I’ll write our story here. You can brush off the dust and read it sometimes.

di Hi Ban
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seoul, 2018 ***
Capitolo 2: *** Kyungsung, Carpe Diem, 1933 ***



Capitolo 1
*** Seoul, 2018 ***


I’ll write our story here.
You can brush off the dust and read it sometimes.
 
 

 
Sono il tuo ghostwriter. Il fatto è che sono davvero un fantasma.
Han Se Joo chiuse gli occhi. Inspirò forte, espirò ancora più forte; ripeté lo stesso rituale una, due, quindici volte, e poi li riaprì. Era ancora in camera sua, sdraiato sul letto e, anche se quel fantasma non era presente, sapeva perfettamente di trovarsi ancora in quella realtà.
Allora buttò dalla finestra il suo tentativo di raggiungere il Nirvana tramite la meditazione e cominciò a scalciare le gambe buttando all’aria lenzuolo e coperte.
Lui non poteva accettare che la sua vita fosse stata stravolta così, dall’oggi al domani. Un attimo prima era uno degli scrittori più affermati della Corea del sud – era lo Stephen King coreano, dannazione! – e un attimo dopo cadeva vittima del blocco dello scrittore, rischiava la vita come se non fosse la sua e quel… quel… tizio non umano scriveva libri al suo posto.
E ovviamente nessuno gli credeva, ma la cosa non lo stupiva. Era abbastanza onesto con se stesso da ammettere che anche lui avrebbe reagito come Gal Ji Seok se qualcuno gli avesse detto che il suo ghostwriter era un fantasma vero: avrebbe chiamato uno psicoterapeuta, non un esorcista, perché certe cose non erano scusabili nemmeno dalla fervida immaginazione di uno scrittore.
Era per quello che non aveva intenzione di dire nulla nemmeno a Jeon Seol, anche lei avrebbe tentato di rinchiuderlo da qualche parte come periodicamente da giorni stava tentando di fare la sua segretaria Kang. Pensava non la sentisse quando lo seguiva per la casa e riportava ogni sua singola mossa a Ji Seok?
L’improvvisa consapevolezza che al momento Jeon Seol stava vivendo le sue giornate considerandolo un maltrattatore di animali, nonché una persona molto cafona e maleducata che era solito urlarle dietro improperi e maledizioni, lo fece mugolare con disperazione.
Prese il cuscino alla sua sinistra e se lo premette in faccia, borbottando oscenità che il mondo non sapeva potessero uscire dalla bocca di un così raffinato scrittore di romanzi.
Abbandonò l’ipotesi di soffocarsi con il cuscino – con la fortuna che aveva, moriva e si trasformava pure lui in uno spirito destinato a vagare sulla terra alla ricerca di un altro scrittore da tormentare – e riprese a fissare il soffitto.
Erano le sette e trentatré di un comune martedì mattina e lui, invece di aver fatto la sua doccia mattutina, aver scelto la montatura di occhiali che preferiva per quel giorno e aver cominciato a sorseggiare il suo tè bianco, era ancora sdraiato sul letto in preda alla frustrazione, perché nessuno avrebbe mai creduto che era perseguitato da un fantasma.
Quello non era solo un pessimo mattino.
Quella era proprio una pessima vita, perché c’era un motivo se quando le persone morivano dimenticavano la propria vita passata, in modo da non avere più alcun ricordo in quella futura. Perché ricordare avvenimenti di anni e anni prima, vissuti da sé stessi, ma in realtà non proprio, beh, era una fonte di grande confusione. Era impossibile far coesistere nella sua mente l’idea di aver vissuto nel 1930, ma di essere vivo anche nel 2018 per poterlo raccontare. Eppure quei ricordi erano davvero i suoi, li sentiva fin troppo familiari per essere di qualcun altro… però non aveva senso. Lui era Han Se Joo, nato in una Corea che l’occupazione giapponese ormai la poteva rivivere solo attraverso i libri di storia. Eppure sentiva che al momento una parte di sé si sentiva a casa nella Joseon che nell’ombra tramava per riprendere le redini dalle mani degli invasori.
“Aaaah, questa storia è ridicola” borbottò tra sé.
Aveva un gran mal di testa e la voglia di soffocarsi con il cuscino era tornata dieci volte più potente.
Lui era uno scrittore, era abituato a dover descrivere in modo chiaro passaggi e ragionamenti astrusi, quando non completamente illogici, ma tutto quel che stava vivendo in quel momento andava anche al di là delle sue capacità.
Dannato Yoo Jin Oh e maledetta quella macchina da scrivere. E che diavolo di problemi aveva la sua anima? Rimpianti, passioni o persone indimenticabili? Stronzate. Che un qualsiasi Dio lassù fulminasse la sua stupida anima, che aveva deciso di girarsi invece di godersi in tranquillità il suo viaggio in barca verso l’aldilà.
“Han Se Joo jagganim, è sveglio?”
La voce professionale, ma negli ultimi giorni anche un po’ incerta e perplessa, della sua segretaria lo raggiunse da dietro la spessa porta di legno. Il suddetto scrittore strinse i denti con così tanta forza da sentire qualche scricchiolio anomalo. Non sapeva neanche lui perché la comparsa della donna lo avesse irritato così tanto, in fondo era parte della sua solita e comprovata routine: prima che lui iniziasse a scrivere, Kang era solita passare da lui per dargli le prime informazioni del mattino, prima di lasciarlo immergere nell’attività che da anni sapeva dargli le più grandi soddisfazioni.
Peccato che in pochissimo tempo tutto le sue abitudini fossero andate perdute, perché Se Joo sfidava chiunque a continuare la propria vita come se nulla fosse dopo aver scoperto che l’intruso che continuava ad infilarsi in casa sua e nel suo studio era un vero e proprio fantasma.
Come diamine poteva concentrarsi a scrivere quando arrivava un tizio morto a dirgli di scrivere la loro storia passata?
Che cosa se ne faceva del briefing mattutino della sua segretaria, se tanto doveva affrontare ogni giornata sapendo che i dannati spiriti esistevano e uno si era anche fissato con lui? Ebbe un brivido di freddo quando, per un attimo, il suo cervello fu attraversato dall’improvvisa consapevolezza che c’era vita dopo la morte e perciò il paranormale non era qualcosa che si poteva trovare solo sugli scaffali della libreria.
Forse, allora, quella volta in cucina quando...
No. No, no, no. Assolutamente no.
Ma non aveva la minima intenzione di andare lì e iniziare a pensare a quel genere di cose. Perciò si schiarì la voce e fece finta di essere una persona normale e non un uomo con una crisi mistica.
“Sì, sono sveglio” ma preferirei non esserlo.
“Gal Ji Seok mi ha telefonato poco fa, ha detto che ha anche provato a contattarla direttamente, forse non ha sentito il cellular-”
“Ho bloccato il suo numero perché quell’idiota non deve aver capito bene cosa intendevo quando ho detto che per il momento non voglio essere disturbato da nessuno. Lui è compreso nella lista di persone fastidiose. Chiaramente non ha colto l’antifona neanche questa volta, considerando che ha ben pensato di chiamare te” commentò Se Joo con il tono più annoiato che la segretaria gli avesse mai sentito usare. Con uno sforzo psicofisico immane, fece scivolare le gambe giù dal letto per poi sedersi sul bordo del materasso. Erano otto ore che la sua vescica gli chiedeva di essere svuotata, ma aveva tergiversato fino a che non era diventato chiaro fuori perché, anche se non lo avrebbe ammesso a nessuno, ora era un po’ meno propenso a muoversi al buio. Se c’era Yoo Jin Oh forse c’era anche qualcun altro…
Scosse la testa e riportò la sua attenzione alla situazione attuale.
“Blocca anche tu il suo numero e cambia il codice alla porta. Dì agli altri dipendenti di non far entrare nessuno con la sua faccia, la sua voce, il suo cognome o la sua data di nascita” la istruì, consapevole del fatto che quelle fossero misure inutili, perché se Gal Ji Seok avesse davvero voluto parlargli o vederlo ci sarebbe riuscito comunque, magari passando da una finestra. Forse era più utile un ordine restrittivo…
La segretaria era interdetta. Era abituata ai comportamenti bizzarri del suo capo, ma negli ultimi tempi era davvero diventato strano. Lo aveva visto anche parlare da solo.
“Jagganim, in realtà l’editore mi ha detto di informarla che oggi si terrà un evento in una delle librerie che sponsorizza la sua serie su KakaoTalk e che sarebbe davvero importante che anche lei fosse presente. Forse le farebbe bene uscire un po’ di casa, prendere dell’aria fresca per schiarirsi le idee…” suggerì la donna, che era preoccupata sia perché la sua carriera dipendeva dal benessere dello scrittore, sia perché erano anni che lavorava per lui e, seppure avesse mantenuto sempre le distanze richieste dal suo ruolo, si era affezionata alla sua indole perfezionista, stramba e a tratti isterica. Non lo avrebbe abbandonato nel momento del bisogno, anche se non poteva negare che ogni tanto le faceva davvero un po’ paura.
Kang era ancora dietro la porta perciò non poteva vedere l’uomo scuotere la testa, chiudere gli occhi con stanchezza e massaggiarsi le tempie con fare dolorante, ma ad un certo puntò sentì dei movimenti nella stanza. In lei nacque un po’ di speranza. Forte della convinzione che, per qualche strano motivo, era riuscita a convincere Se Joo ad uscire di casa, cominciò a parlare con un certo entusiasmo: “È un convegno che la Byeoru Imporium terrà oggi pomeriggio alle due, il tema principale è l’evoluzione della scrittura, dai quattro tesori del calligrafo al computer per intenderci. Lei dovrebbe presenziare come rappresentate della Golden Bear Publishing House e sono sicura che troveranno anche dello spazio per parlare del suo nuovo progetto. Oh, la sua nuova macchina da scrivere calzerebbe a pennello e-”
“Kang biseonim” la interruppe Han Se Joo dopo aver chiuso volontariamente con forza il cassetto del comodino da cui aveva tirato fuori delle aspirine. Ne prese due senz’acqua perché arrivare alla cucina senza un qualsiasi tipo di sostegno era impensabile.
“Sì, jagganim?” rispose prontamente lei, per poi perdere la sua vitalità quando lo scrittore distrusse tutte le sue speranze.
“Non ho alcuna intenzione di andare a nessun convegno, evento, sagra della scrittura, festival dell’inchiostro, fiera della tipografia, svendita di libri, sit-in di bibliotecari, flashmob dei produttori di stilografiche, niente di niente. Puoi anche dirlo a Gal Ji Seok, insieme ad un altro messaggio: Voglio. Essere. Lasciato. In. Pace. Sono sicuro che se tutti quanti metteste insieme i neuroni che avete in testa riuscireste a capire questa mia semplice richiesta” spiegò lui con irritazione e mantenendo comunque il suo tono strascicato.
Seguì un attimo di silenzio, in cui Han Se Joo pensò che forse aveva esagerato un po’, perché alla fine la sua segretaria altro non era che un messaggero e, si sa, non si sparava al messaggero anche se portava notizie orrende e irritanti.
Però Kang non perse un battito di più e si riprese in fretta – in fondo davvero ci era abituata alle maniere non propriamente gentili del capo, tanto più quando si trattava dell’effettivamente un po’ invadente sajangnim.
“Capisco. Riferirò tutto all’editore e, uhm, bloccherò il suo numero.” Se Joo alzò gli occhi al cielo perché sapeva che non lo avrebbe fatto. “Nel frattempo, però, rinnovo il mio suggerimento, sperando di non risultare inopportuna: un periodo di pausa è sicuramente ottimale, ma dovrebbe comunque uscire e non intendo solo in cortile” concluse con il suo solito tono professionale. Una parte di lei, infatti, in quei casi ripeteva un mantra a cui lei non poteva non dare ascolto: la paga è una delle migliori che avrebbe mai ricevuto per un posto da segretaria, bisognava stringere i denti. I denti bisognava stringere, non il collo del datore di lavoro.
“Era quello che avevo intenzione di fare questa mattina” le rivelò, aprendo la porta e comparendole di fronte. La donna batté le palpebre stupita, perché ormai essere perplessi era all’ordine del giorno. Un attimo prima aveva detto che non aveva neanche intenzione di andare alla sagra della boccetta di inchiostro e ora voleva uscire?
“Posso sapere…?” provò a chiedere, perché era curiosa e anche perché Gal Ji Seok le aveva assegnato il compito di seguire i suoi momenti e le sue attività passo dopo passo; il capo del mio capo è anche il mio capo, se lo ripeteva spesso quando le sembrava di fare un torto ad Han Se Joo.
Lo scrittore si passò una mano sulla faccia, stanco come se non avesse dormito da giorni perché effettivamente negli ultimi tre giorni aveva collezionato in totale dieci ore di sonno agitato.
“Devo andare a comprare delle piantine di bireum. Ho deciso di piantarle nell’orto.”
Da giorni ormai la sua filosofia era diventata quella del carpe diem: anche se gli ricordava troppo il nome di quel locale notturno che continuava a vedere nei suoi ricordi, era una frase pieno di senso.
Afferra il giorno perché non puoi essere certo di avere un domani.
Senza necessariamente dover pensare alla morte – anche se di recente aveva rischiato di attraversare il fiume giusto un paio di volte di troppo –, lui aveva sperimentato sulla sua pelle il cambiamento improvviso a cui era andata in contro la sua vita. Aveva passato anni a scrivere e ora non solo non riusciva più a mettere insieme due righe, ma era diventato l’autore di un romanzo che non aveva mai scritto, ma solo vissuto. Era palese che le cose che era solito fare fino al giorno prima non era più possibile farle, ma aveva anche imparato che non doveva lasciarsi sfuggire più nessuna occasione. Avrebbe coltivato tutte le passioni che gli sarebbero venute in mente di lì in avanti; forse domani avrebbe passato l’intero pomeriggio a guardare Six Flying Dragons perché erano anni che procrastinava. E il giorno dopo ancora sarebbe andato a pescare. Poteva prenotare una notte in un hotel di ghiaccio, anche se dubitava ce ne fossero in Corea. No, no, era una persona troppo freddolosa per un’esperienza del genere. Forse doveva comprarsi un castello, aveva abbastanza soldi da parte…
Sì, sembrava un uomo in piena crisi di mezz’età e sì, probabilmente era impazzito.
Ma quel mattino si era svegliato con il desiderio – fattibile – di piantare bireum e allora avrebbe piantato quella verdura. Fine del discorso.
‘Oh, no, ha ricominciato con questi suoi hobby. Non credo sia nemmeno la stagione adatta per piantare bireum. Gal Ji Seok non sarà felice. Dovrei iniziare a cercarmi un altro lavoro?’ Questo era pressappoco quel che stava pensando Kang, che nel frattempo faticava a mantenere la sua solita compostezza e osservava l’uomo con occhi sgranati, come se gli fossero cresciuti improvvisamente trenta centimetri di capelli e avesse anche deciso di farsi i dreadlock.
E non aveva nemmeno sentito la parte sul possibile viaggio in elicottero sopra ai vulcani delle Hawaii.
“Se non ricordo male lei ha chiesto ai cuochi di non usare quella varietà di amaranto perché non le piace, testualmente sa di catrame, odora di muffa e ha la consistenza di poliestere bagnato” commentò pacatamente la donna.
“Ho deciso di dargli un’altra possibilità.”
Comprensibile.
“Ahm, capisco. Allora potrebbe andare al supermercato o mandare la domestica, così da non dover aspettare che crescano-”
“Ho deciso che io devo piantarli, poi raccoglierli e infine mangiarli” sottolineo Han Se Joo, per poi lanciare uno sguardo quasi impietosito alla segretaria: “Carpe diem, Kang biseonim, anche tu dovresti afferrare il giorno, tenertelo stretto e fare oggi tutto quello che potresti non avere tempo di fare domani” le consigliò con un sorriso stanco, prima di incamminarsi per il corridoio. “Licenziati, cerca un lavoro migliore, molla tutto e vai a nuotare con i delfini, apri un negozio che vende barattoli pieni d’aria. Reinventati.”
Per la prima volta in vita sua, Kang era a corto di parole. L’unica cosa che il suo cervello riuscì a processare fu che era diventata la segretaria di un monaco buddista e che la pronuncia latina di Han Se Joo lasciava alquanto a desiderare.
“Avviso la cucina di preparare la colazione, tè bianco e-”
“Nah, stamattina voglio provare il rooibos.”
Carpe diem continuò a borbottare, per poi sparire dietro l’angolo.
Erano dieci anni che beveva sempre lo stesso tè.
Era impazzito.
La fine del mondo era vicina.
E lei prestò sarebbe stata disoccupata.
 
