L'amore è un'arte

di Brisus_Chris
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Il maglione ***
Capitolo 3: *** La foto ***
Capitolo 4: *** Fine ***
Capitolo 5: *** Un'altra via ***
Capitolo 6: *** Un bacio innocente ***
Capitolo 7: *** il "migliore amico" ***
Capitolo 8: *** La pioggia ***
Capitolo 9: *** Verde e azzurro ***



Capitolo 1
*** La lettera ***


Quel giorno di novembre, nell'aria frizzante e umida di Nottingham, si respirava calma e quiete.                          

Le foglie degli alberi, che d'estate, messe una accanto all'altra, formavano un'area di sosta ombreggiata per i poveri abitanti della città, ora erano di mille colori: passavano dalle sfumature del rosso a quelle del giallo e da quelle del giallo a quelle del marrone. Insieme alle ultime superstiti verdi davano al paesaggio un'aria pittoresca che valeva la pena ritrarre. Ed è questo che facevano i giovani, aspiranti artisti: si portavano dietro il loro sgabello in legno, magari intagliato dal loro stesso padre e si mettevano a dipingere quel paesaggio così affascinante.

Ma non è mia intenzione narrarvi dei pittori, no.

In quel giorno, tra le foglie colorate e i giovani artisti, vi era una ragazzo, Joseph, che stava tornando a casa in lacrime, ma nessuno si accorgeva lui.                                                                                                                                                         
Era come se fosse diventato invisibile tutto d'un tratto.                                                                                           

Quelle lacrime, che scendevano copiose dai suoi meravigliosi occhi bruni e scivolavano sul suo volto dall'incarnato pallido, brillavano alla luce del sole.
Correva per le strade della città, correva più che poteva per poter raggiungere al più presto casa sua.

Ecco l'unica cosa che stonava con l'aria di Nottingham: l'umore di Joseph.

Lui era un ragazzo semplice, sia fisicamente che caratterialmente. La sua altezza era nella media ed era un po' più magro del normale. Joe, così lo chiamavano gli amici più intimi, aveva dei corti capelli mori tendenti al rossiccio e i suoi occhi ricordavano la cioccolata svizzera. La sua indole era gentile e romantica, molto probabilmente è per questo che molte ragazze della città erano attratte da lui.

Ma a lui non importava di loro.

Forse...forse è per questo che i ragazzi a scuola lo prendevano di mira e lo picchiavano, non lo avevano mai visto uscire con una ragazza.

E diciamocelo, la sua vita era un vero inferno.

Finché non conobbe il ragazzo che presto gli sconvolse la vita: Ben.

Ben era qualche anno più piccolo di lui, ma a dire il vero sembrava il contrario. Era qualche centimetro più alto e come corporatura, beh, non era esattamente minuto come Joe, il suo corpo era tonico e i suoi muscoli erano definiti. I suoi capelli ricordavano i dorati campi di grano e i suoi occhi erano di un azzurro così intenso da far vergognare addirittura il cielo davanti a tanta magnificenza. Ed era proprio in quegli occhi che a Joe piaceva perdersi facendo, di rimando, ridacchiare dolcemente Ben per la faccia da tonto che assumeva.  

Entrambi avevano finito la scuola ed entrambi erano artisti. 

Mi rimangio quello che ho detto prima, alla fine ho parlato di un pittore.

Ben lo era.

Molte volte, mentre Joe era assorto nei suoi pensieri e non gli prestava attenzione, lui lo ritraeva a carboncino su un foglietto di carta che si portava sempre dietro. Poi, quando tornava a casa, riproduceva quel disegno su tela portando maggiore attenzione quando dipingeva gli occhi. Dovete sapere, che vi è un detto in cui si narra, che quando un pittore presta molta attenzione agli occhi, di solito è molto attaccato a quella persona.

E così era.

L'arte di Joe era quella della scrittura. Aveva già pubblicato delle poesie, ma sotto un nome da donna perché nelle sue poesie, principalmente a sfondo amoroso, scriveva del sesso forte.

Oh, ma che stupida narratrice, mi son dimenticata di dirvi che in quegli anni, precisamente nel 1909, l'omosessualità era vista male, molto male.

Ed era questo il motivo per qui Joe piangeva.                                                                                                                         

I suoi genitori avevano scoperto la sua omosessualità e, dopo averlo umiliato pubblicamente in piazza, gli avevano dato poche ore per andarsene da casa loro. E così stava facendo: in pochi minuti aveva raccattato le quattro cose che aveva in camera e si era messo a scrivere le lettere d'addio alla sua stretta cerchia d'amici.

Erano passati tre quarti d'ora e Joe aveva finito di scrivere tutte le lettere, o almeno quasi tutte: mancava la lettera per Ben.

Si stava accingendo a scrivere la lettera più ardua, triste ed emotiva della sua vita. E così, Joe si strofinò gli occhi, prese un altro foglio e sospirò.


"Caro amico mio..."

No, così non andava bene, aveva macchiato il foglio.

Ne prese un altro, ma questo era l'ultima possibilità che aveva di scrivere una lettera decente.


"Ben, tu sei il mio migliore amico.                                                                                                                                

 Quanto tempo è che ci conosciamo, 6 anni forse?                                                                                                           

 Il tempo quando sono con te è così piacevole che sembrano essere passati solo 6 minuti, ma vorrei avere altri 6000 anni per rimanere al tuo fianco.

Sai quella giovane poetessa che ti piace tanto? Se non mi sbaglio la sua poesia che prediligi è quella che dice:

 
Piccola goccia, che piano, scivoli sulla faccia e arrivi al cuore, oh, piccola goccia d'amore.
 
Elizabeth... se ti dicessi che Elizabeth sono io, mi crederesti? Sai chi è stata la mia musa ispiratrice per questi anni? Prova a risponderti da solo.                                                                                                                                 

So che c'eri anche tu in piazza questo pomeriggio, ti ho visto. Quello che hanno detto i miei genitori è vero, sono un ricchione, un finocchio, una disgrazia.

Ecco perché non sono mai uscito mai con una delle ragazze.                                                                                                            

Ti ricordi la prima volta che ci incontrammo? I soliti ragazzi mi stavano malmenando e all'improvviso, come un lampo nel ciel sereno, sei apparso tu. Un principe con la forza di un guerriero. Mi ero incantato e credo che tu te ne fossi accorto dato che mi hai schioccato le dita davanti agli occhi. Chissà che impressione ti ho fatto io. Sicuramente non buona. Insomma, un ragazzo di 27 anni che viene salvato da uno di 20 fa un po' pena, ma come ti ho sempre detto, non mi interessa la mia forma fisica.                                                                

E la prima volta che siamo andati al mare insieme? Oh Santo cielo, quello è stato probabilmente il giorno più bello della mia intera vita. Mi ricordo...mi ricordo ancora la prima volta che sentii la tua risata cristallina. Era stato proprio quel giorno. Io ero inciampato come un idiota nella sabbia e tu, un attimo prima di aiutarmi, sei scoppiato a ridere.

E negli anni, la cosa che più mi ha rapito del tuo riso, ma anche del tuo sorriso, è che esce solo quando è necessario.                                                                                                            

Sono passati 5 anni da quel giorno e tu non ti sei mai allontanato da me.

Ben, probabilmente, quest'oggi, in piazza, è stata l'ultima volta che mi vedrai perché io, dopo quello che sto per scrivere, non avrò il coraggio di dirti "addio" e come un vigliacco scapperò via.                                                                                                        

Ben, angelo tu...Tu sei il mio portatore di luce...Sei la ragione per cui ogni mattina mi sveglio e tiro avanti...Sei la persona che mi viene in mente quando voglio farla finita e mi fa capire di star facendo una stupidaggine perché se no altrimenti non potrei più vederti...Per te tirerei una pugnalata e la prenderei...Sei il mio pensiero fisso...Ormai sei diventato la persona più importante della mia miserabile vita...Sei...Sei il mio tutto. Io non potrei vivere senza di te, senza i tuoi sorrisi, senza le tue battute stupide e senza i tuoi magnifici occhi...Io senza di te cosa sono? Un poeta senza un soldo che si firma con un nome femminile? No, io senza di te non sono nulla.

Io...io ti amo Ben.                                                                                                                            

Ti amo e mi è difficile ammetterlo perché so che tu non provi lo stesso! So che adesso, mentre tu stai leggendo questa lettera, penserai che sono uno stupido e che ti faccio schifo.                                                                                    
Mi è piaciuto parlare con te Ben, era liberatorio, mi faceva scaricare da tutte le emozioni negative della giornata e anche un solo tuo sorriso era capace di farmi volare, era capace di farmi sentire il cuore leggero e pesante al tempo stesso. Leggero perché era felice di aver qualcuno come te al suo fianco. E pesante perché sapeva che quel sorriso non potrà mai essere suo.                                                                                                                                                
Eccomi qui a finire la lettera più melensa e triste che io abbia mai scritto, non che io ne abbia mai scritte tante.

Tutto quello che non ho mai avuto il coraggio di dirti in 6 anni è racchiuso in queste poche frasi.      

Già, 6 anni, mi sono accorto di amarti sin da subito.                                                                                                       

Addio Ben, ti amo con tutto il mio cuore.

