Arrogante.

di lipstick_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo primo ***
Capitolo 2: *** capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** capitolo nono ***
Capitolo 10: *** capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** capitolo quattordicesimo ***



Capitolo 1
*** capitolo primo ***


CAPITOLO PRIMO.
Ho i piedi che implorano riposo. È da quindici ore che sono in piedi a correre a destra e sinistra. Ieri sera una ventina di bambini sono arrivati al pronto soccorso con sintomi di intossicazione alimentare, quindi, nonostante il turno libero sono dovuta tornare in ospedale.
Fortunatamente nessun bambino è in condizioni critiche, il che autorizza ad un po’ di riposo per i miei nervi.
“Clizia, io vado, ho sistemato tutto, ci vediamo domani”- la caposala, che Dio la benedica perché senza di lei questo posto sarebbe a pezzi, mi rivolge uno sguardo di scuse.
“Scusa piccola, è appena arrivato lo zio del bambino nella 309, quello accompagnato dai genitori del festeggiato, vuole a tutti i costi parlare con il primario”. Alzo gli occhi al cielo sbuffando un “grandioso”- era ovvio, me lo dovevo aspettare. Prendo la cartella del piccolo paziente e mi avvio sempre più stanca e nervosa verso la stanza, non è stata una giornata fenomenale, ho ricevuto sul mio camice almeno il vomito di quattro bambini, inconvenienti del mestiere, ma non proprio incoraggianti come nottata e prima mattinata.
“Buongiorno, sono la dottoressa Renée, allora piccolo Francesco, come ti senti ora?” non alzo nemmeno lo sguardo, so cosa mi ritroverei davanti, uno zio preoccupato per il nipote, a cui non interessa minimamente chi o cosa curi il nipote, ma che lo curi in fretta e senza fiatare.
Mi sbaglio, chiaramente, di nuovo.
“Ma scherziamo? E lei sarebbe il primario? Ma è almeno maggiorenne?”- chiudo gli occhi.
Prendo un respiro, e alzo lo sguardo verso il proprietario della voce.
Mi aspettavo uno zio anziano, non so il perché, magari con la pancia da birra e la faccia simpatica, di solito gli zii non sono quelli simpatici? Questo di certo non lo è, e di certo non ha la pancia da birra.
È alto, questo tipo è davvero troppo alto, e beh, bello a dir poco. Non ho mai visto capelli più belli e più neri di questi, o occhi più verdi di questi, onestamente non penso di aver mai visto un uomo più bello di questo.
Respira Renée, è solo un ragazzo. Un bellissimo, meraviglioso, perfetto ragazzo.
“Quindi? Che c’è adesso ha perso anche la voce?” - bellissimo, meraviglioso , perfetto ed arrogante.
Scuoto mentalmente la testa.
Lo so, lo so. Dovrei stare zitta, infondo è comprensibile. Le persone si aspettano un primario di pediatria, adulto, sicuramente trasmetterebbe molta sicurezza e esperienza nel campo, ma no, ci sono io. E posso davvero assicurare di essere un grande medico, uno dei migliori. Giovane? Sicuramente. Ma bravissima.
Quindi, si lo so. Dovrei sorvolare sull’arroganza dello zio preoccupato, perché effettivamente mi potrei mettere nei suoi panni e giuro – davvero giuro – in giornate normali lo farei, ma oggi non è una giornata normale, sono stanca e nervosa come mai prima d’ora.
Prendo un respiro: “mi perdoni, le assicuro che di solito non amo vantarmi dei miei successi, ma le ultime quindici ore sono state molto pesanti, e lei è davvero arrogante. Si, sono io il primario, se ha bisogno di ulteriori rassicurazioni: ho conseguito la laurea in medicina a diciannove anni. A ventuno avevo già fatto più specializzazioni ed esperienza sul campo di qualsiasi altro dottore con una carriera di quarant’anni. I migliori ospedali del mondo hanno chiesto di me, ma sa io sono una ragazza piuttosto legata alla famiglia e alla sua terra quindi ho deciso di rimanere in questo piccolo ospedale di provincia.” - prendo un respiro, ma no. Non ho finito: “ha bisogno di sapere altro sulla mia persona? Il mio codice fiscale? Quante volte vado al bagno? Perché davvero la risposta potrebbe sorprenderla”.
Il dio greco, sta zitto. Non fiata. Okay ho esagerato, non è un comportamento professionale. Ma è stato più forte di me, le parole sono uscite senza nemmeno passare per la testa.
“Visto che non c’è altro, passiamo a ciò che sono venuta a fare: il mio lavoro. Suo nipote ha un’intossicazione alimentare, fortunatamente non è grave, dovrà solo prendere questo antibiotico due volte al giorno, lontano dai pasti, bere molta acqua e riposare molto” passo al bellissimo zio la ricetta e il foglio con tutte le istruzioni per il nipotino e poi mi rivolgo a quest’ultimo, con un sorriso: “così hai anche la scusa per saltare la scuola”. Il bambino sorride. Non contenta mi giro ancora verso l’uomo: “un consiglio, la prossima volta scelga meglio dove far mangiare suo nipote” mi giro verso la porta ma prima di uscire chiarisco “e comunque ho venticinque anni. Direi che la maggiore età è stata superata.” Echeccazzo.
Sbuffando, sbatto con forza la cartellina sul bancone di Clizia. Lei alza lo sguardo sorridendo.
“Allora tutto fatto?” - “oh si, sicuro, l’amabile zio in realtà è uno stronzo arrogante ed ignorante”.
Clizia scoppia a ridere “si ma è anche bellissimo no?”
Boffonchio un “seh sicuramente”.
Aspetto Clizia si risvegli dal suo attacco isterico per avvisarla che me ne vado.
“Va bene, ma ricordati che stasera c’è il ricevimento organizzato da tua mamma.”
Altro grandissimo NO mentale. Me ne ero completamente scordata.
Rivolgo a Clizia un grandissimo sorriso di gratitudine che significa significativamente “grazie a Dio esisti tu” e mi avvio alla macchina.
Arrivo a casa poco dopo e mi butto letteralmente sul letto. Se la giornata non è cominciata bene, un ricevimento organizzato da mia mamma sicuramente non risolleverà di certo il mood.
Ma me ne occuperò dopo, ora devo decisamente riposare.

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Capitolo 2
*** capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO
 

Scendo dalla macchina alla fine del vialetto di casa dei miei genitori passando le chiavi al ragazzo dei parcheggi. Paolo, l’anziano maggiordomo mi saluta calorosamente, possiamo anche dire che per me è, nonostante tutto, quasi un parente.
“Renée, bambina da quanto tempo, come va in quel buco di matti?” - sorrido, a lui non è mai piaciuto l’ospedale in cui lavoro, secondo la sua personalissima opinione io sarei dovuta andare all’estero per far vedere chi sono davvero.
“Ciao Paolo, va come sempre” dico ridendo.
L’uomo sorride e mi apre il portone sussurrando cospiratorio “divertiti bambina”- sapendo benissimo che a questi eventi, per me da divertirsi c’è ben poco.
“Zia!” - mi riempie di gioia sentire le due splendide vocine chiamarmi, ne individuo velocemente i proprietari, seduti sugli ultimi scalini delle ampie scale.
“Ah, i miei meravigliosi mostri questa sera sono tirati a lucido, quanto siete belli” ed effettivamente lo sono davvero, e non mi riferisco solo ai loro vestiti. Il mio è un giudizio di parte, ma per me sono i bambini più belli al mondo.
“Altrimenti chi la sentiva mamma” - guardo mio fratello Guido, alzare gli occhi al cielo. Non c’è che dire, i miei nipoti hanno preso gran parte del loro aspetto da lui, oltre che dalla sua meravigliosa moglie.
Mi rivolgo direttamente a lui “quanto pensi che mi farà pesare il mio abbigliamento?”
Amo mia mamma, è una delle donne più geniali che io abbia mai conosciuto, ma geniale a modo suo. Lei crea abiti, creature le chiama lei. So che è fiera di me, lo leggo nel suo sguardo, ma non è solo mia madre, è anche la grande Veronica Bienti, lei deve giudicare, non importa chi tu sia. Quindi so per certo che questa sera – come ogni altra volta del resto – avrà da ridire sul mio umile tubino nero. Posso già sentirla: tesoro, quanto dovrò aspettare per vederti con uno dei miei abiti. E la risposta non può che essere una: è inutile aspettare, non mi sento a mio agio con i tuoi vestiti.
Non che siano brutti eh, semplicemente non fanno per me.
 
Mio fratello ride, perché lo sa anche lui quanto sia stato difficile per me dire a nostra madre voglio fare il medico, non voglio diventare una delle tue modelle.
Me la ricordo ancora la faccia che ha fatto, è impressa nella mia mente. Lei che venticinque anni fa appena ricevuta la notizia di portare in grembo una bambina, aveva già cominciato a programmare le mie sfilate, improvvisamente si è vista andare in fumo i piani minuziosamente programmati, perché io, figlia tanto desiderata, non ne volevo sapere di sfilate.
 
A lei interessa solo la scienza.
 
Decido di cambiare discorso, per evitare l’incontro e la sua relativa critica a più tardi possibile. “Papà è nel suo studio?” - mio fratello sbuffa “come sempre, lo sai che odia questa serate”. E lo so sul serio, perché qui, sono letteralmente d’accordo con mio padre.
È per questo che mi incammino velocemente verso il suo studio, busso alla porta e senza aspettare una risposta entro.
“Ciao mio piccolo genio ben arrivata” sorrido al nomignolo, piccolo genio, ha cominciato a chiamarmi così quando all’età di quattro anni, all’asilo, le maestre chiamarono lui e mia madre, complimentandosi con loro, perché sapevo già leggere perfettamente, contare e altre cose che secondo loro una bambina di quattro anni non era in grado di poter fare.
Mi considero un genio? No, no davvero. Mi è solo sempre piaciuto leggere, mi sono sempre chiesta il perché delle cose, e finché non arrivavo ad una conclusione accettabile, non mi fermavo.
Inutile dire che da quel momento, seguirono solo anni in cui saltavo le classi, perché secondo le maestre io “sminuivo e mettevo in difficoltà” gli altri bambini. Una bambina come poteva sapere tutte quelle cose? Ero strana agli occhi delle altre persone. Mi dava fastidio? No, in fin dei conti ero io ad annoiarmi, parlavo con i bambini della mia età, ma loro non capivano quello che dicevo. Erano loro a farmi sentire inadeguata, sbagliata.
 
“Ciao papo, come va la serata?” - fa una smorfia, lo so che si sta nascondendo qui dentro fino a che la moglie non lo verrà a cercare.
“Io le odio queste feste” - appunto - “non capisco perché quella pazza di tua madre mi costringa a partecipare. Quella donna è la mia vita, ma anche la mia pena”.
Rido, perché so che mio padre fa paura a molte persone per via del suo aspetto da orso, ed effettivamente non ammette mai repliche, se non a sua moglie. Quando parla lei, lui sta zitto ed annuisce, si può dire che le decisioni della famiglia le prende solo la mamma, e nessuno può fiatare.
 
Sto per rispondere ma la porta si apre di colpo “Tesoro mio!” - ecco - “ma perché ti nascondi qui da tuo padre? Non sei venuta nemmeno a salutarmi?” dice l’amorevole donna che mi ha messo al mondo, baciandomi le guance.
“Ma figurati mamma, stavo solo salutando papà, ti avrei raggiunto tra pochissimo” - bugiarda.
Lei mi sorride – sorride? - “hai un vestito meraviglioso, piccola mia”. Momento. No, non è vero, questo è il vestito più semplice che ho trovato sul fondo del mio armadio, bello, ma semplice, e di certo lei non lo definirebbe mai meraviglioso.
Lancio uno sguardo a mio padre, ha in mente qualcosa? E l’occhiata con cui mi risponde vuol dire solo lascia stare sorridi e annuisci. Ed è esattamente quello che faccio, perché non scherziamo, mia madre ha sempre qualcosa da commentare su qualsiasi outfit, anche i suoi.
 
“Sai cosa? “ - no, decisamente no - “questa sera ci saranno anche i Tospa, te li ricordi? Andavamo tutte le estati in Sardegna insieme, quelli che avevano il figlio tre anni più grande di te, lui ora è un fotografo bravissimo ed è anche bravo a cantare sai? E poi è di una meraviglia, proprio perfetto. Ma te lo ricordi?” - “Ehm, si, si mi pare” - bugiarda.
“Dai andiamo che così li saluti, vieni Davide” - mio padre sbuffa sonoramente beccandosi uno sguardo storto dalla moglie.
Nel corridoio individuo e fermo per un braccio mio fratello. - “la mamma è impazzita, o ha qualcosa in mente, mi ha detto che il mio vestito è meraviglioso, meraviglioso Guido, MERAVIGLIOSO” - mio fratello si blocca sconvolto. Perché lui lo sa, non è una cosa normale, e vuol dire solo che la donna ha qualcosa in mente.
“Tu evitala il più possibile” - dice infatti - “cerco Claudia e la avviso”, perché sua moglie sposandolo, è stata messa al corrente di tutte le stranezze della nostra famiglia e questa, lo è decisamente.
 
Ed è con uno strano senso d’ansia, che mi avvio verso la sala da ricevimento – dove è stato preparato tutto alla perfezione – guardandomi intorno in cerca della figura di mia madre per tenermi il più lontano possibile.
Appena noto i miei nipotini vicino al tavolo da buffet, mi avvicino, pronta ad usarli come scudo umano contro le pazzie della loro eccentrica nonna.
“Oh eccola, amore mio vieni, saluta Rosa e Carlo” - mi fermo, incerta nel sentire mia madre chiamarmi con il suo tono di voce - fai ciò che dico, io ti ho messo al mondo, ricordalo - mi giro per eseguire il comando come un robot.
Mi trovo davanti la coppia di amici dei miei genitori, ma più vecchia di quanto ricordassi, infondo saranno passati quindici anni dall’ultima volta che io e mio fratello abbiamo assecondato le vacanze di famiglia in Sardegna.
 
“Renée cara, come sei cresciuta, e come sei bella” - sorride dolcemente la donna.
“Rosa, da quanto tempo, grazie, tu non sei cambiata per niente” - bugiarda, ancora.
Il marito grugnisce qualcosa di non bene identificato, lanciando un’occhiata a mio padre, segno che anche lui preferirebbe essere in un altro posto in questo momento.
La donna ricomincia a parlare “comunque, ti ringrazio davvero per ospitare Andrea, lui aveva davvero bisogno di trovare una casa in fretta qui in paese e noi abbiamo venduto la nostra vecchia proprietà da tanti anni”.
Ospitare? Andrea?
È una trappola. Mi giro verso mia madre. Mi guarda colpevole, lei sa che ho capito che dietro a tutto questo c’è lei.
Mi incollo un’espressione che solo per chi non mi conosce bene può sembrare un sorriso.
“scusate devo parlare con mia madre di una cosa urgentissima, perdonatemi” - tiro mia madre per il braccio e con lei, quasi per osmosi si muove anche mio padre.
“Cosa vorrebbe dire” - le sibilo quando ci siamo allontanati tutte e tre abbastanza – alza lo sguardo fiera lei, come se non mi avesse teso una trappola senza via d’uscita.
“Rosa e Carlo sono due nostri buoni amici, avevano bisogno di un favore, Andrea, il loro figlio, è tornato in paese ieri, improvvisamente. Lui è un uomo di mondo, viaggia sempre, mi sembrava brutto fargli affittare una casa quando starebbe fuori tutto il giorno, e casa tua è così grande.”
 
“Mamma, è casa mia, non puoi offrire ospitalità in casa MIA a chiunque tu voglia e soprattutto senza chiedermelo!” respira Renée, mantieni la calma.
Mia madre mi guarda male: “prima di tutto abbassa la voce, secondo non si tratta di chiunque, ma di Andrea, lo conosci, e per finire: quella casa l’hai comprata con i nostri soldi. Me lo devi.”
Me lo devi. Perché ho voluto fare il medico e non la modella e poi stilista come lei, o l’architetto come mio padre.
 
“Io non ricordo nemmeno la faccia di questo Andrea, l’ultima volta che l’ho visto avevo 10 anni” - poi mi rivolgo a mio padre “tu lo sapevi? E non mi hai detto niente?” pugnalata alle spalle più grande di questa nemmeno nella mia immaginazione.
Mio padre apre la bocca per rispondermi ma mia madre lo interrompe, come sempre.
“Ho chiesto io a tuo padre di non dirti niente, e comunque Andrea sta sera sarà qui, così lo saluterai e vi metterete d’accordo.”
Assurdo. Davvero.
“Tutto questo è ridicolo, mamma. Scommetto che il meraviglioso vestito che indosso in realtà ti fa schifo, ma avevi bisogno di non farmi innervosire prima di sganciare la bomba. Complimenti, davvero.”
Lei sembra un po’ dispiaciuta, è pur sempre mia madre, ma si riprende subito – sia mai che la grande Veronica si senta sminuita da qualcuno o qualcosa.
“Renée, sei arrabbiata, forse ho sbagliato a non avvisarti, ma non avresti mai accettato” - INFATTI è questo il punto - “e in più sei sempre così annoiata da tutto, non esci mai, sei sempre a lavoro o a casa, non hai stimoli bambina mia.”
Quindi ora vorrebbe farmi credere di averlo fatto per me?
“Non cercare di addolcirmi Veronica” - la chiamo per nome sapendo quanto le dia fastidio essere chiamata così dai suoi figli - “ perchè non funziona. Lo hai fatto per infastidirmi, perché sai che odio quando qualcuno invade i miei spazi, perché pensi che io sia asociale, perché non ti sono mai andata bene.”
Lo vedo davvero, il lampo di rabbia passarle negli occhi.
“Renée Maria Bienti, non ti azzardare. Sei mia figlia, ti amo, qualsiasi cosa faccio, la faccio anche per te. Ti sto chiedendo un favore. Infondo ti ho sempre lasciato fare ciò che volevi. Per una volta fai quello che dico io.” - detto questo, preso un bicchiere, si gira e torna al ricevimento.
 
Ciò che volevi, il medico.
Tipico di Veronica Bienti, anche dietro ogni complimento doveva sempre mettere in chiaro che c’era qualcosa che non le andava.
 
Guardo mio padre, e lui ricambia con uno sguardo da cane bastonato, non funziona uomo, quello sguardo l’ho inventato io, sbuffo, perché la situazione è davvero ridicola oltre ogni modo.
 
“Tesoro, lo sai. Tua madre ti ama, pensi di essere una delusione per lei, ma ti sbagli, non potrebbe essere più fiera di te. Ma lei non esprime i suoi sentimenti lo sai, hai preso da lei su questo. Pensa che in trentadue anni di matrimonio mi ha detto ti amo tre volte. Ma so che mi ama comunque, anche se non lo dice. Non essere sempre così rancorosa nei suoi confronti.”
 
Classico. Adesso è colpa mia. È sempre colpa mia alla fine.
 
“Poi mi andrò a scusare, vado a cercare i gemellini.”
Perché tanto so che poi mi andrò a scusare, non si può tenere il muso a quella donna, mai.
 
Quando trovo mio fratello con i suoi figli e sua moglie mi accollo a loro, non ho intenzione di ricordare le vacanze estive con questo Andrea di cui ricordo a malapena l’aspetto - senza contare che l’ultima volta che l’ho visto avrà avuto massimo tredici anni – e con mia madre mi scuserò a fine serata. È per questo che a cena, mi siedo tra i due bambini e non rivolgo parola a nessuno, non sarei dovuta venire.
 
Finita la cena, si alzano tutti per spostarsi nella sala dell’asta per un’associazione di cui nessuno si è premurato di mettermi al corrente, mentre cammino sento la mia genitrice chiamarmi con tono incerto.
 
Va bene, madre, è arrivato il momento di scusarsi. Ancora.
Ma non è da sola, no decisamente, vicino a lei c’è il tipo arrogante di questa mattina.
Davvero? Anche questo mamma? Mi vuoi definitivamente distruggere oggi?
 
“Non ci credo” lui ride, ride? Che c’è da ridere?
“mi scusi?” sto cercando di essere cortese, Cristo, vorrei spiattellargli una padella in faccia.
 
Il tipo smette di ridere e si asciuga una lacrima immaginaria, “questa mattina quando ti sei presentata, non credevo fossi quella Renée” quella Renée? Mio Dio in questo paese sono l’unica ad avere questo nome. Quale Renée.
 
Non capisco, scusi.”
“Sono Andrea Tospa, la gentilissima Veronica mi ha detto che starò da te per un po’, gentile da parte tua offrirmi ospitalità.” ghigna.
 
Andrea. Lui? Non scherziamo, l’Andrea che conosco io era un tredicenne tutto apparecchio, brufoli e videogame. Basso, pure bello in carne. Come si può cambiare così tanto? Come ho fatto a non collegare il nome del parente sulla cartella questa mattina?
 
Guardo mia mamma, e lei mi implora di non fare stronzate con lo sguardo.
 
Decisamente, non mi piacevano quei ricevimenti.
 
 

 

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Capitolo 3
*** capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO 
Il suono del campanello mi sveglia.
Mi alzo già di cattivo umore e apro la porta praticamente ad occhi chiusi.
«Dov’è?» - Ludovica, la mia migliore amica da quando all’asilo ha spintonato un bambino che mi aveva definito “strana” entra a ruota libera in casa mia spingendomi di lato.
«Dov’è chi?»
«Ré, porca vacca, questa notte mi hai mandato un messaggio su un tipo, che deve venire a vivere da te. Dove sta? È davvero così fregno?» rifletto prima di risponderle, è davvero così bello quel ragazzo? Si decisamente si.
«Si, lo è. Ma è anche uno stronzo arrogante e maleducato. Ergo, il fatto che sia bellissimo passa in secondo piano.» si davvero.
«Ergo ti piace ma lui non ti ha calcolato di striscio» la guardo sconvolta. Mi piace? No, cavolo. Penso sia esteticamente meraviglioso, ma dai, non esiste solo questo. Non ci si può basare solo sull’aspetto esteriore. Non sono quel tipo di persona.
«Ludo per favore, sono sveglia da tre minuti. Smettila con i tuoi viaggi mentali. Ospiterò questo ragazzo per un mese, magari anche meno, lui è sempre fuori per lavoro, io pure. Questa sera gli darò le chiavi e probabilmente ci incroceremo altre due volte in tutto. Fine. »
«non sono convinta» appoggia l’indice sul mento «me lo fai un caffè?» alzo gli occhi al cielo – è un classico venire a scroccare la colazione a casa mia – e le indico la cucina, sapendo che lei conosce benissimo quell’ambiente.
Finita la colazione Ludo si alza, pronta per sgambettare a lavoro «ah, ricordati che domani sera c’è il compleanno di Stefano, sei libera vero?» Stefano, l’altro – ed ultimo – mio migliore amico, pazzo di Ludovica da anni, fissato con il rugby e cibo spazzatura. Una persona meravigliosa, con l’unico piccolo difetto di essere un po’ troppo istintivo, e con istintivo intendo dire che non si ferma un secondo a pensare.
«Si, certo. Ho il giorno di riposo».


Il turno di oggi passa troppo velocemente. Arrivo a casa per l’ora di cena, mentre cerco di aprire il portone, comincia a squillarmi il telefono, rispondo senza nemmeno guardare il mittente
«pronto» entro finalmente in casa buttando scarpe, borsa e giaccia nell’ingresso.
«Sono Andrea» ah «sto partendo ora dall’hotel, dovrei arrivare fra una ventina di minuti, va bene?»
non lo so, tu che dici? No, non va bene «sicuro, sono appena tornata a casa».