 
***
 
 
Han Se Joo abbassò la visiera del cappello sugli occhi e continuò a camminare, ignorando le occhiate che ogni tanto riceveva. Era abituato ad essere fermato per strada, ma quel giorno non voleva parlare con nessuno, specialmente potenziali fan che sicuramente avrebbero fatto domande su quel manoscritto di cui lui non aveva battuto nemmeno una virgola. Non sapeva neanche la trama, per l’amor del cielo, di tutti i libri che aveva scritto nessuno aveva trattato temi simili e se non fosse stato per i flashback che aveva di tanto in tanto non avrebbe saputo neanche da che parte cominciare.
Scosse la testa e decise che per quel giorno non ci avrebbe pensato; non voleva sprecare altro tempo dietro ad una faccenda che non aveva creato e che sicuramente non sapeva come risolvere.
Piuttosto si concentrò sulla sua missione: doveva andare a comprare quelle dannate piantine. Si stava già pentendo di aver deciso di riscoprirsi ortolano proprio quel giorno e di non aver ascoltato i suggerimenti della segretaria. Però era anche vero che il suo carpe diem in realtà serviva a riempirsi le giornate di attività che gli tenessero la mente occupata, perciò comprare le piantine, il concime, il necessario per allestire il suo minuscolo orto e attendere che il dannato amaranto crescesse era tutto necessario per non dover pensare agli spiriti e a-
No. Non doveva pensare a quell’essere. Anzi, doveva essere felice non fosse ricomparso di nuovo. Per sicurezza si voltò per assicurarsi che non fosse alle sue spalle, rovinandogli la giornata. Sorrise quando appurò di essere solo.
“Non mi avrai mai. Mai.”
Ovviamente non si rese conto degli sguardi straniti dei tre passanti dall’altro lato della strada che si stavano chiedendo se quello fosse il famoso Han Se Joo e se fosse effettivamente impazzito come alcuni tabloid riportavano.
Ignaro di tutto, lo scrittore riprese a camminare, cercando di ricordare la strada per arrivare al negozietto che cercava. Google Maps mezz’ora prima gli aveva dato gli indirizzi di almeno undici negozi che vendevano le piantine che cercava, ma tra quelli non c’era quello che cercava lui.
Ne aveva in mente uno specifico perché anni prima, quando nessuno sapeva della sua esistenza e i suoi libri non erano ancora diventati best seller anche nelle Filippine, era andato in quel posto per fare alcune ricerche per una storia che stava scrivendo. Aveva bisogno di avere informazioni esatte sul potere tossico dei chiodi di garofano, ma all’epoca non era riuscito a trovare nessuna informazione conclusiva. Una sera, mentre tornava a casa si era messo a pensare con più abbandono del dovuto ed era finito in un quartiere che non aveva mai visto. Erano le dieci di sera, perciò non si aspettava di poter incontrare qualcuno a cui chiedere informazioni, ma aveva comunque trovato una serranda alzata e una luce accesa, perciò si era avventurano nella struttura. Lì aveva scoperto di aver trovato un interessante emporio di spezie e, dopo aver chiesto in quale sperduta parte di Seoul si trovasse – non molto lontano da casa sua, apparentemente –, ne aveva approfittato per chiedere conferme sui chiodi di garofano. Non aveva ottenuto le informazioni che voleva, ma in compenso aveva fatto interessanti scoperte sull’estratto di semi di ippocastano, sulla radice di liquirizia e sulle fave di Tonka.
Era davvero un negozio di nicchia e il proprietario era sembrato abbastanza vecchio da poter essere diventato trisnonno, perciò non ci sarebbe stato da stupirsi se lo avesse trovato chiuso. Doveva essere da qualche parte lì in giro però, si disse Se Joo mentre girava in un vicoletto stretto e poco illuminato.
“Trovato” sussurrò, quando finalmente vide l’insegna della piccola bottega che vendeva frutta, ortaggi e spezie.
Si aggiustò gli occhiali sul naso, sorrise e si incamminò a passo veloce verso la porta. Quando spinse la porta il campanello suonò debolmente, producendo un suono quasi impercettibile. All’interno non c’era nessuno e l’unica cosa che lo accolse fu il mix di odori – e puzze, aveva un naso sensibile, lui – di cui era difficile distinguerne le parti. Da qualche parte c’era dello zenzero, ma di quello si accorse solo perché lo detestava a morte.
Il posto era molto più piccolo di quanto ricordasse e già nella sua testa era, beh, piccolo. Non sapeva nemmeno lui come il proprietario riuscisse a stipare tutti quei prodotti senza coprire ogni singolo centimetro del pavimento.
“C’è nessuno?” chiese dopo aver atteso un paio di minuti, in segno di cortesia. In realtà aveva aspettato sì e no trenta secondi perché alla fine della giornata lui era una persona impaziente e chiunque lo conoscesse lo sapeva.
Quando nuovamente non ottenne segni di vita decise di aspettare ancora un po’. Non sapeva perché, ma se doveva piantare quell’amaranto puzzolente, le piantine le voleva prendere da lì. Se gli fosse toccato andare in un altro negozio, probabilmente sarebbe passato alla prossima attività: si sarebbe dato alla delicata arte della creazione di vasi di terracotta. Magari una bella urna funeraria da dedicare a Yoo Jin Oh così da farlo sentire in pace con il mondo e-
NO. Lui non ci pensava a quelle cose.
Se Joo iniziò a scuotere la testa e a emettere suoni incomprensibili per svuotare la sua mente come ‘lalala non ti penso, non ti sto pensando, lalala’. Fortunatamente questa volta era lontano da occhi indiscreti.
Decise di dare un’occhiata in giro per il locale. Si tenne ben lontano dalle cose che emanavano un odore più pesante del normale, perciò tutti gli scaffali sulla sinistra. Ben presto la sua attenzione fu catturata da alcune foto presenti sulla parete opposta. Erano in bianco e nero, la cornice di legno sembrava piuttosto vecchia e consumata. Si tolse il cappello per non essere intralciato dalla visiera e aggiustò gli occhiali sul naso prima di avvicinarsi alle stampe.
La prima ritraeva un uomo e un bambino, entrambi sorridenti. La seconda, invece, ritraeva un gruppo di persone più ampio, compresi i due della prima foto. Il bambino sorrideva ancora, circondato da adulti. Non riusciva a vedere molto bene perché la foto era vecchia, sgranata e un po’ troppo lontana, a separarla da Se Joo c’erano dei banconi con delle cassette di legno sopra. Cercò di fare un altro passo avanti per vedere meglio e un attimo dopo notò qualcosa di familiare. C’era qualcuno con un cappello in testa, sembrava… non riusciva a vedere bene. Troppo intento a guardare meglio la foto, quasi non fece caso alla spiacevole sensazione che generalmente lo attanagliava quando si avvicinava alla macchina da scrivere o era in procinto di venire risucchiato in uno di quei flashback.
Alzò istintivamente il braccio con l’intento di prendere il quadretto per portarselo più vicino, ma fu interrotto ad un passo dal riuscirci.
“Posso aiutarti, giovanotto?”
Han Se Joo si voltò di scatto, incontrando lo sguardo del proprietario con cui aveva intrattenuto un’interessante conversazione una decina di anni prima.
La prima cosa che pensò fu che non era ancora morto e la seconda era che non poteva avere meno di cento anni perché li dimostrava davvero tutti e forse anche qualcosa in più.
“Ah, sì…” cominciò Se Joo, ma stranamente era a corto di parole. Era lì per quella dannata verdura, ma in quel momento tutto era passato completamente in secondo piano. Continuava ad avere quella sensazione nello stomaco e probabilmente era per via della foto.
“Sei tornato qui per chiedere informazioni sulla tossicità di qualche altra spezia?” domandò l’anziano, aggirando il bancone dietro cui era comparso per poi portarsi di fronte ad Han Se Joo. Era più basso di lui ci quasi quindici centimetri. Nonostante le rughe e il tono appesantito dalla vecchiaia, lo scrittore poté notare senza problemi lo scintillio che animava gli occhi del proprietario, dando alla sua anima quasi la metà degli anni che invece aveva il corpo. Lo stava scrutando in maniera quasi inquietante, constatò Se Joo.
A dire la verità, tutto era diventato un po’ inquietante in quel momento.
“Si ricorda di me? Sono passati quasi dieci anni” commentò lo scrittore con un sorriso che mostrava da una parte il suo disagio e dall’altra la sua sorpresa.
“Certo che mi ricordo, circa quattro o cinque mesi dopo il volto del giovane che è venuto a chiedermi come uccidere qualcuno con i chiodi di garofano era dappertutto. Mi piace pensare che il libro abbia venduto così bene anche grazie alla mia… expartise, chiamiamola così” rivelò l’anziano, schiarendosi la voce.
Era expertise, pensò Se Joo, ma non era educato correggere gli anziani.
Parlava davvero molto in fretta, oltretutto; quel particolare gli confermò che la mente e il corpo di quel vecchio che aveva di fronte non andavano di pari passo.
“Ryeo Ha Neul” disse l’anziano ad un tratto e di fronte allo sguardo perplesso del giovane si affrettò a precisare: “È il mio nome. Questa volta citami in caso facessi diventare famoso anche il tuo prossimo libro!”
Han Se Joo si riprese in fretta dalla schiettezza dell’uomo e si lasciò andare ad una risata liberatoria e genuina.
“Sfortunatamente oggi non sono qui per delle informazioni, ma solo per delle piantine, ma se in futuro dovessi usufruire delle sue conoscenze prometto che la citerò” gli assicurò, ottenendo un largo sorriso da parte di Ryeo Ha Neul.
“Peccato, un vero peccato. Ricordatene però, eh!” detto ciò si portò dietro al bancone e gli fece cenno di seguirlo.
C’era qualcosa che non quadrava, era come se qualcosa fosse fuori posto, finto addirittura. Han Se Joo aveva ben presto imparato che in genere in suoi presentimenti si rivelavano esatti, ma non ebbe tempo di approfondire quella sensazione. Forse per una volta era lui che si stava immaginando le cose.
“Se ho ben capito ti sei dato alla cura dell’orto. Dimmi cosa cerchi e vedremo se ce l’ho con me.”
Han Se Joo sorrise e rivelò il suo intento di piantare il bireum. L’uomo annuì e sparì nella stanza dietro di lui, per poi riemergere con sei piantine rigogliose e promettenti. Che poi sarebbero morte tra le mani di Se Joo, che non sapeva neanche tenere in via una piantina di aloe vera, era un’altra storia.
