mermellata di pende

di VeronicaDallari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il duca e il pianista - 1: GIORGIA, estate 2021 ***
Capitolo 2: *** Il duca e il pianista - 2: IRENE, estate 2016 ***



Capitolo 1
*** Il duca e il pianista - 1: GIORGIA, estate 2021 ***


-Sicura?- le domanda un'altra volta.
Giorgia abbassa lo sguardo, tra le mani tremanti stringe il foglio spiegazzato. Sospira e si impone di mantenere la calma; guarda fuori dal finestrino. Davanti a lei la strada, alla sua destra la casa in cui deve entrare. Un mondo di emozioni la lega a quel quartiere, a quella via e a quella villetta. Solitamente evita di passare per di lì per non risvegliare la nostalgia che anima la sua mente ogni volta, fallendo: non c'è giorno in cui non pensi ai bei vecchi tempi.
Quasi le si riempiono gli occhi di lacrime. Si impone di non lasciarsi intimidire dal passato e si scosta i capelli dalla fronte, stringendo appena un po' più forte la lettera di Andrea in mano. Annuisce velocemente e sorride a Fabio, che la guarda preoccupato, stringendo tanto forte il volante con una mano da far impallidire le nocche. È nervoso, forse più di lei, e la cosa le fa crescere un nodo allo stomaco sempre più stretto. Cerca di non darlo a vedere e guarda fuori dal finestrino di lui: al di là delle case, il tramonto.
Prende un respiro profondo e, sentendo nuovamente la rabbia e l’immensa tristezza che l'hanno animata fino a quel momento fare capolino in lei, si slaccia la cintura di sicurezza e scende dall'auto. Muove qualche passo in avanti. C'è freddo, ma nella fretta e nell'incredulità ha dimenticato la giacca a casa.
Villa Fiore si staglia di fronte a lei in una contraddizione che sembra quasi malvagia, sbagliata. Sebbene forse la parte più importante della sua vita sia stata ferita più e più volte proprio su quel vialetto d'entrata e in quell'abitazione in silenzio e nascondendosi, non dimenticherà mai quei bei momenti passati in compagnia degli amici.
Si fa forza e suonò il campanello.
Le apre Annamaria, con i capelli raccolti in una crocchia. È tanto radiosa, ultimamente; Giorgia è felicissima che, nonostante Lorenzo non abbia mai condiviso il segreto con nessuno, la ragazza sia tanto contenta.
Una volta data qualche spiegazione più o meno convincente, riesce a sgattaiolare dentro e a salire le scale. Erano mesi che non le saliva. Sente una forte pressione sullo stomaco, come un mattone che le schiaccia gli organi: sa che è sbagliato trovarsi lì, ma questa volta non le importa. Porterà a termine quello che deve fare, per una volta nella sua vita.
La cosa che più la rimanda al passato, in quella casa, è il profumo che vi aleggia. Lo stesso di quei mille pomeriggi passati insieme a studiare i componenti del gascromatografo di Alberti, per paura di non passare il test del giorno dopo, quel famoso video che alla fine non hanno mai davvero montato, i discorsi semiseri affrontati con una cioccolata calda in mano e una vecchia coperta di lana in comune sulle spalle. Nel corso degli ultimi anni, tutte le volte che Giorgia ha sentito un profumo simile a quello, le gambe le si facevano di piombo. Si è ripetuta mille volte che era solo un odore come un altro, che andava e veniva come gli pareva, che non aveva un'appartenenza nè una meta precisa, ma era solo riuscita a sentirsi ancora peggio.
Giorgia si impone di continuare a camminare per il corridoio con lo sguardo dritto davanti a sè; Andrea non vorrebbe vederla piangere ma, per la prima vera volta quel giorno, la consapevolezza che Andrea non ci sia più e quella che nemmeno tornerà la colpiscono forte, proprio tra le costole, quindi crolla poco prima di arrivare al suo obiettivo.
Fiducia. C'è una regola non specificata, nei legami che si possono considerare profondi, ed è quella di mettere in gioco ogni giorno un pizzico di fiducia da parte di ognuno. Lei ha giocato molto più di quanto si era aspettata di poter mai fare, Andrea tutto quello che aveva, e Lorenzo... quasi nulla. E ad un certo punto si è preso ogni cosa.
Giorgia stringe i pugni, accartocciando ancora di più la lettera. Lo sa che non avrebbe dovuto prendere le parole di Andrea troppo sul serio, quel pomeriggio in cui tutto era andato in pezzi: lui non stava bene. Non solo non stava bene come non stava bene lei, ma di più. Di più, e Giorgia se n'era accorta solo quel giorno. Solo quel giorno aveva finalmente capito tutto quello che c'era stato.
Non crede sia possibile, ma sente il cuore spezzarsi ancora una volta.
Il resto del corridoio viene percorso quasi di corsa. Giorgia si blocca solo quando arriva davanti alla porta della camera di Lorenzo. A malincuore, sorride. È in legno bianco, artisticamente
contrassegnata dagli adesivi e dai poster di svariati film, gruppi musicali e telefilm. È semichiusa, e dall'altro lato proviene una melodia sommessa.
Lorenzo ha sempre amato suonare il pianoforte. Sa suonare anche la chitarra, ma i tasti sono sempre stati i suoi preferiti. Spesso, lei e Andrea lo pregavano di imparare certe canzoni, per cantare tutti insieme. Fiore si è sempre vergognato, paradossalmente, di aprir bocca davanti a loro due, ma Andrea era molto più sicuro di sè, e così trascinava Giorgia in stonatissime serenate. Era forse un segnale che avrebbero dovuto interpretare prima? Giorgia non ci ha mai pensato molto, e inizia a pentirsene: si sente una persona così dannatamente superficiale, e lo è stata fino a quel pomeriggio. In quel momento, sente per la prima volta Lorenzo cantare lontano dalle luci, dai palchi, dalle feste, dai locali. Da solo, con Lorenzo.

