Il prigioniero del cielo di Voglioungufo (/viewuser.php?uid=371823)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I fantasmi di Uzushio ***
Capitolo 3: *** Addio, Uzumaki Naruto! ***
Capitolo 4: *** L'amico perduto ***
Capitolo 5: *** La decisione dell'Hokage ***
Capitolo 6: *** La scommessa di Obito ***
Capitolo 7: *** Mokuton e Sharingan ***
Capitolo 8: *** I sospetti dell'Hokage ***
Capitolo 9: *** Uzumaki Naruto!! ***
Capitolo 10: *** I Jonin di Konoha ***
Capitolo 11: *** Esplosioni di glitter come inviti a cena ***
Capitolo 12: *** Empasse ***
Capitolo 13: *** La prima missione ***
Capitolo 14: *** Insegnami ***
Capitolo 15: *** Extra 1 - Love Attack! ***
Capitolo 16: *** Circondati da squali ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Lungo
sproloquio dell’autrice
perfettamente evitabile:
È
successo:
sono passato al lato oscuro delle Time Travel dopo averne lette di ogni
tipo su
ao3, ho quindi deciso di provare a cimentarmi con la mia personale
idea. A
dispetto del titolo serioso, non è nulla di serio. Non vi
spiego molto su come
funzionerà, perché conto che sia tutto chiaro
nella storia, voglio solo dare
alcune coordinate per i tag.
Avvertimenti: ho
segnato “violenza” ma non sarà niente di
più di quella che compare nel manga.
Ovviamente sono shinobi, ovviamente ci possono essere sbudellamenti
vari, tutte
cose che se avete sopportato nel manga immagino possiate sopportare
anche qui
xD Ma per ogni evenienza io metto l’avvertimento.
L’OOC sta perché, per quanto
io tenga l’IC, dobbiamo tenere conto che è tutto
un mega What If che può
condizionare i personaggi e i loro caratteri: tipo Obito che diventa
buono,
Itachi che non fa la strage Uchiha.
Rating: ho messo
l’arancione per le stesse motivazioni di cui sopra. Calcolo
la probabilissima
presenza di scene violente e possibili squartamenti, quindi questo alza
il
rating. Non è per la presenza di scene lime/lemon (se mai
volessi inserirle, le
metterò come spin-off a parte in one-shot).
Il genere: ho messo
generale e avventura. Avventura perché siamo comunque nel
mondo di Naruto, ci
sono missioni e avventure da superare. Generale perché si
passa tranquillamente
a scene slice of life a scene di “guerra”. Insomma,
ha un po’ di tutto,
dall’introspezione, al comico, angst, avventura, battle,
romentico…
Le coppie: non sono
la cosa fondamentale della storia, davvero. Le metto solo
perché io sono una
persona debole e in quale
altra storia trovo l’occasione di mettere tutte le OTP? Ma
credo sia il caso di
farvi alcune precisazioni. La ObiNaru coinvolge il Naruto del Futuro
(Nozomi),
mentre la SasuNaru i due bambini (e per questo non aspettatevi di
vederli
scopare come ricci e fare cosacce perché sono bimbi
tenerelli ecco). Le altre
verranno scelte nel corso della narrazione, ma posso assicurarvi la
presenza
della ShiIta. In ogni caso compariranno quando sarà arrivato
il momento giusto,
quindi non aspettatevele già dal secondo capitolo.
Credo di
aver detto tutto?
Spero
che
la storia vi piaccia abbastanza da continuarla. Cuori e
commenti sono sempre
graditi <3 non siate timidi, che ho bisogno di sapere
se il mio delirio ha senso hahahah
Ora
finisco
questo sproloquio e vi lascio alla storia ^^
Prologo
«So
am I still waiting for this world to stop hating?
Can’t
find a good reason, can’t find hope to believe.»
(Still
waiting – Sum 41)
Non
ricordava l’ultima volta che si era sentito così
sfinito, con il chakra vicino
all’esaurimento e la stanchezza che gli intorpidiva le
membra. Trasportarsi con
il kamui in quella grotta era stato
l’ultimo
sforzo che aveva compiuto e, a giudicare dal sangue che colava sullo
zigomo, il
suo occhio sembrava risentirne.
Era
così
stanco che si guardò a malapena attorno. Conosceva quella
grotta, un buco su
una montagna che costeggiava il confine del Paese dei Fulmini,
l’aveva usata
già altre volte come base di emergenza dopo scontri
particolarmente violenti.
Come quello. Per quanto conoscesse le sue abilità, si era
spinto troppo oltre in
quelle ultime settimane, senza concedersi nemmeno una pausa, e ora ne
pagava le
conseguenze.
Sarebbe
rimasto lì per la notte, il tempo necessario per dormire
dopo un mese di veglia
ininterrotta e ristabilire il proprio chakra.
Accese
un
fuoco e sussultò quando le fiamme proiettarono
un’ombra umanoide sulla parete
irregolare di fronte e a lui, rivelando che nella grotta non era solo.
Si alzò
in piedi pronto a fronteggiare la probabile minaccia, il poco chakra
concentrato nell’occhio per vedere nel buio.
Era
impossibile che ci fosse qualcuno vicino e non se ne fosse accorto,
doveva
essere per forza uno shinobi particolarmente abile nel celare la
propria
presenza.
“Tobi…”
parlò lo sconosciuto e sentì il proprio respiro
arrestarsi. Chiunque fosse,
sapeva chi era lui.
L’intruso fece un
passo avanti e, aiutato dal
calore delle fiamme, il suo viso non fu più
un’ombra sulla parete.
Per un
momento credette di trovarsi davanti a un fantasma. Quegli occhi, quei
capelli
e quella postura… appartenevano a una persona che aveva
conosciuto molto bene.
Ma quella persona era morta a causa sua.
Non
poteva
essere.
“Chi
sei?”
chiese quindi, un ringhio minaccioso.
Il
fantasma
fece un altro passo avanti, il fuoco disegnava ombre sul suo viso serio
e
illuminava occhi blu accesi di determinazione.
“Sono
Uzumaki Naruto”, disse, “e vengo dal
futuro”.
La
risata
lasciò lugubre la sua gola e risuonò per la
caverna prima che potesse
controllarla. Si piegò su se stesso con le spalle,
l’occhio rosso che
trapassava la figura del sedicente viaggiatore del tempo. Il quale
abbassò il
viso, gli occhi puntati sulla mano che aveva fatto scivolare sulla
custodia di
shuriken.
“Non
sono
qui per combattere, Obito” disse calmo.
Sentirsi
chiamare con il proprio nome di nascita lo destabilizzò un
poco, ma non lasciò
che quella frase lo turbasse.
“Obito?
Tobi? Sembri confuso su quale sia il mio nome” lo
sbeffeggiò. Distrattamente si
chiese se fosse il caso di usare la fastidiosa personalità
di Tobi.
Il
ragazzo
biondo non ribatté subito, preferì sedersi a
gambe incrociate davanti al fuoco.
Grazie alla luce poté notare che indossava sgargianti e
logori abiti arancioni,
nessuna fascia sulla fronte indicava la sua fedeltà a
qualche villaggio.
“A
volte
hai usato un terzo nome” borbottò fioco,
alzò gli occhi penetranti su di lui.
“Ma so che Madara è morto dopo averti
allenato”.
L’opzione
del viaggiatore del tempo non gli parve più così
assurda, non davanti alla
consapevolezza che sapeva della loro alleanza. Non si sedette al
falò come
aveva suggerito l’altro, lo osservò attento ancora
una volta, ma il suo
sharingan aveva già appurato che non si trattava di un
genjutsu. Quindi il suo
aspetto era davvero quello di un giovane uomo dagli spettinati capelli
biondi,
acconciati in quel modo così familiare, i lineamenti morbidi
con le guance
attraversate ciascuna da tre cicatrici parallele e due rotondi occhi
blu.
Uzumaki
Naruto… il marmocchio di Minato-sensei.
“I
viaggi
nel tempo sono impossibili” disse lugubre.
Il
presunto
Naruto rise. “Sì, me l’hai
già detto in futuro. Eppure eccomi qui”.
Assottigliò
l’occhio al tono spensierato, come se stesse chiacchierando
con una vecchia
conoscenza davanti a una tazza di tè. Lui, a suo contrario,
aveva i nervi a
fior di pelle e i muscoli tesi, pronti alla battaglia.
Non
c’era
verso che potesse credere a una cosa così assurda.
“Perché
sei
qui?” chiese quindi.
La spensieratezza
sparì dal viso dell’altro
mentre tornava a guardarlo, nelle iridi la serietà mortale
di un vecchio
soldato.
“Sono
qui a
impedire che tu faccia una sciocchezza”.
Trattenne
un verso stizzito tra i denti. “Che sciocchezza?”
“Tsuki no Me”.
Rimase
in
silenzio, valutando quella nuova informazione. Quest’uomo
conosceva cose che
solo lui e Zetsu avrebbero dovuto conoscere. Ancor di più,
l’opzione del
viaggio del tempo non gli parve impossibile.
“Cosa
sai
dello Tsuki no Me?” ringhiò sulla difensiva.
“Molto
più
di te e Madara” rispose pacato. “So che non
porterà a quello che speri, nessuna
pace e sogno perfetto. Solo la distruzione di questa terra come la
conosciamo e
la rinascita di un essere immortale di nome Kaguya, la madre del
chakra”.
Il suo
fiato cominciava a condensarsi all’interno della maschera,
rendendogli
difficile respirare.
“Che
cosa
stai dicendo?” sbottò. “Queste sono
stronzate, Madara…”
“Madara
si
è sbagliato, è stato manipolato, e quando
è riuscito a completare il suo piano
ho visto con i miei occhi il ritorno di quest’essere
spaventoso” lo interruppe
Naruto, il tono fermo. “Lo Tsuki no Me è un
errore. E anche tu lo capirai in
futuro”.
Obito
scattò prima di rendersene conto. Le sue dita non
scivolarono però sugli
shuriken, ma sull’ultimo kunai che gli era rimasto. Si
lanciò contro il ragazzo
oltre il fuoco per colpirlo, ma si sentì subito bloccare con
violenza. Il
contraccolpo lo costrinse a chiudere gli occhi e quando li
riaprì rimase senza
fiato, la presa sul kunai tremò al punto che gli
scivolò via dalle dita.
Una mano
fatta
di puro chakra lo aveva fermato al polso poco prima che potesse colpire
il viso
di Naruto, il quale era rimasto impassibile al suo posto circondato da
una
forte luce gialla irradiante puro potere. La mano che lo aveva bloccato
era
collegata direttamente a lui.
Occhi
rossi, non più azzurri e dalla pupilla ferina lo
trapassarono, come se potessero
vederlo oltre la maschera.
“Ho
detto
che non sono qui per combattere” replicò ferreo.
Il
chakra
gli ustionava la pelle, perciò sciolse la tensione e
arretrò. Nel vederlo
abbandonare la posa offensiva, il braccio di chakra si dissolse e gli
permise
di allontanarsi. Scacciò anche il chakra che lo aveva
circondato, smettendo di
risplendere e tornando con gli abiti sgualciti con cui si era
presentato.
Obito
deglutì al potere che aveva sentito impregnare
l’aria improvvisamente, un
chakra del genere poteva appartenere solo al Kyūbi.
Non
stava
mentendo, era davvero Uzumaki Naruto.
“Mi
ascolterai adesso?” chiese più gentile vedendolo
arretrare.
Ancora
scosso dall’adrenalina provata in quel secondo,
annuì con cautela. Il ragazzo
che aveva davanti era potente, mentre lui esausto. Meglio assecondarlo
e
salvare le sue scarse riserve di chakra nel caso avesse dovuto
affidarsi a una
rapida fuga con il kamui. Inoltre, se davvero veniva dal futuro, quello
che
aveva da dire poteva meritare la sua attenzione.
Vide
Naruto
sospirare di sollievo e rilassare la posa delle spalle.
“Bene.
Sarà
molto lungo e non crederai a metà delle cose che ti
dirò, ‘tebayo” brontolò.
Obito
inarcò un sopracciglio, poi si sedette a sua volta davanti
al fuoco.
“Ti
ascolto”.
“Dunque,”
iniziò socchiudendo gli occhi, “fra circa nove
anni inizierai a catturare
sistematicamente i Bijū, approfittando dell’Akatsuki.
Riuscirai a prenderli
quasi tutti, tranne Giyūki
e Kurama”.
“Quali?”
chiese con fastidio.
Naruto
sembrò sussultare. “Intendo l’Hachibi e
il Kyūbi, sono i loro nomi”.
“Nome?
Hanno un nome?” non riuscì a nascondere la
sorpresa nel tono.
“Ogni
Bijū
ne ha uno” replicò e sembrò risentito.
“Non sono oggetti o armi, sono esseri
viventi con un proprio nome e una propria personalità
e…” si bloccò e scosse la
testa. “Dopo,” decretò,
“andiamo con ordine”.
Obito si
ritrovò a essergli grato, il suo cervello si stava ancora
abituando all’idea di
dover accettare che questo ragazzo davanti a lui fosse Uzumaki Naruto,
il
figlio del suo sensei, quando sapeva che al momento il marmocchio aveva
sei anni.
“Appunto,
dicevo, mancavano solo loro due. Allora hai deciso di dichiarare guerra
alle
nazioni ninja perché te li consegnassero. Io…
be’, lo sai: io sono il
Jinchūrike di Kurama e nel mentre mi sono allenato a usare il suo
potere e
abbiamo anche iniziato a collaborare. E anche Killer B con Otto-chan
andava
molto d’accordo…”
Se
questa
era l’idea di ordine di Uzumaki era davvero molto confusa e
sbagliata. Si
schiarì la gola, riportandolo nella giusta carreggiata. Con
uno sguardo
imbarazzato, Naruto ricominciò da capo, raccontandogli della
Konoha della sua
infanzia, delle sue prime missioni con il team 7,
dell’attacco di Suna e della
morte de Terzo Hokage, il tradimento di Sasuke e il suo allenamento con
Jiraiya. Parlò del team Kakashi – una stretta al
cuore di Obito che ribolliva
di rabbia – e dei suoi primi scontri con
l’Akatsuki. La sua voce si incrinò
quando iniziò a contare le prime morti di quella guerra
appena iniziata, tra
cui il suo maestro, e poi passò al suo scontro con Nagato
subito dopo aver
imparato l’arte eremitica.
Rimase
sorpreso nello scoprire che l’attuale alleato lo avrebbe
tradito dopo essere
stato sconfitto da Naruto e convinto dalla sua determinazione. Voleva
interromperlo per saperne di più, ma lui proseguì
imperterrito nel raccontare
il cammino di Sasuke nell’oscurità, di Itachi e la
strage degli Uchiha, di come
Obito ne avrebbe approfittato a suo favore. Arrivò quindi al
summit de Kage
dove avrebbe dichiarato guerra a tutte le nazioni principali, unitesi
per
contrastarlo nell’Alleanza Shinobi.
Arrivò
quindi alla guerra.
A questo
punto non riuscì più a provare a interromperlo o
screditare le sue parole. Ogni
cosa era descritta con limpida chiarezza, un dolore tangibili nelle
iridi
azzurre e nella voce appena tremolante davanti alle perdite. Se ne
convinse
mentre gli raccontava del suo allenamento per imparare a controllare il
chakra
del Kyūbi, dell’Edo-Tensei e del suo avvicinamento con i Bijū
catturati.
Uzumaki
Naruto veniva davvero dal futuro.
Naruto
si
interruppe in un breve silenzio quando arrivò al momento in
cui lui, Obito,
sarebbe diventato il Junchūriki del Jūbi. Tenne qualche secondo gli
occhi sul
danzare delle fiamme prima di riprendere a parlare.
“Non
ci
siamo arresi, ovviamente. Abbiamo continuato a combattere con tutte le
nostre
forze e alla fine ci siamo riusciti, ci siamo avvicinati abbastanza da
afferrare il chakra dei Bijū dentro di te e iniziare un…
tiro alla fune con il
chakra”. Tornò a guardarlo e sul momento non
capì la tristezza negli occhi. “In
quel momento i nostri chakra sono entrati in contatto e… ho
visto il tuo
disprezzo per questo mondo, il tuo dolore per Rin…”
Sussultò
e sentì
la ferita ancora aperta bruciare, consumarlo dall’interno.
“Non
osare
dire il suo nome…” sibilò.
Naruto
non
si ritrasse al suo tono sprezzante, continuò a fissarlo
dritto sull’unico
occhio visibile.
“Devo
raccontarti com’è andata…”
“So
com’è
andata” sputò interrompendolo. “So che
si è suicidata per sua scelta, che l’avevano
trasformato nel Jinchūriki del Sanbi…”
“Isobou”
borbottò. “Il suo nome è
Isobou”.
Non
l’ascoltò. “So che ha dovuto farlo per
proteggere Konoha, ma questo non cambia nulla.
Anzi, è stato questo
ad aprimi gli occhi su quanto questo mondo sia sbagliato, corrotto,
un…”
“Inferno”
completò per lui Naruto.
“Un
mondo
dove le persone sono sacrifici per la guerra e gli amici tradiscono le
proprie
promesse non può essere reale”.
Sembrava
stanco. “Sì, Obito, ma questa è solo
una parte della verità”.
S’incurvò
di nuovo teso a quelle parole.
“Non
ti sei
mai chiesto come la Nebbia potesse avere un Bijū a portata, quando
Madara è una
delle pochissime persone in grado di catturarli e
controllarli?” lo pungolò
Naruto, risvegliando vecchi dubbi che aveva sempre sepolto nella sua
mente.
“Avere un Bijū è difficile, eppure decidono di
darlo via sigillandolo per pura
fatalità nel corpo della tua
compagna di squadra, che sempre per pura
fatalità è arrivata a una distanza
sufficiente perché tu la
raggiungessi. Senza contare i Zetsu” soggiunse ironico,
“fedeli a Madara eppure
decidono di tradirlo facendoti arrivare convenientemente nel momento in
cui è
avvenuta la tragedia”.
Obito
cominciò a faticare a respirare mentre ogni singola parola
affondava dentro di
lui.
“Cosa
vuoi
dirmi?” chiese.
Sapeva
la
risposta.
“Madara
ha
manovrato tutto in modo che tu scegliessi lui e il suo piano”.
Riuscì
appena a sentirlo sopra il ruggire del sangue per tutto il suo corpo,
il battito
del suo cuore nelle orecchie... un cuore che improvvisamente tornava
alla vita
per battere e sanguinare puro dolore.
“No,
non è
vero” mormorò ostinato. “Madara mi ha
salvato, mi ha mostrato la verità, mi ha
allenato…” si
preoccupava per me,
avrebbe voluto aggiungere, ma quelle parole sembravano incastrarsi
nella gola.
La pena
negli occhi azzurri lo fece sentire solo più miserabile.
“Tu
eri
disposto a uccidere il tuo amato sensei” sussurrò.
“Hai minacciato me, suo
figlio, e più avanti hai tentato di uccidere il tuo migliore
amico… solo per il
bene di questo piano. Credi che Madara non sarebbe stato pronto a
sacrificare
lo stesso?”
Lo
avrebbe
fatto.
Era
questa
la risposta giusta, la sapeva fin troppo bene e una parte di lui forse
aveva
sempre avuto quel dubbio, lo stesso che ora Naruto gli aveva
schiaffeggiato in
faccia. Ma lo aveva sempre sepolto, per il bene dello Tsukiyomi,
perché se
avesse avuto successo quelle menzogne sarebbero sparite, a favore di un
mondo
perfetto.
Se avesse avuto
successo.
Obito si
sentì come se avesse mille anni sulle spalle,
anziché venti, quando ricordò
l’ammonimento di Naruto su un essere immortale di nome Kaguya.
“Poi?
Cos’è
successo?” chiese stanco.
“Abbiamo…
parlato” mormorò. “Mentre lottavamo per
il chakra dei Bijū, siamo riusciti a
vederci nei propri cuori. Ti ho capito e ho deciso che non volevo
combatterti.
Tu… ti sei arreso alla fine. Hai lasciato andare la
presa”.
“Mi
sono
arreso” ripeté.
Annuì.
“Sì,
hai capito il tuo errore e hai voluto rimediare. Hai deciso di fidarti
di me”.
“Di
un
ragazzino”.
Rise.
“Sono
molto persuasivo” acconsentì.
Ripensò
a
quanto aveva detto anche su Nagato, del suo tradimento, e scosse la
testa
rassegnato.
“Quindi?
Avete vinto, cos’era quella storia di Kaguya?”
Naruto
sospirò. “Non abbiamo vinto. Tu ti sei arreso, ma
non Madara”.
“Hai
detto
che stava combattendo con Hashirama”.
Annuì.
“Dovevamo sigillarlo, ma lui ci ha preceduti. Te
l’ho detto? In quel momento tu
avevi il rinnegan…” la sua voce si
affievolì e Obito capì cosa stava per dire.
“Rinne
Tensei” sussurrò. “Sono morto e lui
è rinato”.
Fu
sorpreso
di vedere Naruto scuotere la testa.
“Madara
è
rinato, ma tu non sei morto. Immagino tu abbia sfruttato le tue cellule
di
Hashirama e lo Zetsu nero, in quel momento era aggrappato a te per
manovrarti
nella tecnica… Ti ha dato abbastanza forza per continuare a
vivere”.
Annuì
sollevato. “Poi?”
“Madara
si
è ripreso i Bijū che ti avevamo strappato, anche…
Kurama” mormorò, una mano
appoggiata allo stomaco a stringere le sue vesti.
Obito
inorridì. “Ma non sei morto”.
Sospirò.
“Resistenza Uzumaki e Sakura-chan, un ottimo medico a
guardarmi le spalle. Sono
rimasto in uno stato di pre-morte finché tu non mi hai
salvato”.
Ci mise
più
di un secondo per capire realmente le sue parole.
“Io?” echeggiò incredulo.
“Ma…”
“Mio
padre
prima di morire aveva sigillato dentro di sé una
metà del chakra di Kurama” non
batté ciglio Naruto. “Mentre Madara non aveva
capito che tu lo avessi tradito,
credeva fossi solo stato sconfitto… Sei riuscito a coglierlo
di sorpresa, perfino
a rubargli un po’ del chakra di Shukaku… intendo
l’Ichibi” chiarì al suo
sguardo vacuo, “e di Gyūki, i Bijū che mi mancavano. Allo
stesso tempo hai
estratto il chakra di Kurama da mio padre, mi hai portato nella
dimensione del
kamui e… magia, eccomi
ancora in
piedi ‘tebayo” scrollò le spalle.
Obito lo
fissò incredulo, tutto quello era assurdo quanto il viaggio
del tempo.
“Ho
fatto
tutto questo dopo aver eseguito il Rinne Tensei?”
Non si
aspettava che Naruto gli lanciasse un sorriso luminoso e gli facesse
l’occhiolino.
“Sei
un
tipo tosto”.
Si
sentì
ancora più scombussolato a quella reazione, decise di
ignorarla e passare
oltre. “Così sei tornato in vita. Poi?”
“Ecco,
c’è
da dire che pure Sasuke nel mentre non se la stava passando molto bene.
Madara lo
aveva infilzato” confessò. “E mentre
eravamo entrambi in questo stato di pre-
morte, abbiamo incontrato un… vecchietto
interessante”.
Obito
aveva
paura di chiedere chi.
“Il
Saggio
delle sei vie!”
Fu un
po’
troppo. Si tolse la maschera con un gesto secco e prese una lunga
boccata
d’aria, entrambe le mani davanti agli occhi.
“Ora
il
viaggio del tempo è la cosa meno assurda”
borbottò.
Ascoltò
il
resto con un misto di incredulità e rassegnazione. Conosceva
già la storia di
Idra e Ashura, del loro giro di reincarnazioni. Madara gliela aveva
raccontata,
quindi non faticò a seguirlo su quel punto. Rimase solo
sorpreso di scoprire
che il figlio di Minato e uno dei mocciosi di Fugaku sarebbero stati i
destinatari di quel ciclo e che ne avrebbero ricevuto i pieni potei dal
padre
degli shinobi.
Arrivato
a
quel punto, la rinascita di Kaguya non lo sorprese più del
dovuto. Rabbrividì
però nel saperlo e provò un profondo turbamento
nel rendersi conto che anni di
pianificazione e sacrifici erano destinati al fallimento totale. Non
stava
portando il mondo verso la pace, ma alla sua rovina.
Naruto
diventò sempre più triste, un lungo silenzio
precedette le sue successive
parole.
“Lo
Tsuki
no Me si attivò subito, chi non riuscì a mettersi
in salvo venne intrappolato
nella tecnica. In pochi secondi, eravamo stati decimati. In tutto il
mondo,
sopravvivemmo solo noi e un’altra manciata che era riuscita a
mettersi in salvo
dalla luce riflessa della luna. Abbiamo combattuto contro
Kaguya”.
“Ma
non
potevate vincere” indovinò.
Gli
occhi
azzurri si macchiarono di dolore. “No, non potevamo. Kaguya
trasformò gli
shinobi catturati nel genjutsu in Zetsu e ci attaccò con
quelli. Abbiamo
provato a resistere, ma più di noi cadevano più
il suo esercito si ingrossava.
Il viaggio del tempo è stato proposto con scherzo,
ma… presto è diventato
l’unica soluzione”.
Obito
sospirò. “Com’è
possibile?”
Naruto
rise. “È… complicato. È un
jutsu spazio-temporale che agisce combinando
l’hiraishin con il kamui”.
Aggrottò
gli occhi nel sentir nominata la tecnica del suo Magekyo.
“Spiegati
meglio”.
Agitò
le
mani. “Quello che ti sto dicendo è il frutto di un
brain-storming tra te, mio
padre e Orochimaru, io mi sono limitato a imparare come si
fa.” Fece una pausa,
poi continuò. “Il tuo kamui si sposta tra le
dimensioni e il tempo è una
dimensione. L’hiraishin è una tecnica di
teletrasporto che annulla il tempo. Ma
se cambi il sigillo del tempo, se invece
dell’istantaneità inserisci un conto
all’indietro?”
“Non
funzionerebbe” borbottò Obito.
“L’hiraishin ha bisogno di marcare il punto di
arrivo ”.
“Ma
il
kamui no”.
Tacque,
perché era vero e improvvisamente tutti i pezzi stavano
combaciando al loro
posto. Ma…
“Tu
non ha
un Mangekyo sharingan”.
Seppe la
risposta ancora prima che Naruto sospirasse, prima che infilasse la
mano
all’interno della sua sacca per tirare fuori un contenitore
di vetro. Tra i
liquido si trovavano due occhi sharingan perfettamente conservati.
“Sono
i
tuoi” bisbigliò. “Del te del futuro. Me
li ha dati prima di partire”.
“Perché
a
te?” domandò, lo sguardo fisso su quella
raccapricciante visione. Quegli occhi
rendevano tutto il racconto più reale, erano la prova finale.
“Perché
ero
l’unico ad avere abbastanza chakra per compiere il viaggio
mentre Sasuke teneva
occupata Kaguya”.
Il
dolore
nei suoi occhi era tangibile, simile a una cascata straripante. Fissava
il
contenitore con lo sharingan come se fosse una maledizione.
“Non
volevo
venire qui” mormorò. “Speravo davvero di
poter salvare il mio mondo, ma… ormai
non c’era più niente da salvare. Li ho
abbandonati, è questa la verità”.
Obito
rimase a lungo in silenzio chiedendosi come rispondere a una
costatazione del
genere. Nonostante l’assurdità della situazione,
gli credeva. Non aveva mai
visto nessun altro parlare con una tale sincerità negli
occhi, con una
trasparenza così dolorosa. Solitamente i ninja tendevano a
schermare le proprie
emozioni, a rendere impossibile indovinare le loro intenzioni. Invece
questo
Naruto non se ne preoccupava. Non sapeva se fosse per idiozia o una
spropositata fiducia.
“Mi
dispiace” disse alla fine.
Onestamente
non sapeva ancora come considerarlo, se nemico o amico. Era qui per
fermarlo a
quanto diceva, ma nel suo futuro erano stati alleati.
Naruto
sorrise. “È oka…” si
bloccò, si morse le labbra per non dire quella bugia.
“È
uno schifo” ammise. “Sono stato giorni a
piagnucolare su quello che ho perso
prima di rendermene conto che… be’, non potevo.
Sono morti per dare una
speranza a questo mondo, a questo tempo, e mi hanno affidato questa
speranza.
Non posso restare in disparte e vedere lo stesso futuro accadere. Posso
evitare
la guerra, salvare le mie persone preziose, proteggere il mondo degli
shinobi…”
“Da
me”
mormorò Obito. “Ecco perché sei
qui”.
“Esatto”
ammise. “È stato frustrante aspettare un momento
in cui fossi… predisposto
ad ascoltarmi”.
Capì
subito
cosa intendesse e provò un profondo turbamento. Per quanto
tempo lo aveva
seguito senza che ne accorgesse? Era rimasto sempre
nell’ombra in attesa di un
suo momento di debolezza in cui non avrebbe potuto combatterlo.
“Quindi?”
chiese piatto. “Perché non mi hai ucciso e
basta?”
Si rese
conto di non essere spaventato o arrabbiato all’idea di
essere arrivato al
capolinea. Il suo piano era un fallimento, aveva passato gli ultima
anni a
sporcarsi le mani senza una possibilità di redenzione. Tutto
quello che aveva
fatto non era più giustificabile in onore dello Tsukiyomi.
Tutto quello che
aveva fatto era stato inutile. Il mondo era ancora marcio, ma ora era
anche
privo di soluzione. Morire era più accettabile, almeno si
sarebbe ricongiunto a
Rin e non avrebbe più dovuto sopportare una tale
realtà.
Naruto
rimase confuso alla sua domanda. “Cosa?”
“Perché
sprecare tempo a parlarmi, avresti potuto uccidermi fin da
subito”.
“Non
voglio
ucciderti”.
Le
fiamme
gialle danzavano dentro gli occhi blu, agitati di turbamento. Obito
scosse la
testa, incredulo che fosse scosso all’idea della sua morte.
“Ho
ucciso
i tuoi genitori, scatenato il Kyūbi contro il tuo Villaggio e sono il
motivo
del mostro dentro di te. Da quello che hai detto, porterò il
mondo sull’orlo della
distruzione dopo una guerra tremenda. Perché non mi uccidi e
basta? È la
soluzione più semplice”.
Naruto
indurì la presa della mascella, quella linea dura lo rese
ancora più simile a
Minato-sensei e fu difficile mantenere il contatto visivo. Era come
avere il
suo fantasma davanti.
“È
la sua
soluzione più semplice,” confermò,
“ma non quella giusta”.
Uno
sbuffo
simile a una risata trattenuta lasciò le sue labbra.
“Non
esistono soluzioni giuste, solo quelle convenienti”
tagliò corto.
Ignorò
la
calda luce esasperata che brillò negli occhi
dell’altro, come se avesse sentito
un discorso contro cui aveva già combattuto e vinto.
“Esistono,
ma sono quelle più difficili e per questo raramente vengono
prese. Siamo fortunati
che io sia abbastanza ostinato da non mollare mai la presa,
‘tebayo!” assicurò
con un sorriso pieno di sicurezza. “Non perderò
l’occasione di salvare anche te
e permetterti di riscattare le tue azioni!”
“Riscattare”
ripeté e sentì una fitta di odio risvegliarsi nel
suo petto. “Riscattare cosa?
Questo mondo è marcio e corrotto
fino al midollo, lo è nella sua natura, quindi
perché dovrei provarci?” ringhiò
nell’ultima frase, il discorso di Madara ancora impresso
nella mente. Solo in
un sogno le ombre potevano essere cancellate, non nella
realtà. Il mondo, ogni
singolo individuo è duale e questo non poteva essere
cambiato dalla pura
ostinazione.
“Perché
ci
sono altre brave persone che ci provano ogni giorno”
ribatté sicuro. “Tutti
lottiamo per la pace. Se questo mondo non ti piace, allora
cambialo”.
“Ogni
brava
persona che ho conosciuto è stata uccisa, corrotta e
distrutta” non mollò la
presa. “Non puoi restare lo stesso all’inferno.
È stato provato già moltissime
volte e cosa puoi fare tu, che non
abbiano già provato? Parlare? Hashirama ci ha provato, ma
poi ha dovuto
scavalcare cadaveri per avere un surrogato di pace
temporanea”.
“Solo
perché non c’è mai riuscito nessuno
prima, non è detto che io non possa
riuscirci!”
Obito
socchiuse agli occhi al tono ostinato, pregno di una testardaggine che
si rifletteva
in tutta la sua espressione. In quel momento i suoi occhi sembravano
essere
pura determinazione.
“Cosa
puoi
fare tu da solo…” sibilò.
E,
contro
ogni previsione, Naruto sorrise. Stirò le labbra in un modo
così genuino da
essere quasi disarmante, non ricordava l’ultima volta che
aveva visto qualcuno
sorridere così.
“Ma
io non
sono solo” lo contraddisse dolce. “Ho Kurama con
me”.
“Voi
due
soli allora” ringhiò, come se
quell’ottimismo lo stesse ferendo. “Gli uomini
odiano e temono i Bijū e i loro Jinchūrike. Non vi ascolteranno
mai”.
“No,
Obito,
no” scosse la testa esasperato. “I Bijū sono nove,
lo sai bene, e tutti loro
hanno viaggiato con me. Avevo il loro chakra” gli
ricordò,“e ricordano quello
che ricordo io. Ho già controllato, appena sono saltato mi
sono ritrovato nella
dimensione condivisa dai Bijū”.
Obito
era
stanco di chiedere informazioni, ma più parlavano
più scopriva cose che non
sapeva.
“Dimensione
condivisa dei Bijū?” echeggiò.
Ridacchiò.
“Ecco, è come una grandissima stanza vuota dove i
Bijū possono trovarsi per
parlare, indipendentemente dalla loro posizione. Possono portare anche
il loro
Jinchūrike se sono abbastanza amici. Appena Kurama si è
ripreso siamo andati lì
e tutti ricordavano. Li ho portati indietro nel tempo con me,
perché è il
chakra che può viaggiare e i Bijū sono esseri di puro
chakra”.
Annuì
senza
chiedere altre spiegazioni. Non aveva capito niente di come funzionasse
quel
sigillo e l’uomo era una merda a spiegarsi.
“Quello
che
voglio dirti” riprese Naruto, “è che
sappiamo cosa vogliamo evitare. Per colpa
della Quarta Guerra i Bijū hanno sperimentato la mortalità e
il proprio
annullamento. Non è qualcosa che nessuno di loro
è disposto a ripetere”.
“Non
cambia
nulla” mormorò, gettò la testa
all’indietro e socchiuse gli occhi verso il
soffitto della caverna. “Uno, due, tutti e nove… I
Bijū sono temuti nel loro
insieme. Nessuno di loro verrebbe ascoltato”.
Naruto
rimase in silenzio qualche secondo, come a volergli dare il tempo di
aggiungere
altro. Obito non lo fece, perciò iniziò lento:
“I Bijū, i Jinchūrike… siamo da
sempre stati usati come deterrente per la guerra, ma la
verità è che non ha mai
funzionato perché noi Jinchūrike siamo sempre stati
disprezzati, i Bijū usati
solo come armi. Ma se Jinchūrike e Bijū collaborano in una vera
partnership,
come me e Kurama, non c’è niente che possa
fermarci. Avremo il potere di
influenzare la politica”.
Obito
inarcò un sopracciglio e tornò a guardarlo.
“Suona paurosamente simile alla
rivoluzione”.
Accennò
un
sorrisetto. “Non era questo l’obiettivo iniziale
dell’Akatsuki?”
“Che
è
fallito” rispose più incerto di quanto volesse
sembrare. “Ogni tentativo di
rivoluzione è fallita”.
“Perché
non
ha mai avuto il sostegno dei Bijū”.
Obito
cadde
in un lungo silenzio contemplativo, lo sguardo puntato sul fuoco ma la
mente
impegnata a elaborare quanto sentito. Per quanto stesse cercando di
contrastare
la proposta, era già al lavoro per capire come procedere in
una situazione
simile e vagliava tutta la sua conoscenza.
Alla
fine,
era stato convinto ancor prima che se ne rendesse conto.
“Come
procederesti?” chiese infine cauto.
Naruto
sorrise e socchiuse gli occhi a quella concessione, si
rilassò e lo guardò
eloquente.
“Dovrei
essere io a chiedertelo. Sei tu l’esperto della politica di
questo periodo”.
Non
ricambiò il sorriso. “La Nebbia
insanguinata” disse. “Sto tenendo il controllo
di Yagura, il Mizukage, ma non è solo sua la politica
crudele. Consiglieri e
gradi alti, lo stesso Daimyo… È per questo che mi
è stato così facile
manovrarlo. Kiri ha una storia alle spalle fatta di sangue”.
Naruto
abbassò gli occhi, improvvisamente triste e malinconico.
“Yagura era solo un
ragazzino quando è morto nel mio tempo”
sussurrò.
“È
un pazzo
violento” disse Obito. “Lo è da prima
che cadesse nel mio genjutsu. Kirigakure
è un Villaggio corrotto fino alle ossa. Se vuoi iniziare a
cambiare il mondo,
devi partire da lì”. Lo osservò
attento, l’occhio nero che brillò brevemente di
cremisi. “Quindi, come procederesti?”
Naruto
si
portò una mano ai capelli, allontanò i lunghi
ciuffi biondi dagli occhi.
“Non
so
esattamente se siamo in anticipo o in ritardo, ma nella mia linea
temporale
Momochi Zabuza tentò un colpo di stato contro Yagura.
Purtroppo fallì e divenne
un nuniken”. Si morse le labbra prima di continuare.
“Se non è troppo tardi,
possiamo aiutarlo. Faremo vincere questa rivoluzione e installeremo un
Mizukage
più affidabile”. Lo vide sorridere affettuoso.
“Ho già una persona in mente,
una tipa tosta che ha tentato di cancellare il passato da incubo di
Kiri. Nella
mia timeline era il quinto Mizukage. Secondo me potrebbe
piacerti”.
“C’è
già
stato il colpo di stato” lo fermò Obito prima che
iniziasse a progettare
troppo. “Il Demone della Nebbia ha già lasciato il
Villaggio ed è un nuniken”.
L’espressione
di Naruto cadde. “Sono arrivato troppo tardi anche per
questo?”
“Non
necessariamente” considerò. “Zabuza
avrà anche abbandonato il villaggio,
ma non il suo
obiettivo. Ora è un
mercenario con i fratelli demone, in cerca di risorse per riprovare il
colpo”.
Il suo
interlocutore s’illuminò di nuovo.
“Sarebbe ottimo” confermò.
“Significa che ha
anche già incontrato Haku!”
Obito
non
aveva la più pallida idea di chi fosse Haku, ma non gli
importò. Stava
continuano a macchinare, cercando falle e possibili soluzioni.
“Manderò
Kisame a cercarlo, facevano parte della stessa squadra.
Riuscirà sicuramente a
trovarlo”.
Si
sorprese
nel vedere lo sguardo diffidente di Naruto, ma poi ricordò
quello che gli aveva
raccontato e si rese conto che per lui non doveva essere facile fidarsi
dei
membri di Akatsuki.
“Kisame
sa
tutto” disse tranquillo. “Anche dello Tsuki no Me,
mi ha visto in faccia e mi
ha seguito perché vuole un mondo senza bugie”.
Naruto
annuì, ma aveva ancora la posa delle spalle rigide.
Capì subito perché dal sussurro
successivo.
“Nagato…”
Chiuse
gli
occhi brevemente, capiva quale fosse l’incertezza nel
viaggiatore del futuro.
Aveva ingannato Nagato, dicendogli che era la reincarnazione del Saggio
dei sei
cammini e la persona che avrebbe portato la pace nel mondo shinobi. Lo
aveva
detto per spingerlo a fare esattamente quello che voleva lui, quello
che gli
aveva raccontato erano tutte bugie. Come avrebbe reagito anche alla
sola
notizia che il rinnegan non era suo?
“Vedrò”
disse alla fine.
In
fondo,
non era come se avesse davvero accettato di collaborare con questo
Uzumaki
Naruto dal futuro. Tutto quello che si erano scambiati era solo
un’ipotesi su
una probabile ma non già decisa collaborazione.
“Ho
bisogno
di tempo per pensare” continuò.
Naruto
sorrise. “E per dormire” concordò in un
tono dolce.
Forse
era
stato quel tono mansueto, ma improvvisamente Obito si sentì
tranquillo,
l’adrenalina che fino a quel momento lo aveva sostenuto
nonostante la
stanchezza smise di pompare nelle sue vene. Chiuse gli occhi e si
ritrovò
addormentato prima che se ne accorgesse.
֎
Spalancò
l’occhio e nell’oscurità della caverna
brillò il cremisi macchiato dai tomoi
neri. Obito scandagliò l’ambiente attorno, il
fuoco stava lentamente morendo e
dall’altra parte anche Uzumaki sonnecchiava incauto. Con una
rapida occhiata si
assicurò che fossero soli nella caverna. Fuori aveva
iniziato a piovere,
sentiva il rimbombo della pioggia e dei tuoni echeggiare
dall’entrata del
cunicolo. Gli era impossibile capire quanto avesse dormito, ma sentiva
di aver
ripristinato abbastanza chakra da poter tentare qualcosa.
Solo che
non sapeva ancora cosa.
Silenzioso
si alzò e puntò il viso verso il corpo
addormentato del suo accompagnatore. Nel
sonno sembrava assolutamente innocuo, ignaro di quello che lo
circondava. Se
voleva scappare, quello era il momento adatto. Anche se si fosse
svegliato in
tempo, con il kamui poteva seminarlo.
Invece,
rimase a fissarlo. Da così vicino, poteva notare anche le
similitudini con
Kushina. I colori erano tutti di Minato, ma i suoi lineamenti morbidi
ricordavano quelli della donna e anche il suo carattere impetuoso, da
quel poco
che aveva visto, era in perfetto stile Uzumaki.
Forse
rimase a fissarlo troppo a lungo con lo sharingan attivo e dovette
rendersi
conto di qualcosa, perché improvvisamente Naruto
aprì gli occhi. Ma invece di
specchiarsi nelle pozze blu a cui si era abituato, si immerse in
un’iride rosso
sangue.
Il
secondo
dopo sentì il proprio sharingan attivarsi e si
ritrovò in un posto che non era
la caverna dove si era nascosto. Con i sensi in allerta si
osservò attorno,
chiedendosi cosa fosse quel posto che assomigliava così
tanto a una fognatura,
con una bassa acqua che gli arrivava alle caviglie e tubature che
attraversavano tutta la sua struttura. Il continuo gocciolare
dell’acqua fu
improvvisamente interrotto da un ringhio.
Obito
sussultò e prima che se ne rendesse conto si
trovò a fronteggiare un muso
peloso su cui spiccavano due enormi occhi rubino, la pupilla affilata
come
quella di un demone. Fece un passo indietro alla vista
dell’imponenza della
Kyūbiko.
“Uchiha…”
ringhiò il mostro fendendo
l’aria attorno a lui con una coda.
Obito si
preparò a mettersi in posizione di attacco, ma
l’enorme volpe dal pelo scuro si
spostò e la sua attenzione fu catturata da una delle code.
Era arrotolata in se
stessa, come a formare un nido, su cui era accoccolata
l’immagine mentale di
Naruto. Stava dormendo, proprio come la sua controparte fisica, e Obito
capì
che se poteva permettersi di appisolarsi in modo così
incauto era per via della
bestia che vegliava al suo posto.
“Kyūbi”
replicò ricordando l’ultima volta che
l’aveva incontrato. All’epoca era
riuscita a costringerlo nel suo genjutsu, ma sospettava che questa
volta non ci
sarebbe riuscito. Del resto non aveva riguadagnato abbastanza chakra.
La volpe
strinse gli occhi infastidita e mostrò le zanne.
“Naruto ti ha detto il mio nome, usalo”.
Ricambiò
lo
sguardo con altrettanto sospetto, ma alla fine concesse:
“Kurama”.
Il
demone,
però, non abbandonò la sua posa offensiva. Le sue
code continuavano a muoversi
nervose, come pronte a essere lanciate contro di lui per spazzarlo via.
“Allora, hai preso la tua decisione?”
lo
pungolò.
Obito
abbassò gli occhi verso il ragazzo accoccolato nella
pelliccia. “Non lo so. Mi
sembra troppo ingenuo, il mondo non si cambia con il solo
ottimismo”.
Inaspettatamente,
una risata lasciò le zanne della bestia.
“Stai parlando di Naruto, il moccioso che
chiama i Bijū per nome e li tratta come amici” lo
avvisò. “Non crederai
quanto può essere in grado di
sorprenderti”.
Scosse
la
testa. “Prima o poi verrà anche lui spezzato da
questo mondo, proprio come è
successo a me. Madara ha solo accelerato i tempi, ma è
qualcosa di
inevitabile”.
Il
demone
lo derise ancora, socchiudendo gli occhi sprezzante.
“Voi Uchiha siete tutti dei muli ostinati.
Vi vantate così tanto dei vostri occhi e poi non sapete
nemmeno usarli”
sputò. “Naruto ti ha
raccontato la sua
storia, quello che ha passato fin da bambino a causa mia, di tutte le
sue
perdite, della guerra… eppure niente l’ha
spezzato. E non credere che io non
abbia provato a tentarlo! Non sai quante volte ho provato a spingerlo a
lasciarsi andare alla distruzione, ho provato per anni a farlo cedere
alla sua
rabbia interiore e guarda com’è finita” brontolò. “Non solo con me. Anche tu, durante la
guerra, hai tentato di rompere
la sua determinazione e portarlo dalla tua parte… e alla
fine sei tu che sei
passato dalla sua”.
Obito
fece
una smorfia incerta, non si rese nemmeno conto di arrossire.
“E anche se non fossi ancora convinto: la
tua futura guerra ha distrutto Konoha e ucciso i suoi amici, eppure ora
lui è
qui a proporti una collaborazione senza pensarci due volte. Si fida di te. Se vuoi sperare nel
cambiare questo mondo, Naruto è la carte vincente e te ne
devi essere reso
conto. Quindi, moccioso Uchiha, dimmi qual è il vero problema”
terminò
minaccioso.
Obito si
sentì spaventosamente simile a un bambino sgridato, ma non
commentò quel tono.
Il suo occhio era puntato su Naruto, sul suo volto era comparsa una
smorfia e sembrava
sul punto di risvegliarsi.
Carta vincente,
mh?
Con un
sospiro, ammise: “Non voglio cedere alla speranza e vedermela
strappare via di
nuovo…”
Kurama
ruotò le orecchie, apparentemente divertito.
“Non succederà, non se Naruto te
l’ha
promesso”.
“Come
fai a
esserne così sicuro?” domandò
esasperato.
Il
ghigno
della volpe mise in mostra le sue zanne, ma non sembrava minaccioso,
solo
orgoglioso.
“Perché il cucciolo non viene mai meno
alla
parola data” assicurò. “Perché
questo è il suo modo di essere un ninja”.
Sbuffò
incredulo a quella risposta, ma ormai Naruto si era svegliato e non
riuscì a
replicare nulla alla volpe.
“Ohi”
sbadigliò il ragazzo scendendo dal suo nido. “Non
stavate litigando, vero? Devi
scusarlo, a Kurama voi Uchiha non state simpatici…”
Obito
non
replicò mentre si avvicinava calpestando l’acqua a
grandi passi. Quando se lo
trovò davanti si accorse che lo superava di un centimetro.
Naruto gli stava
sorridendo genuino, gli occhi pieni di fiducia come se sapesse
già la risposta
di Obito.
“Allora?”
chiese comunque alla fine tendendogli la mano. “Sei con me?
Mi aiuterai?”
Fissò
la
mano, ancora un poco pungolato dall’incertezza. Ma poi
sospirò, rendendosi
conto che se avesse voluto scappare l’avrebbe fatto prima. Se
non era successo
era perché voleva credergli.
Afferrò
la
mano. “Sì”.
Il
sorriso
di Naruto si espanse, sembrò illuminarlo tutto dalla gioia e
ricambiò la
stretta con forza. Ma poi chiuse gli occhi e parve spegnersi di colpo,
un solco
amaro tra le sopracciglia contratte.
Obito
non ebbe
nemmeno il tempo di sorprendersi di quel brusco cambio che qualcosa lo
trapassò
al petto. Fu così veloce che il dolore arrivò
dopo, quando si accasciò in
avanti privo di forza e con del sangue che colava dall’angolo
delle labbra.
Sentì l’odore nauseante del chakra che bruciava la
sua pelle artificiale.
“Mi
dispiace, Obito” fu l’ultima cosa che
sentì. “Mi dispiace”.
Poi
crollò
nell’oscurità, la luce di quel sorriso
sbiadì nell’incoscienza.
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Capitolo 2 *** I fantasmi di Uzushio ***
Capitolo 1
I fantasmi di Uzushio
«By the grace of the fire and the flames
You're the face of the future, the blood in my
veins»
(Believer
– Imagine Dragons)
Un
anno e otto mesi dopo…
Hiruzen
era
preoccupato.
Quella
mattina fumava come al solito dalla sua fedele pipa osservando fuori
dall’ampia
finestra dell’ufficio dell’Hokage. Era una bella
giornata di sole, la primavera
iniziava a fare la sua comparsa con un cielo limpido e privo di nuvole
che non
rispettava per nulla il suo umore. Dalla sua altezza poteva vedere le
strade
piene del suo villaggio, i civili passeggiare spensierati nelle loro
faccende e
i bambini giocare ai ninja saltando sui tetti delle case.
Dall’attacco del
Kyūbi ormai tutta Konoha era stata rimessa in piedi ed era da allora
che si
respirava una relativa aria di pace, per lo meno nella Regione del
Fuoco. Non
poteva dire che le altre nazioni fossero altrettanto quiete.
Voci
avevano riportato la rivoluzione turbolenta che c’era stata a
Kiri e di molte
altre azioni improvvise a Kumo e Iwa, mentre a Suna era aumentata la
sicurezza
per via di un incidente capitato con il loro Jinchūrike. Una turbolenza
che
sembrava aver colpito ogni paese tranne il loro.
Soffiò
fuori del fumo. Questo era sospetto.
Ma la
sua
preoccupazione non derivava solo da queste considerazioni. No, aveva un
carattere molto più concreto e si trovava sul libricino
stretto tra le mani del
suo allievo.
Attese
qualche altro secondo prima che Jiraiya alzasse il viso dal bingo book
di Iwa.
“Da
quando?” chiese.
La sua
domanda
poteva avere molti significati, ma Hiruzen la capì subito.
Si voltò,
fronteggiandolo con apparente calma.
“Da
una
settimana a quanto pare. Iwa ha classificato questi due ninja mancanti
una
settimana fa” specificò, prese un’altra
boccata dalla pipa. “Ma a quanto pare
ci sono azioni a loro amputabili antecedenti di molti mesi. Qualcuno
dice che
siano anche dietro alla rivolta di Kiri di quasi due anni
fa”. Osservò
penetrante il sannin. “Tu non ne sapevi niente?”
“Avevo
sentito voci” chiosò evasivo. “Ogni
genere di sciocchezza, perfino di un
presunto fantasma di Minato che gironzola in giro. Ma sì, mi
era giunto alle
orecchie della presenza di due nuovi nuniken di classe S”.
Hiruzen
inarcò le sopracciglia, aumentando le pieghe della fronte
nella sua espressione
incredula.
“E
non hai
mai pensato di venirmelo a riferire?”
Jiraiya
fece un’espressione spazientita. “In questo periodo
i nuniken saltano fuori
come funghi” si giustificò stizzito, “e
non sapevo si trattasse di un Uchiha”.
A quelle
parole il Sandaime tornò turbato, era quello il motivo
principale per cui la
notizia era giunta alla sua attenzione. Del resto, come aveva detto
Jiraiya,
non erano rari i nuniken in quel periodo di riassestamento politico.
Riprese
il
bingo book, quasi nella speranza che nelle pagine fossero comparse
nuove
informazioni. Ovviamente, non era così. Dei due ninja
classificati solo di uno
si aveva una descrizione fisica, ma risultava vana dal momento che
parlava solo
di un uomo mascherato.
L’unica cosa che
poteva distinguerlo a quanto pare era il suo sharingan, che lo
conduceva agli
Uchiha, quindi a Konoha. Del suo compagno invece non c’era
assolutamente nulla,
se non una S ben marchiata.
Hiruzen
si
chiedeva quanto le altre nazioni avrebbero aspettato prima di amputare
le
scorribande di questi due nuovi nuniken a Konoha, visto che era la casa
del
clan Uchiha.
Come se non mi
stessero già dando troppi problemi…
“Cosa
devo
fare?” chiese Jiraiya, tirandolo fuori dai suoi mille
pensieri.
Onestamente,
non lo sapeva. Le informazioni a loro disposizione erano troppo poche,
non
sapevano esattamente di quali crimini contro Iwa si erano macchiati per
finire
nel bingo book e quali fossero le loro intenzioni con Konoha.
“Vorrei
che
indagassi” disse alla fine. “Voglio più
informazioni su di loro e sapere
perché, se quest’uomo è davvero un
Uchiha, non si trova qui con il suo clan.
Voglio una descrizione del loro aspetto e delle loro
abilità, voglio conoscere
quale sia il loro legame con Kiri e soprattutto voglio sapere le loro
intenzioni verso Konoha”.
Ignorò
l’evidente risentimento negli occhi del suo allievo. Si
rendeva conto da solo
che quello che stava chiedendo era molto.
“Me
ne
occuperò” concesse alla fine con la stessa
umiltà di un imperatore. “Sacrificherò
un po’ di tempo dalle mie ricerche,
ma lo farò”.
Hiruzen
alzò gli occhi al cielo al pensiero delle sue ricerche.
“Se
li
trovo”, aggiunse Jiraiya nuovamente serio, “cosa
devo fare?”
Sbuffò
fumo
davanti alla ovvia domanda che non aveva un’altrettanta ovvia
risposta.
“Se
quest’uomo è davvero un Uchiha, abbiamo il dovere
di accoglierlo al
villaggio”meditò. “Ovviamente qualora le
loro intenzioni fossero aggressive nei
nostri confronti… eliminali” tagliò
corto.
Grado S
o
meno, Jiraiya era uno dei Sannin. Si fidava del suo giudizio quanto
delle sue
capacità, non avrebbe avuto difficoltà
nell’affrontarli. Si tolse la pipa dalla
bocca e andò a sedersi dietro alla scrivania, dove
cominciò a pulirla in gesti
meccanici.
“Inutile
dire che non voglio che questa missione giunga alle orecchie delle
altre
nazioni” disse concentrato nell’azione.
Jiraiya
lo
guardò offeso. “Per chi mi hai preso?”
protestò prima di sparire in un pop
di fumo bianco.
Hiruzen
non
si scompose al congedo senza il suo permesso, gli anni passavano ma
Jiraiya
restava il suo allievo più insubordinato. Le sue labbra si
stirarono un
sorrisetto divertito al pensiero di un altro bambino insubordinato che,
era
certo, in quel momento stava creando scompiglio al villaggio con uno
dei suoi
scherzi.
Jiraiya
non
lasciò subito Konoha, prima di prepararsi alla partenza
passò dentro un
appartamento povero e malandato. Entrò senza nessuna fatica
trovandolo, come
aveva immaginato, vuoto. Il figlio del suo allievo doveva essere in
giro da
qualche parte.
Come
ogni
volta sospirò davanti all’incuria della casa e si
accigliò al latte scaduto, la
biancheria sporca a terra e le sole scatole di ramen istantaneo nella
dispensa.
Placò la rabbia nello stomaco e si ripeté nella
mente che tutto quello era necessario
per proteggerlo, che se
lo avesse preso sotto la propria ala Iwa avrebbe scoperto della sua
esistenza.
Nessuno doveva sapere dell’esistenza del figlio del Quarto
Hokage e perciò
doveva stargli lontano per la sua stessa sicurezza.
Ma,
be’,
questo non gli impediva di lasciargli dei regali di tanto in tanto.
Dalla
coperta sul letto poteva assicurarsi che apprezzava i suoi doni a
fantasia
rane. Soddisfatto quindi affondò con la mano dentro la sua
sacca da viaggio e
pescò un portamonete verde, dall’aspetto di un
rospo rotondo. L’appoggiò sul
tavolo e si rammaricò nella consapevolezza di non poter
vedere la reazione del
figlioccio.
Con
un’ultima occhiata, saltò sul tetto e da
lì corse fino alle porte del
villaggio. Solo una volta fuori evocò un rospo che potesse
trasportarlo. Era
poco discreto, ma decisamente degno del suo rango da affascinante
eremita.
Sospirò
esasperato quando Gamaho gli rivolse un’incredula occhiata
lacrimosa, come se
stesse vedendo un fantasma che il suo evocatore. Jiraiya
preferì non commentare
e con stizza salì sul suo dorso. Ormai erano due anni che
ogni rospo che
evocava lo guardava con quel misto di incredulità e
tristezza, come se fosse
morto e risorto.
Scosse
la
testa e incrociò le braccia al petto.
Rospi,
commentò, tipi strani.
֎
Dovette
passare un altro mese di continui buchi nell’acqua prima che
Jiraiya potesse trovare una pista valida e solida. Gli era stata data
da uno
fidato contatto del Paese delle Onde, quindi era molto fiducioso che lo
avrebbe
portato ai due ninja vagabondi. Era stato davvero molto sorpreso nello
scoprire
che al momento si trovavano tra le rovine di Uzushio. Il
perché fossero lì era
qualcosa che gli sfuggiva, ma appunto si fidava della sua pista e anche
il suo
istinto gli suggeriva che quella era la volta buona.
Fu un
po’ difficile trovare un passaggio verso l’isola,
nessuno sembrava
volerla raggiungere. Dicevano che ultimamente fosse abitata da fantasmi
inquieti. Quelle voci avevano rafforzato la sua convinzione, non aveva
dubbio
che i presunti fantasmi fossero in realtà i due nuniken.
Alla
fine riuscì a noleggiare una barca. Durante il viaggio via
mare si
mise a riflettere sulle ultime scoperte sui due. Aveva raccolto qua e
là
descrizioni contrastanti sul presunto compagno dell’Uchiha,
ma alcune lo
avevano turbato molto dal momento che addicevano una somiglianza
incredibile
con il Lampo Giallo di Konoha. Aveva poi dovuto ridimensionare la sua
sicurezza
nel poterli battere, dal momento che si erano rilevati più
forti del previsto.
Certo, questo se era vero che si erano scontrati con lo Tsuchikage e
l’ex-Mizukage. Dalle informazioni raccolte, però,
poteva avere una certezza:
avevano avuto un ruolo più che decisivo nel recente colpo di
stato a Kiri e
sull’insediamento del nuovo Mizukage, Mei Terumī. Sapeva che
quest’ultima notizia aveva
turbato particolarmente il Sandaime quando l’aveva riferita,
anche se non
sapeva perché. Da quando si era insediata la Mizukage i
rapporti diplomatici
con Kiri erano migliorati, quel colpo di stato era stato un vantaggio
da questo
punto di vista.
Poteva
però
condividere le preoccupazioni dell’Hokage su questi due
individui sconosciuti,
anche se doveva ammettere a se stesso di essere un poco emozionato di
incontrarli dopo averli cercati così a lungo.
Attraccò
a
Uzushio nel pomeriggio, la navigata era stata calma e grazie
all’uso del chakra
era riuscito a governare le correnti marine che proteggevano
l’isola.
Quando
scese
alla spiaggia rimase per
un secondo in
silenzio contemplativo, a
osservare il
profilo delle rovine rimaste. Il suo cuore si contrasse in un
sentimento di
dolore e vergogna davanti alla vista della città alleata
distrutta.
Avvicinandosi al suo centro poté costatare che il tempo
aveva solo aumentato la
desolazione di quel luogo spettrale, le macerie erano ancora sparse
nella
strada in un mosaico di edifici fatiscenti e diroccati. Eppure
c’era stato un
tempo in cui Uzushio era stata una città splendida.
Sospirò
e
chiuse gli occhi, fece del suo meglio per allontanare le ombre del
passato e si
sforzò invece di rilevare qualche traccia di chakra nella
zona. Fu sorpreso di
individuarne subito, quando si era già rassegnato che ci
sarebbe voluto tempo e
concentrazione. Erano riusciti a scappare dal radar internazionale per
quasi
due anni dal loro debutto, non si aspettava che fosse così
facile localizzarli,
come se non stessero nemmeno tentando di nascondersi.
Rimase
turbato nell’accorgersi che entrambe le firme di chakra erano
mostruose, quelli
non erano di certo ninja qualunque.
Una
volta
localizzato il punto, cominciò a muoversi fra le macerie
verso una parte
relativamente pulita del villaggio, fino a una piazza dove torreggiava
la
carcassa di una fontana secca e incrostata dal sale. Jiraiya ricordava
quella
fontana, la sua bellezza e il suo zampillare continuo
d’acqua. Ora era solo
l’ombra di un tempo, proprio come il resto della
città.
Con un
sospiro, lasciò la piazza per dirigersi verso un edificio.
Era una torretta
mezza crollata, ma la firma di chakra che aveva sentito veniva da
là dentro.
Non si fidava a entrare in un luogo chiuso sconosciuto, dove avrebbe
potuto
avere qualche svantaggio, ma non aveva scelta.
Dentro
era
luminoso, il sole filtrava dal tetto mancante e gli permetteva di
vedere tutto
con estrema chiarezza. Aveva i sensi in allerta, ma sussultò
di sorpresa quando
qualcosa piovve dall’altro, atterrando davanti a lui
silenzioso come un gatto.
Una
persona.
Per un
momento Jiraiya rimase senza fiato nel vedere quei lunghi capelli
biondi e gli
occhi chiari in un viso gioioso che conosceva troppo bene. Si
bloccò, sconvolto
di vedere davanti a lui il fantasma di
Minato. Ma prima che potesse formulare qualsiasi pensiero, il
fantasma
davanti a lui esultò:
“Ero-sennin!”
Qualsiasi
cosa stesse pensando, svanì. Oltraggiato Jiraiya lo
guardò con gli occhi fuori
dalle orbite.
“Come?!”
La sua
protesta rimase inascoltata, ma a dir la verità il fantasma
davanti a lui non
ebbe nemmeno il tempo di replicare prima che il suo compagno comparisse
letteralmente dal nulla. Fu solo grazie ai riflessi guadagnati nella
sua lunga
vita da ninja che Jiraiya riuscì ad abbassarsi in tempo per
evitare prima un
calcio volante in faccia, poi un attacco al suo fianco. Il suo corpo
era
entrato in assetto di battaglia ancor prima che se ne rendesse conto,
ma non
poté in alcun modo evitare la sensazione di risucchio che
provò. Il secondo
dopo si ritrovò senza sapere come di nuovo nella piazza con
la fontana.
Una tecnica
spazio-temporale,
realizzò mettendosi in posizione di
difesa. Non ci volle molto che anche il ninja che lo aveva attaccato
comparisse
davanti a lui, le mani già unite a formare sigilli. Dalla
maschera arancione a
spirale che gli copriva il volto lo riconobbe come il misterioso
Uchiha. Subito
dopo una pioggia di proiettili infuocati piovve su di lui. Non se ne
preoccupò
troppo, cominciò subito a incanalare il chakra per un muro
d’acqua, che li
bloccò prima che si avvicinassero troppo. Ma
l’Uchiha seppe approfittarne del
vapore che l’impatto sprigionò. Jiraiya dovette
fare un salto indietro nel
vedere la sua figura nella nebbia avvicinarsi in un attacco frontale.
Trovò
sciocco quell’attacco diretto, che gli indeboliva la difesa,
ma non ci perse
troppo tempo a pensarci, deciso ad approfittarne subito. Il chakra
cominciò a
vorticare veloce nel palmo della sua mano sempre più
visibile, fino a formare
il rasengan. Allungò la mano per colpirlo alla spalla
proprio nel momento in
cui fu abbastanza vicino per farlo, ma… scivolò
oltre. Sul momento pensò di averlo mancato
– cosa impossibile – ma poi la
sua sorpresa aumentò quando, incapace di fermare lo slancio,
lo attraversò da
parte a parte.
Cosa?
Intangibilità?
Troppo
sorpreso da quello che era appena successo non riuscì a
reagire prontamente
all’attacco successivo del nemico. Fu con sgomento che si
vide costretto in
difesa, tentando di resistere e fallendo nel sovrastare ogni colpo.
Nell’unico
foro della maschera vide lo sharingan brillare di luce sanguigna, il
nero unito
in una figura geometrica a tre punte che era sicuro di aver
già visto da
qualche parte.
“Obito!
Fermati!”
Il
sangue
congelò nelle vene a sentire il nome del bambino Uchiha
allievo di Minato, morto
durante l’ultima guerra. Si domandò se stesse
davvero combattendo con un
fantasma, visto anche la sua impossibilità di colpirlo. Fece
l’errore di
distrarsi, puntando gli occhi verso l’entrata
dell’edificio: il fantasma di
Minato era uscito e stava tentando di raggiungerli.
Capì
troppo
tardi di aver sbagliato a concedere quello squarcio nella sua difesa,
ma nessun
colpo arrivò. Approfittando di quell’occasione
mancata indietreggiò con un
balzo, salvo poi paralizzarsi di nuovo nell’accorgersi che il
suo avversario
era stato bloccato da un’enorme mano di chakra giallo che
partiva dal corpo del
fantasma di Minato. Fissò quel chakra sconvolto,
riconoscendolo subito, mentre
il fantasma ritraeva la mano fino a costringere l’Uchiha
intrappolato al suo
fianco.
“È
ero-sennin!” strepitò alterato. “Non
è un nemico!”
Jiraiya
era
così sconvolto nel vedere il chakra del Kyūbi che non fece
nemmeno caso
all’oltraggioso modo in cui era stato chiamato.
Tornò teso però quando l’Uchiha
scivolò via dalla presa della mano di chakra, non
abbassò la posa nemmeno quando
lo vide rimanere al fianco del suo compagno. Il quale, nel frattempo,
aveva
dissolto il chakra dorato attorno a lui.
“Yo”
salutò
imbarazzato, un dito sotto il naso.
Jiraiya
non
si lasciò incantare.
“Chi
siete?”
abbaiò.
La
risposta
arrivò come un treno.
“Uzumaki
Naruto dal futuro al tuo servizio, dattebayo!”
…L’opzione
fantasma gli sembrò molto più probabile.
Obito
chiuse
gli occhi rassegnato al modo scenico che il suo compagno di viaggio
aveva per
presentarsi, poté solo provare pietà per il
sannin davanti a lui e per la sua
mascella che quasi toccava il pavimento. Era anche molto sorpreso che
Naruto
avesse scoperto la carta subito, senza nessuna esitazione, quando aveva
dovuto
pregarlo per giorni perché dicesse la verità a
Kisame.
“Questo
è
impossibile, stai mentendo!” si riscosse Jiraiya con il volto
paonazzo.
“Uzumaki Naruto ha sette anni e ora si trova a
Konoha!”
“Quale
parte
dal futuro non ti è
chiara, vecchio?”
borbottò con più fastidio di quanto volesse,
finse di non notare l’occhiata
irritata che gli lanciò Naruto.
“Perché
non
ci sediamo e rilassiamo tutti?” propose vivace.
“C’è tanto di cui parlare”.
Il suo
tentativo di pace non fu ovviamente accettato.
“I
viaggi
nel tempo sono impossibili”.
Obito si
ritrovò a essere ancora più irritato da quella
diffidenza, ma sapeva di non
poterne fare una colpa, anche lui quando lo aveva sentito la prima
volta era
stato così scettico e aggressivo. Solo… era
fastidioso.
Invidiò
la
calma di Naruto che, nonostante un sospiro stanco, si sedette placido a
terra a
gambe incrociate in un invito a imitarlo. Né lui
né Jiraiya lo imitarono e ciò
gli fece alzare gli occhi al cielo.
“Hai
ragione, ora nessuno è
riuscito a
maneggiare un sigillo spazio-temporale di questa portata”
confermò Naruto, si
passò la lingua a inumidirsi le labbra. “Ma fra
undici anni nel futuro riuscirò
a crearne uno e… attivarlo”.
“Hai
un modo
per provarlo?” fu la prima cosa che ovviamente
replicò il sannin.
Ma la
risposta di Naruto fu meno ovvia. Con un sorrisetto divertito disse:
“So
che il
tuo prossimo libro che hai intenzione di scrivere si
chiamerà Icha Icha Innocence
e tratterà del puro
amore”.
Obito
poté
vedere lo sconvolgimento nei piccoli occhi scuri, mentre la sua intera
faccia
larga sbiancava. Considerò che nel caso ci fossero state
mosche nelle vicinanze
il vecchio ninja le avrebbe sicuramente catturate tanto aveva
spalancato la
bocca.
“Ho
appena
pubblicato Violence”
balbettò
Jiraiya. “Non ho parlato del prossimo progetto nemmeno con il
mio editore”.
Naruto
incrociò le braccia e alzò il mento soddisfatto.
“Mi credi adesso?”
“È
troppo
assurdo” rimase ricalcitrante.
La
soddisfazione di Naruto evaporò. “Mi ascolterai
almeno?” chiese.
Obito si
sentì fissato brevemente, ma poi gli occhi di Jiraiya
tornarono sul ragazzo
seduto a terra.
“Si,
posso
farlo” confermò sedendosi a sua volta.
A questo
punto, era rimasto l’unico in piedi. Sentendo gli occhi di
Naruto su di sé
sospirò e si sedette sulla piazza polverosa a sua volta. Si
tolse anche la
maschera, riconoscendo la tacita richiesta del suo compagno, sapeva che
odiava
quando la indossava.
Jiraiya
sussultò quando scoprì i suoi lineamenti, gli
occhi puntati sulle cicatrici che
rovinavano tutto il lato destro del suo viso.
“Tu…
sei
davvero Uchiha Obito” constatò con gli occhi
velati da qualcosa che non riuscì
a decifrare. “Credevamo fossi morto a Kannabi”.
Poteva
sentire chiaramente la domanda sott’intesa in quelle parole,
ma rimase zitto.
Non sapeva da dove aveva intenzione di iniziare Naruto, ma alla fine
avrebbe
avuto la sua risposta.
“Uhm,
ero-sennin…” ronzò Naruto per
richiamare l’attenzione del vecchio e poté vedere
il momento esatto in cui la realizzazione lo fece esplodere.
“Si
può
sapere perché mi chiami in questo modo indegno?!”
Obito
faticò
a trattenere un sorrisetto, mentre Naruto si lasciò andare a
una risata
cristallina senza freni.
“Che?
Perché
sei un eremita pervertito ovviamente!”
Almeno
Jiraiya ebbe la decenza di sembrare imbarazzato.
“Io…”
“La
prima
volta che ci siamo incontrati” lo interruppe Naruto,
“ti ho beccato a spiare le
donne nude alle terme! E per convincerti ad allenarmi ho dovuto usare
la Sexy no jutsu!”
Obito
non
conosceva quella parte di storia e non riuscì a trattenersi
dall’inarcare un
sopracciglio. “Sexy no jutsu?” echeggiò.
