o con me o contro

di azib02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1 – Ignavi ***
Capitolo 2: *** Giorno 2– lussuriosi ***



Capitolo 1
*** Giorno 1 – Ignavi ***


Giorno 1 – Ignavi
Sono un fallito, ancora sorrido, àncora il sorriso.
Ho ignorato queste opinioni, per troppo rintocchi
Trascurando ogni quel dito, come sopito.
Adesso sono solo, lo ero pure prima,
l’unica che tutt’ora si cura di questo corvo, è la vicina,
ingenua o ferse pura e genuina quanto neve marzolina o brina.
La nostra via…si è trasformata in una sfilata parigina,
con passo sicuro, quanto lo è un diluvio, d’autunno,
con sguardo fisso, per inciso, preciso quanto lo è un bulino per l’inciso,
con la tensione sottile quanto un filo, ogni giorno così sfilo,
nascondendo grazie a un sorriso di tiglio, le fibre di malinconia grezza di lino.
Or ora a casa mi attende solo un cane, al mio fianco come un padre.
Entrambi alla ricerca d’anthem della padrona, trasportati dalle tracce
Del profumo rimasto tra queste tremanti disfatte ante.
Odiavo rimanere in disparte, distante,
ma prima non dovevo eludere tutte queste domande.
Pendenti, sul mio pomo di Democle, come collane.
Non è una prima, una tragedia già vista,
spinta in questo teatro arrivista che è la vita.
Lui è Alcmeone, figlio di Anfiarao ed Eeirifile, padre di Anfiloco e tisifone.
Tornò vittorioso da Tebe,
e uccise la madre che appellativo di uxorcida detiene e detenne,
la quale, il suo amore e l’amato, della cupidigia, fece prede.
Questi sono Romolo e Remo, che persero la madre poco dopo il primo gemo.
Lui invece è Odisseo, Ulisse d’Itaca per molti.
Lasciò perire la madre e i suoi doni tra dolori atroci provocati dalle sue sorti.
E io…io sono insignificante.
Quanto una penna senza inchiostro.
Quanto una perla senza collo.
Quanto un libro senza parole e un solo foglio.
Quanto un nobiluomo senza un borgo prono.
Quanto una anima senza corpo.
Quanto una rapida senza bordo.
Non c’è il bisogno di dire qualcosa, un fallito insignificante.
La sorte ha rapito mia madre, pallida distesa su questo letto d’ospedale,
rapida si presta la morte coloniale, e adesso chiede un riscatto che non posso pagare.
Dio, poteste vedere mia madre, Dio potesse vedere mia madre.
Voi sacchi di carne, in deserte lande,
lei un bagliore disarmante, in oasi nefaste.
Voi figli del chiarore e del calore solare,
disperati gridate serva me.
Lei d’aspetto tombale, echeggia dignità regale,
Virtuosa come un rapace, sul punto di morte ancora simboleggia il tenace.
Se questa sedia potesse parlare, racconterebbe tutte le notti amare,
in balia di lacrime e solute speranze.
Se potesse. questa finestra, parlare invece; scorrette, onesta novellerebbe, le ingiurie mia in vece.
Mi serve il prezzo di quel riscatto dannato, mi serve quel denaro.
Bisogni, di un uomo debole, frivolo; arrendevole, in fuga da un incubo…
…Corro; scorro; come un fiume in piena, in piena furia. Anche se con me, non trascino nulla, se non l’odore della paura, che mi scorre nelle vene, e sgorga da ogni poro del mio corpo. Sto scappando. Ad ogni passo, sbrano la terra, le foglie, i rami, sotto i miei piedi. Sto scappando. Sono solo, intorno a me c’è il silenzio, tagliato come l’aria, al mio passaggio. Mi guardo attorno, le uniche ombre che riconosco sono quelle degli alberi, che in silenzio mi ascoltano ansimare, stremato. Mi guardano dall’alto verso il basso, come volessero giudicarmi. Sto scappando. Sembra che ridano…che mi deridano, o forse è solo il rumore delle foglie mosse da una sperduta folata di vento. I rami, mi avvolgono, nascondendomi al cielo. Però non so se sia un leggero abbraccio materno, o, una rigida stretta paterna. O forse, più probabilmente, è solo un’illusione, creata dal sole che tramonta in un rosaceo cielo, che condiscendente, cede il suo amplesso, alla luna accompagnata dagli astri, come un amorevole padre che concede la figlia all’amato promesso. Io ancora corro, respiro dopo respiro, pensiero dopo pensiero, sguardo dopo sguardo, cerco soltanto di scappare. Sì, scappare, anche se ogni quando mi volto, ormai non più per timore, bensì per abitudine, quasi mania, quasi per vizio, vedo solamente un nonnulla. Un nonnulla, che non riesco a spiegarmi. Chi avrebbe paura del vuoto, del nulla? A questa domanda, le mie gambe, come intrappolate in una morsa si bloccano, e sradicando, cado vertiginosamente, volteggiando sulla terra che ammorbidisce la caduta, diventando un delicato e fragile letto, dove cullarsi di risposte. Da cosa scappi tu uomo cieco? Scappi dal nulla? Queste sono le angosce che adesso corrono nella mia mente, assordanti, come un treno. Come biasimarle, chi scapperebbe da qualcosa che non può vedere, che non può perfino percepire. La risposta si fa sentire dubbiosa e gracidante, solo chi ha tutto da perdere, mi ripeto. Forse più propriamente; chi teme di essere digerito da quel nulla da cui scappa, o meglio chi già patisce il dolore di una morte vana, di una morte scialba, di una morte anonima, e sotto gli occhi ha da tempo due solchi, formati dalle lacrime, troppo salate e amare, per scivolare sul viso senza lasciare segno, prova del loro passaggio, il passaggio dell’anonimato…
…L’anonimato, regina di un impero aristocratico.
