Il prigioniero del cielo

di Voglioungufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I fantasmi di Uzushio ***
Capitolo 3: *** Addio, Uzumaki Naruto! ***
Capitolo 4: *** L'amico perduto ***
Capitolo 5: *** La decisione dell'Hokage ***
Capitolo 6: *** La scommessa di Obito ***
Capitolo 7: *** Mokuton e Sharingan ***
Capitolo 8: *** I sospetti dell'Hokage ***
Capitolo 9: *** Uzumaki Naruto!! ***
Capitolo 10: *** I Jonin di Konoha ***
Capitolo 11: *** Esplosioni di glitter come inviti a cena ***
Capitolo 12: *** Empasse ***
Capitolo 13: *** La prima missione ***
Capitolo 14: *** Insegnami ***
Capitolo 15: *** Extra 1 - Love Attack! ***
Capitolo 16: *** Circondati da squali ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Lungo sproloquio dell’autrice perfettamente evitabile:
È successo: sono passato al lato oscuro delle Time Travel dopo averne lette di ogni tipo su ao3, ho quindi deciso di provare a cimentarmi con la mia personale idea. A dispetto del titolo serioso, non è nulla di serio. Non vi spiego molto su come funzionerà, perché conto che sia tutto chiaro nella storia, voglio solo dare alcune coordinate per i tag.
Avvertimenti: ho segnato “violenza” ma non sarà niente di più di quella che compare nel manga. Ovviamente sono shinobi, ovviamente ci possono essere sbudellamenti vari, tutte cose che se avete sopportato nel manga immagino possiate sopportare anche qui xD Ma per ogni evenienza io metto l’avvertimento. L’OOC sta perché, per quanto io tenga l’IC, dobbiamo tenere conto che è tutto un mega What If che può condizionare i personaggi e i loro caratteri: tipo Obito che diventa buono, Itachi che non fa la strage Uchiha.
Rating: ho messo l’arancione per le stesse motivazioni di cui sopra. Calcolo la probabilissima presenza di scene violente e possibili squartamenti, quindi questo alza il rating. Non è per la presenza di scene lime/lemon (se mai volessi inserirle, le metterò come spin-off a parte in one-shot).
Il genere: ho messo generale e avventura. Avventura perché siamo comunque nel mondo di Naruto, ci sono missioni e avventure da superare. Generale perché si passa tranquillamente a scene slice of life a scene di “guerra”. Insomma, ha un po’ di tutto, dall’introspezione, al comico, angst, avventura, battle, romentico…
Le coppie: non sono la cosa fondamentale della storia, davvero. Le metto solo perché io sono una persona debole e in quale altra storia trovo l’occasione di mettere tutte le OTP? Ma credo sia il caso di farvi alcune precisazioni. La ObiNaru coinvolge il Naruto del Futuro (Nozomi), mentre la SasuNaru i due bambini (e per questo non aspettatevi di vederli scopare come ricci e fare cosacce perché sono bimbi tenerelli ecco). Le altre verranno scelte nel corso della narrazione, ma posso assicurarvi la presenza della ShiIta. In ogni caso compariranno quando sarà arrivato il momento giusto, quindi non aspettatevele già dal secondo capitolo.
Credo di aver detto tutto?
 
Spero che la storia vi piaccia abbastanza da continuarla. Cuori e commenti sono sempre graditi <3 non siate timidi, che ho bisogno di sapere se il mio delirio ha senso hahahah
Ora finisco questo sproloquio e vi lascio alla storia ^^
 






 
Prologo
 
 
 
«So am I still waiting for this world to stop hating?
Can’t find a good reason, can’t find hope to believe.»
(Still waiting – Sum 41)
 
 
 
Non ricordava l’ultima volta che si era sentito così sfinito, con il chakra vicino all’esaurimento e la stanchezza che gli intorpidiva le membra. Trasportarsi con il kamui in quella grotta era stato l’ultimo sforzo che aveva compiuto e, a giudicare dal sangue che colava sullo zigomo, il suo occhio sembrava risentirne.
Era così stanco che si guardò a malapena attorno. Conosceva quella grotta, un buco su una montagna che costeggiava il confine del Paese dei Fulmini, l’aveva usata già altre volte come base di emergenza dopo scontri particolarmente violenti. Come quello. Per quanto conoscesse le sue abilità, si era spinto troppo oltre in quelle ultime settimane, senza concedersi nemmeno una pausa, e ora ne pagava le conseguenze.
Sarebbe rimasto lì per la notte, il tempo necessario per dormire dopo un mese di veglia ininterrotta e ristabilire il proprio chakra.
Accese un fuoco e sussultò quando le fiamme proiettarono un’ombra umanoide sulla parete irregolare di fronte e a lui, rivelando che nella grotta non era solo. Si alzò in piedi pronto a fronteggiare la probabile minaccia, il poco chakra concentrato nell’occhio per vedere nel buio.
Era impossibile che ci fosse qualcuno vicino e non se ne fosse accorto, doveva essere per forza uno shinobi particolarmente abile nel celare la propria presenza.
“Tobi…” parlò lo sconosciuto e sentì il proprio respiro arrestarsi. Chiunque fosse, sapeva chi era lui.
 L’intruso fece un passo avanti e, aiutato dal calore delle fiamme, il suo viso non fu più un’ombra sulla parete.
Per un momento credette di trovarsi davanti a un fantasma. Quegli occhi, quei capelli e quella postura… appartenevano a una persona che aveva conosciuto molto bene. Ma quella persona era morta a causa sua.
Non poteva essere.
“Chi sei?” chiese quindi, un ringhio minaccioso.
Il fantasma fece un altro passo avanti, il fuoco disegnava ombre sul suo viso serio e illuminava occhi blu accesi di determinazione.
“Sono Uzumaki Naruto”, disse, “e vengo dal futuro”.
 
La risata lasciò lugubre la sua gola e risuonò per la caverna prima che potesse controllarla. Si piegò su se stesso con le spalle, l’occhio rosso che trapassava la figura del sedicente viaggiatore del tempo. Il quale abbassò il viso, gli occhi puntati sulla mano che aveva fatto scivolare sulla custodia di shuriken.
“Non sono qui per combattere, Obito” disse calmo.
Sentirsi chiamare con il proprio nome di nascita lo destabilizzò un poco, ma non lasciò che quella frase lo turbasse.
“Obito? Tobi? Sembri confuso su quale sia il mio nome” lo sbeffeggiò. Distrattamente si chiese se fosse il caso di usare la fastidiosa personalità di Tobi.
Il ragazzo biondo non ribatté subito, preferì sedersi a gambe incrociate davanti al fuoco. Grazie alla luce poté notare che indossava sgargianti e logori abiti arancioni, nessuna fascia sulla fronte indicava la sua fedeltà a qualche villaggio.
“A volte hai usato un terzo nome” borbottò fioco, alzò gli occhi penetranti su di lui. “Ma so che Madara è morto dopo averti allenato”.
L’opzione del viaggiatore del tempo non gli parve più così assurda, non davanti alla consapevolezza che sapeva della loro alleanza. Non si sedette al falò come aveva suggerito l’altro, lo osservò attento ancora una volta, ma il suo sharingan aveva già appurato che non si trattava di un genjutsu. Quindi il suo aspetto era davvero quello di un giovane uomo dagli spettinati capelli biondi, acconciati in quel modo così familiare, i lineamenti morbidi con le guance attraversate ciascuna da tre cicatrici parallele e due rotondi occhi blu.
Uzumaki Naruto… il marmocchio di Minato-sensei.
“I viaggi nel tempo sono impossibili” disse lugubre.
Il presunto Naruto rise. “Sì, me l’hai già detto in futuro. Eppure eccomi qui”.
Assottigliò l’occhio al tono spensierato, come se stesse chiacchierando con una vecchia conoscenza davanti a una tazza di tè. Lui, a suo contrario, aveva i nervi a fior di pelle e i muscoli tesi, pronti alla battaglia.
Non c’era verso che potesse credere a una cosa così assurda.
“Perché sei qui?” chiese quindi.
 La spensieratezza sparì dal viso dell’altro mentre tornava a guardarlo, nelle iridi la serietà mortale di un vecchio soldato.
“Sono qui a impedire che tu faccia una sciocchezza”.
Trattenne un verso stizzito tra i denti. “Che sciocchezza?”
Tsuki no Me”.
Rimase in silenzio, valutando quella nuova informazione. Quest’uomo conosceva cose che solo lui e Zetsu avrebbero dovuto conoscere. Ancor di più, l’opzione del viaggio del tempo non gli parve impossibile.
“Cosa sai dello Tsuki no Me?” ringhiò sulla difensiva.
“Molto più di te e Madara” rispose pacato. “So che non porterà a quello che speri, nessuna pace e sogno perfetto. Solo la distruzione di questa terra come la conosciamo e la rinascita di un essere immortale di nome Kaguya, la madre del chakra”.
Il suo fiato cominciava a condensarsi all’interno della maschera, rendendogli difficile respirare.
“Che cosa stai dicendo?” sbottò. “Queste sono stronzate, Madara…”
“Madara si è sbagliato, è stato manipolato, e quando è riuscito a completare il suo piano ho visto con i miei occhi il ritorno di quest’essere spaventoso” lo interruppe Naruto, il tono fermo. “Lo Tsuki no Me è un errore. E anche tu lo capirai in futuro”.
Obito scattò prima di rendersene conto. Le sue dita non scivolarono però sugli shuriken, ma sull’ultimo kunai che gli era rimasto. Si lanciò contro il ragazzo oltre il fuoco per colpirlo, ma si sentì subito bloccare con violenza. Il contraccolpo lo costrinse a chiudere gli occhi e quando li riaprì rimase senza fiato, la presa sul kunai tremò al punto che gli scivolò via dalle dita.
Una mano fatta di puro chakra lo aveva fermato al polso poco prima che potesse colpire il viso di Naruto, il quale era rimasto impassibile al suo posto circondato da una forte luce gialla irradiante puro potere. La mano che lo aveva bloccato era collegata direttamente a lui.
Occhi rossi, non più azzurri e dalla pupilla ferina lo trapassarono, come se potessero vederlo oltre la maschera.
“Ho detto che non sono qui per combattere” replicò ferreo.
Il chakra gli ustionava la pelle, perciò sciolse la tensione e arretrò. Nel vederlo abbandonare la posa offensiva, il braccio di chakra si dissolse e gli permise di allontanarsi. Scacciò anche il chakra che lo aveva circondato, smettendo di risplendere e tornando con gli abiti sgualciti con cui si era presentato.
Obito deglutì al potere che aveva sentito impregnare l’aria improvvisamente, un chakra del genere poteva appartenere solo al Kyūbi.
Non stava mentendo, era davvero Uzumaki Naruto.
“Mi ascolterai adesso?” chiese più gentile vedendolo arretrare.
Ancora scosso dall’adrenalina provata in quel secondo, annuì con cautela. Il ragazzo che aveva davanti era potente, mentre lui esausto. Meglio assecondarlo e salvare le sue scarse riserve di chakra nel caso avesse dovuto affidarsi a una rapida fuga con il kamui. Inoltre, se davvero veniva dal futuro, quello che aveva da dire poteva meritare la sua attenzione.
Vide Naruto sospirare di sollievo e rilassare la posa delle spalle.
“Bene. Sarà molto lungo e non crederai a metà delle cose che ti dirò, ‘tebayo” brontolò.
Obito inarcò un sopracciglio, poi si sedette a sua volta davanti al fuoco.
“Ti ascolto”.
“Dunque,” iniziò socchiudendo gli occhi, “fra circa nove anni inizierai a catturare sistematicamente i Bijū, approfittando dell’Akatsuki. Riuscirai a prenderli quasi tutti, tranne  Giyūki e Kurama”.
“Quali?” chiese con fastidio.
Naruto sembrò sussultare. “Intendo l’Hachibi e il Kyūbi, sono i loro nomi”.
“Nome? Hanno un nome?” non riuscì a nascondere la sorpresa nel tono.
“Ogni Bijū ne ha uno” replicò e sembrò risentito. “Non sono oggetti o armi, sono esseri viventi con un proprio nome e una propria personalità e…” si bloccò e scosse la testa. “Dopo,” decretò, “andiamo con ordine”.
Obito si ritrovò a essergli grato, il suo cervello si stava ancora abituando all’idea di dover accettare che questo ragazzo davanti a lui fosse Uzumaki Naruto, il figlio del suo sensei, quando sapeva che al momento il marmocchio aveva sei anni.
“Appunto, dicevo, mancavano solo loro due. Allora hai deciso di dichiarare guerra alle nazioni ninja perché te li consegnassero. Io… be’, lo sai: io sono il Jinchūrike di Kurama e nel mentre mi sono allenato a usare il suo potere e abbiamo anche iniziato a collaborare. E anche Killer B con Otto-chan andava molto d’accordo…”
Se questa era l’idea di ordine di Uzumaki era davvero molto confusa e sbagliata. Si schiarì la gola, riportandolo nella giusta carreggiata. Con uno sguardo imbarazzato, Naruto ricominciò da capo, raccontandogli della Konoha della sua infanzia, delle sue prime missioni con il team 7, dell’attacco di Suna e della morte de Terzo Hokage, il tradimento di Sasuke e il suo allenamento con Jiraiya. Parlò del team Kakashi – una stretta al cuore di Obito che ribolliva di rabbia – e dei suoi primi scontri con l’Akatsuki. La sua voce si incrinò quando iniziò a contare le prime morti di quella guerra appena iniziata, tra cui il suo maestro, e poi passò al suo scontro con Nagato subito dopo aver imparato l’arte eremitica.
Rimase sorpreso nello scoprire che l’attuale alleato lo avrebbe tradito dopo essere stato sconfitto da Naruto e convinto dalla sua determinazione. Voleva interromperlo per saperne di più, ma lui proseguì imperterrito nel raccontare il cammino di Sasuke nell’oscurità, di Itachi e la strage degli Uchiha, di come Obito ne avrebbe approfittato a suo favore. Arrivò quindi al summit de Kage dove avrebbe dichiarato guerra a tutte le nazioni principali, unitesi per contrastarlo nell’Alleanza Shinobi.
Arrivò quindi alla guerra.
A questo punto non riuscì più a provare a interromperlo o screditare le sue parole. Ogni cosa era descritta con limpida chiarezza, un dolore tangibili nelle iridi azzurre e nella voce appena tremolante davanti alle perdite. Se ne convinse mentre gli raccontava del suo allenamento per imparare a controllare il chakra del Kyūbi, dell’Edo-Tensei e del suo avvicinamento con i Bijū catturati.
Uzumaki Naruto veniva davvero dal futuro.
 
Naruto si interruppe in un breve silenzio quando arrivò al momento in cui lui, Obito, sarebbe diventato il Junchūriki del Jūbi. Tenne qualche secondo gli occhi sul danzare delle fiamme prima di riprendere a parlare.
“Non ci siamo arresi, ovviamente. Abbiamo continuato a combattere con tutte le nostre forze e alla fine ci siamo riusciti, ci siamo avvicinati abbastanza da afferrare il chakra dei Bijū dentro di te e iniziare un… tiro alla fune con il chakra”. Tornò a guardarlo e sul momento non capì la tristezza negli occhi. “In quel momento i nostri chakra sono entrati in contatto e… ho visto il tuo disprezzo per questo mondo, il tuo dolore per Rin…”
Sussultò e sentì la ferita ancora aperta bruciare, consumarlo dall’interno.
“Non osare dire il suo nome…” sibilò.
Naruto non si ritrasse al suo tono sprezzante, continuò a fissarlo dritto sull’unico occhio visibile.
“Devo raccontarti com’è andata…”
“So com’è andata” sputò interrompendolo. “So che si è suicidata per sua scelta, che l’avevano trasformato nel Jinchūriki del Sanbi…”
“Isobou” borbottò. “Il suo nome è Isobou”.
Non l’ascoltò. “So che ha dovuto farlo per proteggere Konoha, ma questo non cambia nulla. Anzi, è stato questo ad aprimi gli occhi su quanto questo mondo sia sbagliato, corrotto, un…”
“Inferno” completò per lui Naruto.
“Un mondo dove le persone sono sacrifici per la guerra e gli amici tradiscono le proprie promesse non può essere reale”.
Sembrava stanco. “Sì, Obito, ma questa è solo una parte della verità”.
S’incurvò di nuovo teso a quelle parole.
“Non ti sei mai chiesto come la Nebbia potesse avere un Bijū a portata, quando Madara è una delle pochissime persone in grado di catturarli e controllarli?” lo pungolò Naruto, risvegliando vecchi dubbi che aveva sempre sepolto nella sua mente. “Avere un Bijū è difficile, eppure decidono di darlo via sigillandolo per pura fatalità nel corpo della tua compagna di squadra, che sempre per pura fatalità è arrivata a una distanza sufficiente perché tu la raggiungessi. Senza contare i Zetsu” soggiunse ironico, “fedeli a Madara eppure decidono di tradirlo facendoti arrivare convenientemente nel momento in cui è avvenuta la tragedia”.
Obito cominciò a faticare a respirare mentre ogni singola parola affondava dentro di lui.
“Cosa vuoi dirmi?” chiese.
Sapeva la risposta.
“Madara ha manovrato tutto in modo che tu scegliessi lui e il suo piano”.
Riuscì appena a sentirlo sopra il ruggire del sangue per tutto il suo corpo, il battito del suo cuore nelle orecchie... un cuore che improvvisamente tornava alla vita per battere e sanguinare puro dolore.
“No, non è vero” mormorò ostinato. “Madara mi ha salvato, mi ha mostrato la verità, mi ha allenato…” si preoccupava per me, avrebbe voluto aggiungere, ma quelle parole sembravano incastrarsi nella gola.
La pena negli occhi azzurri lo fece sentire solo più miserabile.
“Tu eri disposto a uccidere il tuo amato sensei” sussurrò. “Hai minacciato me, suo figlio, e più avanti hai tentato di uccidere il tuo migliore amico… solo per il bene di questo piano. Credi che Madara non sarebbe stato pronto a sacrificare lo stesso?”
Lo avrebbe fatto.
Era questa la risposta giusta, la sapeva fin troppo bene e una parte di lui forse aveva sempre avuto quel dubbio, lo stesso che ora Naruto gli aveva schiaffeggiato in faccia. Ma lo aveva sempre sepolto, per il bene dello Tsukiyomi, perché se avesse avuto successo quelle menzogne sarebbero sparite, a favore di un mondo perfetto.
Se avesse avuto successo.
Obito si sentì come se avesse mille anni sulle spalle, anziché venti, quando ricordò l’ammonimento di Naruto su un essere immortale di nome Kaguya.
“Poi? Cos’è successo?” chiese stanco.
“Abbiamo… parlato” mormorò. “Mentre lottavamo per il chakra dei Bijū, siamo riusciti a vederci nei propri cuori. Ti ho capito e ho deciso che non volevo combatterti. Tu… ti sei arreso alla fine. Hai lasciato andare la presa”.
“Mi sono arreso” ripeté.
Annuì. “Sì, hai capito il tuo errore e hai voluto rimediare. Hai deciso di fidarti di me”.
“Di un ragazzino”.
Rise. “Sono molto persuasivo” acconsentì.
Ripensò a quanto aveva detto anche su Nagato, del suo tradimento, e scosse la testa rassegnato.
“Quindi? Avete vinto, cos’era quella storia di Kaguya?”
Naruto sospirò. “Non abbiamo vinto. Tu ti sei arreso, ma non Madara”.
“Hai detto che stava combattendo con Hashirama”.
Annuì. “Dovevamo sigillarlo, ma lui ci ha preceduti. Te l’ho detto? In quel momento tu avevi il rinnegan…” la sua voce si affievolì e Obito capì cosa stava per dire.
“Rinne Tensei” sussurrò. “Sono morto e lui è rinato”.
Fu sorpreso di vedere Naruto scuotere la testa.
“Madara è rinato, ma tu non sei morto. Immagino tu abbia sfruttato le tue cellule di Hashirama e lo Zetsu nero, in quel momento era aggrappato a te per manovrarti nella tecnica… Ti ha dato abbastanza forza per continuare a vivere”.
Annuì sollevato. “Poi?”
“Madara si è ripreso i Bijū che ti avevamo strappato, anche… Kurama” mormorò, una mano appoggiata allo stomaco a stringere le sue vesti.
Obito inorridì. “Ma non sei morto”.
Sospirò. “Resistenza Uzumaki e Sakura-chan, un ottimo medico a guardarmi le spalle. Sono rimasto in uno stato di pre-morte finché tu non mi hai salvato”.
Ci mise più di un secondo per capire realmente le sue parole. “Io?” echeggiò incredulo. “Ma…”
“Mio padre prima di morire aveva sigillato dentro di sé una metà del chakra di Kurama” non batté ciglio Naruto. “Mentre Madara non aveva capito che tu lo avessi tradito, credeva fossi solo stato sconfitto… Sei riuscito a coglierlo di sorpresa, perfino a rubargli un po’ del chakra di Shukaku… intendo l’Ichibi” chiarì al suo sguardo vacuo, “e di Gyūki, i Bijū che mi mancavano. Allo stesso tempo hai estratto il chakra di Kurama da mio padre, mi hai portato nella dimensione del kamui e… magia, eccomi ancora in piedi ‘tebayo” scrollò le spalle.
Obito lo fissò incredulo, tutto quello era assurdo quanto il viaggio del tempo.
“Ho fatto tutto questo dopo aver eseguito il Rinne Tensei?”
Non si aspettava che Naruto gli lanciasse un sorriso luminoso e gli facesse l’occhiolino.
“Sei un tipo tosto”.
Si sentì ancora più scombussolato a quella reazione, decise di ignorarla e passare oltre. “Così sei tornato in vita. Poi?”
“Ecco, c’è da dire che pure Sasuke nel mentre non se la stava passando molto bene. Madara lo aveva infilzato” confessò. “E mentre eravamo entrambi in questo stato di pre- morte, abbiamo incontrato un… vecchietto interessante”.
Obito aveva paura di chiedere chi.
“Il Saggio delle sei vie!”
Fu un po’ troppo. Si tolse la maschera con un gesto secco e prese una lunga boccata d’aria, entrambe le mani davanti agli occhi.
“Ora il viaggio del tempo è la cosa meno assurda” borbottò.
 
Ascoltò il resto con un misto di incredulità e rassegnazione. Conosceva già la storia di Idra e Ashura, del loro giro di reincarnazioni. Madara gliela aveva raccontata, quindi non faticò a seguirlo su quel punto. Rimase solo sorpreso di scoprire che il figlio di Minato e uno dei mocciosi di Fugaku sarebbero stati i destinatari di quel ciclo e che ne avrebbero ricevuto i pieni potei dal padre degli shinobi.
Arrivato a quel punto, la rinascita di Kaguya non lo sorprese più del dovuto. Rabbrividì però nel saperlo e provò un profondo turbamento nel rendersi conto che anni di pianificazione e sacrifici erano destinati al fallimento totale. Non stava portando il mondo verso la pace, ma alla sua rovina.
Naruto diventò sempre più triste, un lungo silenzio precedette le sue successive parole.
“Lo Tsuki no Me si attivò subito, chi non riuscì a mettersi in salvo venne intrappolato nella tecnica. In pochi secondi, eravamo stati decimati. In tutto il mondo, sopravvivemmo solo noi e un’altra manciata che era riuscita a mettersi in salvo dalla luce riflessa della luna. Abbiamo combattuto contro Kaguya”.
“Ma non potevate vincere” indovinò.
Gli occhi azzurri si macchiarono di dolore. “No, non potevamo. Kaguya trasformò gli shinobi catturati nel genjutsu in Zetsu e ci attaccò con quelli. Abbiamo provato a resistere, ma più di noi cadevano più il suo esercito si ingrossava. Il viaggio del tempo è stato proposto con scherzo, ma… presto è diventato l’unica soluzione”.
Obito sospirò. “Com’è possibile?”
Naruto rise. “È… complicato. È un jutsu spazio-temporale che agisce combinando l’hiraishin con il kamui”.
Aggrottò gli occhi nel sentir nominata la tecnica del suo Magekyo.
“Spiegati meglio”.
Agitò le mani. “Quello che ti sto dicendo è il frutto di un brain-storming tra te, mio padre e Orochimaru, io mi sono limitato a imparare come si fa.” Fece una pausa, poi continuò. “Il tuo kamui si sposta tra le dimensioni e il tempo è una dimensione. L’hiraishin è una tecnica di teletrasporto che annulla il tempo. Ma se cambi il sigillo del tempo, se invece dell’istantaneità inserisci un conto all’indietro?”
“Non funzionerebbe” borbottò Obito. “L’hiraishin ha bisogno di marcare il punto di arrivo ”.
“Ma il kamui no”.
Tacque, perché era vero e improvvisamente tutti i pezzi stavano combaciando al loro posto. Ma…
“Tu non ha un Mangekyo sharingan”.
Seppe la risposta ancora prima che Naruto sospirasse, prima che infilasse la mano all’interno della sua sacca per tirare fuori un contenitore di vetro. Tra i liquido si trovavano due occhi sharingan perfettamente conservati.
“Sono i tuoi” bisbigliò. “Del te del futuro. Me li ha dati prima di partire”.
“Perché a te?” domandò, lo sguardo fisso su quella raccapricciante visione. Quegli occhi rendevano tutto il racconto più reale, erano la prova finale.
“Perché ero l’unico ad avere abbastanza chakra per compiere il viaggio mentre Sasuke teneva occupata Kaguya”.
Il dolore nei suoi occhi era tangibile, simile a una cascata straripante. Fissava il contenitore con lo sharingan come se fosse una maledizione.
“Non volevo venire qui” mormorò. “Speravo davvero di poter salvare il mio mondo, ma… ormai non c’era più niente da salvare. Li ho abbandonati, è questa la verità”.
Obito rimase a lungo in silenzio chiedendosi come rispondere a una costatazione del genere. Nonostante l’assurdità della situazione, gli credeva. Non aveva mai visto nessun altro parlare con una tale sincerità negli occhi, con una trasparenza così dolorosa. Solitamente i ninja tendevano a schermare le proprie emozioni, a rendere impossibile indovinare le loro intenzioni. Invece questo Naruto non se ne preoccupava. Non sapeva se fosse per idiozia o una spropositata fiducia.
“Mi dispiace” disse alla fine.
Onestamente non sapeva ancora come considerarlo, se nemico o amico. Era qui per fermarlo a quanto diceva, ma nel suo futuro erano stati alleati.
Naruto sorrise. “È oka…” si bloccò, si morse le labbra per non dire quella bugia. “È uno schifo” ammise. “Sono stato giorni a piagnucolare su quello che ho perso prima di rendermene conto che… be’, non potevo. Sono morti per dare una speranza a questo mondo, a questo tempo, e mi hanno affidato questa speranza. Non posso restare in disparte e vedere lo stesso futuro accadere. Posso evitare la guerra, salvare le mie persone preziose, proteggere il mondo degli shinobi…”
“Da me” mormorò Obito. “Ecco perché sei qui”.
“Esatto” ammise. “È stato frustrante aspettare un momento in cui fossi… predisposto ad ascoltarmi”.
Capì subito cosa intendesse e provò un profondo turbamento. Per quanto tempo lo aveva seguito senza che ne accorgesse? Era rimasto sempre nell’ombra in attesa di un suo momento di debolezza in cui non avrebbe potuto combatterlo.
“Quindi?” chiese piatto. “Perché non mi hai ucciso e basta?”
Si rese conto di non essere spaventato o arrabbiato all’idea di essere arrivato al capolinea. Il suo piano era un fallimento, aveva passato gli ultima anni a sporcarsi le mani senza una possibilità di redenzione. Tutto quello che aveva fatto non era più giustificabile in onore dello Tsukiyomi. Tutto quello che aveva fatto era stato inutile. Il mondo era ancora marcio, ma ora era anche privo di soluzione. Morire era più accettabile, almeno si sarebbe ricongiunto a Rin e non avrebbe più dovuto sopportare una tale realtà.
Naruto rimase confuso alla sua domanda. “Cosa?”
“Perché sprecare tempo a parlarmi, avresti potuto uccidermi fin da subito”.
“Non voglio ucciderti”.
Le fiamme gialle danzavano dentro gli occhi blu, agitati di turbamento. Obito scosse la testa, incredulo che fosse scosso all’idea della sua morte.
“Ho ucciso i tuoi genitori, scatenato il Kyūbi contro il tuo Villaggio e sono il motivo del mostro dentro di te. Da quello che hai detto, porterò il mondo sull’orlo della distruzione dopo una guerra tremenda. Perché non mi uccidi e basta? È la soluzione più semplice”.
Naruto indurì la presa della mascella, quella linea dura lo rese ancora più simile a Minato-sensei e fu difficile mantenere il contatto visivo. Era come avere il suo fantasma davanti.
“È la sua soluzione più semplice,” confermò, “ma non quella giusta”.
Uno sbuffo simile a una risata trattenuta lasciò le sue labbra.
“Non esistono soluzioni giuste, solo quelle convenienti” tagliò corto.
Ignorò la calda luce esasperata che brillò negli occhi dell’altro, come se avesse sentito un discorso contro cui aveva già combattuto e vinto.
“Esistono, ma sono quelle più difficili e per questo raramente vengono prese. Siamo fortunati che io sia abbastanza ostinato da non mollare mai la presa, ‘tebayo!” assicurò con un sorriso pieno di sicurezza. “Non perderò l’occasione di salvare anche te e permetterti di riscattare le tue azioni!”
“Riscattare” ripeté e sentì una fitta di odio risvegliarsi nel suo petto. “Riscattare cosa? Questo mondo è marcio e corrotto fino al midollo, lo è nella sua natura, quindi perché dovrei provarci?” ringhiò nell’ultima frase, il discorso di Madara ancora impresso nella mente. Solo in un sogno le ombre potevano essere cancellate, non nella realtà. Il mondo, ogni singolo individuo è duale e questo non poteva essere cambiato dalla pura ostinazione.
“Perché ci sono altre brave persone che ci provano ogni giorno” ribatté sicuro. “Tutti lottiamo per la pace. Se questo mondo non ti piace, allora cambialo”.
“Ogni brava persona che ho conosciuto è stata uccisa, corrotta e distrutta” non mollò la presa. “Non puoi restare lo stesso all’inferno. È stato provato già moltissime volte e cosa puoi fare tu, che non abbiano già provato? Parlare? Hashirama ci ha provato, ma poi ha dovuto scavalcare cadaveri per avere un surrogato di pace temporanea”.
“Solo perché non c’è mai riuscito nessuno prima, non è detto che io non possa riuscirci!”
Obito socchiuse agli occhi al tono ostinato, pregno di una testardaggine che si rifletteva in tutta la sua espressione. In quel momento i suoi occhi sembravano essere pura determinazione.
“Cosa puoi fare tu da solo…” sibilò.
E, contro ogni previsione, Naruto sorrise. Stirò le labbra in un modo così genuino da essere quasi disarmante, non ricordava l’ultima volta che aveva visto qualcuno sorridere così.
“Ma io non sono solo” lo contraddisse dolce. “Ho Kurama con me”.
“Voi due soli allora” ringhiò, come se quell’ottimismo lo stesse ferendo. “Gli uomini odiano e temono i Bijū e i loro Jinchūrike. Non vi ascolteranno mai”.
“No, Obito, no” scosse la testa esasperato. “I Bijū sono nove, lo sai bene, e tutti loro hanno viaggiato con me. Avevo il loro chakra” gli ricordò,“e ricordano quello che ricordo io. Ho già controllato, appena sono saltato mi sono ritrovato nella dimensione condivisa dai Bijū”.
Obito era stanco di chiedere informazioni, ma più parlavano più scopriva cose che non sapeva.
“Dimensione condivisa dei Bijū?” echeggiò.
Ridacchiò. “Ecco, è come una grandissima stanza vuota dove i Bijū possono trovarsi per parlare, indipendentemente dalla loro posizione. Possono portare anche il loro Jinchūrike se sono abbastanza amici. Appena Kurama si è ripreso siamo andati lì e tutti ricordavano. Li ho portati indietro nel tempo con me, perché è il chakra che può viaggiare e i Bijū sono esseri di puro chakra”.
Annuì senza chiedere altre spiegazioni. Non aveva capito niente di come funzionasse quel sigillo e l’uomo era una merda a spiegarsi.
“Quello che voglio dirti” riprese Naruto, “è che sappiamo cosa vogliamo evitare. Per colpa della Quarta Guerra i Bijū hanno sperimentato la mortalità e il proprio annullamento. Non è qualcosa che nessuno di loro è disposto a ripetere”.
“Non cambia nulla” mormorò, gettò la testa all’indietro e socchiuse gli occhi verso il soffitto della caverna. “Uno, due, tutti e nove… I Bijū sono temuti nel loro insieme. Nessuno di loro verrebbe ascoltato”.
Naruto rimase in silenzio qualche secondo, come a volergli dare il tempo di aggiungere altro. Obito non lo fece, perciò iniziò lento: “I Bijū, i Jinchūrike… siamo da sempre stati usati come deterrente per la guerra, ma la verità è che non ha mai funzionato perché noi Jinchūrike siamo sempre stati disprezzati, i Bijū usati solo come armi. Ma se Jinchūrike e Bijū collaborano in una vera partnership, come me e Kurama, non c’è niente che possa fermarci. Avremo il potere di influenzare la politica”.
Obito inarcò un sopracciglio e tornò a guardarlo. “Suona paurosamente simile alla rivoluzione”.
Accennò un sorrisetto. “Non era questo l’obiettivo iniziale dell’Akatsuki?”
“Che è fallito” rispose più incerto di quanto volesse sembrare. “Ogni tentativo di rivoluzione è fallita”.
“Perché non ha mai avuto il sostegno dei Bijū”.
Obito cadde in un lungo silenzio contemplativo, lo sguardo puntato sul fuoco ma la mente impegnata a elaborare quanto sentito. Per quanto stesse cercando di contrastare la proposta, era già al lavoro per capire come procedere in una situazione simile e vagliava tutta la sua conoscenza.
Alla fine, era stato convinto ancor prima che se ne rendesse conto.
“Come procederesti?” chiese infine cauto.
Naruto sorrise e socchiuse gli occhi a quella concessione, si rilassò e lo guardò eloquente.
“Dovrei essere io a chiedertelo. Sei tu l’esperto della politica di questo periodo”.
Non ricambiò il sorriso. “La Nebbia insanguinata” disse. “Sto tenendo il controllo di Yagura, il Mizukage, ma non è solo sua la politica crudele. Consiglieri e gradi alti, lo stesso Daimyo… È per questo che mi è stato così facile manovrarlo. Kiri ha una storia alle spalle fatta di sangue”.
Naruto abbassò gli occhi, improvvisamente triste e malinconico. “Yagura era solo un ragazzino quando è morto nel mio tempo” sussurrò.
“È un pazzo violento” disse Obito. “Lo è da prima che cadesse nel mio genjutsu. Kirigakure è un Villaggio corrotto fino alle ossa. Se vuoi iniziare a cambiare il mondo, devi partire da lì”. Lo osservò attento, l’occhio nero che brillò brevemente di cremisi. “Quindi, come procederesti?”
Naruto si portò una mano ai capelli, allontanò i lunghi ciuffi biondi dagli occhi.
“Non so esattamente se siamo in anticipo o in ritardo, ma nella mia linea temporale Momochi Zabuza tentò un colpo di stato contro Yagura. Purtroppo fallì e divenne un nuniken”. Si morse le labbra prima di continuare. “Se non è troppo tardi, possiamo aiutarlo. Faremo vincere questa rivoluzione e installeremo un Mizukage più affidabile”. Lo vide sorridere affettuoso. “Ho già una persona in mente, una tipa tosta che ha tentato di cancellare il passato da incubo di Kiri. Nella mia timeline era il quinto Mizukage. Secondo me potrebbe piacerti”.
“C’è già stato il colpo di stato” lo fermò Obito prima che iniziasse a progettare troppo. “Il Demone della Nebbia ha già lasciato il Villaggio ed è un nuniken”.
L’espressione di Naruto cadde. “Sono arrivato troppo tardi anche per questo?”
“Non necessariamente” considerò. “Zabuza avrà anche abbandonato il villaggio, ma  non il suo obiettivo. Ora è un mercenario con i fratelli demone, in cerca di risorse per riprovare il colpo”.
Il suo interlocutore s’illuminò di nuovo. “Sarebbe ottimo” confermò. “Significa che ha anche già incontrato Haku!”
Obito non aveva la più pallida idea di chi fosse Haku, ma non gli importò. Stava continuano a macchinare, cercando falle e possibili soluzioni.
“Manderò Kisame a cercarlo, facevano parte della stessa squadra. Riuscirà sicuramente a trovarlo”.
Si sorprese nel vedere lo sguardo diffidente di Naruto, ma poi ricordò quello che gli aveva raccontato e si rese conto che per lui non doveva essere facile fidarsi dei membri di Akatsuki.
“Kisame sa tutto” disse tranquillo. “Anche dello Tsuki no Me, mi ha visto in faccia e mi ha seguito perché vuole un mondo senza bugie”.
Naruto annuì, ma aveva ancora la posa delle spalle rigide. Capì subito perché dal sussurro successivo.
“Nagato…”
Chiuse gli occhi brevemente, capiva quale fosse l’incertezza nel viaggiatore del futuro. Aveva ingannato Nagato, dicendogli che era la reincarnazione del Saggio dei sei cammini e la persona che avrebbe portato la pace nel mondo shinobi. Lo aveva detto per spingerlo a fare esattamente quello che voleva lui, quello che gli aveva raccontato erano tutte bugie. Come avrebbe reagito anche alla sola notizia che il rinnegan non era suo?
“Vedrò” disse alla fine.
In fondo, non era come se avesse davvero accettato di collaborare con questo Uzumaki Naruto dal futuro. Tutto quello che si erano scambiati era solo un’ipotesi su una probabile ma non già decisa collaborazione.
“Ho bisogno di tempo per pensare” continuò.
Naruto sorrise. “E per dormire” concordò in un tono dolce.
Forse era stato quel tono mansueto, ma improvvisamente Obito si sentì tranquillo, l’adrenalina che fino a quel momento lo aveva sostenuto nonostante la stanchezza smise di pompare nelle sue vene. Chiuse gli occhi e si ritrovò addormentato prima che se ne accorgesse.
 
֎
 
 
Spalancò l’occhio e nell’oscurità della caverna brillò il cremisi macchiato dai tomoi neri. Obito scandagliò l’ambiente attorno, il fuoco stava lentamente morendo e dall’altra parte anche Uzumaki sonnecchiava incauto. Con una rapida occhiata si assicurò che fossero soli nella caverna. Fuori aveva iniziato a piovere, sentiva il rimbombo della pioggia e dei tuoni echeggiare dall’entrata del cunicolo. Gli era impossibile capire quanto avesse dormito, ma sentiva di aver ripristinato abbastanza chakra da poter tentare qualcosa.
Solo che non sapeva ancora cosa.
Silenzioso si alzò e puntò il viso verso il corpo addormentato del suo accompagnatore. Nel sonno sembrava assolutamente innocuo, ignaro di quello che lo circondava. Se voleva scappare, quello era il momento adatto. Anche se si fosse svegliato in tempo, con il kamui poteva seminarlo.
Invece, rimase a fissarlo. Da così vicino, poteva notare anche le similitudini con Kushina. I colori erano tutti di Minato, ma i suoi lineamenti morbidi ricordavano quelli della donna e anche il suo carattere impetuoso, da quel poco che aveva visto, era in perfetto stile Uzumaki.
Forse rimase a fissarlo troppo a lungo con lo sharingan attivo e dovette rendersi conto di qualcosa, perché improvvisamente Naruto aprì gli occhi. Ma invece di specchiarsi nelle pozze blu a cui si era abituato, si immerse in un’iride rosso sangue.
Il secondo dopo sentì il proprio sharingan attivarsi e si ritrovò in un posto che non era la caverna dove si era nascosto. Con i sensi in allerta si osservò attorno, chiedendosi cosa fosse quel posto che assomigliava così tanto a una fognatura, con una bassa acqua che gli arrivava alle caviglie e tubature che attraversavano tutta la sua struttura. Il continuo gocciolare dell’acqua fu improvvisamente interrotto da un ringhio.
Obito sussultò e prima che se ne rendesse conto si trovò a fronteggiare un muso peloso su cui spiccavano due enormi occhi rubino, la pupilla affilata come quella di un demone. Fece un passo indietro alla vista dell’imponenza della Kyūbiko.
Uchiha…” ringhiò il mostro fendendo l’aria attorno a lui con una coda.
Obito si preparò a mettersi in posizione di attacco, ma l’enorme volpe dal pelo scuro si spostò e la sua attenzione fu catturata da una delle code. Era arrotolata in se stessa, come a formare un nido, su cui era accoccolata l’immagine mentale di Naruto. Stava dormendo, proprio come la sua controparte fisica, e Obito capì che se poteva permettersi di appisolarsi in modo così incauto era per via della bestia che vegliava al suo posto.
“Kyūbi” replicò ricordando l’ultima volta che l’aveva incontrato. All’epoca era riuscita a costringerlo nel suo genjutsu, ma sospettava che questa volta non ci sarebbe riuscito. Del resto non aveva riguadagnato abbastanza chakra.
La volpe strinse gli occhi infastidita e mostrò le zanne.
Naruto ti ha detto il mio nome, usalo”.
Ricambiò lo sguardo con altrettanto sospetto, ma alla fine concesse:
“Kurama”.
Il demone, però, non abbandonò la sua posa offensiva. Le sue code continuavano a muoversi nervose, come pronte a essere lanciate contro di lui per spazzarlo via.
Allora, hai preso la tua decisione?” lo pungolò.
Obito abbassò gli occhi verso il ragazzo accoccolato nella pelliccia. “Non lo so. Mi sembra troppo ingenuo, il mondo non si cambia con il solo ottimismo”.
Inaspettatamente, una risata lasciò le zanne della bestia.
Stai parlando di Naruto, il moccioso che chiama i Bijū per nome e li tratta come amici” lo avvisò. “Non crederai quanto può essere in grado di sorprenderti”.
Scosse la testa. “Prima o poi verrà anche lui spezzato da questo mondo, proprio come è successo a me. Madara ha solo accelerato i tempi, ma è qualcosa di inevitabile”.
Il demone lo derise ancora, socchiudendo gli occhi sprezzante.
Voi Uchiha siete tutti dei muli ostinati. Vi vantate così tanto dei vostri occhi e poi non sapete nemmeno usarli” sputò. “Naruto ti ha raccontato la sua storia, quello che ha passato fin da bambino a causa mia, di tutte le sue perdite, della guerra… eppure niente l’ha spezzato. E non credere che io non abbia provato a tentarlo! Non sai quante volte ho provato a spingerlo a lasciarsi andare alla distruzione, ho provato per anni a farlo cedere alla sua rabbia interiore e guarda com’è finita” brontolò. “Non solo con me. Anche tu, durante la guerra, hai tentato di rompere la sua determinazione e portarlo dalla tua parte… e alla fine sei tu che sei passato dalla sua”.
Obito fece una smorfia incerta, non si rese nemmeno conto di arrossire.
E anche se non fossi ancora convinto: la tua futura guerra ha distrutto Konoha e ucciso i suoi amici, eppure ora lui è qui a proporti una collaborazione senza pensarci due volte. Si fida di te. Se vuoi sperare nel cambiare questo mondo, Naruto è la carte vincente e te ne devi essere reso conto. Quindi, moccioso Uchiha, dimmi qual è il vero problema” terminò minaccioso.
Obito si sentì spaventosamente simile a un bambino sgridato, ma non commentò quel tono. Il suo occhio era puntato su Naruto, sul suo volto era comparsa una smorfia e sembrava sul punto di risvegliarsi.
Carta vincente, mh?
Con un sospiro, ammise: “Non voglio cedere alla speranza e vedermela strappare via di nuovo…”
Kurama ruotò le orecchie, apparentemente divertito.
Non succederà, non se Naruto te l’ha promesso”.
“Come fai a esserne così sicuro?” domandò esasperato.
Il ghigno della volpe mise in mostra le sue zanne, ma non sembrava minaccioso, solo orgoglioso.
Perché il cucciolo non viene mai meno alla parola data” assicurò. “Perché questo è il suo modo di essere un ninja”.
Sbuffò incredulo a quella risposta, ma ormai Naruto si era svegliato e non riuscì a replicare nulla alla volpe.
“Ohi” sbadigliò il ragazzo scendendo dal suo nido. “Non stavate litigando, vero? Devi scusarlo, a Kurama voi Uchiha non state simpatici…”
Obito non replicò mentre si avvicinava calpestando l’acqua a grandi passi. Quando se lo trovò davanti si accorse che lo superava di un centimetro. Naruto gli stava sorridendo genuino, gli occhi pieni di fiducia come se sapesse già la risposta di Obito.
“Allora?” chiese comunque alla fine tendendogli la mano. “Sei con me? Mi aiuterai?”
Fissò la mano, ancora un poco pungolato dall’incertezza. Ma poi sospirò, rendendosi conto che se avesse voluto scappare l’avrebbe fatto prima. Se non era successo era perché voleva credergli.
Afferrò la mano. “Sì”.
Il sorriso di Naruto si espanse, sembrò illuminarlo tutto dalla gioia e ricambiò la stretta con forza. Ma poi chiuse gli occhi e parve spegnersi di colpo, un solco amaro tra le sopracciglia contratte.
Obito non ebbe nemmeno il tempo di sorprendersi di quel brusco cambio che qualcosa lo trapassò al petto. Fu così veloce che il dolore arrivò dopo, quando si accasciò in avanti privo di forza e con del sangue che colava dall’angolo delle labbra. Sentì l’odore nauseante del chakra che bruciava la sua pelle artificiale.
“Mi dispiace, Obito” fu l’ultima cosa che sentì. “Mi dispiace”.
Poi crollò nell’oscurità, la luce di quel sorriso sbiadì nell’incoscienza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** I fantasmi di Uzushio ***


Capitolo 1
I fantasmi di Uzushio
 
 
«By the grace of the fire and the flames
You're the face of the future, the blood in my veins»
(Believer – Imagine Dragons)
 
 
Un anno e otto mesi dopo…
 
Hiruzen era preoccupato.
Quella mattina fumava come al solito dalla sua fedele pipa osservando fuori dall’ampia finestra dell’ufficio dell’Hokage. Era una bella giornata di sole, la primavera iniziava a fare la sua comparsa con un cielo limpido e privo di nuvole che non rispettava per nulla il suo umore. Dalla sua altezza poteva vedere le strade piene del suo villaggio, i civili passeggiare spensierati nelle loro faccende e i bambini giocare ai ninja saltando sui tetti delle case. Dall’attacco del Kyūbi ormai tutta Konoha era stata rimessa in piedi ed era da allora che si respirava una relativa aria di pace, per lo meno nella Regione del Fuoco. Non poteva dire che le altre nazioni fossero altrettanto quiete.
Voci avevano riportato la rivoluzione turbolenta che c’era stata a Kiri e di molte altre azioni improvvise a Kumo e Iwa, mentre a Suna era aumentata la sicurezza per via di un incidente capitato con il loro Jinchūrike. Una turbolenza che sembrava aver colpito ogni paese tranne il loro.
Soffiò fuori del fumo. Questo era sospetto.
Ma la sua preoccupazione non derivava solo da queste considerazioni. No, aveva un carattere molto più concreto e si trovava sul libricino stretto tra le mani del suo allievo.
Attese qualche altro secondo prima che Jiraiya alzasse il viso dal bingo book di Iwa.
“Da quando?” chiese.
La sua domanda poteva avere molti significati, ma Hiruzen la capì subito. Si voltò, fronteggiandolo con apparente calma.
“Da una settimana a quanto pare. Iwa ha classificato questi due ninja mancanti una settimana fa” specificò, prese un’altra boccata dalla pipa. “Ma a quanto pare ci sono azioni a loro amputabili antecedenti di molti mesi. Qualcuno dice che siano anche dietro alla rivolta di Kiri di quasi due anni fa”. Osservò penetrante il sannin. “Tu non ne sapevi niente?”
“Avevo sentito voci” chiosò evasivo. “Ogni genere di sciocchezza, perfino di un presunto fantasma di Minato che gironzola in giro. Ma sì, mi era giunto alle orecchie della presenza di due nuovi nuniken di classe S”.
Hiruzen inarcò le sopracciglia, aumentando le pieghe della fronte nella sua espressione incredula.
“E non hai mai pensato di venirmelo a riferire?”
Jiraiya fece un’espressione spazientita. “In questo periodo i nuniken saltano fuori come funghi” si giustificò stizzito, “e non sapevo si trattasse di un Uchiha”.
A quelle parole il Sandaime tornò turbato, era quello il motivo principale per cui la notizia era giunta alla sua attenzione. Del resto, come aveva detto Jiraiya, non erano rari i nuniken in quel periodo di riassestamento politico.
Riprese il bingo book, quasi nella speranza che nelle pagine fossero comparse nuove informazioni. Ovviamente, non era così. Dei due ninja classificati solo di uno si aveva una descrizione fisica, ma risultava vana dal momento che parlava solo di un uomo mascherato. L’unica cosa che poteva distinguerlo a quanto pare era il suo sharingan, che lo conduceva agli Uchiha, quindi a Konoha. Del suo compagno invece non c’era assolutamente nulla, se non una S ben marchiata.
Hiruzen si chiedeva quanto le altre nazioni avrebbero aspettato prima di amputare le scorribande di questi due nuovi nuniken a Konoha, visto che era la casa del clan Uchiha.
Come se non mi stessero già dando troppi problemi…
“Cosa devo fare?” chiese Jiraiya, tirandolo fuori dai suoi mille pensieri.
Onestamente, non lo sapeva. Le informazioni a loro disposizione erano troppo poche, non sapevano esattamente di quali crimini contro Iwa si erano macchiati per finire nel bingo book e quali fossero le loro intenzioni con Konoha.
“Vorrei che indagassi” disse alla fine. “Voglio più informazioni su di loro e sapere perché, se quest’uomo è davvero un Uchiha, non si trova qui con il suo clan. Voglio una descrizione del loro aspetto e delle loro abilità, voglio conoscere quale sia il loro legame con Kiri e soprattutto voglio sapere le loro intenzioni verso Konoha”.
Ignorò l’evidente risentimento negli occhi del suo allievo. Si rendeva conto da solo che quello che stava chiedendo era molto.
“Me ne occuperò” concesse alla fine con la stessa umiltà di un imperatore. “Sacrificherò un po’ di tempo dalle mie ricerche, ma lo farò”.
Hiruzen alzò gli occhi al cielo al pensiero delle sue ricerche.
“Se li trovo”, aggiunse Jiraiya nuovamente serio, “cosa devo fare?”
Sbuffò fumo davanti alla ovvia domanda che non aveva un’altrettanta ovvia risposta.
“Se quest’uomo è davvero un Uchiha, abbiamo il dovere di accoglierlo al villaggio”meditò. “Ovviamente qualora le loro intenzioni fossero aggressive nei nostri confronti… eliminali” tagliò corto.
Grado S o meno, Jiraiya era uno dei Sannin. Si fidava del suo giudizio quanto delle sue capacità, non avrebbe avuto difficoltà nell’affrontarli. Si tolse la pipa dalla bocca e andò a sedersi dietro alla scrivania, dove cominciò a pulirla in gesti meccanici.
“Inutile dire che non voglio che questa missione giunga alle orecchie delle altre nazioni” disse concentrato nell’azione.
Jiraiya lo guardò offeso. “Per chi mi hai preso?” protestò prima di sparire in un pop di fumo bianco.
Hiruzen non si scompose al congedo senza il suo permesso, gli anni passavano ma Jiraiya restava il suo allievo più insubordinato. Le sue labbra si stirarono un sorrisetto divertito al pensiero di un altro bambino insubordinato che, era certo, in quel momento stava creando scompiglio al villaggio con uno dei suoi scherzi.
 
Jiraiya non lasciò subito Konoha, prima di prepararsi alla partenza passò dentro un appartamento povero e malandato. Entrò senza nessuna fatica trovandolo, come aveva immaginato, vuoto. Il figlio del suo allievo doveva essere in giro da qualche parte.
Come ogni volta sospirò davanti all’incuria della casa e si accigliò al latte scaduto, la biancheria sporca a terra e le sole scatole di ramen istantaneo nella dispensa. Placò la rabbia nello stomaco e si ripeté nella mente che tutto quello era necessario per proteggerlo, che se lo avesse preso sotto la propria ala Iwa avrebbe scoperto della sua esistenza. Nessuno doveva sapere dell’esistenza del figlio del Quarto Hokage e perciò doveva stargli lontano per la sua stessa sicurezza.
Ma, be’, questo non gli impediva di lasciargli dei regali di tanto in tanto. Dalla coperta sul letto poteva assicurarsi che apprezzava i suoi doni a fantasia rane. Soddisfatto quindi affondò con la mano dentro la sua sacca da viaggio e pescò un portamonete verde, dall’aspetto di un rospo rotondo. L’appoggiò sul tavolo e si rammaricò nella consapevolezza di non poter vedere la reazione del figlioccio.
Con un’ultima occhiata, saltò sul tetto e da lì corse fino alle porte del villaggio. Solo una volta fuori evocò un rospo che potesse trasportarlo. Era poco discreto, ma decisamente degno del suo rango da affascinante eremita.
Sospirò esasperato quando Gamaho gli rivolse un’incredula occhiata lacrimosa, come se stesse vedendo un fantasma che il suo evocatore. Jiraiya preferì non commentare e con stizza salì sul suo dorso. Ormai erano due anni che ogni rospo che evocava lo guardava con quel misto di incredulità e tristezza, come se fosse morto e risorto.
Scosse la testa e incrociò le braccia al petto.
Rospi, commentò, tipi strani.
 
֎
 
Dovette passare un altro mese di continui buchi nell’acqua prima che Jiraiya potesse trovare una pista valida e solida. Gli era stata data da uno fidato contatto del Paese delle Onde, quindi era molto fiducioso che lo avrebbe portato ai due ninja vagabondi. Era stato davvero molto sorpreso nello scoprire che al momento si trovavano tra le rovine di Uzushio. Il perché fossero lì era qualcosa che gli sfuggiva, ma appunto si fidava della sua pista e anche il suo istinto gli suggeriva che quella era la volta buona.
Fu un po’ difficile trovare un passaggio verso l’isola, nessuno sembrava volerla raggiungere. Dicevano che ultimamente fosse abitata da fantasmi inquieti. Quelle voci avevano rafforzato la sua convinzione, non aveva dubbio che i presunti fantasmi fossero in realtà i due nuniken.
Alla fine riuscì a noleggiare una barca. Durante il viaggio via mare si mise a riflettere sulle ultime scoperte sui due. Aveva raccolto qua e là descrizioni contrastanti sul presunto compagno dell’Uchiha, ma alcune lo avevano turbato molto dal momento che addicevano una somiglianza incredibile con il Lampo Giallo di Konoha. Aveva poi dovuto ridimensionare la sua sicurezza nel poterli battere, dal momento che si erano rilevati più forti del previsto. Certo, questo se era vero che si erano scontrati con lo Tsuchikage e l’ex-Mizukage. Dalle informazioni raccolte, però, poteva avere una certezza: avevano avuto un ruolo più che decisivo nel recente colpo di stato a Kiri e sull’insediamento del nuovo Mizukage, Mei Terumī. Sapeva che quest’ultima notizia aveva turbato particolarmente il Sandaime quando l’aveva riferita, anche se non sapeva perché. Da quando si era insediata la Mizukage i rapporti diplomatici con Kiri erano migliorati, quel colpo di stato era stato un vantaggio da questo punto di vista.
Poteva però condividere le preoccupazioni dell’Hokage su questi due individui sconosciuti, anche se doveva ammettere a se stesso di essere un poco emozionato di incontrarli dopo averli cercati così a lungo.
Attraccò a Uzushio nel pomeriggio, la navigata era stata calma e grazie all’uso del chakra era riuscito a governare le correnti marine che proteggevano l’isola.
Quando scese alla spiaggia rimase  per un secondo in silenzio contemplativo,  a osservare il profilo delle rovine rimaste. Il suo cuore si contrasse in un sentimento di dolore e vergogna davanti alla vista della città alleata distrutta. Avvicinandosi al suo centro poté costatare che il tempo aveva solo aumentato la desolazione di quel luogo spettrale, le macerie erano ancora sparse nella strada in un mosaico di edifici fatiscenti e diroccati. Eppure c’era stato un tempo in cui Uzushio era stata una città splendida.
Sospirò e chiuse gli occhi, fece del suo meglio per allontanare le ombre del passato e si sforzò invece di rilevare qualche traccia di chakra nella zona. Fu sorpreso di individuarne subito, quando si era già rassegnato che ci sarebbe voluto tempo e concentrazione. Erano riusciti a scappare dal radar internazionale per quasi due anni dal loro debutto, non si aspettava che fosse così facile localizzarli, come se non stessero nemmeno tentando di nascondersi.
Rimase turbato nell’accorgersi che entrambe le firme di chakra erano mostruose, quelli non erano di certo ninja qualunque.
Una volta localizzato il punto, cominciò a muoversi fra le macerie verso una parte relativamente pulita del villaggio, fino a una piazza dove torreggiava la carcassa di una fontana secca e incrostata dal sale. Jiraiya ricordava quella fontana, la sua bellezza e il suo zampillare continuo d’acqua. Ora era solo l’ombra di un tempo, proprio come il resto della città.
Con un sospiro, lasciò la piazza per dirigersi verso un edificio. Era una torretta mezza crollata, ma la firma di chakra che aveva sentito veniva da là dentro. Non si fidava a entrare in un luogo chiuso sconosciuto, dove avrebbe potuto avere qualche svantaggio, ma non aveva scelta.
Dentro era luminoso, il sole filtrava dal tetto mancante e gli permetteva di vedere tutto con estrema chiarezza. Aveva i sensi in allerta, ma sussultò di sorpresa quando qualcosa piovve dall’altro, atterrando davanti a lui silenzioso come un gatto.
Una persona.
Per un momento Jiraiya rimase senza fiato nel vedere quei lunghi capelli biondi e gli occhi chiari in un viso gioioso che conosceva troppo bene. Si bloccò, sconvolto di vedere davanti a lui il fantasma di Minato. Ma prima che potesse formulare qualsiasi pensiero, il fantasma davanti a lui esultò:
“Ero-sennin!”
Qualsiasi cosa stesse pensando, svanì. Oltraggiato Jiraiya lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite.
“Come?!”
 
La sua protesta rimase inascoltata, ma a dir la verità il fantasma davanti a lui non ebbe nemmeno il tempo di replicare prima che il suo compagno comparisse letteralmente dal nulla. Fu solo grazie ai riflessi guadagnati nella sua lunga vita da ninja che Jiraiya riuscì ad abbassarsi in tempo per evitare prima un calcio volante in faccia, poi un attacco al suo fianco. Il suo corpo era entrato in assetto di battaglia ancor prima che se ne rendesse conto, ma non poté in alcun modo evitare la sensazione di risucchio che provò. Il secondo dopo si ritrovò senza sapere come di nuovo nella piazza con la fontana.
Una tecnica spazio-temporale, realizzò mettendosi in posizione di difesa. Non ci volle molto che anche il ninja che lo aveva attaccato comparisse davanti a lui, le mani già unite a formare sigilli. Dalla maschera arancione a spirale che gli copriva il volto lo riconobbe come il misterioso Uchiha. Subito dopo una pioggia di proiettili infuocati piovve su di lui. Non se ne preoccupò troppo, cominciò subito a incanalare il chakra per un muro d’acqua, che li bloccò prima che si avvicinassero troppo. Ma l’Uchiha seppe approfittarne del vapore che l’impatto sprigionò. Jiraiya dovette fare un salto indietro nel vedere la sua figura nella nebbia avvicinarsi in un attacco frontale. Trovò sciocco quell’attacco diretto, che gli indeboliva la difesa, ma non ci perse troppo tempo a pensarci, deciso ad approfittarne subito. Il chakra cominciò a vorticare veloce nel palmo della sua mano sempre più visibile, fino a formare il rasengan. Allungò la mano per colpirlo alla spalla proprio nel momento in cui fu abbastanza vicino per farlo, ma… scivolò oltre. Sul momento pensò di averlo mancato – cosa impossibile – ma poi la sua sorpresa aumentò quando, incapace di fermare lo slancio, lo attraversò da parte a parte.
Cosa? Intangibilità?
Troppo sorpreso da quello che era appena successo non riuscì a reagire prontamente all’attacco successivo del nemico. Fu con sgomento che si vide costretto in difesa, tentando di resistere e fallendo nel sovrastare ogni colpo. Nell’unico foro della maschera vide lo sharingan brillare di luce sanguigna, il nero unito in una figura geometrica a tre punte che era sicuro di aver già visto da qualche parte.
“Obito! Fermati!”
Il sangue congelò nelle vene a sentire il nome del bambino Uchiha allievo di Minato, morto durante l’ultima guerra. Si domandò se stesse davvero combattendo con un fantasma, visto anche la sua impossibilità di colpirlo. Fece l’errore di distrarsi, puntando gli occhi verso l’entrata dell’edificio: il fantasma di Minato era uscito e stava tentando di raggiungerli.
Capì troppo tardi di aver sbagliato a concedere quello squarcio nella sua difesa, ma nessun colpo arrivò. Approfittando di quell’occasione mancata indietreggiò con un balzo, salvo poi paralizzarsi di nuovo nell’accorgersi che il suo avversario era stato bloccato da un’enorme mano di chakra giallo che partiva dal corpo del fantasma di Minato. Fissò quel chakra sconvolto, riconoscendolo subito, mentre il fantasma ritraeva la mano fino a costringere l’Uchiha intrappolato al suo fianco.
“È ero-sennin!” strepitò alterato. “Non è un nemico!”
Jiraiya era così sconvolto nel vedere il chakra del Kyūbi che non fece nemmeno caso all’oltraggioso modo in cui era stato chiamato. Tornò teso però quando l’Uchiha scivolò via dalla presa della mano di chakra, non abbassò la posa nemmeno quando lo vide rimanere al fianco del suo compagno. Il quale, nel frattempo, aveva dissolto il chakra dorato attorno a lui.
“Yo” salutò imbarazzato, un dito sotto il naso.
Jiraiya non si lasciò incantare.
“Chi siete?” abbaiò.
La risposta arrivò come un treno.
“Uzumaki Naruto dal futuro al tuo servizio, dattebayo!”
…L’opzione fantasma gli sembrò molto più probabile.
 