“Mi
trasformo in una bellissima donna nuda” spiegò
spensierato.
Certo,
questo chiariva tutto, tipo a cosa servisse una tecnica simile e
perché fosse
stata inventata. Al suo contrario Jiraiya sembrò molto
interessato dall’idea di
una tale tecnica, ma non chiese nulla. Invece domandò
esasperato:
“Chi
diavolo
sei?!”
“Te
l’ho
detto!” protestò. “Uzumaki Naruto dal
futuro!”
Da qui
iniziò a spiegare. Obito socchiuse gli occhi e si
appoggiò al muro della casa
in una posa apparentemente rilassata, ma rimase vigile e con lo
sharingan che
brillava tra le ciglia. Non badò a Naruto, che senza tanti
preamboli parlò del
risveglio di Kaguya e del suo potere mostruoso, come avesse messo in
ginocchio
tutte le nazioni ninja. Di come la situazione fosse così
disperata che non
c’era stata altra scelta che creare un sigillo che lo
portasse indietro nel
tempo per prevenire il disastro.
Jiraiya
era
attento, particolarmente interessato sul sigillo e la sua tecnica, i
suoi occhi
brillavano di fascinazione. Dalle sue informazioni, tra i tre sannin
era lui
l’esperto di sigilli, era abbastanza ovvio che fosse
così coinvolto. Naruto si
trovò in difficoltà a rispondere alle sue domande
particolari, da esperto, ma
in qualche modo i due parevano capirsi e Jiraiya lo ascoltò
ammirato. Ma la sua
attenzione era offuscata da una luce amara, dalla consapevolezza che il
loro
mondo era destinato a una terribile fine.
Alla
fine ci fu un lungo silenzio.
“Mi
dispiace” disse Jiraiya sincero. “Ti
credo… anche se, diamine, questa storia è
così assurda!” Scosse la testa, poi
tornò a guardarlo. “Cos’hai intenzione
di
fare? E perché sei con lui?”
Che dovrebbe
essere morto, non lo disse
ma Obito poté sentire
comunque quel non-detto. Strinse le labbra e tornò a
fissarlo con più
attenzione, ora arrivava la parte difficile.
“Mi
hanno
mandato indietro per salvare il mondo”, iniziò
Naruto, “Ed è quello che farò.
Farò qualsiasi cosa per evitare la Quarta Guerra Ninja e la
rinascita di Kaguya”.
Sospirò,
Naruto doveva assolutamente rivedere il suo modo di dare certe notizie.
Non si
stupì che Jiraiya strabuzzasse gli occhi per
l’ennesima volta in quasi un’ora.
“Quarta
Guerra?!”
“Ehm,
diciamo che Kaguya è potuta tornare grazie a questa guerra
che…” Naruto si
grattò con imbarazzo la nuca. “Ti metterei al
corrente di molte cose, credi di…
di poterlo gestire?”
Jiraiya
assottigliò gli occhi, come se lo stesse sfidando a qualcosa
a cui non poteva
assolutamente tirarsi indietro.
“Dimmelo”.
E Naruto
cominciò, raccontando la sua storia dall’inizio,
la stessa che Obito aveva
chiesto di ripetergli più volte in quell’anno e
mezzo. Anche questa volta
prestò attenzione, nonostante fosse arrivato a conoscerla a
memoria. Non sapeva
perché fosse così importante per lui sentirsela
ripetere, forse funzionava come
una sorta di promemoria. Forse era semplicemente curioso di quei
ricordi di un
futuro che non esisterà più. Sapeva solo che non
si sarebbe mai stancato di
ascoltarlo ancora e ancora, nonostante il dolore che gli procurava. Ma
la
volontà ardente e luminosa di Naruto ogni volta che
raccontava quella storia lo
scaldava come la luce diretta del sole, era piacevole.
Quell’incrollabile
fiducia in se stesso gli faceva desiderare di provarla a sua volta.
Jiraiya
fu
un buon ascoltatore e Obito si chiese se anche lui aveva quella
meraviglia
nello sguardo la prima volta che Naruto gli aveva raccontato la sua
storia. Il
vecchio eremita dei rospi ascoltò in silenzio senza
intervenire, solo raramente
lo interrompeva per una precisazione. Una luce calorosa
brillò nei suoi occhi
scuri quando arrivò il momento del loro futuro incontro e
dell’allenamento
insieme. Anche Naruto sembrava commosso mentre parlava, ma anche
profondamente
malinconico. Una malinconia che si infittiva sempre più
continuava.
Lesse il
turbamento di Jiraiya quando venne a conoscenza del destino dei tre
orfani di
Ame ed ebbe un forte sussulto quando arrivò alla sua morte.
Naruto
si
fermò, gli occhi umidi e un’espressione piena di
rimpianto.
“Ero-sennin…”
piagnucolò come se volesse chiedere scusa.
Ma
quello
scosse la testa. “Continua” lo esortò.
Suo
malgrado
Obito si trovò ad ammirare il stoicismo dell’uomo,
ma del resto era un ninja e
ogni ninja è chiamato ad accettare la propria morte nel
momento in cui si
presenta.
Jiraiya
ascoltò
in silenzio il resto della storia, con la consapevolezza che non ne
faceva più
parte. Si corrucciò un poco nello scoprire della futura
strage Uchiha, della
scelta di Itachi e il conseguente cammino
nell’oscurità di Sasuke.
Ma la
reazione che fece quando Naruto cominciò a raccontare di
lui, Obito, l’uomo
dietro alla maschera e dell’attacco a Konoha da parte del
Kyūbi, fu molto più
violenta. Si accorse subito del pericolo e il suo kamui era
già attivo quando
Jiraiya estrasse un kunai e lo lanciò contro di lui. Naruto
sussultò e provò a
reagire, ma non fece comunque in tempo e il kunai lo
attraversò cadendo a
terra.
“Ero-sennin!”
gridò allarmato.
Jiraiya
era
in piedi, pronto ad attaccare. “È
l’assassino di Minato e Kushina!”
Obito a
sua
volta era in posizione difensiva, si era tenuto pronto per quel
momento. Sapeva
bene che l’eremita non sarebbe stato calmo a sentire quella
parte della storia.
Anzi la sua reazione era molto più ovvia di quella che aveva
Naruto, che si
intromise fisicamente tra i due.
“Non
combattete” ringhiò minaccioso.
Obito
poteva
sentire quanto era vicino dallo sfoggiare il chakra di Kurama, in una
chiara
manifestazione di potere e dominanza. Non era un segreto che sarebbe
stato
Naruto quello che avrebbe fatto il culo a strisce a entrambi se
avessero
iniziato a combattere. Per questo rilassò la posa minacciosa
e fece ruotare il
kamui finché non tornò a essere il normale
sharingan.
Al suo
contrario, Jiraiya non cedette di un’oncia.
“È
l’assassino dei tuoi genitori” sibilò
ancora una volta con gli occhi puntati
sul suo obiettivo.
“Tecnicamente
non è stato proprio lui, i miei sono morti mentre
sigillavano Kurama…”
Jiraiya
assottigliò ancora di più gli occhi a quella
frase.
“Parli
con
troppo affetto di un demone” lo avvisò.
Quella
fu la
cosa sbagliata da dire. Il chakra di Kurama lo ricoprì
all’improvviso, in tutta
la sua potenza, creando un mantello sulle sue spalle che risplendeva di
un
potere pericoloso e schiacciante, che costrinse Jiraiya a fare un passo
indietro.
“Kurama
è
mio amico” ringhiò Naruto. “Il mio
migliore amico, il compagno della mia vita”.
“Ha
distrutto il villaggio, ucciso persone innocenti”.
“Perché
l’avete trattato come un’arma per secoli,
imprigionandolo in bambini che
venivano odiati e temuti!” gridò più
forte. “Non puoi biasimare la sua rabbia,
né quella di Obito. Se l’ha fatto è
stato anche per quello che è successo! Non
è colpa sua!”
Al
contrario
delle parole appena pronunciate, Obito sentì il senso di
colpa abbatterlo al
punto di piegargli le spalle. Era ancora incredulo come Naruto potesse
sostenere con così tanta tranquillità la sua
difesa dopo tutto quello che aveva
(e in un altro futuro avrebbe) fatto.
Con un
sospirò ritirò del tutto lo sharingan,
l’iridi di nuovo color petrolio, e tornò
seduto a terra. Con una mano si resse il volto mentre appuntava il
gomito su
una gamba.
“È
stata
colpa mia” disse, catturando l’attenzione di Naruto
che si voltò a guardarlo di
profilo. “Sai che intendevo farlo”.
Non
osservò
la reazione che ebbero alle sue parole, seppe solo che Naruto disperse
la
modalità Bijū e il caldo chakra dorato smise di illuminare
l’ambiente
circostante. Con il calare del sole del pomeriggio sulla piazza si
erano
allungata le ombre degli edifici in rovina.
“Hai
ragione” disse Naruto. “Ma una persona mi ha
insegnato l’importanza di
interrompere il ciclo dell’odio e credeva in me, sapeva che
ne sarei stato in
grado. Quindi sì, Kurama è il mio migliore amico
e non permetterò a voi due di
combattere”.
Davanti
a
quelle parole, Obito smise di prestare attenzione alle ombre e
alzò di nuovo lo
sguardo sugli altri due. Appena lo fece, Jiraiya abbandonò
la posa aggressiva,
ma non lo sguardo sospettoso. Sembrava quasi scombussolato, forse aveva
riconosciuto il suo desiderio nelle parole del ragazzo dal futuro.
“Interrompere
il ciclo dell’odio” ripeté amaramente.
Naruto
dovette considerarlo una vittoria e rilassò le spalle.
“Vuoi
ascoltare il resto?” chiese dolce.
Tornò
ad
avere l’attenzione dell’eremita, questa volta
annuì un po’ più cauto e nello
stesso modo circospetto tornò a sedersi. Naruto lo
imitò subito dopo e riprese
da dove era stato interrotto, come se non fosse mai successo nulla.
Questa
volta
Obito non l’ascoltò, forse perché era
la parte della storia che gli piaceva
meno. Si concentrò solo sulla voce di Naruto, senza
preoccuparsi che le parole
che pronunciava avessero senso.
Quando
Jiraiya sussultò sconvolto immaginò che fosse
arrivato alla storia del
vecchietto delle Sei vie.
“Hai
ancora…?” chiese curioso.
Naruto
scosse la testa. “C’è già una
reincarnazione di Ashura in questa linea
temporale e non sono io. Io sono solo un intruso, un errore. Appena
sono atterrato
qui ho perso il Rikudo Senjutsu del vecchietto, non è a me
che aspetta”.
“Credevo
che
il chakra viaggiasse con te” obiettò Jiraiya.
“Non
questo
tipo di chakra, questo può essere ereditato solo dalla
legittima incarnazione.
Ma per il resto sì: il mio, quello dei Bijū e quello dei
rospi…” si bloccò e
Obito capì subito perché.
L’espressione
di Jiraiya era a dir poco esilarante, come se avesse appena realizzato
qualcosa
di importante.
“Quindi,
fammi capire,” ricapitolò, “non solo i
Bijū hanno ricordi del tuo futuro, ma
anche tutto ciò che è strettamente legato con il
tuo chakra, quindi anche i
rospi del monte Myoboku?!”
Naruto
annuì
incerto. “Non ti sei accorto del mio nome sul
contratto?”
Dalla
sua
espressione era evidente non lo avesse fatto.
“Questa
spiega molte cose” sospirò. “Tipo
perché da più di un anno a questa parte ogni
volta che evoco un rospo mi guardano come se fossi un fantasma.
Loro… ricordano
la mia morte” realizzò.
Naruto
abbassò lo sguardo. “Sì, è
l’unico motivo per cui non si sono arrabbiati quando
hanno scoperto che li avevo portati indietro nel tempo, poterti
rivedere. Sai…”
si interruppe e il tono incrinato ferì Obito. “Fa
ancora male pensarci…”
Non
aveva
bisogno di dire a cosa si riferisse. Si avvicinò a lui senza
rendersene conto,
come a volergli dare conforto con la sua sola presenza. Quel suo gesto
lo
riscosse e ancora una volta riprese a parlare da dove era stato
interrotto.
Jiraiya
ascoltò più mite finché non fu
nominata Kaguya, ma a quel punto sembrava
qualcuno pronto ad accettare qualsiasi cosa, impossibile da stupire
ancora.
Obito confermò a se stesso che dopo un racconto del genere,
dello scontro con
una divinità madre del chakra, il viaggio del tempo sembrava
una banalità.
Il
silenzio
che seguì fu molto lungo. Jiraiya aveva molto da
metabolizzare e Naruto gliene
diede modo senza mettergli fretta. Rimase in pacifico silenzio a
osservare le
varie emozioni passare sul volto del sannin.
Obito
alzò
lo sguardo verso l’orizzonte, alcuni raggi del sole arancione
sbucavano dagli
edifici diroccati e lo sfondo del cielo era di un rosso violento. Senza
che se
ne rendessero conto era arrivato il momento del tramonto.
Perciò non si stupì
di sentire al suo fianco lo stomaco di Naruto gorgogliare.
Quel
suono
rianimò Jiraiya dalla sua contemplazione solitaria.
Tornò a concentrarsi sui
due uomini davanti.
“Questo
non
mi spiega perché sei con lui” disse senza
nascondere il tono accusatorio.
Obito
s’irrigidì, ma Naruto non batté ciglio.
“Il
primo
passo per evitare la nascita di Kaguya era impedire lo Tsuki no Me.
Perciò ho
cercato Obito e abbiamo avuto la nostra chiacchierata con diciassette
anni di
anticipo”.
“E
ora
s’impegna per la pace insieme a te?” chiese
sarcastico.
Quella
domanda piena di scherno lo irritò molto più
dello sguardo sospettoso.
“Ho
sempre combattuto per la
pace” precisò. “Ma a
quanto pare il piano A è un fallimento, quindi sono passato
al piano B. Ora collaboro per la
pace con lui”.
Jiraiya
non
sembrò per nulla impressionato da quel discorso.
“Ovvero
intromettersi nelle politiche dei vari stati?” chiese.
Fu
Naruto a
intervenire. “Nel mio tempo abbiamo raggiunto una Grande
Alleanza Ninja perché
avevamo un nemico comune, ma onestamente non è questo il
modo giusto. Questo
modo serve solo a giustificare la necessità di una
guerra”. Fece una smorfia e
Obito non faticò a capire a chi stesse pensando: Pain.
“Se le nazioni iniziano
a collaborare fin da subito che dopo aver sopportato una guerra
distruttiva e
dolorosa sarà molto meglio. Nel mio tempo, poco prima che
saltassi, era quello
che stava succedendo. Ci stavamo tutti impegnando per una pace duratura
e non
apparente”.
Jiraiya
era
affascinato dalla sua determinazione, Obito poteva vedere come fosse
sul bilico
di annuire e credergli solo perché sapeva che era la cosa
più giusta. Ma
Jiraiya era anche un veterano di guerra che aveva subito tradimenti e
perdite,
nonostante tutto aveva uno strato di cinismo.
“Ci
hanno
già provato” mormorò, “ma
parlare alle persone purtroppo non sembra
sufficiente. Non tutte ascoltano”.
Obito si
chiese se stesse pensando a Orochimaru, che in quel momento si trovava
ancora
ad Akatsuki.
Sentì
lo
sguardo di Naruto su di sé, poi annuì e il
viaggiatore del tempo cominciò a
parlare della sua idea di usare i Bijū come collaboratori e non come
armi. Fu
divertente vedere la diffidenza iniziale – immaginava che per
lui fosse davvero
difficile fidarsi dei demoni codati – infrangersi a favore di
un’espressione
speranzosa e poi determinata.
“Ci
vorrà
tempo” mormorò alla fine, “ma non
è impossibile”.
Naruto
annuì. “Ci stiamo già impegnando per
spingere gli stati a trattati più
pacifici. Kiri ora lavorerà soprattutto per la pace interna
ed esterna,
possiamo garantirtelo. A Kumo c’è Killer B che sta
spingendo il Raikage a
essere… meno orgoglioso”.
Per
qualche
motivo Naruto ridacchiò, invece lui rabbrividì a
ricordare il Jinchūrike
dell’ottocoda e il suo discorso tutto in rima.
“Ma
anche lì
siamo sulla buona strada. Su Suna dobbiamo ancora trovare il momento
adatto, ma
ho qualche idea” riprese Naruto. “Iwa ci sta dando
un po’ più problemi del
previsto, sono delle tali teste dure…”
“Siete
sul
loro bingo book” li avvisò Jiraiya.
Obito
sbuffò
infastidito, mentre Naruto scoppiò ancora a ridere.
“Lo
so,
Ōnoki ci ha proposto di diventare shinobi di Iwa e non ha preso molto
bene il
nostro rifiuto…” terminò ridacchiando.
La sua
risata influenzò Jiraiya e i piccoli occhi neri brillarono
di malizia. Appoggiò
i palmi delle mani sulle gambe incrociate, poi si sporse in avanti con
espressione furba.
“E
di
tornare a Konoha, invece? Che ne pensate?”
Obito
poté
vedere con chiarezza Naruto sgranare gli occhi azzurri dalla sorpresa e
dalla
gioia, le labbra già piegate in un sorriso nostalgico e
desideroso. Ma poi
s’irrigidì e si voltò a guardarlo con
la coda nell’occhio.
“Noi…”
“Torniamo”
lo interruppe inflessibile, senza nessuna particolare emozione.
La sua
risposta così decisa fece saltare il compagno di viaggio.
“Sei
sicuro?” chiese stupefatto.
Si prese
del
tempo per rispondere. Lui non voleva tornare a Konoha, non voleva rivedere le persone
che aveva tradito
e soprattutto non voleva rivedere Kakashi. Naruto lo aveva convinto ad
abbandonare il piano dello Tsukiyomi, ma lui non era ancora riuscito a
perdonare quanto successo. Era una ferita aperta che aveva ancora
bisogno di
tempo per chiudersi e guarire. Ma sapeva anche Naruto scalpitava dal
bisogno di
tornare a casa, perché anche se ora si trovava nel tempo
sbagliato come un
intruso era innegabile che considerasse ancora Konoha come la sua casa.
La
Volontà del Fuoco bruciava così forte in lui, in
ogni sguardo, gesto e parola
che aveva sempre temuto che potesse tradire il suo luogo di
appartenenza e
smascherarli.
Naruto
voleva tornare a casa. Probabilmente anche per provare a dare una
famiglia al
se stesso di questo periodo temporale.
“Sì,
sono
sicuro” disse alla fine. Si voltò a guardarlo in
viso. “Fra poco ci sarà anche
la strage degli Uchiha e dobbiamo fermare Danzo”.
Quel
pensiero fece sussultare sia Naruto che Jiraiya.
“Hai
ragione” disse il suo compagno alzandosi, Obito lo
imitò subito. “Dobbiamo
tornare”.
Tornare…
Guardò
il
sole che incendiava l’orizzonte, il turbinio dei vortici che
agitava l’oceano
che circondava quell’isola dimenticata e prigioniera del
tempo.
Tornare
a
casa aveva un sapore salato proprio come quel mare.
Ed
eccoci
qui con il primo vero capitolo che, nonostante tutto, resta comunque un
po’ di
introduzione. Perdonatemi, ma prima di entrare nel vivo della storia
bisogna
lavorare su alcune cose ^^
Spero
che
nonostante tutto l’incontro tra Jiraiya e Naruto vi sia
piaciuto ;__; è stato
un po’ sofferente da scrivere, perché io come
Naruto ho tutti i ricordi del
canon, del loro legame e del tempo che hanno passato insieme. Ma
Jiraiya no,
per Jiraiya Naruto in questo momento è solo uno sconosciuto,
non è il Jiraiya
con il quale divideva i ghiaccioli :c
Vi
ringrazio
per le recensioni lasciate al prologo <3 Mi hanno reso davvero
felice ^^
Ovviamente, mi renderà molto felice leggere qualche commento
anche su questo
capitolo *^* giusto per capire se ha senso hahahaha
Ci
vediamo
la prossima domenica con il nuovo capitolo c:
Hatta.
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Capitolo 3 *** Addio, Uzumaki Naruto! ***
Capitolo 2
Addio, Uzumaki Naruto!
«And
the walls kept tumbling down in the city that we love
Gray
clouds roll over the hills bringing darkness from above»
(Pompeii
– Bastille)
Con il
calare della sera erano rientrati dentro uno degli edifici traballanti
di
Uzushio, che nel periodo che avevano usato quell’isola come
base dei loro
spostamenti avevano tentato
di rendere
un rifugio vivibile.
“Vi
servirà
una storia di copertura” disse Jiraiya osservando dei pesci
arrostiti al fuoco.
Della
cena
se ne stava occupando Obito, mentre Naruto a quelle parole
cominciò a camminare
su una parete verticale fino a restare appeso al soffitto come un
pipistrello,
le braccia incrociate e l’espressione concentrata.
Jiraiya
cercò l’aiuto di Obito per quel comportamento
strano. Lui si limitò a scrollare
le spalle.
“Dice
che
stare a testa in giù l’aiuta a pensare”.
Rise,
quello era un comportamento che vedeva perfettamente per il figlio di
Kushina.
“Nessuno
deve sapere che vengo dal futuro, nemmeno Jiji” li interruppe
Naruto dal
soffitto.
“Chi
lo
sa?” chiese Jiraiya.
“Io,
te,
Konan e Hoshigaki Kisame” rispose Obito apatico.
Jiraiya
lo
guardò sconvolto. “Lo avete detto a un nukenin di
grado S?!” sbottò.
Gli
lanciò
a malapena un’occhiata mentre faceva girare il pese.
“Kisame è un tipo a posto,
ci si può fidare di lui”.
“So
che ha
ucciso tutta la sua squadra”.
“Glielo
avevano ordinato, ha solo eseguito gli ordini”. La difesa
arrivò da Naruto sul
soffitto. L’haori arancione che indossava si era aperto
attorno a lui facendolo
assomigliare a un fiore sgargiante. “Il vero problema
è Nagato. Glielo abbiamo
detto, ma non ci ha creduto”.
“E
ci ha
attaccato” ricordò Obito con un brontolio.
“Non l’ha presa bene”.
“Konan
sta
ancora dalla sua parte,” continuò Naruto,
“ma lei sembrava più propensa al
dialogo. Abbiamo pensato di rimandare a un altro confronto quando
avremo
risolto il resto, così da dimostrare la nostra
sincerità”.
Jiraiya
annuì in apprezzamento. Da quello che gli aveva raccontato,
Nagato era
diventato molto potente. Era molto probabile che questo Naruto non
faticasse a
batterlo, ma immaginava non volessero usare la violenza per fermarlo.
“Quindi
dobbiamo trovarti una storia, Naruto” considerò.
“Sei sicuro di non volerlo
dire al Sandaime?”
Gli
faceva
male l’idea di tenergli un tale segreto, quello sarebbe stato
un serio
conflitto di lealtà.
Ma
Naruto
annuì deciso. “Nessuno Kage deve sapere del mio
viaggio. Onestamente, Jiji è
stato fantastico ed è fortissimo, ma certe sue scelte sono
state discutibili e
la sua vicinanza con Danzo mi preoccupa un poco”.
Non
poteva
dire di essere totalmente in disaccordo, ma era comunque qualcosa che
non gli
piaceva.
“E
più
avanti? Quando la situazione sarà più
sicura?” chiese speranzoso.
Obito
sembrava totalmente contrariato, ma non protestò quando dopo
un momento di
silenzio Naruto fece un cenno di assenso.
“Più
avanti” garantì, “quando sarà
il momento”.
Sospirò
di
sollievo. Fatto quello, tornò a concentrarsi sulla questione
più importante.
“È
anche
assolutamente fuori discussione dire che l’attacco del Kyūbi
di sei anni fa è
stato opera tua” disse senza premurarsi di nascondere
l’accusa nelle sue
parole.
“Sì,
immagino complicherebbe tutto” replicò senza
guardarlo Obito. “Quindi? Cosa
proponete?”
Fu
Naruto a
parlare. “Lasciamo la prima parte com’è
davvero. Del tuo incontro con Madara e
del fatto che ti ha salvato la vita”.
Obito
saettò gli occhi verso l’alto sorpreso.
“Ne sei sicuro?”
“Saresti
dovuto essere morto” intervenne Jiraiya. “Non penso
sia facile trovare un’altra
spiegazione plausibile, inoltre spiega il tuo corpo e la tua
capacità di usare
l’arte del legno”.
“Quindi,
la
storia resterà la stessa fino alla morte di Rin”.
L’espressione
di dolore e rabbia fu così limpida sul volto del ragazzo
Uchiha che Jiraiya
provò empatia nei suoi confronti. Anche Naruto se ne accorse
e addolcì la voce.
“Ma
dopo
averla vista, non sei tornato da Madara. Hai vissuto da solo come un
ninja
vagabondo finché non ci siamo incontrati. Ovviamente, non
sai niente del piano originale
di Madara”.
Annuì
in
accordo. “Diremo che è stato lui ad attaccare il
Villaggio con il Kyūbi”.
“Del
resto
non è così lontano dalla
verità” confermò Naruto.
Obito
non
rispose, rimase zitto a lungo perso nei propri pensieri. Alla fine
scrollò le
spalle in segno di disinteressato assenso.
“Ho
incontrato te” ripeté, alzò lo sguardo
sul soffitto verso la figura appesa. “Ma
tu chi sei?”
Jiraiya
trovò presto una risposta, stupendo non solo gli altri due
ma anche se stesso.
“Il
fratello
minore di Minato”.
Naruto
quasi cadde dal soffitto, ma riuscì a stabilizzare di nuovo
il chakra sulla
pianta dei piedi. Rimase appeso a fissarlo stupefatto.
“Mio
padre
non aveva un fratello” fece notare.
“Ovvio
che
no” confermò Jiraiya. “Per questo
è una buona copertura. Assomigli troppo a
lui, Naruto, chiunque vedendoti se ne renderà conto al
Villaggio. Solo un
legame di sangue può spiegare questa tua
somiglianza”.
“Una
henge…”
“Nel
Villaggio dove esistono utenti di sharingan e byakugan?
Suicidio.”
“Non
è altrettanto
rischioso?” osò Obito. “Si sarebbe
saputo se Minato avesse avuto un fratello”.
“No,
se
nemmeno Minato ne era a conoscenza” spiegò
Jiraiya. “A essere più chiari, sarai
il fratellastro di Minato: stesso padre, ma madri diverse. Nemmeno suo
padre
sapeva della tua esistenza, allo stesso tempo nemmeno tu sapevi
dell’esistenza
di Minato” terminò.
“Regge”
annuì Naruto soddisfatto. “Possiamo lasciare mia
madre un’Uzumaki?” chiese.
“Non voglio rinunciare anche alla sua
eredità…”
“No,
è
perfetto” concordò Obito. “Questa
spiegherebbe molti aspetti del tuo carattere
e del tuo chakra. Di aspetto sei simile a Minato-sensei, ma fidati che
nel
resto sei un Uzumaki fatto e finito”.
Naruto
non
aveva idea se si trattasse di un insulto o meno, ma lo prese come un
complimento e si illuminò tutto.
“Fantastico,
dattebayo!”
Jiraiya
si
sedette di nuovo a gambe incrociate e si toccò il mento
pensieroso. “Hai
abbandonato Uzushio da piccolo con tua madre, durante la sua
distruzione”
continuò a elaborare. “Avete vissuto insieme
viaggiando in cerca di un luogo
sicuro finché lei non è morta”.
“In
un
attacco di altri ninja che cercavano i segreti degli Uzumaki”
completò Obito.
“Per questo hai continuato a nasconderti anche dopo la sua
morte, tenendo un
profilo basso, diffidando degli altri shinobi”.
“Finché
non
ho trovato te quasi due anni fa” concordò Naruto
esaltato, “e siamo diventati partner
in crimes!”
Ghignò
nel
vedere Obito arrossire, ma l’Uchiha riuscì a non
dar troppo a vedere il suo
imbarazzo.
“È
una
buona copertura, ci vogliono solo i particolari ora”.
“Tipo
dovremo spiegare il tuo legame con i rospi”
precisò Jiraiya con un sospiro.
“Non
posso
aver firmato il contratto per conto mio?” chiese spensierato,
ma il vecchio
sannin scosse la testa.
“No,
l’unico contratto esistente lo possiedo io e sicuramente ne
avrei parlato
all’Hokage-sama se ci fossimo già incontrati. No,
pensavo ad altro”.
“Cioè?”
“Convocazione
inversa” spiegò.
Naruto
fu sollevato
di vedere Obito confuso quanto lui. Jiraiya si apprestò a
spiegare.
“La
prima
volta che ho provato a usare la Tecnica del Richiamo non aveva fatto un
patto
con nessun animale e invece di convocare qualcosa qui mi sono evocato
lì, al
monte Myoboku. È così che ho imparato le tecniche
dei rospi e l’arte eremitica.
A te potrebbe essere successa la stessa cosa, mentre tentavi di
richiamare
qualcosa, sei finito lì”.
Obito
faticò a trattenere la risata. “Questo
è così stupido”.
Jiraiya
lo
guardò offeso. “Be’, moccioso
impertinente, non sarei dove sono ora se da
ragazzino non mi fossi perso a Myoboku”.
“È
una cosa
da me” li interruppe prima che potessero iniziare a
discutere. “Magari mi sono
evocato per errore quando hanno attaccato mia madre. I rospi mi hanno
tenuto
nascosto lì perché avevo paura degli shinobi
stranieri”.
Jiraiya
annuì
con enfasi. “Il motivo per cui non hanno raccontato a nessuno
della tua
presenza lì è la tua somiglianza con Minato.
Temevano di attirarti qualche
nemico del mio allievo. Del resto eravamo nel pieno della Terza
Guerra”.
“Lì
mi sono
allenato e sono diventato fortissimo” concluse con un
sorrisone impertinente.
“Pronto per affrontare il mondo, ho lasciato i Rospi e ho
iniziato a cercare il
mio destino dattebayo!”
“Direi
che
ci siamo” ricambiò il sorriso Jiraiya.
“Per i particolari cominceremo a
pensarci domani, ma per ora abbiamo l’ossatura
importante”.
“Manca
ancora una cosa, però” obiettò Obito
mortalmente serio.
“Cioè?”
Naruto
scoppiò a ridere nel rendersi conto che sia lui che Jiraiya
avevano posto la
domanda allo stesso tempo, inarcando lo stesso sopracciglio nella
stessa
espressione scettica. Provò un affetto così
profondo da essere destabilizzante,
che quasi gli fece perdere la presa sul soffitto. Jiraiya gli era
mancato
tantissimo, ma si era reso conto di quanto fosse stato doloroso solo
finché non
lo aveva visto ancora davanti a sé. Sapeva che non era il
suo Jiraiya, lo
stesso ero-sennin con il quale aveva condiviso i ghiaccioli blu, che lo
aveva
allenato e portato alle terme. Non avevano gli stessi ricordi e faceva
male… ma
averlo ancora vivo, davanti a lui, uguale a come ricordava era qualcosa
di così
bello da faticare a crederci.
I suoi
pensieri malinconici furono interrotti da Obito, che lo guardava con
titubanza.
“Il
tuo
nome…”
Capì
subito
cosa intendeva e la sua espressione si congelò. Non
riuscì a reagire, scosso
dalla consapevolezza: non poteva tenere il suo nome. Esisteva
già un Uzumaki
Naruto in questa linea temporale, un Naruto che aveva più
diritto di esistere
di lui, che era un errore, un imprevisto del tempo. Senza contare
quanto sarebbe
stato assurdo, una coincidenza troppo forzata, che il fratellastro di
Minato
avesse lo stesso nome di suo figlio.
Anche
Jiraiya lo realizzò. “Dovrai cambiarlo”
disse amaro.
Era
ovvio, era
la cosa più sensata. Ma non significava che fosse facile. Il
suo nome era la
cosa più preziosa che aveva, un ricordo dei suoi genitori e
raccoglieva la loro
fiducia e il sogno del suo maestro. Ancora prima, quando non conosceva
la sua
eredità, era comunque il suo nome, la sua
identità. Lo aveva tenuto stretto fin
da bambino, quando lo avevano chiamato mostro e avevano tentato di
appiattirlo
all’ombra del Kyūbi. Uzumaki Naruto era lui, era tutto
ciò che aveva.
Era il
nome
che suo padre e sua madre avevano scelto per lui.
Strinse
le
labbra e socchiuse gli occhi, per qualche sciocco motivo li sentiva
umidi.
Forse perché per la prima volta realizzava davvero che non
poteva più esistere
come Uzumaki Naruto, doveva abbandonare se stesso anche se solo in
parte.
Saltò
giù
dal soffitto atterrando sui piedi, la posizione leggermente accucciata,
e si
sedette sul pavimento mogio.
“Quindi?
Che nome?” chiese lottando contro il dolore al petto.
Fu Obito
a
rispondere, con estrema chiarezza.
“Nozomi”
disse calmo. “Uzumaki Nozomi”.
Lo
ripeté
nella propria mente un paio di volte, poi annuì lento. Non
seppe perché, ma era
felice che fosse stato Obito a scegliere un nome per lui. Sembrava
quasi una
sorta di investitura, come se gli affidasse un destino.
“Uzumaki
Nozomi” ripeté con leggera ironia Jiraiya.
“Che sia un augurio per un futuro di
speranza”.
֎
Era
ormai
calata la notte. Nonostante la lauta cena a base di pesce arrostito
– che molto
sospettosamente Obito non aveva toccato – Jiraiya non
riusciva a dormire. Nella
sua mente continuavano a mescolarsi le troppe informazioni raccolte in
poche
ore, così assurde da non poterle ancora metabolizzare
correttamente. C’era la
faccenda del viaggio del tempo, dell’avere non troppo lontano
l’assassino del
suo prezioso allievo e, non meno importante, la notizia della sua
futura morte
e della distruzione del mondo.
Era
molto
da metabolizzare, sì.
Perciò
dopo
essersi rigirato più volte nel futon che gli avevano
lasciato, si alzò per meditare
sulle nuove scoperte e sulle loro conseguenze.
Tornò
nella
stanza dove avevano cenato e trovò Naruto e Obito
lì, nello stesso futon.
Inarcò le sopracciglia nel vedere l’Uchiha
sveglio, un rotolo in mano e
illuminato da una torcia; Naruto era addormentato al suo fianco di
pancia, con
le braccia alzate a circondare la sua vita e una guancia appoggiata
sulla sua
coscia.
Obito
rispose dopo qualche secondo alla sua silenziosa domanda.
“Quando
dorme non riesce a evitare di abbracciare cose. Il cuscino, le
lenzuola, lo
zaino, me…”
“Tu
non
dormi?” chiese avvicinandosi.
Scosse
la
testa. “Non ne ho bisogno” replicò
evasivo. “Posso stare molto tempo senza
dormire”.
“Non
hai
neanche bisogno di mangiare” osservò Jiraiya.
“E
di bere”
completò.
Queste
rivelazioni lo fecero rabbrividire. Era come se non fosse
più del tutto umano,
privo com’era di quei bisogno primari. Immaginò
fosse per via di quelle cellule
di Hashirama che gli erano state trapiantate da Madara.
Restarono
in silenzio per lunghi minuti, Obito concentrato sulla pergamena e
Jiraiya
perso nelle proprie considerazioni. Alla fine chiese:
“Perché
siete nel letto insieme?”
“All’inizio
era per risparmiare alle locande,” fu la laconica risposta,
“poi per
abitudine”.
Scosse
la
testa. “Intendevo: perché sei nel letto con lui se
non hai bisogno di dormire?”
Non
arrivò
nessuna risposta, Obito non diede nemmeno segno di aver sentito.
Notò solo che
le punte delle sue
orecchie sembravano
essere arrossite, ma non poteva dirlo con certezza visto la penombra
che li
circondava. Il ragazzo leggeva dalla pergamena con lo sharingan attivo,
che
brillava come lava.
Alla
fine,
quando Jiraiya si stava per riaddormentare seduto, Obito mise via la
pergamena.
Lo osservò sospettoso mentre sgusciava con cautela dalla
presa del compagno,
ben attento a non svegliarlo. Senza dire una parola si
allontanò verso una
sacca da viaggio. Lì iniziò a spogliarsi.
“Cosa
stai
facendo?” chiese quindi Jiraiya.
“Vado
a
sbrigare i nostri affari” fu la parca risposta e per un
momento temette lo
lasciasse senza altre spiegazioni, ma aggiunse: “Prima di
tornare a Konoha devo
avvertire Kisame”.
“Hai
molta
fiducia in un nukenin” osservò.
“Non
lo
sono anch’io, un nukenin?” replicò senza
nessun sentimento particolare.
Jiraiya
non
ci fece troppo caso, i suoi occhi erano puntati al centro del suo
petto. Tutto
il suo corpo era un miscuglio di pelle bianca artificiale e pelle vera,
qualcosa di davvero orrendo e inumano, ma su quel punto spiccava una
cicatrice
molto recente.
“Credevo
che queste cellule di Hashirama ti guarissero tutte le
ferite” disse.
Scrollò
le
spalle. “Per quelle più gravi ci vuole
tempo”.
“Come
te la
sei fatta?” chiese senza preoccuparsi di essere delicato.
D’altro
canto, Obito sembrava restarne completamente indifferente.
“Naruto,
subito dopo che mi sono unito a lui”.
Non era
la
risposta che si aspettava, quasi rischiò di strozzarsi con
la saliva. Non fece
nemmeno in tempo a ipotizzare che forse il viaggiatore del futuro aveva
voluto
prendersi una piccola vendetta che Obito continuò:
“Madara
aveva messo un sigillo nel mio cuore, qualcosa che mi spingesse a
continuare a
seguire la sua volontà. A quanto pare, nel futuro di Naruto
me l’ero tolta
facendomi colpire da Kakashi con il raikiri. Non sapendo come altro
fare, ha
usato lo stesso trucco ma con il rasengan”.
Il
distacco
del suo tono lo sorprendeva quasi più della storia stessa.
“Con
un
colpo del genere saresti dovuto morire, cellule di Hashirama o
meno” considerò.
“Mi
ha
curato con il chakra di Kurama” spiegò senza
aggiungere altro.
La
cicatrice sparì alla sua vista quando rimise una casacca blu
scuro dal collo
alto. La strinse alla vita con delle bande, nella quali
incastrò i borselli
delle armi.
Per la
prima volta da quando lo aveva rivisto non lo guardò con
sospetto, o rabbia o
odio. Provò solo una strana pietà, lo
guardò con un dispiacere spaesato. Il
ventenne davanti a lui era completamente diverso dal bambino che
correva dietro
a Minato gridando che sarebbe diventato Hokage. Non c’era
più niente di quel
genin goffo e sempre in ritardo. L’uomo davanti a lui
sembrava essere stato
divorato dal mondo e sputato fuori dall’inferno, per poi
essere stato rimesso
insieme in modo frettoloso e impreciso.
“Come…
perché hai deciso di fidarti di Naruto?” chiese.
Lo
guardò
appena, prendendo invece una pesante cappa nera. “Il piano di
Madara è
destinato al fallimento, non ho molta scelta”. Si
bloccò, come se fosse stato
colpito da un pensiero e si accigliò.
“C’è qualcosa in Naruto che mi fa
desiderare di aiutarlo”.
Non
chiese
altro, si fece bastare questa risposta criptica.
Obito si
alzò il cappuccio sulla testa, un’ombra gli
coprì i suoi lineamenti e rimase
solo la luce brillante dello sharingan.
“Tornerò
prima dell’alba” disse, poi l’aria
attorno a lui si increspò in un vortice e sparì.
֎
Kisame
si
stupì tiepidamente di sentire quella firma di chakra
provenire dalla sua stanza
alla locanda, quando non era previsto che si incontrassero quella
notte. Rimase
ancor più stupito di vedere Tobi – Obito, comunque
volesse farsi chiamare ora –
appollaiato sul bordo del suo davanzale come un uccello senza una
maschera. Era
raro che si presentasse a viso scoperto, l’ultima volta che
era successo era
stato per raccontargli un’assurda storia sui viaggi del tempo
e chiedere poi il
suo aiuto in un colpo di stato a Kiri.
“Tobi,
Obito” canticchiò circospetto. “Cosa
devo l’onore?”
Con il
tempo aveva imparato tante cose su quell’uomo. Sapeva che
quando era Tobi
poteva essere un vero dolore al culo da gestire, mentre Madara parlava
poco e
lo faceva solo per dare ordini irrevocabili. Obito era più
difficile da
indovinare, era silenzioso come Madara, ma aveva qualcosa di rotto
dentro che
lo rendeva spesso assente.
“Nuovi
sviluppi” disse l’uomo alla finestra.
Kisame
non
si avvicinò, né allontanò Samehada
dalla sua spalla. Era in posizione
rilassata, ma i suoi occhi vispi brillavano in cerca di segni di
pericolo.
“Allora,
Obito, devo cavarti le parole dalla bocca?” chiese acuendo la
voce ironica.
Scosse
la
testa e scese dalla finestra. “Siamo stati contattati da uno
dei tre Sannin di
Konoha”.
A quella
frase si fece subito sospetto. “Orochimaru?
L’Akatsuki ha deciso di muoversi?”
Scosse
ancora la testa. “Jiraiya è venuto e Naruto ha
deciso di fidarsi abbastanza da
dirgli la verità”.
“Oh”
schioccò
la lingua curioso, mise in mostra i denti appuntiti in un sorriso
inquietante.
“Come l’ha presa?”
“Ha
tentato
di uccidermi, ma alla fine Naruto l’ha convinto. Ci crede e
ci aiuterà”.
“Buone
notizie, quindi” osò. “È un
pezzo grosso del Fuoco, ne?”
“Uhm”
ronzò
poco impressionato. Kisame poteva chiaramente vedere che
c’era altro che lo
impensieriva, infatti poco dopo riprese a parlare: “Ci ha
proposto di tornare a
Konoha”.
Quello
lo
lasciò sorpresa. Lo fissò in viso in cerca di
qualche indizio, ma oltre
l’amarezza che sembrava vestirlo come una seconda pelle non
decifrava altro. In
un certo senso, gli era stato più facile capirlo quando
indossava una maschera.
Madara e Tobi erano in un qualche modo prevedibili, ma non Obito.
“Che
cosa
avete risposto?” chiese quindi.
“Abbiamo
accettato”.
Strinse
gli
occhi, per nulla felice di quella risposta. Rischiava di compromettere
tutto.
“Konan
non
sarà contenta” disse.
Quello
catturò l’attenzione di Obito.
“L’hai incontrata?”
“No”
lo
deluse con una scrollata di spalle. “Ma non è
quello che ha sempre sostenuto?
Che il tuo Naruto sta facendo tutto questo solo
nell’interesse di Konoha?”
Obito si
corrucciò irritato. Era facile irritare Obito, bastava solo
pungolarlo sulle
giuste corde e fare i nomi giusti. Nominare Rin significava farlo
infuriare,
mentre dubitare su Naruto lo faceva scattare.
“Mi
sembra
che quest’ultimo anno e mezzo sia stato abbastanza
chiarificatore sulle sue
intenzioni” disse infatti stizzito.
Kisame
ghignò. “Ma ora state tornando a Konoha”.
Soffiò
dal
naso e fece una smorfia. “Abbiamo delle faccende da sbrigare
anche lì” disse.
“Dobbiamo evitare un colpo di stato e gestire Shimura
Danzo”.
Non
sapeva
di cosa stesse parlando – tranne di Danzo, non occorreva
essere un viaggiatore
del tempo per sapere che pezzo di merda fosse Shimura Danzo della
Foglia.
Quando era stato messo al corrente di tutto aveva esplicitamente
chiesto di non
conoscere nulla del futuro da cui proveniva Uzumaki Naruto.
Perciò non sapeva
quali fossero questi affari da sbrigare.
“Spero
che
non stiate facendo un errore” disse alla fine.
“Abbiamo
ancora lo stesso obiettivo” dichiarò Obito.
Tornò
a
ghignare divertito. “Truffare le Grandi Nazioni in nome della
pace?”
L’Uchiha
ricambiò il sorrisetto ugualmente divertito.
“Fondamentalmente, sì”.
A quel
punto non poté che fare un cenno di assenso.
“Continuerò a tenere sotto
controllo Ame” promise. “Mi contatterai
tu?”
Annuì.
“Solito metodo”.
“Allora
attenderò notizie. Non farti ammazzare” disse non
realmente preoccupato. Se
aveva imparato una cosa di Obito, era che era difficile da ammazzare
quanto
Madara. Per non parlare di questo fantomatico viaggiatore del tempo,
quando lo
aveva incontrato la prima volta era rimasto sconvolto per le enormi
riserve di
chakra, superiori perfino alle sue.
“Ah,
un’ultima cosa” disse prima di saltare fuori dalla
finestra.
“Sì?”
chiese togliendosi finalmente Samehada dalle spalle.
“Non
è più
Naruto” mormorò. “È Uzumaki
Nozomi”.
Schioccò
ancora una volta la lingua. “Suona bene”
apprezzò.
֎
Obito fu
di
parola, tornò prima dell’Alba. Ma
non si
diresse subito verso la casa dove si nascondevano, si prese il suo
tempo per
passeggiare tra le rovine di Uzushio. In quel luogo così
diroccato e
abbandonato all’incuria si sentiva perfettamente incastrato,
come se fosse la
sua scatola di puzzle. Era lo specchio perfetto del mondo come appariva
ai suoi
occhi.
E Naruto
voleva aggiustarlo.
Nonostante
tutto, era sospettoso. Non riusciva ad abbassare le difese con quel
Jiraiya,
anche se aveva tentato di darlo a vedere, ed era preoccupato.
Preoccupato che
Konan avesse ragione, che Naruto fosse qui solo per Konoha e i suoi
amici
assassini. Si aggiungeva che ora stavano tornando lì. Aveva
detto a Kisame di
essere sicuro, si era mostrato tranquillo, ma non lo era per niente.
C’erano
troppe cose affidate al caso.
Avrebbero
creato una buona storia di copertura con Jiraiya, ma il vecchio sannin
avrebbe
mantenuto l’accordo? Niente gli garantiva che una volta al
Villaggio non
dicesse la verità sul suo conto per incastrarlo. In quel
caso sarebbe scappato,
non aveva nessuna intenzione di restare prigioniero a Konoha o venire
ucciso
per mano loro. Del resto aveva fatto piani nascosti per sé
fin dall’inizio, nel
caso le cose fossero andate male e Naruto si fosse rivelato solo un
folle.
Aveva il suo piano di fuga fin da Kiri, visto che aveva partecipato al
colpo di
stato con la consapevolezza che sarebbe stato inutile, uno spreco di
tempo, che
niente sarebbe cambiato. Invece… dopo… si era
quasi sentito un bambino
lamentoso per il finale felice a cui non aveva sperato. Forse era
presto per
parlare, ma i rapporti di Kisame dicevano che le cose stavano
cominciando a
girare per il verso giusto lì. Senza contare che anche quasi
tutto quello che
avevano fatto dopo era finito bene. Il loro unico fallimento era stato
Nagato,
ma lì era solo colpa sua, visto che aveva deciso di
affrontarlo senza Naruto.
Forse…
le
cose sarebbero andate bene? Poteva davvero tornare a casa?
Per un
momento si sentì di nuovo abbattere dal pessimismo, le cose
non potevano andare
bene per sempre e ci sarebbe stato un momento in cui il castello di
carte che
stavano costruendo sarebbe precipitato. Non doveva crogiolarsi
all’idea che le
cose potessero andare bene, doveva trovare un piano di salvataggio.
Poi
pensò agli
occhi azzurri pieni di speranza di Naruto, sospirò e
camminò più velocemente.
Il vento gelido del pre-alba tentava di approfittarsi dei suoi capelli
corti
per infilarsi nella sua cappa e farlo rabbrividire di freddo, ma aveva
smesso
di provare quelle sensazione da un pezzo.
Forse
Naruto
avrebbe potuto aggiustarlo.
Il suo
arrivo svegliò Naruto che gli fece un sorriso malinconico.
Immaginava bene che
cosa ci fosse dietro quel sorriso, la consapevolezza che dal momento in
cui il
sole sarebbe sorto lui non sarebbe più stato Uzumaki Naruto.
Non disse nulla
per consolarlo, non era qualcosa che era particolarmente bravo a fare.
Si mise
solo a preparare le loro cose per il loro viaggio verso Konoha e nel
farlo
cercò di fare il più rumore possibile, in modo da
svegliare Jiraiya.
Il
vecchio
Sannin si era addormentato con la bocca aperta, seduto a terra e
appoggiato al
muro, ma appena i rumori molesti arrivarono alle sue orecchie
scattò pronto al
pericolo. Accortosi di quello che lo circondava, si rilassò
e rialzò con uno
sbadiglio.
“Partiamo?”
“Meglio
ora
che dopo” concordò Naruto alzandosi a sua volta.
“Credo
non
sia il caso di tornare subito” continuò il
vecchio. “Prima di tornare voglio
assicurarmi che la vostra copertura duri anche a eventuali ricerche di
Danzo.
Nelle prossime settimane faremo in modo di disseminare indizi a favore
della
vostra storia, okay?”
Obito
apprezzò quel trucco, molto astuto.
“Quando
sarà tutto pronto, manderò una lettera
all’Hokage per informarlo che vi ho
trovato e che avete accettato il mio invito”.
“Quanto
ci
vorrà?” chiese Naruto già pronto, anche
Obito aspettava alla porta.
Erano
abituati a viaggiare e si erano sempre preparati nel caso dovessero
lasciare il
rifugio in velocità. I loro averi erano pochi e sempre a
portata.
Jiraiya
si
caricò la sua sacca da viaggio e raggiunse
l’Uchiha fuori, seguito da un
ansioso Naruto.
Fuori il
cielo era rosa, gabbiani stridevano e volavano in cerchi per la prima
pesca. Le
rovine di Uzushio avevano un apparenza pacifica nel primo sole
mattutino.
“Chi
può
dirlo” rispose alla fine Jiraiya con una scrollata di spalle.
“Pronti a tornare
a casa?”
Obito
non
lo era. Aveva lasciato così tante cose a Konoha che non era
sicuro di poterle
gestire. Ma gli bastò lanciare un’occhiata a
Naruto per tranquillizzarsi.
Avevano un obiettivo e finché c’era uno scopo da
seguire poteva andare avanti.
Fu
sorpreso
di vedere il compagno fare un passo davanti a tutti, le gambe larghe e
le mani
sui fianchi, in volto un’espressione decisa.
“Hai
capito, Konoha?!” gridò al silenzio del mattino.
“Uzumaki Nozomi sta
arrivando!”
Poi si
mise
a correre verso la spiaggia, come un fantasma.
Sono un
po’
in ritardo ;___; errore mio, ho procrastinato molte cose in questi
giorni. Ma
eccomi qui, con un nuovo capitolo, l’ultimo prima del loro
ritorno a Konoha. Vi
giuro soffro quanto Naruto all’idea di dovergli dare un altro
nome, ma le cose
non posso andare diversamente: due Naruti che girano per Konoha sarebbe
troppo allarmante
e un casino per me scrittrice xD Ma Nozomi è pur sempre il
nostro Naruto, solo
un po’ più maturo – forse, non
garantisco.
Spero vi
sia piaciuto e vi ringrazio per aver deciso di seguire la storia,
soprattutto
per le recensioni allo scorso capitolo ^^ Speriamo di divertirci
insieme!
Hatta.
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Capitolo 4 *** L'amico perduto ***
Capitolo 3
L’amico perduto
«Will the fight that we once had
retreat?
Just
a hole where your heart used to be»
(Dead men walking – Black Veil Brides)
Era una
bella giornata luminosa, il calore del sole estivo era rinfrescato da
una
leggera brezza che frusciava tra le foglie. Kakashi sentiva la fronde
cantare
rilassanti da dove si trovava. Gli piacevano quelle giornate, dove
tutto era
cheto, non doveva andare in missione con la squadra Ro e aveva la
sensazione di
poter rimanere fino a sera a osservare il monumento commemorativo. Il
suo
occhio pigro continuava a sfilare sui nomi delle sue preziose persone,
anche se
ormai sapeva a memoria perfino lo spessore dell’incisione
sulla pietra.
Quel
giorno
non aveva una missione, ma il Sandaime lo aveva convocato nel suo
ufficio. Se
il messaggio che l’ANBU gli aveva recapitato era esatto,
avrebbe dovuto
incontrarlo nel suo ufficio due ore fa.
Oh, come vola il
tempo…
Pigramente
si chiese se potesse tirare la corda ancora un poco e restarsene un
altro po’ a
osservare quella pietra fredda, come se potesse dargli il conforto
necessario
per non crollare. Alla fine decise che sicuramente aveva già
infastidito il
vecchio Hokage e non era il caso di sfidare la sua pazienza
più del dovuto.
Salutò
con
un cenno la fredda lapide, poi utilizzò il shunshin per
apparire direttamente
alla finestra dell’ufficio dell’Hokage.
Perché usare la porta quando poteva
presentarsi in quel modo e far morire di crepacuore tutti i presenti?
“Yo”
disse
alzando una mano e socchiudendo l’unico occhio visibile.
“Perdonate il ritardo,
ma temo di essermi perso nel cammino della vita”.
Una
leggera
risatina divertita gli fece riaprire l’occhio e fu stupito di
vedere così tante
persone importanti nella stanza. C’era il suo capo della
Squadra Speciale, Ibiki
Morino, il capo della squadra Jonin Nara Shikaku, il capo della Polizia
Uchiha
Fugaku e il sannin Jiraiya. Al suo fianco c’erano due ninja
che non
appartenevano a Konoha ed era stato uno di loro a ridacchiare. Si
bloccò sul
balcone della finestra, guardò spaesato quei lineamenti
così familiari e gli
occhi azzurri socchiusi in un sorriso. I suoi capelli avevano anche lo
stesso
colore di quelli del sensei, con la differenza che questi erano
tagliati più
corti.
Ma
rischiò
di perdere l’equilibrio sul bancone quando spostò
l’occhio sorpreso sull’altro
ninja. A differenza dell’altro, che con i suoi sgargianti
colori sembrava
irradiare la luce, questo aveva un aspetto più scuro,
perfino l’espressione era
contratta in modo poco amichevole. Ma non c’era niente al
mondo che gli potesse
impedire di riconoscerlo, nemmeno le cicatrici che rovinavano il lato
destro
del suo viso e la benda a coprire il mancante occhio sinistro.
Scattò
nella stanza incredulo e titubante, con la paura di sperare inutilmente.
“Obito?”
chiese senza fiato, spaesato.
Quello
contrasse lo sguardo e lo fissò con rabbia, quello sguardo
lo ferì. Ma si
riprese subito nel sentire l’Hokage tossicchiare per avere la
sua attenzione.
“Kakashi-san,”
chiese calmo, “puoi confermare che quest’uomo
è Uchiha Obito?”
Capì
perché
fosse stato convocato e, nonostante il pulsare sordo al petto,
entrò subito in
modalità missione.
“L’odore
è
diverso, signore” disse confuso.
Obito
aveva
sempre saputo di torte alle mele, sudore e fuoco
(quest’ultimo come la maggior
parte degli Uchiha). Invece l’odore che sentiva provenire da
quest’uomo era strano:
sapeva di sangue, acciaio, cenere e linfa.
Da un certo punto di vista gli ricordava quello di Tenzou –
aroma di rami
appena tagliati – ma questo aveva un che di disumano.
Però
il
volto era esattamente quello che avrebbe avuto Obito una volta
cresciuto,
cicatrici e occhio mancante a parte. Una henge? Sicuramente non avrebbe
mai
ingannato il Sandaime o Fugaku in quel modo…
L’uomo
che
diceva di essere Obito accentuò la smorfia infastidita, poi
l’occhio onice si
colorò di rosso e nero, i tomoi vorticarono fino a formare
una figura che
Kakashi aveva visto spesso guardandosi allo specchio.
Kamui.
Veloce
si
affrettò ad alzare il suo hitai-ate, rivelando il rosso
dello sharingan che si
trasformò nella stessa forma a tre punte.
“Questo
ti
rinfresca la memoria, Bakakashi?” disse Obito.
Kami,
perfino la voce era diversa, più consumata e distaccata. Ma
ora non c’erano più
dubbi, si trattava davvero di lui e risentire quel nomignolo
dell’infanzia
aumentò la contrazione al petto.
“Sei
vivo…”
disse senza fiato.
“Già,
questo è interessante” intervenne Fugaku. Aveva
attivato il suo sharingan,
forse per assicurarsi che non fosse una henge particolarmente riuscita
o un
genjutsu, ma doveva essere giunto alla sua stessa conclusione.
Era
Obito. Obito era davvero lì.
Inaspettatamente
fu l’uomo biondo a parlare.
“Ne
abbiamo
di cose interessanti da raccontare!” ciarlò
allegro alzando gli le braccia
dietro alla nuca in una posa rilassata, sentì i suoi occhi
azzurri puntarsi su
di lui. “Tu devi essere il famoso Copy-nin Hatake-san,
giusto?”
“Solo
Kakashi” tagliò corto improvvisamente diffidente.
Solitamente gli shinobi non
lo chiamavano per cognome, era qualcosa che richiamava la Zanna Bianca
e… be’,
qualcosa che Konoha voleva dimenticare. Fece per chiedere il nome
dell’uomo, ma
lui lo precedette con la sua voce assurdamente spensierata.
“Ho
sentito
tanto parlare di te! Ma Obito ti ha sempre descritto con un palo in
culo,
fissato con le regole e insofferente ai ritardi”
elencò. “Mh, non è che sei tu
l’impostore
qui?” terminò fissandolo sospettoso.
Kakashi
sul
momento non seppe decisamente come reagire. Era ancora frastornato
dalla
scoperta che Obito fosse lì, vivo dannazione,
e non era pronto ad affrontare un tale fiume di parole dal sosia del
suo
defunto sensei. Voleva delle risposte, voleva sapere perché
Obito non fosse
tornato indietro! Forse in quel modo, se fossero stati
insieme… Rin… e sensei…
“Maaa,
chissà” risolse alla fine indolente, le mani ben
piantate nelle tasche in una
posa curva. Non riusciva a smettere di guardare Obito con lo sharingan,
come a
volersi imprimere la sua immagine nel caso fosse sparito di colpo.
Un altro
tossicchio da parte dell’Hokage gli ricordò che si
trovava nel suo Ufficio e
che, probabilmente, stava mancando di educazione a tutti i presenti
stando nel
centro di esso. Fece quindi un passo indietro.
“Immagino
sia il caso di continuare con le presentazioni” disse il
Sandaime con lo stesso
tono rilassato di prima. I suoi occhi però erano vigili e
svegli, pronti a
notare qualsiasi particolare. “Kakashi, ti presento
l’accompagnatore del tuo
vecchio amico: Uzumaki Nozomi, il fratello minore di
Yondaime-dono”.
Shikaku
poté vedere con estrema precisione il momento in cui
Kakashi, davanti a questa
notizia, sembrò voler mandare al diavolo ogni cosa. In cuor
suo provò empatia
verso il giovane ANBU, anche lui quando lo aveva sentito aveva faticato
a
mantenere il controllo.
“Yondaime-sama non
aveva un fratello” disse
Kakashi duro. “Non che io sappia, almeno”.
“Be’,
nemmeno io sapevo di avere un fratello qui”
protestò il sedicente Uzumaki
facendo un broncio, “visto che nessuno si è mai
preso la briga di dirmelo!”
Non si
aspettava di vedere Jiraiya intervenire, mettendo una mano sulla
capigliatura
spettinata del ragazzo.
“Moccioso,
è stato fatto per il tuo bene” lo
avvertì.
Quella
frase stuzzicò il suo interesse e lo fissò con
più attenzione. Quello
sott’intendeva che qualcuno lo sapeva e non aveva parlato.
Anche l’Hokage parve
notarlo.
“Da
quanto
lo sai, Jiraiya?” chiese pacato.
“Solo
da
quando ci siamo incontrati. Vedendolo ho capito che aveva qualche
legame di
sangue con il nostro Yondaime”.
Sembra di vedere
suo figlio,
concordò
internamente Shikaku, anche se non gli piaceva pensare che Minato
avesse potuto
tradire Kushina. Ma a pensarci meglio, sarebbe stato impossibile:
l’uomo
davanti a lui superava la ventina, non ci sarebbero stati con
l’età. Invece,
l’opzione fratello era molto più probabile.
Restava da capire perché nessuno ne
fosse a conoscenza.
Jiraiya,
quasi a leggergli nel pensiero, si apprestò a continuare.
“Nozomi
è
il fratellastro di Minato” specificò.
“Sua madre era una Uzumaki, dalla quale
ha preso il nome. Non gli ha mai parlato di suo padre, che immagino non
sapesse
nemmeno della sua esistenza”.
“Questo
è…
incredibile” considerò il Sandaime.
Più
che
incredibile a suo avviso. Era impossibile che non fosse giunta nemmeno
una voce
sull’esistenza di questo fratello. La sua somiglianza con
Minato sarebbe stata
notata subito anche dalle altri nazioni, ma solo recentemente si era
spettegolato del fantasma del Lampo Giallo.
Ibiki
sembrò
giungere alla sua stessa conclusione, perché chiese:
“Dove
sei
stato tutto questo tempo?”
L’espressione
sul volto dell’Uzumaki si oscurò,
guardò esitante Jiraiya prima di prendere a
parlare con un sospiro.
“Un
po’
ovunque. Sono scappato con mamma da Uzushio poco prima che la
distruggessero,
da allora abbiamo viaggiato in incognito nelle diverse nazioni.
Onestamente,
non ho ricordi al di fuori dei nostri continui spostamenti. So anche
che mamma
usava una henge su di me, anche se non ho mai saputo perché,
e trasportava
molti rotoli”.
“Rotoli
di
tecniche ninja?” si assicurò cominciando un
po’ a capire dove stava andando a
parare e il sospiro tremante di Nozomi gli confermò che
quella storia non era
finita bene.
“Sì,
soprattutto Fūinjutsu, aveva anche tentato di insegnarmi qualcosa ma
ero troppo
piccolo…” Prese un altro lungo respiro.
“Comunque, quando avevo undici anni ci
siamo diretti verso il Paese dell’Erba. Da alcuni
pettegolezzi aveva sentito
che anche un’altra famiglia Uzumaki aveva trovato rifugio
lì, quindi speravamo
finalmente di trovare un posto sicuro dove restare”.
“Perché
non
siete venuti a Konoha?” obiettò il Sandaime.
“Siamo sempre stati alleati con
Uzushio, vi avremmo certamente ospitati e preso cura di voi”.
Era una
domanda giusta, ma dallo sguardo spaesato era ovvio che il giovane non
avesse
una risposta.
“Non
lo so”
disse infatti stringendosi nelle spalle. “Io andavo dove
andava la mamma”.
Ovviamente
aveva senso, all’epoca era un bambino e probabilmente non
sapeva dell’alleanza
con Konoha. Forse la madre provava qualche forma di rancore verso la
Foglia
perché avevano lasciato che distruggessero il suo villaggio.
O forse era per
non rivelare l’esistenza del bambino, fratello
dell’ormai famoso in tutte le
nazioni Lampo Giallo, del resto aveva detto di aver viaggiato in henge.
“Siete
arrivati a Kusa?” chiese gentilmente il Sandaime, spronandolo
a continuare.
L’ombra
negli occhi azzurri si intensificò e scosse la testa.
“Durante
la
strada siamo stati attaccati. Non so chi fossero quei ninja, ma
volevano i
rotoli di mamma e conoscere le tecniche segrete di Uzushio”.
Rabbrividì al
ricordo e sembrò volersi ritrarre, lo sguardo basso.
“Nel caos che è successo
la mamma è morta, io ho provato a scappare usando una delle
tecniche di cui mi
aveva parlato: la Kuchiyose no jutsu”.
Shikaku
sentì che le sue sopracciglia si stavano inarcando tanto da
raggiungere
l’attaccatura dei capelli. Fu sollevato di vedere di non
essere l’unico
sorpreso nella stanza.
“Avevate
stipulato un contratto con qualcuno?” chiese.
Nozomi
fece
un’espressione imbarazzante. “In realtà
non sapevo nemmeno a cosa servisse. È
stata la prima che mi è venuta in mente e l’ho
fatta. Il secondo successivo mi
sono trovato in un posto strano, dai colori strani e pieno di rane
giganti”.
Indovinò
la
descrizione, ma gli parve così improbabile che si rivolse a
Jiraiya.
“Il
Monte
Myoboku?” chiese conferma.
Jiraiya
fece un’espressione di circostanza. “Quando
utilizzi la tecnica del richiamo
senza aver stipulato un contratto non sai mai cosa può
capitare”.
“Che
buffo”
considerò distratto l’Hokage pulendo la pipa.
“Se non sbaglio ti è successa la
stessa cosa da ragazzo”.
Jiraiya
saltò sul posto, rosso in viso. “Ohi, vecchio!
Questo doveva restare un nostro
segreto”.
“Quindi
non
hai raggiunto il Monte perché hai camminato per mesi e mesi
alla sua ricerca?”
lo stuzzicò Kakashi.
“Oh,
è
questo che racconti, Jiraiya-chan?” lo derise bonario Hiruzen.
Un colpo
di
tosse bloccò la risposta del vecchio Sannin. Era stato
Fugaku, visibilmente
infastidito da quel teatrino.
“Possiamo
continuare?” chiese gelido e in cuor suo Shikaku era
d’accordo, ma avrebbe
preferito darsi fuoco ai capelli che mostrare assenso al gelido capo
della
Polizia.
“Certamente.
Nozomi, prego” acconsentì l’Hokage.
Lui fece
spallucce. “Sono rimasto con i rospi per un bel
po’. Mi hanno tenuto al sicuro
e mi sono allenato con Pa’ e Ma’” disse
quei nomi con affettuosa familiarità,
il tono che si rifletteva anche nello sguardo addolcito. “Mi
hanno insegnato
tantissime cose e reso molto più forte. Quando ho imparato
tutto ho deciso di
lasciare il Monte per riprendere a viaggiare in modo di rendermi utile.
È così
che ho incontrato Obito!”
Con
quest’ultima frase, l’attenzione di tutti
tornò sull’Uchiha scomparso. A dir la
verità, aveva lanciato continue occhiate a Obito nel mentre
del racconto di
Nozomi, per osservare la sua reazione. Non sembrava sorpreso di sentire
quella
storia, doveva già conoscerla, e fin dal momento in cui
aveva iniziato a
parlare del viaggio con la madre gli si era avvicinato, come a dargli
conforto
con la sua presenza.
Per il
resto era stato in silenzio, il viso privo di emozioni evidenti e
l’occhio
lontano da Kakashi. Era palese che stesse facendo di tutto per non
incrociare
lo sguardo.
“Hai
incontrato Obito” ripeté l’Hokage con
calma, “questo quando?”
“Quasi
tre
anni fa, signore” rispose Nozomi.
“E
cos’hai
fatto da solo fino a questo incontro, Obito?”
Il
giovane
Uchiha parve irritato dal tono accondiscendente del Sandaime, come se
stesse
parlando con un bambino. Gli lanciò uno sguardo infastidito
e disse:
“I
cazzi
miei”.
Non
apprezzò particolarmente quella risposta e non fu
l’unico in stanza, fatta
eccezione di Fugaku che non batté ciglio. Jiraiya
alzò gli occhi al cielo
esasperato, evidentemente una risposta del genere non era una
novità per lui.
Fortunatamente,
l’Hokage mantenne la calma e si limitò a guardarlo
con rimprovero.
“Puoi
essere più preciso di così?” chiese
sempre educato. “Magari dirci come sei
sopravvissuto alle rocce”.
Shikaku
poteva giurare che Kakashi stava aspettando quella risposta con tutto
se stesso
dal momento che lo aveva riconosciuto.
Obito
era
evidentemente riluttante a parlare, lo vide scambiarsi uno sguardo
supplicante
con Nozomi, il quale sembrò convincerlo silenziosamente.
“Sono
stato
salvato da Uchiha Madara”.
Non
poteva
sganciare una bomba peggiore, considerò, in confronto anche
la notizia del
fratello scomparso di Minato impallidiva. Il primo a reagire fu
ovviamente
Fugaku.
“Uchiha
Madara è morto da tantissimo tempo”
ringhiò.
“Sì,
be’,
in realtà no” replicò Obito quasi con
sfida. “Non era morto, anche se
all’inizio l’ho scambiato per lo shinigami privato
degli Uchiha, visto che
aveva una falce e uno sharingan”.
Quello…
non
aveva senso, ma effettivamente era qualcosa che l’Obito che
aveva conosciuto
lui poteva pensare tranquillamente.
“Ci
stai
davvero dicendo che Uchiha Madara, un ninja dell’epoca dei
fondatori e che
tutti credevano morto, in realtà è
vivo?” si assicurò Hiruzen ponendo ogni
parola con lentezza.
“Adesso
è
morto davvero” lo rassicurò.
“L’ha ucciso il Yondaime sei anni fa”.
Il
calcolo
fu facile da fare a tutti, ma Shikaku fu il primo a reagire.
“Stai
dicendo che dietro l’attacco del Kyūbi si sei anni fa
c’era Uchiha Madara?”
“Conoscete
qualcun altro in grado di controllare i Bijū?”
Non gli
piacque quella risposta che grondava sarcasmo, non gli piaceva quel suo
atteggiamento in generale in realtà. Perciò lo
guardò assottigliando gli occhi,
sospettoso.
“Puoi
spiegarti meglio?” insistette Hiruzen e pensò
seriamente che la sua pazienza
andava riconosciuta con un monumento. Lui era certo di aver raggiunto
la
quantità di cazzate sufficiente per quella giornata. Tutto
quello che voleva
era andare a prendere il figlio all’Accademia e stendersi con
lui su un prato a
non fare nulla, a svuotare la mente osservando le nuvole.
Con un
altro sospiro esasperato, Obito ricominciò.
“Quando
mi
sono svegliato mi sono trovato in questa grotta con questo vecchio con
lo
sharingan che mi fissava in modo inquietante. Mi ha detto di chiamarsi
Uchiha
Madara e che mi aveva salvato la vita. Avevo più della
metà del corpo
distrutto, perciò lo ha ricostruito usando un clone che
aveva creato dalle
cellule di Hashirama”.
Quella
sola
frase aveva già troppe informazioni da poterle digerire
tutte insieme.
“Cellule
di
Hashirama?” ripeté in un invito a spiegarsi meglio.
Scrollò
le
spalle. “È quello che gli ha permesso di vivere
così a lungo. È scappato alla
morte contro Hashirama utilizzando la tecnica Izanami e prima di
andarsene è
riuscito a rubargli del DNA”.
Shikaku
vide al suo fianco Fugaku irrigidirsi alla menzione di quella tecnica,
ma anche
se non la conosceva non chiese approfondimento. Era più
interessato a questa
cosa delle cellule.
“Che
cosa
se n’è fatto del DNA dello Shodai?”
Ottenne
un’altra scrollata di spalle disinteressata. “Si
è tenuto in vita ed è riuscito
a ottenere questi esseri umani artificiali che lui chiamava Zetsu. Ha
ricostruito il mio corpo con uno di essi” ripeté.
