Sollevare i sassi

di KiaraMad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** V. Eppure i ciliegi ***
Capitolo 2: *** IV. Da sola galleggia ***
Capitolo 3: *** III. Nella mia carne il morso ***
Capitolo 4: *** II. Che tramonta ***
Capitolo 5: *** I. Lo spaventapasseri ***
Capitolo 6: *** 0. Il capanno ***
Capitolo 7: *** I. Mondo di sofferenza ***
Capitolo 8: *** II. Senza tenersi ***
Capitolo 9: *** III. Ossa esposte in un campo ***
Capitolo 10: *** IV. In questo giorno ***
Capitolo 11: *** V. Pianta i piedi nella piena ***



Capitolo 1
*** V. Eppure i ciliegi ***


V. Eppure i ciliegi

Dieci anni*

 

Che il Vostro regno

possa durare mille, ottomila generazioni,

finché i ciottoli

divengano rocce 

coperte da muschio.*1

 

Una bambina stava correndo. Correva in un parco un po' speciale per lei, perché lì i suoi zii la portavano quasi tutti i pomeriggi, dopo la scuola. Lì giocava con un bambino molto gentile. Quando erano insieme, lui sorrideva e il suo sorriso era contagioso. Le piaceva tanto quel bambino. Suo zio la prendeva in giro a volte. “Yayoi, ma tu vieni qui per rincorrerlo o per farti acchiappare?”. E la zia lo rimproverava sempre: “Caro, ma sono solo dei bambini!”. Così Yayoi si allontanava, lasciandoli discutere di cose che lei non capiva granché.

Jun era un bambino speciale. Andavano a scuola insieme, nella stessa classe. L'aveva aiutata a inserirsi nel gruppo. Lui giocava a calcio nel club della scuola, mentre lei, per stargli accanto, aveva cominciato da poco a pulire i palloni. Però, quando lui non si allenava, giocavano insieme al parco. Era un parco vicino a casa di Jun, perché ai genitori di Jun non piaceva che lui andasse più lontano. 

Yayoi correva, ma lui non correva mai con lei. Insieme giocavano a lanciare i sassi nel fiume, però. Vinceva chi otteneva più rimbalzi e la penitenza era una merenda comprata con i soldini che ricevevano dai grandi. E spesso toccava a Yayoi pagare, ma solo perché a Jun toccavano i sassi “migliori”.

Un giorno, però, Jun le confessò che non aveva più voglia di giocare a tirare i sassi, che preferiva guardare l'acqua del fiume scorrere. Lei gli aveva chiesto perché e lui aveva risposto che era una cosa che facevano gli adulti. Jun si sentiva già come loro? Allora lei notò che quando Jun non aveva un pallone con cui giocare, aveva lo sguardo un po' triste. Un po' come quello degli adulti.

«Sei triste, Jun-kun?»

«No, stavo solo pensando.»

«A che cosa?»

Con un sorriso, Jun si voltò verso di lei.

«A quando sarò grande e potrò realizzare tutti i miei sogni!»

Anche Yayoi sorrise.

«Sono sicura che ci riuscirai!»

Jun annuì.

«Sì, io vincerò.»

Vincerai?

«Cosa vuoi vincere?»

Il suo bel sorriso si allargò.

«Le Olimpiadi!»

«Le Olimpiadi?»

«Sì! Entrerò nella nazionale giapponese e vincerò per il Giappone!»

Allora Yayoi, forse perché anche lei avrebbe voluto avere sogni grandi come quelli di quel bambino... si lasciò sfuggire qualche pensiero: «Tu sei proprio forte, Jun...»

E solo vedendolo arrossire si rese conto di averlo detto ad alta voce.

Chinò la testa.

«Scusa, Jun-kun! Mi è sfuggito!»

Si sentì un po' sciocca e un po' a disagio quando lui scoppiò a ridere, con una mano dietro la nuca.

«Ti ringrazio, Yayoi-chan!»

In imbarazzo, lui aveva distolto lo sguardo.

«Yayoi-chan...»

Stavano tornando dagli zii di Yayoi: loro li aspettavano al di là del ponticello, seduti nella prima fascia di prato verde del parco.

«Sì?»

«Oggi nessuno ha perso...»

«Non abbiamo giocato!»

Voltandosi verso di lui, notò che aveva le guance rosse.

«Allora ti va bene se ti compro qualcosa io?»

«E perché?»

Lui non sembrò pensarci molto.

«Insomma... hai perso così tante volte che non hai mai mangiato la merenda... e papà dice che non fa bene non mangiare...»

Le sembrò un po' a disagio.

«Ma io non ho mai molta fame il pomeriggio, quindi va bene così!»

Jun però non pareva molto convinto. 

E infatti si fermò. 

Quindi anche lei si fermò. 

Poi, come un fulmine, le prese le mani e vi posò delle monetine.

«Ma Jun-kun...»

«Tieni.»

«Ma...»

Ma lui era già distante. 

Aveva cominciato a correre, come quando era in campo a giocare una partita.

«A domani, Yayoi-chan!»

La stava salutando, mentre lei era ancora lì con i soldini in mano e le guance un po' rosse. Le labbra – anche il cuore – tremavano di un'emozione sconosciuta e il mento si era un po' corrugato.

Poi Yayoi si ricordò di una cosa molto importante. Però lui era già sul ponte. Così cominciò a correre anche lei, chiamandolo a gran voce. 

Quando lo vide, sorpreso, voltarsi verso di lei e guardarla ancora una volta con quegli occhi cristallini, lei gli prese una mano e gli restituì i soldi. Però non lasciò quella mano. La coprì soltanto con la propria. Poi gli sorrise, un po' in imbarazzo ma felice.

«Buon compleanno, Jun-kun!»

Si allontanò e lo superò di corsa, verso gli zii. Non si voltò neanche una volta verso di lui, perché forse aveva un po' di timore dopo quello che aveva fatto... gli aveva toccato la mano! Aveva sfiorato Jun! Trafelata, giunse dagli zii con il fiatone.

«Cara, ma da che scappi?»

Da cosa scappava?

«Sei tutta rossa...»

E si sentì ancora più calda.

«Non sarà che sei innamorata?»

«Caro!»

«Sto scherzando, cara...»

Eppure i ciliegi erano già fioriti da qualche mese...*2

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

*1Traduzione del Kimi Ga Yo, inno nazionale giapponese.

*2Il compleanno di Jun Misugi è il 23 Giugno e i ciliegi dovrebbero sbocciare tra Marzo e Aprile in Giappone.

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Capitolo 2
*** IV. Da sola galleggia ***


IV. Da sola galleggia


Circa dodici anni e qualche giorno*

 

Giocherò oppure no?

Quel giorno si trovavano in ospedale per dei controlli. Jun si sentiva un po' in ansia, ma cercava di non darlo a vedere. Sedeva sul lettino medico, mentre Yayoi, in piedi, lo affiancava. Lei indossava la sua tuta da manager. Lui, invece, solo i pantaloncini della divisa.

«Sei nervoso, capitano?»

Il dottore li aveva lasciati soli per andare a prendere i risultati nell'altra stanza.

«Mh?»

Gli indicò la gamba destra, che stava facendo su e giù nell'aria.

«No, è che... sembri un po' agitato.»

Eppure Jun cercava costantemente di controllarsi... di controllare

«No, sono solo un po'... stanco, sì.»

Si costrinse a ritornare fermo. 

Da qualche tempo non correva più come prima, non giocava più come prima. E neanche Yayoi lo trattava più come prima.

«Ti va di andare da qualche parte dopo?»

«Meglio non sforzarsi, capitano. Se sei stanco devi riposare.»

Chinò la testa, sospirando.

Era solo stanco di non potersi stancare.

«Ma non succederà niente...»

Ma quando incontrò lo sguardo dell'amica, il suo sorriso si scurì un po'.

«Non devi preoccuparti per me, Yayoi.»

Forse era stato un po' duro, ma... era davvero stanco di essere trattato come uno che non sarebbe riuscito neanche a lanciare un sassolino nell'acqua. Era stanco della pietà che da un po' di tempo tutti attorno a lui avevano cominciato a rivolgergli. Jun non voleva essere considerato... inabile.

«Jun...»

Cominciò a giocherellare con un filo scucito dei pantaloni. Se l'avesse saputo la mamma... però la mamma non c'era quel giorno, quindi non avrebbe potuto dire niente. Anche perché... c'era sempre un altro difetto di cui occuparsi, molto più grave di un filo fuori posto. Jun era comunque in ascolto, più in attesa del ritorno del cardiologo però.

«Scusa...»

Nella sorpresa rialzò la testa, verso di lei. Perché si stava scusando?

«Vedi, io... io voglio solo che tu stia bene.»

«Ma io sto bene.»

«No... voglio che tu stia bene sempre... che il tuo cuore stia bene sempre.»

Yayoi abbassò la testa e arrossì un po'. Non stava sorridendo, anzi: sembrava proprio triste. E vedere quell'espressione sul suo viso... Jun cominciò a sentirsi in colpa. Molto in colpa.

«Sono io a dovermi scusare con te.»

«E perché?»

«Perché non dovevo... non dovevi sapere della malattia. Mi dispiace, purtroppo non si può comandare... il cuore. Non ho potuto decidere io quando sentirmi male.»

Scrutò i suoi occhi per cercare conforto, forse un messaggio positivo, un “andrà tutto per il meglio, capitano, perché tu sei forte” – forte?

«Per questo... non hai niente di cui scusarti, Jun.»

Il medico rientrò, dispiacendosi per l'attesa: aveva telefonato ai coniugi Misugi per avvisarli dei risultati degli esami, come da loro richiesto. Jun fu felice di sapere che avrebbe potuto giocare, ma l'entusiasmo si smorzò quando gli fu precisato che avrebbe potuto scendere in campo soltanto per una decina di minuti, al massimo venti. Così la delusione soggiunse. Però avrebbe giocato, sì: quella era la cosa più importante... ma perché allora sentiva dentro di sé crescere un senso di... di oppressione che non aveva mai provato prima?

Ringraziò il dottore e salutò educatamente, come sempre. Yayoi fece lo stesso, camminando di fianco a lui per i corridoi dell'ospedale, verso l'uscita. 

«Ti va ancora di camminare?»

Le rivolse uno sguardo con fare distratto.

«Cambiato idea?»

Yayoi annuì, con le labbra un po' increspate.

«Ho sbagliato, capitano.»

«Eh?»

«Non voglio che tu ti senta malato.»

Jun ridacchiò.

«Ma lo sono... di fatto lo sono.»

Ma lei lo ignorò, con la stessa espressione serena. 

Ormai erano fuori dall'ospedale, e l'autista lo stava aspettando proprio lì. 

«Camminata saltata... mi dispiace, sarà per un'altra volta.»

Avrebbe dovuto salutare Yayoi lì... fece per voltarsi ma la voce della sua amica lo trattenne, un po' come l'ancora di una barca.

«Capitano...»

Ma lui non si voltò: rimase fermo. Nella sua testa il suono di quella parola – capitano – cominciò a galleggiare da sola, in quel mare di pensieri e preoccupazioni che da un po' di tempo ostacolavano la sua rotta. La sua rotta verso l'isola che non c'è, quello spazio che per lui non era che un pallone da calcio e uno stadio gremito di gente. Uno spazio tanto irraggiungibile quanto inevitabilmente suo.

«Io so che ce la farai... è che credo di aver paura. Ho paura per te. Non so perché. Forse... forse perché ti voglio bene, ecco!»

E per fortuna non si era girato... la sua faccia era diventata un camino.

«J-Jun...»

Deglutì, un po' a disagio. 

Forse perché ti voglio bene, ecco!

«So che diventerai il migliore calciatore del Giappone, anche più bravo di Tsubasa... sì, sei davvero un genio del calcio, lo pensano tutti. Per me non è un peso accompagnarti in ospedale, anzi... ci vediamo domani, capitano!»

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

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Capitolo 3
*** III. Nella mia carne il morso ***


III. Nella mia carne il morso

Circa tredici anni e tre mesi*

 

Imbracciò le scatole e le sollevò. Maledette scatole piene di roba inutile... il casotto ai lati del campo era davvero strapieno di cianfrusaglie. Per questo, il coach le aveva chiesto di fare un sopralluogo: “Se ci sono cose da buttare, buttale”, le aveva detto. Sì, ma... lei avrebbe volentieri buttato tutto. E poi c'era la questione della polvere, che cominciava ad attaccarsi ovunque. Non era allergica, ma la infastidiva. Certo, però, che le scatole erano davvero pesanti... forse avrebbe dovuto dividere quel ciarpame in più parti, così non si sarebbe spaccata la schiena. Ma era già tardi: sarebbe stato più rapido faticare un po' di più con le braccia. 

«Yayoi?»

Per poco non le cadde tutto.

«Ma... che stai facendo?»

Alzò la testa per cercare di intravedere il suo interlocutore. Un interlocutore che se ne stava a fissarla con fare divertito. Almeno sorrideva...

«Che ci fai qui?»

Jun nascose le mani in tasca.

«Niente... ho visto la porta aperta e ho pensato che fossi qui.»

Yayoi ricominciò a camminare verso la porta, facendogli segno con il capo di spostarsi.

«Hai bisogno di qualcosa?»

«Dopo andrò dal medico... mi chiedevo se ti andasse di accompagnarmi... se non hai impegni, ovviamente.»

Fuori dal casotto, per poco Yayoi non sbatté contro la panchina. Nel cercare di evitarla, però, le cadde comunque una delle due scatole che teneva in mano. Poi le cadde anche la seconda, perché cercando di recuperare quella destinata a cadere si era sbilanciata ancora di più. 

«Io odio questa... questa robaccia!»

Stupide scatole... si chinò a raccogliere tutti gli oggetti che erano fuoriusciti dai cartoni.

«Ti aiuto?»

Jun l'aveva raggiunta poco dopo.

«Lascia stare... scusa, cosa dicevi prima?»

«Della visita di oggi.»

«Ah, sì... ci sarò senz'altro.»

Poi gli mostrò una paperella di gomma, sbuffando.

«Mi dici cosa c'entra questa con il calcio? Niente, assolutamente niente!»

Era stanca. Voleva tornare a casa, a lavarsi, perché la polvere cominciava a prudere. Ma quando sentì Jun ridere, quella risata... le fece un po' dimenticare il malumore.

«Sei buffa quando ti arrabbi.»