Obito chiuse gli occhi rassegnato al modo scenico che il suo compagno di viaggio aveva per presentarsi, poté solo provare pietà per il sannin davanti a lui e per la sua mascella che quasi toccava il pavimento. Era anche molto sorpreso che Naruto avesse scoperto la carta subito, senza nessuna esitazione, quando aveva dovuto pregarlo per giorni perché dicesse la verità a Kisame.
“Questo è impossibile, stai mentendo!” si riscosse Jiraiya con il volto paonazzo. “Uzumaki Naruto ha sette anni e ora si trova a Konoha!”
“Quale parte dal futuro non ti è chiara, vecchio?” borbottò con più fastidio di quanto volesse, finse di non notare l’occhiata irritata che gli lanciò Naruto.
“Perché non ci sediamo e rilassiamo tutti?” propose vivace. “C’è tanto di cui parlare”.
Il suo tentativo di pace non fu ovviamente accettato.
“I viaggi nel tempo sono impossibili”.
Obito si ritrovò a essere ancora più irritato da quella diffidenza, ma sapeva di non poterne fare una colpa, anche lui quando lo aveva sentito la prima volta era stato così scettico e aggressivo. Solo… era fastidioso.
Invidiò la calma di Naruto che, nonostante un sospiro stanco, si sedette placido a terra a gambe incrociate in un invito a imitarlo. Né lui né Jiraiya lo imitarono e ciò gli fece alzare gli occhi al cielo.
“Hai ragione, ora nessuno è riuscito a maneggiare un sigillo spazio-temporale di questa portata” confermò Naruto, si passò la lingua a inumidirsi le labbra. “Ma fra undici anni nel futuro riuscirò a crearne uno e… attivarlo”.
“Hai un modo per provarlo?” fu la prima cosa che ovviamente replicò il sannin.
Ma la risposta di Naruto fu meno ovvia. Con un sorrisetto divertito disse:
“So che il tuo prossimo libro che hai intenzione di scrivere si chiamerà Icha Icha Innocence e tratterà del puro amore”.
Obito poté vedere lo sconvolgimento nei piccoli occhi scuri, mentre la sua intera faccia larga sbiancava. Considerò che nel caso ci fossero state mosche nelle vicinanze il vecchio ninja le avrebbe sicuramente catturate tanto aveva spalancato la bocca.
“Ho appena pubblicato Violence” balbettò Jiraiya. “Non ho parlato del prossimo progetto nemmeno con il mio editore”.
Naruto incrociò le braccia e alzò il mento soddisfatto. “Mi credi adesso?”
“È troppo assurdo” rimase ricalcitrante.
La soddisfazione di Naruto evaporò. “Mi ascolterai almeno?” chiese.
Obito si sentì fissato brevemente, ma poi gli occhi di Jiraiya tornarono sul ragazzo seduto a terra.
“Si, posso farlo” confermò sedendosi a sua volta.
A questo punto, era rimasto l’unico in piedi. Sentendo gli occhi di Naruto su di sé sospirò e si sedette sulla piazza polverosa a sua volta. Si tolse anche la maschera, riconoscendo la tacita richiesta del suo compagno, sapeva che odiava quando la indossava.
Jiraiya sussultò quando scoprì i suoi lineamenti, gli occhi puntati sulle cicatrici che rovinavano tutto il lato destro del suo viso.
“Tu… sei davvero Uchiha Obito” constatò con gli occhi velati da qualcosa che non riuscì a decifrare. “Credevamo fossi morto a Kannabi”.
Poteva sentire chiaramente la domanda sott’intesa in quelle parole, ma rimase zitto. Non sapeva da dove aveva intenzione di iniziare Naruto, ma alla fine avrebbe avuto la sua risposta.
“Uhm, ero-sennin…” ronzò Naruto per richiamare l’attenzione del vecchio e poté vedere il momento esatto in cui la realizzazione lo fece esplodere.
“Si può sapere perché mi chiami in questo modo indegno?!”
Obito faticò a trattenere un sorrisetto, mentre Naruto si lasciò andare a una risata cristallina senza freni.
“Che? Perché sei un eremita pervertito ovviamente!”
Almeno Jiraiya ebbe la decenza di sembrare imbarazzato.
“Io…”
“La prima volta che ci siamo incontrati” lo interruppe Naruto, “ti ho beccato a spiare le donne nude alle terme! E per convincerti ad allenarmi ho dovuto usare la Sexy no jutsu!”
Obito non conosceva quella parte di storia e non riuscì a trattenersi dall’inarcare un sopracciglio. “Sexy no jutsu?” echeggiò.
“Mi trasformo in una bellissima donna nuda” spiegò spensierato.
Certo, questo chiariva tutto, tipo a cosa servisse una tecnica simile e perché fosse stata inventata. Al suo contrario Jiraiya sembrò molto interessato dall’idea di una tale tecnica, ma non chiese nulla. Invece domandò esasperato:
“Chi diavolo sei?!”
“Te l’ho detto!” protestò. “Uzumaki Naruto dal futuro!”
Da qui iniziò a spiegare. Obito socchiuse gli occhi e si appoggiò al muro della casa in una posa apparentemente rilassata, ma rimase vigile e con lo sharingan che brillava tra le ciglia. Non badò a Naruto, che senza tanti preamboli parlò del risveglio di Kaguya e del suo potere mostruoso, come avesse messo in ginocchio tutte le nazioni ninja. Di come la situazione fosse così disperata che non c’era stata altra scelta che creare un sigillo che lo portasse indietro nel tempo per prevenire il disastro.
Jiraiya era attento, particolarmente interessato sul sigillo e la sua tecnica, i suoi occhi brillavano di fascinazione. Dalle sue informazioni, tra i tre sannin era lui l’esperto di sigilli, era abbastanza ovvio che fosse così coinvolto. Naruto si trovò in difficoltà a rispondere alle sue domande particolari, da esperto, ma in qualche modo i due parevano capirsi e Jiraiya lo ascoltò ammirato. Ma la sua attenzione era offuscata da una luce amara, dalla consapevolezza che il loro mondo era destinato a una terribile fine.
Alla fine ci fu un lungo silenzio.                                         
“Mi dispiace” disse Jiraiya sincero. “Ti credo… anche se, diamine, questa storia è così assurda!” Scosse la testa, poi tornò a guardarlo. “Cos’hai intenzione di fare? E perché sei con lui?”
Che dovrebbe essere morto, non lo disse ma Obito poté sentire comunque quel non-detto. Strinse le labbra e tornò a fissarlo con più attenzione, ora arrivava la parte difficile.
“Mi hanno mandato indietro per salvare il mondo”, iniziò Naruto, “Ed è quello che farò. Farò qualsiasi cosa per evitare la Quarta Guerra Ninja e la rinascita di Kaguya”.
Sospirò, Naruto doveva assolutamente rivedere il suo modo di dare certe notizie. Non si stupì che Jiraiya strabuzzasse gli occhi per l’ennesima volta in quasi un’ora.
“Quarta Guerra?!”
“Ehm, diciamo che Kaguya è potuta tornare grazie a questa guerra che…” Naruto si grattò con imbarazzo la nuca. “Ti metterei al corrente di molte cose, credi di… di poterlo gestire?”
Jiraiya assottigliò gli occhi, come se lo stesse sfidando a qualcosa a cui non poteva assolutamente tirarsi indietro.
“Dimmelo”.
E Naruto cominciò, raccontando la sua storia dall’inizio, la stessa che Obito aveva chiesto di ripetergli più volte in quell’anno e mezzo. Anche questa volta prestò attenzione, nonostante fosse arrivato a conoscerla a memoria. Non sapeva perché fosse così importante per lui sentirsela ripetere, forse funzionava come una sorta di promemoria. Forse era semplicemente curioso di quei ricordi di un futuro che non esisterà più. Sapeva solo che non si sarebbe mai stancato di ascoltarlo ancora e ancora, nonostante il dolore che gli procurava. Ma la volontà ardente e luminosa di Naruto ogni volta che raccontava quella storia lo scaldava come la luce diretta del sole, era piacevole. Quell’incrollabile fiducia in se stesso gli faceva desiderare di provarla a sua volta.
Jiraiya fu un buon ascoltatore e Obito si chiese se anche lui aveva quella meraviglia nello sguardo la prima volta che Naruto gli aveva raccontato la sua storia. Il vecchio eremita dei rospi ascoltò in silenzio senza intervenire, solo raramente lo interrompeva per una precisazione. Una luce calorosa brillò nei suoi occhi scuri quando arrivò il momento del loro futuro incontro e dell’allenamento insieme. Anche Naruto sembrava commosso mentre parlava, ma anche profondamente malinconico. Una malinconia che si infittiva sempre più continuava.
Lesse il turbamento di Jiraiya quando venne a conoscenza del destino dei tre orfani di Ame ed ebbe un forte sussulto quando arrivò alla sua morte.
Naruto si fermò, gli occhi umidi e un’espressione piena di rimpianto.
“Ero-sennin…” piagnucolò come se volesse chiedere scusa.
Ma quello scosse la testa. “Continua” lo esortò.
Suo malgrado Obito si trovò ad ammirare il stoicismo dell’uomo, ma del resto era un ninja e ogni ninja è chiamato ad accettare la propria morte nel momento in cui si presenta.
Jiraiya ascoltò in silenzio il resto della storia, con la consapevolezza che non ne faceva più parte. Si corrucciò un poco nello scoprire della futura strage Uchiha, della scelta di Itachi e il conseguente cammino nell’oscurità di Sasuke.
Ma la reazione che fece quando Naruto cominciò a raccontare di lui, Obito, l’uomo dietro alla maschera e dell’attacco a Konoha da parte del Kyūbi, fu molto più violenta. Si accorse subito del pericolo e il suo kamui era già attivo quando Jiraiya estrasse un kunai e lo lanciò contro di lui. Naruto sussultò e provò a reagire, ma non fece comunque in tempo e il kunai lo attraversò cadendo a terra.
“Ero-sennin!” gridò allarmato.
Jiraiya era in piedi, pronto ad attaccare. “È l’assassino di Minato e Kushina!”
Obito a sua volta era in posizione difensiva, si era tenuto pronto per quel momento. Sapeva bene che l’eremita non sarebbe stato calmo a sentire quella parte della storia. Anzi la sua reazione era molto più ovvia di quella che aveva Naruto, che si intromise fisicamente tra i due.
“Non combattete” ringhiò minaccioso.
Obito poteva sentire quanto era vicino dallo sfoggiare il chakra di Kurama, in una chiara manifestazione di potere e dominanza. Non era un segreto che sarebbe stato Naruto quello che avrebbe fatto il culo a strisce a entrambi se avessero iniziato a combattere. Per questo rilassò la posa minacciosa e fece ruotare il kamui finché non tornò a essere il normale sharingan.
Al suo contrario, Jiraiya non cedette di un’oncia.
“È l’assassino dei tuoi genitori” sibilò ancora una volta con gli occhi puntati sul suo obiettivo.
“Tecnicamente non è stato proprio lui, i miei sono morti mentre sigillavano Kurama…”
Jiraiya assottigliò ancora di più gli occhi a quella frase.
“Parli con troppo affetto di un demone” lo avvisò.
Quella fu la cosa sbagliata da dire. Il chakra di Kurama lo ricoprì all’improvviso, in tutta la sua potenza, creando un mantello sulle sue spalle che risplendeva di un potere pericoloso e schiacciante, che costrinse Jiraiya a fare un passo indietro.
“Kurama è mio amico” ringhiò Naruto. “Il mio migliore amico, il compagno della mia vita”.
“Ha distrutto il villaggio, ucciso persone innocenti”.
“Perché l’avete trattato come un’arma per secoli, imprigionandolo in bambini che venivano odiati e temuti!” gridò più forte. “Non puoi biasimare la sua rabbia, né quella di Obito. Se l’ha fatto è stato anche per quello che è successo! Non è colpa sua!”
Al contrario delle parole appena pronunciate, Obito sentì il senso di colpa abbatterlo al punto di piegargli le spalle. Era ancora incredulo come Naruto potesse sostenere con così tanta tranquillità la sua difesa dopo tutto quello che aveva (e in un altro futuro avrebbe) fatto.
Con un sospirò ritirò del tutto lo sharingan, l’iridi di nuovo color petrolio, e tornò seduto a terra. Con una mano si resse il volto mentre appuntava il gomito su una gamba.
“È stata colpa mia” disse, catturando l’attenzione di Naruto che si voltò a guardarlo di profilo. “Sai che intendevo farlo”.
Non osservò la reazione che ebbero alle sue parole, seppe solo che Naruto disperse la modalità Bijū e il caldo chakra dorato smise di illuminare l’ambiente circostante. Con il calare del sole del pomeriggio sulla piazza si erano allungata le ombre degli edifici in rovina.
“Hai ragione” disse Naruto. “Ma una persona mi ha insegnato l’importanza di interrompere il ciclo dell’odio e credeva in me, sapeva che ne sarei stato in grado. Quindi sì, Kurama è il mio migliore amico e non permetterò a voi due di combattere”.
Davanti a quelle parole, Obito smise di prestare attenzione alle ombre e alzò di nuovo lo sguardo sugli altri due. Appena lo fece, Jiraiya abbandonò la posa aggressiva, ma non lo sguardo sospettoso. Sembrava quasi scombussolato, forse aveva riconosciuto il suo desiderio nelle parole del ragazzo dal futuro.
“Interrompere il ciclo dell’odio” ripeté amaramente.
Naruto dovette considerarlo una vittoria e rilassò le spalle.
“Vuoi ascoltare il resto?” chiese dolce.
Tornò ad avere l’attenzione dell’eremita, questa volta annuì un po’ più cauto e nello stesso modo circospetto tornò a sedersi. Naruto lo imitò subito dopo e riprese da dove era stato interrotto, come se non fosse mai successo nulla.
Questa volta Obito non l’ascoltò, forse perché era la parte della storia che gli piaceva meno. Si concentrò solo sulla voce di Naruto, senza preoccuparsi che le parole che pronunciava avessero senso.
Quando Jiraiya sussultò sconvolto immaginò che fosse arrivato alla storia del vecchietto delle Sei vie.
“Hai ancora…?” chiese curioso.
Naruto scosse la testa. “C’è già una reincarnazione di Ashura in questa linea temporale e non sono io. Io sono solo un intruso, un errore. Appena sono atterrato qui ho perso il Rikudo Senjutsu del vecchietto, non è a me che aspetta”.
“Credevo che il chakra viaggiasse con te” obiettò Jiraiya.
“Non questo tipo di chakra, questo può essere ereditato solo dalla legittima incarnazione. Ma per il resto sì: il mio, quello dei Bijū e quello dei rospi…” si bloccò e Obito capì subito perché.
L’espressione di Jiraiya era a dir poco esilarante, come se avesse appena realizzato qualcosa di importante.
“Quindi, fammi capire,” ricapitolò, “non solo i Bijū hanno ricordi del tuo futuro, ma anche tutto ciò che è strettamente legato con il tuo chakra, quindi anche i rospi del monte Myoboku?!”
Naruto annuì incerto. “Non ti sei accorto del mio nome sul contratto?”
Dalla sua espressione era evidente non lo avesse fatto.
“Questa spiega molte cose” sospirò. “Tipo perché da più di un anno a questa parte ogni volta che evoco un rospo mi guardano come se fossi un fantasma. Loro… ricordano la mia morte” realizzò.
Naruto abbassò lo sguardo. “Sì, è l’unico motivo per cui non si sono arrabbiati quando hanno scoperto che li avevo portati indietro nel tempo, poterti rivedere. Sai…” si interruppe e il tono incrinato ferì Obito. “Fa ancora male pensarci…”
Non aveva bisogno di dire a cosa si riferisse. Si avvicinò a lui senza rendersene conto, come a volergli dare conforto con la sua sola presenza. Quel suo gesto lo riscosse e ancora una volta riprese a parlare da dove era stato interrotto.
Jiraiya ascoltò più mite finché non fu nominata Kaguya, ma a quel punto sembrava qualcuno pronto ad accettare qualsiasi cosa, impossibile da stupire ancora. Obito confermò a se stesso che dopo un racconto del genere, dello scontro con una divinità madre del chakra, il viaggio del tempo sembrava una banalità.
Il silenzio che seguì fu molto lungo. Jiraiya aveva molto da metabolizzare e Naruto gliene diede modo senza mettergli fretta. Rimase in pacifico silenzio a osservare le varie emozioni passare sul volto del sannin.
Obito alzò lo sguardo verso l’orizzonte, alcuni raggi del sole arancione sbucavano dagli edifici diroccati e lo sfondo del cielo era di un rosso violento. Senza che se ne rendessero conto era arrivato il momento del tramonto. Perciò non si stupì di sentire al suo fianco lo stomaco di Naruto gorgogliare.
Quel suono rianimò Jiraiya dalla sua contemplazione solitaria. Tornò a concentrarsi sui due uomini davanti.
“Questo non mi spiega perché sei con lui” disse senza nascondere il tono accusatorio.
Obito s’irrigidì, ma Naruto non batté ciglio.
“Il primo passo per evitare la nascita di Kaguya era impedire lo Tsuki no Me. Perciò ho cercato Obito e abbiamo avuto la nostra chiacchierata con diciassette anni di anticipo”.
“E ora s’impegna per la pace insieme a te?” chiese sarcastico.
Quella domanda piena di scherno lo irritò molto più dello sguardo sospettoso.
“Ho sempre combattuto per la pace” precisò. “Ma a quanto pare il piano A è un fallimento, quindi sono passato al piano B. Ora collaboro per la pace con lui”.
Jiraiya non sembrò per nulla impressionato da quel discorso.
“Ovvero intromettersi nelle politiche dei vari stati?” chiese.
Fu Naruto a intervenire. “Nel mio tempo abbiamo raggiunto una Grande Alleanza Ninja perché avevamo un nemico comune, ma onestamente non è questo il modo giusto. Questo modo serve solo a giustificare la necessità di una guerra”. Fece una smorfia e Obito non faticò a capire a chi stesse pensando: Pain. “Se le nazioni iniziano a collaborare fin da subito che dopo aver sopportato una guerra distruttiva e dolorosa sarà molto meglio. Nel mio tempo, poco prima che saltassi, era quello che stava succedendo. Ci stavamo tutti impegnando per una pace duratura e non apparente”.
Jiraiya era affascinato dalla sua determinazione, Obito poteva vedere come fosse sul bilico di annuire e credergli solo perché sapeva che era la cosa più giusta. Ma Jiraiya era anche un veterano di guerra che aveva subito tradimenti e perdite, nonostante tutto aveva uno strato di cinismo.
“Ci hanno già provato” mormorò, “ma parlare alle persone purtroppo non sembra sufficiente. Non tutte ascoltano”.
Obito si chiese se stesse pensando a Orochimaru, che in quel momento si trovava ancora ad Akatsuki.
Sentì lo sguardo di Naruto su di sé, poi annuì e il viaggiatore del tempo cominciò a parlare della sua idea di usare i Bijū come collaboratori e non come armi. Fu divertente vedere la diffidenza iniziale – immaginava che per lui fosse davvero difficile fidarsi dei demoni codati – infrangersi a favore di un’espressione speranzosa e poi determinata.
“Ci vorrà tempo” mormorò alla fine, “ma non è impossibile”.
Naruto annuì. “Ci stiamo già impegnando per spingere gli stati a trattati più pacifici. Kiri ora lavorerà soprattutto per la pace interna ed esterna, possiamo garantirtelo. A Kumo c’è Killer B che sta spingendo il Raikage a essere… meno orgoglioso”.
Per qualche motivo Naruto ridacchiò, invece lui rabbrividì a ricordare il Jinchūrike dell’ottocoda e il suo discorso tutto in rima.
“Ma anche lì siamo sulla buona strada. Su Suna dobbiamo ancora trovare il momento adatto, ma ho qualche idea” riprese Naruto. “Iwa ci sta dando un po’ più problemi del previsto, sono delle tali teste dure…”
“Siete sul loro bingo book” li avvisò Jiraiya.
Obito sbuffò infastidito, mentre Naruto scoppiò ancora a ridere.
“Lo so, Ōnoki ci ha proposto di diventare shinobi di Iwa e non ha preso molto bene il nostro rifiuto…” terminò ridacchiando.
La sua risata influenzò Jiraiya e i piccoli occhi neri brillarono di malizia. Appoggiò i palmi delle mani sulle gambe incrociate, poi si sporse in avanti con espressione furba.
“E di tornare a Konoha, invece? Che ne pensate?”
Obito poté vedere con chiarezza Naruto sgranare gli occhi azzurri dalla sorpresa e dalla gioia, le labbra già piegate in un sorriso nostalgico e desideroso. Ma poi s’irrigidì e si voltò a guardarlo con la coda nell’occhio.
“Noi…”
“Torniamo” lo interruppe inflessibile, senza nessuna particolare emozione.
La sua risposta così decisa fece saltare il compagno di viaggio.
“Sei sicuro?” chiese stupefatto.
Si prese del tempo per rispondere. Lui non voleva tornare a Konoha, non  voleva rivedere le persone che aveva tradito e soprattutto non voleva rivedere Kakashi. Naruto lo aveva convinto ad abbandonare il piano dello Tsukiyomi, ma lui non era ancora riuscito a perdonare quanto successo. Era una ferita aperta che aveva ancora bisogno di tempo per chiudersi e guarire. Ma sapeva anche Naruto scalpitava dal bisogno di tornare a casa, perché anche se ora si trovava nel tempo sbagliato come un intruso era innegabile che considerasse ancora Konoha come la sua casa. La Volontà del Fuoco bruciava così forte in lui, in ogni sguardo, gesto e parola che aveva sempre temuto che potesse tradire il suo luogo di appartenenza e smascherarli.
Naruto voleva tornare a casa. Probabilmente anche per provare a dare una famiglia al se stesso di questo periodo temporale.
“Sì, sono sicuro” disse alla fine. Si voltò a guardarlo in viso. “Fra poco ci sarà anche la strage degli Uchiha e dobbiamo fermare Danzo”.
Quel pensiero fece sussultare sia Naruto che Jiraiya.
“Hai ragione” disse il suo compagno alzandosi, Obito lo imitò subito. “Dobbiamo tornare”.
Tornare…
Guardò il sole che incendiava l’orizzonte, il turbinio dei vortici che agitava l’oceano che circondava quell’isola dimenticata e prigioniera del tempo.
Tornare a casa aveva un sapore salato proprio come quel mare.
 
 
Ed eccoci qui con il primo vero capitolo che, nonostante tutto, resta comunque un po’ di introduzione. Perdonatemi, ma prima di entrare nel vivo della storia bisogna lavorare su alcune cose ^^
Spero che nonostante tutto l’incontro tra Jiraiya e Naruto vi sia piaciuto ;__; è stato un po’ sofferente da scrivere, perché io come Naruto ho tutti i ricordi del canon, del loro legame e del tempo che hanno passato insieme. Ma Jiraiya no, per Jiraiya Naruto in questo momento è solo uno sconosciuto, non è il Jiraiya con il quale divideva i ghiaccioli :c
Vi ringrazio per le recensioni lasciate al prologo <3 Mi hanno reso davvero felice ^^ Ovviamente, mi renderà molto felice leggere qualche commento anche su questo capitolo *^* giusto per capire se ha senso hahahaha
Ci vediamo la prossima domenica con il nuovo capitolo c:
Hatta.
 

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Capitolo 3
*** Addio, Uzumaki Naruto! ***


Capitolo 2
Addio, Uzumaki Naruto!
 
 
«And the walls kept tumbling down in the city that we love
Gray clouds roll over the hills bringing darkness from above»
(Pompeii – Bastille)
 
 
 
Con il calare della sera erano rientrati dentro uno degli edifici traballanti di Uzushio, che nel periodo che avevano usato quell’isola come base dei loro spostamenti avevano  tentato di rendere un rifugio vivibile.
“Vi servirà una storia di copertura” disse Jiraiya osservando dei pesci arrostiti al fuoco.
Della cena se ne stava occupando Obito, mentre Naruto a quelle parole cominciò a camminare su una parete verticale fino a restare appeso al soffitto come un pipistrello, le braccia incrociate e l’espressione concentrata.
Jiraiya cercò l’aiuto di Obito per quel comportamento strano. Lui si limitò a scrollare le spalle.
“Dice che stare a testa in giù l’aiuta a pensare”.
Rise, quello era un comportamento che vedeva perfettamente per il figlio di Kushina.
“Nessuno deve sapere che vengo dal futuro, nemmeno Jiji” li interruppe Naruto dal soffitto.
“Chi lo sa?” chiese Jiraiya.
“Io, te, Konan e Hoshigaki Kisame” rispose Obito apatico.
Jiraiya lo guardò sconvolto. “Lo avete detto a un nukenin di grado S?!” sbottò.
Gli lanciò a malapena un’occhiata mentre faceva girare il pese. “Kisame è un tipo a posto, ci si può fidare di lui”.
“So che ha ucciso tutta la sua squadra”.
“Glielo avevano ordinato, ha solo eseguito gli ordini”. La difesa arrivò da Naruto sul soffitto. L’haori arancione che indossava si era aperto attorno a lui facendolo assomigliare a un fiore sgargiante. “Il vero problema è Nagato. Glielo abbiamo detto, ma non ci ha creduto”.
“E ci ha attaccato” ricordò Obito con un brontolio. “Non l’ha presa bene”.
“Konan sta ancora dalla sua parte,” continuò Naruto, “ma lei sembrava più propensa al dialogo. Abbiamo pensato di rimandare a un altro confronto quando avremo risolto il resto, così da dimostrare la nostra sincerità”.
Jiraiya annuì in apprezzamento. Da quello che gli aveva raccontato, Nagato era diventato molto potente. Era molto probabile che questo Naruto non faticasse a batterlo, ma immaginava non volessero usare la violenza per fermarlo.
“Quindi dobbiamo trovarti una storia, Naruto” considerò. “Sei sicuro di non volerlo dire al Sandaime?”
Gli faceva male l’idea di tenergli un tale segreto, quello sarebbe stato un serio conflitto di lealtà.
Ma Naruto annuì deciso. “Nessuno Kage deve sapere del mio viaggio. Onestamente, Jiji è stato fantastico ed è fortissimo, ma certe sue scelte sono state discutibili e la sua vicinanza con Danzo mi preoccupa un poco”.
Non poteva dire di essere totalmente in disaccordo, ma era comunque qualcosa che non gli piaceva.
“E più avanti? Quando la situazione sarà più sicura?” chiese speranzoso.
Obito sembrava totalmente contrariato, ma non protestò quando dopo un momento di silenzio Naruto fece un cenno di assenso.
“Più avanti” garantì, “quando sarà il momento”.
Sospirò di sollievo. Fatto quello, tornò a concentrarsi sulla questione più importante.
“È anche assolutamente fuori discussione dire che l’attacco del Kyūbi di sei anni fa è stato opera tua” disse senza premurarsi di nascondere l’accusa nelle sue parole.
“Sì, immagino complicherebbe tutto” replicò senza guardarlo Obito. “Quindi? Cosa proponete?”
Fu Naruto a parlare. “Lasciamo la prima parte com’è davvero. Del tuo incontro con Madara e del fatto che ti ha salvato la vita”.
Obito saettò gli occhi verso l’alto sorpreso. “Ne sei sicuro?”
“Saresti dovuto essere morto” intervenne Jiraiya. “Non penso sia facile trovare un’altra spiegazione plausibile, inoltre spiega il tuo corpo e la tua capacità di usare l’arte del legno”.
“Quindi, la storia resterà la stessa fino alla morte di Rin”.
L’espressione di dolore e rabbia fu così limpida sul volto del ragazzo Uchiha che Jiraiya provò empatia nei suoi confronti. Anche Naruto se ne accorse e addolcì la voce.
“Ma dopo averla vista, non sei tornato da Madara. Hai vissuto da solo come un ninja vagabondo finché non ci siamo incontrati. Ovviamente, non sai niente del piano originale di Madara”.
Annuì in accordo. “Diremo che è stato lui ad attaccare il Villaggio con il Kyūbi”.
“Del resto non è così lontano dalla verità” confermò Naruto.
Obito non rispose, rimase zitto a lungo perso nei propri pensieri. Alla fine scrollò le spalle in segno di disinteressato assenso.
“Ho incontrato te” ripeté, alzò lo sguardo sul soffitto verso la figura appesa. “Ma tu chi sei?”
Jiraiya trovò presto una risposta, stupendo non solo gli altri due ma anche se stesso.
“Il fratello minore di Minato”.
 
Naruto quasi cadde dal soffitto, ma riuscì a stabilizzare di nuovo il chakra sulla pianta dei piedi. Rimase appeso a fissarlo stupefatto.
“Mio padre non aveva un fratello” fece notare.
“Ovvio che no” confermò Jiraiya. “Per questo è una buona copertura. Assomigli troppo a lui, Naruto, chiunque vedendoti se ne renderà conto al Villaggio. Solo un legame di sangue può spiegare questa tua somiglianza”.
“Una henge…”
“Nel Villaggio dove esistono utenti di sharingan e byakugan? Suicidio.”
“Non è altrettanto rischioso?” osò Obito. “Si sarebbe saputo se Minato avesse avuto un fratello”.
“No, se nemmeno Minato ne era a conoscenza” spiegò Jiraiya. “A essere più chiari, sarai il fratellastro di Minato: stesso padre, ma madri diverse. Nemmeno suo padre sapeva della tua esistenza, allo stesso tempo nemmeno tu sapevi dell’esistenza di Minato” terminò.
“Regge” annuì Naruto soddisfatto. “Possiamo lasciare mia madre un’Uzumaki?” chiese. “Non voglio rinunciare anche alla sua eredità…”
“No, è perfetto” concordò Obito. “Questa spiegherebbe molti aspetti del tuo carattere e del tuo chakra. Di aspetto sei simile a Minato-sensei, ma fidati che nel resto sei un Uzumaki fatto e finito”.
Naruto non aveva idea se si trattasse di un insulto o meno, ma lo prese come un complimento e si illuminò tutto.
“Fantastico, dattebayo!”
Jiraiya si sedette di nuovo a gambe incrociate e si toccò il mento pensieroso. “Hai abbandonato Uzushio da piccolo con tua madre, durante la sua distruzione” continuò a elaborare. “Avete vissuto insieme viaggiando in cerca di un luogo sicuro finché lei non è morta”.
“In un attacco di altri ninja che cercavano i segreti degli Uzumaki” completò Obito. “Per questo hai continuato a nasconderti anche dopo la sua morte, tenendo un profilo basso, diffidando degli altri shinobi”.
“Finché non ho trovato te quasi due anni fa” concordò Naruto esaltato, “e siamo diventati partner in crimes!”
Ghignò nel vedere Obito arrossire, ma l’Uchiha riuscì a non dar troppo a vedere il suo imbarazzo.
“È una buona copertura, ci vogliono solo i particolari ora”.
“Tipo dovremo spiegare il tuo legame con i rospi” precisò Jiraiya con un sospiro.
“Non posso aver firmato il contratto per conto mio?” chiese spensierato, ma il vecchio sannin scosse la testa.
“No, l’unico contratto esistente lo possiedo io e sicuramente ne avrei parlato all’Hokage-sama se ci fossimo già incontrati. No, pensavo ad altro”.
“Cioè?”
“Convocazione inversa” spiegò.
Naruto fu sollevato di vedere Obito confuso quanto lui. Jiraiya si apprestò a spiegare.
“La prima volta che ho provato a usare la Tecnica del Richiamo non aveva fatto un patto con nessun animale e invece di convocare qualcosa qui mi sono evocato lì, al monte Myoboku. È così che ho imparato le tecniche dei rospi e l’arte eremitica. A te potrebbe essere successa la stessa cosa, mentre tentavi di richiamare qualcosa, sei finito lì”.
Obito faticò a trattenere la risata. “Questo è così stupido”.
Jiraiya lo guardò offeso. “Be’, moccioso impertinente, non sarei dove sono ora se da ragazzino non mi fossi perso a Myoboku”.
“È una cosa da me” li interruppe prima che potessero iniziare a discutere. “Magari mi sono evocato per errore quando hanno attaccato mia madre. I rospi mi hanno tenuto nascosto lì perché avevo paura degli shinobi stranieri”.
Jiraiya annuì con enfasi. “Il motivo per cui non hanno raccontato a nessuno della tua presenza lì è la tua somiglianza con Minato. Temevano di attirarti qualche nemico del mio allievo. Del resto eravamo nel pieno della Terza Guerra”.
“Lì mi sono allenato e sono diventato fortissimo” concluse con un sorrisone impertinente. “Pronto per affrontare il mondo, ho lasciato i Rospi e ho iniziato a cercare il mio destino dattebayo!”
“Direi che ci siamo” ricambiò il sorriso Jiraiya. “Per i particolari cominceremo a pensarci domani, ma per ora abbiamo l’ossatura importante”.
“Manca ancora una cosa, però” obiettò Obito mortalmente serio.
“Cioè?”
Naruto scoppiò a ridere nel rendersi conto che sia lui che Jiraiya avevano posto la domanda allo stesso tempo, inarcando lo stesso sopracciglio nella stessa espressione scettica. Provò un affetto così profondo da essere destabilizzante, che quasi gli fece perdere la presa sul soffitto. Jiraiya gli era mancato tantissimo, ma si era reso conto di quanto fosse stato doloroso solo finché non lo aveva visto ancora davanti a sé. Sapeva che non era il suo Jiraiya, lo stesso ero-sennin con il quale aveva condiviso i ghiaccioli blu, che lo aveva allenato e portato alle terme. Non avevano gli stessi ricordi e faceva male… ma averlo ancora vivo, davanti a lui, uguale a come ricordava era qualcosa di così bello da faticare a crederci.
I suoi pensieri malinconici furono interrotti da Obito, che lo guardava con titubanza.
“Il tuo nome…”
Capì subito cosa intendeva e la sua espressione si congelò. Non riuscì a reagire, scosso dalla consapevolezza: non poteva tenere il suo nome. Esisteva già un Uzumaki Naruto in questa linea temporale, un Naruto che aveva più diritto di esistere di lui, che era un errore, un imprevisto del tempo. Senza contare quanto sarebbe stato assurdo, una coincidenza troppo forzata, che il fratellastro di Minato avesse lo stesso nome di suo figlio.
Anche Jiraiya lo realizzò. “Dovrai cambiarlo” disse amaro.
Era ovvio, era la cosa più sensata. Ma non significava che fosse facile. Il suo nome era la cosa più preziosa che aveva, un ricordo dei suoi genitori e raccoglieva la loro fiducia e il sogno del suo maestro. Ancora prima, quando non conosceva la sua eredità, era comunque il suo nome, la sua identità. Lo aveva tenuto stretto fin da bambino, quando lo avevano chiamato mostro e avevano tentato di appiattirlo all’ombra del Kyūbi. Uzumaki Naruto era lui, era tutto ciò che aveva.
Era il nome che suo padre e sua madre avevano scelto per lui.
Strinse le labbra e socchiuse gli occhi, per qualche sciocco motivo li sentiva umidi. Forse perché per la prima volta realizzava davvero che non poteva più esistere come Uzumaki Naruto, doveva abbandonare se stesso anche se solo in parte.
Saltò giù dal soffitto atterrando sui piedi, la posizione leggermente accucciata, e si sedette sul pavimento mogio.
“Quindi? Che nome?” chiese lottando contro il dolore al petto.
Fu Obito a rispondere, con estrema chiarezza.
“Nozomi” disse calmo. “Uzumaki Nozomi”.
Lo ripeté nella propria mente un paio di volte, poi annuì lento. Non seppe perché, ma era felice che fosse stato Obito a scegliere un nome per lui. Sembrava quasi una sorta di investitura, come se gli affidasse un destino.
“Uzumaki Nozomi” ripeté con leggera ironia Jiraiya. “Che sia un augurio per un futuro di speranza”.
 
֎
 
Era ormai calata la notte. Nonostante la lauta cena a base di pesce arrostito – che molto sospettosamente Obito non aveva toccato – Jiraiya non riusciva a dormire. Nella sua mente continuavano a mescolarsi le troppe informazioni raccolte in poche ore, così assurde da non poterle ancora metabolizzare correttamente. C’era la faccenda del viaggio del tempo, dell’avere non troppo lontano l’assassino del suo prezioso allievo e, non meno importante, la notizia della sua futura morte e della distruzione del mondo.
Era molto da metabolizzare, sì.
Perciò dopo essersi rigirato più volte nel futon che gli avevano lasciato, si alzò per meditare sulle nuove scoperte e sulle loro conseguenze.
Tornò nella stanza dove avevano cenato e trovò Naruto e Obito lì, nello stesso futon. Inarcò le sopracciglia nel vedere l’Uchiha sveglio, un rotolo in mano e illuminato da una torcia; Naruto era addormentato al suo fianco di pancia, con le braccia alzate a circondare la sua vita e una guancia appoggiata sulla sua coscia.
Obito rispose dopo qualche secondo alla sua silenziosa domanda.
“Quando dorme non riesce a evitare di abbracciare cose. Il cuscino, le lenzuola, lo zaino, me…”
“Tu non dormi?” chiese avvicinandosi.
Scosse la testa. “Non ne ho bisogno” replicò evasivo. “Posso stare molto tempo senza dormire”.
“Non hai neanche bisogno di mangiare” osservò Jiraiya.
“E di bere” completò.
Queste rivelazioni lo fecero rabbrividire. Era come se non fosse più del tutto umano, privo com’era di quei bisogno primari. Immaginò fosse per via di quelle cellule di Hashirama che gli erano state trapiantate da Madara.
Restarono in silenzio per lunghi minuti, Obito concentrato sulla pergamena e Jiraiya perso nelle proprie considerazioni. Alla fine chiese:
“Perché siete nel letto insieme?”
“All’inizio era per risparmiare alle locande,” fu la laconica risposta, “poi per abitudine”.
Scosse la testa. “Intendevo: perché sei nel letto con lui se non hai bisogno di dormire?”
Non arrivò nessuna risposta, Obito non diede nemmeno segno di aver sentito. Notò solo che le  punte delle sue orecchie sembravano essere arrossite, ma non poteva dirlo con certezza visto la penombra che li circondava. Il ragazzo leggeva dalla pergamena con lo sharingan attivo, che brillava come lava.
Alla fine, quando Jiraiya si stava per riaddormentare seduto, Obito mise via la pergamena. Lo osservò sospettoso mentre sgusciava con cautela dalla presa del compagno, ben attento a non svegliarlo. Senza dire una parola si allontanò verso una sacca da viaggio. Lì iniziò a spogliarsi.
“Cosa stai facendo?” chiese quindi Jiraiya.
“Vado a sbrigare i nostri affari” fu la parca risposta e per un momento temette lo lasciasse senza altre spiegazioni, ma aggiunse: “Prima di tornare a Konoha devo avvertire Kisame”.
“Hai molta fiducia in un nukenin” osservò.
“Non lo sono anch’io, un nukenin?” replicò senza nessun sentimento particolare.
Jiraiya non ci fece troppo caso, i suoi occhi erano puntati al centro del suo petto. Tutto il suo corpo era un miscuglio di pelle bianca artificiale e pelle vera, qualcosa di davvero orrendo e inumano, ma su quel punto spiccava una cicatrice molto recente.
“Credevo che queste cellule di Hashirama ti guarissero tutte le ferite” disse.
Scrollò le spalle. “Per quelle più gravi ci vuole tempo”.
“Come te la sei fatta?” chiese senza preoccuparsi di essere delicato.
D’altro canto, Obito sembrava restarne completamente indifferente.
“Naruto, subito dopo che mi sono unito a lui”.
Non era la risposta che si aspettava, quasi rischiò di strozzarsi con la saliva. Non fece nemmeno in tempo a ipotizzare che forse il viaggiatore del futuro aveva voluto prendersi una piccola vendetta che Obito continuò:
“Madara aveva messo un sigillo nel mio cuore, qualcosa che mi spingesse a continuare a seguire la sua volontà. A quanto pare, nel futuro di Naruto me l’ero tolta facendomi colpire da Kakashi con il raikiri. Non sapendo come altro fare, ha usato lo stesso trucco ma con il rasengan”.
Il distacco del suo tono lo sorprendeva quasi più della storia stessa.
“Con un colpo del genere saresti dovuto morire, cellule di Hashirama o meno” considerò.
“Mi ha curato con il chakra di Kurama” spiegò senza aggiungere altro.
La cicatrice sparì alla sua vista quando rimise una casacca blu scuro dal collo alto. La strinse alla vita con delle bande, nella quali incastrò i borselli delle armi.
Per la prima volta da quando lo aveva rivisto non lo guardò con sospetto, o rabbia o odio. Provò solo una strana pietà, lo guardò con un dispiacere spaesato. Il ventenne davanti a lui era completamente diverso dal bambino che correva dietro a Minato gridando che sarebbe diventato Hokage. Non c’era più niente di quel genin goffo e sempre in ritardo. L’uomo davanti a lui sembrava essere stato divorato dal mondo e sputato fuori dall’inferno, per poi essere stato rimesso insieme in modo frettoloso e impreciso.
“Come… perché hai deciso di fidarti di Naruto?” chiese.
Lo guardò appena, prendendo invece una pesante cappa nera. “Il piano di Madara è destinato al fallimento, non ho molta scelta”. Si bloccò, come se fosse stato colpito da un pensiero e si accigliò. “C’è qualcosa in Naruto che mi fa desiderare di aiutarlo”.
Non chiese altro, si fece bastare questa risposta criptica.
Obito si alzò il cappuccio sulla testa, un’ombra gli coprì i suoi lineamenti e rimase solo la luce brillante dello sharingan.
“Tornerò prima dell’alba” disse, poi l’aria attorno a lui si increspò in un vortice e sparì.
 
֎
 
Kisame si stupì tiepidamente di sentire quella firma di chakra provenire dalla sua stanza alla locanda, quando non era previsto che si incontrassero quella notte. Rimase ancor più stupito di vedere Tobi – Obito, comunque volesse farsi chiamare ora – appollaiato sul bordo del suo davanzale come un uccello senza una maschera. Era raro che si presentasse a viso scoperto, l’ultima volta che era successo era stato per raccontargli un’assurda storia sui viaggi del tempo e chiedere poi il suo aiuto in un colpo di stato a Kiri.
“Tobi, Obito” canticchiò circospetto. “Cosa devo l’onore?”
Con il tempo aveva imparato tante cose su quell’uomo. Sapeva che quando era Tobi poteva essere un vero dolore al culo da gestire, mentre Madara parlava poco e lo faceva solo per dare ordini irrevocabili. Obito era più difficile da indovinare, era silenzioso come Madara, ma aveva qualcosa di rotto dentro che lo rendeva spesso assente.
“Nuovi sviluppi” disse l’uomo alla finestra.
Kisame non si avvicinò, né allontanò Samehada dalla sua spalla. Era in posizione rilassata, ma i suoi occhi vispi brillavano in cerca di segni di pericolo.
“Allora, Obito, devo cavarti le parole dalla bocca?” chiese acuendo la voce ironica.
Scosse la testa e scese dalla finestra. “Siamo stati contattati da uno dei tre Sannin di Konoha”.
A quella frase si fece subito sospetto. “Orochimaru? L’Akatsuki ha deciso di muoversi?”
Scosse ancora la testa. “Jiraiya è venuto e Naruto ha deciso di fidarsi abbastanza da dirgli la verità”.
“Oh” schioccò la lingua curioso, mise in mostra i denti appuntiti in un sorriso inquietante. “Come l’ha presa?”
“Ha tentato di uccidermi, ma alla fine Naruto l’ha convinto. Ci crede e ci aiuterà”.
“Buone notizie, quindi” osò. “È un pezzo grosso del Fuoco, ne?”
“Uhm” ronzò poco impressionato. Kisame poteva chiaramente vedere che c’era altro che lo impensieriva, infatti poco dopo riprese a parlare: “Ci ha proposto di tornare a Konoha”.
Quello lo lasciò sorpresa. Lo fissò in viso in cerca di qualche indizio, ma oltre l’amarezza che sembrava vestirlo come una seconda pelle non decifrava altro. In un certo senso, gli era stato più facile capirlo quando indossava una maschera. Madara e Tobi erano in un qualche modo prevedibili, ma non Obito.
“Che cosa avete risposto?” chiese quindi.
“Abbiamo accettato”.
Strinse gli occhi, per nulla felice di quella risposta. Rischiava di compromettere tutto.
“Konan non sarà contenta” disse.
Quello catturò l’attenzione di Obito. “L’hai incontrata?”
“No” lo deluse con una scrollata di spalle. “Ma non è quello che ha sempre sostenuto? Che il tuo Naruto sta facendo tutto questo solo nell’interesse di Konoha?”
Obito si corrucciò irritato. Era facile irritare Obito, bastava solo pungolarlo sulle giuste corde e fare i nomi giusti. Nominare Rin significava farlo infuriare, mentre dubitare su Naruto lo faceva scattare.
“Mi sembra che quest’ultimo anno e mezzo sia stato abbastanza chiarificatore sulle sue intenzioni” disse infatti stizzito.
Kisame ghignò. “Ma ora state tornando a Konoha”.
Soffiò dal naso e fece una smorfia. “Abbiamo delle faccende da sbrigare anche lì” disse. “Dobbiamo evitare un colpo di stato e gestire Shimura Danzo”.
Non sapeva di cosa stesse parlando – tranne di Danzo, non occorreva essere un viaggiatore del tempo per sapere che pezzo di merda fosse Shimura Danzo della Foglia. Quando era stato messo al corrente di tutto aveva esplicitamente chiesto di non conoscere nulla del futuro da cui proveniva Uzumaki Naruto. Perciò non sapeva quali fossero questi affari da sbrigare.
“Spero che non stiate facendo un errore” disse alla fine.
“Abbiamo ancora lo stesso obiettivo” dichiarò Obito.
Tornò a ghignare divertito. “Truffare le Grandi Nazioni in nome della pace?”
L’Uchiha ricambiò il sorrisetto ugualmente divertito. “Fondamentalmente, sì”.
A quel punto non poté che fare un cenno di assenso. “Continuerò a tenere sotto controllo Ame” promise. “Mi contatterai tu?”
Annuì. “Solito metodo”.
“Allora attenderò notizie. Non farti ammazzare” disse non realmente preoccupato. Se aveva imparato una cosa di Obito, era che era difficile da ammazzare quanto Madara. Per non parlare di questo fantomatico viaggiatore del tempo, quando lo aveva incontrato la prima volta era rimasto sconvolto per le enormi riserve di chakra, superiori perfino alle sue.
“Ah, un’ultima cosa” disse prima di saltare fuori dalla finestra.
“Sì?” chiese togliendosi finalmente Samehada dalle spalle.
“Non è più Naruto” mormorò. “È Uzumaki Nozomi”.
Schioccò ancora una volta la lingua. “Suona bene” apprezzò.
 
֎
 
Obito fu di parola, tornò prima dell’Alba.  Ma non si diresse subito verso la casa dove si nascondevano, si prese il suo tempo per passeggiare tra le rovine di Uzushio. In quel luogo così diroccato e abbandonato all’incuria si sentiva perfettamente incastrato, come se fosse la sua scatola di puzzle. Era lo specchio perfetto del mondo come appariva ai suoi occhi.
E Naruto voleva aggiustarlo.
Nonostante tutto, era sospettoso. Non riusciva ad abbassare le difese con quel Jiraiya, anche se aveva tentato di darlo a vedere, ed era preoccupato. Preoccupato che Konan avesse ragione, che Naruto fosse qui solo per Konoha e i suoi amici assassini. Si aggiungeva che ora stavano tornando lì. Aveva detto a Kisame di essere sicuro, si era mostrato tranquillo, ma non lo era per niente. C’erano troppe cose affidate al caso.
Avrebbero creato una buona storia di copertura con Jiraiya, ma il vecchio sannin avrebbe mantenuto l’accordo? Niente gli garantiva che una volta al Villaggio non dicesse la verità sul suo conto per incastrarlo. In quel caso sarebbe scappato, non aveva nessuna intenzione di restare prigioniero a Konoha o venire ucciso per mano loro. Del resto aveva fatto piani nascosti per sé fin dall’inizio, nel caso le cose fossero andate male e Naruto si fosse rivelato solo un folle. Aveva il suo piano di fuga fin da Kiri, visto che aveva partecipato al colpo di stato con la consapevolezza che sarebbe stato inutile, uno spreco di tempo, che niente sarebbe cambiato. Invece… dopo… si era quasi sentito un bambino lamentoso per il finale felice a cui non aveva sperato. Forse era presto per parlare, ma i rapporti di Kisame dicevano che le cose stavano cominciando a girare per il verso giusto lì. Senza contare che anche quasi tutto quello che avevano fatto dopo era finito bene. Il loro unico fallimento era stato Nagato, ma lì era solo colpa sua, visto che aveva deciso di affrontarlo senza Naruto.
Forse… le cose sarebbero andate bene? Poteva davvero tornare a casa?
Per un momento si sentì di nuovo abbattere dal pessimismo, le cose non potevano andare bene per sempre e ci sarebbe stato un momento in cui il castello di carte che stavano costruendo sarebbe precipitato. Non doveva crogiolarsi all’idea che le cose potessero andare bene, doveva trovare un piano di salvataggio.
Poi pensò agli occhi azzurri pieni di speranza di Naruto, sospirò e camminò più velocemente. Il vento gelido del pre-alba tentava di approfittarsi dei suoi capelli corti per infilarsi nella sua cappa e farlo rabbrividire di freddo, ma aveva smesso di provare quelle sensazione da un pezzo.
Forse Naruto avrebbe potuto aggiustarlo.
 
Il suo arrivo svegliò Naruto che gli fece un sorriso malinconico. Immaginava bene che cosa ci fosse dietro quel sorriso, la consapevolezza che dal momento in cui il sole sarebbe sorto lui non sarebbe più stato Uzumaki Naruto. Non disse nulla per consolarlo, non era qualcosa che era particolarmente bravo a fare. Si mise solo a preparare le loro cose per il loro viaggio verso Konoha e nel farlo cercò di fare il più rumore possibile, in modo da svegliare Jiraiya.
Il vecchio Sannin si era addormentato con la bocca aperta, seduto a terra e appoggiato al muro, ma appena i rumori molesti arrivarono alle sue orecchie scattò pronto al pericolo. Accortosi di quello che lo circondava, si rilassò e rialzò con uno sbadiglio.
“Partiamo?”
“Meglio ora che dopo” concordò Naruto alzandosi a sua volta.
“Credo non sia il caso di tornare subito” continuò il vecchio. “Prima di tornare voglio assicurarmi che la vostra copertura duri anche a eventuali ricerche di Danzo. Nelle prossime settimane faremo in modo di disseminare indizi a favore della vostra storia, okay?”
Obito apprezzò quel trucco, molto astuto.
“Quando sarà tutto pronto, manderò una lettera all’Hokage per informarlo che vi ho trovato e che avete accettato il mio invito”.
“Quanto ci vorrà?” chiese Naruto già pronto, anche Obito aspettava alla porta.
Erano abituati a viaggiare e si erano sempre preparati nel caso dovessero lasciare il rifugio in velocità. I loro averi erano pochi e sempre a portata.
Jiraiya si caricò la sua sacca da viaggio e raggiunse l’Uchiha fuori, seguito da un ansioso Naruto.
Fuori il cielo era rosa, gabbiani stridevano e volavano in cerchi per la prima pesca. Le rovine di Uzushio avevano un apparenza pacifica nel primo sole mattutino.
“Chi può dirlo” rispose alla fine Jiraiya con una scrollata di spalle. “Pronti a tornare a casa?”
Obito non lo era. Aveva lasciato così tante cose a Konoha che non era sicuro di poterle gestire. Ma gli bastò lanciare un’occhiata a Naruto per tranquillizzarsi. Avevano un obiettivo e finché c’era uno scopo da seguire poteva andare avanti.
Fu sorpreso di vedere il compagno fare un passo davanti a tutti, le gambe larghe e le mani sui fianchi, in volto un’espressione decisa.
“Hai capito, Konoha?!” gridò al silenzio del mattino. “Uzumaki Nozomi sta arrivando!”
Poi si mise a correre verso la spiaggia, come un fantasma.
 
 
 
 
 
Sono un po’ in ritardo ;___; errore mio, ho procrastinato molte cose in questi giorni. Ma eccomi qui, con un nuovo capitolo, l’ultimo prima del loro ritorno a Konoha. Vi giuro soffro quanto Naruto all’idea di dovergli dare un altro nome, ma le cose non posso andare diversamente: due Naruti che girano per Konoha sarebbe troppo allarmante e un casino per me scrittrice xD Ma Nozomi è pur sempre il nostro Naruto, solo un po’ più maturo – forse, non garantisco.
Spero vi sia piaciuto e vi ringrazio per aver deciso di seguire la storia, soprattutto per le recensioni allo scorso capitolo ^^ Speriamo di divertirci insieme!
Hatta.

 

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Capitolo 4
*** L'amico perduto ***


Capitolo 3

L’amico perduto

 

 

 

«Will the fight that we once had retreat?
Just a hole where your heart used to be»

(Dead men walking – Black Veil Brides)

 

 

Era una bella giornata luminosa, il calore del sole estivo era rinfrescato da una leggera brezza che frusciava tra le foglie. Kakashi sentiva la fronde cantare rilassanti da dove si trovava. Gli piacevano quelle giornate, dove tutto era cheto, non doveva andare in missione con la squadra Ro e aveva la sensazione di poter rimanere fino a sera a osservare il monumento commemorativo. Il suo occhio pigro continuava a sfilare sui nomi delle sue preziose persone, anche se ormai sapeva a memoria perfino lo spessore dell’incisione sulla pietra.
Quel giorno non aveva una missione, ma il Sandaime lo aveva convocato nel suo ufficio. Se il messaggio che l’ANBU gli aveva recapitato era esatto, avrebbe dovuto incontrarlo nel suo ufficio due ore fa.
Oh, come vola il tempo…
Pigramente si chiese se potesse tirare la corda ancora un poco e restarsene un altro po’ a osservare quella pietra fredda, come se potesse dargli il conforto necessario per non crollare. Alla fine decise che sicuramente aveva già infastidito il vecchio Hokage e non era il caso di sfidare la sua pazienza più del dovuto.
Salutò con un cenno la fredda lapide, poi utilizzò il shunshin per apparire direttamente alla finestra dell’ufficio dell’Hokage. Perché usare la porta quando poteva presentarsi in quel modo e far morire di crepacuore tutti i presenti?
“Yo” disse alzando una mano e socchiudendo l’unico occhio visibile. “Perdonate il ritardo, ma temo di essermi perso nel cammino della vita”.
Una leggera risatina divertita gli fece riaprire l’occhio e fu stupito di vedere così tante persone importanti nella stanza. C’era il suo capo della Squadra Speciale, Ibiki Morino, il capo della squadra Jonin Nara Shikaku, il capo della Polizia Uchiha Fugaku e il sannin Jiraiya. Al suo fianco c’erano due ninja che non appartenevano a Konoha ed era stato uno di loro a ridacchiare. Si bloccò sul balcone della finestra, guardò spaesato quei lineamenti così familiari e gli occhi azzurri socchiusi in un sorriso. I suoi capelli avevano anche lo stesso colore di quelli del sensei, con la differenza che questi erano tagliati più corti.
Ma rischiò di perdere l’equilibrio sul bancone quando spostò l’occhio sorpreso sull’altro ninja. A differenza dell’altro, che con i suoi sgargianti colori sembrava irradiare la luce, questo aveva un aspetto più scuro, perfino l’espressione era contratta in modo poco amichevole. Ma non c’era niente al mondo che gli potesse impedire di riconoscerlo, nemmeno le cicatrici che rovinavano il lato destro del suo viso e la benda a coprire il mancante occhio sinistro.
Scattò nella stanza incredulo e titubante, con la paura di sperare inutilmente.
“Obito?” chiese senza fiato, spaesato.
Quello contrasse lo sguardo e lo fissò con rabbia, quello sguardo lo ferì. Ma si riprese subito nel sentire l’Hokage tossicchiare per avere la sua attenzione.
“Kakashi-san,” chiese calmo, “puoi confermare che quest’uomo è Uchiha Obito?”
Capì perché fosse stato convocato e, nonostante il pulsare sordo al petto, entrò subito in modalità missione.
“L’odore è diverso, signore” disse confuso.
Obito aveva sempre saputo di torte alle mele, sudore e fuoco (quest’ultimo come la maggior parte degli Uchiha). Invece l’odore che sentiva provenire da quest’uomo era strano: sapeva di sangue, acciaio, cenere e linfa. Da un certo punto di vista gli ricordava quello di Tenzou – aroma di rami appena tagliati – ma questo aveva un che di disumano.
Però il volto era esattamente quello che avrebbe avuto Obito una volta cresciuto, cicatrici e occhio mancante a parte. Una henge? Sicuramente non avrebbe mai ingannato il Sandaime o Fugaku in quel modo…
L’uomo che diceva di essere Obito accentuò la smorfia infastidita, poi l’occhio onice si colorò di rosso e nero, i tomoi vorticarono fino a formare una figura che Kakashi aveva visto spesso guardandosi allo specchio.
Kamui.
Veloce si affrettò ad alzare il suo hitai-ate, rivelando il rosso dello sharingan che si trasformò nella stessa forma a tre punte.
“Questo ti rinfresca la memoria, Bakakashi?” disse Obito.
Kami, perfino la voce era diversa, più consumata e distaccata. Ma ora non c’erano più dubbi, si trattava davvero di lui e risentire quel nomignolo dell’infanzia aumentò la contrazione al petto.
“Sei vivo…” disse senza fiato.
“Già, questo è interessante” intervenne Fugaku. Aveva attivato il suo sharingan, forse per assicurarsi che non fosse una henge particolarmente riuscita o un genjutsu, ma doveva essere giunto alla sua stessa conclusione.
Era Obito. Obito era davvero lì.
Inaspettatamente fu l’uomo biondo a parlare.
“Ne abbiamo di cose interessanti da raccontare!” ciarlò allegro alzando gli le braccia dietro alla nuca in una posa rilassata, sentì i suoi occhi azzurri puntarsi su di lui. “Tu devi essere il famoso Copy-nin Hatake-san, giusto?”
“Solo Kakashi” tagliò corto improvvisamente diffidente. Solitamente gli shinobi non lo chiamavano per cognome, era qualcosa che richiamava la Zanna Bianca e… be’, qualcosa che Konoha voleva dimenticare. Fece per chiedere il nome dell’uomo, ma lui lo precedette con la sua voce assurdamente spensierata.
“Ho sentito tanto parlare di te! Ma Obito ti ha sempre descritto con un palo in culo, fissato con le regole e insofferente ai ritardi” elencò. “Mh, non è che sei tu l’impostore qui?” terminò fissandolo sospettoso.
Kakashi sul momento non seppe decisamente come reagire. Era ancora frastornato dalla scoperta che Obito fosse lì, vivo dannazione, e non era pronto ad affrontare un tale fiume di parole dal sosia del suo defunto sensei. Voleva delle risposte, voleva sapere perché Obito non fosse tornato indietro! Forse in quel modo, se fossero stati insieme… Rin… e sensei…
“Maaa, chissà” risolse alla fine indolente, le mani ben piantate nelle tasche in una posa curva. Non riusciva a smettere di guardare Obito con lo sharingan, come a volersi imprimere la sua immagine nel caso fosse sparito di colpo.
Un altro tossicchio da parte dell’Hokage gli ricordò che si trovava nel suo Ufficio e che, probabilmente, stava mancando di educazione a tutti i presenti stando nel centro di esso. Fece quindi un passo indietro.
“Immagino sia il caso di continuare con le presentazioni” disse il Sandaime con lo stesso tono rilassato di prima. I suoi occhi però erano vigili e svegli, pronti a notare qualsiasi particolare. “Kakashi, ti presento l’accompagnatore del tuo vecchio amico: Uzumaki Nozomi, il fratello minore di Yondaime-dono”.
 
Shikaku poté vedere con estrema precisione il momento in cui Kakashi, davanti a questa notizia, sembrò voler mandare al diavolo ogni cosa. In cuor suo provò empatia verso il giovane ANBU, anche lui quando lo aveva sentito aveva faticato a mantenere il controllo.
 “Yondaime-sama non aveva un fratello” disse Kakashi duro. “Non che io sappia, almeno”.
“Be’, nemmeno io sapevo di avere un fratello qui” protestò il sedicente Uzumaki facendo un broncio, “visto che nessuno si è mai preso la briga di dirmelo!”
Non si aspettava di vedere Jiraiya intervenire, mettendo una mano sulla capigliatura spettinata del ragazzo.
“Moccioso, è stato fatto per il tuo bene” lo avvertì.
Quella frase stuzzicò il suo interesse e lo fissò con più attenzione. Quello sott’intendeva che qualcuno lo sapeva e non aveva parlato. Anche l’Hokage parve notarlo.
“Da quanto lo sai, Jiraiya?” chiese pacato.
“Solo da quando ci siamo incontrati. Vedendolo ho capito che aveva qualche legame di sangue con il nostro Yondaime”.
Sembra di vedere suo figlio, concordò internamente Shikaku, anche se non gli piaceva pensare che Minato avesse potuto tradire Kushina. Ma a pensarci meglio, sarebbe stato impossibile: l’uomo davanti a lui superava la ventina, non ci sarebbero stati con l’età. Invece, l’opzione fratello era molto più probabile. Restava da capire perché nessuno ne fosse a conoscenza.
Jiraiya, quasi a leggergli nel pensiero, si apprestò a continuare.
“Nozomi è il fratellastro di Minato” specificò. “Sua madre era una Uzumaki, dalla quale ha preso il nome. Non gli ha mai parlato di suo padre, che immagino non sapesse nemmeno della sua esistenza”.
“Questo è… incredibile” considerò il Sandaime.
Più che incredibile a suo avviso. Era impossibile che non fosse giunta nemmeno una voce sull’esistenza di questo fratello. La sua somiglianza con Minato sarebbe stata notata subito anche dalle altri nazioni, ma solo recentemente si era spettegolato del fantasma del Lampo Giallo.
Ibiki sembrò giungere alla sua stessa conclusione, perché chiese:
“Dove sei stato tutto questo tempo?”
L’espressione sul volto dell’Uzumaki si oscurò, guardò esitante Jiraiya prima di prendere a parlare con un sospiro.
“Un po’ ovunque. Sono scappato con mamma da Uzushio poco prima che la distruggessero, da allora abbiamo viaggiato in incognito nelle diverse nazioni. Onestamente, non ho ricordi al di fuori dei nostri continui spostamenti. So anche che mamma usava una henge su di me, anche se non ho mai saputo perché, e trasportava molti rotoli”.
“Rotoli di tecniche ninja?” si assicurò cominciando un po’ a capire dove stava andando a parare e il sospiro tremante di Nozomi gli confermò che quella storia non era finita bene.
“Sì, soprattutto Fūinjutsu, aveva anche tentato di insegnarmi qualcosa ma ero troppo piccolo…” Prese un altro lungo respiro. “Comunque, quando avevo undici anni ci siamo diretti verso il Paese dell’Erba. Da alcuni pettegolezzi aveva sentito che anche un’altra famiglia Uzumaki aveva trovato rifugio lì, quindi speravamo finalmente di trovare un posto sicuro dove restare”.
“Perché non siete venuti a Konoha?” obiettò il Sandaime. “Siamo sempre stati alleati con Uzushio, vi avremmo certamente ospitati e preso cura di voi”.
Era una domanda giusta, ma dallo sguardo spaesato era ovvio che il giovane non avesse una risposta.
“Non lo so” disse infatti stringendosi nelle spalle. “Io andavo dove andava la mamma”.
Ovviamente aveva senso, all’epoca era un bambino e probabilmente non sapeva dell’alleanza con Konoha. Forse la madre provava qualche forma di rancore verso la Foglia perché avevano lasciato che distruggessero il suo villaggio. O forse era per non rivelare l’esistenza del bambino, fratello dell’ormai famoso in tutte le nazioni Lampo Giallo, del resto aveva detto di aver viaggiato in henge.
“Siete arrivati a Kusa?” chiese gentilmente il Sandaime, spronandolo a continuare.
L’ombra negli occhi azzurri si intensificò e scosse la testa.
“Durante la strada siamo stati attaccati. Non so chi fossero quei ninja, ma volevano i rotoli di mamma e conoscere le tecniche segrete di Uzushio”. Rabbrividì al ricordo e sembrò volersi ritrarre, lo sguardo basso. “Nel caos che è successo la mamma è morta, io ho provato a scappare usando una delle tecniche di cui mi aveva parlato: la Kuchiyose no jutsu”.
Shikaku sentì che le sue sopracciglia si stavano inarcando tanto da raggiungere l’attaccatura dei capelli. Fu sollevato di vedere di non essere l’unico sorpreso nella stanza.
“Avevate stipulato un contratto con qualcuno?” chiese.
Nozomi fece un’espressione imbarazzante. “In realtà non sapevo nemmeno a cosa servisse. È stata la prima che mi è venuta in mente e l’ho fatta. Il secondo successivo mi sono trovato in un posto strano, dai colori strani e pieno di rane giganti”.
Indovinò la descrizione, ma gli parve così improbabile che si rivolse a Jiraiya.
“Il Monte Myoboku?” chiese conferma.
Jiraiya fece un’espressione di circostanza. “Quando utilizzi la tecnica del richiamo senza aver stipulato un contratto non sai mai cosa può capitare”.
“Che buffo” considerò distratto l’Hokage pulendo la pipa. “Se non sbaglio ti è successa la stessa cosa da ragazzo”.
Jiraiya saltò sul posto, rosso in viso. “Ohi, vecchio! Questo doveva restare un nostro segreto”.
“Quindi non hai raggiunto il Monte perché hai camminato per mesi e mesi alla sua ricerca?” lo stuzzicò Kakashi.
“Oh, è questo che racconti, Jiraiya-chan?” lo derise bonario Hiruzen.
Un colpo di tosse bloccò la risposta del vecchio Sannin. Era stato Fugaku, visibilmente infastidito da quel teatrino.
“Possiamo continuare?” chiese gelido e in cuor suo Shikaku era d’accordo, ma avrebbe preferito darsi fuoco ai capelli che mostrare assenso al gelido capo della Polizia.
“Certamente. Nozomi, prego” acconsentì l’Hokage.
Lui fece spallucce. “Sono rimasto con i rospi per un bel po’. Mi hanno tenuto al sicuro e mi sono allenato con Pa’ e Ma’” disse quei nomi con affettuosa familiarità, il tono che si rifletteva anche nello sguardo addolcito. “Mi hanno insegnato tantissime cose e reso molto più forte. Quando ho imparato tutto ho deciso di lasciare il Monte per riprendere a viaggiare in modo di rendermi utile. È così che ho incontrato Obito!”
Con quest’ultima frase, l’attenzione di tutti tornò sull’Uchiha scomparso. A dir la verità, aveva lanciato continue occhiate a Obito nel mentre del racconto di Nozomi, per osservare la sua reazione. Non sembrava sorpreso di sentire quella storia, doveva già conoscerla, e fin dal momento in cui aveva iniziato a parlare del viaggio con la madre gli si era avvicinato, come a dargli conforto con la sua presenza.
Per il resto era stato in silenzio, il viso privo di emozioni evidenti e l’occhio lontano da Kakashi. Era palese che stesse facendo di tutto per non incrociare lo sguardo.
“Hai incontrato Obito” ripeté l’Hokage con calma, “questo quando?”
“Quasi tre anni fa, signore” rispose Nozomi.
“E cos’hai fatto da solo fino a questo incontro, Obito?”
Il giovane Uchiha parve irritato dal tono accondiscendente del Sandaime, come se stesse parlando con un bambino. Gli lanciò uno sguardo infastidito e disse:
“I cazzi miei”.
Non apprezzò particolarmente quella risposta e non fu l’unico in stanza, fatta eccezione di Fugaku che non batté ciglio. Jiraiya alzò gli occhi al cielo esasperato, evidentemente una risposta del genere non era una novità per lui.
Fortunatamente, l’Hokage mantenne la calma e si limitò a guardarlo con rimprovero.
“Puoi essere più preciso di così?” chiese sempre educato. “Magari dirci come sei sopravvissuto alle rocce”.
Shikaku poteva giurare che Kakashi stava aspettando quella risposta con tutto se stesso dal momento che lo aveva riconosciuto.
Obito era evidentemente riluttante a parlare, lo vide scambiarsi uno sguardo supplicante con Nozomi, il quale sembrò convincerlo silenziosamente.
“Sono stato salvato da Uchiha Madara”.
Non poteva sganciare una bomba peggiore, considerò, in confronto anche la notizia del fratello scomparso di Minato impallidiva. Il primo a reagire fu ovviamente Fugaku.
“Uchiha Madara è morto da tantissimo tempo” ringhiò.
“Sì, be’, in realtà no” replicò Obito quasi con sfida. “Non era morto, anche se all’inizio l’ho scambiato per lo shinigami privato degli Uchiha, visto che aveva una falce e uno sharingan”.
Quello… non aveva senso, ma effettivamente era qualcosa che l’Obito che aveva conosciuto lui poteva pensare tranquillamente.
“Ci stai davvero dicendo che Uchiha Madara, un ninja dell’epoca dei fondatori e che tutti credevano morto, in realtà è vivo?” si assicurò Hiruzen ponendo ogni parola con lentezza.
“Adesso è morto davvero” lo rassicurò. “L’ha ucciso il Yondaime sei anni fa”.
Il calcolo fu facile da fare a tutti, ma Shikaku fu il primo a reagire.
“Stai dicendo che dietro l’attacco del Kyūbi si sei anni fa c’era Uchiha Madara?”
“Conoscete qualcun altro in grado di controllare i Bijū?”
Non gli piacque quella risposta che grondava sarcasmo, non gli piaceva quel suo atteggiamento in generale in realtà. Perciò lo guardò assottigliando gli occhi, sospettoso.
“Puoi spiegarti meglio?” insistette Hiruzen e pensò seriamente che la sua pazienza andava riconosciuta con un monumento. Lui era certo di aver raggiunto la quantità di cazzate sufficiente per quella giornata. Tutto quello che voleva era andare a prendere il figlio all’Accademia e stendersi con lui su un prato a non fare nulla, a svuotare la mente osservando le nuvole.
Con un altro sospiro esasperato, Obito ricominciò.
“Quando mi sono svegliato mi sono trovato in questa grotta con questo vecchio con lo sharingan che mi fissava in modo inquietante. Mi ha detto di chiamarsi Uchiha Madara e che mi aveva salvato la vita. Avevo più della metà del corpo distrutto, perciò lo ha ricostruito usando un clone che aveva creato dalle cellule di Hashirama”.
Quella sola frase aveva già troppe informazioni da poterle digerire tutte insieme.
“Cellule di Hashirama?” ripeté in un invito a spiegarsi meglio.
Scrollò le spalle. “È quello che gli ha permesso di vivere così a lungo. È scappato alla morte contro Hashirama utilizzando la tecnica Izanami e prima di andarsene è riuscito a rubargli del DNA”.
Shikaku vide al suo fianco Fugaku irrigidirsi alla menzione di quella tecnica, ma anche se non la conosceva non chiese approfondimento. Era più interessato a questa cosa delle cellule.
“Che cosa se n’è fatto del DNA dello Shodai?”
Ottenne un’altra scrollata di spalle disinteressata. “Si è tenuto in vita ed è riuscito a ottenere questi esseri umani artificiali che lui chiamava Zetsu. Ha ricostruito il mio corpo con uno di essi” ripeté. “Ma ero ancora debole e debilitato, così non ho potuto muovermi da lì per un bel po’”.
“E questo… Uchiha Madara” iniziò Ibiki scettico, “che cosa voleva da te?”
Questa volta non scrollò le spalle, ma si oscurò.
“Tirarmi in mezzo a un suo piano delirante. Non chiedetemi quale, non capivo la metà delle cose che diceva ed era fottutamente inquietante. A un certo punto ho cominciato a temere fosse anche un pervertito, visto che parlava di volere da me certi favori. Probabilmente parlava dell’attacco con il Kyūbi, ma non ho mai chiesto. Volevo solo andarmene da lì il prima possibile. Mi aveva anche messo questi due Zetsu a sorvegliarmi e, cazzo, non facevano altro che chiedermi come ci si sentisse a fare la cacca”.
Sentì un colpo di tosse incastrarsi in gola a quell’ultima affermazione e si accorse che anche gli altri presenti sembravano faticare dal restare seri. Tranne Fugaku, Fugaku aveva un’espressione molto scandalizzata. Forse era sconvolto sapere la fine che aveva fatto uno dei membri più potenti del suo clan.
“Ma poi sei sfuggito” si sforzò di dire.
“Sì, ci sono riuscito” ammise. “Alla fine i due Zetsu si sono affezionati a me e mi hanno permesso di lasciare quel posto demoniaco”.
“Ma non sei tornato” sottolineò l’ovvio il Sandaime, guardandolo penetrante. “Perché?”
E, per la prima volta dopo che aveva mostrato il Magekyo, Obito puntò lo sguardo su Kakashi, uno sguardo che bruciava odio, rabbia e disprezzo.
“Perché lui ha ucciso Rin” ringhiò.
 
Eccolo.
Kakashi stava aspettando questo momento da quando aveva capito che chi aveva davanti era davvero Obito. Ma sentirlo dire fu comunque una pugnalata al petto che lo fece accartocciare in se stesso, sommerso dai propri sensi di colpa.
La promessa che aveva infranto. Il suo ennesimo fallimento.
“Io…”
Obito socchiuse l’occhio, accentuando il disprezzo con cui lo stava fissando.
“Non mi interessano le tue patetiche scuse”.
“Me la sono trovata davanti all’improvviso!” spiegò bisognoso che capisse che lui non aveva mai voluto che succedesse, che aveva tentato con tutte le sue forze di onorare la sua promessa. “Me ne sono accorto quando era troppo tardi, io non volevo…”
“È stata lei a volerlo”.
Si stupì di sentire la voce di Nozomi sovrastare la sua e quando alzò gli occhi vide che l’uomo aveva fatto un passo avanti e lo guardava affranto, come se vederlo soffrire facesse stare male anche lui. Nebulosamente si chiese perché provare un’empatia del genere per uno sconosciuto.
“È stata Rin che ha scelto di uccidersi” ripeté Nozomi con trasporto. “Kiri le aveva sigillato dentro Isobou…”
“Chi?” chiese Shikaku.
Obito alzò gli occhi al cielo. “Parla del Sanbi”.
“… ma il sigillo era debole, progettato perché si spezzasse una volta raggiunta Konoha. Lei lo sapeva, sapeva che se l’avessi portata lì avrebbe distrutto il suo villaggio. Si è intromessa al tuo raikiri perché voleva evitarlo, perché era l’unico modo che aveva per farlo”.
Ci fu un lungo silenzio, in cui Kakashi sentì nelle orecchie il rimbombo del suo cuore ferito. Ringraziò la maschera che gli nascondeva buona parte del suo viso, ma sospettava che la dolorosa realizzazione fosse comunque visibile nei suoi occhi. Questo… questo spiegava quelle parole che Rin gli aveva rivolto, ora avevano senso…
“Come sai queste cose?”
Il silenzio fu spezzato da Shikaku, razionale come suo solito. Quella domanda lo fece ricominciare a respirare, anche se gli sembrava di essere immerso nell’acqua gelata. Nozomi gli rivolse un ultimo sguardo preoccupato prima di rivolgersi al capo jounin.
“Quando Obito mi ha raccontato quello che aveva visto ho voluto indagare. Insomma, è una storia strana da ogni punto di vista. Con qualche favore a Kiri abbiamo avuto le nostre risposte”.
Si sentì ancora più male nel realizzare che Obito lo aveva visto, che era lì il momento in cui era successo. Aveva visto tutto.
A differenza sua, Shikaku fu più veloce a cogliere un’altra realizzazione.
“Favori a Kiri? Come aiutarli nel colpo di stato?”
Nozomi sussultò e un sorrisetto imbarazzato si disegnò sulle sue labbra. “Ehm, tipo” ammise.
Kakashi non condivise la curiosità delle altre persone nella stanza. Si sentiva come alienato dagli altri, perché l’unica cosa che c’era davanti a lui era Obito, che lo odiava e aveva visto quello che aveva fatto, che genere di pessimo umano fosse. Era come se il destino avesse voluto mandargli un giudice e aveva scelto quello perfetto per torturarlo.
“Come mai intromettersi negli affari politici di Kiri?”
Perfino le domande poste dagli altri gli giungevano nebulose, come se attraversassero strati di acqua, così come le risposte.
“I capi di Kiri erano sanguinosi guerrafondai interessati solo al proprio interesse. Almeno adesso la nuova Mizukage lavora per la pace”.
“E tu sei interessato alla pace, Nozomi-san?”
“Ovviamente! La guerra ha distrutto il mio villaggio e mi ha costretto a essere un profugo. Non voglio che ricapiti una cosa del genere mai più!” asserì.
Quel tono determinato scosse Kakashi, anche se non abbastanza da farlo reinserire nella conversazione. Del resto non aveva davvero ascoltato di cosa stessero parlando, ma improvvisamente gli parve che la bolla attorno a lui esplodesse e i suoni tornassero chiari.
“Mi dispiace” disse guardando Obito.
Ricevette solo disprezzo. “Ho detto che non volevo le tue scuse”.
Faceva davvero male, anche se sentiva di meritare quel disprezzo. In quel momento odiò quella giornata tranquilla, voleva solo indossare la sua maschera ANBU e scivolare nell’automatismo del combattere e uccidere.
Ma almeno riportò su di loro l’attenzione degli altri uomini.
“Quindi è per questo che non sei tornato?” chiese Fugaku duro.
Obito lo sfidò con lo sguardo e il capo degli Uchiha non sembrò apprezzarlo particolarmente.
Kakashi non sapeva che farne di se stesso davanti a questo Obito. Il bambino che aveva conosciuto lui era sì testardo, ma non aveva quell’espressione così rancorosa. Obito non provava mai rancore, nemmeno quando avrebbe dovuto.
“E dove sei stato?” chiese Hiruzen. Sembrava essere l’unico in grado di portare pazienza a quel comportamento così poco collaborativo.
“Non da Madara, se è quello che credete” borbottò, tornò a incrociare le braccia. “Sono stato in giro, per i fatti miei. Mi sono allenato e nascosto e basta. Ho tenuto un profilo basso finché quest’idiota non mi ha coinvolto nelle sue follie”.
C’era un sottotono di affetto in quell’ultime parole, appena più caloroso, Kakashi non seppe se se ne accorse solo lui perché lo conosceva. Seppe solo che provò un irrazionale moto di gelosia davanti alla consapevolezza che era stato qualcuno altro a diventare amico dell’Uchiha, prendendo il suo legittimo posto.
“C’è altro?” chiese l’Hokage al silenzio.
Nozomi smise di sorridere complice a Obito per spostare lo sguardo su Jiraiya, fu proprio lui a prendere la parola.
“Li ho trovati a Uzushio. Dopo un momento di diffidenza siamo stati in grado di collaborare”.
“E puoi confermare le loro versioni?” chiese Hiruzen.
Nonostante il tono gentile, poteva avvertire il sospetto nel suo sguardo. Lo stesso che c’era anche negli altri, molto più manifesto in Ibiki. Ebbe quasi la sensazione di protestare, perché era Obito, dannazione! Era un loro compagno, non c’era motivo di essere così prevenuti nei suoi confronti.
“Sì” confermò serio il sannin, “soprattutto perché c’è qualcuno che mi ha potuto confermare la storia di Nozomi”.
“Puoi evocarlo?” chiese Hiruzen intuendo di chi parlasse. “Sarei curioso di sentirlo”.
Kakashi capì quando vide Jiraiya eseguire i segni con le mani, si accorse che aveva ancora lo sharingan spalancato e si affrettò ad abbassare la benda. Non era il caso di sprecare chakra inutilmente tenendolo attivo.
Obito lo seguì in quel movimento.
Jiraiya abbatté il palmo della mano sulla scrivania dell’Hokage e in quel punto, tra sbuffi di fumo, comparve la figura di un rospo che Kakashi non aveva mai visto.
“Fukasaku-san” salutò Hiruzen.
Il rospo sulla scrivania era piccolo – per lo meno in confronto a quelli enormi che aveva visto essere evocati dal sannin in battaglia – di un verde molto scuro e con i capelli bianchi in un taglio mohawk, sopracciglia spesse e il pizzetto. I suoi occhi gialli si posarono tranquilli su ognuno dei presenti, per nulla turbato di trovarsi lì. Per ultimo osservò Nozomi e sorrise.
“Ciao, ragazzo”.
“Yo” disse quello ghignando.
Il fatto che si conoscessero con quella familiarità confermava quanto detto da Nozomi, ma Kakashi sapeva che all’Hokage non sarebbe bastato. Infatti il vecchio uomo inclinò il volto in avanti in un saluto informale, poi chiese:
“Fukasaku-san, potremmo approfittare del tuo tempo per chiederti alcune cose?”
“Certamente, Hokage-sama” acconsentì con altrettanta educazione.
A quel punto Kakashi non si stupì di vedere il Sandaime rivolgere un cenno a Fugaku.
“Potresti accompagnare i nostri ospiti fuori per un breve momento, Fugaku-san?”
L’uomo si corrucciò di venire escluso da quella conversazione, ma non protestò. Doveva capire da solo che per sorvegliare un utente di sharingan serviva un altro utente di sharingan. Certo c’era lui, Kakashi, ma sapeva di non avere nemmeno la metà dell’esperienza del capo degli Uchiha con quell’arte oculare. Senza contare che sospettava che se lasciati soli Obito avrebbe potuto prenderlo a pugni.
Infatti fu lui a reagire scontroso.
“Perché dobbiamo uscire?”
“Procedimento standard” fu la rapida replica tagliente di Ibiki.
Obito sbuffò dal naso, poi con passo strafottente uscì dalla stanza dando la schiena a tutti i presenti. Nozomi fece un sorriso un po’ a disagio, come a voler chiedere scusa per quella maleducazione, poi seguì Fugaku fuori dalla stanza salutando tutti i presenti come se fossero amici di vecchia data.
Quel ragazzo era davvero strano.
 
