Notturno con città e nebbia

di syila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I° ***
Capitolo 2: *** Capitolo II° ***
Capitolo 3: *** Capitolo III° ***



Capitolo 1
*** Capitolo I° ***


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Notturno con città e nebbia

Capitolo I°

"Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m'accorsi nella vita bella".
Divina Commedia, Inferno, Canto XV° - Dante Alighieri


Il selciato sconnesso di Rose Street umido di pioggia rifletteva la luce incerta dei radi lampioni a gas, che nella foschia ingannevole di Novembre somigliavano a tremule lucciole verdastre.
Le strade, nonostante il tipico clima londinese dell'autunno inoltrato, non erano deserte.
All'esterno dei pub facevano capannello rumorose compagnie di giovani; studenti e soprattutto artisti, in cerca di ispirazione, ma più spesso di una pinta di birra a buon mercato.
A ridosso degli androni, strette nelle mantelle di lana o in cappe sgualcite dai toni vistosi, sostavano piccoli gruppi di mondane, che chiacchieravano tra loro, senza perdere d'occhio i potenziali clienti di passaggio.
Alcune erano molto giovani, poco più che bambine, eppure avevano già l'occhio scaltro e le gote accese dai colori del belletto, usato per coprire il pallore degli stenti e spesso quello della consunzione.
Ben dissimulati in tale pittoresca fauna si aggiravano anche dei ragazzi di vita, che ,diversamente dalla concorrenza femminile, avevano qualcosa in più da rischiare, se venivano trovati a praticare il mestiere.
Una carrozza scura, senza insegne, procedeva in direzione di Floral Street, da cui si potevano raggiungere alcuni famosi teatri come il Drury Lane e il Royal Theatre.
Eppure i passeggeri non sembravano affatto interessati ad affrettarsi verso la zona più animata di Soho.
La vettura rallentò in prossimità di un portone dov'erano appostate un paio di prostitute, le quali smisero subito di pettegolare e rivolsero sorrisi e ammiccamenti alla carrozza, le cui tendine tuttavia rimasero religiosamente abbassate.
Solo quando la videro passare oltre portandosi via il potenziale cliente ripresero l’espressione noncurante e fecero spallucce; gesto ripetuto all’indirizzo di una terza presenza che si era affacciata alla finestra del primo piano, forse una compagna di lavoro o, cosa assai più probabile, la loro ruffiana.

Il cocchiere fermò i cavalli poco prima di giungere all’incrocio con Floral Street e dopo qualche istante, dal voltone di un vecchio palazzo fatiscente, si affacciò un ragazzo.
Come un animale all’uscita della sua tana, controllò che i paraggi fossero deserti, poi si avvicinò con grande cautela alla vettura, pronto a darsi alla fuga al minimo segnale di pericolo.
Il vetturino rimase fermo al suo posto, non gli agitò contro la frusta, come accadeva talvolta con i cocchieri troppo zelanti e questo lo spinse ad avvicinarsi allo sportello, facendo notare la sua presenza all’occupante con un discreto colpo di tosse, secondo un codice di comunicazione ben collaudato.
Una tendina venne scostata e riabbassata in fretta.
Seguì una lunga pausa di riflessione e il giovanotto valutò l’idea di proseguire per la sua strada, però il rumore della maniglia che veniva aperta lo convinse a fermarsi
. Salì sul predellino congratulandosi con sé stesso per la sua pazienza e qui si bloccò, stupito da ciò che vide all’interno.
O meglio a sorprenderlo non fu tanto il “cosa”, ma il “chi”.
Al posto del solito cliente pingue, vizioso e coi baffi ingialliti dal tabacco, due donne lo stavano osservando con pacato interesse dietro elaborate velette brune.
Il silenzio imbarazzato che seguì convinse una delle passeggere ad indicargli con la mano guantata il posto vuoto davanti a loro, in un esplicito invito ad accomodarsi.
“I-io...” iniziò il ragazzo a disagio “Siete sicure di volere me?” domandò in un inglese appesantivo dalla forte cadenza slava. La donna che lo aveva invitato si limitò a ribadire il gesto e ad annuire.
L’interessato stentava a credere a tanta fortuna; dopo mesi passati a vendere il suo corpo a clienti rivoltanti, degli esemplari di sesso femminile venivano a chiedere i suoi servigi.
A quel punto potevano anche comandargli di portare su la legna o il carbone dalla cantina o di mettersi a ballare il trepak*; qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che farsi mettere le mani addosso da un laido borghese ammogliato in vena di trasgressioni.
Il giovanotto fu lesto ad infilarsi in carrozza e a richiudere lo sportello, subito dopo il cocchiere diede uno schiocco di frusta e il veicolo partì verso una destinazione ignota.



Le figure, compostamente sedute davanti a lui, erano abbigliate in sobrie cappe scure, con la veletta calata sul viso da cui trapelava il balenio dello sguardo, quando incrociavano il cono di luce di un lampione stradale.
Sembravano quasi confondersi con la penombra che regnava all'interno della vettura, eppure dovevano essere belle.
Molto belle.
Ipotizzò l'altro passeggero lasciandosi inebriare dalla delicata fragranza floreale che riempiva l'abitacolo.
Forse un costoso profumo francese.
Quindi dovevano essere ricche.
O perlomeno ben provviste di denari, se potevano permettersi una carrozza e degli abiti non appariscenti, ma confezionati con tessuti pregiati.
Questa constatazione lo portò alla domanda successiva: cosa ci facevano delle signore benestanti in giro da sole, in un quartiere malfamato, all'una di notte?
Nessuna delle due era intervenuta durante i suoi febbrili ragionamenti, quasi ne fossero state consapevoli e avessero temuto di interromperli; però all'affiorare di quel dubbio colei che all'apparenza sembrava la più matura e la più autorevole lo interpellò: “Da quanto tempo vivi a Londra?”
Il ragazzo spalancò gli occhi atteggiando le labbra ad un'esclamazione di muto stupore; la donna gli aveva appena parlato in russo.
“Voi come fate a...”
“Il tuo accento naturalmente, vieni da Mosca?”
“Da un piccolo paese a tre ore di cavallo da lì, sudàrynja*.” precisò il giovane levandosi il cappello e assumendo subito un atteggiamento più rispettoso, perché le dame erano originarie della sua terra e gli ispiravano un senso di atavica deferenza.
“Abbiamo soggiornato per qualche tempo nella capitale, i suoi dintorni sono incantevoli, come la campagna.” precisò l'interlocutrice e lui convenne annuendo.
“Ma la terra non bastava a sfamare la famiglia così ci siamo trasferiti qui, dove però il lavoro in fabbrica...”
“Non basta lo stesso a sfamare la famiglia.” concluse la donna e il ragazzo assentì di nuovo.
In strada non ci andava certo per diletto, suo padre non lo voleva in fabbrica a spaccarsi la schiena dieci ore al giorno, lui era il primogenito, doveva puntare a qualcosa di meglio.
Nel nuovo paese i suoi genitori, di rustica mentalità contadina, ambivano a migliorare la loro condizione, dato che in Russia non avevano possibilità di farlo.
Sognavano di farlo studiare, risparmiavano ogni centesimo non necessario alla sussistenza per mandarlo a scuola; il loro sogno proibito era di vederlo diventare dottore, ma andava bene anche un buon impiego in qualche ufficio o in un negozio.
Già se lo immaginavano curvo sulla scrivania, col suo libro mastro, a tenere i conti di un grande magazzino o di una compagnia di importazioni.
Lui invece aveva capito subito che aria tirava a Londra, dove gli stranieri erano bestie da soma, sacrificabili e rimpiazzabili con manodopera pronta ad accontentarsi di meno del minimo.
Suo padre si sarebbe ammazzato di fatica, sua madre e le sue sorelle avrebbero consumato gli occhi a forza di ricamare e sarebbero rimasti comunque dei morti di fame.
Siccome era un ragazzo sveglio aveva intuito che poteva ottenere di più e con meno fatica offrendosi a clienti paganti, affascinati dal suo aspetto nordico e dalla prestanza fisica.
La famiglia ignorava la vera provenienza del denaro che portava a casa; si era giustificato dicendo di essere riuscito a rimediare alcuni lavoretti serali come garzone o lavapiatti e tanto era bastato perché non indagassero oltre, nemmeno se tornava a notte inoltrata con un labbro spaccato o un occhio nero.
D'altronde nei pub le risse erano all'ordine del giorno e lui era un giovanotto ben piazzato, che sapeva far valere le sue ragioni. “Siamo stranieri in terra straniera, aiutarci tra noi è normale.”
La voce della donna lo blandì come una carezza distogliendolo di nuovo dalle sue riflessioni.
“In che modo posso aiutarvi sudàrynja? Ho imparato diverse cose qui a Londra e i clienti apprezzano i miei... Servigi.” dichiarò fiero, sciorinando la sua esperienza come amante nel tentativo di impressionarle.
Aveva frequentazioni maschili, però i suoi gusti in materia di letto erano assai più tradizionali; aveva avuto l'occasione d'infilare la testa sotto le gonne della lavandaia del secondo piano e della servetta che lavorava dai dirimpettai ed entrambe si erano dichiarate molto soddisfatte.
“Tutto a suo tempo.” rispose placida l'interlocutrice “Tra poco saremo arrivati a destinazione e ti sarà più chiara la natura delle nostre... richieste.”
Il ragazzo le rivolse un sorriso accondiscendente; in realtà non aveva capito niente del suo discorso e il fatto che il viaggio stesse durando un po' troppo cominciava a impensierirlo.
Cercò di sbirciare oltre le tendine abbassate, perché sollevarle senza chiedere il permesso gli sembrava un gesto oltremodo scortese e gli parve che la strada fosse più larga e meglio illuminata; inoltre la carrozza sobbalzava di rado, quindi il selciato era ben tenuto.
Se gli indizi erano corretti si stavano dirigendo verso un quartiere benestante e questo da una parte lo rassicurava, ma dall'altra iniziava a preoccuparlo il ritorno.



