Vita, una ferita nell'inesistenza.

di Luana89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


La vita spesso s’annoia, s’aggroviglia, si lega ai destini degli altri senza neppure lasciartelo intendere, se non quando ormai i giochi sono conclusi e le carte totalmente voltate. A volte districa quei nodi, slega quei destini, lasciandoti tornare a una placida e noiosa calma. Insomma, s’annoia sempre e comunque, e a rimetterci sono i malcapitati che bazzicano su questa terra.
Hansel soffocò uno sbadiglio, l’ennesimo da quando s’era costretta a lasciare il letto, guardandosi attorno alla ricerca dell’oggetto dei suoi pensieri. Quell’estate Naples non aveva portato solo i soliti turisti rumorosi, fonte di guadagno per l’albergo della madre, ma anche Matthew. Scorse i capelli ancor più imbionditi dal sole estivo, e i suoi occhi verdi si poggiarono immediatamente su di lei come attirati da un silenzioso ma persistente richiamo. Lisciò le pieghe della sua gonna, i suoi quindici anni mai evidenti come in quel momento, mentre sorrideva nella sua direzione alzando una mano in segno di saluto. Matthew di anni ne aveva quasi diciassette, ed era stata la ventata di novità che l’aveva strappata dalla solita estate passata tra amicizie ormai consolidate e i lavoretti extra a cui la madre la sottoponeva, tediandola e provocandole i classici sbuffi che ogni adolescente si premurava di compiere nell’arco delle sue giornate.
«Ciao!» Schiuse le labbra lucide a causa del gloss, l’altezza del ragazzo l’aveva intimorita inizialmente ma adesso era solo un punto in più a quel fascino che non sapeva staccarsi di dosso.
«Aspetti da molto?» Sempre gentile, premuroso quasi, nonostante a volte apparisse sbruffone in maniera quasi fastidiosa. Ma a quindici anni queste cose le perdoni, anzi ti appaiono come medaglie al valore, qualcosa che ti attira inevitabilmente. Avevano passato ogni giorno di quel mese insieme, a lui aveva dato il suo primo bacio, i primi approcci sulla spiaggia, per lui il cuore aveva battuto talmente forte da toglierle il sonno la notte facendole chiedere se prima o poi sarebbe tornato a un ritmo regolare. Ma come ogni cosa bella, anche quella avrebbe avuto la sua fine, il giorno dopo sarebbe tornato a San Francisco e chissà quando l’avrebbe rivisto. Hansel non era molto romantica, nonostante la giovane età spesso la portasse a essere completamente succube delle sue emozioni, giudicava impossibile una relazione a distanza per due adolescenti senza mezzi come loro. Eppure quel pomeriggio quando Matthew la baciò, strinse tra le mani il biglietto contenente il numero del ragazzo, mentre fissava i suoi occhi verdi che giurò non avrebbe dimenticato mai.
Il tramonto infuocava il cielo mentre Hansel seduta su un muretto ne sembrava totalmente disinteressata, mentre gustava il proprio gelato cercando di ritardare il più possibile il rientro in albergo, dove la madre l’avrebbe probabilmente schiavizzata (così drammatica) affidandole i soliti noiosissimi compiti. Gli occhi pigri si poggiarono sul lato opposto della strada, la brezza calda scompigliò i capelli raccolti in una treccia, il ragazzo stava proprio lì poggiato alla fermata immerso nell’ascolto di chissà quale brano. I capelli nerissimi incorniciavano un volto severo, e gli occhi (della quale non riuscì a distinguere il colore) fissi su un punto non ben definito ai suoi piedi. Perché era così incuriosita? L’autobus arrivò in quel momento, rumoroso e quasi affaticato persino lui da quel caldo torrido, oscurandole la visuale.
«Oh andiamo.» Sospirò stizzita allungando il collo come a voler vedere meglio, ed ecco che lo sconosciuto tornò nuovamente a occuparle la vista, camminava tra le file di sedili fino a piazzarsi davanti uno dei finestrini sporchi e solo in quel momento sembrò fissarla. Fissarla davvero. Un rivolo di sudore scivolò lungo la schiena facendola rabbrividire senza motivo. L’autobus partì e quel momento esplose in una bolla di sapone composta dal nulla più assoluto. Il silenzio tornò a fare da padrone in quella strada, la gente camminava ignorandola, il cellulare squillò in quel momento facendola sobbalzare e le urla della madre la convinsero che forse era arrivato il momento di rincasare.
 
Il bigliettino stropicciato venne sospinto da una folata di vento più aggressiva delle altre, dimenticato su quella fermata che delineò tre destini. Indissolubilmente.
 

 
three years later:
 
La punta della scarpa batteva ritmicamente contro il cruscotto, seguendo il ritmo della musica messa a volume eccessivo. Lo sbuffo della madre fece sorridere Hansel che la ignorò di proposito, iniziando a cantare a squarciagola per tutta risposta provocando l’ovvia reazione della genitrice.
«Sei indemoniata o cosa?» Il suo cattivo umore era comprensibile, dopo anni passati l’una in simbiosi dell’altra effettivamente separarsi era stato un duro colpo. E se l’animo da sempre un po’ spigoloso di Hansel non sapeva dimostrarlo appieno, quello perennemente romantico e materno di Meredith invece sapeva farlo eccome.
«Dovresti essere felice, la tua preziosa figlia è stata ammessa in una delle università più prestigiose della nostra cara America.» Imitò un tono solenne, o qualcosa che giudicava tale, beccandosi l’ennesima occhiata in tralice e infine uno spintone seguito da una risata esasperata. Dopo il divorzio dei genitori, avvenuto quando Hansel aveva circa sei anni, si erano trasferite a Naples e la madre dal nulla aveva costruito un futuro per entrambe. Non aveva un cattivo rapporto col padre, anzi, lo amava. Però le sue continue assenze, sia per la distanza che per il lavoro, avevano contribuito a formare quella sorta di imbarazzo che solitamente si intravedeva nei legami appena formati. Insomma, era suo padre, il legame non doveva essere qualcosa di indissolubile e ovvio? Forse no, forse non bastava avere il medesimo sangue per tenere a qualcuno senza se e senza ma.
«Ma mi hai sentito?» La voce della madre la trascinò nuovamente dentro quell’auto, la fissò confusamente scuotendo il capo. «Ti ho chiesto se vuoi parlare di Charlie.» A quel nome il viso pallido si adombrò apertamente. Tra qualche mese avrebbe compiuto diciannove anni, e si ritrovava con il cuore pressoché infranto da un bastardo che aveva pensato bene di tradirla con la sua (ormai ex) migliore amica. Insomma degno delle più scadenti telenovele, no? Eppure quelle cose accadevano davvero, e non c’era molto che si potesse fare a parte raccogliere i cocci di se stesse e ripartire nuovamente da zero. La sua età glielo permetteva in fondo, aveva una vita davanti, un brillante futuro nel campo del giornalismo e tantissimi amori falliti da vivere. Non ci avrebbe messo molto a trovare un sostituto per quel lombrico con i muscoli, Hansel era consapevole della sua bellezza. Lunghi capelli castani incorniciavano un viso dai tratti eleganti, labbra ben disegnate e per finire un ‘’difetto’’ che aveva scoperto quanto potesse avvantaggiarla nella vita: l’eterocromia. Un occhio castano e l’altro per metà verde. L’unica cosa che seriamente odiava erano le sue tette, se le strizzò sbruffando e la madre la ignorò come ogni santa volta.
«Come diamine è possibile che tu abbia una quarta, e io una misera seconda? Voglio capire, seriamente.»
«Ti prego, non ricominciare con questa storia. La tua seconda è assolutamente adorabile.» Adorabile? Assolutamente no. Le tette non dovevano essere adorabili, cosa diamine erano dei gadget? Dei pupazzetti da coccolare? Dovevano essere sexy, esplosive. Ma supponeva non fosse il caso di dirlo alla madre, nonostante fosse da sempre parecchio aperta e di vedute larghe. S’affossò allo schienale della sedia osservando il panorama sfrecciare fuori dal finestrino, era quasi a NYC, Dio il sogno di tantissimi giovani. E il cuore si strinse appena per l’ansia. L’ansia di fallire, ma anche di farcela, e l’ansia dell’incognito, di tutte le infinite possibilità che le si stavano per spalancare davanti. Il sorriso divenne una risata bassa, mentre il cielo faceva sfoggio del suo azzurro migliore.
 
Hartley Hall, il primo dormitorio ufficiale della Columbia, si stagliò di fronte a lei. Soffiò via una ciocca ribelle sfuggita alla coda sollevando il viso con espressione curiosa.
«Sai cosa mi piace di questo posto? Puoi trovare il ricco figlio di papà, e il modesto figlio dell’operaio, magari nella stessa stanza. Nessun dislivello tra classi sociali.» La madre la fissò sorridendo divertita da quelle nozioni che ormai sentiva a ripetizione di due ore, da quando la lettera aveva comunicato loro l’ingresso all’università. Il momento dei saluti arrivò, Meredith l’abbracciò forte piagnucolando.
«Lo sai che puoi tornare quando vuoi? Qualsiasi cosa succeda..»
«Lo so, lo so, non devo esitare a chiamarti.» L’abbracciò nuovamente ignorando gli sguardi dei ragazzi, non pensava dovesse vergognarsi nel voler prolungare quel momento con l’unica donna che sapeva l’avrebbe amata sempre e comunque incondizionatamente. E quando la vide sparire oltre i cancelli asciugò le lacrime tirando su col naso, trascinando valigia e borsone alla ricerca della propria camera.
 