Io, un dannato sadico, con lei mi sono coricato,
accettando il mio ruolo da schiavo classico.
Credendolo un mestiere pratico, portare di soldo rapido.
Il panico traspare dal mio viso pallido,
adesso che ho compreso l’arido
significato dell’anonimato, mentre navigo
questo mare carico di scelte, senza pala e manico.
Squalo, il sole batte forte, sul mio naviglio placido;
un miraggio, il suo sussurro: “è una tua scelta sappilo…”
con coraggio, sicuro ribatto alla svelta: “atto primo, il funerale del mio animo.”
Evapora verso il cielo,
confondendosi tra le gocce saline, verso l’azzurro mero.
Sono un uomo cieco, che vede a stento, che mente a sé stesso
Senza ritegno il dissenso, ritengo che la mia vita sia in mani altrui. mani in cemento, dalle quali io dipendo.
Un inetto che non si schiera,
uno stormo di rondini in primavera.
Volo nel mezzo. disprezzo, ciò che provo quando mi rispecchio
nell’acqua.
nell’acqua mi rispecchio;
buona perché disseta, e io sono buono s’intenda,
tremenda se ripiega verso la terra e la immerge Pangea, per intera,
e io ho; un ripiegamento nell’anima che si rinnega, s’intenda.
Sarei un pendolo scadente, incapace di oscillare,
ovunque come fogliame, al buio come falene.
In questi anni, nulla ho raccolto, al contrario dell’unico qualcosa che ho colto.
Sono in vita, non per scelta, bensì perché nato e ancor non morto.
Di poco, da uno schiavo, mi discosto.
Ciò mi disgusta.
se il futuro fosse un porto, sarei disposto a commissionare il trasporto
del mio galeotto alla sorte e al suo scirocco.
La vita è una matrioska, bivio dentro bivio, incrocio nell’incrocio.
E io ignavo ho evitato questo vaso d’oro di pandora incolto.
Ma adesso è diverso, mi serve quel riscatto anche se non mi è concesso,
il tempo si consuma e ti consuma veloce come incenso,
non posso più rimanere tra i suoi fumi, immerso.
Che la mia vita sia d’esempio,
uno scempio, trascorso da uomo empio e non degno.
Nessuna scelta di questo tempo.
Nessuna messa in questo tempio.
Nessuna scena in questo ostento.
Ripeto.
Nessuna carneficina in questo mattatoio.
Nessuna sterlina in questa cassa d’odio.
Nessun’adrenalina sotto questa pianta d’alloro.
Ma.
Prima che calino il sipario, e applaudano senza divario,
masochista sadico Ilario, chiamate un sicario,
per cacciare il leggero mio animo in nylon.
Perché voglio; devo; ho bisogno, della carneficina, della messa,
della sterlina, della scena, dell’adrenalina, della scelta.
…Ho avuto un’infanzia felice, io mia madre e mio padre. Ero un ragazzino spensierato. un ragazzino che amava scrivere qualunque cosa si destasse al suo sguardo. Un ragazzino immerso nel suo mondo. Un mondo bello. Un mondo giusto, un mondo di bene, senza tradimenti, senza menzogne. Senza perdite, senza rinunce. Un mondo di vittoriosi, però senza vinti. Un mondo zeppo di fiori, ma privo di erbacce. un mondo stipato di specchi per riflettersi e rimanere umili e se stessi, ma senza finzioni, senza specchietti per le allodole, e senza ipocrisie. Un mondo senza peccato. L’eden, Ma era un mondo effimero, un tradimento:
un mondo bianco, puro.
quanto la più piena e lucente delle lune.
quanto la più alta delle dune.
quanto la più fitta delle nuvole.
quanto la più potente delle rune.
Un mondo giusto.
Quanto la morte, il rammarico, per un traditore.
Quanto la miseria, per un avido, imperatore.
Quanto l’oblio, per un ignavo senatore.