“Ti serve altro?”
“Oh, no, no.”
Di lì in poi calò un silenzio pacifico e rilassante. L’uomo imballava le piantine e lo scrittore attendeva pazientemente, cercando di mettere a tacere quella sensazione che lo punzecchiava.
Giunto il momento di pagare, però, proprio mentre tirava fuori il suo portafoglio, l’anziano Ha Neul si schiarì la voce per attirare la sua attenzione.
“Devo dirti la verità, però… mi ricordo di te anche perché dieci anni fa ho pensato la stessa cosa che ho pensato poco prima, quando ti ho visto nel mio negozio” rivelò, con un tono forse leggermente un po’ squillante. Se Se Joo non fosse stato intento com’era a cercare i soldi – ovviamente non accettavano la carta quel posto – avrebbe potuto ipotizzare che sembrava la voce di qualcuno che a stento poteva trattenere l’entusiasmo e l’emozione, come se di lì a poco sarebbe successo qualcosa di favoloso che l’uomo attendeva impazientemente ormai da tempo.
“Ah, e cosa ha pensato?” chiese distrattamente, per poi riemergere con soddisfazione con una banconota tra le mani. Ma era destinata a rimanere lì.
“Che la tua pettinatura era meglio negli anni trenta.”
Fu come se qualcuno avesse tolto il terreno da sotto ai piedi di Han Se Joo. Infatti, quest’ultimo indietreggiò con poca grazia, come se qualcuno lo avesse schiaffeggiato. O preso a pugni. La sensazione era proprio quella di una bella e sonora martellata sulla pal-
Non era possibile, non anche lì.
Era una persecuzione, quella.
“Oh, no, no, no, per favore, no. La mia mente non può reggere ancora per tanto questa situazione” biascicò con gli occhi sgranati, ad un passo dal cadere nell’isteria più pura.
“Così sembri un uccello che sta iniziando a mettere le piume. E se diventi pelato si nota prima. Non li fanno gli specchi nelle case moderne?”
Il vecchio parlò con calma, come se il suo interlocutore non fosse in procinto di morire per un infarto.
“Anche lei è un fantasma?! È in combutta con Yoo Jin Oh. Ah! Tu sei Yoo Jin Oh! Esci fuori, brutto deficiente, avevi detto che non potevi possedere le persone e invece eccoti a derubare un vecchio bicentenario del suo corpo, sei senza morale, uno spirito come te non potrà mai trovare pace! Vieni qui ho detto!” detto ciò si slanciò verso l’anziano riuscì a scansarsi agilmente nonostante l’età. Si allontanò abbastanza da poter osservare il ragazzo schiumare dalla rabbia e blaterare cose senza senso. Scosse la testa, constatando che alla fine il giovane di ora non era poi tanto diverso da quello di allora.
Mentre Han Se Joo ancora straparlava, prese il bastone e glielo sbatté sulla testa.
“Ti vuoi dare una calmata o no, razza di imbecille?” sbottò allora Ha Neul, buttando completamente dalla finestra le buone maniere che aveva sfoggiato fino a poco prima. Era come se il vecchio commesso fosse stato spodestato da quello di adesso con cui non condivideva nulla oltre all’apparenza estetica,
Se Joo si ammutolì e prese a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
Era appena stato picchiato sulla testa con un bastone?
“Sei esattamente come ti ricordavo” commentò l’uomo più anziano con un sorrisetto sardonico.
“No, tu non puoi ricordarti di me. Non è possibile, è tutto nella mia testa. È un incubo, probabilmente sto ancora dormendo” tentò di convincersi lo scrittore, ad un passo dal cadere nuovamente in uno stato catatonico.
Ha Neul sbuffò, perché aveva aspettato dieci anni per quel momento e non voleva perdere altro tempo.
“Yah, Seo Hwi Young! Ti vuoi riprendere o no?! Ovvio che posso ricordarti, abbiamo parlato insieme un sacco di volte, solo, beh, tu nel frattempo sei morto e rinato e io ancora no. Cosa c’è di difficile da capire?” domandò con sufficienza, come se il problema fosse che stava tentando di spiegare un concetto facilissimo ad una persona con un intelletto molto basso. Non gli passò neanche per l’anticamera del cervello che forse per una qualsiasi persona normale accettare l’esistenza di fantasmi, reincarnazioni e vite passate potesse richiedere un po’ di tempo.
“Io non sono Seo Hwi Young! Non so chi sia, non l’ho mai visto e non lo voglio neanche più sentire nominare. Si starà confondendo con qualcun altro” asserì Se Joo, che era sulla strada della negazione e non aveva intenzione di ritornare sui suoi passi.
“Che non l’hai mai visto ci credo, altrimenti non te ne andresti ancora in giro con quei quattro peli in testa ma copieresti la sua – tua, scusa – acconciatura.”
“Ma la pianta di criticare i miei capelli?! Io almeno non sembro aver messo la testa in un sacco di farina.”
Di rimando l’uomo scoppiò a ridere. Rise e rise fino a che effettivamente non rise troppo e cominciò a tossire, perché i polmoni non erano più quelli di una volta.
“Perché ride ora?” chiese Han Se Joo con un tono desolato e lamentoso, perché la persona che aveva davanti non era normale e non era giusto che solo a lui toccassero i pazzi e i casi umani. Era uscito di casa per non dover pensare a quella situazione e invece lo perseguitava ovunque andasse.
“Perché stai usando il linguaggio formale, ma nel frattempo tenti di insultarmi. È strano, ottant’anni fa continuavi ad urlarmi dietro perché non volevo usarlo io con te e ora invece sei tu che mi dai del lei. Proprio non ti ricordi di me, Seo Hwi Young hyungnim?”
Se Joo non sapeva se essere più inquietato da tutto quel discorso o dal fatto che le espressioni così… giovanili dell’uomo stonavano terribilmente con le rughe e il centinaio d’anni che si portava appresso. Eppure quando parlava c’era un qualcosa di giovane, di fresco, quasi di infantile nel suo modo di fare.
“Ah, come cambiano le cose. Però certe rimangono le stesse: non potevi prendertela con me prima perché ero un bambino e non puoi aggredirmi nemmeno ora perché sono un povero anziano indifeso. Dovevamo incontrarci di nuovo a metà strada, quando potevamo prenderci entrambi a pugni.”
Improvvisamente Se Joo sentì nello stomaco quella strana sensazione che provava quando, da un momento all’altro, avrebbe avuto modo di rivedere pezzi di una vita passata che non voleva gli appartenesse, ma che apparentemente era stata così importante da spingerlo a guardare indietro sul fiume dell’oblio. Chiuse gli occhi e la mente, nel tentativo di ancorarsi alla sua realtà presente. Non voleva tornare indietro, perché ogni volta che vedeva qualcosa era più difficile chiudere tutta quella faccenda in un cassetto e fare finta che lui era solo Han Se Joo e non era mai stato Seo Hwi Young.
“Non so davvero di cosa stia parlando.”
“Sei una testa dura, indipendentemente da quanti peli hai in testa” sbottò Ha Neul, incrociando le braccia al petto. “Se non ne sai niente perché ti sei messo a fissare quella foto quando sei entrato? In settant’anni di attività quasi nessuno ci ha fatto caso, eppure tu l’hai guardata con la nostalgia di qualcuno che ha visto qualcosa che gli manca più di quanto le parole possano descrivere.”
Dannato vecchio e la sua retorica melense. A lui non mancava nulla perché non conosceva nessuno.
“Come può mancarmi qualcosa che non ho mai visto né-”
“Ma allora sei completamente stupido! Che te ne fai di quegli occhiali se tanto continui a voler tenere la testa nel tuo culo? Tornatene a vivere sotto ad una pietra se devi continuare a sprecare il mio tempo!” urlò allora Ryeo Ha Neul, frustrato dalla totale mancanza di cooperazione dell’uomo che aveva davanti.
Han Se Joo rimase a sua volta scioccato e irritato dal tono e ribatté senza neanche pensarci: “Yah, Ryeo Ha Neul! Ti ho detto di moderare i termini, razza di amaranto insolente. Controlla quella bocca o te la tappo io a modo mio!”
Detto ciò, si coprì la bocca con entrambe le mani perché di lì erano uscite cose senza il suo consenso.
Amaranto?
Ha Neul sorrise con estrema soddisfazione.
“Ok, ho capito, ajusshi.
Se Joo voleva davvero buttarsi dalla finestra.
Chiuse gli occhi per la trecentesima volta e abbandonò la testa all’indietro, borbottando qualcosa molto simile a ‘è senile, questo vecchio va rinchiuso’. Cercò di prendere un respiro profondo, ma era troppo agitato per permettere ai suoi polmoni di ospitare l’ossigeno necessario per riprendere la calma.
Una cosa era certa. Anche lì non poteva scappare dalla realtà.
“Ok, ipotizziamo che tu non sia solo un vecchio rimbambito senile che deve essere rinchiuso a doppia mandata in un ospizio, imbavagliato e incatenato al letto-”
“Mi dai del tu, ora?”
“Dicevo, se è vero… Se sapevi chi ero, perché non me lo hai detto anche dieci anni fa? Hai detto che mi avevi già riconosciuto.”
Ha Neul non finse neanche di pensare alla risposta.
“Dieci anni fa si vedeva che non avevi davvero idea di chi fosse Seo Hwi Young, perciò di sicuro non ti saresti ricordato neanche di me e sì, mi avresti fatto rinchiudere da qualche parte. Ma oggi ti ho visto guardare quella foto, una parte di te l’ha riconosciuta. Non so perché ti ricordi del tuo passato, ma non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione” rivelò con onestà e perfino lo scetticismo di Se Joo non poteva nulla contro quell’ammissione.
Qualcosa dentro di lui gli stava dicendo che, almeno in quel momento, era il caso di lasciar cadere le sue barriere e accettare quel che aveva davanti. Sospirò con pesantezza, troppo confuso per fare alcunché. L’unica cosa che voleva fare ora era tornare a casa e nascondersi sotto le coperte.
Fu quello che tentò di fare, ma evidentemente i suoi piani non coincidevano con quelli di Ha Neul.
“Beh, è stato bello rincontrarti, Ryeo Ha Neul, anche se non ho dei veri ricordi su di noi, sono sicuro che in passato sia stato altrettanto bello conoscerti e-”
“Hai intenzione di dire stronzate ancora per tanto?”
“Cosa? Stavo cercando di onorare la nostra conoscenza passata e… beh…”
“Ah, ma allora sei proprio un disgraziato. Sei rimasto un deficiente” borbottò il vecchio interrompendolo, perché non valeva mai la pena di sentire le frasi intere di quell’idiota, che tale era rimasto anche dopo essersi reincarnato.
Preferì invece tirargli un’altra sonora bastonata in testa. Forse, però, quella volta aveva esagerato un po’ con la forza, perché Se Joo cadde a terra come un sacco di patate.