Era molto seccato di essere stato escluso dalla stanza.
Infastidito, Fugaku si chiese se quello fosse l’ennesimo segnale della mancanza di fiducia verso gli Uchiha da parte dell’Hokage. Forse avrebbe condiviso con il rospo saggio informazioni che non voleva giungessero alle sue orecchie. Quel comportamento non gli piaceva, se lo aveva fatto anche solo per contrastare lo sharingan di Obito avrebbe potuto mandare Kakashi, visto che ne aveva rubato uno e non aveva un grado abbastanza alto che giustificasse la presenza nella stanza al suo posto.
Ma del resto mancavano anche i due consiglieri e Danzo-sama, una cosa molto strana che nonostante tutto aveva apprezzato.
“Così lei è il capo del Clan Uchiha”.
Rivolse appena lo sguardo al moccioso che aveva parlato. Aveva detto di essere sulla soglia dei ventiquattro anni, ma il suo viso rotondo e gli occhi vispi lo faceva assomigliare ancora a un bambino. Non gli prestò molta attenzione, nonostante la parentele in quella breve conversazione era giunto alla conclusione che non condivideva la stessa brillantezza del fratellastro. Si concentrò piuttosto sul parente scomparso, faticava ancora molto ad associarlo al bambino che era stato un tempo. Gli era difficile da ammettere, ma se non ci fosse stata la conferma di Kakashi molto difficilmente l’avrebbe riconosciuto.
“Perché non sei tornato?” chiese tentando di essere pacato, ma la domanda sembrava in tutto e per tutto a un’accusa. Mikoto aveva ragione a prenderlo in giro dicendo che non sapeva abbandonare l’aria da comandante, in questo momento lo guardava come se fosse un disertore.
Be’, lo è. Ha sviluppato il Mangekyo e non è tornato.
Certo era anche molto sorpreso che Obito fosse stato in grado di svilupparne uno, dai suoi ricordi non era particolarmente talentuoso, anzi… disappunto sarebbe stata la parola giusta per descriverlo. Non aveva un grammo del talento e dell’eleganza degli Uchiha.
Ricevette uno sguardo di sbieco.
“Mi sembra di averlo già spiegato”.
Non gli piaceva quel tono. Poteva apprezzarlo se rivolto all’Hokage, ma non a se stesso. Corrucciò la fronte, ma non lasciò a vedere la sua irritazione.
“Capisco la tua avversione per Konoha” e la condivido, pensò solamente, “ma saresti dovuto tornare dal tuo clan”.
Era sicuro che il suo discorso fosse perfettamente logico, perciò non si spiegò il sussulto di Nozomi  e il suo cominciare ad agitarsi.
“Quindi, signore, lei… lei è sposato?” blaterò con tono spensierato.
Lo guardò con un sopracciglio alzato. “Sì”.
“Oh, e…”
“ Mio clan? Ora faccio parte del clan?”
“…ha dei figli?” deglutì Nozomi.
Fugaku si sentiva sinceramente confuso, sia dallo scatto di Obito che dalle domande dell’Uzumaki. Guardò quest’ultimo.
“Sì, due maschi” poi tornò a rivolgersi all’altro circospetto. “Tu sei un Uchiha”.
Obito sembrava pronto a mostrare lo sharingan da un momento all’altro, cominciò a capire la preoccupazione del suo accompagnatore. In qualche modo che non capiva aveva fatto un passo falso.
“Non ricordo di aver sentito qualcosa dal genere da bambino” replicò. “Ricordo che mia nonna ha dovuto lottare perché risiedessi all’interno del distretto con lei, che non avete mai perdonato a mio padre di aver sposato una civile esterna”.
“I segreti del clan...” iniziò seriamente, ancora indignato da quella storia.
“Non mi avete mai riconosciuto come un Uchiha, mai” lo interruppe ancora una volta e Fugaku si chiuse in un silenzio offeso che avrebbe fatto tremare chiunque. Contraddire e interrompere il proprio capo clan! Questo era decisamente assurdo, Obito era lo stesso bambino indisciplinato di anni fa.
Un bambino indisciplinato che ha un Mangekyo… dovette ricordare a se stesso.
“Che cosa è cambiato adesso?” pungolò di nuovo il ragazzo impudente.
Lo fissò con superiorità, come a ricordare la sua posizione con solo quello sguardo.
“Il tuo sharingan, tanto per cominciare” disse sicuro.
Ma dall’espressione che fece Obito doveva aver fatto decisamente un passo falso.
 
 
 
 
 
Aaaargh, temo che io e Kakashi condividiamo l’indole di ritardo per procrastinazione xD In realtà io ho un bel po’ di capitoli pronti, solo che questa quarantena mi fa perdere il senso del tempo, mi dispiace ;___;
Comunque ecco il terzo capitolo! Sono finalmente arrivato a Konoha, Naruto veste ormai la sua nuova identità e Obito deve fare i conti con quello che ha lasciato alle spalle. Che dite? Riusciranno a convincere l’Hokage e gli altri?
C’è anche Kakashi, che avrà un suo ruolo molto importante aw. Non vedo l’ora che tutta la famigliola si completi^^
Vi ringrazio di cuore per le recensione lasciate e incoraggio i lettori silenziosi a lasciarmi un piccolo parere c: per me è molto importante!
 
Un bacio,
Hatta.

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Capitolo 5
*** La decisione dell'Hokage ***


Capitolo 4

La decisione dell’Hokage

 

 

«We are problems that want to be solved
We are children that need to be loved.»
(What about us? – P!nk)

 

 

Jiraiya era tranquillo. La parte più difficile era andata liscia, senza nessun intoppo, e i due mocciosi erano stati bravi. Certo, non poteva dire di aver particolarmente apprezzato l’interpretazione strafottente di Obito, ma aveva funzionato, soprattutto perché era stata molto realistica. L’assenza di Danzō e i due consiglieri aveva facilitato le cose, era contento che Hiruzen avesse accettato la sua richiesta di una riunione senza di loro. Era certo che la copertura fosse solida e con l’aiuto di Pa’ avrebbero aggiunto l’ultima pietra alla base.
“Fukasaku-san” iniziò Hiruzen con un sorriso rispettoso, “Uzumaki Nozomi ha detto che ha vissuto al Monte Myōboku con voi, è vero?”
“È esatto, Hokage-sama” confermò. “È stato con noi per dieci anni”.
“E come mai la sua esistenza non ci è mai stata resa nota?”
Vide Pa’ guardarlo, come a chiedere conferma di poter parlare, e Jiraiya annuì stando al gioco.
“Gliel’ho già detto”.
Fukusaku annuì e tornò a rivolgersi al Sandaime. “È il fratello minore di Minato-chan e uno dei pochi Uzumaki in vita con i segreti del suo clan. Volevamo proteggerlo”.
“A Konoha avremmo potuto farlo” fece notare Hiruzen.
“Ovviamente, ma è stato durante la guerra e anche dopo la situazioni di riassestamento non è stata molto sicura per lui. Ci sono troppi nemici di Minato-chan che potrebbero ferirlo. Ammetto che è stato con malincuore che lo abbiamo visto andare via, non avremmo voluto anche se ormai sa difendersi da solo”.
Anche il rospo recitava bene, Jiraiya non poteva essere più soddisfatto di così. Sapeva che Hiruzen non poteva biasimare davvero quella decisione; anche loro del resto stavano tenendo nascosto un certo bambino che aveva legami con Minato per motivi molto simili.
“Capisco le vostre ragioni” disse infatti alla fine. “Quindi puoi garantire sulla sua linea di sangue?”
“Assolutamente” confermò Fukasaku. “Il nostro Grande Saggio ha potuto assicurarla. È il motivo principale per cui abbiamo deciso di ospitarlo. Secondo lui avrà un ruolo fondamentale nel futuro avvenire”.
Fu una buona mossa tirarlo in mezzo, Jiraiya conosceva il profondo rispetto che Hiruzen provava per il Grande Saggio e le sue profezie.
“Questo mi conforta” disse infatti.
“Per quanto riguarda Uchiha Obito?” intervenne Ibiki.
Jiraiya sapeva che, ancor più dell’Hokage, era lui che doveva assicurarsi di raggirare. Anche se era difficile, considerando quanto fosse paranoico.
Fukasaku non batté ciglio. “Si sono incontrati circa tre anni fa, da allora viaggiano insieme”.
“Qualcosa di più?”
“Era molto solo e molto triste” spiegò. “Nozomi-chan ha dovuto lottare un po’ perché si fidasse, ma ormai sono inseparabili. Fin’ora non ha mai mostrato cattive intenzioni, tutt’altro ha protetto Nozomi-chan quando era il momento. Sono molto uniti”.
Già, questa era una cosa che Jiraiya avrebbe indagato per conto proprio. Che venisse dal futuro, Nozomi restava comunque il suo figlioccio e aveva il dovere di scoprirne di più.
“Da quello che ho visto non è una cattiva persona, ha un buon cuore ma è stato lasciato a se stesso per troppo tempo, per questo è molto scontroso”.
“Ci possiamo fidare di lui?” fu la schietta domanda di Shikaku.
“Potete fidarvi di Nozomi-chan” disse il rospo, “e Obito-chan lo seguirà”.
Era una risposta sincera, ma forse non quella giusta. Poteva vedere sotto il cappello l’Hokage elaborare se quello potesse diventare un conflitto di lealtà alla sua figura.
“E Nozomi sarà fedele a Konoha?” chiese quindi ponderando attentamente la domanda.
“Nozomi-chan ha bisogno di una casa e una famiglia. Se Konoha riuscirà a diventarlo, potete essere sicuri che le sarà fedele fino al suo ultimo respiro”.
Cosa che già è, pensò fra sé Jiraiya. Aveva visto in poche persone bruciare la Volontà del Fuoco con una tale intensità. L’anima di Nozomi apparteneva a Konoha, era già la sua casa. Ma questo era meglio che gli altri non lo sapessero…
Hiruzen sorrise a quelle parole. “Faremo in modo lo diventi”.
“Sono sicuro che non sarà difficile” approvò il vecchio rospo.
Seguì un piccolo silenzio, in cui Jiraiya osservò i presenti. Hiruzen e Shikaku sembravano essere stati convinti ed erano tranquilli, Kakashi era ancora un po’ scosso per l’incontro con l’amico perduto. L’unico che sembrava continuare a rimuginare era Ibiki.
“Hokage-sama,” iniziò inflessibile, “vorrei chiedere il suo permesso per sottoporli a un interrogatorio T&I”.
… merda.
Quello andava evitato. Sperava che anche la sua sola garanzia potesse evitarlo, senza contare la conferma dei Rospi, ma a quanto pare aveva sottovalutato la paranoia di Ibiki.
Fortunatamente, avevano una soluzione anche per quel caso. Fukasaku intervenne subito, visibilmente preoccupato.
“Intendete usare uno Yamanaka che osservi i loro ricordi?” chiese.
Ibiki si accigliò. “Sì, è la procedura”.
Ci fu un piccolo silenzio, poi: “Ve lo sconsiglio”.
La sua decisione schietta e diretta sorprese tutti i presenti, perfino Jiraiya finse di esserlo.
“Posso chiedere il motivo?” domandò Shikaku.
Fukasaku sospirò. “Vi ha raccontato di sua madre?” Attese che tutti annuissero prima di continuare. “I ninja che li attaccarono usavano una tecnica molto simile a quelle dei Yamanaka, certo non la stessa ma molto simile. Sono entrati nella sua testa e lo hanno torturato psicologicamente per spingere sua madre a parlare, per poi ucciderla con la stessa tecnica”. Fece una lunga pausa in modo che le parole venissero accuratamente assimilate con tutto il loro peso. “Quando arrivò da noi era sconvolto e terrorizzato, la sua mente un disastro dopo quell’abuso. Non sono rimasti danni permanenti, su questo potete stare tranquilli, ma ci sono ancora cicatrici che possono essere dolorose. Posso assicurarvi che se lui o qualcuno che ama subisse di nuovo quella tecnica si difenderebbe d’istinto”. Un’altra pausa. “Il bambino è abbastanza forte” concluse.
Jiraiya vide la serietà nello sguardo dell’Hokage, dopo quell’ultima storia sembrava esserselo preso a cuore.
“A questo punto, Ibiki-san, mi vedo costretto a ritirare il permesso”.
Il capo della Divisione Speciale era evidentemente contrariato, ma non contestò l’ordine e annuì.
“Quindi decidiamo di fidarci di loro” tradusse Shikaku.
“Decidiamo di fidarci” confermò Hiruzen.
Dentro di sé Jiraiya poté cantar vittoria.
 
“Resta solo una cosa da chiarire” riprese Hiruzen quando Fukasaku fu licenziato e poté vedere l’espressione di gioia di Jiraiya congelarsi in modo preoccupato. Decise che più tardi, in separata sede, avrebbe chiesto perché si fosse così affezionato a questo sconosciuto. Anche se in realtà poteva sospettare che la somiglianza con l’allievo defunto avesse avuto un fattore importante.
Comunque fosse, prese la pipa ormai vuota e l’appoggiò alla scrivania.
“Uzumaki Naruto”, spiegò, “resterà un argomento tabù finché non avremo più definite le loro intenzioni. Finché non sapremo se sono sinceri e la loro storia sarà definitivamente confermata, nessuno deve parlargli di Uzumaki Naruto” decretò.
Poteva vedere la disapprovazione di Jiraiya.
“È suo nipote” disse infatti. “Non credi che diventerebbe subito molto fedele alla Foglia nello scoprire che qui ha già una famiglia?”
“Non metteremo in pericolo la vita di Uzumaki Naruto. La sua esistenza deve rimanere un segreto per Iwa e Kumo”.
“Hai sentito Pa’” obiettò indisponente. “Nozomi è forte e dal mio piccolo scontro con lui posso dire che anche Obito ha qualche asso nella manica”.
“Non sto chiedendo il vostro consiglio” fece notare l’Hokage più autoritario. “Vi sto dando un ordine sulla base della sicurezza del nostro Jinchūriki”.
Nessun altro fiatò, solo Jiraiya accentuò l’espressione insoddisfatta e distolse infantilmente lo sguardo in segno di disaccordo.
Sospirò e gli mancò già la sua pipa. Si voltò vero Kakashi.
“Tu e la tua squadra ANBU vi assicurerete che non entrino in contatto in questo periodo di prova. Inoltre tutte le tue prossime missioni fuori dal villaggio sono annullate. Sarà richiesta la tua presenza nel caso si rivelassero disonesti e attaccassero”.
Anche se in cuor suo sperava non lo fossero, ma doveva sempre essere pronto al peggio. Perciò si voltò ancora verso Ibiki:
“Voglio ANBU a sorvegliarli costantemente finché lo riterrò opportuno. Prepareremo inoltre una squadra investigativa che, partendo dalle prove raccolte da Jiraiya, confermerà la loro storia”.
Rimase in un silenzio meditativo, chiedendosi se ci fossero altre questioni da sistemare in privato. Forse più tardi avrebbe dovuto parlare con Jiraiya sul perché non avesse voluto Danzō a questa presentazione. Alla fine scosse la testa e fece cenno a Shikaku.
“Falli rientrare”.
Il jōnin andò alla porta come ordinato, ma una volta aperta un sostenuto tono bellicoso invase la stanza. Nessuno aveva afferrato correttamente le parole, essendo a metà di una frase, ma tutto notarono l’espressione agitata di Nozomi, Obito proteso verso il terzo componente con l’occhio che lampeggiava di rabbia e infine Fugaku, che aveva la curiosa espressione di un bambino sgridato e offeso.
Oh, interessante.
 
Nozomi sembrò deluso di notare, una volta rientrato nella stanza, che Fukasaku se n’era andato senza salutarlo, ma sembrava anche sollevato di potersi allontanare dai due Uchiha litiganti. Kakashi moriva dalla curiosità di sapere che cosa si stessero dicendo fino a un secondo prima, Obito era palesemente furioso mentre Fugaku appariva leggermente alterato, il che era tutto dire.
“Spero abbiate avuto un buon momento” commentò l’Hokage, i piccoli occhi neri che brillavano di malcelata ironia.
Fugaku sbuffò ricercando la propria compostezza. “Questioni di famiglia”.
“Ora che Obito è tornato, avrete tempo per discuterne” stuzzicò un’ultima volta. A volte Kakashi si trovava ad apprezzare questo lato nascosto del Sandaime, specialmente quando punzecchiava i membri più importanti dei clan.
“Certamente” acconsentì serioso Fukagu.
“Fukasaku?” chiese Nozomi volgendo gli occhi nella stanza, come se sperasse di trovare il rospo saggio nascosto da qualche parte. Trovò quel comportamento molto infantile ma, forse per l’associazione a Minato, ne fu intenerito. Il che era assurdo, Nozomi era più grande di lui, come poteva portare tenerezza per un adulto?
“È andato non appena ha confermato la vostra versione” spiegò Hiruzen con un sorriso benevole, poi aggiunse solenne: “Saremmo felici di accogliervi come shinobi di Konoha”.
Lo sguardo di Nozomi si illuminò. “E noi siamo grati di accettare” assicurò e si voltò verso Obito. “Ne, non è vero?”
Quello annuì, senza mostrare lo stesso entusiasmo.
“A breve vi forniremo le vostre targhette identificative e un hitai-ate” continuò l’Hokage. “Dovremo anche capire a quale grado assegnarvi. L’ultima volta che sei stato qui, Obito, eri un chūnin, ma nel bingo book sei stato classificato come un nukenin di grado S insieme al tuo compagno”.
L’Uchiha sembrò spaesato da quell’improvvisa attenzione. “Mi sono allenato per conto mio” spiegò.
“Per questo gradirei tenere un piccolo incontro, una sorta di combattimento amichevole, così da poter vedere le vostre capacità”.
Vide che il Sandaime si girava verso di lui. “Combatteranno contro di te e un membro della tua squadra ANBU a tua scelta”.
Vagliò mentalmente le sue possibilità, ma poi decise di andare sul sicuro.
“Tenzō andrà bene” affermò.
Ci fu qualcosa nello sguardo di Nozomi che non riuscì a decifrare, come se avesse riconosciuto il nome, ma era impossibile visto che l’esistenza del suo compagno era tenuta segreta e i nemici lo conoscevano solo con il suo nome ANBU.
“Siamo stati considerati di grado S” disse quasi pavoneggiandosi. “Non sottovalutarci”.
Lo guardò accigliato. “Non lo sto facendo” disse.
Tenzō poteva essere stato considerato “solo” di grado A, ma la sua capacità di controllare il legno lo rendeva un avversario faticoso. Senza contare che era abituato a lavorare in squadra con lui, si sarebbero adattati bene a ogni situazione.
In un’altra circostanza sarebbe rimasto insofferente a un incarico del genere, ma non lo fu quella volta. Avrebbe combattuto contro Obito di nuovo, dopo anni, in un incontro amichevole. Era curioso di vedere come fosse migliorato, conoscere quest’uomo consumato che aveva davanti. In più voleva anche mostrargli quanto fosse diventato bravo a maneggiare il suo sharingan, che ne aveva fatto uso e aveva onorato la sua memoria in quel modo. C’era poi il fratello del suo sensei, anche lui appariva un tipo interessante da affrontare.
Si ritrovò quindi a essere impaziente e chiese: “Quando?”
“Fra due giorni” considerò l’Hokage. “Il tempo di permetterci di preparare un campo di allenamento adatto e alle nostre nuove reclute di ambientarsi. Oh, a proposito di questo…” aggiunse come a ricordarsi qualcosa solo ora, si voltò verso Nozomi e gli rivolse uno sguardo caloroso. “Come fratello di Minato, credo che per te sia giusto poterti stabile nel complesso Namikaze. Del resto è casa tua” stirò le labbra in un sorriso.
Kakashi ricordava il complesso, lo aveva visitato spesso quando Minato era Hokage e lui aveva il dovere di sorvegliare la gravidanza di Kushina. A volte lo avevano anche ospitato a dormire nella stanza negli ospiti. Erano ormai anni che non entrava lì, le stanze vuote e polverose erano troppo da sopportare. Ma ora forse quella casa avrebbe ripreso la vita di un tempo.
“Mi piacerebbe molto, signore” disse il ragazzo biondo con commozione nello sguardo.
L’Hokage sembrò intenerito, poi si voltò verso Obito.
“Inoltre sono certo che tu potrai tornare al dis…”
“Sto con Nozomi” lo interruppe veloce, tranquillo. Come se fosse scontato che avrebbe continuato a vivere con il compagno di viaggio, come se non dovesse nemmeno chiedere.
Ancora una volta provò una fastidiosa sensazione allo stomaco che non riuscì a classificare. Forse perché sarebbe dovuto essere lui l’amico che lo ospitava nella propria casa, ma doveva essere realista: viveva in un appartamento di fortuna che era un buco sufficiente per una sola persona, senza contare che questo Obito lo odiava.
In ogni caso, appena lo disse, le labbra di Fugaku ebbero un fremito di irritazione e sospettò che stessero discutendo proprio questo prima in corridoio.
“Come preferisci” si affrettò ad aggiungere Hiruzen dopo un momento di sorpresa. “Direi che per ora è tutto. Rimanderemo le faccende burocratiche dopo il vostro sparring” considerò.
Ci fu un momento di stasi, in cui nessuno seppe bene cosa fare. Kakashi non sapeva se auto-licenziarsi o meno, come era solito fare per infastidire i presenti, ma voleva trovare un momento per restare da solo con Obito e parlare. Aveva bisogno di spiegarsi.
“Fugaku-san” richiamò il Sandaime. “Saresti così gentile da accompagnare Nozomi-san e Obito-san al complesso Namikaze?”
Era evidente che il capo degli Uchiha non volesse restare con il parente dopo la discussione avuta, ma non protestò. Si inchinò in modo silenzioso e rispettoso.
Al che Hiruzen sospirò: “Licenziati”.
Tutti gli shinobi lasciarono la stanza, eccetto Jiraiya.
 
Era emozionato, non ricordava l’ultima volta che si era sentito così positivamente agitato.
Nozomi non riusciva a smettere di guardarsi intorno, soffermarsi sulle persone e osservare la città. Aveva quasi dimenticato l’aspetto di Konoha prima dell’attacco di Orochimaru, che ne aveva distrutta una buona parte. Fu mentre camminava tra quelle strade che si rese conto che era davvero tornato indietro.
Accanto a lui i due Uchiha camminavano silenziosi e rigidi, ma non era un problema. Era abituato a stare con Sasuke anche nei suoi giorni più cupi, quindi non temeva il malumore Uchiha e sapeva perfettamente come fare per riempire i vuoti di conversazione. Così parlò a macchinetta per tutta la durata della strada, traducendo in parole qualsiasi pensiero gli venisse in mente.
Era talmente impegnato a blaterare e guardarsi intorno che non si accorse della bassa cosa nera che gli si schiantò contro finché non fu troppo tardi. Istintivamente allungò una mano a impedire che il bambino cadesse a terra e…
Be’, non ricordava che Sasuke da bambino fosse così piccolo.
Osservò stupefatto le due sfere carbone che lo fissavano sotto la confusione di una spettinata frangetta nera. Sorrise e lasciò andare il bambino, sicuro che non rischiasse di perdere l’equilibrio, e il piccolo Uchiha indietreggiò.
“Sasuke” sospirò stanco Fugaku. Era la prima parola che diceva da quando si erano congedati dall’Hokage e non l’aveva detta con un tono felice.
“Sasuke! Ti avevo detto di non correre per le strade”.
Nozomi alzò lo sguardo dalla piccola controparte del suo migliore amico verso il ragazzino più grande che li aveva raggiunti. Il suo viso era una maschera bianca, ma i suoi occhi brillavano di un’esasperazione affettuosa.
Uchiha Itachi.
Fu estremamente strano associare quell’immagine, un bambino, all’uomo triste e misterioso che aveva creduto di dover combattere per buona parte della sua vita.
“Mi dispiace” disse Itachi facendo un piccolo inchino di scuse, poi si voltò verso il padre. “Ti aveva visto e voleva raggiungerti, non sono riuscito a fermarlo”.
“Capisco” assicurò Fugaku. “Non è colpa tua se il tuo fratellino è negligente”.
“Maaa!” piagnucolò Sasuke incredulo.
Il padre lo guardò severo. “Scusati subito con il signore”.
Mentre Sasuke gonfiava le guance in un broncio offeso, Nozomi sentì una fitta al cuore. Era difficile pensare che il glaciale migliore amico un tempo fosse stato così carino. Vederlo rese il sorriso di Nozomi solo più genuino e la sua determinazione più forte.
Avrebbe preso a pugni in faccia il destino della famiglia Uchiha pur di fare in modo che Sasuke conservasse questa innocenza il più a lungo possibile.
“Mi dispiace” offrì alla fine il bambino come se fosse un’accusa, come se fosse colpa sua se gli era finito addosso mentre correva.
Nozomi ridacchiò. “Tranquillo, piccolo” assicurò e si allungò con una mano a spettinargli i capelli sulla nuca. A quel gesto vide Itachi irrigidirsi, come pronto a scattare, e lo stesso fece Sasuke anche se per l’indignazione di essere stato toccato. Infatti scappò appena possibile tra le gambe del fratello, uno sguardo bellicoso e poco felice.
Itachi ora lo osservava curioso, cercando di capire che cosa ci facesse con il padre. Se ne rese conto anche Fugaku, perché decise di dare una spiegazione al figlio maggiore.
“Itachi, questi sono due nuovi shinobi di Konoha. Uchiha Obito e Uzumaki Nozomi” e nel dirlo fece un segno con le dita in modo discreto, ma che notò lo stesso.
Lo conosceva bene, era quello che usavano gli shinobi anche nel suo timeline quando volevano dire che l’argomento Kyūbi non doveva essere nominato.
“Obito-san, Nozomi-san, loro sono i miei figli, Itachi e Sasuke”.
Nozomi si sentì osservato curiosamente dal più piccolo.
“Uzumaki come l’usurat…”
Fu prontamente bloccato dal fratello, che lo prese in braccia fermandolo dal continuare la frase. Itachi osservò invece Obito, che fino a quel momento era rimasto in disparte, fissò in particolar modo la benda al posto dell’occhio sinistro.
“È lei l’Uchiha che ha dato lo sharingan a Kakashi-senpai?” chiese educato.
Obito annuì. “È stato un regalo”.
“Ora che è tornato lo riprenderà, comunque” si intromise Fugaku.
…E Nozomi capì chiaramente da chi Sasuke aveva preso la sua totale assenza di tatto. L’uomo lo aveva detto in modo un po’ brusco, come se fosse una ovvietà che non valeva nemmeno la pena discutere.
Peccato che Obito non apprezzò. “Ho detto che è un regalo” sottolineò.
Per un momento temette che volessero rimettersi a discutere in mezzo alla strada, ma fortunatamente Fugaku sembrò realizzare che non fosse il momento adatto. Soprattutto con i suoi figli a fissarli, Nozomi immaginò che non volesse essere visto contestato da qualcuno.
“Tornate a casa” disse infatti. “Dite a vostra madre che arriverò più tardi”.
Itachi sembrava molto curioso, ma non disubbidì al padre e dopo aver salutato i due nuovi shinobi si allontanò.
“Sono proprio carini i tuoi figli, Fugaku-san!” provò a dire spensierato, per allentare la tensione tra i due Uchiha.
Non funzionò ovviamente.

 

֎

 

“Non immaginavo avesse così tante stanze! E fosse così grande!”
Obito non condivise l’entusiasmo di Nozomi, intento a studiare la casa padronale malmessa. Si era aspettato di trovarla in condizioni peggiore, ma ci sarebbe stato comunque un po’ da lavorare prima di renderla perfettamente vivibile.
Era molto grande, in stile tradizionale con i tatami e le porte scorrevoli, un porticato la percorreva nel suo perimetro esterno, ed era alta due piani. Il giardino che la circondava era incolto, con l’erba alta che nascondeva il sentiero lastricato e un piccolo laghetto vuoto. Immaginava che originariamente dovesse avere delle carpe koi. Era stata attrezzata con campi di allenamento, uno esterno sul retro del giardino, uno interno in un piano sotterraneo rinforzato da sigilli.
Era inoltre provvista di una larga stanza principale, una sala svago, la cucina con la sala da pranzo, camere padronali, camere da letto per gli ospiti, uno studio, una biblioteca e due bagni.
Per sole due persone era anche troppo grande, considerò osservandosi attorno.
Be’, forse non solo due persone, si corresse. Ricordò il chakra che aveva avvertito mentre raggiungevano la casa e decise che valeva la pena andare a controllare. Per quanto non dovessero sapere niente di Naruto, l’Hokage non poteva pensare che fossero così stupidi da percepire il suo chakra e non porsi domande.
Non si stupì di vedere ben tre Nozomi cominciare a correre per le stanze, doveva aver richiamato qualche Kage Bushin per aiutarsi nella ristrutturazione.
“Visto che sei in compagnia” disse ironico verso le scale che portavano al piano superiore, “lo lascio a te”.
“Ehi!” si affacciò Nozomi, non seppe dire se quello vero o un clone. “Tu devi aiutarmi con il Mokuton!”
“Più tardi” assicurò. “Tu intanto da’ una pulita in giro” indicò con la mano in modo vago.
“Non prendo ordini da te” sentì gridare.
Fece un sorrisetto. “Nemmeno io da te” gli ricordò.
“Almeno lasciami un clone così non mi sento solo” si lagnò.
Finse di pensarci su, ma in realtà era una cosa che aveva già intenzione di fare. Si era accorto dell’ANBU che li stava seguendo, perciò preferiva depistarlo in qualche modo. Quindi lasciò un proprio clone e attivò un genjutsu, poi uscì dalla casa di nascosto e si allontanò di nuovo verso Konoha. Si trovava un po’ distante dal centro, più vicino ai boschi e per questo c’era poca confusione.
Una volta al villaggio cominciò a guardarsi attorno, in cerca della stessa scintilla di chakra che aveva sentito prima. Camminò per le vie, senza curarsi delle persone che si fermavano a guardare il suo viso rovinato e tenendo basso il proprio livello di chakra. Non voleva essere scoperto, ma quando percepì qualcuno seguirlo non si preoccupò, il suo chakra era ancora familiare nonostante tutto. Continuò quindi a cercare il suo obiettivo.
Lo trovò poco dopo, in una strada più trafficata delle altre. Ma notò subito qualcosa di strano: le persone camminavano al lato di essa, lasciando lo spazio in mezzo libero. Sembravano far di tutto per non avvicinarsi al bambino biondo che camminava al suo centro, il quale faceva finta di niente, come se non fosse strano essere evitato in quel modo.
“Mostro…”
Sentì sussurrare una donna vicino a lui prima che si allontanasse stizzita. Ma altri civili erano fermi a fissarlo, senza preoccuparsi di essere spudorati, ogni tanto scambiando una parola con il vicino. Quello che captò non era nulla di amichevole.
Si accigliò a quella scena, Nozomi gli aveva detto che da bambino era malvisto dalla gente del Villaggio, ma non pensava in quel modo così esternato. Non erano semplici occhiatacce fuggevoli, erano proprio aperti attorno a lui a fissarlo malevoli e insultarlo senza usare un tono basso, non avevano nessuno problema a mostrare allo stesso bambino quanto fosse odiato. Era un comportamento orribile.
Impensierito da quanto vedeva, cominciò a seguire il bambino diretto a un parco giochi.
 
 
 
 
 
 
Eeeee siamo ufficialmente dentro!
Dal prossimo capitolo la trama comincia a ingranare sul serio, il tempo delle chiacchiere introduttivo è finito! E ha finalmente fatto la sua comparsa il piccolo Naruto! Cosa succederà adesso che Obito l’ha trovato? xD
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni ricevute, in giornata prometto di rispondere a tutte! Siete stat* carinissim* çwç
Al prossimo capitolo!!

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Capitolo 6
*** La scommessa di Obito ***


Ciao meraviglie! Prima di lasciarvi al capitolo, vi faccio un piccolo specchietto sulle età dei vari personaggi ^^
·         Nel canon l’arrivo di Kaguya avviene la notte del 17esimo compleanno di Naruto. In questa storia ci sono voluti quasi due anni per il completamente del sigillo, quindi quando Naruto torna indietro nel tempo ha 19 anni.
·         Si incontra con Obito che ha 20 anni (sei anni dopo l’attacco del Kyūbi, avvenuto quando lui ne aveva 14).
·         Da qui passa un anno e mezzo prima che Jiraiya li trovi e succede in primavera, quindi Naruto/Nozomi ha 21 anni mentre Obito ne ha fatti 22 a Febbraio (idealmente Jiraiya li trova a metà  Marzo).
·         Quando arrivano a Konoha è estate, più precisamente siamo a fine Giugno, e a Ottobre saranno otto anni dall’attacco del Kyūbi. Da questo deriva che i personaggi principali hanno rispettivamente:
Nozomi: 21 quasi 22.
Obito: 22.
Kakashi: 21, saranno 22 anni a Settembre.
Naruto: 7 anni, saranno 8 anni a Ottobre.
Sasuke: 7 anni, saranno 8 anni a fine Luglio.
Sakura: ha già 8 anni (è nata a Marzo).
Shisui: 15 anni, a Ottobre saranno 16.
Itachi: a Giugno ha compiuto 13 anni.
Yamato: 17 anni, ad Agosto saranno 18 (lo so, è praticamente un bimbo lol)
Iruka: a maggio ha compiuto 18 anni (non sappiamo canonicamente quando sia diventato maestro all’Accademia, ma lo è già da un anno nella storia).
Gai: a Gennaio ha compiuto 22 anni.
 
Okay, questi più o meno sono i principali, giusto per darvi un po’ di linee guida. Ovviamente non mi metto a calcolare l’età di personaggi come Fugaku, Hiruzen o Jiraiya xD tanto sappiamo tutti che sono più vecchi di Nozomi.

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo 5
La scommessa di Obito
 
 
 
«I see the children in the rain like the parade before the pain
I see the love; I see the hate; I see this world that we can make!»
(Young – Hollywood Undead)

 

 

 
Naruto era seduto sopra lo scivolo e osservava nascosto il gruppo di bambini sul campetto in terra rossa. Stavano facendo le squadre per giocare a baseball, ma erano in numero dispari e quindi stavano litigando per come fare, perché ovviamente nessuna squadra voleva essere in svantaggio. Pensò che se si fosse unito allora sarebbero diventati pari e non ci sarebbero stati svantaggi, magari gli avrebbero permesso di giocare con loro questa volta.
Titubante spostò gli occhi sui genitori. Erano un poco in disparte, abbastanza vicini da poter controllare i figli e intervenire se fosse successo qualcosa. Ma sembravano anche molto impegnati nei loro discorsi, forse non si sarebbero accorti che si era aggiunto ai loro figlioletti.
Sì, poteva funzionare.
Deciso a farsi finalmente degli amici, scese dallo scivolo veloce e corse verso i bambini.
“Ehi, vi manca un giocatore?!” chiese sprizzando ottimismo. “Posso giocare io se volete”.
Si voltarono tutti verso di lui e un improvviso silenzio calò sul parco, in netto contrasto con le risate e le voci squillanti di prima. Lo fissavano quasi increduli che fosse andato a parlare con loro e alcuni avevano anche fatto un passo indietro. Naruto sentì il coraggio che aveva racimolato sgonfiarsi, ma non si diede per vinto.
“Non ci manca un giocatore” disse finalmente uno dei bambini più grandi.
Si corrucciò, perché ormai aveva imparato a contare e quindi sapeva che stava mentendo.
“Non è vero, siete in sette!”
Ora anche gli altri bambini cominciarono a farsi nervosi e i genitori si erano zittiti, accorgendosi che aveva raggiunto i loro figli. Avevano smesso di parlare felici per sussurrare tra loro frasi troppo basse perché le potesse sentire, ma anche così poteva indovinarle.
“Noi non vogliamo giocare con una nullità come te” dichiarò quindi il primo che aveva parlato, facendo anche un passo minaccioso in avanti.
A quella dimostrazione di forza anche gli altri bambini si animarono.
“Sì, non vogliamo giocare con te!”
Una ragazzina puntò il dito verso il suo viso. “Guarda che cicatrici, fai schifo!”
Quell’ultimo commento lo umiliò e avvilito provò a girarsi per correre via, ma i bambini lo avevano circondato dentro a un cerchio.
“Sembra un animale” concordò un altro. “È proprio un mostro”.
“Non sorprende che nessuno lo voglia!”
“Scommetto che i suoi genitori lo hanno lasciato perché è brutto”.
Quello fu un colpo basso che fece sgranare gli occhi Naruto. Si chiese se fosse vero, se fosse per quello che non aveva dei genitori, del resto Jiji non gli rispondeva mai quando chiedeva dove fossero. Magari lo avevano davvero abbandonato perché gli faceva schifo, come a tutti.
Provò a protestare in qualche modo, ma il gruppo sovrastò la sua voce fievole facendosi sempre più stretto. Cominciò ad avere paura, quindi reagì d’istinto e colpì qualcuno che si era avvicinato troppo.
“Ahia, mi ha morso!” strillò una bambina.
La guardò sconvolto. Non era vero, aveva solo spintonato perché gli stesse lontano. Ma il suo strillo acuto catturò del tutto l’attenzione dei genitori.
“Brutto demone, cosa credi di fare?!” sputò la madre avvicinando la bambina a sé, come a volerla proteggere da lui.
“Mi ha fatto male, mamma” pianse quella.
Anche gli altri genitori si avvicinarono prendendo i propri figli e allontanandoli, come se avessero davvero paura che li mordesse. Naruto sentì i loro occhi su di sé e tremò. Tremò perché non sapeva fare altro davanti a quegli occhi freddi e rancorosi che lo accusavano di qualcosa che non capiva.
“Non l’ho morsa…” protestò.
“Stai lontano dai nostri figli!” lo interruppe un genitore furioso.
“Non devi giocare con loro” lo rimproverò severamente un altro.
“Ma…”
Non capiva quella cattiveria, non capiva perché tutti ce l’avessero con lui. Non aveva fatto niente, aveva solo chiesto di poter giocare con loro.
“Non vogliamo un demone come te!” abbagliarono ancora.
Si sentì arrabbiato. Dalla confusione, paura e tristezza esplose anche quest’ultima emozione: la rabbia. Gli bruciò lo stomaco e gli fece venire gli occhi lucidi, perché non era giusto che lo trattassero così, non lo meritava. Strinse le mani a pugno e urlò:
“Non sono un demone! Sono Uzumaki Naruto e diventerò Hokage, credici!”
Ci fu un piccolo silenzio di sgomento tra gli adulti, finché uno non si riprese e parve furioso di sentirlo dire una cosa del genere. Tremò ancor di più quando lo vide avvicinarsi, una mano alzata. Conosceva quella posa tesa, stava per arrivare una sberla.
“Tu, fottuto…”
Prima che potesse colpirlo, qualcuno si materializzò al suo fianco e afferrò il braccio dell’adulto, impedendogli di calare la mano sulla sua guancia.
Naruto trattenne il fiato e osservò lo sconosciuto, chiedendosi quando fosse arrivato. Era alto, molto più del genitore, e indossava abiti scuri da shinobi, ma non aveva il segno distintivo della Foglia. Aveva afferrato saldamente il polso dell’uomo e lo teneva sollevato in alto, lo sguardo così serio e pericoloso da far accapponare la pelle.
“Cosa credi di fare?” sibilò inclinando la testa.
Solo il quel momento Naruto si accorse delle cicatrici che frastagliavano tutto il lato destro del viso. Forse era quello che aveva fatto spalancare gli occhi del genitore inorridito. Provò infatti ad allontanarsi, ma lo shinobi lo teneva saldo al polso, così forte che Naruto ebbe quasi il sospetto gli stesse per rompere il braccio.
“Chi cazzo sei?” sputò quindi il genitore.
Lo shinobi non rispose, aumentò solo la presa facendo sbiancare ancora di più l’uomo. Ora i bambini sembravano davvero spaventati e si nascondevano dietro alle gambe dei genitori inorriditi.
“Ohi…” balbettò uno preoccupato.
Naruto scattò in piedi e gli si aggrappò addosso, spaventato.
“Lascialo andare” lo pregò. “Gli stai facendo male”.
Gli occhi dello shinobi sconosciuto si posarono su di lui e rabbrividì rendendosi conto che uno mancava e l’altro era rosso sangue, in quel viso deformato dalla cicatrici faceva ancor più paura.
Lo shinobi però lo fissò solo incuriosito, senza una vera sorpresa, e lo ascoltò. Lasciò andare il civile come se fosse un’inutile formica e lo guardò con disprezzo mentre arretrava.
Si stava tenendo il polso e ora che era stato liberato lo fissava oltraggiato.
“Non lo ringrazi?” chiese il ninja calmo. Aveva una voce strana, consumata, come se le sue corde vocali non funzionassero bene, come quando si piange troppo.
Naruto non stava più capendo niente.
Non capiva perché quel ninja spaventoso stesse prendendo le sue difese, né perché sembrasse avercela così tanto con quel civile. Inoltre non lo aveva mai visto in giro, sicuramente non era di Konoha.
Quella domanda sembrò far imbestialire il genitore, che fece una smorfia risentita.
“Dovrei ringraziare questo mostro? Tu sei pazzo…”
Lo shinobi fece un passo minaccioso in avanti, ma successe un’altra cosa strana. Comparve un altro ninja, questo con i capelli bianchi più spettinati dei suoi e la divisa di Konoha, che bloccò il primo mettendogli una mano sulla spalla.
“Maaa” disse con tono leggero, “ci sono problemi?”
Davvero, Naruto non ci stava più capendo niente!
 
 Kakashi era sollevato di aver deciso di seguire Obito. Appena era stato licenziato dall’Hokage li aveva seguiti a distanza fino al complesso Namikaze, dove voleva proporsi di aiutare a mettere in ordine. Ma poi aveva visto Obito far cadere la loro guardia ANBU in un genjutsu e sgattaiolare via. Era stato molto incuriosito da quel comportamento, quindi aveva deciso di seguirlo. Era stato titubante se intervenire o meno quando lo aveva visto accorgersi della presenza di Naruto, ma visto che non aveva provato ad avvicinarlo aveva lasciato perdere. Del resto quello che aveva visto era solo un bambino biondo scansato dalle persone. Un bambino biondo che assomigliava particolarmente al loro sensei e al suo compagno di viaggio, ma comunque aveva scrollato le spalle e lo aveva osservato curioso senza intervenire.
Fino a quella scena del parco.
“Maaa, ci sono problemi?” chiese sfoderando il suo tono più tranquillizzante, nonostante tutto la presa salda sulla spalla di Obito. Cosa voleva fare? Aggredire un civile?
“Shinobi-san!” sbraitò il civile vedendo la possibilità di far valere la propria ragione. “Questo Uchiha mi ha quasi spezzato il braccio!”
Vide Obito irrigidirsi e stringere l’occhio.
“Sono ancora in tempo per farlo” minacciò gutturale e Kakashi vide l’uomo sussultare e indietreggiare ancora un po’.
“Perché non tornate a casa?” propose tranquillo. “Ci penso io qui”.
Fortunatamente non dovette insistere troppo, alla prima sollecitazione il civile se ne andò e con lui anche tutti gli altri genitori accompagnati dai figli. Quest’ultimi lanciarono alcuni sguardi indietro con confusione e terrore.
Bene, questo è fatto.
Si voltò quindi verso il figlio del sensei, ma cercò di evitare di guardarlo direttamente. La sua somiglianza con Minato faceva male e gli ricordava quanto fosse un fallimento.
“Vai a casa, ne?” propose gentile.
Ma il bambino fissava ancora sorpreso Obito, come se stesse cercando di metabolizzare quello che era appena successo. I suoi occhi azzurri osservavano corrucciati le cicatrici.
“Allora?” insistette preoccupato e il suo tono lo fece sussultare.
“Io…” provò, strinse le labbra e si accigliò. “Grazie” offrì in un bofonchio a Obito prima di voltarsi e correre via, dalla parte opposta dove si erano diretti i civili.
Aspettò che se si fosse allontanato abbastanza, poi sospirò e convocò l’ANBU che avrebbe dovuto sorvegliare il bambino, che avrebbe dovuto proteggerlo.
“Perché non sei intervenuto?” chiese mettendo le mani in tasca.
L’ANBU indossava la maschera di un topo e sembrava un ragazzino, forse era una delle prime reclute. Ma del resto sorvegliare il Jinchūrike era il dovere dei nuovi arrivati.
“Erano civili, signore” spiegò nervoso.
Sospirò, suo malgrado rassegnato e sapendo bene di non poterlo rimproverare più di tanto. Aveva ragione, erano civili, non potevano attaccarli.
“La prossima volta fa’ in modo che non si verifichi una cosa del genere”.
“Sì, signore”.
Lo licenziò perché potesse tornare a seguire il bambino, quindi si voltò verso Obito. Fu sorpreso di trovarlo ancora lì, si era quasi rassegnato all’idea che se ne fosse andato.
“È sempre così?” chiese bellicoso.
Qualcosa dal suo sguardo gli fece capire che aveva capito perfettamente chi fosse quel bambino.
“Purtroppo” rispose riluttante.
Non gli piaceva ammettere che per quanto riuscissero a proteggerlo dalle minacce esterne non riuscivano lo stesso con quelle interne.
Obito sembrò infuriarsi ancor di più.
“E li hai lasciati semplicemente andare?” sibilò.
“Erano civili”.
Si sentì patetico a ripetere la stessa giustificazione dell’ANBU, ma purtroppo era proprio quello il fatto: non potevano attaccare i civili.
Si sentì fissato con incredulità, quasi non fosse sicuro di averlo sentito davvero. Ma poi scosse la testa con una risata fredda e disgustata.
“Sei sempre la solita feccia”.
“Io…”
“È il figlio di Minato e Kushina e tu permetti che lo trattino in questo modo? Perché sono civili?!” ringhiò l’ultima parola.
“Sono gli ordini dell’Hokage, non posso…”
“Certo, fa’ pure” lo interruppe ancora una volta. “Nasconditi ancora dietro gli ordini. Vedo che le cose non cambiano, le regole sono ancora più importanti delle persone per te”.
Provò a ribattere, perché non era più vero, non era più quel bambino scontroso e freddo. Ma Obito si teletrasportò prima che potesse farlo.

 

֎

 

Il Sandaime stava finendo di leggere il rapporto che gli aveva lasciato Jiraiya, riguardo tutto quello che aveva trovato su Nozomi e Obito a testimonianza della loro onestà, quando quest’ultimo piombò nel suo ufficio. Spalancò le porte di colpo e ignorò l’assistente che stava inutilmente cercando di fermarlo.
Hiruzen si accigliò per quella bruschezza, ma preferì rivolgere un cenno gentile.
“Obito,” salutò non nascondendo la sorpresa, “c’è qualche problema?”
“Sì, Uzumaki Naruto”.
Fu davvero difficile non congelare a quella risposta fin troppo diretta, ma fece del suo meglio per non mostrarsi turbato. Lo fissò quindi perplesso, lo sguardo interrogativo e un’aria pacifica.
“Chi?”
Obito non ci cascò e strinse solo di più gli occhi. “Il figlio di Minato”.
Quello era un problema.
Abbandonò l’espressione da vecchio confuso e rivolse un chiaro segnale all’assistente, che uscì dalla stanza chiudendo la porta, subito dopo sentì i sigilli di privacy venire attivati.
Prese la propria pipa e iniziò ad armeggiarci per accenderla.
“Quindi?” chiese. “Come l’hai scoperto?”
Obito fece una smorfia. “Credo sia inevitabile vista la sua somiglianza con Minato” gli fece notare. “Ho avvertito il suo chakra e ho voluto controllare”.
Sospirò, aveva sperato che i due non si incrociassero ma quanto pare era stato troppo ottimista. Era ovvio che lo avrebbe riconosciuto, visto che era stato un allievo di Minato.
“Vedi, lui è…”
“Il Jinchūrike del Kyūbi,” incrociò le braccia al petto, “me ne sono accorto”.
Quella conversazione poteva solo peggiorare, tutti i suoi intenti di segretezza erano saltati in pochissime ore. Non c’era che accertarsi di un’ultima cosa:
“Nozomi-san lo sa?”
Obito gli lanciò un’occhiata strana, come se stesse valutando la risposta.
“Non ancora” risolse alla fine.
“Gradirei non glielo dicessi” smascherò il suo ordine in una forma di cortesia.
Per tutta risposta ricevette uno sguardo sbieco.
“Perché dovrei farlo? Perché lei non gli ha detto del figlio di suo fratello?” aggiunse più incisivo.
“La vostra situazione è ancora delicata e sotto osservazione” decise di essere altrettanto schietto. “Prima di dire qualsiasi cosa, vogliamo essere sicuri di fidarci di lui, per la stessa sicurezza di Naruto…”
“Sicurezza?” ripeté divertito. “Nonostante quello che a quanto pare subisce ogni giorno? Vi state davvero preoccupando della sua sicurezza?”
“Guardie ANBU lo sorvegliano ogni…” iniziò a spiegare, ma fu nuovamente interrotto. Quel ragazzo aveva una seria incapacità di lasciare che gli altri finissero le proprie frasi, pensò.
“Ho notato, ma a cosa servono se non intervengono?” sbottò. “Un abuso emotivo è pericoloso quanto una ferita fisica e lei lascia che gli abitanti del villaggio lo trattino in quel modo!”
Non dovette chiedere a cosa si riferisse, bastava che il piccolo Naruto uscisse di casa perché si trovasse al centro di sguardi malevoli o qualche ingiuria e purtroppo lo sapeva bene.
“Naruto diventerà uno shinobi, deve imparare a essere forte”.
Seguì un lungo silenzio, in cui si trovò a sottostare allo sguardo sconvolto di Obito che diventava sempre più sprezzante.
“Certo, ovvio” tremò alla fine di rabbia mal contenuta. “Cos’altro mi aspettavo dall’Hokage che mandava i bambini in guerra?”
Questa volta si trovò a stringere gli occhi. Oltre al fatto che non gli piaceva quel tono, non apprezzava nemmeno che gli rinfacciasse le sue scelte passate. Scelte difficili e dolorose, è vero, ma erano in tempo di guerra e nessuna scelta era semplice. Lui aveva sempre agito per il bene di Konoha, cercando di limitare i danni il più possibile. Sapeva di aver fatto molti errori, per cui aveva chiesto ammenda come meglio poteva, ma non tollerava che un subordinato che aveva disertato per anni gli facesse il processo.
“Provi rancore nei miei confronti?” riuscì comunque a chiedere con tono calmo.
Obito gli lanciò un’occhiata strana e la risposta distaccata lo lasciò molto stupito.
“Nel mondo, non in lei in particolar modo”. Rimase in silenzio per un secondo, poi chiese: “Chi si occupa di Naruto?”
“Gli ANBU a rotazione”.
“Intendo con chi vive”.
Accese la pipa e la portò alle labbra prima di rispondere, pensando già al tornado che sarebbe scoppiato alla sua risposta.
“Nessuno”.
Obito ci mise qualche secondo a reagire, ma non si infuriò come si aspettava. Scosse semplicemente la testa.
“Questa sera io e Nozomi andiamo a prenderlo”.
Non gli piacque quel tono definitivo e si alzò dalla sua sedia.
“Questo vi è proibito e ti è proibito parlare a Nozomi di Naruto!”
“È suo nipote!” ringhiò. “E possiamo proteggerlo meglio di quanto stiano facendo le tue patetiche guardie ANBU. È un bambino di neanche otto anni e tu lasci che viva da solo!”
Hiruzen si chiese se Obito si fosse reso conto di aver sfoderato la sharingan, ma quella era solo l’ultima mancanza di rispetto nei suoi confronti.
“La mia pazienza non è infinita” lo avvisò vibrante di autorità, con il tono che faceva indietreggiare perfino Danzo. Ma non Obito, lui non abbassò nemmeno lo sguardo e rimase a fissarlo con sfida.
“Nemmeno la mia” disse in una chiara minaccia.
Hiruzen poteva sentire i suoi ANBU fremere per intervenire a un suo segnale, ma non voleva arrivare a quel punto. Se ci fosse stato uno scontro, la loro posizione a Konoha sarebbe stato compromessa e, nonostante tutto, lui voleva che Obito restasse a Konoha, a casa, e di potersi fidare di Nozomi.
Fortunatamente, anche Obito parve rendersi conto di essere vicino a un punto di non ritorno e decise di fare un passo indietro. La sua figura smise di vibrare minacciosa e ritrasse perfino lo sharingan, non abbandonò però lo sguardo torvo.
“Fra due giorni”, iniziò lento, “all’incontro le dimostreremo che siamo in grado di proteggere il vostro prezioso Jinchūriki. Se vinceremo, verrà a vivere con Nozomi” terminò con la voce che ribolliva come lava incandescente.
Hiruzen aumentò l’espressione accigliata, infastidito dal modo in cui aveva sottolineato Jinchūriki con il tono sprezzante. Naruto non era solo il Jinchūriki, non era solo quello il motivo per cui aveva il dovere di proteggerlo: era il figlio di Minato e Kushina. Questo valeva più di ogni altra cosa ed era per questo che non poteva cederlo facilmente.
“Non è la vostra incapacità di proteggerlo che temo” tuonò. “Non so se posso fidarmi di voi”.
Ricevette un’altra occhiata indecifrabile. “Forse fa bene a non fidarsi di me” disse apparentemente calmo, come un mare piatto che sotto celava invisibili vortici marini. “Ma sbaglia a non fidarsi di Nozomi e glielo dimostrerò”.
Avvertì il senso di minaccia, come di ultimatum che si avvicinava.
“Fra due giorni all’incontro”, ripeté con la stessa lentezza, “io proverò a uccidere Kakashi e non ci riuscirò, perché Nozomi mi fermerà appena se ne renderà conto. Quando succederà, perché andrà così, lei capirà che può fidarsi di lui e gli dirà di suo nipote”.
Rimase a fissarlo, chiedendosi se ora fosse il caso di chiamare gli ANBU. Obito stava minacciando di uccidere uno dei suoi migliori shinobi senza battere ciglio e poteva vedere che lo avrebbe fatto, che non era una vuota minaccia. Ma riusciva anche a vedere la sicurezza che aveva nel sapere che sarebbe stato fermato, la consapevolezza che Nozomi si sarebbe intromesso e lo avrebbe combattuto in favore di uno sconosciuto.
Non era una minaccia: era una scommessa.
“E se non ti ferma?” chiese calmo.
Uno strano sbuffo uscì dal suo naso, come se trovasse anche solo assurdo pensarlo.
“Mi fermerà e mi prenderà a calci in culo. Può starne certo”.
“No” disse comunque, perché non era un rischio che poteva prendersi. “Tu non…”
“Non era una proposta” lo interruppe tranquillo. “Le ho solo descritto cosa succederà fra due giorni. Magari può provare a fermarmi adesso, ma se ci prova prenderò Naruto, ce ne andremo e lei perderà ogni shinobi che metterà sulle nostre tracce”.
Non era uno scenario che poteva accettare, ma non poteva nemmeno cedere in quel modo a una minaccia, era pur sempre l’Hokage. Si trovò in uno stallo terribile, perché sapeva che al suo minimo cenno negativo Obito lo avrebbe fatto, poteva leggerglielo in viso. Jiraiya gli aveva detto che possedeva una tecnica spazio-temporale, se l’avesse usata per rapire Naruto sarebbe stato difficile rintracciarlo.
“È un ultimatum rischioso” commentò.
“Non è un ultimatum” lo contraddisse. “È una scommessa: fidatevi di Nozomi”.
“Ma se non lo faremo, tu rapirai Naruto” osservò. “Questo è un ricatto”.
Obito sembrava aver perso la pazienza.
“Lo chiami con le pare” replicò con un tono definitivo, si allontanò dalla scrivania senza smettere di fissarlo in volto. “Mi aspetto solo che il Professore di Konoha sappia qual è la scelta più saggia”.
Non rispose a quell’ultima provocazione, lo fissò con lo stesso sguardo di ammonimento mentre lo vedeva lasciare la stanza. Fino alla fine tentennò se dare il segnale agli ANBU, ma alla fine la sua incertezza gli permise di andarsene.
Sospirò e si sentì stanco, troppo stanco per poter reggere ancora quel cappello sul capo. Guardò il quadro di Minato e provò un sottile rimpianto.
“Hai sentito?” chiese quindi.
Jiraiya si mostrò subito nella stanza, le braccia incrociate e un’espressione scura in viso.
“Sì” ammise e sembrò voler aggiungere altro, magari un insulto. Invece disse: “Hai fatto bene a lasciarlo andare. Se avessi provato a fermarlo avrebbe preso Naruto”.
Quello non lo fece stare meglio, anzi aumentò la sua preoccupazione. Se perfino Jiraiya prendeva seriamente le sue minacce significava che farsi nemico Obito era estremamente pericoloso.
“Che ne pensi?” chiese quindi.
“Per quanto sia una testa calda e meriterebbe di essere preso a sberle più volte” iniziò infastidito, “temo abbia ragione”.
Inarcò un sopracciglio curioso, anche se non doveva essere stupito. Non poche ore prima Jiraiya aveva sostenuto l’idea di parlare a Nozomi di Naruto. Doveva fidarsi molto del fratello di Minato, ma temeva fosse per via di sentimentalismo.
“Se davvero proverà a uccidere Kakashi, Nozomi interverrà sicuramente a fermarlo”.
“Mi chiedo il perché di questa fiducia”.
“Nel viaggio verso Konoha ho avuto modo di osservare… la loro dinamica” spiegò, “e Pa’ l’ha confermata parlandomi di Nozomi. Sa che Obito prova molto rancore, ma non permetterà che lo condizioni e non permetterà che uccida un amico. Nozomi è più forte, sia nella forza che nella volontà, perciò alla fine Obito finisce per ascoltarlo sempre”.
“Quindi è quello che ha detto Fukasaku-san” considerò. “Devo avere la fedeltà di Nozomi per avere quella di Obito”.
“Precisamente” confermò.
“E la fedeltà che Nozomi deve a Obito?” chiese quindi.
Da quello che aveva visto, Obito non gli sembrava una persona disposta ad accettare un rapporto puramente servile, doveva esserci parità fra loro, fiducia reciproca.
Jiraiya sorride. “Fedeltà non implica lasciare che un amico faccia qualcosa di sbagliato. Essere fedeli significa anche correggere gli errori dell’altro”.
Corrucciò lo sguardo e non commentò. Lo sapeva ovviamente, era una lezione che aveva insegnato lui ai suoi allievi, non serviva gliela ricordasse.
“Non avrebbe dovuto incontrare Naruto, avevo dato un preciso ordine” sospirò. “Dovrò parlarne con la squadra ANBU e dare una bella strigliata. Sai cos’è successo?”
Scosse la testa. “Posso immaginare che abbia visto come viene solitamente trattato Naruto”.
Poteva cogliere una leggera ironia nelle sue parole.
“Vedo che anche tu la pensi come lui” sospirò.
“Non ne ho mai fatto mistero” disse.
Il che era vero, ma non si pentiva della sua decisione. Se Jiraiya fosse rimasto al villaggio, avrebbe anche potuto pensare di affidarlo a lui, ma così non era stato. Non era sicuro per Naruto vivere fuori dal villaggio, in mezzo a tutti i pericoli in cui viveva Jiraiya nelle sue azioni di spionaggio. Mikoto a suo tempo si era proposta di accudire il figlio della migliore amica, ma offrire il Kyūbi agli Uchiha quando erano sospettati dell’attacco era fuori discussione. L’unica altra persona alla quale avrebbe potuto affidarlo era Kakashi, ma era ancora un ragazzo dalle preoccupanti spinte suicide. Certo, forse se avesse avuto Naruto come ragione di vita avrebbe smesso di buttarsi nell’azione con l’intenzione di morire, ma restava la sua giovane età, all’epoca aveva solo quattordici anni.
Effettivamente, se Nozomi si fosse mostrata una brava persona… Scosse la testa, non volendo sperarci troppo. Il comportamento di Obito era stato già fin troppo pericoloso, doveva essere più cauto del previsto che lasciarsi andare a fantasticherie.
“Quindi, cosa farai?” lo riscosse Jiraiya.
“Per ora starò al suo gioco” spiegò critico. “Vedremo come andrà questo scontro fra due giorni. Dirò agli ANBU di tenersi pronti nel caso le cose si mettessero male. Ma rimanderò ogni decisione a quel momento, puoi capire molte cose di una persona da come combatte”.
Jiraiya annuì in accordo, gli parve perfino di vederlo sollevato. Ancora una volta si chiese perché ci tenesse così tanto a quei due. Ancora una volta la risposta la trovò nel suo affetto per Minato: uno ne era il fratello, l’altro l’allievo; era scontato che provasse un senso di vicinanza.
“Danzō” risolse alla fine e catturò l’attenzione del Sannin. Sapeva che gli era mai stato simpatico, ma si chiese perché improvvisamente sospettasse così tanto del suo vecchio amico. “Dovrò incontrarlo più tardi e dirgli dei nostri ospiti. Non apprezzerà di essere stato escluso dalla decisione”.
“Danzō ha sempre detestato Minato, lo sai,” gli fece notare, “e diffida di tutti gli Uchiha. Si sarebbe opposto con ogni argomento, ora invece non può far altro che accettare la tua decisione”.
“Mhh” ronzò. “Mi chiede se sia solo questo il motivo…”

 

֎

 

Kakashi si sentì molto stupido ad andare al monumento commemorativo. Obito era vivo, non occorreva che andasse a trovarlo, se voleva parlargli poteva andare direttamente da lui. Ma la verità è che dopo il loro ultimo confronto non aveva molto voglia di rivederlo, sarebbe stato come ricevere altri mille pugni allo stomaco.
Kakashi guardò il nome di Minato e sospirò: “Sensei, continuo a non sapere come parlare con Obito” ammise.
Si credeva cambiato, in tutti quegli anni aveva vissuto per i compagni di Konoha, impedendo ai suoi compagni di morire, mettendoli nello stesso piano delle missioni… Non c’era riuscito sempre, ma era quello che tentava di fare. Aveva tentato di proteggere i suoi compagni anche a costo di morire.
Sperando di morire.
Scacciò quella vocina che lo correggeva, non era importante. Non sarebbe morto perché Konoha aveva bisogno di lui, ma se fosse successo… be’, lo avrebbe accettato senza piangere troppe lacrime.  
Ma Obito aveva appena dimostrato che si era sempre sbagliato. Aveva ancora una volta abbandonato qualcuno davanti a un ordine.
A essere onesti, aveva accettato la decisione dell’Hokage di non potersi avvicinare a Naruto anche con una sorta di sollievo, senza protestare. Si era detto che era meglio così, che aveva solo quattordici anni, che la sua vita nell’ANBU non gli permetteva di badare a un neonato e che tutte le persone che gli si avvicinavano prima o poi morivano. Si era limitato a osservarlo come ANBU da lontano per assicurarsi che nessuno lo rapisse, non si era mai avvicinato e non gli aveva dato modo di intendere la sua presenza. Agli occhi di Naruto non valeva come il fratello maggiore che Minato aveva voluto diventasse, era solo un estraneo. Si era nascosto dietro a un ordine perché aveva paura delle conseguenze di avvicinarsi al bambino.
Ancora una volta, si era nascosto dietro un ordine per paura di fallire come aveva fatto suo padre.
“Hai ragione, sensei” sospirò come se tutto quel discorso fosse stato dibattuto dal fantasma di Minato, non dalla sua coscienza. “Le regole non sono tutto” ripeté quello che gli aveva detto spesso da bambino.
Si rizzò con la schiena e guardò il cielo. Era tardi, il sole si era già tuffato oltre la cinta di mura per il tramonto. Se fosse stato veloce, avrebbe trovato ancora un fruttivendolo aperto.
Tornò al villaggio, attorno a lui i negozi chiudevano ma arrivò in tempo per fare la sua commissione, anche se la verdura rimasta era davvero poca. Quindi, con il suo bel cesto di frutta e verdura saltò sui tetti, diretto verso una zona un po’ periferica e sporca, con le case che si arrampicavano le une sugli altri come nelle costruzioni per bambini. Si fermò in equilibrio sul davanzale di una di esse e appoggiò il cesto su di esso in modo che non cadesse, poi bussò alla finestra.
Avvertì uno spostamento all’interno della casa, ma saltò prontamente sul tetto. Il vento si era alzato durante la giornata, trasportando con sé foglie e polvere. Vide delle manine afferrare il cesto, poi una testa bionda guardare a destra e sinistra.
Sotto la maschera sorrise.
Un passo alla volta, si disse prima di saltare lontano dalla casa.

 

֎

 
Obito non tornò subito a casa, ne approfittò per osservare com’era cambiata Konoha dalla sua infanzia. Cercò soprattutto l’entrata di Root, nella speranza che non fosse troppo nascosta. Secondo Nozomi, era stata “chiusa” solo dopo la strage degli Uchiha, quando l’Hokage aveva perso tutta la sua fiducia per Danzō. Quindi in quel momento non agiva segretamente e immaginava avesse una propria struttura. Infatti riuscì a trovare l’edificio che portava alla struttura sotterranea in meno tempo del previsto. Rimase in osservazione per ore, studiando la sicurezza e gli ANBU all’entrata. La cosa migliore da fare era trovare un modo per conoscere la planimetria interna, ma anche se il suo Kamui glielo avrebbe permesso non ne aveva il tempo. Doveva tornare da Nozomi prima che l’ANBU alle loro costole venisse cambiato e si accorgessero del genjutsu. Aveva ancora molte notti per tentare di conoscere tutto quello che c’era da sapere su Root e Danzō. Mancava ancora un anno alla strage Uchiha, avevano tempo per lavorarci ed era meglio iniziare a farlo una volta che l’Hokage avesse smesso di essere un bastone in culo.
Con una smorfia pensò che forse provocarlo come aveva fatto quel giorno non era andato a vantaggio del loro piano.
Non importa, Nozomi userà quella sua strana magia che lo fa diventare amico di chiunque e risolveremo i problemi di fiducia.
Quando tornò quindi al complesso Namikaze era molto tardi e trovò ben cinque cloni a maledirlo per aver lasciato che Nozomi cenasse da solo. Ne eliminò uno senza troppo rimpianto: gli stava gridando nelle orecchie e in quel modo avrebbe fatto sapere all’altro del suo arrivo.
Infatti non aspettò molto prima di vederlo spuntare da una delle stanze. Aveva alzato i capelli con una bandana, teneva in mano una scopa in perfetto stile casalinga ed era sporco di polvere e ragnatele.
“Ti aspettavo da ore! Dove sei stato?” sbottò petulante.
“Ho osservato Root e ho litigato con l’Hokage”.
“Oh e cosa hai scope… Cosa?!” strepitò realizzando l’ultima parte. “In che senso litigato?”
“Ti ho visto” spiegò, poi capì che doveva specificare: “Ho visto Naruto”.
La reazione fu immediata quanto inaspettata, non immaginava che a quella menzione si zittisse e commentasse solo: “Oh”.
Non seppe come interpretarlo, il che era strano. Aveva imparato a capire Nozomi come un libro aperto in quei due anni, erano rari i momenti in cui gli risultava incomprensibile. Soprattutto era raro vedere quell’espressione un po’ amara, rabbuiata. Probabilmente stava pensando al modo in cui veniva trattato da piccolo.
Corrucciò lo sguardo e lo fissò come se fosse un complicato rebus.
Quando Naruto gli parlava della sua infanzia, l’aveva sempre paragonata alla sua, credendo che gli abitanti del villaggio lo trattassero come lui veniva trattato dagli Uchiha: una persona indesiderata, non voluta da nessuno. Ma lui aveva avuto Rin, che era sempre stata gentile con lui, e anche gli altri ragazzi dell’Accademia lo consideravano un amico, senza contare l’importante presenza di sua nonna.
Eppure, nonostante questo, si era sempre sentito tremendamente solo e svalutato. Qualsiasi cosa facesse, agli occhi del clan era sempre un perdente goffo e stupido. Non immaginava come dovesse essersi sentito Nozomi senza nemmeno la sicurezza di poche persone che lo sostenevano.
“Come fai a non arrabbiarti?” chiese senza rendersene conto.
Nozomi distolse lo sguardo e appoggiò la scopa contro il muro.
“Ma io sono stato arrabbiato per tantissimo tempo, c’era sempre una pezzo di me che voleva distruggere tutto” ammise. “Poi… l’ho accettato”.
“L’hai accettato” ripeté scettico e appena incredulo.
Fece spallucce. “Non potevo tornare indietro e cambiare il fatto che mi odiassero, potevo solo lavorare perché mi accettassero. E poi… non posso biasimarli, c’è sempre stata una grande confusione sui Jinchūriki e i Bijū, nessuno ha mai spiegato a dovere cosa significasse. Credevano che fossi il Kyūbi e be’… Kurama ha ucciso un sacco di persone quella sera. Credevano le avessi uccise io, è ovvio che fossero arrabbiati con me”.
C’erano così tante cose sbagliate in quel discorso a cui voleva replicare, ma riuscì a riassumete il tutto in una sola frase:
“Quando fai così mi fa incazzare a morte”.
Nozomi inarcò un sopracciglio quindi si spiegò allargando le braccia.
L’ho accettato” gli fece il verso. “Col cazzo, a me sembra invece tu stia sopprimendo la tua rabbia solo perché un maestro morto e delirante ti ha detto che devi spezzare il circolo dell’odio”.
Nozomi non apprezzò per nulla il riferimento a Jiraiya e il modo sprezzante con cui aveva parlato, ma assottigliò solo gli occhi permettendogli di continuare.
“Questa cosa non può essere sana, prima o poi quella rabbia esploderà e non puoi nascondere che non ci sia. L’hai accettato. Dei, come puoi dire una cosa così tranquillamente? Non bisogna accettare che dei bambini vengano trattati così!”
Sarebbe come accettare che Rin doveva essere uccisa da Kakashi, ma questo non osò dirlo ad alta voce.
“Io non accetto che cose del genere possano succedere” ringhiò. “Ho accettato che sia successo a me, perché non posso cambiarlo e… quindi? Dovrei prendermela con loro? Ucciderli? La vendetta non è qualcosa che fa per me” scosse la testa. “Preferisco dirigere la mia rabbia nel progetto di un mondo dove nessun altro lo subirà. Preferisco guardare avanti e occuparmi della pace”.
“Questo è impossibile. Non puoi cancellare tutto il dolore dal mondo”.
“Ora parli come Nagato”.
“Qualcuno lo avrà pur indotto a pensarlo. Oh, aspetta: sono stato io”.
Nozomi gli rivolse un gestaccio. “Odio quando vomiti il tuo pessimismo cosmico”.
Sospirò. “Io odio quando fai il Buddha”.
“Non sto facendo il Buddha” lo contraddisse togliendosi la fascia e i ciuffi della frangia calarono sulla sua fronte. “Sto facendo quello che ritengo giusto, quello che il mio maestro mi ha insegnato. E lo farò fino alla fine, dattebayo!”
“Il Buddha, appunto” brontolò.
Nozomi questa volta rise, in quel modo l’aria si stemprò subito e anche Obito smise di sentirsi teso. Ogni volta si chiedeva come fosse possibile, come Nozomi riuscisse con un solo gesto innocuo a spazzare via tutta la tensione.
“Allora, cos’hai detto a Jiji?”
Alzò gli occhi al cielo, faticava ancora a credere che chiamasse uno dei signori più potenti delle nazioni ninja in quel modo infantile. Incrociò quindi le braccia e si appoggiò con la schiena alla parete dietro di lui.
“Niente. Gli ho detto di fidarsi di te e di parlarti del moccioso”.
“E?” non si lasciò incantare.
“…E potrei aver minacciato di rapire Naruto se non lo farà”.
Si aspettava che si arrabbiasse e lo colpisse con la scopa, invece si limitò a sospirare.
“Con Jiraiya avevamo deciso di non parlare di me… di Naruto” si corresse. “Avremmo aspettato che si fidasse di noi senza spingerlo, per non apparire pericolosi”.
Sapeva cosa avevano deciso, ma lui non aveva mai detto di essere d’accordo.
“Be’, ero incazzato” tagliò corto.
“Speriamo solo di non trovarci alla porta un esercito di ANBU con l’accusa di minaccia all’Hokage solo perché ti sei incazzato. Non penso l’accettino come spiegazione” scherzò.
“Come se tu non potessi portarci via con l’hiraishin”.
“E diventare ufficialmente nukenin?” mormorò un po’ amaramente. “Preferirei… ecco…”
“Lo so” replicò togliendogli il peso di dover continuare.
Nozomi voleva restare a Konoha, voleva la sua casa. Forse Konan aveva davvero ragione, qualsiasi cosa fosse successa alla fine Nozomi si sarebbe rivelato uno shinobi di Konoha fino all’osso, e forse questo poteva essere pericoloso...
“Domani resto ad aiutarti con la casa” disse, come a voler chiudere quel discorso.
Nozomi annuì. “Io ho sistemato la cucina, il bagno e la nostra camera, ho anche già cenato. Adesso vado a farmi la doccia, poi mi raggiungi a letto?” propose cominciando ad allontanarsi.
“Non ho bisogno di dormire” gli ricordò.
“Chi ha detto che è per dormire?” gli arrivò dal corridoio con una risatina.
Obito inarcò un sopracciglio e stese le labbra un ghigno di apprezzamento. Si staccò dalla parete e lo raggiunse direttamente nel bagno.
 
 
 
 
Ciaaaao!
Pubblico il capitolo questo weekend perché non avrò la possibilità di farlo per tutta la prossima settimana e preferisco lasciar passe un tempo più lungo tra questo e il prossimo capitolo, visto che nel prossimo capitolo andiamo direttamente allo scontro con Kakashi e Yamato ^^
Ma pensiamo a questo capitolo, dove finalmente Naruto chibi ha avuto il suo pov *coriandoli* Che ne pensate del suo primo incontro con Obito? E la conversazione che ha avuto con Sarutobi? Spero come sempre di essere il più IC possibile ^^’
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni che avete lasciato :33 Ci vediamo con il prossimo capitolo, che vi dico subito che è infinito e sarà pieno di azione >.<
 
Hatta.