«Hansel Nelson?» Osservò la ragazza che sorrideva affabile porgendole una mano, l’afferrò stringendola senza troppa enfasi a causa della sorpresa. «Io sono Julia, la tua compagna di stanza, non ti ha accolto nessuno?» Scosse il capo in segno di diniego, e la biondina non sembrò sorpresa dalla cosa, forse il sistema d’accoglienza non funzionava come avrebbe dovuto.
«Sei anche tu del primo anno?» Julia mosse l’indice in maniera eloquente aiutandola con le valigie, cosa che ricordò ad Hansel di essere ancora bloccata all’ingresso.
«No, sono del secondo, facoltà di legge e anch’io come te l’anno scorso non sapevo che diamine fare. A quanto pare Tate non ha ben capito che il suo compito qui è portare le matricole a destinazione.» Tate? Hansel inarcò un sopracciglio senza indagare oltre, troppo presa a osservare il luogo nella quale avrebbe vissuto per i prossimi anni. In tutto e per tutto simile a un appartamento, una sala comune e due porte che probabilmente conducevano alle loro camere. Quando aprì la propria la sensazione di vuoto non la destabilizzò particolarmente, avanzò sollevando la tapparella come a voler scacciare il senso d’oppressione dovuto alla desolazione di quel posto.
«Ti abituerai presto, alla Columbia sappiamo come divertirci vedrai.» Il suo sorriso accattivante strappò una risatina alla ragazza che scrollò le spalle con indolenza. Un sordo bussare alla porta strappò entrambe da quel momento, seguì la coinquilina con curiosità e dall’altro lato della porta si palesò un ragazzone dai ricci biondi e il sorriso di un bambino, età media: due anni. Così lo etichettò Hansel mentre a braccia incrociate assisteva allo spettacolino.
«Andiamo Jules non fare la rompicoglioni come tuo solito, vieni è divertente.» Provò a strattonarla beccandosi un calcio da parte della ragazza che sembrò improvvisamente ricordarsi di lei, voltandosi immediatamente per presentarle lo sconosciuto.
«Lui è Jonathan, un coglione.» Hansel mimò un ‘’wow’’ con le labbra, le sembrava il massimo in quel frangente, non capitava tutti i giorni che un uomo le venisse presentato con l’appellativo di nascita. Okay, frase sessista e prevenuta, ma dopo l’esperienza con Charlie amava crogiolarsi nella sua fase: gli uomini fanno tutti schifo.
«Questo coglione è il fratello della svitata con la quale avrai la disgrazia di condividere ossigeno.» Allungò la mano e stavolta la sua risata coinvolse anche lei, l’inizio non era poi così male.
«Beh, quindi? Dov’è che andate?» Jonathan sembrò ricordare in quel momento il motivo per la quale si trovava lì, e tornò ad afferrare la sorella per il polso.
«I ragazzi stanno dando il benvenuto alle matricole, ci sarà da ridere.» Solitamente quella frase precedeva il disastro, e per l’appunto Hansel si ritrovò poco dopo nel cortile ad assistere a una scena che aveva del potenziale trash. Ragazzi nudi come vermi completamente fradici, più che uno scherzo quello aveva tutta l’aria d’essere del puro e semplice bullismo camuffato da ‘’accettazione’’. Un gavettone si schiantò a pochi metri da lei facendola imprecare, osservò la propria camicia adesso inzuppata all’altezza del fianco alzando lo sguardo per incenerire chiunque avesse osato fare una cosa a suo dire stupida. Ciò che vide le tolse completamente la facoltà di parola, il ragazzo biondo intento a schernirla si bloccò fissandola a bocca aperta.
«Matthew?» Quel nome non l’aveva dimenticato, nonostante fossero passati tre anni abbondanti, così come non aveva mai dimenticato quell’estate assolutamente fuori da ogni logica. L’inverno successivo lo aveva passato a maledirsi per aver perso il suo biglietto, chiedendosi perché la sfiga si fosse accanita così tanto con lei, con la mente piena dei classici ‘’what if’’ adolescenziali nella quale si spalancavano tanti scenari possibili se quel dannato bigliettino non fosse andato smarrito (tutti dal medesimo e prevedibile finale, ovvero fiori d’arancio e abiti nuziali, era un adolescente come tante in fondo).
«Cristo, Hansel.. non ci posso credere.» Le parole passarono per un secondo in secondo piano, distratta dal fisico imponente e bagnato del ragazzo. Stava per caso concorrendo per il titolo di mister maglietta bagnata? E quindi dove diavolo era la sua maglietta? Leccò le labbra improvvisamente secche, ma Julia interruppe quel momento piazzandosi accanto a lei con espressione corrucciata.
«Scusate se interrompo l’idillio, ma che diamine è questa cafonata?» Indicò i ragazzi nudi con espressione sprezzante, e Hansel pensò le avesse tolto decisamente le parole di bocca. Matthew però non sembrava del medesimo avviso, e nemmeno Jonathan con la quale si scambiò una pacca amichevole sulla spalla.
«Cos’è questa la settimana in cui ti batti per i diritti umani? La scorsa qual era? Ah si, quella in cui sventolavi cartelloni per salvare gli animali.» Schioccò le dita come se avesse appena avuto una mistica rivelazione, l’aria da sbruffone evidentemente non era per nulla cambiata ma anzi sembrava addirittura peggiorata.
«Molto divertente, mister coglione, dov’è quell’altro imbecille della cricca?» Il biondino scrollò le spalle, Hansel percepì un mutevole cambio nei suoi occhi verdi che sembrarono scurirsi appena, adombrarsi.
«Non sono la sua balia, se ti interessa tanto perché non lo cerchi?» Jonathan fissò Hansel facendole l’occhiolino.
«E quindi tu sei il nuovo acquisto dell’università? Ti hanno presa a un casting di modelle?»
«Ma queste frasi solitamente funzionano, o?» Hansel lo fissò senza scomporsi e Julia scoppiò a ridere dandole il cinque.
«Ignoralo, è perennemente arrapato come se il giogo tossico degli ormoni non lo mollasse dai quattordici anni. E non è l’unico.» Abbastanza palese si riferisse a Matthew che non diede cenno di averla sentita, continuando a fissare la ragazza come se stentasse a credere di averla lì di fronte. Quanti anni erano passati? Tre? Ricordava d’aver provato una strana sensazione amara nell’osservare il telefonino muto, nell’attesa di una sua chiamata. Le emozioni di quell’estate era certo di non averle sognate, di non essere stato l’unico a viverle, quindi perché quel silenzio? Alla fine come per tutte le cose si trova la rassegnazione, le cose ti scivolano via come l’acqua sulla pelle e ti ritrovi a macinarne altre andando avanti per la tua strada. A volte però il destino era così beffardo da riportarti nuovamente indietro, sbalzarti completamente in tempi che pensavi ormai sepolti e rimescolare nuovamente le cose. Afferrò il polso di Hansel trascinandola da parte, nell’androne del dormitorio, gli schiamazzi adesso sembravano ovattati, la fissò senza spiccicare parola per quelli che sembrarono attimi infiniti, sorridendo solo all’ultimo.
«Perché non mi hai mai richiamato?» Interessante spunto di conversazione, ma anche alquanto pericoloso. Confessare di averlo perso avrebbe potuto essere frainteso come mancanza voluta d’attenzione. Hansel si schermì, tentennò e alla fine cedette raccontando la verità che venne accolta con una risata divertita e quasi rincuorata. «Pensavo mi avessi semplicemente archiviato.»
«Come se avessi potuto..» le parole uscirono quasi spontanee, se ne pentì all’istante sviando i suoi occhi verdi ed eccessivamente magnetici, la presa sul proprio polso si strinse un po’ di più come a voler attirare la sua attenzione. Quando gli sguardi si incrociarono sentì nuovamente quella stretta allo stomaco, si rese conto di quanto i loro visi fossero adesso vicini e il respiro le si spezzò per qualche istante.
«Potreste amoreggiare da un’altra parte? Dovrei passare.» Una voce frantumò in mille pezzi quel momento, il tono appariva scocciato. Basso e modulato, era sicura di non averlo mai sentito prima quel timbro. Quando i suoi occhi incrociarono quelli dello sconosciuto sentì un brivido familiare, qualcosa che non riuscì inizialmente a catalogare negli anfratti della sua mente. Risalì con lo sguardo osservando i capelli corvini, dai riflessi bluastri, e gli occhi di una tonalità appena più chiara. Aggrottò la fronte continuando a sentirsi spaesata, come alla ricerca del suo personalissimo filo, che l'avrebbe condotta alla matassa.
«Perché non passi e ti togli direttamente dai coglioni?» Il tono brusco di Matthew la costrinse a spianare la fronte muovendo un impercettibile passo indietro, lo sconosciuto sbatté le palpebre fissandolo senza la minima emozione, era come se le sue parole gli fossero scivolate completamente addosso.
«Tate, sei proprio un coglione.» Julia rifece la sua comparsa spingendo il ragazzo che adesso aveva finalmente un nome. Tat
e. Hansel lo sillabò senza rendersene conto, a volte si domandava quanto i nomi dicessero di una persona, forse tutto o forse nulla. In fondo erano semplici nomi, potevi chiamarti anche Sempronio ed essere l’essere vivente più spettacolare mai creato. I suoi occhi scuri rotearono annoiati posandosi poi sulla bionda tutto pepe.
«Che cazzo vuoi, esattamente?» Era evidente si conoscessero tutti, probabilmente i loro rapporti erano nati lì dentro, e lei? Ne avrebbe creati lei?
«Sbaglio o eri tu incaricato di scortare i nuovi alle camere?» Tate tornò nuovamente a fissarla, i suoi occhi la mettevano in soggezione, e ancora quella strana sensazione di familiarità.
«Ed è ciò che ho fatto, era stato chiaramente detto di presentarsi alle sedici davanti ai cancelli.»
«Dove?» L’espressione confusa di Hansel supponeva fosse abbastanza per scagionarlo da qualsiasi colpa. Scrollò le spalle come se fosse già saturo di quelle conversazioni e dopo un’ultima occhiata a Matthew che continuava a somigliare a un cane rabbioso, salì le scale sparendo dalla visuale.
«Non fare caso a Tate, a volte penso non sia un caso se porti il nome di uno psicopatico seriale.» Jonathan mosse l’indice in circolo sulla tempia, citando con ovvietà un personaggio di AHS, strappando una risatina all’amico, risatina che non coinvolse le due ragazze. Gli occhi di Hansel si poggiarono un’ultima volta lungo le scale, prima che la voce di Matthew non si frapponesse ancora una volta ai suoi pensieri distraendola.
 