“Ma ero ancora debole e
debilitato, così non ho potuto muovermi da lì per
un bel po’”.
“E
questo…
Uchiha Madara” iniziò Ibiki scettico,
“che cosa voleva da te?”
Questa
volta non scrollò le spalle, ma si oscurò.
“Tirarmi
in
mezzo a un suo piano delirante. Non chiedetemi quale, non capivo la
metà delle
cose che diceva ed era fottutamente inquietante. A un certo punto ho
cominciato
a temere fosse anche un pervertito, visto che parlava di volere da me certi favori. Probabilmente parlava
dell’attacco
con il Kyūbi, ma non ho mai chiesto. Volevo solo andarmene da
lì il prima
possibile. Mi aveva anche messo questi due Zetsu a sorvegliarmi e,
cazzo, non
facevano altro che chiedermi come ci si sentisse a fare la
cacca”.
Sentì
un
colpo di tosse incastrarsi in gola a quell’ultima
affermazione e si accorse che
anche gli altri presenti sembravano faticare dal restare seri. Tranne
Fugaku,
Fugaku aveva un’espressione molto scandalizzata. Forse era
sconvolto sapere la
fine che aveva fatto uno dei membri più potenti del suo clan.
“Ma
poi sei
sfuggito” si sforzò di dire.
“Sì,
ci
sono riuscito” ammise. “Alla fine i due Zetsu si
sono affezionati a me e mi
hanno permesso di lasciare quel posto demoniaco”.
“Ma
non sei
tornato” sottolineò l’ovvio il Sandaime,
guardandolo penetrante. “Perché?”
E, per
la
prima volta dopo che aveva mostrato il Magekyo, Obito puntò
lo sguardo su
Kakashi, uno sguardo che bruciava odio, rabbia e disprezzo.
“Perché
lui ha ucciso Rin”
ringhiò.
Eccolo.
Kakashi
stava aspettando questo momento da quando aveva capito che chi aveva
davanti
era davvero Obito. Ma sentirlo dire fu comunque una pugnalata al petto
che lo
fece accartocciare in se stesso, sommerso dai propri sensi di colpa.
La
promessa
che aveva infranto. Il suo ennesimo fallimento.
“Io…”
Obito
socchiuse l’occhio, accentuando il disprezzo con cui lo stava
fissando.
“Non
mi interessano
le tue patetiche scuse”.
“Me
la sono
trovata davanti all’improvviso!” spiegò
bisognoso che capisse che lui non aveva
mai voluto che succedesse, che aveva
tentato con tutte le sue forze di onorare la sua promessa.
“Me ne sono accorto
quando era troppo tardi, io non volevo…”
“È
stata
lei a volerlo”.
Si
stupì di
sentire la voce di Nozomi sovrastare la sua e quando alzò
gli occhi vide che
l’uomo aveva fatto un passo avanti e lo guardava affranto,
come se vederlo
soffrire facesse stare male anche lui. Nebulosamente si chiese
perché provare
un’empatia del genere per uno sconosciuto.
“È
stata
Rin che ha scelto di uccidersi” ripeté Nozomi con
trasporto. “Kiri le aveva
sigillato dentro Isobou…”
“Chi?”
chiese Shikaku.
Obito
alzò
gli occhi al cielo. “Parla del Sanbi”.
“…
ma il
sigillo era debole, progettato perché si spezzasse una volta
raggiunta Konoha.
Lei lo sapeva, sapeva che se l’avessi portata lì
avrebbe distrutto il suo
villaggio. Si è intromessa al tuo raikiri perché
voleva evitarlo, perché era
l’unico modo che aveva per farlo”.
Ci fu un
lungo silenzio, in cui Kakashi sentì nelle orecchie il
rimbombo del suo cuore
ferito. Ringraziò la maschera che gli nascondeva buona parte
del suo viso, ma
sospettava che la dolorosa realizzazione fosse comunque visibile nei
suoi
occhi. Questo… questo spiegava quelle parole che Rin gli
aveva rivolto, ora
avevano senso…
“Come
sai
queste cose?”
Il
silenzio
fu spezzato da Shikaku, razionale come suo solito. Quella domanda lo
fece
ricominciare a respirare, anche se gli sembrava di essere immerso
nell’acqua
gelata. Nozomi gli rivolse un ultimo sguardo preoccupato prima di
rivolgersi al
capo jounin.
“Quando
Obito mi ha raccontato quello che aveva visto ho voluto indagare.
Insomma, è
una storia strana da ogni punto di vista. Con qualche favore a Kiri
abbiamo
avuto le nostre risposte”.
Si
sentì
ancora più male nel realizzare che Obito lo aveva visto, che
era lì il momento
in cui era successo. Aveva visto tutto.
A
differenza sua, Shikaku fu più veloce a cogliere
un’altra realizzazione.
“Favori
a
Kiri? Come aiutarli nel colpo di stato?”
Nozomi
sussultò e un sorrisetto imbarazzato si disegnò
sulle sue labbra. “Ehm, tipo”
ammise.
Kakashi
non
condivise la curiosità delle altre persone nella stanza. Si
sentiva come
alienato dagli altri, perché l’unica cosa che
c’era davanti a lui era Obito,
che lo odiava e aveva visto quello che aveva fatto, che genere di
pessimo umano
fosse. Era come se il destino avesse voluto mandargli un giudice e
aveva scelto
quello perfetto per torturarlo.
“Come
mai
intromettersi negli affari politici di Kiri?”
Perfino
le
domande poste dagli altri gli giungevano nebulose, come se
attraversassero
strati di acqua, così come le risposte.
“I
capi di
Kiri erano sanguinosi guerrafondai interessati solo al proprio
interesse.
Almeno adesso la nuova Mizukage lavora per la pace”.
“E
tu sei
interessato alla pace, Nozomi-san?”
“Ovviamente!
La guerra ha distrutto il mio villaggio e mi ha costretto a essere un
profugo.
Non voglio che ricapiti una cosa del genere mai
più!” asserì.
Quel
tono
determinato scosse Kakashi, anche se non abbastanza da farlo reinserire
nella
conversazione. Del resto non aveva davvero ascoltato di cosa stessero
parlando,
ma improvvisamente gli parve che la bolla attorno a lui esplodesse e i
suoni
tornassero chiari.
“Mi
dispiace” disse guardando Obito.
Ricevette
solo disprezzo. “Ho detto che non volevo le tue
scuse”.
Faceva
davvero male, anche se sentiva di meritare quel disprezzo. In quel
momento odiò
quella giornata tranquilla, voleva solo indossare la sua maschera ANBU
e
scivolare nell’automatismo del combattere e uccidere.
Ma
almeno
riportò su di loro l’attenzione degli altri uomini.
“Quindi
è
per questo che non sei tornato?” chiese Fugaku duro.
Obito lo
sfidò con lo sguardo e il capo degli Uchiha non
sembrò apprezzarlo
particolarmente.
Kakashi
non
sapeva che farne di se stesso davanti a questo Obito. Il bambino che
aveva
conosciuto lui era sì testardo, ma non aveva
quell’espressione così rancorosa.
Obito non provava mai rancore, nemmeno quando avrebbe dovuto.
“E
dove sei
stato?” chiese Hiruzen. Sembrava essere l’unico in
grado di portare pazienza a
quel comportamento così poco collaborativo.
“Non
da
Madara, se è quello che credete”
borbottò, tornò a incrociare le braccia.
“Sono
stato in giro, per i fatti miei. Mi sono allenato e nascosto e basta.
Ho tenuto
un profilo basso finché quest’idiota non mi ha
coinvolto nelle sue follie”.
C’era
un
sottotono di affetto in quell’ultime parole, appena
più caloroso, Kakashi non
seppe se se ne accorse solo lui perché lo conosceva. Seppe
solo che provò un
irrazionale moto di gelosia davanti alla consapevolezza che era stato
qualcuno
altro a diventare amico dell’Uchiha, prendendo il suo
legittimo posto.
“C’è
altro?” chiese l’Hokage al silenzio.
Nozomi
smise di sorridere complice a Obito per spostare lo sguardo su Jiraiya,
fu
proprio lui a prendere la parola.
“Li
ho
trovati a Uzushio. Dopo un momento di diffidenza siamo stati in grado
di
collaborare”.
“E
puoi
confermare le loro versioni?” chiese Hiruzen.
Nonostante
il tono gentile, poteva avvertire il sospetto nel suo sguardo. Lo
stesso che
c’era anche negli altri, molto più manifesto in
Ibiki. Ebbe quasi la sensazione
di protestare, perché era Obito, dannazione! Era un loro
compagno, non c’era
motivo di essere così prevenuti nei suoi confronti.
“Sì”
confermò serio il sannin, “soprattutto
perché c’è qualcuno che mi ha potuto
confermare la storia di Nozomi”.
“Puoi
evocarlo?” chiese Hiruzen intuendo di chi parlasse.
“Sarei curioso di
sentirlo”.
Kakashi
capì quando vide Jiraiya eseguire i segni con le mani, si
accorse che aveva
ancora lo sharingan spalancato e si affrettò ad abbassare la
benda. Non era il
caso di sprecare chakra inutilmente tenendolo attivo.
Obito lo
seguì in quel movimento.
Jiraiya
abbatté il palmo della mano sulla scrivania
dell’Hokage e in quel punto, tra
sbuffi di fumo, comparve la figura di un rospo che Kakashi non aveva
mai visto.
“Fukasaku-san”
salutò Hiruzen.
Il rospo
sulla scrivania era piccolo – per lo meno in confronto a
quelli enormi che
aveva visto essere evocati dal sannin in battaglia – di un
verde molto scuro e
con i capelli bianchi in un taglio mohawk, sopracciglia spesse e il
pizzetto. I
suoi occhi gialli si posarono tranquilli su ognuno dei presenti, per
nulla
turbato di trovarsi lì. Per ultimo osservò Nozomi
e sorrise.
“Ciao,
ragazzo”.
“Yo”
disse
quello ghignando.
Il fatto
che si conoscessero con quella familiarità confermava quanto
detto da Nozomi,
ma Kakashi sapeva che all’Hokage non sarebbe bastato. Infatti
il vecchio uomo
inclinò il volto in avanti in un saluto informale, poi
chiese:
“Fukasaku-san,
potremmo approfittare del tuo tempo per chiederti alcune
cose?”
“Certamente,
Hokage-sama” acconsentì con altrettanta
educazione.
A quel
punto Kakashi non si stupì di vedere il Sandaime rivolgere
un cenno a Fugaku.
“Potresti
accompagnare i nostri ospiti fuori per un breve momento,
Fugaku-san?”
L’uomo
si
corrucciò di venire escluso da quella conversazione, ma non
protestò. Doveva
capire da solo che per sorvegliare un utente di sharingan serviva un
altro
utente di sharingan. Certo c’era lui, Kakashi, ma sapeva di
non avere nemmeno
la metà dell’esperienza del capo degli Uchiha con
quell’arte oculare. Senza
contare che sospettava che se lasciati soli Obito avrebbe potuto
prenderlo a pugni.
Infatti
fu
lui a reagire scontroso.
“Perché
dobbiamo uscire?”
“Procedimento
standard” fu la rapida replica tagliente di Ibiki.
Obito
sbuffò dal naso, poi con passo strafottente uscì
dalla stanza dando la schiena
a tutti i presenti. Nozomi fece un sorriso un po’ a disagio,
come a voler
chiedere scusa per quella maleducazione, poi seguì Fugaku
fuori dalla stanza
salutando tutti i presenti come se fossero amici di vecchia data.
Quel
ragazzo era davvero strano.
Era
molto
seccato di essere stato escluso dalla stanza.
Infastidito,
Fugaku si chiese se quello fosse l’ennesimo segnale della
mancanza di fiducia
verso gli Uchiha da parte dell’Hokage. Forse avrebbe
condiviso con il rospo
saggio informazioni che non voleva giungessero alle sue orecchie. Quel
comportamento
non gli piaceva, se lo aveva fatto anche solo per contrastare lo
sharingan di
Obito avrebbe potuto mandare Kakashi, visto che ne aveva rubato uno e
non aveva
un grado abbastanza alto che giustificasse la presenza nella stanza al
suo
posto.
Ma del
resto mancavano anche i due consiglieri e Danzo-sama, una cosa molto
strana che
nonostante tutto aveva apprezzato.
“Così
lei è
il capo del Clan Uchiha”.
Rivolse
appena lo sguardo al moccioso che aveva parlato. Aveva detto di essere
sulla
soglia dei ventiquattro anni, ma il suo viso rotondo e gli occhi vispi
lo
faceva assomigliare ancora a un bambino. Non gli prestò
molta attenzione,
nonostante la parentele in quella breve conversazione era giunto alla
conclusione che non condivideva la stessa brillantezza del
fratellastro. Si
concentrò piuttosto sul parente scomparso, faticava ancora
molto ad associarlo
al bambino che era stato un tempo. Gli era difficile da ammettere, ma
se non ci
fosse stata la conferma di Kakashi molto difficilmente
l’avrebbe riconosciuto.
“Perché
non
sei tornato?” chiese tentando di essere pacato, ma la domanda
sembrava in tutto
e per tutto a un’accusa. Mikoto aveva ragione a prenderlo in
giro dicendo che
non sapeva abbandonare l’aria da comandante, in questo
momento lo guardava come
se fosse un disertore.
Be’,
lo è. Ha sviluppato il Mangekyo e non è tornato.
Certo
era
anche molto sorpreso che Obito fosse stato in grado di svilupparne uno,
dai
suoi ricordi non era particolarmente talentuoso, anzi… disappunto sarebbe stata la parola giusta
per descriverlo. Non
aveva un grammo del talento e dell’eleganza degli Uchiha.
Ricevette
uno sguardo di sbieco.
“Mi
sembra
di averlo già spiegato”.
Non gli
piaceva quel tono. Poteva apprezzarlo se rivolto all’Hokage,
ma non a se stesso.
Corrucciò la fronte, ma non lasciò a vedere la
sua irritazione.
“Capisco
la
tua avversione per Konoha” e la
condivido,
pensò solamente, “ma saresti dovuto tornare dal
tuo clan”.
Era
sicuro
che il suo discorso fosse perfettamente logico, perciò non
si spiegò il
sussulto di Nozomi e
il suo cominciare
ad agitarsi.
“Quindi,
signore, lei… lei è sposato?”
blaterò con tono spensierato.
Lo
guardò
con un sopracciglio alzato. “Sì”.
“Oh,
e…”
“
Mio clan?
Ora faccio parte del clan?”
“…ha
dei
figli?” deglutì Nozomi.
Fugaku
si
sentiva sinceramente confuso, sia dallo scatto di Obito che dalle
domande
dell’Uzumaki. Guardò quest’ultimo.
“Sì,
due
maschi” poi tornò a rivolgersi all’altro
circospetto. “Tu sei un Uchiha”.
Obito
sembrava pronto a mostrare lo sharingan da un momento
all’altro, cominciò a
capire la preoccupazione del suo accompagnatore. In qualche modo che
non capiva
aveva fatto un passo falso.
“Non
ricordo di aver sentito qualcosa dal genere da bambino”
replicò. “Ricordo che
mia nonna ha dovuto lottare perché risiedessi
all’interno del distretto con
lei, che non avete mai perdonato a mio padre di aver sposato una civile
esterna”.
“I
segreti
del clan...” iniziò seriamente, ancora indignato
da quella storia.
“Non
mi
avete mai riconosciuto come un Uchiha, mai” lo interruppe
ancora una volta e
Fugaku si chiuse in un silenzio offeso che avrebbe fatto tremare
chiunque.
Contraddire e interrompere il proprio capo clan! Questo era decisamente
assurdo, Obito era lo stesso bambino indisciplinato di anni fa.
Un bambino
indisciplinato che ha un Mangekyo…
dovette
ricordare a se stesso.
“Che
cosa è
cambiato adesso?” pungolò di nuovo il ragazzo
impudente.
Lo
fissò
con superiorità, come a ricordare la sua posizione con solo
quello sguardo.
“Il
tuo
sharingan, tanto per cominciare” disse sicuro.
Ma
dall’espressione che fece Obito doveva aver fatto decisamente un passo falso.
Aaaargh,
temo che io e Kakashi condividiamo l’indole di ritardo per
procrastinazione xD
In realtà io ho un bel po’ di capitoli pronti,
solo che questa quarantena mi fa
perdere il senso del tempo, mi dispiace ;___;
Comunque
ecco il terzo capitolo! Sono finalmente arrivato a Konoha, Naruto veste
ormai
la sua nuova identità e Obito deve fare i conti con quello
che ha lasciato alle
spalle. Che dite? Riusciranno a convincere l’Hokage e gli
altri?
C’è
anche
Kakashi, che avrà un suo ruolo molto importante aw. Non vedo
l’ora che tutta la
famigliola si completi^^
Vi
ringrazio di cuore per le recensione lasciate e incoraggio i lettori
silenziosi
a lasciarmi un piccolo parere c: per me è molto importante!
Un bacio,
Hatta.
|
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Capitolo 5 *** La decisione dell'Hokage ***
Capitolo 4
La decisione dell’Hokage
«We
are problems that want to be solved
We
are children that need to be loved.»
(What
about us? – P!nk)
Jiraiya
era
tranquillo. La parte più difficile era andata liscia, senza
nessun intoppo, e i
due mocciosi erano stati bravi. Certo, non poteva dire di aver
particolarmente
apprezzato l’interpretazione strafottente di Obito, ma aveva
funzionato,
soprattutto perché era stata molto realistica.
L’assenza di Danzō e i due
consiglieri aveva facilitato le cose, era contento che Hiruzen avesse
accettato
la sua richiesta di una riunione senza di loro. Era certo che la
copertura
fosse solida e con l’aiuto di Pa’ avrebbero
aggiunto l’ultima pietra alla base.
“Fukasaku-san”
iniziò Hiruzen con un sorriso rispettoso, “Uzumaki
Nozomi ha detto che ha
vissuto al Monte Myōboku con voi, è vero?”
“È
esatto,
Hokage-sama” confermò. “È
stato con noi per dieci anni”.
“E
come mai
la sua esistenza non ci è mai stata resa nota?”
Vide
Pa’
guardarlo, come a chiedere conferma di poter parlare, e Jiraiya
annuì stando al
gioco.
“Gliel’ho
già detto”.
Fukusaku
annuì e tornò a rivolgersi al Sandaime.
“È il fratello minore di Minato-chan e
uno dei pochi Uzumaki in vita con i segreti del suo clan. Volevamo
proteggerlo”.
“A
Konoha
avremmo potuto farlo” fece notare Hiruzen.
“Ovviamente,
ma è stato durante la guerra e anche dopo la situazioni di
riassestamento non è
stata molto sicura per lui. Ci sono troppi nemici di Minato-chan che
potrebbero
ferirlo. Ammetto che è stato con malincuore che lo abbiamo
visto andare via,
non avremmo voluto anche se ormai sa difendersi da solo”.
Anche il
rospo recitava bene, Jiraiya non poteva essere più
soddisfatto di così. Sapeva
che Hiruzen non poteva biasimare davvero quella decisione; anche loro
del resto
stavano tenendo nascosto un certo bambino che aveva legami con Minato
per
motivi molto simili.
“Capisco
le
vostre ragioni” disse infatti alla fine. “Quindi
puoi garantire sulla sua linea
di sangue?”
“Assolutamente”
confermò Fukasaku. “Il nostro Grande Saggio ha
potuto assicurarla. È il motivo
principale per cui abbiamo deciso di ospitarlo. Secondo lui
avrà un ruolo
fondamentale nel futuro avvenire”.
Fu una
buona mossa tirarlo in mezzo, Jiraiya conosceva il profondo rispetto
che
Hiruzen provava per il Grande Saggio e le sue profezie.
“Questo
mi
conforta” disse infatti.
“Per
quanto
riguarda Uchiha Obito?” intervenne Ibiki.
Jiraiya
sapeva che, ancor più dell’Hokage, era lui che
doveva assicurarsi di raggirare.
Anche se era difficile, considerando quanto fosse paranoico.
Fukasaku
non batté ciglio. “Si sono incontrati circa tre
anni fa, da allora viaggiano
insieme”.
“Qualcosa
di più?”
“Era
molto
solo e molto triste” spiegò.
“Nozomi-chan ha dovuto lottare un po’
perché si
fidasse, ma ormai sono inseparabili. Fin’ora non ha mai
mostrato cattive
intenzioni, tutt’altro ha protetto Nozomi-chan quando era il
momento. Sono
molto uniti”.
Già,
questa
era una cosa che Jiraiya avrebbe indagato per conto proprio. Che
venisse dal
futuro, Nozomi restava comunque il suo figlioccio e aveva il dovere di
scoprirne di più.
“Da
quello
che ho visto non è una cattiva persona, ha un buon cuore ma
è stato lasciato a
se stesso per troppo tempo, per questo è molto
scontroso”.
“Ci
possiamo fidare di lui?” fu la schietta domanda di Shikaku.
“Potete
fidarvi di Nozomi-chan” disse il rospo, “e
Obito-chan lo seguirà”.
Era una
risposta sincera, ma forse non quella giusta. Poteva vedere sotto il
cappello
l’Hokage elaborare se quello potesse diventare un conflitto
di lealtà alla sua
figura.
“E
Nozomi
sarà fedele a Konoha?” chiese quindi ponderando
attentamente la domanda.
“Nozomi-chan
ha bisogno di una casa e una famiglia. Se Konoha riuscirà a
diventarlo, potete essere
sicuri che le sarà fedele fino al suo ultimo
respiro”.
Cosa che
già è,
pensò fra sé Jiraiya. Aveva visto
in poche persone bruciare la Volontà del Fuoco con una tale
intensità. L’anima
di Nozomi apparteneva a Konoha, era già la sua casa. Ma
questo era meglio che
gli altri non lo sapessero…
Hiruzen
sorrise a quelle parole. “Faremo in modo lo
diventi”.
“Sono
sicuro che non sarà difficile” approvò
il vecchio rospo.
Seguì
un
piccolo silenzio, in cui Jiraiya osservò i presenti. Hiruzen
e Shikaku
sembravano essere stati convinti ed erano tranquilli, Kakashi era
ancora un po’
scosso per l’incontro con l’amico perduto.
L’unico che sembrava continuare a
rimuginare era Ibiki.
“Hokage-sama,”
iniziò inflessibile, “vorrei chiedere il suo
permesso per sottoporli a un
interrogatorio T&I”.
…
merda.
Quello
andava evitato. Sperava che anche la sua sola garanzia potesse
evitarlo, senza
contare la conferma dei Rospi, ma a quanto pare aveva sottovalutato la
paranoia
di Ibiki.
Fortunatamente,
avevano una soluzione anche per quel caso. Fukasaku intervenne subito,
visibilmente preoccupato.
“Intendete
usare uno Yamanaka che osservi i loro ricordi?” chiese.
Ibiki si
accigliò. “Sì, è la
procedura”.
Ci fu un
piccolo silenzio, poi: “Ve lo sconsiglio”.
La sua
decisione schietta e diretta sorprese tutti i presenti, perfino Jiraiya
finse
di esserlo.
“Posso
chiedere il motivo?” domandò Shikaku.
Fukasaku
sospirò. “Vi ha raccontato di sua
madre?” Attese che tutti annuissero prima di
continuare. “I ninja che li attaccarono usavano una tecnica
molto simile a
quelle dei Yamanaka, certo non la stessa ma molto simile. Sono entrati
nella
sua testa e lo hanno torturato psicologicamente per spingere sua madre
a
parlare, per poi ucciderla con la stessa tecnica”. Fece una
lunga pausa in modo
che le parole venissero accuratamente assimilate con tutto il loro
peso.
“Quando arrivò da noi era sconvolto e
terrorizzato, la sua mente un disastro
dopo quell’abuso. Non sono rimasti danni permanenti, su
questo potete stare
tranquilli, ma ci sono ancora cicatrici che possono essere dolorose.
Posso
assicurarvi che se lui o qualcuno che ama subisse di nuovo quella
tecnica si
difenderebbe d’istinto”. Un’altra pausa.
“Il bambino è abbastanza forte”
concluse.
Jiraiya
vide la serietà nello sguardo dell’Hokage, dopo
quell’ultima storia sembrava
esserselo preso a cuore.
“A
questo
punto, Ibiki-san, mi vedo costretto a ritirare il permesso”.
Il capo
della Divisione Speciale era evidentemente contrariato, ma non
contestò
l’ordine e annuì.
“Quindi
decidiamo di fidarci di loro” tradusse Shikaku.
“Decidiamo
di fidarci” confermò Hiruzen.
Dentro
di
sé Jiraiya poté cantar vittoria.
“Resta
solo
una cosa da chiarire” riprese Hiruzen quando Fukasaku fu
licenziato e poté
vedere l’espressione di gioia di Jiraiya congelarsi in modo
preoccupato. Decise
che più tardi, in separata sede, avrebbe chiesto
perché si fosse così
affezionato a questo sconosciuto. Anche se in realtà poteva
sospettare che la
somiglianza con l’allievo defunto avesse avuto un fattore
importante.
Comunque
fosse, prese la pipa ormai vuota e l’appoggiò alla
scrivania.
“Uzumaki
Naruto”, spiegò, “resterà un
argomento tabù finché non avremo più
definite le
loro intenzioni. Finché non sapremo se sono sinceri e la
loro storia sarà
definitivamente confermata, nessuno deve parlargli di Uzumaki
Naruto” decretò.
Poteva
vedere la disapprovazione di Jiraiya.
“È
suo
nipote” disse infatti. “Non credi che diventerebbe
subito molto fedele alla Foglia
nello scoprire che qui ha già una famiglia?”
“Non
metteremo in pericolo la vita di Uzumaki Naruto. La sua esistenza deve
rimanere
un segreto per Iwa e Kumo”.
“Hai
sentito Pa’” obiettò indisponente.
“Nozomi è forte e dal mio piccolo scontro
con lui posso dire che anche Obito ha qualche asso nella
manica”.
“Non
sto
chiedendo il vostro consiglio” fece notare l’Hokage
più autoritario. “Vi sto
dando un ordine sulla base della sicurezza del nostro
Jinchūriki”.
Nessun
altro fiatò, solo Jiraiya accentuò
l’espressione insoddisfatta e distolse
infantilmente lo sguardo in segno di disaccordo.
Sospirò
e
gli mancò già la sua pipa. Si voltò
vero Kakashi.
“Tu
e la
tua squadra ANBU vi assicurerete che non entrino in contatto in questo
periodo
di prova. Inoltre tutte le tue prossime missioni fuori dal villaggio
sono
annullate. Sarà richiesta la tua presenza nel caso si
rivelassero disonesti e
attaccassero”.
Anche se
in
cuor suo sperava non lo fossero, ma doveva sempre essere pronto al
peggio.
Perciò si voltò ancora verso Ibiki:
“Voglio
ANBU
a sorvegliarli costantemente finché lo riterrò
opportuno. Prepareremo inoltre
una squadra investigativa che, partendo dalle prove raccolte da
Jiraiya,
confermerà la loro storia”.
Rimase
in
un silenzio meditativo, chiedendosi se ci fossero altre questioni da
sistemare
in privato. Forse più tardi avrebbe dovuto parlare con
Jiraiya sul perché non
avesse voluto Danzō a questa presentazione. Alla fine scosse la testa e
fece
cenno a Shikaku.
“Falli
rientrare”.
Il jōnin
andò alla porta come ordinato, ma una volta aperta un
sostenuto tono bellicoso
invase la stanza. Nessuno aveva afferrato correttamente le parole,
essendo a
metà di una frase, ma tutto notarono l’espressione
agitata di Nozomi, Obito
proteso verso il terzo componente con l’occhio che
lampeggiava di rabbia e infine
Fugaku, che aveva la curiosa espressione di un bambino sgridato e
offeso.
Oh, interessante.
Nozomi
sembrò deluso di notare, una volta rientrato nella stanza,
che Fukasaku se
n’era andato senza salutarlo, ma sembrava anche sollevato di
potersi
allontanare dai due Uchiha litiganti. Kakashi moriva dalla
curiosità di sapere
che cosa si stessero dicendo fino a un secondo prima, Obito era
palesemente
furioso mentre Fugaku appariva leggermente alterato, il che era tutto
dire.
“Spero
abbiate avuto un buon momento” commentò
l’Hokage, i piccoli occhi neri che
brillavano di malcelata ironia.
Fugaku
sbuffò ricercando la propria compostezza.
“Questioni di famiglia”.
“Ora
che
Obito è tornato, avrete tempo per discuterne”
stuzzicò un’ultima volta. A volte
Kakashi si trovava ad apprezzare questo lato nascosto del Sandaime,
specialmente quando punzecchiava i membri più importanti dei
clan.
“Certamente”
acconsentì serioso Fukagu.
“Fukasaku?”
chiese Nozomi volgendo gli occhi nella stanza, come se sperasse di
trovare il
rospo saggio nascosto da qualche parte. Trovò quel
comportamento molto
infantile ma, forse per l’associazione a Minato, ne fu
intenerito. Il che era
assurdo, Nozomi era più grande di lui, come poteva portare
tenerezza per un
adulto?
“È
andato
non appena ha confermato la vostra versione”
spiegò Hiruzen con un sorriso
benevole, poi aggiunse solenne: “Saremmo felici di
accogliervi come shinobi di
Konoha”.
Lo
sguardo
di Nozomi si illuminò. “E noi siamo grati di
accettare” assicurò e si voltò
verso Obito. “Ne, non è vero?”
Quello
annuì, senza mostrare lo stesso entusiasmo.
“A
breve vi
forniremo le vostre targhette identificative e un hitai-ate”
continuò l’Hokage.
“Dovremo anche capire a quale grado assegnarvi.
L’ultima volta che sei stato
qui, Obito, eri un chūnin, ma nel bingo book sei stato classificato
come un nukenin
di grado S insieme al tuo compagno”.
L’Uchiha
sembrò spaesato da quell’improvvisa attenzione.
“Mi sono allenato per conto
mio” spiegò.
“Per
questo
gradirei tenere un piccolo incontro, una sorta di combattimento
amichevole,
così da poter vedere le vostre
capacità”.
Vide che
il
Sandaime si girava verso di lui. “Combatteranno contro di te
e un membro della
tua squadra ANBU a tua scelta”.
Vagliò
mentalmente le sue possibilità, ma poi decise di andare sul
sicuro.
“Tenzō
andrà bene” affermò.
Ci fu
qualcosa nello sguardo di Nozomi che non riuscì a decifrare,
come se avesse
riconosciuto il nome, ma era impossibile visto che
l’esistenza del suo compagno
era tenuta segreta e i nemici lo conoscevano solo con il suo nome ANBU.
“Siamo
stati considerati di grado S” disse quasi pavoneggiandosi.
“Non
sottovalutarci”.
Lo
guardò
accigliato. “Non lo sto facendo” disse.
Tenzō
poteva essere stato considerato “solo” di grado A,
ma la sua capacità di
controllare il legno lo rendeva un avversario faticoso. Senza contare
che era
abituato a lavorare in squadra con lui, si sarebbero adattati bene a
ogni
situazione.
In
un’altra
circostanza sarebbe rimasto insofferente a un incarico del genere, ma
non lo fu
quella volta. Avrebbe combattuto contro Obito di nuovo, dopo anni, in
un
incontro amichevole. Era curioso di vedere come fosse migliorato,
conoscere
quest’uomo consumato che aveva davanti. In più
voleva anche mostrargli quanto
fosse diventato bravo a maneggiare il suo sharingan, che ne aveva fatto
uso e
aveva onorato la sua memoria in quel modo. C’era poi il
fratello del suo
sensei, anche lui appariva un tipo interessante da affrontare.
Si
ritrovò
quindi a essere impaziente e chiese: “Quando?”
“Fra
due
giorni” considerò l’Hokage.
“Il tempo di permetterci di preparare un campo di
allenamento adatto e alle nostre nuove reclute di ambientarsi. Oh, a
proposito
di questo…” aggiunse come a ricordarsi qualcosa
solo ora, si voltò verso Nozomi
e gli rivolse uno sguardo caloroso. “Come fratello di Minato,
credo che per te
sia giusto poterti stabile nel complesso Namikaze. Del resto
è casa tua” stirò
le labbra in un sorriso.
Kakashi
ricordava il complesso, lo aveva visitato spesso quando Minato era
Hokage e lui
aveva il dovere di sorvegliare la gravidanza di Kushina. A volte lo
avevano
anche ospitato a dormire nella stanza negli ospiti. Erano ormai anni
che non
entrava lì, le stanze vuote e polverose erano troppo da
sopportare. Ma ora forse
quella casa avrebbe ripreso la vita di un tempo.
“Mi
piacerebbe molto, signore” disse il ragazzo biondo con
commozione nello
sguardo.
L’Hokage
sembrò intenerito, poi si voltò verso Obito.
“Inoltre
sono certo che tu potrai tornare al dis…”
“Sto
con
Nozomi” lo interruppe veloce, tranquillo. Come se fosse
scontato che avrebbe
continuato a vivere con il compagno di viaggio, come se non dovesse
nemmeno
chiedere.
Ancora
una
volta provò una fastidiosa sensazione allo stomaco che non
riuscì a
classificare. Forse perché sarebbe dovuto essere lui
l’amico che lo ospitava
nella propria casa, ma doveva essere realista: viveva in un
appartamento di
fortuna che era un buco sufficiente per una sola persona, senza contare
che questo
Obito lo odiava.
In ogni
caso, appena lo disse, le labbra di Fugaku ebbero un fremito di
irritazione e
sospettò che stessero discutendo proprio questo prima in
corridoio.
“Come
preferisci” si affrettò ad aggiungere Hiruzen dopo
un momento di sorpresa. “Direi
che per ora è tutto. Rimanderemo le faccende burocratiche
dopo il vostro
sparring” considerò.
Ci fu un
momento di stasi, in cui nessuno seppe bene cosa fare. Kakashi non
sapeva se
auto-licenziarsi o meno, come era solito fare per infastidire i
presenti, ma
voleva trovare un momento per restare da solo con Obito e parlare.
Aveva
bisogno di spiegarsi.
“Fugaku-san”
richiamò il Sandaime. “Saresti così
gentile da accompagnare Nozomi-san e
Obito-san al complesso Namikaze?”
Era
evidente che il capo degli Uchiha non volesse restare con il parente
dopo la
discussione avuta, ma non protestò. Si inchinò in
modo silenzioso e rispettoso.
Al che
Hiruzen sospirò: “Licenziati”.
Tutti
gli
shinobi lasciarono la stanza, eccetto Jiraiya.
Era
emozionato, non ricordava l’ultima volta che si era sentito
così positivamente
agitato.
Nozomi
non
riusciva a smettere di guardarsi intorno, soffermarsi sulle persone e
osservare
la città. Aveva quasi dimenticato l’aspetto di
Konoha prima dell’attacco di
Orochimaru, che ne aveva distrutta una buona parte. Fu mentre camminava
tra
quelle strade che si rese conto che era davvero
tornato indietro.
Accanto
a
lui i due Uchiha camminavano silenziosi e rigidi, ma non era un
problema. Era
abituato a stare con Sasuke anche nei suoi giorni più cupi,
quindi non temeva
il malumore Uchiha e sapeva perfettamente come fare per riempire i
vuoti di
conversazione. Così parlò a macchinetta per tutta
la durata della strada,
traducendo in parole qualsiasi pensiero gli venisse in mente.
Era
talmente impegnato a blaterare e guardarsi intorno che non si accorse
della
bassa cosa nera che gli si schiantò contro finché
non fu troppo tardi.
Istintivamente allungò una mano a impedire che il bambino
cadesse a terra e…
Be’,
non
ricordava che Sasuke da bambino fosse così
piccolo.
Osservò
stupefatto le due sfere carbone che lo fissavano sotto la confusione di
una
spettinata frangetta nera. Sorrise e lasciò andare il
bambino, sicuro che non
rischiasse di perdere l’equilibrio, e il piccolo Uchiha
indietreggiò.
“Sasuke”
sospirò stanco Fugaku. Era la prima parola che diceva da
quando si erano
congedati dall’Hokage e non l’aveva detta con un
tono felice.
“Sasuke!
Ti
avevo detto di non correre per le strade”.
Nozomi
alzò
lo sguardo dalla piccola controparte del suo migliore amico verso il
ragazzino
più grande che li aveva raggiunti. Il suo viso era una
maschera bianca, ma i
suoi occhi brillavano di un’esasperazione affettuosa.
Uchiha
Itachi.
Fu
estremamente strano associare quell’immagine, un bambino,
all’uomo triste e misterioso
che aveva creduto di dover combattere per buona parte della sua vita.
“Mi
dispiace” disse Itachi facendo un piccolo inchino di scuse,
poi si voltò verso
il padre. “Ti aveva visto e voleva raggiungerti, non sono
riuscito a fermarlo”.
“Capisco”
assicurò Fugaku. “Non è colpa tua se il
tuo fratellino è negligente”.
“Maaa!”
piagnucolò Sasuke incredulo.
Il padre
lo
guardò severo. “Scusati subito con il
signore”.
Mentre
Sasuke gonfiava le guance in un broncio offeso, Nozomi sentì
una fitta al
cuore. Era difficile pensare che il glaciale migliore amico un tempo
fosse
stato così carino. Vederlo rese il sorriso di Nozomi solo
più genuino e la sua
determinazione più forte.
Avrebbe
preso a pugni in faccia il destino della famiglia Uchiha pur di fare in
modo
che Sasuke conservasse questa innocenza il più a lungo
possibile.
“Mi
dispiace” offrì alla fine il bambino come se fosse
un’accusa, come se fosse
colpa sua se gli era finito addosso mentre correva.
Nozomi
ridacchiò. “Tranquillo, piccolo”
assicurò e si allungò con una mano a
spettinargli i capelli sulla nuca. A quel gesto vide Itachi
irrigidirsi, come
pronto a scattare, e lo stesso fece Sasuke anche se per
l’indignazione di
essere stato toccato. Infatti scappò appena possibile tra le
gambe del
fratello, uno sguardo bellicoso e poco felice.
Itachi
ora
lo osservava curioso, cercando di capire che cosa ci facesse con il
padre. Se
ne rese conto anche Fugaku, perché decise di dare una
spiegazione al figlio
maggiore.
“Itachi,
questi sono due nuovi shinobi di Konoha. Uchiha Obito e Uzumaki
Nozomi” e nel
dirlo fece un segno con le dita in modo discreto, ma che
notò lo stesso.
Lo
conosceva bene, era quello che usavano gli shinobi anche nel suo
timeline
quando volevano dire che l’argomento Kyūbi non doveva essere
nominato.
“Obito-san,
Nozomi-san, loro sono i miei figli, Itachi e Sasuke”.
Nozomi
si
sentì osservato curiosamente dal più piccolo.
“Uzumaki
come l’usurat…”
Fu
prontamente bloccato dal fratello, che lo prese in braccia fermandolo
dal
continuare la frase. Itachi osservò invece Obito, che fino a
quel momento era
rimasto in disparte, fissò in particolar modo la benda al
posto dell’occhio
sinistro.
“È
lei
l’Uchiha che ha dato lo sharingan a
Kakashi-senpai?” chiese educato.
Obito
annuì. “È stato un regalo”.
“Ora
che è
tornato lo riprenderà, comunque” si intromise
Fugaku.
…E
Nozomi capì
chiaramente da chi Sasuke aveva preso la sua totale assenza di tatto.
L’uomo lo
aveva detto in modo un po’ brusco, come se fosse una
ovvietà che non valeva
nemmeno la pena discutere.
Peccato
che
Obito non apprezzò. “Ho detto che è un
regalo” sottolineò.
Per un
momento temette che volessero rimettersi a discutere in mezzo alla
strada, ma
fortunatamente Fugaku sembrò realizzare che non fosse il
momento adatto.
Soprattutto con i suoi figli a fissarli, Nozomi immaginò che
non volesse essere
visto contestato da qualcuno.
“Tornate
a
casa” disse infatti. “Dite a vostra madre che
arriverò più tardi”.
Itachi
sembrava molto curioso, ma non disubbidì al padre e dopo
aver salutato i due
nuovi shinobi si allontanò.
“Sono
proprio carini i tuoi figli, Fugaku-san!” provò a
dire spensierato, per
allentare la tensione tra i due Uchiha.
Non
funzionò ovviamente.
֎
“Non
immaginavo avesse così tante stanze! E fosse così
grande!”
Obito
non
condivise l’entusiasmo di Nozomi, intento a studiare la casa
padronale
malmessa. Si era aspettato di trovarla in condizioni peggiore, ma ci
sarebbe
stato comunque un po’ da lavorare prima di renderla
perfettamente vivibile.
Era
molto
grande, in stile tradizionale con i tatami e le porte scorrevoli, un
porticato
la percorreva nel suo perimetro esterno, ed era alta due piani. Il
giardino che
la circondava era incolto, con l’erba alta che nascondeva il
sentiero
lastricato e un piccolo laghetto vuoto. Immaginava che originariamente
dovesse
avere delle carpe koi. Era stata attrezzata con campi di allenamento,
uno
esterno sul retro del giardino, uno interno in un piano sotterraneo
rinforzato
da sigilli.
Era
inoltre
provvista di una larga stanza principale, una sala svago, la cucina con
la sala
da pranzo, camere padronali, camere da letto per gli ospiti, uno
studio, una
biblioteca e due bagni.
Per sole
due persone era anche troppo
grande,
considerò osservandosi attorno.
Be’,
forse non solo due persone, si
corresse. Ricordò il chakra che aveva avvertito mentre
raggiungevano la casa e
decise che valeva la pena andare a controllare. Per quanto non
dovessero sapere
niente di Naruto, l’Hokage non poteva pensare che fossero
così stupidi da
percepire il suo chakra e non porsi domande.
Non si
stupì di vedere ben tre Nozomi cominciare a correre per le
stanze, doveva aver
richiamato qualche Kage Bushin per aiutarsi nella ristrutturazione.
“Visto
che
sei in compagnia” disse ironico verso le scale che portavano
al piano
superiore, “lo lascio a te”.
“Ehi!”
si
affacciò Nozomi, non seppe dire se quello vero o un clone.
“Tu devi aiutarmi
con il Mokuton!”
“Più
tardi”
assicurò. “Tu intanto da’ una pulita in
giro” indicò con la mano in modo vago.
“Non
prendo
ordini da te” sentì gridare.
Fece un
sorrisetto.
“Nemmeno io da te” gli ricordò.
“Almeno
lasciami un clone così non mi sento solo” si
lagnò.
Finse di
pensarci su, ma in realtà era una cosa che aveva
già intenzione di fare. Si era
accorto dell’ANBU che li stava seguendo, perciò
preferiva depistarlo in qualche
modo. Quindi lasciò un proprio clone e attivò un
genjutsu, poi uscì dalla casa di
nascosto e si allontanò di nuovo verso Konoha. Si trovava un
po’ distante dal
centro, più vicino ai boschi e per questo c’era
poca confusione.
Una
volta
al villaggio cominciò a guardarsi attorno, in cerca della
stessa scintilla di
chakra che aveva sentito prima. Camminò per le vie, senza
curarsi delle persone
che si fermavano a guardare il suo viso rovinato e tenendo basso il
proprio
livello di chakra. Non voleva essere scoperto, ma quando
percepì qualcuno
seguirlo non si preoccupò, il suo chakra era ancora
familiare nonostante tutto.
Continuò quindi a cercare il suo obiettivo.
Lo
trovò
poco dopo, in una strada più trafficata delle altre. Ma
notò subito qualcosa di
strano: le persone camminavano al lato di essa, lasciando lo spazio in
mezzo
libero. Sembravano far di tutto per non avvicinarsi al bambino biondo
che
camminava al suo centro, il quale faceva finta di niente, come se non
fosse
strano essere evitato in quel modo.
“Mostro…”
Sentì
sussurrare una donna vicino a lui prima che si allontanasse stizzita.
Ma altri
civili erano fermi a fissarlo, senza preoccuparsi di essere spudorati,
ogni
tanto scambiando una parola con il vicino. Quello che captò
non era nulla di
amichevole.
Si
accigliò
a quella scena, Nozomi gli aveva detto che da bambino era malvisto
dalla gente
del Villaggio, ma non pensava in quel modo così esternato.
Non erano semplici
occhiatacce fuggevoli, erano proprio aperti attorno a lui a fissarlo
malevoli e
insultarlo senza usare un tono basso, non avevano nessuno problema a
mostrare
allo stesso bambino quanto fosse odiato. Era un comportamento orribile.
Impensierito
da quanto vedeva, cominciò a seguire il bambino diretto a un
parco giochi.
Eeeee
siamo
ufficialmente dentro!
Dal
prossimo capitolo la trama comincia a ingranare sul serio, il tempo
delle chiacchiere
introduttivo è finito! E ha finalmente fatto la sua comparsa
il piccolo Naruto!
Cosa succederà adesso che Obito l’ha trovato? xD
Vi
ringrazio tantissimo per le recensioni ricevute, in giornata prometto
di
rispondere a tutte! Siete stat* carinissim* çwç
Al
prossimo
capitolo!!
|
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Capitolo 6 *** La scommessa di Obito ***
Ciao
meraviglie! Prima di lasciarvi al capitolo, vi faccio un
piccolo specchietto sulle età dei vari personaggi ^^
·
Nel canon
l’arrivo di Kaguya avviene la notte del
17esimo compleanno di Naruto. In questa storia ci sono voluti quasi due
anni
per il completamente del sigillo, quindi quando Naruto torna indietro
nel tempo
ha 19 anni.
·
Si incontra con
Obito che ha 20 anni (sei anni dopo
l’attacco del Kyūbi, avvenuto quando lui ne aveva 14).
·
Da qui passa un
anno e mezzo prima che Jiraiya li
trovi e succede in primavera, quindi Naruto/Nozomi ha 21 anni mentre
Obito ne
ha fatti 22 a Febbraio (idealmente Jiraiya li trova a metà Marzo).
·
Quando arrivano
a Konoha è estate, più precisamente
siamo a fine Giugno, e a Ottobre saranno otto anni
dall’attacco del Kyūbi. Da
questo deriva che i personaggi principali hanno rispettivamente:
Nozomi:
21 quasi 22.
Obito:
22.
Kakashi:
21, saranno 22 anni a Settembre.
Naruto:
7 anni, saranno 8 anni a Ottobre.
Sasuke:
7 anni, saranno 8 anni a fine Luglio.
Sakura:
ha già 8 anni (è nata a Marzo).
Shisui:
15 anni, a Ottobre saranno 16.
Itachi:
a Giugno ha compiuto 13 anni.
Yamato:
17 anni, ad Agosto saranno 18 (lo so, è praticamente un
bimbo lol)
Iruka: a
maggio ha compiuto 18 anni (non sappiamo canonicamente quando sia
diventato
maestro all’Accademia, ma lo è già da
un anno nella storia).
Gai: a Gennaio
ha compiuto 22 anni.
Okay,
questi più o meno sono i principali, giusto per darvi un
po’ di linee guida.
Ovviamente non mi metto a calcolare l’età di
personaggi come Fugaku, Hiruzen o
Jiraiya xD tanto sappiamo tutti che sono più vecchi di
Nozomi.
Capitolo 5
La scommessa di Obito
«I
see the children in the rain like the parade before the pain
I
see the love; I see the hate; I see this world that we can
make!»
(Young
– Hollywood Undead)
Naruto
era
seduto sopra lo scivolo e osservava nascosto il gruppo di bambini sul
campetto
in terra rossa. Stavano facendo le squadre per giocare a baseball, ma
erano in
numero dispari e quindi stavano litigando per come fare,
perché ovviamente
nessuna squadra voleva essere in svantaggio. Pensò che se si
fosse unito allora
sarebbero diventati pari e non ci sarebbero stati svantaggi, magari gli
avrebbero permesso di giocare con loro questa volta.
Titubante
spostò gli occhi sui genitori. Erano un poco in disparte,
abbastanza vicini da
poter controllare i figli e intervenire se fosse successo qualcosa. Ma
sembravano anche molto impegnati nei loro discorsi, forse non si
sarebbero
accorti che si era aggiunto ai loro figlioletti.
Sì,
poteva
funzionare.
Deciso a
farsi finalmente degli amici, scese dallo scivolo veloce e corse verso
i
bambini.
“Ehi,
vi
manca un giocatore?!” chiese sprizzando ottimismo.
“Posso giocare io se
volete”.
Si
voltarono tutti verso di lui e un improvviso silenzio calò
sul parco, in netto
contrasto con le risate e le voci squillanti di prima. Lo fissavano
quasi
increduli che fosse andato a parlare con loro e alcuni avevano anche
fatto un
passo indietro. Naruto sentì il coraggio che aveva
racimolato sgonfiarsi, ma
non si diede per vinto.
“Non
ci
manca un giocatore” disse finalmente uno dei bambini
più grandi.
Si
corrucciò, perché ormai aveva imparato a contare
e quindi sapeva che stava
mentendo.
“Non
è
vero, siete in sette!”
Ora
anche
gli altri bambini cominciarono a farsi nervosi e i genitori si erano
zittiti,
accorgendosi che aveva raggiunto i loro figli. Avevano smesso di
parlare felici
per sussurrare tra loro frasi troppo basse perché le potesse
sentire, ma anche
così poteva indovinarle.
“Noi
non
vogliamo giocare con una nullità come te”
dichiarò quindi il primo che aveva
parlato, facendo anche un passo minaccioso in avanti.
A quella
dimostrazione di forza anche gli altri bambini si animarono.
“Sì,
non
vogliamo giocare con te!”
Una
ragazzina puntò il dito verso il suo viso. “Guarda
che cicatrici, fai schifo!”
Quell’ultimo
commento lo umiliò e avvilito provò a girarsi per
correre via, ma i bambini lo
avevano circondato dentro a un cerchio.
“Sembra
un
animale” concordò un altro.
“È proprio un mostro”.
“Non
sorprende che nessuno lo voglia!”
“Scommetto
che i suoi genitori lo hanno lasciato perché è
brutto”.
Quello
fu
un colpo basso che fece sgranare gli occhi Naruto. Si chiese se fosse
vero, se
fosse per quello che non aveva dei genitori, del resto Jiji non gli
rispondeva
mai quando chiedeva dove fossero. Magari lo avevano davvero abbandonato
perché
gli faceva schifo, come a tutti.
Provò
a
protestare in qualche modo, ma il gruppo sovrastò la sua
voce fievole facendosi
sempre più stretto. Cominciò ad avere paura,
quindi reagì d’istinto e colpì
qualcuno che si era avvicinato troppo.
“Ahia,
mi
ha morso!” strillò una bambina.
La
guardò
sconvolto. Non era vero, aveva solo spintonato perché gli
stesse lontano. Ma il
suo strillo acuto catturò del tutto l’attenzione
dei genitori.
“Brutto
demone, cosa credi di fare?!” sputò la madre
avvicinando la bambina a sé, come
a volerla proteggere da lui.
“Mi
ha
fatto male, mamma” pianse quella.
Anche
gli
altri genitori si avvicinarono prendendo i propri figli e
allontanandoli, come
se avessero davvero paura che li mordesse. Naruto sentì i
loro occhi su di sé e
tremò. Tremò perché non sapeva fare
altro davanti a quegli occhi freddi e
rancorosi che lo accusavano di qualcosa che non capiva.
“Non
l’ho
morsa…” protestò.
“Stai
lontano dai nostri figli!” lo interruppe un genitore furioso.
“Non
devi
giocare con loro” lo rimproverò severamente un
altro.
“Ma…”
Non
capiva
quella cattiveria, non capiva perché tutti ce
l’avessero con lui. Non aveva
fatto niente, aveva solo chiesto di poter giocare con loro.
“Non
vogliamo un demone come te!” abbagliarono ancora.
Si
sentì
arrabbiato. Dalla confusione, paura e tristezza esplose anche
quest’ultima
emozione: la rabbia. Gli bruciò lo stomaco e gli fece venire
gli occhi lucidi,
perché non era giusto che lo trattassero così,
non lo meritava. Strinse le mani
a pugno e urlò:
“Non
sono
un demone! Sono Uzumaki Naruto e diventerò Hokage,
credici!”
Ci fu un
piccolo silenzio di sgomento tra gli adulti, finché uno non
si riprese e parve
furioso di sentirlo dire una cosa del genere. Tremò ancor di
più quando lo vide
avvicinarsi, una mano alzata. Conosceva quella posa tesa, stava per
arrivare
una sberla.
“Tu,
fottuto…”
Prima
che
potesse colpirlo, qualcuno si materializzò al suo fianco e
afferrò il braccio
dell’adulto, impedendogli di calare la mano sulla sua
guancia.
Naruto
trattenne il fiato e osservò lo sconosciuto, chiedendosi
quando fosse arrivato.
Era alto, molto più del genitore, e indossava abiti scuri da
shinobi, ma non
aveva il segno distintivo della Foglia. Aveva afferrato saldamente il
polso
dell’uomo e lo teneva sollevato in alto, lo sguardo
così serio e pericoloso da
far accapponare la pelle.
“Cosa
credi
di fare?” sibilò inclinando la testa.
Solo il
quel momento Naruto si accorse delle cicatrici che frastagliavano tutto
il lato
destro del viso. Forse era quello che aveva fatto spalancare gli occhi
del
genitore inorridito. Provò infatti ad allontanarsi, ma lo
shinobi lo teneva
saldo al polso, così forte che Naruto ebbe quasi il sospetto
gli stesse per
rompere il braccio.
“Chi
cazzo
sei?” sputò quindi il genitore.
Lo
shinobi
non rispose, aumentò solo la presa facendo sbiancare ancora
di più l’uomo. Ora
i bambini sembravano davvero spaventati e si nascondevano dietro alle
gambe dei
genitori inorriditi.
“Ohi…”
balbettò uno preoccupato.
Naruto
scattò in piedi e gli si aggrappò addosso,
spaventato.
“Lascialo
andare” lo pregò. “Gli stai facendo
male”.
Gli
occhi
dello shinobi sconosciuto si posarono su di lui e rabbrividì
rendendosi conto
che uno mancava e l’altro era rosso sangue, in quel viso
deformato dalla
cicatrici faceva ancor più paura.
Lo
shinobi
però lo fissò solo incuriosito, senza una vera
sorpresa, e lo ascoltò. Lasciò
andare il civile come se fosse un’inutile formica e lo
guardò con disprezzo
mentre arretrava.
Si stava
tenendo il polso e ora che era stato liberato lo fissava oltraggiato.
“Non
lo
ringrazi?” chiese il ninja calmo. Aveva una voce strana,
consumata, come se le
sue corde vocali non funzionassero bene, come quando si piange troppo.
Naruto
non
stava più capendo niente.
Non
capiva
perché quel ninja spaventoso stesse prendendo le sue difese,
né perché
sembrasse avercela così tanto con quel civile. Inoltre non
lo aveva mai visto
in giro, sicuramente non era di Konoha.
Quella
domanda sembrò far imbestialire il genitore, che fece una
smorfia risentita.
“Dovrei
ringraziare questo mostro? Tu sei pazzo…”
Lo
shinobi
fece un passo minaccioso in avanti, ma successe un’altra cosa
strana. Comparve
un altro ninja, questo con i capelli bianchi più spettinati
dei suoi e la divisa
di Konoha, che bloccò il primo mettendogli una mano sulla
spalla.
“Maaa”
disse con tono leggero, “ci sono problemi?”
Davvero,
Naruto non ci stava più capendo niente!
Kakashi era sollevato di
aver deciso di
seguire Obito. Appena era stato licenziato dall’Hokage li
aveva seguiti a
distanza fino al complesso Namikaze, dove voleva proporsi di aiutare a
mettere
in ordine. Ma poi aveva visto Obito far cadere la loro guardia ANBU in
un
genjutsu e sgattaiolare via. Era stato molto incuriosito da quel
comportamento,
quindi aveva deciso di seguirlo. Era stato titubante se intervenire o
meno
quando lo aveva visto accorgersi della presenza di Naruto, ma visto che
non
aveva provato ad avvicinarlo aveva lasciato perdere. Del resto quello
che aveva
visto era solo un bambino biondo scansato dalle persone. Un bambino
biondo che
assomigliava particolarmente al loro sensei e al suo compagno di
viaggio, ma
comunque aveva scrollato le spalle e lo aveva osservato curioso senza
intervenire.
Fino a
quella scena del parco.
“Maaa,
ci
sono problemi?” chiese sfoderando il suo tono più
tranquillizzante, nonostante
tutto la presa salda sulla spalla di Obito. Cosa voleva fare? Aggredire
un
civile?
“Shinobi-san!”
sbraitò il civile vedendo la possibilità di far
valere la propria ragione.
“Questo Uchiha mi ha quasi spezzato il braccio!”
Vide
Obito
irrigidirsi e stringere l’occhio.
“Sono
ancora in tempo per farlo” minacciò gutturale e
Kakashi vide l’uomo sussultare
e indietreggiare ancora un po’.
“Perché
non
tornate a casa?” propose tranquillo. “Ci penso io
qui”.
Fortunatamente
non dovette insistere troppo, alla prima sollecitazione il civile se ne
andò e
con lui anche tutti gli altri genitori accompagnati dai figli.
Quest’ultimi
lanciarono alcuni sguardi indietro con confusione e terrore.
Bene, questo
è fatto.
Si
voltò
quindi verso il figlio del sensei, ma cercò di evitare di
guardarlo
direttamente. La sua somiglianza con Minato faceva male e gli ricordava
quanto
fosse un fallimento.
“Vai
a
casa, ne?” propose gentile.
Ma il
bambino fissava ancora sorpreso Obito, come se stesse cercando di
metabolizzare
quello che era appena successo. I suoi occhi azzurri osservavano
corrucciati le
cicatrici.
“Allora?”
insistette preoccupato e il suo tono lo fece sussultare.
“Io…”
provò, strinse le labbra e si accigliò.
“Grazie” offrì in un bofonchio a Obito
prima di voltarsi e correre via, dalla parte opposta dove si erano
diretti i
civili.
Aspettò
che
se si fosse allontanato abbastanza, poi sospirò e
convocò l’ANBU che avrebbe
dovuto sorvegliare il bambino, che avrebbe dovuto proteggerlo.
“Perché
non
sei intervenuto?” chiese mettendo le mani in tasca.
L’ANBU
indossava la maschera di un topo e sembrava un ragazzino, forse era una
delle
prime reclute. Ma del resto sorvegliare il Jinchūrike era il dovere dei
nuovi
arrivati.
“Erano
civili, signore” spiegò nervoso.
Sospirò,
suo malgrado rassegnato e sapendo bene di non poterlo rimproverare
più di tanto.
Aveva ragione, erano civili, non potevano attaccarli.
“La
prossima volta fa’ in modo che non si verifichi una cosa del
genere”.
“Sì,
signore”.
Lo
licenziò
perché potesse tornare a seguire il bambino, quindi si
voltò verso Obito. Fu
sorpreso di trovarlo ancora lì, si era quasi rassegnato
all’idea che se ne
fosse andato.
“È
sempre
così?” chiese bellicoso.
Qualcosa
dal suo sguardo gli fece capire che aveva capito perfettamente chi
fosse quel
bambino.
“Purtroppo”
rispose riluttante.
Non gli
piaceva ammettere che per quanto riuscissero a proteggerlo dalle
minacce
esterne non riuscivano lo stesso con quelle interne.
Obito
sembrò infuriarsi ancor di più.
“E
li hai
lasciati semplicemente andare?” sibilò.
“Erano
civili”.
Si
sentì
patetico a ripetere la stessa giustificazione dell’ANBU, ma
purtroppo era
proprio quello il fatto: non potevano attaccare i civili.
Si
sentì
fissato con incredulità, quasi non fosse sicuro di averlo
sentito davvero. Ma
poi scosse la testa con una risata fredda e disgustata.
“Sei
sempre
la solita feccia”.
“Io…”
“È
il
figlio di Minato e Kushina e tu permetti che lo trattino in questo
modo? Perché
sono civili?!”
ringhiò l’ultima
parola.
“Sono
gli
ordini dell’Hokage, non posso…”
“Certo,
fa’
pure” lo interruppe ancora una volta. “Nasconditi
ancora dietro gli ordini.
Vedo che le cose non cambiano, le regole sono ancora più
importanti delle
persone per te”.
Provò
a
ribattere, perché non era più vero, non era
più quel bambino scontroso e
freddo. Ma Obito si teletrasportò prima che potesse farlo.
֎
Il
Sandaime
stava finendo di leggere il rapporto che gli aveva lasciato Jiraiya,
riguardo
tutto quello che aveva trovato su Nozomi e Obito a testimonianza della
loro
onestà, quando quest’ultimo piombò nel
suo ufficio. Spalancò le porte di colpo
e ignorò l’assistente che stava inutilmente
cercando di fermarlo.
Hiruzen
si
accigliò per quella bruschezza, ma preferì
rivolgere un cenno gentile.
“Obito,”
salutò non nascondendo la sorpresa,
“c’è qualche problema?”
“Sì,
Uzumaki Naruto”.
Fu
davvero
difficile non congelare a quella risposta fin troppo diretta, ma fece
del suo
meglio per non mostrarsi turbato. Lo fissò quindi perplesso,
lo sguardo
interrogativo e un’aria pacifica.
“Chi?”
Obito
non
ci cascò e strinse solo di più gli occhi.
“Il figlio di Minato”.
Quello
era
un problema.
Abbandonò
l’espressione da vecchio confuso e rivolse un chiaro segnale
all’assistente,
che uscì dalla stanza chiudendo la porta, subito dopo
sentì i sigilli di
privacy venire attivati.
Prese la
propria pipa e iniziò ad armeggiarci per accenderla.
“Quindi?”
chiese. “Come l’hai scoperto?”
Obito
fece
una smorfia. “Credo sia inevitabile vista la sua somiglianza
con Minato” gli
fece notare. “Ho avvertito il suo chakra e ho voluto
controllare”.
Sospirò,
aveva sperato che i due non si incrociassero ma quanto pare era stato
troppo
ottimista. Era ovvio che lo avrebbe riconosciuto, visto che era stato
un
allievo di Minato.
“Vedi,
lui
è…”
“Il
Jinchūrike del Kyūbi,” incrociò le braccia al
petto, “me ne sono accorto”.
Quella
conversazione poteva solo peggiorare, tutti i suoi intenti di
segretezza erano
saltati in pochissime ore. Non c’era che accertarsi di
un’ultima cosa:
“Nozomi-san
lo sa?”
Obito
gli
lanciò un’occhiata strana, come se stesse
valutando la risposta.
“Non
ancora” risolse alla fine.
“Gradirei
non glielo dicessi” smascherò il suo ordine in una
forma di cortesia.
Per
tutta
risposta ricevette uno sguardo sbieco.
“Perché
dovrei farlo? Perché lei non gli ha detto del figlio di suo
fratello?” aggiunse
più incisivo.
“La
vostra
situazione è ancora delicata e sotto osservazione”
decise di essere altrettanto
schietto. “Prima di dire qualsiasi cosa, vogliamo essere
sicuri di fidarci di
lui, per la stessa sicurezza di Naruto…”
“Sicurezza?”
ripeté divertito. “Nonostante quello che a quanto
pare subisce ogni giorno? Vi
state davvero preoccupando della
sua
sicurezza?”
“Guardie
ANBU lo sorvegliano ogni…” iniziò a
spiegare, ma fu nuovamente interrotto. Quel
ragazzo aveva una seria incapacità di lasciare che gli altri
finissero le
proprie frasi, pensò.
“Ho
notato,
ma a cosa servono se non intervengono?” sbottò.
“Un abuso emotivo è pericoloso
quanto una ferita fisica e lei lascia che gli abitanti del villaggio lo
trattino in quel modo!”
Non
dovette
chiedere a cosa si riferisse, bastava che il piccolo Naruto uscisse di
casa
perché si trovasse al centro di sguardi malevoli o qualche
ingiuria e purtroppo
lo sapeva bene.
“Naruto
diventerà uno shinobi, deve imparare a essere
forte”.
Seguì
un
lungo silenzio, in cui si trovò a sottostare allo sguardo
sconvolto di Obito
che diventava sempre più sprezzante.
“Certo,
ovvio” tremò alla fine di rabbia mal contenuta.
“Cos’altro mi aspettavo
dall’Hokage che mandava i bambini
in
guerra?”
Questa
volta si trovò a stringere gli occhi. Oltre al fatto che non
gli piaceva quel
tono, non apprezzava nemmeno che gli rinfacciasse le sue scelte
passate. Scelte
difficili e dolorose, è vero, ma erano in tempo di guerra e
nessuna scelta era
semplice. Lui aveva sempre agito per il bene di Konoha, cercando di
limitare i
danni il più possibile. Sapeva di aver fatto molti errori,
per cui aveva
chiesto ammenda come meglio poteva, ma non tollerava che un subordinato
che
aveva disertato per anni gli facesse il processo.
“Provi
rancore nei miei confronti?” riuscì comunque a
chiedere con tono calmo.
Obito
gli
lanciò un’occhiata strana e la risposta distaccata
lo lasciò molto stupito.
“Nel
mondo,
non in lei in particolar modo”. Rimase in silenzio per un
secondo, poi chiese:
“Chi si occupa di Naruto?”
“Gli
ANBU a
rotazione”.
“Intendo
con chi vive”.
Accese
la
pipa e la portò alle labbra prima di rispondere, pensando
già al tornado che
sarebbe scoppiato alla sua risposta.
“Nessuno”.
Obito ci
mise qualche secondo a reagire, ma non si infuriò come si
aspettava. Scosse
semplicemente la testa.
“Questa
sera io e Nozomi andiamo a prenderlo”.
Non gli
piacque quel tono definitivo e si alzò dalla sua sedia.
“Questo
vi
è proibito e ti è proibito parlare a Nozomi di
Naruto!”
“È
suo
nipote!” ringhiò. “E possiamo
proteggerlo meglio di quanto stiano facendo le
tue patetiche guardie ANBU. È un bambino di neanche otto
anni e tu lasci che
viva da solo!”
Hiruzen
si
chiese se Obito si fosse reso conto di aver sfoderato la sharingan, ma
quella
era solo l’ultima mancanza di rispetto nei suoi confronti.
“La
mia pazienza
non è infinita” lo avvisò vibrante di
autorità, con il tono che faceva
indietreggiare perfino Danzo. Ma non Obito, lui non abbassò
nemmeno lo sguardo
e rimase a fissarlo con sfida.
“Nemmeno
la
mia” disse in una chiara minaccia.
Hiruzen
poteva sentire i suoi ANBU fremere per intervenire a un suo segnale, ma
non
voleva arrivare a quel punto. Se ci fosse stato uno scontro, la loro
posizione
a Konoha sarebbe stato compromessa e, nonostante tutto, lui voleva che
Obito
restasse a Konoha, a casa, e di potersi fidare di Nozomi.
Fortunatamente,
anche Obito parve rendersi conto di essere vicino a un punto di non
ritorno e
decise di fare un passo indietro. La sua figura smise di vibrare
minacciosa e
ritrasse perfino lo sharingan, non abbandonò però
lo sguardo torvo.
“Fra
due
giorni”, iniziò lento,
“all’incontro le dimostreremo che siamo in grado di
proteggere il vostro prezioso Jinchūriki.
Se vinceremo, verrà a vivere con Nozomi”
terminò con la voce che ribolliva come
lava incandescente.
Hiruzen
aumentò l’espressione accigliata, infastidito dal
modo in cui aveva
sottolineato Jinchūriki con il tono sprezzante. Naruto non era solo il
Jinchūriki,
non era solo quello il motivo per cui aveva il dovere di proteggerlo:
era il
figlio di Minato e Kushina. Questo valeva più di ogni altra
cosa ed era per
questo che non poteva cederlo facilmente.
“Non
è la
vostra incapacità di proteggerlo che temo”
tuonò. “Non so se posso fidarmi
di voi”.
Ricevette
un’altra occhiata indecifrabile. “Forse fa bene a
non fidarsi di me” disse apparentemente
calmo, come un mare piatto che sotto celava invisibili vortici marini.
“Ma
sbaglia a non fidarsi di Nozomi e glielo
dimostrerò”.
Avvertì
il
senso di minaccia, come di ultimatum che si avvicinava.
“Fra
due
giorni all’incontro”, ripeté con la
stessa lentezza, “io proverò a uccidere
Kakashi e non ci riuscirò, perché Nozomi mi
fermerà appena se ne renderà conto.
Quando succederà, perché andrà
così, lei capirà che può fidarsi di
lui e gli
dirà di suo nipote”.
Rimase a
fissarlo, chiedendosi se ora fosse il caso di chiamare gli ANBU. Obito
stava
minacciando di uccidere uno dei suoi migliori shinobi senza battere
ciglio e
poteva vedere che lo avrebbe fatto, che non era una vuota minaccia. Ma
riusciva
anche a vedere la sicurezza che aveva nel sapere che sarebbe stato
fermato, la
consapevolezza che Nozomi si sarebbe intromesso e lo avrebbe combattuto
in
favore di uno sconosciuto.
Non era
una
minaccia: era una scommessa.
“E
se non
ti ferma?” chiese calmo.
Uno
strano
sbuffo uscì dal suo naso, come se trovasse anche solo
assurdo pensarlo.
“Mi
fermerà
e mi prenderà a calci in culo. Può starne
certo”.
“No”
disse
comunque, perché non era un rischio che poteva prendersi.
“Tu non…”
“Non
era
una proposta” lo interruppe tranquillo. “Le ho solo
descritto cosa succederà
fra due giorni. Magari può provare a fermarmi adesso, ma se
ci prova prenderò
Naruto, ce ne andremo e lei perderà ogni shinobi che
metterà sulle nostre
tracce”.
Non era
uno
scenario che poteva accettare, ma non poteva nemmeno cedere in quel
modo a una
minaccia, era pur sempre l’Hokage. Si trovò in uno
stallo terribile, perché
sapeva che al suo minimo cenno negativo Obito lo avrebbe fatto, poteva
leggerglielo in viso. Jiraiya gli aveva detto che possedeva una tecnica
spazio-temporale, se l’avesse usata per rapire Naruto sarebbe
stato difficile
rintracciarlo.
“È
un
ultimatum rischioso” commentò.
“Non
è un
ultimatum” lo contraddisse. “È una
scommessa: fidatevi di Nozomi”.
“Ma
se non
lo faremo, tu rapirai Naruto” osservò.
“Questo è un ricatto”.
Obito
sembrava
aver perso la pazienza.
“Lo
chiami
con le pare” replicò con un tono definitivo, si
allontanò dalla scrivania senza
smettere di fissarlo in volto. “Mi aspetto solo che il Professore di Konoha sappia qual
è la scelta più saggia”.
Non
rispose
a quell’ultima provocazione, lo fissò con lo
stesso sguardo di ammonimento
mentre lo vedeva lasciare la stanza. Fino alla fine tentennò
se dare il segnale
agli ANBU, ma alla fine la sua incertezza gli permise di andarsene.
Sospirò
e
si sentì stanco, troppo stanco per poter reggere ancora quel
cappello sul capo.
Guardò il quadro di Minato e provò un sottile
rimpianto.
“Hai
sentito?” chiese quindi.