                                                                                                                                                                                
                                                                                                                                                                                                                                                                                 Tuo, Joe.
"

 
Mentre Joseph finiva di scrivere la lettera, una lacrima cadente dai suoi occhi scivolava sulla lettera rimanendo impressa nella carta, ma lui non se ne accorse.                                                                                         

Prese le sue cose e abbandonò la casa d'infanzia.

Quando aveva finito di recapitare tutte le lettere si avvicinò alla casa di Ben e, prendendo un bel respiro, imbucò anche quella.

Cosa avrebbe fatto non lo sapeva, ma ora, dopo aver recapitato quell'ultima lettera, si sentiva più leggero.
 
Così finiva quella giornata di novembre a Nottingham, con la piccola silhouette di un ragazzo che si allontanava alle ultime luci del sole con la sola compagnia della sua ombra, che piano piano, camminava accanto a lui.

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Capitolo 2
*** Il maglione ***


I pallidi raggi del sole accarezzavano già Nottingham quando Ben si era alzato. La prima cosa che aveva fatto, come ogni mattina, era stata quella di affacciarsi alla finestra per vedere com'era il tempo : quel giorno, oltre al pallido sole, all'orizzonte si potevano scorgere delle minacciose nubi scure e tirava un forte vento freddo.

Senza pensarci due volte aveva aperto la finestra, ma se n'era pentito subito. In meno di un secondo si era ritrovato a rabbrividire come un pulcino. E sicuramente, se qualcuno lo avesse visto, si sarebbe lasciato andare ad una qualche esclamazione intenerita. Aveva chiuso immediatamente la finestra e si era precipitato a infilarsi il suo maglione preferito. Mentre lo infilava sorrideva, sorrideva felicemente.                                                                         

 E voi vi starete chiedendo: Perché diamine sta sorridendo da solo mentre si infila un maglione?                                                                 

Semplice, quel maglione non era suo, ed era per questo lo adorava. Glielo aveva dato un giorno Joseph.


Era domenica e pur essendo fine settembre, il dorato sole splendeva nel cielo e all'orizzonte non si vedeva nemmeno una soffice, bianca nuvola.                   

Quel giorno era il compleanno di Joe e Ben voleva fargli una sorpresa.   

Come ogni domenica sarebbero andati al mare, era il loro posto speciale. Erano solo le cinque di mattina, ma Ben si era già alzato per completare la sorpresa per, come lo definiva lui, il suo fratellone. Passata un'ora era finalmente tutto pronto. 


Non stando più nella pelle, come un bambino la mattina di Natale, il ragazzo si era precipitato a bussare alla porta di Joe. 

L'essere che gli aveva aperto sembrava più uno zombie che un umano. Aveva l'azzurrognolo pigiama stropicciato che, essendo troppo grande per lui, gli ricadeva in modo scomposto sul corpo magro. I capelli mori, di solito tenuti molto ordinatamente, ora erano scompigliati e annodati tra loro. Sul viso era ancora stampata l'impronta del cuscino e vi era presente una leggera barba. Nonostante ciò, Ben lo trovava magnifico e senza pensarci due volte si era lanciato ad abbracciarlo e a fargli gli auguri. 

Dal punto di vista di Joseph, quest'ultimo si era visto arrivare addosso quel tornado dall'allegria del suo migliore amico e, ancora mezzo assonnato, ridendo aveva dovuto tenersi allo stipite della porta per non cadere. 

Dopo aver ricambiato l'abbraccio, Joe si era andato a vestire e Ben era rimasto in salotto a conversare con i suoi genitori, che lo trattavano quasi come un figlio. Dato che sarebbero andati al mare e Joseph era una persona molto freddolosa, si era portato dietro un maglione in caso di emergenza. 

Erano quasi arrivati alla spiaggia, quando Ben si era fermato e aveva messo con delicatezza una soffice bandana sugli occhi di Joe. < Ben... > lo aveva chiamato il moro con voce sottile < Sì? > aveva risposto lui mentre si apprestava a stringere il nodo dietro la nuca facendo attenzione a non fargli male < Perché mi stai coprendo gli occhi? >< Sh, è una sorpresa! > gli aveva risposto il pittore con aria allegra. Lo aveva preso a braccetto e lo aveva condotto lentamente fino ad una coperta stesa.

Ben, dopo aver tolto la benda al suo migliore amico, aspettava impazientemente una reazione da quest'ultimo. Non era niente di che, era una cosa semplice, ma il festeggiato lo trovava bellissimo: il ragazzo biondo aveva steso sulla spiaggia una coperta a quadretti variopinta e sopra, sistemata con cura, c'era una torta coperta da una retina per non farla infettare dagli insetti. 

Vedendo che la reazione tardava ad arrivare, il più piccolo, venendo invaso da un immenso senso d'imbarazzo, aveva cercato di scusarsi mentre arrossiva < Beh, non è m-molto, ma...Ma ho fatto del mio meglio, anche se per quello che fai  tu per me è poco... Ho f-fatto tutto con le mie mani, se- > non aveva fatto in tempo a finire che si era ritrovato in uno stretto abbraccio da parte di Joseph. < Grazie...Grazie mille... > solo questo gli aveva sussurrato con gli occhi lucidi continuando a stringerlo. E Ben, intenerito da quella reazione, non aveva potuto far a meno di ricambiare l'abbraccio.

Avevano passato tutto il pomeriggio a ridere e scherzare e Joe, essendosi addormentato tardi e alzato presto, si era addormentato lì, su quella coperta variopinta, con un magnifico sottofondo sonoro formato dallo scrosciare delle onde del mare e dalla melodiosa voce del ragazzo che amava. 


Ma il risposo durò poco: quando aveva sentito una goccia bagnarli il viso, si era svegliato subito. La prima cosa che aveva visto dopo aver aperto gli occhi castani, erano degli scuri nuvoloni che dovevano essere arrivati mentre lui riposava. Ben era accanto a lui e dormiva, ma nonostante le gocce bagnassero il suo roseo viso, lui non si svegliava. Aveva dovuto scuoterlo Joe per farlo svegliare e appena gli occhi cerulei si erano aperti, dal cielo era caduto un acquazzone. Neanche il tempo di dire "beh" che i due ragazzi avevano raccolto le loro cose ed erano scappati di corsa dalla spiaggia. 

Dopo aver corso per trovare un riparo che li avrebbe coperti fino a che il temporale non si fosse calmato, i due erano comunque bagnati fradici. Senza pensarci due volte, Joe aveva dato il suo maglione a Ben e questo, dopo non pochi rifiuti, lo aveva indossato.


Erano passati un paio di anni da quel giorno, eppure era rimasto il ricordo migliore che aveva.

Dopo questo piacevole tuffo nel passato che lo aveva, insieme al maglione, riempito di calore, era uscito di casa.
Come ogni mattina il piano di Ben era quello di andare a casa di Joe per poi andare a lavorare insieme, già, perché a loro non bastava scrivere o dipingere per campare. Lavoravano insieme in una fabbrica tessile.

Prima di andare a prendere il moro, il ragazzo si era fermato a controllare la cassetta delle lettere, anche se di solito non trovava mai niente, era un'abitudine che aveva preso dai suoi genitori.

Già...i suoi genitori...

Si era scrollato di dosso quei pensieri ed aveva aperto la cassetta. Con sua grande sorpresa vi aveva trovato una lettera composta da un solo foglio, ma scritto così fittamente che quasi le parole sembravano abbracciarsi tra loro.

E Ben aveva riconosciuto subito quella scrittura. L'avrebbe riconosciuta sempre.

Era uno stile elegante, anche se si vedeva che era stata scritta velocemente e conosceva solo una persona che scriveva così: Joe.

Subito aveva pensato al peggio e il panico lo aveva assalito. Aveva preso un respiro profondo e si era seduto sugli scalini iniziando a leggere.

Intanto, piano piano, le nubi si erano avvicinate, il vento si era alzato e aveva incominciato a piovere. L'odore della terra bagnata aveva riempito la città e l'allegro cinguettio dei passeri era svanito.

Ma Ben non sentiva niente, udiva solo il rumore assordante di quelle parole che come lame affilate gli continuavano a trafiggere il cuore, riga dopo riga. Non vedeva niente, i suoi occhi strabordavano di salate, amare lacrime d'amore.

E mentre il tempo peggiorava, Ben sentiva che la sua ragione di vita gli era stata portata via dal cuore e che la sua vita stessa era precipitata in uno scuro dirupo. E pensava, anzi, sapeva, che questa volta non sarebbe riuscito ad uscirne. 

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Capitolo 3
*** La foto ***


Leggeva e rileggeva quelle parole, ma a ogni sillaba un'altra stilettata arrivava al cuore.

Ormai sul suo viso correvano lacrime su lacrime. Lui invano cercava di asciugarsele col dorso della mano, ma una era caduta vicino alla lacrima lasciata da Joe nella stesura della lettera, anche se lui non poteva saperlo.

Incurante della tempesta che infuriava sopra Nottingham, Ben si era alzato da quei freddi gradini e, pur avendo le gambe intorpidite, si era messo a correre verso la casa del ragazzo...del ragazzo che finalmente aveva capito di amare.