“Qual è il tuo nome?”
La domanda lo fece trasalire, perché era stata formulata dalla seconda passeggera, col tono asciutto e formale di un ufficiale di polizia. L'accento più duro gli instillò il sospetto che non fosse russa. “Yuriy, sudàrynja.”
“Yuriy e poi?”
Il ragazzo spostò lo sguardo verso la donna seduta al suo fianco, come a voler essere sicuro di poter rispondere e lei annuì impercettibilmente.
“Yuriy Adamovich Prostakov.”
“Sai leggere o scrivere Yuriy Adamovich?”
L'interpellato ebbe un moto d'insofferenza, con chi pensavano di avere a che fare? Con uno zotico capraio delle steppe?
“So leggere, scrivere e fare di conto, il Pope del villaggio teneva lezione due volte la settimana e la domenica, dopo la messa.”
dichiarò orgoglioso e dalla veletta bruna sembrò trapelare un sorriso “È importante?”
“Potrebbe.”
Quell'affermazione lo autorizzò ad immaginare uno sviluppo diverso: forse non gli interessavano le sue arti amatorie, forse volevano offrirgli un lavoro onesto, magari gli serviva un garzone di fiducia per svolgere qualche incarico particolare, qualcuno che conoscesse la città e di cui potessero fidarsi, perché parlavano la stessa lingua e condividevano la stessa cultura.
L'idea di fare il valletto in una casa ricca poteva essere un'alternativa allettante al vendersi sul marciapiede.

Yuriy cominciò ad avere un'idea più precisa della ricchezza della casa quando la carrozza si fermò e il solerte cocchiere scese ad aprire lo sportello alle signore; lui cercò di anticiparne la discesa, per aiutarle, come buona creanza richiedeva, ma le due, dimostrando un'insospettabile agilità, fecero da sole, affatto impedite dalle lunghe gonne e dagli stivaletti col tacco.
Il ragazzo fu quindi l'ultimo a uscire e sollevando il naso verso l'edificio antistante lo fissò inebetito; quello era un palazzo!
Anzi, con le massicce torri angolari a delimitarne la facciata, somigliava ad un castello!
Era in uno dei sobborghi signorili del West End di cui gli aveva parlato la lavandaia; lei faceva dei servizi in quella zona e gli aveva raccontato del lusso in cui vivevano i fortunati abitanti.
Certe famiglie avevano addirittura una dozzina di servitori!
Le cose cominciavano a prendere una piega interessante e Yuriy, impegnato in queste considerazioni, registrò in maniera distratta che il cocchiere era salito a cassetta e invece di dirigersi verso la rimessa privata aveva proseguito sulla strada principale, allontanandosi fino a sparire del tutto nella nebbia compatta che saliva dal fiume poco distante.
Tuttavia il giovane russo non poté fare a meno di notare una mancanza assai più vistosa in un palazzo signorile: nessuno si era presentato alla porta per accogliere le due signore; niente maggiordomo, governante, nemmeno una cameriera messa di guardia e pronta a prendere i loro cappotti.
L'atrio era illuminato e Yuriy percepiva un piacevole tepore, segno che qualcuno si era occupato di accendere le luci a gas e i camini, ma non arrivò anima viva.
“Vieni, entra.”
La richiesta, formulata dalla donna più matura, gli ricordò del motivo per cui aveva accettato di salire nella carrozza senza porsi troppi problemi: aveva seguito una coppia di potenziali clienti e adesso, che si stavano togliendo cappelli e velette, era il momento di scoprire se erano anche belle.
Ciò che nascondevano i pesanti veli bruni, però, andava perfino al di là delle più audaci fantasie.
Le due donne, differenti nell'aspetto quanto potevano esserlo il giorno e la notte, erano accomunate da un'insolita caratteristica: l'impossibilità di attribuire loro un'età precisa.
Erano indubbiamente giovani, ma di due giovinezze diverse.
Mentre una era eterea, bionda, quasi filiforme nell'abito di velluto blu dal busto stretto al limite dell'umana tolleranza, l'altra aveva lineamenti più marcati e decisi, una tavolozza di colori scuri, che tendevano all'oro brunito sui capelli e che facevano spiccare per contrasto l'intenso colore cilestrino dei suoi occhi.

“Avrai fame.”
Non era una domanda, quanto piuttosto una constatazione: un ragazzo robusto e vivace ha sempre fame, specie se la sua famiglia ha a malapena qualcosa da portare in tavola
. Yuriy si strinse nelle spalle e provò a negare, ma di nuovo la dama bruna lo anticipò.
“In cucina è sicuramente avanzato qualcosa dalla cena, la cuoca l'ha messo da parte prima di andarsene.”
“Siamo riuscite a trovare solo personale a mezzo servizio...” specificò l'altra, quasi in risposta alle sue perplessità “Se ne vanno prima di sera, ma immagino che, essendo appena arrivate in città, sia quanto di meglio a cui potevamo aspirare.”
“Io potrei trovarvi qualcuno sudàrynja!” esclamò di slancio il giovane, per poi ricomporsi “O meglio... Conosco delle persone degne di fiducia, che potrebbero fare al caso vostro.”
Le due si scambiarono una rapida occhiata, poi gli rivolsero un leggero sorriso “Ne parleremo, più tardi semmai.”