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Capitolo 7
*** Mokuton e Sharingan ***


Capitolo 6
Mokuton e sharingan
 
 
 
«Some legends are told, some turn to dust or to gold
But you will remember me, remember me for centuries
(Centuries – Fall out boy)
 
 
 
I due giorni volarono in un battito di ciglia. Nessuno riuscì a credere che il tempo fosse passato così velocemente, di certo non Nozomi e Obito che avevano passato ogni momento a sistemare la dimora Namikaze e spiare Root.
Ma soprattutto per Hiruzen.
I due giorni gli erano sembrati troppo pochi per pensare e trovare un piano d’azione. Aveva mandato le sue migliori spie in giro, in cerca di ulteriori indizi che confermassero l’esistenza di Uzumaki Nozomi. Per via dell’ultimatum imposto da Obito aveva più fretta che mai nell’assicurarsi che non fosse un impostore, per il bene di Naruto.
I suoi agenti erano stati velocissimi e avevano già iniziato a mandare messaggi sulle loro prime scoperte. Si trattava per lo più di conferme alla storia offerta da Jiraiya sui probabili spostamenti di Nozomi con sua madre. Erano stati in uno dei villaggi nel Paese del Fuoco, dove avevano raccolto il passaggio di un donna dai capelli rossi con un figlio.
Aveva anche ascoltato attentamente i rapporti forniti dagli ANBU che li sorvegliavano, ma a quanto pare non stavano facendo nulla di più che sistemare l’abitazione. Soprattutto non avevano dato segnali di volersi mettere in contatto con qualcuno fuori Konoha.
Insomma, alla fine i due giorni erano passati senza che prendesse una solida decisione. Quello che scelse perciò fu più dettato da un bisogno di fidarsi, che da una lunga valutazione dei pochi dati a sua disposizione.
“Jiji, ma dove stiamo andando?”
Sorrise paziente al bambino che lo aveva afferrato alla tunica bianca.
“Hokage-sama” gli ricordò. “Devi chiamarmi Hokage-sama”.
Naruto imbronciò il viso alla correzione e insistette: “Jiji”.
Sospirò e lasciò perdere. Apparentemente erano soli mentre camminavano, ma poteva sentire la presenza degli ANBU appostati in loro protezione.
“Be’, stiamo andando all’arena”.
 Per quanto avesse voluto tenere tutto contenuto, c’era comunque stata una fuga di notizie sulle due nuove aggiunte di Konoha e molti shinobi avevano chiesto di poter assistere allo scontro amichevole. Alla fine si era rassegnato a tenerlo nell’arena degli esami chūnin e permettere la presenza di spettatori.
“Perché?” insistette Naruto.
“Perché ci saranno dei ninja molto forti che combatteranno e sono sicuro che tu voglia vederli”.
Infatti il volto del bambino si illuminò. “Forti? Più forti di te?” chiese.
“Certo che no” lo rassicurò sorridendo.
“Allora quando sarò grande li batterò!” annunciò Naruto alzando il pugno in aria. “Perché diventerò più forte di te e diventerò io l’Hokage”.
Rise divertito e intenerito insieme dalla sua sicurezza.
“Me lo auguro, Naruto-kun”.
Erano ormai arrivati ai pressi dello stadio, dove il flusso di persone si era fatto più consistente. Ogni Shinobi si fece da parte al suo passaggio e lo salutò con educazione, ma a Hiruzen non sfuggirono gli sguardi gelidi che lanciarono al bambino. Fortunatamente Naruto era troppo eccitato per l’imminente combattimento per rendersene davvero conto. Dovette afferrarlo a una spalla perché non scappasse via.
Salirono insieme fino alla tribuna d’onore, dove si sarebbe goduto lo spettacolo in modo da osservare attentamente ogni cosa.
“Wooow!” si esaltò Naruto correndo nello spazio riservato, incredulo.
Si sporse oltre il muretto di protezione con la testa per guardare in basso e sembrò illuminarsi ancor di più di gioia nell’accorgersi che avevano uno spazio privato rispetto agli altri.
“Non sporgerti troppo” lo riprese andando a sedersi al suo posto.
Immediatamente alle sue spalle si materializzò uno degli ANBU facendo sussultare il bambino.
Non fu l’unico a entrare nella tribuna riservata, in quel momento fecero la comparsa anche Danzō, accompagnato dal suo frizzante buon umore.
“Oh, vecchio mio” salutò affabile, per nulla intimorito dallo sguardo affilato del consigliere.
L’uomo indossava il solito abito tradizionale e le solite bende a coprire il lato del suo viso malandato. L’unico occhio visibile si soffermò per un solo secondo su Naruto – che ricambiò l’occhiata con strafottenza – per poi tornare su di lui.
“Ho sentito la novità” disse gelido. “Abbiamo due probabili acquisti”.
Hiruzen sorrise. “Se qui per valutare la loro abilità insieme a me? Ti ringrazio per la tua gentilezza”.
Danzō non commentò subito, si limitò a prendere posto al suo fianco.
“Sono qui per sapere perché non ne sono stato informato”.
“No, grazie, abbiamo già mangiato”.
 Ci fu un momento di silenzio interdetto, poi Naruto scoppiò a ridere a crepapelle tenendosi lo stomaco con le mani. Per Hiruzen fu estremamente difficile non ridere con lui visto quanto fosse esilarante l’espressione esasperata di Danzō.
“Ho chiesto,” sibilò a tono più sostenuto, “perché non sono stato informato della loro presenza”.
“Non ho capito, hai una strana tendenza?”
“No!” sbottò Danzō paonazzo. “Sto parlando dei nuovi ninja stranieri!”
“Oh, è bello che tu sia venuto volentieri”.
 Naruto ormai sembrava sul punto di cadere a terra da quanto ridacchiava, Hiruzen dovette portarsi la pipa in bocca per non mostrare che anche lui stava ridendo. Era fin troppo facile far spazientire Danzō, bastava la sola tecnica di fingersi un po’ sordo, ormai non c’era nemmeno più gusto nel provocarlo.
“Di questo ne riparleremo più tardi!” annunciò infatti con esasperazione.
“Hai dei petardi?”
Danzō era ormai allibito, ma fortunatamente Naruto intervenne in quel momento.
“Ma sei anche sordo oltre che vecchio?!” ridacchiò puntandogli l’indice contro. “È meglio che mi sbrighi a diventare Hokage, tu sei troppo vecchio ormai!”
Hiruzen sospirò artificioso.
“Meno male che ci sei tu, Naruto caro” disse e gli fece l’occhiolino.
Il bambino ridacchiò orgoglioso, poi tornò a guardare il campo di addestramento. Al suo fianco, l’ANBU lo avvisò.
“Manca poco”.
Hiruzen annuì, tornando serio.
 
Nozomi era, in un certo senso, emozionato: l’arena era ancora uguale a come ricordava da bambino!
Dopo l’attacco di Orochimaru era stata per buona parte distrutta e per questo era stata ricostruita in seguito, con alcune modifiche. Era strano rivederla dopo così tanto tempo uguale alla sua prima volta lì dentro.
Al momento era solo nella stanza di attesa. Sospettava che Kakashi fosse in ritardo come suo solito e con lui Tenzō, mentre non aveva idea di dove fosse finito Obito. L’ultima volta che l’aveva visto era stato prima di andare a dormire, sospettava fosse tornato a sorvegliare Root e fosse ancora lì.
Che palle, volevo organizzare una strategia…
Fece appena in tempo a pensarlo che percepì una distorsione nello spazio attorno a lui, poi sì aprì come una finestra nell’aria che fece sbucare fuori Obito.
“Oh, sei qui!” costatò mettendo le mani sui fianchi.
L’Uchiha si guardò attorno, lo sharingan ancora attivato che studiava la stanza dove li stavano facendo attendere. Era grigia e senza arredi, fatta eccezione per alcune panche su cui potersi sedere. All’entrata c’era un ninja di guardia, che all’improvvisa comparsa di Obito era sussultato visibilmente.
“Dove sono gli altri?” chiese accigliato.
Nozomi inclinò la testa fissando il soffitto. “Dove vuoi che siano? Kakashi-sensei è in ritardo e il povero Yamato con lui”.
Scosse il capo incredulo. “Non so cosa mi faccia più strano, sentire Kakashi chiamato sensei o dare per scontato il suo ritardo”.
“Meglio per noi!” mantenne l’ottimismo. “Abbiamo tempo per decidere la strategia”.
“Nessuna strategia” lo smorzò incrociando le braccia, poi lo guardò seriamente. “Kakashi lo lasci a me”.
“Ma…”
“Ha uno sharingan” lo interruppe. “Il mio sharingan. Sono meglio equipaggiato per affrontarlo”.
“Ma Yamato… cioè, Tenzō è un utente di Mokuton!” protestò lagnoso. “Tu sei più indicato per contrastarlo”.
Almeno con quell’informazione sembrava aver catturato la sua attenzione. Obito smise di guardarsi attorno per fissarlo sorpreso.
“Konoha ha qualcuno che sa usare il legno?” chiese incredulo. “E tu non hai mai pensato di accennarmelo?!”
Lo guardò offeso. “Te lo avrei detto ieri sera se tu non fossi stato in giro” protestò, poi si strinse nelle spalle. “È un esperimento di Orochimaru, ma non so molto. Posso dirti però che è davvero abile, o almeno nel mio periodo lo era. Quando andavamo in missione ci faceva delle case e riusciva a sopprime il chakra di Kurama”.
Obito sembrò valutare attentamente quell’informazione.
“Ti metterebbe in difficoltà?”
“No” ammise, da anni era più forte di Yamato ormai. “Ho sistemato dei cloni perché raccolgano il chakra naturale”.
“Quindi siamo d’accordo”.
Nozomi sbuffò cominciando a scaldarsi. “No, non siamo d’accordo! Non abbiamo nessuna strategia e… no, dire mi occuperò io di Kakashi non è una strategia. Dobbiamo fare lavoro di squadra”.
Obito richiuse la bocca, inghiottendo quello che stava per dire.
“Lo sai che quando collaboriamo ci divertiamo di più” continuò a stuzzicarlo allargando il sorrisone furbo.
Provò a mantenere il contatto visivo, ma alla fine Nozomi seppe di aver vinto.
“Va bene” borbottò. “Qualche idea? Sei tu quello abituato a combatterli”.
Nozomi fece un sorrisone soddisfatto e furbo. Aveva pensato per tutta la notte a possibili strategie e scenari, poteva considerarsi più che preparato.
Era proprio nel mezzo della sua descrizione accurata delle abilità degli avversari e vari modi per neutralizzarle senza dare troppo mostra delle loro capacità, che vennero interrotti: una voce che Obito riuscì quasi a riconoscere chiamò il suo nome.
Ebbe appena il tempo di voltarsi e vedere un Gai splendente di gioia sfrenata corrergli incontro e placcarlo con il corpo. Nozomi poté vedere l’espressione shoccata di Obito e il modo come si fosse trattenuto dall’usare il kamui per scivolare via.
“Obito! È vero, sei qui! Sono così felice di vederti!” rise Gai.
L’Uchiha si agitò nel fervente abbraccio dell’altro e fortunatamente fu lasciato andare. Fece un passo indietro, come se temesse di tornare a essere stritolato in quella morsa.
“Ciao… Gai” salutò incerto.
Il maestro Gai era molto più giovane di quanto ricordasse Nozomi, ma per il resto era assolutamente uguale: stessi sopracciglioni folti, stessi capelli neri a scodella, stessa orrida tutina verde e stesse sorriso luccicante da rivista.
Si sentì un po’ messo in disparte, visto che non gli era stato rivolta che un’occhiata veloce. Solitamente il maestro Gai lo accoglieva anche con troppo entusiasmo, ma era ovvio che non lo stesse facendo ora. Doveva ricordare a se stesso che non era più Naruto, ma uno sconosciuto. Già qualche giorno prima era stato tremendamente difficile non lasciarsi andare a scherzare con Kakashi-sensei come era solito fare.
Cancellò veloce i pensieri deprimenti che ne derivavano, si concentrò piuttosto sui due ninja davanti a lui.
“Come hai fatto a essere così in ritardo anche per il tuo funerale?!” gridò Gai ridendo, le mani appoggiate sulle spalle di Obito che sembrava diventare sempre più verdognolo a tutto quel contatto fisico indesiderato. O forse era la vista della tutina aderente.
 “Ehm, uhm…” borbottò guardandolo in cerca di aiuto. “Sono stato trattenuto…”
“Alt!” lo fermò a gran voce Gai parando una mano in avanti. “Sono certo che il motivo della tua lunga assenza sia più che giustificata! Avrà sicuramente a che fare con una missione classificata, non devi dirmi niente senza il permesso esplicito di Hokage-sama!”
Nozomi vide chiaramente Obito fare un piccolo sorrisetto con l’angolo delle labbra.
“Una specie” confermò. “È bello rivederti, Gai” ammise alla fine.
La reazione da parte dell’altro fu molto più esagitata. Tornò ad avvolgere un braccio attorno alle sue spalle, decantando a gran voce la bellezza di poter passare ancora tempo insieme nel fiore della loro giovinezza.
Per Nozomi fu difficile trattenersi oltre e non poté che ridacchiare. Quello però riuscì finalmente a catturare l’attenzione di Gai, che sembrò imbarazzarsi molto all’idea di averlo ignorato così a lungo.
“Sono spiacente!” disse inchinandosi formale con la fronte che quasi sfiorava il pavimento. “Lei è l’altro ninja che si scontrerà con il mio incredibile rivale e io l’ho ignorato! Molto piacere” aggiunse inchinandosi ancor più a fondo.
Nozomi era arrossito e si trovò ad agitare le mani in avanti. Era difficile ricordarsi che ora era più grande di tutti loro, anche se solo di pochi anni, e che quindi gli portassero più rispetto. Per quanto Gai fosse sempre stato impeccabili nelle etichette ed educato vicino al ridicolo non si era mai inchinato così a fondo con lui.
“Il piacere è anche mio. E dammi pure del tu…”
“Sono Maito Gai, la Bestia Verde di Konoha!”
Obito si era portato una mano all’orecchio per resistere al tono troppo sostenuto.
“Uzumaki Nozomi” ricambiò senza riuscire a trattenersi dal sorridere.
Gli era decisamente mancato l’entusiasmo del maestro Gai.
“Non vedo l’ora di assistere al vostro incontro. È sempre emozionante vedere giovani ninja mostrare la loro giovane forza e vitalità!” Cominciò a lasciare poderose pacche sulla schiena di Obito. “Questo mi riporta a quando eravamo genin! A sono disposto a darti un rivincita per il nostro scontro agli esami chūnin!”
“Non vedo l’ora” tossicchiò sotto i colpi sulla schiena.
Gai tornò a guardare Nozomi, che faticava a restare serio alla vista del compagno che cadeva alle pacche dell’amico d’infanzia.
“Scommetto che sarà una sfida che tirerà fuori tutta la vostra frizzante primavera” continuò senza smettere di sorridere. “Ma non deprimerti, Uzumaki-san, se Kakashi vi metterà in difficoltà! Eh già!” annuì fra sé. “Il mio formidabile rivale è un ninja eccezionale, sono pochi qui a Konoha in grado di tenergli testa” spiegò gonfiando il petto con orgoglio. “Obito lo sa bene, quindi non perdete la vostra fiamma vitale nello scontrarvi. Anzi! È davanti ad avversari potenti che riusciamo finalmente a ruggire la nostra forza!”
Nozomi non si trattenne più e rise sereno. Gli mostrò il pollice verso l’altro e annuì in accordo.
“Ruggiremo la nostra giovinezza, ‘tebayo!” garantì.
Gai sembrò felice di vedere qualcuno dargli corda, piuttosto che scappare alla sua irruenza, e gli occhi neri brillarono. Fece per annunciare qualche altra frase eclatante, ma nella stanza si teletrasportò Jiraiya.
“Vedo che voi siete pronti” disse, poi si voltò verso Gai e gli domandò con lo sguardo cosa ci facesse nella stanza d’attesa.
La Bestia Verde saltò subito sull’attenti. “Ero venuto a salutare Kakashi-san e augurargli la mia fortuna” spiegò come se stesse facendo rapporto. “Ma ho costatato che il mio incredibile rivale non ha smentito se stesso neanche questa volta e si sta facendo attendere!”
Jiraiya annuì con un sospiro rassegnato.
“Molte persone hanno iniziato ad arrivare adesso, conoscendo le sue abitudini” confermò infatti.
Obito sbuffò con forza e scosse la testa incredulo. Nozomi sapeva che, nonostante lo avesse avvisato più volte che Kakashi era cambiato molto dalla persona che conosceva lui, non fosse mai stato creduto. Per lui doveva sembrare un mondo al rovescio.
“Intanto usciamo da qui” propose Jiraiya. “Se vi mostrate almeno voi, chi è qui da mezz’ora sarà più tranquillo. Cominciano ad agitarsi”.
“Allora è giunto per me il momento di tornare al mio posto” decretò Gai solenne. Si voltò a fare ancora una volta un inchino a Nozomi e dare una pacche alla spalla di Obito. “Che questo scontro possa far fiorire la vostra giovinezza nella sua massima espressione” augurò.
“Fioriremo di certo” ridacchiò Nozomi.
Con un ultimo sorriso abbagliante, Gai lasciò la stanza permettendo finalmente a Jiraiya di parlare chiaramente con i due.
“Avrete un po’ di pubblico, mocciosi” li avvisò. “Tutti gli shinobi di qualsiasi grado che hanno sentito del vostro arrivo e non avevano missioni sono qui. Anche Danzō” aggiunse.
Obito si oscurò, mentre Nozomi non lasciò il sorriso spensierato.
“Questo significa che dobbiamo solo stare più attenti a quello che mostriamo”.
“Esattamente”.
“Tranquillo, ero-sennin” assicurò. “Non userò il chakra di Kurama, ho abbastanza riserve mie da far il culo a Kakashi”.
Annuì. “Ricordati anche di variare con gli stili di combattimento delle varie nazioni. Se userai solo lo stile di Konoha…”
“Capiranno che sono stato addestrato qui” lo interruppe. “Lo so, ero-sennin. Non preoccuparti, userò soprattutto lo stile dei rospi. Inoltre abbiamo già una strategia”.
“Perfetto, allora usciamo. Appena anche Kakashi e Tenzō saranno qui vi dirò la modalità dell’esame”.
Li accompagnò fuori, dove il sole accecò momentaneamente Nozomi. Socchiuse gli occhi e alzò il viso verso gli spalti, facendosi ombra con la mano. Sentiva il boato della folla agitata, ma a notare bene non riempiva all’inverosimile l’arena com’era stato nei suoi esami chūnin. All’epoca c’erano stati molti più civili e molte più figure influenti.
In ogni caso, poteva capire perché il Sandaime avesse permesso a così tanti shinobi di assistere allo sparring: voleva vedere come avrebbe gestito la pressione di essere osservati da così tanti occhi esterni.
Girando gli occhi attorno beccò una squadra Root sparpagliata tra gli shinobi regolari, dai quali riusciva a distinguerli per via della sensazione di vacuità che si portavano dietro, come se fossero un buco nero delle emozioni. Era una sensazione che aveva imparato a distinguere stando a contatto con Sai, anche se negli ultimi anni era quasi sparita del tutto.
Fece un sorriso triste pensando all’amico, doveva trovare un modo per aiutarlo e tirarlo fuori da Root prima che Danzō lo mettesse contro il fratello.
Obito aveva incrociato le braccia e osservava il terreno, piuttosto che gli spalti. Jiraiya invece sospirò, incrociando a sua volta le braccia.
“Ora non ci resta che aspettare”.
 
Konoha quella mattina era stranamente priva di shinobi.
Kakashi sapeva che tutti quelli liberi dalle missioni si erano riuniti all’arena, dove lo stavano aspettando.
Respirò a pieni polmoni, inalando la profumata aria estiva e si rilassò ancor di più sulla panchina.
“Kakashi-senpai…” lo disturbò un piagnucolio.
Socchiuse un occhio pigramente, osservando la figura di Tenzō che percorreva nervosamente la strada altrimenti vuota avanti e indietro.
“Quante volte devo dirti di non chiamarmi così?” chiese senza vero rimprovero nella voce.
Il suo adorabile subordinato non sembrò nemmeno averlo sentito, continuò a camminate torcendosi le mani consumato dall’ansia.
“Dovevamo essere all’arena mezz’ora fa. Dobbiamo andare!” spiegò la sua preoccupazione.
Tornò a chiudere l’occhio e bearsi del sole estivo. “Sì, fra un po’”.
Tenzō ricominciò a piagnucolare. “Senpai…”
“Se vuoi vai avanti intanto, ti raggiungo più tardi” offrì innocentemente, sapeva che l’amico non se ne sarebbe mai andato avanti da solo.
Infatti la sola prospettiva lo fece diventare verdognolo. Era divertente stuzzicare Tenzō, visto che la maggior parte del tempo era avvolto da una pacifica impassibilità. Spesso sembrava che nulla potesse scalfirlo e che niente esaurisse la sua pazienza. Be’, Kakashi poteva vantarsi di essere l’unica persona in grado di renderlo un grumo di ansia e nervosismo.
Solitamente Tenzō non si faceva problemi a contraddire e imporsi, ma con lui non lo faceva. Sospettava fosse perché provava ancora un senso di ammirazione e una profonda gratitudine per averlo portato fuori da Root. Del resto era proprio questo il motivo per cui era la sua vittima preferita da stuzzicare: non voleva che lo ammirasse e non voleva nemmeno la sua gratitudine. A essere sinceri era qualcosa che lo metteva in imbarazzo, perché non sentiva di meritarla.
Il silenzio durò ancora una decina di minuti, nei quali Tenzō continuò a borbottare qualcosa sulla loro maleducazione e la pazienza del Sandaime.
Entrambi indossavano l’uniforme ANBU equipaggiata standard, con un tantō allacciato alla schiena, e manicotti con sigilli per evocare kunai e shuriken. Non indossavano però le loro maschere, visto che non serviva che celassero la loro identità.
Alla fine, cominciò a stancarsi della camminata ansiosa di Tenzō. Era passata un’ora rispetto all’orario deciso, poteva definirsi soddisfatto.
“Andiamo” disse tornando serio.
Tenzō smise di camminare per guardarlo rassicurato, ma l’espressione felice cadde non appena vide Kakashi sparire in una nuvoletta di fumo, con un sorriso diabolico e un’ultima frase: “Su, muoviti, non vorrai arrivare tardi!”
 
Quando si teletrasportò direttamente nell’arena, si trovò nel centro dell’attenzione di ben tre ninja. Jiraiya lo fissava rassegnato, Obito aveva un’espressione di pura incredulità – come se sospettasse di essere dentro un genjutsu – mentre Nozomi lo guardava con gli occhi che brillavano di puro divertimento. A quanto pare aveva trovato qualcuno che trovava i suoi ritardi divertiti.
Kakashi prese mentalmente nota di presentarsi a un loro incontro con un ritardo di minimo tre ore, giusto per vedere se anche in quel caso sarebbe stato divertito, il novellino aveva molto da imparare.
“Siamo in ritardo?” chiese con leggero tono stupito, mentre alle sue spalle compariva anche Tenzō. “Oh, che sbadati”.
Gli occhi blu di Nozomi ebbero uno scintillio. “Perso ancora nel cammino della vita?” chiese.
Scrollò le spalle. “Un gatto nero ha incrociato la nostra strada. Sai, scaramanzia…”
“Senpai, non è vero” piagnucolò Tenzō.
Continuò a sorridere pacifico, ignorandolo totalmente. Di soppiatto lanciò uno sguardo a Obito, giusto per assicurarsi la sua reazione, ma quello sembrava essere piuttosto diffidente.
“Bene, ora che siete tutti qui” iniziò Jiraiya con un tono di voce poderoso, catturando la loro attenzione, “lasciate che vi spieghi come funzionerà il longarone”.
Kakashi smise l’aspetto di sereno distacco per concentrarsi sul Sannin, curioso della sua presenza giù.
“Dal momento che si tratta di una valutazione piuttosto che di una partita normale, le cose funzioneranno in modo leggermente diverso da un semplice sparring”.
Né Obito né Nozomi diedero espressioni di sorpresa, forse se l’aspettavano.
“Come?” chiese maggiori spiegazioni quindi.
“Ci saranno tre fasi consecutive” spiegò. “Le prime due dureranno cinque minuti ciascuna, mentre la terza finché la partita non sarà decisa”. Si interruppe disegnando sulle labbra un sorriso sarcastico. “Se arrivate a durare così tanto”.
Non riuscì a trattenersi dall’inarcare il sopracciglio visibile. Jiraiya stava ventilando che una delle due squadre non fosse sufficientemente preparata per l’altra. Sperò bene che non stesse parlando della sua.
“Questo scontro serve per tastare le abilità di Obito e Nozomi su uno spettro ampio, come un jōnin che valuta un proprio genin. Perciò più che essere una lotta efficace dovete essere il più evidenti possibili nelle vostre tecniche. Nella prima fase possono essere usati solo taijutsu, armi e trappole; alla seconda fase si aggiungono il ninjutsu e il genjutsu; infine nella terza si possono sfoderare le proprie specialità, ciò significa che non potrà essere usata nessuna linea di sangue o modalità eremitica fino alla terza fase. Per quanto riguarda lo sharingan, potete scegliere quando volete di tirarlo fuori, ma il Magekyo potrete usarlo solo nell’ultima fase. Le varie fasi vengono annunciate da un fischio. In conclusione, l’Hokage si arroga del diritto di interrompere lo scontro in qualsiasi momento se lo riterrà opportuno, chiaro?”
Tutti concordarono, ma Kakashi notò che quell’ultimo avviso era stato detto soprattutto verso Obito, con un tono serio e preoccupato.
L’espressione corrucciata del sannin però durò appena un secondo, poi tornò distesa in una gioviale e afferrò per le spalle i due shinobi più vicini, vale a dire Nozomi e Tenzō.
“Dateci un bello spettacolo, eh?”
Nozomi rispose con entusiasmo alzando un pollice, invece Obito si girò, sorprendendolo, verso di lui.
“Sei pronto per il rimborso, Bakakashi?”
Riuscì a trattenere l’incredulità, visto che era stato ignorato fin dal suo arrivo e anche nelle loro altre interazioni lo aveva trattato con freddo disprezzo. Non si aspettava quella battuta quasi amichevole, che faceva riferimento al loro passato nel Team Minato.
Socchiuse l’occhio visibile, mostrando un sorriso spensierato.
“Spero che tu non chieda anche gli interessi” disse saltando all’indietro per una distanza più cauta.
Non si aspettava che Obito ricambiasse con l’accenno di un ghigno.
“Non siate precipitosi e aspettate il via dell’Hokage” ordinò Jiraiya, poco prima di sparire in una nuvoletta di fumo.
 
Si teletrasportò sulla tribuna del Sandaime, facendo sussultare il bambino biondo che si sporgeva oltre la balaustra. Sorrise allo stupefatto sguardo azzurro e si rivolse poi a Hiruzen.
“Sono pronti”.
Il Sandaime sorrise tenendo la pipa fra le labbra, quindi si alzò dal suo posto e si affacciò dalla tribuna. Attese qualche secondo, finché nell’arena il brusio non si quietò fino a quasi scomparire.
 “È bello vedervi così numerosi” disse come prima cosa, spostò gli occhi sul pubblico come a voler dare il benvenuto a ognuno di loro, poi abbassò gli occhi sulle quattro figure al centro del campo di allenamento. “Siamo pronti a dare l’inizio alla valutazione”.
Alzò la mano per dare il segnale del primo fischio, ma rimase distratto da quello che vide: Nozomi aveva fatto un passo avanti, alzando al  viso due dita unite in un sigillo molto familiare.
Hiruzen spalancò gli occhi nel vedere quel gesto ormai obsoleto, che veniva ricordato solo nelle lezioni dell’Accademia, essere utilizzato, soprattutto da uno shinobi esterno di Konoha. Obito parve scuotere la testa rassegnato prima di alzare a sua volta le dita nel sigillo, così come Kakahsi e Tenzō lo imitarono un poco confusi.
Qualcuno qui ci tiene all’etichetta, pensò mentre calava il braccio.
Nell’arena risuonò il primo fischio.
 
Di solito l’inizio di uno scontro tra shinobi sconosciuti era facilmente prevedibile: qualche secondo di tesa immobilità, dove si studiava l’avversario, seguito da una serie di colpi cauti e attacchi di prova, per valutare le abilità dell’avversario e che tipo di tecniche utilizzasse.
Solitamente.
Appena il fischio fu terminato Nozomi si lanciò a una velocità sorprendente contro i due ninja avversari, una macchia arancione che si spostava sul campo.
Kakashi rimase spaesato da quell’azione diretta, il suo avversario doveva essere estremamente stupido o troppo sicuro delle proprie capacità per gettarsi in quel modo contro il nemico, ma si accorse in tempo che il diretto interessato del suo colpo era Tenzō. Si spostò quasi d’istinto, sguainò il tantō che aveva alla schiena e lo diresse contro la testa di Nozomi, sul collo. Non aveva intenzione di ferirlo mortalmente, il suo gesto era stato abbastanza lento perché lo notasse, voleva solo che si spostasse per evitarlo e lasciasse a Tenzō il tempo di reagire.
Ma fu con orrore che si accorse che l’Uzumaki non aveva nessuna intenzione di cambiare traiettoria, continuò a caricare il colpo incurante della lama che si avvicinava sempre più alla sua parte scoperta.
Anche se Kakashi avesse voluto fermarsi, non avrebbe potuto bloccare lo slancio.
Il contraccolpo arrivò inaspettato e forte. Senza che se ne rendesse conto anche Obito li aveva raggiunti e aveva afferrato con la mano nuda la lama del suo tantō.
Riuscì a fermarla e l’urto fece quasi perdere la presa a Kakashi, che ne approfittò della leva per tentare di saltare via. Ma Obito continuava a tenerlo saldo per la spada, per allontanarsi dovette mollare la presa sull’elsa e proprio in quel momento l’Uchiha aumentò la stretta al punto che la lama si spezzò.
Nel frattempo Nozomi aveva raggiunto Tenzō che era riuscito a parare appena il colpo della sua caviglia al collo, facendosi scudo con l’avambraccio. Per il colpo dovette comunque arretrare mantenendo a stento l’equilibrio.
Kakashi guardò la propria elsa a terra, la lama in frantumi, e poi Tenzō arretrato in posizione difensiva. Forse l’Uzumaki non era poi così stupido e la fiducia nelle loro capacità era giustificata.
Si trovò a sorridere, l’adrenalina in fermento, e portò una mano all’hitai-ate. Doveva fare loro i complimenti, non pensava di tirarlo fuori così presto.
Sollevò la benda e il coprifronte, lo sharingan ruotò nel suo occhio. Vide Obito fare lo stesso e uno sharingan gemello colorare di rosso l’iride che ricambiava il suo sguardo.
Il riscaldamento era già finito, si cominciava a fare sul serio.
 
Sono veloci, costatò Fugaku, lo sharingan attivo per seguire al meglio lo scontro. Gli shinobi si muovevano come macchie sfocate sul campo di allenamento, fin da subito lo scontro si era fatto serrato e per nulla cauto. I colpi erano veloci e difficili da seguire, continui e forti. Il combattimento sarebbe stato difficile da seguire anche per un normale jōnin, i chūnin lì presenti dovevano essersi già persi.
Lanciò uno sguardo fiero a Itachi al suo fianco, che grazie al suo sharingan sembrava non perdersi un colpo, poi tornò sulla lotta.
Sapeva che Kakashi aveva una buona formazione anche nel taijutsu, fu  invece sorpreso di vedere Obito utilizzare così fluidamente lo stile Uchiha del corpo a corpo. Dell’imbranataggine che lo aveva caratterizzato da ragazzino non sembrava esserci più traccia e riusciva a tenere testa a Kakashi senza un accenno di fatica, seguendo lo stesso ritmo veloce.
Anche l’Uzumaki lo stava stupendo positivamente.
Al di là dell’impressione infantile che gli aveva fatto, padroneggiava il taijutsu con una tale potenza da scatenare invidia tra i jōnin. Il compagno di Hatake sembrava riuscire a scansarsi appena ai suoi colpi e a stare dietro a quello stile così rimbalzante, che ricordava quello dei rospi. Ricordò quello che aveva appreso nello studio dell’Hokage e pensò che non dovesse stupirsi se utilizzava lo stile del monte Mobyoku.
Il secondo fischio segnò l’inizio della seconda parte.
 
Hiruzen osservò per qualche secondo l’espressione sbalordita del piccolo Naruto, aggrappato alla ringhiera per tenersi mentre si sporgeva il più possibile. Sapeva che il combattimento stava andando troppo veloce per lui, ma ne sembrava comunque entusiasta e suoi occhi brillavano di stupore.
Nel momento in cui suonò il secondo fischio, tornò a guardare a sua volta il combattimento. Le due squadre si erano allontanate con un balzo, ognuno a fare i propri sigilli. Non seppe se Nozomi e Kakashi avessero avuto la stessa idea, o se quest’ultimo aveva usato lo sharingan per prevedere la mossa, ma entrambi rilasciarono più o meno nello stesso momento un jutsu d’acqua che allagò il campo di allenamento. Ma a differenza di Kakashi, che come Tenzō era riatterrato nel terreno inzuppato d’acqua, Nozomi si acquattò sul ramo di uno degli alberi messi a disposizione. Il perché fu subito chiaro: Obito che era saltato a sua volta riscese verso l’acqua maneggiando un jutsu di fulmine, con il chiaro intento di friggere i due avversari.
Si trovò a fare un sorriso a quell’ottima coordinazione, si vedeva che erano abituati a combattere insieme.
Fortunatamente anche i suoi shinobi avevano assi nella manica da sfoggiare. Veloci, sia Tenzō che Kakashi cominciarono a unire le dita nel sigillo di terra e, poco prima che Obito infrangesse i fulmini sulla superficie acquosa, crearono una piattaforma alta su cui ripararsi. Ma doveva essere stato previsto dall’Uchiha, perché appena atterrò smise il jutsu di fulmine e gonfiò il petto, senza l’aiuto di sigilli sbuffò fuori una palla di fuoco che, grazie al rinforzo di un jutsu di vento prodotto da Nozomi, divenne di notevoli dimensioni.
Kakashi fu veloce a reagire, avvantaggiandosi del bacino d’acqua già presente nel campo di allenamento.
“Suiton: Pilastro d’Acqua”.
Attorno a lui e Tenzō si formò una barricata d’acqua contro cui si infranse e si estinse la palla di fuoco di Obito. Lo scontro provocò però uno spesso vapore bianco che coprì l’intera arena.
Hiruzen strinse gli occhi, infastidito di non riuscire a vedere attraverso la nebbia.
“Che succede?” scalpitò Naruto coinvolto dal combattimento.
Fortunatamente, l’impedimento visivo durò appena qualche altro istante: un jutsu di vento spazzò via il vapore, facendo tornare visibile il campo di allenamento.
Quasi rischiò di far cadere la pipa dalla bocca quando vide quello che stava succedendo.
Kage bushin no jutsu?
Nozomi era riuscito a creare una dozzina abbondante di cloni, che stavano mettendo in difficoltà Kakashi con i suoi continui attacchi, mentre Obito teneva sotto assedio Tenzō con continui jutsu di elementi diversi.
Preferì concentrarsi sull’Uzumaki, preso in contropiede da quel risvolto. Osservò l’abilità con cui maneggiava la tecnica inventata dal Nidaime, continuava a ricreare cloni su cloni senza preoccuparsi della quantità di chakra che la tecnica consumava.
“È un mostro di chakra” confermò Jiraiya al suo fianco, indovinando i suoi pensieri.
“Vedo” ronzò.
Il Kage Bushin non era una tecnica particolarmente difficile da usare, tutti i suoi jōnin la padroneggiavano per lo spionaggio, ma non aveva mai visto nessuno utilizzarla in modo così continuo e attivo in uno scontro.
“Chakra?” chiese Naruto portandolo via dal suo rimuginare. “Cos’è?”
“Bambino mio,” sospirò esasperato, “non lo stai studiando all’Accademia?”
Naruto distolse lo sguardo imbronciato, tornò a guardare il combattimento e non rispose.
Hiruzen lo imitò prontamente, mancavano ormai pochi minuti allo scadere della seconda fase. Era fin troppo curioso di vedere cos’altro avessero in servo.
Con gli occhi si spostò da Nozomi per osservare Obito. Era stupito che, nonostante tutti quegli anni lontani da Konoha, il suo stile fosse così prettamente Uchiha.
Anche se… c’era qualcosa che lo turbava e inquietava, che gli faceva temere che sotto ci fosse molto più di quanto avesse loro raccontato.
Forse avrebbe dovuto soffermarsi di più sul suo presunto incontro con Madara. A essere onesto, quando ne aveva parlato lo aveva etichettato come un errore: Madara era morto, probabilmente chi Obito aveva incontrato era un vecchio Uchiha folle e reietto che si spacciava per il leggendario capo clan.
Eppure… forse chi aveva incontrato era davvero Uchiha Madara.
Perché quello stile di combattimento lo portava indietro di molti, troppi, anni: alla sua giovinezza e alla sua istruzione sotto il primo Hokage. In quel periodo aveva avuto l’onore di assistere a un suo combattimento amichevole con Madara ed era certo che non avrebbe mai dimenticato quello scontro incredibile.
Per questo poté notare subito, con una turbata chiarezza, che Obito aveva lo stesso modo di combattere di Madara.
 
Quando Tenzō sentì il fischio che annunciava la terza fase, non poté che tirare un sospiro di sollievo. Era così tanto abituato a usare il Mokuton che, in quei due primi stadi dove non gli era stato permesso, si era trovato non poco in difficoltà a contrastare sia Nozomi che Obito. Su quest’ultimo fu felice di potersi avvantaggiare di tutti i suoi allenamenti con Kakashi, che gli avevano permesso di resistere allo sharingan.
Scattò all’indietro e concentrò subito il chakra per la sua prossima tecnica. Atterrò acquattato, le mani premute sul terreno e attorno a lui cominciarono a crescere subito degli alberi da usare come attacco. Sapeva che qualsiasi spettatore poteva riconoscere quell’abilità quasi leggendaria, perciò non si stupì del brusio di puro stupore che crebbe dagli spalti.
Kakashi gli si avvicinò, mentre sia Nozomi che Obito saltarono indietro per studiare il nuovo cambio di scena. A essere onesti, però, nessuno dei due sembrava davvero sorpreso di incontrare un utente Mokuton, anzi Obito gli rivolse perfino un ghigno divertito.
Quando vide i due avversarsi scambiarsi un cenno d’intesa, si preparò a disporre le piante attorno a lui per colpirli, ma quello che vide subito dopo lo lasciò sconvolto. Riconobbe i sigilli compiuti dalle mani di Obito, ma non fu comunque pronto a vedere il terreno esplodere per lasciare spazio a scure e contorte radici che si attorcigliarono attorno ai suoi alberi, strangolandoli così forte da spezzarli.
Spalancò gli occhi realizzando che davanti aveva un altro utente di Mokuton e, considerando il modo in cui Kakashi trattenne bruscamente il fiato, doveva essere una novità.
Forse le cose non sarebbero state facili come aveva sperato.
 
Hiruzen non riuscì a trattenersi dall’alzarsi dalla sua sedia e fissò con sgomento quello che stava succedendo nel campo di allenamento. Non si era stupito degli alberi che erano improvvisamente cresciuti per opera di Tenzō, ma vedere Obito – un Uchiha – rispondere con la stessa tecnica che era stata perduta da decenni fu un colpo al cuore. Al suo fianco, nemmeno Danzō riuscì a mantenere la sua solita compostezza.
“Come può essere?”
Avevo più della metà del corpo distrutto, perciò lo ha ricostruito usando un clone che aveva creato dalle cellule di Hashirama.
Erano stati fatti per anni esperimenti sulle cellule di Hashirama nella speranza di recuperare quella tecnica, perfino Orochimaru le aveva studiate in quel suo modo poco ortodosso, e Tenzō era stato l’unico bambino in grado di rispondere positivamente a quella sperimentazione.
Ma a quanto pare non era l’unico. Un altro bambino, un Uchiha il cui stile di combattimento era inquietantemente simile a quello di Uchiha Madara, aveva lo stesso potere di Senju Hashirama.
Alzò brevemente il viso verso il monte degli Hokage.
Shodaime, lo sta vedendo anche lei?
 
La situazione può solo peggiorare.
Kakashi lo pensò con sereno distacco, come se non se fosse un semplice spettatore e non stesse combattendo nell’arena.
Mokuton. Ottimo. Meraviglioso. Almeno questo spiegava il nuovo odore di Obito e perché gli ricordasse quello di Tenzō.
Aveva creduto che dalla terza fase avrebbe combattuto con Obito, visto che era meglio equipaggiato per contrastare il suo Mangekyo, ma decise di lasciarli a vedersela tra loro su chi avesse l’albero più grosso.
Si concentrò quindi su Nozomi e… be’, appena lo vide fu quasi scosso da un attacco di ridarella compulsiva.
Quello era Senjutsu? La situazione era peggiorata.
Riuscì a riconoscere la modalità eremitica dei rospi, l’iride colorata di oro splendente, rotonda come una moneta e la pupilla un taglio orizzontale, le palpebre colorate di arancione. Ciò che lo sorprese furono due cose: che fosse riuscito a compierla mentre era in movimento e che non avesse dovuto convocare qualche rospo ad assisterlo. Non sapeva molto di senjutsu, ma sapeva che richiedeva un certo periodo di immobilità per raccogliere il chakra naturale in sé, come aveva fatto se non era stato fermo neanche un secondo e non c’era nessun rospo ad averlo fatto per lui?
Le sue domande vennero messe da parte nel momento in cui vide che si stava avvicinando, in sage mode era molto più veloce di prima.
All’ultimo però Nozomi deviò, per correre dove Tenzō e Obito si stavano ancora scambiando colpi con il Mokuton.
Kakashi capì prontamente che si stava dirigendo per colpire Tenzō mentre era distratto dal compagno, perciò scattò a sua volta per difenderlo. Si preparò a creare un jutsu che li allontanassero, ma era ancora a metà dei sigilli che ci fu uno scambio. Obito si teletrasportò, evitando l’attacco di Tenzō che rischiò di sbilanciarsi nel vuoto e rendersi vulnerabile all’arrivo di Nozomi.
Dopodiché, Kakashi non ebbe più modo di assistere alla sorte del compagno.
Obito si teletrasportò davanti a lui, comparendo subito dopo una distorsione d’aria a forma di vortice, con sé aveva una katana che fino a un momento prima non brandiva e il Mangekyo brillava minaccioso.
“Pronto a prenderle, Bakakashi?”
Saltò indietro, in una distanza di sicurezza.
“L’ultima volta che ho controllato, eri tu a prenderle” osò.
Obito maneggiò con la katana, disegnando cerchi veloci attorno a lui.
“Non sottovalutarmi” sibilò, poi attaccò.
La prima cosa che fece ovviamente fu schivare, gli arrivò alla schiena e approfittò per completare il jutsu che aveva lasciato a metà.
“Raiton: Zanne della Bestia Fulminea!”
Dalla sua mano partì un fulmine che prese la forma di un segugio, il cane si mosse veloce, non c’era verso per Obito di poterlo evitare o di trovare un contrattacco abbastanza potente. Lo vide con lo sharingan seguire la traiettoria del fulmine, ma era troppo imprevedibile e perciò si preparò a contrastarlo con la lama e il suo braccio artificiale.
Se non che un momento prima che venisse colpito, qualcosa che assomigliava a un enorme shuriken rotante e luminoso si infranse sul fulmine, disperdendolo. Le raffiche d’aria che gli arrivarono gli fecero capire che si trattava di un jutsu di vento, la debolezza del fulmine.
I suoi occhi si spostarono su Nozomi, arrivato prontamente ad aiutare il compagno, ma si accorse subito che era solo l’ennesimo clone visto che l’originale era ancora impegnato con Tenzō.
“Non mi ringrazi?” chiese il clone con una linguaccia.
“No” sbottò Obito, infastidito. “Me la cavo da solo”.
“Ingrato!” protestò. “Ti ho appena salvato”.
Non l’ascoltò. “Torna dall’originale. Me la cavo da solo” ripeté.
Il clone alzò gli occhi al cielo, ma fece come gli diceva.
Kakashi provò a lanciargli contro gli shuriken rimasti per poter almeno sgravare il lavoro a Tenzō, ma quello riuscì a evitarli contorcendosi e gli fece la linguaccia.
Non ebbe nemmeno il tempo di indignarsi perché Obito gli fu di nuovo addosso, coinvolgendolo in un taijutsu. Doveva dargli atto che era migliorato molto dai suoi giorni da chūnin.
Riuscì a colpirlo allo stomaco e allontanarlo da lui abbastanza per darsi respiro e potersi concentrare in un nuovo ninjutsu. Obito, però, ne approfittò per fare lo stesso e fu molto più veloce di lui: gli bastò unire le dita al petto, il Mangekyo sgranato che creò una distorsione dell’aria davanti a lui, come un vortice d’aria.
Si preparò a contrastare un jutsu di vento, ma si accorse troppo tardi di essere in errore: dalla bocca sputò un fiotto di fuoco che, mossa dalla distorsione del Mangekyo, si allungò in una spirale mortale diretta verso di lui.
Agì d’istinto, quasi senza programmarlo, e alzò un muro di terra che resistette a malapena alla potenza della fiamma.
Sentì appena il sobbalzare della folla, si concentrò piuttosto sul fumo che lo circondò da entrambi i lati, cercando di indovinare da quale sarebbe comparso Obito.
Il suo intuito fu buono ed ebbe la prontezza di riflessi di evitare l’attacco con la katana. Fece scivolare veloce la mano al borsello e le sue dita si serrarono sull’ultimo kunai rimasto, riuscì ad alzarlo in tempo incrociando le due lame.
Kakashi si fidava del suo istinto, in combattimento lo aveva sempre salvato e non sbagliava mai a seguirlo. Fu quindi con sgomento che lo sentì avvertirlo che la sua vita era in pericolo, guardando il Mangekyo di Obito percepì un puro intento omicida nei suoi confronti.
Appena gli fu possibile si allontanò, la pelle d’oca per la sensazione provata. Improvvisamente, non era più uno sparring amichevole, valutativo: Obito stava combattendo per ucciderlo.
Poteva annusarne la sete di sangue come un segugio e il fatto che lui fosse sempre più a corto di chakra lo mise ancor di più nella difensiva. Si trovò a entrare nelle vesti di Kakashi a sangue freddo senza nemmeno rendersene conto.
Veloce convertì il proprio chakra in elettricità e la concentrò nel metallo del kunai, rendendola la lama del kunai più tagliante. Quando Obito gli fu di nuovo addosso, riuscì perfino a scalfire la katana. Si mosse quindi veloce per costringere l’avversario a mollare la presa sulla sua arma e costringerlo nel semplice corpo a corpo.
Obito lasciò effettivamente andare la katana, ma non batté ciglio e riuscì a fermarlo a sua volta. Lo colpì così forte che Kakashi barcollò all’indietro e cercò una nuova distanza di sicurezza. Obito non gliene diede tempo e continuò a tenerlo sotto difesa, facendolo arretrare sempre di più, fino al bordo dell’arena. Ma se il suo obiettivo era quello di metterlo in trappola, aveva fatto i conti troppo presto. Proprio quando si trovò con le spalle a sfiorare la pietra dietro di lui e Obito stava per caricare un colpo, sgusciò via dalla sua presa e si allontanò. Il pugno di Obito si liberò sul muro, che si piegò in crepe simili a ragnatele alla sua potenza.
Un colpo del genere gli avrebbe spaccato la testa. Non c’erano più dubbi: stava cercando di ucciderlo.
Obito si voltò e dal suo braccio artificiale si allungò un duro e scuro bastone dalla punta acuminata.
Senza rendersene conto, Kakashi cominciò a unire sigilli e poi concentrò tutto il chakra rimasto sul braccio destra. Il rumore del raikiri gli ferì le orecchie, ma ormai era troppo tardi: Obito aveva iniziato a corrergli incontro e anche Kakashi scattò.
 
Nozomi si stava divertendo da morire, giocando con Tenzō e sfuggendo all’ultimo ai suoi agguati. Non riusciva a smettere di sorridere!
Ma il sorriso gli si congelò sulle labbra non appena sentì quella gelida intenzione omicida scivolare sul suo corpo. Non dovette girarsi per capire da chi provenisse o cosa stesse succedendo, e quando sentì lo stridere del chidori capì subito cosa stava per succedere.
Cazzo, Obito!
Il suo sguardo si concentrò e, non trovando una soluzione più ortodossa, afferrò bruscamente Tenzō per il braccio. Lo lanciò il più forte possibile, non guardò nemmeno dove fosse atterrato, lanciò poi un altro kunai e si dislocò.
Comparve al centro della linea tra Kakashi e Obito, nel punto dove si sarebbero incontrati provocando il disastro e dove si era piantato il kunai. Non si fermò un secondo, ruotando su se stesso e afferrò ciascuno per il polso impedendo loro di incontrarsi e li lanciò dalla parte opposta.
Nell’arena era calato un silenzio attonito. Ma Nozomi non si rilassò, si dislocò ancora una volta da Obito, che già in piedi lo aspettava. Parò il pugno, il calcio e di nuovo l’altro pugno. In poche mosse lo costrinse a terra, un ginocchio piegato sul suo petto, i polsi piantati a terra da una sua mano e un piccolo rasengan, impossibile da essere visto dal pubblico, che brillava nell’altro mano libera alzata per colpirlo al viso.
“Che cazzo fai?!” ringhiò.
Obito aveva il fiatone, abbandonò la testa all’indietro sul terreno scomposto e rilassò la posa tesa, gli occhi chiusi.
“Sapevo che mi avresti fermato” ansimò arricciando le labbra in un sorriso.
Quando riaprì l’occhio Nozomi tornò a specchiarsi sull’iride pece. Rilassò anche lui i muscoli e dissolse il rasengan, ricambiò il sorriso ridacchiando esasperato.
“Sei un idiota”.
“E dei due sono io quello intelligente” rise.
Lo colpì con un pugnetto scherzoso alla spalla. Qualsiasi cosa gli fosse presa, era passata. Era il solito Obito.
Dalla tribuna d’onore, sentì il Sandaime annunciare la fine dell’incontro.
 
 
Soooo, come anticipato ecco il capitolo di ben 7.400 parole xD
Prima di tutto voglio fare un piccolo appunto: nel mondo shinobi esistono molte tecniche per “teletrasportarsi”.
La più usata è il shunshin, in italiano tradotta banalmente “tecnica del teletrasporto”, che posso usare tutti i ninja di capacità media. Non è un vero è proprio teletrasporto, ma un concentrare di chakra che rende così veloci da dare l’illusione di teletrasporto. Per capire, è quella che quando usano fanno comparire nuvolette/foglie hahaha
Poi c’è l’hiraishin, che se non ricordo male la traducono con “Tecnica del dio del tuono volante”. È quella che usa Minato che ha inventato Tobirama. Quando Nozomi usa questa per distinguerla dal shunshin uso il verbo dislocarsi (so che a volte è tradotta anche come dislocazione istantanea).
Poi c’è quella del Kamui che usa solo Obito.
Su questa nota, vi chiedo se serve che quando si presentano aggiunga annotazioni sui jutsu e le tecniche. Io scrivendo do per scontato che siano conosciute, ma magari possono confondervi quindi ditemi cosa preferite!
Altra cosa, poi la smetto giuro xD: il combattimento è stato troppo noioso e dettagliato? Ammetto che adoro le scene di azione, ma scriverle è sempre molto difficile – specialmente quando si parla dell’azione di Naruto. Il mio intento è metterne parecchie, anche per rispettare lo spirito del manga, ma nel caso succhiassi davvero tanto o fossero troppo noiose ditemi così le ridimensiono :c
 
Okay ho detto tutto, credo?
Spero vi sia piaciuto! Vi ringrazio per le recensioni allo scorso capitolo, siete dei tesori <3 <3
Nel prossimo (che sarà più breve) qualche chiacchierata e… l’incipit di un momento tanto atteso. Del resto Nozomi ha fatto esattamente quello che aveva detto Obito :)
 
Hatta

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Capitolo 8
*** I sospetti dell'Hokage ***


Capitolo 7
I sospetti dell’Hokage
 
 
«I got your back if you got mine
One foot in front of the other.»
(One Foot – Walk the moon).
 
 
Aveva sentito il cuore agitato dal momento esatto in cui Obito e Kakashi si erano separati da Yamato e Nozomi nello scontro. Quando poi li aveva chiaramente visti scagliarsi l’uno sull’altro aveva capito cosa stava per succedere e si era detto che non c’era modo che Nozomi facesse in tempo a fermarli, nessun shinobi era così veloce.
Non era mai stato più sollevato di sbagliarsi come in quel momento.
I suoi occhi acuti avevano riconosciuto la tecnica – hiraishin, come sensei, come Minato – e aveva accolto con un sospiro interno il modo in cui aveva separato i due e si era gettato subito nel fermare il compagno.
Saettò gli occhi su Tenzō, ancora frastornato dove lo aveva lanciato, poi Kakashi steso di schiena e infine Obito ancora inchiodato a terra da Nozomi.
La partita era chiusa.
Alzò quindi le dita facendo segno e un fischio lungo decretò la fine dello scontro. La folla sembrò quindi scongelarsi dalla stasi attonita in cui era caduta nel momento esatto in cui Nozomi aveva fermato i due ninja, ed eruppe in grida di entusiasmo.
“Che succede?” chiese Naruto con gli occhi ancora sul campo di allenamento.
“Lo scontro è finito” spiegò paziente.
“E chi ha vinto?”
Sorrise senza dare una risposta, in un modo misterioso che fece gonfiare le guance al bambino. Hiruzen si voltò quindi verso l’ANBU rimasto in ombra per tutto il tempo.
“Porteresti il nostro piccolo Naruto nel mio ufficio?” chiese nella sua tipica educazione che celava un ordine.
Il bambino non sembrò molto felice di essere lasciato solo con l’ANBU, ma non fece i capricci e si avvicinò diffidente allo shinobi mascherato.
Hiruzen enne su il sorriso pacifico finché non furono fuori portata, al che si voltò verso Danzō. Aveva ancora lo sguardo corrucciato puntato sul campo di allenamento, dove Nozomi aveva cominciato a correre godendosi gli applausi. Che comportamento curioso.
“Un jutsu d’acqua impressionante” lo distolse dai pensieri Danzō.
“Un utilizzo perfetto dei kage bushin” capì dove stava andando a parare.
“E sa applicare l’hiraishin” completò, lo sguardo sempre più socchiuso. Si voltò a fissare Hiruzen. “Non ha lo stile di combattimento di sensei, ma…”
Non serviva commentasse, era la stessa cosa che aveva provato lui nel vederlo combattere.
“È sorprendente” annuì fra sé. “Per non parlare di Obito…”
“Sai com’è entrato in possesso di Mukoton?”
 Hiruzen si scambiò uno sguardo con Jiraiya. Il sannin era rimasto in silenzio per tutto il tempo dello scambio di quelle battute, la sua disapprovazione era ovvio dalla piega imbronciata delle labbra. Sapeva che Jiraiya non aveva mai avuto grande simpatia per Danzō – caratteri troppo diversi – ma era la prima volta che manifestava una tale diffidenza nei suoi confronti.
“Più tardi” disse. “Te ne parlerò più tardi, privatamente” promise.
Danzō non sembrava contento di rimandare l’incontro, avido di avere finalmente le sue risposte, ma doveva rendersi conto da solo che quello non era il momento adatto.
“Più tardi” concordò gelido e finalmente si diresse all’uscita. Ma prima di prendere le scale, si fermò a dire un’ultima cosa. “Sono potenti”.
Si tolse la pipa dalle labbra. “Per questo meglio con noi, che contro di noi”.
“Spero che la tua ingenuità non ci abbia portato delle spie in casa”.
Jiraiya si rilassò solo quando il vecchio consigliere fu definitivamente uscito e Hiruzen non mancò di notarlo.
“C’è un motivo particolare per cui non ti fidi di lui?” chiese osservando il tabacco rimasto nella pipa.
“Sensazione”.
Fece una smorfia. “Non agiamo in base alle sole sensazioni” gli ricordò. “Non hai motivi di sospettare di lui”.
Jiraiya ronzò poco convinto, ma non aggiunse altro. Quindi decretò il discorso chiuso e sperò di avere migliore educazione dal proprio allievo in futuro.
Lanciò un altro sguardo all’arena, osservando la curiosa situazione di Nozomi ancora intento a godersi i suoi applausi e Obito seduto pacificamente su Kakashi.
“Direi di raggiungerli” considerò.
 
Obito fissò il cielo macchiato di nuvole per alcuni secondi, lo scrosciare degli applausi che gli arrivava come ovattato. Non gli importa molto di quel segno di apprezzamento, ma Nozomi si era illuminato in viso non appena erano iniziati. Inclinò il viso per vederlo correre a destra e sinistra come un galletto bramoso di lode, sorridendo e ricambiando baci e saluti alla folla.
Scosse la testa e sospirò esasperato al suo comportamento infantile, come se non fosse mai stato adorato come un eroe nella sua linea temporale. Prima o poi avrebbero dovuto parlare di quella sua fame insaziabile di apprezzamento.
Si alzò da terra, spazzolandosi i vestiti maltrattati dal difficile scontro. Individuò Kakashi, ancora steso a terra come una stella marina e gli si avvicinò titubante. Non era svenuto, vero? Non lo aveva neanche sfiorato!
Si rifiutò di ammettere il sollievo quando vide i due occhi aperti e vigili, che si puntarono subito su di lui non appena fu in visuale.
“Che cazzo?” ringhiò Kakashi, il petto che si alzava e abbassava in affanno.
Obito ignorò l’accusa e tese invece il braccio, le dita piegate nel segno della riconciliazione. Kakashi corrucciò le sopracciglia, diffidente, ma dopo un momento di esitazione alzò a sua volta il braccio. Rimase però steso a terra, cosa che gli fece inarcare le sopracciglia.
Una forte colorazione rossa si espanse da sotto la maschera.
“Ho esaurito il chakra” ammise. “Non riesco a muovermi”.
Obito alzò gli occhi al cielo e si morse con decisione il labbro per non ridere esasperato. Si inginocchiò al suo fianco raggiungendo le dita tese agganciandole alle proprie.
“Le tue riserve fanno schifo come al solito” commentò ricordando i loro tempi da genin.
Kakashi lo fissò offeso e curioso insieme. “Le tue sono aumentate da far schifo” osservò a sua volta.
“Ho sempre avuto più chakra di te” gli ricordò divertito.
“Peccato che non sapessi controllarlo” gli rinfacciò.
Ancora una volta fu difficile trattenere l’espressione divertita. Kakashi aveva una grande faccia tosta a provocarlo proprio mentre era in una situazione di evidente svantaggio, incapacitato com’era a muoversi. Volle ricordarglielo, quindi sciolse la presa delle loro dita e pensò bene di sedersi sul suo stomaco.
“Ooouf!” soffiò fuori l’aria per l’improvviso peso e lo fissò sconvolto.
“Stai buono, Bakakashi” ricambiò lo sguardo con superiorità. “Non vorrai svenire”.
Kakashi si rassegnò e abbandonò la testa sul prato. “Per la cronaca” iniziò, “non mi hai fatto il culo”.
Sogghignò a sua volta. “Neanche tu a me”.
Entrambi si voltarono a fissare l’Uzumaki, che ancora correva da una parte e l’altra del campo raccogliendo consensi e applausi. Silenziosamente concordarono che era stato lui.
“Quanta resistenza ha?” si lagnò Kakashi.
“Non puoi nemmeno immaginarlo” borbottò Obito con un pizzico di risentimento, anche se stava pensando a un altro campo in cui la sua resistenza era incredibile, ma in quei casi era sempre molto piacevole.
Rimasero a fissarlo ancora qualche minuto, il tempo che Tenzō riemergesse da dovunque Nozomi lo aveva lanciato e osservasse intorno confuso.
Obito non stava guardando Kakashi quando disse: “Il Mangekyo…”
“Nh?”
“Non l’hai usato”.
Ci fu un lungo silenzio prima che Kakashi sospirasse. “Non lo uso mai”.
Si voltò a fissare il suo viso confuso. Il vecchio compagno di squadra stava guardando il cielo, il volto sudato e i capelli più spettinati del solito.
“È uno scolo di chakra enorme” ammise. “Mi sto allenando, ma anche solo per utilizzarlo mi servono minuti per raccogliere il chakra necessario. In battaglia non è pratico”.
Obito si accigliò comprendendo il problema. Immaginava avesse ragione, lui non aveva mai avuto problemi a usarlo anche per le enormi scorte di chakra che gli avevano dato le cellule di Hashirama, senza contare la sua capacità di guarigione quasi istantanea che gli permetteva di non perdere la vista nell’utilizzarlo senza parsimonia.
“Ti insegnerò” decise alla fine. Al sussulto sorpreso dell’uomo sotto di lui si voltò a guardare di nuovo Nozomi. “Solo usando entrambi gli occhi si riesce a sfruttare al massimo la potenza dello sharingan”.
Ci fu un lungo silenzio da parte di Kakashi, poi chiese esitante:
“Rivuoi il tuo occhio?”
Era titubante, ma era anche palese che se solo lo avesse chiesto lo avrebbe restituito. Si trovò ad alzare ancora una volta lo sguardo al cielo.
“No, sto solo dicendo che lavoreremo molto in coppia” disse stizzito dal dover sottolineare l’ovvio, “e non vorrei essere trattenuto dalla tua incapacità di usare il kamui”.
Sentì Kakashi tremare in una risata, poi alzò il pugno per colpirlo fiaccamente al fianco.
“Sei sempre stato tu l’incapace che mi tratteneva” borbottò.
“I ruoli si sono scambiati” canticchiò.
“Chissà, magari potrò farti capire quanto è stato fastidioso…”
“Sei arrivato in ritardo per questo? Per vendetta contro i miei ritardi?”
“Nah, solo abitudine” ammise spensierato.
Obito gli fece un gestaccio.
 
Furono raggiunti da Tenzō che li fissò confuso, gli occhi rotondi posati su Obito seduto su Kakashi, ma sembrò decidere di non chiedere.
“Abbiamo perso?” domandò invece.
“Su tutti i fronti” confermò Kakashi e scoppiò a ridere con Obito.
Tenzō li fissò ancora scombussolato, incerto se ridere o meno, ma l’onere di scegliere gli fu tolto da Nozomi che corse proprio verso di lui.
“Aaaah, mi dispiace così tanto” strepitò afferrando l’utente Mokuton per le spalle, il viso così vicino a lui che si ritrovò ad arrossire.
“Eh?” chiese.
“Non volevo lanciarti così forte” spiegò affranto. “Non ti ho fatto male, vero? Scusami!”
Be’, neanche Tenzō voleva essere lanciato, ma quello era uno scontro dove cose del genere erano permesse, quindi perché per il Saggio si stava scusando?
Guardò in cerca di aiuto verso Kakashi, sperando che il senpai sapesse suggerirgli come reagire, ma il suo caposquadra aveva messo su un’espressione imbronciata.
“E io? Non ti scusi per aver lanciato me?”
Nozomi smise con suo sollievo di tenerlo per le spalle e fronteggiò i due ninja a terra.
“No!” urlò furioso. “Ringraziate che non vi abbia lanciato più forte! Vi stavate per ammazzare!”
Obito arrossì sulle orecchie e distolse lo sguardo come se non avesse sentito, invece Kakashi – sforzandosi per non sembrare un genin sgridato – si offese ancor di più.
“Io mi stavo difendendo” protestò. “È Obito che è impazzito”.
L’Uchiha canticchiò spensierato ignorando l’accusa e lo sguardo di Nozomi.
“Che ti è preso in testa?”
“Posso spiegarlo io”.
Tutti i ninja – tranne Obito che lo aveva visto arrivare – sobbalzarono a sentire la voce dell’Hokage. Tenzō si voltò prontamente per fare un inchino, ma con un sorriso educato il Sandaime gli fece capire che non era necessario.
“Voleva uccidermi, Hogake-sama?” chiese quindi Kakashi.
“No, ma ammetto di averci pensato visto che non hai ancora consegnato il rapporto della tua ultima missione”.
“Oh, avevo incaricato il mio adorabile kohai…”
Sentendosi chiamato in causa si irrigidì e lo fissò con gli occhi grandi come piattini.
“Senpai!” protestò. “Non è vero!”
“Kakashi” rabbonì l’Hokage. “Aspetta al caposquadra ANBU fare rapporto” gli ricordò.
“Certamente, signore”.
Peccato che gli occhi discordanti e pigri si posarono su di lui e Tenzō capì che anche quella volta avrebbe dovuto imitare la sua scrittura e consegnarlo al suo posto. Non poté fare altro che sospirare rassegnato.
“Comunque, perdona lo spavento Kakashi” riprese l’Hokage. “Ma Obito ha agito su mio ordine”.
Tenzō fu felice di vedere che anche Nozomi e Kakashi sembravano molto confusi. Solo l’Uchiha continuava a mantenere un’espressione distaccata, il suo sorriso era scomparso nel momento esatto in cui era arrivato l’Hokage.
“Quindi vuole davvero sbarazzarsi di me, signore?” chiese Kakashi non abbastanza preoccupato.
“Nulla di tutto ciò. Volevamo solo… testare Nozomi”.
“Oh?” chiese il diretto interessato sbattendo le palpebre e spostò lo sguardo su Jiraiya dietro l’Hokage, per chiedere migliori informazioni.
Il Sandaime sorrise al suo sguardo sperduto.
“Perdona la sorpresa, Nozomi-san. Volevamo assicurarci di come avresti reagito nel vedere Obito minacciare la vita di uno shinobi di Konoha”.
Nozomi spalancò gli occhi azzurri, poi si guardò intorno imbarazzato.
“Ho, ehm, superato la prova?”
Gli occhi dell’Hokage brillarono. “A pieni voti”.
Fece una pausa, dove osservò attentamente la loro situazione, soffermandosi specialmente su Kakashi.
Nel mentre nell’arena erano scesi anche altri ninja, in particolare i capi clan. Tenzō riconobbe il bambino prodigio della sua stessa squadra ANBU, Uchiha Itachi, accanto a Uchiha Fugaku. Aveva solo tredici anni, ma i suoi occhi seri erano paragonabili a quelli di un adulto. In quel momento fissavano con uno strano cipiglio la katana che Obito aveva gettato ai suoi piedi. Il proprietario se ne accorse e, senza cambiare espressione, fece brillare il suo occhio di vermiglio mentre l’afferrava. La katana fu aspirata in un vortice che la teletrasportò nella sua dimensione.
Tenzō pensò che una tale tecnica fosse molto utile per trasportare oggetti.
 
A Obito non piaceva il modo in cui quel bambino troppo serio continuava a fissarlo.
Lo aveva riconosciuto subito, ovviamente, il suo aspetto era molto simile a quello di Fugaku e non era cambiato molto dal loro primo incontro alcuni anni fa. Ripensandoci, Obito si ricordò che aveva ucciso i suoi adorabili compagni genin proprio con quella katana. Si rifiutò di temere che lo avesse riconosciuto, all’epoca aveva ancora i capelli lunghi e la maschera di Tobi, non aveva nessuna prova per collegarli.1
La sua attenzione tornò sull’Hokage, che aveva ripreso a parlare dopo la sua attenta valutazione.
“Credo che per il momento vi lascerò nelle mani dei nostri dottori” considerò con il suo tono paterno. “Appena ne avrete la possibilità, qualora non presentasse lesioni gravi…”, fece una lunga pausa, dove fissò con un sorriso ironico Nozomi, che appariva solo leggermente sudato e spettinato, “vi chiedo di raggiungermi nel mio ufficio. Termineremo questa formalità e vi consegnerò i vostri moduli”.
“Possiamo venire anche subito!” garantì Nozomi sprizzando energia.
Obito alzò gli occhi al cielo, ma il Sandaime si limitò a volgergli un sorriso accondiscendente.
“Preferisco che prima passiate un controllo in infermeria. Anche perché vedo che il nostro caro Kakashi ha terminato il chakra” aggiunse sorridendo un po’ sadico al ninja steso a terra.
“È tutto sotto controllo” garantì quello alzando fiacco un pollice.
Esasperato, il Sandaime fece un cenno con la testa agli infermieri rimasti educatamente in disparte. Obito si vide costretto a lasciare la sua sedia per permettere loro di sollevare Kakashi sulla barella, perciò si spazzolò i vestiti impolverati e si avvicinò a Nozomi.
“Non ci servono cure” ribadì più brusco e diretto di quanto fosse stato il compagno.
“Solo un controllo per assicurarci che stiate davvero bene e farmi restare tranquillo”.
Lo guardò di sbieco, non bevendosela per nulla. Sapeva perfettamente che quella era una scusa portata in atto solo per poter estrarre di nascosto alcune cellule di Hashirama da studiare. Un po’ si pentì di aver usato il mokuton, ma Nozomi aveva ragione: non poteva mostrare il potere completo del Mangekyo visto quanto ne aveva abusato nel suo periodo come Tobi, era una capacità così particolare che c’era il rischio lo riconoscessero come l’uomo mascherato.
A quel pensiero posò di nuovo gli occhi su Itachi. Si stupì di vedere lo sharingan attivo scandagliarlo dalla testa ai piedi.
Sotto quello sguardo sospettoso fu quasi felice di seguire i dottori all’infermeria.
 
“Hokage-sama, permette una parola?”
Hiruzen rivolse un sorriso accogliente mentre Hiashi Hyūga lo affiancava con l’espressione più seria e corrucciata del solito. Non era sorpreso avesse assistito allo sparring ed era certo che lo avesse fatto osservando ogni mossa degli sfidanti con il byakugan, perciò ascoltò attentamente quello che aveva da dire.
“Il flusso di chakra dell’Uzumaki è… insolito”.
Poteva immaginarlo, considerando il suo clan e il fatto che sapesse usare le arti eremitiche, ma non disse nulla attendendo che continuasse.
“Mi perdoni Hokage-sama” riprese dopo un secondo di silenzio, “non ho mai visto qualcosa del genere e mi viene difficile spiegarlo. Apparentemente dentro il suo flusso esistono due chakra”.
Quello catturò la sua attenzione. Conosceva solo un caso dove qualcosa del genere succedeva e se era la risposta giusta allora nella storia di Nozomi c’era molto di più di quanto gli avessero raccontato. Quasi rimpianse di aver lasciato che Jiraiya accompagnasse i due nuovi ninja in infermeria, sarebbe stato curioso di vedere la sua reazione alla rivelazione di Hiashi.
“Come in un Jinchūriki?” chiese dolcemente.
Era raro vedere quel viso solitamente quieto accartocciarsi in una smorfia, ma Hiashi sembrò proprio fare un’espressione di pura confusione.
“No, non proprio. Ho avuto modo di osservare quello di… del Kyūbi” abbassò la voce, “e i due chakra, quello dell’ospite e quello del demone, sono sempre stati strettamente separati. Il chakra del Kyūbi non circola nel flusso del chakra del suo ospitante”.
“In Nozomi-san, invece?”
“Sono molto uniti. Estranei tra loro ovviamente, ma non completamente separati e questo chakra estraneo fluisce liberamente in lui. Per fare un esempio, è come se qualcuno avesse mescolato olio e acqua nella stessa ciotola. Allo stesso modo proseguono uniti nello stesso flusso in armonia, ma sono distinguibili. In un Jinchūriki invece acqua e olio sono separati nella ciotola da qualcosa di fisico”.
“Il sigillo” meditò.
“Immagino sia così” confermò umilmente.
Hiruzen desiderò la sua pipa, perché quando fumava la sua mente si schiariva e riusciva a prendere con più leggerezza notizie del genere.
Non disse ad alta voce il suo sospetto, perché se fosse stato corretto le conseguenze potevano essere davvero pericolose. Se davvero Nozomi possedeva un Bijū dentro di lui e il chakra della bestia codata fluiva libero nel suo circolo, significava che non aveva un sigillo contenitivo.
Significava che poteva manifestarsi a piacimento.
“Purtroppo non ho avuto modo di poterlo studiare meglio” continuò Hiashi. “Durante lo scontro non ha mai attinto dal chakra estraneo, usando solo il proprio, e per questo non posso avanzare ipotesi certe sul tipo di chakra”.
“Quindi il nostro amico potrebbe non essere un Jinchūriki” capì. “Non sappiamo a chi o cosa appartenga quel secondo chakra”.
Ormai erano arrivati al palazzo dell’Hokage. Estendendo appena i suoi sensi poteva rendersi conto che l’ANBU al quale aveva chiesto di badare a Naruto stava velocemente perdendo la pazienza. Sorrise fra sé al pensiero di quella peste in grado di far esasperare anche lo shinobi più addestrato.
Alla luce delle nuove informazioni, si chiese se continuare con il suo piano o meno. Obito aveva avuto ragione, Nozomi era stato veloce nel prendere le difese di un compagno. Ma poteva significare gran poco, visto che come straniero doveva mostrarsi meritevole di fiducia.
Ora Hiruzen sapeva che nascondeva qualcosa che poteva risultare potenzialmente pericoloso e il fatto che avesse contatti con Kiri, che avesse partecipato a un colpo di stato, lo rendeva ancor più sospettoso.
Spero che la tua ingenuità non ci abbia portato delle spie in casa, ricordò le aspre parole di Danzō e in quel momento si pentì della velocità con cui aveva deciso di dargli fiducia.
Alzando ancora gli occhi alle finestre ragionò che era ancora in tempo, poteva rimandare Naruto a casa e impedire si incontrasse con Nozomi, così che restasse ancora all’oscuro della presenza del parente.
La minaccia di Obito gli balenò nella mente e capì che non poteva farlo. Se avesse ignorato quell’ultimatum che gli aveva imposto lo avrebbe messo in atto, rendendo tutto molto più pericoloso. E del resto il fatto che l’Uchiha fosse stato così precipitoso nel fare una minaccia del genere poteva significare che non avevano nessun piano contro Konoha; se così fosse stato non si sarebbe esposto in quel modo tanto avventato.
Decise velocemente come muoversi: sarebbe stato molto più cauto di quanto inizialmente meditato e avrebbe tenuto ancora separati i due Uzumaki, ma avrebbe permesso a Nozomi di venirne a conoscenza per quietare Obito come contentino.
Era comunque un azzardo, ma non aveva molta altra scelta.
Si voltò quindi verso Hiashi, rimasto educatamente in silenzio mentre attendeva che l’Hokage facesse le sue considerazioni.
“Vorrei che lei e i membri del suo clan monitoraste Uzumaki Nozomi, indagando su questo particolare chakra estraneo che sembra possedere”.
“Sì, signore” annuì serioso.
“Licenziato”.
Con un inchino formale, Hiashi si teletrasportò lontano.
Rimasto solo, Hiruzen guardò le scale come se la sola idea di salire nel palazzo lo sfinisse.
La mia pipa… pianse con la consolazione che in ufficio avrebbe avuto il tabacco per accenderla. Rimpianse il suo periodo di congedo, durato troppo poco per i suoi gusti. Si sentiva troppo vecchio per tutte quelle macchinazioni, doveva trovare il prima possibile un successore che non fosse Danzō.
 