Sbuffò: «Non capisco perché tenere roba così... inutile! Per riempire scatole su scatole e farle trasportare a una... una stupida

Ma presto ghermì di nuovo i pacchi.

«Ti posso aiutare?»

«Non preoccuparti, ce la faccio da sola.»

«Insisto.»

«Insisto anche io.»

«Ho più muscoli di te... sono fisicamente più forte.»

«No.»

«Va bene, allora mi dispiace.»

«Di che cosa ti...?»

Non finì neanche di formulare il quesito che Jun le aveva già sottratto una scatola.

«No, Jun. Ridammi la scatola, per favore.»

Perché stava cominciando ad arrabbiarsi, ma non lo disse.

«Se non ti do una mano, farò tardi alla visita.»

«Puoi andare senza di me.»

«Non vuoi accompagnarmi?»

«Certo!»

«E allora sbrigati!»

Ma poi si arrestò. E lei si fermò di conseguenza. 

La scatola di Jun era caduta a terra. 

Anche lui era a terra. 

Accasciato a terra.

«Jun...»

Si allarmò, e gli occhi le pizzicarono quando notò che la mano dell'amico si stringeva sul petto. 

«Non è niente, davvero. Non preoccuparti, sta passando...»

Tentò di rialzarsi, ma Yayoi glielo impedì, tenendolo fermamente per le spalle.

«Non muoverti.»

«Yayoi...»

«Perché fai sempre di testa tua...»

Ma lo sussurrò soltanto, e sperò che lui non l'avesse udita. Con una mano sulla spalla, con l'altra cercò il telefono nella tasca della tuta.

«Chi stai chiamando?»

«Mio zio.»

«Cosa? Non lo scomodare per così poco...»

Yayoi cercò di ignorarlo.

«Yayoi, io sto bene adesso... è passato.»

Cosa è passato?

«Mio zio è irraggiungibile...»

«Non importa, davvero... tra poco c'è la visita, quindi non preoccuparti...»

Incontrò i suoi occhi. In cuor suo avrebbe voluto che lui si sentisse colpevole, ma neanche lei sapeva perché lo volesse.

«Non preoccuparmi? Jun...»

Però si impose di stare calma, perché non voleva neanche agitarlo. Non voleva turbarlo con le sue preoccupazioni. Le avrebbe sfogate dopo, a casa, in camera sua. 

Inalò profondamente l'aria che i battiti disordinati del suo cuore, come un morso nella carne, le avevano risucchiato.

«Avanti... ti aiuto ad alzarti.»

Strinse il suo braccio e si circondò le spalle con quello. Jun assecondò passivamente i suoi movimenti.

«Ma le scatole?»

Ma che me ne importa di quelle stupide scatole...

«Tanto è roba inutile.»

«Ma pesano meno di me.»

«Ma almeno tu hai una qualche utilità.»

Si guardarono e, occhi negli occhi, scoppiarono a ridere.

«Cioè? Riuscire a rovinare tutto e a farti preoccupare sempre?»

A volte sei proprio stupido, Jun... come quelle stupide scatole.

«Cammina, se no facciamo tardi alla visita. Cerca di collaborare un po'... io ho pochi muscoli e non sono forte quanto te.»

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

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Capitolo 4
*** II. Che tramonta ***


II. Che tramonta

Circa quattordici anni, otto mesi e qualche giorno di più*

 

Si erano finalmente seduti alla scrivania: loro, che avevano sempre pensato solo al calcio e al club, avevano cominciato a studiare in vista degli esami.

«Non ce la farò mai.»

«Macché...»

«No, oggi sono troppo stanco.»

«Vuoi fare una pausa?»

Jun scosse la testa, cominciando a giocare con la penna.

«No, altrimenti non finiamo più.»

«Va bene.»

Yayoi si accomodò meglio sulla sedia.

«Però se sei stanco forse è meglio fare una pausa... magari mangiamo qualcosa.»

La scrutò.

«Hai fame?»

No, in realtà non aveva per niente fame...

«Sì...»

Jun annuì e si alzò per aprire la porta della sua stanza. Chiamò la domestica.

«Per favore, potresti portarci qualcosa da mangiare?»

«Cosa gradireste, signorino?»

Nel chiederlo, però, la donna lanciò un'occhiata anche a Yayoi, che aspettava lì, alla scrivania. Fu verso di lei che Jun si volse.

«Cosa gradiresti?»

Gli sorrise.

«Va bene qualsiasi cosa, non preoccuparti.»

Jun annuì, ritornando a rivolgersi alla cameriera.

«Allora qualcosa di dolce, per favore.»

«Sì, signorino.»

La porta si richiuse e Jun ritornò seduto.

«Allora... dove eravamo rimasti?»

«Dovevamo ripetere il periodo Edo.»

«Ah, giusto...»

Ma ricominciò a giocare con la penna.

«Quindi, il periodo Edo è anche conosciuto come periodo Tokugawa...»

«Giusto.»

«Il periodo è quello compreso tra il 1600 e il 1868.»

«Sì.»

«Il potere dell'imperatore venne meno, in senso lato, perché la figura dell'imperatore divenne meramente simbolica.»

«Esatto.»

Sbuffò.

«Si giunse alla pace e alla prosperità, anche se si eliminarono... i “diversi”. Chi seguiva il cristianesimo, per esempio, veniva ucciso.»

Yayoi annuì, richiudendo il libro. Si diresse verso la porta e l'aprì, accogliendo con un sorriso la domestica e cercando di aiutarla con il vassoio.

«Grazie, signora.»

La donna s'inchinò e, con lo sguardo basso, lasciò la stanza.

«Facciamo una pausa?»

Jun annuì, ma non troppo convinto.

«Va bene... ma breve.»

Allora cominciarono a mangiare i budini, che con cura erano stati disposti sui piattini.

«Sai...»

«Sì?»

«Tra poco ci sarà la finale di campionato...»

Yayoi si scurì un po'.

«Già...»

«Sono entusiasta, ma... non so perché, però mi sento un po' indietro rispetto agli altri.»

«Indietro?»

Jun poggiò il piattino sul vassoio, con il budino lasciato a metà.

«Sì, indietro.»

«In che senso?»

Sospirò, forse un po' combattuto.

«Nel senso che ci sono dei veri campioni. Dei grandi campioni, anche più forti di me.»

Si voltò verso di lei: voleva che fosse lei a continuare. Yayoi, però, continuava a fissarlo, in attesa che lui arrivasse a un punto.

«E io, con questo cuore... mi sento un po' inferiore a volte...»

Anche Yayoi ripose il piattino sul vassoio, finito tutto il budino.

«Credo sia normale che tu ti senta così.»

«Davvero?»

Annuì.

«Certo.»

Avrebbe voluto aggiungere che tutti hanno delle incertezze, ma non le sembrò opportuno: Jun sembrava imbarazzato, e forse per questo cambiò argomento.

«Comunque... ieri mi sono arrivate troppe lettere d'amore.»

Yayoi incastrò le labbra tra i denti.

«Ci credo.»

S. Valentino...

«E troppo cioccolata... io non dovrei neanche mangiarla.»

Annuì, ricominciando a scartabellare il quaderno.

«Yayoi...»

«Sì?»

«Tu hai regalato della cioccolata a qualcuno?»

Yayoi si bloccò e lentamente, forse troppo, scostò lo sguardo dalla carta verso di lui.

Arrossì tremendamente.

«N-no.»

Ritornò al quaderno.

«Non mi sembri molto convinta...»

Rialzò la testa. Jun sorrideva in modo un po' strano, un'espressione che non gli si addiceva per niente... che non le piaceva per niente.

«Ti piace qualcuno, no?»

Inavvertitamente, quella congettura le fece un po' male. Tuttavia, sapeva che quando Jun iniziava discorsi con quel tono un po' scanzonato voleva sapere qualcosa. Voleva sapere qualcosa di vero.

«No.»

«E quello del club di teatro?»

Quello del club di teatro?

«Di chi parli?»

Yayoi cominciava a sentirsi a disagio, ma Jun non pareva pensarci molto: continuava a guardarla.

«Ma di quello che viene sempre agli allenamenti... quello sugli spalti.»

Capì.

Jikan Tesupe.

«Ah, ma tu parli di Tesupe-san? Non sapevo frequentasse il club di teatro...»

Ritornò a sfogliare le pagine del quaderno, nervosamente.

«Pensavo ti piacesse.»

«Ci ho parlato una volta, ma solo per capire perché stesse sugli spalti.»

Il tono si fece un po' sprezzante: «Credo sia più interessato a te che al calcio, sai?»

Yayoi non si scompose.

«Sarà... ma mi ha detto che era lì per vedere il “sole che tramonta”. Diceva che dal campo si vedeva meglio, ma io non ho visto niente di che...»

Yayoi aveva pensato che fosse un tipo un po' particolare quando ci aveva parlato, così era tornata alle sue mansioni senza troppi ripensamenti. A lei interessavano di più i discorsi concreti.

«Spero abbia ricevuto comunque della cioccolata. Non è molto bello non sentirsi... benvoluti

Scoppiò in una risata: «Tu non hai di questi problemi, Jun!»

Ma si stupì quando le parve un po' imbarazzato.

«Non dirmi che tu...»

«Forse anche io ho qualche problema con... con la cioccolata.»

Gli occhi le si sgranarono.

«In che senso?»

E in un sospiro Jun ammise: «Ho ricevuto tanti cioccolatini, ma... non quelli che volevo io

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

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Capitolo 5
*** I. Lo spaventapasseri ***


I. Lo spaventapasseri

Circa quindici anni, quasi sedici*

 

Aveva litigato con gli zii, così era andata a fare un giro. 

Presa la metro, era scesa dopo due fermate, perché la gente era troppa e lei si sentiva già soffocare di per sé: gli zii che avevano cominciato a discutere con i suoi genitori, sua madre che le aveva detto che sua zia la teneva a digiuno perché era dimagrita ma non era vero, suo padre che dava alla zia e alla mamma delle pazze perché continuavano a urlarsi contro e perché per poco non si erano strappate i capelli l'un l'altra. Il club di calcio, che era divenuto più impegnativo, la scuola, che chiedeva di più, i professori, che contavano su di lei, i compagni, che le chiedevano favori cui lei non sapeva dire di no, Jun, che non guariva ma che persisteva e che per questo la faceva preoccupare, e lei, che non aveva il coraggio di chiedergli di non giocare perché... perché niente.

Yayoi si sentiva in trappola. 

Anzi, non in trappola, perché Tokyo era troppo grande. 

Come in un fiume. Un fiume le cui correnti portano all'oceano, forti ma non abbastanza da scalfire i sassi sul fondo. Come uno spaventapasseri, lei stava lì, su un masso che interrompeva la superficie azzurra dell'acqua con il suo grigiore, pavida che l'acqua riuscisse a risucchiare quel sasso e a trascinare giù anche lei. Giù anche lei. Come uno spaventapasseri preda degli uccelli per i vantaggi del raccolto, lei si era beccata lo schiaffo di Jun Misugi, aveva pianto tanto in quegli anni per lui e nei fatti non aveva mai preteso niente, aveva chinato il capo quando i suoi genitori avevano dato alla zia della smidollata: passivamente in balia degli eventi... ecco cos'è uno spaventapasseri.

Ma quel giorno sarebbe stato diverso.

Eccezionalmente arrabbiata, quel giorno voleva pace. Non aveva mangiato, perché quando stava male a lei veniva meno l'appetito, quando soprattutto le emozioni si raggrumavano in lei, fastidiosamente, abituate a essere nascoste.

Passando davanti a villa Misugi, si chiese se lui fosse in casa; ma velocemente represse quel... qualcosa che non comprendeva neanche lei. Il pensiero di Jun la irritava, pur conscia che in condizioni normali non avrebbe mai provato sensazioni così sgradevoli nei suoi confronti.

La confortava l'idea che il giorno dopo sarebbe tornato tutto normale: lei, spaventapasseri, che avrebbe continuato a parlare agli zii come niente fosse, a sfregare palloni con uno stupido straccio nel tentativo di fare qualcosa per lui, di fargli capire quanto sia importante per lei la sua felicità, la sua vita. L'arrabbiatura sarebbe passata.

«Yayoi?»

Non si era neanche accorta che aveva cominciato a piovere.

«Che ci fai qui? E perché non hai l'ombrello? Non vorrai prenderti un malanno spero...»

Jun era davanti a lei, con un ombrello aperto e uno sguardo che tradiva una certa esitazione. Forse era appena tornato da una visita di cui non le aveva parlato. 

Yayoi non rispose alla sua domanda, perché non trovava le parole più sincere per confessargli che era “scappata”, che alla fine ci sarebbe tornata, a casa, perché quel giorno era inspiegabilmente l'eccezione, lo strappo alla monotonia della sua esistenza.

Ma lui la stava fissando con una preoccupazione tale da farla sentire in colpa.

«Ti senti bene? Non è che hai già la febbre, vero?»

Le si stava avvicinando con una mano alzata, quando Yayoi chiuse gli occhi, indietreggiando di poco.

«Yayoi... perché non entri in casa con me? Magari prendiamo un tè.»

Non aveva voglia di tè; non le piaceva neanche molto in realtà: aveva cominciato ad apprezzarlo di più solo da quando la zia aveva comprato la teiera nuova. Per questo scosse la testa, incrociando le braccia al petto per scaldarsi un po' – e perché almeno le mani si sarebbero riparate dalla pioggia.

«Sei strana oggi. È successo qualcosa?»

No, il problema era che era anche colpa sua se le cose non cambiavano.

«Mi fai preoccupare...»

Jun cercava di ripararla con l'ombrello, ma più si avvicinava più lei si allontanava. Sebbene le stesse chiedendo di parlare, lei non aveva granché da dirgli. Yayoi si sentiva solo in colpa, e provava rabbia perché si sentiva sempre in colpa, ma... lo stava facendo preoccupare, e lei non voleva: non lo voleva neanche quel giorno, in quell'eccezione.

Tuttavia... tuttavia desiderava anche sentirsi meno sola.

«Stavo camminando e ho perso un po' la cognizione del tempo. Tranquillo, tanto devo tornare a casa.»

Intanto la pioggia picchiava di più sui vestiti, sui capelli, sull'asfalto, e nell'accorgersi di ciò, incomprensibilmente, Yayoi si sentì un po' umiliata.

«Vieni dentro. Asciugati, e poi ti accompagna il mio autista.»