La vista dell'enorme cucina e soprattutto della dispensa, rifornita di ogni ben di Dio, lo convinsero ad accantonare i filosofeggiamenti a favore di necessità più terrene.
Sulla tavola c'erano in effetti il tagliere dei formaggi, un vassoio su cui troneggiava un enorme roast-beef, poi un cesto di pane bianco, fresco di giornata e un'alzata di porcellana dove faceva bella mostra una piramide di frutta, che sembrava dipinta.
“Serviti ciò che vuoi e raggiungici quando avrai finito, noi abbiamo alcune cose da sistemare di là nello studio”
Yuriy annuì, era grato al loro buon cuore e si propose di metterle in guardia: dovevano dare meno confidenza agli estranei; in Russia la gente aveva ancora un po' di onore, Londra invece era piena di ladri e approfittatori.
Una persona appena meno onesta di lui, ad esempio, avrebbe fatto sparire in tasca qualche posata d'argento e sarebbe uscita dalla porta sul retro, lasciandole ad aspettare.
Il russo però ignorava che dell'argenteria alle due eleganti signore importava meno di niente.

Fine prima parte


⋆ La voce dell'ambivalenza ⋆

Londra, allo scorcio del XIX° secolo, è diventata una metropoli moderna, dove l'opportunità di migliorare la propria condizione sociale sembra alla portata di chiunque e questo vale anche per chi non è strettamente... Umano.
Saper cogliere al volo l'occasione giusta può cambiarti la vita, specie se sei uno straniero abituato a miserie e privazioni; ma la scelta di salire sulla carrozza di due affascinanti sconosciute, avrà conseguenze che nemmeno il giovane Yuriy aveva calcolato.

Questa storia è venuta alla luce per la curiosità di approfondire due personaggi che mi fanno compagnia da moltissimi anni; nate da un'esperienza di gioco di ruolo, infilate come "ospiti" in una long (molto long!) su un certo gruppo di pattinatori "on ice" e infine, ormai adulte e vaccinate, pronte a vivere di vita propria.
Dei loro scopi si capirà di più nel prossimo capitolo e non si metterà bene per Yuriy!
Ringrazio fin da ora chi vorrà imbarcarsi nella lettura del racconto, che tra i tanti difetti ha sicuramente un piccolissimo pregio: è di soli tre capitoli ^_^

Vocabolario:
Sudàrynja: è un appellativo onorifico generico russo (del periodo zarista), rivolto a persone nobili, di cui non si conosce il titolo esatto.
Trepak: danza russa di origine cosacca, dal ritmo molto veloce. Famoso è quello composto da Tchaikovsky per Lo Schiaccianoci.



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Capitolo 2
*** Capitolo II° ***


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Notturno con città e nebbia

Capitolo II°



“ Yuriy Adamovich Prostakov, sesso maschile, età presunta... sedici, diciassette anni. Stato generale di salute: all'apparenza buono. Non ci sono segnali visibili che mi portino a ipotizzare infezioni veneree o sintomi associati a malattie del sangue o dei polmoni. Nessuna manifestazione di zoppia, letargia, cretinismo o balbuzie. Nessun deficit visivo e auditivo. Buona reattività agli stimoli.”
“Sa leggere, scrivere e fare di conto.”
A quell'osservazione la donna bionda alzò lo sguardo dal taccuino dove stava stilando la minuziosa descrizione.
“C'è dell'ironia nella vostra voce doamna* Severin.” la rimbeccò serrando le labbra sottili in una smorfia contrariata “Una forma di istruzione basilare può essere utile e farebbe risparmiare tempo dopo.”
“Se il soggetto sopravvive senz'altro.”
“Date per scontato un fallimento, dov'è l'ottimismo della persona di scienza?”
“Professo un cauto scetticismo nella scienza come nella vita Diane, così da essere preparata ad una delusione, in caso di insuccesso.”
Diane Von Lösch si limitò ad esprimere il suo disappunto scuotendo leggermente il capo, poi riprese a vergare la relazione con una grafia minuta e precisa.
“Potresti almeno dirmi se il candidato ti soddisfa.”
“Risponde a molti dei requisiti richiesti.”
Nastassjia Severin incrociò le braccia al petto e aggrottò le sopracciglia, quando lo faceva comparivano sottilissime pieghe d'espressione sulla fronte candida.
“Ma ti piace?”
“Intendete fisicamente doanma?”
“Ovvio, difficile che un candidato del genere possa stimolare il tuo intelletto sofisticato.”
L'interpellata le concesse un lieve sorriso e, senza smettere di scrivere, rispose “Nonostante la giovane età ha una muscolatura ben sviluppata, è alto, prestante. Oserei dire ben dotato a livello di organi sessuali, però immagino che lo scopriremo presto.”
L'altra alzò gli occhi al soffitto, a volte la razionalità scientifica di Diane metteva a dura prova la sua pazienza.
“Ti ho solo chiesto se è di tuo gusto.”
“È un bello stallone da monta.” concesse la donna bionda accentuando il suo sorriso, poi prima della probabile replica aggiunse “Inoltre ha origini slave e questo ne fa un ottimo candidato a prescindere, anche se in Russia avremmo avuto più scelta.”
“La Rus* un territorio troppo vasto da sondare.”
“Immagino che alienarsi le simpatie della Corte Imperiale abbia influito sulla scelta delle zone da sondare e sulla nostra precipitosa partenza alla volta dell'Inghilterra.”
L'interpellata socchiuse le palpebre e la sua espressione s'indurì.
“I Romanov si lasciano manipolare dai loro preti ortodossi come burattini, si atteggiano a sovrani illuminati e invece non hanno mai lasciato il Medioevo.”
“Manipolare la famiglia dello Zar... È quello a cui puntavate voi o sbaglio?”
“Naturalmente e avrei saputo ottimizzare al meglio la mia posizione.”
“Col vostro curriculum vitae non c'è dubbio doanma.” convenne Diane annuendo conciliante.
Poche persone potevano vantarsi di aver guidato per decenni una provincia strategica della Valacchia opponendosi con successo alle scorribande degli ottomani e dei principati vicini.
Una, Vlad Tepes Drakul, era passata tristemente alla storia per la sua ferocia, l'altra sedeva proprio di fronte a lei.



