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Autore: azib02    19/07/2020    0 recensioni
Ho avuto un padre. ho avuto una madre. Due mentori. Esseri umani che mi hanno insegnato ad essere umano, ad amare e a perdonare. Per donare al prossimo ciò che loro continuarono a concedermi: la possibilità di redenzione, di riscatto, di espiazione. Due complici necessari, fondamentali, vitali. Inutile dire, che ho perso pure loro. Mio padre: un grande esploratore, amante del rischio, con un’energia incontenibile, travolgente. Non ha mai cessato di trasmettermi tutta quella passione. desiderio di vivere. Ma adesso mi ha lasciato. Non c’è più. Scomparso qualche tempo fa. Mia madre: una donna bellissima. Elegante. Posseditrice dello stesso impeto del consorte. Mi ha insegnato il garbo, la grazia, la raffinatezza, il valore del dettaglio. Adesso è come se non ci fosse. In ospedale. Nelle grinfie di un sonno, forse eterno. Io: avevo tutto ciò che un ragazzino potesse mai desiderare. Ho perso tutto, senza avere alcuna scelta. Adesso vivo. Senza quel impeto e quella passione. per un motivo. Vivo nell’anonimato, nell’inerzia. Triste, come non esistessi davvero. È una scelta. Vivo per il denaro. lo richiede la bestia ospitante di mia madre. Vivo. altro motivo:
“Reginald…la chiave…tuo padre ha…”
Genere: Avventura, Poesia, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 1 – Ignavi
Sono un fallito, ancora sorrido, àncora il sorriso.
Ho ignorato queste opinioni, per troppo rintocchi
Trascurando ogni quel dito, come sopito.
Adesso sono solo, lo ero pure prima,
l’unica che tutt’ora si cura di questo corvo, è la vicina,
ingenua o ferse pura e genuina quanto neve marzolina o brina.
La nostra via…si è trasformata in una sfilata parigina,
con passo sicuro, quanto lo è un diluvio, d’autunno,
con sguardo fisso, per inciso, preciso quanto lo è un bulino per l’inciso,
con la tensione sottile quanto un filo, ogni giorno così sfilo,
nascondendo grazie a un sorriso di tiglio, le fibre di malinconia grezza di lino.
Or ora a casa mi attende solo un cane, al mio fianco come un padre.
Entrambi alla ricerca d’anthem della padrona, trasportati dalle tracce
Del profumo rimasto tra queste tremanti disfatte ante.
Odiavo rimanere in disparte, distante,
ma prima non dovevo eludere tutte queste domande.
Pendenti, sul mio pomo di Democle, come collane.
Non è una prima, una tragedia già vista,
spinta in questo teatro arrivista che è la vita.
Lui è Alcmeone, figlio di Anfiarao ed Eeirifile, padre di Anfiloco e tisifone.
Tornò vittorioso da Tebe,
e uccise la madre che appellativo di uxorcida detiene e detenne,
la quale, il suo amore e l’amato, della cupidigia, fece prede.
Questi sono Romolo e Remo, che persero la madre poco dopo il primo gemo.
Lui invece è Odisseo, Ulisse d’Itaca per molti.
Lasciò perire la madre e i suoi doni tra dolori atroci provocati dalle sue sorti.
E io…io sono insignificante.
Quanto una penna senza inchiostro.
Quanto una perla senza collo.
Quanto un libro senza parole e un solo foglio.
Quanto un nobiluomo senza un borgo prono.
Quanto una anima senza corpo.
Quanto una rapida senza bordo.
Non c’è il bisogno di dire qualcosa, un fallito insignificante.
La sorte ha rapito mia madre, pallida distesa su questo letto d’ospedale,
rapida si presta la morte coloniale, e adesso chiede un riscatto che non posso pagare.
Dio, poteste vedere mia madre, Dio potesse vedere mia madre.
Voi sacchi di carne, in deserte lande,
lei un bagliore disarmante, in oasi nefaste.
Voi figli del chiarore e del calore solare,
disperati gridate serva me.
Lei d’aspetto tombale, echeggia dignità regale,
Virtuosa come un rapace, sul punto di morte ancora simboleggia il tenace.
Se questa sedia potesse parlare, racconterebbe tutte le notti amare,
in balia di lacrime e solute speranze.
Se potesse. questa finestra, parlare invece; scorrette, onesta novellerebbe, le ingiurie mia in vece.
Mi serve il prezzo di quel riscatto dannato, mi serve quel denaro.