E ci mette esattamente venti minuti ad arrivare.
«Ciao, entra pure» Impacciata. Mi sembra il minimo, come dovrei comportarmi?
«Ehi» il moro entra in casa con una valigia enorme – sul serio, poi dicono che solo le ragazze viaggiano con tanti bagagli? - e uno zainetto più piccolo in spalla.
«Si uh, questo è l’ingresso» mi avvio per il corridoio «soggiorno» faccio un gesto con la mano verso la sala, per poi portarlo in cucina e nel bagno al piano terra. Una volta salite le scale, e mostrate le camere e l’altro bagno, Andrea si ferma di colpo davanti alla finestra in corridoio.
«Hai la piscina nel giardino sul retro?» strabuzza gli occhi, quasi scioccato.
«Si, in realtà quando i miei mi hanno comprato la casa era già tutto arredato. Anche la piscina.» Mi guarda ad occhi spalancati. Non capisco, è grave avere una piscina? L’avrò usata forse una decina di volte in quattro anni.
«Non sembri una tipa da piscina» ride. Tipa da piscina?
«Non la uso spesso infatti, perdo più tempo per pulirla che per usarla» sbuffo, perché è davvero così, «comunque, la casa l’hai vista, di bagni ce ne sono due, puoi usarli entrambi, tanto io ho quello in camera, per la cucina ti libererò alcuni scaffali e per le pulizie viene una signora due volte alla settimana, la avviserò di pulire anche camera tua. Domande? Dubbi? Perplessità?» sei tu la maleducata adesso.


«Si, sei sempre così nervosa con le persone?» dovrei arrabbiarmi. Insomma che razza di domanda è? No caspita. La verità è che io non sono nervosa con le persone – a differenza di quello che pensa mia mamma, sei asociale – io ci lavoro con la gente. È questo ragazzo a creare problemi.
È troppo bello, troppo uomo, troppo arrogante, troppo tutto. Non mi piacciono le persone così, mi mettono in soggezione, e io non lo sono mai.
Sorrido amara «no, non con tutte le persone, io mangio e poi vado a dormire, fai come vuoi, ma non toccare cose che non ti sono strettamente necessarie» mi giro e torno in cucina per preparare la mia cena.


«Scusa, ma mi servirebbe una copia delle chiavi, sai per entrare ed uscire» sollevo lo sguardo dallo schermo della televisione - dove stavo guardando una di quelle serie tv straniere piene di incomprensioni stupide tra i due protagonisti – e lo sposto sul sorrisino del moro, «primo cassetto del mobile vicino alla porta» e torno a guardare la televisione. Non so perché ma questi programmi mi fanno sempre sorridere, voglio dire, le persone nella realtà non si comportano mai così.
«Ospitale, non c’è che dire» sento sussurrare. Forse, mi sento un tantino in colpa. Ho criticato la sua poca educazione quando in realtà io non mi sono comportata molto meglio, sono stata davvero una cattiva ospite.
Non è nemmeno tutta colpa sua, infondo pensava io fossi d’accordo con mia madre sulla decisione di ospitarlo. Faccio uno sforzo, mi alzo e vado verso l’entrata per scusarmi un minimo, ma sento la porta sbattere. Ciao anche a te.




Mi sveglio sentendo un rumore sordo. È come se qualcuno stesse colpendo il muro. Spaventata mi alzo ed esco dalla camera per capire da dove arrivi il rumore. In questo momento in realtà, mi sento proprio come le protagoniste stupide dei film horror, quando vanno incontro all’assassino.
Il rumore aumenta man mano che raggiungo la fine del corridoio, fino alla camera in cui dovrebbe dormire Andrea. Oddio, ha lasciato la finestra aperta e qualcuno è entrato?
Sto per toccare la maniglia quando sento una voce femminile all’interno della stanza. Chiunque sia continua a gemere e sussurrare parole sconnesse.
Sul serio? Cioè è in questa casa da letteralmente meno di un giorno e porta già la sua ragazza? E poi, a questo punto, non poteva andare a vivere da lei?
Non pensavo di dover specificare di non portare nessuno a casa mia. Mi sembrava ovvio.
È una presa in giro, insomma dai, qui si comincia ad esagerare, non è divertente.
E adesso che faccio? Busso? No direi di no. Di entrare nemmeno a pensarci. E che faccio?
Mentre passo in rassegna tutte le possibili alternative la tipa urla. Nel senso che urla davvero tanto.
Finito?
Grandioso. Torno verso la mia camera con i nervi a fior di pelle, e a dirla tutta anche piuttosto imbarazzata. Non è una cosa di tutti i giorni ascoltare – anche se accidentalmente – una coppia fare sesso.
Cerco di prendere sonno, girandomi almeno dieci volte sotto le coperte. Impresa ardua, ma finalmente, dopo interminabili minuti, la stanchezza ha la meglio.


Non mi piace bere molto il caffè. A dire il vero, l’unico motivo per cui ho moka e chicchi, sono gli ospiti. Ospiti che di solito fanno parte della mia famiglia, o Ludo e Stefano. Non di certo la biondona che sta seduta sul bancone della mia cucina in questo momento.
«Buongiorno?» non c’è che dire ragazza a dir poco bella.
«Oh ciao, scusa, ho fatto il caffè ma non c’erano le brioches quindi Andre è uscito a prenderle al bar»
oh caro, gentile da parte sua.
La porta di casa si apre «Cornettiii» urla, sta letteralmente urlando «Buongiorno, ben svegliata» e non lo so, forse perché questa notte ho sentito cose che non dovevo sentire o forse perché con i capelli senza gel ha dei ricci che gli spuntano sul ciuffo, o il sorriso che fa, ma provo un brivido lungo la schiena, solo per due secondi, ma lo sento.
«Ciao» sbotto «poi dovrei parlarti». Sembra confuso, come se la situazione non fosse già abbastanza ridicola o a dir poco improbabile per me.
Si rivolge alla super bionda «tesoro, penso che dovresti andare, si è fatta ‘na certa» ma che comportamento è?
La ragazza si alza, e il suo sorriso bellissimo – ma come fa ad avere denti così bianchi? - resta lì, come se lui non avesse detto niente, prende la borsa e si avvicina per baciarlo sulla guancia «chiamami quando hai bisogno»
Penso di essermi appena vomitata addosso.


Penso di non aver mai avuto una faccia più sorpresa di questa, davvero.
«Allora? Di cosa dovevi parlarmi?» scoppio:
«Secondo te? Cristo, la testiera del tuo letto che sbatteva contro il muro mi ha svegliata questa notte. Andrea questa è casa mia, non so cosa tu ti aspettassi, forse pensavi che saremmo diventati buoni amici e avremmo convissuto stile campeggio arrostendo i marshmellow? NO! Non puoi portare chiunque a casa mia. Sei qui perché io sto facendo un favore ai miei genitori, che inspiegabilmente sono amici dei tuoi. Ma ti assicuro che non puoi fare quello che vuoi, se non riesci a tenerti la patta dei pantaloni chiusa, quella è la porta» prendo fiato.
Lui sta zitto e mi guarda. Dopo troppo tempo alzo le braccia al cielo di scatto, “quindi? Stai zitto adesso?”
«Hai ragione, mi dispiace, non ho nemmeno pensato a quello che facevo. Non succederà più.» ah. Ho ragione? Si, certo che ho ragione.
«Okay bene»
«Bene»
«Io devo controllare delle cose quindi, ci vediamo dopo». Me ne scappo in camera, quasi in trance, perché mi ero preparata ad una litigata, mentre lui ha reagito in modo completamente diverso da come avevo previsto.


Passo l’intera giornata in camera a controllare gli aggiornamenti sui vari convegni, uscendo solo per un panino veloce a pranzo. Penso che Andrea sia uscito poco dopo colazione. Meglio così.
Mi perdo nei documenti fino quasi all’ora di cena, quando comincio a prepararmi in tutta fretta per il compleanno di Stefano. Odio essere in ritardo.
Scendo le scale di corsa quando suonano al campanello, rischiando di ruzzolare giù, odio anche i tacchi.
«Vado ioo» sento urlare Andrea dall’ingresso. Ma quando è tornato?
Vedo le sue ampie spalle – basta, basta, sono spalle normalissime - passare dalla porta della cucina, senza vedermi, ed andare ad aprire il portone.


«Uhh» Stefano fischia quando mi vede scendere l’ultimo scalino. «Dimmi che ti sei vestita così solo per me» fa l’occhiolino.
Alzo gli occhi al cielo sorridendo, pervertito come al solito.
«Non fare il cretino» mi giro a guardare Ludo che non ha ancora parlato, e ci credo, sta fissando Andrea con la bava alla bocca – ma sul serio? - ma lui non la sta guardando, perché sta guardando me? No, infatti guarda il tatuaggio, l’unico che ho sul collo del piede che per via delle scarpe aperte si vede. Niente di che, una semplice mezzaluna, mi ha sempre affascinata e un paio di anni fa ho deciso di tatuarmela.
Muovo involontariamente il piede per sottrarlo al suo sguardo quasi sconvolto.
Ma che problemi ha?
«Piacere, io sono Ludovica» Ludo non perde tempo e va all’attacco, senza contare che nella stanza c’è anche Stefano «si già, e io sono Stefano» appunto, geloso.
«uh si, piacere Andrea» sorride, hai i brividi Renée, controllati.
«Okay, andiamo? Siamo già in ritardo» mi metto in mezzo alla conversazione.
«Scusa, ma dato che ci siamo possiamo invitare anche Andrea, no?» sia mai che Ludovica si perda una preda. Stefano serra la mascella, ho paura di sentire scricchiolare i suoi denti quando Andrea incredibilmente ne esce tranquillo «oh, non vorrei mai intromettermi in un’uscita tra amici, e poi ho del lavoro da fare. Ma grazie dell’invito».
Direi che ti sei intromesso anche troppo.
«Perfetto, ragazzi usciamo?»

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Capitolo 4
*** capitolo quarto ***


 

CAPITOLO QUARTO

 

Mi sveglio con un mal di testa micidiale. No, non ho bevuto, non molto perlomeno. Ma il locale dove abbiamo festeggiato il compleanno di Stefano era decisamente troppo rumoroso, e pieno di gente.

Mentre mi faccio una tisana rilassante, Andrea entra in cucina.

Improvvisamente mi torna il mente il commento di Ludovica, ieri sera: “hai bisogno di scopare Ré, e hai un super ragazzo che vive a casa tua”.

«sembri presa di merda» come non detto, grazie. Lo guardo torva. Necessita di una risposta?

«dai che scherzavo» ride di gusto davanti alla mia faccia offesa, sul serio ma quante personalità ha? «dovresti bere un caffè sai» faccio una smorfia disgustata «non mi piace molto il caffè».

«penso tu sia pazza come...» gli suona il telefono, si scusa ed esce dalla stanza, ma poco dopo lo sento imprecare ad alta voce

«come sarebbe a dire che non vieni più?» pausa, probabilmente sta ascoltando la risposta della persona e poi ricomincia «sei uno stronzo, si trattava di un favore cazzo» non dovrei, non si origliano mai le conversazioni altrui, ma andiamo sta urlando.

Torna in cucina con un diavolo per capello e mi punta il dito contro. Oddio non vorrà mica picchiarmi perché ho ascoltato la sua telefonata, vero?

«a che ora devi essere a lavoro?» eh? «dopo pranzo, perché?» la mia domanda suona incerta, io sono incerta.

«e a che ora stacchi?» ma dove vuole arrivare? «non lo so, se tutto va bene sulle venti, ma perché?»

Sembra incerto, non capisco se sia arrabbiato o meno, e anche se lo fosse non potrebbe esserlo di certo con me.

«ho davvero bisogno che tu mi faccia un favore» un favore? Deglutisco tutta la saliva che ho e giuro, giuro che non ne capisco il motivo, ma tutto il sangue comincia ad affluirmi alle guance «u-un favore? Di che tipo?» balbetto, Gesù, non ho mai balbettato in vita mia.

«si, ti prego. Ne va della mia carriera. Devi solo tenere su un palo con una luce» cosa? È uno scherzo.

«ma che...» devo avere la faccia più confusa del mondo perché mi interrompe subito spiegandosi meglio: «senti il mio assistente mi ha dato buca, io devo assolutamente fare queste foto. Oggi.» e devo aiutarti io?

«io non ho mai fatto l’assistente di un fotografo» mi difendo.

«non ti preoccupare, ti dirò io cosa devi fare. Ti prego» ti prego? Questo ragazzo è strano forte. La prima volta che mi ha visto ha sottovalutato il mio lavoro, la seconda volta è stato fin troppo simpatico – ma non con me – poi porta la sua ragazza qui, ci scopa e poi si scusa quando mi lamento. Io non sto capendo «tu hai troppi sbalzi d’umore, sei strano forte» appunto.

«quindi è un si?» mi chiede speranzoso. Quanto può essere disperato per venire a chiedere una mano a me?

«se proprio insisti, okay ci proverò» sbotto.

Gli esplode un sorriso in faccia – un bellissimo sorriso – ma quanto è bello?

«Grazie, grazie davvero. Ti vengo a prendere all’ospedale intorno alle venti okay?» ma non riesco a rispondergli perché prende la sua tazzina di caffè e se ne ritorna in camera. Ma che è successo?

 

E continuo a chiedermelo anche a lavoro. Sono distratta, ho scambiato due cartelle per sbaglio, e se non ci fosse stata Emma, un’infermiera del mio reparto, non so cosa sarebbe potuto succedere.

Ma perché ha questo effetto su di me? Non mi sono mai distratta a lavoro, sono sempre concentrata, sempre professionale.

Arrivo alla fine del turno a fatica. Non capisco nemmeno il motivo della mia agitazione. Ha detto che non devo fare granché. Renée rilassati.

 

Lo individuo subito nel parcheggio. No, non noto la sua macchina rosso fuoco, noto lui. Ripigliati ragazza, che ti sta succedendo all’improvviso?

Dopo averlo salutato entro in macchina e mi volto per guardarlo mentre mette in moto e si immette nel traffico. Grosso errore. Ho sempre avuto un debole nel guardare un ragazzo guidare. Ognuno ha le sue fantasie, no?

E lui è così concentrato, così bello, il naso così dritto, e i capelli così spettinati. E la leggera barba? Dio mio non mi sono mai piaciuti i ragazzi con la barba, ma a lui sta così divinamente. Quando poi scendo con lo sguardo sulle braccia e le mani tatuate – a cui non avevo mai dato così tanta importanza – mi percorre un brivido lungo la schiena. Renée girati, smettila.

Questo ragazzo è tutto ciò che non mi è mai piaciuto prima. Perché sono così improvvisamente attratta da lui? Colpa di Ludovica, me l’ha messo in testa ieri sera. Ed è esattamente da ieri sera che lo trovo inspiegabilmente molto più bello di quanto già non facessi.

Persa come sono nei miei pensieri, mi accorgo a scoppio ritardato che siamo arrivati a destinazione.

Deve fare delle foto qui?

Siamo al comune, di sera, non sapevo nemmeno fosse aperto a quest’ora. Che razza di foto deve fare qui?

Sono sul punto di chiederlo, ma presto lo capisco da sola vedendo i fiocchi bianchi attaccati agli specchietti di una macchina: un matrimonio.

Mi blocco un istante. Matrimonio? Da quello che avevo capito io, Andrea è un fotografo interessato solo alla natura, non si occupa di ritratti.

«devi fare delle foto a qualche tuo amico?» provo a chiedere curiosa. Lui prima mi guarda indeciso, e poi distoglie lo sguardo sull’attrezzatura. Strano.

«Mmh si qualcosa del genere» il tono di voce che usa non mi convince del tutto, ma decido di lasciare stare ed aiutarlo con l’attrezzatura. Sotto a tutti i borsoni con i vari strumenti, mi cade lo sguardo su un disegno stilizzato, sembra fatto da un bambino. Francesco, suo nipote. Ma come ho fatto a dimenticarmelo? Poi mi sorge spontanea un’altra domanda: se è venuto in ospedale per suo nipote, che si era sentito male ad un compleanno, per quale motivo sta a casa mia e non a casa della sorella più grande?

E parlo senza nemmeno accorgermene « perché stai a casa mia e non da tua sorella?» “tatto” come secondo nome, complimenti Renée, «scusa è che ho visto questo disegno e penso lo abbia fatto tuo nipote, quindi ho parlato senza pensare» tento di rimediare.

Le guance di Andrea si colorano di un bellissimo rosa acceso «no beh, è una domanda lecita. Io, e la mia famiglia siamo tornati in paese il giorno prima della festa di tua madre. Mia sorella e suo marito non abitano più qui da un paio d’anni e Francesco ne ha approfittato per salutare i suoi amichetti» ride «non pensava di finire in pronto soccorso. Mia sorella e i miei sono partiti ieri, a Claudia non è mai piaciuto il paese, lo sai.» E lo so eccome, me la ricordo sua sorella, sempre gentile con tutti, ma con lo sguardo annoiato dal mondo, senza stimoli. Stimoli che ha trovato con il ragazzo che poi è diventato suo marito.

«ho capito. Mi dispiace, sarà dal matrimonio che non la vedo, con tutti gli impegni… sai» lui annuisce. Sembra stupido, abito in un paese così piccolo e incontro sempre le solite tre persone.

«Forse è meglio se entriamo» si butta il pollice dietro la spalla, indicando l’entrata.

 

Per l’ora successiva, faccio tutto ciò che mi viene detto senza fiatare. Ogni tanto mi perdo nel guardare Andrea al lavoro, è nel suo elemento, professionale, a me sembra così noioso.

 

Stiamo tornando a casa, quando il mio stomaco brontola, sono le nove di sera passate e non mangio da mezzogiorno, Andrea scoppia a ridere «Dai, per ringraziarti ti offro la cena» mi offre la cena?

«in che senso? Cucini tu?» lui fa una smorfia «tu hai voglia di cucinare? No ti porto fuori» ah.

 

E lo fa sul serio, mi porta in un ristorante carino, di cui io ignoravo l’esistenza, abituata ormai da anni a orari ti turni allucinanti e cibi precotti.

E durante la cena, la mia curiosità torna, spuntando fuori con prepotenza «Avevo capito che fotografassi solo paesaggi naturali, non persone» sorride mesto.

«me l’aspettavo questa domanda. Si fotografavo solo la natura, ma ultimamente le cose non sono andate benissimo, ho perso l’ispirazione si può dire?» ride imbarazzato. Non capisco, che ispirazione ha perso? I paesaggi sono bellissimi da soli, non serve ispirazione. Ma che ne sai tu Renée.

«mi dispiace» che altro potrei dire? «e sei venuto qui per ritrovarla?» ecco appunto, perché sto parlando a sproposito?

Fortunatamente lui non la prende male, ride «una specie» mi guarda a lungo «volevo un po’ allontanarmi, lavoravo per un’agenzia, ma ora… diciamo, non più ecco» capisco.

«da come lo dici non sembra essere stata una tua decisione» lui sorride, un sorriso triste.

«forse in parte. Ho creato un po’ di scompiglio pubblicando foto di luoghi inquinati, e all’agenzia questo non è piaciuto» è triste. Solo perché ha voluto mostrare la realtà dei fatti lo hanno licenziato? «quindi ora mi arrangio con quello che trovo, insomma dovrò pur tirare avanti no?» non rispondo, perché non saprei cosa dire. Ha solo fatto il suo lavoro. Gli rivolgo un sorriso timido, abbasso lo sguardo e ricomincio a mangiare.

 

È tarda sera quando torniamo a casa, sono impacciata quando lo ringrazio per la cena e vado a letto.

Non mi piacciono queste mezze misure. Per me è sempre o tutto nero o tutto bianco. O nemmeno ci parliamo oppure grandi amici, le situazioni intermedie mi mettono in imbarazzo, mi fanno stare in ansia.

 

Il mattino dopo sono in camera mia, sto studiando delle vecchie cartelle cliniche per vedere se trovo punti in comune con dei sintomi che presenta un bambino nel reparto del mio ospedale, quando la porta si spalanca ed entra un fin troppo agitato Stefano.

«ho un problema» sta urlando troppo per essere mattina, maledetto Andrea che l’ha fatto entrare.

«uno?» sono acida come un limone.

«Non sto affatto bene Renée» lo guardo in attesa che parli. Ma sta zitto. Allora?

«Ludovica» lo guardo incitandolo con lo sguardo ad andare avanti «Ludovica cosa?»

Mi guarda come se fossi un alieno. Mi sto innervosendo

«Stefano, Ludovica cosa?! Sta male? È successo qualcosa?»

«L’ho vista parlare in un bar con mio fratello, mio fratello, Renée, lui sa quanto io sia pazzo di Ludo, me la sta soffiando da sotto il naso» alzo gli occhi al cielo. Gesù cristo questo ragazzo è sotto un treno, letteralmente.

«Stefano. Segui le mie parole. Stavano parlando, lo hai detto anche tu. Sei troppo esagerato, non significa niente. Poi tu con tuo fratello parli di qualsiasi cosa, lui sa di Ludo, parlagli e vedrai che sicuramente hai frainteso tutto tu e non c’è niente da preoccuparsi. Vedi cose che non ci sono, fidati.»

«secondo me dovresti prendere Ludovica e baciarla, così almeno lei si sveglia fuori» chiudo gli occhi esasperata. Da quanto esattamente Andrea è sulla porta ad ascoltare? Lo guardo male per poi rivolgermi a Stefano «no, non funziona così» lui si avvicina puntandomi un dito addosso.

«sai cosa Ré?» ho paura a chiedere «hai ragione» ah meglio di quanto credessi, è stato facile.

«andrò da lei e la bacerò, ma davanti a mio fratello, così capisce come stanno realmente le cose» mi cadono le braccia. Sul serio, non scherzavo quando ho detto che Stefano non pensa a nulla, agisce incontrollatamente, sbagliando un buon novanta percento delle volte.

«no, Ste, non è quello che ho detto. Stefano!» troppo tardi è uscito dalla porta.

Seriamente? Perché perdo fiato per dare preziosi consigli quando nessuno mi ascolta?

«grazie davvero Andrea» lui alza gli occhi al cielo «Dai, i tuoi amici si piacciono a vicenda, fidati è meglio così, non vuoi che siano felici?»

«certo che si. Ma non in questo modo, non sono pronti»

«e come fai a saperlo tu? Non credi che debba essere una loro decisione?» già come faccio a saperlo io?

«oh no, non è che pensi che mettendosi insieme poi ti escluderanno, vero? Hai paura di finire per essere il terzo incomodo?»

Mi alzo un po’ su di giri e dopo averlo mandato gentilmente a quel paese gli sbatto la porta in faccia.

Non ha assolutamente ragione, sarei la più contenta se Ludo si decidesse a dare una possibilità a Ste.

«Non hai niente da temere Doc. i tuoi amici ti vogliono bene. E poi potresti sempre diventare amica mia» la voce di Andrea attutita dalla porta mi entra fin dentro le vene.

Decisamente l’altra sera Ludo aveva ragione.

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Capitolo 5
*** capitolo quinto ***


 

CAPITOLO QUINTO

 

È da domenica scorsa che evito qualsiasi stanza comune della casa. Cinque giorni.

Non penso di essere del tutto normale, ne sono consapevole. Ammettere il problema è il primo passo, si dice così no?

In realtà non è successo nemmeno nulla di così problematico.

Potresti diventare amica mia.

A volte mi spavento di quanto io possa essere infantile, mi sto nascondendo da un ragazzo bellissimo, che non ha detto assolutamente niente di inconveniente. Perché mi sto comportando come una bambina?

La verità è che qualsiasi cosa abbia a che fare con i sentimenti – qualsiasi sentimento – mi spaventa.

E adesso, dopo venticinque anni, reagisco in modo davvero troppo eccessivo ad un commento fatto in modo amichevole, quasi ironico. Sicuramente ironico.