Forse avrebbe dovuto arrendersi all'evidenza che neanche quel giorno era diverso dagli altri. 

Davvero Jun era riuscito ad arginare tutte quelle emozioni tumultuose non facendo assolutamente niente di diverso dal solito?

«Ti ringrazio, ma dopo torno da sola.»

Con un po' di stupore, lui annuì.

«Allora seguimi.»

E cominciò a farle strada, anche se un po' incerto.

«Ma sei sicura di stare bene?»

Non stava bene, ma non voleva dirglielo.

«Sì.»

«Va bene...»

Entrarono nella villa, e le parve strano che non ci fosse nessuno ad accoglierli.

«Andiamo di là... ti devi asciugare.»

«Ma... sei solo in casa?»

Jun, nel frattempo, le stava facendo strada in direzione di una porta cui lei non aveva mai fatto troppo caso, probabilmente perché lei stessa non andava più in cucina da quando il personale di casa Misugi si era ampliato.

«Probabilmente sono di sopra a sistemare le camere... i miei sono via. Prego, entra pure.»

Con cortesia, Jun le aprì la porta. Poi, entrati entrambi, accese la luce e richiuse la porta alle spalle. 

C'era un tavolo dai decori antichi in mezzo alla stanza, circondato da armadi in legno scuro. Un candeliere capeggiava su tutto, tanto imperioso che anche solo nell'intravederlo Yayoi si sentì piccola.

«Qui si mettono le giacche e i soprabiti degli ospiti... ma sono sicuro che ci siano anche degli asciugamani per i giorni di pioggia.»

Jun cominciò a spalancare le ante degli armadi, mentre Yayoi lo seguiva con gli occhi, ancora all'ingresso, immobile, un po' irrequieta.

«Non me la racconti giusta oggi, sai?»

«Come?»

Di lui vedeva solo le gambe, nascosto com'era dal legno.

«Non me la racconti giusta... ah, eccoli, finalmente.»

Jun serrò l'ennesimo armadio, col volto soddisfatto. Tra le mani teneva due asciugamani. 

Si avvicinò a lei e glieli tese, sereno.

«Grazie, Jun... non dovevi.»

Ne afferrò uno e cominciò a strofinarsi i capelli. Fuori diluviava davvero: lo vide dall'unica finestra che, anche se il cielo era buio, illuminava la stanza.

«Yayoi...»

Yayoi riportò lo sguardo sul suo viso. 

Jun era vicino. 

La stava scrutando.

«Forse... dovresti toglierti il soprabito, altrimenti ti ammalerai davvero.»

Un po' stralunata, perché gli occhi di Jun avevano qualcosa di diverso, avvertì un calore strano scaldarle l'animo e al tempo stesso raffreddare la rabbia, il rancore, l'odio che fino a quel momento aveva riversato, con frustrazione, contro se stessa. 

Si agitò.

«Yayoi?»

Annuì: si sfilò la giacca e si sistemò la camicia.

«Io non voglio sembrarti insistente, però... non ti sto capendo.»

«Non c'è niente da capire... è una giornata un po'... storta, Jun.»

Jun si accigliò, forse stranito.

«Perché?»

Alzò le spalle. 

Non aveva molta voglia di parlare, perché esprimere i suoi pensieri le sembrava un po' inutile, un po' dannoso e anche un po' stancante. 

Lentamente si avvicinò al tavolo. Prima ripiegò l'asciugamano sulla superficie, dopo si poggiò lei stessa al legno. 

«Non mi va di parlare oggi, scusa...»

Non aveva voglia di tornare a casa. Non aveva voglia neanche di stare lì. Tuttavia... non poteva non avere voglia di stare con lui.

«Vuoi fare qualcosa in particolare?»

Lo osservò.

Cercò di cogliere in lui qualcosa... qualcosa che le potesse far intendere che se si fosse avvicinata lui non l'avrebbe allontanata. 

E deglutì.

Vorrei baciarti.

Vorrei baciarti perché vorrei non sentirmi uno spaventapasseri.

Tremendamente in imbarazzo, cominciò a percepire in sé i moti fatali del cuore, mentre Jun pareva più sorpreso che a disagio, con le guance un po' arrossate ma niente di più.

Anche tu stai desiderando quello che desidero io? 

Perché lo desideriamo proprio adesso?

«Mi dispiace tanto, Jun...»

Lo sussurrò, forse per abitudine, ma Jun non le chiese spiegazioni come al solito. 

Vorrei baciarti perché vorrei non sentirmi uno spaventapasseri in questa mia eccezione.

«Io non...»

Ma Jun, inspiegabilmente, si avvicinò sempre di più.

Sempre di più.

E come le onde sul lido si ritirano in qualche istante, brevemente poggiò le labbra su quelle di lei.

Vorrei baciarti cento, mille, poi altre cento e altre mille volte. 

Ma Yayoi gli sfiorò le labbra di nuovo. 

Se solo fosse possibile...

Una volta, poi un'altra.

Io non dubiterei più dei miei desideri se riuscissi a cogliere i tuoi e nei tuoi i nostri indefiniti sentimenti.

Infine le aprì, le labbra, perché anche lui le aveva aperte e lei non sapeva bene come funzionavano i baci. Tuttavia... a un certo punto capì che non le bastava più la sua bocca umida. 

Si accorse che lui le stava stringendo i fianchi e che lei invece era ancora un po' rigida. 

Quindi avanzò. 

Sentì il cuore di Jun, che batteva forte. 

Fortissimo, come il suo. 

Ma il suo cuore non era come quello di Jun Misugi.

Perciò si scostò di poco, negli ansiti insensati che travolgono i ragazzi che non sanno davvero di amarsi ma che eccezionalmente fanno ciò che sentono.

«S-scusami, io... credo di dover tornare a casa.»

Fuori aveva smesso di piovere.

«Yayoi... s-scusami.»

Lei annuì, senza troppi pensieri, con la testa china per la vergogna e per il senso di colpa.

Come sempre.

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

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Capitolo 6
*** 0. Il capanno ***


0. Il capanno*

Circa diciotto anni e due mesi*1

 

Poggiata allo stipite del casotto del Musashi, stava con le braccia conserte e il peso gravante su una gamba. 

Lui aveva ricominciato ad allenarsi. 

Lo guardava da lì, dal piccolo edificio ai lati del campo, su cui Jun correva come se non avesse mai conosciuto la felicità. Correva, marcava i compagni, intercettava la palla e la passava con un sorriso quasi luminescente.

«Misugi-san, sono qua!»

«A te!»

Quel giorno persino le studentesse sugli spalti, che osservavano e tifavano i giocatori da lì, non le suscitavano quella sensazione spinosa di disturbo.

Era il primo allenamento di Jun dopo tre anni di sospensione; anni che lui aveva speso come assistente tecnico del coach, che Yayoi aveva trascorso accanto a lui, in panchina, a occuparsi della squadra e a preoccuparsi per lui. Ora si era alzato dalla panchina finalmente. E anche lei, anche lei si era alzata dalla panchina. 

«Forza Misugi-san! Sei il più forte!»

Da poco la loro scuola aveva istituito il gruppo di tifoseria per i club sportivi. Le cheerleaders del Musashi FC erano state selezionate tra le migliori studentesse della scuola. Provavano le loro straordinarie coreografie ai lati del campo, solitamente dopo gli allenamenti del club calcistico. Ma ora, in divisa, erano proprio di fronte a Yayoi, in cinque, non accompagnate dal loro insegnante. 

Yayoi pensò che fossero lì in via informale: sarebbe stata la prima volta che lo facevano, tuttavia. Così si staccò dal muretto, attraversando il campo quando avvistò i giocatori spostarsi in una metà, tra chi pronto ad attaccare e chi a difendere la porta. 

«Yayoi-chan! Che bello vederti qui. Sei tu la manager, giusto?»

Yayoi annuì. Notò che quella ragazza era l'unica tra le cinque ad avere i capelli sciolti.

«Tra poco il campionato inizierà e abbiamo pensato di allenarci ancora di più, per dare il meglio di noi nel corso delle partite.»

Yayoi gettò un'occhiata al grande orologio all'entrata del campo. 

«Quindi verrete qui durante gli allenamenti?»

La stessa ragazza che prima l'aveva accolta annuì, con un'espressione cordiale.

«Non è un disturbo, vero?»

Yayoi scosse la testa, un po' divertita.

«Non siete di disturbo. Ma dovreste chiedere al coach... sapete, non vorrei che i ragazzi si distraessero

Forse qualcuna di loro arrossì, di sicuro aleggiò un imbarazzo un po' puerile. Così Yayoi, stanca di stare al sole, regalò al gruppo un ultimo sorriso.

«Devo tornare ai miei compiti di manager. Sono sicura che sarete bravissime.»

Si congedò con un piccolo cenno e poi, con placida fermezza, attraversò di nuovo il campo cercando di evitare lo scontro con qualche compagno in corsa. In procinto di entrare nel casotto, tuttavia, avvertì una botta sulla schiena, un colpo che si distendeva per tutta la spina dorsale, né netto né troppo forte ma che bastò a sbilanciarla in avanti. Non cadde, ma solo perché riuscì ad ancorarsi al muro.

«Tutto bene, Yayoi?»

Si drizzò. 

Jun aveva intrappolato il pallone sotto braccio, con un cipiglio contrito. La sua divisa era un po' sporca.

«Sì, non preoccuparti.»

Iniziò a lisciarsi i vestiti, disordinati dall'impetuosità di quel piccolo incidente.

«Mi dispiace averti colpita, ma ti sarebbe arrivata la palla addosso.»

Annuì, con un sorriso. Lo ringraziò, pensando che battere contro la schiena di Jun sarebbe stato sempre meno violento di un pallone impazzito.

Jun ricambiò l'espressione lieta. Quando tornò con lo sguardo al campo, notò che i suoi compagni si erano diretti verso quelle cinque ragazze che prima Yayoi aveva raggiunto.

«Ti ho vista parlare con loro prima... chi sarebbero?»

Yayoi seguì i suoi occhi, affiancandosi a lui.

«Sono le ragazze del nuovo club di cheerleading della scuola.»

«Ma non dovrebbe esserci un insegnante con loro?»

«Già, ma a quanto pare vogliono allenarsi ulteriormente per migliorare le loro prestazioni.»

«Capisco.»

Jun non accennò a raggiungere gli altri. Rimase lì, accanto a lei, che teneva le mani incrociate dietro la schiena. Lo sguardo del giovane si alternava: dai volti dei compagni, incantati e incuriositi dalla novità, al rossore delle ragazze, che, un po' in imbarazzo, cercavano di dimostrare loro che sarebbero state fantastiche già dalla prima partita del prossimo campionato. 

«Hai detto loro che non è una buona idea allenarsi con noi?»

Yayoi annuì, imperturbabile.

«Credo però che stia al coach decidere.»

Jun assentì, ma con poca convinzione. Si voltò verso l'entrata e lesse l'orologio. A gran voce richiamò i compagni, avvicinandosi al centro del campo e invitando loro a fare lo stesso. Anche Yayoi lo raggiunse poco dopo.

«Per oggi l'allenamento è concluso. Domani il coach sarà presente dall'inizio alla fine, non preoccupatevi. Grazie a tutti.»

A poco a poco abbandonarono tutti il campo, salutandosi e scherzando tra di loro. Solo Jun rimase lì, mentre le ragazze del club di tifoseria si erano probabilmente dirette negli spogliatoi femminili, in attesa del loro allenatore. 

Yayoi si avvicinò a lui.

«Bravo, capitano, sei sempre il più forte.»

Jun le sorrise. Con gratitudine, le sorrise con gratitudine, con le perle al posto degli occhi.

«Grazie... grazie davvero.»

Yayoi annuì, e subito chinò la testa.

Si inoltrò nel casotto, intenta a portare a termine i suoi compiti del giorno.

 

Il capanno

solitario è crollato

tra i bianchi fiori di u*2.

[Miura Chora]

 

Percorse l'atrio e riemerse su una strada poco trafficata. 

Si fermò quando quasi inciampò su un pallone da calcio. 

Aggrottando la fronte, si guardò attorno, cercando di capire da dove venisse. 

Lo notò quando si voltò: Jun nascondeva le mani in tasca.

«Che ci fai qui? È tardi.»

Il suo tono esprimeva un'inconsapevole traccia di rimprovero.

«Ho pensato di festeggiare il mio primo giorno di allenamento.»

Yayoi controllò il cellulare.

«Dovrei tornare a casa tra poco però... i miei zii ritornano stasera.»

Jun annuì, con un sorriso cordiale. Imbracciò il pallone, affiancandola, e la invitò a proseguire insieme.

«Dove sono andati?»

«Sulla costa, ma di preciso non lo so... hanno fatto tutto così all'improvviso. Hanno preso la macchina e sono partiti lasciandomi una scorta di riso in casa.»

Ridacchiò, pensando a quanto si erano mostrati eccitati all'idea di una piccola fuga d'amore in spiaggia. In realtà, le avevano chiesto se per lei sarebbe stato un problema stare da sola per qualche giorno, ma Yayoi aveva già augurato loro di trascorrere la vacanza con serenità, pensando solo a divertirsi.

«Quindi sei rimasta sola in questi giorni?»

Lei annuì, con decisione.

«Sono stata bene. La casa senza di loro è un po' vuota, ma credo sia normale.»

«Non è il massimo stare da soli di notte... avresti potuto dirmelo, ti avrei ospitata senza problemi.»

Le venne spontaneo stringere le mani sul tessuto della gonna.

«Lo so... ma credo di dover imparare a stare da sola. Non potrò sempre contare su qualcuno.»

Non potrò sempre contare su di te avrebbe voluto dire, ma non voleva risultargli scortese: Jun non l'aveva detto con malizia.

«Ma finché puoi, perché no?»

L'aveva detto con leggerezza, quasi fosse il principio di uno scherzo. Si era fermato e lei di conseguenza l'aveva imitato.

Davanti a una pasticceria, in cui non sembrava esserci nessuno, Yayoi si accigliò.

«Lo zucchero non è molto consigliato...»

«Lo so, ma oggi voglio festeggiare questa grande vittoria.»

Yayoi cercò il suo volto. Jun era più alto di lei, ma in quel momento le parve più piccolo, come un bambino di fronte al suo giocattolo preferito. E quel sorriso magnetico non lo abbandonava – e Yayoi si sentì violata da un'inspiegabile nostalgia.