Jiraiya
si
mostrò subito nella stanza, le braccia incrociate e
un’espressione scura in
viso.
“Sì”
ammise
e sembrò voler aggiungere altro, magari un insulto. Invece
disse: “Hai fatto
bene a lasciarlo andare. Se avessi provato a fermarlo avrebbe preso
Naruto”.
Quello
non
lo fece stare meglio, anzi aumentò la sua preoccupazione. Se
perfino Jiraiya
prendeva seriamente le sue minacce significava che farsi nemico Obito
era
estremamente pericoloso.
“Che
ne
pensi?” chiese quindi.
“Per
quanto
sia una testa calda e meriterebbe di essere preso a sberle
più volte” iniziò
infastidito, “temo abbia ragione”.
Inarcò
un
sopracciglio curioso, anche se non doveva essere stupito. Non poche ore
prima
Jiraiya aveva sostenuto l’idea di parlare a Nozomi di Naruto.
Doveva fidarsi
molto del fratello di Minato, ma temeva fosse per via di
sentimentalismo.
“Se
davvero
proverà a uccidere Kakashi, Nozomi interverrà
sicuramente a fermarlo”.
“Mi
chiedo
il perché di questa fiducia”.
“Nel
viaggio verso Konoha ho avuto modo di osservare… la loro
dinamica” spiegò, “e
Pa’ l’ha confermata parlandomi di Nozomi. Sa che
Obito prova molto rancore, ma
non permetterà che lo condizioni e non permetterà
che uccida un amico. Nozomi è
più forte, sia nella forza che nella volontà,
perciò alla fine Obito finisce
per ascoltarlo sempre”.
“Quindi
è
quello che ha detto Fukasaku-san” considerò.
“Devo avere la fedeltà di Nozomi
per avere quella di Obito”.
“Precisamente”
confermò.
“E
la
fedeltà che Nozomi deve a Obito?” chiese quindi.
Da
quello
che aveva visto, Obito non gli sembrava una persona disposta ad
accettare un
rapporto puramente servile, doveva esserci parità fra loro,
fiducia reciproca.
Jiraiya
sorride. “Fedeltà non implica lasciare che un
amico faccia qualcosa di
sbagliato. Essere fedeli significa anche correggere gli errori
dell’altro”.
Corrucciò
lo sguardo e non commentò. Lo sapeva ovviamente, era una
lezione che aveva
insegnato lui ai suoi allievi, non serviva gliela ricordasse.
“Non
avrebbe dovuto incontrare Naruto, avevo dato un preciso
ordine” sospirò. “Dovrò
parlarne con la squadra ANBU e dare una bella strigliata. Sai
cos’è successo?”
Scosse
la
testa. “Posso immaginare che abbia visto come viene
solitamente trattato
Naruto”.
Poteva
cogliere una leggera ironia nelle sue parole.
“Vedo
che
anche tu la pensi come lui” sospirò.
“Non
ne ho
mai fatto mistero” disse.
Il che
era
vero, ma non si pentiva della sua decisione. Se Jiraiya fosse rimasto
al
villaggio, avrebbe anche potuto pensare di affidarlo a lui, ma
così non era
stato. Non era sicuro per Naruto vivere fuori dal villaggio, in mezzo a
tutti i
pericoli in cui viveva Jiraiya nelle sue azioni di spionaggio. Mikoto a
suo
tempo si era proposta di accudire il figlio della migliore amica, ma
offrire il
Kyūbi agli Uchiha quando erano sospettati dell’attacco era
fuori discussione.
L’unica altra persona alla quale avrebbe potuto affidarlo era
Kakashi, ma era
ancora un ragazzo dalle preoccupanti spinte suicide. Certo, forse se
avesse
avuto Naruto come ragione di vita avrebbe smesso di buttarsi
nell’azione con
l’intenzione di morire, ma restava la sua giovane
età, all’epoca aveva solo
quattordici anni.
Effettivamente,
se Nozomi si fosse mostrata una brava persona… Scosse la
testa, non volendo
sperarci troppo. Il comportamento di Obito era stato già fin
troppo pericoloso,
doveva essere più cauto del previsto che lasciarsi andare a
fantasticherie.
“Quindi,
cosa farai?” lo riscosse Jiraiya.
“Per
ora
starò al suo gioco” spiegò critico.
“Vedremo come andrà questo scontro fra due
giorni. Dirò agli ANBU di tenersi pronti nel caso le cose si
mettessero male.
Ma rimanderò ogni decisione a quel momento, puoi capire
molte cose di una
persona da come combatte”.
Jiraiya
annuì in accordo, gli parve perfino di vederlo sollevato.
Ancora una volta si
chiese perché ci tenesse così tanto a quei due.
Ancora una volta la risposta la
trovò nel suo affetto per Minato: uno ne era il fratello,
l’altro l’allievo;
era scontato che provasse un senso di vicinanza.
“Danzō”
risolse alla fine e catturò l’attenzione del
Sannin. Sapeva che gli era mai
stato simpatico, ma si chiese perché improvvisamente
sospettasse così tanto del
suo vecchio amico. “Dovrò incontrarlo
più tardi e dirgli dei nostri ospiti. Non
apprezzerà di essere stato escluso dalla
decisione”.
“Danzō
ha
sempre detestato Minato, lo sai,” gli fece notare,
“e diffida di tutti gli
Uchiha. Si sarebbe opposto con ogni argomento, ora invece non
può far altro che
accettare la tua decisione”.
“Mhh”
ronzò. “Mi chiede se sia solo questo il
motivo…”
֎
Kakashi
si sentì
molto stupido ad andare al monumento commemorativo. Obito era vivo, non
occorreva che andasse a trovarlo, se voleva parlargli poteva andare
direttamente
da lui. Ma la verità è che dopo il loro ultimo
confronto non aveva molto voglia
di rivederlo, sarebbe stato come ricevere altri mille pugni allo
stomaco.
Kakashi
guardò
il nome di Minato e sospirò: “Sensei, continuo a
non sapere come parlare con
Obito” ammise.
Si
credeva
cambiato, in tutti quegli anni aveva vissuto per i compagni di Konoha,
impedendo ai suoi compagni di morire, mettendoli nello stesso piano
delle
missioni… Non c’era riuscito sempre, ma era quello
che tentava di fare. Aveva
tentato di proteggere i suoi compagni anche a costo di morire.
Sperando di morire.
Scacciò
quella vocina che lo correggeva, non era importante. Non sarebbe morto
perché
Konoha aveva bisogno di lui, ma se fosse successo…
be’, lo avrebbe accettato
senza piangere troppe lacrime.
Ma Obito
aveva appena dimostrato che si era sempre sbagliato. Aveva ancora una
volta
abbandonato qualcuno davanti a un ordine.
A essere
onesti, aveva accettato la decisione dell’Hokage di non
potersi avvicinare a
Naruto anche con una sorta di sollievo, senza protestare. Si era detto
che era
meglio così, che aveva solo quattordici anni, che la sua
vita nell’ANBU non gli
permetteva di badare a un neonato e che tutte le persone che gli si
avvicinavano prima o poi morivano. Si era limitato a osservarlo come
ANBU da
lontano per assicurarsi che nessuno lo rapisse, non si era mai
avvicinato e non
gli aveva dato modo di intendere la sua presenza. Agli occhi di Naruto
non
valeva come il fratello maggiore che Minato aveva voluto diventasse,
era solo
un estraneo. Si era nascosto dietro a un ordine perché aveva
paura delle
conseguenze di avvicinarsi al bambino.
Ancora
una
volta, si era nascosto dietro un ordine per paura di fallire come aveva
fatto suo
padre.
“Hai
ragione, sensei” sospirò come se tutto quel
discorso fosse stato dibattuto dal
fantasma di Minato, non dalla sua coscienza. “Le regole non
sono tutto” ripeté
quello che gli aveva detto spesso da bambino.
Si
rizzò
con la schiena e guardò il cielo. Era tardi, il sole si era
già tuffato oltre
la cinta di mura per il tramonto. Se fosse stato veloce, avrebbe
trovato ancora
un fruttivendolo aperto.
Tornò
al
villaggio, attorno a lui i negozi chiudevano ma arrivò in
tempo per fare la sua
commissione, anche se la verdura rimasta era davvero poca. Quindi, con
il suo
bel cesto di frutta e verdura saltò sui tetti, diretto verso
una zona un po’
periferica e sporca, con le case che si arrampicavano le une sugli
altri come nelle
costruzioni per bambini. Si fermò in equilibrio sul
davanzale di una di esse e
appoggiò il cesto su di esso in modo che non cadesse, poi
bussò alla finestra.
Avvertì
uno
spostamento all’interno della casa, ma saltò
prontamente sul tetto. Il vento si
era alzato durante la giornata, trasportando con sé foglie e
polvere. Vide
delle manine afferrare il cesto, poi una testa bionda guardare a destra
e
sinistra.
Sotto la
maschera sorrise.
Un passo alla
volta, si disse prima
di saltare
lontano dalla casa.
֎
Obito
non
tornò subito a casa, ne approfittò per osservare
com’era cambiata Konoha dalla
sua infanzia. Cercò soprattutto l’entrata di Root,
nella speranza che non fosse
troppo nascosta. Secondo Nozomi, era stata “chiusa”
solo dopo la strage degli
Uchiha, quando l’Hokage aveva perso tutta la sua fiducia per
Danzō. Quindi in
quel momento non agiva segretamente e immaginava avesse una propria
struttura.
Infatti riuscì a trovare l’edificio che portava
alla struttura sotterranea in
meno tempo del previsto. Rimase in osservazione per ore, studiando la
sicurezza
e gli ANBU all’entrata. La cosa migliore da fare era trovare
un modo per
conoscere la planimetria interna, ma anche se il suo Kamui glielo
avrebbe
permesso non ne aveva il tempo. Doveva tornare da Nozomi prima che
l’ANBU alle
loro costole venisse cambiato e si accorgessero del genjutsu. Aveva
ancora
molte notti per tentare di conoscere tutto quello che c’era
da sapere su Root e
Danzō. Mancava ancora un anno alla strage Uchiha, avevano tempo per
lavorarci
ed era meglio iniziare a farlo una volta che l’Hokage avesse
smesso di essere
un bastone in culo.
Con una
smorfia pensò che forse
provocarlo
come aveva fatto quel giorno non era andato a vantaggio del loro piano.
Non importa,
Nozomi userà quella sua strana magia che
lo fa diventare amico di chiunque e risolveremo i problemi di fiducia.
Quando
tornò quindi al complesso Namikaze era molto tardi e
trovò ben cinque cloni a
maledirlo per aver lasciato che Nozomi cenasse da solo. Ne
eliminò uno senza
troppo rimpianto: gli stava gridando nelle orecchie e in quel modo
avrebbe
fatto sapere all’altro del suo arrivo.
Infatti
non
aspettò molto prima di vederlo spuntare da una delle stanze.
Aveva alzato i
capelli con una bandana, teneva in mano una scopa in perfetto stile
casalinga
ed era sporco di polvere e ragnatele.
“Ti
aspettavo da ore! Dove sei stato?” sbottò
petulante.
“Ho
osservato Root e ho litigato con l’Hokage”.
“Oh
e cosa
hai scope… Cosa?!” strepitò realizzando
l’ultima parte. “In che senso litigato?”
“Ti
ho visto”
spiegò, poi capì che doveva specificare:
“Ho visto Naruto”.
La
reazione
fu immediata quanto inaspettata, non immaginava che a quella menzione
si
zittisse e commentasse solo: “Oh”.
Non
seppe
come interpretarlo, il che era strano. Aveva imparato a capire Nozomi
come un
libro aperto in quei due anni, erano rari i momenti in cui gli
risultava
incomprensibile. Soprattutto era raro vedere
quell’espressione un po’ amara,
rabbuiata. Probabilmente stava pensando al modo in cui veniva trattato
da
piccolo.
Corrucciò
lo sguardo e lo fissò come se fosse un complicato rebus.
Quando
Naruto gli parlava della sua infanzia, l’aveva sempre
paragonata alla sua,
credendo che gli abitanti del villaggio lo trattassero come lui veniva
trattato
dagli Uchiha: una persona indesiderata, non voluta da nessuno. Ma lui
aveva
avuto Rin, che era sempre stata gentile con lui, e anche gli altri
ragazzi
dell’Accademia lo consideravano un amico, senza contare
l’importante presenza
di sua nonna.
Eppure,
nonostante questo, si era sempre sentito tremendamente solo e
svalutato.
Qualsiasi cosa facesse, agli occhi del clan era sempre un perdente
goffo e
stupido. Non immaginava come dovesse essersi sentito Nozomi senza
nemmeno la
sicurezza di poche persone che lo sostenevano.
“Come
fai a
non arrabbiarti?” chiese senza rendersene conto.
Nozomi
distolse lo sguardo e appoggiò la scopa contro il muro.
“Ma
io sono
stato arrabbiato per tantissimo tempo, c’era sempre una pezzo
di me che voleva
distruggere tutto” ammise. “Poi…
l’ho accettato”.
“L’hai
accettato” ripeté scettico e appena incredulo.
Fece
spallucce. “Non potevo tornare indietro e cambiare il fatto
che mi odiassero,
potevo solo lavorare perché mi accettassero. E
poi… non posso biasimarli, c’è
sempre stata una grande confusione sui Jinchūriki e i Bijū, nessuno ha
mai
spiegato a dovere cosa significasse. Credevano che fossi il Kyūbi e
be’… Kurama
ha ucciso un sacco di persone quella sera. Credevano le avessi uccise
io, è
ovvio che fossero arrabbiati con me”.
C’erano
così tante cose sbagliate in quel discorso a cui voleva
replicare, ma riuscì a
riassumete il tutto in una sola frase:
“Quando
fai
così mi fa incazzare a morte”.
Nozomi
inarcò un sopracciglio quindi si spiegò
allargando le braccia.
“L’ho accettato” gli
fece il verso. “Col
cazzo, a me sembra invece tu stia sopprimendo la tua rabbia solo
perché un
maestro morto e delirante ti ha detto che devi spezzare il circolo
dell’odio”.
Nozomi
non
apprezzò per nulla il riferimento a Jiraiya e il modo
sprezzante con cui aveva
parlato, ma assottigliò solo gli occhi permettendogli di
continuare.
“Questa
cosa non può essere sana, prima o poi quella rabbia
esploderà e non puoi
nascondere che non ci sia. L’hai accettato. Dei, come puoi
dire una cosa così
tranquillamente? Non bisogna accettare che dei bambini vengano trattati
così!”
Sarebbe come
accettare che Rin doveva essere uccisa da
Kakashi, ma questo non
osò dirlo ad alta voce.
“Io
non
accetto che cose del genere possano succedere”
ringhiò. “Ho accettato che sia
successo a me, perché non posso cambiarlo e…
quindi? Dovrei prendermela con
loro? Ucciderli? La vendetta non è qualcosa che fa per
me” scosse la testa.
“Preferisco dirigere la mia rabbia nel progetto di un mondo
dove nessun altro
lo subirà. Preferisco guardare avanti e occuparmi della
pace”.
“Questo
è
impossibile. Non puoi cancellare tutto il dolore dal mondo”.
“Ora
parli
come Nagato”.
“Qualcuno
lo avrà pur indotto a pensarlo. Oh, aspetta: sono stato
io”.
Nozomi
gli
rivolse un gestaccio. “Odio quando vomiti il tuo pessimismo
cosmico”.
Sospirò.
“Io odio quando fai il Buddha”.
“Non
sto
facendo il Buddha” lo contraddisse togliendosi la fascia e i
ciuffi della
frangia calarono sulla sua fronte. “Sto facendo quello che
ritengo giusto,
quello che il mio maestro mi ha insegnato. E lo farò fino
alla fine,
dattebayo!”
“Il
Buddha,
appunto” brontolò.
Nozomi
questa volta rise, in quel modo l’aria si stemprò
subito e anche Obito smise di
sentirsi teso. Ogni volta si chiedeva come fosse possibile, come Nozomi
riuscisse con un solo gesto innocuo a spazzare via tutta la tensione.
“Allora,
cos’hai detto a Jiji?”
Alzò
gli
occhi al cielo, faticava ancora a credere che chiamasse uno dei signori
più
potenti delle nazioni ninja in quel modo infantile. Incrociò
quindi le braccia
e si appoggiò con la schiena alla parete dietro di lui.
“Niente.
Gli ho detto di fidarsi di te e di parlarti del moccioso”.
“E?”
non si
lasciò incantare.
“…E
potrei
aver minacciato di rapire Naruto se non lo farà”.
Si
aspettava che si arrabbiasse e lo colpisse con la scopa, invece si
limitò a sospirare.
“Con
Jiraiya avevamo deciso di non parlare di me… di
Naruto” si corresse. “Avremmo
aspettato che si fidasse di noi senza spingerlo, per non apparire
pericolosi”.
Sapeva
cosa
avevano deciso, ma lui non aveva mai detto di essere
d’accordo.
“Be’,
ero
incazzato” tagliò corto.
“Speriamo
solo di non trovarci alla porta un esercito di ANBU con
l’accusa di minaccia
all’Hokage solo perché ti sei incazzato. Non penso
l’accettino come spiegazione”
scherzò.
“Come
se tu
non potessi portarci via con l’hiraishin”.
“E
diventare ufficialmente nukenin?” mormorò un
po’ amaramente. “Preferirei…
ecco…”
“Lo
so”
replicò togliendogli il peso di dover continuare.
Nozomi
voleva restare a Konoha, voleva la sua casa. Forse Konan aveva davvero
ragione,
qualsiasi cosa fosse successa alla fine Nozomi si sarebbe rivelato uno
shinobi
di Konoha fino all’osso, e forse questo poteva essere
pericoloso...
“Domani
resto ad aiutarti con la casa” disse, come a voler chiudere
quel discorso.
Nozomi
annuì. “Io ho sistemato la cucina, il bagno e la
nostra camera, ho anche già
cenato. Adesso vado a farmi la doccia, poi mi raggiungi a
letto?” propose
cominciando ad allontanarsi.
“Non
ho
bisogno di dormire” gli ricordò.
“Chi
ha
detto che è per dormire?” gli arrivò
dal corridoio con una risatina.
Obito
inarcò un sopracciglio e stese le labbra un ghigno di
apprezzamento. Si staccò
dalla parete e lo raggiunse direttamente nel bagno.
Ciaaaao!
Pubblico
il
capitolo questo weekend perché non avrò la
possibilità di farlo per tutta la
prossima settimana e preferisco lasciar passe un tempo più
lungo tra questo e
il prossimo capitolo, visto che nel prossimo capitolo andiamo
direttamente allo
scontro con Kakashi e Yamato ^^
Ma
pensiamo
a questo capitolo, dove finalmente Naruto chibi ha avuto il suo pov
*coriandoli* Che ne pensate del suo primo incontro con Obito? E la
conversazione che ha avuto con Sarutobi? Spero come sempre di essere il
più IC
possibile ^^’
Vi
ringrazio tantissimo per le recensioni che avete lasciato :33 Ci
vediamo con il
prossimo capitolo, che vi dico subito che è infinito
e sarà pieno di azione >.<
Hatta.
|
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Capitolo 7 *** Mokuton e Sharingan ***
Capitolo 6
Mokuton e sharingan
«Some
legends are told, some turn to dust or to gold
But you
will remember me, remember me for centuries.»
(Centuries
– Fall out boy)
I due
giorni volarono in un battito di ciglia. Nessuno riuscì a
credere che il tempo
fosse passato così velocemente, di certo non Nozomi e Obito
che avevano passato
ogni momento a sistemare la dimora Namikaze e spiare Root.
Ma
soprattutto
per Hiruzen.
I due
giorni gli erano sembrati troppo pochi per pensare e trovare un piano
d’azione.
Aveva mandato le sue migliori spie in giro, in cerca di ulteriori
indizi che
confermassero l’esistenza di Uzumaki Nozomi. Per via
dell’ultimatum imposto da
Obito aveva più fretta che mai nell’assicurarsi
che non fosse un impostore, per
il bene di Naruto.
I suoi
agenti erano stati velocissimi e avevano già iniziato a
mandare messaggi sulle
loro prime scoperte. Si trattava per lo più di conferme alla
storia offerta da
Jiraiya sui probabili spostamenti di Nozomi con sua madre. Erano stati
in uno
dei villaggi nel Paese del Fuoco, dove avevano raccolto il passaggio di
un
donna dai capelli rossi con un figlio.
Aveva
anche
ascoltato attentamente i rapporti forniti dagli ANBU che li
sorvegliavano, ma a
quanto pare non stavano facendo nulla di più che sistemare
l’abitazione. Soprattutto
non avevano dato segnali di volersi mettere in contatto con qualcuno
fuori
Konoha.
Insomma,
alla fine i due giorni erano passati senza che prendesse una solida
decisione.
Quello che scelse perciò fu più dettato da un
bisogno di fidarsi, che da una
lunga valutazione dei pochi dati a sua disposizione.
“Jiji,
ma
dove stiamo andando?”
Sorrise
paziente al bambino che lo aveva afferrato alla tunica bianca.
“Hokage-sama”
gli ricordò. “Devi chiamarmi
Hokage-sama”.
Naruto
imbronciò il viso alla correzione e insistette:
“Jiji”.
Sospirò
e
lasciò perdere. Apparentemente erano soli mentre
camminavano, ma poteva sentire
la presenza degli ANBU appostati in loro protezione.
“Be’,
stiamo andando all’arena”.
Per quanto avesse voluto
tenere tutto
contenuto, c’era comunque stata una fuga di notizie sulle due
nuove aggiunte di
Konoha e molti shinobi avevano chiesto di poter assistere allo scontro
amichevole. Alla fine si era rassegnato a tenerlo nell’arena
degli esami chūnin
e permettere la presenza di spettatori.
“Perché?”
insistette Naruto.
“Perché
ci
saranno dei ninja molto forti che combatteranno e sono sicuro che tu
voglia
vederli”.
Infatti
il
volto del bambino si illuminò. “Forti?
Più forti di te?” chiese.
“Certo
che
no” lo rassicurò sorridendo.
“Allora
quando sarò grande li batterò!”
annunciò Naruto alzando il pugno in aria.
“Perché diventerò più forte
di te e diventerò io
l’Hokage”.
Rise
divertito e intenerito insieme dalla sua sicurezza.
“Me
lo
auguro, Naruto-kun”.
Erano
ormai
arrivati ai pressi dello stadio, dove il flusso di persone si era fatto
più
consistente. Ogni Shinobi si fece da parte al suo passaggio e lo
salutò con educazione,
ma a Hiruzen non sfuggirono gli sguardi gelidi che lanciarono al
bambino.
Fortunatamente Naruto era troppo eccitato per l’imminente
combattimento per
rendersene davvero conto. Dovette afferrarlo a una spalla
perché non scappasse
via.
Salirono
insieme fino alla tribuna d’onore, dove si sarebbe goduto lo
spettacolo in modo
da osservare attentamente ogni cosa.
“Wooow!”
si
esaltò Naruto correndo nello spazio riservato, incredulo.
Si
sporse
oltre il muretto di protezione con la testa per guardare in basso e
sembrò
illuminarsi ancor di più di gioia nell’accorgersi
che avevano uno spazio
privato rispetto agli altri.
“Non
sporgerti troppo” lo riprese andando a sedersi al suo posto.
Immediatamente
alle sue spalle si materializzò uno degli ANBU facendo
sussultare il bambino.
Non fu
l’unico a entrare nella tribuna riservata, in quel momento
fecero la comparsa
anche Danzō, accompagnato dal suo frizzante
buon umore.
“Oh,
vecchio mio” salutò affabile, per nulla intimorito
dallo sguardo affilato del
consigliere.
L’uomo
indossava il solito abito tradizionale e le solite bende a coprire il
lato del
suo viso malandato. L’unico occhio visibile si
soffermò per un solo secondo su
Naruto – che ricambiò l’occhiata con
strafottenza – per poi tornare su di lui.
“Ho
sentito
la novità” disse gelido. “Abbiamo due
probabili acquisti”.
Hiruzen
sorrise. “Se qui per valutare la loro abilità
insieme a me? Ti ringrazio per la
tua gentilezza”.
Danzō
non
commentò subito, si limitò a prendere posto al
suo fianco.
“Sono
qui
per sapere perché non ne sono stato informato”.
“No,
grazie, abbiamo già mangiato”.
Ci fu un momento di silenzio
interdetto, poi
Naruto scoppiò a ridere a crepapelle tenendosi lo stomaco
con le mani. Per
Hiruzen fu estremamente difficile non ridere con lui visto quanto fosse
esilarante l’espressione esasperata di Danzō.
“Ho
chiesto,” sibilò a tono più sostenuto,
“perché non sono stato informato della
loro presenza”.
“Non
ho
capito, hai una strana tendenza?”
“No!”
sbottò Danzō paonazzo. “Sto parlando dei nuovi
ninja stranieri!”
“Oh,
è
bello che tu sia venuto volentieri”.
Naruto ormai sembrava sul
punto di cadere a
terra da quanto ridacchiava, Hiruzen dovette portarsi la pipa in bocca
per non
mostrare che anche lui stava ridendo. Era fin troppo facile far
spazientire
Danzō, bastava la sola tecnica di fingersi un po’ sordo,
ormai non c’era
nemmeno più gusto nel provocarlo.
“Di
questo
ne riparleremo più tardi!” annunciò
infatti con esasperazione.
“Hai
dei petardi?”
Danzō
era
ormai allibito, ma fortunatamente Naruto intervenne in quel momento.
“Ma
sei
anche sordo oltre che vecchio?!” ridacchiò
puntandogli l’indice contro. “È
meglio che mi sbrighi a diventare Hokage, tu sei troppo vecchio
ormai!”
Hiruzen
sospirò artificioso.
“Meno
male
che ci sei tu, Naruto caro” disse e gli fece
l’occhiolino.
Il
bambino
ridacchiò orgoglioso, poi tornò a guardare il
campo di addestramento. Al suo
fianco, l’ANBU lo avvisò.
“Manca
poco”.
Hiruzen
annuì, tornando serio.
Nozomi
era,
in un certo senso, emozionato: l’arena era ancora uguale a
come ricordava da
bambino!
Dopo
l’attacco di Orochimaru era stata per buona parte distrutta e
per questo era
stata ricostruita in seguito, con alcune modifiche. Era strano
rivederla dopo
così tanto tempo uguale alla sua prima volta lì
dentro.
Al
momento
era solo nella stanza di attesa. Sospettava che Kakashi fosse in
ritardo come
suo solito e con lui Tenzō, mentre non aveva idea di dove fosse finito
Obito.
L’ultima volta che l’aveva visto era stato prima di
andare a dormire,
sospettava fosse tornato a sorvegliare Root e fosse ancora
lì.
Che palle,
volevo organizzare una strategia…
Fece
appena
in tempo a pensarlo che percepì una distorsione nello spazio
attorno a lui, poi
sì aprì come una finestra nell’aria che
fece sbucare fuori Obito.
“Oh,
sei
qui!” costatò mettendo le mani sui fianchi.
L’Uchiha
si
guardò attorno, lo sharingan ancora attivato che studiava la
stanza dove li
stavano facendo attendere. Era grigia e senza arredi, fatta eccezione
per alcune
panche su cui potersi sedere. All’entrata c’era un
ninja di guardia, che
all’improvvisa comparsa di Obito era sussultato visibilmente.
“Dove
sono
gli altri?” chiese accigliato.
Nozomi
inclinò la testa fissando il soffitto. “Dove vuoi
che siano? Kakashi-sensei è
in ritardo e il povero Yamato con lui”.
Scosse
il
capo incredulo. “Non so cosa mi faccia più strano,
sentire Kakashi chiamato
sensei o dare per scontato il suo ritardo”.
“Meglio
per
noi!” mantenne l’ottimismo. “Abbiamo
tempo per decidere la strategia”.
“Nessuna
strategia” lo smorzò incrociando le braccia, poi
lo guardò seriamente. “Kakashi
lo lasci a me”.
“Ma…”
“Ha
uno
sharingan” lo interruppe. “Il mio
sharingan.
Sono meglio equipaggiato per affrontarlo”.
“Ma
Yamato…
cioè, Tenzō è un utente di Mokuton!”
protestò lagnoso. “Tu sei più indicato
per
contrastarlo”.
Almeno
con
quell’informazione sembrava aver catturato la sua attenzione.
Obito smise di
guardarsi attorno per fissarlo sorpreso.
“Konoha
ha
qualcuno che sa usare il legno?” chiese incredulo.
“E tu non hai mai pensato di
accennarmelo?!”
Lo
guardò
offeso. “Te lo avrei detto ieri sera se tu non fossi stato in
giro” protestò,
poi si strinse nelle spalle. “È un esperimento di
Orochimaru, ma non so molto.
Posso dirti però che è davvero abile, o almeno
nel mio periodo lo era. Quando
andavamo in missione ci faceva delle case e riusciva a sopprime il
chakra di
Kurama”.
Obito
sembrò valutare attentamente quell’informazione.
“Ti
metterebbe in difficoltà?”
“No”
ammise, da anni era più forte di Yamato ormai. “Ho
sistemato dei cloni perché
raccolgano il chakra naturale”.
“Quindi
siamo d’accordo”.
Nozomi
sbuffò cominciando a scaldarsi. “No, non siamo
d’accordo! Non abbiamo nessuna
strategia e… no, dire mi
occuperò io di
Kakashi non è una strategia. Dobbiamo fare lavoro
di squadra”.
Obito
richiuse la bocca, inghiottendo quello che stava per dire.
“Lo
sai che
quando collaboriamo ci divertiamo di più”
continuò a stuzzicarlo allargando il
sorrisone furbo.
Provò
a
mantenere il contatto visivo, ma alla fine Nozomi seppe di aver vinto.
“Va
bene”
borbottò. “Qualche idea? Sei tu quello abituato a
combatterli”.
Nozomi
fece
un sorrisone soddisfatto e furbo. Aveva pensato per tutta la notte a
possibili
strategie e scenari, poteva considerarsi più che preparato.
Era
proprio
nel mezzo della sua descrizione accurata delle abilità degli
avversari e vari
modi per neutralizzarle senza dare troppo mostra delle loro
capacità, che
vennero interrotti: una voce che Obito riuscì quasi a
riconoscere chiamò il suo
nome.
Ebbe
appena
il tempo di voltarsi e vedere un Gai splendente di gioia sfrenata
corrergli
incontro e placcarlo con il corpo. Nozomi poté vedere
l’espressione shoccata di
Obito e il modo come si fosse trattenuto dall’usare il kamui
per scivolare via.
“Obito!
È
vero, sei qui! Sono così felice di vederti!” rise
Gai.
L’Uchiha
si
agitò nel fervente abbraccio dell’altro e
fortunatamente fu lasciato andare.
Fece un passo indietro, come se temesse di tornare a essere stritolato
in
quella morsa.
“Ciao…
Gai”
salutò incerto.
Il
maestro
Gai era molto più giovane di quanto ricordasse Nozomi, ma
per il resto era
assolutamente uguale: stessi sopracciglioni folti, stessi capelli neri
a
scodella, stessa orrida tutina verde e stesse sorriso luccicante da
rivista.
Si
sentì un
po’ messo in disparte, visto che non gli era stato rivolta
che un’occhiata
veloce. Solitamente il maestro Gai lo accoglieva anche con troppo
entusiasmo,
ma era ovvio che non lo stesse facendo ora. Doveva ricordare a se
stesso che
non era più Naruto, ma uno sconosciuto. Già
qualche giorno prima era stato
tremendamente difficile non lasciarsi andare a scherzare con
Kakashi-sensei
come era solito fare.
Cancellò
veloce i pensieri deprimenti che ne derivavano, si concentrò
piuttosto sui due
ninja davanti a lui.
“Come
hai
fatto a essere così in ritardo anche per il tuo
funerale?!” gridò Gai ridendo,
le mani appoggiate sulle spalle di Obito che sembrava diventare sempre
più
verdognolo a tutto quel contatto fisico indesiderato. O forse era la
vista
della tutina aderente.
“Ehm,
uhm…” borbottò guardandolo in cerca di
aiuto. “Sono stato trattenuto…”
“Alt!”
lo
fermò a gran voce Gai parando una mano in avanti.
“Sono certo che il motivo
della tua lunga assenza sia più che giustificata!
Avrà sicuramente a che fare
con una missione classificata, non devi dirmi niente senza il permesso
esplicito di Hokage-sama!”
Nozomi
vide
chiaramente Obito fare un piccolo sorrisetto con l’angolo
delle labbra.
“Una
specie” confermò. “È bello
rivederti, Gai” ammise alla fine.
La
reazione
da parte dell’altro fu molto più esagitata.
Tornò ad avvolgere un braccio
attorno alle sue spalle, decantando a gran voce la bellezza di poter
passare
ancora tempo insieme nel fiore della loro giovinezza.
Per
Nozomi
fu difficile trattenersi oltre e non poté che ridacchiare.
Quello però riuscì
finalmente a catturare l’attenzione di Gai, che
sembrò imbarazzarsi molto
all’idea di averlo ignorato così a lungo.
“Sono
spiacente!” disse inchinandosi formale con la fronte che
quasi sfiorava il
pavimento. “Lei è l’altro ninja che si
scontrerà con il mio incredibile rivale
e io l’ho ignorato! Molto piacere” aggiunse
inchinandosi ancor più a fondo.
Nozomi
era
arrossito e si trovò ad agitare le mani in avanti. Era
difficile ricordarsi che
ora era più grande di tutti loro, anche se solo di pochi
anni, e che quindi gli
portassero più rispetto. Per quanto Gai fosse sempre stato
impeccabili nelle
etichette ed educato vicino al ridicolo non si era mai inchinato
così a fondo
con lui.
“Il
piacere
è anche mio. E dammi pure del tu…”
“Sono
Maito
Gai, la Bestia Verde di Konoha!”
Obito si
era portato una mano all’orecchio per resistere al tono
troppo sostenuto.
“Uzumaki
Nozomi” ricambiò senza riuscire a trattenersi dal
sorridere.
Gli era
decisamente mancato l’entusiasmo del maestro Gai.
“Non
vedo
l’ora di assistere al vostro incontro. È sempre
emozionante vedere giovani
ninja mostrare la loro giovane forza e vitalità!”
Cominciò a lasciare poderose
pacche sulla schiena di Obito. “Questo mi riporta a quando
eravamo genin! A
sono disposto a darti un rivincita per il nostro scontro agli esami
chūnin!”
“Non
vedo
l’ora” tossicchiò sotto i colpi sulla
schiena.
Gai
tornò a
guardare Nozomi, che faticava a restare serio alla vista del compagno
che
cadeva alle pacche dell’amico d’infanzia.
“Scommetto
che sarà una sfida che tirerà fuori tutta la
vostra frizzante primavera”
continuò senza smettere di sorridere. “Ma non
deprimerti, Uzumaki-san, se
Kakashi vi metterà in difficoltà! Eh
già!” annuì fra sé.
“Il mio formidabile
rivale è un ninja eccezionale, sono pochi qui a Konoha in
grado di tenergli
testa” spiegò gonfiando il petto con orgoglio.
“Obito lo sa bene, quindi non
perdete la vostra fiamma vitale nello scontrarvi. Anzi! È
davanti ad avversari
potenti che riusciamo finalmente a ruggire la nostra forza!”
Nozomi
non
si trattenne più e rise sereno. Gli mostrò il
pollice verso l’altro e annuì in
accordo.
“Ruggiremo
la nostra giovinezza, ‘tebayo!” garantì.
Gai
sembrò
felice di vedere qualcuno dargli corda, piuttosto che scappare alla sua
irruenza, e gli occhi neri brillarono. Fece per annunciare qualche
altra frase
eclatante, ma nella stanza si teletrasportò Jiraiya.
“Vedo
che
voi siete pronti” disse, poi si voltò verso Gai e
gli domandò con lo sguardo
cosa ci facesse nella stanza d’attesa.
La
Bestia
Verde saltò subito sull’attenti. “Ero
venuto a salutare Kakashi-san e augurargli
la mia fortuna” spiegò come se stesse facendo
rapporto. “Ma ho costatato che il
mio incredibile rivale non ha smentito se stesso neanche questa volta e
si sta
facendo attendere!”
Jiraiya
annuì con un sospiro rassegnato.
“Molte
persone hanno iniziato ad arrivare adesso, conoscendo le sue
abitudini”
confermò infatti.
Obito
sbuffò con forza e scosse la testa incredulo. Nozomi sapeva
che, nonostante lo
avesse avvisato più volte che Kakashi era cambiato molto
dalla persona che
conosceva lui, non fosse mai stato creduto. Per lui doveva sembrare un
mondo al
rovescio.
“Intanto
usciamo da qui” propose Jiraiya. “Se vi mostrate
almeno voi, chi è qui da
mezz’ora sarà più tranquillo.
Cominciano ad agitarsi”.
“Allora
è
giunto per me il momento di tornare al mio posto”
decretò Gai solenne. Si voltò
a fare ancora una volta un inchino a Nozomi e dare una pacche alla
spalla di
Obito. “Che questo scontro possa far fiorire la vostra
giovinezza nella sua
massima espressione” augurò.
“Fioriremo
di certo” ridacchiò Nozomi.
Con un
ultimo sorriso abbagliante, Gai lasciò la stanza permettendo
finalmente a
Jiraiya di parlare chiaramente con i due.
“Avrete
un
po’ di pubblico, mocciosi” li avvisò.
“Tutti gli shinobi di qualsiasi grado che
hanno sentito del vostro arrivo e non avevano missioni sono qui. Anche
Danzō” aggiunse.
Obito si
oscurò, mentre Nozomi non lasciò il sorriso
spensierato.
“Questo
significa che dobbiamo solo stare più attenti a quello che
mostriamo”.
“Esattamente”.
“Tranquillo,
ero-sennin” assicurò. “Non
userò il chakra di Kurama, ho abbastanza riserve mie
da far il culo a Kakashi”.
Annuì.
“Ricordati anche di variare con gli stili di combattimento
delle varie nazioni.
Se userai solo lo stile di Konoha…”
“Capiranno
che sono stato addestrato qui” lo interruppe. “Lo
so, ero-sennin. Non
preoccuparti, userò soprattutto lo stile dei rospi. Inoltre
abbiamo già una
strategia”.
“Perfetto,
allora usciamo. Appena anche Kakashi e Tenzō saranno qui vi
dirò la modalità
dell’esame”.
Li
accompagnò fuori, dove il sole accecò
momentaneamente Nozomi. Socchiuse gli
occhi e alzò il viso verso gli spalti, facendosi ombra con
la mano. Sentiva il
boato della folla agitata, ma a notare bene non riempiva
all’inverosimile
l’arena com’era stato nei suoi esami chūnin.
All’epoca c’erano stati molti più
civili e molte più figure influenti.
In ogni
caso, poteva capire perché il Sandaime avesse permesso a
così tanti shinobi di
assistere allo sparring: voleva vedere come avrebbe gestito la
pressione di
essere osservati da così tanti occhi esterni.
Girando
gli
occhi attorno beccò una squadra Root sparpagliata tra gli
shinobi regolari, dai
quali riusciva a distinguerli per via della sensazione di
vacuità che si
portavano dietro, come se fossero un buco nero delle emozioni. Era una
sensazione che aveva imparato a distinguere stando a contatto con Sai,
anche se
negli ultimi anni era quasi sparita del tutto.
Fece un
sorriso triste pensando all’amico, doveva trovare un modo per
aiutarlo e
tirarlo fuori da Root prima che Danzō lo mettesse contro il fratello.
Obito
aveva
incrociato le braccia e osservava il terreno, piuttosto che gli spalti.
Jiraiya
invece sospirò, incrociando a sua volta le braccia.
“Ora
non ci
resta che aspettare”.
Konoha
quella mattina era stranamente priva di shinobi.
Kakashi
sapeva che tutti quelli liberi dalle missioni si erano riuniti
all’arena, dove
lo stavano aspettando.
Respirò
a
pieni polmoni, inalando la profumata aria estiva e si
rilassò ancor di più
sulla panchina.
“Kakashi-senpai…”
lo disturbò un piagnucolio.
Socchiuse
un occhio pigramente, osservando la figura di Tenzō che percorreva
nervosamente
la strada altrimenti vuota avanti e indietro.
“Quante
volte devo dirti di non chiamarmi così?” chiese
senza vero rimprovero nella
voce.
Il suo
adorabile subordinato non sembrò nemmeno averlo sentito,
continuò a camminate
torcendosi le mani consumato dall’ansia.
“Dovevamo
essere all’arena mezz’ora fa. Dobbiamo
andare!” spiegò la sua preoccupazione.
Tornò
a
chiudere l’occhio e bearsi del sole estivo.
“Sì, fra un po’”.
Tenzō
ricominciò a piagnucolare.
“Senpai…”
“Se
vuoi
vai avanti intanto, ti raggiungo più tardi”
offrì innocentemente, sapeva che
l’amico non se ne sarebbe mai andato avanti da solo.
Infatti
la
sola prospettiva lo fece diventare verdognolo. Era divertente
stuzzicare Tenzō,
visto che la maggior parte del tempo era avvolto da una pacifica
impassibilità.
Spesso sembrava che nulla potesse scalfirlo e che niente esaurisse la
sua
pazienza. Be’, Kakashi poteva vantarsi di essere
l’unica persona in grado di
renderlo un grumo di ansia e nervosismo.
Solitamente
Tenzō non si faceva problemi a contraddire e imporsi, ma con lui non lo
faceva.
Sospettava fosse perché provava ancora un senso di
ammirazione e una profonda
gratitudine per averlo portato fuori da Root. Del resto era proprio
questo il
motivo per cui era la sua vittima preferita da stuzzicare: non voleva
che lo
ammirasse e non voleva nemmeno la sua gratitudine. A essere sinceri era
qualcosa che lo metteva in imbarazzo, perché non sentiva di
meritarla.
Il
silenzio
durò ancora una decina di minuti, nei quali Tenzō
continuò a borbottare
qualcosa sulla loro maleducazione e la pazienza del Sandaime.
Entrambi
indossavano l’uniforme ANBU equipaggiata standard, con un
tantō allacciato alla
schiena, e manicotti con sigilli per evocare kunai e shuriken. Non
indossavano
però le loro maschere, visto che non serviva che celassero
la loro identità.
Alla
fine,
cominciò a stancarsi della camminata ansiosa di Tenzō. Era
passata un’ora
rispetto all’orario deciso, poteva definirsi soddisfatto.
“Andiamo”
disse tornando serio.
Tenzō
smise
di camminare per guardarlo rassicurato, ma l’espressione
felice cadde non
appena vide Kakashi sparire in una nuvoletta di fumo, con un sorriso
diabolico
e un’ultima frase: “Su, muoviti, non vorrai
arrivare tardi!”
Quando
si
teletrasportò direttamente nell’arena, si
trovò nel centro dell’attenzione di
ben tre ninja. Jiraiya lo fissava rassegnato, Obito aveva
un’espressione di
pura incredulità – come se sospettasse di essere
dentro un genjutsu – mentre
Nozomi lo guardava con gli occhi che brillavano di puro divertimento. A
quanto
pare aveva trovato qualcuno che trovava i suoi ritardi divertiti.
Kakashi
prese mentalmente nota di presentarsi a un loro incontro con un ritardo
di
minimo tre ore, giusto per vedere se anche in quel caso sarebbe stato
divertito, il novellino aveva molto da imparare.
“Siamo
in
ritardo?” chiese con leggero tono stupito, mentre alle sue
spalle compariva
anche Tenzō. “Oh, che sbadati”.
Gli
occhi
blu di Nozomi ebbero uno scintillio. “Perso ancora nel
cammino della vita?”
chiese.
Scrollò
le
spalle. “Un gatto nero ha incrociato la nostra strada. Sai,
scaramanzia…”
“Senpai,
non è vero” piagnucolò Tenzō.
Continuò
a
sorridere pacifico, ignorandolo totalmente. Di soppiatto
lanciò uno sguardo a
Obito, giusto per assicurarsi la sua reazione, ma quello sembrava
essere
piuttosto diffidente.
“Bene,
ora
che siete tutti qui” iniziò Jiraiya con un tono di
voce poderoso, catturando la
loro attenzione, “lasciate che vi spieghi come
funzionerà il longarone”.
Kakashi
smise l’aspetto di sereno distacco per concentrarsi sul
Sannin, curioso della
sua presenza giù.
“Dal
momento che si tratta di una valutazione piuttosto che di una partita
normale,
le cose funzioneranno in modo leggermente diverso da un semplice
sparring”.
Né
Obito né
Nozomi diedero espressioni di sorpresa, forse se
l’aspettavano.
“Come?”
chiese maggiori spiegazioni quindi.
“Ci
saranno
tre fasi consecutive” spiegò. “Le prime
due dureranno cinque minuti ciascuna,
mentre la terza finché la partita non sarà
decisa”. Si interruppe disegnando
sulle labbra un sorriso sarcastico. “Se arrivate a durare
così tanto”.
Non
riuscì
a trattenersi dall’inarcare il sopracciglio visibile. Jiraiya
stava ventilando
che una delle due squadre non fosse sufficientemente preparata per
l’altra.
Sperò bene che non stesse parlando della sua.
“Questo
scontro serve per tastare le abilità di Obito e Nozomi su
uno spettro ampio,
come un jōnin che valuta un proprio genin. Perciò
più che essere una lotta
efficace dovete essere il più evidenti possibili nelle
vostre tecniche. Nella
prima fase possono essere usati solo taijutsu, armi e trappole; alla
seconda
fase si aggiungono il ninjutsu e il genjutsu; infine nella terza si
possono
sfoderare le proprie specialità, ciò significa
che non potrà essere usata
nessuna linea di sangue o modalità eremitica fino alla terza
fase. Per quanto
riguarda lo sharingan, potete scegliere quando volete di tirarlo fuori,
ma il
Magekyo potrete usarlo solo nell’ultima fase. Le varie fasi
vengono annunciate
da un fischio. In conclusione, l’Hokage si arroga del diritto
di interrompere
lo scontro in qualsiasi momento se lo riterrà opportuno,
chiaro?”
Tutti
concordarono, ma Kakashi notò che quell’ultimo
avviso era stato detto
soprattutto verso Obito, con un tono serio e preoccupato.
L’espressione
corrucciata del sannin però durò appena un
secondo, poi tornò distesa in una
gioviale e afferrò per le spalle i due shinobi
più vicini, vale a dire Nozomi e
Tenzō.
“Dateci
un
bello spettacolo, eh?”
Nozomi
rispose con entusiasmo alzando un pollice, invece Obito si
girò,
sorprendendolo, verso di lui.
“Sei
pronto
per il rimborso, Bakakashi?”
Riuscì
a
trattenere l’incredulità, visto che era stato
ignorato fin dal suo arrivo e
anche nelle loro altre interazioni lo aveva trattato con freddo
disprezzo. Non
si aspettava quella battuta quasi amichevole, che faceva riferimento al
loro
passato nel Team Minato.
Socchiuse
l’occhio visibile, mostrando un sorriso spensierato.
“Spero
che
tu non chieda anche gli interessi” disse saltando
all’indietro per una distanza
più cauta.
Non si
aspettava che Obito ricambiasse con l’accenno di un ghigno.
“Non
siate
precipitosi e aspettate il via dell’Hokage”
ordinò Jiraiya, poco prima di
sparire in una nuvoletta di fumo.
Si
teletrasportò sulla tribuna del Sandaime, facendo sussultare
il bambino biondo
che si sporgeva oltre la balaustra. Sorrise allo stupefatto sguardo
azzurro e
si rivolse poi a Hiruzen.
“Sono
pronti”.
Il
Sandaime
sorrise tenendo la pipa fra le labbra, quindi si alzò dal
suo posto e si
affacciò dalla tribuna. Attese qualche secondo,
finché nell’arena il brusio non
si quietò fino a quasi scomparire.
“È
bello vedervi così numerosi” disse come
prima cosa, spostò gli occhi sul pubblico come a voler dare
il benvenuto a
ognuno di loro, poi abbassò gli occhi sulle quattro figure
al centro del campo
di allenamento. “Siamo pronti a dare l’inizio alla
valutazione”.
Alzò
la
mano per dare il segnale del primo fischio, ma rimase distratto da
quello che
vide: Nozomi aveva fatto un passo avanti, alzando al
viso due dita unite in un sigillo molto
familiare.
Hiruzen
spalancò gli occhi nel vedere quel gesto ormai obsoleto, che
veniva ricordato
solo nelle lezioni dell’Accademia, essere utilizzato,
soprattutto da uno
shinobi esterno di Konoha. Obito parve scuotere la testa rassegnato
prima di
alzare a sua volta le dita nel sigillo, così come Kakahsi e
Tenzō lo imitarono
un poco confusi.
Qualcuno qui ci
tiene all’etichetta,
pensò
mentre calava il braccio.
Nell’arena
risuonò il primo fischio.
Di
solito l’inizio
di uno scontro tra shinobi sconosciuti era facilmente prevedibile:
qualche
secondo di tesa immobilità, dove si studiava
l’avversario, seguito da una serie
di colpi cauti e attacchi di prova, per valutare le abilità
dell’avversario e
che tipo di tecniche utilizzasse.
Solitamente.
Appena
il
fischio fu terminato Nozomi si lanciò a una
velocità sorprendente contro i due
ninja avversari, una macchia arancione che si spostava sul campo.
Kakashi
rimase
spaesato da quell’azione diretta, il suo avversario doveva
essere estremamente
stupido o troppo sicuro delle proprie capacità per gettarsi
in quel modo contro
il nemico, ma si accorse in tempo che il diretto interessato del suo
colpo era
Tenzō. Si spostò quasi d’istinto,
sguainò il tantō che aveva alla schiena e lo
diresse contro la testa di Nozomi, sul collo. Non aveva intenzione di
ferirlo
mortalmente, il suo gesto era stato abbastanza lento perché
lo notasse, voleva
solo che si spostasse per evitarlo e lasciasse a Tenzō il tempo di
reagire.
Ma fu
con
orrore che si accorse che l’Uzumaki non aveva nessuna
intenzione di cambiare
traiettoria, continuò a caricare il colpo incurante della
lama che si
avvicinava sempre più alla sua parte scoperta.
Anche se
Kakashi
avesse voluto fermarsi, non avrebbe potuto bloccare lo slancio.
Il
contraccolpo
arrivò inaspettato e forte. Senza che se ne rendesse conto
anche Obito li aveva
raggiunti e aveva afferrato con la mano
nuda la lama del suo tantō.
Riuscì
a
fermarla e l’urto fece quasi perdere la presa a Kakashi, che
ne approfittò
della leva per tentare di saltare via. Ma Obito continuava a tenerlo
saldo per
la spada, per allontanarsi dovette mollare la presa sull’elsa
e proprio in quel
momento l’Uchiha aumentò la stretta al punto che
la lama si spezzò.
Nel
frattempo Nozomi aveva raggiunto Tenzō che era riuscito a parare appena
il
colpo della sua caviglia al collo, facendosi scudo con
l’avambraccio. Per il
colpo dovette comunque arretrare mantenendo a stento
l’equilibrio.
Kakashi
guardò la propria elsa a terra, la lama in frantumi, e poi
Tenzō arretrato in
posizione difensiva. Forse l’Uzumaki non era poi
così stupido e la fiducia
nelle loro capacità era giustificata.
Si
trovò a
sorridere, l’adrenalina in fermento, e portò una
mano all’hitai-ate. Doveva
fare loro i complimenti, non pensava di tirarlo fuori così
presto.
Sollevò
la
benda e il coprifronte, lo sharingan ruotò nel suo occhio.
Vide Obito fare lo
stesso e uno sharingan gemello colorare di rosso l’iride che
ricambiava il suo
sguardo.
Il
riscaldamento era già finito, si cominciava a fare sul serio.
Sono veloci,
costatò Fugaku, lo sharingan
attivo per seguire al meglio lo scontro. Gli shinobi si muovevano come
macchie
sfocate sul campo di allenamento, fin da subito lo scontro si era fatto
serrato
e per nulla cauto. I colpi erano veloci e difficili da seguire,
continui e
forti. Il combattimento sarebbe stato difficile da seguire anche per un
normale
jōnin, i chūnin lì presenti dovevano essersi già
persi.
Lanciò
uno
sguardo fiero a Itachi al suo fianco, che grazie al suo sharingan
sembrava non
perdersi un colpo, poi tornò sulla lotta.
Sapeva
che
Kakashi aveva una buona formazione anche nel taijutsu, fu invece sorpreso di vedere
Obito utilizzare
così fluidamente lo stile Uchiha del corpo a corpo.
Dell’imbranataggine che lo
aveva caratterizzato da ragazzino non sembrava esserci più
traccia e riusciva a
tenere testa a Kakashi senza un accenno di fatica, seguendo lo stesso
ritmo
veloce.
Anche
l’Uzumaki lo stava stupendo positivamente.
Al di
là
dell’impressione infantile che gli aveva fatto, padroneggiava
il taijutsu con
una tale potenza da scatenare invidia tra i jōnin. Il compagno di
Hatake
sembrava riuscire a scansarsi appena ai suoi colpi e a stare dietro a
quello stile
così rimbalzante, che ricordava quello dei rospi.
Ricordò quello che aveva
appreso nello studio dell’Hokage e pensò che non
dovesse stupirsi se utilizzava
lo stile del monte Mobyoku.
Il
secondo
fischio segnò l’inizio della seconda parte.
Hiruzen
osservò per qualche secondo l’espressione
sbalordita del piccolo Naruto,
aggrappato alla ringhiera per tenersi mentre si sporgeva il
più possibile.
Sapeva che il combattimento stava andando troppo veloce per lui, ma ne
sembrava
comunque entusiasta e suoi occhi brillavano di stupore.
Nel
momento
in cui suonò il secondo fischio, tornò a guardare
a sua volta il combattimento.
Le due squadre si erano allontanate con un balzo, ognuno a fare i
propri
sigilli. Non seppe se Nozomi e Kakashi avessero avuto la stessa idea, o
se
quest’ultimo aveva usato lo sharingan per prevedere la mossa,
ma entrambi
rilasciarono più o meno nello stesso momento un jutsu
d’acqua che allagò il
campo di allenamento. Ma a differenza di Kakashi, che come Tenzō era
riatterrato nel terreno inzuppato d’acqua, Nozomi si
acquattò sul ramo di uno
degli alberi messi a disposizione. Il perché fu subito
chiaro: Obito che era
saltato a sua volta riscese verso l’acqua maneggiando un
jutsu di fulmine, con
il chiaro intento di friggere i due avversari.
Si
trovò a
fare un sorriso a quell’ottima coordinazione, si vedeva che
erano abituati a
combattere insieme.
Fortunatamente
anche i suoi shinobi avevano assi nella manica da sfoggiare. Veloci,
sia Tenzō
che Kakashi cominciarono a unire le dita nel sigillo di terra e, poco
prima che
Obito infrangesse i fulmini sulla superficie acquosa, crearono una
piattaforma
alta su cui ripararsi. Ma doveva essere stato previsto
dall’Uchiha, perché
appena atterrò smise il jutsu di fulmine e gonfiò
il petto, senza l’aiuto di
sigilli sbuffò fuori una palla di fuoco che, grazie al
rinforzo di un jutsu di
vento prodotto da Nozomi, divenne di notevoli dimensioni.
Kakashi
fu
veloce a reagire, avvantaggiandosi del bacino d’acqua
già presente nel campo di
allenamento.
“Suiton:
Pilastro
d’Acqua”.
Attorno
a
lui e Tenzō si formò una barricata d’acqua contro
cui si infranse e si estinse
la palla di fuoco di Obito. Lo scontro provocò
però uno spesso vapore bianco
che coprì l’intera arena.
Hiruzen
strinse gli occhi, infastidito di non riuscire a vedere attraverso la
nebbia.
“Che
succede?” scalpitò Naruto coinvolto dal
combattimento.
Fortunatamente,
l’impedimento visivo durò appena qualche altro
istante: un jutsu di vento
spazzò via il vapore, facendo tornare visibile il campo di
allenamento.
Quasi
rischiò di far cadere la pipa dalla bocca quando vide quello
che stava
succedendo.
Kage bushin no
jutsu?
Nozomi
era
riuscito a creare una dozzina abbondante di cloni, che stavano mettendo
in
difficoltà Kakashi con i suoi continui attacchi, mentre
Obito teneva sotto
assedio Tenzō con continui jutsu di elementi diversi.
Preferì
concentrarsi sull’Uzumaki, preso in contropiede da quel
risvolto. Osservò
l’abilità con cui maneggiava la tecnica inventata
dal Nidaime, continuava a
ricreare cloni su cloni senza preoccuparsi della quantità di
chakra che la
tecnica consumava.
“È
un
mostro di chakra” confermò Jiraiya al suo fianco,
indovinando i suoi pensieri.
“Vedo”
ronzò.
Il Kage
Bushin non era una tecnica particolarmente difficile da usare, tutti i
suoi
jōnin la padroneggiavano per lo spionaggio, ma non aveva mai visto
nessuno
utilizzarla in modo così continuo e attivo in uno scontro.
“Chakra?”
chiese Naruto portandolo via dal suo rimuginare.
“Cos’è?”
“Bambino
mio,” sospirò esasperato, “non lo stai
studiando all’Accademia?”
Naruto
distolse lo sguardo imbronciato, tornò a guardare il
combattimento e non
rispose.
Hiruzen
lo
imitò prontamente, mancavano ormai pochi minuti allo scadere
della seconda
fase. Era fin troppo curioso di vedere cos’altro avessero in
servo.
Con gli
occhi si spostò da Nozomi per osservare Obito. Era stupito
che, nonostante
tutti quegli anni lontani da Konoha, il suo stile fosse così
prettamente
Uchiha.
Anche
se…
c’era qualcosa che lo turbava e inquietava, che gli faceva
temere che sotto ci
fosse molto più di quanto avesse loro raccontato.
Forse
avrebbe dovuto soffermarsi di più sul suo presunto incontro
con Madara. A
essere onesto, quando ne aveva parlato lo aveva etichettato come un
errore:
Madara era morto, probabilmente chi Obito aveva incontrato era un
vecchio
Uchiha folle e reietto che si spacciava per il leggendario capo clan.
Eppure…
forse chi aveva incontrato era davvero
Uchiha Madara.
Perché
quello stile di combattimento lo portava indietro di molti, troppi,
anni: alla
sua giovinezza e alla sua istruzione sotto il primo Hokage. In quel
periodo
aveva avuto l’onore di assistere a un suo combattimento
amichevole con Madara
ed era certo che non avrebbe mai dimenticato quello scontro incredibile.
Per
questo
poté notare subito, con una turbata chiarezza, che Obito
aveva lo stesso modo
di combattere di Madara.
Quando
Tenzō sentì il fischio che annunciava la terza fase, non
poté che tirare un
sospiro di sollievo. Era così tanto abituato a usare il
Mokuton che, in quei
due primi stadi dove non gli era stato permesso, si era trovato non
poco in
difficoltà a contrastare sia Nozomi che Obito. Su
quest’ultimo fu felice di
potersi avvantaggiare di tutti i suoi allenamenti con Kakashi, che gli
avevano
permesso di resistere allo sharingan.
Scattò
all’indietro e concentrò subito il chakra per la
sua prossima tecnica. Atterrò
acquattato, le mani premute sul terreno e attorno a lui cominciarono a
crescere
subito degli alberi da usare come attacco. Sapeva che qualsiasi
spettatore
poteva riconoscere quell’abilità quasi
leggendaria, perciò non si stupì del
brusio di puro stupore che crebbe dagli spalti.
Kakashi
gli
si avvicinò, mentre sia Nozomi che Obito saltarono indietro
per studiare il
nuovo cambio di scena. A essere onesti, però, nessuno dei
due sembrava davvero
sorpreso di incontrare un utente Mokuton, anzi Obito gli rivolse
perfino un
ghigno divertito.
Quando
vide
i due avversarsi scambiarsi un cenno d’intesa, si
preparò a disporre le piante
attorno a lui per colpirli, ma quello che vide subito dopo lo
lasciò sconvolto.
Riconobbe i sigilli compiuti dalle mani di Obito, ma non fu comunque
pronto a
vedere il terreno esplodere per lasciare spazio a scure e contorte
radici che
si attorcigliarono attorno ai suoi alberi, strangolandoli
così forte da
spezzarli.
Spalancò
gli occhi realizzando che davanti aveva un
altro utente di Mokuton e, considerando il modo in cui
Kakashi trattenne
bruscamente il fiato, doveva essere una novità.
Forse le
cose non sarebbero state facili come aveva sperato.
Hiruzen
non
riuscì a trattenersi dall’alzarsi dalla sua sedia
e fissò con sgomento quello
che stava succedendo nel campo di allenamento. Non si era stupito degli
alberi
che erano improvvisamente cresciuti per opera di Tenzō, ma vedere Obito
– un
Uchiha – rispondere con la stessa tecnica che era stata
perduta da decenni fu
un colpo al cuore. Al suo fianco, nemmeno Danzō riuscì a
mantenere la sua
solita compostezza.
“Come
può
essere?”
Avevo
più della metà del corpo distrutto,
perciò lo ha
ricostruito usando un clone che aveva creato dalle cellule di Hashirama.
Erano
stati
fatti per anni esperimenti sulle cellule di Hashirama nella speranza di
recuperare quella tecnica, perfino Orochimaru le aveva studiate in quel
suo
modo poco ortodosso, e Tenzō era stato l’unico bambino in
grado di rispondere
positivamente a quella sperimentazione.
Ma a
quanto
pare non era l’unico. Un altro bambino, un Uchiha il cui
stile di combattimento
era inquietantemente simile a quello di Uchiha Madara, aveva lo stesso
potere
di Senju Hashirama.
Alzò
brevemente il viso verso il monte degli Hokage.
Shodaime, lo sta
vedendo anche lei?
La situazione
può solo peggiorare.
Kakashi
lo
pensò con sereno distacco, come se non se fosse un semplice
spettatore e non
stesse combattendo nell’arena.
Mokuton.
Ottimo. Meraviglioso. Almeno questo spiegava il nuovo odore di Obito e
perché
gli ricordasse quello di Tenzō.
Aveva
creduto che dalla terza fase avrebbe combattuto con Obito, visto che
era meglio
equipaggiato per contrastare il suo Mangekyo, ma decise di lasciarli a
vedersela tra loro su chi avesse l’albero
più grosso.
Si
concentrò quindi su Nozomi e… be’,
appena lo vide fu quasi scosso da un attacco
di ridarella compulsiva.
Quello
era
Senjutsu? La situazione era
peggiorata.
Riuscì
a
riconoscere la modalità eremitica dei rospi,
l’iride colorata di oro
splendente, rotonda come una moneta e la pupilla un taglio orizzontale,
le
palpebre colorate di arancione. Ciò che lo sorprese furono
due cose: che fosse
riuscito a compierla mentre era in movimento e che non avesse dovuto
convocare
qualche rospo ad assisterlo. Non sapeva molto di senjutsu, ma sapeva
che
richiedeva un certo periodo di immobilità per raccogliere il
chakra naturale in
sé, come aveva fatto se non era stato fermo neanche un
secondo e non c’era
nessun rospo ad averlo fatto per lui?
Le sue
domande vennero messe da parte nel momento in cui vide che si stava
avvicinando,
in sage mode era molto più veloce di prima.
All’ultimo
però Nozomi deviò, per correre dove Tenzō e Obito
si stavano ancora scambiando
colpi con il Mokuton.
Kakashi
capì
prontamente che si stava dirigendo per colpire Tenzō mentre era
distratto dal
compagno, perciò scattò a sua volta per
difenderlo. Si preparò a creare un
jutsu che li allontanassero, ma era ancora a metà dei
sigilli che ci fu uno
scambio. Obito si teletrasportò, evitando
l’attacco di Tenzō che rischiò di
sbilanciarsi nel vuoto e rendersi vulnerabile all’arrivo di
Nozomi.
Dopodiché,
Kakashi non ebbe più modo di assistere alla sorte del
compagno.
Obito si
teletrasportò davanti a lui, comparendo subito dopo una
distorsione d’aria a
forma di vortice, con sé aveva una katana che fino a un
momento prima non
brandiva e il Mangekyo brillava minaccioso.
“Pronto
a
prenderle, Bakakashi?”
Saltò
indietro, in una distanza di sicurezza.
“L’ultima
volta che ho controllato, eri tu a prenderle” osò.
Obito
maneggiò con la katana, disegnando cerchi veloci attorno a
lui.
“Non
sottovalutarmi” sibilò, poi attaccò.
La prima
cosa che fece ovviamente fu schivare, gli arrivò alla
schiena e approfittò per
completare il jutsu che aveva lasciato a metà.
“Raiton:
Zanne della Bestia Fulminea!”
Dalla
sua
mano partì un fulmine che prese la forma di un segugio, il
cane si mosse
veloce, non c’era verso per Obito di poterlo evitare o di
trovare un
contrattacco abbastanza potente. Lo vide con lo sharingan seguire la
traiettoria del fulmine, ma era troppo imprevedibile e
perciò si preparò a
contrastarlo con la lama e il suo braccio artificiale.
Se non
che
un momento prima che venisse colpito, qualcosa che assomigliava a un
enorme
shuriken rotante e luminoso si infranse sul fulmine, disperdendolo. Le
raffiche
d’aria che gli arrivarono gli fecero capire che si trattava
di un jutsu di
vento, la debolezza del fulmine.
I suoi
occhi si spostarono su Nozomi, arrivato prontamente ad aiutare il
compagno, ma
si accorse subito che era solo l’ennesimo clone visto che
l’originale era
ancora impegnato con Tenzō.
“Non
mi
ringrazi?” chiese il clone con una linguaccia.
“No”
sbottò
Obito, infastidito. “Me la cavo da solo”.
“Ingrato!”
protestò. “Ti ho appena salvato”.
Non
l’ascoltò.
“Torna dall’originale. Me la cavo da
solo” ripeté.
Il clone
alzò gli occhi al cielo, ma fece come gli diceva.
Kakashi
provò a lanciargli contro gli shuriken rimasti per poter
almeno sgravare il
lavoro a Tenzō, ma quello riuscì a evitarli contorcendosi e
gli fece la
linguaccia.
Non ebbe
nemmeno il tempo di indignarsi perché Obito gli fu di nuovo
addosso,
coinvolgendolo in un taijutsu. Doveva dargli atto che era migliorato molto dai suoi giorni da chūnin.
Riuscì
a
colpirlo allo stomaco e allontanarlo da lui abbastanza per darsi
respiro e
potersi concentrare in un nuovo ninjutsu. Obito, però, ne
approfittò per fare
lo stesso e fu molto più veloce di lui: gli bastò
unire le dita al petto, il
Mangekyo sgranato che creò una distorsione
dell’aria davanti a lui, come un
vortice d’aria.
Si
preparò
a contrastare un jutsu di vento, ma si accorse troppo tardi di essere
in
errore: dalla bocca sputò un fiotto di fuoco che, mossa
dalla distorsione del
Mangekyo, si allungò in una spirale mortale diretta verso di
lui.
Agì
d’istinto, quasi senza programmarlo, e alzò un
muro di terra che resistette a
malapena alla potenza della fiamma.
Sentì
appena il sobbalzare della folla, si concentrò piuttosto sul
fumo che lo
circondò da entrambi i lati, cercando di indovinare da quale
sarebbe comparso
Obito.
Il suo
intuito fu buono ed ebbe la prontezza di riflessi di evitare
l’attacco con la
katana. Fece scivolare veloce la mano al borsello e le sue dita si
serrarono
sull’ultimo kunai rimasto, riuscì ad alzarlo in
tempo incrociando le due lame.
Kakashi
si
fidava del suo istinto, in combattimento lo aveva sempre salvato e non
sbagliava mai a seguirlo. Fu quindi con sgomento che lo
sentì avvertirlo che la
sua vita era in pericolo, guardando il Mangekyo di Obito
percepì un puro intento omicida nei
suoi
confronti.
Appena
gli
fu possibile si allontanò, la pelle d’oca per la
sensazione provata.
Improvvisamente, non era più uno sparring amichevole,
valutativo: Obito stava
combattendo per ucciderlo.
Poteva
annusarne la sete di sangue come un segugio e il fatto che lui fosse
sempre più
a corto di chakra lo mise ancor di più nella difensiva. Si
trovò a entrare
nelle vesti di Kakashi a sangue freddo
senza nemmeno rendersene conto.
Veloce
convertì il proprio chakra in elettricità e la
concentrò nel metallo del kunai,
rendendola la lama del kunai più tagliante. Quando Obito gli
fu di nuovo
addosso, riuscì perfino a scalfire la katana. Si mosse
quindi veloce per
costringere l’avversario a mollare la presa sulla sua arma e
costringerlo nel
semplice corpo a corpo.
Obito
lasciò effettivamente andare la katana, ma non
batté ciglio e riuscì a fermarlo
a sua volta. Lo colpì così forte che Kakashi
barcollò all’indietro e cercò una
nuova distanza di sicurezza. Obito non gliene diede tempo e
continuò a tenerlo
sotto difesa, facendolo arretrare sempre di più, fino al
bordo dell’arena. Ma
se il suo obiettivo era quello di metterlo in trappola, aveva fatto i
conti
troppo presto. Proprio quando si trovò con le spalle a
sfiorare la pietra
dietro di lui e Obito stava per caricare un colpo, sgusciò
via dalla sua presa
e si allontanò. Il pugno di Obito si liberò sul
muro, che si piegò in crepe
simili a ragnatele alla sua potenza.
Un colpo
del genere gli avrebbe spaccato la testa. Non c’erano
più dubbi: stava cercando
di ucciderlo.
Obito si
voltò e dal suo braccio artificiale si allungò un
duro e scuro bastone dalla
punta acuminata.
Senza
rendersene conto, Kakashi cominciò a unire sigilli e poi
concentrò tutto il
chakra rimasto sul braccio destra. Il rumore del raikiri gli
ferì le orecchie,
ma ormai era troppo tardi: Obito aveva iniziato a corrergli incontro e
anche
Kakashi scattò.
Nozomi
si
stava divertendo da morire, giocando con Tenzō e sfuggendo
all’ultimo ai suoi
agguati. Non riusciva a smettere di sorridere!
Ma il
sorriso gli si congelò sulle labbra non appena
sentì quella gelida intenzione
omicida scivolare sul suo corpo. Non dovette girarsi per capire da chi
provenisse o cosa stesse succedendo, e quando sentì lo
stridere del chidori
capì subito cosa stava per succedere.
Cazzo, Obito!
Il suo
sguardo si concentrò e, non trovando una soluzione
più ortodossa, afferrò
bruscamente Tenzō per il braccio. Lo lanciò il
più forte possibile, non guardò
nemmeno dove fosse atterrato, lanciò poi un altro kunai e si
dislocò.
Comparve
al
centro della linea tra Kakashi e Obito, nel punto dove si sarebbero
incontrati
provocando il disastro e dove si era piantato il kunai. Non si
fermò un
secondo, ruotando su se stesso e afferrò ciascuno per il
polso impedendo loro
di incontrarsi e li lanciò dalla parte opposta.
Nell’arena
era calato un silenzio attonito. Ma Nozomi non si rilassò,
si dislocò ancora
una volta da Obito, che già in piedi lo aspettava.