 

Mio Dio sono così ridicola. Spero che sia semplicemente come ha detto Ludo, magari ho solo bisogno di fare calmare i miei ormoni, anche loro hanno bisogno di attenzioni.

 

Sto guardando un film a caso sul computer, sotto la mia coperta di pile, quando sento qualcuno cantare. So chi è, potrebbe essere solo lui. E lo so, per cinque giorno ho evitato il mio nuovo coinquilino, ma è una canzone così triste che i miei piedi si muovono da soli verso il soggiorno.

Appena entro nella stanza, Andrea smette di cantare e suonare la chitarra, alza lo sguardo e mi rivolge un sorrisino timido.

«Finalmente sono riuscito a farti uscire da quella stanza. Ho anche pensato che mi stessi evitando, ma non ne avresti motivo, no?» Sei ridicola Renée, ridicola.

«Che canzone era?» matura, rispondi ad una domanda con un’altra domanda.

«L’ho scritta io» ah «vuoi sederti?» senza aspettare una mia risposta comincia a togliere tutte le carte dal divano. E il mio corpo - prima ancora che la mia mente elabori la domanda – si muove verso il posto liberato dalle sue mani.

Mi guarda per un momento, lo so – nonostante io stia fissando incessantemente solo la chitarra – perché sento il suo sguardo bruciarmi.

Ma perché mi fa questo effetto? Da quando? È solo per colpa del commento della mia pazza amica? Sono davvero così impressionabile?

Dopo pochi istanti ricomincia a suonare, e poi a cantare. Ed è una canzone così bella, ma così triste, e lui è così bravo – come fa ad avere un aspetto così da uomo “selvaggio” e avere una voce così bella? - che senza accorgermene mi iniziano a scendere le lacrime.

Perchè Renée? Da quando sei così sensibile?

Andrea si ferma, mio Dio, gli sto piangendo in faccia.

«C’è qualcosa che non va?» non lo so Renée, c’è qualcosa che non va?

«Mi dispiace, è che ultimamente non ci sto più tanto con la testa» rido amara, perché non so nemmeno io cosa mi stia succedendo.

Sorride, smettila di guardarlo smettila «Non sei una a cui piace la compagnia vero?»

«Non so, io lavoro in mezzo alla gente. Ma devo stare sempre un po’ distaccata, capisci?» ed è davvero così, i bambini a pediatria vanno e vengono, ma se mi dovessi affezionare ad ognuno di loro, ne uscirei distrutta.

«E fuori dal lavoro? Non vorrei essere indiscreto, ma anche con tua madre mi sembravi un po’ tesa» sul serio? Era una situazione diversa.

Sorrido pensando alla sera della festa «Amo mia mamma, ma abbiamo due visioni diverse del mondo. E lei mi aveva attirato nella trappola sai» dico, indicando lui e poi tutto il soggiorno.

Andrea annuisce, e io spero davvero che sia finita qui questa conversazione.

«E con le altre persone?» speranza invana.

«Con le altre persone cosa?» vaga, fai la vaga.

Sposta la chitarra di fianco al divano e sia avvicina, e grazie a Dio io mi sposto più lontano.

«Vuoi sapere cosa penso io?» No. Ma chiaramente il mio corpo agisce con volontà propria, ed annuisco.

«Io penso che tu ti nasconda dalle persone» probabilmente lo sto guardando davvero male perché scoppia a ridere. È una cosa che fa ridere?

«Vuoi sapere perché lo penso?» annuisco ancora. Ma perché non parla e basta?

«Quando sei entrata nella stanza di mio nipote, in ospedale, non hai alzato lo sguardo finché io non ho messo in dubbio la tua età. La sera stessa, non hai affrontato tua madre, o almeno non come penso avresti voluto fare. Ti ho vista insieme ai tuoi amici, e ogni volta che si affronta un argomento relativo alle emozioni, a cosa provi, tu cambi discorso in qualche modo. Come se per te fosse inutile affrontare quel lato della tua vita, come se tu già ti aspettassi una pugnalata improvvisa da parte di chiunque, perfino dalla tua famiglia. E lo facevi anche da piccola, me lo ricordo, eri sempre la bambina del gruppo più calma, controllata, mettevi scrupolosamente in dubbio tutto, non ti sei mai fidata di nessuno e odiavi quando qualcuno provava a darti una mano. Detesti quando le persone ti aiutano in qualcosa.» rimango a bocca aperta. Perché si è preso tutta questa briga di studiarmi?
«Sei una spia di qualcuno?» perché. Perché non riesco a pensare con questo ragazzo e sparo parole a caso?
E lui, giustamente scoppia a ridere. Puoi biasimarlo Renée? Ti stai comportando come una stupida.

«No, niente del genere. Ma mi piace osservare.» ah va bene.

«Ah, okay. Hai fame?» Grande, ottima replica.

«Visto? Cambi argomento» si alza in piedi e si stiracchia «oggi in realtà non mangio a casa. Quindi ci vediamo dopo?» sei delusa Renée?

«certo».

 

«Pronto» rischio di far cadere il telefono nella pentola per rispondere.

«Ho bisogno di un favore» echecazzo.

«Ciao Guido, come va?» mio fratello oggi ha dimenticato le buone maniere.

«Renée, ti prego, devi tenermi i gemelli oggi pomeriggio» si tutto bene grazie. Alzo gli occhi al cielo.

«Non è un favore, e non devi pregarmi, sono i miei nipoti. Mi fa piacere, e oggi ho il giorno libero, quindi portali quando vuoi»

«Oddio grazie, mi stai salvando. Sei una sorella meravigliosa» lo so, come so che lo stai dicendo solo per leccarmi il culo.

«Sei un ruffiano di merda, ci vediamo dopo» chiudo la chiamata senza aspettare la sua risposta.

 

I miei nipoti sono su di giri. Vogliono a tutti i costi andare in piscina. A fine ottobre. Con quindici gradi fuori. Sto cercando di farli ragionare - per quanto si possa far ragionare due bambini di quattro anni - quando la porta si apre e compare Andrea.

Mi guarda confuso «quanto tempo sono stato via esattamente?» per poi ridersela di gusto.

«E tu chi sei?» Silvia si appoggia le manine ai fianchi e lo guarda storto. Ha decisamente preso da me.

«Uh lei ti assomiglia un sacco» appunto.

Sbuffo, mi bastava badare a due bambini questa sera, non mi serviva che se ne aggiungesse un terzo.

«Andrea, loro sono i miei due nipotini, Silvia e Giacomo. Mostri, lui è Andrea».

«Sei il ragazzo della zia?» ma porca…

«Giacomo! Ma no che stai dicendo?»

«La mamma dice che prima di avere noi due, abitava con il papà. E lui è entrato con le chiavi»

chi sono questi bambini? Come fanno a collegare così bene le cose alla loro età?

Renée, non essere ridicola, a quattro anni tu leggevi.

«La mamma ha ragione, ma lui non è il mio ragazzo. Se due persone vivono insieme non vuol dire che stiano anche insieme.» il bambino mi guarda piegando la testa di lato. È identico a mio fratello.

«meglio, non mi piacciono i disegni che ha sulle braccia e sulle mani» Silvia la tocca piano. Diventerà una donna importante da grande, oppure una colossale stronza.

«Davvero, sicura che non sia figlia tua?» Andrea continua a ridere, lasciandomi in balia delle domande dei bambini.

È inspiegabilmente felice. È davvero molto felice.

Perché sei così felice, Andrea?

Distolgo lo sguardo dal moro, per tornare su Giacomo che mi tira la maglia «allora andiamo in piscina zia?» oddio basta con questa piscina.

«Giacomo, non potete andare in piscina. Fa freddo e non avete nemmeno i costumi.»

«Possono andare nudi» perché è ancora qui?

I bambini ridono, cominciando ad urlare “nudi”. Fulmino con lo sguardo Andrea, ma che cazzo fa?

«si, ha ragione. Lui è divertente» AH adesso è divertente?

Guardo Silvia, con un sorrido che più falso non si può «Okay, quando poi ti beccherai il raffreddore, lo spiegherai tu ai tuoi genitori perché è successo, e la tua zia non ti curerà e soprattutto non ti darà il lecca-lecca alla mela che ti da sempre quando hai la febbre» gioco sporco.

Silvia spalanca gli occhi punta sul debole «Si ma allora che cosa facciamo?» incrocia le braccia al petto e mette il broncio.

«ti piace ballare?» ma te ne vuoi andare?

«lei balla sempre quando la mamma mette la musica dal telefono» Giacomo prende in giro la sorella.

«mmh, sai che forse ho un gioco che potrebbe piacerti? Aspetta un minuto»

Guardo la scena quasi annoiata. Perché si sta impegnando con i miei nipoti? Lo sa che quando dai una mano ad un bambino di quell’età questo poi si prende l’intero braccio?

Dopo poco, Andrea, torna con in mano una scatola di un gioco di quelli con i telecomandi che si collegano alla televisione. Io non ci ho mai giocato. Nemmeno a dirlo, mi divertivo di più a leggere. Asociale noiosa.

Giacomo e Silvia cominciano a saltare eccitati. Ottimo adesso amano Andrea.

Alzo gli occhi al cielo mentre si mettono davanti al televisore per cominciare a giocare.

«Non sei un granché brava con i tuoi nipoti, per essere una che lavora con i bambini».

Scusa?

«Ma come ti permetti?» sono sconvolta, sono i figli di mio fratello cazzo. Hanno anche il mio sangue «io curo i bambini, loro non sono da curare, sono solo annoiati. Probabilmente se li avessi fatti andare in piscina allora si sarebbero ammalati e quindi si, in quel momento li avrei dovuti curare e ti renderesti conto di quanto io sia brava.» sto urlando, sto esagerando. Ma qui non si sta mettendo in dubbio solo la mia professionalità, ma anche il rapporto che ho con i miei nipoti, che -nemmeno dovrei specificare- amo alla follia.

Ti stai scaldando troppo Renée, ti stava solo prendendo in giro.

Sulla faccia di Andrea si dipinge un’espressione tra la paura e il colpevole.

Chiudo gli occhi e prendo un respiro per calmarmi.

«Mi dispiace, ultimamente sono un po’ suscettibile» un po’?

«No, scusami tu. Volevo provocarti, ma ho esagerato.» No davvero, sono io quella esagerata. Fin troppo.

«Vuoi un the?» cambio discorso, ultimamente non faccio altro, soprattutto con lui.

«Forse è meglio una camomilla?» chiede incerto. Si forse è meglio.

 

È ormai ora di cena, quando finalmente i bambini si calmano. In realtà sono stati tutto il pomeriggio a giocare con Andrea. Mi sento un po’ in colpa, ma si è messo in mezzo lui, di certo non l’ho obbligato io.

Per farli contenti, però, preparo per cena quello che vogliono loro: hamburger e patatine. Nemmeno a chiedere.

Si sono davvero divertiti oggi – non per merito tuo – e sono stanchissimi, tanto che mio fratello e sua moglie devono portarli in braccio fino in macchina.

Una volta rientrata in casa, mi avvicino alla porta della camera di Andrea e busso timidamente.

Da quando sei così timida?

«avanti»

Petto. Nudo. La leggera peluria è l’unica cosa che lo copre in questo momento. E i tanti tatuaggi.

Non sono mai stata una fan dei peli sul petto e di troppi tatuaggi. Si, ne ho uno anche io, ma solo uno.

E allora perché lui ti fa questo effetto?

Mi schiarisco la voce «emh, io ti volevo ringraziare per oggi, li hai fatti divertire un sacco»

e lui sorride, il sorriso quello bello, che alza gli angoli degli occhi e gli forma le fossette ai lati della bocca.

Mio dio.

«tranquilla, mi sono divertito più io di loro» si gira per prendere la maglietta dal letto, e nel farlo si gira leggermente verso destra e allora lo vedo, il motivo per cui era così allegro prima, un succhiotto.

Dentro di me rido amara.

Hai anche visto la sua ragazza, che ti aspettavi Renée?

Che mi aspettavo?

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Capitolo 6
*** capitolo sesto ***


capitolo sesto
 
 

Sono seduta al bar dell’ospedale da più di dieci minuti. Ludo mi guarda paziente.
No, non siamo qui per parlare di Stefano, infatti, per una volta nella vita ha dato realmente ragione a me, non baciando Ludo. Non so se abbia parlato con suo fratello, ma lo scoprirò questa sera, quando usciremo.
Il motivo per cui siamo ferme su questo tavolino è Andrea.
Potrei continuare a tacere fino alla fine della mia pausa, ma la mia amica è la prima a cedere.
«Oh insomma Renée, non è detto che sia la sua ragazza, lo sai come sono i ragazzi come lui. Ne cambiano una all’ora.»
«Ho un fratello di cinque anni più grande di me Ludo, so come funzionano queste cose. Ed è proprio per questo che penso che sia la sua ragazza. Quando Guido aveva un’avventura, questa non rimaneva mai a dormire in camera sua. L’unica ad averlo fatto, è diventata sua moglie. Quella biondona è rimasta a dormire in camera di Andrea, il mattino dopo faceva colazione nella mia cucina»
Okay, ma perché ti scaldi? Ha la ragazza, e allora? Ti aspettavi che un ragazzo così bello fosse single? Dai.
«e allora perché non vive da questa sua ragazza?» vero, perché Andrea vive a casa mia?
«Non lo so, magari lei non ha spazio. Ludo non lo so, cazzo» non lo so davvero.
Mi guarda sospetta, lo fa da quando ci siamo sedute, dopo che le ho spiegato tutto quello che era successo.
Non è successo niente Renée, cresci.
«Ti piace.» non lo sta domandando, è un dato di fatto.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo, e poi scoppio. Letteralmente.
«Io non so nemmeno perché! È arrogante, antipatico, esteticamente non è nemmeno il mio tipo. Ma poi fa alcune cose così belle, così da “uomo dei sogni”, e improvvisamente mi piace tutto, il verde degli occhi, che a volte da sul grigio/marrone, i capelli che diventano ricci quando non mette il gel, tutti quei tatuaggi, poi è altissimo. Io non capisco più niente, mi fermo. E quando c’è lui il mio corpo agisce senza chiedere l’intervento della testa.» sbotto.
Ludo mi guarda sconvolta, come quando a quindici anni, per il suo compleanno sono riuscita a prenderle i biglietti del concerto della sua band preferita. Non parla, resta lì a fissarmi ad occhi e bocca aperta.
Poi però perdo la pazienza «allora? Non dici niente?» sono ansiosa di sapere che cosa le passa per la testa.
«oh mio Dio. Lui ti piace!» si, è questo il punto.
«Ludo, pensavo di averlo già chiarito. Sei più sorpresa di prima e onestamente, non mi stai aiutando.» sospiro perché in questo momento mi viene quasi voglia di bere un caffè.
«No, intendo dire che lui ti piace piace» piace piace? Ma che vorrebbe dire?
«Ré, non mi hai mai parlato così di un ragazzo. Non ti piace come ti piaceva Zac Efron a dodici anni. Andrea ti piace da morire. Scusa ma non è mai successo, sono sconvolta da questa notizia.»
La guardo risentita, mi sembra un po’ esagerata come descrizione della vicenda.
«Oh nono signorina, non mi guardare così. Tu sei sempre stata glaciale. Non hai mai lasciato che qualcuno crepasse il tuo muretto con i sentimenti, ed è successo proprio con l’unico ragazzo più lontano dai tuoi soliti standard da letto.» ride di gusto mentre io alzo gli occhi al cielo.
«io non sono glaciale» si, si lo sei «e comunque questa informazione non mi è per niente d’aiuto.»
Ludo allunga una mano e accarezza il dorso della mia «Ré, parlaci. Magari scopri che non è fidanzato, magari gli piaci pure, hai visto come ti guardava la sera del compleanno di Ste? E poi, se dovesse essere fidanzato pace, prima o poi ti passerà. Almeno abbiamo la conferma che tu abbia un cuore e sentimenti»
Sorvolo su metà della sua frase per focalizzarmi sulla parte più insignificante.
«stava guardando il mio tatuaggio, non me, e poi basta con questo discorso del “Renée non ha sentimenti. Non sono così fredda.»
Mi guarda stringendo a fessura gli occhi.
«Si invece».
 
Rientro a casa dopo cena, faccio una doccia lunga interminabili minuti e mi metto comoda sul divano, con un piatto pieno di tiramisù. Amo il tiramisù.
Sono a metà delpiatto quando entra Andrea. Mi lancia uno sguardo e senza fermarsi va in cucina per tornare dopo due minuti con un cucchiaino e buttarsi a peso morto accanto al mio posto.
«Perché sono due giorni che mi eviti?» dice mentre affonda il cucchiaino nel mio tiramisù.
È così vicino che il suo profumo mi sta destabilizzando le funzioni cerebrali. Troppo vicino.
«Questo è il mio tiramisù, se proprio lo vuoi ne trovi altro in frigo» sei una bambina.
Lui sbuffa, si sposta mettendosi più dritto con la schiena.
«Renée smettila. Ti ho fatto una domanda. Perché scappi sempre? Parliamo, sembra che le cose vadano leggermente bene - almeno tanto da poter vivere insieme senza aspettarmi un tuo assalto nel cuore della notte - e poi tu mi eviti per giorni. È già la seconda volta che succede. Ho fatto qualcosa di male? Ti ha dato fastidio qualcosa? L’altra sera sei venuta in camera mia per ringraziarmi e poi improvvisamente, sei scappata di corsa e non ti vedo da allora. Che cosa c’è che non va?»
Dai Renée, raccontagli cosa c’è che non va. Fallo e poi guardalo fare le valigie di corsa e scappare da te, una venticinquenne definita genio sul lavoro, ma con la mentalità emotiva di una dodicenne. Vai non essere timida, raccontagli tutto.
«Non ti ho evitato» vigliacca, sei una vigliacca.
Sbuffa mettendosi in piedi davanti a me, che sono ancora seduta.
«Giuro che mi fai venire una voglia irrefrenabile di sculacciarti quando fai così» le mie guance si colorano di viola, non un leggero rossore, sto andando a fuoco.
«Queste cose dovresti farle in camera da letto con la tua ragazza biondona, non con me» sussurro, forse più a me stessa che a lui, perché questo doveva essere solo un mio pensiero, non volevo dirlo ad alta voce.
Troppo tardi.
Andrea si ferma, nel senso che non lo sento nemmeno respirare, e appena alzo lo sguardo su di lui vedo un’espressione a dir poco scioccata. Poi sul suo bel viso si forma un sorriso, tra il timido e il provocatorio. Questo ragazzo è un dio greco.
«Sei gelosa?» si, porca miseria. Lo sono senza alcun motivo per poterlo essere.
«Io?» mi punto l’indice al petto «non scherziamo, perché mai dovrei essere gelosa di te?»
«Perché ti piaccio, mi sembra ovvio. Fai tanto la sostenuta, quella a cui non interessa niente, la figa di legno, ma poi cadi nel solito tranello del bad boy arrogante e pieno di tatuaggi.» figa di legno? Ma che linguaggio è?
Si butta di nuovo sul divano.
«Te lo chiederò di nuovo, perché ti comporti così?» io sbuffo perché questa situazione è così ridicola. E poi parlo, onestamente posso peggiorare la situazione più di così? Certo che si.
«Non sono abituata a, diciamo, certe tematiche, okay? E non ho determinate attenzioni da un po’ di tempo quindi, sono leggermente irascibile.» non hai detto la cosa principale stupida.
Le sue guance si colorano un pochino, sorride.
«Renée, io penso che tu sia una bellissima ragazza, di sicuro avrai la fila di persone che chiedono tue attenzioni, ma che tu non concedi» che caduta di stile.
Questa è la classica storia che si rifila ad una ragazza che si lamenta di non avere abbastanza attenzioni.
Non sono bellissima. Certo non sono da buttare via, ma so benissimo quali sono i miei limiti.
Sono bassa, davvero bassa, arrivo a stento al metro e sessanta, ad Andrea arrivo al petto, i miei capelli sono indomabili, troppo poco per essere definiti ricci e troppo per essere lisci, neri come una notte in montagna senza luna. Così neri che da ragazzina, convinta da Ludo ho provato a schiarirli e la cosa non ha funzionato per niente. Capelli neri avevo e capelli neri mi sono rimasti, e non sono nemmeno mai stati tagliati sopra le spalle, per comodità in caso dovessi legarli. I miei occhi sono quasi neri, e a volte, fanno paura anche a me, da quanto si faccia fatica a distinguere l’iride dalla pupilla. Si ho un corpo proporzionato, tonico e magro e con delle belle curve al punto giusto. Fin da piccola mia nonna diceva che avevo preso la corporatura formosa della parte paterna della mia famiglia, scatenando il panico in mia mamma che mi voleva già modella.
Ma davvero conta così tanto solo l’aspetto fisico? A me non interessa una storia da una notte e basta. Io voglio un uomo vicino in tutto. E con il mio carattere, lo so, allontano chiunque. Allontano me stessa, figuriamoci.
Quindi okay, in questo momento potrei anche essere un po’ vanitosa, ed ammettere di essere una bella ragazza, ma non ho mai trovato un ragazzo in grado di starmi affianco.
E io non mi accontento. Mai. Quindi perché perdere tempo in camera da letto con ragazzi che poi al mattino scappano?
So benissimo che Andrea non voleva offendermi dicendo quella frase, ma per un motivo o per un altro, mi sento come se mi avesse tirato una secchiata d’acqua gelida addosso.
Non gli piaci Renée, lo hai visto bene?
Ed è colpa di questa triste rassegnazione, che rispondo acidamente.
«Non mi interessa sapere che tu mi trovi bella. Mi hai fatto una domanda, ti ho risposto. Non ho bisogno di essere analizzata e farmi dire dove sbaglio. So badare a me stessa.» mi alzo in piedi, seguita subito dopo da lui.
«Davvero Renée? Perché non si direbbe. Ti stai nascondendo, sei annoiata da qualsiasi cosa, ti limiti ad aspettare qualcosa ma non sai nemmeno cosa. Pensi che non si capisca? Lo capirebbe chiunque.»
Mi sale una rabbia colossale dentro, la sento salire fino a oscurarmi la testa, non penso di essermi arrabbiata mai tanto. Nemmeno con mia madre. Perché dai più peso al giudizio di Andrea?
Ed è forse per rabbia, forse per stanchezza, forse perché il suo viso è troppo bello, che la mia mano si alza da sola e si pianta sulla sua guancia. Pesante.
Non ho mai picchiato nessuno. Non ho mai pensato che la violenza fosse una risposta adatta, ho sempre preferito le parole, con quelle se voglio, riesco ad essere cattivissima.
Ma Andrea, dal primo giorno in cui l’ho ritrovato dopo anni, mi ha fatto fare cose che non avrei mai fatto altrimenti.
Lui resta immobile, con il viso ancora di lato, perché non si muove? Mio dio, sei stata così stupida.
Non è un tipo da alzare le mani su una donna vero? Ti prego dimmi di no.
Lentamente – anche troppo – sposta la testa in modo da guardarmi di nuovo in viso.
Ha gli occhi che brillano, brillano sul serio. Sono quasi liquidi.
«Non è la mia ragazza» la sua voce è ferma, non esprime nessuno stato d’animo.
Cosa?
«Ma di che cazzo stai parlando?» sono visibilmente confusa.
«La ragazza bionda che ho portato qui la prima sera. Non. È. La mia ragazza» scandisce le parole come se fossi una bambinetta in preda ai capricci «non ricordo nemmeno il suo nome. È una che ogni tanto mi chiama quando torno da queste parti.» ah ma…
«Ma lei è rimasta a dormire, e poi non ti ho tirato uno schiaffo per quello, è che tu… » mi interrompe «Cristo, Renée, credevi che fosse la mia ragazza perché ha dormito nel mio letto? Ma in che secolo vivi? Era tarda notte, abbiamo finito tardi, non avrei mai lasciato andare via una ragazza da sola a quell’ora. Non sono il mostro che tu credi che sia.» oh adesso lui è offeso? LUI?
«e sai la cosa divertente? Io ti piaccio, e anche tu piaci a me. Non so nemmeno il perché, ma mi piace guardarti, mi piace ascoltare i tuoi continui lamenti, mi piace anche la smorfia esagerata che fai quando senti l’odore del caffè. Ma se devo essere sincero, non ho voglia di perdere tempo con una ragazzina viziata, che ha avuto e ha il mondo e che non lo apprezza, che si crede chissà chi solo perché è in grado di studiare più velocemente degli altri. Vuoi una novità Renée? Non sei nessuno. Cresci Dottoressa di sto cazzo.» e se ne va. Nel senso che esce dalla porta di casa senza nemmeno aggiungere niente, senza ascoltare me.
Perché avresti qualcosa di ridire Ré? Ha ragione. Su tutto.
Avrà anche ragione su alcune cose, ma di sicuro ha esagerato. Nemmeno io sono il mostro che lui crede.
 