Bussava con tutte le sue forze, continuava a bussare nonostante le gocce di pioggia gli finivano sui capelli e scorrevano verso il viso mischiandosi così con le salate, amare lacrime.

La donna che gli aveva aperto aveva degli occhi verdi come il veleno più potente di questo mondo e i suoi capelli chiari le arrivavano alle spalle.

<< Oh Ben caro, entra o ti prenderai un malanno. >>. Il pittore aveva fatto come gli era stato detto e subito aveva chiesto di Joseph.
Il volto della donna cambiò radicalmente da dolce a disgustato e arrabbiato.
<< Perché mai dovrebbe importarti di quel finocchio caro?
     In fin dei conti era un buono a nulla!
     Puoi trovarti sicuramente qualcuno di migliore come amico, insomma, guardati: sei bello e intelligente, sono sicura che là fuori avrai le file di corteggiatrici.
     Comunque quell'essere codardo se n'è andato via ieri sera. Cielo, solo il pensiero che quella schifezza era mio figlio mi mette i brividi.
     Immagino che tu concordi con me, vero caro? >>

Ben, che di quelle parole ne aveva ascoltate sì e no due, aveva iniziato a parlare osservando l'unica foto di Joe che era sopravvissuta alla furia dei genitori: 
<< Sa signora, suo figlio, Joe, è molto bello, sia fisicamente che spiritualmente.
     Quegli occhi marroni sono così profondi che mi ci vorrei immergere e non uscire mai più, poi, quando è emozionato, compaiono delle piccole sfumature verdi e non so come spiegarlo, ma ogni volta che io guardo quegli occhi rimango sempre senza fiato.
     E le sue labbra! Oh, le sue fantastiche labbra che quando si arricciano all'insù, danno vita al sorriso più bello che io abbia mai visto. Quelle sottili, bellissime labbra: ogni volta che lui parla io vorrei solo sfiorarle e assaporarle. Baciarle fino a farle diventare gonfie e rosse.
     Per non parlare dei suoi mori capelli: sempre tenuti ordinatamente come quelli di un soldato. Vorrei passarci dentro una mia mano, sentire come sono morbidi e accarezzarli, intrecciarli fra le mie dita e tirarli, ma non per fargli male, sia chiaro.
     E il suo corpo, Dio, sarà meglio non entrare nei dettagli, potrei rischiare di metterla in imbarazzo... >>.

Detto questo il ragazzo si era girato verso la sbigottita donna e le aveva lanciato uno sguardo divertito.

<< Poi c'è la bellezza d'animo, ma cosa glielo dico a fare, lei non sa neanche cosa vuol dire.
     Non sa neanche quanto Joe sia un ragazzo timido, gentile, romantico. Lei non ha mai conosciuto Joseph.
     Non sa come soffriva suo figlio, eppure quel dolore si leggeva nei suoi occhi. Questo maglione... >> aveva dovuto mandare giù un magone amaro prima di continuare a parlare.
<< Questo maglione me lo aveva dato solo perché aveva paura chi mi ammalassi. Suo figlio è bellissimo, sia d'anima che di corpo e io mi chiedo da chi abbia preso, perché non mi riesco a spiegare che una persona come lui, sia la vostra prole. >>
Nel mentre era rientrato in casa anche il padre, che si era pietrificato davanti alla porta.
<< Ora, se le dispiace spostarsi, desidero portare fuori di qui il mio culo omosessuale. >> e senza aspettare una risposta, aveva spintonato il padre ed era uscito di casa.

Due settimane dopo tutta la città aveva saputo della sua omosessualità.
E lì la sua vita era sprofondata ancora più in basso.                                                                                                              


 

3 mesi dopo 

   

Joe alla fine, rimediandosi qualche passaggio qua e là e camminando molto, era arrivato a Londra.

Piano piano, poesia dopo poesia, era diventato sempre più famoso, ma questa volta si firmava con il suo vero nome.
Era talmente famoso che persino a Nottingham era arrivata la notizia della sua popolarità come poeta.

E Ben ne era tanto, tantissimo felice.

Ben... lui ormai era lo zimbello della città: i ragazzi della sua età lo prendevano di mira e lui si lasciava picchiare senza ribellarsi.

Aveva già tentato di togliersi la vita più volte.

La luce allegra e vispa che era sempre presente nei suoi occhi ora era svanita come fa la bianca, soffice neve invernale quando viene in contatto con i primi tiepidi raggi di sole primaverili.

Quando il moro era tornato a Nottingham, la prima cosa che aveva visto era quella che non avrebbe mai voluto vedere: Ben era lì davanti a lui, un ragazzo lo teneva fermo e l'altro lo riempiva di botte.

Un pugno: il naso è rotto e il sangue che vi fuoriusce cade pesantemente sul viso roseo del ragazzo, che piano a piano sta diventando vermiglio per colpa del sangue e degli schiaffi; 
Un'altro pugno: l'occhio è diventato rosso e gonfio; 
Uno schiaffo: la guancia ha il segno di quelle luride cinque dita; 
Un pugno, ora nello stomaco: dalla bocca esce saliva mischiata a sangue.

La scena va rallentatore.
Il ragazzo che lo stava massacrando tira fuori un coltello.
Un taglio sul collo: il sangue fuoriesce e finisce sulla candita camicia che ormai è a macchie rosse;
Uno sul braccio: la sostanza rossa parte dal gomito e finisce di sgocciolare dalle dita.

E poi con violenza l'aguzzino afferra il manico con più forza e lo conficca nella spalla di Ben che lancia un urlo strozzato.
Lo conficca ancora, questa volta nello stomaco.

I due ragazzi, dopo aver visto che i fiotti di sangue finiscono sulla camicia lasciando un'orribile macchia rossa che continua a espandersi, buttano il corpo martoriato di Ben a terra e scappano.

Tutto questo è successo nel giro di pochi secondi.

Ora, immaginate come possa sentirsi una persona che perde tutto, che perde anche le sue proprie emozioni e gli rimane solo il dolore: così si era sentito Joseph.

Subito si era precipitato dal suo amato e lo aveva preso tra le braccia.
<< No...non andartene anche te, ti prego, non mi abbandonare... >> lo aveva supplicato con voce tremante dal pianto.
Le lacrime: lacrime di rabbia, di dolore, di disperazione, cadevano sul volto del pittore e lasciavano una traccia tra le macchie di sangue rappreso.
Joe cercava di bloccare l'emorragia come poteva, ma non bastava.
<< Joe...hey buddy... >> lo aveva richiamato il biondo con voce fine: con la voce di uno che si stava arrendendo al proprio destino.
<< No...no Ben, ti prego... >> << Sh... ti...ti amo anch'io Joe... >> respirava sempre meno.
Joe lo stringeva sempre più forte a lui mentre continuava a piangere e i singhiozzi scuotevano il suo petto.
<< Joe...vai avanti con la tua vita... innamorati di nuovo...non seppellire il tuo cuore con il mio... >> gli occhi si stavano chiudendo.
<< NO, NO, NO! Tu ce la farai, tu sopravviverai, ti prego... >> << A-al mio f-funerale... v-voglio indosso il tuo m-maglione... >> il respiro era cessato e il battito cardiaco si era fermato.
Un urlo di dolore aveva invaso la calma e silenziosa Nottingham.
E Joe, dopo aver tirato quell'urlo, si mise a cantare a bassa voce una canzone che gli era appena passata per la mente:

Love of my life, you've hurt me
You've broken my heart and now you leave me
Love of my life, can't you see? Bring it back, bring it back
Don't take it away from me, because you don't know
What it means to meLove of my life, don't leave me
You've stolen my love, you now desert me
Love of my life, can't you see?                               
Bring it back, bring it back 

Don't take it away from me
Because you don't know
What it means to me


Così si spegneva la giovane vita di Ben Hardy: un pittore con molte aspettative per la vita.
Un ragazzo che aveva amato e che per sempre amerà.
Un pittore omosessuale che era stato ucciso solo per quello che era.
Un ragazzo che era amato.

Lì sulla Terra, in braccio al ragazzo che amava, in braccio al suo primo amore, un ragazzo dai biondi capelli e dagli occhi cerulei era morto e nello stesso instante, una nuova stella era nata nel profondo spazio.




E se non fosse andata a finire così?

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Capitolo 4
*** Fine ***


E se non fosse andata a finire così?

Questo continuava a sognare Joseph.
Ad occhi aperti sognava una vita con Ben: svegliarsi al mattino e vedere i suoi occhi sorridenti, assaporare quelle labbra a cui non aveva mai dato nemmeno un bacio, sognava la loro casa, in disordine, magari qualche litigio tra loro due, ma che non avrebbe mai spezzato il loro grande amore.

Joe continuava a chiedersi perché tutto ciò era dovuto capitare al suo piccolo, giovane angelo.
Angelo per aspetto, ma anche perché era troppo buono per questa umanità fatta di assassini, traditori e violenti.

Era rimasto lì a cullare il corpo ormai senza vita di Ben, come per farlo addormentare nel sonno eterno.
Non piangeva neanche più: sembrava che la sua anima se ne fosse andata con l'amore della sua vita.


Chissà cosa aveva provato Ben nei suoi ultimi istanti di vita.


