolo marmocchio, accanto a lei.

- Potrai sempre venirlo a trovare in ospedale .

- Mhm...

Ad un tratto si mette a pensare, forse ad una soluzione per non separarsi da quel bambino. 

- A che stai pensando?

- No, nulla di importante.

Mi risponde lei sorridendo, chissà cosa avrà in mente.

- Comunque, io devo andare. Per me si è fatto tardi.

- Si, certo.

Mentre prendo la busta, contente dapprima il regalo di Sana, mi accorgo, però, che rimane ancora qualcosa da consegnare.

- Ah...questo era per Hiro.

Le porgo una statuetta a forma di dinosauro, che mi fu regalata da mio padre, anni e anni prima, quando eravamo andati ad una mostra di dinosauri insieme.

Appena ho saputo che Hiro era incuriosito dai dinosauri, una piccola parte di me ha sentito come il bisogno di tramandare questa passione, anche a lui: come si fa, da padre a figlio. Io, d’altra parte, non ho un qualsivoglia rapporto con mio padre, e a stento ci rivolgiamo la parola per le cose importanti. Ieri, però, quando sono tornato in camera mia ed ho guardato questa statuetta ho subito pensato che quel bambino, per me, è speciale e, giustamente, ha bisogno di qualcosa di speciale che provenga da me. Qualcosa che per me conta davvero o perlomeno, che contava fino a qualche anno fa. 

- Ma guarda, una statuetta a forma di dinosauro. Hiro né sarà proprio felice...

Sana cerca di prendermi quella statuetta dalle mani, mentre io sono ancora intento a pensare e fissarla.

- Ehm...Akito, potresti mollare la presa?

- Si, scusa...

Lascio scivolare le mani, consegnandole quell’ultimo ricordo di un rapporto che non è mai potuto esistere, tra me e mio padre.

- Qualcosa non va?

Mi guarda cercando di capire perché reagisco così: comportamento che non ho mai dato a mostrare, sopratutto a lei.

- No, nulla.

- È importante per te questo dinosauro?

Perché questa ragazzina riesce sempre a capirmi nel profondo? È solo uno stupido gioccatolo, regalatomi da una persona che per me non conta nulla.

- È un regalo di mio padre.

Le rispondo con durezza. Non è colpa sua e non voglio neanche prendermela con lei che non c’entra proprio niente, ma con quello stronzo di mio padre: è solo colpa sua, se la mia vota è così ignobile. Ed è sempre colpa sua, se non riesco a darle consapevolmente quel giocattolo. Perché me l’ha dovuto regalare quando ero piccolo? Perché? Per farmi credere che prima o poi, un rapporto padre-figlio, tra noi due, sarebbe potuto nascere dal nulla? Così, con uno schiocco di dita, solo perché mi regali uno sciocco giocattolo.

- Mhm...non sei costretto a darlo ad Hiro, se per te è così importante. Riprendilo, davvero; non c’è nessun problema. Capisco bene, quanto un oggetto può essere fondamentale, sopratutto se regalato da una persona importante.

Perché è così comprensiva? Perché è così gentile? Perché me lo sta dicendo sorridendo, come se già avesse capito quanto vale per me quell’oggetto?

- Mio padre non è importante. Lui non è nessuno.

- Akito, non dire sciocchezze. Lui è tuo padre.

Cerca di ribattere lei, rimproverandomi.

- Si. Proprio per questo per me non è nessuno. 

- Akito...