 
Ho promesso a Ludovica e Stefano di uscire insieme questa sera, anche se in realtà adesso la mia voglia è sotto le scarpe. Arrivo al locale, un bar tranquillo in centro e mi siedo al nostro solito tavolo.
I miei due amici arrivano insieme. Ludovica è sorridente come sempre, ma Stefano sembra incazzato con il mondo.
«Che bel broncio che hai Ste» non lo saluto nemmeno, sono curiosa.
«È arrabbiato con me» Ludo interviene alzando gli occhi al cielo.
Questo è strano.
«E perché mai?» domando sempre più curiosa.
Stefano sbatte i pugni sul tavolo facendomi fare un salto sulla sedia «Mio fratello è gay. E non l’ha detto a me, no. Lo ha detto a Ludo.» Massimo è gay?
Non riesco a parlare perché Ludo si intromette nella conversazione «oh mio Dio, quante volte dovrò spiegartelo ancora? Non ne era certo, l’altra settimana l’ho visto fuori da quel bar agitato perché era successa una cosa con un ragazzo, gli ho chiesto se volesse prendere un caffè e lui si è aperto con me. Fine, te lo voleva dire, ovviamente, ma ne voleva essere sicuro. Poteva essere stata una sola avventura con un ragazzo. L’ho aiutato a capire, fine.»
Ma a Stefano non piace come spiegazione.
«È mio fratello cazzo, ci siamo sempre detti tutto, perché dovrebbe tenermi nascosto qualcosa di così importante per lui?»
«Ste, magari aveva solo paura» finalmente riesco a parlare «per te è un problema che tuo fratello sia gay?» lo domando, ma so già la risposta, Stefano è tante cose, ma non è mai stato una persona cattiva.
«Un problema? È mio fratello, chi se ne frega se si porta a letto una ragazza, un ragazzo o una statua di sale. È il mio sangue cazzo.» sorrido, perché lo adoro con tutta me stessa. Non sarebbe il mio migliore amico se pensasse che qualcosa di un minimo diverso fosse sbagliato.
«Lo immaginavo. Quindi magari puoi parlarci, magari lui è solo in difficoltà perché deve ancora realizzare del tutto la consapevolezza no? Secondo me sapere che suo fratello è al suo fianco per aiutarlo potrebbe farlo stare meglio. Non credi? » Stefano fa una smorfia tenera, sposta gli angoli della bocca verso il basso facendo un verso strano.
«Si beh, suppongo di si»
«Perfetto. Ora che abbiamo sistemato questa cosa, puoi smetterla di tenermi il muso?» Ludovica da un pizzicotto a Stefano che sorride a trecentosessanta gradi.
 
Dopo due drink a testa, per colpa di Ludo, che si è lasciata sfuggire la nostra conversazione di stamattina, ho raccontato tutto, tutto, anche a Stefano.
La mia amica se la ride di gusto, per un motivo a me sconosciuto, il mio amico invece, non parla.
Sono a scoppio ritardato, ma poi capisco. Stefano è la persona più buona al mondo, davvero, troppo istintivo, a volte un po’ ingenuo, ma davvero troppo buono. Ma può diventare cattivo, davvero cattivo, se qualcuno tocca le persone che ama. E lo so per certo, perché l’ho visto quando un paio di anni prima un ragazzo in discoteca ha trattato male Ludovica, ho visto la rabbia sul viso suo viso. Come l’ho vista quando in vacanza degli uomini troppo maturi hanno fatto apprezzamenti non proprio consoni sul mio costume, e su quello che c’era sotto.
Quindi si, quando Stefano si alza, senza ancora aver detto niente, lo ammetto, un po’ sono preoccupata. Però poi penso anche al fatto che in realtà non è successo niente di così grave, non è la prima volta che qualcuno mi dice le parole che mi ha rivolto Andrea.
E ovviamente mi sbaglio, perché Stefano esce dal locale. Ludovica mi guarda per un momento poi prende la borsa e si alza, cosa che faccio anche io. Perché l’espressione di Stefano non era per niente bella. Forse è ancora nervoso per il fatto che Massimo abbia detto di essere gay a Ludo e non a lui. Non lo so, ma io e la mia amica prendiamo la mia macchina e lo seguiamo.
Mi sembra di essere in un film, perché la macchina di Stefano si ferma proprio sotto casa mia, e porca di quella miseria, Andrea è fuori dal portone. Cazzo.
Scendo dalla macchina di corsa.
«Stefano, ti prego. Non fare così, stai esagerando, non è successo niente.» sul serio, è esagerato.
Ma lui non mi ascolta si avvicina ad Andrea che non ci ha ancora visti, ma è questione di secondi, prima che alzi lo sguardo su Ste, e sorride, ignaro.
«Oi amico» e se voleva dire qualcos’altro non lo dice, perché il pugno chiuso del suo “amico” gli si schianta in faccia, e lui non aspettandoselo sbatte la testa indietro sul portone.
Troppo esagerato.

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Capitolo 7
*** capitolo settimo ***


 
 
CAPITOLO SETTIMO

«Mi dispiace» alzo gli occhi al cielo mentre appoggio il ghiaccio sullo zigomo di Andrea, è la quinta volta in dieci minuti che Stefano ripete quelle parole.
«non importa un po’ lo meritavo» si un po’ si, Andrea.
«si è vero, ma io ho reagito in modo violento, non si fa. È che so quanto pesino quelle parole su Renée. In più ero già nervoso per conto mio e sai a dirla tutta, io e Ludo pensavamo che insomma voi due… » lui e Ludo pensavano a cosa esattamente?
«vado a cambiarmi, non farlo addormentare» brava Renée, scappa ancora.
 
Un’ora dopo, i miei due amici vanno a casa. E io aspetto, vigliacca almeno cinque minuti con la fronte sulla porta. Non ho voglia di tornare da Andrea, dovrei parlare, e a me non piace parlare.
Non in queste situazioni almeno.
«Renée?» ma come fa ad essere così silenzioso?
«Che fai, in piedi? Stenditi pazzo» brava doc, brava.
«Che stavi facendo sulla porta?» sbadiglia mentre si stende sul divano. E nel farlo la felpa che indossa si alza di parecchi centimetri. Guarda da un’altra parte ragazza.
Distolgo lo sguardo imbarazzata, ancora.
«Niente, sono stanca. Ma tu devi rimanere sveglio ancora un po’» mento.
«Perchè ti preoccupi che io abbia un trauma cranico?» sorride, e io che rispondo?
«beh è il mio lavoro no?» suono amara, sono amara.
«Mi stai dando del bambino?» l’ho fatto?
«Lascia stare, vuoi una tisana?» ma non aspetto una risposta, mi sono già alzata per andare in cucina. Ma mentre passo di fronte al divano Andrea alza il braccio e mi afferra per un polso.
«Mi dispiace per le cose che ti ho detto prima» e i suoi occhi sono così sinceri, così belli che sono io ora a sentirmi in colpa.
«No, non è vero. Lo pensavi e lo hai detto. In realtà hai anche ragione. Mi sono comportata da bambina.» tiro il braccio per fargli mollare la presa.
Lo penso davvero. Ho sempre dato peso a cose importanti certo, ma non uniche.
Faccio fatica ad esprimere le mie emozioni, preferisco scappare, da sempre.
Potrei anche cambiare, si, ma non ne ho mai sentito troppo l’esigenza. Fino ad ora.
Ed è esattamente per questo che adesso, ci sto mettendo davvero troppo tempo per fare queste benedette tisane.
Torno in soggiorno, Andrea si è messo seduto a guardare la televisione e quando gli passo la tazza con la tisana, le dita della sua mano toccano le mie. Ti pareva? Un classico. Ritiro la mano di scatto, che furba.
«Pensi che mi guarderai di nuovo in faccia prima o poi?» dentro di me parte un coro esausto, dalle dimensioni colossali. Non pressarmi cazzo.
«Andrea, sono davvero stanca, perdonami se mentre ti ho passato la tazza non ti ho guardato dritto nelle pupille» meravigliosa Renée, usi il sarcasmo come difesa ora?
Lui annuisce convinto, perché? Poi si alza in piedi, non ha nemmeno bevuto un sorso.
«Sai, mi sento molto meglio, penso che andrò a dormire.»
E io, da vigliacca quale sono, non dico niente. Non lo avviso che nonostante sia grande e grosso ha preso davvero una bella botta in testa e che dovrebbe stare attento. Non gli dico che per quel che mi riguarda guarderei i suoi occhi per ore intere se solo non mi sentissi così imbarazzata.
Non dico assolutamente niente. Non alzo nemmeno la testa.
Matura.
 
 
 
Non ho dormito nulla. E con nulla intendo proprio niente. Quindi per quanto mi costi ammetterlo, questa mattina ho bisogno di un caffè.
Quando Andrea entra in cucina, bello come sempre – sicuramente lui non ha le tue occhiaie, avrà dormito benissimo questa notte – la mia bocca si apre senza chiedere il permesso della testa, come sempre ultimamente.
«Ciao» veloce e indolore.
Spalanca gli occhi scioccato. Non se l’aspettava? Ho solo salutato.
Sono infantile, ma non maleducata.
«Ciao» bene, ora? «hai dormito bene?» è lui a chiederlo.
Magari ti ha sentito sbuffare mentre ti rigiravi a letto perché non riuscivi a dormire.
«Si, bene» bugiarda.
«Bene» no non è che vada proprio benissimo.
«No, in realtà non ho dormito molto » non mi stupisco nemmeno più quando parlo senza pensare «mi dispiace per ieri. Non sono abituata a… tutto questo insomma» sto parlando al caffè, perché mi vergogno così tanto da non riuscire a guardarlo in faccia?
Vedo i suoi piedi avvicinarsi e con una mano sotto il mento mi alza il viso in modo che io possa guardarlo negli occhi.
Dai ammettilo, l’hai sentita la scossa lungo la schiena, ammettilo.
«”a tutto questo” cosa?» dai ma devo dirlo per forza?
«Non so nemmeno io cosa sia. Cioè appena ti ho rivisto mi sei stato sul cazzo, e poi niente, all’improvviso mi piaci. A me non piacciono le emozioni, mi mettono in difficoltà, e soprattutto mi mette in difficoltà esprimerle» dico tutto senza respirare, riprendo fiato «e quando ci sei tu parlo e dico cose senza pensare. Non sono abituata a non pensare. Io penso sempre.»
«Io non ti faccio pensare?» ma ha capito solo questo?
Sbuffo, ho perso la volontà. Andrea ride «Renée fidati, tu pensi sempre troppo, anche adesso. Stai pensando. Stacca la testa.» posso farcela?
Stacca la testa.
Okay allora che faccio? Non devo pensare, e non lo sto facendo mentre lo guardo negli occhi che, porca miseria, sono la fine del mondo, e di certo non lo sto facendo quando avvicino le mie labbra alle sue. E probabilmente non sta pensando nemmeno lui, perché non si allontana.
Non si allontana di certo, e stiamo li in cucina - con io che ho ancora il caffè in mano – a baciarci, come se fossimo due ragazzini alle prime cotte. E onestamente parlando, mi sento davvero alla prima cotta. Perché un bacio così semplice non mi è mai piaciuto tanto, delle labbra così perfette io non le ho mai sentite sulle mie, e del suo profumo? non ne parliamo.
Dopo un tempo - che a me sembra troppo poco – ci stacchiamo, non posso dire la mia espressione, ma la sua è la più bella che io abbia mai visto in tutta la mia vita.
«Mi piace come smetti di pensare» imbarazzata, sono imbarazzata da morire.
«Io» la voce Renée, la voce «io devo andare a lavoro» e lui sorride, bello, bellissimo, mi prende la tazzina dalle mani e ne beve il contenuto.
«Va bene, ci vediamo dopo»
 
 
«Quindi lo hai baciato?!» uffa, l’avrò ripetuto venti volte.
«Si Ludo, l’ho baciato, mi ha detto di smettere di pensare, e io ho agito senza pensare. Letteralmente.» lei continua a girare il suo the caldo. Alterno lo sguardo dalla tazza che ha tra le mani e la sua espressione sognante.
«Okay, ora potresti dire qualcosa che non sia “lo hai baciato” e smetterla con quell’espressione? Mi spaventi» scuote la teste e ride. Ma perché tutti ridono?
«Scusa tesoro, ma tu non hai baciato mai nessuno, non per prima almeno»
«Ludo ma che vuol dire? Non ha senso. Ti sto spiegando che ora non so come comportarmi»
«Dai Renée, ma che vuoi fare. Niente, vedi come si comporta lui» e questo che consiglio sarebbe? «ora scusa ma devo correre a lavoro, ci vediamo stasera per il messicano? Da te?»
«Da me? Non possiamo fare da te o da Ste? Da me c’è Andrea» la supplico.
Ma lei sorride, e io so cosa vuol dire quel sorriso «lo so» appunto. Mi fa l’occhiolino e va via. Grande.
 
Dopo il lavoro, mi fermo al supermercato per rifornire il mio frigo e prendere gli ingredienti per il messicano. È un’idea di Stefano, un paio di anni fa, si è messo in testa che una volta al mese dobbiamo cucinare messicano. Inutile dire che la sua idea di messicano si basi sul fare guacamole – fatta male – e dei burritos. Fine.
Sto cercando le chiavi nella borsa ma la porta di casa si apre prima che io possa trovarle.
«Ero sul terrazzo e ho visto la tua macchina» Andrea mi guarda indeciso. Scommetto che sta pensando a come io mi comporterò, se scapperò ancora. Lo farai Renée?
«Ah, emh, grazie» sono mai stata così imbarazzata?
«Hai fatto spese?» mi prende di mano le borse e le porta in cucina per poi tirarne fuori il contenuto.
Lo guardo scettica. Credevo che mi avrebbe tartassato di domande.
È rilassato, come se non fosse successo niente.
Perché non è successo niente Renée, era solo uno stupido bacio, sei tu che te la tiri troppo.
«vuoi cucinare messicano?» inarca un sopracciglio mentre lo dice, il che lo rende- se possibile – ancora più bello.
Mi muove una mano davanti al viso. Grande, ti eri imbambolata.
«Cosa? Si messicano, è un’idea strana di Ste che dobbiamo fare una volta al mese» lui annuisce impercettibilmente, guardandomi dall’alto al basso e mordendosi il labbro inferiore. Il bellissimo e morbidissimo labbro che ho assaggiato anche io questa mattina, proprio qui.
«Anzi, dovrebbero arrivare fra poco» lui non dice niente, continua a tenersi il labbro fra i denti. Ma lo fa apposta? Potrebbe smetterla?
Grazie a Dio il campanello suona e io corro ad aprire. Guido Stefano e Ludovica in cucina.
«Vado a cambiarmi voi cominciate pure» mi giro verso il corridoio, ma quello che dice Ludo mi ferma.
«Oh Andrea, anche tu cucini con noi vero?» sul serio Ludovica? Ma sei stronza?
«Non vorrei mai disturbare» ecco bravo.
«Ma che disturbo, anzi è il minimo per il cazzotto che ti ho tirato ieri sera» mi sembra il caso di eliminare anche Stefano dalla corta lista dei miei amici.
Andrea si gira verso di me, mi guarda incerto. Che c’è? Adesso mi chiedi il permesso?
Alzo una mano verso di loro scuotendo la testa, tanto ormai hanno già deciso.
Faccio una doccia super veloce per poi mettere una tuta comoda.
In cucina trovo Ludovica alle prese con la guacamole , mentre Andrea e Stefano con i burritos.
Andrea mi sorride «Sei carina con le felpe enormi» sono carina con le felpe enormi?
Ma gli pare una cosa da dire di fronte ai miei amici?
Le mie guance si colorano velocemente, e sussurro un veloce «grazie».
Ludo mi da di gomito quando le passo vicino.
«Io che posso fare?» devo mettermi a fare qualcosa.
«Puoi apparecchiare?» Stefano non alza nemmeno lo sguardo per parlarmi. È troppo impegnato a cucinare la carne per i burritos. Mio dio, questo ragazzo prende questa stupida tradizione – che ha inventato lui dal niente – troppo sul serio.
Quando alla fine ci sediamo a tavola Stefano si siede di fronte a me, con Ludo di fianco, e non so se sia una mia impressione, ma sta sudando, a fine ottobre, Stefano suda come se ci fossero quaranta gradi. Ma che gli prende?
«Stefano ti senti male?» sono davvero preoccupata.
«Si ho notato che sudi un sacco» anche Ludo interviene, ma Stefano non parla, guarda a intermittenza tra il suo piatto e Andrea. Mmh la situazione è strana, prendo un sorso di coca-cola assottigliando lo sguardo.
«Cavolo Ludovica, sono innamorato di te da anni!» sputo, letteralmente sputo, la coca-cola sul tavolo. Non c’è che dire, Stefano ultimamente se ne esce con stile, davvero.
Mi giro verso Andrea, lui è tranquillissimo, anzi sorride allegramente.
Lui sapeva? Sapeva che Stefano avrebbe detto tutto questa sera? Lui lo sapeva e io no?
Quindi lui sapeva della tradizione della cena messicana? Mi ha preso per il culo?
«Stefano, possiamo parlarne fuori?» Ludovica si alza, lanciandomi uno sguardo.
Appena sono fuori mi rigiro verso Andrea.
«Tu lo sapevi?» mi guarda con un sorriso angelico e innocente.
«Mi ha chiamato mentre tu eri al lavoro» lo ha chiamato?
«E non hai pensato di dirmelo? Sono i miei migliori amici!»
Sbuffa, alzando gli occhi al cielo «Renée, te l’ho detto. Pensi troppo. Si piacciono da morire, semplicemente Ludovica aveva bisogno di una spinta, che le ha dato Stefano confessando i suoi sentimenti. Io ho solo dato la spinta a Stefano» sembra ovvio, a lui.
«Era compito mio! Sono amici miei, non tuoi. Stai nel tuo Andrea, nel tuo.»
Non fa in tempo a rispondere perché i suddetti amici rientrano nella stanza.
Sorridono, mentre io ho il viso tetro.
Sarei felicissima se i miei amici si dovessero mettere insieme, è chiaro. Ma Andrea in tutto questo non fa parte.
«Quindi?» ma continua a mettersi in mezzo.
«quindi penso che gli darò una possibilità, nonostante la pessima dichiarazione» Ludo sorride felice.
L’ impiccione – alias Andrea – si alza per abbracciare Stefano, Ludo si siede sul posto appena liberata, vicino a me.
Le sorrido dandole un bacio sulla guancia «sono molto felice per voi» lo sono davvero.
«Lo so, ma sei arrabbiata con il bel moro. Stefano mi ha detto che lo ha aiutato, e a te da fastidio, vero?» ci sarà un motivo se è l’unica ragazza che io abbia mai preso in considerazione per essere la mia migliore amica, no?
«È che ho sempre pensato che sarei stata io il vostro cupido» le confesso.
Lei sorride e mi da un bacio «sei già la nostra migliore amica, non è poco sai?»
 
Più tardi la nuova coppia se ne va, e io comincio a sparecchiare.
«Sei ancora arrabbiata?» Andrea si appoggia con il fianco al tavolo
«No, è stato il momento» mi tira l’orlo della felpa «Allora puoi guardarmi» e lo faccio, mannaggia a me. Mannaggia perché è sempre più bello.
«Tu fumi?» cos? Ma come se ne esce?
«No, non fumo» lui annuisce, come se, se lo aspettasse.
«Va bene, mi vuoi accompagnare fuori e farmi compagnia mentre fumo io?»
e io annuisco, perché in questo momento voglio stare con lui.

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Capitolo 8
*** capitolo ottavo ***


 
CAPITOLO OTTAVO

Siamo fuori a bordo piscina, seduti su una sdraio. Guardo Andrea mentre si accende la sigaretta, aspira e butta fuori il fumo dal naso.
Perché questo gesto ti piace così tanto? A te non è mai piaciuto nemmeno l’odore del fumo.
Si gira per guardarmi e sorride «Scommetto che stai per dirmi che fumare fa male»
Lo volevo dire? Non lo so. Ha ventotto anni, è libero di prendere le decisioni che vuole.
Scuoto forte la testa «è una tua scelta» non sei mai stata così tollerante Renée.
«Non lo faccio spesso. Solo quando sono nervoso o confuso» e ora è nervoso o confuso?
«Non devi giustificarti» chi sono io per dire a lui cosa fare? Non sei nessuno.
«Non lo stavo facendo» ah, okay.
Chiudo la bocca e mi giro verso la piscina.
«Non mi chiedi su cosa sono confuso?»
Mi rigiro per guardarlo in faccia «non lo so, vuoi dirmelo?»
Storge la bocca in una smorfia ironica «sono confuso, perché non ho mai baciato una ragazza nel modo casto in cui tu hai baciato me. E sono ancora più confuso perché mi è piaciuto più di qualsiasi altro bacio io abbia mai dato» sapessi a me «e poi sono anche confuso, perché non so se è stato solo un momento oppure se vorresti rifarlo perché magari è piaciuto anche a te»
Scelgo la via della sincerità, ad una certa dovrò pur parlare.
«Anche a me è piaciuto più di qualsiasi altro bacio» si parlo, ma i miei occhi sono sui miei piedi.
«Ora me lo potresti dire guardandomi in faccia?» appunto.
«Mi è piaciuto» lo dico guardandolo dritto nelle pozze verdi che ha al posto degli occhi.
La sua espressione resta uguale, ma scivola di lato verso di me «E vorresti riprovarlo?»
Vorrei? Si ovvio.
Ma poi perché il suo tono di voce fa pensare a tutto, TUTTO, tranne che ad un bacio senza lingua?
Annuisco senza fiatare con lo sguardo sulla sua bocca. Bella, bella, perfetta bocca.
Ci muoviamo nello stesso momento e le nostre labbra si vanno incontro. Ed è bellissimo come questa mattina, se non di più.
Sono baci dolci, tranquilli, che non chiedono niente ma danno tanto.
Non so da quanto tempo siamo qui fuori, ma la sua sigaretta è stata lanciata lontano da un pezzo.
Andrea si sposta, continuando a guardarmi negli occhi e io mi sento così piccola, ma così bene, da avere un brivido lungo le spalle.
«Hai freddo?» no, decisamente non era per il freddo Andrea.
Ma ora che non è più vicino sento l’aria fredda d’autunno sulla pelle e annuisco.
Si alza e mi porge la mano. Ma come? Andiamo via? Di già?
Smettila, hai venticinque anni, non dodici.
Rientriamo e lui si ferma davanti la porta di camera mia.
«Penso che sia arrivata l’ora di darti la buonanotte» mi sorride. Davvero? Ho pensato a tutto, tranne che a questo.
«Okay, ‘notte Andrea» entro in camera di corsa.