Provava dolore, tantissimo, ma il dolore più grande era quello di esser consapevole di non poter più rivedere il ragazzo che amava.
Dire quelle ultime parole gli era costato tutta la forza che ancora aveva in corpo.
Ma non se ne pentiva: erano parole che gli partivano dal cuore.

Davanti agli occhi, mischiati alla figura di Joe che lo supplicava di non andarsene, vedeva tutti i ricordi base che gli avevano formato la memoria in quegli anni:
Vedeva la giornata del compleanno di Joe, ove lui gli aveva dato il suo amato maglione;
Vedeva la prima volta che erano andati al mare insieme;
Vedeva la prima volta che aveva letto una poesia di Joe, anche se lui non sapeva che fosse del castano.

Si soffermava a guardare tutti i dettagli di quelle immagini, non sentiva neanche più il dolore delle ferite.

Gli viaggiavano per la mente le parole della lettera di Joe, tutti i "ti amo" gli ritornavano in mente...
Ricordava il dolore che aveva provato nel leggere quella dannata lettera.

Poi buio: non sentiva né vedeva più niente.

E all'improvviso, il ricordo più bello di tutti lo aveva colpito.

Il ricordo del loro primo incontro.

Era successa da un po' di tempo, ma quella perdita continuava a far soffrire il biondo.
Ovunque andava continuava a ricordarsi di loro: vedeva i loro amici che negli anni gli avevano fatto da zii e zie guardarlo con compassione.

Era giovane Ben, ma aveva provato un dolore talmente forte da segnarlo probabilmente per sempre.

E' brutto vedere un genitore morire, figuriamoci due.
Lo avevano sempre supportato.
E poi un giorno era entrato in casa per avvisare i genitori di una fausta notizia e li aveva trovati.
Erano lì, inermi, abbandonati senza vita sul pavimento.

Ormai stare in quel paesino gli causava troppo dolore e un giorno aveva deciso di andarsene.
Non aveva lasciato lettere né era andato a salutare nessuno.
Era sparito come faceva il sole quando compaiono delle nuvole: all'improvviso.
Lui era il sole e le nuvole erano i fatti accaduti in quei giorni.

Non aveva niente da portare con sé, se non i suoi materiali per dipingere.

Aveva preso tutto e se n'era andato.

Come città che facesse da culla per la sua nuova vita aveva scelto Nottingham: era una città d'arte e poesia dicevano i viaggiatori e lui se n'era innamorato grazie ai racconti di quest'ultimi.

Sulla strada per andare a Nottingham aveva incontrato una buon'anima che gli aveva offerto un passaggio.
Mai poi tanto buona non si era rivelata dato che aveva cercato di derubarlo.

Passato questo episodio, dopo aver camminato a lungo e trovato passaggi offerti da persone veramente gentili, aveva raggiunto Nottingham.

Era già notte quando era giunto lì e aveva deciso di riposarsi addormentandosi sui gradini della chiesa.

Delle grida lo avevano destato dal suo sonno leggero: aveva aperto gli azzurri occhi e, ancora intorpidito dal sonno, si era diretto dalla fonte dell rumore.
Dietro alle mura della chiesa aveva scorto tre ragazzi, probabilmente tutti della sua età, che ricattavano un quarto ragazzo. Quest'ultimo non sembrava disperato: aveva lo sguardo di uno che ormai era abituato a queste cose.
I tre continuavano a dirgli di dar loro tutti i soldi che aveva.
Ben stava lì ad osservare la scena.
O almeno, ad osservare la vittima della scena.
Il pittore sapeva ormai da tempo di non essere completamente etero.
Stava lì e lo osservava.
Osservava come il ragazzo aveva piantato gli espressivi occhi mori in quelli di quello che sembrava essere il capo dei tre;
Osservava come la mascella veniva contratta per non fare uscire parole poco gentili;
Osserva la sua silhouette con occhio critico d'artista e la trovava perfetta.
Poi però, appena aveva visto il pugno di uno dei ragazzi alzarsi con l'intento ti tirare un pugno al moro, era uscito dal suo "nascondiglio" e gli aveva gridato a gran voce di fermarsi.

Non sapeva perché lo aveva fatto, gli era venuto spontaneo agire in quel modo.

I tre ragazzi, spaventati dall'apparizione improvvisa di Ben, avevano dato uno strattone a Joe facendolo cadere ed erano scappati.

Il ragazzo continuava a fissarlo insistentemente dal basso: aveva un tale sguardo fisso che sembrava essere stato ipnotizzato.
Era dannatamente attraente Joe agli occhi di Ben e quest'ultimo sperava con tutto se stesso di non essere arrossito sotto quello sguardo.

Gli si era avvicinato lentamente e per spezzare quell'occhiata gli aveva schioccato le dita davanti al viso.
<< Hey, stai...stai bene? >> gli aveva chiesto Ben porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Joe l'aveva afferrata e si era alzato.
<< Sto bene, grazie... >> << Oh, Ben. Mi chiamo Ben Hardy >> aveva risposto subito.
Joe aveva sorriso. << Piacere, Joseph Mazzello. Per gli amici Joe >>

Dopi pochi giorni dal funerale di Ben, Joe era tornato a Londra.
Lì a Nottingham troppe cose gli ricordavano Ben: ogni angolo in cui svoltava, ogni strada che attraversava, ogni porta che guardava gli portava alla mente ricordi di lui e Ben insieme.

Qualche anno dopo

Joe si era fatto una nuova vita.
Aveva anche sposato una donna che gli aveva dato dei bambini meravigliosi: era sempre stato il sogno di Joe avere dei bambini da accudire.
Però voleva qualcun'altro al posto di quella donna.
Lei l'aveva solo sposata come facciata per la società.
Erano avvenuti vari scandali sulle sue poesie e per metterli a tacere aveva sposato lei.

Erano passati due paia d'anni dalla perdita di Ben, ma nel suo cuore era ancora una ferita sanguinante.

Aveva una bella casa: era grande ed riuscito anche ad avere il suo studio personale.
Una volta, tempo addietro, Ben gli aveva parlato della sua casa ideale e quindi lui, per sentirlo più vicino, aveva cercato di arredarla in quel modo.

Ogni giorno, da quattro anni, entrava nel suo studio e ,guardando un ritratto che gli aveva regalato Ben, sorrideva.


Sorrideva al ricordo del suo angelo sceso in terra e ritornato in paradiso troppo presto.

Fine.

 





O almeno, uno dei due "Fine".

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Capitolo 5
*** Un'altra via ***


E se non fosse andata a finire così?

Facciamo un passo indietro.

Torniamo alla fredda mattina che nella mente di Ben aveva fatto riaffiorare il ricordo del compleanno di Joe.

Quel giorno entrambi erano tornati alla propria abitazione con dei doni:
Il più grande, Joe, aveva ricevuto in dono un ritratto e il ricordo del sorriso imbarazzato di Ben.
E quest'ultimo si era portato a casa un maglione impregnato del profumo del moro e il ricordo della sensazione di avere le sue braccia magre attorno a sé.
A entrambi i due ragazzi non importava molto dei presenti materiali: pensavano quasi unicamente a come conservare nel migliore dei modi il loro ricordo prezioso.

Ora riavvolgiamo velocemente tutta la storia a torniamo alla maledetta mattinata delle lettere.

E se Ben, dopo aver letto quella struggente lettera, avesse deciso di andare a cercare Joe?
Dopotutto, come ci insegnano i racconti migliori, quando si è innamorati si fanno cosa folli.

Dovete sapere però che nella città di Nottingham Ben non era l'unico a piangere per colpa di una lettera scritta dal moro.

Lui e Joseph si conoscevano da praticamente prima della loro nascita.
I suoi genitori si erano trasferiti lì da Bristol in cerca di fortuna e i primi che avevano incontrato erano i genitori di quello che ben presto sarebbe diventato un poeta.
 
Per lui Joe era come un fratello.

Gwilym, questo era il suo nome, Gwilym Lee.

Era il classico ragazzo inglese d'aspetto:
Alto, alto come è l'Elizabeth Tower.
Aveva la pelle candida e a contatto con i dorati raggi del sole, messa in confronto con i suoi corti capelli bruni, sembrava ancora più pallida.
E gli occhi, punto forte dei britannici.
Erano talmente belli e particolari da poter essere considerati ineffabili: la loro spettacolarità non si poteva definire a parole.
E' curioso comunque come la parola "magnifico" tradotta in gallese sia simile, anche solo in modo lieve, al suo nome.

Presto era diventato amico di Ben e anche lui lo vedeva come fratellino da proteggere.
Insieme, il moro e il biondo, si divertivano a chiamarlo nei modi più strambi per canzonarlo e lui si metteva a ridere, non si arrabbiava mai.

Anche solo da questo piccolo fatto si capisce che Gwilym era una persona dalla mente molto aperta a grazie a questo piccolo, grande particolare Joe aveva deciso che lui sarebbe stato il primo con cui si sarebbe aperto.
E da quel momento in poi il povero Lee era in costante pensiero per lui, ma lo era maggiormente quando Joe e Ben andavano insieme, insomma, erano i suoi "piccoli fratelli"e lui voleva
proteggerli dalla dura, meschina, crudele realtà di quel mondo dal pensiero ancora così arretrato.
Era un po' come la mamma chioccia del trio.