Il suo tono di voce è così comprensivo e sincero, che vorrei fermarmi qui e dirle cosa non funziona nella mia vita. Vorrei dirle: come mi sono sentito a tre anni quando mia sorella lanciava la mia merenda per terra e poi mi affibbiava la colpa; come mi sono sentito a sei, quando mio padre è andato a Los Angeles per lavoro, lasciandomi da parenti mai visti prima; come mi sono sentito a nove, quando mia sorella ha iniziato a chiamarmi “figlio del demonio”; come mi sono sentito a undici, quando tutti hanno iniziato ad indicarmi, dicendo “non ti avvicinare a quel bambino, lui è pericoloso”; come mi sono sentito a tredici, quando ho picchiato per la prima volta un mio coetaneo, fino a fargli uscire sangue dal naso; come sono stato a quindici, quando ho accettato di vendere droga, solo perché, ho capito che, la mia vita non vale niente. Sana, io vorrei dirti tutte queste cose di me e vorrei che tu mi ascoltassi, mi consolassi, mi dicessi come rispondi sempre ad Hiro, quando si sporca o si fa male: “Non è colpa tua Hiro. Non preoccuparti, io ci sarò sempre per te”. Io lo vorrei davvero, avrei voluto avere anche solo un quarto dell’affetto, che tu dimostri perennemente a quel bambino, ogni giorno.

- Tu non mi conosci Sana. Non sai niente di me. Dai il regalo a Hiro, ci vediamo domani.

Questo è solo quello che riesco a dirle di tutti i miei pensieri in quel momento; non sono bravo con le parole e non saprei minimamente da dove iniziare. E alla fine, non voglio coinvolgerla nella mia vita fin troppo burrascosa: fatta di intoppi vari tra affetti familiari mancati, compagnie sbagliate e risentimento personale.

- Aspetta.

Lei cerca di fermarmi, ma io sono già dietro la porta della sua stanza.

Sento che sta cercando di alzarsi dal letto per venirmi dietro, ma non ci riesce: è debole.

- Akito ti prego, ritorna qui. Dobbiamo parlare.

Sono tentato di rientrare in stanza e dirle davvero cosa non va in me, ma il pianto di Hiro, ancora insieme a Sana, mi precede. Convincendomi, almeno in parte, che quella ragazza non farà pazzie, come l’alzarsi dal letto da sola, nonostante le sue gambe ancora non funzionino del tutto.

- Tranquillo Hiro, la tua Sana è qui con te e paura più non hai. Dormi, dormi bimbo mio, dormi dormi...

Quella ninna nanna, per quanto banale e scontata riesce a calmare, se non altro, anche a me. 
 

Entrando in casa, mi ritrovo quell’arpia di mia sorella ad aspettarmi a braccia conserte. Adesso, come minimo, inizierà ad urlare per chissà quale futile motivazione.

- Akito ti sembra questa l’ora di rientrare?! Toccava a te sta sera preparare la cena!!

Mi incammino in fretta e furia per le scale, dirigendomi verso la mia stanza con in sottofondo lei che mi richiama e mi insegue, inondandomi ininterrottamente di insulti a cattiverie.

- Non rompere!

Le urlo, chiudendole la porta in faccia e chiudendomici dentro a chiave.

- Sei solo un diavolo, ecco cosa sei!

Questa è la mia vita da ben diciassette anni, più passa il tempo e più mi dico che c’è né vorrà sempre di meno per finire la scuola e, per riuscire, ad andare a vivere da solo.

Io sono così Sana: un diavolo che ha ucciso sua madre, senza accorgersene, e poi ha cercato di fare del male anche a te. 

 

*241487 yen sono all’incirca 2000 euro  

 

Buon sabato a tutti/e voi!

Rieccomi con un nuovo aggiornamento, forse un tantino lungo ^_^’

Devo ancora ben capire come dividere i capitoli, quando li scrivo, per non creare passaggi dell’Odissea, al posto di un capitolo di una fanfiction xD 

Ad ogni modo, cosa ne pensate della vita burrascosa di Akito? E del rapporto che si sta andando a creare con Sana? Fatemi sapere, se vi va ovviamente, se vi piace o cosa ve ne pare di questo nuovo capitolo. 

Inoltre, volevo ringraziare le persone che mi hanno lasciato un commento la volta scorsa e anche coloro che, semplicemente, leggono la storia da esterni o la hanno posta tra i preferiti/seguiti. Grazie davvero tanto, almeno così capisco che la trama vi ha interessato :)

Auguro a tutti/e voi un buon weekend e alla prossima! <3

-FioreAStella

 

 

 

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