*Ti incontrerò al confine
per spezzare l'incantesimo
In un punto in cui due mondi collidono,
ci ribelleremo*

Si copre la bocca con le mani. Nascosta dietro alla porta semichiusa, tutta la sua rabbia svanisce in una nuvola di vapore. Rimane solo lo stupore, accompagnato da un'infinita e dolcissima tristezza. E, forse, da una passiva comprensione.

*E correremo
finchè non faremo breccia
Se mi ubriacassi abbastanza,
riuscirei a vederti di nuovo?*

**Giorgia,

la mia è stata una scelta codarda, ma non ho mai detto di essere una persona matura né di averne voglia. Ah, e non ho salutato nessuno solo perchè ho fatto le cose in fretta, non prenderla sul personale. Se hai provato a contattarmi, mi dispiace che tu abbia perso tempo: ho buttato il telefono in un tombino. Qualche secondo dopo mi sono sentito meglio, molto meglio. Ah, la tecnologia. Ci unisce e ci divide.
Insomma, abbiamo sempre saputo che tipo di persona è Lorenzo, perchè mai avremmo dovuto rimanerci così male? Io non è che son scemo, eh. Ho ragioni che fra poco finalmente verranno a galla, e tu... per me. Hai sempre preso parte della mia sofferenza, alleggerendomi l'esistenza, e lo sai che anche se non l’ho mai detto non ci sono mai state persone più importanti di te, nella mia vita.
Ho sofferto, scrivendo questa lettera, perchè mi sono reso conto che di lì a poco ti avrei abbandonata senza possibilità di vederti mai più; soffro tutt'oggi, ricordando un passato che fa più male che bene, ma in cui tu sei sempre stata al mio fianco, "in salute e in malattia." Mi dispiace di averti mentito e penso che tu te ne sia accorta: no, non stavo bene. E mi dispiace di essere così egoista. Quando ho visto per la prima volta quei biglietti, non pensavo che ne avrei comprato uno di nascosto dai miei genitori e da tutti voi, per partire qualche giorno dopo. Ho fatto le valigie in segreto, portandomi poco e niente: voglio che il male che mi circondi rimanga in quella città che mi ha ferito tanto.
E, cazzo, quanto avrei voluto che tu venissi con me. Ma, per quanto io possa amare la sicurezza che mi dai, mentre scrivevo questa lettera avevo già deciso di tagliare ogni ponte con il passato, per poter ricominciare e vivere finalmente... bene. Quindi niente, anni fa mi è stato concesso il dono della maggiore età, e questo mi è sembrato il momento giusto per approfittarne.
Ho una buona memoria, ricordo troppo. E mi ferisco da solo, senza pensarci due volte. È questo il problema, io non voglio più avere nulla a che fare con riferimenti a quella vita. Non avrei mai pensato che un cuore spezzato facesse così male, e io non voglio che faccia male.
Ti lascio... tutto, anche parte della mia anima. Vorrei dirti di non scordarti di me, ma come posso essere così ipocrita? Io sto già cercando di dimenticarti.
Spero che tu capisca il mio gesto: non ti sto chiedendo perdono, perchè so che non potrai mai perdonarmi per questo gesto così stupido, solo comprensione. Sei sempre stata l'unica in grado di capirmi, non deludermi come ho fatto io con te. E poi ho bisogno di te per un'ultima volta, per consegnare questa lettera anche a Lorenzo, in modo che tu possa calarti nei miei panni prima che possa farlo lui: sai, ci sono cose che non ti ho mai detto. Magari, attraverso questo breve messaggio, potrete tenere viva la mia memoria anche senza vedermi nè sentirmi nè avermi più intorno e tornare come eravate – eravamo – una volta. Non mi farò più vedere nè sentire, se i miei sono preoccupati ricordate loro che sono un adulto laureato e vaccinato e che ho sempre saputo cavarmela più o meno da solo. Detto ciò... ti ho amata con tutto il mio cuore, come una sorella, una madre, una parte di me. Ma non posso aggrapparmi a te, non più. Ho bisogno di ricominciare a respirare.