«Allora credo che prenderò qualcosa anche per i miei zii.»

Jun annuì, sereno, in procinto di spalancare la porta d'ingresso.

«Benvenuti. Come posso esservi utile?»

Un signore li raggiunse non appena udì la campanella sulla porta tintinnare. Jun fissò Yayoi, che, accanto a lui, stava ammirando le vetrine con curiosità. 

Lei non aveva mai visto dolci così curati, così preziosi... e si sentì quasi a disagio. Si riscosse e arrossì quando si accorse che stavano soltanto aspettando una sua parola. 

«Credo che prenderò questo... potrebbe incartarlo, per cortesia?»

L'uomo annuì con un sorriso sincero.

«Non volevi comprare qualcosa per i tuoi zii?»

Yayoi annuì.

«L'ho appena fatto.»

E sorrise al signore quando le porse il sacchettino.

«Non festeggiamo?»

Così si decise a voltarsi verso di lui. E si imbarazzò.

«Non credo di potermelo permettere.»

Jun aggrottò le sopracciglia. Capì. Quasi scoppiò a ridere.

«Sei proprio sciocca a volte.»

Yayoi si sentì ancora più a disagio, tuttavia, quando capì che lei non avrebbe pagato quella sera. 

«Io vorrei questa e poi, per favore, aggiunga anche quella porzione.»

Lo scrutò mentre con eleganza Jun afferrava il contenitore e tirava fuori dalla tasca il portafoglio.

Usciti dal negozio ripresero a camminare.

Lo ringraziò per averle offerto quei dolci e gli disse che gli doveva un favore.

«A casa tua ancora non c'è nessuno, giusto?»

Lei sospirò.

«Già.»

«Perché non festeggiamo lì? Se non è un problema.»

Yayoi si sentì scottare. Avrebbe dovuto rifiutare, ma si sentiva in debito... «Va bene. La casa degli zii è vicina, così almeno questi magnifici dolci non si rovineranno.»

Svoltarono all'angolo e proseguirono ancora.

«Mi sento rinato.»

Ridacchiò, mentre il cuore le batteva forte.

«Posso immaginare.»

«Secondo te, vinceremo quest'anno?»

Gli lanciò un'occhiata. Jun stava guardando un po' a destra e un po' a sinistra, forse ammirando i lampioni che si stavano accendendo proprio in quel momento.

«Sì, avete delle ottime possibilità... e poi il tifo non vi mancherà di certo!»

Ridacchiò ripensando alle ragazze che aveva conosciuto quel pomeriggio. Yayoi già prevedeva un conflitto di interessi tra quel club e le fanatiche ammiratrici di Jun Misugi.

«Il tifo non è mai mancato.»

Lo affermò con un tono così... strano che il cuore di Yayoi ricominciò a battere con impeto.

Quando giunsero di fronte al palazzo, Yayoi cercò nella tracolla le chiavi. Quando le trovò, le infilò nella serratura e aprì la porta, tenendola spalancata per lasciarlo passare. Salirono le scale e giunsero di fronte a una porta un po' vecchia ma apparentemente resistente. Entrarono in casa, richiusero la porta, si tolsero le scarpe e i soprabiti, e poggiarono gli acquisti sul tavolo del soggiorno. Infine gli fece cenno di accomodarsi.

«Credo che dovresti mettere questa busta in frigo.»

Le allungò il sacchetto che conteneva il dolce per gli zii e lei lo ringraziò, seguendo il consiglio.

«Ti suona il cellulare?»

Yayoi tornò da lui e aggrottò la fronte quando anche lei udì la sua suoneria. Afferrò la tracolla e poi il cellulare. Numero sconosciuto. Lo ripose dentro la borsa, scuotendo la testa. 

Cominciò a scartare i dolci acquistati per festeggiare.

«Rispondi pure se è importante: non mi offendo.»

Offrì a Jun la sua porzione e gli sorrise.

«Non preoccuparti, è un numero sconosciuto.»

Quindi anche lui le sorrise, ringraziandola per il dolce.

«Allora... che tu possa dimostrare a tutti quanto vali, capitano.»

Lui annuì, con le guance un po' rosse anche se, davanti a lei, avrebbe sempre controllato quel tiepido imbarazzo. 

Forse avrebbe aggiunto altro se il cellulare di Yayoi non avesse interrotto quel momento. 

«Forse dovresti rispondere...»

«A un numero sconosciuto?»

Jun annuì.

«Se è lo stesso di prima, magari è importante.»

Si sentì combattuta. Forse aveva ragione, però.

Così rispose.

«Pronto? – Sì, sono io...»

Jun non fiatò ma non le tolse gli occhi di dosso. Quando notò il cambio tanto repentino di espressione che aveva attraversato quel viso portandolo dal disinteresse all'attenzione più totale, si preoccupò, e percepì un'ansia particolare salire, arrampicarsi su di lui. 

«I miei genitori lo sanno?»

La voce di Yayoi suonava limpida. Ma la sua mano si stringeva gravemente sul petto. 

Un pugno sul petto simile a quello con cui lui aveva sempre cercato di contrastare il dolore del cuore

«D-dove devo... dove devo andare?»

Fu in quel momento che Jun si sentì per la prima volta allontanato dalle sue attenzioni, da lei. E si spaventò. 

Si spaventò quando la vide tremare.

«La ringrazio... a-arriverderci.»

Yayoi abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare. La mano sul petto si alzava e si abbassava in modo irregolare. Si scoprì tremolante e tentò di controllarsi, ma le veniva solo da vomitare. Appoggiò l'apparecchio sul tavolo e si strinse a sé.

«Jun, perdonami se risulterò scortese, ma si è fatto tardi...»

Jun si alzò e le si fece vicino.

«Che è successo?»

Yayoi scosse la testa, alzandosi. 

«Niente di importante, te l'ho detto. Ti incarto il dolce.»

Cominciò a concentrarsi sulla carta. Non ce l'avrebbe fatta con lui lì, a trattenersi ancora. E francamente lei non voleva che lui stesse male per lei.

«Yayoi, che è successo?»

Lo sentiva dietro di sé, a un passo da sé, pronto a marcarla finché non avrebbe lasciato a lui il pallone, come sempre. Ma quel pallone, quella sera, era un sasso che si spostava a fatica. 

Scosse la testa, nel tentativo di fargli capire che non doveva insistere e che doveva lasciarla sola.

«Yayoi, non me ne vado finché non mi dici che è successo.»

L'aveva detto con quella che le parve quasi rabbia. 

Jun si innervosiva quando non sapeva che cosa stava accadendo attorno a lui. Si innervosiva quando non sentiva di possedere il controllo. Lei di solito lo assecondava, ma quella sera... quella stizza la sdegnò come mai prima.

«Per favore, lasciami sola.»

Jun non si mosse. 

Era inutile temporeggiare: stava sprecando solo tempo. Alzò gli occhi, cercando di reprimere i singhiozzi e il languore del pianto, quelle smorfie di dolore che le avrebbero deturpato il viso. Si mosse lei. Gli tese la busta e cercò di spingerlo verso l'uscita. Non l'aveva mai fatto prima. Stava premendo le mani sulle sue braccia nel tentativo di allontanarlo da sé con il suo peso... ma neanche lei era molto convinta. Perché non l'aveva mai fatto prima. Nella sua testa i pensieri si confondevano, passavano da una parte all'altra. Temeva di fargli male e al tempo stesso avrebbe voluto fargli male per fargli capire che doveva lasciarla sola. Ma non si sarebbe mai sognata di fargli male. Per fargli capire che c'erano cose che doveva fare da sola.

C'erano cose che Yayoi doveva fare da sola.

Ma Jun... era più robusto di lei. 

Lui non si era mosso. 

Solo all'inizio aveva fatto un passo indietro, per recuperare l'equilibrio, perché la sua reazione lo aveva colto di sorpresa.

«Per favore, Jun...»

La presa sulle sue braccia diminuì ma le mani di Yayoi rimasero lì. 

Solo poco dopo scivolarono. 

Se ne sarebbe andato se non l'avesse vista in quelle condizioni.

«Voglio solo aiutarti, Yayoi...»

Yayoi si poggiò alla sedia poco distante.

«Se te lo dico, te ne vai davvero?»

Jun deglutì.

«Sì.»

Eppure avrebbe voluto dire di no, ma... non voleva che lei si stufasse di lui.

«Jun... i miei zii hanno avuto un incidente molto grave.»

 

Note d'autrice

*Lo zero non esiste nel sistema romano. Qui, tuttavia, lo zero vorrebbe indicare lo stacco: l'inizio della storia, che segue comunque momenti indispensabili per la comprensione del tutto.

*1Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

*2Per “fiori di u” s'intende la deutzia crenata. (Se cliccate sul corsivo dovreste ritrovarvi sulla pagina Wikipedia dedicata.)

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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Capitolo 7
*** I. Mondo di sofferenza ***


I. Mondo di sofferenza

Circa diciotto anni e cinque mesi*

 

La lezione stava volgendo al termine. A breve sarebbe finita anche quella giornata scolastica. 

Yayoi non contava i secondi in attesa di correre fuori dalla classe: non l'aveva mai fatto e, francamente, la scuola riusciva – anche se solo per poco tempo, perché facilmente si deconcentrava – a sollevarla da quel senso di angoscia che da qualche mese le era diventato più che fraterno. 

Cercava di reprimere comportamenti che potessero attirare l'attenzione su di lei quando le persone potevano vederla. Smetteva di battere il piede a terra quando si accorgeva che la sua ansia tentava di smascherare le sue debolezze con quel calpestio insistente che non aveva mai fatto parte di lei. Si impediva di portarsi le dita alla bocca per mangiarsi le unghie, anche se spesso non ci riusciva granché. Si sedeva alla mensa con tutti gli altri, anche se alla fine non mangiava molto, anzi, spesso saltava proprio il pranzo perché la sera prima non aveva avuto voglia di prepararsi niente per il giorno dopo. E per la stessa ragione, a volte saltava anche la cena. Quando le chiedevano perché non avesse più appetito, lei divagava, diceva che aveva fatto una colazione troppo abbondante o che aveva dei problemi di stomaco. Poteva dire qualsiasi cosa: loro le avrebbero creduto, perché si sapeva che lei non fosse solita mentire neanche “all'avversario”. 

Tuttavia, se Jun fosse stato in classe con lei quell'anno, l'avrebbe solo rimproverata. Forse l'avrebbe anche costretta a mangiare, se fosse stato lì. 

Ormai si vedevano soltanto durante gli allenamenti del pomeriggio. 

E più i giorni passavano, più Yayoi avvertiva crescere dentro di sé uno strano senso di repulsione ogni volta che metteva piede in campo: una dura ripugnanza verso le scelte che aveva compiuto in quegli anni, tanto che una parte di sé avrebbe voluto abbandonare definitivamente il club. I ragazzi della squadra, poi, avevano cominciato da qualche tempo a ispezionarla da capo a piedi ogni benedetto pomeriggio...

«Aoba-san, questo pomeriggio hai il permesso di saltare l'allenamento. Non preoccuparti, parlerò io con i ragazzi.»

Yayoi si inchinò, in segno di ringraziamento. Pensò che forse quella sera sarebbe riuscita a trovare la buona volontà di prepararsi la cena e forse persino il pranzo. Poi si incamminò verso l'uscita. Indugiò solo un attimo, in corridoio, quando udì le voci dei compagni nelle spogliatoio.

«Yayoi-chan è cambiata...»

«Sì, è proprio smagrita.»

«Ma è sempre la più bella.»

«Se ti sentisse Misugi...»

«Ma se lui è il primo a sostenerlo!»

«Che è bella o che è cambiata?»

Proseguì lungo il varco. All'uscita, intravide la sua macchina e l'autista che stava appena chiudendo la portiera. Ma il suo cuore si acquietò quando notò che Jun le dava le spalle, intento a firmare qualche autografo a delle studentesse della scuola. Allora fu lesta ad attraversare la strada.

 

Mondo di sofferenza:

eppure i ciliegi

sono in fiore.

[Kobayashi Issa]

 

Jun Misugi sapeva cosa si provasse quando il cuore smetteva di battere. 

Era troppo complesso da spiegare. Non era un pugno nel petto, una stretta incrudelita: era qualcosa di più. Di molto di più. Di più del dolore, del soffocamento, del passo calzante della morte: di più. Ma non sapeva definirlo, quel di più. Eppure sentiva di star provando una sensazione simile, anche se di natura molto diversa, in quel momento, in panchina, al fianco del coach.

«Misugi, tu sai se Aoba-san abbia dei problemi in questo periodo?»

L'insegnante fissava i ragazzi allenarsi.

«Non ne so molto, in realtà. Ultimamente evita un po' tutti...»

Soprattutto me avrebbe voluto dire, ma sapeva che dopo se ne sarebbe pentito.

«In questi mesi è dimagrita molto... troppo. In quanto coach e docente, è mio dovere assicurarmi che tutti i componenti del club stiano bene.»

Jun lo anticipò: «Lei sta bene in squadra, ne sono sicuro. Probabilmente è un periodo particolare... ma passerà.»

Passerà.

Lo sperava, almeno.

«So che voi due siete molto amici... se ha bisogno di un qualche sostegno, falle sapere che può contare su questo club, va bene?»

Jun annuì. Avrebbe voluto alzarsi da quella panchina, ma forse, per la prima volta, non per giocare.

 

eppure i ciliegi

sono in fiore?

 

Yayoi entrò, cercando di non fare rumore. La stanza era piccola e le pareti bianche accoglievano il sole del meriggio dalla finestra. Si avvicinò al letto, il quale occupava gran parte dello spazio. Si accertò che la fronte della zia non fosse troppo calda. Indugiò un po' e poi le accarezzò una guancia.

«Ciao zia, oggi sono venuta prima...»

Si sedette sullo sgabello, al lato del letto. Inspirò profondamente.

«Mi dispiace tanto, zia, non sono riuscita a convincere la mamma a venirti a trovare... dice che starebbe solo peggio di quanto già non stia... ma non lo so, a me sembra solo che lei ti voglia dimenticare... io però sono qui con te, non temere. Ti sostengo. Verrò tutti i giorni, anche solo per dieci minuti. So che te lo ripeto da mesi, ma ho sempre paura che tu... che tu te ne vada. Così invece... così forse tu mi aspetterai se mantengo la mia promessa ogni giorno.»