Un mondo di colti pastori conoscitori:
del valore dei racconti.
del calore dei ricordi.
del dolore dei rimorsi.
del colore dei timori.
Dell’ardore dei sogni rincorsi.
forse fui io il primo ad errare.
L’errore primordiale.
Mi rivelai di fatto, un inganno, agli occhi di molti e di mio padre.
Lui mi creò a sua immagine.
Come un poeta, con le sue pagine.
Irrigò con la sua grazia coesa, le mie rive aride.
Mi diede il compito di profeta, da apostolo palesai la vita da apostata, artefice di decisioni sadiche.
Mi fece il padrone del paradiso.
Un cantore eguagliante i toni di un serafino.
Io mi sdebitai da autore di un parricidio.
divenni un uomo spregiudicato, pregiudicato.
dai ricordi di una vita ricca e sontuosa cullato.
la quale mi ha assaporò, consumandomi.
mi ha rigurgitò, rinnegandomi.
Meno volli e più tutto mi fu concesso.
ebbi la gloria, ebbi la fama.
adesso sonora, canta la mia dama, la fame, quasi mi diffama.
ebbi dei consorti.
io con il sangue dorato, loro con il sangue scarlatto.
Ora sono tutti morti.
ebbi la tentazione, il suo tintinnio mi destò un mattino.
or ora lo stesso tintinnio perseguita il mio cammino.
ebbi tutto ciò che un uomo potesse desiderare.
ma lo persi durante il tragitto.
tra le mie stesse mani incendiarie.
un dannato camino.
si rifugia tremante ora, il mio oramai futile rancore.
rivorrei il candore d’Amore.
rivorrei il denaro e il derivante valore.
rivorrei la famiglia e il suo calore.
rivorrei il mio nome, e ciò che ne desume, l’onore.
Adesso il bianco è soltanto un insieme confusionario,
di piccole chiazze che rievocano l’immagine di un celo stellato.
nero come il peggiore dei corvi.
nero come la più burrascosa delle notti.
nero come la più corrotta delle corti.
nero come il più esule dei morti.
cercai di insaporire il mio dipinto, con del colore, ma lo resi atro.
cercai di rinvigorirlo, ma lo resi aspro.
volli più di quanto mi fosse concesso.
Mi fecero santo.
L’uomo desidera per vivere. L’uomo vive per desiderare.
Ripeto. Un tradimento, il mondo in cui credevo. È crollato alla prima scossa. Era un mondo romanzato. Fondato sulle pagine di cui mi nutrivo ogni giorno, credendole portatrici del vero. Era sola un nascondiglio. Era ciò che mi celava alla cruda verità che non pensavo potesse esistere:
La vita è una grande troia.
basta guardare come si ripete la storia.
siamo tutti condannati e la vita è il boia. è una vera furia.
una figura chimerica furtiva.
sottrae tutto a chi, il nulla possiede.
cedendolo al primo menzognere.
per pochi, un raggio di sole.
per molti, solo buia.
una grande madre.
nella sua culla: l'avarizia, l'ira, la superbia, l'invidia. la gola lussuria e l'accidia.
l'essere umano, il padre di questa famiglia.
Credevo che la vita fosse un semplice viaggio. Per alcuni un pellegrinaggio. Per altri un cammino. Per altri ancora un itinerario. Per me, un viaggio. Verso la felicità, la beatitudine, l’estasi. Un viaggio con qualche insegnamento come sosta. Un viaggio eterno, con compagni altrettanto senza tempo. Mi sbagliavo...ex novo.  Avevo degli amici. degli amici stretti. Pensavo, con ingenuità, che saremmo rimasti assieme per sempre. Ero uno stolto. Mi hanno lasciato nel momento di maggior bisogno. Li ho visti andarsene, freddi, incuranti, quasi immemori, come sole dopo il tramonto. Non si sono mai voltati. Credo sapessero del loro tradimento.