Lettera a Lorenzo Fiore (credo che questa sia la brutta definitiva):

Più passano gli anni e più sei nella mia testa e io non capisco come cazzo cacciartici fuori, sai, purtroppo la testa mi serve. Ed è un purtroppo che non tocca neanche la metafora, è un purtroppo purtroppo. Tipo, peccato.
Mi chiedo che fine abbiano fatto i tuoi capelli. Perchè te li sei tagliati così corti? Alle ragazzine non piace il rocker con la chioma fluente in cui incastrare le dita durante l’amplesso della loro fanfiction preferita? Gesù, questa realtà mi ferisce. Non tanto quanto mi ha ferito questa schifo di storia, ma comunque.
Cinque anni, per l’esattezza. Il tempo che ho passato a domandarmi il senso della tua esistenza all’interno della mia non così evidente anima e anche quello in cui non ho trovato risposta. Ma sai che c’è? Sei un macho man del cazzo e neanche te ne sei accorto. Non te ne sei neanche accorto! Ti rendi conto? Ah, giusto, no.
Be’, diciamo che l’intenzione primaria era qualcosa di strappalacrime e di terribilmente convenzionale tipo, sai, quelle letteracce d’addio in stile Sex and The City, un po’ fancy e un po’ grammaticalmente rotte. Ma non c’ho voglia di fingere – di nuovo – di essere qualcuno che non sono, quindi eccoci qui, al punto in cui ti attacchi al cazzo.
Sì, Musical.ly – Tik Tok – Man dei miei stivali, so che questo genere di cose ti scoccia, ma “vai tra”, ho scoperto che le cose che devo dirti sono poche. La prima è un sincero grazie – e sono più che sicuro che non ti interesserà sapere il motivo di questo mio improvviso moto di gratitudine, quindi non specificherò quei pretesti morali che a te sono sempre mancati – e la seconda è che non mi mancherai.
No, cazzo, non mi mancherà la tua schifosa faccia sempre uguale a se stessa e alla stampa in 3D dell’interno del mio cuore, capisci? No che non mi mancherà. Fanculo e no, nessuna scusa se te lo dico, ma vederti in ogni tramonto, in ogni canzone e in ogni persona iniziava a diventare storia vecchia e mi stava rompendo i coglioni che tu mi avevi già fatto cadere, quindi figurati la situazione.
E avrei voluto un sacco di cose che, ti conosco: non ti interesseranno. Quindi quando mi toccherà pensarti perché purtroppo la mia testa funziona così, ogni tanto va in corto, alzerò le spalle e mi dirò che il bello dell'amore è il saperlo utilizzare e che per imparare i trucchi del mestiere ci vorranno ancora un paio di tentativi. Caro amico, penso tu abbia capito dove io voglia andare a parare: sei stato il mio primo tentativo.
Ancora mi chiedo come hai fatto a non accorgertene. Sei così coglione come vuoi far sembrare a tutti i costi? O è la tua famiglia bigotta e conservatrice che ti impedisce di aprire gli occhi? È per questo che sei sempre stato un ragazzo così tipico, così ancorato a ideali più vecchi di te? Non biasimo nè te nè Giorgia; d'altronde io non ho mai parlato perchè avevo troppa paura di perderti, lei era concentrata sulla vita, e tu avevi i tuoi passatempi. Bei passatempi.
Ma sai che altro c’è? Grazie di tutto; più che altro della realizzazione. Sappi che non ce l'ho con te, che ti voglio ancora bene, ma che non tornerei indietro per nulla al mondo.
Spero che per te sia lo stesso. Sinceramente non tuo,

Andrea Scala.**

*E correremo finchè non faremo breccia.*

Giorgia apre la porta ed entra.