Parò il pugno, il calcio e
di nuovo l’altro pugno. In poche mosse lo costrinse a terra,
un ginocchio
piegato sul suo petto, i polsi piantati a terra da una sua mano e un
piccolo
rasengan, impossibile da essere visto dal pubblico, che brillava
nell’altro
mano libera alzata per colpirlo al viso.
“Che
cazzo
fai?!” ringhiò.
Obito
aveva
il fiatone, abbandonò la testa all’indietro sul
terreno scomposto e rilassò la
posa tesa, gli occhi chiusi.
“Sapevo
che
mi avresti fermato” ansimò arricciando le labbra
in un sorriso.
Quando
riaprì l’occhio Nozomi tornò a
specchiarsi sull’iride pece. Rilassò anche lui i
muscoli e dissolse il rasengan, ricambiò il sorriso
ridacchiando esasperato.
“Sei
un
idiota”.
“E
dei due
sono io quello intelligente” rise.
Lo
colpì
con un pugnetto scherzoso alla spalla. Qualsiasi cosa gli fosse presa,
era
passata. Era il solito Obito.
Dalla
tribuna d’onore, sentì il Sandaime annunciare la
fine dell’incontro.
Soooo, come
anticipato ecco il capitolo
di ben 7.400 parole xD
Prima di
tutto voglio fare un piccolo appunto: nel mondo shinobi esistono molte
tecniche
per “teletrasportarsi”.
La
più
usata è il shunshin, in italiano tradotta banalmente
“tecnica del teletrasporto”,
che posso usare tutti i ninja di capacità media. Non
è un vero è proprio
teletrasporto, ma un concentrare di chakra che rende così
veloci da dare l’illusione
di teletrasporto. Per capire, è quella che quando usano
fanno comparire
nuvolette/foglie hahaha
Poi
c’è l’hiraishin,
che se non ricordo male la traducono con “Tecnica del dio del
tuono volante”. È
quella che usa Minato che ha inventato Tobirama. Quando Nozomi usa
questa per
distinguerla dal shunshin uso il verbo dislocarsi (so che a volte
è tradotta
anche come dislocazione istantanea).
Poi
c’è
quella del Kamui che usa solo Obito.
Su
questa
nota, vi chiedo se serve che quando si presentano aggiunga annotazioni
sui
jutsu e le tecniche. Io scrivendo do per scontato che siano conosciute,
ma
magari possono confondervi quindi ditemi cosa preferite!
Altra
cosa,
poi la smetto giuro xD: il combattimento è stato troppo
noioso e dettagliato?
Ammetto che adoro le scene di azione, ma scriverle è sempre
molto difficile –
specialmente quando si parla dell’azione di Naruto. Il mio
intento è metterne
parecchie, anche per rispettare lo spirito del manga, ma nel caso
succhiassi
davvero tanto o fossero troppo noiose ditemi così le
ridimensiono :c
Okay ho
detto tutto, credo?
Spero vi
sia piaciuto! Vi ringrazio per le recensioni allo scorso capitolo,
siete dei
tesori <3 <3
Nel
prossimo (che sarà più breve) qualche
chiacchierata e… l’incipit di un momento
tanto atteso. Del resto Nozomi ha fatto esattamente quello che aveva
detto
Obito :)
Hatta
|
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Capitolo 8 *** I sospetti dell'Hokage ***
Capitolo 7
I sospetti dell’Hokage
«I
got your back if you got mine
One
foot in front of the other.»
(One Foot – Walk the moon).
Aveva
sentito il cuore agitato dal momento esatto in cui Obito e Kakashi si
erano
separati da Yamato e Nozomi nello scontro. Quando poi li aveva
chiaramente
visti scagliarsi l’uno sull’altro aveva capito cosa
stava per succedere e si
era detto che non c’era modo che Nozomi facesse in tempo a
fermarli, nessun shinobi
era così veloce.
Non era
mai
stato più sollevato di sbagliarsi come in quel momento.
I suoi
occhi acuti avevano riconosciuto la tecnica – hiraishin,
come sensei, come Minato – e aveva accolto con un
sospiro interno il modo in cui aveva separato i due e si era gettato
subito nel
fermare il compagno.
Saettò
gli
occhi su Tenzō, ancora frastornato dove lo aveva lanciato, poi Kakashi
steso di
schiena e infine Obito ancora inchiodato a terra da Nozomi.
La
partita
era chiusa.
Alzò
quindi
le dita facendo segno e un fischio lungo decretò la fine
dello scontro. La folla
sembrò quindi scongelarsi dalla stasi attonita in cui era
caduta nel momento
esatto in cui Nozomi aveva fermato i due ninja, ed eruppe in grida di
entusiasmo.
“Che
succede?” chiese Naruto con gli occhi ancora sul campo di
allenamento.
“Lo
scontro
è finito” spiegò paziente.
“E
chi ha
vinto?”
Sorrise
senza dare una risposta, in un modo misterioso che fece gonfiare le
guance al
bambino. Hiruzen si voltò quindi verso l’ANBU
rimasto in ombra per tutto il
tempo.
“Porteresti
il nostro piccolo Naruto nel mio ufficio?” chiese nella sua
tipica educazione
che celava un ordine.
Il
bambino
non sembrò molto felice di essere lasciato solo con
l’ANBU, ma non fece i
capricci e si avvicinò diffidente allo shinobi mascherato.
Hiruzen
enne
su il sorriso pacifico finché non furono fuori portata, al
che si voltò verso
Danzō. Aveva ancora lo sguardo corrucciato puntato sul campo di
allenamento,
dove Nozomi aveva cominciato a correre godendosi gli applausi. Che
comportamento curioso.
“Un
jutsu
d’acqua impressionante” lo distolse dai pensieri
Danzō.
“Un
utilizzo perfetto dei kage bushin” capì dove stava
andando a parare.
“E
sa
applicare l’hiraishin” completò, lo
sguardo sempre più socchiuso. Si voltò a
fissare Hiruzen. “Non ha lo stile di combattimento di sensei,
ma…”
Non
serviva
commentasse, era la stessa cosa che aveva provato lui nel vederlo
combattere.
“È
sorprendente” annuì fra sé.
“Per non parlare di Obito…”
“Sai
com’è
entrato in possesso di Mukoton?”
Hiruzen si
scambiò uno sguardo con Jiraiya. Il
sannin era rimasto in silenzio per tutto il tempo dello scambio di
quelle
battute, la sua disapprovazione era ovvio dalla piega imbronciata delle
labbra.
Sapeva che Jiraiya non aveva mai avuto grande simpatia per Danzō
– caratteri
troppo diversi – ma era la prima volta che manifestava una
tale diffidenza nei
suoi confronti.
“Più
tardi”
disse. “Te ne parlerò più tardi,
privatamente” promise.
Danzō
non
sembrava contento di rimandare l’incontro, avido di avere
finalmente le sue
risposte, ma doveva rendersi conto da solo che quello non era il
momento
adatto.
“Più
tardi”
concordò gelido e finalmente si diresse
all’uscita. Ma prima di prendere le
scale, si fermò a dire un’ultima cosa.
“Sono potenti”.
Si tolse
la
pipa dalle labbra. “Per questo meglio con noi, che contro di
noi”.
“Spero
che
la tua ingenuità non ci abbia portato delle spie in
casa”.
Jiraiya
si
rilassò solo quando il vecchio consigliere fu
definitivamente uscito e Hiruzen
non mancò di notarlo.
“C’è
un
motivo particolare per cui non ti fidi di lui?” chiese
osservando il tabacco
rimasto nella pipa.
“Sensazione”.
Fece una
smorfia. “Non agiamo in base alle sole sensazioni”
gli ricordò. “Non hai motivi
di sospettare di lui”.
Jiraiya
ronzò poco convinto, ma non aggiunse altro. Quindi
decretò il discorso chiuso e
sperò di avere migliore educazione dal proprio allievo in
futuro.
Lanciò
un
altro sguardo all’arena, osservando la curiosa situazione di
Nozomi ancora
intento a godersi i suoi applausi e Obito seduto
pacificamente su Kakashi.
“Direi
di
raggiungerli” considerò.
Obito
fissò
il cielo macchiato di nuvole per alcuni secondi, lo scrosciare degli
applausi
che gli arrivava come ovattato. Non gli importa molto di quel segno di
apprezzamento, ma Nozomi si era illuminato in viso non appena erano
iniziati.
Inclinò il viso per vederlo correre a destra e sinistra come
un galletto
bramoso di lode, sorridendo e ricambiando baci e saluti alla folla.
Scosse
la
testa e sospirò esasperato al suo comportamento infantile,
come se non fosse
mai stato adorato come un eroe nella sua linea temporale. Prima o poi
avrebbero
dovuto parlare di quella sua fame insaziabile di apprezzamento.
Si
alzò da
terra, spazzolandosi i vestiti maltrattati dal difficile scontro.
Individuò
Kakashi, ancora steso a terra come una stella marina e gli si
avvicinò
titubante. Non era svenuto, vero? Non lo aveva neanche sfiorato!
Si
rifiutò
di ammettere il sollievo quando vide i due occhi aperti e vigili, che
si
puntarono subito su di lui non appena fu in visuale.
“Che
cazzo?” ringhiò Kakashi, il petto che si alzava e
abbassava in affanno.
Obito
ignorò l’accusa e tese invece il braccio, le dita
piegate nel segno della
riconciliazione. Kakashi corrucciò le sopracciglia,
diffidente, ma dopo un
momento di esitazione alzò a sua volta il braccio. Rimase
però steso a terra,
cosa che gli fece inarcare le sopracciglia.
Una
forte
colorazione rossa si espanse da sotto la maschera.
“Ho
esaurito il chakra” ammise. “Non riesco a
muovermi”.
Obito
alzò
gli occhi al cielo e si morse con decisione il labbro per non ridere
esasperato. Si inginocchiò al suo fianco raggiungendo le
dita tese
agganciandole alle proprie.
“Le
tue
riserve fanno schifo come al solito” commentò
ricordando i loro tempi da genin.
Kakashi
lo
fissò offeso e curioso insieme. “Le tue sono
aumentate da far schifo” osservò a
sua volta.
“Ho
sempre
avuto più chakra di te” gli ricordò
divertito.
“Peccato
che non sapessi controllarlo” gli rinfacciò.
Ancora
una
volta fu difficile trattenere l’espressione divertita.
Kakashi aveva una grande
faccia tosta a provocarlo proprio mentre era in una situazione di
evidente
svantaggio, incapacitato com’era a muoversi. Volle
ricordarglielo, quindi
sciolse la presa delle loro dita e pensò bene di sedersi sul
suo stomaco.
“Ooouf!”
soffiò fuori l’aria per l’improvviso
peso e lo fissò sconvolto.
“Stai
buono, Bakakashi” ricambiò lo sguardo con
superiorità. “Non vorrai svenire”.
Kakashi
si
rassegnò e abbandonò la testa sul prato.
“Per la cronaca” iniziò, “non
mi hai
fatto il culo”.
Sogghignò
a
sua volta. “Neanche tu a me”.
Entrambi
si
voltarono a fissare l’Uzumaki, che ancora correva da una
parte e l’altra del
campo raccogliendo consensi e applausi. Silenziosamente concordarono
che era
stato lui.
“Quanta
resistenza ha?” si lagnò Kakashi.
“Non
puoi
nemmeno immaginarlo” borbottò Obito con un pizzico
di risentimento, anche se
stava pensando a un altro campo in cui la sua resistenza era
incredibile, ma in
quei casi era sempre molto piacevole.
Rimasero
a
fissarlo ancora qualche minuto, il tempo che Tenzō riemergesse da
dovunque Nozomi
lo aveva lanciato e osservasse intorno confuso.
Obito
non
stava guardando Kakashi quando disse: “Il
Mangekyo…”
“Nh?”
“Non
l’hai
usato”.
Ci fu un
lungo silenzio prima che Kakashi sospirasse. “Non lo uso
mai”.
Si
voltò a
fissare il suo viso confuso. Il vecchio compagno di squadra stava
guardando il
cielo, il volto sudato e i capelli più spettinati del solito.
“È
uno
scolo di chakra enorme” ammise. “Mi sto allenando,
ma anche solo per
utilizzarlo mi servono minuti per raccogliere il chakra necessario. In
battaglia non è pratico”.
Obito si
accigliò comprendendo il problema. Immaginava avesse
ragione, lui non aveva mai
avuto problemi a usarlo anche per le enormi scorte di chakra che gli
avevano
dato le cellule di Hashirama, senza contare la sua capacità
di guarigione quasi
istantanea che gli permetteva di non perdere la vista
nell’utilizzarlo senza
parsimonia.
“Ti
insegnerò” decise alla fine. Al sussulto sorpreso
dell’uomo sotto di lui si
voltò a guardare di nuovo Nozomi. “Solo usando
entrambi gli occhi si riesce a
sfruttare al massimo la potenza dello sharingan”.
Ci fu un
lungo silenzio da parte di Kakashi, poi chiese esitante:
“Rivuoi
il
tuo occhio?”
Era
titubante, ma era anche palese che se solo lo avesse chiesto lo avrebbe
restituito. Si trovò ad alzare ancora una volta lo sguardo
al cielo.
“No,
sto
solo dicendo che lavoreremo molto in coppia” disse stizzito
dal dover
sottolineare l’ovvio, “e non vorrei essere
trattenuto dalla tua incapacità di
usare il kamui”.
Sentì
Kakashi tremare in una risata, poi alzò il pugno per
colpirlo fiaccamente al
fianco.
“Sei
sempre
stato tu l’incapace che mi tratteneva”
borbottò.
“I
ruoli si
sono scambiati” canticchiò.
“Chissà,
magari potrò farti capire quanto è stato
fastidioso…”
“Sei
arrivato in ritardo per questo? Per vendetta contro i miei
ritardi?”
“Nah,
solo
abitudine” ammise spensierato.
Obito
gli
fece un gestaccio.
Furono
raggiunti da Tenzō che li fissò confuso, gli occhi rotondi
posati su Obito
seduto su Kakashi, ma sembrò decidere di non chiedere.
“Abbiamo
perso?” domandò invece.
“Su
tutti i
fronti” confermò Kakashi e scoppiò a
ridere con Obito.
Tenzō li
fissò ancora scombussolato, incerto se ridere o meno, ma
l’onere di scegliere
gli fu tolto da Nozomi che corse proprio verso di lui.
“Aaaah,
mi
dispiace così tanto” strepitò
afferrando l’utente Mokuton per le spalle, il
viso così vicino a lui che si ritrovò ad
arrossire.
“Eh?”
chiese.
“Non
volevo
lanciarti così forte” spiegò affranto.
“Non ti ho fatto male, vero? Scusami!”
Be’,
neanche Tenzō voleva essere lanciato, ma quello era uno scontro dove
cose del
genere erano permesse, quindi perché per il Saggio si stava
scusando?
Guardò
in
cerca di aiuto verso Kakashi, sperando che il senpai sapesse
suggerirgli come
reagire, ma il suo caposquadra aveva messo su un’espressione
imbronciata.
“E
io? Non ti
scusi per aver lanciato me?”
Nozomi
smise con suo sollievo di tenerlo per le spalle e fronteggiò
i due ninja a
terra.
“No!”
urlò
furioso. “Ringraziate che non vi abbia lanciato
più forte! Vi stavate per
ammazzare!”
Obito
arrossì sulle orecchie e distolse lo sguardo come se non
avesse sentito, invece
Kakashi – sforzandosi per non sembrare un genin sgridato
– si offese ancor di
più.
“Io
mi
stavo difendendo” protestò.
“È Obito che è impazzito”.
L’Uchiha
canticchiò spensierato ignorando l’accusa e lo
sguardo di Nozomi.
“Che
ti è
preso in testa?”
“Posso
spiegarlo io”.
Tutti i
ninja – tranne Obito che lo aveva visto arrivare –
sobbalzarono a sentire la
voce dell’Hokage. Tenzō si voltò prontamente per
fare un inchino, ma con un
sorriso educato il Sandaime gli fece capire che non era necessario.
“Voleva
uccidermi, Hogake-sama?” chiese quindi Kakashi.
“No,
ma
ammetto di averci pensato visto che non hai ancora consegnato il
rapporto della
tua ultima missione”.
“Oh,
avevo
incaricato il mio adorabile kohai…”
Sentendosi
chiamato in causa si irrigidì e lo fissò con gli
occhi grandi come piattini.
“Senpai!”
protestò. “Non è vero!”
“Kakashi”
rabbonì l’Hokage. “Aspetta al
caposquadra ANBU fare rapporto” gli ricordò.
“Certamente,
signore”.
Peccato
che
gli occhi discordanti e pigri si posarono su di lui e Tenzō
capì che anche
quella volta avrebbe dovuto imitare la sua scrittura e consegnarlo al
suo
posto. Non poté fare altro che sospirare rassegnato.
“Comunque,
perdona lo spavento Kakashi” riprese l’Hokage.
“Ma Obito ha agito su mio
ordine”.
Tenzō fu
felice di vedere che anche Nozomi e Kakashi sembravano molto confusi.
Solo
l’Uchiha continuava a mantenere un’espressione
distaccata, il suo sorriso era
scomparso nel momento esatto in cui era arrivato l’Hokage.
“Quindi
vuole davvero sbarazzarsi di me, signore?” chiese Kakashi non
abbastanza
preoccupato.
“Nulla
di
tutto ciò. Volevamo solo… testare
Nozomi”.
“Oh?”
chiese il diretto interessato sbattendo le palpebre e spostò
lo sguardo su
Jiraiya dietro l’Hokage, per chiedere migliori informazioni.
Il
Sandaime
sorrise al suo sguardo sperduto.
“Perdona
la
sorpresa, Nozomi-san. Volevamo assicurarci di come avresti reagito nel
vedere
Obito minacciare la vita di uno shinobi di Konoha”.
Nozomi
spalancò gli occhi azzurri, poi si guardò intorno
imbarazzato.
“Ho,
ehm, superato la prova?”
Gli
occhi
dell’Hokage brillarono. “A pieni voti”.
Fece una
pausa, dove osservò attentamente la loro situazione,
soffermandosi specialmente
su Kakashi.
Nel
mentre
nell’arena erano scesi anche altri ninja, in particolare i
capi clan. Tenzō riconobbe
il bambino prodigio della sua stessa squadra ANBU, Uchiha Itachi,
accanto a Uchiha
Fugaku. Aveva solo tredici anni, ma i suoi occhi seri erano
paragonabili a
quelli di un adulto. In quel momento fissavano con uno strano cipiglio
la
katana che Obito aveva gettato ai suoi piedi. Il proprietario se ne
accorse e,
senza cambiare espressione, fece brillare il suo occhio di vermiglio
mentre l’afferrava.
La katana fu aspirata in un vortice che la teletrasportò
nella sua dimensione.
Tenzō
pensò
che una tale tecnica fosse molto utile per trasportare oggetti.
A Obito
non
piaceva il modo in cui quel bambino troppo serio continuava a fissarlo.
Lo aveva
riconosciuto subito, ovviamente, il suo aspetto era molto simile a
quello di
Fugaku e non era cambiato molto dal loro primo incontro alcuni anni fa.
Ripensandoci, Obito si ricordò che aveva ucciso i suoi
adorabili compagni genin
proprio con quella katana. Si rifiutò di temere che lo
avesse riconosciuto,
all’epoca aveva ancora i capelli lunghi e la maschera di
Tobi, non aveva
nessuna prova per collegarli.1
La sua
attenzione tornò sull’Hokage, che aveva ripreso a
parlare dopo la sua attenta
valutazione.
“Credo
che
per il momento vi lascerò nelle mani dei nostri
dottori” considerò con il suo
tono paterno. “Appena ne avrete la possibilità,
qualora non presentasse lesioni
gravi…”, fece una lunga pausa, dove
fissò con un sorriso ironico Nozomi, che
appariva solo leggermente sudato e spettinato, “vi chiedo di
raggiungermi nel
mio ufficio. Termineremo questa formalità e vi
consegnerò i vostri moduli”.
“Possiamo
venire anche subito!” garantì Nozomi sprizzando
energia.
Obito
alzò
gli occhi al cielo, ma il Sandaime si limitò a volgergli un
sorriso
accondiscendente.
“Preferisco
che prima passiate un controllo in infermeria. Anche perché
vedo che il nostro
caro Kakashi ha terminato il chakra” aggiunse sorridendo un
po’ sadico al ninja
steso a terra.
“È
tutto
sotto controllo” garantì quello alzando fiacco un
pollice.
Esasperato,
il Sandaime fece un cenno con la testa agli infermieri rimasti
educatamente in
disparte. Obito si vide costretto a lasciare la sua sedia per
permettere loro
di sollevare Kakashi sulla barella, perciò si
spazzolò i vestiti impolverati e
si avvicinò a Nozomi.
“Non
ci
servono cure” ribadì più brusco e
diretto di quanto fosse stato il compagno.
“Solo
un
controllo per assicurarci che stiate davvero bene e farmi restare
tranquillo”.
Lo
guardò
di sbieco, non bevendosela per nulla. Sapeva perfettamente che quella
era una
scusa portata in atto solo per poter estrarre di nascosto alcune
cellule di
Hashirama da studiare. Un po’ si pentì di aver
usato il mokuton, ma Nozomi
aveva ragione: non poteva mostrare il potere completo del Mangekyo
visto quanto
ne aveva abusato nel suo periodo come Tobi, era una capacità
così particolare
che c’era il rischio lo riconoscessero come l’uomo
mascherato.
A quel
pensiero posò di nuovo gli occhi su Itachi. Si
stupì di vedere lo sharingan
attivo scandagliarlo dalla testa ai piedi.
Sotto
quello sguardo sospettoso fu quasi felice di seguire i dottori
all’infermeria.
“Hokage-sama,
permette una parola?”
Hiruzen
rivolse un sorriso accogliente mentre Hiashi Hyūga lo affiancava con
l’espressione
più seria e corrucciata del solito. Non era sorpreso avesse
assistito allo
sparring ed era certo che lo avesse fatto osservando ogni mossa degli
sfidanti
con il byakugan, perciò ascoltò attentamente
quello che aveva da dire.
“Il
flusso
di chakra dell’Uzumaki è…
insolito”.
Poteva
immaginarlo, considerando il suo clan e il fatto che sapesse usare le
arti
eremitiche, ma non disse nulla attendendo che continuasse.
“Mi
perdoni
Hokage-sama” riprese dopo un secondo di silenzio,
“non ho mai visto qualcosa
del genere e mi viene difficile spiegarlo. Apparentemente dentro il suo
flusso
esistono due chakra”.
Quello
catturò la sua attenzione. Conosceva solo un caso dove
qualcosa del genere
succedeva e se era la risposta giusta allora nella storia di Nozomi
c’era molto
di più di quanto gli avessero raccontato. Quasi rimpianse di
aver lasciato che
Jiraiya accompagnasse i due nuovi ninja in infermeria, sarebbe stato
curioso di
vedere la sua reazione alla rivelazione di Hiashi.
“Come
in un
Jinchūriki?” chiese dolcemente.
Era raro
vedere quel viso solitamente quieto accartocciarsi in una smorfia, ma
Hiashi
sembrò proprio fare un’espressione di pura
confusione.
“No,
non
proprio. Ho avuto modo di osservare quello di… del
Kyūbi” abbassò la voce, “e i
due chakra, quello dell’ospite e quello del demone, sono
sempre stati
strettamente separati. Il chakra del Kyūbi non circola nel flusso del
chakra
del suo ospitante”.
“In
Nozomi-san,
invece?”
“Sono
molto
uniti. Estranei tra loro ovviamente, ma non completamente separati e
questo
chakra estraneo fluisce liberamente in lui. Per fare un esempio,
è come se
qualcuno avesse mescolato olio e acqua nella stessa ciotola. Allo
stesso modo
proseguono uniti nello stesso flusso in armonia, ma sono distinguibili.
In un Jinchūriki
invece acqua e olio sono separati nella ciotola da qualcosa di
fisico”.
“Il
sigillo” meditò.
“Immagino
sia così” confermò umilmente.
Hiruzen
desiderò la sua pipa, perché quando fumava la sua
mente si schiariva e riusciva
a prendere con più leggerezza notizie del genere.
Non
disse
ad alta voce il suo sospetto, perché se fosse stato corretto
le conseguenze
potevano essere davvero pericolose. Se davvero Nozomi possedeva un Bijū
dentro
di lui e il chakra della bestia codata fluiva libero nel suo circolo,
significava che non aveva un sigillo contenitivo.
Significava
che poteva manifestarsi a piacimento.
“Purtroppo
non ho avuto modo di poterlo studiare meglio”
continuò Hiashi. “Durante lo
scontro non ha mai attinto dal chakra estraneo, usando solo il proprio,
e per
questo non posso avanzare ipotesi certe sul tipo di chakra”.
“Quindi
il
nostro amico potrebbe non essere un Jinchūriki”
capì. “Non sappiamo a chi o
cosa appartenga quel secondo chakra”.
Ormai
erano
arrivati al palazzo dell’Hokage. Estendendo appena i suoi
sensi poteva rendersi
conto che l’ANBU al quale aveva chiesto di badare a Naruto
stava velocemente
perdendo la pazienza. Sorrise fra sé al pensiero di quella
peste in grado di
far esasperare anche lo shinobi più addestrato.
Alla
luce
delle nuove informazioni, si chiese se continuare con il suo piano o
meno.
Obito aveva avuto ragione, Nozomi era stato veloce nel prendere le
difese di un
compagno. Ma poteva significare gran poco, visto che come straniero
doveva
mostrarsi meritevole di fiducia.
Ora
Hiruzen
sapeva che nascondeva qualcosa che poteva risultare potenzialmente
pericoloso e
il fatto che avesse contatti con Kiri, che avesse partecipato a un
colpo di
stato, lo rendeva ancor più sospettoso.
Spero che la tua
ingenuità non ci abbia portato delle
spie in casa,
ricordò le aspre parole di Danzō e in quel momento si
pentì
della velocità con cui aveva deciso di dargli fiducia.
Alzando
ancora gli occhi alle finestre ragionò che era ancora in
tempo, poteva
rimandare Naruto a casa e impedire si incontrasse con Nozomi,
così che restasse
ancora all’oscuro della presenza del parente.
La
minaccia
di Obito gli balenò nella mente e capì che non
poteva farlo. Se avesse ignorato
quell’ultimatum che gli aveva imposto lo avrebbe messo in
atto, rendendo tutto
molto più pericoloso. E del resto il fatto che
l’Uchiha fosse stato così
precipitoso nel fare una minaccia del genere poteva significare che non
avevano
nessun piano contro Konoha; se così fosse stato non si
sarebbe esposto in quel
modo tanto avventato.
Decise
velocemente come muoversi: sarebbe stato molto più cauto di
quanto inizialmente
meditato e avrebbe tenuto ancora separati i due Uzumaki, ma avrebbe
permesso a
Nozomi di venirne a conoscenza per quietare Obito come contentino.
Era
comunque
un azzardo, ma non aveva molta altra scelta.
Si
voltò
quindi verso Hiashi, rimasto educatamente in silenzio mentre attendeva
che
l’Hokage facesse le sue considerazioni.
“Vorrei
che
lei e i membri del suo clan monitoraste Uzumaki Nozomi, indagando su
questo
particolare chakra estraneo che sembra possedere”.
“Sì,
signore” annuì serioso.
“Licenziato”.
Con un
inchino formale, Hiashi si teletrasportò lontano.
Rimasto
solo, Hiruzen guardò le scale come se la sola idea di salire
nel palazzo lo
sfinisse.
La mia
pipa… pianse con la
consolazione che in
ufficio avrebbe avuto il tabacco per accenderla. Rimpianse il suo
periodo di
congedo, durato troppo poco per i suoi gusti. Si sentiva troppo vecchio
per
tutte quelle macchinazioni, doveva trovare il prima possibile un
successore che
non fosse Danzō.
֎
“Saremmo
potuti andare direttamente con l’Hokage”
lamentò Nozomi mentre il ninja che lo
stava monitorando confermava che fosse tutto okay.
Lo
stesso
era successo qualche minuto prima con Obito, appoggiato al muro in
attesa.
Seduto
su
un lettino mentre un’infermiera gli fasciava la testa, Yamato
li stava
guardando con un po’ di invidia. L’Uchiha non aveva
nemmeno sudato!
“La
procedura prevede questo, moccioso” lo richiamò
Jiraiya mettendogli una mano
sulla zazzera bionda. “Non lamentarti troppo”.
“Ma
adesso
possiamo andare?” chiese insofferente Obito.
Kakashi
gemette teatralmente dal suo lettino di ospedale. “Non
resterete al mio
capezzale?”
“Crepa”.
“Sei
diventato davvero cattivo”.
Nozomi
alzò
gli occhi al cielo e quando furono fuori dall’infermeria
spintonò indispettito
Obito.
“Perché
sei
così cattivo con Kakashi-sensei?”
protestò imbronciato.
“Abbassa
la
voce” disse Jiraiya osservandosi attorno preoccupato.
“Non puoi più chiamarlo
così”.
Obito
gli
lanciò appena un’occhiata.
“Perché dovrei essere gentile con la
spazzatura?”
“Ammettilo
che lo fai solo perché ti piace per una volta essere quello
distaccato.
Tsundere!”
Ghignò
all’arrossarsi delle guance del compagno e per tutta ripicca
Obito gli fece la
linguaccia.
Durante
la
strada molte persone si fermarono a fissarli, erano per lo
più shinobi di
Konoha che avevano assistito allo scontro. Nozomi erano abituato a
essere
fissato da sconosciuti, aveva dovuto farci l’abitudine da
bambino e diventando
un eroe aveva solo perfezionato la tecnica. Sorrise a ognuno di loro in
modo
smagliante, lasciando che fossero sempre gli altri ad abbassare lo
sguardo.
Obito sembrava molto
più schivo a quelle attenzioni
e la sua espressione si rilassò impercettibilmente solo
quando entrarono nel
palazzo dell’Hokage, lontano da occhi indiscreti.
Ma
arrivati
a quel punto fu il suo turno di corrucciarsi. Perché
c’era l’accenno appena
abbozzato di un chakra, qualcosa che poteva appartenere solo a un
bambino, che
gli era molto familiare. Senza
contare
la percezione di un ammasso di chakra oscuro e denso che sembrava
completarsi
con quello che scorreva dal suo ombelico.
C’era
solo
una persona che poteva corrispondere a entrambe le sensazioni.
Perciò guardò
Jiraiya in cerca di spiegazioni. Il vecchio sannin stava sorridendo con
soddisfazione, restando in silenzio alla ovvia domanda speranzosa che
aveva
nello sguardo.
Fu solo
quando arrivarono alla porta che si voltò a guardarlo.
“Hai
fatto
buona impressione” gli disse facendo l’occhiolino.
Poi
bussò e
aprì alla risposta affermativa.
La prima
cosa che Nozomi vide fu il bambino biondo.
Naruto
aveva deciso di passare il tempo disegnando, perciò aveva
preso le pergamene
dai cassetti e le varie stilografiche. Certo, l’ANBU aveva
cercato di fermarlo ma
aveva smesso nel momento esatto in cui si era reso conto che con i suoi
tentativi macchiava tutta la pregiata scrivania di inchiostro.
Così
aveva
continuato a disegnare come sarebbe stato da grande una volta diventato
un
ninja fantastico e rispettato da tutti e il più grande
Hokage della storia.
Jiji non
lo
aveva rimproverato per aver frugato tra le sue cose e pasticciato con
le
pergamene, a dir la verità sembrava molto preoccupato e
pensoso.
Naruto
fece
finta di niente per alcuni minuti, osservandolo attentamente di
sottecchi. Perché
le persone pensavano che lui fosse stupido ma in realtà
controllava sempre
l’umore degli adulti per capire se c’erano guai o
meno.
Quando
fu
abbastanza certo che non fosse arrabbiato, chiese:
“Perché
sono qui?”
In
realtà
non gli dispiaceva essere lì, così aveva la
possibilità di ambientarsi nel suo
futuro ufficio di controllo della città, ma c’era
sempre un motivo quando lo
teneva lì e solitamente non erano mai motivi belli. A meno
che non fosse lì per
informarlo che dopo aver visto quei ninja combattere si era reso conto
di
essere troppo vecchio per fare l’Hokage e volesse passargli
il cappello.
“Aspettiamo
delle persone”.
Fece una
smorfia preoccupata e riluttante, quella non era una buona risposta.
“Chi?”
insistette.
Ma non
ottenne risposta, perché qualcuno bussò alla
porta. All’improvviso preoccupato
per la strana sensazione che provava, come se qualcosa dentro il suo
ombelico
si stesse agitando, scese dalla sedia e aspettò. Qualcuno
sarebbe entrato e
quel qualcuno gli faceva battere forte il cuore ancora prima di vederlo.
La porta
si
aprì e per un momento a Naruto parve di guardarsi a uno
specchio che gli
restituiva la stessa espressione incredula e sorpresa. Solo che poi si
rese
conto che non poteva essere uno specchio, perché la persona
entrata nella
stanza era un adulto molto più alto di lui, non un bambino.
Ad
accompagnarlo c’era anche lo strambo vecchio che aveva fatto
compagnia a Jiji
durante lo scontro allo stadio e l’inquietante shinobi che lo
aveva difeso al
parco. Ma li notò appena, troppo concentrato a fissare con
tanto di occhi
quell’uomo che gli assomigliava così
tanto.
Naruto
non
era stupido. Tutti dicevano il contrario, ma non lo era ed era in grado
di
collegare i puntini e capire. C’era solo un caso in cui
bambini e adulti si
assomigliavano così tanto, lo vedeva alla fine di ogni
lezione all’Accademia
quando si tornava a casa, e pensarci gli fece battere forte il cuore di
speranza.
“Papà?”
Aaaaaaaaaaa
Chiedo
venia per il lunghissimo ritardo. Ma Giugno è un mese
infernale per via della
sessione estiva T_T Poi ho avuto affari da vita privata da
sbrigare… Quindi
eccomi qui, a rimediare con un nuovo capitolo çwç
Purtroppo è solo di
passaggio, il primo e vero incontro con il piccolo Naruto è
nel prossimo. Non
siete emozionati? Spero di sì!
Comunque
gli aggiornamenti torneranno regolari, probabilmente ogni dieci giorni
v.v
quindi non temete, la time travel che nessuno voleva è
tornata!!!
Grazie
per
la pazienza e le recensioni lasciate allo scorso capitolo. Spero che
anche questo
vi sia piaciuto!
1.
Nei
romanzi di Itachi (materiale non canonico) viene detto che Itachi
risveglia lo
sharingan a sei/sette anni da genin, durante una missione finita male.
Il loro
compito era scortare il Daimyo del Fuoco, quando una figura mascherata
e con lo
sharingan (Tobi) è sbucata dal nulla per uccidere il Daimyo.
L’uomo sembrava
essere intangibile ai colpi e durante il piccolo combattimento uccise
con una
katana uno dei compagni di squadra di Itachi, evento che lo sconvolse
al punto
di risvegliare lo sharingan. Tobi non riuscì a uccidere il
Daimyo perché
avvertì l’avvicinarsi di una squadra ANBU, ma
l’evento rimase ovviamente
impresso su Itachi. Che ovviamente vedendolo combattere con quella
katana si è
subito insospettito. E questo è il motivo per cui Obito non
usa tutto il potere
del kamui.
|
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Capitolo 9 *** Uzumaki Naruto!! ***
Capitolo 8
Uzumaki Naruto!!
«I
do whatever it takes
'Cause
I love how it feels when I break the
chains»
(Whatever it takes –
Image Dragons)
“Papà?”
Fu la
piccola domanda appena accennata, detta con voce troppo speranzosa ed
esitante,
a farlo precipitare di nuovo nella situazione in cui si trovava.
Era
così
alienante trovarsi davanti a se stesso di molti anni più
giovane, vedersi e
rendersi davvero conto che questa
era
un’altra realtà. Rivedere Jiji, Jiraiya o il
piccolo Sasuke non era nemmeno
lontanamente paragonabile all’estraneità che
provava nel vedersi. Il piccolo
Naruto – il legittimo Naruto di questa timeline
– lo fece sentire un intruso, intrappolato in un posto
illegittimo, prigioniero
di qualcosa di sconfinato quanto il cielo.
Almeno
non
dovette simulare la confusione che sentiva e gli faceva battere
furiosamente il
cuore.
Nozomi
guardò la stanza, posando prima gli occhi
sull’Hokage, poi su Jiraiya e infine
di nuovo su Naruto.
“Cosa?”
domandò, anche se la vera domanda che aveva nella punta
della lingua era: di già?
Era
troppo
presto, non aveva previsto che il Sandaime lo presentasse a Naruto così presto, solo dopo due
giorni di
permanenza a Konoha. Si era aspettato dovessero passare settimane, se
non mesi,
prima anche solo gliene parlasse; di dover completare missioni,
dimostrarsi
meritevole di fiducia.
Fiducia.
Gli
tornò
in mente quello che era successo poco prima nell’arena, il
presunto test a cui
l’Hokage l’aveva posto insieme a Obito.
Ricordò anche che Obito aveva
minacciato di rapire Naruto.
Oh.
Prima
che
potesse dire qualcosa, il Sandaime si fece avanti.
“No,
Naruto-kun,” disse dolcemente,
“quest’uomo non è tuo padre”.
Si
sentì
male per la delusione che vide rompersi negli enormi e chiarissimi
occhi
azzurri.
“È
tuo zio,
Uzumaki Nozomi”.
Gli
occhi
del bambino si illuminarono di nuovo, questa volta di
incredulità. Nozomi
sapeva perfettamente cosa stava pensando in quel momento la sua
controparte più
giovane.
Famiglia.
Provò
un
senso di vertigine nel rendersi davvero conto che questo Naruto poteva
avere
una famiglia.
Si
riscosse, rendendosi conto che non poteva continuare a fissare il
bambino in
quel modo sorpreso. Appuntò quindi sul proprio volto il
sorriso più accogliente
del suo repertorio e si accucciò alla sua altezza.
C’erano molte cose che
voleva fare con lui, portarlo a mangiare ramen, accompagnarlo a scuola,
preparargli il bento e la merenda, spingere la sua altalena, giocare ai
ninja…
tutte cose che non aveva mai avuto. Questo Naruto poteva averle! Gliele
avrebbe
date tutte.
Ma prima
doveva portare avanti la messinscena.
“Ciao,
come
ti chiami?”
Non
capiva
perché si sentisse nervoso, stava parlando con se stesso del
resto, non poteva
sbagliare perché sapeva cosa doveva dire per non rendersi
antipatico.
Ricevette
un’occhiata
ancora meravigliata e incerta, come se il bambino temesse di vederlo
sparire in
fumo per rivelare uno scherzo.
“Uzumaki
Naruto” rivelò, poi aggrottò la fronte.
“Sei davvero mio zio?”
“Sono
il
fratello minore di Minato” spiegò non sapendo
esattamente come muoversi.
In quel
momento Naruto non sapeva nulla dei suoi genitori, non sapeva che suo
padre
fosse proprio lo Yondaime, non sapeva di sua madre e ancor meno sapeva
del
Kyūbi. Doveva stare attento a quello che diceva.
“Minato
è
il mio papà?” chiese infatti il bambino con
curiosità.
Hiruzen
intervenne prima che potesse dare una risposta e dicesse troppo.
“Era tuo padre” corresse.
“Come sai è
morto, Naruto-kun”.
Ci fu
una
piccola luce di sofferenza negli occhi blu del bambino e Nozomi
ricordò tutte
le volte che con poco tatto lo stesso uomo gli aveva ricordato che era
inutile
parlare dei morti ogni volta che tentava di chiedergli qualcosa dei
suoi
genitori. Sentì qualcosa ruggire nello stomaco e il senso di
protezione verso
quel piccolo sé aumentare vertiginosamente, soppiantando il
senso di
alienazione.
“Quindi
aveva un figlio…” mormorò per
continuare nella loro recita. “Non lo sapevo”.
“Di
questo
ne parleremo più tardi” intervenne il Sandaime
lanciandogli uno sguardo
d’intesa.
Naruto
continuava a guardarlo titubante, la fronte increspata e gli occhi
socchiusi
come se si stesse concentrando troppo.
“Dove
sei
stato?” chiese e c’era un piccolo tono di accusa
nella sua voce.
Perché
non eri qui con me?
Fu
ancora
una volta il Sandaime a rispondere.
“Nozomi
ha
vissuto solo fuori da Konoha per molti anni, non eravamo a conoscenza
della sua
esistenza. È arrivato qui solo due giorni fa”.
Gli
occhi
di Naruto si sgranarono ancor di più e si spostarono anche
su Obito.
“Voi
siete
i ninja fortissimi che stavano combattendo prima!” li
riconobbe con
eccitazione, le guance che avvamparono.
“Esatto,
monello!” garantì ricambiando lo stesso sorrisone
incredulo. “Ci hai visti
quindi?”
“Assolutamente
sì!” esclamò alzando le mani a pugno.
“Ne, ne, anche io diventerò un ninja
fortissimo!”
“Ne
sono
sicuro, dattebayo!”
Ci fu un
lunghissimo silenzio, in cui sembrò che tutti trattenessero
il fiato e Nozomi
poté distintamente sentire le maledizioni di Obito contro di
lui.
Oh-oh,
pensò mentre nella sua testa
veniva ripetuta l’istruzione di non usare
quell’esclamazione troppo specifica e
distintiva con altri.
Naruto
allargò sempre di più gli occhi, stupefatto.
“Anch’io
dico dattebayo,
dattebayo!” sussurrò
incredulo.
Colse la
palla al balzo nel tentativo di correggere il proprio errore.
“Davvero?
Giura, dattebayo!”
“Giuro,
dattebayo!” scalpicciò sembrando offeso di non
essere creduto subito.
“Lo
hai
detto davvero, dattebayo!”
“Certo
che
lo dico, dattebayo!”
“Dattebayo!”
Fortunatamente
furono interrotti prima che la situazione degenerasse, con buona pace
di Obito
che sembrava pronto a gettarsi dalla finestra a un altro dattebayo.
L’interruzione
si manifestò con un bussare cortese alla porta, che Hiruzen
colse all’istante.
“Entra
pure”.
Di tutte
le
persone che Nozomi poteva immaginare, sull’uscio vide
l’ultima che si sarebbe
aspettato: Iruka-sensei. Ed era così giovane…
perfino più giovane di lui.
“Mi
ha
convocato, Hokage-sama?” chiese con il solito tono educato
che lo
contraddistingueva, ma con gli occhi ansiosi davanti alla presenza
degli altri
shinobi.
“Oh,
Iruka”
lo salutò caloroso il vecchio. “Eccoti qui.
Saresti così gentile da riaccompagnare
Naruto-kun a lezione?”
Quella
richiesta lasciò sorpreso Nozomi, che ebbe quasi
l’istinto di allungare le mani
e trattenere quella piccola versione di sé. Si erano appena
incontrati ed era
durato troppo poco, perché li stava già
allontanando?
Anche
Naruto sembrò rimanerci male a quella scoperta.
“Non
posso
restare qui?” piagnucolò testardo.
La
ripresa
venne veloce da Iruka, ormai temprato dall’Accademia.
“Non
disobbedire all’Hokage. E quante volte ti ho detto di non
saltare le lezioni
per venire a disturbarlo?!”
“Avevo invitato io
Naruto-kun qui” disse
velocemente il Sandaime. “Ma ora può tornare ai
suoi doveri”.
“No,
io…”
provò a resistere il bambino, ma lo vide ingoiare la
protesta davanti
all’occhiata gelida del maestro.
Nozomi
provò a intervenire, sperando di riuscire a guadagnare
più tempo insieme.
“Può
aspettarci fuori e poi possiamo andare a casa insieme?”
propose.
Se
Naruto
sorrise al settimo cielo alla prospettiva, gli occhi
dell’Hokage brillarono
pericolosamente. Si ritrovò a essere trafitto da uno sguardo
fortemente
sospettoso e cauto, era la prima volta che lo guardava così
da quando era
tornato a Konoha e ne rimase senza fiato. Troppo tardi si rese conto di
aver
fatto un passo falso. Ma soprattutto il suo cuore si
appesantì nel rendersi
conto che l’Hokage non aveva nessuna intenzione di dargli
Naruto, non avrebbe
permesso che vivessero insieme.
Avrebbe
lasciato Naruto da solo, ancora una volta.
Ingoiò
il
nodo alla gola, cercando di cacciare lontano le emozioni negative.
“Vorrei
conoscere la mia famiglia” disse.
E quello
sembrò ammorbidire almeno in parte l’espressione
gelida.
“Dobbiamo
discutere del vostro scontro e di altre faccende, cose non adatte a un
bambino”.
Naruto
corrugò la fronte e protestò: “Non sono
un bambino! Sono grande e diventerò
Hokage, stupido vecchiaccio!”
“Naruto!”
tuonò Iruka, il tono da insegnante
che era sempre riuscito a farlo tacere nell’infanzia e anche
in quel momento
Nozomi ebbe l’istinto di mordersi la lingua.
“Modera il tuo linguaggio e porta
rispetto, stai parlando con l’Hokage. Per questo ti sei
appena meritato una
punizione!”
Il
bambino
sgranò gli occhi, ferito, ma non mollò la presa.
“Non
è
giusto! Voglio restare!” gridò stringendo i
pugnetti.
A questo
punto perfino Obito intervenne.
“Per
quello
che dobbiamo dirci può restare benissimo” fece
notare. “E non vedo per quale
motivo dopo non dovrebbe venire a casa con suo zio” aggiunse
in un basso
ringhio.
Nozomi
rabbrividì, percependo l’energia del chakra che il
compagno stava facendo scorrere
sotto la pelle, una chiara minaccia che mise subito in allarme
l’Hokage. Portò
la mano sotto la sua scrivania, vicino al sigillo che avrebbe attivato
l’allarme ANBU per ogni evenienza, ma mantenne lo sguardo
fisso sui due
shinobi.
“Ne
discuteremo non appena Naruto sarà uscito”
ordinò.
Gli
occhi
azzurri del bambino si fecero umidi, il suo corpo sembrava troppo
piccolo in
mezzo a tutti quegli adulti tesi. L’unico che manteneva la
calma era Jiraiya,
ma sapeva bene che si trattava solo apparenza, e se la tensione fosse
scoppiata, Nozomi non aveva idea cosa avrebbe fatto, con chi si sarebbe
schierato. Inoltre non potevano far saltare tutto subito, non potevano
permettersi di essere braccati da Konoha. Il Clan Uchiha aveva bisogno
di loro,
Sasuke e Itachi avevano bisogno di lui, per non parlare dello stesso
Naruto, o
di Sai e gli altri bambini in ROOT.
Avevano
una
missione da compiere.
“Va
bene”
sussurrò, arrendendosi.
Naruto
sgranò gli occhi, tradito. “No! Non va
bene!”
Nozomi
provò un dolore sordo al petto nel vedere
l’espressione che fece il piccolo
Naruto, nel percepire le forti emozioni negative che Iruka stava
provando nei
confronti del bambino.
“Naruto,
un’altra parola e saranno guai!”
Faceva
male.
Faceva
male
ricordare che anche Iruka all’inizio lo aveva guardato in
quel modo.
Ingoiò
l’amaro,
tentando di rendere il tutto più facile. Mise una mano sulla
testolina di
Naruto, che sembrò congelarsi a quel gesto e lo
guardò con gli occhi sgranati, l’espressione
di chi aveva fame di gesti
d’affetto.
“Vai
a lezione”
lo spronò. “Devi studiare se vuoi diventare un
ninja fortissimo, ‘tebayo! Poi
mi mostrerai i tuoi progressi, va bene?”
Avrebbe
fatto tutto il possibile perché il Sandaime glielo
affidasse, per diventare la
sua famiglia. Lo avrebbe aiutato e spronato, gli avrebbe dato tutto
l’affetto che
aveva necessitato da bambino e nessuno gli aveva mai concesso. Lo
avrebbe
aiutato a studiare, allenato, reso più forte di quanto era a
quell’età. Se
poteva migliorare il futuro, allora avrebbe migliorato anche se stesso,
rendendosi un bambino amato e con una famiglia.
Per
questo
doveva fare in modo che il Sandaime si fidasse di lui.
Naruto
lo
guardò con occhi acquosi.
“Ti
rivedrò?” domandò, con
l’evidente terrore che sparisse.
“Ovviamente!
Tutte le volte che vuoi” garantì con un sorriso
smagliante. “È una promessa e
io non vengo mai meno alla mia parola!”
Il
bambino
tirò su con il naso, apparentemente rassicurato, e si fece
coraggio per
allontanarsi da lui e raggiungere Iruka. Il maestro non lo
toccò, lasciò una
certa distanza tra loro; si piegò invece in un inchino
educato verso i ninja.
“Mi
dispiace per questa interruzione”.
“Nessun
problema” garantì il Sandaime visibilmente
tranquillizzato e con un ultimo
commiato i due si allontanarono.
Nozomi
fece
una smorfia quando la porta venne chiusa, lasciando solo
un’ultima impressione
dello sguardo supplicante del bambino, dopodiché
tornò a guardare il Sandaime.
Tutti sembravano in attesa che dicesse qualcosa.
“Se
avessi
saputo di lui” disse quindi Nozomi un po’
malinconico, “sarei venuto qui fin da
subito”.
Hiruzen
fece un sorriso di circostanza.
“L’esistenza
di Naruto è segreta, le sue stesse origini sono conosciute
solo da pochi e
fidati shinobi”.
Nozomi
annuì comprensivo. “Immagino che
l’eredità di mio fratello fosse difficile da
gestire”.
“Immagini
giusto. Abbiamo fatto il possibile perché i numerosi nemici
del Flash Giallo di
Konoha non sapessero nulla della sua esistenza”. Fece una
lunga pausa,
lasciando che si caricasse di serietà, come a far capire che
ciò che stava per
aggiungere era qualcosa di altrettanto, se non più, segreto.
“Egli è inoltre il
Kyūbi no Jinchūriki”.
Decisamente
non si aspettava che si fidasse di lui già così
tanto da rivelare anche questo
fondamentale dettaglio. Non sapendo come reagire si azzardò
a lanciare uno
sguardo a Obito, in cerca di sostegno. Il Sandaime lo
intercettò subito.
“Non
ne
sembri sorpreso”.
Decise
di
andare a braccio, sperando nella fortuna.
“Sono
una
specie di sensore e mi sono accorto che Naruto aveva troppo chakra
anche per un
bambino Uzumaki” spiegò. “Senza contare
che solitamente gli Uzumaki sono ideali
come contenitori dei Bijū e si sa che il nono Bijū appartiene a Konoha,
perciò
è stato facile da indovinare”.
Hiruzen
accettò la sua spiegazione con un cenno affermativo del
capo. Prese la propria
pipa e la fissò per qualche secondo, come se stesse cercando
le parole adatte
con cui iniziare.
“La
madre
di Naruto, Uzumaki Kushina, era la precedente Jinchūriki. Quasi otto
anni fa, durante
il parto, si verificò l’incidente… a
quanto pare causato da Madara… e la volpe
sfuggì al suo controllo. Lei e Minato dovettero sacrificare
le loro vite per
fermarla e la sigillarono nel corpo del figlio nato quella stessa
notte. Questo
è un segreto di livello S, conosciuto da pochi shinobi, e
come tale non dovrà
uscire da questa stanza. È assolutamente vietato parlare di
questo e, ancor di
più, riferirlo a Uzumaki Naruto!” concluse
imperioso. “Ti sto dando grande
fiducia a dirtelo, Uzumaki Nozomi, spero che tu ne sia
consapevole”.
Nozomi
imitò
un piccolo inchino.
“Comprendo.
Ti ringrazio per la fiducia” disse seriamente.
Dovette
essere la risposta giusta, perché Hiruzen sorrise e
addolcì lo sguardo.
Nonostante ciò le parole successivi non suonarono meno dure
e amare.
“Per
questi
motivi, ti chiedo di non cercare Naruto”.
Sbatté
le
palpebre sorpreso, era l’ultima cosa che si aspettava di
sentire dopo
quell’incontro, anche se avrebbe dovuto immaginarlo. Troppo
incredulo per
rispondere fu Obito a fare un passo avanti.
“Come
sarebbe a dire?”
Hiruzen
guardò entrambi seriamente, il viso impassibile e duro come
la pietra.
“Naruto
è
una persona preziosa per questo villaggio e la sua sicurezza ha la
primaria
importanza. Finché non potremo fidarci totalmente di voi,
non posso
affidarvelo”.
Obito
fece
per protestare, ma le parole sfumarono in un ringhio appena accennato
quando
imperiosamente Hiruzen alzò una mano a zittirlo. Era un uomo
anziano,
dall’aspetto fragile, ma era ancora il Sandaime Hokage, il
Dio degli Shinobi,
il Professore: se desiderava il suo aspetto poteva incutere timore e
obbedienza
con un solo gesto.
“Obito,
l’unico motivo per cui non sei stato segnalato come nukenin
è che ti credevamo
morto, ma è quello che sei stato per tutti questi anni: un
disertore che ha
abbandonato il suo villaggio”.
“Voi…”
“Comprendo
le tue rimostranze e che non siamo stati in grado di mantenere la tua
fiducia.
Ma erano tempi di guerra e tu sei uno shinobi, al di là di
tutto dovevi
tornare. Sei stato un nukenin e io avrei dovuto arrestarti per il tuo
tradimento”.
“Vuole
provare?” lo sfidò oscurando il tono.
Il
Sandime
lo guardò indispettito.
“Non
l’ho
fatto e non lo farò” rispose. “Sei
tornato, è ciò che conta. Ma visto quello
che è successo e il tuo comportamento fino a questo momento,
capirai la
mancanza di fiducia. Dovrai dimostrare di essere davvero
ancora un ninja di Konoha perché ti affida Uzumaki
Naruto”.
Si voltò verso Nozomi. “Per quanto riguarda
te… ci sono ancora molte cose sul
tuo passato che non mi sono chiare. Jiraiya garantisce per te e io mi
fido di
lui, perciò ho deciso di accoglierti nel Villaggio. Ma
finché non saprò chi
sei, sarai sotto osservazione e in prova, la tua libertà di
muoverti per Konoha
sarà limitata. Sai che qui potresti avere una famiglia, il
piccolo Naruto
potrebbe diventarlo, ma perché ciò accada dovrai
essere perfettamente onesto
con me. Perciò te lo chiedo: se c’è
qualcosa che vuoi dirmi, qualcosa che nel
nostro primo incontro hai tenuto nascosto, questo è un buon
momento per
parlare. Siamo solo noi nella stanza, nessun altro al di fuori di me e
Jiraiya
ne verrà a conoscenza. Hai la mia parola”.
Nozomi esitò e si
morse l’interno della
guancia. Quelle parole lo preoccuparono e non seppe cosa fare. Da come
parlava,
il Sandaime sembrava aver capito qualcosa e questo lo
allarmò. Era meglio che
non sapesse nulla del suo viaggio dal futuro, Hiruzen in questo momento
era
troppo influenzato da Danzo e temeva le conseguenze se si fosse
confidato con
il suo consigliere. Prima di potergli rivelare la verità,
Danzo andava
sistemato e reso inoffensivo.
Aveva
detto
qualcosa che li aveva traditi? Durante il combattimento aveva usato per
sbaglio
il chakra di Kurama?
No, lo
rassicurò la volpe nella sua mente, niente
del genere, sei stato attento. Deve
essere altro.
Contrasse
l’espressione. Kurama aveva ragione, era impossibile che
avesse capito
qualcosa: l’opzione del viaggio del tempo era così
assurda che nessuno gli
credeva nemmeno quando lo diceva. Era impossibile che jiji lo avesse
riconosciuto.
Chiuse
gli
occhi e scosse la testa.
“Ho
già
detto tutto, Hokage-sama. Non c’è altro di
importante, potete stare
tranquillo”.
Una
smorfia
passò sul viso stropicciato dalle rughe. Era evidente che
non gli credeva,
Nozomi si chiese perché improvvisamente si fosse impuntato
così tanto, quando
fino a quel momento si era mostrato benevole e fiducioso nei suoi
confronti.
Che cosa era cambiato da renderlo sospettoso tutto d’un
tratto?
“Va
bene,
capisco” disse il vecchio Hokage. “Del resto le
analisi del sangue
confermeranno o meno la tua genealogia”.
Si
bloccò
di colpo, accorgendosi del rossore diffusosi sul volto di Nozomi.
Quella
reazione lo fece preoccupare e capì di non essersi sbagliato
quando il giovane
rispose.
“In
realtà…
non mi sono sottoposto all’estrazione del sangue”
ammise. “Non ci siamo”
corresse poi, spostando gli occhi su Obito.
La pipa
quasi rischiò di cadergli dalle labbra a quella rivelazione.
Aveva contato
proprio sulla visita medica dopo lo scontro per potersi assicurare che
Nozomi
fosse davvero un Uzumaki e non un impostore. Guardò quindi
Jiraiya, incredulo
che glielo avesse permesso… che i medici lo avessero
permesso dopo che aveva
dato chiare istruzioni.
Ma il
Sannin si strinse nelle spalle.
“Si
sono
entrambi appellati al codice medico istituito da Nidaime Hokage al
terzo anno
di reggenza, quarta legge del secondo paragrafo”
citò.
Inarcò
le
sopracciglia, non aspettandosi quella mossa così astuta.
Tobirama-sensei lo
aveva creato per riuscire a regolare le visite mediche, dal momento che
all’inizio di Konoha nessun shinobi di un clan o con un
kekkei genkai si
sottoponeva all’assistenza medica, temendo che i medici
potesse carpire i
segreti nel loro corpo. Per colpa di ciò molti shinobi non
avevano ricevuto
cure adeguate ed erano morti. Tobirama aveva allora fatto in modo che
ci fossero
almeno cinque medici rappresentanti di ogni grande Clan, che si
sarebbero presi
cura dei propri parenti così da non rubare i segreti del
Clan. Con il tempo e
l’unità di Konoha che diventava sempre
più stretta, i clan si erano fusi tra
loro e la segretezza in alcuni casi era stata anche abbandonata,
perciò questa
esigenza venne messa in secondo piano e molti ninja cominciarono a
lasciarsi
visitare anche senza i garanti del Clan. Al momento solo gli Uchiha,
gli Hyūga
e gli Aburame applicavano sempre e fedelmente la quarta legge e se
n’era quasi
dimenticato. Questo era un impiccio, perché non esistevano
altri shinobi
Uzumaki che potessero visitare Nozomi, perciò appellandosi a
quella legge
semplicemente faceva capire che avrebbe gestito da solo la propria cura
e non
avrebbe permesso a nessuno di conoscere i segreti che custodiva nel suo
corpo.
Per quanto riguardava Obito…
“C’era
un
medico Uchiha,” disse duramente, “perché
non hai lasciato ti visitasse?”
Obito
fece
un sorrisetto supponente e alzò il mento con sfida.
“Legge
4.1:
se lo shinobi presenta lesioni pari o
minori del primo grado, può rifiutare la cura medica”
citò senza
abbandonare il fastidioso sorrisetto. “La visita preliminare
mi ha dato un
grado zero, quindi…”
Hiruzen
fumò il suo fastidio attraverso al pipa. Doveva ammettere di
avere le mani
legate, la legge che in quanto Hokage proteggeva in questo caso era
contro di
lui.
Rimase
in
silenzio, cercando di capire come poteva muoversi. Tornò a
guardare Nozomi,
lasciando che si vedesse quanto quel loro rifiuto lo seccasse.
“Questo
non
aiuta la tua causa” gli fece notare. “È
un atteggiamento sospetto”.
“Perciò
mi
costringerete?” domandò accigliandosi.
“No”
assicurò suo malgrado, la legge era pur sempre la legge.
“Ma come dicevo, sarà
più difficile per me fidarmi di te. Questo significa che
anche l’ipotetica
custodia di Naruto potrebbe essere ripensata”.
Fu un
colpo
al cuore per Nozomi. Sapeva a cosa stava andando incontro quando lo
aveva
deciso, ma sentirlo dire era comunque sgradevole, soprattutto ora che
aveva
potuto vedere Naruto. Era… ingiusto, proprio come aveva
detto il sé passato.
Ma non
poteva farlo. Nessuno sapeva cosa sarebbe risultato dalle sue analisi
del
sangue, c’era il rischio che si accorgessero che il suo dna
era uguale a quello
di Naruto… e a quel punto avrebbe dovuto spiegare tutto.
“Capisco”
disse quindi, cercando di mantenere lo sguardo fisso e la voce ferma.
Hiruzen
fece una smorfia, forse si aspettava che dopo quel ricatto rivedesse la
sua
posizione. Sospirò stancamente, staccando la pipa dalla
bocca.
“Quindi
c’è
qualcosa dentro di te che stai nascondendo” disse rassegnato.
Nozomi
socchiuse
gli occhi, senza rendersene conto il suo corpo si era teso. Dentro di
sé non
poteva evitare di pensare che in realtà era stato
l’uomo davanti a lui a
nascondergli cosa aveva dentro di sé per più
della metà della sua vita. Aveva
dodici fottuti anni quando aveva dovuto farci i conti, solo
perché un traditore
aveva tradito il segreto. Una parte di lui non voleva sapere quanto
ancora,
altrimenti, glielo avrebbe tenuto nascosto.
Prese un
lungo sospiro. “Sto solo proteggendo i segreti del mio Clan.
Sono l’ultimo a
conoscerli e ho il dovere di
farlo”.
Hiruzen
si
oscurò. “Uzushio e Konoha sono alleati”
ricordò.
Nozomi
scattò prima che se ne rendesse conto. “Erano.
Visto che voi avete fatto davvero un pessimo lavoro e avete lasciato
venisse
distrutta” sputò.
Nella
sala
calò il silenzio e solo in quel momento si accorse di aver
alzato il tono della
voce, di essersi inasprito. Hiruzen lo guardava con una leggera colpa
che
velava i suoi occhi, non solo: anche Jiraiya sembrava stupito da quello
scatto.
Cercò
di
ricomporsi, deglutì e strinse i pugni per fermare il tremito
delle mani.
“Non
sono
l’unico a dover dimostrarsi degno di fiducia” disse
allora, guardò l’Hokage.
“Prima di condividere qualsiasi segreto, devo sapere che non
ci tradirai
ancora”.
Ormai
non
stava più recitando, se ne rese conto subito. Anche se stava
usando il pretesto
di Uzushio, quelle parole le intendeva davvero. Certo, la sua
diffidenza non
derivava da un’alleanza infranta, ma da tutto quello che jiji
gli aveva sempre
nascosto su Konoha. Hiruzen lo aveva tradito nascondendogli la
verità su tante
cose, sulla sua nascita per cominciare, ma anche sul Clan Uchiha.
Sasuke non
era stato l’unico a sentirsi tradito nello scoprirlo, anche
Nozomi si era visto
il mondo crollargli addosso. Aveva dovuto affacciarsi con il marciume
del suo
villaggio, con le sue conseguenze, quando aveva sempre vissuto nella
bolla di
una Konoha perfetta.
Non era
perfetta.
Hiruzen aveva permesso troppe cose di accadere.
Nozomi
non
voleva essere tradito ancora.
Il
Sandaime
sospirò, riconoscendo una verità nelle sue
parole.
“Capisco”
disse. “Non insisterò” promise.
Nozomi
emise un sospiro, sollevato almeno in parte che l’Hokage
avesse mollato la
presa su almeno una cosa. Rimase però
sull’attenti, cercando di capire quale
sarebbe stata la sua prossima mossa. Hiruzen tacque per qualche
secondo, poi la
sua espressione cambiò di colpo, passando da preoccupata a
gioviale. Gli
rivolse un sorriso mentre tirava fuori dei sigilli e li appoggiava
sulla
scrivania.
“Dunque,
avete dimostrato il vostro valore. Direi che il grado Jōnin
è più che meritato”
osservò. “Avete sfoggiato tecniche più
che interessanti, che hanno colpito molti
di noi. Potrei farvi alcune domande a riguardo?”
Nozomi
si
scambiò uno sguardo con Obito, scrollando le spalle. Avevano
preparato una
risposta per ognuna delle tecniche che avevano mostrato, quindi non
dovevano
temere nulla. Infatti anche l’Uchiha annuì, senza
però abbandonare la piega
seccata delle labbra. Evidentemente ce l’aveva ancora con
l’Hokage per la
faccenda di Naruto.
“Dunque,
partiamo da te, Obito…”
“Posso
usare il Mokuton, sì”, lo precedette alzando agli
occhi al cielo, “grazie alle
cellule di Hashirama impiantate dentro di me. Come ho detto,
metà del mio corpo
è composto da corpo di un clone di Hashirama, lo Zetsu.
Madara l’ha ricavato
dalle cellule che riuscì a rubare da Hashirama durante il
loro scontro, dopo
che usò Inzagi per salvarsi la vita”
ripeté ancora una volta meccanicamente.
Hiruzen
tentò un sorriso stretto. “Questo è
molto strano da ascoltare e porta molte
domande. Cosa sono gli Zetsu? Per quale motivo le cellule si sono
adattate così
bene a te?”
Obito si
strinse nelle spalle. “Ti ho detto solo quello che so. Per
quanto riguarda
Madara, anche lui sembrava sorpreso che potessi usare il
mokuton”.
“Capisco,
ma dimmi: Madara ti ha solo parlato?”
Rispose
con
una faccia schifata. “Che altro avrebbe dovuto
fare?!”
“Per
caso,
allenarti?”
La
domanda
sembrava molto studiata e Nozomi sudò un po’
freddo, ma Obito mantenne una
faccia di bronzo illeggibile.
“No”
mentì
con facilità.
“Il
tuo
modo di combattere è molto simile al suo”
spiegò allora. “Troppo simile”.
“Uso
tecniche Uchiha e il taijutsu Uchiha” fece notare Obito
esasperato. “Sarebbe
più strano che combattessi come uno Hyūga
francamente”.
Nozomi
si
morse la lingua per non ridere, ma Hiruzen non sembrò
apprezzare la battuta
visto la faccia che fece. Si spostò allora verso Nozomi, che
si sforzò non
lasciare intendere quanto fosse divertito.
“Tu
invece
mi hai ricordato il nostro Nidaime. Forse non lo sai, ma fu il mio
maestro”.
Questa
volta Nozomi non si fece scrupoli a sorridere smagliante, del resto
faceva
parte della recita. Durante la guerra, sia mentre credevano ancora di
poter
salvare il vecchio mondo, sia quando stavano lavorando al sigillo,
Tobirama
aveva insegnato a Naruto, Sakura e Sasuke tutte le sue tecniche. Era
così che
aveva imparato come creare il proprio hiraishin, imparato a usare i
sigilli e
padroneggiato tutte le tecniche d’acqua che conosceva. Ormai
quelle tecniche
facevano parte del suo repertorio e non riusciva a restarne senza,
soprattutto
perché erano le uniche che poteva spiegare senza dover
tirare in mezzo il Kyūbi.
Jiraiya e Obito avevano facilmente trovato una spiegazione al
perché le
conoscesse, perfino i kage bushin e l’hiraishin.
Si
mostrò
emozionato e perfino lusingato.
“Oh,
questo
è fantastico! È il mio eroe,
dattebayo!” esultò senza problemi, ora che poteva
dire la buffa espressione senza destare sospetti. “Voglio
dire, era davvero un
genio e ha inventato così tante cose e sapeva
così tante cose di Uzushio!”
Hiruzen
sbatté le palpebre, forse un po’ sorpreso da tutto
quell’entusiasmo e cercò di
dire qualcosa, ma Nozomi non gliene diede modo riprendendo velocemente
a
parlare.
“Allora,
vedi, quando sono andato dai rospi loro dopo sono riusciti a salvare le
pergamene di mamma e visto che erano l’unica cosa sua che mi
erano rimaste le
lessi tutte. E c’era questa pergamena sul
teletrasportarsi… non con uno
shunshin, proprio un teletrasporto, una tecnica spazio-temporale. Prima
sei qui
e dopo se lì, così nel giro di un secondo
e…”
“So
come
funziona una tecnica spazio-temporale…”
tentò di frenarlo, ma Nozomi ormai era
partito.
“Era
troppo
fico, così volevo impararla, ma Fukasaku-sensei ha detto che
ero ancora troppo
piccolo e che prima dovevo imparare altre cose. Ma io ho insistito.
Tipo tanto.
E lui mi ha detto che anche Tobirama-sama prima di inventare
l’hiraishin si era
allenato in altre tecniche. E allora io: chi è
Tobirama-sama? E lui: è
l’inventore dell’hiraishin, ha inventato
molte delle tecniche conosciute nel Paese del Fuoco”
disse imitando la voce
del vecchio rospo. “Quindi io ero tipo: forte! Posso imparare
anche quelle? E
Tobirama ne ha inventata davvero tante e sono tutte così
incredibili! Ma la mia
preferita è il kage bushin, potevo usarlo per giocare a
carte e…”
“È
bello
vederti così entusiasta!” intervenne Hiruzen
spezzando la sua parola. Stava
tentando di farlo da un po’, alla prima pausa di due secondi,
ma il ragazzo
aveva parlato senza respirare.
Nozomi
allargò il sorriso e, temendo che riprendesse a vomitare
parole, l’Hokage
continuò: “La nostra biblioteca ha una grande
sezione dedicata a Nidaime, sarai
il benvenuto”.
L’Uzumaki
si mostrò entusiasta, ma Obito dovette mordersi
l’interno delle guance per non
alzare gli occhi al cielo e scoppiare a ridere. Nozomi in biblioteca,
certo.
Sarebbe durato solo due secondi prima di essere cacciato fuori per aver
fatto
rumore o rovesciato qualcosa. Anche se adesso si stava atteggiando a
nerd,
Hiruzen faceva un errore a pensare che avesse la stessa passione per lo
studio
di Minato.
“Comunque,
direi che questo è tutto” concluse il Sandaime.
Non seppe se fosse solo così o
se temeva che Nozomi riprendesse a parlare senza freni.
Toccò
con
il chakra un sigillo e dalle due pergamene comparvero delle uniformi
standard
ninja, una targhetta identificativa, un coprifronte e delle scartoffie
da
compilare.
“Lì
ci sono
tutte le schede burocratiche per il vostro inserimento. Vi chiedo la
gentilezza
di inviarle al reparto apposito il prima possibile”. Prese le
due fasce ninja e
le tese ai due giovani uomini. “Queste sono vostre”.
Nozomi
prese la propria in soggezione. Sentì un forte calore allo
stomaco quando le
dita sfiorarono il freddo metallo, un calore che ricordava quello che
aveva
provato anni prima, quando era stato Iruka a mettergliela sulla fronte.
Quell’hitae-ate rappresentava tutto per Nozomi: era il
simbolo di ciò che
voleva essere, della sua lealtà, del suo sogno. Poterlo
possedere ancora era il
ritorno definitivo a casa. Naruto – o Nozomi che fosse
– era niente senza il
suo coprifronte. Strinse con forza la fascia, già desideroso
di indossarla, e
alzò lo sguardo sul Sandaime. Il vecchio aveva un sorriso
dolce, ammorbidito
dalla chiara commozione negli occhi azzurri.