Come dicevo, la vita a volte s’annoia. C’è da capirla.

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Capitolo 2
*** II ***


Gli occhi verdi si dissolsero come fumo lasciando il posto a una fermata dell’autobus, a un caldo atroce. Si rivide seduta a mangiare quel gelato, gustandolo con enfasi, e poi eccolo lì di fronte a lei. L’autobus passò, camminava tra le file di sedili occupati e i suoi occhi neri incrociarono quelli di Hansel.
Aprì le palpebre venendo bruscamente rispedita alla realtà, una realtà assonnata che gustò nella confusione di pensieri ingarbugliati e dal sapore dolciastro. La mano sotto le coperte accarezzò lo stomaco piatto e accaldato, era riuscita finalmente a dare una collocazione temporale a quella sensazione strisciante che non l’aveva più abbandonata dall’ultimo incontro con lo sconosciuto. Uno sconosciuto che adesso aveva un nome. Tate, per la precisione. Si mosse girandosi su un fianco, lo sguardo assente vagò per la camera adesso resa accogliente dalle proprie cose. Ci aveva messo una settimana ma finalmente era riuscita nell’impresa, nonostante il ritmo scolastico le fosse ancora vagamente estraneo. Non era più al liceo, lì ai professori non fregava nulla delle tue assenze né della tua attenzione durante la lezione, vi erano dibattiti interessanti e presto avrebbe preso posto nel giornale del campus, o per meglio dire stava facendo l’inferno a quattro mani per convincerli a prenderla; le sarebbe andato bene persino fare la sguattera lì dentro. La giudicava un’ottima esperienza visto ciò che sognava di fare una volta presa la laurea, ancora oggi non sapeva bene da cosa le fosse scaturito quel sogno. Anni prima il suo professore di lettere aveva detto alla madre che con quella parlantina, e quel suo esasperante cinismo, sarebbe stata una giornalista perfetta. Eppure lei dei pareri altrui se n’era sempre fregata, pensando costantemente di dover essere si qualcuno ma qualcuno di propria scelta. Qualcuno da guardare ogni giorno allo specchio sentendosene volta per volta soddisfatta. Magari un traguardo ambizioso per molti, ma costante nella sua vita, nel suo impegno a concretizzare i sogni di ragazzina con delle realtà.
Julia, o Jules come la chiamava il fratello, era la compagna perfetta. Ormai integrata in quella macina sempre attiva che era il campus, l’aveva praticamente spinta nella mischia spiegandole le nozioni base. L’unico difetto, se così vogliamo chiamarlo, era il suo essere tremendamente pettegola. Non che le dispiacesse, ma la sua natura un po’ chiusa le impediva di porre le domande che realmente le interessavano, un po’ per non apparire sospettosamente interessata e un po’ perché bisognava anche capire come porle. Per esempio, perché vi era quel palpabile astio tra Matthew e Tate? Questa tra tutte stava sicuramente sul podio, forse perché entrambi l’avevano incuriosita (e a tratti spaventata) con i loro approcci aggressivi l’uno verso l’altro. Nella fattispecie Matthew. Aveva appurato come gli anni cambiassero le persone, a volte in meglio e altre in peggio, di sicuro del diciassettenne romantico era rimasto ben poco. In quel campus il ragazzo deteneva un certo potere e una certa nomea, stando ai pettegolezzi faceva faville la notte nei corridoi dei dormitori femminili, così come in quelli maschili ma per motivi diversi. Era spesso il tormento delle povere matricole, che dovevano subire o i suoi scherzi o i suoi scatti irascibili.
«E’ un bambino viziato, si dice che per poco non perse il diploma per colpa di una bravata.» Così aveva esordito Julia, stuzzicando la curiosità della compagna. Dar credito ai pettegolezzi era una roba stupida, eppure c’era qualcosa in lui che le faceva decisamente presupporre quelle non fossero semplici chiacchiere da bar. A volte supponeva che il ‘’suo’’ Matthew, quello dei ricordi romantici, non fosse altro che un riflesso di ciò che poi era davvero. Come se con lei avesse sempre e solo mostrato un singolo lato di se stesso, restava da capire se quel lato esistesse o meno.
«Nel fine settimana stiamo organizzando una festa nei dormitori, per le nuove reclute.» Hansel sentì la voce e il braccio circondarle le spalle, sollevando il viso ebbe modo di focalizzarsi solo sugli occhi verdi e quel sorrisino perennemente malizioso. C’era un limite comunque alle fortune che Dio, se esisteva, avrebbe dovuto dare a certi individui. Non puoi essere bello, ricco, e pure un asso nello sport. Insomma, almeno gli scarti vogliamo lasciarli ai comuni mortali?! Non si ritrasse comunque a quel tocco, a che pro? Non era ipocrita, le piaceva, ne era ancora tremendamente attratta ed entrambi adesso erano più adulti. Più consapevoli.
«Mi hai mai visto perdermi una festa?» Julia spostò i capelli biondi dalla spalla con aria di sufficienza, era da sempre l’anima delle feste che fossero gli stupidi compleanni dell’asilo o quelli più smaliziati dell’università, trovava comunque il modo di spiccare come un faro accecante. Questo le aveva sempre portato problemi nelle amicizie col gentil sesso (che di gentile in certe occasioni non aveva nulla). A una donna se porti via le attenzioni, hai portato via qualsiasi traccia di empatia potesse mai avere. Eppure con Hansel sembrava diverso, quella ragazza poco mondana e poco avvezza alla competizione. Forse perché consapevole di valere anche lei, di poter piacere e la prova era il fatto che il capo della squadra di football della columbia non le staccava mai gli occhi di dosso. L’anno precedente persino la stoica Julia era caduta nella tela di quel bel ragnetto dall’apparenza innocua, salvo poi rendersi conto d’essere come tutte una tacca in più nel suo letto. Non che poi cambiasse molto, il suo cuore era già impegnato nonostante tenesse quel segreto come se ne valesse della sua stessa vita. Ed era un po’ così. Se voleva mantenere il suo status, se voleva che i genitori continuassero a mantenerla fino alla fine degli studi, doveva mettere a tacere la sua parte emotiva a costo di sputarvi sangue nel farlo.
«Ehi, terra chiama Julia?» Si ridestò rendendosi conto d’essere appena arrivata nell’aula, Matthew era sparito ed Hansel la fissava dubbiosa. Sorrise irriverente come suo solito prendendola sottobraccio. La lezione di quel giorno era puramente facoltativa, per questo l’aula non era gremita come al solito e si potevano trovare studenti di ogni anno seduti a partecipare. Una risata goliardica attirò l’attenzione di Hansel, Jonathan seduto su uno dei lunghi banchi sembrava nel pieno di una conversazione interessantissima con.. Tate. Si bloccò come trattenuta da qualcosa, notando come l’altro non ridesse né apparisse divertito anche se lo scintillio nei suoi occhi nocciola appariva meno apatico del solito. Dio, ma aveva un palo perenne su per il culo? Lo pensò ma non lo disse mentre colmava le distanze trascinata dall’amica.
«Siete qui anche voi per il professor Bernard?» Annuirono entrambe di fronte quell’ovvietà, Bernard era abbastanza conosciuto nell’ambiente e avrebbe tenuto lezioni di comunicazione mediatica aperte a chiunque fosse interessato. Per Julia sembrava più un passatempo, o come aveva detto lei ‘’una scusa per osservare le chiappe più belle del campus’’ riferendosi all’uomo che di anni ne aveva certamente tanti quanto quelli del padre, ma supponeva fossero sottigliezze. Ma Jonathan? E Tate?
«Piuttosto voi due che ci fate qui?» Tate la fissò con insistenza, mettendole nuovamente addosso quella sensazione apparentemente inspiegabile e dannatamente eccessiva. Se Matthew solleticava il suo stomaco, Tate ne spalancava una voragine nera e profonda.
«Lavoro per la radio del campus, sono lezioni che reputo utili.» Il tono sembrò ammorbidirsi mentre giocava con una matita, scarabocchiando distrattamente sul taccuino. «E Jonathan è qui per i punti di merito, ovviamente.» Ne era orgoglioso a giudicare da come accolse la spiegazione, ma d’altra parte era Jonathan, perché se ne dovrebbero stupire? Era entrato lì grazie a una borsa di studio sportiva, stava nella squadra di nuoto e a quanto pareva aveva tutta l’aria di voler continuare su quella strada.
«Hansel, è rimasto il posto libero accanto a Tate, siediti così siamo vicine.» Non si era neppure resa conto che i due fratelli l’avevano già abbandonata al suo destino, piazzandosi una fila avanti, mentre gli occhi di Tate la fissavano adesso beffardi. Inarcò un sopracciglio con l’aria polemica, ma a quanto pare lo stronzetto arrogante non era dell’umore tant’è che si limitò ad abbassare il viso escludendola completamente dalla propria vista.
«Sei anche tu al secondo anno?» Le loro braccia si sfioravano in base ai movimenti. Movimenti che Hansel tentava di minimizzare e circoscrivere al semplice atto di respirare.
«Si, frequento ingegneria.» Come se avesse previsto la seconda domanda stoppò sul nascere rispondendo quasi automaticamente, eppure il tono piatto lasciava presupporre non fosse poi così impaziente di proseguire i suoi studi. D'altronde potevano forse biasimarlo? La facoltà scelta dalla madre non si confaceva per nulla al suo animo, né alle curiosità e a ciò che più gli piaceva, ma pur di tenere buona quella stronza avrebbe fatto l’inferno. In questo modo era riuscito a ottenere un posto in radio, e fare ciò che davvero lo divertiva.
«Io frequento la facoltà di giornalismo..»
«Lo so.» Si stoppò un istante forse distratto dall’espressione preoccupata della ragazza, e con una mezza risatina ironica proseguì. «Julia non è il tipo che sa tenere la bocca chiusa. Parla spesso di te.» Il modo in cui l’aveva detto sembrava voler sottintendere un ‘’malauguratamente’’ che Hansel non gradì per niente, decidendo quindi di ignorare del tutto quel microcefalo senza alcuna grazia o delicatezza. Eppure la lezione andava avanti, era coinvolgente, ma non abbastanza da impedirle di sentire le loro braccia sfiorarsi finché non si rese conto d’avere la pelle d’oca lungo tutto il braccio. I loro occhi si incrociarono incatenandosi, e l’ambiente tutto attorno sembrò perdere consistenza. Che diavolo le succedeva? Si sentiva come una scimmia scema preda dei propri impulsi. Eppure continuava a essere confusa, era attrazione? Paura? Ansia? La prima poteva essere comprensibile, visto l’elemento che le si era seduto accanto. Non aveva nulla da invidiare agli sportivi, anzi forse erano loro a dover invidiare quel metro e ottantasette di spalle larghe e muscoli ben definiti. O forse era Hansel che avrebbe presto dovuto consultare un endocrinologo per i suoi, inspiegabili quanto fastidiosi, problemi ormonali.
Lo sguardo di Tate scivolò sulle loro braccia e Hansel desiderò sprofondare nell’abisso più profondo della vergogna, interruppe subito quello scambio imbarazzante d’attenzioni fiondandosi col naso sugli appunti. Diventando magicamente la studentessa più attenta di quella classe.
 