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Capitolo 2
*** Il duca e il pianista - 2: IRENE, estate 2016 ***


Questa epica storia di inettitudine mista a ritrovamenti di coscienze inizia con la perdita di religione di una delle ragazze più carine dell’intera provincia di Modena. Che non è poi tanto grande quanto pretenziosa.

Irene Lanzotti, minuta, delicata, i lineamenti di un’adolescente veramente bella sul corpo di una donna, come una sorta di sciaquetta preannunciata delle fanfiction più scadenti in circolazione, ha gettato via il proprio grillo parlante verso Luglio – o forse Giugno – del 2016, pronta a vivere la propria vita, a fare le proprie esperienze, sentimentali o sessuali che fossero.

Ha agito, sta agendo. Ma…?

Be’, non si può certo dire che Maurizio Lugli sia brutto; effettivamente si avvicina molto agli stereotipi di bellezza – o meglio, carineria – per cui le ragazzotte dei bassifondi di Instagram amano impazzire. Alto, stiloso, i capelli acconciati a meraviglia, sempre e comunque un outfit impeccabile nella collezione degli outfit dei nonni d’Italia – o forse del mondo intero: maglioncino sui toni del marrone, camicie bianco-azzurrine… – nonché un viso dai lineamenti simili a quelli di un personaggio di uno di quei dannati cartoni giapponesi dalla musica troppo alta e i colori troppo vivaci. Capelli ed occhi scuri, questi ultimi sproporzionatamente grandi rispetto al resto del volto, ma che creano un insieme davvero piacevole. Zigomi a posto. Mascella a posto. Addominali a posto. Intelligenza a posto.

Tutto a posto. Effettivamente si potrebbe stilare una lista dell’impeccabile, impeccabilissima perfezione del Lugli in quanto tale; marmoreo, naturalmente dotato in modo quasi crudele rispetto agli altri coetanei che, dall’invidia, lo prendono in giro; dal cuore di calcestruzzo precompresso armato in zirconio, misterioso il giusto, con un pizzico di follia sottile quasi quanto la voglia dell’autore di profondersi in conclamate ammirazioni solamente perché si sente una pessima, pessima persona in confronto al soggetto qui descritto.

Eppure qualcosa che non va deve esserci, altrimenti la storia non avrebbe un inizio.

I due si sono conosciuti per motivi lontani, come il recupero di una verifica di Chimica Analitica qualche mese prima. Maurizio ha la media più alta della classe, forse quella più alta della scuola, ed ovviamente chi non si farebbe avanti per la splendida, malcapitata Lanzotti, indifesa come una principessa chiusa dal malvagio Re nel suo castello?

Invero, si sono conosciuti. Ed anche piuttosto bene. Si sono conosciuti talmente bene da superare brillantemente i compiti di recupero e dedicare molto, troppo del tempo rimanente ad altro, e che altro. Che all’autore si creda sulla parola, descrizioni di tal tipo lo getterebbero nella più nera delle disperazioni.

Ad Irene, nonostante sia un’inguaribile romantica, nulla della loro storia esplicitamente sessuale ha precedentemente infastidito, se non la non esistente correlazione logica tra il proprio disgusto verso la personalità di Maurizio e il desiderio per il corpo di lui – che Dio perdoni l’autore.

E così, la loro storia è andata avanti per mesi di scappatelle notturne e sperimentazioni nella loro sfera più segreta; attraenti e quasi diciassettenni entrambi, cosa di meglio poteva esserci per iniziare nel modo migliore il penultimo anno di superiori?

Maurizio però si è accorto di volere di più, e gliel’ha detto piuttosto chiaramente. Voleva chiamarla la sua ragazza, avere la certezza che lei fosse sua e solo sua e stronzate simili; era ed è una persona piuttosto gelosa. Irene ha uno sporco segreto, non ai livelli dell’identità di Gossip Girl ma quasi, che si vergogna a rivelare persino a se stessa:

Lei non vuole saperne niente di Maurizio, più niente. Ritiene che sia stato tutto un errore e vorrebbe prendersi a schiaffi per tutte quelle… come chiamarle? Sveltine. Perché la verità è che Lugli la mette in imbarazzo, a morte.