Questa mattina mi sono svegliata con la luna storta. Quando poi, trovo Andrea in cucina la giornata peggiora ancora.
Sono sincera, ieri sera ci sono rimasta male, parecchio. Non che mi aspettassi granché, non volevo andarci a letto così subito dopo due baci, ma nemmeno un saluto improvvisato come l’ha messo lui.
«Buongiorno» sorride ignaro del mio umore cupo.
«’Giorno» mugugno
«Dormito bene?» ti pare che io abbia dormito bene?
«Perché mi hai salutato così ieri sera?!» scoppio.
Spalanca gli occhi con il cucchiaio, pieno di cereali, ancora in mano «Come ti avrei salutato?»
ma fa sul serio?
«Ti sei alzato dalla sdraio, e mi hai dato la buonanotte, dal niente.»
Sposta la tazza e mi guarda quasi scioccato «Da quanto non scopi?» Cosa?
Sul serio? Adesso se una ragazza è nervosa vuol dire per forza che non scopa?
Ma che ragionamento troglodita è?
«Ma questo che cazzo vorrebbe dire?»
Si alza, sovrastandomi di almeno una ventina di centimetri buoni «Renée, non volevo metterti pressioni, l’ho capito che per te le emozioni sono difficili, non volevo metterti fretta. Onestamente avrei potuto fare benissimo l’amore con te anche a bordo piscina» mi va di traverso la saliva
«non pensavo che lo volessi anche tu, e poi volevo che fosse più romantico che ne so, non così “tanto per”, capisci?» non era quello che intendevo.
«Non sono nervosa perché non scopo» ci tengo a precisarlo.
Alza un sopracciglio «Ah no?» prende una ciocca dei miei capelli e se la rigira tra le dita.
Da quanto non scopi Renée?
Non significa niente.
Mi sposto «No, non è per quello».
Ride di gusto «Va bene, se lo dici tu» mi fa l’occhiolino.
Brividi, brividi per un semplice occhiolino.
«Ah! A proposito, domanda: hai da fare domani sera?» mi strozzo di nuovo con la saliva.
Andrea preoccupato, mi passa un bicchiere d’acqua e io bevo un sorso con calma.
Perché non riesco più a controllarmi?
«Mmh no. Ho il turno di mattina, perché?» la mia voce suona stridula, soprattutto nell’ultima parte.

«Un mio vecchio amico fa una festa per Halloween, mi ha detto di invitare chi voglio. Ti va?» se mi va? «ovviamente puoi chiedere anche a Stefano e Ludovica» ovviamente.
«Io penso che si possa fare. Poi mando un messaggio e vedo se vengono»
«Perfetto» si incammina verso il bagno, ma poi ci ripensa e si gira «mi stavo dimenticando, è una festa in maschera» fa l’occhiolino, di nuovo. Mi sciolgo.
In maschera?






«Vi siete baciati ancora?» sbuffo «ma soprattutto: ha detto che avrebbe voluto fare l’amore con te?!» Ludovica non mi lascia parlare. Ho approfittato della pausa a lavoro per chiamarla ma al telefono è ancora peggio.
«Hai capito l’ultima parte? Sei libera domani sera?» cambio discorso, tanto è inutile.
«E secondo te potrei perdermi l’occasione di flirtare con quel figone da paura tutta innamorata? Certo che sono libera» cosa?
«Ludovica io non sono innamorata. Andrea mi piace. È diverso, c’è una differenza enorme.»
«Si certo, come vuoi. Avviso io Ste. Baci» chiude la chiamata.
Questa è pazza.






Più tardi, quando rientro a casa, trovo Andrea sul divano circondato da foto, la macchina fotografica che ha usato al matrimonio in comune e il computer.
«Che fai?» non saluto nemmeno.
Alza la testa di scatto e sorride vedendomi.
A cuccia Renée, è solo un bel ragazzo.
«Stavo controllando le foto prima di inviarle alla coppia» prende una busta «vuoi vederle?»
«Dai fammi vedere» mi siedo sul tavolino di fronte al divano, perché quest’ultimo è davvero pieno di foto.
«Sono davvero molto belle» e non lo dico tanto per dire, sono foto meravigliose.
Sorride orgoglioso «ti ringrazio».
Gli restituisco le foto e lo guardo, sono seduta proprio davanti a lui.
«Come è andata a lavoro?» può smetterla di sorridere in quel modo?
«Bene, tutto tranquillo».
«Bene» okay.
«Si» quindi? Che dico?
Non dico niente in realtà, perché le mani di Andrea si appoggiano sulle mie ginocchia coperte dai jeans e salgono su, lungo le cosce, per poi correre sotto e afferrare il retro delle ginocchia.
Adesso che fa?
Mi tira un po’ più sul bordo del tavolino mentre lui si sposta più vicino.
«Ciao» soffia sulle mie labbra.
Svengo, giuro che svengo.
Mi nasce un sorriso spontaneo «Ciao».
«Mi piacciono i tuoi jeans» ah si? A me piace tutto di te.
Calmati ragazza.
«Sono comodi» sono comodi? È così che flirti Renée? Che cosa vergognosa.
«Comodi?» annuisco e forse capisce che in questo io non sono brava, perché si allontana e appoggia la schiena al divano. Si stancherà Renée, svegliati.
«Alla fine Stefano e Ludovica vengono domani sera?» tiro un sospiro di sollievo, è una domanda semplice.
«Si, anche se, una festa in maschera? Sul serio? Da che mi devo vestire?» lui scoppia a ridere di botto.
Non capisco. La mia domanda fa ridere?
«Da strega?» apro la bocca in una smorfia scioccata. Mi ha detto di vestirmi da strega? Mi dovrei offendere?
Alzo il dito medio e lui comincia a ridere più forte. Sto per andare via dal soggiorno quando lui mi ferma.
«Nono, dai scusa. Volevo fare il simpatico. Sei permalosa, lo sai vero?» si, si che lo so.
Alzo gli occhi al cielo, che dovrei dirti Andrea?
Ma non demorde «potresti vestirti da sposa cadavere?» questa volta è incerto. Sposa cadavere? Non lo so, e se semplicemente mi disegnassi un po’ di sangue con un rossetto? No?
«Non sei abituata alla creatività doc?» no certo che no. Non sono mai stata creativa.
«Vabbeh vedrò se ho qualcosa in armadio».






Come volevasi dimostrare sono davanti all’armadio. Fra mezz’ora arrivano i miei due amici per andare tutti assieme a questa benedetta festa e io sono in ritardo.
Ci tengo a precisare: io non sono mai in ritardo. Mi piace la puntualità, anzi, sono spesso in anticipo. Ma in questa occasione c’è di mezzo Andrea, quindi non mi stupisco che le mie abitudini siano sottosopra.
Ti ha solo chiesto di andare ad una festa, e ti ha fatto invitare anche i tuoi amici. Datti una calmata.
Sbuffo prendendo un vestito bianco della collezione di mia mamma della stagione scorsa. Mai messo, non serve nemmeno specificarlo. E perché non usarlo adesso?
Okay come faccio a renderlo più “sporco”?
Chiamo Ludo.
«Ré, tranquilla, due minuti e siamo lì» il che vuol dire almeno dieci minuti.
«Non ti chiamo per quello. Come faccio a trasformare un vestito bianco candido in quello della sposa cadavere?» sta zitta una manciata di secondi.
«Tu non hai vestiti bianchi» sbuffo, ma che ci azzecca adesso?
«Creatura di Veronica» scoppia letteralmente a ridere.
«Lo sai che se dovesse venirlo a scoprire ti ammazzerebbe?» si lo so.
«Primo, me l’ha regalato. Secondo se nessuno lo dice, lei non lo verrà a sapere» è semplice.
«Probabilmente in questo momento le prude il naso»
«Ludo, mi vuoi aiutare o no?»
Un quarto d’ora dopo, sono pronta, ho seguito tutto quello che mi ha detto Ludo. Modestamente? Ho fatto un buon lavoro, anche con il trucco. Non ne è servito tanto, la mia pelle bianca come il latte ha fatto gran parte del lavoro.
La mia amica, stile tornado, entra in camera.
«Oh. Mio. Dio! Adoro! Adorooo» perché si agita tanto?
«Smettila cretina. Che altrimenti mi madre ci sente davvero»
Prendo la borsa ed esco dalla camera, con la pazza alle caviglie.
Poi mi blocco di colpo. Andrea, maledetto, è vestito come uno sposo. Cioè non proprio come uno sposo, ma è elegante, con camicia bianca, pantaloni e giacca neri. Tutto sporcato e rotto a regola, ovviamente.
Ludo mi sussurra all’orecchio «ma lo sai che così sembrate proprio due… » la blocco prima che io possa sentire quelle parole ad alta voce.
«Zitta, non parlare.»
Andrea si gira - ma perché? Perché è così bello vestito da Halloween? - e sorride guardando il mio vestito.
Perché sorride sempre?
«Bel vestito»
«Grazie, da cosa sei vestito?» sono curiosa? Si decisamente si.
Alza la macchina fotografica «Da fotografo zombie, ovviamente» ovviamente si.






La “festa” è un ammasso di gente in una casa che ancora deve essere finita di costruire.
Il proprietario, un ragazzo con più alcool che sangue ci raggiunge salutando Andrea con una pacca sulla spalla.
«Ragazzi, sono Marco, fate come se fosse casa vostra» sono quattro mura senza finestre «ciao vampiretta, sei sexy» fa l’occhiolino a Ludo ma Stefano marca il territorio mettendole mette un braccio intorno alle spalle «Coso, lontano dalla mia ragazza, grazie.»
Sorrido, il mio amico adesso non perde tempo per far sapere a tutti che la donna del suo cuore gli ha dato una possibilità.
Marco annuisce e sposta lo sguardo su di me. Sei sempre la seconda scelta Renée.
«E tu, sposina?» vorrei rispondere, perché giuro che potrei metterlo al suo posto senza problemi. Ma Andrea decide di farlo al posto mio. Perché?
«Marco, facciamo che non tocchi nemmeno lei, okay?» so difendermi da sola, coso.


La festa – dopo la ritirata di Marco in chissà quale posto – non è poi nemmeno così male. Non che mi piacciano questo genere di feste – ma dai? - però mi sto divertendo, tutto sommato.
E lo sai perché Renée? Non ti sei fermata al primo bicchiere come fai di solito, e stai spegnendo la testa.
Non ti sembra stupido dover bere per divertirti? Lo è.






«Che dici, andiamo?» non so che ore siano, ma penso molto tardi, quindi semplicemente annuisco ad Andrea. Accompagniamo i miei amici a casa e poi Andrea guida verso casa mia. Stiamo in silenzio per tutto il viaggio, anche quando entriamo in casa.
Quando arrivo davanti alla mia camera, mi ferma.
«Dormi con me?» il mio cuore smette di battere.
Devo avere una faccia sconvolta perché chiarisce subito.
«Non voglio fare qualcosa, cioè vorrei ma non lo farò. Hai bevuto, voglio che tu sia bella sveglia per quello» beh mi sta svegliando ragazzo «è solo perché, non so, vuoi dormire con me?»
voglio?
«Si.»

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Capitolo 9
*** capitolo nono ***


CAPITOLO NONO
 
 
Sono comodissima, non ho mai dormito così bene.
Sorrido, pensando che le mie lenzuola abbiano un profumo meraviglioso. Ma che ammorbidente è questo? Non lo ricordo.
Apro gli occhi, perché io uso lo stesso ammorbidente da quattro anni.
Questa decisamente non è la mia camera, e il braccio intorno alla mia vita non è mio.
Vuoi dormire con me?
Collego tutto con molti minuti di ritardo. Non sono molto reattiva al mattino.
Soprattutto se la sera prima hai bevuto qualche drink di troppo.
So di aver solo dormito, ho i vestiti addosso, e so per certo – istinto – che Andrea non se ne approfitterebbe mai. Può avere decine di donne, perché dovrebbe addirittura approfittarsi di te da ubriaca?
Non lo farebbe, ma questo non mi mette di meno in imbarazzo. Ho dormito solo con il mio ragazzo storico, io davvero non sono abituata a queste situazioni.
Mi giro nel suo abbraccio e lo guardo dormire rilassato. I pensieri mi stanno correndo a velocità inumane da parecchi minuti, quando Andrea apre gli occhi piano piano, scoprendo lentamente quel verde tendente al marrone così bello da non sembrare possibile.
Mi sorride rilassato «Buongiorno» ha la voce impastata dal sonno, e incredibilmente, questo lo rende ancora più bello.
«Ciao» nascondo il più possibile la testa nel cuscino chiudendo gli occhi.
«Stai bene?» sto incredibilmente bene, mugugno.
«Sarebbe un si?» sollevo solo una palpebra. «Si»
Ride spostandomi i capelli dal viso «Sei buffa appena sveglia» buffa? Dovrei offendermi?
Mi alzo di scatto appoggiando la schiena alla testiera del letto, lui resta disteso di fianco, con una mano a sostenere la testa, mi guarda con un sorriso soddisfatto.
«Scusa in che senso buffa?»
«Nel senso che sei incredibilmente imbarazzata per esserti svegliata nello stesso letto di un uomo e cerchi di fare la sostenuta, ma non ti riesce. In più, ieri sera non ti sei struccata e i tuoi capelli sono un disastro perché di notte ti muovi un sacco. Ti ho dovuta abbracciare per farti stare ferma.»
mi ha dovuta abbracciare? Ma che scusa è?
«Non sono cose molto carine da dire»sbuffo. Questo ragazzo è strano, in alcuni momenti è fin troppo dolce, in altri è così da prendere a schiaffi.
«Beh se ti faccio i complimenti poi tu ti imbarazzi e cambi discorso, ho giocato d’anticipo» lo guardo scettica.
«Mi faccio un caffè» mi alzo di fretta per uscire dal radar di occhi belli.
«Caffè? Come mai?» mi giro per fulminarlo con lo sguardo, se si potesse lo avrei già carbonizzato.
«Non ho dormito benissimo, si sta piuttosto scomodi nel tuo “abbraccio”» gne.










Mio fratello e la moglie hanno bisogno di un po’ di tranquillità, di staccare, per una serata ogni tanto. Ma con due bambini piccoli non è molto facile, quindi per camuffare il loro bisogno di pace hanno inventato la “serata della zia”. Per farla breve: mi appioppano i bambini per la notte, una volta al mese.
Non è mai stato un problema, amo i miei nipotini con tutta me stessa, ma ora c’è Andrea.
Tendo ad essere un po’ gelosa delle persone della mia vita quando c’è quel ragazzo intorno.
L’altra volta ti è tornato utile.
«Perché il ragazzo con i disegni sulla braccia è ancora qui?» Silvia alza il dito paffutello indicando Andrea.
Ciao amore della zia, come va?
È davvero una bambina meravigliosa, davvero, ma fa fatica ad essere gentile fin da subito – da chi avrà mai preso? - fatta eccezione se la si asseconda.
Come ha fatto Andrea l’altra sera.
Quest’ultimo rotea lo sguardo e atterra su di me «é letteralmente una piccola Renée» poi si rivolge alla bambina «se fai la buona ti faccio giocare alla wii ancora» e riesce a zittirla.
Giacomo sta in silenzio, dietro, sembra arrabbiato.
«Ehi mostro, sei arrabbiato?» lui incrocia le braccia al petto. È decisamente arrabbiato.
Silvia si intromette quando il fratello non parla «è arrabbiato con Giada, una bambina che è con noi all’asilo», «e perché?» questa volta è Andrea ad essere curioso.
«mi ha detto che non vuole essere la mia fidanzata» ammette il diretto interessato con un broncio.
Trattengo a stento una risata, hanno spezzato il cuore al mio piccolo nipotino.
«Aia, amico. Le donne sono complicate» comincio a pensare che il pugno ricevuto da Stefano non sia bastato ad Andrea.
«Oppure sono i maschi che sono stupidi» Silvia mette le manine sui fianchi arrabbiata «ci sono dei bambini all’asilo che non mi fanno giocare a pallone solo perché sono una bambina. Non è giusto» gonfio il petto orgogliosa. Questa bambina ha già capito cose che metà del mondo ancora fatica ad accettare.
«E tu che hai fatto?» attento belloccio, mai sfidare quella bambina.
Silvia alza le manine chiuse a pugno verso Andrea «Ho dato al bambino più cattivo un pugno.»
Mi cadono le braccia lungo i fianchi «Silvia, ne abbiamo già parlato, non puoi fare a botte ogni volta che qualcosa non va come vuoi tu. È sbagliato. Vuoi che la mamma ti metta in punizione di nuovo?»
Lei alza gli occhietti al cielo «no, ma se lo meritava.»
«Scommetto che da piccola pure tu picchiavi la gente» Andrea se la ride, quando poi mi giro per guardarlo con un sorriso glaciale si ferma «No. Non perdevo tempo con dei bambini così trogloditi.»
«Vogliamo fare la pizza?» mi rivolgo direttamente ai bambini, tanto è inutile parlare con quello che dovrebbe averne quasi trenta di anni.
La risposta è positiva, non serve nemmeno chiarirlo.


Ho le mani completamente sporche dell’impasto per la pizza. Lo sapevo, succede ogni volta, “facciamo la pizza” significa che io devo lavorare mentre i due bambini mangiano le guarnizioni.
Hanno quattro anni che ti aspetti?
Andrea è in camera da quando abbiamo cominciato a mettere in disordine la cucina, sono troppo gentile l’ho preparata anche per lui.
«Giacomo, perché non vai a chiamare Andrea? Fra un po’ dovrebbe essere pronto» non se lo fa nemmeno ripetere, corre verso la sua camera.
Silvia mi guarda attentamente, brutto segno «Zia» ecco.
«Dimmi amore» naturale, devi essere naturale.
«Cosa succede quando due bambini stanno assieme?» ma sul serio? Ma perché non lo chiede a sua madre?
«Amore, queste sono cose importanti, dovresti chiederle alla tua mamma. Ma sei ancora piccolina, da grande lo capirai.» vorrei sapere da dove le viene questa domanda.
«Grande tipo te?» Dai dille cosa vorresti fare davvero con Andrea. La grande e controllata Zia Renée vorrebbe fare cose proprio adatte alle orecchie ingenue di una bambina.
«Tipo. Ma non c’è fretta» cresci piano gioia.
«Chi non ha fretta?» ma Gesù! Come fa ad essere così silenzioso?
«La zia ha detto che non devo avere fretta per avere un ragazzo. Devo avere la sua età. Ma è tantissimo tempo» mentre parla si arrampica sulla sedia e una volta seduta allarga anche le braccia enfatizzando sul “tantissimo”.
Scusa? Questo che vorrebbe dire? Ma quanti anni crede che io abbia?
«Si effettivamente tua zia esagera. Io ho avuto la mia prima ragazza a quattordici anni e lei ne aveva tredici» lo dice orgoglioso.
«Zitto! Zitto per carità.» ma che cazzo, vuole mandare una bambina in pasto ai leoni? Pazzo.
I bambini ridono divertiti dalla mia reazione. Come faccio a passare dal volere questo ragazzo sempre vicino a me – tanto da dormirci insieme – al non tollerarlo così forte?
Ho paura di avere almeno sette personalità.
Ho paura che le abbia anche lui.


La pizza è stata spazzata via in pochissimo tempo. Almeno è piaciuta.
Dopo numerosi capricci riesco a mettere a letto i due mostri, promettendo di fare la pizza anche la prossima volta.
Torno nella mia camera e mi butto esausta sul letto. Le capisco le serate in cui mio fratello vuole stare da solo con la moglie. Quei bambini sono una gioia meravigliosa ma sono anche due, e piccoli, e cosa più inquietante: sembrano la fotocopia più giovane di me e mio fratello. Il che, non è del tutto così meraviglioso, noi due da piccoli abbiamo fatto veri e proprio disastri: dal giocare semplicemente con il fango a portare il fango nella sala prove di mamma – di cui non è bene ricordare l’attacco di panico nel vederci tutti pieni di fango vicino ai suoi meravigliosi abiti.
E potrei andare avanti per ore a raccontare ogni marachella fatta con quel pazzo di Guido, l’unico bambino che mi ha capito fino a che non è arrivata Ludo, ma sono troppo stanca e prendo sonno senza nemmeno mettermi sotto le coperte.


Mi svegliano delle risate. Le conosco, queste sono risate “da zuccheri”. Non so cosa sia successo, ma sono già arrabbiata. Guardo l’ora sulla sveglia: 22.00, ho messo a letto i gemelli meno di un’ora fa. Mi alzo per andare in cucina e giuro - giuro davvero – che alla vista di Andrea, seduto su uno sgabello del bancone con i bambini seduti davanti a lui proprio sul ripiano con in mano una lattina di coca-cola a testa, mi fa uscire il fumo dalle orecchie.
E non è per fare la bacchettona, ma sono i figli di mio fratello, e se lui decide di non dare da bere bevande zuccherate ai suoi figli – soprattutto se contengono caffeina e sono le dieci di sera!- è una sua sacrosanta decisione da rispettare. Porca miseria! Perché non mi ha svegliata?
«Cosa state facendo?!» sto sbraitando, non mi piace quando succede, e onestamente penso di averlo fatto un paio di volte in tutta la mia vita. Fino a che non ho ritrovato Andrea.
I bambini sobbalzano spaventati e nascondono le lattine dietro la schiena. Furbi, ma non abbastanza.
Andrea si gira verso di me «I mostriciattoli si sono svegliati e avevano sete» fa spallucce.
Mostriciattoli? Alza le spalle come se fosse normale dare della caffeina a dei bambini che non riescono a dormire?!
Ma poi come ci bada lui a suo nipote?
«E gli dai della coca-cola?!» penso che le vene del mio collo siano sul punto di schizzare fuori, ma non ho finito «e solo io li chiamo mostri!» sono infantile, ma io ho cominciato a chiamarli così quando da neonati il loro pianto sembrava quello dei mostri dei cartoni. È una cosa personale. Io sono la loro zia. Lui non è niente per loro.
Ti stai agitando troppo, non ha fatto niente di male.
«Renée, mi hanno chiesto un sorso di coca-cola, non succede niente se per una volta la bevono» allora non capisce.
«I loro genitori non vogliono! Non sono figli tuoi, non decidi tu.» stai nel tuo fottutissimo posto.
«Se è per questo nemmeno tu» lo sussurra, ma io lo sento comunque «volevo dire: sei la zia» aggiusta il tiro dopo la mia occhiataccia.
«Silvia, Giacomo, in camera » comandante, loro tentennano lamentandosi «Ho detto in camera!».
Ottimo, ora alzo la voce anche con i bambini.
«Sei un’irresponsabile del cazzo, lo sai?» lo accuso appena i gemelli non sono più a portata d’orecchio «perchè non mi hai svegliata?» lui sgrana gli occhi e mi guarda per una manciata di secondi sconvolto.
«Io non volevo disturbarti, sembravi così stanca, non ti volevo svegliare»
Alzo le braccia al cielo. È impossibile, non voglio sprecare più fiato.
«Vaffanculo Andrea, mi dovevi svegliare. Te lo ripeto ancora: stai nel tuo.»
Sto esagerando lo so. Ma ultimamente ho una marcia gelosia che mi logora da dentro.
Non lo lascio ribattere, torno nella stanza dove ci sono i bambini.
Sono troppo svegli. Come minimo mi ci vorrà un’ora per farli riaddormentare.