«Le senior non ti hanno ancora ‘’accolta’’ a modo loro?» Jonathan masticò voracemente il pezzo di mela fissando Hansel con un ghigno, accanto a lui Matthew e Julia.
«Dovrebbero farlo? Che ci provino.» Non si sarebbe fatta martirizzare da quelle sadiche, che se avevano lo stesso ‘’umorismo’’ dei ragazzi avrebbero dovuto dare decisamente una ripassata al vocabolario.
«Oh andiamo, sono degli scherzetti innocenti, è giusto che voi matricole vi prestiate al gioco.» Matthew scosse le spalle, la sua era una logica inoppugnabile. O almeno così pensava, nonostante lo sguardo sprezzante di Hansel dicesse l’esatto opposto.
«Denudarmi di fronte a una folla, non è ciò che definirei scherzetto innocente, sai?» Mise su il suo miglior sorriso angelico, e il ragazzo la guardò come se volesse farle lui stesso cose poco innocenti. Hansel sembrava il suo punto debole, sin da quando era un ragazzino dalla testa calda si era mostrato completamente soggiogato da quei modi e da quegli occhi così diversi tra loro. Nonostante ai tempi fosse una quindicenne con più grilli per la testa che altro, era riuscito a colpirlo a fondo e lì era rimasta col passare del tempo.
«Puoi denudarti per me, se vuoi.» Julia tossì sputacchiando l’acqua e scusandosi in maniera poco sincera, fissando in tralice la scenetta e l’espressione spiazzata di Hansel che non perse tempo a riprendersi.
«Oh, Reed, certe visioni proibite te le devi guadagnare.» Sorrisero nello stesso istante, ancora una volta quell’attrazione che come una legge inviolabile tornava a far capolino tra loro, elettrizzando l’aria. Le piaceva il modo in cui il ragazzo corrispondeva a quelle battutine, sempre al passo e mai indietro. Alcuni studenti avevano già piazzato le prime scommesse su quanto ci avrebbero messo a far coppia all’interno del campus, o su quanto ci avrebbe messo Matthew a farsela ma di queste ultime perle Hansel non era a conoscenza, con sua somma fortuna.
 