Irene si ricorda numerosi episodi durante i quali avrebbe semplicemente voluto seppellire la testa sotto terra; tutte le volte a ginnastica in cui Maurizio ha finto di cadere per poi rialzarsi dopo un paio di capriole, oppure tutte le volte che ha inventato qualche strano nome per suscitare scandalo e far ridere la classe – lei non ha mai riso, se non di imbarazzo – o di tutte quelle volte che ha battibeccato con un professore amato da tutti solo per apparire, o di quando piroettava in mezzo al laboratorio o di quando, ancora, sfilava fiero per i corridoi della scuola vantandosi di aver compiuto chissà quale prodezza fisica per poi mostrare gli addominali, per non parlare di quei momenti in cui, con la sua voce forzatamente baritonante saltava su con un “ma sì, quel robo...” e i professori gli chiedevano di definire gli oggetti in modo più preciso e lui sorrideva e continuava “il robo...”

Irene non sa, ma non vuole più sapere. Non vuole. E le sembra di prendere in giro Lugli continuando con questa storia, quindi qualcosa dovrebbe inventarsi, anche perché ormai ogni volta che lo vede prova sempre più disgusto. Non per chi è, ma per chi vuole essere, ed Irene non lo sopporta.

Quel pomeriggio delle prime settimane di Settembre stanno a casa di lui, perché i suoi sono impegnati a pranzo con qualche collega di lavoro. Dire che Irene sia tesa come una corda di violino le pare un eufemismo, quindi si accontenta del paragone con un’asse di legno. Rigida. E piena di schegge. Poco prima di uscire ha avuto un crollo di nervi ed è scoppiata a piangere nella doccia. Si sente un po’ in trappola, e la cosa peggiore è che ci si è chiusa dentro completamente da sola, forse con un po’ di aiuto divino, ma comunque senza troppe difficoltà.

Maurizio apre la porta. Come suo solito veste elegante: una camicia perfettamente stirata e un paio di pantaloni dalla piega impeccabile. È solo un po’ spettinato.

Le sorride e si fa indietro per lasciarla passare. Il salotto è in ordine, ma i due si dirigono verso il vero luogo dei misfatti, camera di lui. Che, tra parentesi, è un vero disastro, un po’ come la camera di ogni ragazzo. In fondo, come si può pretendere che un ragazzo si occupi proprio di tenere in ordine la propria stanza? Un paio di poster di cartoni animati giapponesi spiccano, vivaci, appesi al muro.

-Siediti pure- fa lui, indicando il posto acanto a sé sul letto. Irene fa come suggerito.

E lui ha sempre qualcosa di così strano . Ha quell’aurea un po’ impacciata che sembra carina, cosa che subito ha attratto Irene, ma è così… così… Andrea lo definisce come uno con i complessi di inferiorità, che fa di tutto per poter essere sempre al centro dell’attenzione.

E quindi Irene cerca le parole adatte per dirglielo, ma lui ha già iniziato ad accarezzarle la coscia, e lei si paralizza. È stata lei ad iniziare tutto, come può pretendere che tutto finisca senza che lui ed il resto della classe la prendano per… per, insomma, Irene si capisce. E non dovrebbe importargliene troppo, ma sa che a parole è una cosa, a fatti un’altra, e che purtroppo la sua mente è fin troppo fragile per sopportare scherzi del genere.

Perciò si volta verso di lui e gli sorride. -Ti va di vedere un film?

Un paio d’ore e mezza più tardi, esce non esattamente indenne dal luogo del delitto. Ha detto che suo padre l’aspetta in un parcheggio poco più avanti per fuggire da quell’incubo, ma in realtà se n’è andata da sola, a piedi. Non riesce a stare ferma, non può stare ferma o ripenserebbe ossessivamente ai suoi piani falliti. Fallati . Proprio come i suoi buoni propositi.

Senza pensarci minimamente, raggiunge il parco giochi, che a quell’ora è quasi vuoto. Si dirige verso le zone più nascoste, fino ad arrivare ad una panchina. La panchina.