Era da qualche mese che Yayoi si metteva lì e parlava. Le raccontava tutto quello che le frullava per la testa. Ed era incredibile come più parlava con la zia, più stava zitta con tutti gli altri. 

«Oggi rimango un po' più a lungo. Il coach mi ha dato il pomeriggio libero. Pensavo che non mi avrebbe mai permesso di saltare l'allenamento dei ragazzi in un periodo come questo. Tra poco c'è il campionato e hanno bisogno di sostegno. Oggi ho sentito le loro voci in corridoio. Dicono che sono cambiata. Che sono dimagrita troppo. Tu, zia, mi trovi magra? Secondo me, si sono convinti che sia così. E comunque non sarebbe poi così negativa la cosa, no? Tu, zia, dicevi sempre che dovevo dimagrire un po'. Comunque, non preoccuparti. Ho molte più energie di quanto si possa pensare. Economia domestica mi piace di meno, ma non importa. Non mi va molto di cucinare... domani vengono a trovarmi i genitori. Vogliono omaggiare lo zio. Mi dispiace davvero, zia... ma credo che quella casa non faccia che ricordarmi... credo che chiederò ai miei genitori di venderla. So che l'avete lasciata a me, ma io sono ancora troppo piccola per riuscire a gestirne una così. Ne vorrei una più piccola. Una stanza tutta per me, sì... vorrei una stanza tutta per me.»

Ma più parlava con la zia, più si sentiva sgonfia: più si sentiva vuota: più si sentiva nulla

All'inizio le pareva quello un senso di leggerezza piacevole. Uscita da quella stanza, da quell'ospedale, e camminando verso casa, tuttavia, quel primo piacere si storpiava in senso di colpa, confusione, paranoia. Arrivata a casa, si gettava sul letto, troppo pesante per reggersi ancora in piedi. Si addormentava e poco dopo si risvegliava, a notte fonda, quando ritrovava quel minimo di volontà per farsi una doccia e studiare un po' alla scrivania. 

Ma quel giorno era diverso dagli altri: aveva avuto il pomeriggio libero ed era già stata dalla zia. Avrebbe avuto tutto il tempo di non buttarsi stancamente sul letto. Quindi arrivò a casa e gettò la cartella sul letto. Si buttò sotto la doccia. Cercò di raccogliere i capelli in un turbante, fallendo. Si specchiò e, appena lavata, si sentì sporca. Rozza. Si sforzò di non interrogarsi troppo: si vestì e si diresse nella sua stanza. Si sedette sulla scrivania e cominciò a fare i compiti per il giorno dopo. Controllò l'ora sul cellulare. Era piuttosto presto. Per la prima volta dopo settimane atroci si sentì capace di fare qualcosa di buono per se stessa. Di utilizzare il tempo come voleva lei.

Dopo qualche ora, il cellulare squillò. 

Rabbrividendo, Yayoi gettò un occhio allo schermo.

«Pronto?»

«Ciao, Yayoi.»

«Jun... come stai? Come è andato l'allenamento?»

Iniziò a camminare per la stanza – su e giù, avanti e indietro, su e giù, avanti e indietro.

«Bene, è andato bene. Il coach ci ha detto che hai avuto un impegno...»

«Sì, mi dispiace.»

«Io... io avrei bisogno di parlarti, Yayoi. Non a scuola, però.»

«Ti ascolto anche adesso. Se hai tempo, insomma... ti ascolto.»

Ansiosa, cominciò a sfregare le unghie della mano su una coscia – su e giù, avanti e indietro, su e giù, avanti e indietro – non preoccupandosi minimamente di graffiarsi.

«In verità... preferirei vederti. Se sei libera domani, dopo l'allenamento...»

«Domani vengono i miei genitori, mi dispiace.»

«Ah, capisco... sei ancora impegnata?»

«Non ho molta voglia di uscire... mi dovrei asciugare i capelli.»

«Capisco...»

«Credo di aver bisogno di dormire, Jun... perdonami, ma non sono proprio in vena.»

«Per favore, non riattaccare, Yayoi...»

Per favore, non riattaccare.

Yayoi allontanò per un attimo il cellulare dal volto, inspirando con profondità.

«Jun... continua ad allenarti, adesso che finalmente puoi farlo. Hai sofferto così tanto... non smetterò mai di sostenerti: tu sei proprio il più forte...»

Tu sei il più forte di tutti.

Ma su quel forte la voce le si era un po' spezzata.

«Yayoi...»

«Adesso però dovrei davvero dormire. Sono molto stanca. A domani.»

Non aspettò neanche il suo saluto: ripose il cellulare sulla scrivania e si sdraiò sul letto. 

Spense la luce.

No, neanche quella sera aveva trovato la buona volontà di cucinare.

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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Capitolo 8
*** II. Senza tenersi ***


II. Senza tenersi

Circa diciotto anni, cinque mesi e due giorni di più*

 

Non sapeva molto di quello che in quei mesi le era successo. 

Sapeva che i suoi zii avevano avuto un incidente, che suo zio era morto. Della zia, però, Jun sapeva ancora meno, e chiedere informazioni a Yayoi in proposito non gli sembrava molto opportuno. 

L'aveva vista cambiata in quelle settimane. Quando aveva cercato di strapparle qualche parola, lei si era chiusa ancora di più; quando aveva cercato di farle capire che lui l'avrebbe aiutata sempre, e non solo per l'infinita gratitudine che lo legava a lei, lei aveva fatto un passo indietro.

Distante.

Anche se era tornato a indossare la maglia numero 14, in quel periodo Jun Misugi era troppo distratto. Il coach più volte l'aveva ripreso, i compagni più volte gli chiedevano se avesse qualche problema, se fosse stanco, se avesse voluto riposare. Ma lui non era affatto stanco, né tantomeno voleva riposare. 

Il club di tifoseria non era più venuto ad allenarsi con loro. Mancava meno di una settimana all'inizio del torneo studentesco e gli allenamenti si erano intensificati. Yayoi li aiutava, come sempre, ma non... non più con calore. E anche gli altri giocatori se ne erano accorti.

«Yayoi-chan è proprio pallida.»

«Secondo me, si è ammalata...»

«Speriamo che non sia niente di grave allora.»

Quando Jun udiva i compagni parlare negli spogliatoi di lei con tale preoccupazione, si sentiva in colpa... Yayoi non stava bene, e lui lo sapeva: perché non riusciva a fare niente per lei? Senza imporle la sua presenza, né forzarla in un momento così delicato... ma allo stesso tempo si sentiva in dovere di farlo: di proteggerla come lei aveva fatto in quegli anni con lui.

Quando il telefono squillò, in tasca, lui era in auto, solo, di ritorno dagli allenamenti. 

L'autista continuava a guidare imperterrito.

«Pronto?»

«Jun, come va?»

«Tsubasa! Che piacere sentirti. Io sto bene, tu come stai?»

«Bene! Non vedo l'ora di vederti giocare... mi hanno detto che tornerai in campo. Ne sono felice.»

«Tornerai in Giappone presto?»

«Per le vacanze. Qui c'è ancora qualche partita da giocare.»

«Capisco... e con i mondiali?»

«Tornerò di sicuro per quelli.»

«Ho visto qualche partita... sei migliorato molto. Sei un grande campione, Tsubasa.»

«Anche tu, Jun. Tu sei migliore di me.»

«Ah, non credo...»

Poi avvertì una piccola indecisione nelle parole di Tsubasa.

«Jun... ti ho chiamato per un motivo particolare, in realtà.»

«Dimmi pure.»

«Ho saputo che... che gli zii di Yayoi hanno avuto un grave incidente.»

Incomprensibilmente Jun percepì un leggero ronzio sullo sterno.

«Te l'ha detto lei?»

«No no, me l'ha detto mia mamma... penso che lei lo abbia saputo dai genitori di Yayoi.»

«Capisco... sì, purtroppo è così.»

«Come sta?»

Jun esitò, con un po' di reticenza in gola, ma infine sospirò.

«Non molto bene.»

«Prenditi cura di lei, mi raccomando.»

Gettò uno sguardo fuori dal finestrino.

«Spero di riuscirci.»

Si scambiarono i consueti saluti di cortesia e poi Jun non sentì più niente fino a che non arrivò a casa.

 

Senza tenersi

da sola galleggia

la ranocchia.

[Naito Joso]

 

Ogni mattina sembrava che non vedesse l'ora di scappare da quella casa. 

Più camminava, più distante era da quell'appartamento, più il suo passo si allentava. 

Mangiava un po' di frutta per colazione. Entrava in classe, e ogni mattina sembra ripetersi con poche varianti rispetto alla precedente. E Yayoi non vedeva l'ora che arrivasse il pomeriggio. 

Il giorno prima aveva incontrato i genitori e aveva litigato con loro. I suoi genitori non volevano che lei stesse lì da sola, in quella casa. Yayoi aveva chiesto di venderla e di comprare un appartamento più piccolo. Le avevano risposto che sarebbe stato poco opportuno per una ragazza vivere da sola a Tokyo. Lei era convinta. Loro pure. Le avevano dato una settimana di tempo per decidersi a cambiare idea. “Mi manterrò da sola, voi non dovrete fare nulla”, aveva proposto. L'antipatia che i suoi genitori le suscitavano non era mai stata tanto... tanto acuta come in quel periodo. Se ne erano andati, sdegnati: suo padre si vergognava per lei, così le aveva detto. Ma Yayoi aveva fatto una promessa alla zia – che non l'avrebbe lasciata sola – e l'avrebbe mantenuta, anche a costo di dover stare da sola e di lavorare. Avrebbe venduto la casa e ne avrebbe comprata un'altra. Avrebbe trovato un lavoro e avrebbe continuato a studiare. Ce l'avrebbe fatta. 

Ce l'avrebbe fatta da sola

E nel pensare quel da sola, la pervase un'emozione nuova... un senso di libertà che non aveva mai conosciuto prima. Senza considerare i suoi genitori, i suoi zii, Jun... senza nessuna condizione, lei stava decidendo cosa fare per se stessa. Ma come prendeva coscienza di quella nuova strada, Yayoi si vide minuscola, slegata da tutto ma al centro di un mondo che non la teneva più ancorata a qualcosa. 

Debole.

Debole mentre il cuore accelerava, mentre il respiro si affannava e mentre la testa... mentre la testa si confondeva, insieme agli occhi.

E c'era una nube davanti a lei. 

Una nube che sfocava la realtà. 

Una nube di tutti e di nessun colore.

Come evitarla?

Doveva evitarla?

Eppure Yayoi voleva vedere il mondo. 

Ma dove si trovava in quel momento? 

Dove stava andando?

Al campo? 

Sulle scale?

Stava per entrare?

Le mancava forse solo un gradino?

Sì, le mancava solo un gradino.

Eppure non se lo ricordava.

Le gambe non camminavano più.

Non rispondevano più.

Stava cadendo?

Perché stava cadendo?

«Yayoi-chan! Yayoi-chan!»

«Prendila, ma porca... dobbiamo chiamare il capitano.»

«Sarebbe meglio il coach, non credi?»

«Vai a chiamare Jun, presto!»

«Yayoi-chan, mi senti? Ti senti male?»

«Non ti preoccupare, Yayoi-chan, non sarà niente di brutto. Adesso ti portiamo...»

Dove?

Dove l'avrebbero portata? 

Avrebbe voluto chiederlo, ma il cuore non l'avrebbe ascoltata più.

Quello batteva piano piano... piano, piano: piano.

 

da sola galleggia

la ranocchia?

 

Sfiorando la divisa pulita, mentre il 14 gli pareva più lucente del solito, si ricordò di aver letto da qualche parte che quel numero significava libertà, esplorazione, cambiamento... ogni partita era stata una battaglia: una guerra contro la malattia. Con se stesso.

«Jun.»

Si voltò, appena indossata la maglia della squadra.

Squadrò l'amico e s'incupì.

«Dimmi.»

«Yayoi-chan non sta bene.»

E fu tutto molto rapido nella realtà, anche se nella testa di Jun tutto si era fermato. 

Yayoi-chan non sta bene.

«L'abbiamo vista cadere e abbiamo cercato di prenderla al volo. Per fortuna siamo arrivati in tempo. Abbiamo pensato di chiamarti e poi... abbiamo chiamato il coach.»

Ma Jun lo ascoltava con distrazione. 

Giunti all'entrata del campo, la vide stesa a terra, davanti alle scale. C'erano due dei suoi compagni con lei. Uno le reggeva la testa. 

Si inginocchiò. 

Rabbrividì.

Cercò di reprimere il disagio che quella situazione gli provocava dentro.

«Capitano, non preoccuparti. Forse è un abbassamento di pressione.»

Jun annuì. 

Le circondò le spalle con un braccio e passò l'altro sotto le ginocchia. 

La strinse a sé, forte, e si tirò su, in piedi. 

«La porto in infermeria. Ditelo al coach... grazie.»

Un grazie che significava molto di più. 

Ma Jun non giunse in infermeria. 

A poca distanza dal luogo dello svenimento, Yayoi aveva già riaperto gli occhi.

«Jun, ma che...»

«Credo che tu debba mangiare di più.»

Aveva serrato la presa sulle spalle e sulle ginocchia. 

Era stato duro.

«Lasciami, per favore.»

«No.»

Yayoi si accigliò.

«Dove mi stai portando?»

«In infermeria. Sei svenuta, Yayoi. Se non ci fossero stati gli altri...»

La strinse un po' di più a sé.

Il volto contratto e il mento irrigidito.

Era arrabbiato.

«Non voglio.»

«Neanche io volevo che tu ti sentissi male, ma non sempre otteniamo quello che vogliamo.»

«Jun.»

Yayoi cominciò a muoversi un po', seppur flebilmente, per liberarsi dalle sue braccia.

«No... sono stanco

Si fermò.

Era stanco di quel silenzio.

Era stanco di vederla soffrire e di non poterla avvicinare.

Era stanco di sentirsi allontanato da lei. 

Era stanco di non ricevere più neanche un suo sguardo.

Era stanco di sentirsi escluso.

Era stanco di non riuscire ad ammettere a se stesso che...

«Non voglio, per favore. Fammi scendere.»

E Jun si sentì fremere dentro.

Udì un astio sconosciuto, forse ingiustificato, bussare al cuore.

«Sei una sciocca. Ti stai rovinando la salute da sola.»

Sciocca.

«Non è vero...»

«Potresti essere sana, vivere senza vincoli, eppure... eppure sembra che tu preferisca stare male.»

Senza vincoli.