Bisogni, di un uomo debole, frivolo; arrendevole, in fuga da un incubo…
…Corro; scorro; come un fiume in piena, in piena furia. Anche se con me, non trascino nulla, se non l’odore della paura, che mi scorre nelle vene, e sgorga da ogni poro del mio corpo. Sto scappando. Ad ogni passo, sbrano la terra, le foglie, i rami, sotto i miei piedi. Sto scappando. Sono solo, intorno a me c’è il silenzio, tagliato come l’aria, al mio passaggio. Mi guardo attorno, le uniche ombre che riconosco sono quelle degli alberi, che in silenzio mi ascoltano ansimare, stremato. Mi guardano dall’alto verso il basso, come volessero giudicarmi. Sto scappando. Sembra che ridano…che mi deridano, o forse è solo il rumore delle foglie mosse da una sperduta folata di vento. I rami, mi avvolgono, nascondendomi al cielo. Però non so se sia un leggero abbraccio materno, o, una rigida stretta paterna. O forse, più probabilmente, è solo un’illusione, creata dal sole che tramonta in un rosaceo cielo, che condiscendente, cede il suo amplesso, alla luna accompagnata dagli astri, come un amorevole padre che concede la figlia all’amato promesso. Io ancora corro, respiro dopo respiro, pensiero dopo pensiero, sguardo dopo sguardo, cerco soltanto di scappare. Sì, scappare, anche se ogni quando mi volto, ormai non più per timore, bensì per abitudine, quasi mania, quasi per vizio, vedo solamente un nonnulla. Un nonnulla, che non riesco a spiegarmi. Chi avrebbe paura del vuoto, del nulla? A questa domanda, le mie gambe, come intrappolate in una morsa si bloccano, e sradicando, cado vertiginosamente, volteggiando sulla terra che ammorbidisce la caduta, diventando un delicato e fragile letto, dove cullarsi di risposte. Da cosa scappi tu uomo cieco? Scappi dal nulla? Queste sono le angosce che adesso corrono nella mia mente, assordanti, come un treno. Come biasimarle, chi scapperebbe da qualcosa che non può vedere, che non può perfino percepire. La risposta si fa sentire dubbiosa e gracidante, solo chi ha tutto da perdere, mi ripeto. Forse più propriamente; chi teme di essere digerito da quel nulla da cui scappa, o meglio chi già patisce il dolore di una morte vana, di una morte scialba, di una morte anonima, e sotto gli occhi ha da tempo due solchi, formati dalle lacrime, troppo salate e amare, per scivolare sul viso senza lasciare segno, prova del loro passaggio, il passaggio dell’anonimato…
…L’anonimato, regina di un impero aristocratico.
Io, un dannato sadico, con lei mi sono coricato,
accettando il mio ruolo da schiavo classico.
Credendolo un mestiere pratico, portare di soldo rapido.
Il panico traspare dal mio viso pallido,
adesso che ho compreso l’arido
significato dell’anonimato, mentre navigo
questo mare carico di scelte, senza pala e manico.
Squalo, il sole batte forte, sul mio naviglio placido;
un miraggio, il suo sussurro: “è una tua scelta sappilo…”
con coraggio, sicuro ribatto alla svelta: “atto primo, il funerale del mio animo.”
Evapora verso il cielo,
confondendosi tra le gocce saline, verso l’azzurro mero.
Sono un uomo cieco, che vede a stento, che mente a sé stesso
Senza ritegno il dissenso, ritengo che la mia vita sia in mani altrui. mani in cemento, dalle quali io dipendo.
Un inetto che non si schiera,
uno stormo di rondini in primavera.
Volo nel mezzo. disprezzo, ciò che provo quando mi rispecchio
nell’acqua.
nell’acqua mi rispecchio;
buona perché disseta, e io sono buono s’intenda,
tremenda se ripiega verso la terra e la immerge Pangea, per intera,
e io ho; un ripiegamento nell’anima che si rinnega, s’intenda.
Sarei un pendolo scadente, incapace di oscillare,
ovunque come fogliame, al buio come falene.
In questi anni, nulla ho raccolto, al contrario dell’unico qualcosa che ho colto.
Sono in vita, non per scelta, bensì perché nato e ancor non morto.
Di poco, da uno schiavo, mi discosto.
Ciò mi disgusta.
se il futuro fosse un porto, sarei disposto a commissionare il trasporto
del mio galeotto alla sorte e al suo scirocco.