 


* “Sono il tuo ghostwriter. Il fatto è che sono davvero un fantasma.” Frase di Yoo Jin Oh, episodio 5.
* “Rimpianti, passioni o persone indimenticabili.” Frase di Wang Bang Wool, episodio 5.
* Bireum: 
https://en.wikipedia.org/wiki/Amaranthus_tricolor


[Questa storia è ambientata dalle parti del quinto episodio. Mentre stavo guardando il drama è sorta spontanea la domanda: è se qualcuno che Seo Hwi Young ha incontrato nel passato fosse ancora vivo nel presente e riconoscesse la sua reincarnazione, ovvero Han Se Joo? Da qui è nato il personaggio di Ha Neul: secondo i miei calcoli è nato nel 1923, nel 2018 ha 95 anni e ha ipoteticamente incontrato Seo Hwi Young nel 1933 a dieci anni circa.
... se i conti non tornano è perchè per passare statistica ci ho messo quattro tentativi a suo tempo, ergo la mia matematica fa cagare *self high five*
La storia è già scritta tutta, ma essendo venuta un po' lunga ho preferito dividerla in due parti. Il titolo l'ho rubato da una delle OST del drama (SG WANNABE - Writing Our Stories) ed è una buona cosa perchè in genere i miei titoli sono pessimi. 
Giuro, prima o poi cambierò fandom. Lo giuro 
ಠ.ಠ
Scusate per eventuali errori!]

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Capitolo 2
*** Kyungsung, Carpe Diem, 1933 ***


Kyungsung, Carpe Diem, 1933
 
 

Era possibile affermare che il Carpe Diem, noto locale serale, fosse più animato nelle ore diurne piuttosto che in quelle serali. Non perché si tenessero spettacoli di cabaret o altre forme di intrattenimento anche di giorno, ma perché il battibeccare incessante di Seo Hwi Young e Ryu Soo Hyun su qualsiasi cosa sarebbe stato capace, da solo, di generare elettricità per un intero quartiere. Non a caso entrambi erano parte del Jo Cheong Maeng: ci voleva una certa forza di spirito per portare avanti la missione di quell’organizzazione, tempra che entrambi avevano in grande abbondanza.
Quel giorno, però, non stavano discutendo su questioni inerenti la liberazione della Corea; no, come ebbe modo di appurare Shin Yool quel pomeriggio quando mise piede nel suo locale, i due giovani erano ad un passo dallo scannarsi a vicenda perché quel mattino si erano svegliati con il pallino di criticare uno l’aspetto estetico dell’altro.
La discussione proseguiva più o meno così da ormai mezz’ora:
“Sei tu che dovresti tagliarti i capelli, hyungnim, ormai sembrano una scodella.”
“Ah, parli tu che li tieni nascosti con il cappello apposta per non far vedere il pagliericcio che hai in testa.”
“Non è per quello! È per mantenere il mio travestimento e nascondere la mia identità. Cosa ci fai nel movimento di indipendenza se non sai neanche comprendere motivazioni strategiche così semplici?”
“Ah, oggi la chiamano motivazione strategica il rubarmi i vestiti dall’armadio, io pensavo solo avessi compreso che i vestiti femminili non ti stanno bene come quelli da uomo, che invece ti coprono perfettamente.”
“Non dire stupidaggini, non ti ruberei neanche un calzino se l’unico indumento rimasto sulla faccia della terra fosse quello e fosse il tuo, perché hai uno stile pessimo. Preferisco quelli di Shin Yool hyungnim. Vogliamo parlare invece dei pezzi di vetro che hai sulla faccia?”
“Almeno questi pezzi di vetro mi permettono di vedere quando parti del mio vestiario non mi donano per nulla.”
“Davvero? Se le cose stanno così perché vai sempre in giro per le strade di Kyungsung come se avessi addosso gli stessi vestiti da un mese? Quella camicia una volta era bianca, me lo ricordo, ora è color crema al ginseng. Mi chiedo veramente come tu faccia a fare così tante conquiste.”
Tutto quel punzecchiarsi velenoso era nato da un infelice commento di Hwi Young, che aveva sottolineato con poca grazia come i guanti che Sapsaree si ostinava a mettere quando era Anastasia la facessero sembrare un dottore intento a performare un’autopsia. Lei, offesa, gli aveva risposto che era un cafone e che almeno lei era costretta a metterli, mentre nessuno forzava lui a mettere quelle ridicole bretelle che lo facevano sembrare un burocrate di settantaquattro anni.
E di lì in avanti non si erano più fermati.
Era un dato di fatto, si scontravano su tutto. Lo scopo non era neanche imporre la propria visione sull’altro, ma andargli contro e basta.
No, nessuno dei due aveva meno di undici anni, anzi, come gli ricordava spesso Shin Yool erano entrambi in età da matrimonio e forse dovevano darsi una mossa.
Lo stesso Shin Yool li stava osservando da un po’ con un sorriso sulle labbra. Ad occhi esterni potevano sembrare due persone in pessimi rapporti, pronti davvero a staccarsi la faccia a vicenda, ma lui poteva vedere chiaramente l’affetto che c’era da entrambe le parti. Solo che quelli erano tempi difficili e, abituati com’erano a vivere sulla punta dei piedi, era difficile lasciarsi andare anche nelle relazioni più semplici. Ognuno proteggeva il suo cuore e la sua mente come meglio poteva e per quei due significava scambiarsi frecciatine ad ogni ora del giorno e della notte.
Solo che Hwi Young ogni tanto si dimenticava che la sua interlocutrice era munita di pistola e che la sapeva usare meglio di chiunque altro.
Entrambi avevano la testa dura, per non scadere nel volgare, ed era per quello che quel trio trovava un quasi perfetto equilibrio con la presenza del proprietario del Carpe Diem. Lui riusciva a smussare gli angoli ed era solo grazie a lui se il carpet del locale non si era ancora macchiato di sangue.
Dopo l’ennesimo riferimento alle bretelle, decise di entrare in scena per mettere fine a quella pacifica conversazione.
“Bambini, pensate di darci un taglio per oggi? Invece di sprecare le vostre energie a scambiarvi insulti, perché non fate qualcosa di costruttivo per rimpolpare le casse del Carpe Diem? Se proprio avete così tanto tempo libero ci sono dei volantini da distribuire, dei tubi da riparare in bagno…”
“Hyungnim!” disse Soo Hyun sorridenti felice non appena lo vide comparire dietro al bancone del bar. “I volantini li ho già distribuiti questa mattina, sono anche passata ad ordinarne altri perché quelli che avevo sono finiti subito e ho ancora un paio di quartieri in cui andare” lo informò gioviale, fiera di aver anticipato l’uomo e di essersi resa utile. Per lei il Carpe Diem era la sua casa, perciò le sembrava solo normale doversi dare da fare per mantenerla in buone condizioni. Non che in realtà stesse cadendo a pezzi, ma chiunque fosse all’interno dell’operazione sapeva che i tre quarti dei soldi fatti non andavano al locale stesso, ma al Jo Cheong Maeng. Ergo, erano sempre al verde.
Shin Yool le sorrise con dolcezza, non tanto perché aveva fatto pubblicità al locale, ma perché era esattamente in quella posizione in cui gli bastava vederla per essere felice. Proprio perché erano tempi difficili, però, si guardava bene dall’ammetterlo anche solo a se stesso.
Hwi Young, dal canto suo, abbandonò la macchina da scrivere e si stiracchio indietro, attento a non ribaltare lo sgabello. Sbadigliò anche.
“Ah, io non ho aggiustato il bagno. Non saprei neanche dove mettere mani, sono un mero studente di medicina-”
“Hai mollato anche quella” borbottò a voce non troppa bassa la ragazza, facendogli una smorfia. Lui le comunicò con il labiale un cordiale ‘vuoi morire?’.
“Comunque, puoi sempre chiedere a Kang Gil Man, lui se ne intende di queste cose. Se invece hai bisogno di dissezionare qualcosa o qualcuno puoi chiedere alla nostra Soo Hyun qui, che ha intrapreso una nuova carriera negli esami post mortem. L’hai vista anche tu con quei guanti ieri sera, no? Forse dovremmo parlare con Madame Sophia, il vestiario potrebbe inquietare il pubblico, più che invitarlo. Non vorrei che finissero con associare il Carpe Diem al rischio di uscire dal locale con una bella incisione sull’addome-”
“Hwi Young-ah!”
“Hyungnim!”
Shin Yool e Soo Hyun risposero all’unisono, solo che il primo era molto più divertito della seconda. Momenti come quello erano piccole bolle di felicità che Shin Yool sperava non scoppiassero mai. Sebbene fosse ottimista, però, era anche realista; aveva troppo chiara la natura della loro organizzazione e del periodo storico in cui si trovavano per poter fingere che la morte non fosse un concetto così vicino alla loro realtà. Si limitava ad assorbire la spensieratezza di tutte quelle scene, dimenticandosi per pochi attimi che forse potevano essere anche le ultime.
Seo Hwi Young alzò le braccia in segno di resa, per poi tornare verso la sua macchina da scrivere. Ovviamente era in ritardo sulla sua tabella di marcia, non era più neanche una novità.
“Sei sicuro di non voler approfondire i tuoi talenti dando un’occhiata al bagno?” domandò speranzoso Shin Yool, appoggiandosi allo scaffale di liquori dietro di sé. Provò anche con il suo miglior sguardo da cagnolino indifeso, perché spesso con quello riusciva a convincere l’amico a fare un sacco di cose.
Era davvero disperato per quel bagno, perché Kang Gil Man ci aveva già dato un’occhiata il giorno prima e non aveva capito quale fosse il problema, perciò se anche Seo Hwi Young si fosse tirato indietro – non che si fosse mai offerto, ma tant’era – gli sarebbe toccato chiamare un idraulico, spendendo più soldi di quelli che le casse del Carpe Diem potevano offrire al momento.
Hwi Young non era neanche tanto bravo con quel genere di lavori, perciò era proprio solo una questione di aggrapparsi a tutte le possibili opzioni, prima di dover accettare la realtà.
“Nah, sto bene con quelli che ho” rispose con tono strascicato, ignorando totalmente la coda e le orecchie immaginarie dell’amico che si afflosciarono in segno di rammarico.
“Ti piace viaggiare leggero, allora” ribatté Soo Hyun.
“Cosa vorresti dire? Io sono pieno di tal-”
La donna lo ignorò, sventolandogli una mano davanti come avrebbe fatto con un insetto fastidioso.
Voltandosi verso Shin Yool, aggiunse: “Posso provarci io. Quando si era rotto il registratore di cassa e nessuno era riuscito a trovare il problema, compreso il signore dai mille talenti qui presente, io l’ho aggiustato. Magari ci riesco anche questa volta!”
“Non sai riconoscere un colpo di fortuna neanche quando ti cade suoi piedi” commentò lo scrittore, facendo quel clic dentale di disapprovazione che la donna odiava con tutta se stessa. Un giorno glieli avrebbe fatti trovare tutti per terra quei denti, ma conoscendolo avrebbe iniziato a schioccare le dita per infastidirla.
Era una lotta senza fine, motivo per cui decise di ignorarlo.
Shin Yool, che invece era debole alle richieste della ragazza, annuì con un sorriso poco convinto, perché anche quella era da considerarsi un’opzione. Magari aveva ragione e ci azzeccava di nuovo.
“Pensavo volessi aggiustare il bagno, non rischiare di distruggere qualcos’altro” gli fece presente Hwi Young, abbandonando per la trecentesima volta la scrittura. Si stiracchiò rumorosamente, per poi espirare con pesantezza.
“Vado io, così riduciamo il rischio di fare saltare anche il tetto. Non credo tu voglia improvvisarti anche carpentiere, giusto?” chiese con un sorriso sbruffone alla giovane, per poi alzarsi dallo sgabello e dirigersi verso il bagno.
“Yah!” urlò Ryu Soo Hyun, irritata dalla poca fiducia che aveva nei suoi confronti.
Anche lei sapeva che probabilmente ci avrebbe capito poco, ma se si era offerta di andare lei perché ora doveva mettersi in mezzo? Quanto riusciva ad essere irritante quell’uomo lo sapeva solo lui.
“Soo Hyun” la richiamò bonariamente Shin Yool sorridendo, ma lo sapeva che era inutile tentare di interrompere una delle loro litigate. Per fortunata di solito quando mettevano in scena quei teatrini c’erano solo loro tre, come quel giorno. La donna, infatti, saltò giù dallo sgabello con foga, rischiando di rovesciarlo per terra, e praticamente corse dietro allo scrittore.
Ad un tratto, però, Hwi Young si fermò di colpo in mezzo alla stanza e lei finì per sbattergli con forza contro la schiena.
“Ma che stai-” sbottò lei, massaggiandosi il naso, ma venne immediatamente zittita da un shhh.
Improvvisamente tutta la giovialità era scomparsa dal Carpe Diem. Lo sguardo di Hwi Young era serio come non mai, segno che non c’era più nulla su cui scherzare. Shin Yool li raggiunse con delle falcate veloci, ma senza produrre il minimo suono. Sia lui che Soo Hyun ora avevano gli occhi puntati sullo scrittore, che ora si era voltato a sua volta verso di loro.
“Ho sentito un rumore. Veniva dal piano di sotto” bisbigliò brevemente e tutti e tre si scambiarono uno sguardo d’intesa. Sotto c’erano poche stanze e altrettante poche persone ne conoscevano l’esistenza. Oltre a loro, però, quel giorno nessuno aveva messo piede al Carpe Diem, perciò nella testa di tutti e tre stava suonando un campanello di allarme. Sapevano di avere la polizia giapponese – e coreana – alle calcagna, ma erano molto meticolosi nel nascondere le tracce, perciò era impossibile che qualcuno potesse essersi infiltrato nel loro quartier generale. Eppure Hwi Young aveva sentito qualcosa.
“Sei sicuro?” domandò Shin Yool.
Lo scrittore annuì.
“Dovremmo andare a controllare” propose Soo Hyun, dopo che furono passati altri secondi. C’erano due entrate per quelle stanza, perciò ogni attimo che sprecavano significava offrire all’intruso una via di fuga.
Ammesso ci fosse un intruso, perché non stavano sentendo più nul-
Un tonfo sordo confermò a tutti e tre che sotto c’era qualcuno e dovevano muoversi per incastrarlo.
“Io vado a coprire la porta sul retro” riferì Shin Yool, ricevendo un cenno d’assenso da parte dell’amico.
Soo Hyun e Hwi Young, invece, si diressero con passo felpato verso le scale che portavano al seminterrato. Stavano tentando di muoversi il più velocemente possibile, ma senza fare alcun rumore. Con anni e anni di missioni e fughe alle spalle, per loro muoversi con agilità sarebbe dovuto essere spontaneo e semplice.
Invece nessuno dei due parve ricordarsi che uno dei gradini della scala di legno scricchiolava abbastanza da svegliare un intero cimitero – Shin Yool l’aveva detto che c’erano un sacco di cose da fare per il Carpe Diem.
Caso volle che quello fosse l’ultimo giorno di vita del quinto gradino a partire dal fondo, che decise di cedere proprio quando la donna ci mise il piede sopra. Soo Hyun sprofondò letteralmente con una gamba nel buco creatosi e, istintivamente, afferrò una delle bretelle di Hwi Young che era davanti a lui.
Entrambi caddero rovinosamente a terra e ovviamente il loro piano di fare silenzio volò fuori dalla finestra. Hwi Young tentò comunque di mostrare la sua irritazione in modo silenzioso, sebbene con risultati assai deludenti.
“Yah! Che cosa diavolo stai facendo? Molla la bretella, mi stai tagliando via una spalla!” urlò, ma bisbigliando, a Soo Hyun e strattonando via il braccio nel tentativo di liberarsi. Cercò di alzarsi, ma la donna aveva ancora una presa ferrea su di lui. Come poteva essere così piccola e al contempo avere più forza di un lottatore di sumo?
“Ti ho detto di lasciarmi!” bisbigliò ancora, anche se con il tonfo di prima avevano avvisato chiunque fosse nel raggio di chilometri – compreso l’intruso – che stavano arrivando.
“Non posso muovermi!” ribatté con irritazione lei, che se ne stava appollaiata in bilico su un piede solo perché l’altro penzolava giù. Non sapeva letteralmente come tirarsi su e aggrapparsi allo scrittore era più semplice.
“Si può sapere perché mi hai buttato per terra?” le chiese di nuovo con esasperazione.
Allora si voltò quel tanto che gli era concesso, vista la posizione scomoda, e scoprì che Soo Hyun era sprofondata nel gradino. Si schiaffò una mano sulla faccia, perché a volte era impossibile rimanere impassibili di fronte a certe situazioni veramente assurde. Come quella.
“Il gradino ha ceduto e una gamba è sprofondata” abbaiò lei per giustificarsi di fronte a quello sguardo accusatorio, per poi tapparsi la bocca con una mano.
“Mi chiedo come tu sia sopravvissuta fino ad oggi senza farti catturare o sparare dai giapponesi.”
“Non è colpa mia se la scala è vecchia!”
“Ah, oggi la chiamano scala vecchia. Non è forse che devi metterti a dieta?”
“Sei un cafone!”
“Di nuovo? È il tuo insulto preferito di oggi a quanto pare.”
“Bambini…” si intromise una voce fuori dal coro, che però venne ignorata.
“Non vedo aggettivo migliore per descriverti. E smettila di muoverti in continuazione altrimenti finisco di cadere giù!”
“E tu molla la mia bretella, mi stai strappando via il braccio!”
“È il destro, considerala un’opera di bene: se non hai più la mano non puoi più scrivere quelle sciocchezze che ti ostini a voler pubblicare.”
“Un’opera di bene sarebbe smettere di mettere quei guanti da esame autoptico-”
“BAMBINI!” urlò Shin Yool a pieni polmoni per attirare l’attenzione dei due litiganti, che smisero di guardarsi in cagnesco per portare l’attenzione sull’amico.
Seguì un intenso gioco di sguardi, in cui quattro paia di palpebre si chiusero e riaprirono più volte con sconcerto.
E poi:
“Chi è quel bambino?”
“Come avete fatto a distruggermi la scala?!”
Chiesero all’unisono.
Nell’esatto momento in cui parlarono, la scala finì di cedere e con essa crollarono anche Hwi Young e Soo Hyun.
 