La voce di Tate alla radio riempiva la sala comune della loro camera, Julia non si perdeva neppure uno dei suoi interventi radiofonici, persino quello che era una semplice replica, con sommo stupore di Hansel che aveva forse giudicato male il loro rapporto a causa di quel primo approccio un po’ irruento.
«Ha del potenziale, e una cazzo di voce da urlo, senza queste due componenti dubito lo avrebbero preso alla radio del campus.» Capitan ovvio osservò le unghie, tenendo sospesa la lima, come a voler capire se fossero perfettamente simmetriche.
«Siete molto amici?» La bionda sorrise inarcando un sopracciglio.
«Vuoi sapere se me lo sono scopato?» Abbassò appena il tono della voce, come se le stesse confidando chissà quale segreto.
«Lo hai fatto?» Il tono di voce apparve calmo, perché avrebbe dovuto prendersela nel caso in cui fosse sul serio accaduto?
«Potrebbe avere ogni ragazza, ma la sua fama lo precede e molti si tengono alla larga. Nessuno abbraccerebbe dei problemi volontariamente, tranne che per una notte e via.» Il silenzio che derivò venne spezzato dalla monotonia del suono di quella lima sulle unghie perfette.
«Che tipo di fama?» Stavolta la curiosità non poté essere camuffata, mentre istintivamente le si avvicinava cercando di carpirle quante più informazioni possibili.
«Se ne dicono troppe, lo sai com’è no? Qualcuno piazza in giro una diceria, vera o falsa che sia, e poi nei corridoi viene storpiata. Se ne aggiungono altre, in un circolo vizioso.» Scrollò le spalle con indolenza accanendosi sul pollice che a quanto pare non ne voleva sapere di rispettare la sua concezione di forma. «C’è chi dice sia un pazzo violento, a quanto pare al liceo ha ucciso di botte un suo compagno. E i rapporti con Matthew si sono deteriorati.» Okay, troppe informazioni e una più assurda dell’altra.
«Che diamine c’entra Matt?» Julia spianò la fronte sorpresa.
«Non lo sai? Erano migliori amici, al liceo dico..» il corpo di Hansel ricadde contro lo schienale del divano, come stremata dalla caterva di informazioni appena assimilate. Ricordò una vecchia conversazione avuta con Matthew, ricordò il ragazzo fosse in vacanza con alcuni amici una sorta di viaggio-premio per la promozione appena ricevuta. E adesso capiva anche il perché avesse incontrato entrambi quel medesimo giorno, seppure in luoghi differenti. Magari ai tempi Tate stava raggiungendo l’amico, era consapevole del fatto che Matt uscisse la sera a differenza sua che nello sfolgorio dei quindici anni aveva un coprifuoco restrittissimo come ogni bambinetta del cazzo che si rispetti.
«Non dovevi fare la doccia tu? Sembri un cadavere.» Julia reclinò il viso fissandola divertita, l’amica non le diede il solito filo da torcere limitandosi ad alzarsi e dirigersi in camera propria per prendere un cambio.
Le dinamiche piramidali e sociali di quel luogo, a cui Hansel aveva pensato di sfuggire, le piombarono inconsapevolmente addosso cinque minuti dopo mentre stava ritta di fronte la porta del bagno, osservando la scritta che lo dichiarava inagibile. Il consiglio chiedeva alle studentesse di scendere al piano inferiore per lavarsi, avendo già provveduto a sgomberare per una singola ora il piano maschile, in modo che si potesse usufruire del servizio.
«Ma non funziona seriamente un cazzo in questo posto?» Con eleganza diede un calcio alla porta incenerendo il cartello con un’occhiata di fuoco. Seguendo un bivio inconsapevole fissò la porta della propria camera e infine i vestiti che teneva in mano, rimandare o seguire le istruzioni? Due minuti dopo scendeva le scale con aria per nulla contenta e soddisfatta. Il corridoio dei ragazzi le apparve vuoto, in linea con la dicitura del cartello, eppure passando davanti ad alcune porte era sicura d’aver sentito borbottare. Non se ne curò entrando finalmente nel bagno, osservando le docce comuni con espressione affranta, per poi poggiare i propri effetti su uno sgabello iniziando a denudarsi nel piccolo spogliatoio. Ci avrebbero messo molto a ripristinare i servizi al loro piano? Ma soprattutto Julia ne era consapevole? Non le aveva detto nulla, era probabile di no. L’acqua bollente mitigò il suo disappunto strappandole un sospiro di piacere, sentiva i muscoli del collo completamente contratti e forse a causa dello scroscio insistente non sentì la porta aprirsi e richiudersi, fu solo quando una sagoma le apparve di sfuggita che si decise a voltarsi convinta di trovare un’altra ragazza alle prese con il medesimo problema. Ciò che vide le fece pentire amaramente non solo d’essere nata ma anche d’essere stata proprio concepita da qualsiasi entità superiore prima della sua stessa nascita. Lo sguardo scivolò sul corpo nudo di Tate che la fissava tra lo scioccato e il divertito.
«Non pensavo fossi una sottospecie di pervertita a cui piacciono le ammucchiate nella doccia.» La mano della ragazza scattò ad afferrare il bagnoschiuma scaraventandoglielo contro, furono solo i provvidenziali riflessi del ragazzo a salvarlo da un trauma cranico assicurato.
«Che cazzo ci fai qui dentro?» La voce inviperita di Hansel era così bassa da infrangere le barriere del suono, ma al contrario.
«Dovrei essere io a farti questa domanda, non so se hai notato ma questo è il bagno dei ragazzi.» Sillabò le ultime parole come se avesse di fronte una povera demente, mentre apriva il soffione di una delle docce piazzandosi sotto. Hansel era scioccata dalla sua aria strafottente e completamente a proprio agio in una situazione così assurda e imbarazzante. Per non parlare del fatto che gli occhi continuavano a caderle in mezzo alle cosce. Era una pervertita? Probabile, ma chi cazzo non lo farebbe?  «Hai finito di guardare? Mi sento molestato.» Incredula soffiò una risatina isterica chiudendo gli occhi e scuotendo il capo.
«Tu sei.. dio che schifo.» Pressò le palpebre con le mani pensando velocemente a cosa fare.
«Le senior ti hanno dato il loro personale benvenuto a quanto pare, e come te a chissà quante altre che arriveranno qui in settimana.» Spalancò gli occhi iniziando a fare mente locale, erano state loro. Come diamine aveva fatto a cascarci come un’idiota? Fortuna che si vantava del suo QI, ma quale quoziente intellettivo? In testa aveva delle fottute scimmie ritardate.
«Piantala di fissarmi.» Chiuse l’acqua afferrando velocemente un telo con la quale si coprì, sentiva la pelle ribollire e più sotto il sangue divenire incandescente, non capiva però se per la rabbia o per la presenza dell’altro.
«A breve arriveranno altri ragazzi, gli allenamenti di football e nuoto finiscono quasi alla stessa ora. Vuoi sul serio rimanere qui?»
«Oh merda..» mormorò quelle parole e forse fu il tono che strappò una risatina a Tate, la prima che aveva modo di concederle e che la distrasse. ‘’Per l’amor del cielo Hansel, concentrati, sei nella merda’’ lo ripeté alla se stessa che probabilmente sarebbe dovuta entrare in analisi di lì a breve, sentendo dei rumori provenire da fuori la porta. La disperazione schizzò alle stelle, se l’avessero trovata lì sarebbe stata la fine. Già si vedeva etichettata come la pervertita delle docce, o peggio come la cogliona vittima delle senior. Fissò Tate in maniera disperata e inaspettatamente lo vide muoversi avvolgendosi un telo sui fianchi mentre il secondo, appena più piccolo, lo piazzò sopra la sua testa oscurandole la visuale.
«Seguimi.» Lapidario nel tono non le diede il tempo di ribattere trascinandosela dietro con i vestiti sottobraccio. Fuori la porta Hansel riuscì a sentire dei fischi divertiti, a testa bassa vedeva le scarpe dei ragazzi. Quanti erano? Contò circa dodici piedi, quindi sei persone. Sei fottute persone che non riuscivano a vederla in viso ma che sicuramente iniziavano a domandarsi chi fosse.
«Dovevi sceglierti proprio la doccia per scopare? Potevi trattenerti un po’, almeno avremmo avuto un bel vedere.» Le risatine sguaiate la tramortirono, soffocò la voglia di strapparsi quell’asciugamano dalla testa e prenderli tutti a scudisciate.
«Che posso dire, è una ragazza calda e le piacciono i posti strani.» Le risate aumentarono d’intensità ma la presa delle sue mani divenne più serrata e il tragitto ricominciò  a passo adesso decisamente svelto fino alla camera del ragazzo. Ebbe appena il tempo di entrare e sentire la porta chiudersi a chiave che stava già con l’asciugamano in mano, a mo di arma, e lo sguardo inviperito.
«Una tipa ‘’calda’’? Vuoi vedere quanto sono calda, Tate?» Il ragazzo più che spaventato sembrava divertito, a braccia incrociate la fissava come fosse una specie di giocattolino della quale desiderava capire le dinamiche.
«Dovresti dirmi ‘’grazie’’, o in questo momento saresti lo zimbello del campus. E credimi, i pettegolezzi non te li scrolli di dosso facilmente.» A quelle parole Hansel perse l’uso delle proprie, ricordando il discorso fatto con Julia. Aveva ucciso sul serio un suo coetaneo? Quindi era in una stanza, completamente sola, con un potenziale omicida? Matthew si intromise negli anfratti della sua mente, perché diamine non era entrato lui in doccia? Quantomeno sarebbe morta si d’imbarazzo, ma sempre meno. Lo sguardo si spostò a osservare il fisico ben piazzato che dava sfoggio di se, le due linee inguinali si perdevano oltre il bordo dell’asciugamano, facendole domandare perché la vita avesse deciso di accanirsi con lei in questo modo. Che tipo di karma era mai questo?
«Posso cambiarmi da qualche parte.. da sola?» A capo chino lasciò cadere qualsiasi voglia bellicosa, seguendo la direzione di quel braccio che la condusse direttamente alla camera del ragazzo. Fece girare due volte la chiave nella toppa, per sicurezza, ignorando la grassa risata che sentì rimbombare attraverso, accasciandosi sul letto. Le mani sostenevano il viso che temeva potesse staccarsi per la vergogna, il detto ‘’perdere la faccia’’ non le era mai sembrato così calzante. Inoltre una parte del suo cervello, quella lesa era ovvio, non la smetteva di rimandarle flash di quel corpo nudo e bagnato. Hansel non si era mai considerata una pudica, né una figa di legno. Aveva perso la verginità a diciassette anni, e si reputava una ragazza come tante dai sani appetiti sessuali, ma in quel momento sentiva d’essere più una specie di maniaca che altro. Cinque minuti dopo uscì in pigiama e completamente ricomposta, sul viso dal cipiglio fiero nessuna traccia del tracollo isterico a cui s’era abbandonata pochi secondi prima. Tate sedeva su uno sgabello, bevendo una birra e solo in quel momento la ragazza si permise d’osservare la sua ala ‘’comune’’, composta da un evidente minibar e un biliardo posto proprio al centro, a contornare il quadretto un divano dall’aria costosa e alcuni quadri appesi alle pareti. Chi era il suo compagno di camera?
«Spero non parlerai con nessuno di questo incidente.» Si schiarì la voce che le uscì più supponente di quanto avrebbe voluto, si stava sul cazzo da sola quando lo faceva figuriamoci a chi la subiva.
«Se avessi voluto farlo non ti avrei salvato il culo, che per inciso merita.» Il sorrisino di scherno venne coperto dalla bottiglia bevuta avidamente.
«Sei consapevole di quanto questa frase suoni come una molestia sessuale?» A onor del vero non s’era di certo tirata indietro quando sotto la doccia aveva fatto una completa radiografia al ragazzo, che stranamente non glielo rinfacciò limitandosi a una scrollata di spalle indolente.
«Se avessi voluto approfittarne lo avrei fatto, cosa che non è. Né sarà mai.» Quel tono lapidario punse sul vivo la sua vanità, portandola a ridere scioccata scoccandogli un’occhiata infuocata.
«Cos’è, sono al di sotto dei tuoi standard?» Era assurdo, voleva mozzarsi quella lingua che la stava trascinando come un automa all’infantilismo adolescenziale. La risposta arrivò come uno schiaffo.
«Lo sei, per l’appunto. I flirt di Matthew per me sono scarti, non ho alcun piacere a mischiarmi con questi.» L’aveva appena definita scarto? Si grattò l’orecchio fingendo di sturarlo, come se non avesse capito bene le sue parole, muovendo qualche passo nella sua direzione.
«Per tua informazione io non sono lo scarto di nessuno, esimio coglione borioso.» Tate stirò le labbra in quello che pareva un sorriso stupito.
«Sembri persino intelligente, nonostante gli ultimi avvenimenti, il mistero si infittisce.» Bevve ancora dalla bottiglia sotto lo sguardo ormai furente di Hansel.
«Non trovi patetico gettare fango su qualcuno, che non è neppure qui a difendersi?» Perché diamine stava difendendo Matthew adesso? Forse perché ne sentiva la necessità, o forse per il puro piacere di contraddire quella faccia di merda.
«Sa perfettamente cosa penso di lui, non ne sarebbe stupito se fosse qui. Magari incazzato, in fondo sarebbe piaciuto a lui soccorrerti nella doccia e posso scommettere che non ti sarebbe dispiaciuto.» Quelle insinuazioni sessuali iniziavano a starle strette, respirò profondamente pressandosi la base del naso con due dita, annuendo col capo.
«C’è stato un minuscolo momento in cui ho pensato tu potessi essere una persona decente, non buona, non fantastica, ma decente. Quel momento si è appena frantumato.»
«Questa rivelazione scioccante non mi farà dormire tutta la notte. il tono laconico e palesemente falso le mise le ali ai piedi mentre usciva come una furia sbattendosi la porta alle spalle. Il corridoio era fortunatamente deserto, e con la stessa rapidità salì i gradini fiondandosi nella propria camera, poggiandosi al muro con una mano al petto. Era stata la serata più assurda, ridicola e tossica della sua vita, e tutto per colpa di quel primate incapace travestito da modello pezzente. Che diamine di problemi aveva? Perché non poteva reagire come ogni persona normale? Hansel non riusciva a credere che i dialoghi presenti ancora nella sua memoria fossero avvenuti seriamente, in più si sentiva tormentata da quegli occhi neri e perennemente apatici, come fosse rivestito di materiale isolante e nulla lo scalfisse. Tipico dei sociopatici, o forse erano gli psicopatici? Uno valeva l’altro, era comunque un pazzo a suo dire e Hansel decise in quel momento che probabilmente stargli lontano, come desiderava anche Matthew, non era una cattiva idea.