La vita è una matrioska, bivio dentro bivio, incrocio nell’incrocio.
E io ignavo ho evitato questo vaso d’oro di pandora incolto.
Ma adesso è diverso, mi serve quel riscatto anche se non mi è concesso,
il tempo si consuma e ti consuma veloce come incenso,
non posso più rimanere tra i suoi fumi, immerso.
Che la mia vita sia d’esempio,
uno scempio, trascorso da uomo empio e non degno.
Nessuna scelta di questo tempo.
Nessuna messa in questo tempio.
Nessuna scena in questo ostento.
Ripeto.
Nessuna carneficina in questo mattatoio.
Nessuna sterlina in questa cassa d’odio.
Nessun’adrenalina sotto questa pianta d’alloro.
Ma.
Prima che calino il sipario, e applaudano senza divario,
masochista sadico Ilario, chiamate un sicario,
per cacciare il leggero mio animo in nylon.
Perché voglio; devo; ho bisogno, della carneficina, della messa,
della sterlina, della scena, dell’adrenalina, della scelta.
…Ho avuto un’infanzia felice, io mia madre e mio padre. Ero un ragazzino spensierato. un ragazzino che amava scrivere qualunque cosa si destasse al suo sguardo. Un ragazzino immerso nel suo mondo. Un mondo bello. Un mondo giusto, un mondo di bene, senza tradimenti, senza menzogne. Senza perdite, senza rinunce. Un mondo di vittoriosi, però senza vinti. Un mondo zeppo di fiori, ma privo di erbacce. un mondo stipato di specchi per riflettersi e rimanere umili e se stessi, ma senza finzioni, senza specchietti per le allodole, e senza ipocrisie. Un mondo senza peccato. L’eden, Ma era un mondo effimero, un tradimento:
un mondo bianco, puro.
quanto la più piena e lucente delle lune.
quanto la più alta delle dune.
quanto la più fitta delle nuvole.
quanto la più potente delle rune.
Un mondo giusto.
Quanto la morte, il rammarico, per un traditore.
Quanto la miseria, per un avido, imperatore.
Quanto l’oblio, per un ignavo senatore.
Un mondo di colti pastori conoscitori:
del valore dei racconti.
del calore dei ricordi.
del dolore dei rimorsi.
del colore dei timori.
Dell’ardore dei sogni rincorsi.
forse fui io il primo ad errare.
L’errore primordiale.
Mi rivelai di fatto, un inganno, agli occhi di molti e di mio padre.
Lui mi creò a sua immagine.
Come un poeta, con le sue pagine.
Irrigò con la sua grazia coesa, le mie rive aride.
Mi diede il compito di profeta, da apostolo palesai la vita da apostata, artefice di decisioni sadiche.
Mi fece il padrone del paradiso.
Un cantore eguagliante i toni di un serafino.
Io mi sdebitai da autore di un parricidio.
divenni un uomo spregiudicato, pregiudicato.
dai ricordi di una vita ricca e sontuosa cullato.
la quale mi ha assaporò, consumandomi.
mi ha rigurgitò, rinnegandomi.
Meno volli e più tutto mi fu concesso.
ebbi la gloria, ebbi la fama.
adesso sonora, canta la mia dama, la fame, quasi mi diffama.
ebbi dei consorti.
io con il sangue dorato, loro con il sangue scarlatto.
Ora sono tutti morti.
ebbi la tentazione, il suo tintinnio mi destò un mattino.
or ora lo stesso tintinnio perseguita il mio cammino.
ebbi tutto ciò che un uomo potesse desiderare.
ma lo persi durante il tragitto.
tra le mie stesse mani incendiarie.
un dannato camino.
si rifugia tremante ora, il mio oramai futile rancore.
rivorrei il candore d’Amore.
rivorrei il denaro e il derivante valore.
rivorrei la famiglia e il suo calore.
rivorrei il mio nome, e ciò che ne desume, l’onore.
Adesso il bianco è soltanto un insieme confusionario,
di piccole chiazze che rievocano l’immagine di un celo stellato.
nero come il peggiore dei corvi.
nero come la più burrascosa delle notti.
nero come la più corrotta delle corti.
nero come il più esule dei morti.
cercai di insaporire il mio dipinto, con del colore, ma lo resi atro.
cercai di rinvigorirlo, ma lo resi aspro.
volli più di quanto mi fosse concesso.
Mi fecero santo.
L’uomo desidera per vivere. L’uomo vive per desiderare.