Sono quasi al traguardo e suona il campanello. Ma scherziamo?
Comincio a pensare che sia una tortura fatta personalmente per la sottoscritta.
Mi alzo per andare ad aprire la porta ma due furie si precipitano prima di me.
«Nonnii!» nonni? Mi blocco in mezzo al corridoio. Pietrificata. Cosa ci fanno qui? Ora? Sono le undici passate.
Mi volto verso il divano dove un non meno pietrificato Andrea mi fissa allibito.
Mia madre entra in casa guardandomi quasi risentita, dietro di lei mio papà le fissa la nuca esasperato roteando gli occhi.
«Mamma? È successo qualcosa?» perché di solito almeno avvisa prima.
«Perchè non me l’hai detto tu?» sono confusa, ma chiaramente non ha terminato «pensavi forse che io non avrei acconsentito?» ma?
«Mamma, perdonami. Io non so proprio di cosa tu stia parlando» alzo le mani gente.
«Silvia me l’ha detto! Doveva dirmelo la mia nipotina e non mia figlia? Perché non mi vuoi rendere partecipe della tua vita?» fermi tutti.
«Silvia ti ha detto cosa, esattamente?» guardo la protagonista e lei evita il mio sguardo.
«Che tu e Andrea state insieme!» ma brutta stronza di una bambina. Quella è il diavolo. È trecento volte peggio di me da piccola.
Ti ho fatta nascere letteralmente con le mie mani, e tu mi ripaghi così?
Vedo rosso. Mia madre comincia a inveire parole tipo “perchè mai devo essere l’ultima a sapere le cose”, “Andrea è un bravissimo ragazzo” ecc ecc… ma io la blocco, ora basta.
«Zitta!» niente oggi è la serata esatta per dare sfogo alla mia gola.
Mia madre mi guarda scioccata. Non la pensiamo esattamente allo stesso modo su molte cose, ma mai, ripeto: mai, mi sono permessa di zittirla.
«Prima di tutto: sul serio credi ad una bambina di quattro anni che ne combina una in più del diavolo? Dando tutto per vero poi? Secondo: per quale assurdo motivo non mi hai chiamato? Perché dai sempre per scontato che la colpa sia mia? Avresti dovuto chiamare prima di presentarti a casa mia ed accusarmi di cose palesemente inventate! E terzo» poso lo sguardo su quella bellissima, amatissima ma anche stronzissima di mia nipote «Silvia, come ti sei permessa? Sei stata maleducata e lo sai benissimo che non si dicono bugie. Come hai fatto a chiamare la nonna? E soprattutto perchè?»
Non alza lo sguardo, ma sa benissimo che finché non parlerà, io resterò qui ad aspettare una spiegazione.
«scusa zia» scusa? Ma come cazz
Rido, una risata strozzata dall’esasperazione. Mi ci voleva pure la nipote che si mettesse a decidere per me. Assurdo.
«scusa? Ti dispiace? Sai cosa? Dovrai chiedere scusa anche ai tuoi genitori, per aver preso in giro Andrea per farvi dare la coca-cola, pensi che io non l’abbia capito? So che sei più sveglia di quanto creda chiunque, e ti dovrai scusare con loro anche per aver preso in giro i nonni. Vai a prendere il tuo zainetto. Niente più serate della zia fino a che non avrai chiesto scusa a tutti per bene.»
alza la testolina di scatto verso di me. Ha gli occhi pieni di lacrime.
Si, mi sento in colpa. Ho urlato addosso ad una bambina di quattro anni per aver fatto degli stupidi scherzi, ma ha messo in mezzo mia madre. Sono più che nervosa.
«No! Mi dispiace zia scusa! Ho chiamato la nonna con il tuo cellulare, so usarlo, guardo sempre la mamma mentre lo usa» tira su con il naso «io non volevo fare la cattiva. Ma la mamma dice che prima di sposare il papà, ci litigava sempre. E io e Giacomo prima vi abbiamo sentito litigare. Io pensavo...» piange. Mio dio ho fatto piangere una bambina, mia nipote. Sono io il mostro.
Sospiro mettendomi in ginocchio davanti a lei, per essere alla sua altezza, circa.
«Silvia. Mi dispiace di aver urlato, ma perché non hai chiesto a me prima di andare a dire queste cose alla nonna? Non mi piacciono le bugie, lo sai.»
«lo so. Scusa, ma Andrea ha detto che gli piacevi, e che sei tu che ti comporti da cattiva con lui. Scusa scusa, non lo faccio più, promesso. Ma posso restare qui?» ha gli occhietti che luccicano speranzosi.
Annuisco.
Si, ho sentito la parte in cui Silvia parla di Andrea, come ho sentito il sussulto di mia mamma dietro le mie spalle. Ma penso che non sia questo il momento esatto per parlarne.
Una volta rassicurati, i miei tornano a casa e i gemelli vanno a letto senza fiatare.
«Renée» ecco appunto. Andrea è stato sempre zitto da quando è iniziata la discussione. Non potevo sul serio pensare che stesse zitto anche una volta rimasti da soli.
«Non ora. Scusa ma non ora» e devo avere una faccia stravolta dalla stanchezza perché mi guarda bene in viso e poi annuisce.
«’notte» biascico.
Mi ferma per un braccio e mi bacia la fronte «Buonanotte».

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Capitolo 10
*** capitolo decimo ***


CAPITOLO DECIMO
 
 
Non vedo Andrea da ieri sera. Questa mattina uscendo, per portare da mio fratello i bambini, ho trovato un suo biglietto sul bancone con scritto che era dovuto uscire presto.
Torno a casa dopo un turno micidiale e lo trovo sul divano. Quando mi vede si alza e mi raggiunge.
Ottimo, ieri sera voleva parlare.
«Ehi» ho la voce stridula. Ma che ho?
Lui ride, non so se per il mio tono di voce o altro, ma ride, e la sua risata è incredibilmente bella «Vuoi sapere una cosa bella ma strana?» non saluta nemmeno. Bella ma strana?
«Okay dimmi questa cosa»
«Oggi mi sei mancata» tutto d’un fiato. Ah. Okay…
Cerco di non fargli capire quanto questa confessione mi faccia piacere. Perché ti fa così piacere Renée?
«E perché la definisci bella ma strana?» siamo ancora in piedi, nel corridoio.
«È bella perché non vedevo l’ora di stare con te, ed è strana perché non avevo mai provato qualcosa del genere. Non trovi che sia strano?» trovo strano che io pensi le stesse cose tue.
«Non mi piace che tu la definisca una cosa strana»
Non mi risponde, fa un passo in avanti e io uno indietro «Ti metto in imbarazzo?»
No, ma stai facendo venire fuori emozioni imbarazzanti.
Scuoto forte la testa.
«Allora perché ti allontani?» è una domanda legittima.
«Perchè te l’ho detto, io non so come comportarmi in queste situazioni. Ho sempre paura di fare qualcosa di sbagliato. Io non voglio sbagliare Andrea. Per tutta la vita ho fatto le cose più giuste e la gente aveva comunque da ridire, se dovessi sbagliare cosa mi direbbero?»
e lo penso davvero, infondo è inutile continuare a stare zitta, a che pro dovrei tenere sempre tutto dentro?
«Non dovrebbe interessarti quello che pensa la gente, sei una ragazza intelligente, forte e anche bellissima. Deve interessarti solo quello che pensi tu di te stessa» questo lo so «e poi perché pensi di sbagliare a prescindere?»
«Perchè non sono cose dimostrabili con la scienza?» ci provo, non la so nemmeno io la risposta.
Ride sarcastico «E se invece di dare tutto per sbagliato già in principio, non ci provassi? Magari non sbaglierai niente, magari sbaglierò io. Oppure tu aiuteresti me e viceversa» alza le spalle. Come se fosse tutto semplice.
Magari lo è.
«Provarci?» provare tipo a stare insieme? Ma lui non era quello da “una botta e via?”
Annuisce convinto «Vuoi mangiare cinese?» come? Ma stavamo parlando di altro.
Andiamo, lo sai che sta cambiando discorso per non renderti le cose troppo difficili.
Alzo le spalle rassegnata dai suoi sbalzi d’umore «Io non ho mai mangiato cinese»
Spalanca la bocca scioccato «Come no?»
«Ho mangiato sushi, mi piace il sushi, ma cinese mai provato»
Batte le mani entusiasta «Perfetto Doc. è ora della tua prima volta» suona male, suona malissimo. Mi fa l’occhiolino, e potrebbe dire qualsiasi cosa, ma dopo quel gesto me ne scorderei.
Troppo bello Andrea, sei troppo bello.
 
 
«Quindi questo è il cibo cinese? Pensavo che le mettessero solo nei film le scatoline di carta quadrate» Andrea ride della mia confusione. «No, lo mettono davvero in queste confezioni. Sai usare le bacchette?» Sbuffo alzando gli occhi al cielo «Sii, ti ho detto che vado spesso al sushi».
Siamo seduti per terra, tra il divano e il tavolino, uno di fianco all’altra. Spontaneamente, senza pensarci, ci siamo seduti vicini e non di fronte.
«È diverso acchiappare un pezzo di sushi rispetto a del riso» e lo è davvero.
Sbuffo alla quarta volta che provo a tirare su un boccone. Sono tentata di alzarmi e prendere una forchetta.
Andrea ride «Te l’avevo detto, vuoi una mano?» senza aspettare la mia risposta, slitta con il corpo verso la mia parte e la sua mano destra si appoggia sulla mia. Sento formicolare la pelle a contatto. Non so se sia lo stesso per lui, ma sembra sereno. Finalmente, con il suo aiuto riesco a maneggiare in modo normale le bacchette e a mangiare da sola. Ma anche quando leva la mano, Andrea resta attaccato a me. Giro il viso verso di lui confusa «Che c’è?» parli anche con la bocca piena adesso?
Sorride scuotendo la testa «Sei bella quando mangi» la mia pelle si colora istantaneamente di rosso.
«Grazie» distolgo lo sguardo, era un complimento vero?
«Era un complimento sai» ma mi legge nella mente?
«Mi parli di te Doc.?» di me?
«Emh, in che senso? Sono una dottoressa e vivo qui?» scoppia a ridere. Che banale che sei Renée.
«Non di questo. So già che lavoro fai. Voglio sapere altro, tipo quanti ragazzi hai avuto?» è una cosa indispensabile da sapere?
«Uno» ovviamente nemmeno ci penso prima di dirlo. Andrea non fiata, mi giro per guardarlo e ha la bocca leggermente aperta.
«Non dici niente?» si riscuote «No, io intendevo tipo, quante storie, non un numero preciso, nemmeno io ricordo il mio. Diciamo nell’ordine delle decine?» perché è così importante?
Alzo le spalle «Ah okay. Uno.» è così e basta.
«Dai Renée, hai capito, intendo dire con quante persone hai scopato» sbuffo, è un discorso così banale. «La risposta non cambia.»
«Sei seria?» e perché mai dovrei mentire?
«Certo che sono seria»
«Ma, tu sei… e nessun altro? Perché? Non ti piace fare sesso? Pensi che sia immorale?» mi strozzo con il boccone che stavo masticando.
«Ma che discorsi fai? Il sesso è una cosa naturale. Perché ogni volta che una ragazza dice di non fare sesso allora è una suora e se invece lo fa è una poco di buono? È un ragionamento maschilista Andrea. Ho fatto sesso solo con il mio unico ragazzo. Se avessi avuto voglia di fare sesso occasionale non ci sarebbe stato niente di male. L’importante è proteggersi.»
«Ma allora perché solo lui?» oddio ma che ansia «Ma perché ti interessa tanto?!»
«Scusa, non lo so. È che mi è venuto in mente prima. Pensavo che tu avessi avuto un sacco di avventure sai, per scaricare lo stress. E non ci sarebbe stato niente di male eh, anzi.» per scaricare lo stress?
«È un ragionamento stupido. Una ragazza può stare benissimo anche in un letto poco affollato.»
sono fermamente convinta di questo.
«Si lo so, scusa. È che, pensavo che tu avessi una fila lunga di persone desiderose di avere attenzioni da te, e che tra questi tanti si fossero accaparrati il tuo cuore. Tutto qui» e perché mai pensava una cosa del genere?
«Non è così. Io… » tentenno «diciamo che non piaccio molto, evidentemente »
«A me piaci. Molto » lo guardo dritto negli occhi. Rido.
«Lo trovi divertente?» sembra offeso. Lui offeso?
«No, scusa. Tu?»
«Io cosa?» Lo guardo dall’alto al basso allusiva. «Decine? Centinaia?»
Scoppia a ridere «sei curiosa o gelosa?» gelosa?
«Dimmelo» eddai, perché io si e lui no?
«Direi molte decine» si morde il labbro. Non farlo, non farlo.
«Molte?» sto sudando. Lui annuisce e quel bellissimo labbro resta fra i suoi denti.
«Ma nessuna mi ha mai colpito da rimanere anche nel cuore, oltre che nel letto.» Ah.
«Okay» mi alzo e comincio a sistemare il tavolino.
«Ti sei offesa?» no, sto solo pensando alla quantità enorme di ragazze che sono passate nel tuo letto.
Perché ti da così fastidio? Non è il tuo ragazzo, e anche se lo fosse è successo prima di te.
Butto la testa indietro e poi ritorno a guardarlo «No, non sono offesa» e secondo te ci crede?
Si alza anche lui, mi prende di mano tutte le confezioni vuote e le appoggia sul tavolino, per poi farmi sedere sul divano di fronte a lui.
«Renée, so che ti sembra strano, non sei abituata. Ma a me piaci davvero tanto. Non so nemmeno da quando esattamente. Se per te è così intollerabile come situazione, dimmelo ora.» tutto tranne che intollerabile.
«Mi piaci anche tu» lo ammetto e finalmente la me interiore è d’accordo con quello che effettivamente dico.
Andrea sorride sollevato «Oh mio Dio, hai espresso un’emozione» sbuffo tirandogli un pugno sul petto. Pugno che non gli fa il minimo effetto.
Continua a ridere e la sua risata fa ridere anche me. Strano, ridi così poco.
«Mi piaci quando ridi» dolce, troppo dolce.
«Hai appena ammesso che ti piaccio davvero tanto, è normale che ti piaccia anche la mia risata»
«Saputella» gne.
Restiamo a parlare sul divano – di cose semplicissime – e quando ci alziamo per andare a dormire, sto così bene sotto il suo braccio che mi viene naturale chiedergli se ha voglia di dormire con me.
Mi guarda scettico «Sei sicura?» non penserà in quel senso vero?
«No, cioè si. Sono sicura di voler dormire con te, ma solo dormire. Per adesso.» sempre meglio chiarire. Sorride, lo sapeva già.
«per adesso» soppesa le parole «voglio dormire con te.»
 
 
 
Mi sveglio con il sorriso. Lo so perché sento Andrea dietro di me. Questa volta non aspetto che si svegli da solo, mi giro e lo bacio sulla guancia. Sorride prima di aprire gli occhi.
«ciao» da quando sei così felice al mattino?
«ciao» e non so il perché – forse perché ieri abbiamo ammesso entrambi di piacerci veramente, o forse perché con lui dormo incredibilmente bene – ma mi avvicino ancora per abbracciarlo a mia volta. Sbaglio evidentemente, perché si allontana. Sul serio? Un passo avanti e sette indietro. Ha dormito abbracciato a me tutta la notte, che gli costa abbracciarmi adesso?
Probabilmente mi legge nella mente «Scusa, è che sai è mattina. E io non beh non… da tanto e sei stata tutta la notte lì… » oh, capisco.
«Mi dispiace non ci avevo pensato» sono imbarazzatissima. Non che non sia una cosa normale, anzi, ma svegliarsi con Andrea in pieno di una erezione mattutina non l’avevo messo in conto, tutto qui.
«Vado nel bagno giù okay?» annuisco senza dire altro. E non vorrei sembrare la ninfomane del momento, ma quando si alza, lo sguardo cade proprio a quell’altezza e non posso fare a meno di trattenere il fiato. Datti una calmata.
 
 
Durante la pausa a lavoro chiamo Ludo. È la mia migliore amica, dovrebbe sapere gli sviluppi della mia quasi vita sentimentale, no?
Incredibilmente dopo il primo imbarazzo di sta mattina, è andato tutto incredibilmente bene. Come se fosse così da sempre, cosa che non è praticamente mai successa con il mio ex. Questo merita una chiamata per Ludo, no?
«Renée, sta sera Bisto» senza salutare, solito.
«Ludo, ti avrei chiamato per un’altra questione in realtà»
«Non importa, mi dirai sta sera. Massimo ci fa conoscere il suo ragazzo»
«Ommiodio, quindi lui e Stefano hanno chiarito? Sono così contenta» era ora.
«Sii, anche io. Ah e porta anche Andrea, se ti va» mi va, mi va.
 
 
 
Più tardi rientro a casa e vado direttamente nella camera di Andrea.
«Hai da fare stasera?» alza la testa sorridendo.
«Mi stai chiedendo di uscire assieme?» ops.
«No, si. In realtà Ludo ci ha chiesto di andare al Bisto, questa sera il fratello di Ste ci farà conoscere il suo ragazzo.»
«Perfetto, contatemi» si avvicina e si appoggia allo stipite della porta.
«Puoi salutarmi ora?» sono maleducata, lo so.
«Si, scusa. Ciao» sorrido. Ingenua Renée.
Andrea sorride scuotendo la testa «Non così» avvicina il viso al mio.
Si ha ragione, decisamente è meglio il suo saluto.
 
 
«Senti, guido io va bene?» Andrea entra in camera mentre sto mettendo il telefono in borsa. Si blocca, mi guarda dalla punta delle scarpe su, fino al viso. Fischia «Wow»
Sorrido, perché quando mi guarda così, mi sento più bella.
 
 
Siamo un po’ in ritardo, Ludo e Ste sono già al tavolo, li vedo dalla vetrina, per fortuna Massimo deve ancora arrivare. Andrea apre la porta, come un vero gentiluomo – non l’avrei mai detto – mi fa passare, per poi entrare a sua volta. Mi fermo quando sento la sua mano calda afferrare la mia. Lo guardo in cerca di capire cosa voglia dire. Lui mi risponde sorridendo «Mi piaci» alza le spalle e ricomincia a camminare verso il tavolo dei miei amici. Mi piaci. Ora risponderà a tutto così?
Ti darebbe fastidio?
Ludo ha lo sguardo fisso sulle nostre mani intrecciate.
«Renée, mi accompagni in bagno?» Stefano si gira verso di lei «Ma se ci sei stata due minuti fa?»
ma tace, quando la sua ragazza lo fulmina con lo sguardo.
Una volta in bagno, Ludovica mi mette con le spalle al muro «E quelle manine attaccate? Cosa diavolo è successo? Perché non me l’hai detto prima?» vorrei spiegarle che è il motivo per cui l’avevo chiamata oggi, ma forse sentire Andrea dire quelle parole così spesso mi ha fatto rincitrullire, quindi riesco a dare una sola risposta alla mia amica.
Alzo le spalle «Gli piaccio».
 
 
 
 
 
 
 
 
**** Ciao :)
spero che la storia fino a qui vi sia piaciuta, e che vi sia piaciuto anche il mio modo di scrivere.
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate se vi va, non mordo ;)
Lipstick_

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Capitolo 11
*** capitolo undicesimo ***


CAPITOLO UNDICESIMO
 
 
Ludovica continua a lanciare strane occhiate verso il lato del tavolo in cui ci siamo seduti io e Andrea.
Massimo e il suo ragazzo, Matteo, sono arrivati da un pezzo, ma per la mia amica la notizia più succulenta è un’altra. Come se non fosse stata lei a buttarmi tra le braccia di Andrea.
Non state assieme, state “provando”.
Si, ci piacciamo.
«Aspettate! Ma quindi alla fine questa è un’uscita di coppia tripla!» Massimo ride compiaciuto, Andrea invece, sputa la birra in faccia a Stefano.
Direi che lui non vi considera una coppia a tutti gli effetti.
Direi di no. Almeno ora ne ho la conferma.
Sto per parlare, ma Ludo è più veloce di me «Hai proprio ragione Massimo!» ride la stronza. Ride.
«No. Noi, io e Andrea, non stiamo assieme. Hai capito male» riesco a spiegare la situazione prima che sia troppo tardi.
Massimo diventa rosso per l’imbarazzo «Ah scusa. Che gaffe, è che lui ti ha messo la mano sulla gamba e io pensavo che, insomma voi due… »
È il mio turno di diventare rossa. Si, si Andrea ad un certo punto della serata, con molta nonchalance, ha appoggiato una mano sulla mia coscia. Non ha fatto altro, l’ha solo appoggiata lì, e tra l’altro in questo bar è sempre buio, non credevo che qualcuno se ne fosse reso conto.
«Si piacciono» Ludovica lo dice come se spiegasse tutto. Lo sta facendo apposta, pensa che così Andrea comincerà a mettere le etichette al nostro rapporto.
Ma la verità è che davvero ci piacciamo, non abbiamo parlato di tutto quello che potrebbe comportare una nostra relazione. Non ho programmato niente. E fino a due minuti fa mi stava stranamente bene. Adesso che le cose vengono dette a voce alta, mi sale l’ansia.
Mi muovo a disagio sulla sedia e Andrea si gira stranito verso di me, per poi guardare Ludovica.
«So cosa stai cercando di fare. Vuoi proteggere la tua amica da una delusione? Non voglio deluderla, ma nemmeno spaventarla, ed etichettare i nostri sentimenti mi sembra abbastanza spaventoso per lei»
Mi sento così stupida, la mia migliore amica e il mio non-so-bene-che-cosa parlano di me come se non ci fossi. E soprattutto come se avessi la capacità emotiva di una dodicenne.
E non è cosi?
A Ludo la risposta di Andrea sembra soddisfacente perché sorride e si appoggia alla sedia dove Stefano le circonda le spalle.
A me l’umore è andato sotto le scarpe.
Lunatica.
Non commento nemmeno ciò che si sono appena detti, nessuno commenta, si è creato un silenzio imbarazzante.
«Sono un po’ stanca, possiamo andare?» sono io la prima a parlare, perché stare qui sta cominciando a pressarmi. Probabilmente Andrea capisce il mio stato d’animo perché annuisce senza dire niente.
«Ciao Matteo, è stato un vero piacere conoscerti, la prossima volta giuro che sarà più divertente» mi dispiace, infondo eravamo tutti qui per conoscere lui.
«Non ti preoccupare» sussurra «anche Massimo ci ha messo un sacco di tempo a far uscire i suoi veri sentimenti. Certo, lui per motivi diversi da quelli di Andrea. Ma se vuoi un parere da terapeuta, a me piace come ti guarda» ma che vuol dire?
 
 
 
In macchina la radio parla al posto nostro. Lo so che sto esagerando, esagero sempre, è più forte di me.
Apro la porta di casa, ma Andrea ritira la maniglia verso l’esterno. Mi giro verso di lui «Che fai?»
«Scusa» abbassa lo sguardo verso di me «non volevo trattarti come una bambina» come fa a capire in così poco tempo quello a cui io penso?
«Non è solo quello ma, insomma, noi non abbiamo pensato a niente. Tu fra meno di una settimana vai via. Dove vai? Torni a Roma? Come funzionerà questa cosa?» indico lo spazio tra me e lui.
Mi guarda, sgranando gli occhi «Frena, frena. Perché fra una settimana me ne vado?» ma è scemo?
«Dovevi rimanere solo un mese, sono passate già tre settimane» dico con tono saccente.
Andrea comincia a ridere «Renée, non ho mai detto che sarei rimasto solo un mese. Avevo detto a tua mamma almeno un mese. E anche se fosse solo un mese potrei cambiare idea. Posso lavorare anche da qui. Ho un progetto in mente. E soprattutto, quando ti ho detto che volevo provare a far funzionare le cose tra di noi, non credi che avrei messo in conto di dover tornare a Roma?» in effetti…
«Scusa. Sono così stupida. Non ho pensato a niente e sono andata subito alle conclusioni più banali» sbuffa una risata, mettendomi le mani a coppa dietro la nuca.
Mi corrono i brividi lungo la schiena.
«Renée, ti prego. Puoi smettere di essere così pessimista sul mio conto? E soprattutto, smettila di abbassare la tua stima così tanto. Perché hai questa costante insicurezza? Non ti voglio prendere in giro»
Alzo le spalle, non lo so davvero. «Non lo so» dico infatti «penso di essere sempre stata insicura di questo lato di me, quello che riguarda le relazioni dico. E poi è successo tutto così in fretta che non sembra nemmeno possibile.»
Andrea annuisce, mi ha capito?
«Okay, allora io ti giuro che tutto questo è reale. Ma ti prego, se c’è qualcosa che non ti convince, dimmelo subito. Non ti chiudere, non scappare. Parlami, va bene?» come fa ad essere così paziente da tollerare una come me?
«Va bene»
«Bene»
Poi mi bacia, e io dimentico dell’assalto di domande di Ludo in bagno, di tutte le insicurezze che ho, dimentico tutto tranne lui e me.
Gli piaccio, che devo dire di più?
 