֎
 
“Saremmo potuti andare direttamente con l’Hokage” lamentò Nozomi mentre il ninja che lo stava monitorando confermava che fosse tutto okay.
Lo stesso era successo qualche minuto prima con Obito, appoggiato al muro in attesa.
Seduto su un lettino mentre un’infermiera gli fasciava la testa, Yamato li stava guardando con un po’ di invidia. L’Uchiha non aveva nemmeno sudato!
“La procedura prevede questo, moccioso” lo richiamò Jiraiya mettendogli una mano sulla zazzera bionda. “Non lamentarti troppo”.
“Ma adesso possiamo andare?” chiese insofferente Obito.
Kakashi gemette teatralmente dal suo lettino di ospedale. “Non resterete al mio capezzale?”
“Crepa”.
“Sei diventato davvero cattivo”.
Nozomi alzò gli occhi al cielo e quando furono fuori dall’infermeria spintonò indispettito Obito.
“Perché sei così cattivo con Kakashi-sensei?” protestò imbronciato.
“Abbassa la voce” disse Jiraiya osservandosi attorno preoccupato. “Non puoi più chiamarlo così”.
Obito gli lanciò appena un’occhiata. “Perché dovrei essere gentile con la spazzatura?”
“Ammettilo che lo fai solo perché ti piace per una volta essere quello distaccato. Tsundere!”
Ghignò all’arrossarsi delle guance del compagno e per tutta ripicca Obito gli fece la linguaccia.
Durante la strada molte persone si fermarono a fissarli, erano per lo più shinobi di Konoha che avevano assistito allo scontro. Nozomi erano abituato a essere fissato da sconosciuti, aveva dovuto farci l’abitudine da bambino e diventando un eroe aveva solo perfezionato la tecnica. Sorrise a ognuno di loro in modo smagliante, lasciando che fossero sempre gli altri ad abbassare lo sguardo.
Obito  sembrava molto più schivo a quelle attenzioni e la sua espressione si rilassò impercettibilmente solo quando entrarono nel palazzo dell’Hokage, lontano da occhi indiscreti.
Ma arrivati a quel punto fu il suo turno di corrucciarsi. Perché c’era l’accenno appena abbozzato di un chakra, qualcosa che poteva appartenere solo a un bambino, che gli era molto familiare. Senza contare la percezione di un ammasso di chakra oscuro e denso che sembrava completarsi con quello che scorreva dal suo ombelico.
C’era solo una persona che poteva corrispondere a entrambe le sensazioni. Perciò guardò Jiraiya in cerca di spiegazioni. Il vecchio sannin stava sorridendo con soddisfazione, restando in silenzio alla ovvia domanda speranzosa che aveva nello sguardo.
Fu solo quando arrivarono alla porta che si voltò a guardarlo.
“Hai fatto buona impressione” gli disse facendo l’occhiolino.
Poi bussò e aprì alla risposta affermativa.
La prima cosa che Nozomi vide fu il bambino biondo.
 
Naruto aveva deciso di passare il tempo disegnando, perciò aveva preso le pergamene dai cassetti e le varie stilografiche. Certo, l’ANBU aveva cercato di fermarlo ma aveva smesso nel momento esatto in cui si era reso conto che con i suoi tentativi macchiava tutta la pregiata scrivania di inchiostro.
Così aveva continuato a disegnare come sarebbe stato da grande una volta diventato un ninja fantastico e rispettato da tutti e il più grande Hokage della storia.
Jiji non lo aveva rimproverato per aver frugato tra le sue cose e pasticciato con le pergamene, a dir la verità sembrava molto preoccupato e pensoso.
Naruto fece finta di niente per alcuni minuti, osservandolo attentamente di sottecchi. Perché le persone pensavano che lui fosse stupido ma in realtà controllava sempre l’umore degli adulti per capire se c’erano guai o meno.
Quando fu abbastanza certo che non fosse arrabbiato, chiese:
“Perché sono qui?”
In realtà non gli dispiaceva essere lì, così aveva la possibilità di ambientarsi nel suo futuro ufficio di controllo della città, ma c’era sempre un motivo quando lo teneva lì e solitamente non erano mai motivi belli. A meno che non fosse lì per informarlo che dopo aver visto quei ninja combattere si era reso conto di essere troppo vecchio per fare l’Hokage e volesse passargli il cappello.
“Aspettiamo delle persone”.
Fece una smorfia preoccupata e riluttante, quella non era una buona risposta.
“Chi?” insistette.
Ma non ottenne risposta, perché qualcuno bussò alla porta. All’improvviso preoccupato per la strana sensazione che provava, come se qualcosa dentro il suo ombelico si stesse agitando, scese dalla sedia e aspettò. Qualcuno sarebbe entrato e quel qualcuno gli faceva battere forte il cuore ancora prima di vederlo.
La porta si aprì e per un momento a Naruto parve di guardarsi a uno specchio che gli restituiva la stessa espressione incredula e sorpresa. Solo che poi si rese conto che non poteva essere uno specchio, perché la persona entrata nella stanza era un adulto molto più alto di lui, non un bambino.
Ad accompagnarlo c’era anche lo strambo vecchio che aveva fatto compagnia a Jiji durante lo scontro allo stadio e l’inquietante shinobi che lo aveva difeso al parco. Ma li notò appena, troppo concentrato a fissare con tanto di occhi quell’uomo che gli assomigliava così tanto.
Naruto non era stupido. Tutti dicevano il contrario, ma non lo era ed era in grado di collegare i puntini e capire. C’era solo un caso in cui bambini e adulti si assomigliavano così tanto, lo vedeva alla fine di ogni lezione all’Accademia quando si tornava a casa, e pensarci gli fece battere forte il cuore di speranza.
“Papà?”
 
 
 
 
Aaaaaaaaaaa
Chiedo venia per il lunghissimo ritardo. Ma Giugno è un mese infernale per via della sessione estiva T_T Poi ho avuto affari da vita privata da sbrigare… Quindi eccomi qui, a rimediare con un nuovo capitolo çwç Purtroppo è solo di passaggio, il primo e vero incontro con il piccolo Naruto è nel prossimo. Non siete emozionati? Spero di sì!
Comunque gli aggiornamenti torneranno regolari, probabilmente ogni dieci giorni v.v quindi non temete, la time travel che nessuno voleva è tornata!!!
 
Grazie per la pazienza e le recensioni lasciate allo scorso capitolo. Spero che anche questo vi sia piaciuto!


1. Nei romanzi di Itachi (materiale non canonico) viene detto che Itachi risveglia lo sharingan a sei/sette anni da genin, durante una missione finita male. Il loro compito era scortare il Daimyo del Fuoco, quando una figura mascherata e con lo sharingan (Tobi) è sbucata dal nulla per uccidere il Daimyo. L’uomo sembrava essere intangibile ai colpi e durante il piccolo combattimento uccise con una katana uno dei compagni di squadra di Itachi, evento che lo sconvolse al punto di risvegliare lo sharingan. Tobi non riuscì a uccidere il Daimyo perché avvertì l’avvicinarsi di una squadra ANBU, ma l’evento rimase ovviamente impresso su Itachi. Che ovviamente vedendolo combattere con quella katana si è subito insospettito. E questo è il motivo per cui Obito non usa tutto il potere del kamui.

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Capitolo 9
*** Uzumaki Naruto!! ***


Capitolo 8
Uzumaki Naruto!!

 

«I do whatever it takes
'Cause I love how it feels when I break the chains»
(Whatever it takes – Image Dragons)

 

“Papà?”
Fu la piccola domanda appena accennata, detta con voce troppo speranzosa ed esitante, a farlo precipitare di nuovo nella situazione in cui si trovava.
Era così alienante trovarsi davanti a se stesso di molti anni più giovane, vedersi e rendersi davvero conto che questa era un’altra realtà. Rivedere Jiji, Jiraiya o il piccolo Sasuke non era nemmeno lontanamente paragonabile all’estraneità che provava nel vedersi. Il piccolo Naruto – il legittimo Naruto di questa timeline – lo fece sentire un intruso, intrappolato in un posto illegittimo, prigioniero di qualcosa di sconfinato quanto il cielo.
Almeno non dovette simulare la confusione che sentiva e gli faceva battere furiosamente il cuore.
Nozomi guardò la stanza, posando prima gli occhi sull’Hokage, poi su Jiraiya e infine di nuovo su Naruto.
“Cosa?” domandò, anche se la vera domanda che aveva nella punta della lingua era: di già?
Era troppo presto, non aveva previsto che il Sandaime lo presentasse a Naruto così presto, solo dopo due giorni di permanenza a Konoha. Si era aspettato dovessero passare settimane, se non mesi, prima anche solo gliene parlasse; di dover completare missioni, dimostrarsi meritevole di fiducia.
Fiducia.
Gli tornò in mente quello che era successo poco prima nell’arena, il presunto test a cui l’Hokage l’aveva posto insieme a Obito. Ricordò anche che Obito aveva minacciato di rapire Naruto.
Oh.
Prima che potesse dire qualcosa, il Sandaime si fece avanti.
“No, Naruto-kun,” disse dolcemente, “quest’uomo non è tuo padre”.
Si sentì male per la delusione che vide rompersi negli enormi e chiarissimi occhi azzurri.
“È tuo zio, Uzumaki Nozomi”.
Gli occhi del bambino si illuminarono di nuovo, questa volta di incredulità. Nozomi sapeva perfettamente cosa stava pensando in quel momento la sua controparte più giovane.
Famiglia.
Provò un senso di vertigine nel rendersi davvero conto che questo Naruto poteva avere una famiglia.
Si riscosse, rendendosi conto che non poteva continuare a fissare il bambino in quel modo sorpreso. Appuntò quindi sul proprio volto il sorriso più accogliente del suo repertorio e si accucciò alla sua altezza. C’erano molte cose che voleva fare con lui, portarlo a mangiare ramen, accompagnarlo a scuola, preparargli il bento e la merenda, spingere la sua altalena, giocare ai ninja… tutte cose che non aveva mai avuto. Questo Naruto poteva averle! Gliele avrebbe date tutte.
Ma prima doveva portare avanti la messinscena.
“Ciao, come ti chiami?”
Non capiva perché si sentisse nervoso, stava parlando con se stesso del resto, non poteva sbagliare perché sapeva cosa doveva dire per non rendersi antipatico.
Ricevette un’occhiata ancora meravigliata e incerta, come se il bambino temesse di vederlo sparire in fumo per rivelare uno scherzo.
“Uzumaki Naruto” rivelò, poi aggrottò la fronte. “Sei davvero mio zio?”
“Sono il fratello minore di Minato” spiegò non sapendo esattamente come muoversi.
In quel momento Naruto non sapeva nulla dei suoi genitori, non sapeva che suo padre fosse proprio lo Yondaime, non sapeva di sua madre e ancor meno sapeva del Kyūbi. Doveva stare attento a quello che diceva.
“Minato è il mio papà?” chiese infatti il bambino con curiosità.
Hiruzen intervenne prima che potesse dare una risposta e dicesse troppo.
Era tuo padre” corresse. “Come sai è morto, Naruto-kun”.
Ci fu una piccola luce di sofferenza negli occhi blu del bambino e Nozomi ricordò tutte le volte che con poco tatto lo stesso uomo gli aveva ricordato che era inutile parlare dei morti ogni volta che tentava di chiedergli qualcosa dei suoi genitori. Sentì qualcosa ruggire nello stomaco e il senso di protezione verso quel piccolo sé aumentare vertiginosamente, soppiantando il senso di alienazione.
“Quindi aveva un figlio…” mormorò per continuare nella loro recita. “Non lo sapevo”.
“Di questo ne parleremo più tardi” intervenne il Sandaime lanciandogli uno sguardo d’intesa.
Naruto continuava a guardarlo titubante, la fronte increspata e gli occhi socchiusi come se si stesse concentrando troppo.
“Dove sei stato?” chiese e c’era un piccolo tono di accusa nella sua voce.
Perché non eri qui con me?
Fu ancora una volta il Sandaime a rispondere.
“Nozomi ha vissuto solo fuori da Konoha per molti anni, non eravamo a conoscenza della sua esistenza. È arrivato qui solo due giorni fa”.
Gli occhi di Naruto si sgranarono ancor di più e si spostarono anche su Obito.
“Voi siete i ninja fortissimi che stavano combattendo prima!” li riconobbe con eccitazione, le guance che avvamparono.
“Esatto, monello!” garantì ricambiando lo stesso sorrisone incredulo. “Ci hai visti quindi?”
“Assolutamente sì!” esclamò alzando le mani a pugno. “Ne, ne, anche io diventerò un ninja fortissimo!”
“Ne sono sicuro, dattebayo!”
Ci fu un lunghissimo silenzio, in cui sembrò che tutti trattenessero il fiato e Nozomi poté distintamente sentire le maledizioni di Obito contro di lui.
Oh-oh, pensò mentre nella sua testa veniva ripetuta l’istruzione di non usare quell’esclamazione troppo specifica e distintiva con altri.
Naruto allargò sempre di più gli occhi, stupefatto.
“Anch’io dico dattebayo, dattebayo!” sussurrò incredulo.
Colse la palla al balzo nel tentativo di correggere il proprio errore.
“Davvero? Giura, dattebayo!”
“Giuro, dattebayo!” scalpicciò sembrando offeso di non essere creduto subito.
“Lo hai detto davvero, dattebayo!”
“Certo che lo dico, dattebayo!”
“Dattebayo!”
Fortunatamente furono interrotti prima che la situazione degenerasse, con buona pace di Obito che sembrava pronto a gettarsi dalla finestra a un altro dattebayo.
L’interruzione si manifestò con un bussare cortese alla porta, che Hiruzen colse all’istante.
“Entra pure”.
Di tutte le persone che Nozomi poteva immaginare, sull’uscio vide l’ultima che si sarebbe aspettato: Iruka-sensei. Ed era così giovane… perfino più giovane di lui.
“Mi ha convocato, Hokage-sama?” chiese con il solito tono educato che lo contraddistingueva, ma con gli occhi ansiosi davanti alla presenza degli altri shinobi.
“Oh, Iruka” lo salutò caloroso il vecchio. “Eccoti qui. Saresti così gentile da riaccompagnare Naruto-kun a lezione?”
Quella richiesta lasciò sorpreso Nozomi, che ebbe quasi l’istinto di allungare le mani e trattenere quella piccola versione di sé. Si erano appena incontrati ed era durato troppo poco, perché li stava già allontanando?
Anche Naruto sembrò rimanerci male a quella scoperta.
“Non posso restare qui?” piagnucolò testardo.
La ripresa venne veloce da Iruka, ormai temprato dall’Accademia.
“Non disobbedire all’Hokage. E quante volte ti ho detto di non saltare le lezioni per venire a disturbarlo?!”
 “Avevo invitato io Naruto-kun qui” disse velocemente il Sandaime. “Ma ora può tornare ai suoi doveri”.
“No, io…” provò a resistere il bambino, ma lo vide ingoiare la protesta davanti all’occhiata gelida del maestro.
Nozomi provò a intervenire, sperando di riuscire a guadagnare più tempo insieme.
“Può aspettarci fuori e poi possiamo andare a casa insieme?” propose.
Se Naruto sorrise al settimo cielo alla prospettiva, gli occhi dell’Hokage brillarono pericolosamente. Si ritrovò a essere trafitto da uno sguardo fortemente sospettoso e cauto, era la prima volta che lo guardava così da quando era tornato a Konoha e ne rimase senza fiato. Troppo tardi si rese conto di aver fatto un passo falso. Ma soprattutto il suo cuore si appesantì nel rendersi conto che l’Hokage non aveva nessuna intenzione di dargli Naruto, non avrebbe permesso che vivessero insieme.
Avrebbe lasciato Naruto da solo, ancora una volta.
Ingoiò il nodo alla gola, cercando di cacciare lontano le emozioni negative.
“Vorrei conoscere la mia famiglia” disse.
E quello sembrò ammorbidire almeno in parte l’espressione gelida.
“Dobbiamo discutere del vostro scontro e di altre faccende, cose non adatte a un bambino”.
Naruto corrugò la fronte e protestò: “Non sono un bambino! Sono grande e diventerò Hokage, stupido vecchiaccio!”
 “Naruto!” tuonò Iruka, il tono da insegnante che era sempre riuscito a farlo tacere nell’infanzia e anche in quel momento Nozomi ebbe l’istinto di mordersi la lingua. “Modera il tuo linguaggio e porta rispetto, stai parlando con l’Hokage. Per questo ti sei appena meritato una punizione!”
Il bambino sgranò gli occhi, ferito, ma non mollò la presa.
“Non è giusto! Voglio restare!” gridò stringendo i pugnetti.
A questo punto perfino Obito intervenne.
“Per quello che dobbiamo dirci può restare benissimo” fece notare. “E non vedo per quale motivo dopo non dovrebbe venire a casa con suo zio” aggiunse in un basso ringhio.
Nozomi rabbrividì, percependo l’energia del chakra che il compagno stava facendo scorrere sotto la pelle, una chiara minaccia che mise subito in allarme l’Hokage. Portò la mano sotto la sua scrivania, vicino al sigillo che avrebbe attivato l’allarme ANBU per ogni evenienza, ma mantenne lo sguardo fisso sui due shinobi.
“Ne discuteremo non appena Naruto sarà uscito” ordinò.
Gli occhi azzurri del bambino si fecero umidi, il suo corpo sembrava troppo piccolo in mezzo a tutti quegli adulti tesi. L’unico che manteneva la calma era Jiraiya, ma sapeva bene che si trattava solo apparenza, e se la tensione fosse scoppiata, Nozomi non aveva idea cosa avrebbe fatto, con chi si sarebbe schierato. Inoltre non potevano far saltare tutto subito, non potevano permettersi di essere braccati da Konoha. Il Clan Uchiha aveva bisogno di loro, Sasuke e Itachi avevano bisogno di lui, per non parlare dello stesso Naruto, o di Sai e gli altri bambini in ROOT.
Avevano una missione da compiere.
“Va bene” sussurrò, arrendendosi.
Naruto sgranò gli occhi, tradito. “No! Non va bene!”
Nozomi provò un dolore sordo al petto nel vedere l’espressione che fece il piccolo Naruto, nel percepire le forti emozioni negative che Iruka stava provando nei confronti del bambino.
“Naruto, un’altra parola e saranno guai!”
Faceva male.
Faceva male ricordare che anche Iruka all’inizio lo aveva guardato in quel modo.
Ingoiò l’amaro, tentando di rendere il tutto più facile. Mise una mano sulla testolina di Naruto, che sembrò congelarsi a quel gesto e lo guardò con gli occhi sgranati, l’espressione di chi aveva fame di gesti d’affetto.
“Vai a lezione” lo spronò. “Devi studiare se vuoi diventare un ninja fortissimo, ‘tebayo! Poi mi mostrerai i tuoi progressi, va bene?”
Avrebbe fatto tutto il possibile perché il Sandaime glielo affidasse, per diventare la sua famiglia. Lo avrebbe aiutato e spronato, gli avrebbe dato tutto l’affetto che aveva necessitato da bambino e nessuno gli aveva mai concesso. Lo avrebbe aiutato a studiare, allenato, reso più forte di quanto era a quell’età. Se poteva migliorare il futuro, allora avrebbe migliorato anche se stesso, rendendosi un bambino amato e con una famiglia.
Per questo doveva fare in modo che il Sandaime si fidasse di lui.
Naruto lo guardò con occhi acquosi.
“Ti rivedrò?” domandò, con l’evidente terrore che sparisse.
“Ovviamente! Tutte le volte che vuoi” garantì con un sorriso smagliante. “È una promessa e io non vengo mai meno alla mia parola!”
Il bambino tirò su con il naso, apparentemente rassicurato, e si fece coraggio per allontanarsi da lui e raggiungere Iruka. Il maestro non lo toccò, lasciò una certa distanza tra loro; si piegò invece in un inchino educato verso i ninja.
“Mi dispiace per questa interruzione”.
“Nessun problema” garantì il Sandaime visibilmente tranquillizzato e con un ultimo commiato i due si allontanarono.
Nozomi fece una smorfia quando la porta venne chiusa, lasciando solo un’ultima impressione dello sguardo supplicante del bambino, dopodiché tornò a guardare il Sandaime. Tutti sembravano in attesa che dicesse qualcosa.
“Se avessi saputo di lui” disse quindi Nozomi un po’ malinconico, “sarei venuto qui fin da subito”.
Hiruzen fece un sorriso di circostanza.
“L’esistenza di Naruto è segreta, le sue stesse origini sono conosciute solo da pochi e fidati shinobi”.
Nozomi annuì comprensivo. “Immagino che l’eredità di mio fratello fosse difficile da gestire”.
“Immagini giusto. Abbiamo fatto il possibile perché i numerosi nemici del Flash Giallo di Konoha non sapessero nulla della sua esistenza”. Fece una lunga pausa, lasciando che si caricasse di serietà, come a far capire che ciò che stava per aggiungere era qualcosa di altrettanto, se non più, segreto. “Egli è inoltre il Kyūbi no Jinchūriki”.
Decisamente non si aspettava che si fidasse di lui già così tanto da rivelare anche questo fondamentale dettaglio. Non sapendo come reagire si azzardò a lanciare uno sguardo a Obito, in cerca di sostegno. Il Sandaime lo intercettò subito.
“Non ne sembri sorpreso”.
Decise di andare a braccio, sperando nella fortuna.
“Sono una specie di sensore e mi sono accorto che Naruto aveva troppo chakra anche per un bambino Uzumaki” spiegò. “Senza contare che solitamente gli Uzumaki sono ideali come contenitori dei Bijū e si sa che il nono Bijū appartiene a Konoha, perciò è stato facile da indovinare”.
Hiruzen accettò la sua spiegazione con un cenno affermativo del capo. Prese la propria pipa e la fissò per qualche secondo, come se stesse cercando le parole adatte con cui iniziare.
“La madre di Naruto, Uzumaki Kushina, era la precedente Jinchūriki. Quasi otto anni fa, durante il parto, si verificò l’incidente… a quanto pare causato da Madara… e la volpe sfuggì al suo controllo. Lei e Minato dovettero sacrificare le loro vite per fermarla e la sigillarono nel corpo del figlio nato quella stessa notte. Questo è un segreto di livello S, conosciuto da pochi shinobi, e come tale non dovrà uscire da questa stanza. È assolutamente vietato parlare di questo e, ancor di più, riferirlo a Uzumaki Naruto!” concluse imperioso. “Ti sto dando grande fiducia a dirtelo, Uzumaki Nozomi, spero che tu ne sia consapevole”.
Nozomi imitò un piccolo inchino.
“Comprendo. Ti ringrazio per la fiducia” disse seriamente.
Dovette essere la risposta giusta, perché Hiruzen sorrise e addolcì lo sguardo. Nonostante ciò le parole successivi non suonarono meno dure e amare.
“Per questi motivi, ti chiedo di non cercare Naruto”.
Sbatté le palpebre sorpreso, era l’ultima cosa che si aspettava di sentire dopo quell’incontro, anche se avrebbe dovuto immaginarlo. Troppo incredulo per rispondere fu Obito a fare un passo avanti.
“Come sarebbe a dire?”
Hiruzen guardò entrambi seriamente, il viso impassibile e duro come la pietra.
“Naruto è una persona preziosa per questo villaggio e la sua sicurezza ha la primaria importanza. Finché non potremo fidarci totalmente di voi, non posso affidarvelo”.
Obito fece per protestare, ma le parole sfumarono in un ringhio appena accennato quando imperiosamente Hiruzen alzò una mano a zittirlo. Era un uomo anziano, dall’aspetto fragile, ma era ancora il Sandaime Hokage, il Dio degli Shinobi, il Professore: se desiderava il suo aspetto poteva incutere timore e obbedienza con un solo gesto.
“Obito, l’unico motivo per cui non sei stato segnalato come nukenin è che ti credevamo morto, ma è quello che sei stato per tutti questi anni: un disertore che ha abbandonato il suo villaggio”.
“Voi…”
“Comprendo le tue rimostranze e che non siamo stati in grado di mantenere la tua fiducia. Ma erano tempi di guerra e tu sei uno shinobi, al di là di tutto dovevi tornare. Sei stato un nukenin e io avrei dovuto arrestarti per il tuo tradimento”.
“Vuole provare?” lo sfidò oscurando il tono.
Il Sandime lo guardò indispettito.
“Non l’ho fatto e non lo farò” rispose. “Sei tornato, è ciò che conta. Ma visto quello che è successo e il tuo comportamento fino a questo momento, capirai la mancanza di fiducia. Dovrai dimostrare di essere davvero ancora un ninja di Konoha perché ti affida Uzumaki Naruto”. Si voltò verso Nozomi. “Per quanto riguarda te… ci sono ancora molte cose sul tuo passato che non mi sono chiare. Jiraiya garantisce per te e io mi fido di lui, perciò ho deciso di accoglierti nel Villaggio. Ma finché non saprò chi sei, sarai sotto osservazione e in prova, la tua libertà di muoverti per Konoha sarà limitata. Sai che qui potresti avere una famiglia, il piccolo Naruto potrebbe diventarlo, ma perché ciò accada dovrai essere perfettamente onesto con me. Perciò te lo chiedo: se c’è qualcosa che vuoi dirmi, qualcosa che nel nostro primo incontro hai tenuto nascosto, questo è un buon momento per parlare. Siamo solo noi nella stanza, nessun altro al di fuori di me e Jiraiya ne verrà a conoscenza. Hai la mia parola”.
 Nozomi esitò e si morse l’interno della guancia. Quelle parole lo preoccuparono e non seppe cosa fare. Da come parlava, il Sandaime sembrava aver capito qualcosa e questo lo allarmò. Era meglio che non sapesse nulla del suo viaggio dal futuro, Hiruzen in questo momento era troppo influenzato da Danzo e temeva le conseguenze se si fosse confidato con il suo consigliere. Prima di potergli rivelare la verità, Danzo andava sistemato e reso inoffensivo.
Aveva detto qualcosa che li aveva traditi? Durante il combattimento aveva usato per sbaglio il chakra di Kurama?
No, lo rassicurò la volpe nella sua mente, niente del genere, sei stato attento. Deve essere altro.
Contrasse l’espressione. Kurama aveva ragione, era impossibile che avesse capito qualcosa: l’opzione del viaggio del tempo era così assurda che nessuno gli credeva nemmeno quando lo diceva. Era impossibile che jiji lo avesse riconosciuto.
Chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Ho già detto tutto, Hokage-sama. Non c’è altro di importante, potete stare tranquillo”.
Una smorfia passò sul viso stropicciato dalle rughe. Era evidente che non gli credeva, Nozomi si chiese perché improvvisamente si fosse impuntato così tanto, quando fino a quel momento si era mostrato benevole e fiducioso nei suoi confronti. Che cosa era cambiato da renderlo sospettoso tutto d’un tratto?  
“Va bene, capisco” disse il vecchio Hokage. “Del resto le analisi del sangue confermeranno o meno la tua genealogia”.
Si bloccò di colpo, accorgendosi del rossore diffusosi sul volto di Nozomi. Quella reazione lo fece preoccupare e capì di non essersi sbagliato quando il giovane rispose.
“In realtà… non mi sono sottoposto all’estrazione del sangue” ammise. “Non ci siamo” corresse poi, spostando gli occhi su Obito.
La pipa quasi rischiò di cadergli dalle labbra a quella rivelazione. Aveva contato proprio sulla visita medica dopo lo scontro per potersi assicurare che Nozomi fosse davvero un Uzumaki e non un impostore. Guardò quindi Jiraiya, incredulo che glielo avesse permesso… che i medici lo avessero permesso dopo che aveva dato chiare istruzioni.
Ma il Sannin si strinse nelle spalle.
“Si sono entrambi appellati al codice medico istituito da Nidaime Hokage al terzo anno di reggenza, quarta legge del secondo paragrafo” citò.
Inarcò le sopracciglia, non aspettandosi quella mossa così astuta. Tobirama-sensei lo aveva creato per riuscire a regolare le visite mediche, dal momento che all’inizio di Konoha nessun shinobi di un clan o con un kekkei genkai si sottoponeva all’assistenza medica, temendo che i medici potesse carpire i segreti nel loro corpo. Per colpa di ciò molti shinobi non avevano ricevuto cure adeguate ed erano morti. Tobirama aveva allora fatto in modo che ci fossero almeno cinque medici rappresentanti di ogni grande Clan, che si sarebbero presi cura dei propri parenti così da non rubare i segreti del Clan. Con il tempo e l’unità di Konoha che diventava sempre più stretta, i clan si erano fusi tra loro e la segretezza in alcuni casi era stata anche abbandonata, perciò questa esigenza venne messa in secondo piano e molti ninja cominciarono a lasciarsi visitare anche senza i garanti del Clan. Al momento solo gli Uchiha, gli Hyūga e gli Aburame applicavano sempre e fedelmente la quarta legge e se n’era quasi dimenticato. Questo era un impiccio, perché non esistevano altri shinobi Uzumaki che potessero visitare Nozomi, perciò appellandosi a quella legge semplicemente faceva capire che avrebbe gestito da solo la propria cura e non avrebbe permesso a nessuno di conoscere i segreti che custodiva nel suo corpo. Per quanto riguardava Obito…
“C’era un medico Uchiha,” disse duramente, “perché non hai lasciato ti visitasse?”
Obito fece un sorrisetto supponente e alzò il mento con sfida.
“Legge 4.1: se lo shinobi presenta lesioni pari o minori del primo grado, può rifiutare la cura medica” citò senza abbandonare il fastidioso sorrisetto. “La visita preliminare mi ha dato un grado zero, quindi…”
Hiruzen fumò il suo fastidio attraverso al pipa. Doveva ammettere di avere le mani legate, la legge che in quanto Hokage proteggeva in questo caso era contro di lui.
Rimase in silenzio, cercando di capire come poteva muoversi. Tornò a guardare Nozomi, lasciando che si vedesse quanto quel loro rifiuto lo seccasse.
“Questo non aiuta la tua causa” gli fece notare. “È un atteggiamento sospetto”.
“Perciò mi costringerete?” domandò accigliandosi.
“No” assicurò suo malgrado, la legge era pur sempre la legge. “Ma come dicevo, sarà più difficile per me fidarmi di te. Questo significa che anche l’ipotetica custodia di Naruto potrebbe essere ripensata”.
Fu un colpo al cuore per Nozomi. Sapeva a cosa stava andando incontro quando lo aveva deciso, ma sentirlo dire era comunque sgradevole, soprattutto ora che aveva potuto vedere Naruto. Era… ingiusto, proprio come aveva detto il sé passato.
Ma non poteva farlo. Nessuno sapeva cosa sarebbe risultato dalle sue analisi del sangue, c’era il rischio che si accorgessero che il suo dna era uguale a quello di Naruto… e a quel punto avrebbe dovuto spiegare tutto.
“Capisco” disse quindi, cercando di mantenere lo sguardo fisso e la voce ferma.
Hiruzen fece una smorfia, forse si aspettava che dopo quel ricatto rivedesse la sua posizione. Sospirò stancamente, staccando la pipa dalla bocca.
“Quindi c’è qualcosa dentro di te che stai nascondendo” disse rassegnato.
Nozomi socchiuse gli occhi, senza rendersene conto il suo corpo si era teso. Dentro di sé non poteva evitare di pensare che in realtà era stato l’uomo davanti a lui a nascondergli cosa aveva dentro di sé per più della metà della sua vita. Aveva dodici fottuti anni quando aveva dovuto farci i conti, solo perché un traditore aveva tradito il segreto. Una parte di lui non voleva sapere quanto ancora, altrimenti, glielo avrebbe tenuto nascosto.
Prese un lungo sospiro. “Sto solo proteggendo i segreti del mio Clan. Sono l’ultimo a conoscerli e ho il dovere di farlo”.
Hiruzen si oscurò. “Uzushio e Konoha sono alleati” ricordò.
Nozomi scattò prima che se ne rendesse conto. “Erano. Visto che voi avete fatto davvero un pessimo lavoro e avete lasciato venisse distrutta” sputò.
Nella sala calò il silenzio e solo in quel momento si accorse di aver alzato il tono della voce, di essersi inasprito. Hiruzen lo guardava con una leggera colpa che velava i suoi occhi, non solo: anche Jiraiya sembrava stupito da quello scatto.
Cercò di ricomporsi, deglutì e strinse i pugni per fermare il tremito delle mani.
“Non sono l’unico a dover dimostrarsi degno di fiducia” disse allora, guardò l’Hokage. “Prima di condividere qualsiasi segreto, devo sapere che non ci tradirai ancora”.
Ormai non stava più recitando, se ne rese conto subito. Anche se stava usando il pretesto di Uzushio, quelle parole le intendeva davvero. Certo, la sua diffidenza non derivava da un’alleanza infranta, ma da tutto quello che jiji gli aveva sempre nascosto su Konoha. Hiruzen lo aveva tradito nascondendogli la verità su tante cose, sulla sua nascita per cominciare, ma anche sul Clan Uchiha. Sasuke non era stato l’unico a sentirsi tradito nello scoprirlo, anche Nozomi si era visto il mondo crollargli addosso. Aveva dovuto affacciarsi con il marciume del suo villaggio, con le sue conseguenze, quando aveva sempre vissuto nella bolla di una Konoha perfetta.
Non era perfetta. Hiruzen aveva permesso troppe cose di accadere.
Nozomi non voleva essere tradito ancora.
Il Sandaime sospirò, riconoscendo una verità nelle sue parole.
“Capisco” disse. “Non insisterò” promise.
Nozomi emise un sospiro, sollevato almeno in parte che l’Hokage avesse mollato la presa su almeno una cosa. Rimase però sull’attenti, cercando di capire quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Hiruzen tacque per qualche secondo, poi la sua espressione cambiò di colpo, passando da preoccupata a gioviale. Gli rivolse un sorriso mentre tirava fuori dei sigilli e li appoggiava sulla scrivania.
“Dunque, avete dimostrato il vostro valore. Direi che il grado Jōnin è più che meritato” osservò. “Avete sfoggiato tecniche più che interessanti, che hanno colpito molti di noi. Potrei farvi alcune domande a riguardo?”
Nozomi si scambiò uno sguardo con Obito, scrollando le spalle. Avevano preparato una risposta per ognuna delle tecniche che avevano mostrato, quindi non dovevano temere nulla. Infatti anche l’Uchiha annuì, senza però abbandonare la piega seccata delle labbra. Evidentemente ce l’aveva ancora con l’Hokage per la faccenda di Naruto.
“Dunque, partiamo da te, Obito…”
“Posso usare il Mokuton, sì”, lo precedette alzando agli occhi al cielo, “grazie alle cellule di Hashirama impiantate dentro di me. Come ho detto, metà del mio corpo è composto da corpo di un clone di Hashirama, lo Zetsu. Madara l’ha ricavato dalle cellule che riuscì a rubare da Hashirama durante il loro scontro, dopo che usò Inzagi per salvarsi la vita” ripeté ancora una volta meccanicamente.
Hiruzen tentò un sorriso stretto. “Questo è molto strano da ascoltare e porta molte domande. Cosa sono gli Zetsu? Per quale motivo le cellule si sono adattate così bene a te?”
Obito si strinse nelle spalle. “Ti ho detto solo quello che so. Per quanto riguarda Madara, anche lui sembrava sorpreso che potessi usare il mokuton”.
“Capisco, ma dimmi: Madara ti ha solo parlato?”
Rispose con una faccia schifata. “Che altro avrebbe dovuto fare?!”
“Per caso, allenarti?”
La domanda sembrava molto studiata e Nozomi sudò un po’ freddo, ma Obito mantenne una faccia di bronzo illeggibile.
“No” mentì con facilità.
“Il tuo modo di combattere è molto simile al suo” spiegò allora. “Troppo simile”.
“Uso tecniche Uchiha e il taijutsu Uchiha” fece notare Obito esasperato. “Sarebbe più strano che combattessi come uno Hyūga francamente”.
Nozomi si morse la lingua per non ridere, ma Hiruzen non sembrò apprezzare la battuta visto la faccia che fece. Si spostò allora verso Nozomi, che si sforzò non lasciare intendere quanto fosse divertito.
“Tu invece mi hai ricordato il nostro Nidaime. Forse non lo sai, ma fu il mio maestro”.
Questa volta Nozomi non si fece scrupoli a sorridere smagliante, del resto faceva parte della recita. Durante la guerra, sia mentre credevano ancora di poter salvare il vecchio mondo, sia quando stavano lavorando al sigillo, Tobirama aveva insegnato a Naruto, Sakura e Sasuke tutte le sue tecniche. Era così che aveva imparato come creare il proprio hiraishin, imparato a usare i sigilli e padroneggiato tutte le tecniche d’acqua che conosceva. Ormai quelle tecniche facevano parte del suo repertorio e non riusciva a restarne senza, soprattutto perché erano le uniche che poteva spiegare senza dover tirare in mezzo il Kyūbi. Jiraiya e Obito avevano facilmente trovato una spiegazione al perché le conoscesse, perfino i kage bushin e l’hiraishin.
Si mostrò emozionato e perfino lusingato.
“Oh, questo è fantastico! È il mio eroe, dattebayo!” esultò senza problemi, ora che poteva dire la buffa espressione senza destare sospetti. “Voglio dire, era davvero un genio e ha inventato così tante cose e sapeva così tante cose di Uzushio!”
Hiruzen sbatté le palpebre, forse un po’ sorpreso da tutto quell’entusiasmo e cercò di dire qualcosa, ma Nozomi non gliene diede modo riprendendo velocemente a parlare.
“Allora, vedi, quando sono andato dai rospi loro dopo sono riusciti a salvare le pergamene di mamma e visto che erano l’unica cosa sua che mi erano rimaste le lessi tutte. E c’era questa pergamena sul teletrasportarsi… non con uno shunshin, proprio un teletrasporto, una tecnica spazio-temporale. Prima sei qui e dopo se lì, così nel giro di un secondo e…”
“So come funziona una tecnica spazio-temporale…” tentò di frenarlo, ma Nozomi ormai era partito.
“Era troppo fico, così volevo impararla, ma Fukasaku-sensei ha detto che ero ancora troppo piccolo e che prima dovevo imparare altre cose. Ma io ho insistito. Tipo tanto. E lui mi ha detto che anche Tobirama-sama prima di inventare l’hiraishin si era allenato in altre tecniche. E allora io: chi è Tobirama-sama? E lui: è l’inventore dell’hiraishin, ha inventato molte delle tecniche conosciute nel Paese del Fuoco” disse imitando la voce del vecchio rospo. “Quindi io ero tipo: forte! Posso imparare anche quelle? E Tobirama ne ha inventata davvero tante e sono tutte così incredibili! Ma la mia preferita è il kage bushin, potevo usarlo per giocare a carte e…”
“È bello vederti così entusiasta!” intervenne Hiruzen spezzando la sua parola. Stava tentando di farlo da un po’, alla prima pausa di due secondi, ma il ragazzo aveva parlato senza respirare.
Nozomi allargò il sorriso e, temendo che riprendesse a vomitare parole, l’Hokage continuò: “La nostra biblioteca ha una grande sezione dedicata a Nidaime, sarai il benvenuto”.
L’Uzumaki si mostrò entusiasta, ma Obito dovette mordersi l’interno delle guance per non alzare gli occhi al cielo e scoppiare a ridere. Nozomi in biblioteca, certo. Sarebbe durato solo due secondi prima di essere cacciato fuori per aver fatto rumore o rovesciato qualcosa. Anche se adesso si stava atteggiando a nerd, Hiruzen faceva un errore a pensare che avesse la stessa passione per lo studio di Minato.
“Comunque, direi che questo è tutto” concluse il Sandaime. Non seppe se fosse solo così o se temeva che Nozomi riprendesse a parlare senza freni.
Toccò con il chakra un sigillo e dalle due pergamene comparvero delle uniformi standard ninja, una targhetta identificativa, un coprifronte e delle scartoffie da compilare.
“Lì ci sono tutte le schede burocratiche per il vostro inserimento. Vi chiedo la gentilezza di inviarle al reparto apposito il prima possibile”. Prese le due fasce ninja e le tese ai due giovani uomini. “Queste sono vostre”.
Nozomi prese la propria in soggezione. Sentì un forte calore allo stomaco quando le dita sfiorarono il freddo metallo, un calore che ricordava quello che aveva provato anni prima, quando era stato Iruka a mettergliela sulla fronte. Quell’hitae-ate rappresentava tutto per Nozomi: era il simbolo di ciò che voleva essere, della sua lealtà, del suo sogno. Poterlo possedere ancora era il ritorno definitivo a casa. Naruto – o Nozomi che fosse – era niente senza il suo coprifronte. Strinse con forza la fascia, già desideroso di indossarla, e alzò lo sguardo sul Sandaime. Il vecchio aveva un sorriso dolce, ammorbidito dalla chiara commozione negli occhi azzurri.
“Benvenuti a Konoha” disse.
Nozomi sorrise genuino, riscaldato da quel pensiero.

 

֎

 

Obito fissò il proprio hitai-ate come se fosse una bomba carta che sarebbe esplosa se non avesse decifrato il suo sigillo. Il metallo era pesante sulla sua mano… non lo ricordava così tanto pesante. Era un peso, ma forse da giovane aveva portato con più spensieratezza il peso che derivava dall’essere uno shinobi di Konoha.  
Erano appena usciti dall’ufficio dell’Hokage, le pergamene con tutto l’equipaggiamento e le scartoffie con loro. Avevano tenuto fuori solo i coprifronte, anche se il solo ad averlo indossato subito era stato proprio Nozomi.
Per qualche motivo, Obito si sentiva inadatto ad averlo, per questo lo fissava in attesa che esplodesse.
“Dovresti indossarlo come Kakashi-sensei”.
“Smettila di chiamarlo sensei” disse in automatico. Poi sbatté la palpebra e lo guardò confuso. “Che?”
Nozomi non se la prese per la sua distrazione. Il sole colpiva il metallo della fascia alla fronte, coperta da alcuni ciuffi laterali più lunghi. In qualche modo rendeva il suo viso più attraente, come se l’hitai-ate fosse fatto apposta per poggiare sulla sua fronte. Su di lui non sembrava un peso, ma un segno orgoglioso.
Distratto da quei pensieri, lasciò che Nozomi gli prendesse il coprifronte dalle mani. Fece il giro andandogli alle spalle e gli cinse la fronte con la fascia, legandola in un nodo stretto sulla nuca. Ma invece di averla appuntata dritta sulla fronte, la mise obliqua, così che si sovrapponesse alla benda che già indossava sull’occhio mancante.
“Ecco, così” ammirò Nozomi il suo lavoro. “Come la porta Kakashi”.
Alzò una mano e toccò il metallo che gli copriva l’occhio. Era strano sentire quel peso lì, dopo tutto quel tempo. Era tornato a essere uno shinobi di Konoha, nonostante tutto quello che era successo, nonostante avesse creduto di aver abbandonato per sempre questa strada.
Guardò meditabondo Nozomi, che non aveva smesso per un secondo di sorridere raggiante come se avessero vinto il mondo.
Fece una smorfia. “Perché glielo hai lasciato fare?”
“Cosa?”
“Lasciare che ti tenesse lontano dal chibi Naruto”.
Nozomi ebbe la grazia di non rispondere subito e almeno mostrare un’espressione amareggiata. Distolse lo sguardo e incrociò le braccia, assumendo la posa di chi si prepara ad avere una conversazione seria e difficile.
“E che dovevo fare? Prenderlo in ostaggio?” scherzò con poca convinzione.
Be’, tipo.
“Provare a protestare un po’ di più?” suggerì invece meno drastico.
Scosse la testa un po’ rassegnato.
“L’Hokage l’ha ribadito bene: non siamo ancora persone di cui possono fidarsi. Dobbiamo fare del nostro meglio perché questo cambi e iniziare protestando a tutto quello che il Sandaime ci ordine è controproducente. Insistere sarebbe stato sospetto…”
Obito strinse le mani a pugno e provò rabbia. Non sapeva perché fosse così importante, in quell’anno e mezzo di viaggio insieme – in realtà da molto prima, da ben quasi otto anni – non aveva mai pensato al figlio di sensei. Prima era stato troppo disinteressato per questo mondo per farlo, dopo… be’, dopo aveva il figlio di sensei adulto al suo fianco. Vedere il vero Naruto di questa linea temporale, vedere il modo in cui era trattato dal villaggio… aveva scatenato qualcosa in lui. Anche se stava facendo pressione su Nozomi, sentiva che era suo dovere prendere Naruto con sé e rimediare a quegli anni di solitudine… Sentiva che avrebbe dovuto protestare, fare qualcosa, minacciare o addirittura uccidere se necessario. Qualsiasi cosa per assicurare una famiglia a quel bambino.
Una mano calda si appoggiò sulla sua guancia, distraendolo da quei pensieri. Incontrò gli occhi limpidi di Nozomi, di quell’azzurro sereno che aveva riacceso la speranza in lui.
“Naruto starà bene” disse dolce.
“Come puoi dirlo?”
Nozomi rise. “Perché sono sopravvissuto a questo già una volta. Anzi, per lui sarà ancora meno doloroso ora: perché ora sa che fuori c’è qualcuno per lui. Inoltre”, aggiunse allargando il sorriso e socchiudendo gli occhi, “il Sandaime  ha detto a me che non devo cercarlo, non a Naruto”.
Lo fissò sospettoso. “Che intendi?”
“Be’, se io avessi saputo di avere uno zio mi sarei appiccicato a lui in ogni momento possibile” spiegò con un sorriso innocente. “E visto che io sono lui…”
Obito rise. “Ora sì che ragioniamo!”
“Aspetta a dirlo. Se riuscirà a superare le guardie ANBU – e lo farà, fidati – ti farà rimpiangere questo. Dovrai sopportare la sua presenza costante!”
Allargò il sorriso, sfumandolo in malizia e affettuoso sarcasmo.
“Mah, ormai mi sono abituato a sopportare te, non può essere peggio…”
Scoppiò a ridere alla faccia offesa che fece Nozomi e quando provò ad andarsene indignato, lo afferrò alla mano per trattenerlo.
“Sei un idiota Obito. La prossima volta ti lascio in pasto a Kurama!”
“Permaloso! Permaloso!”
“Allora visto che devi sopportare un permaloso come me, non ti offrirò nemmeno una ciotola di Ichiraku!”
“Piangerò questa perdita con lacrime amare” ribatté con ampia ironia.
Al che Nozomi gli fece una linguaccia lunga e infantile, Obito approfittò di quel momento per tirarlo al braccio con forza. Nozomi quasi si morse la lingua per la sorpresa dei loro corpi che venivano schiacciati insieme, ma non poté sbuffare nulla nel sentire le loro labbra unirsi. Si sciolse subito come burro nella sua presa, le mani di Obito si alzarono dal polso a stringergli il viso, come se temesse che si allontanasse da quel bacio.
Figuriamoci.
Nozomi chiuse gli occhi e si godette il dolce contatto, lento, in contrasto con la forza della sua presa. Obito era così forte da essere distruttivo, come una tempesta di fuoco, ma lo baciava sempre in modo così dolce. Il fuoco senza controllo della sua rabbia diventava un focolare domestico, caldo… un luogo sicuro dove potersi riposare. Le sue labbra disegnarono un sorriso mentre le loro bocche erano ancora premute insieme, la lingua accarezzò la cicatrice che tagliava a metà il labbro inferiore e si staccò. Obito aveva alzato le mani appoggiandole alle sue guance, tenendolo al viso. L’occhio rosso (era così divertente che nei baci e nel sesso attivasse lo sharingan senza nemmeno accorgersene) lo spiava serio e profondo.
“Non ci serve questo villaggio” gli disse in un sussurro. “Bastiamo solo noi due, possiamo farlo da soli”.
Nozomi fece una smorfia amara non appena capì dove stava andando a parare, ma non disse niente. Obito continuò a fissarlo, l’occhio rosso che ancora faceva roteare i tre tomoi intorno alla pupilla.
“Possiamo prendere Naruto e andarcene” concluse. “Loro non ci servono”.
Sospirò, distanziando il viso di qualche centimetro.
“Solo noi due contro il mondo?” chiese quindi, dolcemente.
Obito annuì, aumentando la presa sulle sue guance. Ma Nozomi voltò il capo e portò le dita sulle mani, delicatamente le staccò dal suo viso. Tenne la presa però, mentre con gli occhi guardava la montagna degli Hokage. Il suo sguardo era proprio su Minato.
“Il villaggio non lo riconobbe perché divenne Hokage” sussurrò. “Ma divenne Hokage perché il villaggio lo riconobbe”.
Obito corrucciò lo sguardo, non capendo quella frase. Si voltò anche lui verso la montagna, mai i seri volti di pietra non gli diedero nessuna spiegazione.
“Cosa?” domandò quindi.
Nozomi scosse la testa. “È una cosa che mi disse Itachi” spiegò. “Durante la Guerra, quando stavamo ancora combattendo contro gli Edo-Tensei e lo incontrai. Lui mi disse questo. Mi disse che se avessi voluto occuparmi da solo della guerra, pensarci da solo, un giorno sarei diventato come Madara… come te”.
Obito si corrucciò. Nozomi lo aveva detto con un tono tranquillo, dolce quasi… ma lui percepì come un’accusa. Si ritrovò a sciogliere la presa delle loro mani e a guardarlo, incapace di dire qualcosa.
In fondo non serviva lo facesse, Nozomi in qualche modo sapeva sempre cosa stava provando.
“Nel mio futuro, tu hai voluto fare tutto da solo” disse. “Hai deciso che avresti risolto tu questo mondo, pensandoci da solo. Non avevi bisogno degli altri”.
“…”
“Avresti vegliato per secoli nella solitudine un mondo soggiogato allo Tsukiyomi. Saresti rimasto l’ultimo, il solo, e per questo credevi di non aver bisogno di nessuno. Era tutto sulle tue spalle e non hai mai pensato di condividere quel peso”.
Obito continuò a non dire niente, lo guardò basta e sentì il suo petto sanguinare nel vedere Nozomi fare un passo indietro, distanziarsi da lui. Guardava ancora la montagna, ma sapeva che i suoi occhi guardavano a un altro obiettivo ormai.
“Durante la guerra, anch’io lo credevo. Di potercela fare da solo, di dover essere solo io quello che avrebbe fermato tutto. Non volevo che altri soffrissero, che altri se ne occupassero. Ero diventato forte, avevo il potere per farlo. Ora sono ancora più forte e forse hai ragione, posso farcela da solo. Non avrei neanche bisogno del tuo aiuto”.
Obito sentì una fitta alla gola, lo stomaco serrarsi e il cuore mancare un battito. Senza rendersene conto, stava già guardando Nozomi come se potesse sparire da un momento all’altro.
“Non ne ho bisogno, ma lo voglio” disse subito Nozomi. “Ti voglio al mio fianco, voglio che più persone possibili mi aiutino. Voglio che tutti i villaggi mi aiutino, solo così può esserci vera collaborazione per la pace.” Fece una pausa, tornando a fissarlo. “Sono forte, ma non lo sono diventato da solo. Senza il team 7, Ero-sennin o Kille B non avrei potuto imparare nulla. Senza i miei amici, senza Nagato e senza te non avrei mai potuto capire chi sono e chi voglio essere. Non avrei mai potuto tornare qui senza tutti coloro che si sono sacrificati per permetterlo. Non sarei mai andato così lontano senza di loro. Non posso dimenticarlo, non posso essere così arrogante da fissarmi sulla mia forza e dimenticare perché esiste. Quindi no, non sarò io o anche solo noi due contro il mondo. Sarà tutto il mondo insieme a risolvere questo casino” concluse.
Obito abbassò il viso, guardandosi i piedi. “Gli altri possono fallire, tradirti” disse amaramente.
“Prenderò questo rischio” rispose senza incertezza. “E se succederà, farò in modo di risolverlo. In fondo sono qui per questo, sono tornato dal futuro per correggere gli errori che sono stati fatti. Non mollerò la presa finché non ci sarà finalmente la pace”.
“Allora perché non dici subito la verità a Hiruzen?” sbottò esasperato.
Nozomi si oscurò. “Te l’ho già detto, prima dobbiamo risolvere Danzō. Nella mia linea temporale, il Sandaime perse fiducia in lui solo dopo il massacro degli Uchiha. Ma qui lo eviteremo, quindi dobbiamo trovare un altro modo. Poi appena sarà possibile gli dirò chi sono e…” tentennò, esitante.
Inarcò un sopracciglio.
“E?” insistette.
“E… gli suggerirò di abdicare a favore di un altro Hokage” borbottò in un sussurro.
Obito rimase interdetto qualche secondo, ma poi tirò le labbra in un sorriso soddisfatto ed emise una leggera risata.
“Questo piano mi piace” concordò compiaciuto. “Ma da te non me lo aspettavo”.
“Scherzi, lo hai visto? Ha la morte negli occhi, tutto quello che vuole è la pensione. Da piccolo non ci ho fatto caso, ma adesso sta praticamente gridando un messaggio d’aiuto. Sarà più che felice di abdicare” spiegò esagitato, un’espressione buffa sul volto.
Rise più forte. “Ti candiderai?” lo stuzzicò.
“No” disse piatto. “Non ruberò il sogno del legittimo Naruto, io non ne ho più diritto da quando sono scappato nel passato…” concluse amareggiato.
L’espressione triste e piena di rimpianti agitò Obito, non era giusto che provasse quel senso di colpo, non avevano avuto scelta. La sua non era stata una fuga vigliacca, non aveva abbandonato nessuno… In fondo quel futuro non poteva più esistere.
“Altri candidati?” chiese allora cercando di mantenere il tono leggero.
“Uhm…” gli occhi azzurri lo guardarono nervosi per qualche secondo, ma poi distolse lo sguardo grattandosi la guancia. “Non proprio, ci penserò meglio”.
“Spero abbastanza velocemente” sbuffò. “Prima quel vecchio se ne va, meglio sarà per Konoha”.
Nozomi scoppiò a ridere. “Non riesci proprio a sopportarlo?”
“È feccia” tagliò corto. “Un uomo che lascia che un bimbo viva solo anche se c’è una soluzione è feccia”.
Nozomi non commentò, perché in cuor suo sapeva che sarebbe stato disonesto a non dargli ragione. Una vecchia rabbia si era accesa dopo quel colloquio, ma non l’avrebbe assecondata. Avrebbe aspettato, sapendo che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Naruto avrebbe avuto una casa sicura, fosse anche l’ultima cosa che faceva.
Fu distratto da quei pensieri nel sentire Obito prendergli la mano.
“Dicevi davvero prima? Nel fare tutto senza di me?”
Era uno stronzo se sorrideva al tono timido e preoccupato con cui lo aveva detto? Probabilmente l’Uchiha si sarebbe offeso o vergognato per quella paura, quindi si morse la guancia e ricambiò con forza la stretta.
“Non farò nulla senza di te” lo rassicurò. “Hai promesso di essere al mio fianco, quindi… non ti lascerò andare”.
La tensione che si era improvvisamente accumulata lasciò i suoi muscoli, Obito quasi tremò per il sollievo. Era sciocco, ma per un momento aveva davvero temuto che lo lasciasse indietro. Non poteva farlo, non dopo che gli aveva rivelato che ciò che progettava da anni era un fallimento; non dopo che gli aveva dato un nuovo motivo per sperare… Senza Nozomi, sperare non avrebbe avuto senso.
“Meglio. Senza di me combineresti un pasticcio dietro l’altro” borbottò comunque, giusto per darsi un tono.
Nozomi scoppiò a ridere e tornò vicino, così vicino che i loro corpi si sfioravano. Sempre ridendo, il naso arricciato e le labbra stese a mostrare un sorriso, portò le proprio mani sul volto di Obito.
“Cosa farei senza di te?” domandò ridendo, ma con uno sguardo dolcissimo.
Obito non rispose, invece lo baciò e ogni dubbio, cattivo pensiero o incertezza sul futuro sparì dalla loro mente. Forse non erano insieme contro il mondo, ma erano decisamente insieme e questo contava più di qualsiasi cosa.
“Andiamo a casa” suggerì Obito, a fior di labbra.
Nozomi inarcò un sopracciglio. “Ma il mio ramen?”
“Ho in mente qualcosa di meglio del ramen…” sussurrò mordendogli un orecchio.
Lo colpì al petto, ma senza una vera intenzione di ferirlo o allontanarlo.
“Uchiha pervertito” ridacchiò mentre le labbra scendevano dal lobo al collo.
“Uzumaki arrapato” ricambiò.
E be’, non poteva negarlo. Lo prese per mano, trascinandolo lungo le strade con una risata che rimbalzava tra le case.

 

 

֎

 

“Così sono loro…”
Mormorò maliziosa la donna, negli occhi uno sguardo terribile. Con i denti spezzò il bastoncino di dango che stava mordicchiando.
Ibiki smise di fissare i due giovani uomini giù sulla strada e spostò gli occhi su Anko, seduta pericolosamente sul bordo dell’edificio.
“Sì, esatto”.
“Sembrano molto intimi…” mormorò con un cipiglio divertito Inoichi, gli occhi acuti che scrutavano tutte le effusioni che si stavano scambiando, incuranti di essere al centro di una strada.
“Di pure fidanzati” sputò Anko. “Peccato, l’Uzumaki è carino… Anche Obito ha il suo fascino con quelle cicatrici, è proprio cresciuto…”
“Anko…” sospirò Inoichi esasperato da quei commenti civettuoli, visto che sapeva che la donna aveva zero interesse negli uomini.
“Può essere solo un bene, visto quanto sono affiatati in combattimento” soppesò Shikaku serio, riportandoli in carreggiata. “Erano inarrestabili”.
“Non vorrei mai averli contro” confermò Choza serio come non lo era mai stato.
Una folata di vento accompagnò le sue parole caricandole di drammaticità.
Anko sputò il mozzicone a terra e si accucciò come un gatto, il sorriso pieno di malizia sempre più largo sulla sua faccia.
“Io direi che dobbiamo dar loro un benvenuto” offrì, con gli occhi che promettevano di divorare in un solo boccone la propria vittima.
 
 
 
 
Salve!
Ecco la seconda parte dell’incontro con l’Hokage ^^ So di avervi fatto sperare inutilmente, ma Hiruzen stava correndo troppo e si è reso conto da solo che doveva ridimensionare il tutto. Ma così adesso Naruto sa di Nozomi, quindi ne vedremo delle belle :D
Un altro capitolo e la fase di “introduzione” a Konoha finisce, si entra nel cuore della storia e finalmente anche tutti gli altri personaggi faranno la loro comparsa :D Qui abbiamo già visto Iruka… Purtroppo non è ancora l’Iruka affettuoso che conosciamo noi, è ancora nella fase rimprovero/disprezzo Naruto. Ma non temete u.u come nel manga canonico si lascerà incantare presto dal nostro Narutino.
 
Ho visto che anche in molti lamentano l’assenza di scene rosse… Okay, forse potrei ritrarre questa cosa? Salire di rating? Non lo so, ditemi voi!
Nel caso nel prossimo capitolo abbiamo una scena lime, che resterà non spinta per logistiche di narrazione xD
 
Grazie mille per le recensioni! Sono davvero felice del vostro entusiasmo ^^ Ci vediamo al prossimo capitolo fra due settimane!
Hatta.

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Capitolo 10
*** I Jonin di Konoha ***


Capitolo 9
I Jōnin di Konoha

 

 

 

 

«Cause I could use some friends for a change
And some nights I’m scared you’ll forget me again»
(Some nights – Fun)

 

 

 

Il buio era sceso quasi confortante nella stanza, allungando le ombre fino a cancellarle e amalgamarle in un’unica macchia di oscurità, dentro cui Kakashi si era rannicchiato con piacere. Solo i fievoli raggi lunari rendevano appena visibile la sua figura sul lettino d’ospedale.
Se non fosse stato così a suo agio in quel pozzo di buio, Kakashi avrebbe iniziato a meditare un modo per lasciare l’infermeria, come era da sempre solito fare. Ma si sentiva così pigro e… stanco. Non solo fisicamente, per via dello scontro che lo aveva portato al limite, ma anche emotivamente. Sentiva ancora nelle orecchie il cinguettio assordante del raikiri, poteva vedere la scarica di fulmini fatti di puro chakra percorrere le sue dita, illuminare la sua mano. Poteva ancora sentire l’attrito dell’aria mentre si scagliava in avanti per colpire Obito.
Quel jutsu era una maledizione.
Se Nozomi non si fosse messo in mezzo avrebbe… proprio come con Rin… sarebbe successa la stessa tragedia.
Kakashi soffocò un lamento, spingendo con forza la sua mano contro l’occhio chiuso, quello che nascondeva lo sharingan. Odiava avere quel ricordo impresso nella retina, incapace di dimenticarlo. In quel momento gli veniva facile sostituire il corpo di Rin con quello di Obito.
Benediva Nozomi per averli fermati, perché sapeva che non si sarebbe fermato da solo. Avrebbe centrato il bersaglio, come era suo compito, come accadeva in ogni missione, come solo Kakashi a sangue freddo sapeva fare.
Benediva Nozomi per averlo fermato, ma malediva l’Hokage per averlo costretto a fare una simile cosa. Perché ordinare a Obito di attaccarlo senza dirgli niente? Perché Obito aveva accettato? Avrebbe potuto ucciderlo! Quella messinscena era stata troppo pericolosa, troppo lasciata al caso, niente dava la garanzia – nemmeno il Sandaime l’aveva – che Nozomi sarebbe intervenuto in tempo.
Forse in quel caso Obito si sarebbe fermato. Ma lui no, perché Kakashi non ne sapeva nulla ed era solo mosso dall’istinto.
Soffocò un altro verso lamentoso al pensiero della tragedia mancata, ma poi dovette velocemente riacquistare compostezza quando sentì una presenza avvicinarsi alla finestra dell’infermeria.
La sua espressione era tornata calma ed era riuscito anche a tirare fuori il suo immancabile volume di Icha-Icha quando Genma si accovacciò sul davanzale.
“Wow, credevo fossi già scappato” commentò, sorpreso di vederlo ancora lì, fin troppo abituato invece alle cattive abitudini dell’amico.
“Leggevo” rispose affabile.
“Con questo buio?” replicò scettico, ma non indagò oltre sapendo anche quanto fosse riservato. Non voleva chiuderlo a riccio, era qui con una missione ben precisa, perciò lasciò stare la sua domanda e riprese. “Quindi, preferisci restare qui a leggere per l’ennesima volta quella porcheria?”
“Non è una porcheria” lo corresse Kakashi. “È molto avvincente”.
Nonostante quello che aveva appena detto, abbassò il libro sul proprio grembo e finalmente si girò a guardarlo con un solo occhio pigramente aperto.
“Cosa proponi?”
“Missione di salvataggio” rispose con gli occhi che brillarono di improvvisa malizia.
“Riguardo?”
“Gli altri Jōnin hanno invitato le nostre nuove reclute al solito pub per festeggiare”. Fece una pausa, in cui il ghigno si allargò. “Ci sono anche Ibiki e Anko”.
“Capisco. Ahia”.
“Inoichi e gli altri hanno già aperto un giro scommesse su chi dei due novellini faranno piangere per primo” spiegò. “Forse è meglio andare per assicurarci che non li traumatizzino troppo”.
“È meglio” concordò Kakashi ugualmente divertito.
Scese con un movimento fluido dal letto e andò verso l’armadietto doveva aveva visto gli infermieri mettere il suo equipaggiamento. Anche se doveva riutilizzare gli stessi abiti che aveva sporcato durante lo sparring non era schizzinoso, le missioni ANBU lo avevano allenato a indossare abiti sporchi per più giorni di fila, anche quando erano pregni di sangue. Per ultimo indossò la fascia ninja, tornando a coprire con più facilità lo sharingan.
“Quindi” iniziò uscendo silenziosamente dalla finestra insieme a Genma. “Tu su chi hai scommesso?”
L’altro jōnin ridacchiò.
“Obito ovviamente” rispose. “Ti ricordi come tremava da bambino ogni volta che vedeva Ibiki?”
Kakashi lo ricordava bene, ma da quel poco che aveva visto considerava davvero ingenuo pensare che Obito reagisse ancora come quando era un bambino. Sembrava una persona completamente diversa ormai.
“Tu su chi punti?” lo distrasse Genma.
Fece un sorriso sereno sotto la maschera.
“Su nessuno dei due”.
Accelerò nei salti sul tetto, impedendo a Genma di ribattere e chiedere una spiegazione. Kakashi dubitava fortemente che dopo quello che doveva aver passato Obito Ibiki o Anko fossero in grado di spaventarlo, mentre se pensava all’Uzumaki… be’, da quel poco che aveva inquadrato poteva scommettere che entro la fine della sera sarebbe diventato il migliore amico di tutti.