 
***
 
 
“Ahia! Fa’ attenzione! Meno male che non hai finito la scuola di medicina, saresti stato un pessimo medico.”
“Non è colpa mia se il disinfettante brucia. Al contrario, la tua incapacità di sopportare il dolore non può che essere colpa tua.”
Shin Yool era ad un passo dal prendere una bottiglia di liquore dallo scaffale, pagarsi da solo e ubriacarsi fino a svenire sul pavimento. Adorava i suoi amici, ma al momento li avrebbe strangolati tutti e due. Non solo avevano quasi fatto scappare l’intruso perché erano delle pessime spie – intruso che ora stava bevendo il suo tè all’orzo su uno sgabello poco più in là –, ma in qualche modo erano anche riusciti a procurare un altro danno monetario al Carpe Diem. E forse non lo aveva stressato abbastanza, ma non c’erano più soldi nemmeno per la carta igienica. Come lo pagava ora un falegname?
“Possibile che l’unica cosa che sapete fare è litigare? Non siete interessati a sapere, non lo so, ad esempio chi c’era al piano di sotto?” li interruppe allora, perché non aveva voglia di continuare con i suoi deprimenti calcoli mentali. Tanto erano al rosso in qualunque caso.
Hwi Young chiuse la cassetta contenente il materiale necessario per disinfettare e bendare il taglio che Soo Hyun si era fatta sul piede con il legno della scala, per poi voltarsi verso l’amico.
“È solo un bambino, perciò non può essere una grande minaccia. Piuttosto-”
“Ehi, non sminuirmi solo perché sono un bambino!” protestò l’intruso, dimenandosi un po’ sullo sgabello che era comunque troppo alto per lui.
Lo scrittore gli concesse un’occhiata annoiata, prima di ignorarlo totalmente e continuare a parlare: “Dicevo, sono più curioso di sapere come ci è finito là sotto.”
“Credo-” cominciò Shin Yool, ma il giovane sconosciuto non sembrava intenzionato a lasciarsi mettere i piedi in testa.
“Forse sono una spia, che ne sai! E tu sei uno stupido ajusshi che non capisce nulla!”
Hwi Young saltò letteralmente in piedi dallo shock.
“Ajusshi? Ajusshi?! Non ho neanche ancora una ruga e nemmeno capelli bianchi, dove sarei un ajusshi?” rispose l’uomo adulto con veemenza nei confronti di un ragazzino che aveva probabilmente un terzo dei suoi anni. In un certo senso si poteva dire che Hwi Young non era una persona che faceva discriminazioni: se la prendeva con chiunque, indipendentemente dall’età.
Il bambino, che evidentemente non riteneva di trovarsi in una situazione di svantaggio – tre adulti sconosciuti che potevano anche essere dei malintenzionati, per quel che ne sapeva –, si lanciò letteralmente giù dallo sgabello per portarsi davanti a Hwi Young. Si mantenne comunque a debita distanza, abbastanza per poter scappare in caso, beh, quelli fossero effettivamente stati dei malintenzionati.
Peccato fosse pomeriggio e non ci fosse il pubblico serale ad assisterli, pensò Shin Yool, perché di sicuro stavano mettendo su un discretamente divertente intrattenimento teatrale.
“Sì, un vecchio! Con quelle bretelle sembri un burotrache di settantaquattro anni!”
Wow, mi ha letto nel pensiero, pensò affascinata Soo Hyun, provando immediata simpatia per il bambino che evidentemente doveva avere buon occhio. Senza nascondersi, gli fece il segno dell’ok per dimostrargli che aveva la sua approvazione. Il bambino sorrise lievemente, prima di tornare a mostrare un ghigno arrogante al suo interlocutore.
Hwi Young strinse i denti, perché tendeva a perdere le staffe con più facilità di quanto la sua apparenza lasciasse immaginare. Dietro a quell’espressione quasi annoiata e al tono calmo si nascondeva una persona molto poco paziente.
Chi lo avrebbe mai detto che il capo del Jo Cheong Maeng era un individuo così infantile? Forse era per quello che a saperlo erano in circa cinque o sei. Aveva una reputazione da mantenere.
“Si dice burocrate, piccolo illetterato, se proprio devi insultarmi non inventarti le parole. Ad esempio tu sei un bambino maleducato e come vedi non ho storpiato la parola. Maleducato” lo vessò con sarcasmo incrociando le braccia al petto e facendo qualche passo avanti verso l’ospite del Carpe Diem che, in risposta, ne fece un paio indietro. “Invece di stare in giro negli scantinati altrui dovresti andare a scuola.”
“Smettila di trattarmi come un bambino!”
“Ma tu sei un bambino. Altrimenti come dovrei trattarti? Come una pianta? Posso anche farlo. Shin Yool, prendi dell’acqua, il nostro cardo spinoso qui è un po’ rinsecchito.”
Il ragazzino divenne paonazzo per l’imbarazzo e per la rabbia. Si era ripromesso che non si sarebbe mai in vita sua fatto mettere i piedi in testa; quel giorno non sarebbe stata un’eccezione.
“Avevo ragione, sei uno stupido ajusshi ignorante!” abbaiò di rimando con i pugni serrati e la mascella tesa. Sembrava allo stesso tempo in procinto di scappare e di attaccare.
Gli angoli della bocca di Hwi Young si alzarono leggermente; gli piaceva quel ragazzino, aveva una lingua biforcuta e una testa calda che gli ricordavano vagamente qualcuno.
“Calma con le parole, amaranto, possono essere più pericolose di quel che credi, specie quando ti tornano indietro” lo avvisò lo scrittore, proponendo ad un decenne un’interessante lezione di vita, ma che non venne colta.
“Perché mi hai chiamato amaranto? Non è quello il mio nome” si lamentò invece il ragazzino, sempre più irritato con quell’uomo che non lo prendeva sul serio.
“Tu mi hai detto di non trattarti come un bambino, allora ho deciso di trattarti come una pianta e caso vuole che ieri a cena nella mia zuppa ci fosse l’amaranto.”
Quello che pensarono tre persone su quattro presenti in quella stanza fu che Hwi Young tendeva a parlare anche troppo ogni tanto. Solo uno glielo fece sapere.
“Sei noioso e parli troppo. E il mio nome non è amaranto!”
“Cognome, allora?” Si stava onestamente divertendo più di quanto fosse lecito, visto e considerato che stava parlando con un bambino.
“Nemmeno!”
“Ok, marmocchio” gli concesse, fingendosi completamente disinteressato alla conversazione che stava intrattenendo, quando in realtà una parte di lui si stava anche divertendo. “Perché non mi dici come ti chiami, allora? Così posso prendere a calci il tuo maleducato deretano sapendo nome e cognome della persona a cui appartiene.”
Il bambino gonfiò le guance e, senza pensarci due volte, gridò a pieni polmoni il suo nome: “Ha Neul, Ryeo Ha Neul!” disse con fierezza.
“E meno male che prima volevi convincerci che fossi una spia” borbottò a voce bassa Hwi Young di fronte a quella rivelazione esplicita di dati così sensibili.
“Cosa hai detto? Ho sentito che hai mormorato qualcosa” lo punzecchiò colui che ora rispondeva al nome di Ha Neul. Aggiunse anche un ‘ajusshi’ mormorato a denti stretti, perché al gioco del parlottare cose incomprensibili potevano giocare in due.
Allora lui sussurrò un ‘amaranto’, a cui seguì un ‘vecchia scorreggia’. E ancora:
‘Yah! Marmocchio sempreverde.’
‘Bucrotare.’
‘Asino.’
‘AJUSSHI!’
Era impossibile capire chi fosse il bambino, a quel punto.
Ora i due si stavano fissando in cagnesco e nessuno di loro sembrava intenzionato ad abbassare lo sguardo per primo.
“Hwi Young ah, non ti sembra di esagerare?” lo ammonì il proprietario del Carpe Diem.
“È lui che ha cominciato con ajusshi di qua e ajusshi di là!” ribatté lui con voce forse eccessivamente lamentosa per essere un giovane uomo con ormai circa quindici primavere per piede. I due amici assunsero un’espressione di biasimo che parlava da sola.
“Ma tu litighi con tutti? È la tua filosofia di vita?” si intromise Soo Hyun, riservandogli lo stesso clic di disapprovazione che lui era solito usare con lei.
“Non litigo con tutti, mi hai mai visto litigare con Shin Yool? No, infatti. Me la prendo solo con le persone irritanti. Caso vuole che in questo momento ce ne siano ben due in questa stanza” commentò sforzandosi di usare il suo solito tono strascicato, perché voleva cercare di mantenere quell’aura di compostezza che aveva miseramente perso battibeccando con un bambino. Poteva non sembrare, ma aveva una dignità anche lui.
“Di chi parli? Te stesso e te stesso? Perché effettivamente tu sei più irritante della polvere di peperoncino nelle mutande, hyungnim, conti come due persone” lo informò con gentilezza, sorridendogli con compassione.
Lo scrittore digrignò e si sporse verso di lei, con l’intento di afferrarla per la manica della camicia e fargliela pagare, ma Soo Hyun si scansò e gli fece la linguaccia.
Ha Neul ora stava ridendo di gusto, perché quell’ajusshi gli stava antipatico e ovviamente non poteva che essere dalla parte di chi lo prendeva in giro. Hwi Young si voltò verso di lui non appena sentì il suo della risata e decise di spostare di conseguenza i suoi intenti malevoli.
“Sei davvero un ragazzino insolente, forse è il caso che qualche adulto ti insegni una lezione” cominciò con fare minaccioso lo scrittore, ora maniacalmente intento ad arrotolarsi su per le braccia le maniche della camicia – quella che una volta era bianca e ora era color crema al ginseng.
“Sono già tirate su, hyungnim” gli fece presente Sapsaree, non facendosi sfuggire l’occasione per renderlo ridicolo. L’uomo la ignorò, ma smise di arrotolare maniche inesistenti.
“Cosa c’è, hai paura adesso?” si rivolse al ragazzino, muovendosi lentamente verso di lui.
“No” fu la risposta sicura e spavalda, ma chiunque nella stanza poteva vedere che con la coda dell’occhio stava cercando in modo non così discreto una via di fuga. Se ne accorse anche Hwi Young, che sorrise giusto un po’ di più in modo inquietante.
Gliel’avrebbe fatta pagare per averlo chiamato vecchio. Lui non era vecchio. L’età media in Corea era di settant’anni e lui non ne aveva neanche la metà. E davvero, non ne aveva capelli bianchi!
“Dove pensi di scappare, marmocchio? Non ci sono vie di fuga, la porta d’ingresso è chiusa a chiave e non ci sono più le scale per andare al piano di sotto. A meno che tu non voglia lanciarti e romperti una gamba, direi che sei in trappola. Se vieni qui di tua spontanea volontà non sarò tanto crudele.”
“Sei troppo palloso, è così che vinci contro i tuoi nemici? Ci parli finché non si addormentano, ci scommetto.”