Era un lunedì normale, di una settimana normale, di un mese normale.
Tutto era calmo...apparte due ragazzi diciassettenni che sballonzolavano a braccetto in giro per la città sembrando i soliti ubriachi che entrano al circolo per un bianchino alle dieci del mattino e se ne escono alle nove di sera dopo una giornata di bevute, ma loro due erano solamente di ottimo umore:
Ridevano e scherzavano a granvoce, più di un abitante aveva tirato loro addosso una secchiata d'acqua gelida per via del troppo fracasso che producevano.

Ormai i vestiti zuppi ricadevano pesantemente su di loro e si appiccicavano ai loro corpi.

Era luglio inoltrato eppure tirava un fresco venticello che allietava gli animi accaldati dei cittadini.

Il mare non era tanto lontano da dove stavano loro, così decisero di andare sulla battigia per stendersi sotto i caldi e rinvigorenti raggi estivi.

Nessuno dei due aveva un fisico "da spiaggia", ma se n'erano altamente fregati di questo insignificante dettaglio e, tolti la maglia e i pantaloni fradici, si erano sdraiati al Sole come due lucertole che vogliono riscaldarsi

Gwilym dopo un po' aveva chiuso i suoi meravigliosi occhi azzurri ed era caduto in un rilassato sonno.
Dormiva così solo quando era in compagnia di Joe.
Da solo non riusciva ad addormentarsi: o pensava troppo alla sua vita e si sentiva incredibilmente solo o continuava a fare incubi.

Joe non sopportava il silenzio, lo trovava snervante.
Anche quando componeva le sue poesie preferiva stare in mezzo alla gente.
Lui voleva sentire la vita:
I rumori dei passi o della corsa;
Le chiacchiere delle donne quando si ritrovavano per l'appuntamento settimanale al mercato e si raccontavano i vari pettegolezzi:
O la risata pura e cristallina dei bambini; Quelle risa che ti riempiono il cuore e ti svuotano la mente; Una risata spontanea, mai falsa.
A Joe piaceva sentire questi suoni, lo facevano sentire parte di quel mondo.

Eppure non si spiegava ancora come potesse essere così tanto amico con Gwilym: era il suo esatto opposto.
A lui non piaceva particolarmente il rumore: appena stava troppo tempo in mezzo al caos gli veniva un forte mal di testa.
Gli piaceva stare sulle sue, al silenzio.
Quando non doveva studiare prendeva un libro e andava nei campi silenziosi a leggere il suddetto.
Ma non c'era mai un assoluto silenzio e a lui andava bene.
Mentre leggeva le sue orecchie percepivano il cinguettio armonioso dei passeri che planavano sopra al suo capo e andavano a depositarsi nel loro nido sugl'alberi all'ombra.
Ascoltava, in estate, il canto allegro delle cicale e l'acqua, che con la sua immensa calma, scorreva negli antichi canali, accarezzando i piccoli ciottoli e andava ad abbeverare le alte e bionde spighe di grano.

Ma torniamo a quello che stavano facendo i due ragazzi.

Joseph non si era accorto che l'amico si era addormentato.
O meglio, se n'era reso conto solo quando gli aveva posto una domanda e non aveva ricevuto risposta.

Si era grato nella sua direzione e il suo sguardo nocciola aveva incontrato le palpebre chiuse del ragazzo.

Il ragazzo sapeva ormai da qualche tempo della sua sessualità, ma non ne aveva parlato ancora con nessuno a causa della paura dei giudizi altrui.

Bloccato in quella posizione, girato verso di lui, aveva iniziato a scrutarlo:
Lo trovava bello, ma questo lo aveva sempre pensato: la mascella squadrata era coperta da una leggera barba mora e a Joe piaceva, da morire.
Pensava che la sensazione di quella corta peluria tra le dita fosse paradisiaca, come la sensazione che poco tempo dopo provò nel passare le mani nei capelli di Ben.
I due trovavano strane queste effusioni tra amici, insomma, lì non si usava, ma sapevano che Joe aveva origini italiane e che quindi aveva la tendenza a volere più contatto fisico con le altre persone invadendo così il loro spazio vitale.
Eppure a loro non dispiaceva in fondo.
Perchè sì, la sensazione delle mani del poeta su di loro era piacevole, anche se il più grande dei tre era restio a mostrarlo.
Le labbra, custodi di parole mai pronunciate e di sentenze non espresse, erano normali, non troppo piccole, non troppo grandi ed ora erano socchiuse a formare un piccolo cuoricino per facilitare la respirazione del suo improvviso e quieto sonno.
I capelli erano sempre in ordine, come quelli di Joe ed ora erano mischiati a qualche granello di sabbia che, trasportato dal vento, sei era proprio depositato in quel punto fastidioso.

Aveva incominciato a sussurrare parole sconnesse nel sono quali come "bacino...", "ventre..." o "prima 206 e poi 207..." e il ragazzo più piccolo non aveva potuto far niente per trattenersi dalle risate.
Chissà cosa stava sognando, su questo si stava interrogando Joe.

Poi, come fecero Adamo ed Eva, attirati da qualcosa di proibito, Joe si era sporto di più verso il suo viso e aveva appoggiato delicatamente le labbra su quelle di Gwilym dando vita ad un piccolo e innocente bacio.
 

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Capitolo 6
*** Un bacio innocente ***


Con gli occhi chiusi, ancora intorpidito dal sonno, Gwilym aveva ricambiato il bacio.
E quel profumo lui lo conosceva bene, solo Joe ne portava una così delicato.
 
Le palpebre le aveva alzate solo quando lo aveva sentito spostarsi e quello che aveva visto poteva essere definito come l'ottava meraviglia del mondo:
Joe era con il busto sopra di lui, gli occhi spalancati per il gesto che aveva appena compiuto e le labbra appena aperte.
Le guance sbarbate erano diventate di un'adorabile rosa acceso e una mano, che aveva appoggiato sul suo volto prima di baciarlo, tremava per l'adrenalina e la paura di una sua reazione.
Il busto fletto si stava allontanando dal suo, il profumo si stava affievolendo e il calore stava svanendo trasportato dal fresco venticello.
 
Sua madre gli aveva sempre detto che Dio era ovunque.
Sai quanto d'estate c'è un'afa insopportabile che non ti fa respirare e quando meno te lo aspetti in viso ti colpisce quel leggero e fresco venticello che ti rimette al mondo?
Ecco, quello era Dio per sua madre.
E lui l'aveva sempre ascoltata come se fosse l'oracolo di Delfi.
Quindi, fin da piccolo, aveva sempre ascoltato le prediche protestanti di sua madre continuando a immaginarsi che aspetto avessero gli angeli.
Passava ore e ore a immaginarseli con i capelli lunghi e biondi, con gli occhi più azzurri che mai e con una voce soave.
Tutto tempo sprecato, perché la rappresentazione di un angelo ce l'aveva davanti, che lo guardava preoccupato, eppure se n'era accorto solo ora.
Un angelo, dai gli occhi marroni e capelli rossicci, dalla voce non esattamente soave e dalle fattezze umane, con tutte quelle imperfezioni che rendono perfetti.
 
Lee si mise seduto scrollandosi la sabbia dai capelli e dai vestiti decidendo cosa fare.
 
 
Inizialmente era solamente un bacio senza malizia, un bacio innocente, come quelli a stampo che si danno i bambini dell'asilo per imitare i grandi.
Ma loro non erano bambini e sicuramente avevano più esperienza in questo campo.
Quindi le cose si fecero più...appassionate.
La mano si spostò sul suo collo e venne raggiunta dall'altra mentre si spostava mettendosi a cavalcioni sul ventre del "amico".
Vedendo che Joe si era lasciato andare, Gwilym gli mise le mani sul fondoschiena, tirandolo più a sé, facendo scontrare i loro bacini facendo sospirare adorabilmente Joe dal piacere.
Non andarono oltre, perché alla fin dei conti erano dei ragazzi con dei sani principi, quindi si limitarono ad un pomeriggio di baci e "coccole".

 
Ritornando a quel giorno plumbeo della scomparsa di Joe, troviamo, a contrario di com'era quando ricevette il suo primo bacio da parte del poeta, un Gwilym affranto, con le lacrime agli occhi, rancoroso verso chi, secondo lui, è la causa della dipartita di quello, che probabilmente, è il suo vero amore.                           
 
A contrario di Ben, Gwilym aveva ricevuto la sua lettera direttamente da Joe che, prima di andarsene e di consegnare la lettera al biondino, aveva voluto salutare il suo compagno di
infanzia.
 

E quindi dobbiamo tornare a poche ore prima di quel giorno se vogliamo sapere cosa successe la sera precedente.
 
Stava cercando di cucinarsi qualcosa di decente per cena, ma ci aveva rinunciato dopo la terza volta che era riuscito a bruciare della pasta e quindi, affamato ma senza più la voglia di
cucinarsi qualcosa, si era seduto sulla poltrona davanti al camino scoppiettante per cercare di addormentarsi.
Guardava le fiamme, così belle e pericolose allo stesso tempo, le guardava e nel frattempo sentiva il loro calore sulla propria pelle. Le guardava e il loro colore rossiccio gli ricordava
il colore della passione e dell'amore. E ovviamente quel colore gli portò alla mente il ricordo del bacio proibito.
Gli faceva male quel ricordo, perché ogni volta, si pentiva stupido per come aveva reagito, si pentiva per come, per paura che qualcuno li giudicasse e li cacciasse, si era costretto a, come
diremmo noi odiernamente, "friendzonare" Joe.
 