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Capitolo 3
*** III ***


La pioggia cadeva fitta e violenta, provocando un sordo rumore ogni volta che sbatteva contro l’ombrello. Lo sollevò appena fissando il grande cancello e la targhetta in metallo che annunciava l’arrivo nella clinica privata dall’apparenza sfarzosa e opulenta, Tate si decise a proseguire ignorando l’ambiente attorno a se, sfocato a causa della fitta pioggia, arrivando fin quasi all’ingresso notando solo in quel momento la sagoma al riparo sotto la tettoia, la fissò riconoscendola subito.
«Tate! Non ti vediamo da un po’, pensavo fossi impegnato con il college.» L’infermiera sorrise accarezzandogli il braccio attraverso la stoffa della felpa constatando quanto fosse zuppa. «Questi dannati ombrelli inutili, sei fradicio.»
«Dov’è lui?» I suoi occhi neri quel giorno apparivano più stanchi del solito, rimarcati dalle occhiaie quasi a volerne enfatizzare lo stato d’animo. La donna non sembrò turbata dalla domanda ruvida e priva di inutili convenevoli, dopo due anni passati a guardarlo crescere aveva ormai preso atto della natura chiusa e schiva del giovane, provandone ogni volta profonda tristezza. Indicò con un cenno il gazebo sul retro.
«Lo sai com’è fatto, neppure la pioggia lo ha convinto a desistere.» Il ragazzo annuì distrattamente come se fosse già passato oltre, come se avesse totalmente superato la sua presenza e pochi istanti dopo avanzò a passo svelto lungo il giardino curato arrivando al luogo indicatogli con un sospiro. L’uomo stava lì seduto, nella medesima posizione assunta ogni volta, le mani serrate tra loro in mezzo alle gambe appena schiuse e il viso proteso a osservare il cielo.
«Ehi, papà..» la sua voce solitamente monocorde assunse sfumature affettuose dal retrogusto amaro, mentre prendeva posto accanto a lui senza smettere di fissarlo. Dylan lo guardò come spaesato, sbattendo le palpebre, da qualche tempo i medicinali di quel posto iniziavano a provarlo rendendolo perennemente stanco.
«Ti sei perso ragazzino? Hai sbagliato persona.. non sono tuo padre.» Tate serrò la mascella fermando il tremolio delle labbra, il magone in gola non voleva saperne di scendere giù e dargli tregua, permettergli di respirare, di fingere come sempre quella stupida commedia. C’era un qualcosa di tragicomico in quelle parole che l’uomo gli rivolgeva ogni singola volta, il suo presupporre di non essere il genitore che Tate cercava si avvicinava così tanto alla realtà da provocargli dell’ilarità involontaria.
Dylan Vaughan era arrivato nella sua vita quando di anni ne aveva poco più di due, gli aveva dato tutto ciò di cui un bambino aveva bisogno. Una casa, una stabilità, dell’amore, il proprio cognome. Sposò la madre dopo la morte del primo marito, amò quel figlio con la quale non condivideva neppure una goccia di sangue come fosse proprio. E adesso cos’era rimasto? Ogni volta che lo guardava, che vedeva quelle rughe spaccare sempre di più il suo volto, continuava a domandarsi quando il filo della propria vita si fosse spezzato e riannodato così male. Così malato. Così tossico.
«Prenderà freddo sotto questa pioggia, perché non rientra?» Mise insieme un sorriso allungando una mano come a volerlo toccare, desistendo all’occhiata spaesata del padre.
«Non posso, sto aspettando mio figlio.. vuoi vederlo?» Tate annuì consapevole di cosa avrebbe visto, una sua foto ormai vecchia che lo ritraeva sopra le spalle dell’uomo, all’età di cinque anni. Osservò quell’istantanea con un sospiro tremulo, leccando le labbra improvvisamente secche.
«E’ un bel bambino.. sono sicuro verrà presto a trovarla.» L’uomo scosse il capo sconsolato riprendendosi la foto, il tremolio alle mani adesso più evidente mentre asciugava una lacrima solitaria dalla guancia.
«Non verrà, mi ha dimenticato..» Un padre. Un figlio. Un amore viscerale. Tate era la prova di quanto non fosse necessario avere un legame di sangue con qualcuno per sentirsene legato indissolubilmente, non era necessario che un figlio avesse il tuo stesso sangue per amarlo in maniera totalizzante. E adesso cos’era rimasto? L’inesistenza.
 
«La preside ha chiamato, ancora.» Il tono severo del padre fece calare improvviso il silenzio a tavola, a quel tempo la sua malattia era ancora agli inizi e Dylan possedeva ancora quell’aura forte e compunta che il figlio aveva sempre ammirato.
«E’ stato solo uno scherzo innocente, non ricapiterà più.» Il pugno sbatté sul tavolo, Karis sobbalzò appena incenerendo il figlio con un’occhiata. Non sapeva fare altro da che ne avesse memoria, il suo tragico errore era da sempre porre limiti, divieti, rimproveri e umiliazioni senza mai spiegarne le ragioni. Ristretta nella mente così come nella vita, castrando quel figlio che adesso sembrava essere esploso tutto d’un colpo.
«Versare un secchio di piscio a uno studente è per te uno scherzo innocente? E’ così che ti ho educato, Tate? Ti ho per caso insegnato a umiliare gli altri per il tuo patetico divertimento?» Il sedicenne soffocò uno sbuffo, la sua mente d’adolescente non riusciva ad ammettere i propri errori ma allo stesso tempo sentiva d’essere turbato dall’umiliazione dilagante dentro di se. Perché si, era consapevole dei propri sbagli ma non del peso che questi avevano nelle vite degli altri probabilmente. Versare urina sulla divisa del secchione di turno era qualcosa di goliardico, qualcosa per cui ridere, ma per Trevor (il malcapitato) lo era allo stesso modo? Si grattò la nuca sospirando in silenzio, la filippica del padre non sarebbe finita tanto presto. Matthew ne avrebbe ricevuta una simile? Probabilmente no, il padre era troppo impegnato a coprire i suoi di scandali e come tale faceva con quello dei figli. I due si conoscevano praticamente da sempre, avevano frequentato tutte le scuole insieme, fuorché le elementari, divenendo un nucleo indissolubile. Propensi alla leadership, detenevano dominio assoluto nel loro liceo, compiendo spesso atti che molti avrebbero giudicato illegali oltre che pericolosi.
«Un’altra cazzata del genere e il viaggio a Naples te lo scordi.» Bastò quella parola a fargli scattare in alto la testa fissando rancoroso l’uomo, alzandosi con furia.
«Non ricattarmi, non sei mio padre.» Karis sbatté la mano sul tavolo alzandosi di rimando, piantandogli un ceffone che ammutolì tutti e tre. Tate respirò affannosamente toccandosi la pelle adesso incandescente.
«Sei sempre stato un cane irriconoscente, tutto tuo padre.»  Quello biologico.
 

La pioggia aveva smesso di cadere, ma il cielo restava ugualmente nero come a presagire chissà quali disgrazie a incombere su di loro. Dylan si alzò e Tate allungò immediatamente le braccia per sorreggerlo e aiutarlo.
«Grazie.. sei un bravo ragazzo.» Cosa determinava l’essere bravo o cattivo? Potevano le vecchie azioni essere dimenticate? Potevi in qualche modo rimediare ai tuoi errori? Tate arrancò lungo il vialetto desiderando che la pioggia tornasse a cadere coprendo le sue lacrime che come gocce acide corrodevano le sue guance fin nelle ossa.
 