A quel punto Soo Hyun stava ridendo apertamente e fece cenno a Shin Yool di darle carta e penna: doveva segnare tutte quelle perle per riversarle su Hwi Young a tradimento. Sarebbe stato come gettare sale sulle ferite e la soddisfazione sarebbe stata anche maggiore. Il proprietario del locale scosse la testa con esasperazione, ma effettivamente tirò fuori una penna dalla tasca e afferrò un vecchio giornale dal bancone per darglieli. Non sapeva proprio dirle di no.
“Vieni qua, che ti faccio dormire io ora!”
Hwi Young non ci vide più – anche se aveva ancora gli occhiali – e si lanciò contro il bambino e i due finirono per iniziare un rumoroso inseguimento tra i tavoli del Carpe Diem. Shin Yool e Soo Hyun si misero da parte, perché nessuno dei due aveva intenzione di mettere fine a quello spettacolo.
“Fermati subito, brutto marmocchio!”
“Hai il fiatone, non puoi neanche correre e parlare insieme. Come i vecchi!”
“Vieni qui, ho intenzione di insegnarti una lezione” si fermò un attimo, perché aveva davvero il fiatone, “una lezione che non ti dimenticherai per il resto dei tuoi giorni!”
“Non voglio imparare niente da te, sei così vecchio che mi insegneresti solo cose del secolo scorso!”
“È continua imperterrito con questa storia della vecchiaia” borbottò tra i denti lo scrittore. “Yah! Potrei essere tuo padre, porta un po’ di rispetto!”
“Mio nonno, forse.”
“E allora vieni, nipote, che ti faccio vedere come si fanno le suture. Prima però devo aprirti un taglio in testa.”
“A te chi lo ha insegnato? Heo Kim in persona?”
“Heo chi? È Heo Im, razza di ignorante-”
“Eri già nato quando Sejong il Grande è disceso sul trono?”
Quella storia doveva finire lì. In realtà lo stava facendo vincere perché se lo avesse preso subito non ci sarebbe stato divertimento, ma iniziava ad essere stancante schivare gli ostacoli che il moccioso continuava a tirare in mezzo. Ad un certo punto aveva tirato Shin Yool per la manica e glielo aveva praticamente lanciato addosso. Era molto più furbo di quel che sembrava.
Con una falcata più lunga delle precedenti afferrò Ha Neul per il colletto della maglia, impedendogli di fare anche solo un altro passo. Dal momento che aveva iniziato a dimenarsi come una carpa fuor d’acqua, gli avvolse entrambe le braccia attorto e lo bloccò definitivamente.
“Lasciami-”
“Discesa sul trono? Era un re, non un’aquila, al massimo è asceso al trono. Te l’ho già detto, se proprio devi insultarmi almeno non fare errori. Capra” lo rimproverò tirandogli un orecchio e gioendo nel sentirlo lamentarsi.
“Mollami subito, stupido ajusshi!” protestò con veemenza Ha Neul, cercando in tutti i modi di liberarsi. Non gliel’avrebbe mai data vinta, era una questione di principio.
“Questo ajusshi sa usare un bisturi con eccellente precisione, fossi in te modererei i termini. A meno che tu non voglia uscire di qui senza naso o con un solo orecchio. O forse senza lingua, è quella che al momento sta facendo più danni” lo avvertì con tono fintamente mieloso Hwi Young, stringendo un po’ di più la presa su quell’anguilla.
“Lasciami andare o- o urlo, è un rapimento. Mi stai rapendo contro il mio volere!”
“Non ho mai sentito di qualcuno che decida di farsi rapire volontariamente, ma in ogni caso sei tu che ti sei intrufolato in una proprietà privata, non hai alcun diritto al momento. Sei alla mia mercé, perciò datti una calmata.”
Ha Neul pestò i piedi con veemenza, ma era davvero tutto inutile.
“Già che ci siamo perché non mi dici anche cosa ci sei venuto a fare nello scantinato?” gli domandò, effettivamente curioso di sapere come mai lo avessero trovato lì. Il suo istinto gli diceva che alla base non c’erano cattive intenzioni, ma era comunque meglio controllare.
“Se mi lasci andare te lo dico.”
“Non sono nato ieri, amaranto.”
“Lo so, è mezz’ora che te lo dico. Ajusshi!” così dicendo ne approfittò per lanciargli un attacco a sorpresa. Gli pestò il piede con tutta la forza che un bambino di dieci anni poteva tirare fuori – apparentemente era tanta.
Hwi Young allentò la presa involontariamente e Ha Neul sgusciò via senza tanti complimenti. Ebbe l’accortezza di allontanarsi abbastanza da lui prima di fargli la linguaccia. Perché almeno lui aveva dieci anni, era scusabile. Hwi Young, invece, che di anni ne aveva più di trenta, non lo era altrettanto quando decise che rincorrerlo di nuovo sarebbe stata la scelta più matura da prendere.
Questa volta, però, il loro giochino maturo ebbe vita breve, perché nonostante il fracasso che stavano facendo pestando i piedi sul pavimento, urlando e strisciando mobili riuscirono a sentire una voce dall’esterno del Carpe Diem.
“Ha Neul! Ryeo Ha Neul! Sei qui?”
“Oh, merda” borbottò il bambino, che sentendo il suo nome aveva assunto l’espressione grama di un condannato a morte.
“Quelle parole non le sbaglia però” commentò con un sorriso Shin Yool, mentre osservava il ragazzino guardarsi intorno freneticamente prima di correre ai ripari sotto al bancone del bar.
“Che cosa stai facendo?” si informò pacatamente lo scrittore, che in realtà stava prendendo tempo per recuperare il fiato che aveva perso correndo. “Pessima strategia inangolarsi lì dietro-”
“Shhhh!”
Lo aveva appena zittito? Un bambino gli aveva appena fatto shhhh e lui si era anche zittito. Incredibile.
“Shhh? Yah, ma hai un desiderio di morte? Perché davvero, non mi ci vuole nulla a-”
“Ajusshi, ti ho detto di fare silenzio!” lo rimproverò di nuovo un attimo prima di sentire di nuovo il suo nome. Ora la voce era più vicina, in prossimità della porta del locale.
Un attimo dopo sentirono qualcuno bussare alla porta e i tre adulti si scambiarono un’occhiata in parte divertita e in parte incuriosita.
“Ti stanno cercando, nanerottolo” gli fece presente Hwi Young, ma Ha Neul lo ignorò. Piuttosto si rivolse a tutti quando disse: “Voi non mi avete visto, chiaro?”
“C’è nessuno?” chiese la voce proveniente dall’esterno e un attimo dopo Shin Yool si diresse verso la porta per aprirla.
“Sì?”
“Ah, salve, mi dispiace disturbarla, ma mi chiedevo se per caso aveste visto un bambino da queste parti?”
Ha Neul, piegato dietro al bancone, sentì la voce dell’uomo farsi più vicina, segno che doveva essere entrato nel locale. Deglutì cercando di non fare rumore; non voleva essere trovato e quegli stupidi ajusshi gli stavano mettendo i bastoni tra le ruote.
“Prego, si sieda” lo invitò Shin Yool, facendo cenno verso una delle sedie che si trovava al centro della sala. Effettivamente, al momento ad occhi esterni doveva sembrare che nel Carpe Diem fosse esplosa una bomba.
“La ringrazio, ma vado di fretta, stavo cercando mio figlio-”
“Un bambino ha detto? Può fornirci qualche dettaglio sull’aspetto?” si informò cordialmente Hwi Young, con un sorriso affabile.
“Uhm, alto all’incirca così” la mano si alzò all’incirca intorno al metro e trenta, “capelli castani oltre le orecchie, magrolino…”
A quel punto si fermò un attimo, incerto. Infine si decise a riportare la principale caratteristica del figlio che, sebbene non fosse lusinghiera, sarebbe stata molto più utile per identificare Ha Neul.
“Tende ad essere un po’ troppo, beh, diciamo schietto quando parla” ammise con un po’ di imbarazzo.
Forse intende dire che è un piccolo insolente con la lingua biforcuta, pensò con amarezza Hwi Young che nel frattempo si era portato lentamente alle spalle del bambino ancora nascosto dietro al bancone. Quest’ultimo, intento com’era a origliare la conversazione e a promettere una fine atroce a chiunque lo avesse tradito, non si accorse della sua presenza fino a che non venne brutalmente afferrato per il colletto della maglia e tirato fuori dal nascondiglio.
“Non so se abbiamo suo figlio, ma qui abbiamo un marmocchio di un metro e venticinque, con degli ottimi muscoli negli arti inferiori e una predilezione ad insultare gli sconosciuti sbagliando metà delle parole utilizzate. Un prodotto eccelso e di ottima manifattura, vuole darci un’occhiata?”
Fu così che lo scrittore presentò Ha Neul, prima di appoggiarlo con i piedi per terra, ma mantenendo comunque una presa salda su di lui e rendendo impossibili i suoi tentativi di fuga.
“Ha Neul!” esordì l’uomo con un sorriso così felice da raggiungere ogni singolo angolo della sua faccia. Non si poteva dire che il figlio provasse le stesse emozioni, perché in quel momento era impegnato a scalciare e a maledire Seo Hwi Young.
“Te la farò pagare, dannato ajusshi! Sei inutile, mi hai venduto senza pensarci due volte!”
“Non oserei mai allungare le trattative chiedendo anche del denaro per liberarmi di te, amaranto. Al massimo sono io che pago qualcuno per non averti più tra i piedi.”
Il battibecco che era in procinto di nascere ed evolversi in un’altra sessione di corsa tra gli ostacoli del Carpe Diem fu interrotto proprio dal padre di Ha Neul.
“Ha Neul, non parlare così alle persone, lo sai che è maleducazione” lo riprese l’uomo, anche se bonariamente.
Il ragazzino smise immediatamente sia di vessare Hwi Young che di scalciare; sul suo volto si dipinse un’espressione che era un misto tra rabbia e delusione. Non gli rispose e non lo guardò negli occhi neanche una volta.
“Cosa ci fai qui? Saranno ore che ti cerco, tua madre ha fatto tre volte il giro del vicinato per scoprire dove fossi finito” gli fece presente con tranquillità, cercando di ottenere la sua attenzione, ma fallendo miseramente.
“Che ne dici di tornare a casa, ora? Così la smettiamo di infastidire queste persone…”
“No” fu l’unica monosillabica risposta che ottenne.
L’uomo sospirò con abbattimento, ma doveva essere abituato alla tempra del figlio perché non si arrese.
“Non fare così. Se sei arrabbiato possiamo parlarne a casa, sono sicuro che possiamo risolvere qualsiasi sia il problema” propose con forzato entusiasmo, ma la stanchezza e il disagio trapelavano da ogni poro. Intuendo la difficoltà della persona di fronte a loro, sia Shin Yool che Soo Hyun provarono ad allontanarsi lentamente e senza dare nell’occhio, nel tentativo di lasciare maggior privacy ai due. Hwi Young, dal canto suo, valutando la direzione che stava prendendo la discussione, decise di allentare la presa che aveva su Ha Neul; quando quest’ultimo si dimenò riuscì finalmente a liberarsi.
“Io non ci torno a casa con te.”
“Ha Neul…”
“No! Te l’ho detto, io non voglio vivere con qualcuno che si fa mettere i piedi in testa dai giapponesi e non si ribella!”