Gli si stavano chiudendo gli occhi, quando senti bussare alla sua porta.
In quel momento aveva maledetto chiunque ci fosse lì fuori e si spaventò anche, dato che era caduto malamente dalla poltrona.
Si alzò da terra, imprecò un paio di volte, si sistemò la maglia e andò ad aprire con stizza.
Ma la sua espressione si addolcì quando vide la figura impacciata di Joe con il pugno ancora alzato per bussare un'altra volta.
 
<< Mh...Hey...C-Ciao Gwil... >> lo salutò Joe tenendo lo sguardo basso mettendosi una mano dietro la nuca.
Mezzo addormentato Lee lo salutò con un sorriso sgembo e si fece da parte per farlo passare.
<< No...non devo entrare...devo solo consegnarti una cosa...e-e volevo vederti...è tanto che non ci parliamo...più o meno da quando lavoro con Ben...>> l'ultima parte l'aveva sussurrata,
quasi come se non volesse farsi sentire.
Joe era strano quella sera e ovviamente Gwilym lo aveva capito, solo che non si spiegava perché Joe fosse così...distaccato.
 
Quel giorno non era uscito di casa perché stava, stranamente, studiando per un esame che avrebbe avuto a breve.
Aveva solo sentito, da dei ragazzi molto rumorosi che, parole loro " Ahahahahahaha! Hanno fatto bene quelli là cacciare da casa loro quel finocchio! "
Non sapeva chi fu cacciato di casa e non sapeva nemmeno come avessero fatto quei ragazzi a sapere della notizia.
Insomma, non sapeva nulla, ma questa informazione gli aveva fatto male in un certo senso.
Gli aveva fatto male perché si era messo nei panni di quel povero ragazzo.
 
Si mise a scrutare Joe per cercare di capire cosa non andasse in lui e quest'ultimo continuava a guardare per terra, si sentiva come se il pavimento fosse diventato più interessante di
qualunque cosa al mondo.
In fine sospirò e si passò una mano su gli occhi stanchi, rassegnandosi all'umore grigio di Joseph.
<< Va bene, ma sei sicuro di non volere entrare? Magari posso offrirti del... >> ma si ricordò che non sapeva cucinare nemmeno della pasta <<...thè. >>
Joe ridacchiò perché era a conoscenza delle sue scarse abilità cucinarie e ogni qual volta qualcuno bussava alla sua porta per andare a trovarlo, offriva loro del thè.
Certo, una volta era riuscito a far evaporare l'acqua perché l'aveva lasciata bollire troppo tempo, ma non soffermiamoci su questo dettaglio.
 
<< No, mamma chioccia, non voglio nulla veramente. Ma grazie comunque. >> il sorriso era ritornato sul volto di Joe, che sembrava essere ritornato di buon umore.
<< Ah ah ah, sempre a chiamarmi "mamma" tu e il biondino. Se io fossi vostra madre- >> aveva iniziato a dire, ma poi era stato interrotto da Joseph. << Ci puniresti in maniera più severa
per le nostre bravate, sì, lo so, ce lo ripeti sempre. >> aveva finito al suo posto. << Esatto >> aveva ribattuto sorridendo l'altro.
Improvvisamente Joe si rifece triste e tornò a tenere lo sguardo basso.
<< Vedo che stai bene...Beh io tra un po' devo andare...ti dovevo dare solo questa lettera...se...se puoi...leggila domani mattina...>> e così gli aveva porto la sua lettera.
Gwilym l'aveva presa con esitazione e con sguardo dubbioso si era messo a scrutarla.
<< E perché dovrei aprirla domani mattina? di chi è questa lettera? E' tua? E dove devi andare? >> come un fiume in piena si era lasciato esternare tutte le domande che aveva e ne avrebbe
avute altre se solo Joseph non gli avesse messo delicatamente una mano sulla bocca per zittirlo.
<< Io devo andare...e tu, per favore, segui solamente quello che ti ho detto...fallo per me...per il tuo amico d'infanzia...>> gli aveva detto con un fil di voce.
Gwilym aveva annuito e poi aveva arretrato per poter parlargli di nuovo
<< Va bene...lo farò... per te. >>
 
Detto questo, Joe lo aveva salutato con un mezzo sorriso triste e si era voltato per andarsene.
<< A domani Joe. >> lo aveva richiamato Lee per salutarlo.
<< Sì...a domani Gwil... >> aveva risposto Mazzello trattenendo le lacrime.

 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     
 
 

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Capitolo 7
*** il "migliore amico" ***


E così Joe se ne andò dalla città che una volta era casa sua.
Quella città che da piccolo adorava, ma che ora disprezzava con tutto il cuore.



Gwilym quella sera andò a dormire inquieto e infatti riposò poco e niente.
Prima il cuscino era scomodo, poi aveva caldo, dopo freddo. Aveva provato a cambiare pigiama, la posizione in cui dormiva, aveva provato a leggere un libro, si era fatto un tea, ma nulla riusciva a farlo addormentare. Pensava che di non riuscire a dormire per colpa dello stress dettato dall'esame che avrebbe avuto da lì a poco, ma la verità è che era in pensiero per Joe.

Infatti pensò a lui tutta la notte.
Pensò a cosa non andava con il poeta, al rapporto che fu con lui e a come esso si era evoluto dalla comparsa di Ben. Quel ragazzo così affascinante che era apparso all'improvviso ed aveva finito per rapire il cuore di Joe.

Aveva sempre cercato di non ingelosirsi del loro rapporto, ma inevitabilmente era successo così.
Eppure non riusciva ad odiare il biondino, anzi, tutto il contrario.
E questo lo confondeva come nessun'altra cosa aveva mai fatto. Neppure la scoperta del suo orientamento sessuale -ovviamente tenuto velato agli altri- lo aveva confuso così tanto.
Come poteva amare due ragazzi in contemporanea? Ma la cosa che più lo confondeva era che quei due ragazzi erano quasi completamente diversi fisicamente.
Lui pensava di avere un ragazzo tipo e il suo tipo era Joe, ma dalla venuta di Ben questo suo moto di attrazione verso quel tipo di ragazzo era stato stravolto.


Gwilym si addormentò, con non pochi sforzi, alle tre di notte dopo una lunga battaglia con i suoi cuscini.


Alle prime luci dell'alba il canto degli allegri fringuelli e dei passeri già operanti.
Aveva aperto gli occhi e aveva deciso che la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di leggere la lettera.
Si era alzato e appena appoggiati i piedi per terra un brivido provocato dal pavimento freddo gli aveva attraversato la schiena.
Si girò verso il comodino per prendere la lettera ma appena non la vide un moto di paura lo fece allarmare e fece sprofondare il suo cuore.
Fortunatamente si ricordò che la sera precedente, mentre era sceso in cucina per prepararsi del tea, aveva portato con sé la busta, tentato di aprirla, ma per fortuna (o per sfortuna) non l'aveva aperta.
Dopo aver eluso quel mezzo infarto grazie alla sua mente funzionante nonostante ancora intorpidita dal sonno, era sceso in cucina e la lettera era ancora lì sul tavolo, dove l'aveva lasciata.

Si sedette, inforcò gli occhiali e aprì la busta.

Riconobbe subito la scrittura di Joe e sorrise.
Era quasi non leggibile, ma lui la capiva tante erano le volte che aveva dovuto leggere le sue poesie sotto richiesta di Joseph.

E così, iniziò a leggere.



"Non ti allarmare, mamma chioccia, nel ricevere questa lettera.
E fidati, avrei risparmiato lo sforzo che costa a me lo scrivere e te leggere questa lettera, se solo la mia coscienza non richiedesse che fosse scritta e letta.
Uhm...io non so esattamente cosa scrivere...e in effetti m'imbarazza stilare questa lettera...perché tu sei così intelligente! Sei sempre stato il più intelligente...colto in una maniera che io non sarò mai...ma beata ignoranza! Non quella che fa regredire l'umanità, ma quella "ignoranza" che rende bambini...creature semplici ed illibate, coloro che si accontentano di quello che per noi è poco e per loro tutto.
Loro, i bambini, che anche solo con la pioggia si meravigliano e dalla bocca delicata si fanno sfuggire un "oh" di ammirazione.
Quanto era bello essere bambini, te lo ricordi?
Facevamo le cose senza pensarci tanto su...anche se tu eri già maturo all'epoca e mi bloccavi dal far cazzate.
E te lo ricordi quando i nostri genitori ci portavano in montagna?
Ho sempre odiato la montagna, eppure a te piaceva...quindi me la sono fatta piacere.

Ma ora ho preso ad odiarla ancora più di prima...la odio incredibilmente...perché mi ricorda te.
Il calmo cantare dei passeri, il colore limpido dei piccoli laghi glaciali, il profumo dei pini. E l'infinita bellezza di tutto questo amalgamato dall'aria magica ed ermetica che hanno i boschi.
Quante cadute che ho fatto per colpa delle lunghe radici degli alberi e ogni volta tu ti preoccupavi di medicarmi, anche quando siamo diventati dei ragazzi più grandi.
Lo ammetto, qualche volta cadevo apposta solo...solo per vedere che ti importava veramente di me.