Un paio di colpetti rispettosi sull'anta della porta interruppero il discorso, che comunque il loro ospite non avrebbe inteso, perché si stavano esprimendo in tedesco.
“Entra pure, hai finito di mangiare?” gli chiese la donna bruna.
“Si sudàrynja.”
“Molto bene.” l'interlocutrice annuì soddisfatta.
Seguì un lungo attimo di silenzio in cui divenne palpabile il crescente imbarazzo del giovane; la situazione era ad un punto morto e lui, abituato a gestire incontri clandestini che lasciavano poco spazio alla conversazione forbita, non sapeva come sbloccarla.
“Quindi...” iniziò incerto “Ora possiamo parlare del motivo per il quale sono qui?”
“Come mai all'improvviso tutta questa fretta?” Diane si sporse verso di lui e gli sorrise, era la prima volta che lo faceva e Yuriy vide un paio di graziose fossette comparire agli angoli delle sue labbra, ingentilendone la piega austera.
“Ecco... non fraintendetemi, vi sono molto grato per la cena e la passeggiata in carrozza, però non vorrei abusare della vostra generosità e del vostro tempo.”
Le due si scambiarono un'occhiata divertita.
“Il tempo per fortuna non ci manca.”
“Anzi, pensavamo che forse vorresti fare un bagno caldo, sei rimasto fuori gran parte della notte e le notti di Londra sono umide e fredde.”
A quella proposta Yuriy strabuzzò gli occhi e dalle sue labbra uscì un'esclamazione di stupore: dopo la cena anche il bagno caldo?
Perché lo stavano ricoprendo di attenzioni?
Da qualche parte nel suo cervello squillò un campanello d'allarme, c'era qualcosa di sbagliato nell'atteggiamento fin troppo premuroso delle padrone di casa, qualcosa che andava oltre il semplice interesse filantropico verso un ragazzino sfortunato.
Cosa poteva essere?
Che le due fossero immischiate con gente di malaffare?
Volevano fargli del male?
Forse venderlo a un bordello o peggio a qualche armatore senza scrupoli che lo avrebbe caricato su una nave diretta chissà dove!
Magari avevano dei complici nascosti in casa, pronti a catturarlo!
La donna bionda, che lo stava ancora osservando, batté le palpebre e il senso di pericolo svanì rapidamente com'era arrivato; all'improvviso Yuriy trovò le sue paure ridicole e fuori luogo.
Come aveva potuto pensare male delle sue benefattrici?
La risposta arrivò a stretto giro dalla donna bruna.
“Non vorrei che questa richiesta ti sembrasse sfacciata; nonostante il nostro incontro sia avvenuto in maniera poco ortodossa ci hai fatto una buona impressione, tuttavia, se dobbiamo prenderti al nostro servizio vogliamo accertarci che tu sia nelle migliori condizioni, teniamo molto all'aspetto e al decoro del personale.”
La spiegazione suonò ragionevole alle orecchie del russo, che si lasciò guidare al piano superiore, dove dietro ad una delle molte porte apparentemente identiche affacciate sul lungo corridoio si trovava una stanza da bagno.
Yuriy non riusciva a soffermarsi troppo a lungo sui suoi pensieri e forse aver bevuto quella coppa di vino a cena non aiutava la sua lucidità; vide la grande vasca smaltata piena di acqua calda e appena provò a chiedersi chi l'avesse preparata e quando, dato che la servitù era andata via al tramonto, la sua attenzione venne catturata dall'elegante divisa da valletto, ripiegata con cura su una sedia.
Provò la giacca davanti allo specchio e sorrise, sembrava cucita su misura per lui.



“Ha impiegato più tempo del previsto.”
“Ho calcolato la dose in base alla corporatura, tuttavia ha dimostrato una resistenza inusuale alla tintura di papavero. È un buon segno, no?”
“Assolutamente.”
In piedi accanto alla vasca le due donne contemplavano con interesse il ragazzo, profondamente addormentato.
Col capo appoggiato al bordo e il braccio destro allungato fuori dall'acqua a sfiorare il pavimento, ricordava il protagonista del celebre quadro di David: La Morte di Marat.
Solo che Yuriy non era morto.
Non ancora almeno.
“Avevi ragione sulle sue dotazioni Diane, è un bell'oggetto, capisco che i clienti ne apprezzassero i servigi.”
La donna bionda ignorò la malizia del commento e rispose secca “Non è per questo che lo abbiamo selezionato.”
“No, ma nel caso l'esperimento avesse successo potrebbe essere uno svago piacevole.”
“Nella remota ipotesi di un risultato positivo non ci sarà tempo di dedicarsi ai piaceri della carne doanma.” la rimbeccò l'interpellata “Dovremo eseguire dei test, fare altre verifiche, reclutare del personale e...”
“Oh Diane sei così ligia al lavoro, così... Intransigente! Direi puritana, se non fossi certa che la religione e la morale ti hanno sempre lasciata piuttosto indifferente.”
“Faccio quello che va fatto per raggiungere lo scopo.”
“Già, però nulla vieta che questo percorso contempli anche delle piacevoli soste.” insinuò l'altra in tono sibillino.
“Mi rilasserò una volta giunta alla meta.” insistette imperterrita Diane.
“La tua abnegazione è ammirevole e va premiata, perciò ho deciso che sarai tu ad occuparti di lui.”
Stavolta l'interpellata non riuscì a dissimulare la sorpresa.
“Non era contemplato nel progetto iniziale...”
“È tempo di apportare qualche piccola variazione in corso d'opera. Finora i miei tentavi non hanno funzionato, forse con te saremo più fortunate.”
Diane impiegò qualche istante prima di formulare un'ammissione che le costava fatica e imbarazzo “Io... Non l'ho mai fatto prima.”
Nastassja Severin le dedicò un'occhiata indulgente; sotto la rigida corazza teutonica della sua pupilla c'erano ancora delle emozioni umane.
“C'è una prima volta per tutto; pensa a quanto è difficile per un bambino imparare a camminare da solo, questo non è diverso.”
Diane si limitò ad aggrottare le sopracciglia.
“Come ordinate doanma...”
“Non te lo sto ordinando, ti sto offrendo l'opportunità di camminare da sola, ed è meglio che cominci con lui.”la donna bruna rivolse un rapido cenno del capo a Yuriy “ Difficilmente potrai affezionarti e il probabile distacco sarà meno doloroso.”
“Come volete voi.” si arrese Diane.
L'altra le sollevò il mento con le dita e la scrutò per un lungo istante, prima di sorriderle.
“Solo se lo vuoi anche tu.”

Alla fine le cose vanno sempre secondo i suoi piani...
I pensieri di Diane seguivano i tonfi incoerenti del corpo che stava trascinando giù dalle scale; Yuriy urtava contro i gradini senza opporre resistenza, come una bambola di stracci strattonata con malagrazia da una bambina arrabbiata.
E Diane aveva tutti i motivi per esserlo.
Odiava improvvisare.
Detestava le variazioni di percorso, perché la costringevano a ricalcolare le possibili conseguenze.
È difficile capire il suo modo di ragionare, magari dicendole che mi piaceva lo avrebbe tenuto lei.
Il ragazzo venne sollevato di peso e lasciato cadere su un tavolo di marmo, nel limbo d'incoscienza in cui si trovava gli sfuggì un brontolio contrariato, che Diane accolse con un'alzata di spalle.
Come se potessi affezionarmi ad uno zotico che sa a malapena leggere e scrivere...
La giovane donna si sporse su di lui e sollevò la curva delle labbra in un sorriso appena abbozzato.
Il russo era avvenente, tuttavia, pensando alla fatica di cavare fuori da un rozzo sasso una pietra preziosa, il suo pallido interesse si raffreddò.
Poco importa, alla fine anche questo soggetto non supererà il test e dovremo ricominciare daccapo.
Una simile mancanza di pianificazione è inaccettabile da parte di una mente per altri versi tanto brillante.
Diane alzò gli occhi verso il soffitto a volta delle cantine, quasi temendo che la donna al piano di sopra potesse captare i suoi pensieri.
Probabilmente ne era davvero in grado.
La seguiva nelle sue peregrinazioni da alcuni anni, eppure aveva la netta impressione di conoscere di lei l'equivalente della sottilissima pruina bianca che ricopriva certa frutta durante l'inverno.
Oltre quella pellicola si celavano abissi di mostruosità che non era ancora pronta a vedere.
Da parte sua la Severin sembrava averlo capito e dosava con parsimonia le dosi di crudeltà a cui doveva assuefarsi, perciò la scelta di affidarle il giovane russo l'aveva sorpresa.
Finora era stata testimone, complice e solerte cronista delle sue azioni.
Questo era un salto in avanti molto più ambizioso e pericoloso, non tanto per il candidato,quanto per lei.
Come avrebbe risposto la maestra al fallimento dell'allieva?
A parole professava comprensione e tolleranza, tuttavia bastava un nonnulla a contrariarla e a farla reagire di conseguenza.