Lui la stringeva forte. 

Non l'aveva mai stretta tanto forte.

«Non mi dici niente... pensi che non mi importi di te, Yayoi?»

Yayoi teneva lo sguardo basso. 

Pareva che si vergognasse, a disagio, con gli occhi illividiti... e Jun non poté non sentirsi in colpa.

«Ti prego... parlami. Ma perché tu puoi aiutarmi e io non posso aiutare te?»

Perché tu puoi aiutarmi e io non posso aiutare te?

Yayoi si piegò in una smorfia amara.

«Io... ho bisogno di trovare la mia strada da sola, Jun.»

Perché non lo voleva vicino dopo tutto quel tempo condiviso insieme? 

Non ti fidi più?

E perché non ti fidi più di me?

«Jun, tu non c'entri niente.»

Yayoi tirò su col naso: aveva smesso di divincolarsi.

«Ci sono cose che si affrontano da soli, con volontà e pazienza... non puoi proteggermi. Non puoi... controllare i miei dolori.»

Perché tu non controlli neanche i tuoi, Jun.

«Lo so, ma...»

Si crucciò.

«Allora, per favore, continuiamo a essere quelli di sempre: tu pensi al calcio, io penso alla squadra.»

Tu pensi a te, io penso a te.

a te, Yayoi, chi ci pensa adesso?

«Se tu sei diversa, come si fa?»

Era tutto meccanico. 

Jun si sentiva male, Yayoi si prendeva cura di lui. Jun stava meglio, Yayoi vegliava su di lui. Jun faceva una cosa, Yayoi ne faceva un'altra conseguentemente. 

Ma come potevano continuare a essere quelli di sempre se i ruoli che fino a quel momento avevano ricoperto si erano invertiti, se per una volta era Yayoi a stare male e non Jun?

Seppur in subbuglio, Jun ricominciò a camminare verso l'infermeria.

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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Capitolo 9
*** III. Ossa esposte in un campo ***


III. Ossa esposte in un campo

Circa diciotto anni e sette mesi*

 

Alla fine aveva ricominciato a cucinare. Aveva ricominciato a mangiare un po'. Aveva venduto quella casa in poco tempo e ne aveva comprata un'altra, più piccola, un po' più vicino a scuola. Si era trovata un lavoro part-time sotto casa sua, al ristorante di ramen. Faceva la cameriera. La paga non era alta, ma i soldi della casa le sarebbero bastati per almeno sei mesi. 

La sua nuova casa non era che una stanza. Una stanza tutta per sé. Il bagno era grande quanto un ripostiglio. Gli scatoloni del trasloco erano ancora lì, a circondare il letto. Ogni volta che pensava di aprirli e sistemare la roba le veniva voglia di buttare via tutto: tutto quello che apparteneva alla vecchia casa. Si riteneva attaccata agli oggetti, siccome ci trovava qualcosa di straordinariamente umano. Il ricordo: ci trovava il ricordo di quando non le mancava niente. 

Stava cucinando il pranzo per il giorno dopo. Ne stava preparando anche un po' per Jun, perché l'indomani avrebbe giocato la sua prima partita di campionato dopo anni di panchina. 

Stava meglio in quella nuova casa, più a suo agio in una cucina che sua zia non aveva conosciuto. 

Controllò l'orologio. A breve il suo turno di lavoro sarebbe cominciato. Non le piaceva molto fare la cameriera, ma non se ne lamentava troppo: lavorare ed essere ripagata per l'impegno le piaceva. 

Con i genitori non aveva più parlato. Aveva ricominciato a parlare con Jun, ma solo perché lui le aveva promesso che nonl'avrebbe aiutata, che l'avrebbe soltanto affiancata

Chiuse l'acqua del rubinetto e poi si preparò per la serata. 

Il suo datore di lavoro voleva che le cameriere indossassero calze trasparenti sotto la gonna. Diceva che più chiare erano più nella sera gli uomini sarebbero accorsi al ristorante, in cerca di un'accoglienza luminosa. Insomma: una teoria tutta sua, che non aveva alcun fondamento empirico e che, secondo Yayoi, somigliava più a una scusa per una sbirciata di troppo.

«Buonasera, Aoba-san. Sei in anticipo.»

«Buonasera, Bosaru-sensei.»

Yayoi si inchinò, con un sorriso. 

Quel ragazzo aveva più o meno la sua età. Si occupava del ramen al banco, ma non raramente Yayoi aveva dovuto correre in suo aiuto per salvarlo dal licenziamento. Bosaru-sensei era infatti un cuoco tanto eccezionale quanto terribilmente disordinato... poi, certo, era anche simpatico, bisognava ammetterlo, perché era divertente lavorare con lui – soprattutto quando il suo impaccio le faceva dimenticare per un po' la mestizia. 

«Oggi abbiamo un ospite speciale, sai?»

Si allacciò il grembiule.

«Davvero? Chi?»

«Jun Misugi!»

Strinse gli occhi.

«Ah... e quando verrebbe?»

«Non lo so. Prima è passato e ha chiesto di te... se il capo lo venisse a sapere, ti darebbe un aumento. Non tutti conoscono certe celebrità di persona!»

Yayoi pensò che l'aumento, in quelle circostanze, non le sarebbe servito a niente se non a farla sentire ancora più in colpa. 

Notò che fuori un gruppo di studenti stava aspettando di entrare.

«Cominciamo a lavorare, Bosaru-sensei?»

Così iniziò ad accogliere i clienti con il sorriso, proprio come voleva il capo.

 

Ossa esposte in un campo –

nella mia carne il morso

del vento.

[Matsuo Basho]

 

Tsubasa gli aveva confessato che avrebbe chiesto a Sanae di sposarlo e Jun... si era sentito un bambino in confronto a lui. 

Tsubasa stava vivendo i suoi sogni, si stava realizzando ed era anche innamorato. Jun non conosceva molto bene Sanae, ma Yayoi anni prima gli aveva confidato che secondo lei si sarebbero fidanzati presto. Quando Jun glielo aveva chiesto, Tsubasa aveva risposto che ancora lui e Sanae non stavano insieme perché troppo distanti. “So che prima di sposarla dovrei chiederle di fidanzarci, ma... sento che il tempo mi scivola di mano, capisci?”, gli aveva detto Tsubasa. Eccome se lo capiva. Nessuno meglio di Jun poteva comprendere quella sensazione di... di finito. Si erano salutati poco dopo. “Verrò al matrimonio allora!”; “prima lei dovrebbe dire di sì però!”. Aveva riso. 

Tsubasa sembrava proprio diverso: più grande, più adulto. E Jun come appariva, invece?

Spalancò la porta d'ingresso ed entrò.

«Benvenuto, signore.»

L'aveva accolto una ragazza che sembrava poco più grande di lui. 

Non l'aveva mai vista.

«Prego, si accomodi. La serviremo subito.»

Jun si sedette al tavolo che la donna gli aveva indicato. 

Il bancone era pieno quella sera. 

Aveva detto ai suoi genitori che sarebbe andato con la squadra al ristorante e loro non gli avevano fatto domande.

«Signore, come potrei...»

Jun abbassò il menù, per rivolgere la più completa attenzione alla cameriera con il taccuino in mano. E quella cameriera, invece, lui la conosceva benissimo.

«Che ci fai qui?»

Non si scompose, fece finta di niente.

«Credo che prenderò la zuppa di miso della casa e una Asahi*1

Yayoi lo squadrò.

«Una birra?»

«Una birra.»

Non senza qualche esitazione, Yayoi appuntò l'ordine.

«Altro?»

«No, grazie.»

Le sorrise, un po' come si fa con gli sconosciuti: per gentile circostanza.

Ma Jun percepì bene il suo disappunto.

«Bene, signore. Arriva subito.»

Abbassò la testa sul tavolo, ma il sorriso non svanì affatto. 

Tsubasa si sarebbe sposato presto?

«Aoba-san, ma quello è lui

Una voce gli giunse alle spalle, ma non udì la risposta di lei. 

Poco dopo Yayoi posò sul tavolo la birra e la zuppa.

«Quando finisci di lavorare?»

«Non è permesso intrattenersi con le cameriere, signore

Gli era parsa allusivamente aspra, e lui lottò con se stesso per non arrossire.

«Allora vorrà dire che ti aspetterò qui fuori.»

«Non è permesso neanche questo. E poi ci faresti notte, qui finisco tardi...»

Poi qualcuno la chiamò.

Si scusò con Jun e infine sparì dalla sua vista.

 

nella mia carne il morso

del vento?

 

«Ottimo lavoro, Aoba-san. Ci vediamo tra due giorni.»

«Grazie. A presto.»

Uscì dal locale e lo trovò davvero lì, ad aspettarla.

«Non ho voglia di camminare.»

Cominciò a procedere verso casa. 

Lui le si era affiancato.

«Mi ha chiamato Tsubasa.»

«Davvero? Spero stia bene.»

«Mh, mi ha detto che vorrebbe sposarsi con Nakazawa-san.»

Yayoi si arrestò davanti al portone del palazzo.

«Adesso?»

Annuì, nascondendo le mani in tasca.

«Già.»

Yayoi trovò le chiavi.

«Non è un po' presto per pensare al matrimonio?»

Non appena riuscì ad aprire, si voltò verso di lui.

«Ti saluto. Ci vediamo domani a scuola.»

Rabbrividì.

«Credo di non sentirmi bene stasera.»

Quasi cedette la mano che stava tenendo la porta aperta.

«Cosa? Che ti senti? Il cuore?»

Il suo cuore stava battendo troppo velocemente.

«Forse ho solo bisogno di qualcosa di caldo... non preoccuparti.»

Allora Yayoi non ci pensò molto: gli fece spazio.

«Sali. Ti preparo qualcosa. Devo ancora sistemare le cose, ma...»

Non terminò la frase, perché erano già arrivati davanti alla porta di casa. Gli aprì la porta e lo invitò ad accomodarsi. Subito si diresse verso l'angolo cottura. Aveva comprato un po' di sencha*2 per la colazione: non ne era rimasto molto ma poteva bastare per una tazza.

«Scusa, non è ancora un granché... non ho ancora trovato il tempo di disfare gli scatoloni.»

Quando si girò con la tazza in mano, lo trovò in piedi, a un passo da sé.

Jun la ringraziò, poggiando le labbra sul bordo della ceramica. Yayoi si scoprì a osservare quanto quelle labbra sembrassero morbide rispetto alla compattezza della tazza: distolse lo sguardo e si allontanò di qualche passo.

«Comunque, non credo sia presto.»

Alzò lo sguardo per incontrare quello di lui. 

Non aveva capito.

«Non credo che sia presto per Tsubasa.»

Riabbassò gli occhi, ma sorrise al ricordo di Tsubasa bambino, pieno di sogni da realizzare.

«Lui è sempre stato un po' impulsivo. Un po' come te...»

E tornò a fissarlo. 

Jun stava sorseggiando il tè. 

Le parve sorpreso.

«Mi hanno sempre detto il contrario.»

«Se si tratta di calcio, allora non hanno tutti i torti... ma se si tratta di altro, non credo abbiano ragione.»

Le consegnò la tazza e lei gentilmente la ripose nel piccolo lavello. 

Cominciò a insaponarla.

«Stai meglio?»

«Mh?»

«Hai detto che non ti sentivi bene.»

Chiuse il rubinetto e asciugò il coccio con lo straccio, e lo ripose al suo posto.

«Se non mi dici la verità, non ti parlo più.»

Jun ridacchiò.

«Avrei potuto ricattarti anch'io così...»

«Se ti senti meglio, puoi farti venire a prendere dall'autista.»

Fece un passo verso Yayoi, la quale indietreggiò altrettanto.

«Non sto meglio.»

«Non mi sembra...»

«Yayoi, secondo te, Tsubasa si sposerà davvero?»

Aggrottò la fronte. 

«Prima o poi si sposerà anche lui...»

«Sai perché vuole sposarti così presto?»

Yayoi scosse la testa, un po' a disagio. 

Si allontanò da lui e si avvicinò agli scatoloni.

«Dice che sente di avere poco tempo.»

Lei si sedette, e toccò i cartoni con mani e braccia.

«Lui ha tutto il tempo del mondo. Digli di non correre troppo.»

Lo sentì avvicinarsi, e Yayoi non si mosse più.

«Io un po' lo capisco, in realtà... è una sensazione comprensibile, no?»

La sensazione di non avere abbastanza tempo... senza neanche rendersene conto, Yayoi cominciò a spacchettare la scatola che aveva dinnanzi.

«Vuoi sposarti anche tu, Jun?»

Risero.

«Capisco la sensazione, ma non so se lo farei al posto suo.»

Intanto, Yayoi pescò una serie di libri che aveva deciso di tenere.

«Se fossi Sanae-chan, io gli direi di no.»

«Magari lei non vede l'ora.»

«Sanae-chan è una ragazza davvero straordinaria. Credo che lo ami molto... di sicuro accetterà, anche soltanto per stargli vicina.»

Forse, tuttavia, Tsubasa voleva chiederle di sposarlo così presto perché neanche lui ce la faceva più ad aspettare tutti quei mesi per rivederla.

«No... forse ho cambiato idea... se fossi davvero Sanae-chan, accetterei.»

Ma Yayoi non era Sanae e il suo grande amore non era affatto lontano. 

Anzi, era troppo vicino.

«Questa sei tu?»

Si voltò verso il suo ospite. Jun teneva in mano una fotografia un po' rovinata, la quale ritraeva una piccola Yayoi insieme agli zii. 

«Ah, sì. Il mio primo compleanno con loro, prima di trasferirci... in città.»

Jun ripose l'immagine nella scatola, ma Yayoi la ritirò fuori: la posò a terra, insieme a tutta la roba che per giorni era stata nascosta.

Sospirò.

«Credo che sia giunta l'ora di svuotare queste stupide scatole

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

*1La Asahi Super Dry è una birra giapponese molto famosa anche a livello internazionale.

*2Il sencha è forse il tè verde più popolare in Giappone. È tra i più amari, ma ha proprietà depurative, è drenante ed è anche un ottimo sostituto del caffè.

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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Capitolo 10
*** IV. In questo giorno ***


IV. In questo giorno

Circa diciotto anni, sette mesi e un giorno di più*

 

«Oggi, zia, Jun ha giocato la sua prima partita dopo tanto tempo. Era così felice... era contagioso, davvero contagioso. La squadra ha vinto. Lui ha vinto. Speriamo di vincere il campionato quest'anno... sarebbe un ottimo trampolino per Jun. Io spero davvero che continui a essere così. Detesto vederlo spento... mi rattrista.»