 
«Renée, ho un ragazzo qui al bancone super bello che chiede di te» guardo la cornetta del telefono stranita, come se potessi vedere l’espressione maliziosa di Clizia.
«Emh okay, arrivo» esco dal mio ufficio per raggiungere la caposala, mi fermo quando vedo Andrea appoggiato la bancone, intento a parlare con le infermiere che lo guardano estasiate. Estasiate come penso che sia anche la mia espressione.
Piego la testa di lato per guardarlo bene. Non per fare la rompipalle, ma cosa vedrà in me un ragazzo così stupendo?
Andrea volta il viso verso di me e sorride malizioso. Mi ha beccata fissarlo a bocca aperta.
Mentre mi avvicino, lui si gira appoggiandosi al tavolo con quel favoloso sedere – che non ho avuto ancora l’opportunità di toccare, ma che non è sfuggito per niente al mio sguardo – dando le spalle alle infermiere e guardando solo me. Cosa che non mi sfugge, perché nessuno mi ha mai guardato in questo modo.
Appoggia una caviglia davanti all’altra, e incrocia le braccia al petto.
Sei consapevole che nemmeno una santa potrebbe resistere a questa scena?
«Ciao» lo saluto timida una volta arrivata di fronte a lui.
Il suo sorriso si apre ancora di più «Cosa guardavi prima?» beccata.
«Mmh niente, pensavo. Che ci fai tu qui?» cambio discorso.
Lui ride, sta per rispondere quando Clizia si mette in mezzo «Renée, tesoro, chi è questo bel ragazzo?» ovviamente, non si poteva sfuggire alla caposala.
«Si scusa, Clizia lui è Andrea, hai presente lo zio preoccupato di settimane fa? Ecco è lui. Andrea, lei è Clizia, la mia caposala.» li presento velocemente.
«Ecco perché mi sembrava di averti già visto, sei bello eh, ragazzo» oh Gesù.
Andrea ride un po’ imbarazzato «Molto piacere. La ringrazio.» ripongo ad Andrea la mia domanda, prima che Clizia ricominci a monopolizzare la conversazione.
«Che ci fai qui?» lui si gira per guardare me e prende da terra un sacchetto che prima non avevo visto.
«Ho portato il pranzo. Lo so che ti dimentichi di mangiare quando sei assorbita dal lavoro. Domenica scorsa hai sbattuto contro il muro due volte mentre leggevi qualcosa di medicina.» alza gli occhi al cielo. Si è vero, ha ragione. Ma non mi aspettavo che si preoccupasse di me fino a questo punto.
Ma dai, non puoi essere semplicemente contenta? Ammettilo, ti fa piacere.
Lo fa, si certo.
Sorrido «Ah okay. Andiamo nel mio ufficio?» annuisce e comincia a seguirmi.
«Tesoro tranquilla, se qualcuno ti cerca dico prima di chiamare» Clizia mi fa l’occhiolino. Ma che problemi ha?
Scuoto la testa rassegnata mentre Andrea ride.
«Allora, che mi hai portato di buono?» da quando ho scoperto che mi ha portato il pranzo il mio stomaco ha cominciato a brontolare.
Andrea viene verso di me, vicino alla porta, si sporge e gira la chiave.
Mi fa l’occhiolino «Così se la tua caposala vuole fare scherzetti almeno la porta è chiusa» si, giusto, solo per quello.
«Comunque ti ho portato sushi. L’altra volta hai detto che ti piace» sul serio, è vero questo ragazzo? Dove sta la fregatura?
«Mi hai portato il sushi?» sono consapevole di sembrare una bambina di fronte alla sua prima neve.
Annuisce regalandomi uno di quei sorrisi bellissimi.
Decido di sedermi su una delle poltroncine di fronte alla scrivania, invitando lui a fare lo stesso.
«Me lo sono sempre chiesto. Come mai ti hanno chiamata Renée? Voglio dire, nella tua famiglia sei l’unica ad avere un nome straniero, no?» mi blocco a metà involtino e lo guardo. Da dove gli è venuto in mente?
Poi – probabilmente leggendomi nella mente – indica gli attestati attaccati al muro con il mio nome in bella vista. Chiaro.
«I miei mi hanno concepita in Inghilterra, erano in un hotel portato avanti da una vecchia signora di nome Renée, che si è accorta della gravidanza di mia mamma “guardandola negli occhi”. Mia mamma dice che l’ha presa per mano e le ha detto “aspetti una bellissima bambina”. Quando sono nata i miei hanno deciso di chiamarmi come lei. Fine.» non ho mai creduto a questa storia.
«E tu non ci credi immagino» come volevasi dimostrare, Andrea legge nel pensiero.
«Non voglio dubitare dei miei, ma penso che si siano inventati la storia per farmi stare buona quando da piccola chiedevo il perché del mio nome strano.» alzo le spalle.
Da piccola il mio nome non mi piaceva. Anzi, lo odiavo, mi faceva sentire ancora più “strana”. Poi sono cresciuta, e ho semplicemente capito che non importa il nome di una persona ma ciò che fa nella vita.
«Beh, dai almeno hanno inventato una storia bella. A me piace il nome Renée.»
Lo guardo storta «Ti piacciono molte cose di me».
Alza le spalle tranquillo «Ho paura di aver preso una bella sbandata per te». E io ricomincio a mangiare per non fargli vedere il sorriso che mi è spuntato sulla faccia.
Quando abbiamo finito di mangiare mi alzo per buttare la spazzatura, ma Andrea mi blocca per il polso.
«Sai stavo pensando… potremmo giocare alla dottoressa e al paziente » i miei occhi balzano fuori dalla testa.
Scoppia a ridere di gusto «Sto scherzando Renée. Cioè, se tu volessi farlo non mi tirerei mai indietro. Ma non ora, che dici? Magari adesso solo un bacio?» sono sollevata. Letteralmente, perché Andrea mi appoggia con il sedere alla scrivania e si incunea tra le mie gambe.
«Ti ho spaventata?» rido perché mi ha scioccata, ma pensandoci l’idea non mi sarebbe nemmeno tanto dispiaciuta. Oh mio Dio, e la pudica Renée che fine ha fatto?
Scuoto la testa, ho perso l’uso della parola.
E dieci minuti dopo, quando Andrea esce dal mio ufficio, penso di aver perso anche l’uso della mia lingua.
 
 
 
Torno a casa nel tardo pomeriggio e trovo il moro disteso sul divano con la testa a penzoloni.
«Ehi» un “ehi”, basta quello per farmi sciogliere.
«Ciao, come va?» mi siedo vicino a lui, ma dritta.
Si sistema, in una posizione normale «Bene direi, a te è andata bene?» annuisco.
Sto per avvicinarmi e baciarlo, ma il telefono comincia a suonare - dannato – proprio mentre sono a due centimetri dalle labbra favolose di Andrea.
«Dovresti rispondere» e lo dici con quella voce sexy e lo sguardo sulle mie labbra?
Sbuffo, ha ragione dovrei rispondere «Si dovrei»
Prendo il telefono dal tavolino dove l’avevo appoggiato. È mia mamma.
«Pronto mamma?» Andrea fa un verso strano per prendermi in giro.
«Tesoro ciao, come va?»
«Tutto okay. Voi?» Andrea si avvicina e mi stampa un bacio sulla guancia.
«Bene tesoro...» mia mamma continua a parlare ma io non la sento, perché dalla guancia Andrea ha cominciato a scendere verso il collo.
E lo apprezzo davvero tanto, ma ti prego proprio al telefono con mia madre?
«Renée, mi ascolti?» tiro un pugno sul braccio ad Andrea, che si mette a ridere – grazie a Dio silenziosamente - «no scusa mamma, stavo facendo una cosa delicata»
“delicatissima” Andrea mima con le labbra.
«Stavo dicendo, che vorremmo fare una festa alla nonna domani. È il suo compleanno, sai che ci tiene anche se fa finta di niente. È un po’ tardi ma posso fare una cosa carina lo stesso. Ti va di venire?» mi va? «se vuoi puoi chiedere anche ad Andrea, ovviamente, penso che i suoi verranno, sono tornati per il weekend lungo»
oh.
«Va bene chiedo»
«Oh perfetto, domani mattina ti so dire bene il luogo e l’ora. Ciao tesoro»
«Ciao a domani»
 
Andrea mi guarda con le sopracciglia inarcate.
«Ti va di venire al compleanno di mia nonna domani?»





______
ciao ;) 
siamo arrivati al capitolo undici, fatemi sapere cosa ne pensate se vi va ^^

 

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Capitolo 12
*** capitolo dodicesimo ***


 
CAPITOLO DODICESIMO

Andrea è in ritardo. Doveva arrivare mezz’ora fa. E non risponde nemmeno al telefono.
Pesto il tacco per terra in preda ad una crisi isterica. Se non arriviamo alla casa sul lago di mia nonna entro le 20.00 mia madre potrebbe staccarmi la testa di netto.
E avrebbe anche ragione, insomma la nonna ha raggiunto una signora età, merita il mio rispetto, merita che la sua nipotina arrivi in tempo per la cena.
E invece no. Io sto aspettando Andrea che aveva promesso di venire con me.
Dopo l’ennesima chiamata a vuoto mi arrendo, prendo le chiavi della mia macchina e apro la porta.
«Ti prego scusa. Perdonami.» Andrea è sull’uscio con le chiavi di casa in mano.
Che tempismo Renée.
«Vorrei strozzarti ma non abbiamo tempo. Cambiati adesso.» non so nemmeno perché non gli urlo in faccia. Prima di uscire di corsa questa mattina, ha detto che doveva fare una cosa importantissima.
Magari si trattava di lavoro.
Si okay, ma poteva anche avvisarmi. Che cazzo.
 
Siamo in macchina da venti minuti. Andrea si è cambiato. Mentirei dicendo che vestito elegante perde fascino. La situazione è peggiorata. Come fanno tutti quei muscoli ad entrare in quella camicia? E quei tatuaggi? Come fanno a stare così bene con quel completo? E perché è così bello guardarlo guidare?
Smetti di fissarlo Renée. Controllati.
«Sei arrabbiata?» dovrei esserlo? Infondo se non troviamo traffico dovremmo arrivare a destinazione in orario.
Sospiro, preferirei quasi essere arrabbiata «No, ma prima si. Non mi hai avvisato»
«Lo so, mi dispiace, ero assorbito da quello che stavo facendo» e cioè? «quindi, hai detto che stiamo andando a casa di tua nonna?»
Sta cambiando discorso?
Lo guardo storto «Si, è la casa al lago di mia nonna.»
«Beh sarà contenta»
«Immagino di si»
Non parliamo più per tutto il viaggio. Ho la strana sensazione che ci sia qualcosa che non mi ha detto. Sei paranoica. Basta.
 
 
«Wow chiamala casetta al lago» Andrea fissa la cosiddetta casa della nonna.
«L’ha rimodernata mio papà un paio di anni fa. Ora è a risparmio energetico e tutte quelle cose moderne ma la struttura è rimasta quella di prima.» ed è decisamente grande. Troppo.
«È bellissima » e lo è davvero. Mio padre è davvero bravo nel suo lavoro.
Sto per rispondere ma la porta si apre di scatto «La mamma ti cerca» mio fratello non saluta – come sempre – infondo lo capisco, le feste in famiglia sono meravigliose, ma decisamente pesanti, e chissà da quanto tempo è qui lui.
«Si, immaginavo. Lui è Andrea comunque, Andrea questo elemento è mio fratello Guido» Andrea gli porge la mano, ma mio fratello lo stringe in un abbraccio che – giuro – penso non abbia mai dato nemmeno a me.
«Mio Dio, non ti avrei mai riconosciuto, sei completamente diverso dal ragazzino che ricordavo» lo è. Adesso è un uomo meraviglioso.
Alzo gli occhi al cielo, scanso i due vecchi amici e vado a cercare mia mamma.
La trovo impegnata a riempire un piatto al buffet «Mamma, scusa il ritardo. Andrea ha avuto un problema a lavoro» si, sono una codarda. Passo la patata bollente ad Andrea, anche se la colpa è davvero sua - e anche se non siamo davvero in ritardo – semplicemente perché so che mia mamma con lui non si arrabbierà mai.
«Oh tesoro ciao, non c’è problema, non siete in ritardo » appunto.
«Come va la festa?» mi giro per osservare la stanza piena di persone di cui mia nonna se ne frega altamente. La conosco, ho preso il suo carattere, entrambe preferiamo un buon libro alla gente di facciata.
«Oh benissimo, tua nonna è felicissima» sisi ci credo «le stavo preparando un piatto, vuoi portarlo tu?» non me lo faccio richiedere di certo.
Trovo la nonna seduta sul portico da sola. Come immaginavo.
Mi siedo accanto a lei sul dondolo «Buongiorno festeggiata, sai già camminare? Così piccola? Sei bravissima» la prendo in giro ridendo. Si volta verso di me e sorride, le brillano gli occhi quando mi guarda, dice sempre che i miei occhi le ricordano quelli del nonno.
«Oh i miei meravigliosi occhioni neri, ciao gioia. Come stai?»
Sospiro, la nonna è la mia anima gemella. «Sto bene» le sorrido «Tanti auguri» la abbraccio dopo aver posato sul tavolino il piatto.
«Grazie bambina, passami quel piatto che muoio di fame» rido.
«Allora nonna, ti piace la festa?» mi lancia un’occhiataccia e so già cosa vuole dire.
«Tua madre pensa che fare venire tutti quei boriosi caga-alto mi metta in allegria. Non me ne frega niente di quella gente. Il mio compleanno è un giorno come un altro. » alza gli occhi al cielo. Cosa avevo detto?
«Lo fa perché ti vuole bene, ha un modo tutto suo di dimostrarlo»
«Questa è la stessa cosa che ti dice tuo padre quando ti arrabbi con lei. So che lo fa per me. Ma io non sono come lei. Glielo dico da sempre. Mi bastava una festicciola a casa con mia figlia, mio genero, i miei nipoti e bisnipoti. Fine. Chi la conosce quella gente?» ha ragione, ma che ci possiamo fare?
«Lo so nonna, ma ormai che ci possiamo fare? Goditi il buon cibo, evita chi ti sta antipatico e stai con i tuoi bisnipoti» le faccio l’occhiolino, perché so l’amore spropositato di mia nonna per Silvia e Giacomo.
«Vuoi che li andiamo a cercare?» «Ma sì andiamo»
Troviamo i due bambini sulla riva del lago, con la loro madre.
«Ciao Claudia» abbraccio la meravigliosa moglie di mio marito. Che è davvero meravigliosa. Oserei dire perfetta.
«Ciao Rere» si avvicina al mio orecchio sussurrando «Silvia mi ha detto cos’è successo e mi ha pregato di non farle saltare la prossima serata dalla zia, ci ho messo tutto l’amore che ho per la mia bambina per non scoppiare a riderle in faccia» e ce lo metto pure io.
«Hai messo su una peste, ragazza» lei scoppia a ridere «Che posso dire? Li hai fatti nascere tu» alza le mani al cielo.
Si, li ho fatti nascere io e non potrei esserne più felice, insomma, o io o Claudia avrebbe dovuto arrangiarsi da sola nel mio soggiorno. È stata tutta questione di fortuna. Circa quattro anni fa sono tornata a casa da lavoro e ho trovato Claudia nel mio soggiorno in preda alle contrazioni. Troppo tardi per chiamare l’ospedale, in tempo per la zia Renée.
Claudia guarda oltre le mie spalle «Ehi, ma chi è quel pezzo di manzo vicino a mio marito?» le mie sopracciglia scattano verso l’alto e mi giro per guardare nella direzione che sta indicando.
Andrea. Ovviamente.
«Emh, lui è Andrea» Claudia mi tira uno schiaffo sul braccio. Ahio.
«Quel Andrea? Quello che vive con te? Ragazza ma di che cosa ti lamenti? E perché l’altra volta io non l’ho visto?»
Si, quel Andrea. Si, vive con me. Non saprei nemmeno io perché mi lamento. L’altra volta non l’hai visto perché era in camera sua quando siete venuti a prendere i vostri pargoli.
O almeno dovrei dire questo, ma non ci riesco, perché mio fratello e il tanto - ormai – famoso Andrea ci raggiungono e sto zitta.
Sto zitta finché quasi non caccio un urlo quando mi cinge la schiena e mi da una strizzata al sedere. Come? Ma che cazzo gli è preso? Ci sono mio fratello, sua moglie e i miei nipoti. Senza contare mia nonna! Porca di quella miseria.
«Tranquilla. Mica mi hanno visto» seriamente? Questo ragazzo mi legge nella mente.
Claudia sta parlando fitta fitta con mia nonna. Non mi piace il loro sguardo sulla mano di Andrea sopra il mio fianco.
Nemmeno il tempo di pensarlo, le vedo avvicinarsi a noi. Ottimo.
«Buongiorno signora, sono Andrea. Tanti auguri» Andrea le porge la mano sfoderando il migliore dei sorridi. Mentalmente sbatto la testa contro un albero. Non se la beve , la nonna non se la beve.
«Andrea quello che vive con la mia nipotina» appunto.
Lui è in difficoltà «emh si, sono io» mia nonna lo squadra da capo a piedi.
«Fai il modello?» cos? Ma come le viene in mente?
Le guance del moro diventano subito rosse «No signora, sono un fotografo»
«Ah, peccato. Avresti il fisico da modello. E chiamami Cristina. Ho ottant’anni ma sono ancora giovane dentro» come? Basta così? Non lo mette in difficoltà?
«Va bene, Cristina» Andrea ride sollevato.
«Quindi tu e mia nipote andate a letto insieme?» come non detto.
Chiudo gli occhi esasperata mentre Andrea rimane pietrificato di fianco a me.
E la cosa divertente è che nemmeno ci siamo andati a letto insieme. Cioè si, dormiamo assieme, qualche bacio, ma niente di più.
«No nonna, non andiamo a letto assieme» intervengo io prima che ad Andrea venga un infarto.
«Non ancora» fulmino con lo sguardo Claudia. Ma da che parte sta?
«Quindi? Vi frequentate?» ma che palle.
«Emh Cristina, a me piace molto Renée e io non… » Andrea si incarta da solo. Cristo se non riguardasse anche me, mi sarei già messa a ridere.
«Nonna, penso sia il caso che tu rientri, ci sono un sacco di ospiti venuti qui per te.» la guardo negli occhi. Nonna ti prego dai.
«Hai ragione, non facciamo i maleducati. Andrea giovanotto, mi daresti una mano?» chiaramente non perde il colpo al 100%, anche perché lui si precipita verso di lei per aiutarla.
 
 
«Rere, la mamma e il papà ti stanno guardando» mi giro nella loro direzione. Si, mio fratello ha ragione, i miei mi stanno guardando alternando lo sguardo tra il mio viso e il bicchiere che ho in mano.
«Mio Dio, è solo un bicchiere di vino. L’ho superata l’età legale, tranquilli.»
«Si, il quarto. Ne reggi a stento uno. Per favore, Renée. C’è qualcosa che non va? Lo sai che ne puoi parlare con me vero?»
Lo guardo dritto negli occhi, occhi completamente diversi dai miei ma così uguali.
C’è qualcosa che non va? No, in realtà è tutto okay. La verità è che sono io a crearmi i problemi, lo so che è così.
«No» dico appoggiando il bicchiere al tavolo «è tutto okay. Sono solo stanca.» lui mi guarda bene in viso.
«Okay e di Andrea che mi dici?» che ti dico? Che da questa mattina ci siamo rivolti si e no dieci parole, che poi mi ha strizzato il culo quasi davanti a voi, e che da quel momento non l’ho più visto?
«Tutto okay» mi guarda ancora. So che vorrebbe chiedermi altro, ma la nonna – in compagnia di Andrea – lo chiama dall’altro lato della stanza.
Incateno lo sguardo a quello di Andrea. Che succede?
Ma lui guarda di nuovo la nonna.
Va bene Andrea, va bene.
 
 
Gli invitati sono già tutti andati via. Io e la mia famiglia – e Andrea – siamo gli ultimi ad uscire di casa.
Vorrei tanto chiedere di tornare a casa in macchina con i miei, ma so che sono venuti con la macchina grande insieme alla nonna e mio fratello con la sua famiglia. Non ci starei in macchina. Senza contare che desterei sospetto dato che io e Andrea viviamo insieme, e mio fratello mi tiene d’occhio da quando quattro ore fa mi ha beccata a bere come una ragazzina.
Andrea è andato a prendere la macchina dopo aver salutato la mia famiglia, io sto abbracciando la nonna quando lo sento tornare. A piedi.
«Non parte la macchina» non parte? Come sarebbe a dire che non parte.
Mia nonna mi stringe di più nell’abbraccio. Nonna?
«Cazzo ragazzi. Da noi non ci state in macchina.» mio fratello conferma l’ovvio.
«Beh diamogli le chiavi di casa. Possono rimanere qui e domani mattina li veniamo a riprendere e chiamiamo il carro attrezzi no?» Claudia ha la risposta pronta, la guardo storta.
Sul serio?
Mia nonna tira fuori le chiavi di casa troppo velocemente «C’è anche da mangiare gioia, divertitevi» fa ciao ciao con la mano.
I miei la guardano straniti. Mio Dio, che cosa imbarazzante.
«A questo punto non abbiamo scelta mi pare» Andrea si arrende.
Quando sono tutti saliti in macchina, aiuto a far salire la mia adorabile nonnina.
«Non pensare che non abbia capito cosa avete fatto tu e Claudia. Ma vi scordate che io ci vivo da quasi un mese con lui. Bloccarci nella tua casa al lago non cambierà niente.» le sussurro all’orecchio. Che cazzo nonna, tu sei sempre stata dalla mia parte.
«Vedremo tesoro. Il lago è un posto meraviglioso» alzo gli occhi al cielo mentre chiude la portiera.
Ma che cazzo vorrebbe dire?
Saluto con la mano mentre la macchina esce dal vialetto e Andrea mi si affianca.
«Aalloora, tua cognata si chiama come mia sorella» sul serio? Mi eviti da chissà quante ore e questa è l’unica cosa che ti viene da dire?
Non lo guardo nemmeno, salgo gli scalini della veranda ed entro in casa.
«Sei arrabbiata?» Cristo vorrei tirargli addosso qualcosa.
«C’è qualcosa che non va Andrea? Perché sei strano. Mi hai evitato, mi hai toccato il culo di fronte a mia nonna, quando prima non lo hai mai fatto e poi hai ricominciato ad ignorarmi. Hai una doppia personalità?»
Mi guarda senza dire niente. Sono sul punto di andarmene a letto quando sputa un «Mi dispiace»
gli dispiace per cosa esattamente?
«Mi vuoi spiegare o devo viaggiare di fantasia?» che cazzo ma sono circondata da persone normali o no?
«Mi sono spaventato. Mi hai invitato al compleanno di tua nonna, e non lo so sembrava così ufficiale e ho preso paura. E poi ho cercato di tornare il solito di sempre ma ho esagerato e tornando in casa tua nonna mi ha messo in guardia e io...» ha preso paura? Mia nonna l’ha messo in guardia?
«Andrea ti ha invitato mia mamma. Io te l’ho solo riferito» mio Dio. Tutto questo casino per questa cosa?
«Il problema è che ci ho pensato, e non mi è nemmeno dispiaciuto» sono confusa
«Pensato a cosa?»
«A renderlo ufficiale» ah «Renée mi piaci da morire ed è davvero stupido perché ti giuro che mi manchi anche quando sei dall’altra parte della stanza. Ed è una cosa spaventosa, io non sono abituato a tutto questo. Ma tu mi fai venire voglia di provarlo»
Decisamente il contrario di quello che pensavo dicesse.
«Non dici niente?»
«Mia nonna ha ragione» mi guarda confuso. «Su che cosa?»
«Potresti fare il modello» gli sorrido.
Sorride anche lui ed è così bello che sono io ad avvicinarmi per baciarlo.
E sono talmente persa nelle bellissime emozioni che prima di lui non ho mai provato che non me ne rendo nemmeno conto ma finiamo sul divano.
Potrei dire tantissime cose, e sarebbero tutte vere, ma in questo momento non mi viene in mente niente. Ho la mente completamente in una dimensione in cui esistiamo solo io e Andrea.
«Quindi ti posso tipo considerare la mia ragazza?» ride mentre io lo riavvicino perché non mi basta.
«Non voglio spaventarti. Ma lì sotto ho un problema quindi sarebbe meglio darsi una calmata» divento rossa fino all’attaccatura dei capelli.
«Forse no» l’ho detto io?
Mi guarda come se fossi pazza e poi sorride «Vuoi fare l’amore con me Renée?»
e io non rispondo a parole, ma glielo dimostro con i fatti.