 
«Possiamo parlare?» Le dita di Matthew si serrarono sul braccio della ragazza, i suoi occhi verdi in pieno tumulto mentre la trascinava lontano incurante della sua risposta. Parecchi ragazzi al campo parlavano della tipa misteriosa di Tate, e altri avevano riconosciuto in lei Hansel provocando la sua reazione furibonda. Era sempre lui. Sempre in mezzo alla sua vita. Sempre a ricordargli il passato, a ricordargli il suo odio, il suo carattere orribile che non riusciva in nessun modo a mitigare.
«Lasciami andare, mi stai facendo male.» Hansel sbottò irata scrollandosi da quella presa, massaggiandosi la pelle adesso arrossata. Ancora una volta quei repentini cambi d’umore la portavano a pensare se conoscesse davvero il ragazzo per la quale aveva avuto la sua prima vera cotta adolescenziale, se le persone non cambiassero col tempo in maniera radicale, o se peggio camuffassero la loro essenza.
«Cosa c’è fra te e Tate.» Arrivò così a incombere, a bruciapelo provocando nella ragazza una scossa che la costrinse a retrocedere. La sua espressione confusa sembrò calmare il biondino che mitigò il tono fino a quel momento rude. «Eri in quella doccia assieme a lui?» A quanto pare le voci correvano e piuttosto in fretta, ma soprattutto come aveva detto Julia di volta in volta venivano abbellite di particolari.
«Non penso di doverti dare alcuna spiegazione in merito, ma giusto per sfatare queste abominevoli cazzate.. è stato tutto un equivoco.» Spiegargli dello scherzo fatto dalle senior gli provocò i medesimi sentimenti di stizza che in qualche modo aveva provato a soffocare in quei giorni, ripetendosi mentalmente che tutto andava bene e che ogni cosa sarebbe tornata alla normalità.
«Mi dispiace per poco fa.. non volevo aggredirti, ma questa storia mi fa incazzare come una bestia.» Arruffò i capelli sedendosi su una delle panche del vialetto, a quell’ora il via vai di gente era meno intenso del solito a causa delle lezioni all’interno della struttura. Allungò una mano per afferrare quella della ragazza, stavolta gentilmente, invogliandola a venirgli vicino, sorridendole.
«Sei geloso?» Un sentimento parecchio ambivalente, che riusciva a essere sia positivo che negativo a seconda dell’intensità e della persona contro cui si abbatteva. Hansel si sentiva lusingata, ma dall’altro lato le sue reazioni non rientravano comunque tra quelle che avrebbe definito ‘’piacevoli’’.
«Non è solo questo..» sembrò in difficoltà mentre sceglieva con cura le parole. «Non farti ingannare dalla sua aria silenziosa, Tate è un vero bastardo. E non è un santo come pretende di essere.» In poco più di dieci giorni si era ritrovata a sentire i medesimi discorsi ma da due prospettive diverse, eppure quella volta giudicò inopportuno lanciarsi in una filippica per difendere Tate, sarebbe stato da ipocriti viste le cattiverie che gli aveva riversato contro nella sua mente.
«Ne parlate tutti come fosse una specie di mostro, ma nessuno che si sprechi a spiegare cos’ha mai fatto. Questo io lo definisco: strano.» Incrociò le braccia al petto sentendo improvvisamene quelle mani circondarle i fianchi costringendola a ricadere sulle sue gambe seduta, provocandole una momentanea confusione dovuta alla sorpresa.
«Alle superiori era il mio migliore amico, lo era davvero.» La sorprese sentirsi confermare qualcosa che sapeva già, ma dalla sua bocca. «Facevamo tutto insieme, persino il viaggio a Naples, dove ti ho incontrata..» il suo sorrisino malizioso la fece avvampare costringendola a sviare lo sguardo altrove, ma le sue dita la forzarono a fissarlo, mentre il pollice le accarezzava le labbra con desiderio. «Eravamo dei ragazzini stupidi, facevamo gli stronzi con altri studenti.. e lui mi denunciò, rischiando di rovinarmi la carriera a pochi mesi dal diploma.» Hansel restò in silenzio elaborando quelle parole, a giudicare da ciò che aveva visto usare il tempo verbale al passato per definirsi ‘’stronzi con altri studenti’’ lo giudicava inappropriato, ciò non toglieva che Tate era stato un vile traditore nei confronti di quello che giudicava il suo migliore amico. Le dita scivolarono tra i capelli biondi e lievemente ondulati del ragazzo, ne apprezzò la consistenza.
«Mi dispiace, deve essere stato orribile essere traditi dalla persona che reputavi più importante..» Le tornò in mente Charlie, e Matthew sembrò turbato da quelle parole come se faticasse a trattenere quell’espressione composta e sprezzante nel ricordare l’amico. Un respiro profondo prima di baciare le labbra morbide di Hansel, e i pensieri scivolarono via come degli abiti lasciandolo nudo di emozioni. Intensificò quel contatto stringendola a se, ricordava ancora quel sapore che non sembrava cambiato per niente, nonostante adesso vi fosse più malizia e consapevolezza nei suoi gesti, nel suo ricambiarlo con la medesima intensità. Quando l’aria venne meno la fissò attentamente.
«Mi fai uscire fuori di testa, seriamente.» La risata femminile e cristallina lo portò quasi involontariamente alla medesima ilarità.
«Calma i bollenti spiriti Reed, ho una lezione tra poco, quindi..» gli scoccò un bacio rumoroso sgusciando via dalla sua presa in un momento di distrazione, allontanandosi consapevole di quegli occhi che le stavano praticamente mandando a fuoco la schiena.
«Ma dove diamine eri finita?» Julia masticò voracemente un biscotto osservando con interesse l’amica.
«A quanto pare la mia scorribanda nel bagno maschile ormai è di dominio pubblico.» Si lasciò cadere su uno dei gradini in marmo spalmandosi le mani sulla faccia rumorosamente, tralasciando i risvolti romance con Matthew era comunque una notizia di merda quella.
«Come diavolo è potuto accadere?» Ottima domanda, il punto era proprio quello.
«Già, se io non ho parlato..» sollevò di scatto il viso a occhi sbarrati, mentre un’idea le sfiorava il cervello come un proiettile a velocità, la biondina di fronte a lei intuì quell’intenso lavorio scuotendo appena il capo.
«Sei folle, che senso ha salvarti per poi andare a dirlo in giro? Okay, Tate può essere una merda e lo abbiamo appurato, ma .. il senso?» Magari aveva voluto tirarle un brutto scherzo, farle pagare la loro discussione di quella sera? Allora perché non raccontare anche il post doccia nella sua camera? Non che fosse successo qualcosa, ma era comunque equivoco restarci in stanza da sola, avrebbero avuto di che parlare quelle iene sbavanti. Il soggetto delle loro ciarle passò in quel momento, Hansel osservò i jeans e il modo in cui aderivano alle cosce e la semplice maglia bianca che tirava all’altezza delle spalle.
«Ehi tu, bastardo.» Quella voce supponeva l’avrebbe ormai riconosciuta tra mille, considerando che ne aveva sentito ogni sfumatura per sua disgrazia, quindi quando si voltò non fu stupito nel trovarsi di fronte Hansel con la sua migliore occhiata omicida.
«Non c’eravamo accordati per ignorarci? Mi stava piacendo il proseguo della cosa.» Julia rise bloccandosi all’occhiata incendiaria dell’amica, insomma non si poteva neppure scherzare un po’.
«Hai detto tu alla gente cos’è successo nella doccia?» Tate inarcò un sopracciglio sistemando lo zaino sull’unica spalla con la quale lo teneva.
«E se anche fosse?»
«Oh andiamo, sei stato sul serio tu?» Julia sembrava la più incredula mentre lo afferrava per il braccio costringendolo a fissarla, non riusciva a crederci semplicemente. Stava diventando un pazzo insensato?
«Ho detto: e se anche fosse? Cosa pensi di fare al riguardo, sono curioso.» Si avvicinò ad Hansel chinandosi appena con un sorrisino ironico, costringendo la ragazza a retrocedere a ridosso dei gradini. Perché diamine quegli occhi neri la confondevano in quel modo? Perché sentiva quella perenne sensazione quando lui le bazzicava attorno?
«Non farei nulla, sei patetico già così.» Sembrò colpito da quella risposta raddrizzando la schiena per lasciarla finalmente libera, Hansel si rese conto di non aver praticamente respirato.
«Pranzi con me?» Il repentino cambio d’argomento la scioccò mentre lo fissava rivolgersi a Julia con uno sguardo che non le piacque, cos’è adesso voleva provarci con lei? Assottigliò le palpebre incredula.
«Okay, ho voglia di cibo spazzatura. Ma paghi tu.» Sorrise civetta lasciando che Tate passasse un braccio sulla sua spalla, portandosela via. Voltò appena il viso per fissare l’amica sillabandole un ‘ci vediamo dopo’ che non servì granché a mitigare il suo malumore che sprizzava palesemente dalle iridi cangianti.
 