Si alzò, per cambiare l'acqua ai fiori che aveva portato qualche giorno prima.

«Vorrei tanto che...»

Tu ti svegliassi

Yayoi non sapeva se la zia potesse sentirla, ma forse esprimere quei suoi desideri ad alta voce non era molto opportuno.

«Zia, credo che per oggi il tempo di visita sia finito. Torno domani, come sempre.»

Le lasciò una carezza sulla mano e uscì dalla stanza. Se ne sarebbe andata se il dottore non l'avesse intercettata.

«Aoba-san?»

«Sì, dottore?»

Quanti ne aveva visti, di medici, nella sua vita? Di quanti aveva avuto paura?

«Le consegno le ultime analisi di sua zia... abbiamo rilevato una forma di polmonite, dovuta probabilmente al suo stato attuale.»

Afferrò la cartella, con mani tremanti.

«Non... è in pericolo?»

Si accorse che l'uomo stava esitando, come a trovare le parole giuste. Avrebbe voluto dirgli che era abituata alle brutte notizie – anche se continuava a tremare – e che avrebbe potuto anche confessarle che la zia, date le sue condizioni, sarebbe morta presto.

E almeno non avrebbe sofferto più.

«Faremo del nostro meglio, signorina. Glielo prometto.»

Glielo prometto.

«Arrivederci, dottore.»

Gli diede le spalle e cominciò a camminare a passo spedito verso l'uscita.

 

In questo giorno

che tramonta

sono caduti i fiori di ciliegio.

[Miura Chora]

 

«Ancora complimenti, capitano. Sei stato fantastico.»

«Sì, oggi hai dato prova di te, Misugi.»

«Sei davvero un campione.»

«Grazie, ragazzi. Ma smettetela adesso, state diventando peggio della tifoseria sugli spalti!»

Avevano riso, prendendosi in giro, e poi si erano salutati, felici come bambini. Jun aveva cominciato a camminare da solo. Ancora la sera non era calata e non faceva freddo. Nell'aria si sentiva odore di fritto. Il cielo era arancione e il venticello primaverile scompigliava un po' i capelli e un po' i vestiti. C'erano un po' di persone in giro, ma non troppe.

Quando poco dopo arrivò di fronte a casa sua, non entrò. Non entrò perché fu distratto dalle risa di due bambini che giocavano nel parco vicino. 

“Prova a prendermi se ci riesci!”. 

“Non mi scappi!”.

Jun si mosse verso di loro. 

Al di là della prima fascia di erba c'era un ponte e sotto il ponte un fiumiciattolo artificiale che lui aveva sempre creduto vero. E poi anche mille ricordi legati a quella terra al di là del primo pezzo verde di parco. 

Così vi si diresse. Attraversò il ponte e si sedette in riva al fiume.

Sei triste, Jun-kun?

No, stavo solo pensando.

A che cosa?

A quando sarò grande e potrò realizzare tutti i miei sogni!

«Ma tu... ma tu sei Jun Misugi?»

Si voltò. 

Jun sorrise.

«Sono io.»

Vide i volti dei bambini illuminarsi quanto la limpida superficie dell'acqua.

«Sei fantastico! Noi rivediamo sempre le tue partite in tv! Sei fortissimo, davvero fortissimo!»

«Anche io voglio diventare come te da grande! Sei davvero un campione!»

Per poco non arrossì; si sentì quasi a disagio nel ricevere tutti quei complimenti. 

Li ringraziò di cuore.

Cosa vuoi vincere?

Le Olimpiadi!

Le Olimpiadi?

Sì! Entrerò nella nazionale giapponese e vincerò per il Giappone!

«Ma sei qui tutto solo, Misugi-senpai?»

Jun annuì, e sperò che quei due tornassero a giocare per conto loro.

«Andiamo, Kyuri-chan. Il senpai starà aspettando qualcuno.»

Così il bambino si avvicinò all'orecchio di Jun: «Tranquillo, Misugi-senpai. Kyuri-chan è un po' ficcanaso, ma è solo una bambina. Lei non sa che cosa sia l'amore.» Quindi, afferrata la mano della compagna, il bambino la tirò lontano da lì. «Sei fortissimo, Misugi-senpai! Scusaci per il disturbo!», gridò la bambina nell'allontanarsi, e anche lei riprese a correre.

E Jun... scoppiò a ridere. 

Come non gli succedeva da troppo tempo: con una mano sulla pancia e una sugli occhi. 

Ah, l'infanzia... lasciava solo una dolce malinconia.

Lei non sa che cosa sia l'amore

Quei bambini erano stati davvero buffi. 

E puntando lo sguardo al di là del ponte, ricercando le mani ancora unite di quei bambini e quei corpi così piccini, si chiese come potessero sapere cos'era l'amore; come riuscisse a entrare in loro l'amore.

E lui sapeva cosa fosse?

 

sono caduti i fiori di ciliegio?

 

Finito il turno e uscita dal ristorante, si strascicò verso casa. 

La fatica era tornata, e lei non vedeva l'ora di buttarsi sul letto a non fare niente. 

Niente di niente

O forse solo a spegnere tutto ciò che le bruciava in corpo: forse a non svegliarsi più, un po' come la zia

Ma non si gettò da nessuna parte. 

Si accasciò a terra, strisciando la schiena alla porta d'ingresso. Non si tolse le scarpe, non si tolse neanche il soprabito. Se la zia fosse morta, lei come avrebbe mantenuto la sua promessa? E perché non sentiva dolore? Perché non sentiva niente in quel momento se non gli occhi stracolmi di lacrime? A scuola avevano ragione gli altri: era proprio cambiata. Radicalmente. Non poteva tornare indietro e cancellare qualcosa? Cercò di farsi coraggio. 

Doveva alzarsi per cambiarsi e andare a dormire. Per cambiarsi e andare a dormire. Ma la cena le ribolliva in pancia a tal punto che per poco non la rigurgitò lì, all'ingresso: in tempo aveva raggiunto il lavello della cucina. 

Yayoi repelleva il vomito. 

La impressionava. Ancora di più odiava pulire dopo, perché quell'odore le faceva tornare la nausea. E poi il sapore che inguainava la bocca... sciacquò il lavello e corse in bagno. Abbondò col dentifricio e strofinò la lingua con forza. Ritornò a pulire per bene ciò che prima aveva sporcato. 

Pensò che non avesse mai fatto una cosa del genere prima, perché prima era sempre stata la zia a prendersi cura di lei. Prima non abitava da sola, prima non doveva sempre occuparsi della spesa, prima non doveva sempre cucinare, primanon aveva mai mangiato da sola, prima non aveva mai saltato i pasti, prima non doveva lavorare, prima non doveva accordarsi con i suoi genitori, prima non doveva discutere con loro, prima non doveva pensare a niente se non alla scuola, al club, a qualche pulizia primaverile e a Jun, al cuore di Jun.

E adesso? 

Aveva imparato a pensare a se stessa dopo tutto quel tempo a non pensare alla scuola, al club, a qualche pulizia primaverile e... e anche a Jun? 

Si sentì egoista. 

Aveva cercato di evitare di disfare le scatole con i ricordi più importanti, aveva cercato di nascondere foto di momenti felici ma ormai passati – perché Yayoi non aveva appeso niente alle pareti di quella casa, né una cornice aveva trovato posto sui mobili che l'arredavano – e... e aveva cercato di evitare tutto ciò che prima aveva caratterizzato la sua vita. 

Per nostalgia, forse. 

Per dolore.

Puntò una scatola che aveva riposto nell'ultimo cassetto dell'armadio. 

La scoperchiò, e prese quelle foto come da bambina sollevava i sassolini per lanciarli nel fiume: con leggerezza. Raffiguravano i suoi zii da giovani; alcune immortalavano le giornate che lei e Jun trascorrevano al parco vicino a casa Misugi oppure al campo da calcio della scuola. Ce n'era una che probabilmente aveva scattato lo zio: una Yayoi bambina che tendeva la mano a un Jun bambino, a terra, visibilmente affaticato e con una mano sul cuore.

Musashi-Nankatsu: manager e capitano.

«Tu sei proprio forte, Jun...»

Quando da piccoli giocavano a far rimbalzare i sassolini nell'acqua, Yayoi non vinceva spesso contro Jun, ma solo perché lui trovava, a detta della Yayoi bambina, “i sassi migliori”. 

Contro se stessa invece sarebbe stato più facile vincere?

Così quella sera, concentrata su quei ricordi che sembravano risalire a una vita parallela, non sentì neanche il cellulare squillare.

 

Note d'autrice

*Questa storia non segue esattamente le vicende e la cronologia del manga (ciò vale anche per i capitoli a seguire) e forse i personaggi non si confanno molto alle caratterizzazioni originali. Per questo si è preferito inserire l'avviso di OOC.

 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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Capitolo 11
*** V. Pianta i piedi nella piena ***


V. Pianta i piedi nella piena

Diciannove anni

 

Quella mattina era andato a correre. 

A Tokyo presto si sarebbe tenuta la maratona e l'entusiasmo generale aveva esaltato anche lui: la corsa era un ottimo modo per allenare la resistenza. Per venti minuti, senza strafare. 

Venti minuti tutti per sé.

Quando passò di fronte a casa di Yayoi indugiò un po'. 

Il giorno prima Tsubasa l'aveva invitato al matrimonio: Sanae aveva risposto di sì. “Potresti venire insieme a Yayoi, no? Inviteremo anche lei, ovviamente”. Yayoi non sarebbe certo mancata al matrimonio di un'amica e di un amico di infanzia. 

Suonò il campanello. Era presto. Ci volle un po' prima di ottenere un “chi è?”, che gli risultò un po' impiastricciato. 

«Sono Jun.»

«Jun?»

«Stavi dormendo? Guarda che il sole è già alto.»

«Ma... perché?»

«Dài, incontriamoci dopo al bar dietro l'angolo, così facciamo colazione insieme.»

«Cosa? No, aspetta...»

«Ti aspetto lì tra un'ora. A dopo!»

E riprese a correre, ripercorrendo la strada che aveva fatto fin lì, che non superava i venti minuti. Così il suo cuore non avrebbe sofferto lo sforzo. 

Forse tornare in campo in quei mesi non era stata la scelta migliore per la sua salute. I medici gli avevano illustrato diverse tipologie di operazioni in quegli anni... ma forse il suo cuore era proprio da buttare. Da rimpiazzare con un altro più sano e funzionante. 

Glielo aveva proposto l'ultimo cardiologo: “esistono i trapianti di cuore”. Glielo aveva proposto con il tono di chi dice: “credo che sceglierò il latte vegetale al posto di quello di mucca”. Ma Jun non ne era stato molto convinto. “Meglio un cuore malato di un cuore morto”, gli aveva detto suo padre. 

Ma meglio un cuore sano di un cuore malato, aveva pensato lui.

Raggiunto il bar in cui aveva invitato Yayoi, si sedette di fronte a lei quando la vide già accomodata.

«Buongiorno.»

«Buongiorno.»

«Hai già ordinato?»

«No, aspettavo te.»

«Cosa vorresti?»

«Un tè.»

«Da mangiare?»

La sentì sospirare, mentre sembrava nascondersi con il menù.

«Non ho molta fame stamattina...»

«Avevi detto che avresti mangiato regolarmente.»

«Ma certo, mangio regolarmente. È solo che... mi sento un po' piena

Jun serrò il menù.

«Non ti senti bene?»

Yayoi non riuscì a non sbuffare.

«Non mi sento bene da mesi, Jun.»

Era seria.

Quando il cameriere arrivò, Jun e Yayoi ordinarono senza apparenti esitazioni. 

«Lo so...»

Non sapeva cos'altro dirle, in realtà. 

Aspettarono in silenzio che il cameriere tornasse con la loro colazione. 

E, dopo, cominciarono a sorseggiare dalle tazze.

«Mi dispiace se in questi mesi sono stata un po' sgarbata e molto scostante: non volevo.»

«Non importa.»

«No, Jun, a me importa. Ho perso l'equilibrio, e mi dispiace.»

«Io ti ho trattata peggio in passato, eppure tu mi hai sempre aiutato. Quindi, non preoccuparti.»

Uno dei problemi tra di loro, che Jun riconosceva come tale solo in quel momento, era che lui parlava sempre per se stesso. Ioioioio: Yayoi vista da Jun, Yayoi accanto a Jun, Yayoi per Jun... ma Yayoi e basta?

«Io... Yayoi, come si fa a prendersi cura delle persone?»

Come faccio a prendermi cura di te?

“Prenditi cura di lei”, gli aveva detto Tsubasa tempo addietro. Ma come poteva lui prendersi cura di lei se non riusciva neanche a prendersi cura di se stesso e se in tutti quegli anni proprio Yayoi si era presa cura di lui? Aveva cercato di ignorare che il cambiamento in lei avesse destabilizzato anche lui. Aveva evitato di rubarle tempo con le attenzioni che altrimenti avrebbe capricciosamente richiesto, solo perché la sofferenza che aveva visto in lei aveva turbato persino il suo ego. 

Come aveva fatto lei a prendersi cura di lui per tutti quegli anni? Come aveva fatto a vincere le resistenze che lui stesso aveva cercato di innalzare per difendersi? E perché lui non era riuscito ad abbattere i muri che aveva costruito lei per “proteggere se stessa”? 

Perché lei era riuscita a proteggerlo e lui non ci era riuscito?

«Non lo so.»

«Cosa?»

Yayoi appoggiò la tazza sul tavolo.

«Non so come ci si prenda cura delle persone.»

Il suo volto era terso. 

«Allora come hai fatto a prenderti cura di me per tutti questi anni?»

Yayoi alzò le spalle.

«Forse volevo solo vederti felice... hai dei sogni e molto talento. Credevo che fosse giusto starti vicino.»

Non aveva distolto, neanche per un secondo, gli occhi da quelli di lui.

«Posso rivelarti una cosa?»

«Sì, certo.»

«Ma non credo ti farà molto piacere.»

«Non importa.»

Allora Jun appoggiò la tazza sul tavolo.

«In questi mesi sei stata ingiusta

Non gli parve molto stupita.

«Non mi hai permesso di aiutarti.»

Non gli parve neanche risentita.