Alcuni suoni inarticolati la distolsero dai suoi ragionamenti, in poche ore il ragazzo aveva smaltito la massiccia dose di narcotico e si stava svegliando.
Lo ritenne un buon segno, il suo fisico era robusto, dopotutto poteva anche superarlo il test.



Yuriy sentiva la testa leggera e il corpo pesante come marmo.
Doveva essersi addormentato nella vasca, complici il vino, l'abbuffata e l'acqua calda.
Una magra figura per chi si era vantato di essere un grande amatore.
Adesso aveva freddo, forse perché era nudo e il soffitto che stava contemplando non somigliava affatto a quello della stanza da bagno.
Un viso cereo, aureolato di biondo entrò nel suo campo visivo e riconobbe la dama della carrozza. Saperlo gli procurò una sensazione di sollievo e allo stesso tempo di inspiegabile disagio; tutta la situazione gli parve assurda, si sentiva fuori luogo o forse erano le due eccentriche dame e la loro inquietante dimora vuota ad esserlo.
L'idea di lavorarvi come valletto aveva smesso di essere allettante.
“Dovete scusarmi sudàrynja, mi sono addormentato e... penso che dovrei togliere il disturbo, sarà molto tardi ormai.”
Contava di cavarsi d'impaccio ed andarsene in fretta, possibilmente senza combinare danni; per quanto l'idea di alzare le mani su una donna lo ripugnasse, era pronto a fare valere le sue ragioni con la forza.
A fatica riuscì a mettersi seduto su quello che scoprì essere un lungo tavolo di marmo bianco; ne aveva visti di simili nei negozi dei macellai e il paragone gli fece correre un brivido lungo la schiena.

“Sei davvero sicuro che riusciresti anche solo a sfiorarmi Yuratchka?”
L'interpellato spalancò gli occhi e l'intorpidimento del risveglio scomparve del tutto.
Nonostante la corporatura esile, che difficilmente avrebbe rappresentato una minaccia per lui, quella donna bionda era riuscita ad indovinare i suoi pensieri e cominciava a spaventarlo.
A Londra c'erano molti maghi, ipnotizzatori e occultisti, vedeva le locandine dei loro spettacoli appese fuori da teatri e locali, ma non vi aveva mai dato molto peso; i londinesi erano dei creduloni, pronti a lasciarsi incantare dal primo che faceva comparire un coniglio dal suo cappello a cilindro.
E se le due eleganti dame fossero state delle medium?
Magari parlavano con gli spiriti dei morti!
Ecco perché nel palazzo non c'era personale di servizio, nessun servitore sano di mente avrebbe lavorato in una dimora infestata.
“Che giovanotto ingrato, ti abbiamo ospitato e offerto un lavoro e l'unica cosa a cui sai pensare è correre a casa a nasconderti sotto le gonne di tua madre?”
Il giovane russo impallidì, in qualche modo la donna bionda aveva intercettato ancora i suoi pensieri.
“La mia famiglia mi sta aspettando. Io... devo proprio andare ora.” rispose in un sussurro strozzato dalla paura.
“Dimmi: la tua famiglia è al corrente di quello che fai quando esci la sera?”
Yuriy, che aveva già i piedi sul pavimento ed era pronto a darsi alla fuga, si fermò e la fissò incredulo; forse non era molto istruito, però era sveglio e aveva capito il sottinteso della domanda.
Diane sogghignò compiaciuta e continuò il ragionamento.
“Tuo padre e tua madre sono convinti che tu lavori come sguattero alla Sirena Verde o alla Pinta d'Oro giù al porto, sarebbe molto spiacevole se scoprissero che i soldi delle mance vengono in realtà dal portafogli di un ricco pervertito...”
Il viso del ragazzo tendeva ora al color cenere; chiunque fossero le due donne conoscevano la sua vita come lui conosceva il fondo delle sue tasche.
Sudàrynja io non voglio problemi, perché non dite chiaramente cosa volete da me?”
“Oh, in effetti c'è qualcosa che vogliamo da te.”
“Se si tratta di soldi, possiamo accordarci... Vi darò una parte dei miei guadagni!”



La donna bionda gli rivolse un sorriso di bonaria compiacenza, si fece più vicino e gli appoggiò una mano sul petto; Yuriy percepì a malapena le sue dita gelide e sottili, tuttavia fu sufficiente quel lieve tocco per schiacciarlo contro tavolo di marmo.
“L'unico oggetto di valore che m'interessa è qui.” la pressione sullo sterno aumentò fino a tramutarsi in dolore, il ragazzo provò a liberarsi per scoprire inorridito che tutta la sua forza era inutile.
Cercò di spingerla via, poi le afferrò il collo stringendolo così tanto che avrebbe dovuto spezzarsi, ma niente sembrava infastidirla o metterla in difficoltà.
“Proprio qui sotto.” ribadì Diane, ignorando i suoi sforzi.
Quando ritenne esaurito il divertimento, lasciò la presa sul petto e il giovane russo si trovò improvvisamente libero.
Si protrasse in avanti, deciso ad approfittarne, gli bastava arrivare alla porta, poi una volta fuori, non sarebbe stata in grado di corrergli appresso a causa della lunga gonna.
Trascorsi i pochi decimi di secondo necessari a formulare quei pensieri il moto d'inerzia, che spingeva il ragazzo in direzione dell'ingresso, venne bruscamente interrotto da un movimento contrario.
La prima falcata della sua fuga rimase sospesa a mezz'aria per un lungo istante prima che il suo corpo venisse trascinato indietro, ricadendo in modo violento sulla fredda superficie di marmo.
Aveva battuto forte la testa, tanto da sentire l'eco del colpo riverberarsi nel cervello e fondersi al male che si stava irradiando da qualsiasi zona provvista di terminazioni nervose.
Stavolta qualcosa si era rotto, forse una costola, forse la schiena, forse non gli era rimasto un solo osso sano.
“Niente di irreparabile Yuratchka, al tuo risveglio sarai come nuovo. Anzi mi correggo: tu sarai nuovo.”
Alla visione appannata dalla sofferenza si affacciò il volto pallido della donna bionda, che gli offrì un sorriso beffardo e altre parole non meno criptiche e spaventose delle precedenti: “Sei fortunato, se sopravvivrai non dovrai più preoccuparti del lavoro, dei clienti, della polizia e la tua famiglia avrà di che vivere agiatamente, provvederemo noi a loro e... a te.”

“È andata bene?”
La Severin l'aspettava alla base delle scale che conducevano ai sotterranei del palazzo, un complesso molto vasto e in parte abbandonato, ideale per svolgere certe attività lontano da occhi indiscreti.
Anche se fosse riuscito a fuggire Yuriy si sarebbe di certo smarrito in quella specie di labirinto.
“Ho applicato la Procedura alla lettera doanma.”
Sotto la debole luce verdastra della lampada l'incarnato della donna bionda sembrava emanare una vaga fosforescenza, mentre gli occhi cominciavano a perdere la liquida tonalità notturna che li aveva completamente tinti di nero.
Per il resto nulla nella figura composta e pacata di Diane indicava qualche tipo di scontro o contatto fisico; nemmeno una ciocca di capelli fuori posto.
Era una qualità che aveva affascinato da subito Nastassja, ma che allo stesso tempo rendeva la sua pupilla abbastanza inquietante; cosa sarebbe potuta diventare da lì a qualche anno?
È destino degli allievi superare il maestro...
“Allora non ci resta che aspettare, vieni... Dobbiamo festeggiare la tua prima Trasformazione e non accetto un no come risposta.”