Tuttavia tu...stupido aspirante medico che non sei altro...nonostante la tua impressionante intuizione, non ti sei mai accorto di quanto io mi ero infatuato.

Ed il primo bacio te lo ricordi? Eh, te lo ricordi?! Tu mi hai preso il mio primo bacio.
Ci ho messo tutta la mia vita a essere l'uomo che i miei genitori volevano e tu in un pomeriggio, ricambiando quel bacio disgraziato, hai fatto collassare tutto.

E poi non mi hai più detto nulla.

Sei...un bastardo, sì, un bastardo con i fiocchi.

Ma comunque, dopo essermi perso nella selva del dolore, ho ritrovato la mia strada per uscirne e la mia "strada" era Ben.
Però tu mi sei sembrato geloso e... non ce l'ho più fatta, sono scappato. Ho confessato il mio vero io ai miei genitori e me ne sono andato.
Ma la tua era una gelosia immotivata, perché con Ben all'inizio era solo un'amicizia, forte sì, ma solo un'amicizia.

E poi tu non avevi il diritto di essere geloso!

Se dopo quel pomeriggio tu mi avessi cercato, se tu mi avessi detto qualcosa, beh, sicuramente non avrei cercato rifugio nelle sue braccia.
Se tu mi avessi detto che mi amavi non avrei aperto il cuore anche ad un altro ragazzo.

Perché sì, ti amo! Dio se ti amo! E avrei pagato oro per sentirmi dire la stessa cosa da te...

Però non mi bastava amare un ragazzo! NO ovviamente! Io faccio le cose in grande! E mi sono innamorato di due ragazzi, in più nemmeno simili tra loro.

Perché insomma, non puoi dire che tu e Ben abbiate qualcosa in comune.
Tu sei un ragazzo alto quanto è alta la speranza dei bambini nel futuro, con due occhi che farebbero impallidire i più limpidi laghi boschivi, i capelli mori come la corteccia delle querce e il fisico non scolpito, ma slanciato.
Ti prego, non fare domande su come io abbia fatto a studiare il tuo fisico e quello di Ben.
E appunto, il biondino con un corpo da statua greca ed il viso da angelo.
Ma anche caratterialmente siete diversi:
Tu sei completamente mauro e cosciente, invece Ben è ancora un bambinone impulsivo come me.

E non so come, né perché, però tutte queste poche, ma grandi differenze mi hanno fatto infatuare di ambedue voi.

Comunque, questa è una lettera d'addio...me ne vado a Londra...forse a Parigi se ci riesco...con la speranza di sfondare...e anche con la speranza di non soffrire più per amore.
Un'ultima cosa Gwil...dubita che le stelle siano fuoco, dubita che il sole si muova, dubita che la verità sia veritiera, ma non dubitare mai del mio amore (W. Shakespeare).


Il tuo "migliore amico" Joe"

 

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Capitolo 8
*** La pioggia ***


Gwilym guardava ancora la lettera.
I suoi occhi erano fissi sulla carta color zucchero di canna impregnata dall'inchiostro nero della penna utilizzata per scrivere.
 
La guardava, ma non la osservava.
 
Il suo sguardo era perso, malinconico, distrutto.
 
Gli occhi, i quali erano soliti essere di un azzurro limpido, sereno, ora erano scuri, come il cielo reso torbido dalle nuvole scure che ora sostavano sopra Nottingham.
Le porte dell'anima ora si stavano spalancando, come non avevano mai fatto, lasciando cadere sulle guance coperte da una leggera barba delle piccole lacrime, come le gocce che avevano iniziato a cadere in picchiata dal cielo.
Rimaneva lì, immobile seduto al tavolo della cucina, con gli occhiali inforcati e i piedi scalzi che appoggiati sul pavimento freddo, erano l'unica cosa che gli ricordava che tutto ciò non era solamente un orribile incubo.
Era vero, tutto vero, nauseantemente vero, ma gli pareva una realtà distorta e orribile quanto l'incubo che sperava che fosse.
 
Il dolore lo stava logorando dall'interno come un picchio forma il buco nella corteccia per nutrirsi.
Gli stava prendendo a morsi il cuore, come un leone che si butta affamato sulla gazzella indifesa.
Lo stava facendo soffocare, come un pitone che stritola la propria preda per ucciderla.
 
Era tutta colpa sua.
 
Non gli aveva rivelato ciò che provava e aveva innalzato quel muro ferreo, dove non solo una crepa vi si creava.
Da quel maledetto bacio aveva fortificato il muro per allontanare Joe, per non farlo soffrire e per non soffrire.
Perché diamine, quel bacio a lui era piaciuto da morire.
 
Perché l'amore è la cosa che più gli faceva paura.
 
L'amore...già...
 
Non la morte, non il soffrire fisicamente, ma l'amore.
L'amore sembra quasi che sia la cosa più pericolosa al mondo.
 
Ed effettivamente lo è.
 
E' la cosa più pericolosa e oscura, ma contemporaneamente meravigliosa e gratificante del mondo.
 
Cos'è l'amore se non un incremento per migliorare sé stessi?
 
E' un punto di forza...è il ricordo di qualcuno...
E lui quel qualcuno se l'era fatto scappare per colpa sua...ma anche per colpa della mentalità della gente in quel periodo.
Tutti così religiosi, ma no!
Se un uomo ama un altro uomo sono dei peccatori e in quel momento si scordano di essere religiosi e si dimenticano anche che il più importante dei comandamenti è ama il tuo prossimo.
 
Certo, se fossero nati nell'antica Grecia allora non ci sarebbero stati problemi, anzi.
Che bei tempi...
Ce li vedo loro tre con la tunica e la pelle abbronzata dai dorati raggi del sole greco.
 
Ma questa è tutt'altra e più lieta storia.
 
La testa gli pulsava carica di domande di imprecazioni contro sé stesso.
 
Si odiava.
 
Per un momento pensò di farla finita.
Era in cucina, aveva i coltelli vicino, sarebbe bastato un piccolo taglio dalla profondità di 0,64 cm per prendere la radiale appena sotto il palmo della mano e sarebbe morto in due minuti.
Nei primi trenta secondi la pressione sarebbe scesa vertiginosamente facendogli perdere i sensi e dopo un po' sarebbe deceduto senza accorgersene in una pozza di sangue che avrebbe continuato ad espandersi sotto di lui.
 
O poteva fare una cosa più semplice, senza il bisogno di applicare i suoi studi in medicina.
Poteva semplicemente impiccarsi.
Un classico.
Però ci sarebbe stato il rischio che se avesse sbagliato lunghezza della corda in rapporto con il suo peso corporeo la morte sarebbe stata ben più lunga e sofferente.
 
Anche se al momento, il soffrire era il suo ultimo pensiero.
 
Poi si riprese e scosse forte la testa.
Non poteva farlo.
 
Aveva ancora un'ultima speranza: poteva andare a cercarlo.
Certo, sarebbe stata un'ardua impresa trovarlo in una città grande quanto Londra, ma valeva la pena tentare.
 
Si tolse gli occhiali dal viso e passò le mani tremanti su di esso per asciugarvici i residui delle lacrime.
Porto le dita alle labbra, designandone il contorno ed ancora una volta i pensieri passarono al quel bacio sulla spiaggia.
 
Rimase perso nel calore di quel ricordo finché la mente si svegliò completamente e si ricordò di Ben.
Pensò che avesse ricevuto anche lui una lettera ed una fitta che non si seppe spiegare gli trafisse il cuore.
Era gelosia quella provava?
O preoccupazione?
Forse era paura.
 
Era preoccupato e spaventato per lui perché sapeva che aveva ricevuto una lettera ed era convinto che lui avesse reagito in maniera esattamente opposta alla sua.
 
Si alzò talmente tanto velocemente da far squilibrare la sedia e farla cadere per terra con un tonfo secco.
Ma non se ne preoccupò e corse in camera a vestirsi con i vestiti sciupati che aveva indossato il giorno precedente.
 
Ritornò nel piccolo salotto e si mise di fretta e furia le scarpe rischiando di cadere più volte ed infine, uscì dalla porta di casa lasciando sul tavolo in legno della cucina la lettera.
 
Corse sotto la pioggia finché non vide il motivo di quella sua corsa improvvisa e si gettò su di lui bloccando il più piccolo dal fare la stronzata che in un futuro alternativo gli era costata la vita.
 
<< MA CHE CAZZO FAI?! >> gl'inveì contro il biondino cercando di staccarsi dalle sue braccia per portare a termine quello per cui era uscito.
Scalciava e si dimenava, gli tirava pugni sul petto, ma lui incassava tutto e lo stringeva con più forza soltanto.
<< Ben, so che- >> aveva cercato di calmarlo lui tirando fuori il tono più dolce di cui era capace nonostante la voce tremasse per un pianto che cercava di trattenere.
Quest'ultimo riuscì a liberarsi con uno strattone e si allontanò guardandolo con gli occhi rossi e gonfi per il pianto.
Gwilym si accorse di questo particolare e una lacrima gli scese confutandosi con le gocce di pioggia che cadevano su ambedue.
<< T-Tu non sai un cazzo! L-Lui se n'è a-andato! Mi ha a-abbandonato! >> la voce usciva come il ruggito di un leone, ma tremava per colpa dei singhiozzi che gli percuotevano il petto.
 