 

֎

 

Quando entrarono nel pub Tora, il posto dove i jōnin di Konoha erano soliti frequentare nel tempo libero, rimasero sconvolti da quello che si trovarono davanti. Di certo nessuna scommessa avrebbe potuto indovinare qualcosa del genere.
Appena entrarono, la prima cosa che Kakashi individuò fu la fila che avevano formato Inoichi, Chōza e Gai. Del resto sarebbe stato impossibile non notarli: i tre erano in piedi, a braccetto e mezzi nudi, con solo i pantaloni standard e il giubbotto verde smanicato aperto sul petto nudo; non finiva qui, perché l’altra stranezza era il fatto che stessero cantando stonati e improvvisando un ballo scoordinato, dove ognuno ondeggiava contro l’altro nel tentativo di rimanere in piedi.
Erano ubriachi.
La diagnosi era molto semplice e anche se non si fossero comportati da idioti completi, le guance rosse e le parole biascicate della canzone erano un chiaro avvertimento.
Rimase molto sorpreso. Con Gai e le sue sfide giornaliere, Kakashi aveva compiuto anche gare di bevute e sapeva che la Bestia Verde di Konoha reggeva molto bene l’alcool. Perciò quanto doveva aver bevuto per essere arrivato a queste condizioni?
Poco più distante c’era Shikaku, steso su uno dei divanetti, con la testa appoggiata sopra la pila di vestiti dei tre jōnin intenti a ballare. Stava dormendo – o almeno aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta – con una bottiglia di saké abbracciata al petto.
Poteva vedere altri shinobi, come Yugao e Hayate – loro due impegnati a baciarsi e in altre faccende intime un po’ più appartati – e Ibizu che provava a conquistare una delle cameriere al bancone a suon di frase illogiche e imbarazzanti.
Infine, su uno dei tavoli centrali, c’era in corso una partita a poker. I giocatori erano Ibiki, a petto nudo e senza bandana, Anko,  solo con la giacca a rete che non nascondeva nulla e un kimono arancione legato alla vita, che a ben vedere non aveva pantaloni, e infine Nozomi, vestito a strati con abiti che non dovevano essere suoi – aveva troppe magliette standard shinobi, due giubbotti antiproiettile e molti hitai-ate allacciati alle braccia.
“Ma cosa…” commentò Genma sorpreso da quello che aveva davanti.
La saletta privata che solitamente usavano per i loro ritrovi di bevute non era mai stata così nel chaos.
La sua esclamazione attirò l’attenzione del gruppetto danzante, che si mosse sempre ballando verso di loro. Genma non riuscì a scappare alle loro mani che lo tirarono in mezzo, costringendolo a seguire il ritmo per non capitombolare di faccia e spaccarsi il naso. Kakashi fu più veloce e riuscì a sgusciare alla loro presa.
Rivolse uno sguardo a Nozomi, che proprio in quel momento scopriva le sue carte. Non poteva vedere il risultato, ma non era buona visto che con un sospiro dovette slacciarsi uno degli hitai-ate e restituirlo ad Anko.
Scivolò senza essere fermato da nessun altro su uno dei divanetti, quello dove aveva individuato Obito. La sua faccia non era arrossata, il suo sguardo era lucido e consapevole anche mentre continuava a sorseggiare da un bicchiere di saké.
“Quello che è successo?” chiese disinvolto sedendosi al suo fianco.
Obito gli rivolse uno sguardo appena interessato, non aveva mosso un muscolo quando aveva parlato. Doveva essersi accorto che si stava per sedere.
“Hanno sfidato me e Nozomi a una gara di bevuta. Hanno perso” riferì essenziale.
“Vedo” commentò Kakashi osservando divertito il trenino che era stato formato.
In qualche modo erano riusciti a svegliare Shikaku e si trovava davanti con la testa a ciondoloni e un’espressione molto seccata.
“Anko ha poi proposto una partita a Poker. Tutti hanno scommesso i propri vestiti e questo è perché tutti sono mezzi nudi. Stanno continuando solo quei tre, ormai”.
Indicò con un cenno di capo il tavolo dove Ibiki, Anko e Nozomi stavano continuando a consegnare carte.
“Tu non hai giocato?” chiese Kakashi, osservando tutti gli abiti che indossava.
Fece un’espressione risentita. “Hanno detto che avrei imbrogliato con lo sharingan”.
“E lo avresti fatto?”
“Ovviamente”.
Per qualche motivo scoppiò a ridere. Obito lo aveva detto in un modo serissimo, come se fosse la cosa più vantaggiosa da fare in un campo di battaglia.
Kakashi alzò una mano a richiamare un inserviente.
“Cosa stai facendo?” chiese Obito.
“Sono arrivato in ritardo, ma voglio ancora partecipare alla gara di bevute” offrì.
Sbuffò dal naso. “Vuoi perdere la dignità come loro?” e indicò il gruppetto che ancora facevo il trenino tra i tavoli.
Kakashi gli rivolse un sorriso impertinente da sotto la maschera, visibile solo attraverso gli occhi.
“Io parto in vantaggio. Tu hai già sopportato una gara, io no, sono perfettamente sobrio”.
Vide l’angolo della bocca sollevarsi in un sorriso ironico, il primo da quando si era seduto al suo fianco.
“Se ti piace perdere” acconsentì.
Poco dopo, avevano davanti a sé un intero vassoio di shottini pieni di liquido trasparente. Kakashi aveva fatto la pazzia di chiedere il liquore più alcolico che avessero, ogni sorso era come compiere un palla di fuoco da quanto bruciava la gola.
La testa cominciò a girargli e non capì come Obito continuasse a restare con l’espressione controllata, indifferente al liquore che ormai doveva essere entrato in circolo anche a lui.
“Dimmelo, è una tecnica dello sharinga? Devo usarlo?” borbottò passandosi una mano alla tempia.
Obito ridacchiò. “No. Sono le cellule di Hashirama, non permettono ai veleni di entrare in circolo, incluso l’alcool”.
“Lo sapevo che stavi barando” si lamentò.
“Tutto per vincere” sogghignò prima di prendere un altro bicchiere.
Ormai ne restava solo uno, quello di Kakashi, ma era ancora abbastanza cosciente da sapere che sarebbe stato il bicchiere fatale.
“Nozomi, invece, qual è il suo trucco?” chiese lamentoso.
“Sangue Uzumaki” offrì. “Non va sottovalutato”.
No, decisamente Nozomi non era un tipo da sottovalutare. Lo aveva fatto, perché con la sua aria spensierata e amichevole sembrava tutt’altro che pericoloso. Invece nello sparring aveva dimostrato di conoscere tecniche letali e soprattutto di avere la capacità di metterle in pratica. Abbinate alle sue riserve di chakra che dovevano essere mostruose lo rendevano una vera e proprio macchina bellica.
“Perché hai assecondato il Sandaime?” sbottò senza averlo premeditato.
Obito però capì subito cosa intendesse con il suo brusco cambio di argomento. Non si scompose e scrollò le spalle.
“Non l’ho assecondato. Io l’ho proposto” contraddisse.
Kakashi spalancò l’occhio sorpreso, la sua vista era appena sfocata dall’alcool.
“Perché? Avrei potuto ucciderti!”
“No, non avresti”.
“Nozomi poteva non intervenire in tempo”.
“No, in qualsiasi caso ci sarebbe riuscito” ribadì stringendo lo sguardo. “Non è questione di se, Nozomi lo avrebbe fatto e l’ha fatto. Non avrebbe mai mancato”.
Kakashi provò una fitta al petto che con stupore si rese conto essere invidia. Era invidioso del tono certo con cui aveva parlato, così pieno di fiducia verso il compagno. Per lui era una certezza affidarsi all’altro, sapere cosa avrebbe fatto, che avrebbe sempre fatto in tempo.
Kakashi non ricordava l’ultima volta che aveva avuto un sentimento simile. Non per suo padre, sicuramente. Forse c’era stato un periodo in cui aveva avuto la stessa fiducia in Minato, ma l’ex-sensei era sempre arrivato troppo tardi – tardi per salvare Obito, tardi per salvare Rin, per salvare lui – e poi anche lui era morto. Ora poteva dire con certezza che non c’era nessuno a meritare la sua totale fiducia. Si fidava dell’Hokage, è vero, ma per dovere e basta, non era un gesto spontaneo.
“Perché l’hai proposto?” ripeté.
“Per Naruto” rispose semplice. “L’ho fatto per dimostrargli che può fidarsi di Nozomi, tutto qui”.
“Ha funzionato?”
Lo sguardo si oscurò. “No”.
Non che Kakashi si aspettasse una risposta diversa. Uzumaki Naruto era una questione complicata, soprattutto con Danzō che aspettava una sola scusa per poter mettere le mani su di lui. Kakashi si sarebbe ucciso prima di vedere Naruto finire in ROOT, per questo non poteva far altro che assecondare l’Hokage. Fino a quel momento lo aveva tenuto lontano da Danzō e tanto gli bastava.
“Li ha solo presentati” continuò Obito.
Sgranò l’occhio colpito. Il Sandaime si era comunque spinto più avanti di quanto si aspettasse. Forse era stata una mossa un po’ azzardata, ma era contento che l’avesse fatto. Naruto ora sapeva che c’era qualcuno per lui e sperava che Nozomi facesse il possibile per poterlo adottare.
“Come ha reagito?” chiese curioso.
“Chi? Naruto o Nozomi?” Poi parve decidere che non importava e scrollò le spalle. “Sorpresi e felici, anche se insieme si riveleranno una spina nel culo. Si sono visti tre secondi e già mi hanno fatto venire mal di testa a forza di dattebayo”.
L’implicazione di quella frase gli fece inclinare la testa.
“Anche Nozomi lo dice?”
“Deve essere una deformazione del sangue Uzumaki” pensò Obito. “Anche Kushina-nee-san aveva un suo slang”.
Annuì. “Sì, era dattebane” ricordò.
Appena lo disse, caddero in un cupo silenzio. Kakashi non ricordava l’ultima volta che qualcuno gli aveva parlato di Kushina con un tono tanto casuale. La consapevolezza della sua morte lo aveva colpito, ovviamente, e lo stesso pareva essere successo anche a Obito. Era tornato a essere tetro in faccia, gli occhi persi a contemplare pensieri troppo profondi. Kakashi si chiese se stesse pensando alla morte di Kushina e sensei, al fatto che non era qui quando era successo; si chiese se come lui avesse dei rimpianti per non aver fatto nulla.
Kakashi pensò ai suoi, di rimpianti, e il malessere gli afferrò di nuovo lo stomaco. Guardò l’ultimo bicchierino rimasto valutando se prenderlo e annegare definitivamente i suoi pensieri coerenti nell’alcool. Invece chiese:
“Mi odi?”
Obito non aveva bisogno di chiedere per cosa, era chiaro ancora. Ma anche così Kakashi fu sorpreso di vederlo scuotere la testa.
“Non ti ho mai odiato” ammise. “Non te, non era colpa tua”.
“E allora di chi?” domandò scettico. Era sua la mano che aveva trafitto il petto, sfondando le ossa dello sterno per raggiungere dritto il cuore.
“Del mondo shinobi” rispose senza battere ciglio. “Noi siamo solo pedine e soprattutto eri solo un bambino. Non potevi fare nulla, era destino e io dovevo vedere tutto”.
Quella risposta avrebbe dovuto inquietarlo, ma il sollievo di sapere di non essere odiato da Obito era sufficiente. Non lo guariva dall’odio per se stesso, ma era confortante…
“Com’è Naruto?”
L’improvvisa domanda di Obito sembrò confondere Kakashi.
“Che intendi?”
“Caratterialmente” spiegò. “Com’è? Per ora posso dire che sembra molto solo”.
Scrollò le spalle e si rese conto con imbarazzo di non avere una vera risposta. Non sapeva nulla di Naruto, se non pettegolezzi degli ANBU che lo tenevano sotto controllo.
“Cosa dire di lui” iniziò diplomatico. “A scuola è svogliato e si applica poco, fa uscire di testa tutti i suoi insegnanti, spesso salta le lezioni o si addormenta in classe e fallisce tutti i test. Il suo passatempo preferito è fare scherzi, le sue guardie ANBU ormai hanno i capelli bianchi per colpa sua. Spesso va a mangiare da Ichiraku ramen, ecco il ramen è il suo cibo preferito. Non ha molti amici, come hai notato anche tu è molto solo. Nonostante questo sogna di diventare Hokage e non perde tempo a farlo sapere a chiunque”. Fece una pausa, meditando sul proprio ritratto. “Ti assomiglia” concluse infine.
Obito fece una smorfia che non seppe come interpretare finché non disse:
“Mi assomigliava. Non sono più quel bambino”.
Suo malgrado, Kakashi si ritrovò a essere d’accordo. Questo Obito che aveva davanti corrispondeva male ai suoi ricordi, era come se si fosse fatto più spigoloso e amaro nel tono, nello sguardo e nei gesti. Nei ricordi di Kakashi Obito sorrideva sempre, ora lo aveva visto fare raramente e perlopiù erano sorrisi sarcastici e derisori.
“Inoltre”, riprese con tono indignato, “io mi impegnavo, non ero affatto svogliato! Restavo indietro rispetto agli altri perché non avevo nessuno ad aiutarmi. Non conoscevo la metà dei kanji nei libri scolastici ed ero troppo orgoglioso per ammetterlo. Inoltre mia nonna era troppo vecchia per farmi esercitare nei kata di base, il resto degli Uchiha non si è reso molto utile”.
“Quindi ammetti che restavi indietro”.
Obito sgranò l’occhio, apparentemente incredulo che di tutto il suo discorso avesse colto solo quell’ammissione.
“Vaffanculo, Bakakashi”.
Rise e gli parve che il clima cupo fosse stato in parte stemprato.
“Non dovresti fermarti?” suggerì Obito quando Kakashi fece un altro cenno alla cameriera.
“Sto prendendo solo dell’acqua” lo assicurò. “Sei carino a preoccuparti per me”.
Ricevette un’espressione indignata. “Non sono!”
“Invece sì. Aw, stai anche arrossendo”.
Prendere in giro qualcuno era un terreno che Kakashi conosceva molto meglio e lo fece rilassare. Anche se a quel suo giochetto Obito parve confuso, guardandolo con le sopraccigli aggrottate. Era ovvio che Kakashi non corrispondesse ai suoi ricordi, come valeva per lui.
C’era molto tempo da recuperare, troppe cose da chiarire, ma Kakashi per un momento ebbe fiducia che con pazienza tutto si sarebbe risolto.
 
Chiacchierarono ancora, ogni tanto lasciando che un argomento e l’altro ci fossero lunghi buchi di silenzio. Questo nuovo Obito non sembrava a disagio con il silenzio.
Kakashi notò presto che il suo occhio continuava a spostarsi sempre su Nozomi, come per assicurarsi che fosse ancora lì, che stesse bene. Quell’atteggiamento lo portò a chiedersi quale fosse la vera natura della loro relazione e i suoi sospetti vennero in un certo senso confermati quando Obito indurì l’espressione e quasi ruppe il bicchiere che aveva in mano.
Kakashi guardò ilare quella reazione alla vista di Anko, mezza nuda, che si spostava sulle ginocchia di Nozomi. L’Uzumaki sembrò confuso e fece per allontanarla, lei allora disse qualcosa che parve tranquillizzarlo al punto da lasciarla seduta su di lui.
Obito non era affatto tranquillizzato. Anzi se lo sharingan che aveva attivato era un chiaro segnale, sembrava pronto a bruciare qualcuno con un katon.
Kakashi temette che volesse davvero fare del male a qualcuno quando lo vide alzarsi dal divanetto e marciare verso il tavolo dove stavano ancora giocando a poker. Lo seguì un poco impressionato. Ricordava che Obito da bambino era molto geloso, lo sapeva bene perché era sempre lui il principale destinatario della sua gelosia dal momento che sia sensei che Rin sembravano preferirlo. Non pensava che crescendo questo suo tratto peggiorasse.
Afferrò Anko per un braccio e quella quasi lo colpì alla gola con un saibon, salvo che Obito riuscì a bloccarla.
“Che vuoi?” grugnì la kunoichi sfacciata.
“Alzati e allontanati” ordinò Obito impassibile.
Anko non era una persona che prendeva bene gli ordini e anche in questo caso non fece eccezione. Ritrasse il suo tentativo di omicidio, ma non il sorriso pericoloso e quasi per indispettirlo si sistemò meglio sulle ginocchia di Nozomi.
“Sto bene qui” lo provocò.
Nozomi intervenne prima che Obito provasse a risucchiarla con il suo kamui per spedirla nella prima dimensione disponibile.
“Per favore, alzati. Effettivamente è un po’ imbarazzante”.
Kakashi sperimentò la più grande sorpresa della sua vita: Anko accontentò un per favore e fece come le era stato detto. Si alzò da Nozomi tornando alla sua sedia.
“Siete noiosi” si lamentò comunque.
“Anko-san ha perso a Poker contro di me i suoi ultimi vesitit” spiegò invece Nozomi divertito. “Quindi, invece di spogliarsi tutta, ha pensato di spostarsi da me. Tanto abbiamo finito la partita”.
“Tranquillo, piccolo Uchiha” disse Anko senza abbandonare il suo sorriso pieno di malizia. “Non rubo il tuo innamorato. Ti devi aggiornare, a me interessano solo le ragazze”.
Per enfatizzare il suo concetto Anko avvicinò alla bocca l’indice e il medio allargati a V e passò la lingua nello spazio tra essi in modo molto allusivo. Quel gesto volgare fece distogliere lo sguardo di Obito, per dissimulare il rossore alle orecchie sbuffò infastidito.
“Sei un’esperta di veleni, avresti potuto avvelenarlo” si giustificò, comunque consapevole che nessuno gli avrebbe creduto.
Ibiki non intervenne nella conversazione, in realtà aveva uno sguardo molto lucido e le guance paonazze, perfino il suo naso era arrossato. Anche senza la fila quasi interminabile di bicchierini sul tavolo il suo stato di ubriachezza sarebbe stato fin troppo ovvio.
Sorrise sotto la maschera. Decisamente non erano riusciti a far piangere Nozomi od Obito, al contrario proprio lui e Anko sembravano essersi lasciati catturare dai due nuovi shinobi.
Comunque, Obito sembrava ancora intenzionato a picchiare Anko, che a sua volta era divertita dal provocarlo. Pensò di intervenire prima che passassero alle mani.
“Bei tatuaggi” disse inclinandosi in avanti.
 La sua considerazione gli fece catturare per un momento l’attenzione, ma poi anche Anko e Obito si fissarono sulle braccia nude di Nozomi, dove sulla pelle caramello erano inchiostrati simboli antichi.
“Molto macho” commentò la kunoichi con sarcasmo.
Nozomi si grattò l’avambraccio, sopra uno di essi, con imbarazzo.
“Non sono tatuaggi, ma sigilli”.
Kakashi non riuscì a dissimulare lo sgomento. Era stato lo studente preferito dello Yondaime, questo significava che sapeva qualcosa sull’arte di sigillare, compreso quanto fosse pericoloso farlo sulla propria pelle. Era per questo che esistevano i rotoli, creati con una carta speciale in grado di contenere il chakra senza disperderlo. I sigilli fatti sul corpo erano sempre complessi e difficili da realizzare proprio perché erano calibrati per non distruggere chi li indossava. Aveva sentito storie di shinobi spinti alla follia per via di sigilli mal applicati direttamente sulla pelle. Lo stesso sigillo che adornava l’ombelico di Naruto aveva preso tutta l’abilità e la conoscenza dello Yondaime, dimostrando quanto fosse grande la sua capacità nel suggellamento. Sentire Nozomi parlarne con così disinvoltura, indossarli come se niente fosse… era sorprendente.
Anko, che al suo contrario aveva una conoscenza base dell’arte dei sigilli, quella che offriva l’Accademia, non sembrò molto colpita da quella rivelazione. Anche se il suo sguardo si fece più attento, meno giocoso.
“Quindi sei un fūinjutsu master, eh?”
“Sì, me la cavo”. Parve ripensarci. “Anzi, sono molto bravo, perfino più bravo di Jiraiya” si pavoneggiò.
Kakashi non riuscì a evitare di sbuffare. Quella doveva essere una palla, una esagerazione fatta per mettersi in mostra. Poteva riconoscere le sue abilità, ma il Sannin era quello che aveva insegnato a Minato il suggellamento, attualmente era il miglior fūinjutsu master che le terre shinobi conoscevano, da quando Uzushio era caduta.
Anko soppesò molto attentamente le sue parole.
“E oltre che applicarli, sei anche in grado di cancellarli se impressi sulla pelle?” chiese.
Kakashi la vide portarsi la mano sulla spalla in un gesto inconscio, dove Orochimaru le aveva impresso il sigillo maledetto quando era solo una bambina.
L’espressione di Nozomi passò da rilassata a seria, lanciò uno sguardo a quel gesto come se sapesse esattamente di cosa stesse parlando.
“Dipende” iniziò. Anche il suo tono di voce era cambiato, facendosi serio e maturo, quell’atteggiamento lo rese ancora più simile a Minato. Nozomi doveva essere una persona abituata a comandare e a essere ascoltata. “Ci sono certi gradi di complessità dei sigilli. Questi che indosso io sono di semplice tenuta, li uso per trasportare armi e cibo, così da averne sempre con me in ogni emergenza. Posso dissiparli senza nessuno sforzo, ma ne ho altri che uso per aiutarmi nella velocità e nella percezione, sono pensati per essere indossati sempre e per questo toglierli sarebbe complicato. Poi ci sono sigilli come quelli applicati ai Jinchūriki, fatti per contenere enormi quantità di chakra estranei. Non puoi toglierli senza una chiave creata appositamente per il singolo sigillo. Altre volte eliminare un sigillo del genere è uno sforzo tale che porta all’esaurimento del chakra e alla morte. Prima di fare qualsiasi cosa devo vedere il sigillo e, se non lo conosco, studiarlo.»
Obito aveva un’espressione annoiata, poco interessato a quel discorso, invece Kakashi si trovò ad ascoltarlo con molta attenzione. Eccelleva in tutta le arti ninja, lo poteva ammettere senza presunzione, ma per la scarsa quantità di chakra che possedeva non aveva mai potuto approcciarsi ai sigilli, nonostante il sensei fosse anche l’unico maestro di Konoha. Tutto sommato era bello sapere che il Villaggio aveva acquistato un altro esperto di fūinjutsu, sarebbe stato un peccato se quell’arte si fosse persa.
Anko valutò quello che aveva appena sentito, per un momento credette che intendesse rivelare del suo sigillo, ma poi tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia e incrociò le braccia sotto il seno.
“Te ne intendi” concesse di nuovo sbruffona, come se avesse fatto quelle domande solo per metterlo alla prova. “Forse ne approfitterò una di queste volte”.
Nozomi allargò il sorriso, per nulla preoccupato dal tono della donna che sembrava quasi minaccioso.
“Se posso rendermi utile!” garantì.
Anko sembrava molto divertita, probabilmente aveva davvero preso in simpatia l’Uzumaki. Sarebbe stato il primo uomo che non desiderava uccidere dopo Ibiki.
“E dicci, Fūinjutsu master-sama, per caso lì nascondi altri scarabocchi?”
Per un momento Nozomi parve risentirsi per il modo in cui aveva chiamato i suoi capolavori, ma alla fine la voglia di mettersi in mostra ebbe la meglio.
“Oh sì, tengo alcuni sigilli sulle gambe, principalmente quelli per aumentare gli scatti e rendere lo shunshin più efficace”. Iniziò a sbottonarsi gli abiti, scoprendo le clavicole abbronzante. “Invece sul petto ho…”
Kakashi non scoprì mai di cosa si trattasse, perché prima che Nozomi potesse scoprire la pelle del petto Obito soffiò un’improvvisa palla di fuoco, che incendiò il tavolo. Ovviamente bruciò tutto quello che era sopra di esso, rischiando di colpire anche Ibiki e Anko.
Ibiki in particolare fece un salto all’indietro, improvvisamente vigile e con gli occhi che non sembravano più risentire l’effetto dell’alcool.
“Ci attaccano!” gridò.
Obito non commentò. Del resto era riuscito a ottenere il suo scopo: con un piccolo incendio nella locanda nessuno era più interessato a togliere vestiti a Nozomi.

 

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“Sei adorabile da geloso, lo sai?”
“Non ero geloso. Mi è sembrato che Ibiki stesse facendo qualcosa di sospetto”.
Nozomi ridacchiò, si piegò sul lavandino e sputò l’acqua e il dentifricio, poi tornò a strofinarsi i denti con lo spazzolino. Il riflesso ricambiò lo stesso sguardo azzurro, indossava una molletta rosa per tirare su la frangia e tenere libero il viso. Si risciacquò, pronto per andare a dormire.
La serata era finita non appena erano riusciti a domare l’incendio e Shikaku aveva pagato i danni dei tavoli bruciati. Obito aveva fatto finta di niente, ripetendo quella scusa fino allo sfinimento. Fortunatamente erano tutti troppo ubriachi per farci davvero caso, tranne Kakashi e, a giudicare dallo scintillio divertito nel suo occhio, Obito doveva essersi appena scavato da solo la tomba. Se questo Kakashi era come il suo Kakashi-sensei, conoscendolo allora avrebbe stuzzicato questo lato di Obito ogni volta che poteva.
A quei pensieri fece uno sguardo malinconico. Era stato tutto così strano. Aveva sempre guardato questa generazione di Jōnin da lontano, come il bambino che era. Non aveva mai avuto modo di essere considerato un loro pari, molti di loro erano morti prima che diventasse a sua volta un jōnin, come Hayate, Inoichi e Shikaku. Gli tornarono in mente le espressioni amare di Shikamaru e Ino, le lacrime che avevano pianto ai funerali.
Non questa volta, si promise a se stesso.
Ripristinò il sorriso scherzoso che aveva fino a un secondo prima e uscì dal bagno, non aveva ancora smesso di prendere in giro Obito.
“Sei adorabilmente letale da geloso” corresse il tiro precedente.
La voglia di scherzare svanì quando entrò nella camera da letto, Obito si stava cambiando e indossando abiti scuri e più pratici.
“Stai uscendo?” chiese.
“ROOT non si spia da sola” rispose distaccato.
Gli strappò la maglietta che stava cercando di indossare e ignorò lo sguardo indispettito che ricevette.
“Non serve che spii ROOT ogni notte, lo sai. Non finché non possiamo fare nulla di concreto e al momento dobbiamo evitare di attirare qualsiasi sospetto. Non essere paranoico e vieni a dormire”.
Obito si risentiva ogni volta che lo chiamava paranoico o maniaco del controllo.
“Non ho bisogno di dormire” protestò.
“Sì invece. Sai da quanto non chiudi occhio?” Non attese che rispondesse. “Nove giorni”.
Non sembrò piacergli che avesse tenuto il conto.
“Sono stato mesi senza dormire” borbottò.
“Già, portandoti allo sfinimento. Hai ancora la stanchezza del viaggio da recuperare, sei stato ogni notte da quando siamo qui a controllare ROOT e oggi hai combattuto, so che hai sprecato energie. Devi recuperarle”.
“Non sono stanco” si impuntò e Nozomi pensò che tutto sommato fosse adorabile.
Gli rivolse uno sguardo indulgente, poi andò a stendersi sul letto dove si stiracchiò come un gatto.
“Dai, vieni a farmi compagnia”.
Anche con gli occhi chiusi poteva sentire lo sguardo di Obito che sfiorava il suo stomaco. Uno sbuffo e uno smottamento del materasso fese sogghignare Nozomi, aveva vinto ancora una volta.
Si accoccolò soddisfatto mentre Obito allungava le braccia per stringerlo contro di lui. Le loro gambe si intrecciarono e sentì il mento dell’altro piantarsi fra i suoi capelli.
“Credo che il piccolo Itachi sospetti di me” esordì all’improvviso.
Nozomi riaprì le palpebre e lo guardò con la coda dell’occhio. L’espressione dell’Uchiha era molto pensierosa e corrucciata.
“Perché dovrebbe?” domandò confuso.
Sapeva che Itachi aveva incontrato Obito sotto le spoglie di Madara a ridosso del massacro, ma ormai aveva cambiato quella parte della cronologia. Anche se non sapeva quando fosse avvenuto il primo incontro, erano ormai quasi due anni che lui e Obito viaggiavano insieme, non c’era modo che potessero essersi incontrati al Tempio Naka.
“Anni fa, non mi ricordo quanti, ho provato a uccidere il Daimyō del Fuoco. Avrei fatto in modo che la colpa ricadesse su Suna o un altro villaggio, così che si dichiarassero guerra e i villaggi si indebolissero abbastanza da permettermi di catturare i Bijū”.
Nozomi non riuscì a trattenere la smorfia. Rabbrividiva ogni volta che Obito esponeva i suoi piani passati in quel modo logico e calmo, come se non coinvolgessero dolore e morte.
“La squadra di Itachi era incaricata di scortarlo. Ho messo sotto genjutsu il suo sensei e ho ucciso un suo compagno, quando sono tornato a guardare Itachi aveva gli occhi rossi, probabilmente gli avevo appena fatto risvegliare lo sharingan. Non ho potuto fare altro, perché ho avvertito una squadra ANBU avvicinarsi e sono scomparso usando il kamui”.
Nozomi sfuggì delicatamente alla sua presa e si tirò a sedere, scrutò l’espressione sul volto di Obito. Non lo stava guardando, in realtà non sembrava nemmeno essersi reso conto che era scivolato dalla sua stretta. Sembrava troppo concentrato in quel ricordo, le pieghe della fronte che si mimetizzavano con le cicatrici.
“Ho usato la stessa katana di questa mattina. Lo sharingan appena risvegliato deve avergliela stampata nella memoria e l’ha riconosciuta, non c’è altra spiegazione” mormorò fra sé.
Soppesò attentamente questa nuova informazione. Voleva dirgli che non doveva preoccuparsi, che occorreva molto di più per avere un tale sospetto, del resto era sicuro che all’epoca indossava una maschera e un mantello che nascondeva il suo corpo.
Ma si trattava di Uchiha Itachi.
Era sempre stato troppo intelligente perfino per il suo stesso bene.
“Non usare il kamui con lui nei paraggi” suggerì.
Annuì. “Eviterò di teletrasportarmi. Spero solo non abbia visto la forma del mio Mangekyo”.
 “Faremo più attenzione, staremo attenti con lui. Non deve percepirci come una minaccia e se ne dimenticherà”.
Passò le dita tra i corti capelli neri, grattando la cute. Quella carezza fece sollevare lo sguardo di Obito, si alzò anche lui seduto e senza dire niente appoggiò le sue labbra su quelle di Nozomi.
Ricambiò il gesto prendendosi tutto il tempo che voleva, sollevò una mano a stringere la sua mascella, l’altra scivolata sulla sua nuca. Era bello toccare Obito, perché non si scostava mai, non odiava il contatto fisico. Anzi, lo cercava sempre, come se fossero due calamite. Proprio come Nozomi aveva la stesso desiderio di essere toccato. Per troppo tempo nessuno lo aveva mai sfiorato, in tutta la sua infanzia non aveva ricevuto un gesto d’affetto, il primo in assoluto era stato Iruka. Era stato il maestro dell’Accademia il primo ad abbracciarlo e da allora aveva sentito una forte dipendenza per qualsiasi tocco. Ma anche nel team 7 ne era stato privato, Sasuke e Kakashi non erano persone tattili e Sakura lo toccava solo brevemente, con discrezione; Jiraiya aveva un po’ colmato quel vuoto con gesti paterni, affettuosi, e lo stesso era successo più tardi nella sua adolescenza a Konoha, gesti affettuosi con Sakura, Kakashi e Shikamaru; pacche sulle spalle con Kiba e Lee, buffetti da parte di Tsunade e i continui abbracci paterni di Iruka. C’era stata poi la guerra, e i gesti di Sakura si erano fatti meno discreti e anche Sasuke aveva spesso cercato il conforto di un corpo. Era la guerra, era la disperazione di assicurarsi di essere vivo e avere ancora qualcuno vivo al proprio fianco, era paura di essere lasciati soli in una landa desolata.  
Ma il modo costante con cui Obito lo cercava, toccava, stringeva era stato del tutto nuovo, gli aveva fatto capire quanto fosse in realtà insaziabile. Non era paura di restare solo, era puro desiderio che bruciava e lo faceva avvampare.
Sospirò felice quando Obito si spostò dalle sue labbra per mordicchiare piano il mento, la gola e le clavicole. Sentì la lingua tracciare una linea umida lungo il suo petto fino al bacino. Capì perfettamente dove stesse andando quando le sue mani afferrarono i suoi boxer e li tirarono via.
Appoggiò la testa indietro.
“Ci sono le guardie ANBU a controllarci, ci vedranno” gli ricordò con poca convinzione.
Obito non diede segno di preoccuparsene, gli baciò l’interno coscia.
“Se non piace, non guardano”.

 

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Arrivato a questo punto l’ANBU si interruppe. Era dritto come un fuso davanti alla scrivania di Danzō, le braccia unite al busto e la testa alta. Indossava la maschera, perciò solo le orecchie arrossate segnalavano il suo disagio. Non che a Danzō importasse: le ombre della Radice non dovevano provare sentimenti, incluso l’imbarazzo per scene del genere.
Sotto lo sguardo impassibile del suo superiore, l’ANBU si sforzò di continuare il suo rapporto.
“Dopodiché, Uchiha Obito ha t-tirato fuori il pe…”
Danzō lo interruppe prontamente con un gesto della mano.
“Non ci interessano i dettagli di questo, vai a avanti”.
L’ANBU parve molto sollevato.
“Alla fine si sono lavati e si sono messi a dormire. Non ci sono state mosse sospette per tutte le ore che ho sorvegliato” garantì.
“E non sei in nessun modo riuscito a capire di cosa stessero parlando prima?”
Scosse la testa. “Sospetto che la casa sia protetta da un sigillo silenziante, non siamo riusciti a captare nessun rumore provenire dall’interno. Ma potrebbe essere anche per via della distanza, come ci ha ordinato ci siamo tenuti abbastanza lontani perché gli ANBU di Sandaime non ci percepissero”.
“Va bene così, puoi andare”.
L’ANBU ubbidì all’ordine, con un inchino shinshuned lontano dall’ufficio privato di Danzō. Rimasto solo, si alzò dalla scrivania e guardò la notte fuori dalla finestra. Continuava a pensare quello che il suo ANBU Hyūga aveva detto sullo strano chakra di Uzumaki Nozomi, il sospetto che avessero introdotto un Jinchūriki pronto a liberare una bestia codata per portare distruzione nel villaggio come otto anni fa era molto forte. Ma se anche fosse stato così, forse poteva usare quel vantaggio a loro favore. Se fosse riuscito a manipolarlo e farlo entrare nelle sue file sarebbe stato un’arma molto potente.
Paradossalmente, non era però l’Uzumaki a preoccuparlo, da quello che gli avevano riferito era un idiota, poteva raggirarlo facilmente. La sua principale preoccupazione era Uchiha Obito e per svariate ragioni. Prima di tutto lo incupiva che a Konoha si fosse introdotto un altro Uchiha con il Magekyo, che poteva partecipare al colpo di stato; c’era poi il modo sospettoso con cui Uchiha Itachi lo aveva guardato, anche se il suo piccolo corvo non aveva detto nulla era chiaro che sospettasse qualcosa e Danzō tendeva a fidarsi dell’istinto del suo piccolo corvo.
Strinse gli occhi al pensiero di quell’Uchiha che usava il Mokūton e combatteva come Uchiha Madara.

 

 

֎

 

Il gracchiare di un corvo lo svegliò e Itachi aprì immediatamente gli occhi nell’oscurità. Si alzò dal letto, trovando alla finestra un uccello da lisce e lucenti penne nere che beccava piano sul vetro. Itachi aprì la finestra e il corvo volò via, fermandosi a guardarlo sul rame dell’albero davanti a casa sua. Itachi sorrise: Shisui era tornato dalla missione, finalmente.
Facendo piano per non svegliare nessuno – soprattutto Sasuke nella stanza accanto – indossò abiti comodi al posto del pigiama e le sue calzature ninja. Aggiunse un set di armi alla cinta solo per essere sicuro di non ricevere attacchi inaspettati, non perché sperava in uno sparring con il cugino più grande, in fondo era appena tornato da una missione.
Saltò dalla finestra al ramo dove si trovava il corvo, bravissimo nel non fare rumore. Nessuna foglia si mosse, niente segnalò la sua presenza e per questo si concesse un sorriso soddisfatto. Grazie agli insegnamenti di Kakashi-senpai ormai era diventato bravissimo nella furtività.
Seguì il corvo che lo guidò lontano dal complesso di case, vicino ai campi di allenamento. Shisui era steso sul prato a guardare le stesse, apparentemente rilassato e ignaro di quello che lo circondava. Ma non sussultò quando cadde vicino, segno che lo aveva avvertito molto bene.
“Hai fatto tardi” disse a mo’ di saluto.
Shisui posò gli eleganti occhi su di lui. Erano grandi come quelli di un gufo, ma non altrettanto rotondi per via della forma allungata verso l’alto. Però le folte ciglia li rendevano dolci più che inquietanti.
“Sono tornato da ore, l’Hokage mi ha trattenuto” lamentò.
Nonostante Shisui avesse ben due anni e mezzo più di lui, Itachi trovava che la sua voce fosse ancora molto infantile. Ogni tanto tentennava, facendosi più stridula o più profonda senza motivo apparente.
“E dalla tua faccia corrucciata, immagino sia per lo stesso motivo” continuò.
Itachi sbatté le palpebre incredulo. “Non sto facendo nessuna faccia”.
“Oh, dai! Ormai ti conosco troppo bene. So distinguere faccia impassibile impassibile, da faccia impassibile felice, faccia impassibile triste, faccia impassibile preoccupata…” lasciò la frase in sospeso con una leggere risata. In quel momento Itachi aveva fatto un broncio davvero poco impassibile.
Si sedette sull’erba al suo fianco, era umida e fredda. Il cielo notturno era sulle loro teste pieno di stelle, illuminando d’argento lo spazio aperto.
“Che cosa voleva il Sandaime per tenerti così tanto?”
“Oh, sì” sembrò ricordarselo e si tirò a sedere a sua volta. Lo superava di alcun centimetri quindi rimase curvo con la schiena per fissarlo negli occhi. “Mi ha detto di Obito, che è ancora vivo! E anche del suo amico, ovviamente”.
Più che amico avrebbe detto amante, visto i pettegolezzi che avevano già iniziato a girare su loro due che si baciavano al centro di una strada… comunque, Itachi si concentrò sul tono familiare con cui aveva nomato l’Uchiha.
“Tu lo conoscevi?”
Itachi era troppo piccolo per ricordarlo, ma immaginava che in quell’età quasi tre anni di differenza facessero molto con la memoria. Infatti annuì.
“Non benissimo, era sempre in giro con la sua squadra, ma… era fantastico” disse con un sorriso. “Un po’ idiota”.
“Come si può essere idioti e fantastici?”
“Be’, il tipo di idiota fantastico” spiegò come fosse ovvio. “Era un po’ un disastro e correva sempre in ritardo da una parte all’altra, ma era gentilissimo con tutti. Una volta il mio kunai si era incastrato su un ramo troppo alto e io non sapevo ancora controllare il chakra e quindi non potevo arrampicarmi. L’ha fatto lui per me. Sì, è quasi scivolato, ma… è stato l’unico ad avermi aiutato a prenderlo. Gentile, appunto. E molto sorridente” terminò il suo ritratto con soddisfazione.
Itachi paragonò quella descrizione con il ragazzo aveva visto per brevi istanti al villaggio, con un espressione funesta e gli occhi arrabbiati, e poi allo shinobi che aveva tenuto testa a Kakashi-senpai.
“Siamo sicuri di parlare dello stesso Uchiha Obito?”
Shisui sbatté le palpebre perplesso e socchiuse la bocca. “Perché? Non ricordo omonimi”.
Sorvolò su quel commento e tornò al punto originale. “Quindi, oltre a dirti di Obito?”
“Be’, vuole che io lo sorvegli. Mi ha detto che ha un Mangekyo, quindi probabilmente al momento sono l’unico che può tenergli testa”.
Quell’affermazione gli fece scattare qualche campanellino nella testa, significava che il Sandaime aveva qualche motivo per non fidarsi di Obito. Forse il suo sospetto non era sbagliato.
“Perché te l’ha chiesto?” domandò deciso.
Il suo tono fece accigliare ulteriormente Shisui. “Immagino sia per… be’, lo sai”.
Il colpo di stato.
A quel pensiero entrambi tacquero, ricordandosi della spada che pendeva sulle loro teste. Ormai la rabbia degli Uchiha era diventata uno tsunami che temevano di riuscire più a trattenere, cresceva ogni giorno di più e, effettivamente, l’aggiunta di un altro Uchiha così potente non aiutava la situazione.
“A mio padre Obito non sta simpatico” disse Itachi, quasi questa fosse una consolazione.
“Sì, mi ricordo non andassero d’accordo” annuì Shisui distrattamente, ma poi posò gli acuti occhi su di lui scrutandolo a fondo. “’Tachi, va tutto bene? Mi sembri turbato”.
Non si stupì che avesse indovinato il suo umore, Shisui era il suo migliore amico, probabilmente la persona che lo conosceva meglio fra tutti, forse l’unico che lo conosceva davvero… Del resto solo lui sapeva del suo timido sogno di diventare Hokage. A volte faceva paura notare quanto lo capisse, come gli bastasse guardarlo nel viso per capire come si sentiva.
Strine i fili d’erba tra le dita, quasi strappandoli.
“Ti ricordi come ho risvegliato lo sharingan?”
Shisui annuì. “Il nukenin che ha attaccato la tua squadra”.
“Era un Uchiha”.
Ci fu un lungo silenzio alla sua ammissione, così lungo che si sentirono solo i grilli estivi e il ronzare di qualche altro insetto. Shisui lo stava guardando con gli occhi sbarrati, come un fantasma.
“Oh. Questo me lo sono dimenticato ed è strano perché è un dettaglio importante, insomma me lo sarei assolutamente dovuto ricordare…”
Itachi si sforzò di non alzare gli occhi al cielo, visto che sapeva di essere lui nella parte del torto.
“Non te l’ho detto” ammise.
Ora la smorfia di Shisui divenne ancora più ridicola, soprattutto molto offesa.
“Certo, perché è qualcosa su cui sorvolare! Insomma, a chi importa che il nukenin che voleva uccidere il nostro daymio fosse un Uchiha?!”
Strinse gli occhi per il rantolo acuto con cui terminò la frase, anche se non poteva dargli tutti i torti. Sapeva di aver omesso un’informazione importante, quasi fondamentale… Ma l’atteggiamento melodrammatico di Shisui a volte era un po’ troppo, perché non poteva reagire in modo calmo e basta?
“L’Hokage lo sa almeno?” domandò, anche se era evidentemente offeso all’idea di essere stato escluso.
Ecco.
“No”.
Si aspettava un’altra sfilza di commenti sarcastici e drammatici, ma forse qualcosa nel suo tono doveva aver fatto capire a Shisui che non era più il caso di scherzare.
“Perché no?” domandò quindi confuso.
Va bene, poteva accettare che non glielo avesse detto – forse –, ma tacerlo all’Hokage?
“Temevo… che le cose peggiorassero così per il clan” spiegò. “Quindi non l’ho detto. Ma quel nukenin aveva lo sharingan, l’ho visto”.
Shisui si mosse nervoso, sedendosi a gambe incrociate e pizzicandosi le braccia nude.
“È impossibile. L’ultimo e unico nukenin Uchiha è stato Uchiha Madara”.
“E Obito”.
“Cosa c’entra? Lui era morto!”
“Il fatto che non era davvero morto” gli fece notare.
“Cosa, tu… woah!” realizzò. “Tu stai dicendo che quel nukenin è Uchiha Obito?”
Non annuì, si limitò a fissarlo mortalmente serio. Era tutta la notte che ci pensava, da quando aveva assistito allo scontro.
“Oggi, durante lo sparrig ha usato una katana. La stessa katana che aveva anche quel nukenin”.
Anche Shisui si rendeva conto che non poteva essere una semplice coincidenza e contrasse lo sguardo, combattuto.
“È impossibile, Obito non lo farebbe mai. Aiutava le vecchiette a portare la borsa della spesa, non è un assassino”.
“È un ninja, è un assassino” gli fece notare impassibile. “E credo che sia cambiato molto rispetto a un tempo. Mio padre non ne ha parlato, ma si capisce”.
Shisui si alzò cominciando a camminare in cerchio sul campo di allenamento. Portò perfino le mani tra i capelli ricci, arruffandoli ancor di più. A Itachi piacevano i capelli del cugino, era morbidi e soffici, diversi da quelli di qualsiasi altro membro del clan. Tutti dicevano che li aveva ereditati da suo nonno Kagami.
“Quindi se è vero, noi abbiamo accolto tra le nostre file il potenziale assassino del nostro Signore” disse alla fine con voce stridula. “Mentre il nostro Clan sta progettando un colpo di stato. Ottimo! Proprio quello di cui avevamo bisogno: altri problemi”.
Itachi condivideva la sua preoccupazione, anche se con meno sarcasmo. Strappò alcuni fili d’erba, incapace di tenere le mani ferme.
“Devo dirlo? All’Hokage?”
“E ammettere quell’omissione?” rincarò Shisui, incrociò le braccia. “Siamo gli unici Uchiha di cui si fidano, se confessi di aver taciuto su una cosa del genere non si fideranno più. Forse l’Hokage, ma non quelle vipere dei consiglieri…”
Itachi si risentì un po’ al tono sprezzante. “Danzō-sama si fiderebbe. Conosce il mio valore e non mi getterebbe via per così poco”.
“Danzō dovrebbe levare il suo brutto muso dalla vista” disse con rabbia e lo indispettì ancor di più. Itachi non capiva perché improvvisamente Shisui fosse diventato così critico nei confronti del vecchio consigliere, era passato dal rispettarlo a odiarlo in pochissimo tempo.
“Serve Konoha e i suoi consigli sono preziosi, se non ci fosse lui…”
“Staremmo meglio” garantì Shisui con decisione.
Sbuffò. “Perché improvvisamente lo odi così?”
L’altro ragazzo non rispose, lo guardò a lungo come se fosse incerto e combattuto, soprattutto molto spaventato. Alla fine si strinse le braccia al petto e scosse la testa.
“Lascia stare. Sei tanto intelligente, ma certe cose non le capisci ancora…”
Itachi avvampò di vergogna, non c’erano nulla che non potesse capire e odiava che proprio Shisui in quel momento lo sottovalutasse. Ma prima che potesse protestare, l’amico fece un passo indietro.
“Senti, è tardissimo e tu stavi sicuramente dormendo. Mi dispiace di averti svegliato, meglio se torni a casa”.
“No, adesso mi dici cosa intendi” pretese.
Shisui lo guardò stancamente, ma ciò che lo confuse fu la piccola paura che ancora vedeva nel fondo dei suoi occhi.
“Non è niente di importante” lo rassicurò. “L’ho detto solo perché non sapevo come controbattere, lascia stare”.
Non ne era per nulla convinto, Shisui da un po’ era troppo strano, come se ci fosse qualcosa che lo turbava… ma anche quella volta pensò che si trattasse del colpo di stato, in fondo stava investendo tutte le loro energie.
“Ci vediamo domani?” chiese quindi come ramoscello di pace.
Shisui sorrise, visibilmente sollevato. “Ovviamente, così sarò abbastanza riposato da dare risposte sensate” sorrise.
Itachi ricambiò il sorriso, anche lui più sereno. Litigare con Shisui era l’ultima cosa che voleva, senza di lui sarebbe stato sicuramente perso. Certo aveva Sasuke, ma suo fratello era un bambino… Shisui era Shisui, colui con cui poteva parlare di tutto senza timore.
“Solito posto?” domandò il cugino.                       
Annuì. “Mi mandi tu il corvo?”
“Ovviamente”.
Allargò il sorriso rinfrescato dalla complicità che stava provando e ogni titubanza che aveva provato prima sparì quando, scherzosamente, Shisui fece battere i loro pugni. Era bello avere qualcuno con cui affrontare tutto il resto.
 
 
 
 
Weee, non troppo tardi questa volta!
Spero che questo capitolo un po’ più slice of life vi sia piaciuto ^^ Hanno fatto la loro apparizione personaggi che avranno qualche ruolo nella trama, Kakashi e Obito sono riusciti a parlare senza uccidersi e Anko si è mostrata interessata alle capacità di Nozomi, ovviamente perché spera possa levarle il sigillo maledetto. E poi c’è Danzo, perché i malvagi non vanno mai a dormire xD
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni!
Hatta

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Capitolo 11
*** Esplosioni di glitter come inviti a cena ***


Capitolo 10
Esplosioni di glitter come inviti a cena
 
 
«So show me family
All the blood that I will bleed.»
(The Lumineers – Oh Hey)
 
Forse la notte prima Nozomi aveva avuto ragione: Obito doveva recuperare le energie.
Quando la mattina dopo si svegliò era un’ora molto tarda, il sole illuminava l’intera stanza da notte ed era solo sul letto sfatto. Si passò una mano a stropicciarsi il viso, poi si alzò per raggiungere l’altro al piano di sotto; non pensò di vestirsi, in realtà provava un sadico piacere nel mettere in difficoltà gli ANBU che dovevano spiarli. Visto che invadevano la loro privacy dovevano sopportarne le conseguenza.
Peccato che gli ANBU non fossero gli unici a invadere la loro privacy.
Si bloccò davanti all’entrata della cucina, sorpreso di vedere Kakashi seduto al loro dannato tavolo intento a bere un caffè. Caffè che sputò non appena lo vide fare la sua gloriosa e nuda entrata.
“Non è qualcosa che voglio vedere di prima mattina” tossicchiò.
“Nemmeno io. La tua faccia” precisò Obito contrariato.
Nozomi al cucinino si lanciò uno sguardo alle spalle e gli occhi brillarono di divertimento nel capire la situazione.
“Dai, vai a vestirti”.
Obito brontolò ma fece come gli veniva detto e cercò un paio di pantaloni da indossare.
“Che cosa ci fai qui, Bakakashi?” volle sapere.
Quello non rispose, socchiuse solo l’occhio visibile e alzò gli zigomi a dimostrare che sotto la maschera stava sorridendo.
“Felice di vedermi?”
“No”.
Obito fece il giro della tavola raggiungendo Nozomi al piano della cucina, notò quello che stava facendo e gli tolse la confezione da scongelare nel microonde prima che si avvelenasse.
“Non stai avendo ramen la mattina” lo avvisò.
Nozomi tentò di riavere la confezione da scongelare.
“Ho fatto colazione per anni con il ramen istantaneo!”
“E infatti guarda come sei cresciuto”.
“Sexy e irresistibile?” domandò mettendosi in posa.
“Stavo per dire basso e idiota”. Ridacchiò all’espressione offesa, gli pizzicò una guancia. “Vai a sederti, ci penso io”.
Nozomi andò a sedersi imbronciato. “Non riuscirai a impedirmi di mangiare ramen per sempre” lo minacciò.
Obito preferì ignorarlo mentre metteva la confezione di ramen istantaneo al suo legittimo posto – la spazzatura – e cominciò a prendere ingredienti per una colazione più sana.
“Sai, non ti facevo tanto uomo di casa” commentò Kakashi.
“Taci” lo seccò Obito.
Quando si girò aveva due piatti e Kakashi si sorprese di vedere uno di essi essere messo davanti a lui.
“Per me? Ti lamenti della mia faccia qui e poi mi fai la colazione?” punzecchiò per nascondere l’incredulità.
“Magari è avvelenato” propose lugubre.
“So che non lo è”.
“Non tentarmi”.
Nozomi ridacchiò a quell’interazione. Aveva già le guance piene per tutto il cibo che si era ficcato in bocca e i suoi occhi azzurri brillavano vispi.
“Smettila di fare lo tsundere” lo riprese certo di infastidire ancor di più Obito.
Kakashi approfittò di quel momento in cui entrambi erano distratti per portarsi le bacchette alla bocca, rimise veloce la maschera al suo posto un secondo prima che tornassero a guardarlo. Rise internamente all’espressione delusa di entrambi, a quanto pare Obito era ancora deciso a scoprire come fosse il suo viso sotto la maschera.
“Tu non mangi?” chiese spensierato.
“Non ho bisogno di mangiare” rispose Obito con tono monotono. “Né di bere, andare in bagno o dormire spesso. Sono le cellule di Hashirama” snocciolò come se fosse una risposta che aveva dato troppo spesso.
Kakashi lo guardò sorpreso, preso in contropiede. Quella scoperta gli provocò uno strano malessere, forse perché si rese conto di quanto il corpo di Obito fosse cambiato; era già ovvio dalla sua capacità di guarire quasi istantanea, ma era una capacità che spesso esisteva in certe linee di sangue, ma non aver bisogno di mangiare o bere? Era una cosa inumana.
Nozomi aveva già spazzolato tutto dal suo piatto e si stiracchiò con un verso di soddisfazione.
“Comunque, come mai sei qui?” domandò verso Kakashi. “Non ce l’hai ancora detto”.
“Oh, giusto” sembrò realizzare il jōnin, ma con un tono troppo finto, era palese che avesse nascosto volontariamente il motivo del suo arrivo lì quella mattina. “Hokage-sama mi ha mandato per dirvi che vuole incontrarvi. Per decidere i turni delle pattuglie al villaggio”.
“D’accordo, quando dobbiamo andare?”
Kakashi guardò l’orologio pensieroso. “Dunque, l’incontro… era un’ora e mezza fa”.
Nozomi annuì. “Allora vediamo di prepara… cosa?!” sbottò realizzando che cosa aveva detto.
Obito scattò in piedi. “Perché ce lo dici solo ora?!”
“Siamo in ritardo!”
Kakashi li guardò pacifico mentre si agitavano per cercare vestiti e rendersi presentabili.
“È solo che quando sono arrivato eravate così carini, ancora addormentati… E poi Nozomi si è offerto di farmi il caffè, tu mi hai fatto la colazione…”
Obito sembrò pronto a scagliarsi al suo collo e colpirlo con il piatto della suddetta colazione, Nozomi riuscì a bloccarlo in tempo. L’Uchiha aveva lo sharingan attivo.
“Tu non sei Kakashi!” strillò accusatorio. “Che ne hai fatto? Dov’è il vero Kakashi?”
“Suvvia, non ti sembra di esagerare…”
“Lo hai fatto apposta!” ruggì liberandosi dalla presa di Nozomi.
L’intera agitazione allarmò gli ANBU di guardia, che intervennero all’interno della casa pronti al combattimento. Ma alla vista di uno dei loro jōnin d’elite intento a difendersi da un Uchiha mezzo nudo e un Uzumaki che tentava di salvare la cucina… be’, non seppero esattamente che cosa fare.
 
֎
 
Prima che se ne rendessero conto, scivolarono in una routine. Le prime settimane a Konoha passarono veloci, troppo, quasi dando la sensazione che non ci fosse abbastanza tempo per fare tutto.
L’Hokage non aveva perso tempo e li aveva inseriti in tutti i turni, non solo di sorveglianza al cancello ma anche alla scrivania per questioni burocratiche come la consegna delle missioni e dei rapporti. Inoltre, Kakashi trovava sempre un modo per imbucarsi con loro e se Obito dopo l’iniziale straniamento di vedere Bakakashi non essere il solito misantropo si era abituato, non si era abituato invece alla conseguenza della presenza costante di Kakashi: Gai.
Oh dei.
Crescendo una persona dovrebbe perdere il proprio costante entusiasmo, diventare più seria e conscia di ciò che è socialmente accettato o meno – e per chiarire: quella tuta aderente verde non è socialmente accettata! – ma Gai sembrava essere lo stesso genin che interrompeva gli allenamenti del Team Minato per sfidare il suo acerrimo rivale. Il che portava a un altro cambiamento: Kakashi accettava le sfide.
Certo, alla fine dei conti Obito aveva potuto costatare che il vecchio compagno di squadra in fondo era restato lo stesso, era ancora molto restio al contatto con altri e i suoi atteggiamenti eccentrici servivano proprio per allontanare le persone. Nonostante ciò, c’erano piccoli e significativi cambiamenti (come appunto l’accettare le sfide di Gai), che Obito non si sarebbe mai aspettato, che lo portavano a vedere Kakashi come una sorta di alieno.
Comunque, Kakashi non era l’unica persona che si intrometteva costantemente nelle loro vite. Obito stava sviluppano una sorta di repulsione per Anko. La kunoichi sembrava divertirsi proprio nello stuzzicarlo e non perdeva occasione per farlo stando troppo vicino a Nozomi. C’era poi Shikaku, che più di una sera li aveva invitati a casa sua a cena e li aveva sfidati a scacchi. Nozomi gli aveva confidato che probabilmente stava cercando di capire che tipo di persona fosse da come muoveva le pedine e dalle sue strategie. Quella spiegazione lo lasciava molto scettico, lo shogi era un gioco con regole precise e non capiva come potesse discernere il carattere di una persona dal seguire regole. Gli scacchi possono essere prevedibili, le persone no e Nozomi lo dimostrava fin troppo bene.
Anche il resto dei Jōnin di Konoha presero l’abitudine di frequentarli e Obito sapeva che il colpevole era proprio Nozomi. Il compagno era una tale farfalla sociale da essere capace di attirare tutti nella sua zona di influenza e riuscire a essere apprezzato da tutti. Era ormai ovvio che Nozomi fosse entrato nelle benevolenze degli shinobi della foglia, tant’è che lo consideravano già un loro pari.
Obito non se ne dispiaceva, tutt’altro. Innanzitutto era evidente quanto quel riconoscimento, quel passare tempo con altre persone, rendesse felice Nozomi; ma la conseguenza davvero importante era che in questo modo entrambi non erano più visti con diffidenza. Certo, c’erano ancora le ombre a sorvegliarli, sia quelle dell’Hokage che quelle di ROOT, ma si mantenevano a una discreta distanza di sicurezza. Non erano loro il problema.
Il problema era che qualcuno nel villaggio stava tentando di sabotarli.
I campanelli d’allarme avevano cominciato a suonare quando Obito aveva evitato la prima trappola. Era un lavoro ben congegnato, un meccanismo che sarebbe esploso nel momento esatto in cui avrebbe attraversato un portico specifico. Troppo specifico perché fosse stato messo lì a caso, il suo ideatore doveva sapere bene che Obito percorreva quel passaggio specifico quando tornava dalla spesa di verdure. Qualcuno lo aveva osservato, studiato per creare una trappola particolare per lui.
Sul momento si impensierì troppo per provare a farla scattare con una finta e vedere cosa succedeva, la consapevolezza che qualcuno avesse ideato una trappola così ben riuscita solo per lui lo turbò. A quanto pare c’erano ancora dei nemici nel villaggio. Quindi si teletrasportò direttamente davanti all’entrata del composto Namikaze1 deciso a non dire ancora nulla a Nozomi. Prima avrebbe indagato sulla faccenda.
Cosa che fece.
I suoi occhi vigili individuarono altre trappole create specificatamente a sue spese, sempre più infime e difficili da notare. Riusciva a vederle solo perché le cercava, perché sapeva ci potevano essere. Era un lavoro così ben fatto che perfino un jōnin si sarebbe trovato in difficoltà. Continuò a evitarle e il suo inseguitore continuò a crearle.
Poi un giorno vide Nozomi evitare con nonchalance una di queste sulla sua strada, il cambio di direzione era stato troppo brusco perché frutto del caso. Nozomi aveva visto la trappola e senza preoccuparsene l’aveva evitata. Quindi l’inseguitore aveva preso di mira non solo Obito, ma anche il suo compagno.
Avevano un nemico.
Deciso a scoprire chi fosse ideò una strategia. Si nascose e con un kage buhin fece scattare una delle trappole e rimase sconvolto nel vedere che si trattava di una valanga di glitter appiccicosi e crema colorante istantanea per capelli. Chi al mondo faceva trappole del genere? Lo scoprì un secondo dopo che fece disperdere il kage bushin, quando il loro inseguitore finalmente si presentò nel luogo del delitto, sicuro di aver preso la sua preda.
Il bambino biondo e vestito di arancione rimase molto deluso nel vedere che i suoi glitter non si erano appiccicati su nessuno e che non c’era nessuno ad avere i capelli di un improponibile verde erba. Obito osservò dal suo nascondiglio il bambino fare il giro dell’albero in cerca della sua preda per poi urlare di frustrazione davanti all’ennesimo buco nell’acqua.
Obito non poté trattenere un sorriso confuso mentre si ritirava. Il loro inseguitore era Uzumaki Naruto.
Che diavolo?
 
Naruto non si perse d’animo e, nonostante i continui fallimenti, continuò a tendere loro trappole. Obito ormai cominciava a esserne infastidito, soprattutto perché non capiva perché diavolo il bambino lo facesse e si impegnasse così tanto nel farlo!
La sua pazienza infine si esaurì del tutto, precisamente quando vide una delle suddette trappole esplodergli in faccia. Troppo impegnato a scappare da Anko non aveva quasi visto la trappola impostata nel vicolo ed era riuscito a schivare solo un secondo prima che tutto esplodesse colorando l’intera zona – e Obito– di un arancione brillante e indecente.
Furioso ed esasperato da tutto quello, si teletrasportò al composto, direttamente davanti a Nozomi.
“Che cosa stai cercando di fare?!” sbraitò.
Nozomi lo guardò confuso, poco impressionato dai suoi vestiti arancione sgargiante, ma preoccupato per l’espressione omicida.
“Uhm… studio il sigillo maledetto di Anko?” offrì mostrando il rotolo che aveva davanti.
“Non tu tu!” sbottò levandosi i vestiti incriminati con gesti bruschi ed esasperati. “Il mini te! Il chibi-Naruto!”
“Ah! Oh…” guardò la veste a terra, le macchie di arancione simili a esplosioni di vernice e i suoi neuroni cominciarono a fare gli ovvi collegamenti. “È stato lui a farlo?” rise sotto i baffi.
Obito lo incenerì.
“Sono giorni che ci perseguita con queste… trappole, questi…”
“Scherzi” offrì in suggerimento.
Fece un verso stizzito con la mano.
“Quel che è!” concluse. “Perché? E più passa il tempo più diventa agguerrito!”
Nozomi gli rivolse un sorriso imbarazzato e finse di tornare a concentrarsi sui suoi appunti.
“No, sta solo… cercando di attirare la nostra attenzione” spiegò.
Obito inarcò un sopracciglio. “Elabora”.
“Immagino sia frustrato dal nostro ignorarlo… probabilmente il Sandaime non gli ha spiegato la situazione. Fare scherzi è sempre stato l’unico modo che avevo per essere riconosciuto dagli altri, anche se era solo per essere sgridato o deriso…”
Lasciò la frase in sospeso, senza aggiungere altro. Obito rimase a fissarlo, cercando di capirne la logica.
Meglio essere sgridato che ignorato.
Strinse gli occhi, perché capiva il terrore di non essere riconosciuto dagli altri, l’essere ignorato dal resto del clan era la norma nella sua infanzia e come il piccolo Naruto anche lui aveva fatto tutto il possibile per essere riconosciuto dagli altri.
Ma non attentando la loro vita!
Sua nonna gli aveva insegnato che le persone gentili sono sempre quelle più apprezzate, quindi aveva sempre fatto piccole gentilezze per chiunque – come portare la spesa delle nonnine – e almeno in parte aveva funzionato. Il comportamento che aveva il piccolo Naruto, visto il suo fine di riconoscimento, era inutile e dannoso, perché in quel modo si auto-sabotava: quegli scherzi lo rendevano solo più odioso agli occhi del Villaggio.
“Comunque, ho già vendicato il tuo onore”.
Nozomi aveva rialzato gli occhi brillanti dal rotolo ed erano puntati beffardi sulle macchie di arancione che aveva tra i capelli. Sembrava che faticasse dal trattenersi dallo scoppiare a ridere.
“Uh?” grugnì infastidito dell’ilarità a sue spese.
“Diciamo che quando tornerà a casa, troverà una piccola sorpresa…”
 
֎
 
Naruto non ricordava l’ultima volta che si era sentito così soddisfatto. Finalmente dopo giorni di buchi nell’acqua era riuscito a colpire il ninja con le cicatrici che accompagnava suo zio!
Ed è stato fantastico, dattebayo.
Cercare di prendere suo zio negli scherzi era stato impossibile, li evitava con una tale nonchalance da sembrare conoscesse in anticipo la minaccia. Anche il ninja con le cicatrici – Naruto non ricordava quale fosse il suo nome – era stato subdolo e perciò Naruto aveva dovuto essere ancora più subdolo.
Alla fine aveva vinto lui e il risultato era stato impagabile, insieme all’espressione sconvolta e furiosa dell’adulto.
Felice per la riuscita del suo piano tornò a casa saltellando, riuscendo per una volta a non vedere gli sguardi rancorosi dei civili che si scansavano al suo passaggio. Tutti dicevano che era un incapace, ma come potevano considerarlo tale se riusciva a intrappolare quei ninja fortissimi?
Sono il migliore, il futuro Hokage!
Con quei pensieri soddisfatti aprì la porta del suo bilocale e…
Soffocò in un’improvvisa cascata di glitter.
“Dattebayo!” gridò mentre la valanga glitterata rischiava di soffocarlo e con un salto scappò all’interno del soggiorno, ma ormai il danno era fatto: ogni centimetro del suo corpo era occupato da brillantini di tutti i colori, era come un’enorme palla da discoteca.
Sbalordito e confuso da quello che era appena successo, guardò la montagnola di glitter che si erano accumulati davanti alla porta; sopra di essi era appoggiato un biglietto, caduto per ultimo.
Chi la fa l’aspetti, recitava e Naruto, invece di arrabbiarsi e infuriarsi, sorrise a trentadue denti.
Non c’erano dubbi su chi fosse l’ideatore dello scherzo, si trattava o di suo zio o del suo amico, che si erano vendicati dei suoi. E lo avevano fatto in un modo fantastico! Invece di riportare a Jiji le sue malefatte avevano partecipato al suo stesso gioco con un’idea grandiosa, chissà se poteva riciclarla in qualche modo...
Si rialzò sempre sorridendo, tentò di passare le mani sui suoi vestiti ma i glitter ormai erano tutti appiccicati, per toglierli avrebbe dovuto fare una doccia.
Be’, poco male.
Del resto quello era un chiaro invito a cena da loro e lui non poteva presentarsi sporco.
 
Qualche tempo dopo, stava di nuovo camminando per le vie del Villaggio. Sapeva dove abitava suo zio, più di una volta lo aveva seguito di nascosto ed era rimasto dapprima estasiato di vedere quanto grande fosse la casa, poi si era infuriato alla realizzazione che non lo avevano invitato a stare da loro nonostante tutto lo spazio che ci fosse. Si era arrabbiato all’idea che lo stessero ignorando senza un motivo, ma alla fine avevano dimostrato che non lo stavano davvero ignorando quindi non era più arrabbiato.
Nonostante la doccia non era riuscito a levarsi tutti i glitter, ma non gli importava davvero, con il tempo sarebbero andati via. Insomma, niente poteva rovinare il suo buon umore.
Ma quando imboccò il vialetto che portava al giardino della casa di suo zio, due figure atterrarono dai tetti bloccandogli la strada. Naruto li riconobbe subito, erano quei ninja strani con le maschere che a volte Jiji gli sguinzagliava dietro.
Li guardò contrariato mentre si mettevano in un modo che gli avrebbe impedito di proseguire.
“Naruto-kun” disse quello con la maschera di un cervo. “Hokage-sama desidererebbe cenare con te alla Torre dell’Hokage, ci ha mandato a chiamarci”.
L’espressione contrariata di Naruto si accentuò. La verità è che quella non era la prima volta che tentava di raggiungere la casa di suo zio, o suo zio in generale. Fin da subito aveva tentato di andare da lui, ma ogni volta che ci provava c’era sempre qualcuno che lo bloccava, principalmente proprio quei ninja strani, che ogni volta gli dicevano che Jiji lo voleva vedere.
Era un complotto. Naruto non era stupido come tutti credevano, capiva le cose e capiva che lo stavano facendo apposta a impedirgli di incontrare suo zio. Forse era anche lo stesso motivo per cui suo zio non era mai andato a cercarlo.
Decise che questa volta non avrebbe fatto il bravo bambino ubbidendo. Aveva un obiettivo e quando si metteva in testa qualcosa nessuno poteva fargli cambiare idea, Iruka-sensei lo chiamava dannato testardo per un motivo!
Quindi fece la cosa più ovvia: tirò fuori la lingua per fargli una smorfia e poi corse via, verso una scorciatoia che conosceva solo lui.
I ninja dell’Hokage non reagirono subito, sorpresi di vederlo disubbidire quando almeno al Sandaime obbediva sempre, e iniziarono a inseguirlo con qualche secondo di ritardo. Ormai Naruto era già riuscito a raggirarli ed entrare nel giardino. Corse verso la strada, ma quando ormai credeva di aver vinto un muro di terra crebbe davanti a lui impedendo la sua corsa.
“Ma no, dattebayo!” si lagnò. “La magia ninja non vale!”
Si guardò intorno con un groppo in gola, per nulla intenzionato a lasciare che finisse così, anche se gli ANBU ormai lo avevano raggiunto.
“Non voglio cenare con Jiji!” gridò stringendo i pugni.
“Sono gli ordini dell’Hokage”.
Gli fece un’altra smorfia, poi scattò per raggirare l’ostacolo e raggiungere finalmente la sua meta. Gli ANBU gli furono subito addosso e lo stavano per catturare, quando delle radici esplosero dal terreno costringendo i ninja a deviare per non finire infilzati. Naruto guardò con meraviglia quelle radici creare una barriera tra lui e i ninja, ma purtroppo il tremore del terreno esplose gli fece perdere l’equilibrio. Lanciò un gridolino mentre cadeva e chiuse gli occhi, ma non sbatté mai sul suolo. Qualcuno lo prese al volo e quando riaprì gli occhi si ritrovò stretto tra le braccia di suo zio in persona. Arrossì furiosamente nel realizzare la stretta, il fatto che lo stesse tenendo forte contro di lui. Era la prima volta che qualcuno lo abbracciava…
Gli occhi di Nozomi erano seri, attenti e simili al ghiaccio mentre guardava le guardie ANBU in allerta dietro le radici. Naruto spiò dietro la spalla dello zio, vedendo che anche lo shinobi con il viso sfregiato era uscito dalla casa, ma restava a una distanza di sicurezza pronto a intervenire in caso di bisogno.
“Potete spiegarmi” iniziò lentamente Nozomi, “perché state inseguendo mio nipote attaccandolo nella mia proprietà?” ringhiò.
Naruto sentì la pancia svolazzare al pronome possessivo nei suoi confronti. Senza genitori o parenti di qualsiasi tipo non aveva mai avuto nessuno che lo considerasse suo, era bello.
“Uzumaki-san” disse con rispetto uno degli shinobi inquietanti. “Sandaime-sama ha richiesto la presenza di Naruto-kun nel suo ufficio, ma lui non sta collaborando. Stiamo eseguendo i suoi ordini”.
Naruto si infuriò, perché quella spiegazione lo faceva sembrare colpevole come sempre quando questa volta lui non c’entrava niente.
“Non voglio cenare con Jiji!” gridò quindi. “Voglio cenare con mio zio! E lo so che volete tenermi lontano da lui, dattebayo! Non sono stupido! Lasciatemi in pace!”
Le sue furono parole al vento, gli ANBU lo ignorarono completamente.
“Uzumaki-san…” avvertirono.
Naruto cominciò a preoccuparsi, suo zio non stava dicendo niente. Almeno continuava a tenerlo stretto, sperò che non lo lasciasse andare e che mandasse via quei ninja antipatici. Ma prima che suo zio potesse prendere una decisione, l’altro ninja che lo accompagnavo si teletrasportò dal nulla davanti agli ANBU. Li guardò negli occhi senza dire niente, poi quelli si irrigidirono e se ne andarono. Naruto li guardò allontanarsi stupefatto.
“Li ho messi sotto genjutsu” spiegò lo shinobi con le cicatrici, mentre faceva ritrarre anche le radici che aveva evocato.
Il petto di suo zio tremò per una risata.  “Potevamo parlarci”.
“Sì, be’, non avevo voglia” fece spallucce. “Quindi devo fare la cena anche al moccioso” considerò un po’ seccato.
Naruto lo guardò con gli occhi sgranati mentre rientrava a casa, aveva abiti scuri e camminava dolente, come se non avesse appena cacciato quei ninja inquietanti con uno solo sguardo.
Wow, che figo, pensò.
 
 
La casa di suo zio era enorme. Ma davvero, davvero enorme! Si chiese che cosa se ne facessero di tutto quello spazio.
Non riuscì a trattenersi e appena fu libero si mise a sgambettare per tutte le stanze, curioso della nuova esplorazione. Per questo motivo non gli dispiacque più di tanto quando suo zio smise di tenerlo in braccio. C’erano così tante stanze che non sapeva a cosa servivano la metà di esse ed era tutto molto spazioso, non come nel suo appartamento.
Nozomi lasciò che il bambino esplorasse il posto e si avvicinò a Obito, già ai fornelli.
“Sai che questo ci metterà nei guai, vero?”
Obito scrollò le spalle, poco impressionato.
“Se l’Hokage avrà qualcosa da ridire ce lo farà sapere. Non è come se lo avessimo rapito o altro, il moccioso sta solo cenando con noi”.
“Hai messo i suoi ANBU sotto genjutsu”.
Obito non rispose, limitandosi a ghignare soddisfatto.
“Mi piace essere pratico”.
“Avremmo potuto parlarci, trovare un compromesso”.
“Be’, avremmo potuto. Ma sarebbe stato più lungo e faticoso, probabilmente fallimentare. Così abbiamo risolto prima”.
Nozomi andò a sedersi sul tavolo e incrociò le braccia, sprofondando la testa fra esse.
“Quante volte dovrò ripetere che bisogna fare le cose giuste, non più facili?”
“Andiamo! Lo so che volevi restasse, non lo avrebbero mai permesso”.
Aprì la bocca per protestare, ma lo scalpiccio leggero dei passi di un bambino anticipò l’entrata di Naruto nella cucina.
“Che cosa si mangia?” domandò con un sorriso enorme. Lui non sembrava per nulla scosso di aver disobbedito all’Hokage, ma non ne era poi così stupito.
“Ramen!” rispose subito Nozomi.
Gli occhi di Naruto si illuminarono e Obito gli tese contro il mestolo, in segno di minaccia.
“Lo abbiamo mangiato anche ieri!”
“Ma ieri non c’era Naruto con noi” ragionò Nozomi.
Il bambino, che si dimostrò più sveglio del previsto, capì subito chi aveva il potere lì, o per meglio dire chi avrebbe cucinato. Quindi si voltò nella direzione di Obito, gli occhi sgranati e il labbro sporgente. L’Uchiha aveva già separatamente difficoltà a dire di no a Nozomi e ai bambini in generale, davanti a quella versione chibi di Nozomi era impossibile resistere. Provò a tenere il punto, ma durò solo qualche secondo. Dovette distogliere lo sguardo e borbottò che immaginava fosse giusto. Non vide i due Uzumaki farsi il segno di vittoria.
Naruto arrossì a quel gesto e si sentì in impaccio, perché non aveva mai avuto nessuno con cui essere complice. Anche nei suoi scherzi era sempre solo, non c’era mai nessuno con cui condividerli. Nozomi era suo zio… ma si chiese se potesse essere anche suo amico, sarebbe stato grandioso.
“Almeno degnatevi di preparare la tavola, disgraziati!” gridò Obito dai fornelli, facendo sussultare il bambino.
Nozomi lo notò e ridacchiò. Gli fece cenno, mostrando dove tenevano la tovaglia e le bacchette.
“Non fare caso ai modi di Obito. Gli piace fare il burbero, ma è un tenerone” gli sussurrò.
Naruto annuì, registrando il nome dell’uomo. Dietro alle vesti aveva lo stesso simbolo che aveva visto anche sulle magliette di Sasuke, era il simbolo del clan Uchiha, quindi doveva essere un parente di Sasuke.
“Secondo me è figo” ammise, ricordando non solo lo scontro epico a cui aveva assistito, ma anche come lo aveva difeso con quei civili cattivi. Per non parlare di poco prima, di come era riuscito a sbarazzarsi di quei ninja inquietanti solo con uno sguardo!
Super-mega-figo!
“Anche io diventerò così forte” disse.
Nozomi gli sorrise, poi calò la mano sulla sua testa, spazzolandogli i capelli.
“Lo scommetto”.
Si immobilizzò al contatto, il cuore che batté furioso nelle orecchie mentre un calore sconosciuto si irradiava dalla testa per tutto il suo corpo. Quando tolse la mano desiderò che rimanesse, che continuasse a spettinargli i capelli in quel gesto che aveva visto molti adulti fare su altri bambini, ma mai a lui.
Si appiccicò a Nozomi, letteralmente, premendosi contro il suo fianco e afferrando il bordo della sua maglietta. Voleva stargli vicino, voleva che lo abbracciasse, voleva tanto sapere come ci si sentisse ad avere qualcuno ad abbracciarti.
“Quindi ti piace il ramen?” domandò Nozomi.
Alzò il viso verso di lui e annuì con forza.
“È la cosa che mi piace di più in assoluto, dattebayo!” garantì allargando ancor di più il sorriso.
“Ottimo, lo adoro anch’io. Così avrò un alleato contro Obito” aggiunse alzando il tono della voce.
“Niente ramen per più di tre volte a settimana!” gridò quello in rimando. “Fa male!”
Naruto sgranò gli occhi. “Solo tre volte a settimana?” gracchiò. “Ma è…”
“Illegale, lo so” roteò gli occhi Nozomi.
“Il mio ramen preferito è quello di Ichiraku” spiegò il bambino. “Potresti mangiare quello di nascosto… con me” offrì.
L’adulto scoppiò a ridere e per un momento sperò che passasse ancora la mano sui suoi capelli. Invece si limitò a distribuire i bicchieri sulla tavola.
“Sicuro, e grazie per l’informazione. Ne farò tesoro”.
“Che bello, finalmente qualcuno che apprezza il ramen come merita, dattebayo!” gioì.
“Credo sia nel sangue degli Uzumaki apprezzare il ramen”.
A quella frase, Naruto tacque di colpo. Si morse le labbra, un po’ incerto sul porre la domanda. Il fatto è che c’erano così tante cose che voleva sapere, soprattutto della sua famiglia.
“Gli Uzumaki… sono tipo un clan?”
Nozomi si bloccò di colpo, cristallizzandosi a metà nell’azione e rimase rigido così per un secondo che a Naruto parve infinito. Cominciò a temere di aver fatto la domanda sbagliata e si morse il labbro quando lo zio si voltò. Aveva uno sguardo strano, quasi amareggiato.
“Non sai niente del clan, vero?”
Lo aveva chiesto con il tono di chi conosce già la risposta, lo stesso che aveva Iruka-sensei quando gli chiedeva se aveva dimenticato di fare i compiti, perciò non rispose.
Vide Nozomi allungare un braccio verso di lui e tremò di aspettativa, certo di ricevere un abbraccio. Invece rimase deluso, picchiettò soltanto sulla sua schiena.
“Sai cosa significa questa spirale rossa?”
Socchiuse gli occhi. La spirale rossa era su tutti i suoi vestiti, Jiji stesso la faceva cucire su di essa e Naruto ne era molto contento, perché gli piaceva come segno distintivo. Recentemente si era reso conto che assomigliava ai simboli di clan che alcuni bambini avevano sul retro dei loro vestiti, ma era un simbolo che tutti gli shinobi di Konoha avevano sull’uniforme, quindi pensava fosse semplicemente un segno distintivo del villaggio.
Ma a pensarci meglio, anche Nozomi ne aveva uno sui suoi vestiti. E Nozomi era suo zio, un Uzumaki…
“La spirale è il simbolo del clan Uzumaki” disse Nozomi, spostò gli occhi sulla schiena. “Come il ventaglio è il simbolo del clan Uchiha”.
Annuì, illuminandosi. “Quindi faccio parte del clan Uzumaki! Come te!”
“Esatto, cucciolo”.
Naruto sorrise raggiante e arrossì un po’ al nomignolo.
“Ma se siamo in un clan, dove sono gli altri?”
Capì di aver fatto una domanda dolorosa dal modo in cui gli occhi azzurri dell’adulto si spensero. Anche le labbra si strinsero in una piega amara. In silenzio Nozomi fece sedere entrambi davanti al tavolino, Naruto aveva la sensazione che stesse per succedere qualcosa di importante.
“È complicato… e un po’ lungo da spiegare” disse, ma nonostante ciò riprese a parlare e non si fermò per molto tempo.
Naruto non era bravo a seguire le lunghe spiegazioni, ma questa volta rimase zitto e ascoltò tutto. Tacque e lasciò che l’aria fosse piena solo della voce di Nozomi e del rumore dei fornelli di Obito.
Stupefatto ascoltò la storia di una città in un’isola lontana, una città come Konoha con un Uzukage, dove anche lì c’erano shinobi. Ascoltò tutto quello che Nozomi aveva da dire su Uzushio, del clan Uzumaki, della loro alleanza con Konoha e… la distruzione del villaggio.
Ascoltò tutto e quando Nozomi finì di parlare si sentì come se non fosse abbastanza. Voleva sapere di più, conoscere tutto del suo clan e delle sue origini. Improvvisamente sentì di appartenere a qualcosa, di non essere davvero solo, anche se quel qualcosa era stato distrutto tanto tempo fa. La consapevolezza gli fece venire il magone: aveva appena scoperto di avere un clan, ma quel clan ormai era sparito nel tempo.
“Siamo solo noi due, quindi?” chiese abbattuto.
Poteva capire perché Nozomi gli fosse parso così triste prime.
“Probabilmente nelle altre Nazioni Ninja ci sono altri Uzumaki nascosti” rispose suo zio. “Ma…”
“Allora dobbiamo trovarli!” esplose interrompendolo. “Dobbiamo trovarli e portarli qui! Possiamo ricostruire il clan qui, dattebayo!” propose.
Del resto Jiji li avrebbe sicuramente accolti, proprio come aveva fatto con suo zio. Potevano ricostruire la loro famiglia, dovevano solo trovarli.
Nozomi sbatté le palpebre all’esplosione del bambino, ma dopo il momento di sorpresa ricambiò il sorriso. Era normale trovare la propria versione più piccola così adorabile?
“Lo faremo sicuramente!” garantì. Del resto sapeva dell’esistenza di ben altri due Uzumaki, anche se Nagato al momento era intento a progettare piani di distruzione e conquista del mondo.
Obito interruppe le loro fantasticherie appoggiando due ciotole sul tavolo.
“Sì, sì. Qualsiasi cosa, ma ora mangiate” disse sbrigativo.
Gli occhi di Naruto si sgranarono davanti al buon odore dei piatti e con eccitazione prese le proprie bacchette. Si bloccò di colpo però, fissando proprio Obito.
“Tu non mangi?” indagò.
“Ho già cenato” rispose quello, senza curarsi della bugia.
Spiegare a Kakashi perché non aveva bisogno di mangiare era un conto, spiegarlo a un bambino era tutt’altra faccenda.  
“Oh” commentò Naruto. “Grazie per averci fatto la cena, allora” disse molto seriamente.
Obito inarcò un sopracciglio, non aspettandoselo.
“Quindi sai essere educato, oltre che un moccioso pestifero”.
Naruto sgranò gli occhi. “Non sono pestifero, dattebayo!” protestò.
“Si chiamano così i bambini che passano il tempo a fare scherzi”.
Invece di offendersi ancora o protestare, questa volta Naruto sorrise raggiante e lo guardò con orgoglio.
“Prima o poi ti prenderò” assicurò.
“Non credo”.
“Invece sì, dattebayo. Te lo prometto e io non rimangio le promesse!” gridò.
Obito sorrise. “Oh, che paura”.
“Dovresti averne” garantì, poi socchiuse gli occhi con soddisfazione. “Anche perché ti ho quasi preso” aggiunse mettendo le mani sui fianchi.
Non ci fu risposta.
Naruto riaprì gli occhi confuso, giusto in tempo per vedere i due adulti che si scambiavano uno sguardo serio e preoccupato. Molto preoccupato, uno di quello che preannunciava guai.
Non ebbe alcun modo di chiedere cosa fosse successo, perché entrambi sparirono all’improvviso dalla tavola, teletrasportandosi via.
E Naruto rimase solo davanti alla tazza di ramen.
 