“Benvenuti
a Konoha” disse.
Nozomi
sorrise genuino, riscaldato da quel pensiero.
֎
Obito
fissò
il proprio hitai-ate come se fosse una bomba carta che sarebbe esplosa
se non
avesse decifrato il suo sigillo. Il metallo era pesante sulla sua
mano… non lo
ricordava così tanto pesante. Era un peso, ma forse da
giovane aveva portato
con più spensieratezza il peso che derivava
dall’essere uno shinobi di Konoha.
Erano
appena usciti dall’ufficio dell’Hokage, le
pergamene con tutto
l’equipaggiamento e le scartoffie con loro. Avevano tenuto
fuori solo i
coprifronte, anche se il solo ad averlo indossato subito era stato
proprio Nozomi.
Per
qualche
motivo, Obito si sentiva inadatto ad averlo, per questo lo fissava in
attesa che
esplodesse.
“Dovresti
indossarlo come Kakashi-sensei”.
“Smettila
di chiamarlo sensei” disse in automatico. Poi
sbatté la palpebra e lo guardò
confuso. “Che?”
Nozomi
non
se la prese per la sua distrazione. Il sole colpiva il metallo della
fascia
alla fronte, coperta da alcuni ciuffi laterali più lunghi.
In qualche modo
rendeva il suo viso più attraente, come se
l’hitai-ate fosse fatto apposta per
poggiare sulla sua fronte. Su di lui non sembrava un peso, ma un segno
orgoglioso.
Distratto
da quei pensieri, lasciò che Nozomi gli prendesse il
coprifronte dalle mani.
Fece il giro andandogli alle spalle e gli cinse la fronte con la
fascia,
legandola in un nodo stretto sulla nuca. Ma invece di averla appuntata
dritta
sulla fronte, la mise obliqua, così che si sovrapponesse
alla benda che già
indossava sull’occhio mancante.
“Ecco,
così” ammirò Nozomi il suo lavoro.
“Come la porta Kakashi”.
Alzò
una
mano e toccò il metallo che gli copriva l’occhio.
Era strano sentire quel peso
lì, dopo tutto quel tempo. Era tornato a essere uno shinobi
di Konoha,
nonostante tutto quello che era successo, nonostante avesse creduto di
aver
abbandonato per sempre questa strada.
Guardò
meditabondo
Nozomi, che non aveva smesso per un secondo di sorridere raggiante come
se
avessero vinto il mondo.
Fece una
smorfia. “Perché glielo hai lasciato
fare?”
“Cosa?”
“Lasciare
che ti tenesse lontano dal chibi Naruto”.
Nozomi
ebbe
la grazia di non rispondere subito e almeno mostrare
un’espressione
amareggiata. Distolse lo sguardo e incrociò le braccia,
assumendo la posa di
chi si prepara ad avere una conversazione seria e difficile.
“E
che
dovevo fare? Prenderlo in ostaggio?” scherzò con
poca convinzione.
Be’,
tipo.
“Provare
a
protestare un po’ di più?”
suggerì invece meno drastico.
Scosse
la
testa un po’ rassegnato.
“L’Hokage
l’ha ribadito bene: non siamo ancora persone di cui possono
fidarsi. Dobbiamo
fare del nostro meglio perché questo cambi e iniziare
protestando a tutto
quello che il Sandaime ci ordine è controproducente.
Insistere sarebbe stato
sospetto…”
Obito
strinse le mani a pugno e provò rabbia. Non sapeva
perché fosse così
importante, in quell’anno e mezzo di viaggio insieme
– in realtà da molto
prima, da ben quasi otto anni – non aveva mai pensato al
figlio di sensei.
Prima era stato troppo disinteressato per questo mondo per farlo,
dopo… be’,
dopo aveva il figlio di sensei adulto al suo fianco. Vedere il vero
Naruto di
questa linea temporale, vedere il modo in cui era trattato dal
villaggio… aveva
scatenato qualcosa in lui. Anche se stava facendo pressione su Nozomi,
sentiva
che era suo dovere prendere Naruto
con sé e rimediare a quegli anni di solitudine…
Sentiva che avrebbe dovuto protestare,
fare qualcosa, minacciare o addirittura uccidere se necessario.
Qualsiasi cosa
per assicurare una famiglia a quel bambino.
Una mano
calda si appoggiò sulla sua guancia, distraendolo da quei
pensieri. Incontrò
gli occhi limpidi di Nozomi, di quell’azzurro sereno che
aveva riacceso la
speranza in lui.
“Naruto
starà bene” disse dolce.
“Come
puoi
dirlo?”
Nozomi
rise. “Perché sono sopravvissuto a questo
già una volta. Anzi, per lui sarà
ancora meno doloroso ora: perché ora sa che fuori
c’è qualcuno per lui.
Inoltre”, aggiunse allargando il sorriso e socchiudendo gli
occhi, “il
Sandaime ha detto a me che non devo cercarlo, non a
Naruto”.
Lo
fissò
sospettoso. “Che intendi?”
“Be’,
se io
avessi saputo di avere uno zio mi sarei appiccicato a lui in ogni
momento
possibile” spiegò con un sorriso innocente.
“E visto che io sono lui…”
Obito
rise.
“Ora sì che ragioniamo!”
“Aspetta
a
dirlo. Se riuscirà a superare le guardie ANBU – e
lo farà, fidati – ti farà
rimpiangere questo. Dovrai sopportare la sua presenza
costante!”
Allargò
il
sorriso, sfumandolo in malizia e affettuoso sarcasmo.
“Mah,
ormai
mi sono abituato a sopportare te, non può essere
peggio…”
Scoppiò
a
ridere alla faccia offesa che fece Nozomi e quando provò ad
andarsene
indignato, lo afferrò alla mano per trattenerlo.
“Sei
un
idiota Obito. La prossima volta ti lascio in pasto a Kurama!”
“Permaloso!
Permaloso!”
“Allora
visto che devi sopportare un permaloso come me, non ti
offrirò nemmeno una
ciotola di Ichiraku!”
“Piangerò
questa perdita con lacrime amare” ribatté con
ampia ironia.
Al che
Nozomi gli fece una linguaccia lunga e infantile, Obito
approfittò di quel
momento per tirarlo al braccio con forza. Nozomi quasi si morse la
lingua per
la sorpresa dei loro corpi che venivano schiacciati insieme, ma non
poté
sbuffare nulla nel sentire le loro labbra unirsi. Si sciolse subito
come burro
nella sua presa, le mani di Obito si alzarono dal polso a stringergli
il viso,
come se temesse che si allontanasse da quel bacio.
Figuriamoci.
Nozomi
chiuse gli occhi e si godette il dolce contatto, lento, in contrasto
con la
forza della sua presa. Obito era così forte da essere
distruttivo, come una
tempesta di fuoco, ma lo baciava sempre in modo così dolce.
Il fuoco senza
controllo della sua rabbia diventava un focolare domestico,
caldo… un luogo
sicuro dove potersi riposare. Le sue labbra disegnarono un sorriso
mentre le
loro bocche erano ancora premute insieme, la lingua
accarezzò la cicatrice che
tagliava a metà il labbro inferiore e si staccò.
Obito aveva alzato le mani
appoggiandole alle sue guance, tenendolo al viso. L’occhio
rosso (era così
divertente che nei baci e nel sesso attivasse lo sharingan senza
nemmeno
accorgersene) lo spiava serio e profondo.
“Non
ci
serve questo villaggio” gli disse in un sussurro.
“Bastiamo solo noi due,
possiamo farlo da soli”.
Nozomi
fece
una smorfia amara non appena capì dove stava andando a
parare, ma non disse
niente. Obito continuò a fissarlo, l’occhio rosso
che ancora faceva roteare i
tre tomoi intorno alla pupilla.
“Possiamo
prendere
Naruto e andarcene” concluse. “Loro non ci
servono”.
Sospirò,
distanziando il viso di qualche centimetro.
“Solo
noi
due contro il mondo?” chiese quindi, dolcemente.
Obito
annuì, aumentando la presa sulle sue guance. Ma Nozomi
voltò il capo e portò le
dita sulle mani, delicatamente le staccò dal suo viso. Tenne
la presa però,
mentre con gli occhi guardava la montagna degli Hokage. Il suo sguardo
era
proprio su Minato.
“Il
villaggio non lo riconobbe perché divenne Hokage”
sussurrò. “Ma divenne Hokage
perché il villaggio lo riconobbe”.
Obito
corrucciò lo sguardo, non capendo quella frase. Si
voltò anche lui verso la
montagna, mai i seri volti di pietra non gli diedero nessuna
spiegazione.
“Cosa?”
domandò quindi.
Nozomi
scosse la testa. “È una cosa che mi disse
Itachi” spiegò. “Durante la Guerra,
quando stavamo ancora combattendo contro gli Edo-Tensei e lo incontrai.
Lui mi
disse questo. Mi disse che se avessi voluto occuparmi da solo della
guerra,
pensarci da solo, un giorno sarei diventato come Madara… come te”.
Obito si
corrucciò. Nozomi lo aveva detto con un tono tranquillo,
dolce quasi… ma lui
percepì come un’accusa. Si ritrovò a
sciogliere la presa delle loro mani e a
guardarlo, incapace di dire qualcosa.
In fondo
non serviva lo facesse, Nozomi in qualche modo sapeva sempre cosa stava
provando.
“Nel
mio
futuro, tu hai voluto fare tutto da solo” disse.
“Hai deciso che avresti
risolto tu questo mondo, pensandoci da solo. Non avevi bisogno degli
altri”.
“…”
“Avresti
vegliato per secoli nella solitudine un mondo soggiogato allo
Tsukiyomi.
Saresti rimasto l’ultimo, il solo, e per questo credevi di
non aver bisogno di
nessuno. Era tutto sulle tue spalle e non hai mai pensato di
condividere quel
peso”.
Obito
continuò a non dire niente, lo guardò basta e
sentì il suo petto sanguinare nel
vedere Nozomi fare un passo indietro, distanziarsi da lui. Guardava
ancora la
montagna, ma sapeva che i suoi occhi guardavano a un altro obiettivo
ormai.
“Durante
la
guerra, anch’io lo credevo. Di potercela fare da solo, di
dover essere solo io quello
che avrebbe fermato tutto. Non volevo che altri soffrissero, che altri
se ne
occupassero. Ero diventato forte, avevo il potere per farlo. Ora sono
ancora
più forte e forse hai ragione, posso farcela da solo. Non
avrei neanche bisogno
del tuo aiuto”.
Obito
sentì
una fitta alla gola, lo stomaco serrarsi e il cuore mancare un battito.
Senza
rendersene conto, stava già guardando Nozomi come se potesse
sparire da un
momento all’altro.
“Non
ne ho
bisogno, ma lo voglio” disse subito Nozomi. “Ti
voglio al mio fianco, voglio
che più persone possibili mi aiutino. Voglio che tutti i
villaggi mi aiutino,
solo così può esserci vera collaborazione per la
pace.” Fece una pausa,
tornando a fissarlo. “Sono forte, ma non lo sono diventato da
solo. Senza il
team 7, Ero-sennin o Kille B non avrei potuto imparare nulla. Senza i
miei
amici, senza Nagato e senza te non avrei mai potuto capire chi sono e
chi
voglio essere. Non avrei mai potuto tornare qui senza tutti coloro che
si sono
sacrificati per permetterlo. Non sarei mai andato così
lontano senza di loro.
Non posso dimenticarlo, non posso essere così arrogante da
fissarmi sulla mia
forza e dimenticare perché esiste. Quindi no, non
sarò io o anche solo noi due
contro il mondo. Sarà tutto il mondo insieme a risolvere
questo casino”
concluse.
Obito
abbassò il viso, guardandosi i piedi. “Gli altri
possono fallire, tradirti”
disse amaramente.
“Prenderò
questo rischio” rispose senza incertezza. “E se
succederà, farò in modo di
risolverlo. In fondo sono qui per questo, sono tornato dal futuro per
correggere gli errori che sono stati fatti. Non mollerò la
presa finché non ci
sarà finalmente la pace”.
“Allora
perché non dici subito la verità a
Hiruzen?” sbottò esasperato.
Nozomi
si
oscurò. “Te l’ho già detto,
prima dobbiamo risolvere Danzō. Nella mia linea
temporale, il Sandaime perse fiducia in lui solo dopo il massacro degli
Uchiha.
Ma qui lo eviteremo, quindi dobbiamo trovare un altro modo. Poi appena
sarà
possibile gli dirò chi sono e…”
tentennò, esitante.
Inarcò
un
sopracciglio.
“E?”
insistette.
“E…
gli suggerirò di abdicare
a favore di un
altro Hokage” borbottò in un sussurro.
Obito
rimase interdetto qualche secondo, ma poi tirò le labbra in
un sorriso
soddisfatto ed emise una leggera risata.
“Questo
piano mi piace” concordò compiaciuto.
“Ma da te non me lo aspettavo”.
“Scherzi,
lo hai visto? Ha la morte negli occhi, tutto quello che vuole
è la pensione. Da
piccolo non ci ho fatto caso, ma adesso sta praticamente gridando un
messaggio
d’aiuto. Sarà più che felice di
abdicare” spiegò esagitato,
un’espressione
buffa sul volto.
Rise
più
forte. “Ti candiderai?” lo stuzzicò.
“No”
disse
piatto. “Non ruberò il sogno del legittimo Naruto,
io non ne ho più diritto da
quando sono scappato nel passato…” concluse
amareggiato.
L’espressione
triste e piena di rimpianti agitò Obito, non era giusto che
provasse quel senso
di colpo, non avevano avuto scelta. La sua non era stata una fuga
vigliacca,
non aveva abbandonato nessuno… In fondo quel futuro non
poteva più esistere.
“Altri
candidati?” chiese allora cercando di mantenere il tono
leggero.
“Uhm…”
gli
occhi azzurri lo guardarono nervosi per qualche secondo, ma poi
distolse lo
sguardo grattandosi la guancia. “Non proprio, ci
penserò meglio”.
“Spero
abbastanza velocemente” sbuffò. “Prima
quel vecchio se ne va, meglio sarà per
Konoha”.
Nozomi
scoppiò a ridere. “Non riesci proprio a
sopportarlo?”
“È
feccia”
tagliò corto. “Un uomo che lascia che un bimbo
viva solo anche se c’è una
soluzione è feccia”.
Nozomi
non
commentò, perché in cuor suo sapeva che sarebbe
stato disonesto a non dargli
ragione. Una vecchia rabbia si era accesa dopo quel colloquio, ma non
l’avrebbe
assecondata. Avrebbe aspettato, sapendo che tutto si sarebbe risolto
per il meglio.
Naruto avrebbe avuto una casa sicura, fosse anche l’ultima
cosa che faceva.
Fu
distratto da quei pensieri nel sentire Obito prendergli la mano.
“Dicevi
davvero prima? Nel fare tutto senza di me?”
Era uno
stronzo se sorrideva al tono timido e preoccupato con cui lo aveva
detto?
Probabilmente l’Uchiha si sarebbe offeso o vergognato per
quella paura, quindi
si morse la guancia e ricambiò con forza la stretta.
“Non
farò
nulla senza di te” lo rassicurò. “Hai
promesso di essere al mio fianco, quindi…
non ti lascerò andare”.
La
tensione
che si era improvvisamente accumulata lasciò i suoi muscoli,
Obito quasi tremò
per il sollievo. Era sciocco, ma per un momento aveva davvero temuto
che lo
lasciasse indietro. Non poteva farlo, non dopo che gli aveva rivelato
che ciò
che progettava da anni era un fallimento; non dopo che gli aveva dato
un nuovo
motivo per sperare… Senza Nozomi, sperare non avrebbe avuto
senso.
“Meglio.
Senza di me combineresti un pasticcio dietro
l’altro” borbottò comunque, giusto
per darsi un tono.
Nozomi
scoppiò a ridere e tornò vicino, così
vicino che i loro corpi si sfioravano.
Sempre ridendo, il naso arricciato e le labbra stese a mostrare un
sorriso,
portò le proprio mani sul volto di Obito.
“Cosa
farei
senza di te?” domandò ridendo, ma con uno sguardo
dolcissimo.
Obito
non
rispose, invece lo baciò e ogni dubbio, cattivo pensiero o
incertezza sul
futuro sparì dalla loro mente. Forse non erano insieme
contro il mondo, ma
erano decisamente insieme e questo contava più di qualsiasi
cosa.
“Andiamo
a
casa” suggerì Obito, a fior di labbra.
Nozomi
inarcò un sopracciglio. “Ma il mio
ramen?”
“Ho
in
mente qualcosa di meglio del ramen…”
sussurrò mordendogli un orecchio.
Lo
colpì al
petto, ma senza una vera intenzione di ferirlo o allontanarlo.
“Uchiha
pervertito” ridacchiò mentre le labbra scendevano
dal lobo al collo.
“Uzumaki
arrapato” ricambiò.
E
be’, non
poteva negarlo. Lo prese per mano, trascinandolo lungo le strade con
una risata
che rimbalzava tra le case.
֎
“Così
sono
loro…”
Mormorò
maliziosa la donna, negli occhi uno sguardo terribile. Con i denti
spezzò il
bastoncino di dango che stava mordicchiando.
Ibiki
smise
di fissare i due giovani uomini giù sulla strada e
spostò gli occhi su Anko,
seduta pericolosamente sul bordo dell’edificio.
“Sì,
esatto”.
“Sembrano
molto intimi…” mormorò con un cipiglio
divertito Inoichi, gli occhi acuti che
scrutavano tutte le effusioni che si stavano scambiando, incuranti di
essere al
centro di una strada.
“Di
pure
fidanzati” sputò Anko. “Peccato,
l’Uzumaki è carino… Anche Obito ha il
suo
fascino con quelle cicatrici, è proprio
cresciuto…”
“Anko…”
sospirò Inoichi esasperato da quei commenti civettuoli,
visto che sapeva che la
donna aveva zero interesse negli uomini.
“Può
essere
solo un bene, visto quanto sono affiatati in combattimento”
soppesò Shikaku
serio, riportandoli in carreggiata. “Erano
inarrestabili”.
“Non
vorrei
mai averli contro” confermò Choza serio come non
lo era mai stato.
Una
folata
di vento accompagnò le sue parole caricandole di
drammaticità.
Anko
sputò
il mozzicone a terra e si accucciò come un gatto, il sorriso
pieno di malizia
sempre più largo sulla sua faccia.
“Io
direi
che dobbiamo dar loro un benvenuto” offrì, con gli
occhi che promettevano di
divorare in un solo boccone la propria vittima.
Salve!
Ecco la
seconda parte dell’incontro con l’Hokage ^^ So di
avervi fatto sperare
inutilmente, ma Hiruzen stava correndo troppo e si è reso
conto da solo che
doveva ridimensionare il tutto. Ma così adesso Naruto sa di
Nozomi, quindi ne
vedremo delle belle :D
Un altro
capitolo e la fase di “introduzione” a Konoha
finisce, si entra nel cuore della
storia e finalmente anche tutti gli altri personaggi faranno la loro
comparsa
:D Qui abbiamo già visto Iruka… Purtroppo non
è ancora l’Iruka affettuoso che
conosciamo noi, è ancora nella fase rimprovero/disprezzo
Naruto. Ma non temete
u.u come nel manga canonico si lascerà incantare presto dal
nostro Narutino.
Ho visto
che anche in molti lamentano l’assenza di scene
rosse… Okay, forse potrei
ritrarre questa cosa? Salire di rating? Non lo so, ditemi voi!
Nel caso
nel prossimo capitolo abbiamo una scena lime, che resterà
non spinta per
logistiche di narrazione xD
Grazie
mille per le recensioni! Sono davvero felice del vostro entusiasmo ^^
Ci
vediamo al prossimo capitolo fra due settimane!
Hatta.
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Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** I Jonin di Konoha ***
Capitolo
9
I Jōnin di Konoha
«Cause
I could use some friends for a change
And
some nights I’m scared you’ll forget me
again»
(Some
nights – Fun)
Il buio
era
sceso quasi confortante nella stanza, allungando le ombre fino a
cancellarle e
amalgamarle in un’unica macchia di oscurità,
dentro cui Kakashi si era
rannicchiato con piacere. Solo i fievoli raggi lunari rendevano appena
visibile
la sua figura sul lettino d’ospedale.
Se non
fosse stato così a suo agio in quel pozzo di buio, Kakashi
avrebbe iniziato a
meditare un modo per lasciare l’infermeria, come era da
sempre solito fare. Ma
si sentiva così pigro e… stanco. Non solo
fisicamente, per via dello scontro
che lo aveva portato al limite, ma anche emotivamente. Sentiva ancora
nelle
orecchie il cinguettio assordante del raikiri, poteva vedere la scarica
di
fulmini fatti di puro chakra percorrere le sue dita, illuminare la sua
mano.
Poteva ancora sentire l’attrito dell’aria mentre si
scagliava in avanti per
colpire Obito.
Quel
jutsu
era una maledizione.
Se
Nozomi
non si fosse messo in mezzo avrebbe… proprio come con
Rin… sarebbe successa la
stessa tragedia.
Kakashi
soffocò un lamento, spingendo con forza la sua mano contro
l’occhio chiuso,
quello che nascondeva lo sharingan. Odiava avere quel ricordo impresso
nella
retina, incapace di dimenticarlo. In quel momento gli veniva facile
sostituire
il corpo di Rin con quello di Obito.
Benediva
Nozomi per averli fermati, perché sapeva che non si sarebbe
fermato da solo.
Avrebbe centrato il bersaglio, come era suo compito, come accadeva in
ogni
missione, come solo Kakashi a sangue freddo sapeva fare.
Benediva
Nozomi
per averlo fermato, ma malediva l’Hokage per averlo costretto
a fare una simile
cosa. Perché ordinare a Obito di attaccarlo senza dirgli
niente? Perché Obito
aveva accettato? Avrebbe potuto ucciderlo! Quella messinscena era stata
troppo
pericolosa, troppo lasciata al caso, niente dava la garanzia
– nemmeno il
Sandaime l’aveva – che Nozomi sarebbe intervenuto
in tempo.
Forse in
quel caso Obito si sarebbe fermato. Ma lui no, perché
Kakashi non ne sapeva
nulla ed era solo mosso dall’istinto.
Soffocò
un
altro verso lamentoso al pensiero della tragedia mancata, ma poi
dovette
velocemente riacquistare compostezza quando sentì una
presenza avvicinarsi alla
finestra dell’infermeria.
La sua
espressione era tornata calma ed era riuscito anche a tirare fuori il
suo
immancabile volume di Icha-Icha quando Genma si accovacciò
sul davanzale.
“Wow,
credevo fossi già scappato” commentò,
sorpreso di vederlo ancora lì, fin troppo
abituato invece alle cattive abitudini dell’amico.
“Leggevo”
rispose affabile.
“Con
questo
buio?” replicò scettico, ma non indagò
oltre sapendo anche quanto fosse
riservato. Non voleva chiuderlo a riccio, era qui con una missione ben
precisa,
perciò lasciò stare la sua domanda e riprese.
“Quindi, preferisci restare qui a
leggere per l’ennesima volta quella porcheria?”
“Non
è una
porcheria” lo corresse Kakashi. “È molto
avvincente”.
Nonostante
quello che aveva appena detto, abbassò il libro sul proprio
grembo e finalmente
si girò a guardarlo con un solo occhio pigramente aperto.
“Cosa
proponi?”
“Missione
di salvataggio” rispose con gli occhi che brillarono di
improvvisa malizia.
“Riguardo?”
“Gli
altri
Jōnin hanno invitato le nostre nuove reclute al solito pub per
festeggiare”.
Fece una pausa, in cui il ghigno si allargò. “Ci
sono anche Ibiki e Anko”.
“Capisco.
Ahia”.
“Inoichi
e
gli altri hanno già aperto un giro scommesse su chi dei due
novellini faranno
piangere per primo” spiegò. “Forse
è meglio andare per assicurarci che non li
traumatizzino troppo”.
“È
meglio”
concordò Kakashi ugualmente divertito.
Scese
con
un movimento fluido dal letto e andò verso
l’armadietto doveva aveva visto gli
infermieri mettere il suo equipaggiamento. Anche se doveva riutilizzare
gli
stessi abiti che aveva sporcato durante lo sparring non era
schizzinoso, le
missioni ANBU lo avevano allenato a indossare abiti sporchi per
più giorni di
fila, anche quando erano pregni di sangue. Per ultimo
indossò la fascia ninja,
tornando a coprire con più facilità lo sharingan.
“Quindi”
iniziò uscendo silenziosamente dalla finestra insieme a
Genma. “Tu su chi hai
scommesso?”
L’altro
jōnin ridacchiò.
“Obito
ovviamente” rispose. “Ti ricordi come tremava da
bambino ogni volta che vedeva
Ibiki?”
Kakashi
lo
ricordava bene, ma da quel poco che aveva visto considerava davvero
ingenuo
pensare che Obito reagisse ancora come quando era un bambino. Sembrava
una
persona completamente diversa ormai.
“Tu
su chi
punti?” lo distrasse Genma.
Fece un
sorriso sereno sotto la maschera.
“Su
nessuno
dei due”.
Accelerò
nei salti sul tetto, impedendo a Genma di ribattere e chiedere una
spiegazione.
Kakashi dubitava fortemente che dopo quello che doveva aver passato
Obito Ibiki
o Anko fossero in grado di spaventarlo, mentre se pensava
all’Uzumaki… be’, da
quel poco che aveva inquadrato poteva scommettere che entro la fine
della sera
sarebbe diventato il migliore amico di tutti.
֎
Quando
entrarono nel pub Tora, il posto dove i jōnin di Konoha erano soliti
frequentare nel tempo libero, rimasero sconvolti da quello che si
trovarono
davanti. Di certo nessuna scommessa avrebbe potuto indovinare qualcosa
del genere.
Appena
entrarono, la prima cosa che Kakashi individuò fu la fila
che avevano formato
Inoichi, Chōza e Gai. Del resto sarebbe stato impossibile non notarli:
i tre
erano in piedi, a braccetto e mezzi nudi, con solo i pantaloni standard
e il
giubbotto verde smanicato aperto sul petto nudo; non finiva qui,
perché l’altra
stranezza era il fatto che stessero cantando stonati e improvvisando un
ballo
scoordinato, dove ognuno ondeggiava contro l’altro nel
tentativo di rimanere in
piedi.
Erano
ubriachi.
La
diagnosi
era molto semplice e anche se non si fossero comportati da idioti
completi, le
guance rosse e le parole biascicate della canzone erano un chiaro
avvertimento.
Rimase
molto sorpreso. Con Gai e le sue sfide giornaliere, Kakashi aveva
compiuto anche
gare di bevute e sapeva che la Bestia Verde di Konoha reggeva molto
bene
l’alcool. Perciò quanto doveva aver bevuto per
essere arrivato a queste
condizioni?
Poco
più
distante c’era Shikaku, steso su uno dei divanetti, con la
testa appoggiata
sopra la pila di vestiti dei tre jōnin intenti a ballare. Stava
dormendo – o
almeno aveva gli occhi chiusi e la bocca aperta – con una
bottiglia di saké
abbracciata al petto.
Poteva
vedere altri shinobi, come Yugao e Hayate – loro due
impegnati a baciarsi e in
altre faccende intime un po’ più appartati
– e Ibizu che provava a conquistare
una delle cameriere al bancone a suon di frase illogiche e
imbarazzanti.
Infine,
su
uno dei tavoli centrali, c’era in corso una partita a poker.
I giocatori erano
Ibiki, a petto nudo e senza bandana, Anko,
solo con la giacca a rete che non nascondeva nulla e un
kimono arancione
legato alla vita, che a ben vedere non aveva pantaloni, e infine
Nozomi,
vestito a strati con abiti che non dovevano essere suoi –
aveva troppe
magliette standard shinobi, due giubbotti antiproiettile e molti
hitai-ate
allacciati alle braccia.
“Ma
cosa…”
commentò Genma sorpreso da quello che aveva davanti.
La
saletta
privata che solitamente usavano per i loro ritrovi di bevute non era
mai stata
così nel chaos.
La sua
esclamazione attirò l’attenzione del gruppetto
danzante, che si mosse sempre
ballando verso di loro. Genma non riuscì a scappare alle
loro mani che lo
tirarono in mezzo, costringendolo a seguire il ritmo per non
capitombolare di
faccia e spaccarsi il naso. Kakashi fu più veloce e
riuscì a sgusciare alla
loro presa.
Rivolse
uno
sguardo a Nozomi, che proprio in quel momento scopriva le sue carte.
Non poteva
vedere il risultato, ma non era buona visto che con un sospiro dovette
slacciarsi uno degli hitai-ate e restituirlo ad Anko.
Scivolò
senza essere fermato da nessun altro su uno dei divanetti, quello dove
aveva
individuato Obito. La sua faccia non era arrossata, il suo sguardo era
lucido e
consapevole anche mentre continuava a sorseggiare da un bicchiere di
saké.
“Quello
che
è successo?” chiese disinvolto sedendosi al suo
fianco.
Obito
gli
rivolse uno sguardo appena interessato, non aveva mosso un muscolo
quando aveva
parlato. Doveva essersi accorto che si stava per sedere.
“Hanno
sfidato me e Nozomi a una gara di bevuta. Hanno perso”
riferì essenziale.
“Vedo”
commentò Kakashi osservando divertito il trenino che era
stato formato.
In
qualche
modo erano riusciti a svegliare Shikaku e si trovava davanti con la
testa a
ciondoloni e un’espressione molto seccata.
“Anko
ha
poi proposto una partita a Poker. Tutti hanno scommesso i propri
vestiti e
questo è perché tutti sono mezzi nudi. Stanno
continuando solo quei tre,
ormai”.
Indicò
con
un cenno di capo il tavolo dove Ibiki, Anko e Nozomi stavano
continuando a
consegnare carte.
“Tu
non hai
giocato?” chiese Kakashi, osservando tutti gli abiti che
indossava.
Fece
un’espressione risentita. “Hanno detto che avrei
imbrogliato con lo sharingan”.
“E
lo
avresti fatto?”
“Ovviamente”.
Per
qualche
motivo scoppiò a ridere. Obito lo aveva detto in un modo
serissimo, come se
fosse la cosa più vantaggiosa da fare in un campo di
battaglia.
Kakashi
alzò una mano a richiamare un inserviente.
“Cosa
stai
facendo?” chiese Obito.
“Sono
arrivato in ritardo, ma voglio ancora partecipare alla gara di
bevute” offrì.
Sbuffò
dal
naso. “Vuoi perdere la dignità come
loro?” e indicò il gruppetto che ancora
facevo il trenino tra i tavoli.
Kakashi
gli
rivolse un sorriso impertinente da sotto la maschera, visibile solo
attraverso
gli occhi.
“Io
parto
in vantaggio. Tu hai già sopportato una gara, io no, sono
perfettamente
sobrio”.
Vide
l’angolo della bocca sollevarsi in un sorriso ironico, il
primo da quando si
era seduto al suo fianco.
“Se
ti
piace perdere” acconsentì.
Poco
dopo,
avevano davanti a sé un intero vassoio di shottini pieni di
liquido
trasparente. Kakashi aveva fatto la pazzia di chiedere il liquore
più alcolico
che avessero, ogni sorso era come compiere un palla di fuoco da quanto
bruciava
la gola.
La testa
cominciò a girargli e non capì come Obito
continuasse a restare con
l’espressione controllata, indifferente al liquore che ormai
doveva essere
entrato in circolo anche a lui.
“Dimmelo,
è
una tecnica dello sharinga? Devo usarlo?” borbottò
passandosi una mano alla
tempia.
Obito
ridacchiò. “No. Sono le cellule di Hashirama, non
permettono ai veleni di
entrare in circolo, incluso l’alcool”.
“Lo
sapevo
che stavi barando” si lamentò.
“Tutto
per
vincere” sogghignò prima di prendere un altro
bicchiere.
Ormai ne
restava
solo uno, quello di Kakashi, ma era ancora abbastanza cosciente da
sapere che sarebbe
stato il bicchiere fatale.
“Nozomi,
invece, qual è il suo trucco?” chiese lamentoso.
“Sangue
Uzumaki” offrì. “Non va
sottovalutato”.
No,
decisamente Nozomi non era un tipo da sottovalutare. Lo aveva fatto,
perché con
la sua aria spensierata e amichevole sembrava tutt’altro che
pericoloso. Invece
nello sparring aveva dimostrato di conoscere tecniche letali e
soprattutto di
avere la capacità di metterle in pratica. Abbinate alle sue
riserve di chakra
che dovevano essere mostruose lo rendevano una vera e proprio macchina
bellica.
“Perché
hai
assecondato il Sandaime?” sbottò senza averlo
premeditato.
Obito
però
capì subito cosa intendesse con il suo brusco cambio di
argomento. Non si
scompose e scrollò le spalle.
“Non
l’ho
assecondato. Io l’ho proposto” contraddisse.
Kakashi
spalancò l’occhio sorpreso, la sua vista era
appena sfocata dall’alcool.
“Perché?
Avrei potuto ucciderti!”
“No,
non
avresti”.
“Nozomi
poteva non intervenire in tempo”.
“No,
in
qualsiasi caso ci sarebbe riuscito” ribadì
stringendo lo sguardo. “Non è
questione di se, Nozomi lo avrebbe
fatto e l’ha fatto. Non
avrebbe mai
mancato”.
Kakashi
provò una fitta al petto che con stupore si rese conto
essere invidia. Era
invidioso del tono certo con cui aveva parlato, così pieno
di fiducia verso il
compagno. Per lui era una certezza affidarsi all’altro,
sapere cosa avrebbe
fatto, che avrebbe sempre fatto in tempo.
Kakashi
non
ricordava l’ultima volta che aveva avuto un sentimento
simile. Non per suo
padre, sicuramente. Forse c’era stato un periodo in cui aveva
avuto la stessa
fiducia in Minato, ma l’ex-sensei era sempre arrivato troppo
tardi – tardi per
salvare Obito, tardi per salvare Rin, per salvare lui – e poi
anche lui era
morto. Ora poteva dire con certezza che non c’era nessuno a
meritare la sua
totale fiducia. Si fidava dell’Hokage, è vero, ma
per dovere e basta, non era
un gesto spontaneo.
“Perché
l’hai proposto?” ripeté.
“Per
Naruto” rispose semplice. “L’ho fatto per
dimostrargli che può fidarsi di
Nozomi, tutto qui”.
“Ha
funzionato?”
Lo
sguardo
si oscurò. “No”.
Non che
Kakashi si aspettasse una risposta diversa. Uzumaki Naruto era una
questione
complicata, soprattutto con Danzō che aspettava una sola scusa per
poter
mettere le mani su di lui. Kakashi si sarebbe ucciso prima di vedere
Naruto
finire in ROOT, per questo non poteva far altro che assecondare
l’Hokage. Fino
a quel momento lo aveva tenuto lontano da Danzō e tanto gli bastava.
“Li
ha solo
presentati” continuò Obito.
Sgranò
l’occhio colpito. Il Sandaime si era comunque spinto
più avanti di quanto si
aspettasse. Forse era stata una mossa un po’ azzardata, ma
era contento che l’avesse
fatto. Naruto ora sapeva che c’era qualcuno per lui e sperava
che Nozomi
facesse il possibile per poterlo adottare.
“Come
ha
reagito?” chiese curioso.
“Chi?
Naruto o Nozomi?” Poi parve decidere che non importava e
scrollò le spalle.
“Sorpresi e felici, anche se insieme si riveleranno una spina
nel culo. Si sono
visti tre secondi e già mi hanno fatto venire mal di testa a
forza di dattebayo”.
L’implicazione
di quella frase gli fece inclinare la testa.
“Anche
Nozomi lo dice?”
“Deve
essere una deformazione del sangue Uzumaki” pensò
Obito. “Anche Kushina-nee-san
aveva un suo slang”.
Annuì.
“Sì,
era dattebane”
ricordò.
Appena
lo
disse, caddero in un cupo silenzio. Kakashi non ricordava
l’ultima volta che
qualcuno gli aveva parlato di Kushina con un tono tanto casuale. La
consapevolezza della sua morte lo aveva colpito, ovviamente, e lo
stesso pareva
essere successo anche a Obito. Era tornato a essere tetro in faccia,
gli occhi
persi a contemplare pensieri troppo profondi. Kakashi si chiese se
stesse pensando
alla morte di Kushina e sensei, al fatto che non era qui quando era
successo;
si chiese se come lui avesse dei rimpianti per non aver fatto nulla.
Kakashi
pensò ai suoi, di rimpianti, e il malessere gli
afferrò di nuovo lo stomaco.
Guardò l’ultimo bicchierino rimasto valutando se
prenderlo e annegare
definitivamente i suoi pensieri coerenti nell’alcool. Invece
chiese:
“Mi
odi?”
Obito
non
aveva bisogno di chiedere per cosa, era chiaro ancora. Ma anche
così Kakashi fu
sorpreso di vederlo scuotere la testa.
“Non
ti ho
mai odiato” ammise. “Non te, non era colpa
tua”.
“E
allora
di chi?” domandò scettico. Era sua la mano che
aveva trafitto il petto,
sfondando le ossa dello sterno per raggiungere dritto il cuore.
“Del
mondo
shinobi” rispose senza battere ciglio. “Noi siamo
solo pedine e soprattutto eri
solo un bambino. Non potevi fare nulla, era destino e io dovevo vedere
tutto”.
Quella
risposta avrebbe dovuto inquietarlo, ma il sollievo di sapere di non
essere
odiato da Obito era sufficiente. Non lo guariva dall’odio per
se stesso, ma era
confortante…
“Com’è
Naruto?”
L’improvvisa
domanda di Obito sembrò confondere Kakashi.
“Che
intendi?”
“Caratterialmente”
spiegò. “Com’è? Per ora posso
dire che sembra molto solo”.
Scrollò
le
spalle e si rese conto con imbarazzo di non avere una vera risposta.
Non sapeva
nulla di Naruto, se non pettegolezzi degli ANBU che lo tenevano sotto
controllo.
“Cosa
dire
di lui” iniziò diplomatico. “A scuola
è svogliato e si applica poco, fa uscire
di testa tutti i suoi insegnanti, spesso salta le lezioni o si
addormenta in
classe e fallisce tutti i test. Il suo passatempo preferito
è fare scherzi, le
sue guardie ANBU ormai hanno i capelli bianchi per colpa sua. Spesso va
a
mangiare da Ichiraku ramen, ecco il ramen è il suo cibo
preferito. Non ha molti
amici, come hai notato anche tu è molto solo. Nonostante
questo sogna di
diventare Hokage e non perde tempo a farlo sapere a
chiunque”. Fece una pausa,
meditando sul proprio ritratto. “Ti assomiglia”
concluse infine.
Obito
fece
una smorfia che non seppe come interpretare finché non disse:
“Mi
assomigliava. Non sono
più quel
bambino”.
Suo
malgrado, Kakashi si ritrovò a essere d’accordo.
Questo Obito che aveva davanti
corrispondeva male ai suoi ricordi, era come se si fosse fatto
più spigoloso e
amaro nel tono, nello sguardo e nei gesti. Nei ricordi di Kakashi Obito
sorrideva sempre, ora lo aveva visto fare raramente e
perlopiù erano sorrisi
sarcastici e derisori.
“Inoltre”,
riprese con tono indignato, “io mi impegnavo, non ero affatto
svogliato!
Restavo indietro rispetto agli altri perché non avevo
nessuno ad aiutarmi. Non
conoscevo la metà dei kanji nei libri scolastici ed ero
troppo orgoglioso per
ammetterlo. Inoltre mia nonna era troppo vecchia per farmi esercitare
nei kata
di base, il resto degli Uchiha non si è reso molto
utile”.
“Quindi
ammetti che restavi indietro”.
Obito
sgranò l’occhio, apparentemente incredulo che di
tutto il suo discorso avesse
colto solo quell’ammissione.
“Vaffanculo,
Bakakashi”.
Rise e
gli
parve che il clima cupo fosse stato in parte stemprato.
“Non
dovresti fermarti?” suggerì Obito quando Kakashi
fece un altro cenno alla
cameriera.
“Sto
prendendo solo dell’acqua” lo assicurò.
“Sei carino a preoccuparti per me”.
Ricevette
un’espressione indignata. “Non sono!”
“Invece
sì.
Aw, stai anche arrossendo”.
Prendere
in
giro qualcuno era un terreno che Kakashi conosceva molto meglio e lo
fece
rilassare. Anche se a quel suo giochetto Obito parve confuso,
guardandolo con
le sopraccigli aggrottate. Era ovvio che Kakashi non corrispondesse ai
suoi
ricordi, come valeva per lui.
C’era
molto
tempo da recuperare, troppe cose da chiarire, ma Kakashi per un momento
ebbe
fiducia che con pazienza tutto si sarebbe risolto.
Chiacchierarono
ancora, ogni tanto lasciando che un argomento e l’altro ci
fossero lunghi buchi
di silenzio. Questo nuovo Obito non sembrava a disagio con il silenzio.
Kakashi
notò
presto che il suo occhio continuava a spostarsi sempre su Nozomi, come
per
assicurarsi che fosse ancora lì, che stesse bene.
Quell’atteggiamento lo portò
a chiedersi quale fosse la vera natura della loro relazione e i suoi
sospetti
vennero in un certo senso confermati quando Obito indurì
l’espressione e quasi
ruppe il bicchiere che aveva in mano.
Kakashi
guardò ilare quella reazione alla vista di Anko, mezza nuda,
che si spostava
sulle ginocchia di Nozomi. L’Uzumaki sembrò
confuso e fece per allontanarla,
lei allora disse qualcosa che parve tranquillizzarlo al punto da
lasciarla
seduta su di lui.
Obito
non
era affatto tranquillizzato. Anzi se lo sharingan che aveva attivato
era un chiaro
segnale, sembrava pronto a bruciare qualcuno con un katon.
Kakashi
temette che volesse davvero fare del male a qualcuno quando lo vide
alzarsi dal
divanetto e marciare verso il tavolo dove stavano ancora giocando a
poker. Lo
seguì un poco impressionato. Ricordava che Obito da bambino
era molto geloso,
lo sapeva bene perché era sempre lui il principale
destinatario della sua
gelosia dal momento che sia sensei che Rin sembravano preferirlo. Non
pensava
che crescendo questo suo tratto peggiorasse.
Afferrò
Anko per un braccio e quella quasi lo colpì alla gola con un
saibon, salvo che
Obito riuscì a bloccarla.
“Che
vuoi?”
grugnì la kunoichi sfacciata.
“Alzati
e
allontanati” ordinò Obito impassibile.
Anko non
era
una persona che prendeva bene gli ordini e anche in questo caso non
fece
eccezione. Ritrasse il suo tentativo di omicidio, ma non il sorriso
pericoloso
e quasi per indispettirlo si sistemò meglio sulle ginocchia
di Nozomi.
“Sto
bene
qui” lo provocò.
Nozomi
intervenne prima che Obito provasse a risucchiarla con il suo kamui per
spedirla nella prima dimensione disponibile.
“Per
favore, alzati. Effettivamente è un po’
imbarazzante”.
Kakashi
sperimentò la più grande sorpresa della sua vita:
Anko accontentò un per favore
e fece come le era stato
detto. Si alzò da Nozomi tornando alla sua sedia.
“Siete
noiosi” si lamentò comunque.
“Anko-san
ha perso a Poker contro di me i suoi ultimi vesitit”
spiegò invece Nozomi
divertito. “Quindi, invece di spogliarsi tutta, ha pensato di
spostarsi da me.
Tanto abbiamo finito la partita”.
“Tranquillo,
piccolo Uchiha” disse Anko senza abbandonare il suo sorriso
pieno di malizia.
“Non rubo il tuo innamorato. Ti devi aggiornare, a me
interessano solo le
ragazze”.
Per
enfatizzare il suo concetto Anko avvicinò alla bocca
l’indice e il medio
allargati a V e passò la lingua nello spazio tra essi in
modo molto allusivo.
Quel gesto volgare fece distogliere lo sguardo di Obito, per
dissimulare il
rossore alle orecchie sbuffò infastidito.
“Sei
un’esperta di veleni, avresti potuto avvelenarlo”
si giustificò, comunque
consapevole che nessuno gli avrebbe creduto.
Ibiki
non
intervenne nella conversazione, in realtà aveva uno sguardo
molto lucido e le
guance paonazze, perfino il suo naso era arrossato. Anche senza la fila
quasi
interminabile di bicchierini sul tavolo il suo stato di ubriachezza
sarebbe
stato fin troppo ovvio.
Sorrise
sotto la maschera. Decisamente non erano riusciti a far piangere Nozomi
od
Obito, al contrario proprio lui e Anko sembravano essersi lasciati
catturare
dai due nuovi shinobi.
Comunque,
Obito sembrava ancora intenzionato a picchiare Anko, che a sua volta
era
divertita dal provocarlo. Pensò di intervenire prima che
passassero alle mani.
“Bei
tatuaggi” disse inclinandosi in avanti.
La sua considerazione gli
fece catturare per
un momento l’attenzione, ma poi anche Anko e Obito si
fissarono sulle braccia
nude di Nozomi, dove sulla pelle caramello erano inchiostrati simboli
antichi.
“Molto
macho” commentò la kunoichi con sarcasmo.
Nozomi
si
grattò l’avambraccio, sopra uno di essi, con
imbarazzo.
“Non
sono
tatuaggi, ma sigilli”.
Kakashi
non
riuscì a dissimulare lo sgomento. Era stato lo studente
preferito dello
Yondaime, questo significava che sapeva qualcosa sull’arte di
sigillare,
compreso quanto fosse pericoloso farlo sulla propria pelle. Era per
questo che
esistevano i rotoli, creati con una carta speciale in grado di
contenere il
chakra senza disperderlo. I sigilli fatti sul corpo erano sempre
complessi e difficili
da realizzare proprio perché erano calibrati per non
distruggere chi li
indossava. Aveva sentito storie di shinobi spinti alla follia per via
di
sigilli mal applicati direttamente sulla pelle. Lo stesso sigillo che
adornava
l’ombelico di Naruto aveva preso tutta
l’abilità e la conoscenza dello
Yondaime, dimostrando quanto fosse grande la sua capacità
nel suggellamento.
Sentire Nozomi parlarne con così disinvoltura, indossarli
come se niente fosse…
era sorprendente.
Anko,
che
al suo contrario aveva una conoscenza base dell’arte dei
sigilli, quella che
offriva l’Accademia, non sembrò molto colpita da
quella rivelazione. Anche se
il suo sguardo si fece più attento, meno giocoso.
“Quindi
sei
un fūinjutsu master, eh?”
“Sì,
me la
cavo”. Parve ripensarci. “Anzi, sono molto bravo,
perfino più bravo di Jiraiya”
si pavoneggiò.
Kakashi
non
riuscì a evitare di sbuffare. Quella doveva essere una
palla, una esagerazione
fatta per mettersi in mostra. Poteva riconoscere le sue
abilità, ma il Sannin
era quello che aveva insegnato a Minato il suggellamento, attualmente
era il
miglior fūinjutsu master che le terre shinobi conoscevano, da quando
Uzushio
era caduta.
Anko
soppesò molto attentamente le sue parole.
“E
oltre
che applicarli, sei anche in grado di cancellarli se impressi sulla
pelle?”
chiese.
Kakashi
la
vide portarsi la mano sulla spalla in un gesto inconscio, dove
Orochimaru le
aveva impresso il sigillo maledetto quando era solo una bambina.
L’espressione
di Nozomi passò da rilassata a seria, lanciò uno
sguardo a quel gesto come se
sapesse esattamente di cosa stesse parlando.
“Dipende”
iniziò. Anche il suo tono di voce era cambiato, facendosi
serio e maturo,
quell’atteggiamento lo rese ancora più simile a
Minato. Nozomi doveva essere
una persona abituata a comandare e a essere ascoltata. “Ci
sono certi gradi di
complessità dei sigilli. Questi che indosso io sono di
semplice tenuta, li uso
per trasportare armi e cibo, così da averne sempre con me in
ogni emergenza.
Posso dissiparli senza nessuno sforzo, ma ne ho altri che uso per
aiutarmi
nella velocità e nella percezione, sono pensati per essere
indossati sempre e
per questo toglierli sarebbe complicato. Poi ci sono sigilli come
quelli
applicati ai Jinchūriki, fatti per contenere enormi quantità
di chakra estranei.
Non puoi toglierli senza una chiave creata appositamente per il singolo
sigillo. Altre volte eliminare un sigillo del genere è uno
sforzo tale che
porta all’esaurimento del chakra e alla morte. Prima di fare
qualsiasi cosa
devo vedere il sigillo e, se non lo conosco, studiarlo.»
Obito
aveva
un’espressione annoiata, poco interessato a quel discorso,
invece Kakashi si
trovò ad ascoltarlo con molta attenzione. Eccelleva in tutta
le arti ninja, lo
poteva ammettere senza presunzione, ma per la scarsa
quantità di chakra che
possedeva non aveva mai potuto approcciarsi ai sigilli, nonostante il
sensei
fosse anche l’unico maestro di Konoha. Tutto sommato era
bello sapere che il
Villaggio aveva acquistato un altro esperto di fūinjutsu, sarebbe stato
un
peccato se quell’arte si fosse persa.
Anko
valutò
quello che aveva appena sentito, per un momento credette che intendesse
rivelare del suo sigillo, ma poi tornò ad appoggiarsi allo
schienale della
sedia e incrociò le braccia sotto il seno.
“Te
ne
intendi” concesse di nuovo sbruffona, come se avesse fatto
quelle domande solo
per metterlo alla prova. “Forse ne approfitterò
una di queste volte”.
Nozomi
allargò il sorriso, per nulla preoccupato dal tono della
donna che sembrava
quasi minaccioso.
“Se
posso
rendermi utile!” garantì.
Anko
sembrava molto divertita, probabilmente aveva davvero preso in simpatia
l’Uzumaki. Sarebbe stato il primo uomo che non desiderava
uccidere dopo Ibiki.
“E
dicci,
Fūinjutsu master-sama, per caso lì nascondi altri
scarabocchi?”
Per un
momento Nozomi parve risentirsi per il modo in cui aveva chiamato i
suoi
capolavori, ma alla fine la voglia di mettersi in mostra ebbe la
meglio.
“Oh
sì,
tengo alcuni sigilli sulle gambe, principalmente quelli per aumentare
gli
scatti e rendere lo shunshin più efficace”.
Iniziò a sbottonarsi gli abiti,
scoprendo le clavicole abbronzante. “Invece sul petto
ho…”
Kakashi
non
scoprì mai di cosa si trattasse, perché prima che
Nozomi potesse scoprire la
pelle del petto Obito soffiò un’improvvisa palla
di fuoco, che incendiò il
tavolo. Ovviamente bruciò tutto quello che era sopra di
esso, rischiando di
colpire anche Ibiki e Anko.
Ibiki in
particolare fece un salto all’indietro, improvvisamente
vigile e con gli occhi
che non sembravano più risentire l’effetto
dell’alcool.
“Ci
attaccano!” gridò.
Obito
non
commentò. Del resto era riuscito a ottenere il suo scopo:
con un piccolo
incendio nella locanda nessuno era più interessato a
togliere vestiti a Nozomi.
֎
“Sei
adorabile da geloso, lo sai?”
“Non
ero
geloso. Mi è sembrato che Ibiki stesse facendo qualcosa di
sospetto”.
Nozomi
ridacchiò, si piegò sul lavandino e
sputò l’acqua e il dentifricio, poi
tornò a
strofinarsi i denti con lo spazzolino. Il riflesso ricambiò
lo stesso sguardo
azzurro, indossava una molletta rosa per tirare su la frangia e tenere
libero
il viso. Si risciacquò, pronto per andare a dormire.
La
serata
era finita non appena erano riusciti a domare l’incendio e
Shikaku aveva pagato
i danni dei tavoli bruciati. Obito aveva fatto finta di niente,
ripetendo
quella scusa fino allo sfinimento. Fortunatamente erano tutti troppo
ubriachi
per farci davvero caso, tranne Kakashi e, a giudicare dallo scintillio
divertito nel suo occhio, Obito doveva essersi appena scavato da solo
la tomba.
Se questo Kakashi era come il suo Kakashi-sensei, conoscendolo allora
avrebbe
stuzzicato questo lato di Obito ogni volta che poteva.
A quei
pensieri fece uno sguardo malinconico. Era stato tutto così
strano. Aveva
sempre guardato questa generazione di Jōnin da lontano, come il bambino
che era.
Non aveva mai avuto modo di essere considerato un loro pari, molti di
loro
erano morti prima che diventasse a sua volta un jōnin, come Hayate,
Inoichi e
Shikaku. Gli tornarono in mente le espressioni amare di Shikamaru e
Ino, le
lacrime che avevano pianto ai funerali.
Non questa volta, si promise a
se stesso.
Ripristinò
il sorriso scherzoso che aveva fino a un secondo prima e
uscì dal bagno, non
aveva ancora smesso di prendere in giro Obito.
“Sei
adorabilmente letale da geloso” corresse il tiro precedente.
La
voglia
di scherzare svanì quando entrò nella camera da
letto, Obito si stava cambiando
e indossando abiti scuri e più pratici.
“Stai
uscendo?” chiese.
“ROOT
non
si spia da sola” rispose distaccato.
Gli
strappò
la maglietta che stava cercando di indossare e ignorò lo
sguardo indispettito
che ricevette.
“Non
serve
che spii ROOT ogni notte, lo sai. Non finché non possiamo
fare nulla di
concreto e al momento dobbiamo evitare di attirare qualsiasi sospetto.
Non
essere paranoico e vieni a dormire”.
Obito si
risentiva ogni volta che lo chiamava paranoico
o maniaco del controllo.
“Non
ho
bisogno di dormire” protestò.
“Sì
invece.
Sai da quanto non chiudi occhio?” Non attese che rispondesse.
“Nove giorni”.
Non
sembrò
piacergli che avesse tenuto il conto.
“Sono
stato
mesi senza dormire” borbottò.
“Già,
portandoti allo sfinimento. Hai ancora la stanchezza del viaggio da
recuperare,
sei stato ogni notte da quando siamo qui a controllare ROOT e oggi hai
combattuto, so che hai sprecato energie. Devi recuperarle”.
“Non
sono
stanco” si impuntò e Nozomi pensò che
tutto sommato fosse adorabile.
Gli
rivolse
uno sguardo indulgente, poi andò a stendersi sul letto dove
si stiracchiò come
un gatto.
“Dai,
vieni
a farmi compagnia”.
Anche
con
gli occhi chiusi poteva sentire lo sguardo di Obito che sfiorava il suo
stomaco. Uno sbuffo e uno smottamento del materasso fese sogghignare
Nozomi,
aveva vinto ancora una volta.
Si
accoccolò soddisfatto mentre Obito allungava le braccia per
stringerlo contro
di lui. Le loro gambe si intrecciarono e sentì il mento
dell’altro piantarsi
fra i suoi capelli.
“Credo
che
il piccolo Itachi sospetti di me” esordì
all’improvviso.
Nozomi
riaprì le palpebre e lo guardò con la coda
dell’occhio. L’espressione dell’Uchiha
era molto pensierosa e corrucciata.
“Perché
dovrebbe?” domandò confuso.
Sapeva
che
Itachi aveva incontrato Obito sotto le spoglie di Madara a ridosso del
massacro, ma ormai aveva cambiato quella parte della cronologia. Anche
se non
sapeva quando fosse avvenuto il primo incontro, erano ormai quasi due
anni che
lui e Obito viaggiavano insieme, non c’era modo che potessero
essersi
incontrati al Tempio Naka.
“Anni
fa,
non mi ricordo quanti, ho provato a uccidere il Daimyō del Fuoco. Avrei
fatto
in modo che la colpa ricadesse su Suna o un altro villaggio,
così che si
dichiarassero guerra e i villaggi si indebolissero abbastanza da
permettermi di
catturare i Bijū”.
Nozomi
non
riuscì a trattenere la smorfia. Rabbrividiva ogni volta che
Obito esponeva i
suoi piani passati in quel modo logico e calmo, come se non
coinvolgessero
dolore e morte.
“La
squadra
di Itachi era incaricata di scortarlo. Ho messo sotto genjutsu il suo
sensei e
ho ucciso un suo compagno, quando sono tornato a guardare Itachi aveva
gli
occhi rossi, probabilmente gli avevo appena fatto risvegliare lo
sharingan. Non
ho potuto fare altro, perché ho avvertito una squadra ANBU
avvicinarsi e sono
scomparso usando il kamui”.
Nozomi
sfuggì
delicatamente alla sua presa e si tirò a sedere,
scrutò l’espressione sul volto
di Obito. Non lo stava guardando, in realtà non sembrava
nemmeno essersi reso
conto che era scivolato dalla sua stretta. Sembrava troppo concentrato
in quel
ricordo, le pieghe della fronte che si mimetizzavano con le cicatrici.
“Ho
usato la
stessa katana di questa mattina. Lo sharingan appena risvegliato deve
avergliela stampata nella memoria e l’ha riconosciuta, non
c’è altra
spiegazione” mormorò fra sé.
Soppesò
attentamente questa nuova informazione. Voleva dirgli che non doveva
preoccuparsi,
che occorreva molto di più per avere un tale sospetto, del
resto era sicuro che
all’epoca indossava una maschera e un mantello che nascondeva
il suo corpo.
Ma si
trattava di Uchiha Itachi.
Era
sempre
stato troppo intelligente perfino per il suo stesso bene.
“Non
usare
il kamui con lui nei paraggi” suggerì.
Annuì.
“Eviterò di teletrasportarmi. Spero solo non abbia
visto la forma del mio
Mangekyo”.
“Faremo
più attenzione, staremo attenti con
lui. Non deve percepirci come una minaccia e se ne
dimenticherà”.
Passò
le
dita tra i corti capelli neri, grattando la cute. Quella carezza fece
sollevare
lo sguardo di Obito, si alzò anche lui seduto e senza dire
niente appoggiò le
sue labbra su quelle di Nozomi.
Ricambiò
il
gesto prendendosi tutto il tempo che voleva, sollevò una
mano a stringere la
sua mascella, l’altra scivolata sulla sua nuca. Era bello
toccare Obito, perché
non si scostava mai, non odiava il contatto fisico. Anzi, lo cercava
sempre,
come se fossero due calamite. Proprio come Nozomi aveva la stesso
desiderio di
essere toccato. Per troppo tempo nessuno lo aveva mai sfiorato, in
tutta la sua
infanzia non aveva ricevuto un gesto d’affetto, il primo in
assoluto era stato
Iruka. Era stato il maestro dell’Accademia il primo ad
abbracciarlo e da allora
aveva sentito una forte dipendenza per qualsiasi tocco. Ma anche nel
team 7 ne
era stato privato, Sasuke e Kakashi non erano persone tattili e Sakura
lo
toccava solo brevemente, con discrezione; Jiraiya aveva un
po’ colmato quel
vuoto con gesti paterni, affettuosi, e lo stesso era successo
più tardi nella
sua adolescenza a Konoha, gesti affettuosi con Sakura, Kakashi e
Shikamaru;
pacche sulle spalle con Kiba e Lee, buffetti da parte di Tsunade e i
continui
abbracci paterni di Iruka. C’era stata poi la guerra, e i
gesti di Sakura si
erano fatti meno discreti e anche Sasuke aveva spesso cercato il
conforto di un
corpo. Era la guerra, era la disperazione di assicurarsi di essere vivo
e avere
ancora qualcuno vivo al proprio fianco, era paura di essere lasciati
soli in
una landa desolata.
Ma il
modo
costante con cui Obito lo cercava, toccava, stringeva era stato del
tutto
nuovo, gli aveva fatto capire quanto fosse in realtà
insaziabile. Non era paura
di restare solo, era puro desiderio che bruciava e lo faceva avvampare.
Sospirò
felice quando Obito si spostò dalle sue labbra per
mordicchiare piano il mento,
la gola e le clavicole. Sentì la lingua tracciare una linea
umida lungo il suo
petto fino al bacino. Capì perfettamente dove stesse andando
quando le sue mani
afferrarono i suoi boxer e li tirarono via.
Appoggiò
la
testa indietro.
“Ci
sono le
guardie ANBU a controllarci, ci vedranno” gli
ricordò con poca convinzione.
Obito
non
diede segno di preoccuparsene, gli baciò l’interno
coscia.
“Se
non
piace, non guardano”.
֎
Arrivato
a
questo punto l’ANBU si interruppe. Era dritto come un fuso
davanti alla
scrivania di Danzō, le braccia unite al busto e la testa alta.
Indossava la
maschera, perciò solo le orecchie arrossate segnalavano il
suo disagio. Non che
a Danzō importasse: le ombre della Radice non dovevano provare
sentimenti,
incluso l’imbarazzo per scene del genere.
Sotto lo
sguardo impassibile del suo superiore, l’ANBU si
sforzò di continuare il suo
rapporto.
“Dopodiché,
Uchiha Obito ha t-tirato fuori il pe…”
Danzō lo
interruppe prontamente con un gesto della mano.
“Non
ci
interessano i dettagli di questo, vai a avanti”.
L’ANBU
parve molto sollevato.
“Alla
fine
si sono lavati e si sono messi a dormire. Non ci sono state mosse
sospette per
tutte le ore che ho sorvegliato” garantì.
“E
non sei
in nessun modo riuscito a capire di cosa stessero parlando
prima?”
Scosse
la
testa. “Sospetto che la casa sia protetta da un sigillo
silenziante, non siamo
riusciti a captare nessun rumore provenire dall’interno. Ma
potrebbe essere
anche per via della distanza, come ci ha ordinato ci siamo tenuti
abbastanza
lontani perché gli ANBU di Sandaime non ci
percepissero”.
“Va
bene
così, puoi andare”.
L’ANBU
ubbidì all’ordine, con un inchino shinshuned
lontano dall’ufficio privato di
Danzō. Rimasto solo, si alzò dalla scrivania e
guardò la notte fuori dalla
finestra. Continuava a pensare quello che il suo ANBU Hyūga aveva detto
sullo
strano chakra di Uzumaki Nozomi, il sospetto che avessero introdotto un
Jinchūriki pronto a liberare una bestia codata per portare distruzione
nel
villaggio come otto anni fa era molto forte. Ma se anche fosse stato
così,
forse poteva usare quel vantaggio a loro favore. Se fosse riuscito a
manipolarlo e farlo entrare nelle sue file sarebbe stato
un’arma molto potente.
Paradossalmente,
non era però l’Uzumaki a preoccuparlo, da quello
che gli avevano riferito era
un idiota, poteva raggirarlo facilmente. La sua principale
preoccupazione era
Uchiha Obito e per svariate ragioni. Prima di tutto lo incupiva che a
Konoha si
fosse introdotto un altro Uchiha con il Magekyo, che poteva partecipare
al
colpo di stato; c’era poi il modo sospettoso con cui Uchiha
Itachi lo aveva
guardato, anche se il suo piccolo corvo
non aveva detto nulla era chiaro che sospettasse qualcosa e Danzō
tendeva a
fidarsi dell’istinto del suo piccolo corvo.
Strinse
gli
occhi al pensiero di quell’Uchiha che usava il Mokūton e
combatteva come Uchiha
Madara.
֎
Il
gracchiare di un corvo lo svegliò e Itachi aprì
immediatamente gli occhi
nell’oscurità. Si alzò dal letto,
trovando alla finestra un uccello da lisce e
lucenti penne nere che beccava piano sul vetro. Itachi aprì
la finestra e il
corvo volò via, fermandosi a guardarlo sul rame
dell’albero davanti a casa sua.
Itachi sorrise: Shisui era tornato dalla missione, finalmente.
Facendo
piano per non svegliare nessuno – soprattutto Sasuke nella
stanza accanto –
indossò abiti comodi al posto del pigiama e le sue calzature
ninja. Aggiunse un
set di armi alla cinta solo per essere sicuro di non ricevere attacchi
inaspettati, non perché sperava in uno sparring con il
cugino più grande, in
fondo era appena tornato da una missione.
Saltò
dalla
finestra al ramo dove si trovava il corvo, bravissimo nel non fare
rumore.
Nessuna foglia si mosse, niente segnalò la sua presenza e
per questo si
concesse un sorriso soddisfatto. Grazie agli insegnamenti di
Kakashi-senpai
ormai era diventato bravissimo nella furtività.
Seguì
il
corvo che lo guidò lontano dal complesso di case, vicino ai
campi di
allenamento. Shisui era steso sul prato a guardare le stesse,
apparentemente
rilassato e ignaro di quello che lo circondava. Ma non
sussultò quando cadde
vicino, segno che lo aveva avvertito molto bene.
“Hai
fatto
tardi” disse a mo’ di saluto.
Shisui
posò
gli eleganti occhi su di lui. Erano grandi come quelli di un gufo, ma
non
altrettanto rotondi per via della forma allungata verso
l’alto. Però le folte
ciglia li rendevano dolci più che inquietanti.
“Sono
tornato da ore, l’Hokage mi ha trattenuto”
lamentò.
Nonostante
Shisui avesse ben due anni e mezzo più di lui, Itachi
trovava che la sua voce
fosse ancora molto infantile. Ogni tanto tentennava, facendosi
più stridula o
più profonda senza motivo apparente.
“E
dalla
tua faccia corrucciata, immagino sia per lo stesso motivo”
continuò.
Itachi
sbatté le palpebre incredulo. “Non sto facendo
nessuna faccia”.
“Oh,
dai!
Ormai ti conosco troppo bene. So distinguere faccia impassibile
impassibile, da
faccia impassibile felice, faccia impassibile triste, faccia
impassibile
preoccupata…” lasciò la frase in
sospeso con una leggere risata. In quel
momento Itachi aveva fatto un broncio davvero poco impassibile.
Si
sedette
sull’erba al suo fianco, era umida e fredda. Il cielo
notturno era sulle loro
teste pieno di stelle, illuminando d’argento lo spazio aperto.
“Che
cosa
voleva il Sandaime per tenerti così tanto?”
“Oh,
sì”
sembrò ricordarselo e si tirò a sedere a sua
volta. Lo superava di alcun
centimetri quindi rimase curvo con la schiena per fissarlo negli occhi.
“Mi ha
detto di Obito, che è ancora vivo! E anche del suo amico,
ovviamente”.
Più
che
amico avrebbe detto amante, visto i
pettegolezzi che avevano già iniziato a girare su loro due
che si baciavano al
centro di una strada… comunque, Itachi si
concentrò sul tono familiare con cui
aveva nomato l’Uchiha.
“Tu
lo
conoscevi?”
Itachi
era
troppo piccolo per ricordarlo, ma immaginava che in
quell’età quasi tre anni di
differenza facessero molto con la memoria. Infatti annuì.
“Non
benissimo, era sempre in giro con la sua squadra, ma… era
fantastico” disse con
un sorriso. “Un po’ idiota”.
“Come
si
può essere idioti e
fantastici?”
“Be’,
il
tipo di idiota fantastico” spiegò come fosse
ovvio. “Era un po’ un disastro e
correva sempre in ritardo da una parte all’altra, ma era
gentilissimo con
tutti. Una volta il mio kunai si era incastrato su un ramo troppo alto
e io non
sapevo ancora controllare il chakra e quindi non potevo arrampicarmi.
L’ha
fatto lui per me. Sì, è quasi scivolato,
ma… è stato l’unico ad avermi aiutato
a prenderlo. Gentile, appunto. E molto sorridente”
terminò il suo ritratto con
soddisfazione.
Itachi
paragonò quella descrizione con il ragazzo aveva visto per
brevi istanti al
villaggio, con un espressione funesta e gli occhi arrabbiati, e poi
allo
shinobi che aveva tenuto testa a Kakashi-senpai.
“Siamo
sicuri di parlare dello stesso Uchiha Obito?”
Shisui
sbatté le palpebre perplesso e socchiuse la bocca.
“Perché? Non ricordo
omonimi”.
Sorvolò
su
quel commento e tornò al punto originale. “Quindi,
oltre a dirti di Obito?”
“Be’,
vuole
che io lo sorvegli. Mi ha detto che ha un Mangekyo, quindi
probabilmente al
momento sono l’unico che può tenergli
testa”.
Quell’affermazione
gli fece scattare qualche campanellino nella testa, significava che il
Sandaime
aveva qualche motivo per non fidarsi di Obito. Forse il suo sospetto
non era
sbagliato.
“Perché
te
l’ha chiesto?” domandò deciso.
Il suo
tono
fece accigliare ulteriormente Shisui. “Immagino sia
per… be’, lo sai”.
Il colpo di stato.
A quel
pensiero entrambi tacquero, ricordandosi della spada che pendeva sulle
loro
teste. Ormai la rabbia degli Uchiha era diventata uno tsunami che
temevano di
riuscire più a trattenere, cresceva ogni giorno di
più e, effettivamente,
l’aggiunta di un altro Uchiha così potente non
aiutava la situazione.
“A
mio
padre Obito non sta simpatico” disse Itachi, quasi questa
fosse una
consolazione.
“Sì,
mi
ricordo non andassero d’accordo” annuì
Shisui distrattamente, ma poi posò gli
acuti occhi su di lui scrutandolo a fondo. “’Tachi,
va tutto bene? Mi sembri
turbato”.
Non si
stupì che avesse indovinato il suo umore, Shisui era il suo
migliore amico, probabilmente
la persona che lo conosceva meglio fra tutti, forse l’unico
che lo conosceva
davvero… Del resto solo lui sapeva del suo timido sogno di
diventare Hokage. A
volte faceva paura notare quanto lo capisse, come gli bastasse
guardarlo nel
viso per capire come si sentiva.
Strine i
fili d’erba tra le dita, quasi strappandoli.
“Ti
ricordi
come ho risvegliato lo sharingan?”
Shisui
annuì. “Il nukenin che ha attaccato la tua
squadra”.
“Era
un
Uchiha”.
Ci fu un
lungo silenzio alla sua ammissione, così lungo che si
sentirono solo i grilli
estivi e il ronzare di qualche altro insetto. Shisui lo stava guardando
con gli
occhi sbarrati, come un fantasma.
“Oh.
Questo
me lo sono dimenticato ed è strano perché
è un dettaglio importante, insomma me
lo sarei assolutamente dovuto ricordare…”
Itachi
si
sforzò di non alzare gli occhi al cielo, visto che sapeva di
essere lui nella
parte del torto.
“Non
te
l’ho detto” ammise.
Ora la
smorfia di Shisui divenne ancora più ridicola, soprattutto
molto offesa.
“Certo,
perché è qualcosa su cui sorvolare! Insomma, a
chi importa che il nukenin che
voleva uccidere il nostro daymio fosse un Uchiha?!”
Strinse
gli
occhi per il rantolo acuto con cui terminò la frase, anche
se non poteva dargli
tutti i torti. Sapeva di aver omesso un’informazione
importante, quasi
fondamentale… Ma l’atteggiamento melodrammatico di
Shisui a volte era un po’
troppo, perché non poteva reagire in modo calmo e basta?
“L’Hokage
lo sa almeno?” domandò, anche se era evidentemente
offeso all’idea di essere
stato escluso.
Ecco.
“No”.