_______

ciao ciao ^^ siete tutti molto silenziosi, ma io ci riprovo, vorrei davvero sapere che ne pensate della storia, se vi va. Davvero non mordo.
Lipstick_


 

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Capitolo 13
*** capitolo tredicesimo ***


 
CAPITOLO TREDICESIMO


Mi sveglio sentendo odore di bruciato. Non uno dei migliori risvegli, ma una serie di immagini esplicite mi attraversano la mente. Immagini esplicite ma talmente inebrianti da farmi dimenticare il probabile incendio che il mio naso ha captato poco fa.
Mi giro dall’altro lato del letto ma non ci trovo nessuno.
Ho immaginato tutto? Alzo le coperte per controllare se sono vestita.
Decisamente non era solo un’immaginazione.
Okay ora che faccio?
Boh se vuoi rimanere lì, fai con comodo.
Recupero una camicia da terra - camicia di Andrea – e scendo per andare in cucina.
Non ricordo nemmeno come siamo saliti al piano di sopra.
Oh lo ricordi benissimo invece. Si ora lo ricordo.
Trovo Andrea in cucina, intento a bruciarla probabilmente, mi avvicino dalla parte del bancone opposta rispetto alla sua.
«Ciao» alza la testa spaventato e appena mi riconosce sorride. Ma perché è così bello?
«Ehi, stavo cercando di fare la colazione ma mi sono appoggiato sul divano e ho preso sonno. Ho bruciato tutto» ride e la sua risata mi provoca un brivido lungo la schiena. Un bellissimo brivido.
Non ti è bastata la scorsa notte? No, direi di no.
Mi riprendo giusto in tempo, prima che cominci a sbavarmi la bocca «Ah, non importa faccio io»
«Ma volevo portartela a letto» oh che cosa carina. Non è per te.
Sorrido arricciando il naso «Che cosa dolce. Dai ti do una mano»
«Uh okay»
Una volta preparata la colazione ci sediamo a tavola.
E ora? Che dico?
Andrea parla per primo «Allora, come stai?» come sto? Ma fa sul serio?
«Mmh, sto bene, suppongo» mi guarda negli occhi come se volesse cercare la risposta dentro le due pozze nere.
«No, intendo dire che insomma… mi dispiace essere stato un po’ brusco in alcuni momenti» sputo. Letteralmente sputo il latte imbrattando l’intero bancone. Lui mi passa una salvietta.
«Non volevo imbarazzarti, scusa» e che si aspettava?
«Non sono imbarazzata» si invece «comunque tranquillo, sto bene».
«Quindi, come dire» si gratta la nuca «ti è… insomma ti è piaciuto?» menomale che ho appoggiato il bicchiere. Se mi è piaciuto? Ma che discorsi sono? Abbiamo quindici anni?
Le tue urla dovrebbero avergli fatto capire quanto era bello.
«Andrea si certo. Pensavo che si fosse capito» non so dove guardare.
«Si scusa. È che mi hai detto che hai avuto solo un ragazzo e insomma non volevo farti male, a volte sono un po’ brusco. Poi sei così stretta che...» gli metto una mano sulla bocca.
«Zitto, per carità. Ho capito, hai reso l’idea.»
Davvero. Non sono una santa e trovo che il sesso sia una cosa normalissima e meravigliosa, ma non sono ancora del tutto sveglia, e ho sputato metà della mia colazione sul tavolo. Inoltre devo ancora metabolizzare tutte le cose incredibilmente fantastiche che abbiamo fatto questa notte. O almeno devo ancora metabolizzarle senza provare i brividi.
Andrea sorride sotto la mia mano e io la sposto.
«Sei timida. Ti imbarazza parlare di sesso e lo immaginavo, ma non pensavo che una volta sotto le lenzuola fossi così, come dire?»
«Non dirlo» lo guardo assottigliando lo sguardo
«Selvaggia» l’ha detto.
Chiudo gli occhi scuotendo la testa e per fortuna suona il mio cellulare e corro a rispondere senza nemmeno guardare chi è.
«Pronto»
«Sorella, mezz’ora e sono lì, okay?» oddio menomale.
«Perfetto, grazie»
Andrea mi fissa chiedendomi con lo sguardo di dirgli chi era al telefono.
«Mio fratello ha detto che tra mezz’ora è qui. Mi vado a lavare nel bagno di sopra, tu usa pure quello giù»
«Se vuoi tieni la camicia» mi fa l’occhiolino e si gira per andare in bagno, ma poi ci ripensa e torna indietro «so che lo vuoi sapere ma non hai coraggio di chiederlo: per me questa notte è stato tutto meraviglioso. Il sesso più bello della mia vita.» divento paonazza. Si, volevo saperlo.
«Ah e ho lasciato il telefono in camera penso, perché qui non lo trovo. Poi quando vieni giù me lo puoi portare?» io annuisco perché l’uso della parola è sparito.
 
 
Quando ho finito di prepararmi cerco ovunque il telefono di Andrea, per poi trovarlo per terra vicino al letto.
Accendo lo schermo per vedere l’ora, dato che il mio telefono è ormai in borsa: errore.
C’è un messaggio.
Ci tengo alla privacy, davvero, penso che sia una cosa importantissima e di diritto, per chiunque.
Ma l’occhio mi cade sull’anteprima senza nemmeno rendermene conto.
 
- Ieri hai lasciato qui l’accendino e le sigarette, la prossima volta che vieni te li restituisco, e magari non dobbiamo fermarci subito, non mi farò trovare impreparata i preservativi li prendo io.
Gaia. -
 
 
Non dovrei, sul serio, ma rido. Comincio a ridere davvero tantissimo, a livello quasi isterico.
Ho dato per scontato che ieri mattina fosse andato a lavorare, e invece no.
Dovevo aspettarmela. Infondo è stato lui il primo a dirmi che con la biondona con cui l’avevo sentito ci scopava e basta.
Bravissima Renée, sei andata a letto con un puttaniere, ottimo.
Cosa ti aspettavi?
Sento il clacson della macchina di mio fratello e corro giù per le scale, Andrea lo ha già fatto entrare.
Mi fermo davanti al dongiovanni e gli sorrido, passandogli il telefono con lo schermo illuminato e il messaggio bello chiaro.
Lui lo guarda e impallidisce di colpo.
«Non è...» lo blocco.
«Come penso? Stavi per dire che non è come penso? Risparmia il fiato. In qualsiasi modo sia, non mi interessa.»
Mio fratello alterna lo sguardo da me a lui, io non ho voglia di fare scenate, soprattutto davanti a Guido, quindi esco di casa ed entro in macchina.
 
 
 
«E hai capito chi è questa Gaia?» sbuffo alzando gli occhi al cielo. A volte penso che Ludo faccia solo finta di ascoltarmi.
«No, te l’ho detto. Non gli ho più parlato» la osservo mentre pensa, tirando su il suo the alla pesca con la cannuccia.
Sono scappata. Letteralmente.
In macchina non ha parlato nessuno, mio fratello ha captato qualcosa ma non ha detto niente e si è limitato ad accendere la radio. Quando siamo arrivati a casa mi sono cambiata e sono corsa in ospedale. E oggi io avrei il giorno libero.
«Che stronzo, cazzo» sbuffo ancora.
«No invece. Sono stata stupida io. Lo conosco, ed è stato proprio lui a dirmi che si scopa le tipe e manco si ricorda i loro nomi. E poi non stiamo nemmeno insieme. Non siamo mai stati insieme. Non è il mio ragazzo. Non ho nessun diritto sotto quel punto di vista. Ho sbagliato e mi prendo le mie responsabilità. Non dovevo farmi abbindolare dalle sue moine da uomo navigato. Fine della storia.»
Sembro così sicura e distante dalla cosa che quasi mi faccio i complimenti da sola.
La verità è che dentro mi fa incredibilmente male. Ma è vero, è colpa soprattutto mia, lui è quello che è, e io lo sapevo. L’ho sempre saputo.
«Ti prego, almeno dimmi che avete fatto sesso in modo sicuro» Ludo ha un’espressione di puro panico.
«Si, ha usato il preservativo» molti preservativi.
«Oddio, menomale. Si, prendi la pillola ma sai, considerata la frequenza di ragazze che entrano ed escono dal suo letto… » serve ripetermelo?
«Lo so, almeno su quello si è comportato bene.»
La mia amica mi guarda. Non commenta, ma lo so che ha capito quanto in realtà io ci sia rimasta di merda.
«Sabato esci con me e Ste?»
 
 
ANDREA.
 
Sono un coglione. Lo so.
Ma davvero non è come pensa Renée. È comprensibile che lei la pensi così, ma davvero, non lo è.
Sono le dieci di sera, non torna a casa da quando siamo arrivati prima di pranzo, e so perfettamente che oggi avrebbe avuto il giorno libero.
Sento aprire la porta e corro verso l’entrata.
«Renée ma dove eri finita? Mi hai fatto preoccupare» le urlo in faccia praticamente.
E lei mi guarda, quasi schifata.
«Ho venticinque anni, ho superato l’età del coprifuoco.» fredda. Mi supera e va in cucina.
«Possiamo parlare?» la seguo ma lei fa di tutto per non guardarmi in faccia.
«Di?» è seria?
«Renée sai di che cosa voglio parlare. Non è come pensi tu. Ieri mattina mi sono fatto prendere dal panico, mi avevi invitato al compleanno di tua nonna e io avevo accettato senza pensarci e appena sveglio, con la mente lucida, mi è sembrato così ufficiale. Non so cosa mi sia preso. Sono andato da Gaia. Non so nemmeno per quale motivo, ma non ho fatto niente. Hai letto anche tu il messaggio, le ho detto che non avevo preservativi, ma con te li ho usati, perché in realtà li avevo, ma non ho scopato con lei, non volevo. Quando mi ha visto fuori dalla sua porta mi ha baciato ma poi io ho capito la cazzata che avevo fatto, e sono andato via. Ti prego credimi, perdonami. Io voglio solo te.» sono una macchinetta. Sto parlando a raffica senza nemmeno respirare. Ma è davvero andata così.
Renée si gira verso di me con la fronte aggrottata. La conosco. So che adesso sta pesando le mie parole e collegando le informazioni. E so anche che mi crede. Perché ho detto la verità!
Come avrei potuto usare tutti quei preservativi con lei se sul messaggio Gaia ha scritto che non li avevo?
Renée scuote la testa e ride. Perché ride? Non c’è niente da ridere.
Devi dirmi che vuoi stare con me, perché per te provo dei sentimenti che non ho mai provato prima! E mi spaventano a tal punto da scappare per non pensare!
Fare l’amore con lei è stata la cosa più bella che io abbia mai fatto. E io ho scopato davvero tanto in vita mia.
E lei è così così bella. La cosa che la rende ancora più bella è la sua inconsapevolezza. Pensa di essere “normale”. Renée è tutto, ma tutto fuori dal normale. È perfetta.
«Perchè ridi?»
«Rido perché è stata un’idea di mia mamma quella di invitarti al lago, per gentilezza. Ora ti vorrai allontanare pure da lei? E tra parentesi: non sono arrabbiata con te per quello che hai fatto. Ho sbagliato io a cedere alle tue moine. Noi non stiamo insieme. Sei libero di fare quello che più ti pare. Ma non con me. E anche se fosse vero che tu vuoi stare solo con me, sono io a non volerlo più. Non voglio vicino a me un uomo senza palle che alla minima stronzata si spaventa e senza nemmeno parlarmi prende e scappa da un’altra. Non è cosa per me.» si gira per andare via dalla stanza ma poi ci ripensa e si gira sorridendo maligna «che poi sei stato sempre tu a corrermi dietro: “proviamoci”, “mi piaci”. E poi ti spaventi per un invito ad un compleanno? Ti prego, sei ridicolo.» ha ragione. Ho sbagliato su tutta la linea.
La verità è che finché sono io a fare passi in avanti verso di lei, mi sta bene. Ma se è lei ad avvicinarsi ho un fottuta paura incontrollabile di farle del male e finisco con l’allontanarmi.
Renée si è girata di scatto verso la porta, ma io sono stato veloce. Ho visto che i suoi occhi hanno cominciato ad inumidirsi.
La prendo per un braccio e appoggio il mio petto alla sua schiena, parlandolo all’orecchio sottovoce «Ho sbagliato. È colpa mia. Ma ti prego non chiudermi fuori, io voglio davvero stare con te. Ti prego dammi una possibilità per farmi perdonare.» ti prego Renée.
Lei gira solo la testa, mostrandomi quanto in realtà lei ci sia rimasta male per il mio comportamento da testa di cazzo e io vorrei tanto tirarmi un calcio da solo «Ne saresti capace?»
«Farò tutto il possibile. Ti voglio nella mia vita, con me.» lo giuro, farò tutto il possibile.



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Questa volta c'è anche la sorpresa e "parla" Andrea ^^
Spero vi piaccia. 
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Capitolo 14
*** capitolo quattordicesimo ***


 
CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Apro gli occhi controvoglia. La testa mi scoppia e onestamente oggi non ho proprio voglia di andare a lavoro, ma la prospettiva di rimanere a casa con Andrea è ancora peggio.
Mi preparo nel modo più silenzioso possibile, e solo una volta entrata in macchina tiro un sospiro di sollievo.
Stai scappando codarda.
Quando passo di fronte al bancone dell’accettazione Clizia mi legge nella mente.
«Tutto apposto Renée?» sospiro: «C’è sempre qualcuno con la croce più pesante della nostra, no?»
non aspetto una risposta ed entro nel mio ufficio.


Dopo circa due ore sono già ripartita al meglio, quando la porta si apre di scatto «Dove sta?» alzo gli occhi e sbuffo, davvero credevo di poter avere una giornata tranquilla?
«Scusa doc. questo bestione non mi ha voluto ascoltare» guardo la caposala trucidare con lo sguardo più inquietante la figura del “bestione”.
«Tranquilla Clizia, vai pure» quando esce sposto lo sguardo sul soggetto dell’ira di quella meravigliosa donna.
«Dove sta chi?» Stefano apre e chiude le mani.
«Quel coglione del fotografo!» oddio che ansia!
«Perchè Ludovica non sa tenere la bocca chiusa?!» sbotto. Ogni persona che fa parte della mia vita ha questo terribile vizio di mettersi in mezzo.
«Stai scherzando Renée? Ha fatto bene a dirmelo. Quella testa di cazzo si è approfittato di te. È venuto a letto con te dopo essere stato con un’altra!» cerco di calmare il respiro. Prima ho sbagliato, è il mio lo sguardo più inquietante.
«Stefano, prima di tutto: non sie è approfittato di me. Secondo non è andato con un’altra tipa, non nel modo che intendi tu almeno, e fidati ho motivi per esserne sicura. E terzo, ma davvero non per importanza, finiscila. Tu, mia madre, perfino Ludovica. Basta. Non fate altro che mettere bocca sulla mia vita. Ho una testa, so pensare cazzo, e di conseguenza anche agire. Fatevi i cazzi vostri!» dai doc, eri partita così bene, calma e pacata.
Stefano non si placa, sia mai «Sono il tuo migliore amico. Voglio proteggerti, esattamente come faccio con mia sorella e anche con mio fratello.» perché non capisce che è tutto così tremendamente esagerato e melodrammatico?
«Ma io non ne ho bisogno.» cerco di scandire bene le parole «Ho un fratello anche io. E se mai avrò bisogno della vostra “protezione” saprò di poter contare su di voi. Ma ripeto: non è questo il caso.»
Echeccazzo! Sembrano tutti più arrabbiati di me. Alla fine dovrei essere io arrabbiata no?
Già perché sei così tranquilla?
Apprezzo l’interesse e la preoccupazione, davvero. Ma così è troppo.
«Io lo ammazzo.» alzo gli occhi al cielo, decisamente troppo.
«Stefano smettila, non so cosa ti abbia raccontato Ludo, ma ero decisamente consenziente alla cosa. Adesso perdonami ma ho del lavoro da fare. La porta è dietro di te.» brusca, forse anche un po’ cattiva ma ne ho fin sopra i capelli di questa storia.
«Non finisce qui» sibila. Sbuffo quando sbatte la porta: «Fai un po’ come ti pare.».


Come se ne avessi voglia preparo la cena, rigorosamente solo per me – come sei infantile – ma sento lo sguardo di Andrea puntato addosso. Ho intenzione di fare qualcosa al riguardo? Assolutamente no.
Appena rientrata da lavoro l’ho trovato in soggiorno ad aspettarmi, un “ciao” e poi niente.
Chi lo capisce è bravo.
Il campanello salva la mia schiena dallo sguardo assillante di Andrea.
«Vado io » oh menomale, fa qualcosa.
«Ludovica?» mi giro di scatto nel sentire nominare la mia amica.
«Emh ciao, io dovrei parlare urgentemente con Renée» urgentemente?
Vado davanti la porta «Se non è per chiedermi scusa per aver spifferato tutto a Ste, puoi andare» Andrea mi guarda in panico. Si hai capito, sanno tutto, potevi pensarci prima.
Ludo mi guarda colpevole, ha lo sguardo lucido di colpe, e sta uccidendo le pellicine attorno alle unghie delle mani. È nervosa. Perché è così nervosa? Insomma in realtà già me l’aspettavo che lo dicesse alla sua dolce metà.
«Ecco in realtà sono qui per questo ma non solo.»
«In che senso?» parla e basta!
«Ho paura che Stefano lo voglia uccidere, sta arrivando qui con una scusa stupidissima» alzo gli occhi al cielo. Ma perché non può passare una giornata senza drammi da soap opera?
«E noi non lo faremo entrare. Ludovica metti apposto il tuo uomo. Sono stanca delle vostre stronzate e soprattutto delle sue. Dovreste mettervi in testa che so badare a me stessa.»
Ludo spalanca gli occhi, e non è per le parole che ho detto. Nono. È perché ha sentito anche lei il rumore della macchina di Stefano. Inconfondibile.
Andrea si agita, e per la prima volta dal “ciao” di un’ora fa mi parla. Tzè, come se fossi io in torto.
«Dovrei scappare?» è serio?
«Vedi tu» torno in cucina, perché onestamente? Chi se ne frega.
Andrea mi segue «Sul serio. Renée? Mi ascolti? Il tuo amico mi vuole ammazzare» oh mio Dio che drammatico.
«Andrea» mi porto le mani alle tempie, esasperata «ho un amico stupido e troppo esagerato, lo sapevi, hai già preso un pugno da lui. Che ti devo dire? Vuoi che provi a fermarlo? Ci ho già provato. È un cretino che agisce prima di pensare. E sbaglia. Sempre.» voglio un mondo di bene a Stefano, e so che è così anche per lui. Ma so anche che prima o poi finirà per beccarsi una denuncia se non peggio. È troppo impulsivo, davvero troppo.
Come non detto, il re impulsivo entra a passo di guerra in cucina, Andrea fa in tempo a girarsi prima di vedere il braccio caricato da Ste. Il pugno che il mio amico gli sgancia addosso fa male anche a me. Ma sul serio? Ma che cazzo di problemi hanno tutti?
«Stefano!» Andrea si tiene lo zigomo con la mano, almeno non ha beccato il naso.
«Stefano. Fuori da casa mia. Ora.» alza lo sguardo colpevole verso di me. Lo conosco abbastanza bene da sapere che solo adesso sta metabolizzando quello che ha fatto.
Beh che vada da uno psicologo per controllare la rabbia.
«Io non...»
«Tu non un cazzo!» non lo lascio finire. Adesso basta. «Sono davvero a tanto così dal chiamare la polizia. Stefano ti voglio bene, ma sei preoccupante. Vai a farti curare! Non puoi prendere a pugni tutte le persone che ti fanno incazzare. Cosa succede se litighi con Ludo? Picchi anche lei? Esci. Non mi è mai piaciuta la violenza e lo sai. Non posso avere vicino a me una persona come te. Non è sano.»
Sono stata cattivissima, lo so che è una bravissima persona, so che non metterebbe mai le mani addosso ad una ragazza, ma sta esagerando.
Ludovica – dove cavolo era prima? – lo prende per il polso portandolo fuori di peso, ancora scioccato dalle cattiverie che gli ho urlato addosso.
Sposto lo sguardo sull’altro cretino, gli uscirà un livido enorme sullo zigomo.
«Vatti a sedere» vado verso il freezer, prendo del ghiaccio e appena arrivo vicino alla poltrona dove si è seduto, gli spiattello la busta sul viso, senza troppa delicatezza, sedendomi sul bracciolo.
«Ahia» il bambinone sibila. Esagerato.
«È già il secondo pugno che mi becco dal tuo amico.»
«Almeno uno te lo meritavi, come va?» sposta il ghiaccio e gira il viso per guardarmi meglio.
«Ho paura di essere malato» Per un pugno?
«Mmh, e lo sai perché sei diventato dottore improvvisamente, cercando i sintomi su google?» mi sfugge una risata al mio sarcasmo.
Andrea scuote la testa «ma so che puoi curarmi tu»
«Beh sono un medico, teoricamente si potrei provarci» continuo ad usare il sarcasmo come arma «cosa pensi di avere?»
Mi punta addosso quelle pozze verdi che, seriamente, sono normali in natura?
«Mi sono innamorato di te» ci provo davvero, giuro. Ma dentro di me parte il coro di “buuu, troppo banale” e mi sfugge una risata.
«Interessante e questo quando l’avresti capito? Quando Stefano ti ha tirato un pugno? O quando non mi hai parlato per tutto il giorno? O no. Aspetta. Forse quando sei andato da quella ragazza prima di venire a letto con me? Sul serio Andrea. Non sono brava con i miei sentimenti ma le persone le osservo bene. E se pensi che un banale “mi sono innamorato” possa farmi cadere ai tuoi piedi, ti sbagli. Tieni il ghiaccio sullo zigomo per un po’, domani avrai un livido. Io non ho fame, puoi mangiare benissimo quello che avevo preparato per me. Buona notte.»
Non sono nemmeno le 20.00, ma poco importa. Oggi chiunque io abbia incontrato ha messo a dura prova la mia pazienza facendo uscire la stronza che è in me.
Ho bisogno di dormire.

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