«Quindi ricapitolando, vi siete baciati ma non state insieme, giusto?» Sembrava come se fosse di fronte a un’equazione complessa piuttosto che a un semplice e comune caso di limone duro. Hansel sbuffò ormai prostrata dall’interrogatorio a cui era stata costretta ore prima, non aveva neppure aperto la prima pagina del suo libro e sentiva lo stomaco aggrovigliarsi per la fame.
«Perché ne sembri stupita? Ti fidanzi con ogni ragazzo che baci?» Mordicchiò la matita con un mezzo sorrisino, consapevole di quale sarebbe stata la risposta. Julia era uno spirito libero, un po’ selvaggia nelle sue idee e nella sua concezione di autonomia, per questo le piaceva.
«Figuriamoci.. però Matthew mi sembra abbastanza preso da te. E tu anche, o vuoi negarlo?» Ma per cortesia, le si leggeva in faccia che avesse una cotta stratosferica per quello stronzo dal sorriso stupendo. Bisognava capire fino a che punto però, inoltre dopo la rottura con Charlie non voleva imbarcarsi subito in una nuova relazione.
«Non lo nego, ma penso di volermi godere il college.. se capisci cosa intendo.» Si fissarono furbamente dandosi il cinque, feste, ragazzi, divertimento, a che pro privarsi di tutto? Lo avrebbe fatto, quando magari avrebbe capito di volerlo davvero.
«Piuttosto ho bisogno della stanza per un po’, mi devo vedere con una persona..» Hansel la fissò scocciata indicandola con la matita.
«E quindi? Hai la tua camera per scopare, perché dovrei andarmene?» Una logica inoppugnabile a suo dire, avevano entrambe una camera che manteneva la totale privacy, e anche quando volesse scopare proprio su quel divano poteva benissimo essere Hansel a chiudersi nella propria fino al giorno dopo. Julia però sembrava in evidente imbarazzo, e questo la fece sospettare parecchio.
«Si lo so.. però ecco.. dovrei parlare a questa persona, e mi serve della privacy. Non ti chiedo molto, massimo due ore.» Lo stomaco di Hansel brontolò spezzando quel momento, sospirò sollevando i lunghi capelli in un chignon scomposto che verteva da un lato della nuca, fermandolo con la matita rosicchiata alzandosi per accontentare l’amica. Era evidente non le avrebbe detto altro.
«Hansel, ma dove cazzo vai conciata in quel modo?» Si bloccò fissandosi, indossava dei pantaloni da tuta sformati e di un rosso abbastanza scolorito, e una felpa con cerniera del medesimo colore, il tutto contornato da una linea bianca ai lati di maniche e cosce, e ovviamente oversize. Una specie di copia brutta dell’adidas per capirci, presa in un mercatino a dieci dollari. La tenuta studio di Hansel, come la chiamava lei, quella con la quale si sentiva a proprio agio, ma che la faceva apparire una specie di scappata da casa con tendenze psicotiche.
«Ho notato che fuori il college ci sta una specie di minimarket aperto H24, vado a comprare del cibo, perché?»
«Perché fai schifo?» Julia sorrise come se di fronte avesse una malata mentale, e per tutta risposta l’amica scrollò le spalle chiudendosi la porta alle spalle. Qual era il problema dell’uscire con quell’abbigliamento ‘’lievemente’’ trascurato? Non doveva mica vedersi con Matthew, o andare a rimorchiare qualcuno. A volte era semplicemente bello prendersi una pausa dal piacere a tutti i costi, dal voler sempre apparire al meglio, e fare la randagia.
Il cassiere era sicura fosse minorenne, e quella barbetta spelacchiata non gli aumentava di certo l’età, mentre fissava la bocca sottile ma spalancata masticare una gomma in maniera disgustosa. Hansel si riscosse osservando le vivande battute una per una, pagando con un mezzo sorrisino incerto per poi dirigersi fuori dove prese posto in uno dei tavolini in plastica completamente vuoti a quell’ora. Scartò per prima cosa il gelato iniziando a mangiarlo con gusto, godendosi la brezza serale e il panorama notturno. A volte quando si soffermava a pensare le risultava incredibile essere sul serio a New York, una delle metropoli più belle e ambite del mondo, di essere una studentessa alla Columbia, la sua giovinezza non era mai stata più evidente e presente di quel momento. Le faceva venire voglia di godersela senza rimpianti.
«Stavo per lasciarti l’elemosina, pensando fossi una barbona.» Quella voce. Le andò di traverso la panna del gelato, tossì battendosi una mano sul petto e quando sollevò gli occhi la tragicità del suo presentimento le si confermò in tutta la sua bellezza dai capelli corvini e liscissimi.
«E quando hai confermato non lo fossi, perché non hai proseguito dritto lasciandomi in pace? Chiedo per pura curiosità.» Sorrise falsamente restando sbigottita nel vederlo sedersi al suo tavolino iniziando a rovistare nella busta, prendendo una confezione di patatine che ricordiamoci aveva comprato per se stessa.
«Penso dovremmo diventare non dico amici, ma piacevoli conoscenti.» Quel repentino cambio d’opinione non la stupì, o meglio non più del solito, ormai era abituata a quelle uscite assurde da parte dell’altro.
«Sei proprio un bugiardo, sei solo convinto che gironzolandomi intorno Matthew si incazzi.» Scosse il capo mostrandosi impietosita da quella conclusione, lasciandosi ricadere contro lo schienale, tornando a leccare il gelato stavolta con meno enfasi e piacere.
«Sei tu convinta che il mio mondo giri attorno a lui, comprensibile d’altronde.» La indicò in maniera eloquente come a mettere in discussione nuovamente la sua capacità d’intendere e volere, Hansel respirò profondamente cercando di mantenere la calma.
«Non sono io quella che ha raccontato a tutti della doccia solo per infastidire Matthew.» Con un movimento improvviso poggiò i gomiti sul tavolino, chinandosi verso di lei per fissarla con attenzione.
«Che motivi hai per pensare queste cose di me? A parte ciò che ti racconta il tuo fidanzatino? Il problema è questo, hai già deciso chi nella tua patetica storiella romantica sia il buono e chi il cattivo, se corrisponda alla realtà è indifferente.» Quelle parole colpirono come uno schiaffo dritto in faccia facendola avvampare, aprì la bocca come a voler rispondere ma le frasi brillanti e piccate non uscirono. Perché aveva come la sensazione d’essere stata svergognata senza pietà? Che motivi aveva effettivamente per odiarlo ed etichettarlo come il cattivo, se non le parole di Matthew?
«Se pensi questo che ci fai seduto qui? Dovresti andare via, non sono una ragazza degna di nota a quanto pare.» Il sorriso di Tate balenò nella penombra facendole perdere un battito, una sfilza di denti bianchi e dritti, le labbra carnose incurvate e schiuse.
«Ti è mai capitato di guardare qualcuno e pensare di averlo già incontrato? Di conoscerlo in un certo senso.» La brezza serale scompigliò i suoi capelli, fissava quel viso dai tratti dolci ed eleganti e quegli occhi così particolari che era sicuro avessero il potere di rimescolarti dentro se solo lo avessero voluto.
«Parli di me .. e te?» Ricordava per caso l’incontro a Naples? L’aveva guardata per quelli che erano stati pochissimi secondi, era possibile che quel ragazzo che sembrava preoccuparsi solo di se stesso l’avesse ricordata? Hansel non ricevette risposta, ma una semplice scrollata di spalle osservandolo ricadere contro la sedia mangiando tranquillamente le patatine.
«Un amico del giornale mi ha detto che hai chiesto di poterci lavorare.» A quelle parole il gelato divenne un lontano ricordo, mentre si scioglieva più velocemente di quanto riuscisse a mangiarlo, troppo presa dal fissarlo.
«Fammi indovinare, gli hai detto di lasciarmi perdere?» Sarebbe stato il minimo visti i loro precedenti e il modo in cui lei l’aveva trattato e bollato, eppure il ragazzo sembrò quasi confuso da quelle parole mentre aggrottava la fronte, la patatina sospesa tra le labbra.
«Ovviamente no, gli ho detto che hai la lingua abbastanza affilata e lui ha detto che ti avrebbe presa in considerazione.»
«Vuoi qualcosa in cambio?» La sua diffidenza non sembrava conoscere limiti, e si domandava perché con lui saltasse subito all’erta.
«Voglio che la pianti coi tuoi pregiudizi. Di tutte le ragazze di Matthew mi sembri quella con più neuroni.» Si stoppò masticando una patatina guardando distrattamente l’interno del minimarket chiedendosi cosa prendere da bere e forse cercando da qualche parte anche la voglia di alzarsi.
«Poco fa hai detto che ho già etichettato te come il cattivo e lui come il buono.. quindi è il contrario?» La sua risatina echeggiò tra loro lasciando la ragazza con un vago senso di vuoto alla bocca dello stomaco, qualcosa di freddo colò tra le sue dita rendendosi conto che il gelato ormai era andato perso. Leccò le dita ignorando gli occhi neri che sembravano divenire via via più maliziosi gettando il resto del cono nella pattumiera lì accanto.
«Quindi? Sto aspettando una risposta.»
«Perché sei così schematica? Come se esistessero persone solo buone o solo cattive, vivi nel mondo delle favole Hansel? Ne porti il nome effettivamente, ma non devi essere così banale.» Il suo nome venne pronunciato per la prima volta da quella voce, le piacque. «Sono stato abbastanza chiaro?» In parole povere era evidente ci fossero molte più cose dietro tra quei due, così com’era evidente che Matthew avesse raccontato la propria versione, non per forza vera. Ma neppure per forza falsa e questo Hansel non poteva sopprimersi dal pensarlo, che motivo aveva di non credergli? Tate si alzò rientrando dentro il negozio, uscendone pochi minuti dopo con due lattine di birra, una delle quali andò dritta tra le mani della ragazza che stava lì seduta a chiedersi perché non avesse approfittato di quella momentanea lontananza per andare via. Forse perché la sua compagnia in fondo non le dispiaceva, le piaceva quel suo modo di parlare, come snocciolava i pensieri e come la guardava. Non pensava degli occhi nocciola potessero essere così espressivi. 
«A volte capita.» La lattina a mezz’aria, i suoi occhi che la fissavano incuriositi da quella frase apparentemente casuale.
«A volte capita, cosa?»
«Di vedere qualcuno, avere la sensazione di averlo già visto..» si mantenne vaga senza un reale perché, non capiva cosa la spingesse a non parlargli di quell’incontro fortuito a Naples, forse l’imbarazzo di apparire come una specie di psicopatica che lo aveva riconosciuto dopo una ben misera occhiata davanti una fermata dell’autobus?
«Quindi è una tregua questa?» Hansel osservò la mano protesa nella sua direzione, le dita lunghe e affusolate sembravano attendere stoiche e immobili.
«Tregua.» Quando strinse la mano di Tate sentì una scossa spalancarle ancora una volta quel buco al centro esatto dello stomaco, l’aveva sentita anche lui? A giudicare dall’espressione beffarda si. Come l’avrebbe presa Matt vedendola parlare con l’unica persona che sembrava odiare oltre ogni logica o ragione? Non lo sapeva, e quando fissò la sedia ormai vuota accanto a se percepì un senso di sconsolata rassegnazione. Perché doveva andare sempre a ficcarsi in quelle situazioni surreali?

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