Si
aspettava un’altra sfilza di commenti sarcastici e
drammatici, ma forse
qualcosa nel suo tono doveva aver fatto capire a Shisui che non era
più il caso
di scherzare.
“Perché
no?” domandò quindi confuso.
Va bene,
poteva accettare che non glielo avesse detto – forse
–, ma tacerlo all’Hokage?
“Temevo…
che le cose peggiorassero così per il clan”
spiegò. “Quindi non l’ho detto. Ma quel
nukenin aveva lo sharingan, l’ho visto”.
Shisui
si
mosse nervoso, sedendosi a gambe incrociate e pizzicandosi le braccia
nude.
“È
impossibile. L’ultimo e unico
nukenin
Uchiha è stato Uchiha Madara”.
“E
Obito”.
“Cosa
c’entra? Lui era morto!”
“Il
fatto
che non era davvero morto” gli fece notare.
“Cosa,
tu… woah!”
realizzò. “Tu stai dicendo che
quel nukenin è Uchiha Obito?”
Non
annuì,
si limitò a fissarlo mortalmente serio. Era tutta la notte
che ci pensava, da
quando aveva assistito allo scontro.
“Oggi,
durante lo sparrig ha usato una katana. La stessa katana che aveva
anche quel
nukenin”.
Anche
Shisui si rendeva conto che non poteva essere una semplice coincidenza
e
contrasse lo sguardo, combattuto.
“È
impossibile, Obito non lo farebbe mai. Aiutava le vecchiette a portare
la borsa
della spesa, non è un assassino”.
“È
un
ninja, è un assassino” gli fece notare
impassibile. “E credo che sia cambiato
molto rispetto a un tempo. Mio padre non ne ha parlato, ma si
capisce”.
Shisui
si
alzò cominciando a camminare in cerchio sul campo di
allenamento. Portò perfino
le mani tra i capelli ricci, arruffandoli ancor di più. A
Itachi piacevano i
capelli del cugino, era morbidi e soffici, diversi da quelli di
qualsiasi altro
membro del clan. Tutti dicevano che li aveva ereditati da suo nonno
Kagami.
“Quindi
se
è vero, noi abbiamo accolto tra le nostre file il potenziale
assassino del
nostro Signore” disse alla fine con voce stridula.
“Mentre il nostro Clan sta
progettando un colpo di stato. Ottimo! Proprio quello di cui avevamo
bisogno:
altri problemi”.
Itachi
condivideva la sua preoccupazione, anche se con meno sarcasmo.
Strappò alcuni
fili d’erba, incapace di tenere le mani ferme.
“Devo
dirlo? All’Hokage?”
“E
ammettere quell’omissione?” rincarò
Shisui, incrociò le braccia. “Siamo gli
unici Uchiha di cui si fidano, se confessi di aver taciuto su una cosa
del
genere non si fideranno più. Forse l’Hokage, ma
non quelle vipere dei
consiglieri…”
Itachi
si
risentì un po’ al tono sprezzante.
“Danzō-sama si fiderebbe. Conosce il mio
valore e non mi getterebbe via per così poco”.
“Danzō
dovrebbe
levare il suo brutto muso dalla vista” disse con rabbia e lo
indispettì ancor
di più. Itachi non capiva perché improvvisamente
Shisui fosse diventato così
critico nei confronti del vecchio consigliere, era passato dal
rispettarlo a
odiarlo in pochissimo tempo.
“Serve
Konoha e i suoi consigli sono preziosi, se non ci fosse
lui…”
“Staremmo
meglio” garantì Shisui con decisione.
Sbuffò.
“Perché improvvisamente lo odi
così?”
L’altro
ragazzo non rispose, lo guardò a lungo come se fosse incerto
e combattuto,
soprattutto molto spaventato. Alla fine si strinse le braccia al petto
e scosse
la testa.
“Lascia
stare. Sei tanto intelligente, ma certe cose non le capisci
ancora…”
Itachi
avvampò di vergogna, non c’erano nulla che non
potesse capire e odiava che
proprio Shisui in quel momento lo sottovalutasse. Ma prima che potesse
protestare, l’amico fece un passo indietro.
“Senti,
è
tardissimo e tu stavi sicuramente dormendo. Mi dispiace di averti
svegliato,
meglio se torni a casa”.
“No,
adesso
mi dici cosa intendi” pretese.
Shisui
lo
guardò stancamente, ma ciò che lo confuse fu la
piccola paura che ancora vedeva
nel fondo dei suoi occhi.
“Non
è
niente di importante” lo rassicurò.
“L’ho detto solo perché non sapevo come
controbattere, lascia stare”.
Non ne
era
per nulla convinto, Shisui da un po’ era troppo strano, come
se ci fosse
qualcosa che lo turbava… ma anche quella volta
pensò che si trattasse del colpo
di stato, in fondo stava investendo tutte le loro energie.
“Ci
vediamo
domani?” chiese quindi come ramoscello di pace.
Shisui
sorrise, visibilmente sollevato. “Ovviamente, così
sarò abbastanza riposato da
dare risposte sensate” sorrise.
Itachi
ricambiò il sorriso, anche lui più sereno.
Litigare con Shisui era l’ultima
cosa che voleva, senza di lui sarebbe stato sicuramente perso. Certo
aveva
Sasuke, ma suo fratello era un bambino… Shisui era Shisui,
colui con cui poteva
parlare di tutto senza timore.
“Solito
posto?” domandò il cugino.
Annuì.
“Mi
mandi tu il corvo?”
“Ovviamente”.
Allargò
il
sorriso rinfrescato dalla complicità che stava provando e
ogni titubanza che
aveva provato prima sparì quando, scherzosamente, Shisui
fece battere i loro
pugni. Era bello avere qualcuno con cui affrontare tutto il resto.
Weee,
non
troppo tardi questa volta!
Spero
che
questo capitolo un po’ più slice of life vi sia
piaciuto ^^ Hanno fatto la loro
apparizione personaggi che avranno qualche ruolo nella trama, Kakashi e
Obito
sono riusciti a parlare senza uccidersi e Anko si è mostrata
interessata alle
capacità di Nozomi, ovviamente perché spera possa
levarle il sigillo maledetto.
E poi c’è Danzo, perché i malvagi non
vanno mai a dormire xD
Vi
ringrazio tantissimo per le recensioni!
Hatta
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Capitolo 11 *** Esplosioni di glitter come inviti a cena ***
Capitolo
10
Esplosioni
di glitter come inviti a cena
«So
show me family
All
the blood that I will bleed.»
(The
Lumineers – Oh Hey)
Forse la
notte prima Nozomi aveva avuto ragione: Obito doveva recuperare le
energie.
Quando
la
mattina dopo si svegliò era un’ora molto tarda, il
sole illuminava l’intera
stanza da notte ed era solo sul letto sfatto. Si passò una
mano a stropicciarsi
il viso, poi si alzò per raggiungere l’altro al
piano di sotto; non pensò di
vestirsi, in realtà provava un sadico piacere nel mettere in
difficoltà gli
ANBU che dovevano spiarli. Visto che invadevano la loro privacy
dovevano
sopportarne le conseguenza.
Peccato
che
gli ANBU non fossero gli unici a invadere la loro privacy.
Si
bloccò
davanti all’entrata della cucina, sorpreso di vedere Kakashi
seduto al loro
dannato tavolo intento a bere un caffè. Caffè che
sputò non appena lo vide fare
la sua gloriosa e nuda entrata.
“Non
è qualcosa
che voglio vedere di prima mattina” tossicchiò.
“Nemmeno
io. La tua faccia”
precisò Obito
contrariato.
Nozomi
al
cucinino si lanciò uno sguardo alle spalle e gli occhi
brillarono di
divertimento nel capire la situazione.
“Dai,
vai a
vestirti”.
Obito
brontolò ma fece come gli veniva detto e cercò un
paio di pantaloni da
indossare.
“Che
cosa
ci fai qui, Bakakashi?” volle sapere.
Quello
non
rispose, socchiuse solo l’occhio visibile e alzò
gli zigomi a dimostrare che
sotto la maschera stava sorridendo.
“Felice
di
vedermi?”
“No”.
Obito
fece
il giro della tavola raggiungendo Nozomi al piano della cucina,
notò quello che
stava facendo e gli tolse la confezione da scongelare nel microonde
prima che
si avvelenasse.
“Non
stai
avendo ramen la mattina” lo avvisò.
Nozomi
tentò di riavere la confezione da scongelare.
“Ho
fatto colazione
per anni con il ramen istantaneo!”
“E
infatti
guarda come sei cresciuto”.
“Sexy
e
irresistibile?” domandò mettendosi in posa.
“Stavo
per
dire basso e idiota”.
Ridacchiò
all’espressione offesa, gli pizzicò una guancia.
“Vai a sederti, ci penso io”.
Nozomi
andò
a sedersi imbronciato. “Non riuscirai a impedirmi di mangiare
ramen per sempre”
lo minacciò.
Obito
preferì ignorarlo mentre metteva la confezione di ramen
istantaneo al suo
legittimo posto – la spazzatura – e
cominciò a prendere ingredienti per una
colazione più sana.
“Sai,
non
ti facevo tanto uomo di casa” commentò Kakashi.
“Taci”
lo
seccò Obito.
Quando
si
girò aveva due piatti e Kakashi si sorprese di vedere uno di
essi essere messo
davanti a lui.
“Per
me? Ti
lamenti della mia faccia qui e poi mi fai la colazione?”
punzecchiò per
nascondere l’incredulità.
“Magari
è
avvelenato” propose lugubre.
“So
che non
lo è”.
“Non
tentarmi”.
Nozomi
ridacchiò a quell’interazione. Aveva
già le guance piene per tutto il cibo che
si era ficcato in bocca e i suoi occhi azzurri brillavano vispi.
“Smettila
di fare lo tsundere” lo riprese certo di infastidire ancor di
più Obito.
Kakashi
approfittò di quel momento in cui entrambi erano distratti
per portarsi le
bacchette alla bocca, rimise veloce la maschera al suo posto un secondo
prima
che tornassero a guardarlo. Rise internamente all’espressione
delusa di
entrambi, a quanto pare Obito era ancora deciso a scoprire come fosse
il suo
viso sotto la maschera.
“Tu
non
mangi?” chiese spensierato.
“Non
ho
bisogno di mangiare” rispose Obito con tono monotono.
“Né di bere, andare in
bagno o dormire spesso. Sono le cellule di Hashirama”
snocciolò come se fosse
una risposta che aveva dato troppo spesso.
Kakashi
lo
guardò sorpreso, preso in contropiede. Quella scoperta gli
provocò uno strano
malessere, forse perché si rese conto di quanto il corpo di
Obito fosse
cambiato; era già ovvio dalla sua capacità di
guarire quasi istantanea, ma era
una capacità che spesso esisteva in certe linee di sangue,
ma non aver bisogno
di mangiare o bere? Era una cosa inumana.
Nozomi
aveva già spazzolato tutto dal suo piatto e si
stiracchiò con un verso di
soddisfazione.
“Comunque,
come mai sei qui?” domandò verso Kakashi.
“Non ce l’hai ancora detto”.
“Oh,
giusto” sembrò realizzare il jōnin, ma con un tono
troppo finto, era palese che
avesse nascosto volontariamente il motivo del suo arrivo lì
quella mattina.
“Hokage-sama mi ha mandato per dirvi che vuole incontrarvi.
Per decidere i
turni delle pattuglie al villaggio”.
“D’accordo,
quando dobbiamo andare?”
Kakashi
guardò l’orologio pensieroso. “Dunque,
l’incontro… era un’ora e mezza
fa”.
Nozomi
annuì. “Allora vediamo di prepara… cosa?!”
sbottò realizzando che cosa aveva detto.
Obito
scattò in piedi. “Perché ce lo dici
solo ora?!”
“Siamo
in
ritardo!”
Kakashi
li
guardò pacifico mentre si agitavano per cercare vestiti e
rendersi presentabili.
“È
solo che
quando sono arrivato eravate così carini, ancora
addormentati… E poi Nozomi si
è offerto di farmi il caffè, tu mi hai fatto la
colazione…”
Obito
sembrò pronto a scagliarsi al suo collo e colpirlo con il
piatto della suddetta
colazione, Nozomi riuscì a bloccarlo in tempo.
L’Uchiha aveva lo sharingan
attivo.
“Tu
non sei
Kakashi!” strillò accusatorio. “Che ne
hai fatto? Dov’è il vero Kakashi?”
“Suvvia,
non ti sembra di esagerare…”
“Lo
hai
fatto apposta!” ruggì liberandosi dalla presa di
Nozomi.
L’intera
agitazione allarmò gli ANBU di guardia, che intervennero
all’interno della casa
pronti al combattimento. Ma alla vista di uno dei loro jōnin
d’elite intento a
difendersi da un Uchiha mezzo nudo e un Uzumaki che tentava di salvare
la
cucina… be’, non seppero esattamente che cosa fare.
֎
Prima
che
se ne rendessero conto, scivolarono in una routine. Le prime settimane
a Konoha
passarono veloci, troppo, quasi dando la sensazione che non ci fosse
abbastanza
tempo per fare tutto.
L’Hokage
non aveva perso tempo e li aveva inseriti in tutti i turni, non solo di
sorveglianza al cancello ma anche alla scrivania per questioni
burocratiche
come la consegna delle missioni e dei rapporti. Inoltre, Kakashi
trovava sempre
un modo per imbucarsi con loro e se Obito dopo l’iniziale
straniamento di
vedere Bakakashi non essere il solito misantropo si era abituato, non
si era
abituato invece alla conseguenza della presenza costante di Kakashi:
Gai.
Oh dei.
Crescendo
una persona dovrebbe perdere il proprio costante entusiasmo, diventare
più
seria e conscia di ciò che è socialmente
accettato o meno – e per chiarire:
quella tuta aderente verde non è socialmente accettata!
– ma Gai sembrava
essere lo stesso genin che interrompeva gli allenamenti del Team Minato
per
sfidare il suo acerrimo rivale. Il che portava a un altro cambiamento:
Kakashi
accettava le sfide.
Certo,
alla
fine dei conti Obito aveva potuto costatare che il vecchio compagno di
squadra
in fondo era restato lo stesso, era ancora molto restio al contatto con
altri e
i suoi atteggiamenti eccentrici servivano proprio per allontanare le
persone.
Nonostante ciò, c’erano piccoli e significativi
cambiamenti (come appunto
l’accettare le sfide di Gai), che Obito non si sarebbe mai
aspettato, che lo
portavano a vedere Kakashi come una sorta di alieno.
Comunque,
Kakashi non era l’unica persona che si intrometteva
costantemente nelle loro
vite. Obito stava sviluppano una sorta di repulsione per Anko. La
kunoichi
sembrava divertirsi proprio nello stuzzicarlo e non perdeva occasione
per farlo
stando troppo vicino a Nozomi. C’era poi Shikaku, che
più di una sera li aveva
invitati a casa sua a cena e li aveva sfidati a scacchi. Nozomi gli
aveva
confidato che probabilmente stava cercando di capire che tipo di
persona fosse
da come muoveva le pedine e dalle sue strategie. Quella spiegazione lo
lasciava
molto scettico, lo shogi era un gioco con regole precise e non capiva
come
potesse discernere il carattere di una persona dal seguire
regole. Gli scacchi possono essere prevedibili, le persone
no e Nozomi lo dimostrava fin troppo bene.
Anche il
resto dei Jōnin di Konoha presero l’abitudine di frequentarli
e Obito sapeva
che il colpevole era proprio Nozomi. Il compagno era una tale farfalla
sociale
da essere capace di attirare tutti nella sua zona di influenza e
riuscire a
essere apprezzato da tutti. Era ormai ovvio che Nozomi fosse entrato
nelle
benevolenze degli shinobi della foglia, tant’è che
lo consideravano già un loro
pari.
Obito
non
se ne dispiaceva, tutt’altro. Innanzitutto era evidente
quanto quel
riconoscimento, quel passare tempo con altre persone, rendesse felice
Nozomi;
ma la conseguenza davvero importante era che in questo modo entrambi
non erano
più visti con diffidenza. Certo, c’erano ancora le
ombre a sorvegliarli, sia
quelle dell’Hokage che quelle di ROOT, ma si mantenevano a
una discreta
distanza di sicurezza. Non erano loro il problema.
Il
problema
era che qualcuno nel villaggio stava tentando di sabotarli.
I
campanelli d’allarme avevano cominciato a suonare quando
Obito aveva evitato la
prima trappola. Era un lavoro ben congegnato, un meccanismo che sarebbe
esploso
nel momento esatto in cui avrebbe attraversato un portico specifico.
Troppo
specifico perché fosse stato messo lì a caso, il
suo ideatore doveva sapere
bene che Obito percorreva quel passaggio specifico quando tornava dalla
spesa
di verdure. Qualcuno lo aveva osservato, studiato per creare una
trappola
particolare per lui.
Sul
momento
si impensierì troppo per provare a farla scattare con una
finta e vedere cosa
succedeva, la consapevolezza che qualcuno avesse ideato una trappola
così ben
riuscita solo per lui lo turbò. A quanto pare
c’erano ancora dei nemici nel
villaggio. Quindi si teletrasportò direttamente davanti
all’entrata del
composto Namikaze1 deciso a non dire ancora
nulla a Nozomi. Prima
avrebbe indagato sulla faccenda.
Cosa che
fece.
I suoi
occhi vigili individuarono altre trappole create specificatamente a sue
spese,
sempre più infime e difficili da notare. Riusciva a vederle
solo perché le
cercava, perché sapeva ci potevano essere. Era un lavoro
così ben fatto che
perfino un jōnin si sarebbe trovato in difficoltà.
Continuò a evitarle e il suo
inseguitore continuò a crearle.
Poi un
giorno vide Nozomi evitare con nonchalance una di queste sulla sua
strada, il
cambio di direzione era stato troppo brusco perché frutto
del caso. Nozomi
aveva visto la trappola e senza preoccuparsene l’aveva
evitata. Quindi
l’inseguitore aveva preso di mira non solo Obito, ma anche il
suo compagno.
Avevano un nemico.
Deciso a
scoprire chi fosse ideò una strategia. Si nascose e con un
kage buhin fece
scattare una delle trappole e rimase sconvolto nel vedere che si
trattava di
una valanga di glitter appiccicosi e crema colorante istantanea per
capelli.
Chi al mondo faceva trappole del genere? Lo scoprì un
secondo dopo che fece
disperdere il kage bushin, quando il loro inseguitore finalmente si
presentò
nel luogo del delitto, sicuro di aver preso la sua preda.
Il
bambino
biondo e vestito di arancione rimase molto deluso nel vedere che i suoi
glitter
non si erano appiccicati su nessuno e che non c’era nessuno
ad avere i capelli
di un improponibile verde erba. Obito osservò dal suo
nascondiglio il bambino
fare il giro dell’albero in cerca della sua preda per poi
urlare di
frustrazione davanti all’ennesimo buco nell’acqua.
Obito
non
poté trattenere un sorriso confuso mentre si ritirava. Il
loro inseguitore era
Uzumaki Naruto.
Che
diavolo?
Naruto
non
si perse d’animo e, nonostante i continui fallimenti,
continuò a tendere loro
trappole. Obito ormai cominciava a esserne infastidito, soprattutto
perché non
capiva perché diavolo il bambino lo facesse e si impegnasse
così tanto nel
farlo!
La sua
pazienza infine si esaurì del tutto, precisamente quando
vide una delle suddette
trappole esplodergli in faccia. Troppo impegnato a scappare da Anko non
aveva
quasi visto la trappola impostata nel vicolo ed era riuscito a schivare
solo un
secondo prima che tutto esplodesse colorando l’intera zona
– e Obito– di un
arancione brillante e indecente.
Furioso
ed
esasperato da tutto quello, si teletrasportò al composto,
direttamente davanti
a Nozomi.
“Che
cosa
stai cercando di fare?!” sbraitò.
Nozomi
lo
guardò confuso, poco impressionato dai suoi vestiti
arancione sgargiante, ma
preoccupato per l’espressione omicida.
“Uhm…
studio il sigillo maledetto di Anko?” offrì
mostrando il rotolo che aveva
davanti.
“Non
tu tu!” sbottò
levandosi i vestiti
incriminati con gesti bruschi ed esasperati. “Il mini te! Il
chibi-Naruto!”
“Ah!
Oh…”
guardò la veste a terra, le macchie di arancione simili a
esplosioni di vernice
e i suoi neuroni cominciarono a fare gli ovvi collegamenti.
“È stato lui a
farlo?” rise sotto i baffi.
Obito lo
incenerì.
“Sono
giorni che ci perseguita con queste… trappole,
questi…”
“Scherzi”
offrì in suggerimento.
Fece un
verso stizzito con la mano.
“Quel
che
è!” concluse. “Perché? E
più passa il tempo più diventa
agguerrito!”
Nozomi
gli
rivolse un sorriso imbarazzato e finse di tornare a concentrarsi sui
suoi
appunti.
“No,
sta
solo… cercando di attirare la nostra attenzione”
spiegò.
Obito
inarcò un sopracciglio. “Elabora”.
“Immagino
sia frustrato dal nostro ignorarlo… probabilmente il
Sandaime non gli ha
spiegato la situazione. Fare scherzi è sempre stato
l’unico modo che avevo per
essere riconosciuto dagli altri, anche se era solo per essere sgridato
o
deriso…”
Lasciò
la
frase in sospeso, senza aggiungere altro. Obito rimase a fissarlo,
cercando di
capirne la logica.
Meglio essere
sgridato che ignorato.
Strinse
gli
occhi, perché capiva il terrore di non essere riconosciuto
dagli altri,
l’essere ignorato dal resto del clan era la norma nella sua
infanzia e come il
piccolo Naruto anche lui aveva fatto tutto il possibile per essere
riconosciuto
dagli altri.
Ma non
attentando la loro vita!
Sua
nonna
gli aveva insegnato che le persone gentili sono sempre quelle
più apprezzate,
quindi aveva sempre fatto piccole gentilezze per chiunque –
come portare la
spesa delle nonnine – e almeno in parte aveva funzionato. Il
comportamento che
aveva il piccolo Naruto, visto il suo fine di riconoscimento, era
inutile e
dannoso, perché in quel modo si auto-sabotava: quegli
scherzi lo rendevano solo
più odioso agli occhi del Villaggio.
“Comunque,
ho già vendicato il tuo onore”.
Nozomi
aveva rialzato gli occhi brillanti dal rotolo ed erano puntati beffardi
sulle
macchie di arancione che aveva tra i capelli. Sembrava che faticasse
dal
trattenersi dallo scoppiare a ridere.
“Uh?”
grugnì infastidito dell’ilarità a sue
spese.
“Diciamo
che quando tornerà a casa, troverà una piccola
sorpresa…”
֎
Naruto
non
ricordava l’ultima volta che si era sentito così
soddisfatto. Finalmente dopo
giorni di buchi nell’acqua era riuscito a colpire il ninja
con le cicatrici che
accompagnava suo zio!
Ed
è stato
fantastico, dattebayo.
Cercare
di
prendere suo zio negli scherzi era stato impossibile, li evitava con
una tale
nonchalance da sembrare conoscesse in anticipo la minaccia. Anche il
ninja con
le cicatrici – Naruto non ricordava quale fosse il suo nome
– era stato subdolo
e perciò Naruto aveva dovuto essere ancora più
subdolo.
Alla
fine
aveva vinto lui e il risultato era stato impagabile, insieme
all’espressione
sconvolta e furiosa dell’adulto.
Felice
per
la riuscita del suo piano tornò a casa saltellando,
riuscendo per una volta a
non vedere gli sguardi rancorosi dei civili che si scansavano al suo
passaggio.
Tutti dicevano che era un incapace, ma come potevano considerarlo tale
se
riusciva a intrappolare quei ninja fortissimi?
Sono il
migliore, il futuro Hokage!
Con quei
pensieri soddisfatti aprì la porta del suo bilocale
e…
Soffocò
in
un’improvvisa cascata di glitter.
“Dattebayo!”
gridò mentre la valanga glitterata rischiava di soffocarlo e
con un salto
scappò all’interno del soggiorno, ma ormai il
danno era fatto: ogni centimetro
del suo corpo era occupato da brillantini di tutti i colori, era come
un’enorme
palla da discoteca.
Sbalordito
e confuso da quello che era appena successo, guardò la
montagnola di glitter
che si erano accumulati davanti alla porta; sopra di essi era
appoggiato un
biglietto, caduto per ultimo.
Chi la fa
l’aspetti, recitava e
Naruto, invece
di arrabbiarsi e infuriarsi, sorrise a trentadue denti.
Non
c’erano
dubbi su chi fosse l’ideatore dello scherzo, si trattava o di
suo zio o del suo
amico, che si erano vendicati dei suoi. E lo avevano fatto in un modo
fantastico! Invece di riportare a Jiji le sue malefatte avevano
partecipato al
suo stesso gioco con un’idea grandiosa, chissà se
poteva riciclarla in qualche
modo...
Si
rialzò
sempre sorridendo, tentò di passare le mani sui suoi vestiti
ma i glitter ormai
erano tutti appiccicati, per toglierli avrebbe dovuto fare una doccia.
Be’,
poco
male.
Del
resto
quello era un chiaro invito a cena da loro e lui non poteva presentarsi
sporco.
Qualche
tempo dopo, stava di nuovo camminando per le vie del Villaggio. Sapeva
dove
abitava suo zio, più di una volta lo aveva seguito di
nascosto ed era rimasto
dapprima estasiato di vedere quanto grande fosse la casa, poi si era
infuriato
alla realizzazione che non lo avevano invitato a stare da loro
nonostante tutto
lo spazio che ci fosse. Si era arrabbiato all’idea che lo
stessero ignorando
senza un motivo, ma alla fine avevano dimostrato che non lo stavano
davvero
ignorando quindi non era più arrabbiato.
Nonostante
la doccia non era riuscito a levarsi tutti i glitter, ma non gli
importava
davvero, con il tempo sarebbero andati via. Insomma, niente poteva
rovinare il
suo buon umore.
Ma
quando
imboccò il vialetto che portava al giardino della casa di
suo zio, due figure atterrarono
dai tetti bloccandogli la strada. Naruto li riconobbe subito, erano
quei ninja
strani con le maschere che a volte Jiji gli sguinzagliava dietro.
Li
guardò
contrariato mentre si mettevano in un modo che gli avrebbe impedito di
proseguire.
“Naruto-kun”
disse quello con la maschera di un cervo. “Hokage-sama
desidererebbe cenare con
te alla Torre dell’Hokage, ci ha mandato a
chiamarci”.
L’espressione
contrariata di Naruto si accentuò. La verità
è che quella non era la prima
volta che tentava di raggiungere la casa di suo zio, o suo zio in
generale. Fin
da subito aveva tentato di andare da lui, ma ogni volta che ci provava
c’era
sempre qualcuno che lo bloccava, principalmente proprio quei ninja
strani, che
ogni volta gli dicevano che Jiji lo voleva vedere.
Era un
complotto. Naruto non era stupido come tutti credevano, capiva le cose
e capiva
che lo stavano facendo apposta a impedirgli di incontrare suo zio.
Forse era
anche lo stesso motivo per cui suo zio non era mai andato a cercarlo.
Decise
che
questa volta non avrebbe fatto il bravo bambino ubbidendo. Aveva un
obiettivo e
quando si metteva in testa qualcosa nessuno poteva fargli cambiare
idea,
Iruka-sensei lo chiamava dannato testardo per un motivo!
Quindi
fece
la cosa più ovvia: tirò fuori la lingua per
fargli una smorfia e poi corse via,
verso una scorciatoia che conosceva solo lui.
I ninja
dell’Hokage non reagirono subito, sorpresi di vederlo
disubbidire quando almeno
al Sandaime obbediva sempre, e iniziarono a inseguirlo con qualche
secondo di ritardo.
Ormai Naruto era già riuscito a raggirarli ed entrare nel
giardino. Corse verso
la strada, ma quando ormai credeva di aver vinto un muro di terra
crebbe
davanti a lui impedendo la sua corsa.
“Ma
no,
dattebayo!” si lagnò. “La magia ninja
non vale!”
Si
guardò
intorno con un groppo in gola, per nulla intenzionato a lasciare che
finisse
così, anche se gli ANBU ormai lo avevano raggiunto.
“Non
voglio
cenare con Jiji!” gridò stringendo i pugni.
“Sono
gli
ordini dell’Hokage”.
Gli fece
un’altra smorfia, poi scattò per raggirare
l’ostacolo e raggiungere finalmente
la sua meta. Gli ANBU gli furono subito addosso e lo stavano per
catturare,
quando delle radici esplosero dal terreno costringendo i ninja a
deviare per
non finire infilzati. Naruto guardò con meraviglia quelle
radici creare una
barriera tra lui e i ninja, ma purtroppo il tremore del terreno esplose
gli
fece perdere l’equilibrio. Lanciò un gridolino
mentre cadeva e chiuse gli occhi,
ma non sbatté mai sul suolo. Qualcuno lo prese al volo e
quando riaprì gli
occhi si ritrovò stretto tra le braccia di suo zio in
persona. Arrossì
furiosamente nel realizzare la stretta, il fatto che lo stesse tenendo
forte
contro di lui. Era la prima volta che qualcuno lo
abbracciava…
Gli
occhi
di Nozomi erano seri, attenti e simili al ghiaccio mentre guardava le
guardie
ANBU in allerta dietro le radici. Naruto spiò dietro la
spalla dello zio,
vedendo che anche lo shinobi con il viso sfregiato era uscito dalla
casa, ma
restava a una distanza di sicurezza pronto a intervenire in caso di
bisogno.
“Potete
spiegarmi” iniziò lentamente Nozomi,
“perché state inseguendo mio nipote
attaccandolo nella mia proprietà?”
ringhiò.
Naruto
sentì la pancia svolazzare al pronome possessivo nei suoi
confronti. Senza
genitori o parenti di qualsiasi tipo non aveva mai avuto nessuno che lo
considerasse suo, era bello.
“Uzumaki-san”
disse con rispetto uno degli shinobi inquietanti.
“Sandaime-sama ha richiesto
la presenza di Naruto-kun nel suo ufficio, ma lui non sta collaborando.
Stiamo
eseguendo i suoi ordini”.
Naruto
si
infuriò, perché quella spiegazione lo faceva
sembrare colpevole come sempre
quando questa volta lui non c’entrava niente.
“Non
voglio
cenare con Jiji!” gridò quindi. “Voglio
cenare con mio zio! E lo so che volete
tenermi lontano da lui, dattebayo! Non sono stupido! Lasciatemi in
pace!”
Le sue
furono parole al vento, gli ANBU lo ignorarono completamente.
“Uzumaki-san…”
avvertirono.
Naruto
cominciò a preoccuparsi, suo zio non stava dicendo niente.
Almeno continuava a
tenerlo stretto, sperò che non lo lasciasse andare e che
mandasse via quei
ninja antipatici. Ma prima che suo zio potesse prendere una decisione,
l’altro
ninja che lo accompagnavo si teletrasportò dal nulla davanti
agli ANBU. Li
guardò negli occhi senza dire niente, poi quelli si
irrigidirono e se ne
andarono. Naruto li guardò allontanarsi stupefatto.
“Li
ho
messi sotto genjutsu” spiegò lo shinobi con le
cicatrici, mentre faceva
ritrarre anche le radici che aveva evocato.
Il petto
di
suo zio tremò per una risata.
“Potevamo
parlarci”.
“Sì,
be’,
non avevo voglia” fece spallucce. “Quindi devo fare
la cena anche al moccioso”
considerò un po’ seccato.
Naruto
lo
guardò con gli occhi sgranati mentre rientrava a casa, aveva
abiti scuri e
camminava dolente, come se non avesse appena cacciato quei ninja
inquietanti
con uno solo sguardo.
Wow, che figo,
pensò.
La casa
di
suo zio era enorme. Ma davvero, davvero enorme! Si chiese che cosa se
ne
facessero di tutto quello spazio.
Non
riuscì
a trattenersi e appena fu libero si mise a sgambettare per tutte le
stanze,
curioso della nuova esplorazione. Per questo motivo non gli dispiacque
più di
tanto quando suo zio smise di tenerlo in braccio. C’erano
così tante stanze che
non sapeva a cosa servivano la metà di esse ed era tutto
molto spazioso, non
come nel suo appartamento.
Nozomi
lasciò che il bambino esplorasse il posto e si
avvicinò a Obito, già ai
fornelli.
“Sai
che
questo ci metterà nei guai, vero?”
Obito
scrollò le spalle, poco impressionato.
“Se
l’Hokage avrà qualcosa da ridire ce lo
farà sapere. Non è come se lo avessimo
rapito o altro, il moccioso sta solo cenando con noi”.
“Hai
messo
i suoi ANBU sotto genjutsu”.
Obito
non
rispose, limitandosi a ghignare soddisfatto.
“Mi
piace
essere pratico”.
“Avremmo
potuto parlarci, trovare un compromesso”.
“Be’,
avremmo potuto. Ma sarebbe stato più lungo e faticoso,
probabilmente
fallimentare. Così abbiamo risolto prima”.
Nozomi
andò
a sedersi sul tavolo e incrociò le braccia, sprofondando la
testa fra esse.
“Quante
volte dovrò ripetere che bisogna fare le cose giuste, non
più facili?”
“Andiamo!
Lo so che volevi restasse, non lo avrebbero mai permesso”.
Aprì
la
bocca per protestare, ma lo scalpiccio leggero dei passi di un bambino
anticipò
l’entrata di Naruto nella cucina.
“Che
cosa
si mangia?” domandò con un sorriso enorme. Lui non
sembrava per nulla scosso di
aver disobbedito all’Hokage, ma non ne era poi
così stupito.
“Ramen!”
rispose subito Nozomi.
Gli
occhi
di Naruto si illuminarono e Obito gli tese contro il mestolo, in segno
di
minaccia.
“Lo
abbiamo
mangiato anche ieri!”
“Ma
ieri
non c’era Naruto con noi” ragionò Nozomi.
Il
bambino,
che si dimostrò più sveglio del previsto,
capì subito chi aveva il potere lì, o
per meglio dire chi avrebbe cucinato. Quindi si voltò nella
direzione di Obito,
gli occhi sgranati e il labbro sporgente. L’Uchiha aveva
già separatamente
difficoltà a dire di no a Nozomi e ai bambini in generale,
davanti a quella
versione chibi di Nozomi era impossibile resistere. Provò a
tenere il punto, ma
durò solo qualche secondo. Dovette distogliere lo sguardo e
borbottò che
immaginava fosse giusto. Non vide i due Uzumaki farsi il segno di
vittoria.
Naruto
arrossì a quel gesto e si sentì in impaccio,
perché non aveva mai avuto nessuno
con cui essere complice. Anche nei suoi scherzi era sempre solo, non
c’era mai
nessuno con cui condividerli. Nozomi era suo zio… ma si
chiese se potesse
essere anche suo amico, sarebbe stato grandioso.
“Almeno
degnatevi di preparare la tavola, disgraziati!”
gridò Obito dai fornelli,
facendo sussultare il bambino.
Nozomi
lo
notò e ridacchiò. Gli fece cenno, mostrando dove
tenevano la tovaglia e le
bacchette.
“Non
fare
caso ai modi di Obito. Gli piace fare il burbero, ma è un
tenerone” gli
sussurrò.
Naruto
annuì, registrando il nome dell’uomo. Dietro alle
vesti aveva lo stesso simbolo
che aveva visto anche sulle magliette di Sasuke, era il simbolo del
clan
Uchiha, quindi doveva essere un parente di Sasuke.
“Secondo
me
è figo” ammise, ricordando non solo lo scontro
epico a cui aveva assistito, ma
anche come lo aveva difeso con quei civili cattivi. Per non parlare di
poco
prima, di come era riuscito a sbarazzarsi di quei ninja inquietanti
solo con
uno sguardo!
Super-mega-figo!
“Anche
io
diventerò così forte” disse.
Nozomi
gli
sorrise, poi calò la mano sulla sua testa, spazzolandogli i
capelli.
“Lo
scommetto”.
Si
immobilizzò al contatto, il cuore che batté
furioso nelle orecchie mentre un
calore sconosciuto si irradiava dalla testa per tutto il suo corpo.
Quando
tolse la mano desiderò che rimanesse, che continuasse a
spettinargli i capelli
in quel gesto che aveva visto molti adulti fare su altri bambini, ma
mai a lui.
Si
appiccicò a Nozomi, letteralmente, premendosi contro il suo
fianco e afferrando
il bordo della sua maglietta. Voleva stargli vicino, voleva che lo
abbracciasse, voleva tanto sapere come ci si sentisse ad avere qualcuno
ad
abbracciarti.
“Quindi
ti
piace il ramen?” domandò Nozomi.
Alzò
il
viso verso di lui e annuì con forza.
“È
la cosa
che mi piace di più in assoluto, dattebayo!”
garantì allargando ancor di più il
sorriso.
“Ottimo,
lo
adoro anch’io. Così avrò un alleato
contro Obito” aggiunse alzando il tono
della voce.
“Niente
ramen per più di tre volte a settimana!”
gridò quello in rimando. “Fa male!”
Naruto
sgranò gli occhi. “Solo tre volte a
settimana?” gracchiò. “Ma
è…”
“Illegale,
lo so” roteò gli occhi Nozomi.
“Il
mio
ramen preferito è quello di Ichiraku”
spiegò il bambino. “Potresti mangiare
quello di nascosto… con me” offrì.
L’adulto
scoppiò a ridere e per un momento sperò che
passasse ancora la mano sui suoi
capelli. Invece si limitò a distribuire i bicchieri sulla
tavola.
“Sicuro,
e
grazie per l’informazione. Ne farò
tesoro”.
“Che
bello,
finalmente qualcuno che apprezza il ramen come merita,
dattebayo!” gioì.
“Credo
sia
nel sangue degli Uzumaki apprezzare il ramen”.
A quella
frase, Naruto tacque di colpo. Si morse le labbra, un po’
incerto sul porre la
domanda. Il fatto è che c’erano così
tante cose che voleva sapere, soprattutto della sua famiglia.
“Gli
Uzumaki… sono tipo un clan?”
Nozomi
si
bloccò di colpo, cristallizzandosi a metà
nell’azione e rimase rigido così per
un secondo che a Naruto parve infinito. Cominciò a temere di
aver fatto la
domanda sbagliata e si morse il labbro quando lo zio si
voltò. Aveva uno
sguardo strano, quasi amareggiato.
“Non
sai
niente del clan, vero?”
Lo aveva
chiesto con il tono di chi conosce già la risposta, lo
stesso che aveva
Iruka-sensei quando gli chiedeva se aveva dimenticato di fare i
compiti, perciò
non rispose.
Vide
Nozomi
allungare un braccio verso di lui e tremò di aspettativa,
certo di ricevere un
abbraccio. Invece rimase deluso, picchiettò soltanto sulla
sua schiena.
“Sai
cosa
significa questa spirale rossa?”
Socchiuse
gli occhi. La spirale rossa era su tutti i suoi vestiti, Jiji stesso la
faceva
cucire su di essa e Naruto ne era molto contento, perché gli
piaceva come segno
distintivo. Recentemente si era reso conto che assomigliava ai simboli
di clan
che alcuni bambini avevano sul retro dei loro vestiti, ma era un
simbolo che
tutti gli shinobi di Konoha avevano sull’uniforme, quindi
pensava fosse
semplicemente un segno distintivo del villaggio.
Ma a
pensarci meglio, anche Nozomi ne aveva uno sui suoi vestiti. E Nozomi
era suo
zio, un Uzumaki…
“La
spirale
è il simbolo del clan Uzumaki” disse Nozomi,
spostò gli occhi sulla schiena.
“Come il ventaglio è il simbolo del clan
Uchiha”.
Annuì,
illuminandosi. “Quindi faccio parte del clan Uzumaki! Come
te!”
“Esatto,
cucciolo”.
Naruto
sorrise raggiante e arrossì un po’ al nomignolo.
“Ma
se
siamo in un clan, dove sono gli altri?”
Capì
di
aver fatto una domanda dolorosa dal modo in cui gli occhi azzurri
dell’adulto
si spensero. Anche le labbra si strinsero in una piega amara. In
silenzio
Nozomi fece sedere entrambi davanti al tavolino, Naruto aveva la
sensazione che
stesse per succedere qualcosa di importante.
“È
complicato… e un po’ lungo da spiegare”
disse, ma nonostante ciò riprese a
parlare e non si fermò per molto tempo.
Naruto
non
era bravo a seguire le lunghe spiegazioni, ma questa volta rimase zitto
e
ascoltò tutto. Tacque e lasciò che
l’aria fosse piena solo della voce di Nozomi
e del rumore dei fornelli di Obito.
Stupefatto
ascoltò la storia di una città in
un’isola lontana, una città come Konoha con un
Uzukage, dove anche lì c’erano shinobi.
Ascoltò tutto quello che Nozomi aveva
da dire su Uzushio, del clan Uzumaki, della loro alleanza con Konoha
e… la
distruzione del villaggio.
Ascoltò
tutto e quando Nozomi finì di parlare si sentì
come se non fosse abbastanza.
Voleva sapere di più, conoscere tutto del suo clan e delle
sue origini.
Improvvisamente sentì di appartenere a qualcosa, di non
essere davvero solo,
anche se quel qualcosa era stato distrutto tanto tempo fa. La
consapevolezza
gli fece venire il magone: aveva appena scoperto di avere un clan, ma
quel clan
ormai era sparito nel tempo.
“Siamo
solo
noi due, quindi?” chiese abbattuto.
Poteva
capire perché Nozomi gli fosse parso così triste
prime.
“Probabilmente
nelle altre Nazioni Ninja ci sono altri Uzumaki nascosti”
rispose suo zio.
“Ma…”
“Allora
dobbiamo trovarli!” esplose interrompendolo.
“Dobbiamo trovarli e portarli qui!
Possiamo ricostruire il clan qui, dattebayo!” propose.
Del
resto
Jiji li avrebbe sicuramente accolti, proprio come aveva fatto con suo
zio.
Potevano ricostruire la loro famiglia, dovevano solo trovarli.
Nozomi
sbatté le palpebre all’esplosione del bambino, ma
dopo il momento di sorpresa
ricambiò il sorriso. Era normale trovare la propria versione
più piccola così
adorabile?
“Lo
faremo
sicuramente!” garantì. Del resto sapeva
dell’esistenza di ben altri due
Uzumaki, anche se Nagato al momento era intento a progettare piani di
distruzione e conquista del mondo.
Obito
interruppe le loro fantasticherie appoggiando due ciotole sul tavolo.
“Sì,
sì.
Qualsiasi cosa, ma ora mangiate” disse sbrigativo.
Gli
occhi
di Naruto si sgranarono davanti al buon odore dei piatti e con
eccitazione
prese le proprie bacchette. Si bloccò di colpo
però, fissando proprio Obito.
“Tu
non
mangi?” indagò.
“Ho
già
cenato” rispose quello, senza curarsi della bugia.
Spiegare
a
Kakashi perché non aveva bisogno di mangiare era un conto,
spiegarlo a un
bambino era tutt’altra faccenda.
“Oh”
commentò Naruto. “Grazie per averci fatto la cena,
allora” disse molto seriamente.
Obito
inarcò un sopracciglio, non aspettandoselo.
“Quindi
sai
essere educato, oltre che un moccioso pestifero”.
Naruto
sgranò gli occhi. “Non sono pestifero,
dattebayo!” protestò.
“Si
chiamano così i bambini che passano il tempo a fare
scherzi”.
Invece
di
offendersi ancora o protestare, questa volta Naruto sorrise raggiante e
lo
guardò con orgoglio.
“Prima
o
poi ti prenderò” assicurò.
“Non
credo”.
“Invece
sì,
dattebayo. Te lo prometto e io non rimangio le promesse!”
gridò.
Obito
sorrise. “Oh, che paura”.
“Dovresti
averne” garantì, poi socchiuse gli occhi con
soddisfazione. “Anche perché ti ho
quasi preso” aggiunse mettendo le mani sui fianchi.
Non ci
fu
risposta.
Naruto
riaprì gli occhi confuso, giusto in tempo per vedere i due
adulti che si
scambiavano uno sguardo serio e preoccupato. Molto preoccupato, uno di
quello
che preannunciava guai.
Non ebbe
alcun modo di chiedere cosa fosse successo, perché entrambi
sparirono all’improvviso
dalla tavola, teletrasportandosi via.
E Naruto
rimase solo davanti alla tazza di ramen.
ZAN ZAN
che
è successo?
Prossimo
capitolo – che arriverà prima, lo prometto!
– si scoprirà. Niente di troppo
grave comunque, non preoccupatevi!
I nostri
ninja sono riusciti a creare una routine a Konoha, ma soprattutto
Naruto si è
finalmente rotto di aspettare e ha deciso di fare la sua bella
comparsa. Che ne
dite? Vi è piaciuto? Spero di sì!
Grazie
per
le recensioni e per seguire questa storia, vi si ama!
1.
D’ora in
poi la casa dove abitano Obito e Nozomi verrà chiamato
composto Namikaze, visto
che effettivamente erano le proprietà di Minato.
|
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Capitolo 12 *** Empasse ***
Capitolo 11
Empasse
«Put
me to the test, I’ll prove that I’m strong
Won’t
let myself believe that what we feel is wrong.»
(Warrior
– Beth Crowley)
Nozomi e
Obito atterrarono simultaneamente ai confini della proprietà
dei Nemikaze,
proprio davanti al proprietario del chakra che avevano avvertito
invadere il
complesso. Nozomi rimase un momento spiazzato nel vedere chi fosse
l’intruso,
anche se considerando l’ingente quantità di chakra
che i sigilli difensivi
avevano rilevato non c’era da stupirsi.
“Sandaime-sama,
che sorpresa” disse gioviale, anche se il petto gli si
strinse capendo subito
per quale motivo l’Hokage si fosse scomodato fin
lì. O meglio: per chi.
Infatti
Hiruzen non si perse in convenevoli e li guardò cupo, il suo
aspetto era
autorevole mentre un leggero vento notturno agitava le sue vesti
bianche.
Dietro la sua figura potevano vedere degli ANBU di scorta.
“Dov’è
Naruto?”
Nozomi
sentì al suo fianco Obito farsi più teso, quasi
pronto a scattare e combattere,
e pregò silenziosamente i kami perché non facesse
degenerare la situazione.
“Oh,
è in
casa” rispose tranquillo. “Abbiamo appena preparato
il ramen, vuole unirsi?
Potremmo fare una tazza anche per lei” propose sperando che
la situazione
delicata finisse in quel modo diplomatico.
Era
ovvio che
Hiruzen fosse lì per portare via Naruto, perché
non lo voleva con loro, ma
forse potevano trovare un compromesso: lasciaci
Naruto per cena e resta anche tu ad assicurarti che non gli faremo
nulla.
Ma
l’Hokage
sembrava troppo furioso per accettare qualsiasi via diplomatica.
“Vi
avevo
detto che non potevate avvicinarvi a lui”.
“Infatti
è
stato Naruto a venire da noi” scattò Obito.
“Cosa dovevamo fare, mandarlo via?”
“Lasciarlo
in custodia agli ANBU venuti per lui, non metterli sotto
genjutsu” sbottò a sua
volta Hiruzen, i piccoli occhi carbone lampeggiarono di rabbia.
“Questo può
essere considerato tradimento”.
“Lo
stavano
inseguendo, non voleva andare con loro. Dovevamo lasciare che
catturassero con
la forza un bambino nella nostra proprietà?!”
Nozomi
intervenne
prima che il carattere focoso di Obito peggiorasse la situazione, lo
stesso
Hokage al momento sembrava poco incline alla conciliazione.
“Non
volevamo mancarle di rispetto, ma nemmeno ignorare Naruto. Sta bene,
lui è…”
“Lui
ora
viene con me” lo interruppe imperioso Hiruzen.
Nozomi
rimase con la bocca socchiusa, gli occhi che si contrassero di dolore.
Non
voleva che gli portasse via Naruto, avevano appena iniziato a parlare,
a
conoscersi.
“Sandaime-sama,
le assicuro che sta bene e non sta succedendo niente
di…”
“Non
farmi
ripetere, Uzumaki-san”.
Socchiuse
gli occhi davanti all’onda d’urto invisibile del
tono gelido e imperioso. Jiji
non gli aveva mai parlato così, anche davanti alla sua
peggior malefatta, era
sempre stato gentile e paziente. Era doloroso che lo trattasse come un
perfetto
estraneo.
Ma lo
erano. Doveva ricordarsi che non era il suo jiji, che non poteva
comportarsi
allo stesso modo. Era tutto diverso per lui.
Prese un
lungo respiro, cercando di domare le emozioni negative.
“Sto
solo cercando
di conoscere la mia famiglia…”
Alla sua
confessione non ci fu nessun sguardo indulgente, il suo volto rimase
duro come
la pietra.
“A
suo
tempo, ma non ora”.
“Quando,
allora?” domandò implorante. Erano lì
da settimane.
“Quando
potrò fidarmi di voi” sentenziò.
Obito
sembrò incapace di trattenersi oltre e intervenne di nuovo,
sprezzante.
“Come
possiamo dimostrare che meritiamo fiducia se ci tieni a distanza da
ogni cosa?”
Hiruzen
lo
guardò indispettito, ma non riuscì a ribattere
perché l’Uchiha continuò.
“Non
ci dai
missioni fuori dal villaggio, o nulla che possa dimostrare che ora
siamo fedeli
a Konoha. Non ci permetti di avvicinarci a Naruto, non ci metti a parte
di
nessuna decisione politica e militare. Per avere fiducia bisogna anche
rischiare nel darla, solo così si può sapere di
aver fatto la scelta giusta!”
Quando
terminò, questa volta il Sandaime non provò a
rispondere e rimase in un
silenzio contrariato. Nozomi si concentrò però su
Obito, sentendo il proprio
cuore espandersi a quelle parole. Sapeva per certo che il compagno
stesse
parlando a titolo personale, sulla propria esperienza, ed era commosso
di
sapere che continuava a considerarlo la scelta giusta.
Alla
fine
Hiruzen scosse la testa. “Portatemi da Naruto”
disse solo, come se Obito non avesse
mai parlato.
֎
Il ramen
si
stava raffreddando, ma Naruto non osava iniziare a mangiarlo. Non
sapeva dove
avesse sentito che era maleducazione iniziare a mangiare quando gli
altri non
potevano ancora farlo. Non sapeva se fosse vero o meno, del resto non
conosceva
le buone maniere – le donne civili perdevano sempre tempo a
urlarglielo dietro
– ma preferiva non rischiare.
Nozomi e
Obito non comparvero davanti a lui dal nulla proprio come erano
spariti. Rizzò
le orecchie in allerta quando sentì la porta
d’entrata venire aperta e chiusa,
seguita da passi pesanti. Istintivamente prese uno dei coltelli sul
tavolo,
anche se aveva il bordo poco tagliante, giusto per avere
un’arma.
Guardò
con
gli occhi sgranati il fusuma della cucina che veniva spostato di lato,
rivelando la figura di jiji. La sua espressione era molto definitiva a
turbata.
Alle sue spalle c’erano Nozomi e Obito, il primo abbattuto e
il secondo
apertamente furioso.
Naruto
seppe perché l’Hokage fosse lì ancor
prima che parlasse, e la presa sul
coltello tremò.
“Naruto-kun”
disse secco. “È ora di andare”.
Il
bambino
abbassò lo sguardo, incredulo e ferito. In che senso era ora
di andare? Era
appena arrivato, non avevano nemmeno iniziato a mangiare. Vide i suoi
occhi
azzurri arrabbiati nel riflesso del coltello, aumentò la
presa su esso prima di
tornare a guardare l’Hokage.
“No”
disse.
֎
“Te
lo dico
schiettamente, Obito, mettere quegli ANBU sotto genjutsu non vi ha
fatto una
buona impressione”.
“Vaffanculo,
Bakakashi. Esci da casa mia!” sbottò
l’Uchiha dalla cucina, sbattendo piatti,
utensili e Tenzo non sapeva che altro. Era lì, sul ripiano
della cucina, che
maneggiava rabbiosamento, sibilando parole incomprensibili, da quando
l’Hokage
era riuscito a trasportare via un Naruto urlante.
Una
scena
orribile, secondo l’umile parere di Tenzo.
Lui e
Kakashi erano tra gli ANBU che stavano accompagnando
l’Hokage, ma quando se n’è
andato non l’hanno seguito. Sono rimasti lì.
Ufficialmente per assicurarsi che
i due neoshinobi non seguissero l’Hokage, in
realtà perché Kakashi immaginava
avessero bisogno di supporto morale. Anche se a essere onesti, dalla
faccia che
aveva sembrava essere proprio Kakashi quello bisognoso di supporto
morale.
Nozomi
era
sicuramente quello più depresso. Da che Tenzo lo conosceva
– o meglio: lo
spiava per conto del Sandaime – lo aveva sempre visto
chiacchierare
assurdamente allegro. Era alienante vederlo con
quell’espressione così
abbattuta. Infine c’era Obito, che continuava a tagliare
verdure come se
fossero il suo personale nemico.
Almeno
il
ramen era buono.
“Io
non
capisco” mormorò Nozomi. “I primi
giorni… quando siamo arrivati, sembrava molto
meno sospettoso. Che è successo, che adesso ci tratta come
se fossimo una bomba
carta programmata a esplodere?” domandò
sconsolato.
Obito
affettò con più rabbia la carota sotto le sue
mani assassine.
“Sta
invecchiando, quella mummia che puzza di tabacco
sta…”
“Non
ne
sono davvero sicuro,” lo interruppe prontamente Kakashi prima
che dica qualcosa
di davvero irripetibile sul loro dittatore militare, “ma
alcuni ANBU che vi
sorvegliano ne stavano parlando”.
Tenzo
quasi
si soffocò mentre inghiottiva il brodo del ramen rimasto e
sbatté la tazza sul
tavolo basso.
“Senpai!”
strillò. Capiva fare supporto morale, ma rivelare certe cose
era tradimento,
non supporto morale.
Ma ormai
le
parole dell’Hatake avevano catturato la loro
curiosità. Obito smise si
affettare la carota per guardare Kakashi, con lo stesso sguardo omicida con cui guardava la corata
tra parentesi.
“Da
quello
che ho sentito, c’è un motivo se le guardie che vi
sorvegliano sono soprattutto
Hyūga” iniziò Kakashi, ignorando lo sguardo
supplicante di Tenzo. “Durante il
nostro sparring, Hiashi si è accorto che
c’è qualcosa
sigillato dentro Nozomi”.
Tenzo
osservò attentamente la reazione dell’Uzumaki a
quella rivelazione. Ma lui si
limitò a sbattere le palpebre, come preso in contropiede,
poi sbuffò con
evidente fastidio.
“Ci
sono un
sacco di cose sigillate dentro di me” fece notare. Si
tirò su le maniche e
cominciò a colpire con il chakra i vari sigilli sulle
braccia, che cominciarono
a rilasciare oggetti che andavano da pergamene, kunai a kit medici e
vecchi
vestiti. “Dovrà essere un po’
più specifico” concluse stizzito.
Kakashi
sospirò. “Intendevo che ha visto un chakra diverso
mescolato al tuo”.
Nozomi
inarcò un sopracciglio. “Quindi due chakra? Non
può essere che ha visto le mie
due nature diverse di chakra? Non so se il byakugan può
distinguere queste
cose, ma…”
“No,
un
chakra tipo quello di un Bijū”.
Dopo
quell’ultima ammissione, calò un silenzio che si
protrasse per lunghissimi
secondi. Nozomi sembrava essere diventato una statua di sale, la bocca
socchiusa e lo sguardo sorpreso. Fu Obito il primo a riprendersi.
“Stai
dicendo che l’Hokage crede che Nozomi sia un
Jinchūriki?”
“Sostanzialmente
sì” replicò pigro. “E il
fatto che tu non l’abbia menzionato lo rende
sospettoso”.
“Non
l’ho
menzionato perché non lo sono”
si
riprese dalla sorpresa Nozomi e parve davvero molto frustrato.
“Ma
vuole
una conferma” sospirò Kakashi.
“Come
faccio a dimostrare qualcosa che non sono?!”
sbottò incredulo.
“Fondamentalmente,
continuando come state facendo”.
Nozomi
distolse lo sguardo, stringendolo con rabbia.
“Sì,
ma nel
frattempo Naruto continuerà a vivere da solo. Sto cercando
di sopportarlo, ma
non ha senso. Sono qui, posso prendermi cura di lui, non ha senso che
ci
teniate lontano!”
“Sono
gli
ordini dell’Hokage” ripeté Kakashi
desolato. “Non possiamo”.
Tenzo
non
sapeva se Kakashi si fosse accorto o meno di aver usato il plurale,
includendo
se stesso nel desiderio di prendersi cura del bambino, ma Nozomi
sì. Addolcì lo
sguardo e rilassò la posa delle spalle.
“Quanto
ci
vorrà ancora?” chiese Obito. “Quando
saremo degni di fiducia? Cosa dobbiamo
fare?”
Quella
era
una domanda interessante.
֎
L’odore
era
delizioso. Anche mentre il ramen si stava raffreddando, un invitante
vapore
continuava a salire dalla tazza, incontrando proprio il suo naso. Ma
Naruto
continuò a mantenere imperterrito la propria linea di
digiuno per protesta.
“Non
mangi
il tuo ramen, Naruto-kun?”
Naruto
alzò
gli occhi per fissare contrariato il viso del vecchio
dall’altra parte del
tavolo. In circostanze diverse sarebbe stato felice di cenare con Jiji
nell’ufficio dell’Hokage, magari scalpitando anche
all’idea che finalmente si
fosse deciso a cedergli il capello. Ma in quel momento quello era
l’ultimo
posto dove voleva essere.
“No”
rispose bellicoso.
L’Hokage
continuò a guardarlo con dolcezza, senza prendere sul serio
la sua rabbia.
“È
il ramen
di Ichiraku, il tuo preferito” lo blandì.
Naruto
sospirò aspramente, tirando su con il naso.
“Voglio
il
ramen di Obito-nii”.
Finalmente
ottenne una reazione infastidita dall’Hokage davanti al
nomignolo. Il Sandaime
contrasse gli angoli delle labbra in una smorfia e strinse gli occhi.
“Il
ramen
di Obito-nii aveva un odore
delizio”
rincarò la dose. “Voglio tornare da Obito-nii
e mio zio!”
“Non
puoi”.
Naruto
strinse le mani a pugno e batté i piedi contro la scrivania,
facendo tremare
piatti, bicchieri e tutte le cianfrusaglie sopra.
“Perché
no?!” strillò.
“Perché
te
lo sto ordinando e un bravo shinobi ubbidisce
all’Hokage” tagliò corto sperando
di cavarsela con così poco, facendo leva sul desiderio
inconscio di compiacere
che di solito avevano i bambini.
Sfortunatamente,
Naruto non era un bambino qualsiasi. Calciò solo
più forte e affilò
l’espressione torva.
“Perché
non
vuoi che veda mio zio?!” ripeté più
veemente. “Perché?” insistette al
silenzio.
“Perché ogni volta che provo ad andare da lui
qualcuno mi ferma? Perché non
vuoi? Perché non posso? Perché, dattebayo?!
Perché, perché, perché,
perché…”
Hiruzen
era
troppo vecchio per avere tutta questa pazienza.
“Perché
potrebbero farti del male” si arrese stanco.
Riuscì
a
far tacere Naruto, che si fermò a guardarlo con la bocca
socchiusa e lo sguardo
aggrottato. Ma la tregua durò solo una manciata di secondi.
“Questa
è
una stronzata, dattebayo!”
Emise un
sospiro. “Chi ti ha insegnato a essere volgare?”
Naruto
non
rispose deliberatamente e insistette sul suo punto.
“Non
mi
farebbero mai del male! Nozomi è mio zio, sono la sua
famiglia, non ha motivi
di farmi male. Ed è sempre così gentile con me,
mi sorride sempre ed è… è mio zio” ripeté
sottolineando il fatto.
“Forse Obito-nii fa un po’ paura. Anche a me ha
fatto paura la prima volta che
l’ho visto, ma è un bravo ragazzo
dattebayo!” assicurò. “Mi ha difeso
contro
quelle persone cattive e sa fare il ramen e sembra volere tanto bene a
mio zio
e…”
Hiruzen
lasciò che si sfogasse, elencando tutti i punti per cui
secondo lui erano brave
persone e lui era cattivo a non fidarsi di loro. Quando ci fu un
silenzio che
durò più di cinque secondi, Hiruzen
capì che il bambino aveva finito.
Mantenne
il
tono di voce basso e tranquillo, fissando con dolcezza Naruto che
ansimava per
l’impeto della sua arringa.
“Potrebbero
mentire”.
Naruto
spalancò gli occhi e lo guardò incredulo.
“No,
non
stanno mentendo!” protestò.
“Potrebbero”
ripeté. “Uzumaki Nozomi potrebbe essere un
impostore, potrebbe fingere di
essere un Uzumaki, non essere affatto tuo zio. Potrebbero essersi
infiltrati a
Konoha per un attacco futuro”.
Sapeva
di
star parlando di faccende delicate, dubbi che era meglio non fossero
messi sul
tavolo. Ma era importante che Naruto capisse che non doveva
più cercare i due,
stare da solo con lui.
Naruto
lo
guardò pieno di dubbi, la fronte aggrottata e gli occhi
confusi.
“Perché
dovrebbero farlo?”
“Le
persone
cattive fanno cose che possono essere inspiegabili”
semplificò.
“Loro
non
sono cattivi!” sbottò subito, saltando sulla
sedia. “E non stanno mentendo, è
impossibile dattebayo!”
“Vorrei
avere la tua certezza, Naruto-kun. Ma finché non lo avremo
accertato, è bene
che tu…”
“Non
stanno
mentendo!” lo interruppe Naruto. “Mio zio
è davvero un Uzumaki!”
“Come
puoi
saperlo?” si rassegnò alla nuova arringa insensata
che stava per arrivare.
Invece
Naruto lo sorprese, ma non in un modo piacevole.
“Sa
troppe
cose degli Uzumaki, dattebayo”.
“Cosa
intendi?” domandò con un lampo di timore negli
occhi, timore che purtroppo fu
confermato.
“Mi
ha
raccontato tantissime cose sul clan Uzumaki! Tantissimisse”
sottolineò. “Mi ha detto tutto”.
“Cosa
ti ha
detto?”
“Mi
ha
detto che siamo uno dei Clan più vecchi, che prima vivevamo
a Uzu…Uzushio! E
che avevano anche un Uzukage. Gli Uzumaki erano il clan più
importante di
Uzushio, era un’isola bella e piccola, ma erano molto forti
ed erano alleati
con Konoha. Lo Shodaime Hokage ha sposato una principessa Uzumaki!
Erano
fortissimi, sapevano fare tantissime cose ed erano i migliore maestri
di
sigilli del mondo. Avevano un sacco di chakra, come me! Infatti mi ha
detto che
è per questo che faccio tanta fatica con alcuni esercizi che
mi danno
all’accademia è perché ho un sacco di
chakra e non riesco a controllarlo e
quindi mi esplode in faccia. Infatti gli Uzumaki sono famosi per la
loro
grandissima resistenza e per l’uso di tecniche
incredibilissime! È anche il
motivo per cui le altre nazioni avevano paura di loro e allora hanno
attaccato
Uzushio e l’hanno distrutta e da allora…”
Naruto
si
interruppe di colpo da solo. Nell’impeto della sua
spiegazione era saltato in
piedi sulla sedia e aveva gesticolato impazzito per tutto il tempo,
finché un
pensiero non sembrò colpirlo e si bloccò in un
silenzio brusco.
Hiruzen
non
disse nulla. Era contrariato che Nozomi avesse rivelato a Naruto
informazioni
senza il suo permesso – faceva bene a essere preoccupato
– ma questo non
provava nulla sulla sua identità. Tutte queste informazioni
sugli Uzumaki
poteva averle imparate dalle antiche pergamene a delle storie su
Uzushio, non
c’era nulla di troppo segreto.
“Perché
non
me l’hai mai detto?!” sbottò infine
Naruto, finendo di percorrere i suoi
pensieri, che dovevano averlo portato proprio a quella realizzazione.
Gli puntò
contro il dito indice accusatorio. “Non me lo hai mai detto!
Tu lo sapevi e non
mi hai mai detto niente del mio clan! Perché non mi hai mai
parlato degli
Uzumaki, dattebayo?!”
Hiruzen
si
preparò a una discussione per cui non aveva forza
né volontà di portare avanti.
“Non
era
necessario che lo sapessi”.
“Non
era…”
ripeté Naruto guardandolo ora ferito. “Si tratta
della mia famiglia!” quasi
pianse, gli occhi già lucidi. “Ho un clan e non me
l’hai mai detto”.
“Perché
sei
l’ultimo rimasto”.
“Non
è
vero” protestò tirando su con il naso.
“C’è mio zio e ha detto che ce ne sono
altri sparsi per le nazioni… dobbiamo solo
trovarli…”
“Naruto,
non è così semplice”
sospirò.
E,
contro
ogni aspettative, questa volta Naruto non protestò e tacque.
Forse perché stava
cercando in ogni modo trattenere le lacrime, anche se del moccio stava
già
colando dal naso. Vedere gli occhi umidi e tremuli del bambino quasi
spezzò il
cuore di Hiruzen, doveva ricordarsi che quello era per il suo stesso
bene, per
la sua sicurezza. Figlio del Quarto Hokage, uno degli ultimi Uzumaki e
Jinchūriki del Kyūbi… Naruto era un bersaglio vagante,
doveva essere protetto a
ogni costo e aveva solo lui, Hiruzen, a farlo.
Ma
sperò
invano che Naruto non avesse altro da ridire, anche se questa volta
parlò con
una vocina davvero sottile.
“Anche
mio
padre era un Uzumaki?”
Non era
pronto, era troppo presto. Ma non poteva evitare di rispondere ancora
una
volta, rischiava che cercasse le sue risposte da Nozomi e
chissà cosa poteva
dirgli.
“No,
non lo
era” disse. “Veniva da un clan civile di mercanti,
ma era uno shinobi. Uno
degli shinobi più dotati della sua generazione. Tua madre
era un’Uzumaki, hai
preso da lei il cognome”.
Naruto
tirò
su con il naso e lo guardò avido, quasi incredulo di
ricevere finalmente delle
informazioni.
“Ma
papà
non è il fratello di mio zio? E mio zio è un
Uzumaki, come…”
“Tuo
zio,
proprio come te, ha preso il cognome dalla madre,
un’Uzumaki” spiegò. “Tuo
nonno era un mercante e ha intrattenuto molti affari con Uzushio prima
che
venisse distrutta… sebbene fosse sposato e già
con un figlio, sospettiamo che…
be’, probabilmente incontrò la mamma di Nozomi
e…” Alzò gli occhi al cielo, in
cerca di parole che lo aiutassero a spiegare quel concetto a un bambino
di
neanche otto anni.
Ma il
suddetto bambino riuscì a sorprenderlo.
“Si
sono
innamorati e hanno fatto un bambino?” offrì in
aiuto.
Gli
sorrise
caloroso. “Sì, proprio così. Nozomi
è il fratellastro di tuo padre. Un Uzumaki
come te, come tua madre”.
Naruto
masticò fra sé quell’informazione,
forse cercando di capire come funzionasse la
parentela. Ma alla fine parve soddisfatto e annuì in segno
di comprensione.
Aveva un po’ spesso di piangere, anche se gli occhi restavano
luci.
“Mio
papà…
come si chiamava?” domandò speranzoso.
Stava
ricevendo più risposte ora di quante ne avesse avute in
tutta la sua vita. Ma
la sua speranza era inutile, lo capì non appena il vecchio
Hokage sospirò.
“Non
occorre che tu lo sappia” disse.
È il
nome del mio papà!, avrebbe
voluto protestare, come poteva non essere necessario che lo sapesse?
Ma non
tentò nulla, invece chiese:
“E
la
mamma? Come si chiamava la mamma?”
Erano
domande che aveva ripetuto per anni fino a sfinirsi, domande che erano
sempre
rimaste senza risposta. Il lungo silenzio dell’Hokage gli
fece temere che anche
questa volta non avrebbe saputo nulla di più.
Abbassò lo sguardo, già pronto
alla delusione.
Ma poi
lo
sentì.
“Kushina.
Uzumaki Kushina. Era questo il nome di tua madre”.
֎
Quando
un
orologio iniziò a intonare la mezzanotte, Hiruzen non
pensava di aver fatto
così tardi. La conversazione con Naruto era stata
estenuante, proprio come
sospettava. Aveva dovuto fare attenzione nel rivelare a Naruto solo lo
stretto
necessario su Kushina, senza sbilanciarsi troppo e compromettersi. Ma
alla fine
era riuscito a calmare il bambino, le nuove informazioni ricevute
sembravano
aver disperso ogni rischio di ribellione. Era anche riuscito a farsi
promettere
che non avrebbe più incontrato Nozomi e Obito da solo.
In ogni
caso, anche se era esausto, ricevette comunque Danzo. Prima che gli
ANBU gli
riferissero della prodezza di Naruto era in consiglio con lui e aveva
dovuto
congedarlo frettolosamente per raggiungere il complesso Namikaze.
Si
preparò
a qualche commento sprezzante, ma sul viso rugoso del vecchio compagno
vide
solo simpatia.
“Sei
riuscito a calmare il moccioso?” chiese sedendosi sulla
stessa sedia su cui era
stato poco prima Naruto.
Annuì.
“Ho
dovuto raccontargli qualcosa su sua madre, ma nulla di compromettente.
Mi ha
promesso che non farà più qualcosa di avventato
come questa sera”.
Danzo
annuì
in apprezzamento. “Lo sai, starebbe più al sicuro
se mi lasciassi…”
Non gli
permise nemmeno di continuare.
“Ne
abbiamo
già parlato e la mia posizione non è cambiata.
Non affiderò Naruto a ROOT,
Minato avrebbe voluto che suo figlio vivesse un infanzia
normale”.
Quando
nominò lo Yondaime, un’espressione di disgusto si
increspò attraverso le rughe.
“Non
avrebbe dovuto rendere suo figlio il Jinchūriki, allora”
sputò, ma non disse
altro. Chiese invece: “Cosa farai a Uzumaki Nozomi e Uchiha
Obito?”
Sospirò.
“Nulla. Il richiamo è stato sufficiente”.
“Hanno
attaccato le tue guardie ANBU”.
“Per
proteggere Naruto” puntualizzò. “Si sono
comportati in maniera eccellente
fin’ora. Non risponderò con mezzi estremi per
un’unica infrazione
giustificata”.
“Ma
non ti
fidi di loro”.
Scosse
la
testa. Non poteva dire a Danzo quello che gli Hyūga gli avevano
rivelato, per
il consigliere anche solo il sospetto che Nozomi ospitasse una bestia
codata
garantiva un intervento ai suoi danni.
“Non
ho
garanzie che Nozomi sia davvero chi dice di essere” rispose
quindi.
“Sai
come
puoi risolvere il tuo dubbio. T&I, lascia che gli Yamanaka gli
entrino
nella mente” propose burbero Danzo. Per lui era inconcepibile
che i due non
fossero passati per l’interrogatorio prima
dell’ammissione al villaggio.