Ho avuto un padre. ho avuto una madre. Due mentori. Esseri umani che mi hanno insegnato ad essere umano, ad amare e a perdonare. Per donare al prossimo ciò che loro continuarono a concedermi: la possibilità di redenzione, di riscatto, di espiazione. Due complici necessari, fondamentali, vitali. Inutile dire, che ho perso pure loro. Mio padre: un grande esploratore, amante del rischio, con un’energia incontenibile, travolgente. Non ha mai cessato di trasmettermi tutta quella passione. desiderio di vivere. Ma adesso mi ha lasciato. Non c’è più. Scomparso qualche tempo fa. Mia madre: una donna bellissima. Elegante. Posseditrice dello stesso impeto del consorte. Mi ha insegnato il garbo, la grazia, la raffinatezza, il valore del dettaglio. Adesso è come se non ci fosse. In ospedale. Nelle grinfie di un sonno, forse eterno. Io: avevo tutto ciò che un ragazzino potesse mai desiderare. Ho perso tutto, senza avere alcuna scelta. Adesso vivo. Senza quel impeto e quella passione. per un motivo. Vivo nell’anonimato, nell’inerzia. Triste, come non esistessi davvero. È una scelta. Vivo per il denaro. lo richiede la bestia ospitante di mia madre. Vivo. altro motivo:
“Reginald…la chiave…tuo padre ha…”
Questo, l’unico altro motivo per cui ancora l’ossigeno scorre nelle mie vene. trovare questa dannata chiave. Non so nemmeno che forma abbai, non so a cosa serva, non so cosa apra, non so dove sia, non so nemmeno, cosa sia. Ma so che riguarda mio padre. mia madre non parla mai sventatamente. Sarò pure solo, ma poco vale, io voglio quella chiave quanto un foglio desidera l’inchiostro, quanto un vagabondo aspira al soldo, quanto un maestro smania per un sinfonico coro. Non ho la più pallida idea da dove cominciare, ma se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che se davvero desideri qualcosa, l’intero cosmo farà in modo che tu la ottenga: Sono pochi i casi, in cui le mie parole errarano e questo non è incluso. Dovessi perdere la vita per questa chiave, accetterei di pagare tale prezzo. Senza batter ciglio. Niente sacrificio niente vittoria. Lo devo a chi mi ha creato. Non importa, il tempo necessario, non importa, l’impegno necessario, fossero richieste gocce del mio stesso sangue, sarebbe un sacrificio effimero ai mie lacrimanti occhi. Ho perso tutto ciò che avevo. Quindi ho perso ogni distrazione. Non mi interessa riguadagnare ciò che non possiedo più. L’uomo delude e tradisce. L’ambizione ti accompagna fino alla fine. Non mi interessano le persone, sono sacrificabili e superflue, ma quella chiave…no. Quella chiave è l’unica mia ragione di vita. È la mia ambizione…mi è rimasta solo lei.
 

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Capitolo 2
*** Giorno 2– lussuriosi ***


-tory: Arclight! -io: Castel… -tory: o dovrei chiamarti kyte? -io: nessuno mi chiama più così. E nemmeno tu dovresti. -tory: dai su, non fare l’uomo vissuto, e sputa il rancore. Eravamo grandi amici no? O almeno…lo eravate tu e mia sorella. Non provi un po’ di compassione, per il mio dolce visino, visto che è uguale al suo? -io: al viso di chi. Non voglio continuare a sentire questo cigno vantarsi del suo pelo e del mio zelo. Penso tra me e me. E pertanto me ne vado, lasciandolo nel suo piccolo ed egoista stagno. -tory: non puoi continuare a scappare, non eri tu quello dai grandi valori?! Tory Castel... Ragazza agiata. I genitori…grandi archeologi. Dei grandi amici dei mie, genitori, adesso soltanto dei fantasmi, per la mia famiglia. Una famiglia piccola la sua… lei, il padre un uomo colto e raffinato come la madre, e la sorella… mira Castel, opposto di Tory. Ignara della vanità. ragazza arguta. L’unica ad essere uscita vincitrice da una battaglia a scacchi contro il sottoscritto. fanciulla Fine, quasi signorile, un portamento leggiadro, gli occhi cobalto, ammiccanti, il sorriso soave, incantevole, quasi quante le gote. Perfetta direbbero molti... Al contrario dell’essere subumano qui dinnanzi a me: Narciso, superficiale. portatore di caos e vendetta. Arrivista, lo si denota dalla sua popolarità in questo istituto. Però…Io e tory, una relazione strana… discepoli degli stessi maestri: il sarcasmo, la satira, la finzione. Lei non è ciò che mostra, come io non sono come traspiro. Si nasconde dietro questo sipario di sicurezza e popolarità, teme il giudizio delle persone. Teme che non la accettino per ciò che è: Una ragazza sensibile, altruista. Una ragazza semplice. Semplicità, che a volte non è ben accolta dall’umanità. Una parte di me nutre una sorta di compassione, mentre l’altra è solamente schifata, da questo atteggiamento pusillanime. Ma chi sono io per giudicare… un