Fine seconda parte


⋆ La voce dell'ambivalenza ⋆

Yuriy è un ragazzo sveglio e tutte le attenzioni di cui è fatto oggetto generano in lui delle domande; domande che vengono sempre messe a tacere dal fascino persuasivo delle due misteriose signore, le quali, una volta messo fuori combattimento il soggetto, si dedicano a stilare una minuziosa scheda delle sue caratteristiche.
A cosa punta questa ricerca "scientifica"?
Ormai è da escludere che volessero solo "cenare" col baldo giovanotto, in ballo c'è qualcosa di più, che le spinge a "trasformarlo".
In cosa?
E Perché?
Lo scopriremo nel capitolo conclusivo!

Nastassja e Diane ringraziano chi sta leggendo, commentando e preferendo il malloppino vittoriano e vi rimandano a questi schermi mediamente in tempi brevi ^^

Vocabolario:
Doanma: equivalente rumeno di "Mia signora"
Rus: nome con cui era conosciuta la Russia nei secoli scorsi.



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Capitolo 3
*** Capitolo III° ***


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Notturno con città e nebbia

Capitolo III°



Svegliarsi era sempre stata una faccenda complicata per Yuriy, il quale, come tutti i ragazzi, amava dormire fino a tardi.
Stavolta il sonno era così pesante da schiacciarlo al letto, rendendogli difficile perfino sollevare le palpebre.
Percepiva in modo vago il suo corpo, come se le ore trascorse nell'immobilità ne avessero intorpidito le membra.
Allo stesso modo anche i suoi pensieri volteggiavano incoerenti senza trovare un filo logico, che gli permettesse di risalire agli ultimi avvenimenti della sera precedente.
Ammesso che fosse passata solo una notte; a giudicare dalla spossatezza e dalla confusione mentale poteva aver dormito anche un mese intero.
Fu una mancanza a riportarlo nelle terre dei vivi, un vuoto che urlava di essere colmato e che il ragazzo identificò come fame.
Il ricordo dei syrniki di sua madre, le fragranti frittelle con la marmellata su cui si avventava quando erano ancora bollenti, lo fece deglutire e scoprì di avere la gola del tutto secca.
Quindi non era la fame, ma la sete a spingerlo a svegliarsi!
Lasciò penzolare la gamba destra fuori dal letto e si diede una spinta per scendere, ma era molto lontano dal pavimento su cui atterrò malamente, dopo un breve volo.
Le imprecazioni che seguirono ebbero il pregio di svegliarlo del tutto e lo portarono ad alcune rivelazioni piuttosto spiacevoli: non era nella sua camera ad esempio, era nudo, eccetto il lenzuolo in cui era stato avvolto come una specie di sudario, infine quel grande ambiente aveva qualcosa di familiare e allo stesso tempo molto sinistro.
Yuriy impose ai suoi gesti una parvenza di coordinazione e riuscì ad alzarsi; le gambe reggevano e gli permisero di fare alcuni passi attorno al tavolo di marmo che era stato il suo giaciglio.
Il giovane russo aggrottò la fronte e si sforzò di ricordare come diavolo fosse finito lì; in qualche modo era di vitale importanza scoprirlo.
Anche andarsene lo era.
Nonostante ciò le sue priorità subirono un ribaltamento appena giunse all'altro capo del tavolo e notò una panca su cui erano appoggiati un cesto di frutta, del pane e un paio di bottiglie, di cui una così piccola e sottile da somigliare ad una boccetta di sciroppo.
Degnò di un'attenzione superficiale il cibo, il profumo fragrante che emanava stranamente gli chiudeva lo stomaco, al contrario, il piccolo flacone lo attirava.
Lo aprì e ne annusò il contenuto, l'odore ferrigno lo fece rabbrividire dal disgusto, tuttavia c'era sul fondo una nota dolce, quasi caramellosa, che gli ricordava il miele o la melassa e Yuriy decise che valeva la pena assaggiarlo.
Lo mandò già tutto d'un fiato, come aveva imparato a fare nei pub e sebbene fosse molto denso, lo trovò più appagante della birra o del whisky.
Il tonico, perché non poteva essere altro che una medicina, forse una specie di ricostituente, gli diede una sferzata di energia; si sentì di nuovo lucido e in forze.
Tornarono anche i ricordi della sera prima e acquistò un senso l'urgenza di scappare da quel posto. Dov'erano le due streghe che lo avevano imprigionato?
E soprattutto: dove si trovava adesso?
Decise di cercare qualche indizio e, servendosi della lampada a olio lasciata accesa accanto al cibo, iniziò ad esplorare i recessi del grande ambiente.
Il basso soffitto a volta, le pareti e il pavimento di pietra, la mancanza di finestre, l'umidità e l'odore di muffa facevano propendere per un sotterraneo o una cantina.
Non c'erano sbarre e questa era la buona notizia, mentre quella cattiva era che l'unica via di uscita passava da una porta rinforzata da borchie metalliche, che sembrava decisamente chiusa.
O almeno era ciò che si sarebbe aspettato da un rapimento, subito prima di scoprire che, abbassando la maniglia, la porta si apriva senza sforzo, dando accesso ad un corridoio ben illuminato.
Yuriy rimase immobile in ascolto; i minuti successivi li trascorse nel timore di sentire un suono di passi o le voci delle sue carceriere, ma non captò alcun rumore degno di nota; ed infine si decise ad abbandonare la cella.
Col lenzuolo gettato sulle spalle avanzò in punta di piedi seguendo la via indicata dalle lanterne; dall'altra parte il corridoio proseguiva, immergendosi in un buio fitto in cui il russo non aveva alcuna voglia di avventurarsi.
Arrivò alla base di una scala, che conduceva ai piani superiori e di nuovo si fermò, resistendo all'impulso di divorarne i gradini e gettarsi a capofitto verso l'uscita.
L'ultima volta che lo aveva fatto era finita male.



Sul piccolo ballatoio in cima alle scale un'altra porta chiusa lo costrinse all'ennesima sosta.
Incollò l'orecchio al pannello di legno e percepì solo il silenzio di uno spazio vasto e vuoto.
Tentò la maniglia e anche questa cedette docile lasciandolo passare.
Yuriy si ritrovò nell'immenso androne del palazzo in cui abitavano le megere.
Di loro non c'era traccia però.
Cominciò a pensare che si fosse trattato di uno scherzo.
Le due signore, magari per noia o per scommessa, lo avevano adescato, si erano prese gioco di lui e poi lo avevano portato nei sotterranei per spaventarlo.
Certo, la donna bionda era dotata di una forza sovrumana, però era anche vero che lui aveva bevuto, non era lucido e forse era svenuto a causa del bagno caldo.
Se fosse comparsa adesso non le sarebbe stato così facile sopraffarlo.
Davanti al portone d'ingresso sprangato e alle finestre dagli scuri sigillati il giovano russo pensò che la sua fortuna con le via di fuga doveva essere esaurita; nella penombra caliginosa riusciva a distinguere le scale, il mobilio e gli ingressi alle stanze.
Si ricordò dell'uscita di servizio nelle cucine e decise di tentare la sorte; attraversò l'androne con la leggerezza di un fantasma e s'infilò nel grande ambiente appiattendosi in un angolo buio.
Il camino e i fuochi erano spenti, mentre dal tavolo di lavoro erano spariti gli avanzi della cena, forse le domestiche erano passate a riordinare o forse lo avevano fatto le padrone di casa, dato che anche la porta di servizio era bloccata dall'interno.
Non rimaneva che provare ai piani superiori; magari sarebbe riuscito a calarsi da una finestra o dalla grondaia.
Uscendo dal suo nascondiglio intercettò con la coda dell'occhio una sottile lama di luce che dalla sala da pranzo si rifletteva sul pavimento di marmo dell'atrio.
Forse non aveva bisogno di salire di sopra, la sua Buona Stella gli aveva appena mostrato una comoda soluzione al piano terreno.