Ripeto. Un tradimento, il mondo in cui credevo. È crollato alla prima scossa. Era un mondo romanzato. Fondato sulle pagine di cui mi nutrivo ogni giorno, credendole portatrici del vero. Era sola un nascondiglio. Era ciò che mi celava alla cruda verità che non pensavo potesse esistere:
La vita è una grande troia.
basta guardare come si ripete la storia.
siamo tutti condannati e la vita è il boia. è una vera furia.
una figura chimerica furtiva.
sottrae tutto a chi, il nulla possiede.
cedendolo al primo menzognere.
per pochi, un raggio di sole.
per molti, solo buia.
una grande madre.
nella sua culla: l'avarizia, l'ira, la superbia, l'invidia. la gola lussuria e l'accidia.
l'essere umano, il padre di questa famiglia.
Credevo che la vita fosse un semplice viaggio. Per alcuni un pellegrinaggio. Per altri un cammino. Per altri ancora un itinerario. Per me, un viaggio. Verso la felicità, la beatitudine, l’estasi. Un viaggio con qualche insegnamento come sosta. Un viaggio eterno, con compagni altrettanto senza tempo. Mi sbagliavo...ex novo.  Avevo degli amici. degli amici stretti. Pensavo, con ingenuità, che saremmo rimasti assieme per sempre. Ero uno stolto. Mi hanno lasciato nel momento di maggior bisogno. Li ho visti andarsene, freddi, incuranti, quasi immemori, come sole dopo il tramonto. Non si sono mai voltati. Credo sapessero del loro tradimento.
Ho avuto un padre. ho avuto una madre. Due mentori. Esseri umani che mi hanno insegnato ad essere umano, ad amare e a perdonare. Per donare al prossimo ciò che loro continuarono a concedermi: la possibilità di redenzione, di riscatto, di espiazione. Due complici necessari, fondamentali, vitali. Inutile dire, che ho perso pure loro. Mio padre: un grande esploratore, amante del rischio, con un’energia incontenibile, travolgente. Non ha mai cessato di trasmettermi tutta quella passione. desiderio di vivere. Ma adesso mi ha lasciato. Non c’è più. Scomparso qualche tempo fa. Mia madre: una donna bellissima. Elegante. Posseditrice dello stesso impeto del consorte. Mi ha insegnato il garbo, la grazia, la raffinatezza, il valore del dettaglio. Adesso è come se non ci fosse. In ospedale. Nelle grinfie di un sonno, forse eterno. Io: avevo tutto ciò che un ragazzino potesse mai desiderare. Ho perso tutto, senza avere alcuna scelta. Adesso vivo. Senza quel impeto e quella passione. per un motivo. Vivo nell’anonimato, nell’inerzia. Triste, come non esistessi davvero. È una scelta. Vivo per il denaro. lo richiede la bestia ospitante di mia madre. Vivo. altro motivo:
“Reginald…la chiave…tuo padre ha…”
Questo, l’unico altro motivo per cui ancora l’ossigeno scorre nelle mie vene. trovare questa dannata chiave. Non so nemmeno che forma abbai, non so a cosa serva, non so cosa apra, non so dove sia, non so nemmeno, cosa sia. Ma so che riguarda mio padre. mia madre non parla mai sventatamente. Sarò pure solo, ma poco vale, io voglio quella chiave quanto un foglio desidera l’inchiostro, quanto un vagabondo aspira al soldo, quanto un maestro smania per un sinfonico coro. Non ho la più pallida idea da dove cominciare, ma se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che se davvero desideri qualcosa, l’intero cosmo farà in modo che tu la ottenga: Sono pochi i casi, in cui le mie parole errarano e questo non è incluso. Dovessi perdere la vita per questa chiave, accetterei di pagare tale prezzo. Senza batter ciglio. Niente sacrificio niente vittoria. Lo devo a chi mi ha creato. Non importa, il tempo necessario, non importa, l’impegno necessario, fossero richieste gocce del mio stesso sangue, sarebbe un sacrificio effimero ai mie lacrimanti occhi. Ho perso tutto ciò che avevo. Quindi ho perso ogni distrazione. Non mi interessa riguadagnare ciò che non possiedo più. L’uomo delude e tradisce. L’ambizione ti accompagna fino alla fine. Non mi interessano le persone, sono sacrificabili e superflue, ma quella chiave…no. Quella chiave è l’unica mia ragione di vita. È la mia ambizione…mi è rimasta solo lei.
 
   
 
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