«Mi hai detto di aver bisogno di stare da sola e ti sei allontanata non permettendomi neanche di cercare... cercare di capire come tu ti sentissi.»

Ci aveva mai provato sul serio, a capirla?

Perché si sentiva in colpa? 

Yayoi aveva abbassato la testa, concentrata a giocare con il suo tovagliolo. Si sentiva in colpa? 

Jun non voleva far passare le sue insicurezze come un rimprovero.

«S-scusa, Yayoi.»

E fu lui ad abbassare la testa, cominciando a provare vergogna. 

Si vergognò di se stesso

E Yayoi sembrò comprenderlo (prendersi cura di qualcuno significava cercare di capirlo?).

«Jun, senti... dopo ti va di andare al parco vicino a casa tua?»

Rialzando la testa, Jun incontrò il suo sguardo.

E quanto gli era mancato quel volto ridente.

Era proprio quello il sorriso di quando erano bambini.

 

Pianta i piedi nella piena,

lo spaventapasseri,

e resiste.

[Masaoka Shiki]

 

Camminavano in silenzio. Ormai faceva freddo, ma si stava bene comunque.

Era da tanto che non passeggiavano insieme. 

Era da tanto che Yayoi non passava davanti a casa di Jun intenta a dirigersi verso quel parco che aveva rallegrato le loro vacanze per tanto tempo, quando erano bambini.

«Qualche settimana fa ho trovato delle foto che non pensavo di avere.»

«Cioè?»

«Di noi due da piccoli, mentre giochiamo al parco... non mi sono mai accorta che mio zio ne facesse così tante.»

«Sarei curioso di vederle...»

Yayoi annuì.

«Ci credo, eravamo molto carini insieme, quando eravamo bambini.»

«Eravamo come tutti i bambini di quell'età.»

Esitarono entrambi, nel loro improvviso silenzio.

«Yayoi?»

«Sì?»

«Ti piace questo parco?»

Ormai giunti alla meta, dovevano solo attraversare il ponte.

«Sì.»

«Perché?»

Camminando sul ponte, ancora pochi passi e avrebbero calpestato la terra al di là del primo pezzo di prato verde.

«Mi ricorda la nostra infanzia, i nostri momenti felici... i miei momenti felici. È la prima volta che ci torno da quando è successo... l'incidente.»

Sua zia era morta.

L'aveva saputo per telefono.

Dopo il funerale, non aveva più avuto il coraggio di entrare in un ospedale. 

Jun non le aveva più chiesto di accompagnarla alle visite di routine e lei, seppur in cuor suo si sentisse estremamente in colpa nei suoi confronti, gliene era molto grata.

«Io ci sono tornato un po' di tempo fa, invece.»

«Davvero?»

«Già, una sola volta però, da solo.»

Yayoi annuì.

«E come è stato?»

Era stato strano?

«Ho incontrato due bambini molto buffi. Mi hanno ricordato come eravamo noi.»

Si sedettero sui ciottoli, sulla riva del fiumiciattolo. Da piccola quel corso d'acqua le era sempre sembrato più largo, anche un po' pericoloso: suo zio a volte le diceva che caderci sarebbe stato rischioso, perché la corrente l'avrebbe trascinata via e rigettata nell'oceano. Crescendo, aveva capito che quello dello zio, in realtà, era sempre stato un monito per non farle fare il bagno quando ancora non sapeva nuotare – perché quel fiume, in realtà, era finto e non avrebbe portato nessuno da nessuna parte.

«Jun.»

Seduti vicini, Jun stringeva le ginocchia al petto, mentre lei, le ginocchia, le teneva piegate a terra.

«Dimmi.»

I loro occhi seguivano lo scorrere del fiume.

«Ci sono tanti modi per prendersi cura di una persona.»

Si scostò un ciuffetto dal viso: i suoi capelli erano diventati troppo lunghi.

«Credo davvero che ci siano cose che bisogna affrontare da soli. E il mio dolore era... è molto diverso dal tuo, Jun.»

«Proprio per questo volevo e voglio aiutarti.»

«Ma io non sono come te, Jun.»

«Lo so.»

Abbassato lo sguardo, Jun stava strappando dei ciuffi d'erba secca, in mezzo ai sassi.

«Non mi sono mai sfidata davvero e non ho mai sentito... questa smania di vincere che adesso quasi non mi fa dormire la notte. Ma non so spiegarmi perché io mi senta così proprio adesso, dopo tutto quello che in questi mesi è capitato.»

Jun aveva cominciato a sorridere, sempre con la testa bassa e le mani impegnate a sradicare l'erbaccia. Con un cenno del capo, poi, all'improvviso, dopo interminabili attimi di silenzio, le indicò l'acqua che scorreva davanti a loro.

«Ti va di fare quel gioco con i sassi? Quello che facevamo spesso da bambini.»

Cominciò a ricercare i sassi “migliori”, quelli più piatti e sottili.

«La gara di rimbalzi?»

Anche Yayoi si alzò, iniziando a sollevare i sassi.

«Sì, ma ci scambiamo i sassi che troviamo.»

«In che senso?»

Mentre li raccoglieva, Jun le spiegò: «I sassi che raccogli tu, li lancerò io, mentre tu lancerai quelli che sto trovando io.»

«Ma così non vale... mi potresti dare i sassi “peggiori”.»

Jun scoppiò a ridere.

«Nel gioco bisogna essere leali. Io sono pur sempre un calciatore.»

E lei cos'era?

«Ma chi vince cosa vince?»

«No, facciamo senza penitenza stavolta. Non siamo più bambini, no?»

Eppure stavano giocando a un gioco che facevano da piccoli.

Yayoi sbuffò, non troppo convinta: «Va bene... allora sarò onesta anche io.»

Jun ritornò in piedi e si voltò verso di lei con un sorriso lieto: lo stesso sorriso che lei aveva potuto ammirare in lui quando aveva ricominciato a giocare a calcio dopo gli anni di assenza dal campo. 

Le consegnò i sassi e Yayoi fece lo stesso.

«Cominciamo? Non avevi detto che avevi voglia di vincere

Jun lanciò il primo sasso. 

Unoduetre... tre rimbalzi.

«Sei peggiorato, capitano.»

Jun si sgranchì scherzosamente il collo.

«Sono fuori forma: sono anni che non ci giochiamo.»

Lanciò anche lei.

Unoduetrequattro... quattro rimbalzi.

«Ho avuto più fortuna io.»

Si guardarono.

Risero.

Ricominciarono.

«Non è solo una questione di fortuna.»

Unodue, trequattro... quattro rimbalzi.

«Dipende dalla tecnica di gioco.»

Unoduetre... tre rimbalzi.

«E dall'acqua.»

Jun non smise di sorridere neanche quando, all'ultimo turno, erano ancora in parità.

«E da quanta voglia hai di vincere.»

Yayoi scoppiò a ridere.

«Nessuno ha vinto.»

Jun scosse la testa.

«Abbiamo vintoSei forte, Yayoi.»

Sei forte, Yayoi.

Si voltò verso di lui. 

Lui la rimirava, con premura; lui pensava di non essersi preso cura di lei quando lei stava male; lui si sentiva in colpa per questo: lei l'aveva capito, perché anche lei si era sentita in colpa verso di lui. 

Anche Yayoi puntò gli occhi nei suoi, e dopo poco avvertì l'urgenza di sbattere le palpebre, perché le ciglia non sembravano più in grado di sostenere la consistenza delle lacrime. Perché non tutti i fiumi erano finti. Quelli dentro di lei non lo erano mai stati, solo che non aveva voluto vederli. Si era sempre fermata alla strada, ignorando, pur sapendolo, che ci fosse qualcosa al di là della prima fascia del suo parco interiore. E c'era un ponte anche dentro di lei. Un ponte che ricongiungeva tutto, che dava almeno un senso a tutto quel dolore che le era parso inutile per mesi.

Allora si avvicinò a lui.

Non gli disse niente.

E neanche Jun fiatò.

Né sorpresi, né imbarazzati.

La fronte di Yayoi si poggiò sulla spalla di Jun. Gli stropicciò un po' la camicia. Rincontrò i suoi occhi quando ormai erano vicini: quando ormai erano pressoché attaccati

Si sentì lo sguardo un po' acquoso.

«Buon compleanno, Yayoi.»

Lui era fermo.

La stava aspettando?

Poggiando le dita sul torace di Jun, Yayoi si sentì grata. 

Gli sfiorò la guancia: solo un leggero bacio, a occhi aperti. 

Premette le labbra vicino alla bocca, un po' più decisa, mentre le braccia scendevano ai lati del corpo, sui fianchi. 

Jun non la stava toccando. 

La stava aspettando?

Si scostò di poco. 

Jun la stava osservando.

Perché stava sorridendo?

E lei non indugiò più.

Perché doveva sentirsi insicura se lui non mostrava alcun cenno di esitazione?

Lo baciò; e annegando nella sua bocca e nel suo sapore – come quella volta di circa tre o quattro anni prima  Yayoi sprofondò in lui e nel suo tocco cortese, mentre prendevano possesso dei loro corpi l'istinto di amare e il desiderio di non smettere più, neanche nel più profondo e perpetuo dolore.

 

Alcune curiosità sulla struttura e sulla scrittura di Sollevare i sassi

  • La fanfiction è stata scritta in una settimana. All'inizio doveva essere composta da cinque capitoli, ma non mi sembrava completa, così ne ho aggiunti altri sei.

  • Dal capitolo 0. Il capanno la “datazione” considera gli anni di Yayoi, mentre precedentemente seguiva quelli di Jun.

  • La storia è divisa in due parti: i primi cinque capitoli sono stati scritti dopo i loro successivi. Come qualcuno ha notato nelle recensioni, infatti, i primi cinque capitoli sono quasi dei missing moments.

  • Nella seconda parte, dal capitolo 0. Il capanno, la narrazione si alterna a degli haiku particolarmente significativi. I titoli dei vari capitoli riprendono quei versi: i primi cinque capitoli riportano nel titolo il secondo verso delle poesie presenti (in corrispondenza) negli ultimi cinque, mentre gli ultimi sei capitoli il primo verso.

  • Sollevare i sassi significa farcela da soli e al tempo stesso accettare di non essere invincibili. Yayoi, che si è sempre presa cura degli altri (nel manga non a caso diventa infermiera), fatica a vedersi aiutata, perché l'abitudine l'ha sempre portata a interpretare un altro ruolo. Quando il rapporto tra Jun e Yayoi espressamente si ribalta (II. Senza tenersi), Jun si sente in dovere di aiutarla, sia per gratitudine sia perché ha bisogno di lei, sia perché vorrebbe ripristinare la loro quotidianità sia perché è innamorato di lei. Per questo, non accetta di non poterle essere utile, anche se nel profondo comprende cosa significa stare male e volercela fare da soli: voler vincere da soli. Sollevare i sassi sarebbe un percorso che definirei quindi interindividuale.

  • Le “stupide scatole” di cui si parla in III. Nella mia carne il morso e in III. Ossa esposte in un camposimboleggiano sia le cianfrusaglie che in realtà non hanno alcuna utilità nella nostra vita sia i ricordi che ci fanno male ma che non riusciamo (non possiamo, non vogliamo?) a “buttare via”. Quindi succede che quelle “stupide scatole” rimangono lì, chiuse, custodi di stupidaggini importanti o di oggetti che ci ricordano qualcosa.

  • I “sassi migliori” simboleggiano quelle sfortune che, pur essendo di fatto sfortune, sono anche raggirabili. Jun è malato, ma ha la fortuna di essere nato in una famiglia molto benestante. Le sue sfortune rimangono comunque gravi, non voglio essere fraintesa, ma disporre di denaro per le cure può fare la differenza. Perdendo i suoi punti di riferimento, Yayoi si trova a dover spostare le attenzioni da Jun alla zia, passando da se stessa. Sia Jun sia Yayoi, in questa storia, vivono situazioni delicate, diverse e non comparabili, ma la grande differenza tra loro è che Jun, purtroppo, è pressoché abituato alla malattia, mentre Yayoi si trova di fronte a una quotidianità completamente abbattuta. Lo scambio di questi “sassi migliori” vorrebbe esprimere la solidarietà e la gratitudine di Jun nei confronti di Yayoi: se collaborano, se si affiancano a vicenda, se uniscono le loro sfortune, al di là dei soliti ruoli e perché si amano e basta, tutti e due vinceranno.

  • Sono convinta che Jun e Yayoi si siano sempre amati, fin dall'inizio, sia nel manga che nell'anime. Non ho mai approvato né giustificato quello schiaffo di Jun (anzi), anche se credo che il Principe del Calcio rimanga uno dei personaggi più carismatici di Captain Tsubasa. Sulla loro coppia, purtroppo, non ho mai trovato troppe fanfiction, il che è sempre stato un vero peccato, perché Jun e Yayoi sono due personaggi che, a mio avviso, potrebbero offrire tanto. 

 

A lettrici e lettori

Eccoci: la nostra avventura termina qui. Spero che questa storia vi sia piaciuta, che non vi abbia annoiato, che vi abbia distratto un po' e che vi abbia anche un po' emozionato.

Ho scoperto questo sito da piccola. 

La prima fanfiction che ho letto è stata una OS su Captain Tsubasa, il primo fandom su cui sono atterrata. Ho cominciato a scrivere sulla piattaforma circa tre anni fa. Ho scritto su Miraculous, su Harry Potter e, infine, sul mio amato Captain Tsubasa. Vi confesso che ero molto timorosa, perché io, con Holly e Benji, ci sono cresciuta, e forse per questo non mi sono mai sentita all'altezza di scriverci qualcosa sopra. Ho scritto Dici che esagero?, ma è stata più una prova di stile che altro. Poi è arrivata l'idea per questa storia e ho pensato che sarebbe stato significativamente bello scriverla come mia ultima fanfiction su questo sito: una sorta di commiato come autrice.

Continuerò a leggere, quando avrò meno impegni e più tempo per me, e magari mi troverete a commentare qualche vostra storia (scrivete di più su Yayoi e Jun, per favore!).

Vi ringrazio.

Grazie lettrici e lettori.

Grazie per tutte le belle parole nelle recensioni.

Grazie a te, Yuphie, che hai commentato ogni singolo capitolo.

Grazie a tutte e a tutti.

Con amore e Captain Tsubasa sempre nel cuore.


 

La poesia qui presente è tratta da Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all'Ottocento, a cura di Elena Dal Pra ed edito da Mondadori.

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