adolesciente che biasima un altro adolesciente… Quattro ore di uomini e donne in crisi di mezz’età che cercano di inculcare in menti di esseri indisposti e disinteressati informazioni per lo più inutili, informazioni che verranno poi smarrite dopo un breve arco di tempo. Una pausa per cibarsi, sparlare e criticare chi è diverso da noi e poi, il ciclo ricomincia come fosse una pena infernale…la scuola…è tutto circolare. Inizi udendo voci, ragguagli, spiegazioni, delucidazioni, preparazioni, nel novantanove per cento dei casi superflue, e termini con altre dannate voci che ti ricordano il tuo dovere, i passi necessari per avere un futuro brillante, cosa ti è concesso pensare e cosa invece è amorale. Sono tutti concentrati su questo fantomatico futuro, e sul come ottenere certe opportunità, che si dimenticano completamente del presente, ignorando ciò che qualcuno può offrire davvero. dicono che l’istruzione porti all’individualizzazione. Non c’è falsità più grande. O per lo meno l’istruzione forse sì, ma è ciò che c’è attorno che non sembra portare a termine il proprio compito. sempre lamentele interminabili riguardanti l’omologazione.” Ricordatevi ragazzi ognuno è diverso e bisogna esaltare queste differenze, perché è ciò che rendono l’essere umano tale”. ma la verità, è che alla fine ti costringono ad adattarti a canoni forzati. Pura ipocrisia. Io volevo scrivere… Nessuno mi ha mai tracciato il sentiero. Ho scritto. ho partecipato a infiniti concorsi. Loro hanno guadagnato sul mio sudore, sulla mia pelle. Io che volevo un’opportunità, un aiuto per mostrare le mie opere, ho ottenuto delle vane gratitudini. Sono stato fortunato. C’è chi voleva cantare. C’è chi voleva dipingere. C’è chi voleva recitare. C’è chi voleva essere diverso. Essere sé stesso. È finito col rinunciare alla propria passione per una scrivania dalle nove alle diciassette, perché questo è ciò che ci aspetta: Rinunciare alle proprie passioni, al proprio desiderio, al proprio io, diventando ciò che vogliono che tu sia, per dedicarti anima a corpo a queste classi; questo è il segreto per essere uno studente modello. Chiunque voglia avere un futuro assicurato, dovrà rinunciare alla propria ambizione: Questo è ciò che si legge sull’ingresso di questo paradiso. Ma sia chiaro… attraverso il termine “ambizione” non mi riferisco all’avere una media stellare. Non c’è niente di meno ambizioso. Niente di meno sbalorditivo. Non c’è nulla per cui valga davvero combattere...in dei voti futili. L’ambizione è l’ardore di osare e osannare, di fare ciò che nessuno ha mai fatto, ciò che qualcuno ha solo sognato. Questa è ambizione. Le medie, i voti, non rappresentano minimamente le capacità di un individuo. Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido. questa è la definizione di voto… Forse ho esagerato, ma questo è ciò che rappresenta la scuola per me. Me lo diceva mia madre che ero troppo acido. Ora capisco cosa volesse dire. tralasciamo il mio odio represso per questo edificio, E concentriamoci sul finire in meno tempo possibile questa giornata, cosicché io possa rivedere la mia ambizione: Quella dannata chiave. Ma non credo di essere il primo a definirla tale: mio padre mi ha sempre raccontato di questo suo grande desiderio, lo scopo della sua vita, la sua più grande esplorazione e scoperta, e penso che mi abbia accennato qualcosa su un tesoro, che una volta ritrovato avrebbe potuto cambiare le sorti dell’intero pianeta. Tesoro che lui avrebbe trovato, a qualsiasi prezzo. Tesoro che però non sarebbe mai servito a nulla senza la mia mano…la mia…mano. Questi sono solo dei drappi dei miei ricordi. È tutto confuso, ma c’è qualcosa che mi grida, che quel tesoro, che mio padre ha sempre bramato, non è altro che questa fantomatica chiave. Il mio flusso di pensieri viene però interrotto, da una voce. -P: Reginald Arclight, sei proprio tu?! -io: sì. -P: bentornato! Guadate chi c’è… Da quanto tempo, sembra essere passata un’eternità dall’ultima che ti sei presentato a lezione. Cosa ti porta tra dei plebei come noi, oggi. non rispondo. Il silenzio è un’ammissione di colpa. -P: e dimmi Regianld, qual è la tua magnifica giustificazione questa volta… -io: la solita. -P: la solita...ironico A volte sei in ritardo, a volte non ci sei proprio, a volte sei in classe ma la intanto pensi ad altro. Io non riesco a capire. Spiegami... Il figlio di Byron arclight. Reginald Arclight. Uno studente modello. Un promettente scrittore. Vincitore di vari premi letteratura…che salta…scuola. -io: a volte bisogna rivedere le proprie priorità… -P: priorità! eri il fiore all’occhiello di quest’istituto e ad un tratto, sei