 
 
ZAN ZAN che è successo?
Prossimo capitolo – che arriverà prima, lo prometto! – si scoprirà. Niente di troppo grave comunque, non preoccupatevi!
I nostri ninja sono riusciti a creare una routine a Konoha, ma soprattutto Naruto si è finalmente rotto di aspettare e ha deciso di fare la sua bella comparsa. Che ne dite? Vi è piaciuto? Spero di sì!
Grazie per le recensioni e per seguire questa storia, vi si ama!
 
1. D’ora in poi la casa dove abitano Obito e Nozomi verrà chiamato composto Namikaze, visto che effettivamente erano le proprietà di Minato.

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Capitolo 12
*** Empasse ***


Capitolo 11
Empasse
 
 
«Put me to the test, I’ll prove that I’m strong
Won’t let myself believe that what we feel is wrong.»
(Warrior – Beth Crowley)
 
 
Nozomi e Obito atterrarono simultaneamente ai confini della proprietà dei Nemikaze, proprio davanti al proprietario del chakra che avevano avvertito invadere il complesso. Nozomi rimase un momento spiazzato nel vedere chi fosse l’intruso, anche se considerando l’ingente quantità di chakra che i sigilli difensivi avevano rilevato non c’era da stupirsi.
“Sandaime-sama, che sorpresa” disse gioviale, anche se il petto gli si strinse capendo subito per quale motivo l’Hokage si fosse scomodato fin lì. O meglio: per chi.
Infatti Hiruzen non si perse in convenevoli e li guardò cupo, il suo aspetto era autorevole mentre un leggero vento notturno agitava le sue vesti bianche. Dietro la sua figura potevano vedere degli ANBU di scorta.
“Dov’è Naruto?”
Nozomi sentì al suo fianco Obito farsi più teso, quasi pronto a scattare e combattere, e pregò silenziosamente i kami perché non facesse degenerare la situazione.
“Oh, è in casa” rispose tranquillo. “Abbiamo appena preparato il ramen, vuole unirsi? Potremmo fare una tazza anche per lei” propose sperando che la situazione delicata finisse in quel modo diplomatico.
Era ovvio che Hiruzen fosse lì per portare via Naruto, perché non lo voleva con loro, ma forse potevano trovare un compromesso: lasciaci Naruto per cena e resta anche tu ad assicurarti che non gli faremo nulla.
Ma l’Hokage sembrava troppo furioso per accettare qualsiasi via diplomatica.
“Vi avevo detto che non potevate avvicinarvi a lui”.
“Infatti è stato Naruto a venire da noi” scattò Obito. “Cosa dovevamo fare, mandarlo via?”
“Lasciarlo in custodia agli ANBU venuti per lui, non metterli sotto genjutsu” sbottò a sua volta Hiruzen, i piccoli occhi carbone lampeggiarono di rabbia. “Questo può essere considerato tradimento”.
“Lo stavano inseguendo, non voleva andare con loro. Dovevamo lasciare che catturassero con la forza un bambino nella nostra proprietà?!”
Nozomi intervenne prima che il carattere focoso di Obito peggiorasse la situazione, lo stesso Hokage al momento sembrava poco incline alla conciliazione.
“Non volevamo mancarle di rispetto, ma nemmeno ignorare Naruto. Sta bene, lui è…”
“Lui ora viene con me” lo interruppe imperioso Hiruzen.
Nozomi rimase con la bocca socchiusa, gli occhi che si contrassero di dolore. Non voleva che gli portasse via Naruto, avevano appena iniziato a parlare, a conoscersi.
“Sandaime-sama, le assicuro che sta bene e non sta succedendo niente di…”
“Non farmi ripetere, Uzumaki-san”.
Socchiuse gli occhi davanti all’onda d’urto invisibile del tono gelido e imperioso. Jiji non gli aveva mai parlato così, anche davanti alla sua peggior malefatta, era sempre stato gentile e paziente. Era doloroso che lo trattasse come un perfetto estraneo.
Ma lo erano. Doveva ricordarsi che non era il suo jiji, che non poteva comportarsi allo stesso modo. Era tutto diverso per lui.
Prese un lungo respiro, cercando di domare le emozioni negative.
“Sto solo cercando di conoscere la mia famiglia…”
Alla sua confessione non ci fu nessun sguardo indulgente, il suo volto rimase duro come la pietra.
“A suo tempo, ma non ora”.
“Quando, allora?” domandò implorante. Erano lì da settimane.
“Quando potrò fidarmi di voi” sentenziò.
Obito sembrò incapace di trattenersi oltre e intervenne di nuovo, sprezzante.
“Come possiamo dimostrare che meritiamo fiducia se ci tieni a distanza da ogni cosa?”
Hiruzen lo guardò indispettito, ma non riuscì a ribattere perché l’Uchiha continuò.
“Non ci dai missioni fuori dal villaggio, o nulla che possa dimostrare che ora siamo fedeli a Konoha. Non ci permetti di avvicinarci a Naruto, non ci metti a parte di nessuna decisione politica e militare. Per avere fiducia bisogna anche rischiare nel darla, solo così si può sapere di aver fatto la scelta giusta!”
Quando terminò, questa volta il Sandaime non provò a rispondere e rimase in un silenzio contrariato. Nozomi si concentrò però su Obito, sentendo il proprio cuore espandersi a quelle parole. Sapeva per certo che il compagno stesse parlando a titolo personale, sulla propria esperienza, ed era commosso di sapere che continuava a considerarlo la scelta giusta.
Alla fine Hiruzen scosse la testa. “Portatemi da Naruto” disse solo, come se Obito non avesse mai parlato.
 
֎
 
Il ramen si stava raffreddando, ma Naruto non osava iniziare a mangiarlo. Non sapeva dove avesse sentito che era maleducazione iniziare a mangiare quando gli altri non potevano ancora farlo. Non sapeva se fosse vero o meno, del resto non conosceva le buone maniere – le donne civili perdevano sempre tempo a urlarglielo dietro – ma preferiva non rischiare.
Nozomi e Obito non comparvero davanti a lui dal nulla proprio come erano spariti. Rizzò le orecchie in allerta quando sentì la porta d’entrata venire aperta e chiusa, seguita da passi pesanti. Istintivamente prese uno dei coltelli sul tavolo, anche se aveva il bordo poco tagliante, giusto per avere un’arma.
Guardò con gli occhi sgranati il fusuma della cucina che veniva spostato di lato, rivelando la figura di jiji. La sua espressione era molto definitiva a turbata. Alle sue spalle c’erano Nozomi e Obito, il primo abbattuto e il secondo apertamente furioso.
Naruto seppe perché l’Hokage fosse lì ancor prima che parlasse, e la presa sul coltello tremò.
“Naruto-kun” disse secco. “È ora di andare”.
Il bambino abbassò lo sguardo, incredulo e ferito. In che senso era ora di andare? Era appena arrivato, non avevano nemmeno iniziato a mangiare. Vide i suoi occhi azzurri arrabbiati nel riflesso del coltello, aumentò la presa su esso prima di tornare a guardare l’Hokage.
“No” disse.
 
֎
 
“Te lo dico schiettamente, Obito, mettere quegli ANBU sotto genjutsu non vi ha fatto una buona impressione”.
“Vaffanculo, Bakakashi. Esci da casa mia!” sbottò l’Uchiha dalla cucina, sbattendo piatti, utensili e Tenzo non sapeva che altro. Era lì, sul ripiano della cucina, che maneggiava rabbiosamento, sibilando parole incomprensibili, da quando l’Hokage era riuscito a trasportare via un Naruto urlante.
Una scena orribile, secondo l’umile parere di Tenzo.
Lui e Kakashi erano tra gli ANBU che stavano accompagnando l’Hokage, ma quando se n’è andato non l’hanno seguito. Sono rimasti lì. Ufficialmente per assicurarsi che i due neoshinobi non seguissero l’Hokage, in realtà perché Kakashi immaginava avessero bisogno di supporto morale. Anche se a essere onesti, dalla faccia che aveva sembrava essere proprio Kakashi quello bisognoso di supporto morale.
Nozomi era sicuramente quello più depresso. Da che Tenzo lo conosceva – o meglio: lo spiava per conto del Sandaime – lo aveva sempre visto chiacchierare assurdamente allegro. Era alienante vederlo con quell’espressione così abbattuta. Infine c’era Obito, che continuava a tagliare verdure come se fossero il suo personale nemico.
Almeno il ramen era buono.
“Io non capisco” mormorò Nozomi. “I primi giorni… quando siamo arrivati, sembrava molto meno sospettoso. Che è successo, che adesso ci tratta come se fossimo una bomba carta programmata a esplodere?” domandò sconsolato.
Obito affettò con più rabbia la carota sotto le sue mani assassine.
“Sta invecchiando, quella mummia che puzza di tabacco sta…”
“Non ne sono davvero sicuro,” lo interruppe prontamente Kakashi prima che dica qualcosa di davvero irripetibile sul loro dittatore militare, “ma alcuni ANBU che vi sorvegliano ne stavano parlando”.
Tenzo quasi si soffocò mentre inghiottiva il brodo del ramen rimasto e sbatté la tazza sul tavolo basso.
“Senpai!” strillò. Capiva fare supporto morale, ma rivelare certe cose era tradimento, non supporto morale.
Ma ormai le parole dell’Hatake avevano catturato la loro curiosità. Obito smise si affettare la carota per guardare Kakashi, con lo stesso sguardo omicida  con cui guardava la corata tra parentesi.
“Da quello che ho sentito, c’è un motivo se le guardie che vi sorvegliano sono soprattutto Hyūga” iniziò Kakashi, ignorando lo sguardo supplicante di Tenzo. “Durante il nostro sparring, Hiashi si è accorto che c’è qualcosa sigillato dentro Nozomi”.
Tenzo osservò attentamente la reazione dell’Uzumaki a quella rivelazione. Ma lui si limitò a sbattere le palpebre, come preso in contropiede, poi sbuffò con evidente fastidio.
“Ci sono un sacco di cose sigillate dentro di me” fece notare. Si tirò su le maniche e cominciò a colpire con il chakra i vari sigilli sulle braccia, che cominciarono a rilasciare oggetti che andavano da pergamene, kunai a kit medici e vecchi vestiti. “Dovrà essere un po’ più specifico” concluse stizzito.
Kakashi sospirò. “Intendevo che ha visto un chakra diverso mescolato al tuo”.
Nozomi inarcò un sopracciglio. “Quindi due chakra? Non può essere che ha visto le mie due nature diverse di chakra? Non so se il byakugan può distinguere queste cose, ma…”
“No, un chakra tipo quello di un Bijū”.
Dopo quell’ultima ammissione, calò un silenzio che si protrasse per lunghissimi secondi. Nozomi sembrava essere diventato una statua di sale, la bocca socchiusa e lo sguardo sorpreso. Fu Obito il primo a riprendersi.
“Stai dicendo che l’Hokage crede che Nozomi sia un Jinchūriki?”
“Sostanzialmente sì” replicò pigro. “E il fatto che tu non l’abbia menzionato lo rende sospettoso”.
“Non l’ho menzionato perché non lo sono” si riprese dalla sorpresa Nozomi e parve davvero molto frustrato.
“Ma vuole una conferma” sospirò Kakashi.
“Come faccio a dimostrare qualcosa che non sono?!” sbottò incredulo.
“Fondamentalmente, continuando come state facendo”.
Nozomi distolse lo sguardo, stringendolo con rabbia.
“Sì, ma nel frattempo Naruto continuerà a vivere da solo. Sto cercando di sopportarlo, ma non ha senso. Sono qui, posso prendermi cura di lui, non ha senso che ci teniate lontano!”
“Sono gli ordini dell’Hokage” ripeté Kakashi desolato. “Non possiamo”.
Tenzo non sapeva se Kakashi si fosse accorto o meno di aver usato il plurale, includendo se stesso nel desiderio di prendersi cura del bambino, ma Nozomi sì. Addolcì lo sguardo e rilassò la posa delle spalle.
“Quanto ci vorrà ancora?” chiese Obito. “Quando saremo degni di fiducia? Cosa dobbiamo fare?”
Quella era una domanda interessante.
 
֎
 
L’odore era delizioso. Anche mentre il ramen si stava raffreddando, un invitante vapore continuava a salire dalla tazza, incontrando proprio il suo naso. Ma Naruto continuò a mantenere imperterrito la propria linea di digiuno per protesta.
“Non mangi il tuo ramen, Naruto-kun?”
Naruto alzò gli occhi per fissare contrariato il viso del vecchio dall’altra parte del tavolo. In circostanze diverse sarebbe stato felice di cenare con Jiji nell’ufficio dell’Hokage, magari scalpitando anche all’idea che finalmente si fosse deciso a cedergli il capello. Ma in quel momento quello era l’ultimo posto dove voleva essere.
“No” rispose bellicoso.
L’Hokage continuò a guardarlo con dolcezza, senza prendere sul serio la sua rabbia.
“È il ramen di Ichiraku, il tuo preferito” lo blandì.
Naruto sospirò aspramente, tirando su con il naso.
“Voglio il ramen di Obito-nii”.
Finalmente ottenne una reazione infastidita dall’Hokage davanti al nomignolo. Il Sandaime contrasse gli angoli delle labbra in una smorfia e strinse gli occhi.
“Il ramen di Obito-nii aveva un odore delizio” rincarò la dose. “Voglio tornare da Obito-nii e mio zio!”
“Non puoi”.
Naruto strinse le mani a pugno e batté i piedi contro la scrivania, facendo tremare piatti, bicchieri e tutte le cianfrusaglie sopra.
“Perché no?!” strillò.
“Perché te lo sto ordinando e un bravo shinobi ubbidisce all’Hokage” tagliò corto sperando di cavarsela con così poco, facendo leva sul desiderio inconscio di compiacere che di solito avevano i bambini.
Sfortunatamente, Naruto non era un bambino qualsiasi. Calciò solo più forte e affilò l’espressione torva.
“Perché non vuoi che veda mio zio?!” ripeté più veemente. “Perché?” insistette al silenzio. “Perché ogni volta che provo ad andare da lui qualcuno mi ferma? Perché non vuoi? Perché non posso? Perché, dattebayo?! Perché, perché, perché, perché…”
Hiruzen era troppo vecchio per avere tutta questa pazienza.
“Perché potrebbero farti del male” si arrese stanco.
Riuscì a far tacere Naruto, che si fermò a guardarlo con la bocca socchiusa e lo sguardo aggrottato. Ma la tregua durò solo una manciata di secondi.
“Questa è una stronzata, dattebayo!”
Emise un sospiro. “Chi ti ha insegnato a essere volgare?”
Naruto non rispose deliberatamente e insistette sul suo punto.
“Non mi farebbero mai del male! Nozomi è mio zio, sono la sua famiglia, non ha motivi di farmi male. Ed è sempre così gentile con me, mi sorride sempre ed è… è mio zio” ripeté sottolineando il fatto. “Forse Obito-nii fa un po’ paura. Anche a me ha fatto paura la prima volta che l’ho visto, ma è un bravo ragazzo dattebayo!” assicurò. “Mi ha difeso contro quelle persone cattive e sa fare il ramen e sembra volere tanto bene a mio zio e…”
Hiruzen lasciò che si sfogasse, elencando tutti i punti per cui secondo lui erano brave persone e lui era cattivo a non fidarsi di loro. Quando ci fu un silenzio che durò più di cinque secondi, Hiruzen capì che il bambino aveva finito.
Mantenne il tono di voce basso e tranquillo, fissando con dolcezza Naruto che ansimava per l’impeto della sua arringa.
“Potrebbero mentire”.
Naruto spalancò gli occhi e lo guardò incredulo.
“No, non stanno mentendo!” protestò.
“Potrebbero” ripeté. “Uzumaki Nozomi potrebbe essere un impostore, potrebbe fingere di essere un Uzumaki, non essere affatto tuo zio. Potrebbero essersi infiltrati a Konoha per un attacco futuro”.
Sapeva di star parlando di faccende delicate, dubbi che era meglio non fossero messi sul tavolo. Ma era importante che Naruto capisse che non doveva più cercare i due, stare da solo con lui.
Naruto lo guardò pieno di dubbi, la fronte aggrottata e gli occhi confusi.
“Perché dovrebbero farlo?”
“Le persone cattive fanno cose che possono essere inspiegabili” semplificò.
“Loro non sono cattivi!” sbottò subito, saltando sulla sedia. “E non stanno mentendo, è impossibile dattebayo!”
“Vorrei avere la tua certezza, Naruto-kun. Ma finché non lo avremo accertato, è bene che tu…”
“Non stanno mentendo!” lo interruppe Naruto. “Mio zio è davvero un Uzumaki!”
“Come puoi saperlo?” si rassegnò alla nuova arringa insensata che stava per arrivare.
Invece Naruto lo sorprese, ma non in un modo piacevole.
“Sa troppe cose degli Uzumaki, dattebayo”.
“Cosa intendi?” domandò con un lampo di timore negli occhi, timore che purtroppo fu confermato.
“Mi ha raccontato tantissime cose sul clan Uzumaki! Tantissimisse” sottolineò. “Mi ha detto tutto”.
“Cosa ti ha detto?”
“Mi ha detto che siamo uno dei Clan più vecchi, che prima vivevamo a Uzu…Uzushio! E che avevano anche un Uzukage. Gli Uzumaki erano il clan più importante di Uzushio, era un’isola bella e piccola, ma erano molto forti ed erano alleati con Konoha. Lo Shodaime Hokage ha sposato una principessa Uzumaki! Erano fortissimi, sapevano fare tantissime cose ed erano i migliore maestri di sigilli del mondo. Avevano un sacco di chakra, come me! Infatti mi ha detto che è per questo che faccio tanta fatica con alcuni esercizi che mi danno all’accademia è perché ho un sacco di chakra e non riesco a controllarlo e quindi mi esplode in faccia. Infatti gli Uzumaki sono famosi per la loro grandissima resistenza e per l’uso di tecniche incredibilissime! È anche il motivo per cui le altre nazioni avevano paura di loro e allora hanno attaccato Uzushio e l’hanno distrutta e da allora…”
Naruto si interruppe di colpo da solo. Nell’impeto della sua spiegazione era saltato in piedi sulla sedia e aveva gesticolato impazzito per tutto il tempo, finché un pensiero non sembrò colpirlo e si bloccò in un silenzio brusco.
Hiruzen non disse nulla. Era contrariato che Nozomi avesse rivelato a Naruto informazioni senza il suo permesso – faceva bene a essere preoccupato – ma questo non provava nulla sulla sua identità. Tutte queste informazioni sugli Uzumaki poteva averle imparate dalle antiche pergamene a delle storie su Uzushio, non c’era nulla di troppo segreto.
“Perché non me l’hai mai detto?!” sbottò infine Naruto, finendo di percorrere i suoi pensieri, che dovevano averlo portato proprio a quella realizzazione. Gli puntò contro il dito indice accusatorio. “Non me lo hai mai detto! Tu lo sapevi e non mi hai mai detto niente del mio clan! Perché non mi hai mai parlato degli Uzumaki, dattebayo?!”
Hiruzen si preparò a una discussione per cui non aveva forza né volontà di portare avanti.
“Non era necessario che lo sapessi”.
“Non era…” ripeté Naruto guardandolo ora ferito. “Si tratta della mia famiglia!” quasi pianse, gli occhi già lucidi. “Ho un clan e non me l’hai mai detto”.
“Perché sei l’ultimo rimasto”.
“Non è vero” protestò tirando su con il naso. “C’è mio zio e ha detto che ce ne sono altri sparsi per le nazioni… dobbiamo solo trovarli…”
“Naruto, non è così semplice” sospirò.
E, contro ogni aspettative, questa volta Naruto non protestò e tacque. Forse perché stava cercando in ogni modo trattenere le lacrime, anche se del moccio stava già colando dal naso. Vedere gli occhi umidi e tremuli del bambino quasi spezzò il cuore di Hiruzen, doveva ricordarsi che quello era per il suo stesso bene, per la sua sicurezza. Figlio del Quarto Hokage, uno degli ultimi Uzumaki e Jinchūriki del Kyūbi… Naruto era un bersaglio vagante, doveva essere protetto a ogni costo e aveva solo lui, Hiruzen, a farlo.
Ma sperò invano che Naruto non avesse altro da ridire, anche se questa volta parlò con una vocina davvero sottile.
“Anche mio padre era un Uzumaki?”
Non era pronto, era troppo presto. Ma non poteva evitare di rispondere ancora una volta, rischiava che cercasse le sue risposte da Nozomi e chissà cosa poteva dirgli.
“No, non lo era” disse. “Veniva da un clan civile di mercanti, ma era uno shinobi. Uno degli shinobi più dotati della sua generazione. Tua madre era un’Uzumaki, hai preso da lei il cognome”.
Naruto tirò su con il naso e lo guardò avido, quasi incredulo di ricevere finalmente delle informazioni.
“Ma papà non è il fratello di mio zio? E mio zio è un Uzumaki, come…”
“Tuo zio, proprio come te, ha preso il cognome dalla madre, un’Uzumaki” spiegò. “Tuo nonno era un mercante e ha intrattenuto molti affari con Uzushio prima che venisse distrutta… sebbene fosse sposato e già con un figlio, sospettiamo che… be’, probabilmente incontrò la mamma di Nozomi e…” Alzò gli occhi al cielo, in cerca di parole che lo aiutassero a spiegare quel concetto a un bambino di neanche otto anni.
Ma il suddetto bambino riuscì a sorprenderlo.
“Si sono innamorati e hanno fatto un bambino?” offrì in aiuto.
Gli sorrise caloroso. “Sì, proprio così. Nozomi è il fratellastro di tuo padre. Un Uzumaki come te, come tua madre”.
Naruto masticò fra sé quell’informazione, forse cercando di capire come funzionasse la parentela. Ma alla fine parve soddisfatto e annuì in segno di comprensione. Aveva un po’ spesso di piangere, anche se gli occhi restavano luci.
“Mio papà… come si chiamava?” domandò speranzoso.
Stava ricevendo più risposte ora di quante ne avesse avute in tutta la sua vita. Ma la sua speranza era inutile, lo capì non appena il vecchio Hokage sospirò.
“Non occorre che tu lo sappia” disse.
È il nome del mio papà!, avrebbe voluto protestare, come poteva non essere necessario che lo sapesse?
Ma non tentò nulla, invece chiese:
“E la mamma? Come si chiamava la mamma?”
Erano domande che aveva ripetuto per anni fino a sfinirsi, domande che erano sempre rimaste senza risposta. Il lungo silenzio dell’Hokage gli fece temere che anche questa volta non avrebbe saputo nulla di più. Abbassò lo sguardo, già pronto alla delusione.
Ma poi lo sentì.
“Kushina. Uzumaki Kushina. Era questo il nome di tua madre”.
 
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Quando un orologio iniziò a intonare la mezzanotte, Hiruzen non pensava di aver fatto così tardi. La conversazione con Naruto era stata estenuante, proprio come sospettava. Aveva dovuto fare attenzione nel rivelare a Naruto solo lo stretto necessario su Kushina, senza sbilanciarsi troppo e compromettersi. Ma alla fine era riuscito a calmare il bambino, le nuove informazioni ricevute sembravano aver disperso ogni rischio di ribellione. Era anche riuscito a farsi promettere che non avrebbe più incontrato Nozomi e Obito da solo.
In ogni caso, anche se era esausto, ricevette comunque Danzo. Prima che gli ANBU gli riferissero della prodezza di Naruto era in consiglio con lui e aveva dovuto congedarlo frettolosamente per raggiungere il complesso Namikaze.
Si preparò a qualche commento sprezzante, ma sul viso rugoso del vecchio compagno vide solo simpatia.
“Sei riuscito a calmare il moccioso?” chiese sedendosi sulla stessa sedia su cui era stato poco prima Naruto.
Annuì. “Ho dovuto raccontargli qualcosa su sua madre, ma nulla di compromettente. Mi ha promesso che non farà più qualcosa di avventato come questa sera”.
Danzo annuì in apprezzamento. “Lo sai, starebbe più al sicuro se mi lasciassi…”
Non gli permise nemmeno di continuare.
“Ne abbiamo già parlato e la mia posizione non è cambiata. Non affiderò Naruto a ROOT, Minato avrebbe voluto che suo figlio vivesse un infanzia normale”.
Quando nominò lo Yondaime, un’espressione di disgusto si increspò attraverso le rughe.
“Non avrebbe dovuto rendere suo figlio il Jinchūriki, allora” sputò, ma non disse altro. Chiese invece: “Cosa farai a Uzumaki Nozomi e Uchiha Obito?”
Sospirò. “Nulla. Il richiamo è stato sufficiente”.
“Hanno attaccato le tue guardie ANBU”.
“Per proteggere Naruto” puntualizzò. “Si sono comportati in maniera eccellente fin’ora. Non risponderò con mezzi estremi per un’unica infrazione giustificata”.
“Ma non ti fidi di loro”.
Scosse la testa. Non poteva dire a Danzo quello che gli Hyūga gli avevano rivelato, per il consigliere anche solo il sospetto che Nozomi ospitasse una bestia codata garantiva un intervento ai suoi danni.
“Non ho garanzie che Nozomi sia davvero chi dice di essere” rispose quindi.
“Sai come puoi risolvere il tuo dubbio. T&I, lascia che gli Yamanaka gli entrino nella mente” propose burbero Danzo. Per lui era inconcepibile che i due non fossero passati per l’interrogatorio prima dell’ammissione al villaggio.
“Ti ho già spiegato perché non sono stati sottoposti alla normale procedura. Fukasaku-san è stato molto chiaro nello sconsigliarlo”.
Danzo sbuffò e batte con forza il bastone sul pavimento.
“Sei più interessato a non turbare Nozomi che alla sicurezza del villaggio?” lo derise.
“No, è proprio per la sicurezza di Konoha” contraddisse duro. “Fukasaku-san disse che si sarebbe difeso d’istinto a un’intrusione nella sua mente. Quanti danni pensi possa causare Nozomi, se lasciato fuori controllo?”
“Molti” ammise fra i denti. Del resto aveva assistito allo sparring con Kakashi e Kinoe, aveva visto di persona quanto fosse forte e pericoloso.
“Preferisco evitare che distrugga metà villaggio” concluse Hiruzen.
Danzo lo guardò meditabondo per lunghi minuti, la presa stretta sull’apice del bastone. Alla fine riprese la parola.
“Se proprio temi che menti sulla sua discendenza, conosci un modo per dimostrarla”.
Hiruzen lo guardò con interesse, stupito che fosse proprio Danzo a proporre quella soluzione.
“Lo metteremo a corrette di uno dei segreti più importanti di Konoha, ciò che ci ha permesso di vincere l’ultima guerra” gli fece notare.
“Lo so, per questo preferirei l’interrogatorio” replicò stizzito. “Ma visto il tuo debole cuore, non vedo altra soluzione. Quel posto ci garantirà che è un Uzumaki. E in caso di risposta affermativa, avremo il vantaggio di riutilizzarlo”.
“E in caso di risposta negativa?”
“Attacco e uccisione” rispose pronto. “Lo farai accompagnare da una scorta competente. Meglio però camuffare tutto, non metterlo a parte dell’obiettivo finale”.
“Uhm…” ronzò Hiruzen. “È molto potente, ucciderlo sarà difficile. Soprattutto se avrà Obito al suo fianco”.
“Una buona squadra saprà contrastarlo” decretò Danzo. “E per quanto riguarda l’Uchiha… non facciamolo andare con lui, è semplice”.
“Obito vorrà seguirlo, protesterà” gli fece notare. Da quello che gli era stato riferito in quelle settimane, l’Uchiha si comportava quasi come una guardia del corpo nei confronti del compagno.
“No, se gli daremo un’altra missione. Qualcosa di semplice, che lo tenga lontano dal villaggio qualche giorno” risolse Danzo. “Itachi sarà disposto a sorvegliarlo e avvisarci delle sue mosse”.
Il Sandaime meditò qualche secondo, ripassando mentalmente le ultime missioni che aveva ricevuto sulla sua scrivania.
“Forse ho quello che fa a caso nostro” annuì fra sé.
In fondo non era quello che aveva chiesto proprio Obito?
 
֎
 
Obito era rimasto sveglio tutta la notte di cattivo umore. Nemmeno le coccole di Nozomi erano riuscite a distrarlo dal fissare lugubre il cielo notturno. Sentiva che stavano perdendo tempo. Erano lì da settimane e non stavano ancora facendo niente. Nozomi aveva ragione a dire che dovevano aspettare che la novità della loro presenza si estinguesse prima di smuovere le acque, ma quell’inedia lo tormentava.
Così quando la mattina dopo ricevette un messaggio che lo convocava dall’Hokage, il suo umore peggiorò se possibile. Non aveva nessuna voglia di sentirsi rimproverare ancora per il genjutsu agli ANBU. Non gli interessava quello che diceva Nozomi, se il Sandaime aveva intenzione di fargli la paternale sarebbe esploso e avrebbe raso al suolo Konoha. Così niente più Danzo, Uchiha e tutti i problemi correlati.
Quindi attraversò le porte dell’ufficio con espressione bellicosa, già sul piede di guerra.
Dentro la stanza era organizzata come al solito, spiccava la presenza di due figure oltre all’Hokage. Alla finestra si trovava proprio Kakashi, il viso infilato dentro le pagine del suo solito libro porno. L’altro era Itachi e fu proprio il piccolo Uchiha a metterlo in allarme. Stava dritto come un soldatino, in attesa di qualsiasi ordine da parte dell’Hokage.
Obito guardò ancora Kakashi. “Sono in ritardo?”
Kakashi seppellì se possibile ancor di più la faccia nel libro, evidentemente infastidito.
Hiruzen rise al suo commento. Sembrava voler sorvolare il suo mancato inchino, saluto, o qualsiasi altra forma di cortesia.
“Oh, abbiamo solo riferito un falso orario a Kakashi, in modo che si presentasse al giusto orario. Ha funzionato” spiegò il Sandaime.
“Un comportamento sleale, signore” replicò Kakashi.
L’Hokage rise ancora, ma solo pochi secondi. La sua espressione tornò velocemente seria.  Obito cominciò a sospettare che non fosse stato convocato per una ramanzina e il suo sospetto fu confermato quando Hiruzen parlò:
“Ora che ci siamo tutti, lasciatemi spiegare quale sarà la vostra prossima missione”.
 
 
 
 
Credo che ormai dovremo abituarci a un aggiornamento al mese xD Mi dispiace raga, ma purtroppo questo è il mio massimo :c ma almeno continuerò a essere costante, salvo gravi difficoltà esterne (*finge di non vedere la tesi*)
Coooomunque! Un capitolo un po’ transitorio, ma!! Nel prossimo finalmente ci sarà un po’ di azione, visto che seguirà la missione di Obito :D Inoltre anche qui tutto sommato è successo qualcosa degno di nota: Hiruzen si sta rendendo conto di star tendendo un po’ troppo la corda con tutti i suoi segreti. Ora Naruto sa qualcosa di più della sua famiglia, cucciolo. Aggiungiamo il colloquio con Danzo. Lo dico chiaramente: odio Danzo, così come odio Sarutobi. Ma in questa storia voglio cercare di essere il più obiettiva possibile e non lasciarmi influenzare dalle mie antipatie personali. Cercherò di non rendere Danzo il male sceso in terra e capro espiatorio di ogni disgrazia, voglio tentare di essere IC
Comunque sia: GRAZIE! Davvero, grazie di cuore per seguire la storia e per i commenti che lasciate, sono molto importanti per me :D vi adoro!
Al prossimo capitolo!
Hatta.
 
Ah, ps: Kinoe è il nome in codice che Tenzo aveva mentre era un ANBU in ROOT.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** La prima missione ***


Capitolo 12
La prima missione
 
 
 
« Just another product of today
Rather be the hunter than the prey»
(Natural – Imagine Dragons)
 
 
 
 
Obito saltò da un ramo all’altro disegnando archi perfetti. Nonostante il suo ritmo serrato, sia Kakashi che Itachi riuscivano a stargli dietro.
Li guardò con la coda dell’occhio, soffermandosi soprattutto sull’Uchiha più piccolo. La sua espressione era una pura maschera di indifferenza, ma Obito si sentiva nervoso ad averlo vicino. Sapeva che in realtà Itachi stava controllando e analizzando ogni sua mossa.
Ma del resto in quella situazione spinosa si era cacciato da solo, sfidando implicitamente l’Hokage a dargli il comando di una missione. Il Sandaime lo aveva accontentato, ma affiancandolo con una delle persone che voleva vedere meno in assoluto.
Con il pensiero, tornò a quella mattina a Konoha. La missione che il Sandaime gli aveva affidato era molto semplice: dovevano solo fare un controllo. Al confine del paese del Fuoco si vociferava la presenza di una banda di contrabbandieri di armi che stavano mettendo a rischio i delicati equilibri con il paese confinante. Konoha aveva già mandato alcune settimane prima una squadra di ninja per indagare e, nel caso, neutralizzare la banda. Era da una settimana ormai che non ricevevano più loro notizie. Il loro compito era soltanto di scoprire cosa fosse successo – se la squadra fosse stata catturata o meno – e fare rapporto. In base alle loro scoperte avrebbero scelto come agire.
Si trattava, in breve, di spionaggio.
Quello che davvero disturbava Obito era l’essere stato mandato lì senza Nozomi. Forse ingenuamente aveva dato per scontato che loro due avrebbero fatto ogni missione in coppia. L’essere divisi non gli piaceva, era come se entrambi fossero più vulnerabili.
Stavano correndo ormai da molte ore, calcolò che con quel ritmo sarebbero arrivati a breve al paese sul confine. Probabilmente erano già nella zona di influenza dei contrabbandieri.  Con le mani fece segno agli altri due shinobi che lo seguivano di tenere gli occhi aperti.
 
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Erano passate solo alcune ore da quando Nozomi aveva ricevuto il clone di Obito che lo informava della missione. Non si aspettava di ricevere un’altra visita così presto, soprattutto che fosse una convocazione dell’Hokage. Il nutrito gruppo di shinobi d’élite che trovò già all’interno dell’ufficio lo sorpresero ancor di più.
“Mi avete fatto chiamare, Hokage-sama?” chiese.
Il Sandaime gli sorrise benevolo, come se la scaramuccia della sera prima fosse stata completamente dimenticata, e gli fece cenno di richiudere la porta dietro di sé.
“Vieni pure, ti stavamo giusto aspettando”.
Nozomi si guardò attorno, soffermandosi curioso sulla presenza di Gai, Tenzō e Genma. Un quarto uomo era nella stanza, uno che non conosceva, ma nonostante gli abiti civili i suoi livelli di chakra lo smascheravano come shinobi. Probabilmente era un Nara, ma non ci avrebbe giurato. Si chiese invece perché non fosse in uniforme e guardò interrogativo l’Hokage.
Hiruzen sorrise guardando ogni shinobi presente.
“Siete stati convocati per una missione di scorta”. Alzò una mano indicando il Nara in abiti civili. “Vi presento Kusagi Iwao, un rappresentante del Paese del Carbone. È recentemente venuto qui in nome del suo Daimyō per confermare un trattato commerciale tra i nostri paesi. Con i documenti del trattato, ora deve tornare a casa e vorrei che lo scortaste”.
Nozomi inarcò una sopracciglia e tornò a guardare il presunto Kusagi Iwao, ma era certo che i suoi sensi non lo ingannassero: quell’uomo non era un civile, ma uno shinobi.
E anche piuttosto in gamba, probabilmente di livello A, un ANBU, considerò. Osservò la reazione degli altri nella stanza, ma nessuno sembrava vederci qualcosa di sbagliato nelle parole dell’Hokage. Decise quindi di assecondare quella pantomina, curioso di vedere dove sarebbe andata a finire.
“È inutile che vi dica quanto è importante che questo trattato giunga a termine” riprese l’Hokage. “Il Paese del Carbone è il nostro maggiore rifornitore e se i nostri rapporti finissero per… sciogliersi, Konoha ne riceverebbe un danno non da poco. Per questo motivo sospetto che qualcuno tenterà di rubare i documenti o uccidere il signor Kusagi. Il vostro compito è proteggere lui e i documenti, dovete assicurarvi che arrivino al Daimyō del Paese del Carbone a ogni costo”.
“Sì, signore” intonò Nozomi insieme agli altri tre Shinobi.
Era tutto molto curioso, a partire da una missione per Nozomi solo poche ore dopo che ne era stata affidata una a Obito per finire con un civile che in realtà era uno shinobi.
Non gli restava che stare al gioco, se voleva scoprire cosa aveva in mente il Sandaime.
 
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In un’altra situazione, Obito non avrebbe avuto problemi con una semplice missione di spionaggio. Il potere del kamui gli permetteva di nascondersi facilmente ovunque, ma con Itachi che fissava ogni sua mossa non era il caso di usarlo. Quindi non gli restava che muoversi nel modo tradizionale, ma era dannatamente scomodo.
Erano riusciti a trovare facilmente le tracce della banda di contrabbandieri e seguirli fino al loro nascondiglio. Erano rimasti in postazione finché non avevano avuto la quasi certezza che la prima squadra era stata scoperta e probabilmente catturata.
A quel punto, potevano già tornare e riferirlo all’Hokage. Ma Obito voleva raccogliere maggiori informazioni. Il dossier ricevuto dall’Hokage menzionava solo uomini armati che non sapevano usare il chakra, ma lì c’erano palesemente degli shinobi: lo stesso rifugio era protetto da un jutsu di terra.
“Dobbiamo catturarne uno”.
Itachi non sembrava molto entusiasta all’idea, ma Kakashi era dalla sua parte. Riuscirono presto a convincerlo nonostante la reticenza. A suo avviso sarebbero dovuti tornare subito a Konoha invece di temporeggiare, ma non sembrava intenzionato a disubbidire al capitano della missione.
Finalmente, dopo ore di attesa, uno dei contrabbandieri si allontanò dal rifugio. Silenziosamente, il trio lo seguì. Obito capì subito che il contrabbandiere era stato mandato in ricognizione, il che andava a loro vantaggio. Fece segno a Kakashi e Itachi di scattare.
Ovviamente l’uomo non ebbe nessuna speranza contro i ninja d’élite e fu subito reso inoffensivo.
“Feccia di Konoha!” sbottò riconoscendo il loro coprifronte.
Obito valutò per qualche secondo di iniziare a interrogarlo, ma la sola vista di quell’uomo dall’aspetto tronfio e la mascella rovinata gli dava il voltastomaco. Per non parlare dell’olezzo disgustoso, Kakashi si era perfino allontanato visto quanto era sensibile agli odori.
“Non ci dirai niente, vero?”
“Andate a buttarvelo in culo!”
Obito fu quasi soddisfatto dalla risposta volgare.
“Ovviamente”.
Il secondo successivo il suo occhio si colorò di rosso e ruotò nella forma dello sharingan. Prima che l’uomo potesse anche solo rendersene conto, era intrappolato in un genjutsu.
 
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Nozomi atterrò proprio davanti alla recinzione che delimitava il giardino dell’Accademia. Potendo avrebbe potuto sgusciare al suo interno, ma preferiva rendere la sua presenza lì il meno evidente possibile. 
Era l’ora di pranzo nella scuola e i bambini delle varie classi erano lasciati liberi per il cortile. Erano tutti raggruppati tra di loro, perciò non fu difficile individuare una solitaria testa bionda. Invece di cercare di catturare la sua attenzione, evocò un piccolo rospo e gli fece cenno di saltellare verso il bambino. La ranocchia lo fece, passando inosservata esattamente come aveva sperato, finché non fu ai piedi di Naruto e il bambino la notò. Notò anche la piccola pergamena attaccata al suo collo. La prese e la sua espressione si corrucciò per la concentrazione per leggerla.
Nozomi ricordava che da bambino non sapeva leggere bene, nessuno glielo aveva mai insegnato davvero, perciò aveva usato kanji semplici e chiari. Dopo un momento di esitazione, il volto di Naruto si illuminò. Si voltò subito e iniziò a correre senza guardarsi indietro verso il gruppo di alberi che costeggiava l’accademia.
Nozomi sorrise vittorioso e si dislocò facilmente nel punto che gli aveva detto di incontrarlo. Arrivò qualche secondo prima di Naruto, che stava ancora correndo con il volto rosso di eccitazione.
“Nii-san!” gridò felice, salvo poi ricordare che era un incontro segreto e si morse le labbra.
Nozomi provò una strana sensazione al cuore, era la prima volta che lo chiamava fratellone e si accorse di preferirlo molto di più a zio, lo faceva sentire meno vecchio.
“Campione” sorrise a trentadue denti, mettendogli una mano sulla testa.
Le guance del bambino si spolverarono ancor di più di rosso, ma non per la fatica. Gli occhi però gli lanciarono uno sguardo preoccupato e subito si misero a guardarsi intorno, come se dagli alberi potesse spuntare fuori qualcun altro.
“Nii-san! Non puoi stare qui, se jiji…”
“Tranquillo, non mi scoprirà” lo rassicurò. “Sono venuto solo a salutarti”.
Le iridi blu assurdamente grandi di spalancarono ancor di più.
“Salutarmi?” ripeté.
Annuì. “Sì, io… mi è stata assegnata una missione e temo durerà parecchi giorni. Anche Obito è in missione, quindi non siamo al villaggio, ma lui dovrebbe tornare già domani quindi non preoccuparti”.
“Oh, credevo…” Naruto si interruppe, vergognandosi per aver pensato che se ne stesse andando per sempre abbandonandolo ancora una volta. “Non importa. Io… Buona fortuna per la missione?”
Improvvisamente si sentiva timido e non sapeva cosa dire, guardò la punta dei propri piedi sentendosi di troppo. Non capiva perché fosse andato ad avvisarlo visto che comunque non potevano stare insieme, jiji lo aveva proibito.
Nozomi rise e gli accarezzò la testa, facendolo arrossire.
“Grazie, scricciolo. Tu divertiti e studia, okay? Quando tornerò proverò a convincere l’Hokage a lasciarci vedere” promise.
A quella prospettiva i suoi occhi si illuminarono speranzosi e dall’emozione non riuscì a fare altro che annuire. Mentalmente cominciò già contare i secondi per il suo ritorno, non vedeva l’ora di poter passare altro tempo con suo zio e Obito-nii; anche se breve la sera prima era stata fantastica.
“Magari andremo da Ichiraku Ramen” offrì.
“Per il ramen sono sempre disponibile” assicurò Nozomi. Sembrò voler aggiungere altro, ma i suoi occhi dardeggiarono verso la scuola e si irrigidì appena. “Ora devo proprio andare. Torno il prima possibile, non combinare troppi guai!”
“Certo!” rispose sapendo di star mentendo e a giudicare dalla risata che fece l’adulto mentre spariva in un shunshin, anche lui lo sapeva.
Guardò per un momento il punto dove si trovava suo zio fino a un attimo prima, un sorriso così grande che quasi gli dolevano le labbra. Non aveva mai avuto nessuno che gli aveva promesso sarebbe tornato da lui il prima possibile, era una sensazione così bella che gli faceva battere forte il cuore. Ma allora perché si sentiva anche gli occhi umidi?
Tirò su con il naso e si voltò, intenzionato a tornare ai suoi giochi, ma si immobilizzò subito quando si accorse del bambino che lo fissava non troppo distante. Era Uchiha Sasuke, il più bravo della loro classe.
Ci avrà visti?, pensò preoccupato che potesse dirlo ai maestri e quindi mettere nei guai Nozomi.
Purtroppo la domanda di Sasuke confermò il suo timore.
“Chi era quello?”
Naruto decise che non si sarebbe nascosto. Strinse i pugni, gridando come se fosse una sfida.
“È mio zio!”
La reazione di Sasuke fu inaspettata. “Ah! Quindi è davvero tuo parente”.
La sorpresa sciolse la tensione sul viso di Naruto.
“Tu lo conosci?”
“L’ho visto insieme a mio padre” rispose corrucciato. “So solo che è uno straniero”.
Quella parola suonò quasi come un insulto alle orecchie di Naruto, che si accese di nuovo di rabbia.
“Non è uno straniero! È mio zio ed un ninja fortissimo, il migliore dattebayo!”
“Non è di Konoha, quindi è uno straniero” obiettò. “E sicuramente non è forte quando lo è Itachi-nii”.
Naruto non aveva idea di chi fosse, ma sapeva comunque come doveva rispondere.
“Invece è molto più forte. È il più forte di tutti!”
“Non di nii-san!”
“Anche di nii-san” lo contraddisse. “E io diventerò forte come lui, credici”.
A quella promessa Sasuke scoppiò a ridere.
“Ma se sei l’ultimo della classe e non sai nemmeno leggere” gli fece presente con scherno.
A quella nota, le sue orecchie diventarono di un rosso violento e si sentì umiliato, perché era vero: nella sua classe era l’unico a non saper ancora distinguere correttamente i kanji. Sasuke, invece, da quello che aveva visto era il migliore in tutto e anche i maestri non mancavano mai di lodarlo e metterlo in mostra come esempio alla classe.
Tutto il suo corpicino tremò, come scosso dall’urlo che emise:
“Diventerò il migliore della classe, il più bravo a leggere!” promise. “E sarò lo shinobi migliore di tutti, diventerò Hokage!”
Se Sasuke voleva ribattere, non gliene diede il tempo. Scappò via, il più lontano possibile.
 
֎
 
Il sandalo di Obito si schiantò contro la mascella del contrabbandiere, facendo cadere l’uomo con la faccia sul terreno sporco. Non contento mantenne la suola premuta sulla guancia, furioso. Sia Itachi che Kakashi erano scattati al suo movimento brusco, come se si aspettassero un attacco. Lo guardarono in attesa di spiegazioni.
“Bastardi” grugnì Obito digrignando i denti. “Feccia, disgustosi…”
“Cos’hai scoperto?” domandò Kakashi.
Obito schiacciò il piede contro la guancia, ricevendo un gemito di dolore dal contrabbandiere ancora stordito dal suo genjutsu.
“Questi stronzi non si limitano a contrabbandare armi” iniziò a spiegare, la rabbia che ribolliva a ogni parola. “Rapiscono bambini con kekkei genkai e li vendono a chiunque possa essere interessato. Smerciano esseri umani”.
Calciò ancora, colpendolo al mento con la punta del sandalo rinforzato. Si sentì chiaramente la mascella rompersi, ma il contrabbandiere provò ad alzarsi per scappare. Non ne ebbe mai modo.
Dei rami acuminati come lame sbucarono dal terreno, impalandolo. Gli schizzi di sangue colpirono l’erba, cadendo ai piedi di Obito che fece solo un passo indietro per non sporcarsi. I suoi occhi guardarono gelidi l’uomo ormai morto, il volto aperto in una grottesca espressione di dolore e terrore; alcuni di quei rami uscivano dal cranio bucato. Non aveva nemmeno avuto il tempo di gridare.
“Non avresti dovuto ucciderlo”.
La voce atona di Itachi interruppe il breve silenzio. Fissava l’uomo impalato senza nessuna vera impressione, il suo viso calmo e illeggibile come al solito.
Obito sputò sul cadavere e andò a sedersi su una radice sporgente mentre il tredicenne continuava:
“I contrabbandieri capiranno di essere stati scoperti non appena non lo vedranno tornare e si sposteranno”.
Kakashi prese un lungo sospiro. “Hai scoperto qualcosa sull’altra squadra?”
Obito annuì. “Li hanno catturati e uccisi”.
“Merda” commentò Kakashi. Attese che l’amico d’infanzia aggiungesse altro, ma quando fu chiaro che non lo avrebbe fatto aggiunse: “Dobbiamo tornare e avvisare l’Hokage”.
“No” fu la veloce risposta di Obito. Si voltò a guardarlo, l’occhio ancora colorato di rosso. “Il bambino ha ragione, ho fatto un errore: non dovevo ucciderlo. Ora sapranno che sono stati scoperti, se ce ne andiamo quando torneremo non saranno più qui. Dobbiamo agire adesso”.
“Non sono un bambino” bisbigliò Itachi, ma le sue parole si persero sotto l’obbiezione di Kakashi:
“Gli ordini di Sandaime sono di osservare e riferire, non ha autorizzato nessuna azione”.
“Sì, ma questa è un’emergenza. Dobbiamo colpirli ora che non se lo aspettano, non possiamo sprecare tempo e chissà quanto ci metteremo nel ritrovarli… o nel frattempo quanti bambini venderanno!” scattò.
Kakashi non sussultò, ma abbassò il capo e annuì. “Noi tre basteremo? Se sono riusciti ad annientare l’altra squadra non sono da sottovalutare”.
Rispose con un verso di scherno. “L’altra squadra non aveva me. O te, in tutti i bingo book delle nazioni ninja sei sotto l’ordine di scappare a vista. E sono sicuro che per far entrare un bambino in ANBU deve essere in qualche modo speciale” aggiunse guardando Itachi.
Lui annuì. “Non ho mai perso” assicurò serio, poi aggiunse: “Mi infiltrerò io. Visto che sono un bambino mi farò catturare da loro e poi vi farò entrare, li colpiremo da dentro”.
Kakashi approvò il piano, ma Obito scosse perentorio la testa.
“No, farò io da esca e vi farò entrare attraverso kamui. Userò una henge per sembrare un bambino”.
Itachi si accigliò. “Perché usare una henge quando puoi usare me?”
“Perché tu sei un bambino vero” spiegò spazientito. “Fare l’esca sarà la parte più rischiosa, quindi non toccherà a te. Senza contare che il jutsu del mio Mangekyo vi permetterà di entrare con me con facilità”.
L’unico segno dell’alterazione di Itachi fu il leggero infiammarsi delle sue guance.
“Lo hai detto tu, che devo avere qualcosa di speciale. Non sottovalutarmi”.
“Non lo faccio. Puoi essere forte come un kage per quanto mi riguarda, resti comunque un tredicenne. Non ti metterò davanti al pericolo se può farlo un adulto ugualmente capace”.
“Io sono forte, posso…”
“Io sono il Capitano” lo interruppe brusco. “Il Sandaime ha dato a me il comando di questa missione, quindi farai quel cazzo che dico senza storie”.
Itachi rimase in silenzio un solo secondo, poi prese fiato con la voce che tremava leggermente nel tentativo di essere neutra come suo solito.
“Sto solo dicendo che è rischioso tentare di infiltrarsi con una henge. Come ha detto Kakashi-senpai, se questi contrabbandieri sono stati in grado di colpire una squadra di ninja significa che non vanno sottovalutati. Potrebbero essere in grado di usare il chakra e vedere oltre l’henge, questo annullerebbe il piano e…”
Si interruppe di colpo, l’Uchiha più anziano aveva appoggiato il palmo della sua mano sul suo capo, come se lo stesse accarezzando. Arrossì all’istante, ma raggelò nel vedere l’espressione spaventosa con cui Obito lo stava guardando, il suo istinto di sopravvivenza si attivò quando vide il kamui fissarlo sanguigno.
“Se proprio un moccioso fastidioso”.
Itachi spalancò la bocca, incredulo, ma non ebbe il tempo di protestare perché un vortice invisibile sembrò risucchiarlo dentro l’occhio di Obito. In pochi secondi, il pre-adolescente era sparito.
Kakashi lo guardò preoccupato.
“È in kamui, sta bene” spiegò irritato allora. “Mi stava solo dando i nervi, lo tirerò fuori quando saremo nella base dei contrabbandieri”.
L’amico annuì cauto. “Quindi immagino di dover entrare anch’io lì dentro”.
“Non so ancora come funziona il tuo occhio, ma è probabile che tu possa anche uscirne. Comunque, aspetterete un mio segnale”.
Obito si accucciò sedendosi sui calcagni, con le mani spazzò il terriccio uniformandolo.
“Ti disegno com’è la base da quello che ho visto attraverso lo stronzo”. Indicò l’uomo impalato. “Tu intanto parlami dei tuoi attacchi e di quelli del moccioso, così da delineare una strategia. Poi la spiegherai tu al moccioso qui dentro”. Si picchiettò la sopracciglia.
Kakashi non rispose subito, si prese un secondo per guardare l’uomo accucciato davanti a lui. Ancora una volta gli venne naturale paragonarlo al bambino che aveva conosciuto e ancora una volta l’immagine che ne ebbe fu così disforica da costringerlo ad allontanare lo sguardo.
Si accucciò a sua volta. “D’accordo” disse prima di iniziare a dirgli tutto quello che poteva essere utile.
 
֎
 
Kiwaru avanzò cauto nel sottobosco, attento a ogni minimo rumore. Koatsu non era ancora tornato dalla sua ispezione e lo avevano mandato a cercarlo, in modo da scoprire cosa lo stesse trattenendo così tanto.
La risposta gli venne da sola non appena vide il corpo del suo compagno impalato in spessi rami taglienti che sbucavano dalla parte superiore del suo corpo. Ma non ebbe nemmeno il tempo di pensare Che cazzo?! che un movimento dal sottobosco attirò la sua attenzione. Kiwaru riuscì facilmente a evitare un ramo che aveva tentato di trafiggerlo al fianco e i suoi occhi si posarono su una piccola figura rannicchiata a terra.
Un bambino.
Abituato a situazioni del genere, Kiwaru capì subito cosa stesse succedendo e i suoi occhi brillarono per l’esaltazione. Quella tecnica poteva solo essere il mokuton ed era ovvio che a controllarla fosse quel bambino spaventato. Era davvero molto piccolo, probabilmente non aveva nemmeno otto anni, ed era ferito. I suoi capelli erano selvaggi, la pelle graffiata e piena di ematomi, le vesti strappate e sudice. I suoi occhi si posarono subito sui suoi piedi nudi, dove vide una ferita sanguinante alla caviglia, probabilmente il motivo per cui era a terra.
Il bambino aveva gli occhi spalancati, sconvolti.
“Chi sei?!” gridò piangendo, le lacrime che scorrevano sulle guance come un fiume in piena.
Kiwaru capì subito che doveva giocare bene le sue carte se non voleva finire infilzato come Koatsu. Perciò alzò le mani e si inginocchiò, sperando di essere percepito in modo meno minaccioso.
“Va tutto bene” disse usando la voce dolce che usava anche per tranquillizzare i mocciosi al rifugio. “Non ti farò del male. Come ti chiami, piccolo? Io sono Kiwaru”.
Nessun ramo lo colpì o tentò di ucciderlo, ma il bambino non abbandonò la posa diffidente né disse il proprio nome. Allora Kiwaru spostò lo sguardo sul cadavere del compagno e continuò terribilmente serio:
“Ti ha attaccato? Per fortuna stai bene, questo posto è pieno di furfanti” spiegò. “È un bene che ti abbia incontrato, con me sei al sicuro”.
Il bambino strinse gli occhi sospettoso. “Siete vestiti allo stesso modo” fece notare.
“È come ci vestiamo tutti da queste parti” rispose tranquillo, poi sorrise. “Non penserai che io sia come lui? Sono uno shinobi, un ninja di Konoha” aggiunse prendendo una delle fascette che avevano rubato a quegli stronzi mandati dalla Foglia.
Fu la cosa giusta da fare, appena mostrò il simbolo inciso sul metallo lo sguardo del bambino si illuminò e l’espressione si riempì di sollievo. Ricominciò a piangere, ma questa volta era evidente che non fosse per la paura.
Kiwaru sorrise internamente, fingersi un ninja era sempre la strategia migliore con i bambini.
“Vedo che sei ferito” disse. “Posso? Ho delle bende e una crema magica che può aiutare”.
Il bambino, persa ogni diffidenza, annuì e Kiwaru sorrise. Prese dal proprio equipaggiamento delle bende pulite e si inginocchiò davanti al bambino. Il taglio della ferita era davvero profondo, probabilmente abbastanza doloroso da impedirgli di camminare.
“È un brutto taglio” osservò. “Com’è successo? È stato quel criminale?” domandò.
Il bambino annuì. “Mi ha attaccato, io…” singhiozzò. “Non volevo ucciderlo, ma… aveva un coltello…”
Mentalmente Kiwaru maledì Koatsu, che dopo anni di servizio continuava a non capire che il modo migliore per catturare un bambino era farlo fidare, non attaccarlo, soprattutto se si trattava di bambini con kekkei genkai spesso letali. Quella volta aveva imparato la lezione a spese della propria vita.
“Dovevi difenderti, hai fatto bene” lo rassicurò. “Ma ora non devi temere più nulla, ti proteggerò io”.
Quello tirò su con il naso. “Sono Tobi” si presentò.
Anche se non disse il nome del suo clan non importò, con il mokuton valeva milioni di suo.
“Che nome grazioso” lo elogiò. “Come mai sei qui tutto solo? La foresta è un brutto posto”.
Abbassò lo sguardo, imbarazzato. “Sono venuto in vacanza con la mia famiglia nel villaggio vicino. Volevo giocare con gli alberi, ma mi sono perso e poi quell’uomo mi ha trovato e ha provato a prendermi allora io ho usato il legno e…”
“Capisco” interruppe dolce quel fiume di parole. “È un bene che ti abbia trovato, posso aiutarti a ritrovare la tua famiglia”.
Gli occhi di Tobi si illuminarono di speranza, ancora umidi dalle lacrime. “Davvero?”
Ridacchiò. “Qui vicino c’è la base dove stiamo io e miei compagni. Una volta lì basterà mandare un messaggio al villaggio vicino così da avvertire la tua famiglia. Sicuramente sarai a casa prima di cena” promise.
A quella aspettativa il bambino annuì felice e sollevato. Era stato quasi troppo facile, bastava davvero fingersi un ninja perché qualsiasi bambino si fidasse subito.
“Allora!” vociò cercando di essere giocoso. “Riesci a camminare?”
Tobi provò ad alzarsi, l’espressione determinata, ma fece solo qualche passo prima di inciampare. Kawari lo prese al volo.
“Attenzione” lo avvisò. “Uhm, quella ferita è peggio del previsto. Significa che ti porterò sulle spalle”.
La prospettiva sembrò emozionare ancor di più il bambino, che si arrampicò sulla sua schiena senza essere supplicato. Strinse le braccia attorno al suo collo, scalciando contento.
“Anch’io un giorno voglio diventare un ninja” disse allegro, completamente a suo agio.
Kiwaru sorrise. “Oh, sono sicuro che lo diventerai”.
Sicuramente Orochimaru li avrebbe inondati d’oro per avere un utente di mokuton nelle proprie file. Il bambino era destinato a diventare uno shinobi, ma non nel modo in cui sperava.
 
 
 
Non mi metto nemmeno a guardare quando tempo è passato dall’ultima pubblicazione perché mi viene male. Posso dire che mi dispiace, ma ultimamente ho la testa piena di preoccupazioni. Forse chi mi ha su facebook sa che ho avuto problemi con il covid (bloccata a casa del mio ragazzo con solo tre mutande per un mese) e che poi si è infilata la sessione invernale a distruggermi. Non ho molta testa per scrivere cose serie, ma questo non significa che sto abbandonando la storia. Sarò sicuramente molto più lenta ad aggiornare… mi dispiace davvero.
Ma anche vi ringrazio per seguire la storia, per aver letto anche questo aggiornamento nonostante tutto il tempo passato <3 farò del mio meglio, lo prometto!
Un bacio!
Hatta

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Capitolo 14
*** Insegnami ***


Capitolo 13
Insegnami
 
 
 
«Don't need to run so fast
Sometimes we come last, but we did our best»
(Shakira – Try everything)
 
 
 
Obito studiò il sigillo che gli era stato applicato al braccio con occhio critico. Il contrabbandiere glielo aveva impresso una volta portato dentro alla base, la sorveglianza era ottima proprio come avevano appurato nella loro osservazione. Gli aveva detto che quel sigillo serviva per assicurarsi che stesse bene, ma Obito poteva chiaramente vedere che era in realtà un limitatore di chakra. Poteva indovinare senza timore di sbagliare che anche gli altri bambini catturati ne avevano uno, in modo che non potessero ribellarsi e sfuggire.
Fortunatamente per lui, quel sigillo era semplice e sciatto, Nozomi sarebbe inorridito nel vedere un lavoro fatto così male. Poteva romperlo facilmente con un sovraccarico di chakra e nessuno se ne sarebbe accorto.
“Sei stato catturato anche tu?”
Obito alzò gli occhi dal proprio braccio, guardando la stanza attorno a lui. Era ampia e buia, piena di sacchi a pelo. Si accorse che quelli che con una rapida occhiata aveva scambiato per coperte e cuscini erano in realtà bambini. In particolare una bambina si era avvicinata, era alta e magra con capelli arruffati e sguardo spento; a occhio e croce non poteva avere più di tredici anni, la stessa età di Itachi. Gli altri erano rimasti ai loro posti sui sacchi a pelo, a guardarlo con la stessa espressione triste e vuota… sentì la rabbia bruciargli lo stomaco.
“Qualsiasi cosa ti abbiano detto, non è vero” iniziò la bambina. “Sono criminali e ti hanno catturato, non rivedrai mai più la tua famiglia… mi dispiace”.
Obito chiuse gli occhi e concentrò uno scorrere costante di chakra per tutto il suo corpo, il sigillo si distrusse subito.
“Lo so, non sono un bambino” disse e nel mentre dissipò l’henge, riprendendo il proprio aspetto adulto. I bambini sussultarono sorpresi, alcuni di loro arretrarono a nascondersi ancor di più nelle zone d’ombra. Alzò quindi le mani, in un segno di pace. “Va tutto bene, ci manda Konoha. Siamo qui per salvarvi”.
La prima bambina che aveva parlato lo guardò diffidente, anche lei era arretrata di qualche passo.
Siamo?” ripeté incerta.
Obito sorrise, poi il suo occhio si colorò di rosso. Ci fu un altro sussulto generale da parte dei bambini, sentì perfino alcuni di loro bisbigliare il nome dello sharingan in riconoscimento. Ci fece poco caso, mentre richiamava dalla dimensione di kamui sia Kakashi che Itachi. Entrambi atterrarono un po’ barcollando sul pavimento, frastornati dallo strano metodo di viaggio.
Kakashi fu comunque subito operativo. “Siamo dentro?”
Obito annuì. “Mi hanno portato dagli altri bambini”.
“Sono tutti qui?” chiese saggiamente Itachi, ancora barcollando un po’.
Fu la bambina a rispondere. “Ieri sono passati a prendere alcuni di noi, ma non so dove li abbiano portati”.
“Che siano già stati spediti?” suggerì Kakashi.
Obito strinse la mascella. “Controlleremo, magari li hanno solo spostati in un’altra stanza”.
Si inginocchiò e appoggiò il suo braccio artificiale sul pavimento. Si sentì uno scricchiolio mentre il terreno veniva spaccato da delle radici, Obito corrucciò lo sguardo per lo sforzo e continuò a far crescere il mokuton attraverso il terreno.
“Cosa stai facendo?” chiese Itachi.
“Controllo i movimenti nella base” spiegò. Era una tecnica che gli aveva insegnato Zetsu, il legno con il suo chakra gli avrebbe permesso di tenere conto di chi si spostava in un determinato posto. Grazie ai ricordi del contrabbandiere che aveva messo sotto genjutsu sapeva perfettamente come fosse disposta la base e dove operavano.
Purtroppo farlo gli costava non poca energia.
“Al momento ci troviamo nella stanza più profonda della grotta. La maggior parte dei contrabbandieri si trova all’entrata e nella prima stanza” iniziò. “Ce ne sono alcuni sparsi a sorvegliare i corridoio e ce n’è un’altra concentrazione davanti a questa stanza”.
“I bambini?” chiese Kakashi.
“Credo siano nella prima stanza, quella subito dopo l’entrata. Quel sigillo di merda rende difficile percepire le loro firme di chakra. Oh…” considerò. “Ho rilevati altri stronzi nella loro stanza comune, merda”.
Staccò il braccio dal pavimento, dove era comparsa una piccola piantina secca e nera. Nonostante le sue ridotte dimensioni, le sue radici stavano viaggiando per tutta la lunghezza della base.
Cominciò a disegnare sul terreno una cartina stilizzata dell’ambiente dove si trovavano, segnando i vari punti dove si trovavano i mercenari. Itachi capì subito quale fosse il problema.
“Sono molto dispersivi”.
Con Kakashi avevano predisposto due strategie per vincere quella battaglia: o con lo stealth, o ammassando tutti in unico punto e metterli sotto scacco con le loro abilità superiori. Ma dovevano anche tenere conto dei bambini, non ferirli e soprattutto permettere loro una fuga, senza contare che a quanto pare non erano uniti tutti in unico punto come avevano sperato.
Obito socchiuse gli occhi, riorganizzando mentalmente le nuove informazioni.
La prima opzione non era fattibile, erano troppi e in troppi punti diversi – dispersivi, appunto – e non avrebbero mai potuto renderli tutti inoffensivi prima che scoppiasse l’allarme di intrusione. Il secondo punto era comunque infattibile, proprio perché i contrabbandieri si trovavano sparsi per le varie diramazioni della base.
In quel momento gli mancarono ferocemente i kage bushin di Nozomi, con quelli la missione si sarebbe risolta in pochi minuti. Mentalmente maledì ancora l’Hokage per non averli fatti andare insieme.
Sospirò, anche se non poteva evocare mille copie di se stesso come Naruto poteva comunque aumentare di un po’ il loro numero.
“Itachi, quanti kage bushin per combattere puoi evocare?”
“Quattro” rispose prontamente.
“E puoi usare i tuoi corvi qui sotto terra?”
Annuì ancora, Obito allora aggiunse:
“Andremo in stealth in un primo momento, almeno per eliminare i vari contrabbandieri dispersi nei corridoi. Per farlo useremo i miei cloni e i tuoi corvi, Itachi. Mettili sotto genjutsu, Kakashi mi ha detto che sei bravo in questo”.
“Lo sono” assicurò.
“Io e te andremo nella prima stanza e combatteremo il gruppo, soprattutto cercheremo di far crollare l’entrata. Una volta chiusi qui dentro non ci sarà da preoccuparsi su chi sia vivo e morto. Li lasciamo qui e basta”.
“Ma i bambini lì?” domandò Kakashi, poi indicò il gruppo che progressivamente si stava avvicinando sempre più curioso. “Come deciso, di questi me ne occuperò io. Userò un jutsu di terra per aprirci una strada alternativa che non passi per l’entrata, ma gli altri?”
Obito annuì. “Degli altri ci penserò io con kamui, del resto sono solo tre”.
La bambina sussultò, poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Ma… ieri hanno portato via otto di noi…”
 I volti dei tre ninja si oscurarono al significato di quelle parole, erano arrivati troppo tardi per salvare ben cinque di loro. Obito macinò tra loro i molari, sentendo la mascella scricchiolare per lo sforzo. Doveva concentrarsi sugli attuali bambini, solo su di loro.
“Ci serve un segnale per sapere quando sarete fuori, al sicuro, e poter far crollare questo posto” disse quindi.
“Vi manderò Pakkun una volta liberi” propose Kakashi.
Fece alcuni segni delle mani, poi sbatté il palmo a terra. L’intero suo branco di ninken si materializzò nella caverna. Nel vedere i cani i bambini sussultarono, ma i più coraggiosi si avvicinarono per accarezzarli. Obito approvò internamente, i cani avrebbe aiutato e guidato i bambini lungo il tunnel creato da Kakashi. Si voltò allora verso la bambina.
“Vi prometto che vi salveremo tutti, ma dovete collaborare”. La bambina annuì in soggezione, quindi continuò: “Richiama tutti i bambini in un unico punto e seguitelo,” indicò Kakashi, “vi porterà fuori di qui appena sarà possibile, quindi tenetevi pronti in qualsiasi momento”.
Mentre parlava i bambini avevano già iniziato a raggrupparsi, alcuni prendendo il proprio sacco a pelo. Tutti lo avevano sentito e tutti sembravano intenzionati a fidarsi di loro, anche se erano degli sconosciuti; il desiderio di potersene andare da lì doveva essere molto profondo. I più piccoli apparivano confusi, ma si impegnarono comunque a fare come i più grandi.
Vediamo di fare presto. La velocità in quell’operazione sarebbe stata fondamentale, non potevano permettere ai criminali di preparare un contrattacco.
Alzò l’indice e il medio davanti al naso e richiamò il chakra necessario per creare quanti più cloni possibili, Itachi fece lo stesso. Contò mentalmente i cloni comparsi, in tutto erano poco più di una ventina.
Sospirò, sperando fossero sufficienti.
“Andiamo” ordinò, lo sharingan brillante nel buio.
 