“Lo sai che non posso rifiutare gli ordini del mio capo e abbiamo bisogno dei soldi…” rispose l’uomo che era rosso per l’imbarazzo e la vergogna. Non era un argomento di cui amava parlare a prescindere dal luogo, ma in quel caso avere un pubblico a cui mostrare le sue mancanze non migliorava di certo la situazione.
Ha Neul strinse i pugni e cercò in tutti i modi di evitare che le lacrime che gli stavano riempiendo gli occhi si riversassero anche sulle sue guance.
“Siete tutti dei traditori, tu perché accetti di lavorare per quella feccia e voi perché non ci avete pensato due volte a rivelare dov’ero! Siete esattamente come i giapponesi!”
Dopo quella frase, detta d’impulso, l’atmosfera del locale cambiò radicalmente. Ora si respirava un’aria gelida e ben poco tollerante che non aveva nulla a che fare con il tono giocoso che c’era stato fino a poco prima. Ha Neul si pentì di quel che aveva detto prima ancora che gli facessero notare la gravità della sua affermazione.
“Ora non esagerare, ragazzino” commentò Shin Yool, con un’espressione seria in volto. “Ti abbiamo lasciato dire tutto quello che volevi, ma ci sono certe cose che non sono permesse al Carpe Diem. Nominare gli invasori è una di quelle. Paragonarci a quei mostri è un’altra.”
“Qui non c’è nessuno che vorrebbe vederli tutti sottoterra più di noi” aggiunse Soo Hyun.
“Tanto vi ho visto, anche voi li fate entrare qui dentro la sera! Non c’è nessuno che abbia il coraggio di andare contro di loro!”
“Perché, tu invece puoi vantare qualche atto di ribellione?” lo interruppe Hwi Young, la cui rabbia ora era molto più spaventosa. Ha Neul adesso non aveva problemi a riconoscere a pericolosità dell’uomo di fronte a lui che di sicuro non avrebbe osato chiamare ajusshi. Non era più una persona con cui si poteva scherzare. Non ebbe neanche il coraggio di ribattere, perché ovviamente non aveva esempi da portare. Sapeva che le sue bravate infantili, come andare volontariamente a sbattere contro i giapponesi che incontrava per strada, occasionalmente derubarli quando erano in mezzo alla folla o, ancora, tirare palle di fango contro le loro abitazioni, non contavano. Anzi, in un paio d’anni l’unica cosa che avrebbe realizzato sarebbe stata che erano stati degli atti stupidi per cui poteva solo ringraziare di non essere mai stato beccato.
Si limitò ad abbassare la testa, incapace di incrociare lo sguardo di nessuno delle persone presenti, compreso il padre.
“Nessun coreano che può definirsi tale desidera questa situazione. Nessuno di loro gioisce del vedersi strappare la propria nazione da sotto ai piedi. Nessuno si sveglia sorridendo pensando a quante persone innocenti ancora dovranno morire prima di poter riassaggiare la libertà. Tutti muoiono dentro un po’ di più ogni volta che realizzano che dovranno vivere ancora un’altra giornata senza poter fare nulla. Il rancore, il dolore, la frustrazione, la rabbia. Sono tutte pillole amare che vanno ingoiate giorno dopo giorno, perché combattere non significa solo prendere delle pistole e sparare, significa anche attendere il momento giusto e non lasciarsi prendere dall’ira. Pensi che tuo padre vada a lavoro a cuor leggero ogni giorno? No, il suo cuore pesa come un macigno che non può essere corroso da tutte le lacrime del mondo, ma ci va comunque, perché se non lo facesse morirebbe di fame. Tu moriresti di fame. E allora mette al secondo posto l’orgoglio e la rabbia. Io non vedo un uomo che si fa mettere i piedi in testa, come dici tu. Vedo un uomo, un padre e un marito che mette il suo dolore da parte perché ha cose più importanti nella sua vita a cui pensare. Se smettesse di accettare quei lavori, allora sì, i giapponesi avrebbero vinto su tutto, perché lo avrebbero privato della possibilità di prendersi cura delle persone più importanti nella sua vita.”
Le parole di Hwi Young, nonostante il tono sciolto e limpido di chi fa della scrittura la sua occupazione, erano state dure, permeate dallo stesso dolore che aveva descritto in modo così chiaro, ma allo stesso tempo grezzo e amaro.
Il silenzio che seguì il suo discorso era pesante, quasi insopportabile.
Hwi Young sospirò pesantemente, con una stanchezza che era più psicologica che fisica. Aveva parlato con cognizione di causa, perché una parte di lui comprendeva perfettamente il ragionamento di Ha Neul. Lui stesso, un tempo, era stato molto simile al ragazzo. Forse era stata quella stessa testardaggine che lo aveva spinto nella direzione del Jo Cheong Maeng.
Lasciò che il silenzio facesse da padrone nel Carpe Diem ancora per un po’, prima di poggiare una mano sulla testa di Ha Neul per scompigliargli i capelli.
“In realtà un po’ invidio la tua innocenza, perché se ragioni così significa che fai parte di quella minuscola percentuale della popolazione che non ha ancora dovuto soffrire abbastanza da capire che quella che desideri tu è un’utopia e che ci vuole ben più di bei ideali per potercela fare. Vorrei che tu potessi vivere così per sempre, ma prima guardi in faccia la realtà e meglio è, perché l’alternativa è fare una brutta fine. Lo so che queste parole ti stanno facendo arrabbiare ancora di più, ma è solo la riprova che la realtà non è bella, è crudele e senza scrupoli, perciò il meglio che si può fare in questo momento è sopravvivere. Sopravvivi anche tu, Ha Neul, e sii fiero di chi sta facendo del suo meglio per farlo senza mettere sotto i piedi la sua dignità e quella dell’intera nazione.”
Ha Neul non rispose, ma tutti nella stanza sapevano che non c’era bisogno di continuare quel dibattito per riconoscere che le parole erano arrivate al punto giusto e sarebbero state utili per tutto il resto della sua vita.
Alla fine quell’ajusshi era riuscito ad insegnargli qualcosa.
“Arriverà il giorno in cui potremo camminare di nuovo a testa alta” gli assicurò Soo Hyun con un tono pieno di convinzione che fece nascere una sensazione strana nel petto di Ha Neul. Un misto tra rispetto e speranza.
Forse non erano la manica di ajusshi idioti che aveva ipotizzato all’inizio.
Come se nulla fosse, poi, Shin Yool riportò la conversazione su temi decisamente meno pesanti.
“Direi che al momento ci starebbe proprio qualcosa da bere. Offre la casa” detto ciò condusse il padre di Ha Neul verso l’altra estremità del bancone per tenere fede alla proposta fatta. Questa volta l’uomo non si fece pregare due volte.
“Un tè all’orzo per questo sempreverde” urlò Hwi Young, beccandosi una gomitata nell’anca da parte del suddetto ragazzino.
“Guarda che sono abbastanza grande per bene anche qualcosa di più forte!” asserì Ha Neul, non resistendo all’impulso infantile di fargli la linguaccia.
“Ah, sì? Le martellate in testa sono forti. Vuoi provarne una? Non si bevono però.”
“I martelli pesano, alla tua età è già tanto se riesci ad alzare un foglio di carta, ajusshi.”
“Prima mi sembra di averti alzato in aria senza troppi problemi.
“Come minimo ti sarai fatto un colpo nella schiena, come mio nonno quando tenta di alzare i vasi in giardino e rimane bloccato. Almeno lui ha la nonna che lo rimette dritto, tu invece? Dubito che lei ti darebbe una mano. Vero, noona?” chiese Ha Neul rivolgendosi a Soo Hyun senza pensarci due volte circa il sesso della donna.
La donna boccheggiò per qualche attimo, stranita. Anche Hwi Young era abbastanza sorpreso; forse il bambino non era solo un’impulsiva testa calda come sembrava.
“No, io non sono-” Soo Hyun cercò comunque di dissimulare la realtà, ma il bambino non ne voleva sapere di bugie spacciate per verità.
Io ci vedo bene, non come questo stupido ajusshi che porta pure gli occhiali perché ha gli occhi vecchi. Lo porti già il pannolone per l’incontinenza, ajusshi? Mio nonno ha iniziato a settantatré anni, perciò tu ci sei quasi, vero, ajusshi?” chiese facendogli di nuovo la linguaccia e firmando la sua condanna a morte. Emise un gridolino involontario prima di scappare per il locale con Hwi Young alle calcagna. C’era solo così tanto che l’uomo poteva sopportare prima di regredire alla sua forma infantile e mettersi a rincorrere un ragazzino.
“Forse dovrei comprare vestiti più maschili…” mormorò pensierosamente Soo Hyun, guardando dalla testa ai piedi il vestiario che l’aveva fatta scoprire in un attimo anche da un bambino. Ad un tratto, di fianco a lei comparve lo scrittore con il fiatone. Si abbandonò sullo sgabello con pesantezza, ma non prima di averle fatto cenno di rubare qualcosa da bere dagli scaffali lì di fianco; non aveva più l’età per rincorrere i bambini. Poteva scappare dai giapponesi senza problemi, ma da un ragazzino? Era troppo per la sua età.
Per inciso, lo aveva lasciato vincere solo perché si era andato a nascondere dove c’era anche il padre e non voleva sembrare un pazzo isterico agli occhi di tutti.
“Mi chiedo anche io come abbia potuto confondersi così. Voglio dire, posso capire se ti avesse scoperto dopo averti vista nei panni di Anastasia e anche lì” a quel punto si prese un doloroso pugno su una spalla. “Ma in quel caso comunque ti avrebbe scambiata per un coroner che ha appena finito il suo turno nella camera mortuaria del nosocomio. Sai, i guanti-”
“Oh, ma basta con questi dannati guanti! Se ti piacciono così tanto te li regalo, magari puoi imbavagliartici così non siamo più costretti a sentirti dire stupidaggini!” gli saltò al collo la donna, pestando i piedi e mettendosi sul piede di guerra.
“Non ne starei facendo un caso di stato se non fossero davvero osceni.”
“Devo ricominciare con le tue bretelle? Bucorcrate con un piede nella fossa!”
“Dissezionatrice di rane!”
Intanto Ha Neul li guardava ridendo, mentre tornava a sorseggiare un nuovo te all’orzo gentilmente offerto dalla casa. Con il tempo avrebbe avuto modo di appurare che per lui i veri spettacoli del Carpe Diem erano i battibecchi tra Soo Hyun noona e quell’ajusshi di Hwi Young.
Peccato non fossero destinati a durare per sempre e presto sarebbero stati solo un ricordo.
Poco più in là, Ryu Man Oh stava continuando a ringraziare l’unica persona apparentemente sana di mente della combriccola.
“Come posso sdebitarmi?” chiese a Shin Yool, tra un inchino e l’altro.
“Mi è parso di capire che di mestiere fa l’idraulico…” cominciò, dandogli una pacca sulla spalla e indicandogli il corridoio al fondo di cui si trovava il bagno.
 