diventato i peccati che tanto amavi dipingere con le parole. Cosa pensi di ottenere da un atteggiamento così deplorevole? Pensi che ti renda superiore questo tuo comportamento così superficiale?! Pensi di essere forte?! Pensi che questa tua condotta da cattivo ragazzo possa portarti gioie e rispetto?! Credi che chiuderti in te stesso ti possa assicurare l’apertura di porte mai viste prime?! Anzi, non dirmelo. Dimmi, solo, perché? Eri un ragazzo solare. Sorridente. Che amava vivere; in compagnia. amavi far ridere. Adesso l’ultima volta che ti ho visto ridere è stato mesi fa. Eri sempre circondato da amici e persone che a te ci tenevano. Adesso sei solo. Vivevi per gli altri, adesso non sembra che tu viva. Nessuno cambia così dal nulla. Scegli tu costa va e cosa torna. Scegli tu se mettere le aureole o le corna. Ma sicuramente saprai pure che tutto ciò non ti porterà altro che situazioni spiacevoli. Cosa ti è successo Arclight. Cosa ti ha ridotto così. Da un’aquila ad un verme. Dimmelo. È l’ordine di un insegnante, per quanto ancora possa valere. Arclight... Io ero kyte. E adesso Arclight. Non posso biasimarla. Non è lei ad avermi tradito. Non è sua la colpa se l’unico legame che mi è rimasto, sta adesso in bilico tra la vita e la morte, in un letto d’ospedale. E non è sua la colpa se…io…ho tradito chi mi stava accanto. -p: regianld… non c’è bisogno di insistere. Non ho giustificazioni. Non si può negare la verità, e la verità è che Kyte è morto… le parole, vane e futili di questa donna, che sta assiduamente cercando di scavare dentro di me per ritrovare il ragazzo che ormai si è dissolto… vengono interrotte da un annuncio di un altro uomo che odia reginald, e che rivorrebbe quel ragazzino, forse per fini personali, o forse per pena e compassione. Ma perfino lui rivorrebbe ciò che io, ho perso… Me stesso. Annuncio: miei cari ragazzi, anche quest’anno il nostro istituto si è piazzato in prima posizione nel concorso “alla poesia” tenutosi circa quattro mesi fa. E tutto ciò lo dobbiamo un’altra volta a Reginald Arclight, che ha tenuto alto il nostro nome. Vincendo per noi. Complimenti a tutti. attendo Reginald nel mio ufficio. -P: eccoti la prova che stai errando, essendone pur cosciente, Kyte. Tutti che applaudono, sorridono, si complimentano. Sono tutti felici. Hanno tutti vinto. Un’altra volta. Tutti che mi scrutano come se volessero un grande discorso… Luther King. A me non interessa. quel componimento che è valso a questo posto il primo premio, era il mio ultimo scritto. Non posso dar loro ciò che vogliono. Vedono ancora in me il ragazzo porta speranze che era Kyte. Ma non c’è più. Non lo vogliono capire. Nessuno. Tranneche lei: -Tory: cosa guardate quella mummia. Mi sembra chiaro che oltre alla voglia di vivere abbia perso anche le palle. Ascoltate me miseri idioti. Sta sera torna mia sorella… mira. E ho deciso di darle un bentornato che rimanga nella storia, e vista la notizia: siete tutti invitati alla mia festa. quasi dimenticavo... Gli ospiti d’onore saranno quest’involucro vuoto che non si sa come ci ha donato questa gioia. E ovviamente mia sorella. Spero tu abbia capito…Reginald!? -io: hai detto… Che mira è tornata… -Tory: sì… Miha è a casa. Miha è a casa. Miha... È tornata. Incredulo il mio viso. Dopo quel giorno non avrei pensato di poter rivedere il volto, suo. La mente mia può dimenticare tutto… Ma questo nome rievoca in me tutto ciò da cui continuo a scappare. Per me gli altri erano importanti. Ma lei... Il suo abbandono è ciò che he distrutto la mia essenza. Eravamo uno il completamento dell’altro. Il sole e la luna. Era la mia musa, l’unica per cui abbia mai scritto qualcosa. L’unica per la quale mi siano mancate le parole. Era la mia felicità, la mia debolezza. L’unica mia debolezza. Lei era tutto ciò che io avessi mai desiderato, nelle mie poesie. E io ero tutto ciò lei avesse mai voluto. Eravamo l’invidia di chiunque. Era l’unica che potesse sfidarmi e avere persino delle possibilità di vittoria. L’unica che potesse vantarsi di poter scrivere una strofa migliore della mia. Io, le avevo insegato a scrivere, e lei in cambio mi aveva fatto suo. Ho ancora con me uno dei suoi primi scritti. Una misera sfida...sarebbe dovuta essere. avevo chiesto di sorprendermi. La rosa lo aveva intitolato: Non lo so cosa ho fatto, e dove ho sbagliato Sembra che io abbia un debito, e lo stia pagando. però non rammento di aver voluto qualcosa. No. qualcosa no. ma qualcuno si. una rosa con mille spine. una coda, le ho visto avvicinarsi per i suoi petali soffici e morbidi. ma nessuno che si avvicinasse alle sue spine. tutti inorriditi, i fottuti soliti. tutti