֎
 
Naruto era disperato, il suo cuore batteva folle in gola e gli sudavano le mani.
Fin’ora quella giornata era andata bene: era riuscito ad arrivare in orario all’Accademia, aveva seguito le esercitazioni della mattina senza essere rimproverato troppo, nessuno gli aveva rubato il pranzo – una mela e qualche barretta energetica – e aveva perfino i propri libri con sé.
Non voleva rovinare quella bella giornata, non lo voleva! Ma quei kanji stampati sulla carte del libro scolastico non avevano minimamente senso davanti ai suoi occhi, erano solo simboli arzigogolati dei quali coglieva solo lampi di significato presi singolarmente.  
“Uzumaki, continua tu” tuonò la voce dell’insegnante dal fondo dell’aula.
Ecco, il suo peggior timore si era appena avverato.
Naruto amava stare al centro dell’attenzione, ma non quando sapeva che stava per fallire miseramente. Nonostante ciò si alzò, il libro di seconda mano stretto tra le dita per non far tremare le mani. Prese fiato e cercò di decifrare il primo kanji, e il secondo e il terzo… ma ci metteva molti secondi, il tempo scorreva nel silenzio totale mentre si sentiva solo il suo patetico tentativo di articolare parole collegate fra loro. L’insegnante cominciò presto a spazientirsi e a correggerlo seccato a ogni verso e anche gli altri bambini cominciarono ad agitarsi. Naruto sentiva i loro bisbigli, sapeva che tutti lo fissavano con scherno.
“Non sa ancora leggere… che idiota”.
Aumentò la presa sul libro, e strizzò gli occhi umidi per riuscire a leggere. Si sentiva bruciare dalla vergogna, odiava che tutti lo fissassero in quel modo e ridessero di lui. Non era colpa sua se non sapeva leggere, lui ci stava provando.
Ma a quanto pare non era abbastanza. Stava solo facendo ancor di più la figura dello stupido. Tanto valeva, a quel punto…
Prese fiato e ricominciò a leggere, questa volta con voce chiara e forte, senza pause o tremolii nella voce. Ma non stava davvero leggendo, stava inventando quello che c’era scritto ripetendo una barzelletta sporca che aveva sentito da un vecchio in strada. Aggiunse ogni genere di stupidaggine e doppio senso, facendo scoppiare a ridere i compagni di classe e infuriare il maestro, che iniziò a gridargli contro. Ma Naruto continuò imperterrito, arrivando a urlare per sovrastare i rimproveri, tra l’ilarità generale della classe. Si sentì subito meglio: almeno non stavano più ridendo per la sua stupidità, ma per lo scherzo.
Si stava perfino divertendo, almeno finché il maestro non perse definitivamente la pazienza e lo raggiunse al banco, strappandogli con violenza il libro dalle mani.
“Fuori dalla porta!” strillò con il viso tutto chiazzato di rosso. “E non sperare che la tua punizione finisca qui, stupido mostro. Aspetta fuori fino alla fine della lezione!”
Ora nessuna rideva più. Davanti alla minaccia urlata con fin troppa rabbia, tutti i bambini erano caduti nel silenzio totale per paura di essere tirati in mezzo al rimprovero o, peggio, la punizione. Avevano anche abbassato gli occhi sul libro, ignorando tutto come se non fosse successo nulla. Solo Naruto mantenne il contatto visivo con l’adulto, la bocca piegata in una smorfia e gli occhi un po’ lucidi. Avrebbe voluto urlargli contro che non era né stupido né un mostro e che non era colpa sua se non sapeva leggere visto che non glielo aveva insegnato, ma sapeva che era meglio non farlo. Quando un maestro diventava così rosso in viso e gli occhi brillavano di una rabbia così feroce era meglio ingoiare qualsiasi rospo e fare come ordinato. Quindi senza dire niente, con l’espressione contratta e le mani chiuse a pugno, si alzò dal banco e percorse l’intera classe nel silenzio più tombale, fino ad arrivare a sbattere la porta alle proprie spalle.
Una volta solo nel corridoio, iniziò a singhiozzare.
 
 
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Tieni d’occhio Obito è un ordine implicito che gli era stato dato dall’Hokage, Danzo e perfino suo padre – immaginava tutti e tre per motivi diversi – quindi Itachi lo fece per tutta la durata della missione, anche nel cuore della battaglia.
O almeno ci provò.
I contrabbandieri non erano per nulla alla sua altezza, il loro addestramento ninja non poteva essere paragonato a quello a cui si era sottoposto da quando era un bambino. Ma il loro numero contava decisamente e ci volle tutta la concentrazione di Itachi per non essere mai colpito da nessuno di loro. Non sapeva perché, ma voleva dimostrare qualcosa a Obito – forse per il modo accondiscendente con cui lo aveva trattato fin’ora – e fargli capire che a dispetto dell’età era un potente shinobi che non andava protetto. Quindi si sforzò per non essere mai colpito, per non riportare nessun segno e ferita; voleva uscire da quello scontro con nemmeno un capello fuoriposto.
Purtroppo era più facile a dirsi che a farsi. L’ambiente stretto era poco ideale per combattere, soprattutto perché non potevano usare nessuna tecnica su larga scala, o avrebbero rischiato di ferire qualche bambino.
“Itachi, il segnale!” gridò Obito sopra il frastuono della battaglia.
Ottimo, significava che Kakashi-senpai aveva portato in salvo i bambini. Ora dovevano fare il resto. Eliminò gli avversari che gli restavano tra i piedi e coprì Obito mentre raggiungeva i bambini rimasti. Erano andati a nascondersi dietro a delle casse di metallo non appena i combattimenti erano iniziati. Senza dire una parola, Obito li toccò uno alla volta mentre venivano risucchiati nella sua dimensione. Quando un’ora prima era successo a Itachi gli era sembrato così veloce, ma in quel momento – impegnato com’era a combattere – gli parve che durasse un’eternità. Ma alla fine tutti e tre i bambini furono in salvo, Obito raggiunse il suo fianco uccidendo uno dei banditi con un taglio alla gola. Lo schizzo di sangue colpì Itachi, ma non ci fece caso, più interessato alle successive parole di Obito.
“Fuggiamo di qua” ordinò.
Itachi annuì, ma poi si congelò. Obito lo aveva afferrato alla mano e lo stringeva stretto, così stretto che venne trascinato in avanti durante la corsa. Allo stesso tempo la caverna attorno a loro cominciò a tremare e massi caddero dal soffitto, distruggendo il luogo, delle radici spuntarono dal terreno rendendo instabile l’intera struttura. I contrabbandieri iniziarono a urlare più forte, terrorizzati dall’apparente terremoto e dai massi che li colpivano.
Itachi aveva lo sharingan attivato ed era sicuro che più di un masso era caduto su di loro. Piovevano sempre più fitti, sarebbe stato impossibile altrimenti.
Eppure non successe.
Arrivarono all’uscita sani e salvi, Obito non smise mai di tenergli la mano. Di tanto in tanto percepiva impulsi di chakra partire da dove erano uniti lungo tutto il suo braccio.
Obito lo lasciò andare solo quando furono qualche metro fuori dalla base. Lo spinse in avanti, spronandolo a continuare a correre. Confuso, Itachi rallentò solo un secondo poi riprese a correre non mettendo in discussione l’ordine. Si guardò alle spalle,in tempo per vedere Obito eseguire una maestose tecnica di terra che fece crollare  su se stessa – come un castello di carte – ciò che restava della base.
Distolse lo sguardo, riprendendo a correre verso il punto d’incontro consapevole che sarebbe stato raggiunto presto.
Si chiese come diavolo avessero fatto a schivare i massi quando era certo che erano sulla loro testa.
 
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“Per il Saggio, Naruto!” sbottò una voce poderosa. “Che cos’hai fatto questa volta?”
Il bambino sussultò, alzando gli occhi sgranati sul familiare adulto che lo aveva raggiunto. Iruka lo guardava dall’alto al basso torvo, un pacco di fogli sotto il braccio e una pila di libri stretta al petto. I suoi occhi erano stretti in due fessure esasperate, le narici dilatate.
“Allora?” insistette. “Non dovresti essere a lezione?”
Naruto non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era stato cacciato. Si era limitato a scivolare seduto contro il muro, tentando di frenare i singhiozzi e di non piangere. Si era calmato da poco e sentiva gli occhi bruciare, le guance irritate. Strofinò le ciglia, irritando ancor di più la cornea macchiata di rosso. Lanciò uno sguardo di fuoco a Iruka, che ora lo guardava sempre più accigliato.
“Che hai combinato?” insistette.
Ovviamente, perché doveva sempre essere colpa sua per qualsiasi cosa! Non aveva nemmeno il dubbio che fosse solo vittima di un’ingiustizia e questo lo faceva infuriare. Sentì l’impulso di alzarsi e scappare via, come faceva sempre, e correre in città. Avrebbe fatto lo scherzo più colossale della storia degli scherzi, qualcosa che nessuno aveva mai osato fare dimostrando così quanto era fantastico.
E, in un’altra vita, era proprio quello che sarebbe successo.
Ma in un’altra vita, in un altro tempo, Naruto non aveva mai saputo di avere uno zio, qualcuno che si aspettava genuinamente che riuscisse nelle sue materie scolastiche. In un’altra vita, Nozomi non esisteva e nessuno si aspettava qualcosa da lui, di vedere i suoi progressi.
Ma in questa vita sì.
In questa vita, Naruto aveva qualcuno che voleva rendere fiero.
“È perché non so leggere!” sbottò con forza.
Appena lo disse le sue orecchie diventarono di un rosso violento per la vergogna di aver ammesso qualcosa del genere, nascose il viso tra le braccia e morse con forza le labbra per non piangere ancora.
Ci fu un lungo silenzio attonito, non sapeva se perché Iruka era sorpreso dalla sua rivelazione o se perché effettivamente gli aveva detto quale fosse il problema invece di scappare via come al solito.
Sbirciò curioso quando lo sentì sospirare.
“Non sai leggere? Hai quasi otto anni, dovresti” gli fece notare.
Ecco, ovviamente lo avrebbe giudicato invece di essere utile. La delusione gli fece bruciare lo stomaco.
“No, perché non mi avete mai insegnato!” sbraitò.
Iruka gli fece segno di abbassare la voce, erano pur sempre in corridoio durante l’orario scolastico.
“Come sarebbe a dire? Frequenti l’accademia da un anno e mezzo”.
Digrignò i denti. “Gli insegnanti delle altre classi mi hanno sempre ignorato!” protestò. “E quando provavo ad avere la loro attenzione mi buttavano fuori”.
Come adesso, pensò amaramente.
Iruka lo guardò dubbioso, ma almeno non sembrava più arrabbiato.
“Naruto, venivi messo in punizione perché disturbavi la lezione” gli fece notare.
Si irritò. “Tu non c’eri, quindi non lo sai e non è vero!” sbottò. “Facevo solo delle domande perché non capivo la metà di quello che dicevano”.
Iruka lo guardò a lungo, così profondamente che Naruto si sentì arrossire ancora una volta. Sembrava che stesse combattendo una furiosa battaglia dentro di sé, forse non sapeva se credergli o meno.
“È la verità, dattebayo!” insistette quindi.
L’insegnante sospirò. “Dovresti comunque saper leggere a questa età” gli fece notare. “Devi imparare se non vuoi restare indietro, ormai tutti noi diamo per scontato che voi sappiate farlo”.
Ma lo aveva ascoltato almeno? Lo guardò frustrato, sul punto di scappare perché davvero non ce la faceva più, si sentiva umiliato come un verme.
“E come faccio se non ho nessuno che può insegnarmi?!” gridò. “Non ho nessuno, non posso neanche vedere mio zio!”
La porta della classe si aprì, il maestro uscì livido con la buona intenzione di rimproverarlo aspramente a giudicare dall’espressione furiosa. Ma si bloccò non appena si accorse della presenza dell’altro insegnante.
“Iruka” disse esasperato. “Mi dispiace che questo idiota stia facendo confusione in corridoio, dovrebbe essere in punizione ma a quanto pare una non gli basta”.
Naruto lo fulminò, ma Iruka intervenne prima che potesse mettersi ancor di più nei guai.
“Nessun problema” rassicurò cordiale. “Lo porto con me in sala insegnanti”.
Quello parve molto sollevato, quasi non dovesse più occuparsi di un fastidio enorme, e lo ringraziò con un lungo inchino prima di rientrare in classe. Naruto invece lo guardò sconvolto, non aveva mica intenzione…
“Vuoi mettermi in punizione?” sgorgò incredulo e ferito. Non poteva arrabbiarsi con lui solo perché aveva urlato in corridoio, non quando si era sfogato con lui e aveva ammesso quelle cose.
Iruka gli fece cenno di iniziare a camminare. “No, ti insegnerò a leggere” disse risoluto.
La mascella di Naruto quasi cadde a terra, si affrettò a seguire l’uomo per il corridoio con i passi che inciampavano fra loro. Non osava crederci, sperarci.
“Davvero?”
Iruka guardava dritto davanti a sé, gli occhi ancora nuvolosi da mille pensieri. Strinse con più forza il materiale che aveva sottobraccio.
“Sono un insegnante, è mio dovere insegnarti” disse e Naruto sorrise raggiante.
Anche se sembrava averlo detto per se stesso, che per il bambino.
 
֎
 
 
La radura era piena di bambini spaventati, ma i niken di Kakashi stavano riuscendo nel loro compito di rassicurarli. Era incredibile l’effetto che potevano fare gli animali con i bambini, Itachi aveva permesso perfino che toccassero i suoi corvi…
Kakashi era in perlustrazione, per assicurarsi che nessuno fosse sopravvissuto, mentre Obito aveva appena mandato un falco a Konoha, a breve sarebbero arrivati i rinforzi per portare tutti al Villaggio. Itachi non aveva idea di cosa avrebbero fatto con i bambini, anche se sospettava che Danzō sarebbe stato molto interessato a essi visto che quasi tutti loro possedevano un kekkei genkai.
Strinse i senti al pensiero, emettendo un sibilo secco.
“Sei ferito?”
Sussultò un po’ nel sentire Obito. Gli si era avvicinato e lo guardava dalla testa ai piedi con fare critico. Itachi ricambiò lo sguardo, il suo volto impassibile ma dentro di sé era soddisfatto di vedere che Obito era un po’ più pallido e che c’era del sudore sulle tempie. Certo, era comunque privo di qualsiasi ferite ed era da quando erano partiti che continuava a mostrare azioni spettacolari una dopo l’altra con nonchalance.
Itachi era molto stanco e sudato, con l’adrenalina ancora a mille, ma scrollò le spalle.
“No, solo graffi e lividi” dovette ammettere. Avrebbe voluto apparire anche lui illeso quanto e più Obito, con solo un lieve strato di sudore.
L’altro Uchiha continuò a fissarlo anche dopo la sua risposta, poi sospirò.
“Sei stato bravo, come stanno gli occhi? Bruciano?”
Dopo essersi sentito sminuito per tutto il tempo, quel complimento lo inorgoglì più del dovuto. Mantenne la propria espressione apatica, fingendo che il rossore fosse causato dalla fatica e non dal calore allo stomaco.
“Un poco, è sopportabile” disse.
Obito ronzò gutturale e prima che Itachi ne avesse sentore si era avvicinato a lui. Si congelò in allerta quando lo toccò alle tempie con le punte delle dita e sussultò quando avvertì una scossa di chakra, pronto ad allontanarsi. Ma poi sentì il mal di testa alleviarsi, i suoi flussi di chakra calmarsi…
“Cosa stai facendo?” domandò aggrottando la fronte.
I polpastrelli erano ancora sulla pelle sudata, fili sottili si chakra che si connettevano ai suoi punti di fuga.
“Un trucchetto contro gli effetti collaterali dello sharingan” spiegò. “Tolgo il sovraccarico dal tuo sistema e curo dove necessario”.
Sbatté le palpebre, sorpreso che si potesse fare qualcosa del genere.
“Conosci anche il palmo mistico” mormorò accorgendosi troppo tardi di quanto era suonato geloso.
Un po’ lo era. Fugaku non gli aveva mai permesso di imparare le tecniche mediche, dal momento che come molti aveva un pregiudizio verso i ninja medici. Credeva fossero dei codardi in quanto dovevano essere protetti da altri…
“Non davvero” disse. “Ho imparato le tecniche curative Uchiha dei tempi passati però”.
Lo guardò sorpreso. Non sapeva nemmeno potesse esistere qualcosa del genere, nei suoi studi non aveva mai trovato nulla del genere, non venivano nemmeno menzionati jutsu medici… chissà come era riuscito a impararli. Anche perché tutte le tecniche Uchiha erano custodite all’interno del Villaggio dal Clan, nessuno aveva mai permesso che oltrepassassero le mura della famiglia. Come poteva conoscerle se era stato un nukenin per anni? Da quello che aveva borbottato suo padre, Obito da bambino – prima del tradimento – era un imbranato poco brillante, quindi era escluso che le avesse imparate in quel periodo. Questo ovviamente senza contare il pregiudizio generale verso l’arte medica, probabilmente era per questo se Itachi non aveva mai sentito di queste tecniche curative.
Perché le conosceva? Da cosa o chi le aveva imparate?
Danzō aveva ragione, Obito era strano e aveva segreti. Il consigliere non gliene aveva parlato apertamente, ma aveva capito che doveva avere in qualche modo a che fare con Uchiha Madara.
Abbassò gli occhi, fissando il suo busto intatto. I vestiti non erano nemmeno strappati, tagliati da nessuna lama… era impossibile che in quella baraonda nessuno fosse riuscito a colpirlo in alcun modo. I vestiti di Itachi erano un disastro e lui aveva fatto di tutto per non essere ferito, Obito non poteva essere così tanto più bravo di lui nello schivare. Era semplicemente impossibile.
A meno che…
Inspirò e lentamente, senza allarmare Obito, allungò le dita a prendere uno dei propri kunai, in un movimento così impercettibile che nessuno avrebbe mai potuto notarlo. Poi, repentino come un serpente, attaccò al suo braccio. Per Obito sarebbe stato impossibile schivare, a meno che…
La lama del pugnale si conficcò nella carne. Obito si bloccò e Itachi mollò la presa sconvolto, il kunai rimase fisso nel braccio. Lo aveva davvero colpito, anche se non c’era nessun rivolo di sangue…
Obito staccò le mani dalle sue tempie, guardandolo attento.
“Che diavolo?”
Itachi deglutì, un po’ agitato. “Io… credevo potessi renderti intangibile”.
Seguì un piccolo silenzio in cui l’occhio di Obito non abbandonò la sua faccia, faticò a restare inespressivo sotto quello sguardo scrutatore.
“Questo è molto stupido” disse alla fine, seccato ed esasperato.
Lo guardò mentre si staccava il kunai dal braccio, rimase stupito nel non vedere nessuna traccia di sangue. C’era solo del liquido verdastro, un po’ trasparente, simile alla linfa degli alberi.
“Almeno hai beccato la parte finta” borbottò Obito passando le dita sulla ferita.
Giusto, Danzo gli aveva parlato delle cellule di Hashirama. Era rassicurato dal fatto di non averlo ferito davvero, visto che a quanto pare si era sbagliato. Obito non era l’uomo mascherato, non sapeva rendersi intangibile come lui, il suo Magekyo riguardava solo il teletrasporto. Inoltre sarebbe stato strano se fossero stato la stessa persona, visto quanto era gentile con lui…
“Scusami” disse, sentendosi un po’ stupido.
Ricevette un’occhiata strana. “Giuro che non sto facendo nulla di male al tuo sharingan, quindi non pugnalarmi ancora” borbottò alzando le mani. “Posso riprendere?”
Annuì, capendo che Obito credeva lo avesse colpito per paranoia manomettesse la sua rete di chakra oculare. Lasciò senza fiatare che riportasse i polpastrelli sulle tempie, il chakra tornò a formicolare sulla sua pelle, unendosi al suo. Il fatto che Obito fosse un Uchiha rendeva i loro chakra abbastanza simili da rendere il processo più facile. Itachi si sentì presto la testa libera, non più pesante e la sensazione di dolore tra le sopracciglia svanì del tutto. Rimase un po’ stupito dall’effetto immediato.
“Ecco fatto, come va?” domandò Obito.
“Molto meglio” ammise. “Puoi mostrarmi come si fa?” chiese. Impararlo sarebbe stato molto utile, anche per Shisui che per colpa del Mangekyo aveva emicranie ben peggiori.
Obito allungò un lato della lebbra in un sorriso storto.
“Intendi insegnartelo?”
“Basterà mostrarmelo, capirò subito come si fa e saprò riprodurlo” cercò di rassicurarlo un po’ ansioso, temendo che non volesse perdere tempo in qualcosa del genere. “Sono tecniche Uchiha, lo hai detto tu, ho il diritto di impararle” aggiunse.
L’adulto sbuffò e prima che se ne rendesse conto aveva ancora la sua mano sul capo, ad arruffargli i capelli.
“Voi genietti sete troppo sicuro di voi. Comunque sì, quando vuoi, ma prima torniamo a Konoha”. Voltò il viso di profilo, facendo un cenno con il mento verso i bambini. “Raggruppali, non mancherà molto che arrivi l’altra squadra”.
Itachi annuì diligente e felice di avere qualcosa da fare.
 
Obito lo guardò allontanarsi, poi abbassò gli occhi sul proprio braccio. La ferita era già guarita, c’era solo lo strappo della divisa. Fece una smorfia, trattenersi dall’utilizzare kamui era stato difficile, il senso di pericolo lo aveva quasi tradito. Ma almeno quel colpo sembrava aver convinto Itachi. Il bambino era bravo a mascherare le sue emozioni, ma Obito era comunque più bravo nel capire gli altri e farli muovere a proprio vantaggio. Non aveva previsto che lo pugnalasse, ma almeno aveva potuto vedere il sospetto evaporare dal suo sguardo non appena aveva visto che la carne era stata penetrata, che non poteva rendersi intangibile. Non era del tutto una bugia, il kamui non lo rendeva immateriale, trasportava solo parti del suo corpo nella sua dimensione dando l’illusione di intangibilità.
Sospirò, sapeva di aver fatto un errore a usare kamui per uscire da lì, ma non aveva trovato altra soluzione e una caverna che cadeva in se stessa aveva portato brutti ricordi. Almeno era finita bene, sperò che Itachi avesse abbandonato i suoi sospetti.
Alzò lo sguardo al cielo, appena visibile tra le fronde degli alberi. Si stava facendo tardi e, senza evitarselo, cominciò a chiedersi cosa stesse facendo in quel momento Nozomi…
 
 
 
 
Ehi! Scusate il ritardassimo ;__; il tempo ultimamente mi vola tra mille cose e arrivo a fine giornata esausta che non so nemmeno come sia successo!
Ma finalmente abbiamo un nuovo capitolo e spero non ci voglia molto anche per il prossimo :) Questo riguardava la missione di Obito, il prossimo ovviamente sarà tutto su quella di Nozomi! Faranno la loro comparsa anche vecchi amici… ma niente spoiler!
Spero che anche la scena tra Naruto e Iruka vi sia piaciuta <3 La semplice presenza di Nozomi ha portato un piccolo cambiamento, che porterà a un’evoluzione anticipata del loro rapporto. Certo, non è ancora il nostro Iruka-sensei, ma si è reso conto in anticipo che Naruto è solo un bambino solo che ha bisogno di qualcuno che lo aiuti. Da qui le cose procederanno <3
 
Un bacino e biscotti per tutti quelli che stanno ancora seguendo la storia nonostante i lunghi tempi *^* vi si ama!
Hatta
 
Ps. Ah, la canzone a inizio capitolo è sia per Naruto che per Itachi. Itachi perché “non deve correre così tanto”, cioè avere fretta di imparare qualsiasi cosa e bruciare le tappe di crescita; Naruto invece perché anche se al momento è l’ultimo della classe in tutto almeno ci sta mettendo anima e cuore in tutto.

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Capitolo 15
*** Extra 1 - Love Attack! ***


Questo non è il capitolo!
Salve e benvenuti al primo extra di questa storia xD Come avevo già detto a qualcuno in qualche risposta, ho intenzione di aggiungere alcuni momenti tra Obito e Nozomi nel loro momento vuoto tra il primo incontro e l’incontro con Jiraiya. Ero un po’ indecisa se farne una raccolta esterna alla storia, ma poi ho deciso di inserirli qui tra un capitolo e l’altro, così che nessuno li perda. Non sono fondamentali per la trama principale, ma sicuramente vi aiutano a capire meglio molte cose della loro caratterizzazione ^^
Inoltre oggi ho superato il mio ultimo esame della triennale *coriandoli*, quindi volevo festeggiare. Ora che ho “solo” la tesi credo di poter gestire meglio le tempistiche di questa storia, anche se comunque penso che i tempi saranno larghi ;___; ma prometto di non stare ferma per mesi, almeno durante l’estate voglio scrivere il più possibile.
 
Ho anche un altro piccolo annuncio che non c’entra nulla con questo extra, ma proprio con la storia principale: vi consiglio di rileggere i primi capitoli.
Perché? Perché ho cambiato alcune cose!
A un anno dalla pubblicazione del prologo mi sono resa conto che c’era una cosa che non mi soddisfava: il motivo per cui Nozomi finiva nel passato ed era costretto a restarci, proprio non mi piaceva. Quuuindi, ho deciso di fare una virata verso la classica: non stavano vincendo la guerra contro Kaguya, quindi alcune cose rispetto al canonverse sono andate diversamente e l’ultima cosa che potevano fare era mandare qualcuno nel passato a risolvere i casini prima che si presentassero. Questa comporta che Nozomi è un po’ più giovane (21/22 anni), inoltre al momento gira con un paio di sharingan di Futuro!Obito in tasca, essendosi impiantato il suo kamui per poter viaggiare nel tempo lol Ed è anche più ansioso perché ovviamente deve salvare il mondo dall’imminente apocalisse. Inoltre ho aggiunto alcuni dialoghi e scene in mezzo a quelli già esistenti degli scorsi capitoli perché sentivo che mancava qualcosa, ora sono molto più soddisfatta.
Credo di aver detto tutto, quindi vi lascio all’extra che spero sia di vostro gradimento <3
 
 
 
Extra 1
Love attack!
 
 
 
Il messaggio arrivò mentre si stavano allenando nel taijutsu, il primo a notarlo fu proprio Naruto. Chiamò una pausa e anche Obito notò il ranocchio al bordo dello spazio erboso, gli occhi gialli impassibili e una pergamena legata al collo. Sparì non appena Naruto gliela slacciò.
Obito guardò brevemente il compagno mentre leggeva la lettera, poi alzò la testa al cielo facendo scricchiolare le vertebre del collo. Allungò un po’ le braccia e le gambe, i muscoli indolenziti per il lungo scontro appena concluso. Combattere Naruto non era uno scherzo, era quasi distruttivo. Fin’ora era l’unico che era riuscito nel farlo sudare.
Stiracchiandosi controllò la baita abbandonata dove stavano soggiornando da alcuni giorni. Dopo la disastrosa e inconcludente conversazione con lo Tsuchikage, erano fuggiti dal paese della Terra per trovare rifugio in quello del Fulmine. Si sperava che, con l’aiuto di Killer B e Yugito Nii, il Raikage fosse più ragionevole del suo collega più anziano e scorbutico. Non avevano ancora avuto nessun colloquio a faccia a faccia, quando avevano reso noto il loro arrivo il Raikage aveva inviato dei messi per tastare le acque, diffidente nonostante le rassicurazioni di Killer e Yugito. Almeno non erano assassini, anche se a quanto pare non sarebbe stato facile… non che potesse biasimarlo, in fondo erano due shinobi sconosciuti che si volevano intromettere nei suoi affari politici. Come era stato deciso nessuno dei Kage era stato messo al corrente del futuro – nonostante Naruto fosse scioccamente fiducioso, aveva abbastanza buon senso da capire che in quel momento i Kage non erano le stesse persone disposte al dialogo che aveva conosciuto lui, anzi era molto probabile che potessero usare certe informazioni a proprio vantaggio che per una collaborazione comune.
Quel posto era abbastanza sperduto da non essere trovato senza il loro permesso, ma anche abbastanza vicino alla Nuvola da permettere un intervento in qualsiasi momento.
Fu distratto dalle sue contemplazioni dal verso sibilato del compagno, un suono secco e pieno di problemi. Obito ebbe subito motivo di preoccuparsi.
“Cosa dice?” domandò controllando il tono della propria voce, in modo che apparisse calmo e disinteressato.
Naruto cominciò a muoversi agitato, come un animale in gabbia. La lettera era così stretta nelle sue mani che il foglio si stava accartocciando nella prese. Gli occhi erano lontano, sfocati, quasi non l’avesse sentito. Ma rispose subito.
“È di Roshi” disse.
Il Jinchūriki dello Yonbi, riconobbe, e si chiese che cosa avesse da dire di così urgente da usare uno dei rospi di Naruto invece di attendere una delle riunioni mentali dei Bijū, soprattutto quando avevano lasciato il Paese della Terra da poco più di una settimana.
“Cos’è successo?” lo sollecitò a continuare.
“Ōnoki in qualche modo ha scoperto che stiamo trattando con A e ha preso il tutto come una dichiarazione di lealtà alla Nuvola a suo danno” spiegò senza smettere di camminare.
Obito non era sorpreso. Non gli piaceva che il vecchio decrepito fosse riuscito in qualche modo a scoprire dove fossero e cosa stavano facendo, ma la sua reazione era ovvia. La Nuvola e la Roccia erano in una guerra non dichiarata da anni, anche se la Terza Guerra Shinobi era ufficialmente riconosciuta come conclusa da tutte e cinque le grandi nazioni, i due Villaggi non avevano mai accordato trattati di paci e avevano continuato la guerriglia.
In ogni caso, non capiva quale fosse il problema.
“Era già chiaro che non voleva darci ascolto” gli ricordò. “Abbiamo deciso di ritentare più avanti e accontentarci dei risultati già ottenuti”. Capì quale fosse il problema non appena finì di parlare e strabuzzò gli occhi sconvolto. “Sta per attaccare i Kesseki?”
Lo sguardo plumbeo e pesante di Naruto era una risposta più che sufficiente. Si passò una mano tra i capelli, imprecando alla prospettiva.
“Merda”.
“Roshi dice che l’attacco è previsto per la fine del mese. Ha minacciato di diventare un nukenin se accadrà, ma… il vecchio non l’ha preso sul serio. Come nella mia linea temporale, non è cambiato nulla! Siamo solo riusciti a rimandarlo di un anno” concluse sconvolto.
Obito non rispose. Lui non conosceva la strage dei Kesseki, ma a quanto pare era una delle pagine nere della storia Shinobi. Aveva sentito ovviamente della formazione del Villaggio dei Kesseki: dopo la Terza Guerra Ninja, un clan di shinobi della Roccia, i Kisseki appunto, aveva deciso di abbandonare il villaggio per seguire ideali di vita pacifisti. Avevano creato un insediamento a nord del paese, cercando una vita tranquilla e lontana dagli scontri. Ōnoki tentava da anni da reclutarli per la sua guerriglia contro la Nuvola, ma avevano sempre rifiutato. Nel tempo di Naruto, lo Tsuchikage aveva deciso di etichettarli come criminali e ne aveva ordinato il genocidio. Tutto il clan era stato decimato, il paese raso al suolo. Non essendo un clan rinomato come, per esempio, quello degli Uchiha, per molto tempo la Roccia era riuscito a tenere il fatto nascosto, ma anche dopo che si era venuto a sapere la notizia difficilmente aveva superato i confini nazionali. Chi lo aveva scoperto aveva girato la testa dall’altra parte, per nulla sorpreso, come per tutte le stragi di clan che in quegli anni di riassestamento si stavano compiendo. Se gli Uchiha avevano avuto tanto risonanza era perché si trattava di uno dei clan d’elite più famosi tra le nazioni, senza contare che erano stati sterminati in una sola notte da un loro membro interno… non qualcosa che si sente tutti i giorni, insomma.
Naruto ora, nel passato, stava cercando di evitarle tutte. Non solo quella del Clan Uchiha, ma di tutti i clan che erano stati cancellati dalla memoria per paura e odio. Alla Nebbia, grazie il totale appoggio della nuova Mizukage, c’era riuscito; nella Sabbia non doveva temerlo – gli shinobi erano così pochi e preziosi che non sarebbero mai stati così sciocchi da fare epurazioni interne; a Konoha l’unico che ci sarebbe stato era quello del Clan Uchiha, mentre con la Nuvola ci stavano lavorando proprio in quel momento.
La Roccia non aveva collaborato. La promessa che erano riusciti a strappare allo Tsuchikage aveva salvato i Kesseki solo per un anno.
“Lo contrasteremo” decise senza mezzi termini Obito.
“Se interverremo ci inserirà nel bingo book come nemici della Roccia” mormorò Naruto. “E… riprenderà a fare affari con l’Akatsuki”.
Obito provò un’esplosione di rabbia a quell’infimo ricatto. Non gli importava nulla di essere etichettato come nukenin, era la faccenda Akatsuki il problema. La Roccia era la fonte principale di guadagno dell’organizzazione, visto che era disposta a pagarli a peso d’oro per avere formidabili shinobi contro la Nuvola. Da un anno a questa parte, dopo l’insistenza di Naruto, avevano finalmente smesso di fare appoggio su di loro. Per l’Akatsuki era stato un duro colpo, Kisame aveva confermato che ormai faticavano a trovare nuove risorse monetarie. Con la Roccia a riempire nuovamente le loro casse, Pain avrebbe potuto continuare con il suo piano di monopolio della guerra.
O quello, o la morte di persone innocenti e pacifiche.
Bastardo avido, pensò nella sua mente.
“Cosa vuoi fare?” domandò quindi, anche se conosceva la risposta.
“Devo fermarlo” disse infatti, il tono strozzato e gli occhi spalancati. “Gli ho promesso che lo avrei fermato. Lui… Ōnoki-jiji se ne pentirà moltissimo in futuro, lo considererà il suo più grande rimpianto. Mi ha supplicato di non farlo accadere anche qui… Gliel’ho promesso” ripeté con più forza. “Non può succedere, non può essere tutto inutile. Devo fermarlo!”
“Naruto…” mormorò Obito preoccupato dal suo impallidire sempre di più, ma il ragazzo non lo ascoltò.
Riprese a camminare frenetico, gli occhi spalancati e l’espressione terrea.
“Roshi è appena scappato dalla Roccia, come nel mio tempo. Anche se è per un motivo diverso, ha lasciato la Roccia e lo Tsuchikage gli darà la caccia. Assumerà l’Akatsuki per farlo! E l’Akatsuki riuscirà a prenderlo, come nel mio tempo. Imprigionerà Son Goku nella Statua e Roshi morirà… ancora!” gemette. “Non sarà servito a nulla, tutti gli sforzi… cazzo. Il risveglio di Kaguya sarà più vicino… tutto quello… succederà ancora… non sarà servito a nulla…”
Naruto aveva l’affanno, il suo fiato diventava sempre più veloce e difficile mentre parlava, le parole quasi venivano nascoste dai suoi respiri irregolari. Era pallidissimo, tutto il colore dorato della sua pelle era svanito dal viso, e lo sguardo era sempre più sfocato mentre si sforzava di respirare. Campanelli di allarme suonarono nella testa di Obito mentre capiva cosa stava accadendo.
Un attacco di panico.
Lo ebbe appena realizzato che Naruto si portò una mano al petto e crollò sulle ginocchia. ormai non balbettava più, il suo unico sforzo era respirare. Ma non lo stava facendo nel modo corretto, se avesse continuato a prendere così tanta aria senza buttare fuori sarebbe andato in iperventilazione e il suo corpo non avrebbe retto lo sforzo. L’anidride carbonica avrebbe continuato a diminuire, mentre l’ossigeno sarebbe aumentato più del necessario e i muscoli si sarebbe contratti, dandogli ancor di più la sensazione di soffocare e così in un circolo vizioso.
Doveva riprendere a respirare correttamente.
“Naruto, rallenta” ordinò inginocchiandosi al suo fianco.
Senza rendersene conto era scivolato nel ruolo di comandante, cosa che faceva ogni volta che si presentava una difficoltà che temeva di non poter affrontare; vedere Naruto in quello stato, sempre così forte e determinato, lo stava spaventando e quasi inconsciamente stava tentando di proteggere se stesso tornando nei panni di Madara.
“Naruto, se non respiri correttamente sverrai. Naruto” ripeté il suo nome quasi fosse una formula magica che lo avrebbe fatto tornare in sé.
Ma il ragazzo biondo non lo stava ascoltando. O anche se lo aveva fatto, non riusciva a seguire i suoi consigli. La sua faccia era diventata appiccicaticcia per un sudore freddo, i respiri sempre più rauchi e il corpo sempre più rigido, tremante. Obito tentò di ricordare tutto quello che aveva letto sugli attacchi di panico quando era un genin, poi agì d’istinto.
Prese le guance di Naruto tra le mani – erano umide, quando aveva iniziato a piangere? – e premette i loro volti insieme. Cercò alla ceca le labbra e lo costrinse ad aprirle alla sua bocca. Lo baciò, tenendolo stretto perché non si staccasse e continuò a baciarlo anche se rimase immobile. Continuò a baciarlo anche quando, timidamente, le labbra si mossero in ricambio. Non era quello l’obiettivo, ma non poté evitare il brivido che scivolò lungo la sua schiena, l’improvviso calore al fondo dello stomaco. Lo baciò, liberandolo dalla sua stretta solo quando il corpo non fu più contratto e tremante.
Distanziò i loro visi, cercò di non fare caso a quanto fossero rosse e gonfie le labbra di Naruto. Sfuggì agli occhi azzurri, sgranati nella sorpresa, vergognandosi un po’ per il suo gesto impulsivo.
“Non respiravi correttamente, rischiavi un sovraccarico di ossigeno. Così ti ho impedito di respirare troppo velocemente” spiegò meccanico, come se non avesse fatto un gesto troppo intimo.
Naruto scivolò a terra, crollando ancora provato tra l’erba alta. Alcuni fili verdi solleticavano le sue guance, lentamente stava riacquistando un po’ di colore ora che non si affannava più per respirare.
“Che cosa?” domandò nonostante ciò con il fiato corto.
“Stavi iperventilando, il tuo ossigeno nel sangue stava aumentando mentre l’anidride carbonica diminuendo, sbilanciando l’altezza di acidità nel sangue. Non riuscivi a calmare il respiro quindi… il bacio lo ha fermato e i livelli di anidride carbonica e ossigeno sono tornati stabili” spiegò meccanico, cercando di metterci più professionalità possibile nel suo gesto.
Naruto lo guardava con gli occhi larghi come piattini, sembrava davvero confuso. Ma forse era anche per i rimasugli dell’attacco di panico. In fondo lo stress non era stato evitato, aveva regolarizzato il suo respiro ma c’era il rischio si ripresentasse. Prese fiato quindi.
“Lo avevo imparato da ragazzino, appena laureato. Nel caso… Rin…”(fece così male dire il suo nome dopo tutti quegli anni)”…avesse avuto un attacco di panico avrei saputo cosa fare”.
Gli occhi azzurri si strinsero appena, tirati ai lati dall’accenno di sorriso.
“Intendi una scusa per baciarla”.
Ignorò quel commento. “Non mi è mai servito, anche nei momenti di maggior tensione lei era così calma. Anche quando facevamo missione di rifornimento e camminavamo a un passo da accampamenti nemici, lei non aveva mai paura. O non lo mostrava. Probabilmente ero io quello più agitato” aggiunse con disprezzo, il tono che aveva ogni volta che ricordava quanto fosse stato stupido e ingenuo da bambino. “Rin non aveva mai paura. Mai. Faceva tutto ciò che doveva senza tremare, non importa quanto fosse spaventoso o difficile”.
Come gettarsi sul raikiri del suo migliore amico.
Strinse i pugni al pensiero, ma lo allontanò subito. Non doveva avvelenarsi con il passato.
“Anche Kakashi riusciva a mantenere la calma, ma credo che lui imbottigliasse i suoi sentimenti. Sai, la regola dello shinobi perfetto” continuò alzando gli occhi al cielo. “Minato-sensei non c’è neanche da parlarne, lui era lo shinobi perfetto”.
Si interruppe, accorgendosi che Naruto aveva effettivamente calmato del tutto il suo respiro e lo stava guardando attento. Obito provò l’istinto di scappare a quello sguardo.
“È la prima volta che mi parli di loro” disse il viaggiatore del tempo. “Anche in futuro… non l’hai mai fatto. Non così”.
Corrucciò la fronte, chiedendosi perché sapere questo lo faceva sentire come se avesse vinto un punto rispetto al se futuro. Davvero, non capiva perché a volte sentisse una sorta di competizione con l’Obito di cui gli parlava Naruto, quello che era arrivato a strapparsi gli occhi per dare una seconda possibilità al mondo.
“Be’, stavo cercando di distrarti” disse con una scrollata di spalle. “Così da superare l’attacco di panico”.
Naruto si portò una mano al petto, come accorgendosi solo in quel momento che il cuore non batteva più doloroso e impazzito. Sorrise.
“Ne sai una più del Saggio”.
“Modestamente…”
Si ritrovarono a condividere una piccola risata, guardandosi di sottecchi. Per Obito quella non era la prima risata dopo anni, in un modo o nell’altro Naruto lo aveva già fatto ridere in passato con la sua spontaneità, ma non era… abituato. Anche quando faceva un solo stiramento delle labbra restava un po’ sorpreso dalla genuinità del sentimento che provava. Era una piccola felicità…
Naruto tornò a parlare, la voce più tranquilla.
“Quindi questo è il mio quarto bacio non-bacio…” lamentò esasperato.
Inarcò un sopracciglio. “Quarto?”
Nei suoi ricordi ne aveva visti solo due, il bacio accidentale con Sasuke quando erano bambini, la respirazione a bocca a bocca di Sakura durante la Guerra… e basta. Poi c’era il suo avvenuto appena pochi minuti prima.
Gli occhi azzurri lo guardarono comicamente depressi.
“Orochimaru” rabbrividì di disgusto. “Stavo tipo… affogando, Orochimaru è stato quello che mi ha tirato fuori e mi ha fatto la respirazione bocca a bocca. No, non lo ricordo e non voglio ricordare” aggiunse sempre più depresso e inorridito.
Obito scoppiò a ridere, incredulo.
“Orochimaru!”
“Mi ha salvato la vita, eh” precisò Naruto, offeso. “Ma… Dei, che schifo” socchiuse gli occhi. “Non ci voglio pensare”.
 Ci credeva, il Sannin dei Serpenti era una delle persone più viscide e inquietanti che avesse conosciuto. Gli faceva un po’ strano pensare che in futuro sarebbe passato dalla stessa parte di Naruto, salvandogli perfino la vita… ma immaginava fosse abbastanza facile scegliere la propria fazione quando il nemico era una dea che voleva distruggere tutto il mondo, compresa la conoscenza del genere umano.
Sì, in futuro scegliere di unirsi e fare fronte comune contro una minaccia unica era stato facile; ora le nazioni non avevano nessun motivo pratico e immediato per farlo, al contrario continuavano a premere sulle loro differenze e vecchi rancori. Sospirò, chiedendosi se non fosse quella l’unica strada per la pace. Creare una minaccia che costringesse il mondo a unirsi.
Ma a quale prezzo? Non uno che Naruto avrebbe pagato, su questo poteva starne certo.
“Quei baci non contano” continuò Naruto, ignaro dei suoi pensieri. “Non è che fossero voluti da qualcuno… non si possono assolutamente contare come baci”.
“Quindi sei a zero baci veri” lo stuzzicò.
Lo guardò offeso. “Perché, tu invece?”
In realtà quello era stato il suo primo bacio in generale, che contasse o meno. Prima era troppo innamorato di Rin per pensare a qualcun altro, dopo… meglio lasciar stare. Scrollò quindi le spalle, senza rispondere.
Naruto spostò di nuovo gli occhi al cielo, erano più azzurri e limpidi di quanto esso non fosse. Il sole illuminava il suo viso e i ciuffi d’erba accarezzavano le guance, le sue labbra erano ancora un po’ gonfie. Ricordò quanto fossero morbide mentre lo baciava, così calde e dolci, e sentì il suo stomaco agitarsi come… pieno di farfalle.
Da quanto non provava una sensazione del genere? Era quasi scombussolato all’idea di poter provare di nuovo qualcosa di simile.
Naruto continuava a parlare, ma ormai non lo ascoltava più. Più i secondi passavano, più si rendeva conto che non importava quanto fosse difficile il nuovo sentiero che aveva intrapreso, lo avrebbe seguito fino alla fine se questo significa poter stare al suo fianco.
Gli occhi splendidi ora lo guardavano direttamente, un po’ aggrottati – forse aveva fatto una domanda e lui non se n’era accorto.
Obito si sentì cadere.
Prima che potesse deciderlo davvero, la sua bocca stava di nuovo coprendo quella di Naruto. Fu veloce, uno schiocco di labbra, e il ragazzo più giovane lo guardò sorpreso.
“Ma… non sono più in panico” mormorò confuso, a un soffio dalla bocca dell’altro.
“Lo so” disse.
E tornò a baciarlo, con le labbra socchiuse che accarezzavano timidamente quelle dell’altro. Ora che non aveva più un urgenza, si sentiva impacciato nei movimenti. Era strano. Era bello.
E Naruto stava ricambiando.
“Quindi è così che passate il tempo?”
Il cuore di Obito schizzò in gola e si staccò da Naruto, che sembrava ancora molto scombussolato. Due ombre si erano allungate su di loro, coprendo il sole: Yugito Nii e Killer Bee. La prima li stava guardando con un sorriso malizioso, le braccia incrociate e le sopracciglia inarcate, mentre il secondo stava improvvisando una terribile canzonetta d’amore.
Si allontanò veloce, guardandoli torvo.
“Cosa ci fate qui?” chiese, le orecchie arrossate e la posa difensiva. Non gli piaceva che avessero visto.
Yugito sventolò davanti a loro una pergamene.
“Siamo stati contatti da Roshi, lo Tsuchikage…”
“Lo so” disse velocemente Naruto, tornando serio e concentrato. “Ha scritto anche a noi”.
“Non lascerete che uccida i Kesseki, vero?”
“Ovviamente, no!” disse Naruto alzandosi. Alcuni ciuffi d’erba rimasero attaccati ai suoi capelli. “Non possiamo permettere una cosa del genere”.
“Bene. Perché ne abbiamo parlato con A e… Bee, smettila per l’amore del Saggio!” sbottò per interrompere i versi che stava facendo.
Non funzionò molto, il rapper si intromise solo per spiegare in rima che il Raikage aveva permesso di ospitare i Kesseki nel Paese del Fulmine.
“Davvero?” domandò incredulo Naruto.
“Big Brother is Great! Yeah!”
“Sì,” tagliò Yugito. “Ma questo inasprirà i rapporti con la Roccia…”
“Una cosa alla volta” considerò. “Al momento dobbiamo pensare ai Kesseki e a Roshi. Se diventerà un nukenin sarà solo contro l’Akatsuki”.
Yugito socchiuse gli occhi, come se stesse ascoltando qualcuno nella sua testa. Poi sorrise soddisfatta.
“Matatabi dissente. C’è Son Goku con lui, questa volta collaborano. L’Akatsuki passerà un brutto tempo se lo affronterà”.
Questo scatenò un’altra serie di rime da parte di Killer Bee sull’amicizia tra Roshi e Son Goku. Naruto sorrise, ricordandosi che era vero: non era come al suo tempo, Bijū e Jinchūriki andavano già d’accordo… insieme sarebbero stati invincibili.
“Le cose non andranno come l’ultima volta” promise Yugito. “Per nessuno di noi. Ora siamo insieme”.
Obito osservò come il sorriso di Naruto si stava allargando, accecante quanto il sole. Provò ancora quella morsa allo stomaco. Strinse i pugni e si alzò, non era il momento.
“Allora al lavoro” disse. “Abbiamo una difesa da pianificare”.
 

 

 

 

 

 

  

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Capitolo 16
*** Circondati da squali ***


Capitolo 14
Circondati da squali
 
 
 
 
«Why do things that matter the most
Never end up being what we chose?»
(The hell song – Sum 41)
 
 
 
Nozomi guardò annoiato le cime degli alberi che scorrevano in alto, le foglie così fisse da nascondere il cielo. Era steso sul carro stravaccato, le braccia sotto la testa e il corpo che sussultava a ogni scossone delle grandi ruote sul sentiero dissestato. Guardava soprattutto gli spessi rami degli alberi, sarebbe stato così meraviglioso poter viaggiare saltando su essi come in una vera missione ninja e non a passo di civile su un vecchio carro malandato.
Si accigliò infastidito da tutta quella messinscena. Era chiaro come il sole che fossero tutti shinobi, che il delegato del Paese del Carbone era un Nara e che quindi non c’era nessun motivo per viaggiare in quel modo lento e noioso.
“Ehi, lo sapete che sono un sensore, sì, dattebayo?” chiese quindi.
Al suo richiamo rispose il presunto Kusagi Iwao, seduto sui posti posteriori del carretto trainato dai due stanchi cavalli. Si voltò a fissarlo con espressione austera.
“Certo, ed è per questo che la tua presenza è fondamentale per rilevare eventuali bande di ladroni inviate da avversari politici”.
Nozomi si morse la lingua per non rispondere per le rime.
No, intendo che so che sei un cazzo di shinobi e quindi tutto questo è inutile!
Kurama era confuso quanto lui, l’unica opzione che gli veniva in mente era che il Sandaime lo stesse facendo allontanare da Konoha con un pretesto e che, per tenerlo il più lontano possibile, avesse creato quella lenta e noiosa messinscena. Odiava che Obito non fosse con lui, sicuramente avrebbe capito subito cosa stava davvero succedendo.
Genma lo guardò con simpatia. Era seduto sul retro del carretto, intento a intagliare un pezzo di legno. La sua scultura però non stava venendo affatto bene per tutti gli scossoni che il mezzo stava ricevendo.
Ecco un’altra cosa strana: tutti gli shinobi coinvolti erano troppo rilassati, come se non temessero davvero un attacco, anche se il Sandaime aveva parlato di quella missione come se frotte di ladroni e avversati politici volessero manomettere l’affare.
“Ohi, ma tu non sei preoccupato?” chiese quindi a Genma.
Lui allargò il sorriso. “Perché esserlo con un sensore che può avvisarci in anticipo?” replicò.
Nozomi si imbronciò, e guardò allora Gai che, invece di starsene comodamente seduto sul corretto come stavano facendo lui, Genma e Tenzō, aveva deciso di seguire il mezzo correndo, come buono allenamento. Non che dovesse sforzarsi molto visto la lentezza dei cavalli.
Rassegnato alla sua situazione, chiuse gli occhi e si lasciò precipitare dentro la sua dimensione condivisa con Kurama. Calciò l’acqua come un bambino imbronciato.
“Che ne pensi?” chiese alla grande volpe che lo fissava ugualmente annoiata.
Lo stesso che pensavo dieci minuti fa” replicò seccato. “Stanno organizzando qualcosa a Konoha per cui non vogliono né te né Obito. È una coincidenza troppo assurda che vi abbiano allontanati entrambi lo stesso giorno”.
Nozomi sospirò e andò ad arrampicarsi sulla volpe. Kurama borbottò infastidito mentre tirava ciuffi di pelo rossicci per salire fino alla sua testa e sistemarsi tra le grandi orecchie sporgenti.
“Come va a casa?” chiese allora.
Niente di nuovo” brontolò. “Il cucciolo è ancora con Iruka alla loro lezione privata” informò.
Kurama poteva sapere tutto quello che succedeva a Naruto, visto che la sua parte yang era sigillata nel bambino. Era come ci fosse una corrente di chakra che li univa e rendeva la volpe sempre consapevole di cosa stava succedendo al suo altro Jinchūriki. Era uno degli effetti imprevisti dell’avere due Jinchūriki dello stesso Bijū, ma non si lamentavano visto che quello permetteva loro di monitorare Naruto ogni volta che lo desideravano.
“È davvero strano” mormorò Nozomi. “Iruka non mi ha mai insegnato a leggere”.
Forse sta già avvenendo un cambiamento nella vita di Naruto”.
“Ma come? Cioè, non abbiamo davvero fatto ancora nulla di stravolgente” protestò con rimpianto.
Be’, siamo qui. Già questo è stravolgente”.
Non rispose, emettendo solo un suono gutturale a labbra strette. Kurama non aveva tutti i torti, chissà quanti cambiamenti avevano messo in atto senza nemmeno accorgersene, con il loro solo essere lì, senza poterli controllare davvero. A volte ne aveva paura, come se tutto potesse davvero sfuggire al suo controllo, le nazioni ninja era così vaste… Era rassicurante sapere di avere gli altri Bijū dalla loro parte, in grado di risolvere i problemi lì dove Nozomi e Obito non potevano arrivare.
Chiuse gli occhi, confortato dal morbido pelo sotto di lui. Anche se non era davvero vero, anche se tutto quello era solo una proiezione mentale di entrambi, il manto di Kurama era così soffice. Nozomi adorava addormentarsi accoccolato al Bijū, avere il corpo caldo della volpe che lo teneva al sicuro. Poteva sempre abbassare le difese sull’ambiente circostante, perché sapeva che Kurama l’avrebbe svegliato in qualsiasi momento al primo cenno di pericolo.
E anche quella volta non sbagliò.
Moccioso, pensò tu abbia un’occasione per divertiti” sogghignò la voce.
Nozomi aprì gli occhi. Non era più nel suo spazio mentale, ma di nuovo sul carretto. Scattò in piedi con un solo colpo di reni, la mano già dentro la sacca delle armi a tirare fuori uno dei suoi kunai marcati. Attorno a lui percepiva la pigra ma viva presenza del chakra naturale, una dolce polvere naturale che avvolgeva ogni cosa rendendo Nozomi consapevole di tutto ciò che succedeva. Doveva aver richiamato il senjutsu inconsciamente, mentre sonnecchiava.
Il suo scatto fu così veloce che Genma sussultò, perdendo la presa sulla statuetta di legno.
“Cos…”
“Ci sono avversari!” disse fin troppo eccitato.
“Ma tu non stavi dormendo?!”
Rise prima di scattare verso l’alto, aggrappandosi al primo ramo disponibile. C’erano cinque persone sparse per tutta la zona, li stavano seguendo e dai loro livelli di chakra non potevano essere più forti di un chūnin. Nulla al suo livello, ma almeno qualcosa per spezzare la noia.
Chiuse brevemente gli occhi, concentrandosi mentre infilava tra le nocche altri kunai da lanciare.  Si concentrò sul chakra della natura, sulle forme che rivelava e svelava ai suoi sensi… poi lanciò le lame, che andarono a conficcarsi sulla corteccia di diversi alberi.
Appena la prima lama si impiantò, lui si dislocò su quell’albero. Facendo leva sul tronco saltò in alto e parò con il kunai l’attacco di un uomo nascosto lì. Il poveretto se l’era visto piombare addosso all’improvviso, quando solo un secondo prima si trovava a metri di distanza e molto più in basso, perciò non poteva essere biasimato se il suo attacco era risultato molto sciatto.
“Il Flash Giallo di Konoha?!”
Nozomi sorrise e non rispose. Rimase fisso sull’albero solo con un piede mentre alzava l’altra gamba e, con precisione perfetta, colpì la nuca dell’uomo con il collo del piede. Lo shinobi avversario perse immediatamente i sensi, ma Nozomi impedì che precipitassi lasciandolo steso sul ramo.
Passò quindi al nemico successivo. Il piccolo scontro era stato così veloce che nessuno dei suoi compagni si era reso conto di quello che stava succedendo, dell’immediato pericolo. Disarmò e rese incoscienti quattro dei cinque ladroni appostati, a quel punto l’ultimo rimasto si rese conto del pericolo e scappò. Quando Nozomi atterrò sull’albero con la marcatura non era lì, ma non era affatto un problema. Al contrario, un piccolo inseguimento lo avrebbe reso più interessante. Perciò, sicuro di sé, rimase fermo un minuto a godersi il leggero vento tra le fronde, la sensazione calda e confortante del chakra naturale che lo circondava, poi scattò. Sapeva perfettamente dove fosse, nonostante il disperato tentativo di mascherare il suo chakra.
Era solo a pochi metri di distanza quando si accorse di altre tre presenze, familiari quanto inaspettate, che stavano intercettando il suo obiettivo. Sorrise sorpreso da quella piega degli eventi e decise di fermarsi, le sue capacità sensoriali che lo rendevano consapevole del piccolo scontro che stava accadendo poco avanti. Il ladrone cadde subito, ovviamente, e non poté evitare di ridere. Era scappato per finire direttamente dentro la bocca di un altro leone.
O meglio: squalo.
Atterrò sul sottobosco, fermandosi acquattato tra l’erba alta come un felino pronto al balzo. Alzò solo il viso, un ghigno da schiaffi sulle labbra mentre guardava l’ampia e muscolosa figura in piedi sul ramo poco più alto. Il ladrone stava abbandonato svenuto sulla sua spalla, come un sacco di patate. La grande spada sulla schiena lo rendeva riconoscibile a chiunque.
“Ehila, Zabuza!” salutò con calore.
 
 
֎
 
 
Questo vecchio squalo deve proprio stare qui?
Era il pensiero che tormentava Obito mentre stava esponendo l’esito della loro missione direttamente all’Hokage. In una situazione normale sarebbe bastato scrivere un rapporto da consegnare a uno dei burocratici stanziati appositamente, ma visto che si erano presentati con un gruppo di bambini spauriti invece di seguire le indicazioni date dall’Hokage… be’, era ovvio che il suddetto Hokage volesse una spiegazione di persona.
Almeno non sembrava arrabbiato dalla sua iniziativa, anche lui doveva capire che la salvezza di quei bambini veniva prima di ogni cosa. No, il suo fastidio per una volta non era rivolto a Hiruzen, ma a Danzo.
Il vecchio consigliere si trovava nell’ufficio quando erano entrati e, considerando la presenza di Shisui, Obito immaginava stessero parlando degli Uchiha. Era sorpreso lo avessero interrotto per lui… Forse aveva fatto esasperare così tanto il Sandaime da rendersi una priorità. Avrebbe sorriso al pensiero se Danzo non fosse sembrato così interessato e compiaciuto nel sapere che avevano portato con sé un gruppo di bambini provvisti di speciali kekkei genkai. Infatti non si stupì quando, al termine del suo discorso, parlò per primo.
“Complimenti per la brillante riuscita” disse frettolosamente. “Da qui, credo che la cosa migliore sia affidarmi quei bambini così da poterli gestire correttamente”.
Obito socchiuse gli occhi. Non gli sfuggì che al fianco del vecchio Shisui si fosse irrigidito.
“Intendi: riconsegnarli ai legittimi genitori?” sibilò minaccioso.
Il Sandaime riconobbe subito il suo tono e fece per intervenire, ma purtroppo Danzo non era stato abbastanza a contatto con Obito per riconoscere i segnali di pericolo. Si limitò a fare un gesto con la mano.
“Quello che è necessario” rispose diplomatico.
Obito lo guardò a lungo, chiarendo con lo sguardo quanto poco lo trovasse affidabile soprattutto il suo disprezzo. Alla fine si voltò verso il Sandaime.
“Richiedo che mi venga affidato come missione”.
Hiruzen quasi perse la pipa dalla bocca. “Cosa?”
Lo guardò impaziente. “Ritrovare i genitori dei bambini” specificò. “Chiedo che mi venga affidata come missione. Troverò le loro famiglie e mi assicurerò che le raggiungano” promise.
La risposta sbigottì il vecchio Hokage, era davvero molto raro che degli shinobi si accollassero volontariamente dei moccioso. Mentalmente decise di segnarsi questa cosa, visto che nelle missioni di babysitting era quasi sempre impossibile trovare qualcuno disposto a prenderle che non fossero ingenui genin freschi di Accademia. Il problema si mostrava quando erano nobili influenti a chiedere missioni per i propri figli, pretendendo sempre shinobi di grado superiore visto la loro classe sociale.
“Permesso accordato” disse quindi.
La cosa andava anche a suo vantaggio, almeno non doveva essere lui a occuparsi delle future scartoffie.
Danzo non sembrò apprezzarlo. “E se ci fossero bambini orfani?” domandò gelido. “Potrei occuparmene io”.
“Conosco qualcuno che potrà tenerli” disse a denti stretti. “Che si occupa proprio di orfani. Lei saprà crescerli meglio di chiunque altro”.
“Ed è qualcuno qui nel Paese del Fuoco?” indagò sospettoso l’Hokage.
Obito chiuse gli occhi, maledicendo quella domanda. Ma li riaprì presto, in modo di guardarlo dritto in volto quando rispose.
“No, è di Ame” disse solo, non sapendo come avrebbero preso quella notizia.
Fortunatamente, meglio del previsto. Il Sandaime rilassò la posa delle spalle e rasserenò lo sguardo, evidentemente rassicurato.
“Bene, ottimo. Abbiamo buoni rapporti con Ame” spiegò.
Obito si sforzò per non alzare gli occhi al cielo, visto che sapeva dell’odio di Nagato per Konoha e che quei buoni rapporti erano solo di facciata per permettere all’Akatsuki di occuparsi dei suoi affari sotterranei senza l’intromissione del grande Villaggio. Forse Hiruzen non considerava il paesino pericoloso visto che non era mai stato patria di shinobi famosi, ma solo un villaggio di periferia su cui le grandi nazioni potevano combattere senza timore di resistenze locali.
Danzo però intervenne, forse un po’ più consapevole della delicata situazione ad Ame.
“Hiruzen, ti ricordo che Hanzo non ne è più il leader”.
“Sì, è vero” ricordò per nulla impressionato. “Ma il nuovo leader è sempre stato molto disponibile con noi. Anche senza un vero rapporto commerciale, non paghiamo troppi dazi e ha lasciato tutte le questione diplomatiche com’erano state decise con Hanzo”.
Il vecchio consigliere sembrava voler dire qualcosa in merito, forse che sapeva che Hanzo era stato assassinato da un’organizzazione criminale che continuava a operare nel piccolo villaggio. Ma dirlo significa ammettere che si era invischiato negli affari di un altro villaggio, arrivando a stringere alleanze personali con il leader, senza informare il proprio Hokage delle mosse politiche. Non era qualcosa che il Sandaime avrebbe spazzato via facilmente.
Quindi doveva ingoiare il rospo e starsene zitto. Obito sorrise soddisfatto alla piega di eventi.
“Ottimo, allora ci penseremo io e Nozomi” disse con tono insolitamente allegro.
Capì di aver cantato vittoria troppo presto davanti all’occhiata che il Sandaime faticò a nascondere.
“Cosa?” domandò con una fitta d’ansia.
“Nozomi attualmente è in missione fuori dal villaggio” spiegò senza smettere di sorridere, anche se le labbra erano molto rigide come se si sforzasse  mantenerle stirate in quel modo.
Obito collegò immediatamente tutti i puntini e non poté evitare di incazzarsi.
“Cioè ci avete mandato appositamente in due missioni diverse per separarci?!”
Fanculo a Konoha, fanculo anche ai mocciosi. Doveva trovare Nozomi subito e assicurarsi che non avesse fatto qualche disastro… che qualcuno non lo avesse attaccato per portarglielo via! Tornare a casa e sapere che Nozomi non era lì era sconvolgente, gli strinse il petto così dolorosamente che per un momento non riuscì a respirare. Era come se si fosse perso, arrivando nel punto sbagliato, in un posto che non era casa.
“Non volevamo separarvi” contraddisse Hiruzen. “È solo capitato che ci servissero due shinobi per due missioni diverse, voi eravate gli unici con i requisiti giusti”.
Obito ci credeva pochissimo, era sicuramente stato organizzato tutto per separarli.
“E qual è la missione di Nozomi?”
“Scortare un diplomatico del paese del Carbone” spiegò.
Lo guardò incredulo. “E Nozomi era davvero indispensabile per una missione di scorta?!”
“Con il senjutsu potrà tenere traccia di eventuali attacchi meglio di un qualsiasi altro nostro sensore” spiegò Danzo con voce lisciante. “Si trattava di un diplomatico davvero importante. Sono stati richiesti solo ninja d’elite”.
Prese un lungo respiro, cercando di calmarsi. Non gli credeva ancora, ma doveva ricordarsi quanto Nozomi fosse potente. Nessuno lo avrebbe ucciso, poteva difendersi da solo anche senza il suo aiuto.
“Bene. Allora per i mocciosi ci penserò io” tagliò corto ormai di cattivo umore.
“Potrebbe essere utile l’affiancamento di uno Yamanaka?” propose Hiruzen accomodante. “Nel caso i bambini mostrassero segni di traumi”.
Avrebbe preferito lavorare da solo, ma per una volta riconosceva del senso nell’Hokage. Era ovvio che dopo essere stati rapiti e imprigionati per mesi, vedendo molti di loro sparire senza motivo, avesse bisogno di sostegno psicologico; un sostegno che Obito era troppo rotto per dare.
Annuì seccato, dentro di sé ancora sconvolto nel sapere che Nozomi non era lì con lui. Non era a casa.
 
֎
 
Zabuza non era cambiato per nulla dal loro ultimo incontro, che ormai risaliva a molti mesi prima, quando c’era stato il colpo di stato a Kiri. Rispetto al loro vero primo incontro, quando Nozomi era un Naruto dodicenne e pieno di illusioni sul mondo, invece era completamente diverso. Gli abiti erano puliti, nuovi e ben stirati; il suo viso non era scarno e rovinato come quello delle persone che stentavano a sopravvivere in un mondo che le odiava; soprattutto sulla fronte il suo hitai-ate di Kiri brillava ben lucidato e privo del graffio che caratterizzava i nukenin.
Sorrise nel vedere subito dietro di lui Haku, il bambino di otto anni sembrava un magnifico uccellino nel suo kimono colorato e con i capelli lucidi e lunghi come piume di corvo.
Nozomi sentì alle proprie spalle atterrare i ninja di Konoha, le armi sguainate e gli sguardi tesi. Tra loro c’era anche il sedicente Iwao, che forse per la tensione di trovarsi davanti nei ninja di Kiri si era dimenticato di dover tenere i panni del civile.
“Vedo che sei in compagnia” disse Zambusa, poi aggiunse lentamente: “Nozomi”.
Non si stupiva che conoscesse il suo nuovo nome, del resto si era premurato di comunicarlo a tutti i Bijū, che poi ne avevano parlato ai loro Jinchūriki e… poteva immaginare che Haku lo avesse confidato a Zabuza. Del resto Zabuza era anche una delle poche persone a essere stata messa al corrente del viaggio del tempo, anche se come Kisame non conosceva gli eventi che sarebbero successi in futuro senza il loro intervento.
“Eh, sì, una missione” rispose quindi spensierato. “Invece voi che ci fate così tanto lontano da casa?”
Alle sue spalle percepì il nervosismo del compagni, probabilmente non si aspettavano di vederlo conversare così amabilmente con dei ninja di un paese con cui formalmente Konoha non aveva mai fatto pace.
“Viaggio di istruzione”.
Fu Haku a rispondere, saltando sullo stesso ramo in cui si trovava anche Zabuza. Era molto lontano, quindi rischiò di perdere l’equilibrio nel farlo e Nozomi sorrise dalla tenerezza. Questo piccolo bambino era molto diverso dalla macchina assassina che aveva incontrato da genin e in cuor suo sperò che sarebbe rimasto così il più a lungo possibile. Non aver salvato Haku era sempre stato il suo rimpianto, quando era arrivato nel passato si era subito assicurato di aiutare il bambino e creare le condizioni perché avesse una vita serena. Anche se, be’, farlo diventare il Jinchūriki di Isobou non era nei programmi…
Nozomi scoccò la lingua sul palato. “Oh, capisco!”
Una terza figura si approcciò a loro, saltando tra i rami con l’aria di chi avesse un po’ di fretta. Era un altro ninja di Kiri e Nozomi riconobbe subito la donna, con il suo caschetto biondo e gli occhiali squadrati: Isoshi Tsumi. Aveva combattuto con loro durante la ribellione a Kiri ed era diventata un jonin sotto il comando della nuova Mizukage. I suoi occhi chiarissimi si riempirono subito di allarme e preoccupazione nel vedere il nutrito numero di shinobi di Konoha e, a differenza di Zabuza e Haku, si mise subito sulla difensiva.
“Dichiarate le vostre intenzioni” ordinò con voce tagliente.
Genma fu il primo a riprendersi. “Dovreste essere voi a farlo. Questi sono i territori del Daimyo del Fuoco”.
Zabuza sbuffò e intervenne prima che la situazione degenerasse. Gettò il bandito che teneva mollemente ai piedi di Nozomi, poi si voltò verso la compagna.
“Tsumi-san, abbassa gli artigli. Non lo riconosci?”
Il ragazzo sorrise nervosamente allo sguardo della donna che lo tagliò dalla testa ai piedi con diffidenza.
“Dovrei?”
Ci rimase male al non riconoscimento, anche se era ovvio. Mentre agiva a Kiri aveva camuffato le proprie speranze, senza mai rivelare il proprio nome o luogo d’origine. All’epoca non aveva ancora nessuna storia di copertura con cui rispondere alle domande scomode, quindi si era sempre nascosto dietro una maschera rispondendo solo a un nome in codice, o meglio un nome di battaglia che si era guadagnato dopo la loro prima azione contro il regime di Kiri.
Zabuza però sembrava essere meno paziente e comprensivo.
“È uno degli amici di Kisame”.
Tsumi continuò a guardarlo, finché una luce di comprensione non brillò nei suoi occhi verdemare.
“L’Uragano?”
Poté sentire Genma sbuffare al soprannome, ma lo ignorò annuendo vigorosamente.
“Sì, sono io, Tsumi nee-san!”
La donna contrasse lo sguardo al volume di voce molto elevato.
“Sì, direi che non ci sono dubbi” mormorò fra sé.
“In realtà mi chiamo Uzumaki Nozomi” si presentò ormai forte della propria storia di copertura.
Un’espressione sbalordita distese i lineamenti della loro interlocutrice appena disse il proprio cognome. Si voltò verso Zabuza con evidente sorpresa.
“Tu lo sapevi?” ringhiò.
“Forse”.
“ E la Godaime?”
“No”.
Alla risposta il viso di Tsumi si oscurò brevemente. Tornò a guardare i ninja a terra con molta serietà, come in cerca di un trucco. Nozomi sorrise per tutto il tempo e questo la face sospirare.
“Chi l’avrebbe detto”. Si sistemò gli occhiali sul naso. “Il nostro alleato contro il tiranno Yondaime Mizukage era Konoha”.
Quel commento fece agitare un po’ i suoi compagni, che si scambiarono occhiate perplesse e nervose. Nozomi si sforzò di continuare a guardarla sereno, in realtà non sapendo minimamente come rispondere. Doveva ammettere che si era unito solo recentemente a Konoha o lasciare che traesse da sola le sue conclusioni, credendo che fossero stati mandati in segreto da Konoha? In quel momento avrebbe voluto avere Obito al suo fianco, lui sarebbe stato molto più consapevole delle conseguenze che avrebbero avuto una o l’altra scelta, sicuramente avrebbe saputo come rispondere senza creare un contrasto internazionale, al contrario volgendo le cose a proprio vantaggio.
Ma era solo.
Non sei solo, moccioso, ricordò una voce offesa nella sua tesa.
Giusto, Kurama era con lui. Non aveva nulla da temere, lo avrebbe aiutato nella scelta.
Allargò il sorriso. “Perché non ne parliamo con calma, eh?”
 
 
 
 
Uhhh è passato meno di un mese!!! (28 giorni, ma shhh)
Forse il capitolo è un po’ di passaggio, nonostante la piccola azione portata avanti da Nozomi, ma era fondamentale per introdurre sia la sua missione (non dimentichiamo che è tutto uno scherzetto di Sandaime!!) sia per rivelare quello che è successo a Kiri quando sono arrivati. Nel prossimo capitolo si parlerà proprio di questo anche perché, come avete notato, Haku è diventato un Jinchūriki! Il prossimo capitolo spiegherà i perché e per come ^^
Spero vi sia piaciuto!
Un bacio, Hatta

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