 
***
 
 
“Hwi You- Ah, no, Han Se Joo? Ehi, sei vivo? Perché ci mette tanto a riprendersi? L’ho colpito davvero così tanto forte? Non c’è sangue però… Non dirmi che sei crepato per la seconda volta prima di me?! Non credo ci sia abbastanza tempo per una seconda reincarnazione e c’è un numero limitato di volte in cui i medici possono rimettermi a posto l’anca, sai? Siamo già alla terza e in quel reparto mi conoscono a vista-”
“E meno male che l’ajusshi che parlava troppo ero io” borbottò Han Se Joo mentre teneva ancora gli occhi chiusi. Non sapeva neanche più se il mal di testa era per la botta in testa o perché Ha Neul parlava senza sosta.
“Ah! Lo sapevo che eri vivo, non ho abbastanza soldi per pagarmi un avvocato e con la sciatica trafugare il tuo cadavere risulterebbe difficile. Potrei chiedere aiuto a mio nipote-”
“Ha Neul…” Dio, che mal di testa, non ce la faceva neanche ad aprire gli occhi.
“… però quell’ingrato probabilmente mi tradirebbe subito facendomi costituire, non esistono più i parenti di una volta che-”
“RYEO HA NEUL!”
Finalmente cadde il silenzio, preceduto solo da un ops non troppo dispiaciuto, e Se Joo riuscì a ritrovare la compostezza necessaria per aprire gli occhi e tirarsi a sedere. Apparentemente era ancora sul pavimento e il vecchio aveva trascinato una sedia di fianco a lui per poter vegliare meglio sul suo corpo momentaneamente fuori uso. Ora che si ricordava la chioma castano scuro di quando era un bambino, il contrasto con i capelli completamente bianchi era evidente.
Ha Neul decise che aveva taciuto anche abbastanza, perché non tacque oltre: “Ora ti ricordi, perciò?”
“Sì, mi ricordo di un bambino maleducato che non ha il minimo rispetto per gli adulti” confermò lo scrittore, portandosi in posizione seduta. Si passò una mano sulla testa e sentì un bozzo di discrete dimensioni.
“In cos’è fatto quel bastone, ferro? Mi hai quasi spaccato la testa!”
Ha Neul ignorò la sua lamentela: “Che cosa hai visto?” chiese invece, con gli occhi illuminati di quello scintillio che confondeva Han Se Joo, rendendogli difficile vedere davvero l’anziano che aveva davanti, perché tutto quel che vedeva era un bambino malandrino di dieci anni.
“Il giorno in cui ti abbiamo trovato nel sotterraneo.”
“Ah, perciò la foto-” cominciò il proprietario del negozio, ma fu interrotto.
“Quella l’abbiamo scattata l’anno dopo per il tuo compleanno. Ci siamo io e te, poi tuo padre, Yoo Jin Oh e Jeon Seol.”
Quel ricordo non lo aveva esattamente vissuto come il loro primo incontro, ma era stato come se ricordandosi l’inizio anche il resto della loro storia insieme si era automaticamente scaricato nel suo cervello e tra i suoi ricordo. Finché ne aveva memoria, Ha Neul era rimasto un grandissimo romp-
“Che immagino siano Shin Yool hyungnim e Soo Hyun noona” continuò l’anziano con emozione e perfino Se Joo non poteva fingersi indifferente di fronte a quella scena. La felicità che stava manifestando l’uomo era la cosa più genuina che avesse mai visto, non era possibile girarci attorno.
Erano uno l’opposto dell’altro.
Han Se Joo non stava facendo altro che scappare dal passato che lo perseguitava e Ryeo Ha Neul non aveva mai smesso di sperare di poter riotterenere quel passato che gli era sfuggito dalle mani tempo fa.
“Ti ricordi qualcos’altro? Fino ad ora quanto ti ricordi del tuo passato? Quando ho scoperto chi era a cap-” Ha Neul si interruppe di colpo, portandosi una mano davanti alla bocca. Forse quella parte doveva tenersela per sé perché magari lo scrittore ancora non ricordava abbastanza e quello sarebbe stato uno… uno… com’era quella parola che suo nipote diceva ogni tanto quando parlava dei libri appena usciti?
“Ah, no quello sarebbe sploiter, non te lo dico” gli disse con un sorrisetto.
Se Joo alzò gli occhi al cielo, perché certe cose non cambiavano mai.
“Chi è ora l’ajusshi rincretinito, mh? È spoiler, non quell’altro scioglilingua che hai detto tu” lo corresse lanciandogli un’occhiata a metà tra l’irritato e l’incuriosito, perché una parte di sé era curiosa di sapere cosa stava per dire, mentre l’altra voleva rimanere all’oscuro di tutto e per quel giorno aveva già sofferto abbastanza con quell’ennesimo viaggio nel passato.
“Non ricordo molto, ma se devo essere sincero non ci tengo neanche ad approfondire.”
Sarà anche stato Seo Hwi Young nella vita passata, ma ora era Han Se Joo e non vedeva perché dover portare il fardello di due vite solo perché, a tempo debito, non era stato capace di lasciare il passato dove doveva restare.
“Ma è la tua vita passata, non vuoi saperne di più?” sbottò con sconcerto l’anziano che fino a cinque minuti fa aveva avuto solo dieci anni.
Quella considerazione lo frustrò ulteriormente.
Perché doveva essere messo nella posizione di dover vedere accavallati in continuazione passato e presente?
“No! Non ne voglio sapere niente, perché dovrebbe interessarmi cosa stavo facendo cento anni fa? Non siamo nemmeno la stessa persona! Non me ne frega niente di Seo Hwi Young o come diavolo si chiama!” abbaiò di rimando, alzandosi in piedi.
Ha Neul lo imitò.
“Sei rimasto un imbecille, allora! Stupido eri prima, stupido sei ora! Ti sei solo reincarnato, perché non dovrebbe interessarti cosa hai fatto ottant’anni fa?”
“E tu sei rimasto un marmocchio insolente che ha troppa voglia di essere preso a schiaffi! No, non me ne importa nulla di che bagnoschiuma usava la mia versione precedente e se nel kimbap ci voleva i cetrioli o no!”
“Eri troppo povero per comprarti il bagnoschiuma con quelle storielle imbarazzanti che ti impegnavi pure a scrivere. Credi non ti abbia mai visto mentre andavi a scroccare sapone nelle docce del Carpe Diem?”
“Ah! Io non ho mai scroccato niente, eri tu che continuavi a venire lì ogni pomeriggio perché sapevi che Sapsaree ti avrebbe riempito di cibo!”
“Oh, eri geloso come un cane quando Soo Hyun noona era gentile con me, la parte più divertente di tutte era vedere la tua faccia da culo!”
“Sei ancora uno sboccato maleducato, ripropongo l’invito a cucirtela una volta per tutte.”
“Amplia il tuo repertorio, ajusshi, sono quasi cento anni che te ne esci sempre con le stesse minacce!”
“Tu hai trecentoquarantasei anni per piede e l’ajusshi sarei io? L’unico con i capelli bianchi sei tu, brutto marmocchio con la lingua imbevuta di vetriolo.”
“Sì, sono invecchiato, e allora? Ora possiamo prestarci i pannoloni per l’incontinenza!”
Loro due potevano anche essere scivolati nelle loro vite passate, in uno dei loro vecchi battibecchi tra Hwi Young e il decenne Ha Neul, ma agli occhi di Gal Ji Seok, che li osservava a bocca aperta sulla soglia della porta, erano proprio Han Se Joo jagganim e il suo anziano nonnino di novantacinque anni.
Che, al momento, si stavano urlando improperi a vicenda come se fossero stati conoscenti di vecchia data.
Han Se Joo aveva chiamato suo nonno sempreverde e voleva farlo marcire dandogli troppa acqua. E suo nonno gli aveva chiesto che quante volte gli fosse già venuta la cataratta.
Ji Seok batté le palpebre con confusione una, due, anche tre volte, mentre i due discutevano indisturbati animatamente, ignari della sua presenza.
Non ci stava capendo proprio nulla.
Però, quando nuovamente suo nonno chiamò Se Joo ajusshi e il jagganim gli rispose dandogli del ragazzino bisbetico, decise che la cosa migliore da fare era indietreggiare e fuggire.
Cosa che fece, lasciandoli a loro stessi.
“Dannato nanerottolo!”
“Stupido ajusshi!”


 


[Ringrazio chiunque abbia letto questa storia!<3]

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