Il più grande abbassò lo sguardo facendo cadere tutte le lacrime che stava tendando inutilmente di trattenere.
 
<< Ci...ci ha abbandonati... >> proferì dopo qualche secondo, anche lui con la voce rotta.
 
Ben rise: una risata amara, stanca.
 
<< Non è la stessa cosa Gwil...io...io lo amo e lui amava me... >>
 
Gwilym rialzò lo sguardo e Ben si accorse che era ancora più distrutto di prima.
Il primo incastrò lo sguardo in quello dell'altro rimanendo in silenzio.
 
Lo scrosciare rumoroso della gelida pioggia alleviava il rumore fastidioso dei pensieri di entrambi.
 
E Ben capì.
 
Oh, eccome se capì.
 
Ma non voleva crederci.
 
Dopo un attimo il più grande prese un profondo respiro e dichiarò a voce alta quello che non aveva mia avuto il coraggio di dire.
 
<< Anch'io...anch'io lo amo... >>
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Verde e azzurro ***


Aveva detto quelle infime parole e i mattoni del muro che aveva costruito per difendersi avevano iniziato a sgretolarsi uno ad uno.
 
Si sentiva sollevato, come se quell'opprimente peso che aveva sul petto se ne fosse andato, sparito per sempre.
Le uniche cose che lo facevano sentire più pesante del solito erano la camicia e i pantaloni inzuppati, i quali gli ricadevano mollemente sul corpo fasciandolo quasi come delle bende.
La camicia leggermente aperta e appiccicata al suo torace faceva risaltare il suo fisico magro, ma non eccessivamente, con un accenno di pettorale.
Sotto di esso, visibili a causa dei bottoni lasciati aperti anche a fine camicia a causa della fretta nel vestirsi, i corti peli addominali che andavano a morire dentro i pantaloni formando una V verso la zona pelvica erano bagnati ed irti a causa della fitta pioggia e del vento.
La vita dei pantaloni gli scendeva perché non aveva indossato la cinta e ciò mostrava uno scorcio dei suoi boxer.
Il resto dei pantaloni gli fasciavano le cosce toniche, rese così da una sua sana passione, quale il nuoto.
Le gocce precipitavano su di lui, come dei piccoli proiettili sulla pelle ormai leggermente arrossata che, a causa del vento che soffiava gelido e deciso, era diventata d'oca facendogli, appunto, drizzare i peli. 
 
Dai capelli, pur essi bagnati, cadevano delle gocce che si facevano strada sul suo viso attraverso le lacrime.
Gli occhi azzurri erano divenuti rossi e tra le folte ciglia scure rimanevano intrappolate alcune delle piccole gocce dispettose che gli finivano negli occhi.
 
Le parole gli rimbombavano ancora nella testa e non riusciva più a capire se le aveva dette o se invece aveva immaginato tutto. 
Pensava stesse sognando, la testa gli scoppiava e ciò influiva anche sulla vista offuscandogliela, proprio come in un sogno. 
 
Le stesse parole che tormentavano la testa di Gwilym, avevano messo in subbuglio il cuore di Ben.
Aveva cominciato a battere più forte, facendo scoppiare la testa pure a lui.
Batteva di rabbia, gelosia, ma anche di comprensione e…e di qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
 
Guardava il ragazzo che inerme, aspettava una sua reazione.
Aveva gli occhi bassi e le spalle ricurve lo facevano sembrare più basso ed indifeso, respirava lentamente, riprendendosi dalle botte che gli aveva tirato sul petto e riusciva in un qualche modo a vedere che quell'aura di...di comprensione e di calma che lo avvolgeva sempre sembrava essere stata distrutta, come quel muro che invece aveva sentito Lee.  
 
Non sapevano cosa dire, cosa fare o cosa provare.
 
<< tu...tu c-cosa…? >> la voce di Ben era ancora tremula, ma almeno non singhiozzava come prima. Inoltre il suo tono di voce si era abbassato notevolmente, fino a diventare quasi inudibile mischiandosi con il forte scrosciare della pioggia.
 
L'aspirante medico alzò lo sguardo verso di lui e lo incastrò nel suo.
 
Verde dentro azzurro.
 
Anima tumultuosa dentro anima annientata.
 
Ben e Gwilym.
 
Due ragazzi, un solo amore.
 
Chiuse di nuovo gli occhi e sospirò pesantemente per ritrovare quel coraggio che lo aveva fatto parlare prima.
 
Dopo qualche secondo di assoluto silenzio parlò con un tono simile a quello di Ben.
 
<< Joe...anch'io lo amo...ma l'ho capito troppo tardi… >> e chinò lo sguardo, quasi sentendosi in colpa.
 
Qualcosa dentro Ben si spezzò.
 
Guardò il vuoto e poi le nuvole, cercando almeno in loro di trovare qualcosa di "normale" estraniandosi dall'assurda situazione che le infime emozioni avevano causato. 
 
Iniziò a torturarsi le dita e andò avanti per un tempo indefinito, finché si decise a parlare di nuovo.
 
<< Grazie per la...preziosissima informazione...ma ora puoi pure tornartene da dove sei venuto…>> il dolore nella sua voce era percepibile.
 
Una risata, anche questa amare, ma questa volta da parte di Gwilym.
 
<< Sì certo...e lasciarti andare a commettere un suicidio? Lo so che stavi andando dai suoi genitori >> il sarcasmo era prorompente invece nella sua di voce, come se si fosse azionato un secondo metodo di difesa. 
 
Il biondino lo guardò per qualche secondo incapace di parlare, ma poi decise che avrebbe preferito dialogare con lui, anche se lo odiava, piuttosto che rimanere in silenzio facendosi travolgere dalle emozioni. 
 
Fece appello a tutte le sue forze per rimanere calmo, chiuse un attimo i grandi occhi verdi e fece un respiro profondo. 
Quando li riaprì puntò lo sguardo in quello ceruleo e gli si avvicinò di un passo, solo per non mettersi a gridare per farsi sentire. 
 
<< E allora tu perché sei qui genio? Non devi fare anche tu la stessa cosa? >> avvicinatosi a lui dovette alzare un po’ il viso, ma questo non gli impedì di mantenere lo sguardo fisso nel suo. 
 
<< A dire...a dire il vero io sono qui per te… >> tutto ciò che riuscì a dire il più grande fu questo, perché quegli occhi per qualche motivo lo mettevano in soggezione e per questo finito di parlare portò lo sguardo su delle panchine, evidentemente le più interessanti al momento per lui. 
 
Un biondo sopracciglio si inarcò confuso e la bocca si aprì un secondo in cerca di parole che però non arrivarono.
 
Il moro dei due sbuffò profondamente e si allontanò di nuovo da lui. 
Portò una mano agli occhi per strofinarseli e decise di interrompere quel silenzio carico di tensione che lui stesso aveva creato. 
<< Senti...lascia stare...ma per favore non andare da loro a fare una sfuriata… >>
 
Ma al pittore quella risposta non era bastata e quindi si avvicinò velocemente a lui con ampie falcate, facendo quasi scontrare i loro petti e gli puntò un dito sullo sterno magro. 
 
<< Io esigo sapere cosa intendevi. Ora. >> il tono era duro, ma gli occhi lo tradivano per quella curiosità mista a qualcosa di ermetico celata dietro allo sguardo.
 
Non essendo avvezzo alla fisicità il più grande trovò il volto e il corpo di Ben fin troppo vicino al proprio, ma questo non lo fece allontanare, ma gli fece piuttosto prende la sua mano nella propria, un gesto che poi in seguito Gwilym si spiegò che lo fece per il fastidio di aver un dito puntato allo sterno, ma al momento non sembrava questa la ragione.
 
Si abbassò un poco facendo quasi toccare i loro nasi e prese a sussurrare.
 
<< Ho detto che sono venuto qui per te. Per salvarti il culo da te stesso. Non tutto è ancora perduto...possiamo sempre andarlo a cercare...insieme. >>
 
Gli occhi azzurri così pieni di sfumature puntati nei suoi, il viso fin troppo vicino al suo, le labbra perfette che avevano appena pronunciato un barlume di speranza, la grande mano sopra la sua e la pioggia che continuava a cadere ininterrottamente sopra entrambi, come in un cliché di una scena romantica diremmo noi oggi, era troppo per il più piccolo, che si schiarì la voce e si allontanò di un passo, giusto per mantenere una distanza di sicurezza tra loro.
 
Il fantasma di un sorriso apparve sulle labbra dell’altro notando questo suo disagio.
 
<< Allora...lo andremo a cercare insieme…? >> aveva lo sguardo basso, come un bambino che aveva appena fatto una marachella e ciò fece sciogliere il cuore di Lee.
 
Si riavvicinò a Ben. gli rialzò delicatamente il viso per incontrare ancora gli occhi verdi e gli lasciò una carezza delicata sul viso.
 
<< Sì, lo andremo a cercare insieme. >> 
 

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