Irene ci si siede, per poi scoppiare a ridere ancor prima di aprire il messaggio che le è appena arrivato, macabro promemoria della tragicomica, ennesima esperienza appena vissuta. “Ho quasi diciassette anni, mamma” eppure mai si è sentita tanto fragile e vulnerabile nei confronti di quel grande, inaffrontabile cannibale soprannominato vita sentimentale . E no, non le è mai interessato nessuno al punto da tentare di fare tutto ciò che ha fatto, infatti non capisce perché diamine abbia dovuto umiliarsi in quel modo davanti agli occhi di un fantomatico e, purtroppo, onnisciente Dio.

E cerca di sbadigliare, ma la mandibola le fa terribilmente male. Di nuovo. Si tasta il viso; quella mattina si è guardata allo specchio sperando di trovare qualcosa di diverso, qualcosa che le indicasse che quella dei mesi prima non era lei, ma un qualche specie di mostro che si è impossessato del suo intatto corpo e della sua ancor più intatta mente.

E invece no, ha trovato solo qualche livido sul collo pateticamente riconducibile a un succhiotto; terribilmente mainstream per una sedicenne, ancor più terribilmente vero e vivido nella sua malata, malata mente. Mente che a quanto pare sa distaccarsi dalla coscienza anche troppo bene, per i gusti di Irene. Ma no, il mondo è andato per quel verso ed Irene è andata per quel verso ed ora più che lamentarsi non può fare nulla. Forse soffrire, sì, forse pentirsi, ma ormai il dado è tratto e le cose vanno portate avanti fino alla fine. Almeno per salvarsi la reputazione.

Si ferma a riflettere un altro po’, ma non troppo; è stanca e ha voglia di parlare con i suoi amici. Inizia a dirigersi verso casa, quando nota uno scenario piuttosto peculiare.

-...coraggio, muoviti!- mormora il ragazzo, rivolto al canarino che tiene in mano. Indossa vestiti scuri, abbinati alla montatura degli occhiali.

Irene gli si avvicina senza fare troppo caso a lui e tenta di accarezzare il piccolo uccellino. -Ma è ferito?

-Non lo so, ma non sembra.- Il ragazzo lo esamina da tutte le angolazioni, toccandolo per vedere se emette qualche cinguettio di dolore. -Secondo me è solo caduto.

-Capito.- Irene tende le mani. -Posso tenerlo?

Il ragazzo la guarda torvo, per poi scrollare le spalle e passarle il batuffolo. È incredibilmente leggero. Irene ha decisamente bisogno di quel genere di purezza nella propria vita; si sente come se fino a quel momento avesse sbagliato tutto. Si sente indegna di tanta delicatezza e gioia.

Un paio di lacrime scivolano sul suo volto, mentre con fermezza e leggerezza accarezza il becco del piccolo pennuto. -Ma sei bellissimo.

Il ragazzo pare preoccupato per la sanità mentale di lei. La scruta con quegli occhi dal colore strano, che alla luce del sole sembrano una pozzanghera. “Accidenti, molto romantico.” -È tutto okay? Vuoi sederti?

-No, io...- Tira su con il naso, poi scoppia a ridere. Tenendo al sicuro il cucciolo, porge la mano destra allo sconosciuto. -Scusa, è stata una giornataccia. Piacere, Irene.

Le sorride. -Lorenzo. Fai il Fermi?

Lei annuisce.

-Ah, mi pareva di averti già vista. Senti, so che ti sembrerà un po’ strano, ma ti va di prenderci un gelato? Sto cercando ogni scusa possibile per evitare mio padre, e mi sembra che anche a te serva un po’ di compagnia.

Irene ha l’anima talmente rotta che anche se le si presentasse Pennywise nella sua miglior tenuta da clown lo seguirebbe senza fare domande. -Va bene, ma come facciamo con lui?

Lorenzo scrolla le spalle. -Se ha avuto l’imprinting con me, non imparerà mai a volare. Bisogna risvegliare il suo istinto.

Irene aggrotta la fronte. -E come?

Lui le strappa il canarino di mano. Il piccolo emette un ultimo squittio prima di venire lanciato nel vuoto da Lorenzo.

-Ma cosa cazzo fai?- grida Irene, precipitandosi a guardare verso il burrone. Non c’è più traccia dell’uccellino.

-O impara così, o non ce la farà mai, e morirà comunque. E ora andiamo?

Irene lo guarda di traverso, ma ha un viso troppo dolce per essere un qualche sorta di sociopatico violento. Sente di potersi fidare, sempre che non butti via le persone come butta via i canarini.

Qualche istante dopo, i due si allontanano, e il passerotto si alza in volo.

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