La porta finestra era socchiusa, qualcuno probabilmente l'aveva dimenticata aperta la sera prima e dalla fessura Yuriy riusciva a distinguere un terrazzo oltre il qualche si estendeva il giardino e un grande prato che digradava verso un'indistinta foschia.
Gli parve di sentire l'odore limaccioso del Tamigi e aveva senso, perché molte ville fuori città sorgevano a ridosso del fiume.
Doveva solo spalancare l'impannata e mettersi a correre senza voltarsi indietro, eppure esitava; come se l'istinto gli stesse suggerendo di rimanere nascosto all'interno anziché fuggire.
Una serie di brividi gli corsero dalla base della schiena al cervello acuendo la sensazione di pericolo, finché il giovane russo non realizzò che era Novembre e lui aveva solo un lenzuolo a proteggerlo dal freddo.
Recuperare i suoi vestiti era fuori discussione, preferiva rischiare un arresto per oltraggio alla decenza e la lavata di capo dei genitori piuttosto che trovarsi ancora faccia a faccia con le due streghe.
Raccolse il coraggio e aprì l'anta della finestra; fuori la luce del pallido mezzogiorno autunnale lo abbagliò; i suoi occhi impiegarono alcuni istanti ad adattarsi, ma era normale dopo aver trascorso tante ore nell'oscurità.
Avanzò nell'ombra a ridosso del muro; il piano prevedeva di infilarsi tra le piante del giardino, poi da lì attraversare il prato e arrivare al fiume.
Risalire lungo la sua sponda sarebbe stato molto più sicuro e, con un po' di fortuna, nel tragitto poteva rimediare un passaggio da una chiatta insieme ad un paio di calzoni.
Alzò la testa e diede una rapida sbirciata alla facciata del palazzo; di giorno aveva un'aria se possibile ancor più sinistra, con quei mattoni scuri e le torri angolari che ricordavano una fortezza medievale.
Ad un certo punto colse un movimento dietro ad una delle finestre del piano nobile e questo bastò a fargli dimenticare ogni prudenza; spiccò un balzo e superò la siepe, poi cominciò a correre, ignorando i rovi e i rami che gli graffiavano le braccia e le gambe.
Arrivò al prato col cuore che gli balzava in petto, ancora poche falcate e avrebbe raggiunto l'argine, che digradava dolcemente verso il fiume.
La pelle cominciò a pizzicargli, la sentiva tendere e scaldarsi, d'istinto si grattò e maledisse le due streghe; quei cespugli dovevano essere velenosi, ma anziché trovare sollievo il fastidio aumentò.
Si guardò le braccia, il dorso delle mani, dove la pelle si raggrinziva, si screpolava, si staccava a lembi.
Yuriy andò nel panico, il dolore cominciava ad essere insopportabile, non era solo la pelle, tutto il suo corpo stava bruciando, come se qualcuno lo avesse gettato su una graticola rovente.
All'affannosa ricerca di un rimedio provò ad avvolgersi nel lenzuolo, poi gli sovvenne del Tamigi, che scorreva a pochi passi da lui, l'acqua lo avrebbe aiutato lenendo le sue sofferenze.
Inciampò poco più avanti, si rialzò e cadde di nuovo, le gambe rifiutavano di collaborare, allora si trascinò puntellandosi coi gomiti e avanzò a carponi, finché le articolazioni non rattrappirono in un ultimo disperato tentativo di proteggersi dal calore che lo stava divorando dall'interno.



“Due minuti e quindici secondi.”
Diane staccò il cronometro e appuntò il risultato sul taccuino.
“Uno spettacolo sempre troppo breve.”
Nastassjia lasciò cadere la cortina di velluto davanti ai vetri, fuori non c'era più niente di interessante da guardare, solo una massa informe, coperta da un lenzuolo annerito dal fuoco, che si consumava lentamente sul prato.
Da lontano potevano scambiarlo per un cumulo di foglie e rami secchi, messo a bruciare dai giardinieri del palazzo.
“Nella media doanma.” rispose l'altra dopo una rapida scorsa ai suoi appunti “Il ragazzo ha resistito qualche secondo in più per via della costituzione fisica robusta.”
“O magari perché voleva sopravvivere.”
Quel commento indispettì la sua pupilla.
“Tutti vogliono sopravvivere.” ribatté acida “È l'istinto di Autoconservazione, se ne fossero consapevoli al risveglio, nessuno di loro sarebbe così pazzo da uscire durante il giorno.”
“Se fossero consapevoli noi non avremmo materiale d'indagine mia cara e ci ritroveremmo con una corte di figli inutili a cui provvedere.” l'interlocutrice tacque per un istante poi aggiunse in tono sibillino “Oh, forse tu ne volevi uno? Di figli, intendo. Magari proprio il ragazzino russo...”
Diane scacciò l'idea con un gesto stizzito della mancina.
“Io dico solo che...” fece una pausa e prese un lungo respiro, voleva essere sicura di esprimere al meglio la sua idea “Se ci fosse modo di sapere in anticipo quali sono i candidati con le maggiori possibilità, noi... Potremmo contenere i danni.”
“Oh” la Severin annuì con fare comprensivo “Ti preoccupi delle nostre Convenzioni: gli Evoluzionisti non fanno del male agli esseri umani e una Trasformazione avviene sempre all'interno di un contesto verificato e protetto.”
Diane si strinse nelle spalle, come a darle ragione.
“Dovremo superarle per ottenere dei risultati concreti.”
La sua interlocutrice la fissò preoccupata.
“Agire fuori dalle convenzioni è...”
“Deplorevole? Può darsi.”
“Intendevo: pericoloso. L'Assemblea di Ginevra non approva simili metodi, di questo passo finiremo con l'attirare la loro attenzione; si staranno già chiedendo perché un'anziana si sposta così spesso, invece di eleggere a sua dimora un territorio fisso.”
“Sai chi ha contribuito a istituire l'Assemblea cinquecento anni fa? Io. Quando il mondo si è scoperto improvvisamente più vasto, con nuovi territori da esplorare e conquistare oltre oceano, la società degli Immortali ha capito che il precario equilibrio su cui si reggeva da millenni si sarebbe spezzato e servivano delle regole per garantirci la sopravvivenza e prosperare nel futuro. Adesso è il arrivato il momento di guardare oltre; la missione di cui siamo investite è troppo importante perché resti impigliata in qualche ingranaggio burocratico.”