uguali in una mischia che gridavano coglili, coglili. orridi, a passi corti e piccoli, dei polli. andavano beccando gli uni gli altri, per rubare i semi versati dai padroni. ognuno voleva quella rosa. come sua sposa. ognuno la trattava come fosse un oggetto, una cosa. ognuno voleva la parte migliore per sé. Ma ahimè nessuno davvero voleva che fosse felice. e le spine; nessuno le voleva, e tutti erano a conoscenza del perché. però nessuno si domandava cosa davvero volesse la rosa biasimatrice. nemmeno se la rosa davvero volesse uno di loro. però non lo so. anch'io la volevo per me, ma non volevo un petalo, no. non volevo una spina, no. volevo la mia rosa, con il suo stelo le sue spine il suo petalo. l'avrei tenuta per sempre con me come dentro uno scatto. con la sua leggiadra e malinconica posa. ella ascosa parlava, se solo mi avesse detto soltanto una parola… l’avrei resa una regina. l'avrei presa tra le mie mani. nascosta a questi cani. tra i miei canti. i miei atti e i miei sguardi. e sanguinando goccia dopo goccia, con l'umile terra su ogni nocca, con la pioggia tintinnante sulla bocca, l'avrei resa la mia signora, d'altronde senza sacrificio non c'è nessuna vittoria. Questo aveva scritto. Lo chiamava il galeotto. Punto di focalizzazione: la mia mente, per descrivere sé stessa ai miei occhi. Questo è ciò che pensava io provassi per lei. Inutile dire che in parte avesse ragione ma… …ma non è finita come volevo finisse questa storia, forse è colpa delle mie mani goffe, o forse era lo sguardo con cui la osservavo volteggiare tutto il giorno e la notte. o forse non lo so, ma, appena l'ho accarezzata, l'ho vista appassire, finire, scomparire. da essere di un rosso scarlatto, come un tramonto d'estate visto da un pendio abbastanza alto, a divenire grigia come le testate di giornale. come le mie giornate. giornate di piogge pericolose. acide giornate tempestose. giornate senza sole. giornate nere come il cielo, che ricordava il mio volto senza il suo dolce velo che lo nascondeva da quella foce, di quell’amara voce schiavo mi chiamava, di un dolore atroce ho visto i miei sogni, in fin di morte, ho visto le ore diventare sempre più corte, ho visto i miei pensieri far tremare un ponte, non sono stato abbastanza forte. ho perso la mia musa ed è colpa di quelle promesse, ora in fuga, ma ormai la mia rosa è grigia come lo sarà la mia vita appena questa storia sarà finita. È così che è finita quel giorno, l’ho persa. Forse per sempre. Non pensavo che qualcosa potesse abbattermi tanto, non pensavo che delle semplici parole potessero infliggere tanto dolore. Forse non è stato altro l’ultima goccia. O forse è stata l’unica goccia. Quel giorno avrei potuto sopportare di tutto, dopo quello che era successo, ma il suo tradimento, quello no. E così quella storia, tra me e lei, che tanto amavo si è conclusa. Non l’ho più rivista. Lei è partita il giorno stesso, senza nemmeno presentarsi al mio funerale, e io…beh eccomi. Veleno di vedova nera. Ma oggi la sorte mi ha dato l’occasione per vederla ancora una volta. E non penso di sprecarla. Senza però nessun’effimera speranza. Andrò a quella festa? Si. Ci andrò con l’intento di parlarle? No. Non penso di poterle parlare dopo ciò che abbiamo passato. E non penso che lei voglia avere qualsiasi sorta di conversazione con me. Andrò a quella festa, solamente per rivederla, e per vedere se c’è ancora dell’uomo in me. Ma prima di ciò abbiamo un altro incontro da disputare: l’amatissimo direttore di questo mattatoio. Vuole la mia presenza nel suo ufficio. Strano. Non capita mai. Sono curioso. chissà cosa mi vorrà dire. Forse vorrà farmi una paternale, o forse vorrà un'altra opera, adesso chi lo spiega a questo barattiere che lo scrittore ha tirato le cuoia. Tanto la giornata è ormai finita. Ed è stata alquanto noiosa, come previsto. Divertiamoci un po’ con questo vecchio. Amo quando mi riprende per il mio nuovo atteggiamento da qualunquista, “tu sei ciò che fai, Reginald Ricordatelo” mi dice ogni volta alla fine dei suoi infiniti sproloqui. Ma devo ammettere che sono alquanto veritieri e dilettevoli. Mi ricordano la passione e il modo di fare di mio padre. discorsi lunghi, macchinosi, inconcludenti, a volte davvero seccanti, ma pur sempre portatori del giusto. Assai poetico il nostro lucifero devo dire… Così mi piace chiamarlo. -Lucifero: reginald! Caro mio! Entra, entra, siediti! -io: padre lucifero… eccomi. Allora cosa ha in serbo per me oggi. Complimenti per la vittoria? Rimproveri su questo mio nuovo io? vuole un'altra confessione? oppure ha deciso di sorprendermi oggi? Il padre santo qui presente, È un uomo molto curato. Mai