La donna bionda aggrottò la fronte; era abbastanza certa che la sua Mentore avesse già elaborato un piano e averle affidato la Trasformazione del giovane russo era solo l'ultimo tassello di un rompicapo, che lei considerava già risolto.
“Però vi fa comodo che l'Assemblea resti in attività.”
“Perché siamo delle pioniere Diane, esattamente come i primi colonizzatori, noi ci muoviamo in territori nuovi, ma dobbiamo essere prudenti e tenere le spalle al coperto; inoltre la nostra efficiente organizzazione ci mette in una posizione di superiorità rispetto alle altre fazioni.”
“Concilianti e Predatori potrebbero offendersi.” insinuò l'altra con un leggero sogghigno.
“Si offendano pure, non saranno loro a riprendersi la luce del giorno, è un vantaggio che intendo tenermi stretto.”
La sua pupilla ritenne prudente omettere che era proprio grazie alle indicazioni di una Conciliante se il progetto aveva avuto inizio e i che Predatori non erano esattamente un modello di generosità e altruismo.
Presto o tardi sarebbero venuti a bussare alla porta pretendendo i frutti del loro lavoro, con le buone o le cattive.
“In ogni caso hai ragione, il modo di procedere è troppo dispersivo, la scelta dei candidati richiede tempo e non è mai precisa; di questo passo l'uomo arriverà sulla Luna e noi saremo ancora alla ricerca dei giusti caratteri ereditari che consentano agli Immortali di abbandonare le tenebre.”
Diane era sbigottita, quelle cose le aveva pensate un paio di giorni prima, quando si trovava nel sotterraneo!
Quindi era davvero in grado di leggere la sua mente anche a distanza!
“Che c'è? Non pensi che l'uomo arriverà sulla Luna?”
“In un tempo ragionevole arriverà anche oltre doanma, la scienza sta facendo passi da gigante.” convenne Diane.
“Esatto e noi daremo il nostro piccolo contributo all'età moderna. L'umanità ha bisogno di una guida esperta per le ere che verranno, in altre parole: ha bisogno di noi. Invenzioni come il telegrafo e il telefono ci consentono di comunicare in ogni momento con paesi lontanissimi, la locomotiva e le grandi navi a vapore abbreviano la durata dei viaggi. Rimuovendo l'ultimo ostacolo che ci impedisce di agire durante il giorno il nostro controllo sull'Evoluzione sarà... totale.”
“Questo contributo avrà un costo.” obiettò la più giovane.
“Perfettamente sostenibile.”
Diane si avvicinò alla finestra oscurata dalle spesse tende di velluto e le scostò appena; pur trovandosi nell'ala del palazzo rivolta a Ovest, che aveva la facciata ancora in ombra, la luce la infastidì.
Non aveva mai creduto alla favola della maledizione divina che aveva colpito i primi della loro stirpe trasformandoli in non-morti assetati di sangue.
La letteratura li definiva vampiri, la tradizione popolare li trovava affascinanti e mostruosi, ma ormai quasi nessuno credeva alla loro esistenza.
Il Tempo era stato un buon alleato: avevano imparato ad agire in incognito, controllando la sete di Sangue e mischiandosi agli umani, sedevano a tavola conversando garbatamente con le loro prede, mentre gustavano dell'ottimo champagne; stringevano alleanze, frequentavano le corti e i templi della nuova scienza.
Aveva sentito di alcuni che erano riusciti a infiltrarsi perfino nelle gerarchie ecclesiastiche.
Ormai non c'era posizione o ruolo che gli fosse precluso.
Valeva davvero la pena sacrificare delle giovani vite all'abbattimento dell'ultimo ostacolo che rendeva la stirpe degli Immortali così vulnerabile?
La risposta era sul prato della villa, dentro un misero involucro disseccato e irriconoscibile.
I vantaggi erano innegabili, concluse Diane, però al momento la strada era tutta in salita.

“Pensavo...”
Nastassja annuì attenta, aveva preferito non interrompere quella lunga di pausa di riflessione, perché di solito preludeva a sviluppi interessanti.
“...È ancora valida la proposta di prenderci una pausa?”
Di tutte le idee che potevano uscire da una mente così analitica e razionale, la vacanza era l'ultima su cui avrebbe scommesso, ed era così sorprendente che l'anziana Immortale scoppiò a ridere, salvo poi posarle la mano sull'avambraccio, quando vide sua la espressione accigliarsi.
“Non speravo di farti cambiare opinione, quindi anche tu sai essere imprevedibile!”
La sua pupilla le rivolse uno sguardo carico di sussiego, in fondo, da qualche parte, era pur sempre una donna; notoriamente le creature più imprevedibili del pianeta.
“Comunque la risposta è si e ho già mente il posto adatto.”
“Parigi?” ipotizzò Diane temendo che volesse trascinarla di nuovo nella vorticosa sarabanda della Ville Lumière, dopo che aveva speso gli ultimi sei mesi a convincerla che le troppe distrazioni della capitale francese rallentavano la loro ricerca.
“Molto meglio: le Highlands Scozzesi. Vicino ad Edimburgo,ma con la tranquillità e la riservatezza di cui la nostra stirpe ha bisogno.” “Perché ho l'impressione che non sarà una vacanza doanma?”
“Mi conosci mia cara, mi piace unire l'utile al dilettevole. Ci sono un paio di grandi tenute in cerca di proprietario e molti orfani, spesso stranieri, che vivono in condizioni miserabili.”
La tedesca tardò alcuni istanti a cogliere il nesso tra un viaggio di piacere, grandi ville di campagna e poveri orfanelli, tuttavia quando le fu chiaro il quadro generale non poté che esternare il suo stupore con una colorita esclamazione nella sua lingua madre. “Volete farlo davvero?”
“Riflettici e anche tu vedrai combaciare tutti i lati del rompicapo.”
“Materiale d'indagine sempre a disposizione...”
“Di cui potremo controllare costantemente la crescita, selezionando i soggetti più promettenti. Nessuno verrà a reclamarli, basterà denunciarne la scomparsa o la morte.”
“Dovremo procurarci del personale fidato e tessere buone relazioni con gli Immortali del posto...”
“Alcuni personaggi influenti mi devono dei favori, ci aiuteranno a sistemarci.”
“Quindi è cosa fatta?”
“Questo è solo il primo passo. Non intendo fermarmi qui, se il modello avrà successo avremo infiniti scenari dove applicarlo.”
“Ospedali, fabbriche, colonie...”
“E non dimenticare le guerre, una guerra fornisce materiale umano praticamente inesauribile!” esclamò la Severin.
Diane scosse il capo e accennò un sorriso, quelle manifestazioni di entusiasmo infantile, su argomenti che avrebbero fatto rabbrividire chiunque, a volte la disorientavano.
“Allora, ti ho convinta?”
“Mi risulta che le Highlands in questa stagione siano bellissime. Vado a preparare i bagagli.”

Fine


⋆ La voce dell'ambivalenza ⋆

Carissimi come qualcuno sospettava non è finita bene per Yuriy, che è stato usato come cavia da esperimenti ed è andato incontro alla medesima drammatica fine.
Nemmeno le due misteriose signore sono soddisfatte del risultato, ma non tutto il male viene per nuocere (almeno dal loro punto di vista!), perché dopo queste ennesimo insuccesso hanno deciso di cambiare strategia e di fare le cose in grande.
Il giovanotto russo non è stato il primo e non sarà di certo l'ultimo; l'obiettivo che si sono poste le due vampire è molto ambizioso: trovare il soggetto in grado di resistere alla luce solare, che è il più grosso punto debole degli Immortali.
Ci sono riuscite?
Voci di corridoio dicono che le ricerche continuano tutt'ora e che forse hanno trovato un candidato che può fare al caso loro...

Vorrei ringraziare chi ha preferito, seguito, letto e commentato il mappazzino vittoriano, forse ci rivedremo qui in tempi che adesso non riesco a quantificare con certezza, ho altri personaggi di questo mondo oscuro, che vorrebbero dire la loro ^^



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