una volta che avesse la cravatta fuori posto. Il diavolo veste bene. Per non parlare del suo ufficio, sono ormai anni che parliamo in questa stanza, e sono anni, che non ho mai visto un foglio stropicciato. L’ordine regna in questa bolgia. Nemmeno un granello di polvere, senza contare però i mozziconi di sigaretta. Un lampadario, un computer più vecchio di lui, un portanome da tavolo, vari fascicoli tra cui perennemente il mio, altre carte, ed infine un porta calamaio. Il diavolo scrive all’antica. Questo è ciò che lo ha circondate in questi ormai credo vent’anni di servizio senza dimenticare la foto della famiglia: la moglie e la figlia, Rio. Ma oggi il diavolo sembra avere una sorpresa per il sottoscritto. ci sono due lettere, con il mio nome sopra. Suppongo sia il contratto per la compravendita dell’anima. Lo siglerò soltanto per vivere un poco. -Lucifero: *ride* potrai essere cambiato quanto vuoi, ma la tua acidità è ancora la stessa. Sì, sono qui a rimproverarti e a rammentarti la tua strada: perché questo è quello che avrebbe voluto tua madre. Sì, sono qui a farti i complimenti, per l’ennesima vittoria, e per l’ennesima volta. E sì, oggi forse potrei finalmente sorprenderti. lui e sua moglie sono sempre stati grandi amici dei miei genitori, conosciutisi in questo stesso istituto, quando mio padre ancora studiava, hanno da subito legato, e il rapporto sembra che si sia conservato fin ad oggi. O almeno questo è ciò che amano raccontare ogni volta che si rivedono e ricordano i bei momenti passati tra questi armadietti. -Lucifero: sai, forse te lo avrò già detto ma io e tuo padre siamo stati grandi amici. (eccolo che riparte) Ammiravo molto il suo entusiasmo e il suo ottimismo. È da sempre stato uno delle poche persone che davvero ritenevo tali. Mi ha sempre sostenuto, in qualsiasi situazione. È lui che mi ha convinto a diventare il, ha detta tua, direttore di questo mattatoio, e adesso che non c’è più, è come se io dovessi in qualche modo ripagare il grande debito che ho nei suoi confronti, e nei confronti di tua madre. È per questo che continuo ad assillarti con continue prediche. Tu non sei come gli altri Reginald. Sei il figlio di Byron. Il figlio di un uomo geniale. Autore di migliaia di romanzi e poesie. L’uomo delle mille scoperte. L’uomo che ha reinterpretato e riscritto l’inferno di Dante, in una sola settimana. E non è un peso semplice da portare. Ma tu hai gli somigli molto. Hai la sua stessa forza. di questo sono pienamente convinto. Sei solamente alla ricerca di qualcosa, senza la quale non puoi sopravvivere. Qualcosa che non cerchi solo per te ma anche per chi ti sta vicino. e so che è difficile essere soli ma te lo dico per esperienza… passerà. ma ricordati Reginald… tu sei ciò che fai. Non dimenticarlo mai. -io: eccoci qua, di nuovo. È più probabile che un uomo cieco ritrovi la vista, piuttosto che tu non mi faccia la solita predica. Ma devo ammetterlo, hai talento Lucy, lascia stare questa vita da uomo da ufficio, e datti alla carriera da motivatore. Faresti più soldi che discorsi. Te lo dico per esperienza. -Lucifero: *sogghigna* -io: arriviamo al punto…padre Mi aspettano al lavoro. Il tempo è denaro, e il denaro mi chiama mentre il tempo corre. -Lucifero: va bene… ti ho chiamato oggi qui, per consegnarti queste due buste. Ma pensa che tu già lo sappia. La prima arriva dall’organizzatore del concorso e contiene l’attestato di vittoria. Mentre la seconda…ecco la seconda non ho idea di cosa sia, e di cosa contenga. L’ho trovata sta mattina sulla mia scrivania con su scritto: per Arclight. E quindi eccoci qui… -io: lucifero che non sa qualcosa sugl’inferi. Strano. Sono allibito. Stai diventando vecchio padre. è arrivata l’ora che tu vada in pensione. Non sei più quello di una volta. -Lucifero: non esagerare. Rimango il preside qui. E tu… soltanto uno studente. -io: giusto. Ma ricordami un attimo… sono io ad avere bisogno di te… O sei tu ad avere bisogno di me. -Lucifero: penso sia un contratto con profitto reciproco. Non diresti? -io: potrebbe essere. D’altronde se ciò che fai. O sbaglio? -Lucifero: *ride* dai su prendi la tua roba e fila via. Dimenticavo…ti cercava Rio. Doveva dirti qualcosa. Non ho ben capito cosa. Sai com’è fatta, no? -io: rio? Che cerca me? Attento. oltre a farmi da padre, potresti anche essere costretto a farmi da suocero. -lucifero: ride. Adesso ho due buste in mano. una sola in realtà. La prima è finita in un cestino…non ricordo quale o dove. ma l’ho buttata. Non mi interessava molto. Quella che mi affascina davvero però, è la seconda. Per arclight…

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