“Ti
ho già
spiegato perché non sono stati sottoposti alla normale
procedura. Fukasaku-san
è stato molto chiaro nello sconsigliarlo”.
Danzo
sbuffò e batte con forza il bastone sul pavimento.
“Sei
più
interessato a non turbare Nozomi che alla sicurezza del
villaggio?” lo derise.
“No,
è
proprio per la sicurezza di Konoha” contraddisse duro.
“Fukasaku-san disse che
si sarebbe difeso d’istinto a un’intrusione nella
sua mente. Quanti danni pensi
possa causare Nozomi, se lasciato fuori controllo?”
“Molti”
ammise fra i denti. Del resto aveva assistito allo sparring con Kakashi
e
Kinoe, aveva visto di persona quanto fosse forte e pericoloso.
“Preferisco
evitare che distrugga metà villaggio” concluse
Hiruzen.
Danzo lo
guardò meditabondo per lunghi minuti, la presa stretta
sull’apice del bastone.
Alla fine riprese la parola.
“Se
proprio
temi che menti sulla sua discendenza, conosci un modo per
dimostrarla”.
Hiruzen
lo
guardò con interesse, stupito che fosse proprio Danzo a
proporre quella
soluzione.
“Lo
metteremo a corrette di uno dei segreti più importanti di
Konoha, ciò che ci ha
permesso di vincere l’ultima guerra” gli fece
notare.
“Lo
so, per
questo preferirei l’interrogatorio”
replicò stizzito. “Ma visto il tuo debole
cuore, non vedo altra soluzione. Quel posto ci garantirà che
è un Uzumaki. E in
caso di risposta affermativa, avremo il vantaggio di
riutilizzarlo”.
“E
in caso
di risposta negativa?”
“Attacco
e
uccisione” rispose pronto. “Lo farai accompagnare
da una scorta competente.
Meglio però camuffare tutto, non metterlo a parte
dell’obiettivo finale”.
“Uhm…”
ronzò Hiruzen. “È molto potente,
ucciderlo sarà difficile. Soprattutto se avrà
Obito al suo fianco”.
“Una
buona
squadra saprà contrastarlo” decretò
Danzo. “E per quanto riguarda l’Uchiha…
non
facciamolo andare con lui, è semplice”.
“Obito
vorrà seguirlo, protesterà” gli fece
notare. Da quello che gli era stato
riferito in quelle settimane, l’Uchiha si comportava quasi
come una guardia del
corpo nei confronti del compagno.
“No,
se gli
daremo un’altra missione. Qualcosa di semplice, che lo tenga
lontano dal
villaggio qualche giorno” risolse Danzo. “Itachi
sarà disposto a sorvegliarlo e
avvisarci delle sue mosse”.
Il
Sandaime
meditò qualche secondo, ripassando mentalmente le ultime
missioni che aveva
ricevuto sulla sua scrivania.
“Forse
ho
quello che fa a caso nostro” annuì fra
sé.
In fondo
non era quello che aveva chiesto proprio Obito?
֎
Obito
era
rimasto sveglio tutta la notte di cattivo umore. Nemmeno le coccole di
Nozomi
erano riuscite a distrarlo dal fissare lugubre il cielo notturno.
Sentiva che
stavano perdendo tempo. Erano lì da settimane e non stavano
ancora facendo
niente. Nozomi aveva ragione a dire che dovevano aspettare che la
novità della
loro presenza si estinguesse prima di smuovere le acque, ma
quell’inedia lo
tormentava.
Così
quando
la mattina dopo ricevette un messaggio che lo convocava
dall’Hokage, il suo
umore peggiorò se possibile. Non aveva nessuna voglia di
sentirsi rimproverare
ancora per il genjutsu agli ANBU. Non gli interessava quello che diceva
Nozomi,
se il Sandaime aveva intenzione di fargli la paternale sarebbe esploso
e
avrebbe raso al suolo Konoha. Così niente più
Danzo, Uchiha e tutti i problemi
correlati.
Quindi
attraversò le porte dell’ufficio con espressione
bellicosa, già sul piede di
guerra.
Dentro
la
stanza era organizzata come al solito, spiccava la presenza di due
figure oltre
all’Hokage. Alla finestra si trovava proprio Kakashi, il viso
infilato dentro
le pagine del suo solito libro porno. L’altro era Itachi e fu
proprio il
piccolo Uchiha a metterlo in allarme. Stava dritto come un soldatino,
in attesa
di qualsiasi ordine da parte dell’Hokage.
Obito
guardò ancora Kakashi. “Sono in ritardo?”
Kakashi
seppellì se possibile ancor di più la faccia nel
libro, evidentemente
infastidito.
Hiruzen
rise al suo commento. Sembrava voler sorvolare il suo mancato inchino,
saluto,
o qualsiasi altra forma di cortesia.
“Oh,
abbiamo solo riferito un falso orario a Kakashi, in modo che si
presentasse al
giusto orario. Ha funzionato” spiegò il Sandaime.
“Un
comportamento sleale, signore” replicò Kakashi.
L’Hokage
rise ancora, ma solo pochi secondi. La sua espressione tornò
velocemente seria.
Obito
cominciò a sospettare che non
fosse stato convocato per una ramanzina e il suo sospetto fu confermato
quando
Hiruzen parlò:
“Ora
che ci
siamo tutti, lasciatemi spiegare quale sarà la vostra
prossima missione”.
Credo
che
ormai dovremo abituarci a un aggiornamento al mese xD Mi dispiace raga,
ma
purtroppo questo è il mio massimo :c ma almeno
continuerò a essere costante, salvo
gravi difficoltà esterne (*finge di non vedere la tesi*)
Coooomunque!
Un capitolo un po’ transitorio, ma!! Nel prossimo finalmente
ci sarà un po’ di
azione, visto che seguirà la missione di Obito :D Inoltre
anche qui tutto
sommato è successo qualcosa degno di nota: Hiruzen si sta
rendendo conto di
star tendendo un po’ troppo la corda con tutti i suoi
segreti. Ora Naruto sa
qualcosa di più della sua famiglia, cucciolo. Aggiungiamo il
colloquio con
Danzo. Lo dico chiaramente: odio Danzo, così come odio
Sarutobi. Ma in questa
storia voglio cercare di essere il più obiettiva possibile e
non lasciarmi
influenzare dalle mie antipatie personali. Cercherò di non
rendere Danzo il
male sceso in terra e capro espiatorio di ogni disgrazia, voglio
tentare di
essere IC
Comunque
sia: GRAZIE! Davvero, grazie di cuore per seguire la storia e per i
commenti
che lasciate, sono molto importanti per me :D vi adoro!
Al
prossimo
capitolo!
Hatta.
Ah, ps:
Kinoe è il nome in codice che Tenzo aveva mentre era un ANBU
in ROOT.
|
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Capitolo 13 *** La prima missione ***
Capitolo
12
La
prima missione
« Just
another product of today
Rather
be the hunter than the prey»
(Natural – Imagine Dragons)
Obito
saltò
da un ramo all’altro disegnando archi perfetti. Nonostante il
suo ritmo
serrato, sia Kakashi che Itachi riuscivano a stargli dietro.
Li
guardò
con la coda dell’occhio, soffermandosi soprattutto
sull’Uchiha più piccolo. La
sua espressione era una pura maschera di indifferenza, ma Obito si
sentiva
nervoso ad averlo vicino. Sapeva che in realtà Itachi stava
controllando e
analizzando ogni sua mossa.
Ma del
resto in quella situazione spinosa si era cacciato da solo, sfidando
implicitamente l’Hokage a dargli il comando di una missione.
Il Sandaime lo
aveva accontentato, ma affiancandolo con una delle persone che voleva
vedere
meno in assoluto.
Con il
pensiero, tornò a quella mattina a Konoha. La missione che
il Sandaime gli
aveva affidato era molto semplice: dovevano solo fare un controllo. Al
confine
del paese del Fuoco si vociferava la presenza di una banda di
contrabbandieri
di armi che stavano mettendo a rischio i delicati equilibri con il
paese
confinante. Konoha aveva già mandato alcune settimane prima
una squadra di
ninja per indagare e, nel caso, neutralizzare la banda. Era da una
settimana
ormai che non ricevevano più loro notizie. Il loro compito
era soltanto di
scoprire cosa fosse successo – se la squadra fosse stata
catturata o meno – e
fare rapporto. In base alle loro scoperte avrebbero scelto come agire.
Si
trattava, in breve, di spionaggio.
Quello
che
davvero disturbava Obito era l’essere stato mandato
lì senza Nozomi. Forse
ingenuamente aveva dato per scontato che loro due avrebbero fatto ogni
missione
in coppia. L’essere divisi non gli piaceva, era come se
entrambi fossero più
vulnerabili.
Stavano
correndo ormai da molte ore, calcolò che con quel ritmo
sarebbero arrivati a
breve al paese sul confine. Probabilmente erano già nella
zona di influenza dei
contrabbandieri. Con
le mani fece segno
agli altri due shinobi che lo seguivano di tenere gli occhi aperti.
֎
Erano
passate solo alcune ore da quando Nozomi aveva ricevuto il clone di
Obito che
lo informava della missione. Non si aspettava di ricevere
un’altra visita così
presto, soprattutto che fosse una convocazione dell’Hokage.
Il nutrito gruppo
di shinobi d’élite che trovò
già all’interno dell’ufficio lo
sorpresero ancor
di più.
“Mi
avete
fatto chiamare, Hokage-sama?” chiese.
Il
Sandaime
gli sorrise benevolo, come se la scaramuccia della sera prima fosse
stata
completamente dimenticata, e gli fece cenno di richiudere la porta
dietro di
sé.
“Vieni
pure, ti stavamo giusto aspettando”.
Nozomi
si
guardò attorno, soffermandosi curioso sulla presenza di Gai,
Tenzō e Genma. Un
quarto uomo era nella stanza, uno che non conosceva, ma nonostante gli
abiti
civili i suoi livelli di chakra lo smascheravano come shinobi.
Probabilmente
era un Nara, ma non ci avrebbe giurato. Si chiese invece
perché non fosse in
uniforme e guardò interrogativo l’Hokage.
Hiruzen
sorrise guardando ogni shinobi presente.
“Siete
stati convocati per una missione di scorta”. Alzò
una mano indicando il Nara in
abiti civili. “Vi presento Kusagi Iwao, un rappresentante del
Paese del
Carbone. È recentemente venuto qui in nome del suo Daimyō
per confermare un
trattato commerciale tra i nostri paesi. Con i documenti del trattato,
ora deve
tornare a casa e vorrei che lo scortaste”.
Nozomi
inarcò una sopracciglia e tornò a guardare il
presunto Kusagi Iwao, ma era
certo che i suoi sensi non lo ingannassero: quell’uomo non
era un civile, ma
uno shinobi.
E anche
piuttosto in gamba, probabilmente di livello
A, un ANBU,
considerò. Osservò la reazione degli altri nella
stanza, ma
nessuno sembrava vederci qualcosa di sbagliato nelle parole
dell’Hokage. Decise
quindi di assecondare quella pantomina, curioso di vedere dove sarebbe
andata a
finire.
“È
inutile
che vi dica quanto è importante che questo trattato giunga a
termine” riprese
l’Hokage. “Il Paese del Carbone è il
nostro maggiore rifornitore e se i nostri
rapporti finissero per… sciogliersi,
Konoha ne riceverebbe un danno non da poco. Per questo motivo sospetto
che
qualcuno tenterà di rubare i documenti o uccidere il signor
Kusagi. Il vostro
compito è proteggere lui e i documenti, dovete assicurarvi
che arrivino al
Daimyō del Paese del Carbone a ogni costo”.
“Sì,
signore” intonò Nozomi insieme agli altri tre
Shinobi.
Era
tutto
molto curioso, a partire da una missione per Nozomi solo poche ore dopo
che ne
era stata affidata una a Obito per finire con un civile che in
realtà era uno
shinobi.
Non gli
restava che stare al gioco, se voleva scoprire cosa aveva in mente il
Sandaime.
֎
In
un’altra
situazione, Obito non avrebbe avuto problemi con una semplice missione
di
spionaggio. Il potere del kamui gli permetteva di nascondersi
facilmente
ovunque, ma con Itachi che fissava ogni sua mossa non era il caso di
usarlo.
Quindi non gli restava che muoversi nel modo tradizionale, ma era
dannatamente
scomodo.
Erano
riusciti a trovare facilmente le tracce della banda di contrabbandieri
e
seguirli fino al loro nascondiglio. Erano rimasti in postazione
finché non
avevano avuto la quasi certezza che la prima squadra era stata scoperta
e
probabilmente catturata.
A quel
punto, potevano già tornare e riferirlo
all’Hokage. Ma Obito voleva raccogliere
maggiori informazioni. Il dossier ricevuto dall’Hokage
menzionava solo uomini
armati che non sapevano usare il chakra, ma lì
c’erano palesemente degli
shinobi: lo stesso rifugio era protetto da un jutsu di terra.
“Dobbiamo
catturarne uno”.
Itachi
non
sembrava molto entusiasta all’idea, ma Kakashi era dalla sua
parte. Riuscirono
presto a convincerlo nonostante la reticenza. A suo avviso sarebbero
dovuti
tornare subito a Konoha invece di temporeggiare, ma non sembrava
intenzionato a
disubbidire al capitano della missione.
Finalmente,
dopo ore di attesa, uno dei contrabbandieri si allontanò dal
rifugio.
Silenziosamente, il trio lo seguì. Obito capì
subito che il contrabbandiere era
stato mandato in ricognizione, il che andava a loro vantaggio. Fece
segno a
Kakashi e Itachi di scattare.
Ovviamente
l’uomo non ebbe nessuna speranza contro i ninja
d’élite e fu subito reso
inoffensivo.
“Feccia
di
Konoha!” sbottò riconoscendo il loro coprifronte.
Obito
valutò per qualche secondo di iniziare a interrogarlo, ma la
sola vista di
quell’uomo dall’aspetto tronfio e la mascella
rovinata gli dava il voltastomaco.
Per non parlare dell’olezzo disgustoso, Kakashi si era
perfino allontanato
visto quanto era sensibile agli odori.
“Non
ci
dirai niente, vero?”
“Andate
a
buttarvelo in culo!”
Obito fu
quasi soddisfatto dalla risposta volgare.
“Ovviamente”.
Il
secondo
successivo il suo occhio si colorò di rosso e
ruotò nella forma dello
sharingan. Prima che l’uomo potesse anche solo rendersene
conto, era
intrappolato in un genjutsu.
֎
Nozomi
atterrò proprio davanti alla recinzione che delimitava il
giardino
dell’Accademia. Potendo avrebbe potuto sgusciare al suo
interno, ma preferiva
rendere la sua presenza lì il meno evidente possibile.
Era
l’ora
di pranzo nella scuola e i bambini delle varie classi erano lasciati
liberi per
il cortile. Erano tutti raggruppati tra di loro, perciò non
fu difficile
individuare una solitaria testa bionda. Invece di cercare di catturare
la sua
attenzione, evocò un piccolo rospo e gli fece cenno di
saltellare verso il
bambino. La ranocchia lo fece, passando inosservata esattamente come
aveva
sperato, finché non fu ai piedi di Naruto e il bambino la
notò. Notò anche la
piccola pergamena attaccata al suo collo. La prese e la sua espressione
si
corrucciò per la concentrazione per leggerla.
Nozomi
ricordava che da bambino non sapeva leggere bene, nessuno glielo aveva
mai
insegnato davvero, perciò aveva usato kanji semplici e
chiari. Dopo un momento
di esitazione, il volto di Naruto si illuminò. Si
voltò subito e iniziò a
correre senza guardarsi indietro verso il gruppo di alberi che
costeggiava
l’accademia.
Nozomi
sorrise vittorioso e si dislocò facilmente nel punto che gli
aveva detto di
incontrarlo. Arrivò qualche secondo prima di Naruto, che
stava ancora correndo
con il volto rosso di eccitazione.
“Nii-san!”
gridò felice, salvo poi ricordare che era un incontro
segreto e si morse le
labbra.
Nozomi
provò una strana sensazione al cuore, era la prima volta che
lo chiamava fratellone e si accorse
di preferirlo
molto di più a zio, lo
faceva sentire
meno vecchio.
“Campione”
sorrise a trentadue denti, mettendogli una mano sulla testa.
Le
guance
del bambino si spolverarono ancor di più di rosso, ma non
per la fatica. Gli
occhi però gli lanciarono uno sguardo preoccupato e subito
si misero a
guardarsi intorno, come se dagli alberi potesse spuntare fuori qualcun
altro.
“Nii-san!
Non puoi stare qui, se jiji…”
“Tranquillo,
non mi scoprirà” lo rassicurò.
“Sono venuto solo a salutarti”.
Le iridi
blu assurdamente grandi di spalancarono ancor di più.
“Salutarmi?”
ripeté.
Annuì.
“Sì,
io… mi è stata assegnata una missione e temo
durerà parecchi giorni. Anche
Obito è in missione, quindi non siamo al villaggio, ma lui
dovrebbe tornare già
domani quindi non preoccuparti”.
“Oh,
credevo…” Naruto si interruppe, vergognandosi per
aver pensato che se ne stesse
andando per sempre abbandonandolo ancora una volta. “Non
importa. Io… Buona
fortuna per la missione?”
Improvvisamente
si sentiva timido e non sapeva cosa dire, guardò la punta
dei propri piedi
sentendosi di troppo. Non capiva perché fosse andato ad
avvisarlo visto che
comunque non potevano stare insieme, jiji lo aveva proibito.
Nozomi
rise
e gli accarezzò la testa, facendolo arrossire.
“Grazie,
scricciolo. Tu divertiti e studia, okay? Quando tornerò
proverò a convincere
l’Hokage a lasciarci vedere” promise.
A quella
prospettiva i suoi occhi si illuminarono speranzosi e
dall’emozione non riuscì
a fare altro che annuire. Mentalmente cominciò
già contare i secondi per il suo
ritorno, non vedeva l’ora di poter passare altro tempo con
suo zio e Obito-nii;
anche se breve la sera prima era stata fantastica.
“Magari
andremo da Ichiraku Ramen” offrì.
“Per
il
ramen sono sempre disponibile” assicurò Nozomi.
Sembrò voler aggiungere altro,
ma i suoi occhi dardeggiarono verso la scuola e si irrigidì
appena. “Ora devo
proprio andare. Torno il prima possibile, non combinare troppi
guai!”
“Certo!”
rispose sapendo di star mentendo e a giudicare dalla risata che fece
l’adulto
mentre spariva in un shunshin, anche lui lo sapeva.
Guardò
per
un momento il punto dove si trovava suo zio fino a un attimo prima, un
sorriso
così grande che quasi gli dolevano le labbra. Non aveva mai
avuto nessuno che
gli aveva promesso sarebbe tornato da lui il prima possibile, era una
sensazione così bella che gli faceva battere forte il cuore.
Ma allora perché
si sentiva anche gli occhi umidi?
Tirò
su con
il naso e si voltò, intenzionato a tornare ai suoi giochi,
ma si immobilizzò
subito quando si accorse del bambino che lo fissava non troppo
distante. Era
Uchiha Sasuke, il più bravo della loro classe.
Ci
avrà visti?,
pensò preoccupato che potesse
dirlo ai maestri e quindi mettere nei guai Nozomi.
Purtroppo
la domanda di Sasuke confermò il suo timore.
“Chi
era
quello?”
Naruto
decise che non si sarebbe nascosto. Strinse i pugni, gridando come se
fosse una
sfida.
“È
mio
zio!”
La
reazione
di Sasuke fu inaspettata. “Ah! Quindi è davvero
tuo parente”.
La
sorpresa
sciolse la tensione sul viso di Naruto.
“Tu
lo
conosci?”
“L’ho
visto
insieme a mio padre” rispose corrucciato. “So solo
che è uno straniero”.
Quella
parola suonò quasi come un insulto alle orecchie di Naruto,
che si accese di
nuovo di rabbia.
“Non
è uno
straniero! È mio zio ed un ninja fortissimo, il migliore
dattebayo!”
“Non
è di
Konoha, quindi è uno straniero”
obiettò. “E sicuramente non è forte
quando lo è
Itachi-nii”.
Naruto
non
aveva idea di chi fosse, ma sapeva comunque come doveva rispondere.
“Invece
è
molto più forte. È il più forte di
tutti!”
“Non
di
nii-san!”
“Anche
di
nii-san” lo contraddisse. “E io
diventerò forte come lui, credici”.
A quella
promessa Sasuke scoppiò a ridere.
“Ma
se sei
l’ultimo della classe e non sai nemmeno leggere”
gli fece presente con scherno.
A quella
nota, le sue orecchie diventarono di un rosso violento e si
sentì umiliato,
perché era vero: nella sua classe era l’unico a
non saper ancora distinguere
correttamente i kanji. Sasuke, invece, da quello che aveva visto era il
migliore in tutto e anche i maestri non mancavano mai di lodarlo e
metterlo in
mostra come esempio alla classe.
Tutto il
suo corpicino tremò, come scosso dall’urlo che
emise:
“Diventerò
il migliore della classe, il più bravo a leggere!”
promise. “E sarò lo shinobi
migliore di tutti, diventerò Hokage!”
Se
Sasuke
voleva ribattere, non gliene diede il tempo. Scappò via, il
più lontano
possibile.
֎
Il
sandalo
di Obito si schiantò contro la mascella del contrabbandiere,
facendo cadere
l’uomo con la faccia sul terreno sporco. Non contento
mantenne la suola premuta
sulla guancia, furioso. Sia Itachi che Kakashi erano scattati al suo
movimento
brusco, come se si aspettassero un attacco. Lo guardarono in attesa di
spiegazioni.
“Bastardi”
grugnì Obito digrignando i denti. “Feccia,
disgustosi…”
“Cos’hai
scoperto?” domandò Kakashi.
Obito
schiacciò il piede contro la guancia, ricevendo un gemito di
dolore dal
contrabbandiere ancora stordito dal suo genjutsu.
“Questi
stronzi non si limitano a contrabbandare armi”
iniziò a spiegare, la rabbia che
ribolliva a ogni parola. “Rapiscono bambini con kekkei genkai
e li vendono a
chiunque possa essere interessato. Smerciano esseri umani”.
Calciò
ancora, colpendolo al mento con la punta del sandalo rinforzato. Si
sentì
chiaramente la mascella rompersi, ma il contrabbandiere
provò ad alzarsi per
scappare. Non ne ebbe mai modo.
Dei rami
acuminati come lame sbucarono dal terreno, impalandolo. Gli schizzi di
sangue
colpirono l’erba, cadendo ai piedi di Obito che fece solo un
passo indietro per
non sporcarsi. I suoi occhi guardarono gelidi l’uomo ormai
morto, il volto
aperto in una grottesca espressione di dolore e terrore; alcuni di quei
rami
uscivano dal cranio bucato. Non aveva nemmeno avuto il tempo di gridare.
“Non
avresti dovuto ucciderlo”.
La voce
atona di Itachi interruppe il breve silenzio. Fissava l’uomo
impalato senza
nessuna vera impressione, il suo viso calmo e illeggibile come al
solito.
Obito
sputò
sul cadavere e andò a sedersi su una radice sporgente mentre
il tredicenne
continuava:
“I
contrabbandieri capiranno di essere stati scoperti non appena non lo
vedranno
tornare e si sposteranno”.
Kakashi
prese un lungo sospiro. “Hai scoperto qualcosa
sull’altra squadra?”
Obito
annuì. “Li hanno catturati e uccisi”.
“Merda”
commentò Kakashi. Attese che l’amico
d’infanzia aggiungesse altro, ma quando fu
chiaro che non lo avrebbe fatto aggiunse: “Dobbiamo tornare e
avvisare
l’Hokage”.
“No”
fu la
veloce risposta di Obito. Si voltò a guardarlo,
l’occhio ancora colorato di
rosso. “Il bambino ha ragione, ho fatto un errore: non dovevo
ucciderlo. Ora
sapranno che sono stati scoperti, se ce ne andiamo quando torneremo non
saranno
più qui. Dobbiamo agire adesso”.
“Non
sono
un bambino” bisbigliò Itachi, ma le sue parole si
persero sotto l’obbiezione di
Kakashi:
“Gli
ordini
di Sandaime sono di osservare e riferire, non ha autorizzato nessuna
azione”.
“Sì,
ma
questa è un’emergenza. Dobbiamo colpirli ora che
non se lo aspettano, non
possiamo sprecare tempo e chissà quanto ci metteremo nel
ritrovarli… o nel
frattempo quanti bambini venderanno!” scattò.
Kakashi
non
sussultò, ma abbassò il capo e annuì.
“Noi tre basteremo? Se sono riusciti ad
annientare l’altra squadra non sono da
sottovalutare”.
Rispose
con
un verso di scherno. “L’altra squadra non aveva me.
O te, in tutti i bingo book
delle nazioni ninja sei sotto l’ordine di scappare a vista. E
sono sicuro che
per far entrare un bambino in ANBU deve essere in qualche modo
speciale”
aggiunse guardando Itachi.
Lui
annuì.
“Non ho mai perso” assicurò serio, poi
aggiunse: “Mi infiltrerò io. Visto che
sono un bambino mi farò
catturare da
loro e poi vi farò entrare, li colpiremo da
dentro”.
Kakashi
approvò il piano, ma Obito scosse perentorio la testa.
“No,
farò
io da esca e vi farò entrare attraverso kamui.
Userò una henge per sembrare un
bambino”.
Itachi
si
accigliò. “Perché usare una henge
quando puoi usare me?”
“Perché
tu
sei un bambino vero”
spiegò
spazientito. “Fare l’esca sarà la parte
più rischiosa, quindi non toccherà a
te. Senza contare che il jutsu del mio Mangekyo vi
permetterà di entrare con me
con facilità”.
L’unico
segno dell’alterazione di Itachi fu il leggero infiammarsi
delle sue guance.
“Lo
hai
detto tu, che devo avere qualcosa di speciale. Non
sottovalutarmi”.
“Non
lo faccio.
Puoi essere forte come un kage per quanto mi riguarda, resti comunque
un
tredicenne. Non ti metterò davanti al pericolo se
può farlo un adulto
ugualmente capace”.
“Io
sono
forte, posso…”
“Io
sono il
Capitano” lo interruppe brusco. “Il Sandaime ha
dato a me il comando di questa
missione, quindi farai quel cazzo che
dico senza storie”.
Itachi
rimase in silenzio un solo secondo, poi prese fiato con la voce che
tremava
leggermente nel tentativo di essere neutra come suo solito.
“Sto
solo
dicendo che è rischioso tentare di infiltrarsi con una
henge. Come ha detto
Kakashi-senpai, se questi contrabbandieri sono stati in grado di
colpire una
squadra di ninja significa che non vanno sottovalutati. Potrebbero
essere in
grado di usare il chakra e vedere oltre l’henge, questo
annullerebbe il piano
e…”
Si
interruppe di colpo, l’Uchiha più anziano aveva
appoggiato il palmo della sua
mano sul suo capo, come se lo stesse accarezzando. Arrossì
all’istante, ma
raggelò nel vedere l’espressione spaventosa con
cui Obito lo stava guardando,
il suo istinto di sopravvivenza si attivò quando vide il
kamui fissarlo
sanguigno.
“Se
proprio
un moccioso fastidioso”.
Itachi
spalancò la bocca, incredulo, ma non ebbe il tempo di
protestare perché un
vortice invisibile sembrò risucchiarlo dentro
l’occhio di Obito. In pochi
secondi, il pre-adolescente era sparito.
Kakashi
lo
guardò preoccupato.
“È
in
kamui, sta bene” spiegò irritato allora.
“Mi stava solo dando i nervi, lo
tirerò fuori quando saremo nella base dei
contrabbandieri”.
L’amico
annuì cauto. “Quindi immagino di dover entrare
anch’io lì dentro”.
“Non
so
ancora come funziona il tuo occhio, ma è probabile che tu
possa anche uscirne.
Comunque, aspetterete un mio segnale”.
Obito si
accucciò sedendosi sui calcagni, con le mani
spazzò il terriccio uniformandolo.
“Ti
disegno
com’è la base da quello che ho visto attraverso lo
stronzo”. Indicò l’uomo
impalato. “Tu intanto parlami dei tuoi attacchi e di quelli
del moccioso, così
da delineare una strategia. Poi la spiegherai tu al moccioso qui
dentro”. Si
picchiettò la sopracciglia.
Kakashi
non
rispose subito, si prese un secondo per guardare l’uomo
accucciato davanti a
lui. Ancora una volta gli venne naturale paragonarlo al bambino che
aveva
conosciuto e ancora una volta l’immagine che ne ebbe fu
così disforica da
costringerlo ad allontanare lo sguardo.
Si
accucciò
a sua volta. “D’accordo” disse prima di
iniziare a dirgli tutto quello che
poteva essere utile.
֎
Kiwaru
avanzò cauto nel sottobosco, attento a ogni minimo rumore.
Koatsu non era
ancora tornato dalla sua ispezione e lo avevano mandato a cercarlo, in
modo da
scoprire cosa lo stesse trattenendo così tanto.
La
risposta
gli venne da sola non appena vide il corpo del suo compagno impalato in
spessi
rami taglienti che sbucavano dalla parte superiore del suo corpo. Ma
non ebbe
nemmeno il tempo di pensare Che cazzo?!
che un movimento dal sottobosco attirò la sua attenzione.
Kiwaru riuscì
facilmente a evitare un ramo che aveva tentato di trafiggerlo al fianco
e i
suoi occhi si posarono su una piccola figura rannicchiata a terra.
Un
bambino.
Abituato
a
situazioni del genere, Kiwaru capì subito cosa stesse
succedendo e i suoi occhi
brillarono per l’esaltazione. Quella tecnica poteva solo
essere il mokuton ed
era ovvio che a controllarla fosse quel bambino spaventato. Era davvero
molto
piccolo, probabilmente non aveva nemmeno otto anni, ed era ferito. I
suoi
capelli erano selvaggi, la pelle graffiata e piena di ematomi, le vesti
strappate e sudice. I suoi occhi si posarono subito sui suoi piedi
nudi, dove
vide una ferita sanguinante alla caviglia, probabilmente il motivo per
cui era
a terra.
Il
bambino
aveva gli occhi spalancati, sconvolti.
“Chi
sei?!”
gridò piangendo, le lacrime che scorrevano sulle guance come
un fiume in piena.
Kiwaru
capì
subito che doveva giocare bene le sue carte se non voleva finire
infilzato come
Koatsu. Perciò alzò le mani e si
inginocchiò, sperando di essere percepito in
modo meno minaccioso.
“Va
tutto
bene” disse usando la voce dolce che usava anche per
tranquillizzare i mocciosi
al rifugio. “Non ti farò del male. Come ti chiami,
piccolo? Io sono Kiwaru”.
Nessun
ramo
lo colpì o tentò di ucciderlo, ma il bambino non
abbandonò la posa diffidente
né disse il proprio nome. Allora Kiwaru spostò lo
sguardo sul cadavere del
compagno e continuò terribilmente serio:
“Ti
ha
attaccato? Per fortuna stai bene, questo posto è pieno di
furfanti” spiegò. “È
un bene che ti abbia incontrato, con me sei al sicuro”.
Il
bambino
strinse gli occhi sospettoso. “Siete vestiti allo stesso
modo” fece notare.
“È
come ci
vestiamo tutti da queste parti” rispose tranquillo, poi
sorrise. “Non penserai
che io sia come lui? Sono uno shinobi, un ninja di Konoha”
aggiunse prendendo
una delle fascette che avevano rubato a quegli stronzi mandati dalla
Foglia.
Fu la
cosa
giusta da fare, appena mostrò il simbolo inciso sul metallo
lo sguardo del
bambino si illuminò e l’espressione si
riempì di sollievo. Ricominciò a
piangere, ma questa volta era evidente che non fosse per la paura.
Kiwaru
sorrise internamente, fingersi un ninja era sempre la strategia
migliore con i
bambini.
“Vedo
che
sei ferito” disse. “Posso? Ho delle bende e una
crema magica che può aiutare”.
Il
bambino,
persa ogni diffidenza, annuì e Kiwaru sorrise. Prese dal
proprio
equipaggiamento delle bende pulite e si inginocchiò davanti
al bambino. Il
taglio della ferita era davvero profondo, probabilmente abbastanza
doloroso da
impedirgli di camminare.
“È
un
brutto taglio” osservò.
“Com’è successo? È stato quel
criminale?” domandò.
Il
bambino
annuì. “Mi ha attaccato, io…”
singhiozzò. “Non volevo ucciderlo, ma…
aveva un
coltello…”
Mentalmente
Kiwaru maledì Koatsu, che dopo anni di servizio continuava a
non capire che il
modo migliore per catturare un bambino era farlo fidare, non
attaccarlo,
soprattutto se si trattava di bambini con kekkei genkai spesso letali.
Quella
volta aveva imparato la lezione a spese della propria vita.
“Dovevi
difenderti, hai fatto bene” lo rassicurò.
“Ma ora non devi temere più nulla, ti
proteggerò io”.
Quello
tirò
su con il naso. “Sono Tobi” si presentò.
Anche se
non disse il nome del suo clan non importò, con il mokuton
valeva milioni di suo.
“Che
nome
grazioso” lo elogiò. “Come mai sei qui
tutto solo? La foresta è un brutto
posto”.
Abbassò
lo
sguardo, imbarazzato. “Sono venuto in vacanza con la mia
famiglia nel villaggio
vicino. Volevo giocare con gli alberi, ma mi sono perso e poi
quell’uomo mi ha
trovato e ha provato a prendermi allora io ho usato il legno
e…”
“Capisco”
interruppe dolce quel fiume di parole. “È un bene
che ti abbia trovato, posso
aiutarti a ritrovare la tua famiglia”.
Gli
occhi
di Tobi si illuminarono di speranza, ancora umidi dalle lacrime.
“Davvero?”
Ridacchiò.
“Qui vicino c’è la base dove stiamo io e
miei compagni. Una volta lì basterà
mandare un messaggio al villaggio vicino così da avvertire
la tua famiglia.
Sicuramente sarai a casa prima di cena” promise.
A quella
aspettativa
il bambino annuì felice e sollevato. Era stato quasi troppo
facile, bastava
davvero fingersi un ninja perché qualsiasi bambino si
fidasse subito.
“Allora!”
vociò cercando di essere giocoso. “Riesci a
camminare?”
Tobi
provò
ad alzarsi, l’espressione determinata, ma fece solo qualche
passo prima di
inciampare. Kawari lo prese al volo.
“Attenzione”
lo avvisò. “Uhm, quella ferita è peggio
del previsto. Significa che ti porterò
sulle spalle”.
La
prospettiva sembrò emozionare ancor di più il
bambino, che si arrampicò sulla
sua schiena senza essere supplicato. Strinse le braccia attorno al suo
collo,
scalciando contento.
“Anch’io
un
giorno voglio diventare un ninja” disse allegro,
completamente a suo agio.
Kiwaru
sorrise. “Oh, sono sicuro che lo diventerai”.
Sicuramente
Orochimaru li avrebbe inondati d’oro per avere un utente di
mokuton nelle
proprie file. Il bambino era destinato a diventare uno shinobi, ma non
nel modo
in cui sperava.
Non mi
metto nemmeno a guardare quando tempo è passato
dall’ultima pubblicazione perché
mi viene male. Posso dire che mi dispiace, ma ultimamente ho la testa
piena di
preoccupazioni. Forse chi mi ha su facebook sa che ho avuto problemi
con il
covid (bloccata a casa del mio ragazzo con solo tre mutande per un
mese) e che
poi si è infilata la sessione invernale a distruggermi. Non
ho molta testa per
scrivere cose serie, ma questo non significa che sto abbandonando la
storia.
Sarò sicuramente molto più lenta ad
aggiornare… mi dispiace davvero.
Ma anche
vi
ringrazio per seguire la storia, per aver letto anche questo
aggiornamento
nonostante tutto il tempo passato <3 farò del mio
meglio, lo prometto!
Un bacio!
Hatta
|
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Capitolo 14 *** Insegnami ***
Capitolo
13
Insegnami
«Don't need to run so fast
Sometimes we come last, but we
did our best»
(Shakira – Try everything)
Obito
studiò il sigillo che gli era stato applicato al braccio con
occhio critico. Il
contrabbandiere glielo aveva impresso una volta portato dentro alla
base, la
sorveglianza era ottima proprio come avevano appurato nella loro
osservazione.
Gli aveva detto che quel sigillo serviva per assicurarsi che stesse
bene, ma
Obito poteva chiaramente vedere che era in realtà un
limitatore di chakra.
Poteva indovinare senza timore di sbagliare che anche gli altri bambini
catturati ne avevano uno, in modo che non potessero ribellarsi e
sfuggire.
Fortunatamente
per lui, quel sigillo era semplice e sciatto, Nozomi sarebbe inorridito
nel vedere
un lavoro fatto così male. Poteva romperlo facilmente con un
sovraccarico di
chakra e nessuno se ne sarebbe accorto.
“Sei
stato
catturato anche tu?”
Obito
alzò
gli occhi dal proprio braccio, guardando la stanza attorno a lui. Era
ampia e
buia, piena di sacchi a pelo. Si accorse che quelli che con una rapida
occhiata
aveva scambiato per coperte e cuscini erano in realtà
bambini. In particolare
una bambina si era avvicinata, era alta e magra con capelli arruffati e
sguardo
spento; a occhio e croce non poteva avere più di tredici
anni, la stessa età di
Itachi. Gli altri erano rimasti ai loro posti sui sacchi a pelo, a
guardarlo
con la stessa espressione triste e vuota… sentì
la rabbia bruciargli lo
stomaco.
“Qualsiasi
cosa ti abbiano detto, non è vero”
iniziò la bambina. “Sono criminali e ti
hanno catturato, non rivedrai mai più la tua
famiglia… mi dispiace”.
Obito
chiuse gli occhi e concentrò uno scorrere costante di chakra
per tutto il suo
corpo, il sigillo si distrusse subito.
“Lo
so, non
sono un bambino” disse e nel mentre dissipò
l’henge, riprendendo il proprio
aspetto adulto. I bambini sussultarono sorpresi, alcuni di loro
arretrarono a
nascondersi ancor di più nelle zone d’ombra.
Alzò quindi le mani, in un segno
di pace. “Va tutto bene, ci manda Konoha. Siamo qui per
salvarvi”.
La prima
bambina che aveva parlato lo guardò diffidente, anche lei
era arretrata di
qualche passo.
“Siamo?” ripeté
incerta.
Obito
sorrise, poi il suo occhio si colorò di rosso. Ci fu un
altro sussulto generale
da parte dei bambini, sentì perfino alcuni di loro
bisbigliare il nome dello
sharingan in riconoscimento. Ci fece poco caso, mentre richiamava dalla
dimensione di kamui sia Kakashi che Itachi. Entrambi atterrarono un
po’
barcollando sul pavimento, frastornati dallo strano metodo di viaggio.
Kakashi
fu
comunque subito operativo. “Siamo dentro?”
Obito
annuì. “Mi hanno portato dagli altri
bambini”.
“Sono
tutti
qui?” chiese saggiamente Itachi, ancora barcollando un
po’.
Fu la
bambina a rispondere. “Ieri sono passati a prendere alcuni di
noi, ma non so
dove li abbiano portati”.
“Che
siano
già stati spediti?” suggerì Kakashi.
Obito
strinse la mascella. “Controlleremo, magari li hanno solo
spostati in un’altra
stanza”.
Si
inginocchiò e appoggiò il suo braccio artificiale
sul pavimento. Si sentì uno
scricchiolio mentre il terreno veniva spaccato da delle radici, Obito
corrucciò
lo sguardo per lo sforzo e continuò a far crescere il
mokuton attraverso il
terreno.
“Cosa
stai
facendo?” chiese Itachi.
“Controllo
i movimenti nella base” spiegò. Era una tecnica
che gli aveva insegnato Zetsu,
il legno con il suo chakra gli avrebbe permesso di tenere conto di chi
si
spostava in un determinato posto. Grazie ai ricordi del contrabbandiere
che
aveva messo sotto genjutsu sapeva perfettamente come fosse disposta la
base e dove
operavano.
Purtroppo
farlo gli costava non poca energia.
“Al
momento
ci troviamo nella stanza più profonda della grotta. La
maggior parte dei
contrabbandieri si trova all’entrata e nella prima
stanza” iniziò. “Ce ne sono
alcuni sparsi a sorvegliare i corridoio e ce n’è
un’altra concentrazione
davanti a questa stanza”.
“I
bambini?” chiese Kakashi.
“Credo
siano nella prima stanza, quella subito dopo l’entrata. Quel
sigillo di merda
rende difficile percepire le loro firme di chakra.
Oh…” considerò. “Ho rilevati
altri stronzi nella loro stanza comune, merda”.
Staccò
il
braccio dal pavimento, dove era comparsa una piccola piantina secca e
nera.
Nonostante le sue ridotte dimensioni, le sue radici stavano viaggiando
per
tutta la lunghezza della base.
Cominciò
a
disegnare sul terreno una cartina stilizzata dell’ambiente
dove si trovavano,
segnando i vari punti dove si trovavano i mercenari. Itachi
capì subito quale
fosse il problema.
“Sono
molto
dispersivi”.
Con
Kakashi
avevano predisposto due strategie per vincere quella battaglia: o con
lo
stealth, o ammassando tutti in unico punto e metterli sotto scacco con
le loro
abilità superiori. Ma dovevano anche tenere conto dei
bambini, non ferirli e
soprattutto permettere loro una fuga, senza contare che a quanto pare
non erano
uniti tutti in unico punto come avevano sperato.
Obito
socchiuse gli occhi, riorganizzando mentalmente le nuove informazioni.
La prima
opzione non era fattibile, erano troppi e in troppi punti diversi
– dispersivi,
appunto – e non avrebbero mai potuto renderli tutti
inoffensivi prima che
scoppiasse l’allarme di intrusione. Il secondo punto era
comunque infattibile,
proprio perché i contrabbandieri si trovavano sparsi per le
varie diramazioni
della base.
In quel
momento gli mancarono ferocemente i kage bushin di Nozomi, con quelli
la
missione si sarebbe risolta in pochi minuti. Mentalmente
maledì ancora l’Hokage
per non averli fatti andare insieme.
Sospirò,
anche se non poteva evocare mille copie di se stesso come Naruto poteva
comunque aumentare di un po’ il loro numero.
“Itachi,
quanti kage bushin per combattere
puoi evocare?”
“Quattro”
rispose prontamente.
“E
puoi
usare i tuoi corvi qui sotto terra?”
Annuì
ancora, Obito allora aggiunse:
“Andremo
in
stealth in un primo momento, almeno per eliminare i vari
contrabbandieri
dispersi nei corridoi. Per farlo useremo i miei cloni e i tuoi corvi,
Itachi.
Mettili sotto genjutsu, Kakashi mi ha detto che sei bravo in
questo”.
“Lo
sono”
assicurò.
“Io
e te andremo
nella prima stanza e combatteremo il gruppo, soprattutto cercheremo di
far
crollare l’entrata. Una volta chiusi qui dentro non ci
sarà da preoccuparsi su
chi sia vivo e morto. Li lasciamo qui e basta”.
“Ma
i
bambini lì?” domandò Kakashi, poi
indicò il gruppo che progressivamente si
stava avvicinando sempre più curioso. “Come
deciso, di questi me ne occuperò
io. Userò un jutsu di terra per aprirci una strada
alternativa che non passi
per l’entrata, ma gli altri?”
Obito
annuì. “Degli altri ci penserò io con
kamui, del resto sono solo tre”.
La
bambina
sussultò, poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Ma…
ieri
hanno portato via otto di noi…”
I volti dei tre ninja si
oscurarono al
significato di quelle parole, erano arrivati troppo tardi per salvare
ben
cinque di loro. Obito macinò tra loro i molari, sentendo la
mascella
scricchiolare per lo sforzo. Doveva concentrarsi sugli attuali bambini,
solo su
di loro.
“Ci
serve
un segnale per sapere quando sarete fuori, al sicuro, e poter far
crollare
questo posto” disse quindi.
“Vi
manderò
Pakkun una volta liberi” propose Kakashi.
Fece
alcuni
segni delle mani, poi sbatté il palmo a terra.
L’intero suo branco di ninken si
materializzò nella caverna. Nel vedere i cani i bambini
sussultarono, ma i più
coraggiosi si avvicinarono per accarezzarli. Obito approvò
internamente, i cani
avrebbe aiutato e guidato i bambini lungo il tunnel creato da Kakashi.
Si voltò
allora verso la bambina.
“Vi
prometto che vi salveremo tutti, ma dovete collaborare”. La
bambina annuì in
soggezione, quindi continuò: “Richiama tutti i
bambini in un unico punto e
seguitelo,” indicò Kakashi, “vi
porterà fuori di qui appena sarà possibile,
quindi tenetevi pronti in qualsiasi momento”.
Mentre
parlava i bambini avevano già iniziato a raggrupparsi,
alcuni prendendo il
proprio sacco a pelo. Tutti lo avevano sentito e tutti sembravano
intenzionati
a fidarsi di loro, anche se erano degli sconosciuti; il desiderio di
potersene
andare da lì doveva essere molto profondo. I più
piccoli apparivano confusi, ma
si impegnarono comunque a fare come i più grandi.
Vediamo di fare
presto. La
velocità
in quell’operazione sarebbe stata fondamentale, non potevano
permettere ai
criminali di preparare un contrattacco.
Alzò
l’indice e il medio davanti al naso e richiamò il
chakra necessario per creare
quanti più cloni possibili, Itachi fece lo stesso.
Contò mentalmente i cloni
comparsi, in tutto erano poco più di una ventina.
Sospirò,
sperando fossero sufficienti.
“Andiamo”
ordinò, lo sharingan brillante nel buio.
֎
Naruto
era
disperato, il suo cuore batteva folle in gola e gli sudavano le mani.
Fin’ora
quella giornata era andata bene: era riuscito ad arrivare in orario
all’Accademia, aveva seguito le esercitazioni della mattina
senza essere
rimproverato troppo, nessuno gli aveva rubato il pranzo – una
mela e qualche
barretta energetica – e aveva perfino i propri libri con
sé.
Non
voleva
rovinare quella bella giornata, non lo voleva! Ma quei kanji stampati
sulla
carte del libro scolastico non avevano minimamente senso davanti ai
suoi occhi,
erano solo simboli arzigogolati dei quali coglieva solo lampi di
significato
presi singolarmente.
“Uzumaki,
continua tu” tuonò la voce
dell’insegnante dal fondo dell’aula.
Ecco, il
suo peggior timore si era appena avverato.
Naruto
amava stare al centro dell’attenzione, ma non quando sapeva
che stava per
fallire miseramente. Nonostante ciò si alzò, il
libro di seconda mano stretto
tra le dita per non far tremare le mani. Prese fiato e cercò
di decifrare il
primo kanji, e il secondo e il terzo… ma ci metteva molti
secondi, il tempo
scorreva nel silenzio totale mentre si sentiva solo il suo patetico
tentativo
di articolare parole collegate fra loro. L’insegnante
cominciò presto a
spazientirsi e a correggerlo seccato a ogni verso e anche gli altri
bambini
cominciarono ad agitarsi. Naruto sentiva i loro bisbigli, sapeva che
tutti lo
fissavano con scherno.
“Non
sa ancora leggere… che idiota”.
Aumentò
la
presa sul libro, e strizzò gli occhi umidi per riuscire a
leggere. Si sentiva
bruciare dalla vergogna, odiava che tutti lo fissassero in quel modo e
ridessero di lui. Non era colpa sua se non sapeva leggere, lui ci stava
provando.
Ma a
quanto
pare non era abbastanza. Stava solo facendo ancor di più la
figura dello
stupido. Tanto valeva, a quel punto…
Prese
fiato
e ricominciò a leggere, questa volta con voce chiara e
forte, senza pause o
tremolii nella voce. Ma non stava davvero leggendo, stava inventando
quello che
c’era scritto ripetendo una barzelletta sporca che aveva
sentito da un vecchio
in strada. Aggiunse ogni genere di stupidaggine e doppio senso, facendo
scoppiare a ridere i compagni di classe e infuriare il maestro, che
iniziò a
gridargli contro. Ma Naruto continuò imperterrito, arrivando
a urlare per
sovrastare i rimproveri, tra l’ilarità generale
della classe. Si sentì subito
meglio: almeno non stavano più ridendo per la sua
stupidità, ma per lo scherzo.
Si stava
perfino divertendo, almeno finché il maestro non perse
definitivamente la
pazienza e lo raggiunse al banco, strappandogli con violenza il libro
dalle
mani.
“Fuori
dalla porta!” strillò con il viso tutto chiazzato
di rosso. “E non sperare che
la tua punizione finisca qui, stupido mostro. Aspetta fuori fino alla
fine
della lezione!”
Ora
nessuna
rideva più. Davanti alla minaccia urlata con fin troppa
rabbia, tutti i bambini
erano caduti nel silenzio totale per paura di essere tirati in mezzo al
rimprovero o, peggio, la punizione. Avevano anche abbassato gli occhi
sul
libro, ignorando tutto come se non fosse successo nulla. Solo Naruto
mantenne
il contatto visivo con l’adulto, la bocca piegata in una
smorfia e gli occhi un
po’ lucidi. Avrebbe voluto urlargli contro che non era
né stupido né un mostro
e che non era colpa sua se non sapeva leggere visto che non glielo
aveva
insegnato, ma sapeva che era meglio non farlo. Quando un maestro
diventava così
rosso in viso e gli occhi brillavano di una rabbia così
feroce era meglio
ingoiare qualsiasi rospo e fare come ordinato. Quindi senza dire
niente, con
l’espressione contratta e le mani chiuse a pugno, si
alzò dal banco e percorse
l’intera classe nel silenzio più tombale, fino ad
arrivare a sbattere la porta
alle proprie spalle.
Una
volta
solo nel corridoio, iniziò a singhiozzare.
֎
Tieni
d’occhio Obito è un
ordine implicito che
gli era stato dato dall’Hokage, Danzo e perfino suo padre
– immaginava tutti e
tre per motivi diversi – quindi Itachi lo fece per tutta la
durata della
missione, anche nel cuore della battaglia.
O almeno
ci
provò.
I
contrabbandieri non erano per nulla alla sua altezza, il loro
addestramento
ninja non poteva essere paragonato a quello a cui si era sottoposto da
quando
era un bambino. Ma il loro numero contava decisamente e ci volle tutta
la
concentrazione di Itachi per non essere mai colpito da nessuno di loro.
Non
sapeva perché, ma voleva dimostrare qualcosa a Obito
– forse per il modo accondiscendente
con cui lo aveva trattato fin’ora – e fargli capire
che a dispetto dell’età era
un potente shinobi che non andava protetto. Quindi si sforzò
per non essere mai
colpito, per non riportare nessun segno e ferita; voleva uscire da
quello scontro
con nemmeno un capello fuoriposto.
Purtroppo
era più facile a dirsi che a farsi. L’ambiente
stretto era poco ideale per
combattere, soprattutto perché non potevano usare nessuna
tecnica su larga
scala, o avrebbero rischiato di ferire qualche bambino.
“Itachi,
il
segnale!” gridò Obito sopra il frastuono della
battaglia.
Ottimo,
significava che Kakashi-senpai aveva portato in salvo i bambini. Ora
dovevano
fare il resto. Eliminò gli avversari che gli restavano tra i
piedi e coprì
Obito mentre raggiungeva i bambini rimasti. Erano andati a nascondersi
dietro a
delle casse di metallo non appena i combattimenti erano iniziati. Senza
dire
una parola, Obito li toccò uno alla volta mentre venivano
risucchiati nella sua
dimensione. Quando un’ora prima era successo a Itachi gli era
sembrato così
veloce, ma in quel momento – impegnato com’era a
combattere – gli parve che
durasse un’eternità. Ma alla fine tutti e tre i
bambini furono in salvo, Obito
raggiunse il suo fianco uccidendo uno dei banditi con un taglio alla
gola. Lo
schizzo di sangue colpì Itachi, ma non ci fece caso,
più interessato alle
successive parole di Obito.
“Fuggiamo
di qua” ordinò.
Itachi
annuì, ma poi si congelò. Obito lo aveva
afferrato alla mano e lo stringeva
stretto, così stretto che venne trascinato in avanti durante
la corsa. Allo
stesso tempo la caverna attorno a loro cominciò a tremare e
massi caddero dal
soffitto, distruggendo il luogo, delle radici spuntarono dal terreno
rendendo
instabile l’intera struttura. I contrabbandieri iniziarono a
urlare più forte,
terrorizzati dall’apparente terremoto e dai massi che li
colpivano.
Itachi
aveva lo sharingan attivato ed era sicuro che più di un
masso era caduto su di
loro. Piovevano sempre più fitti, sarebbe stato impossibile
altrimenti.
Eppure
non
successe.
Arrivarono
all’uscita sani e salvi, Obito non smise mai di tenergli la
mano. Di tanto in
tanto percepiva impulsi di chakra partire da dove erano uniti lungo
tutto il
suo braccio.
Obito lo
lasciò andare solo quando furono qualche metro fuori dalla
base. Lo spinse in
avanti, spronandolo a continuare a correre. Confuso, Itachi
rallentò solo un
secondo poi riprese a correre non mettendo in discussione
l’ordine. Si guardò
alle spalle,in tempo per vedere Obito eseguire una maestose tecnica di
terra che
fece crollare su se
stessa – come un
castello di carte – ciò che restava della base.
Distolse
lo
sguardo, riprendendo a correre verso il punto d’incontro
consapevole che
sarebbe stato raggiunto presto.
Si
chiese
come diavolo avessero fatto a schivare i massi quando era certo che
erano sulla
loro testa.
֎
“Per
il
Saggio, Naruto!” sbottò una voce poderosa.
“Che cos’hai fatto questa volta?”
Il
bambino
sussultò, alzando gli occhi sgranati sul familiare adulto
che lo aveva
raggiunto. Iruka lo guardava dall’alto al basso torvo, un
pacco di fogli sotto
il braccio e una pila di libri stretta al petto. I suoi occhi erano
stretti in
due fessure esasperate, le narici dilatate.
“Allora?”
insistette. “Non dovresti essere a lezione?”
Naruto
non
aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando era stato cacciato.
Si era
limitato a scivolare seduto contro il muro, tentando di frenare i
singhiozzi e
di non piangere. Si era calmato da poco e sentiva gli occhi bruciare,
le guance
irritate. Strofinò le ciglia, irritando ancor di
più la cornea macchiata di
rosso. Lanciò uno sguardo di fuoco a Iruka, che ora lo
guardava sempre più
accigliato.
“Che
hai
combinato?” insistette.
Ovviamente,
perché doveva sempre essere colpa sua per qualsiasi cosa!
Non aveva nemmeno il
dubbio che fosse solo vittima di un’ingiustizia e questo lo
faceva infuriare.
Sentì l’impulso di alzarsi e scappare via, come
faceva sempre, e correre in
città. Avrebbe fatto lo scherzo più
colossale della storia degli scherzi, qualcosa che nessuno
aveva mai osato
fare dimostrando così quanto era fantastico.
E, in
un’altra vita, era proprio quello che sarebbe successo.
Ma in
un’altra vita, in un altro tempo, Naruto non aveva mai saputo
di avere uno zio,
qualcuno che si aspettava genuinamente che riuscisse nelle sue materie
scolastiche. In un’altra vita, Nozomi non esisteva e nessuno
si aspettava
qualcosa da lui, di vedere i suoi progressi.
Ma in
questa vita sì.
In
questa
vita, Naruto aveva qualcuno che voleva rendere fiero.
“È
perché
non so leggere!” sbottò con forza.
Appena
lo
disse le sue orecchie diventarono di un rosso violento per la vergogna
di aver
ammesso qualcosa del genere, nascose il viso tra le braccia e morse con
forza
le labbra per non piangere ancora.
Ci fu un
lungo silenzio attonito, non sapeva se perché Iruka era
sorpreso dalla sua
rivelazione o se perché effettivamente gli aveva detto quale
fosse il problema
invece di scappare via come al solito.
Sbirciò
curioso quando lo sentì sospirare.
“Non
sai
leggere? Hai quasi otto anni, dovresti” gli fece notare.
Ecco,
ovviamente lo avrebbe giudicato invece di essere utile. La delusione
gli fece
bruciare lo stomaco.
“No,
perché
non mi avete mai insegnato!” sbraitò.
Iruka
gli
fece segno di abbassare la voce, erano pur sempre in corridoio durante
l’orario
scolastico.
“Come
sarebbe a dire? Frequenti l’accademia da un anno e
mezzo”.
Digrignò
i
denti. “Gli insegnanti delle altre classi mi hanno sempre
ignorato!” protestò.
“E quando provavo ad avere la loro attenzione mi buttavano
fuori”.
Come adesso,
pensò amaramente.
Iruka lo
guardò dubbioso, ma almeno non sembrava più
arrabbiato.
“Naruto,
venivi messo in punizione perché disturbavi la
lezione” gli fece notare.
Si
irritò.
“Tu non c’eri, quindi non lo sai e non è
vero!” sbottò. “Facevo solo delle
domande perché non capivo la metà di quello che
dicevano”.
Iruka lo
guardò a lungo, così profondamente che Naruto si
sentì arrossire ancora una
volta. Sembrava che stesse combattendo una furiosa battaglia dentro di
sé,
forse non sapeva se credergli o meno.
“È
la
verità, dattebayo!” insistette quindi.
L’insegnante
sospirò. “Dovresti comunque saper leggere a questa
età” gli fece notare. “Devi
imparare se non vuoi restare indietro, ormai tutti noi diamo per
scontato che
voi sappiate farlo”.
Ma lo
aveva
ascoltato almeno? Lo guardò frustrato, sul punto di scappare
perché davvero non
ce la faceva più, si sentiva umiliato come un verme.
“E
come
faccio se non ho nessuno che
può
insegnarmi?!” gridò. “Non ho nessuno,
non posso neanche vedere mio zio!”
La porta
della classe si aprì, il maestro uscì livido con
la buona intenzione di rimproverarlo
aspramente a giudicare dall’espressione furiosa. Ma si
bloccò non appena si
accorse della presenza dell’altro insegnante.
“Iruka”
disse esasperato. “Mi dispiace che questo idiota stia facendo
confusione in
corridoio, dovrebbe essere in punizione ma a quanto pare una non gli
basta”.
Naruto
lo
fulminò, ma Iruka intervenne prima che potesse mettersi
ancor di più nei guai.
“Nessun
problema” rassicurò cordiale. “Lo porto
con me in sala insegnanti”.
Quello
parve molto sollevato, quasi non dovesse più occuparsi di un
fastidio enorme, e
lo ringraziò con un lungo inchino prima di rientrare in
classe. Naruto invece
lo guardò sconvolto, non aveva mica intenzione…
“Vuoi
mettermi in punizione?” sgorgò incredulo e ferito.
Non poteva arrabbiarsi con
lui solo perché aveva urlato in corridoio, non quando si era
sfogato con lui e
aveva ammesso quelle cose.
Iruka
gli
fece cenno di iniziare a camminare. “No, ti
insegnerò a leggere” disse
risoluto.
La
mascella
di Naruto quasi cadde a terra, si affrettò a seguire
l’uomo per il corridoio
con i passi che inciampavano fra loro. Non osava crederci, sperarci.
“Davvero?”
Iruka
guardava dritto davanti a sé, gli occhi ancora nuvolosi da
mille pensieri.
Strinse con più forza il materiale che aveva sottobraccio.
“Sono
un
insegnante, è mio dovere insegnarti” disse e
Naruto sorrise raggiante.
Anche se
sembrava averlo detto per se stesso, che per il bambino.
֎
La
radura
era piena di bambini spaventati, ma i niken di Kakashi stavano
riuscendo nel
loro compito di rassicurarli. Era incredibile l’effetto che
potevano fare gli
animali con i bambini, Itachi aveva permesso perfino che toccassero i
suoi
corvi…
Kakashi
era
in perlustrazione, per assicurarsi che nessuno fosse sopravvissuto,
mentre Obito
aveva appena mandato un falco a Konoha, a breve sarebbero arrivati i
rinforzi
per portare tutti al Villaggio. Itachi non aveva idea di cosa avrebbero
fatto
con i bambini, anche se sospettava che Danzō sarebbe stato molto
interessato a
essi visto che quasi tutti loro possedevano un kekkei genkai.
Strinse
i
senti al pensiero, emettendo un sibilo secco.
“Sei
ferito?”
Sussultò
un
po’ nel sentire Obito. Gli si era avvicinato e lo guardava
dalla testa ai piedi
con fare critico. Itachi ricambiò lo sguardo, il suo volto
impassibile ma
dentro di sé era soddisfatto di vedere che Obito era un
po’ più pallido e che
c’era del sudore sulle tempie. Certo, era comunque privo di
qualsiasi ferite ed
era da quando erano partiti che continuava a mostrare azioni
spettacolari una
dopo l’altra con nonchalance.
Itachi
era
molto stanco e sudato, con l’adrenalina ancora a mille, ma
scrollò le spalle.
“No,
solo
graffi e lividi” dovette ammettere. Avrebbe voluto apparire
anche lui illeso
quanto e più Obito, con solo un lieve strato di sudore.
L’altro
Uchiha continuò a fissarlo anche dopo la sua risposta, poi
sospirò.
“Sei
stato
bravo, come stanno gli occhi? Bruciano?”
Dopo
essersi sentito sminuito per tutto il tempo, quel complimento lo
inorgoglì più
del dovuto. Mantenne la propria espressione apatica, fingendo che il
rossore
fosse causato dalla fatica e non dal calore allo stomaco.
“Un
poco, è
sopportabile” disse.
Obito
ronzò
gutturale e prima che Itachi ne avesse sentore si era avvicinato a lui.
Si
congelò in allerta quando lo toccò alle tempie
con le punte delle dita e
sussultò quando avvertì una scossa di chakra,
pronto ad allontanarsi. Ma poi
sentì il mal di testa alleviarsi, i suoi flussi di chakra
calmarsi…
“Cosa
stai
facendo?” domandò aggrottando la fronte.
I
polpastrelli erano ancora sulla pelle sudata, fili sottili si chakra
che si
connettevano ai suoi punti di fuga.
“Un
trucchetto contro gli effetti collaterali dello sharingan”
spiegò. “Tolgo il
sovraccarico dal tuo sistema e curo dove necessario”.
Sbatté
le
palpebre, sorpreso che si potesse fare qualcosa del genere.
“Conosci
anche il palmo mistico” mormorò accorgendosi
troppo tardi di quanto era suonato
geloso.
Un
po’ lo
era. Fugaku non gli aveva mai permesso di imparare le tecniche mediche,
dal
momento che come molti aveva un pregiudizio verso i ninja medici.
Credeva
fossero dei codardi in quanto dovevano essere protetti da
altri…
“Non
davvero” disse. “Ho imparato le tecniche curative
Uchiha dei tempi passati
però”.
Lo
guardò
sorpreso. Non sapeva nemmeno potesse esistere qualcosa del genere, nei
suoi
studi non aveva mai trovato nulla del genere, non venivano nemmeno
menzionati
jutsu medici… chissà come era riuscito a
impararli. Anche perché tutte le
tecniche Uchiha erano custodite all’interno del Villaggio dal
Clan, nessuno
aveva mai permesso che oltrepassassero le mura della famiglia. Come
poteva
conoscerle se era stato un nukenin per anni? Da quello che aveva
borbottato suo
padre, Obito da bambino – prima del tradimento –
era un imbranato poco brillante,
quindi era escluso che le avesse imparate in quel periodo. Questo
ovviamente
senza contare il pregiudizio generale verso l’arte medica,
probabilmente era
per questo se Itachi non aveva mai sentito di queste tecniche curative.
Perché
le
conosceva? Da cosa o chi le aveva
imparate?
Danzō
aveva
ragione, Obito era strano e aveva segreti. Il consigliere non gliene
aveva
parlato apertamente, ma aveva capito che doveva avere in qualche modo a
che
fare con Uchiha Madara.
Abbassò
gli
occhi, fissando il suo busto intatto. I vestiti non erano nemmeno
strappati,
tagliati da nessuna lama… era impossibile che in quella
baraonda nessuno fosse
riuscito a colpirlo in alcun modo. I vestiti di Itachi erano un
disastro e lui
aveva fatto di tutto per non essere ferito, Obito non poteva essere
così tanto
più bravo di lui nello schivare. Era semplicemente
impossibile.
A meno
che…
Inspirò
e
lentamente, senza allarmare Obito, allungò le dita a
prendere uno dei propri
kunai, in un movimento così impercettibile che nessuno
avrebbe mai potuto
notarlo. Poi, repentino come un serpente, attaccò al suo
braccio. Per Obito
sarebbe stato impossibile schivare, a meno che…
La lama
del
pugnale si conficcò nella carne. Obito si bloccò
e Itachi mollò la presa sconvolto,
il kunai rimase fisso nel braccio. Lo aveva davvero colpito, anche se
non c’era
nessun rivolo di sangue…
Obito
staccò le mani dalle sue tempie, guardandolo attento.
“Che
diavolo?”
Itachi
deglutì, un po’ agitato. “Io…
credevo potessi renderti intangibile”.
Seguì
un
piccolo silenzio in cui l’occhio di Obito non
abbandonò la sua faccia, faticò a
restare inespressivo sotto quello sguardo scrutatore.
“Questo
è
molto stupido” disse alla fine, seccato ed esasperato.
Lo
guardò
mentre si staccava il kunai dal braccio, rimase stupito nel non vedere
nessuna
traccia di sangue. C’era solo del liquido verdastro, un
po’ trasparente, simile
alla linfa degli alberi.
“Almeno
hai
beccato la parte finta” borbottò Obito passando le
dita sulla ferita.
Giusto,
Danzo gli aveva parlato delle cellule di Hashirama. Era rassicurato dal
fatto di
non averlo ferito davvero, visto che a quanto pare si era sbagliato.
Obito non
era l’uomo mascherato, non sapeva rendersi intangibile come
lui, il suo Magekyo
riguardava solo il teletrasporto. Inoltre sarebbe stato strano se
fossero stato
la stessa persona, visto quanto era gentile con lui…
“Scusami”
disse, sentendosi un po’ stupido.
Ricevette
un’occhiata strana. “Giuro che non sto facendo
nulla di male al tuo sharingan,
quindi non pugnalarmi ancora” borbottò alzando le
mani. “Posso riprendere?”
Annuì,
capendo che Obito credeva lo avesse colpito per paranoia manomettesse
la sua
rete di chakra oculare. Lasciò senza fiatare che riportasse
i polpastrelli
sulle tempie, il chakra tornò a formicolare sulla sua pelle,
unendosi al suo.
Il fatto che Obito fosse un Uchiha rendeva i loro chakra abbastanza
simili da
rendere il processo più facile. Itachi si sentì
presto la testa libera, non più
pesante e la sensazione di dolore tra le sopracciglia svanì
del tutto. Rimase
un po’ stupito dall’effetto immediato.
“Ecco
fatto, come va?” domandò Obito.
“Molto
meglio” ammise. “Puoi mostrarmi come si
fa?” chiese. Impararlo sarebbe stato
molto utile, anche per Shisui che per colpa del Mangekyo aveva
emicranie ben
peggiori.
Obito
allungò un lato della lebbra in un sorriso storto.
“Intendi
insegnartelo?”
“Basterà
mostrarmelo, capirò subito come si fa e saprò
riprodurlo” cercò di rassicurarlo
un po’ ansioso, temendo che non volesse perdere tempo in
qualcosa del genere. “Sono
tecniche Uchiha, lo hai detto tu, ho il diritto di impararle”
aggiunse.
L’adulto
sbuffò e prima che se ne rendesse conto aveva ancora la sua
mano sul capo, ad
arruffargli i capelli.
“Voi
genietti sete troppo sicuro di voi. Comunque sì, quando
vuoi, ma prima torniamo
a Konoha”. Voltò il viso di profilo, facendo un
cenno con il mento verso i
bambini. “Raggruppali, non mancherà molto che
arrivi l’altra squadra”.
Itachi
annuì diligente e felice di avere qualcosa da fare.
Obito lo
guardò allontanarsi, poi abbassò gli occhi sul
proprio braccio. La ferita era
già guarita, c’era solo lo strappo della divisa.
Fece una smorfia, trattenersi
dall’utilizzare kamui era stato difficile, il senso di
pericolo lo aveva quasi
tradito. Ma almeno quel colpo sembrava aver convinto Itachi. Il bambino
era
bravo a mascherare le sue emozioni, ma Obito era comunque
più bravo nel capire
gli altri e farli muovere a proprio vantaggio. Non aveva previsto che
lo
pugnalasse, ma almeno aveva potuto vedere il sospetto evaporare dal suo
sguardo
non appena aveva visto che la carne era stata penetrata, che non poteva
rendersi intangibile. Non era del tutto una bugia, il kamui non lo
rendeva
immateriale, trasportava solo parti del suo corpo nella sua dimensione
dando l’illusione
di intangibilità.
Sospirò,
sapeva di aver fatto un errore a usare kamui per uscire da
lì, ma non aveva
trovato altra soluzione e una caverna che cadeva in se stessa aveva
portato
brutti ricordi. Almeno era finita bene, sperò che Itachi
avesse abbandonato i
suoi sospetti.
Alzò
lo
sguardo al cielo, appena visibile tra le fronde degli alberi. Si stava
facendo
tardi e, senza evitarselo, cominciò a chiedersi cosa stesse
facendo in quel
momento Nozomi…
Ehi!
Scusate il ritardassimo ;__; il tempo ultimamente mi vola tra mille
cose e
arrivo a fine giornata esausta che non so nemmeno come sia successo!
Ma
finalmente abbiamo un nuovo capitolo e spero non ci voglia molto anche
per il
prossimo :) Questo riguardava la missione di Obito, il prossimo
ovviamente sarà
tutto su quella di Nozomi! Faranno la loro comparsa anche vecchi
amici… ma
niente spoiler!
Spero
che
anche la scena tra Naruto e Iruka vi sia piaciuta <3 La semplice
presenza di
Nozomi ha portato un piccolo cambiamento, che porterà a
un’evoluzione
anticipata del loro rapporto. Certo, non è ancora il nostro
Iruka-sensei, ma si
è reso conto in anticipo che Naruto è solo un
bambino solo che ha bisogno di
qualcuno che lo aiuti. Da qui le cose procederanno <3
Un
bacino e
biscotti per tutti quelli che stanno ancora seguendo la storia
nonostante i
lunghi tempi *^* vi si ama!
Hatta
Ps. Ah,
la
canzone a inizio capitolo è sia per Naruto che per Itachi.
Itachi perché “non
deve correre così tanto”, cioè avere
fretta di imparare qualsiasi cosa e
bruciare le tappe di crescita; Naruto invece perché anche se
al momento è l’ultimo
della classe in tutto almeno ci sta mettendo anima e cuore in tutto.
|
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Capitolo 15 *** Extra 1 - Love Attack! ***
Questo
non è il capitolo!
Salve e
benvenuti al primo extra di questa storia xD Come avevo già
detto a qualcuno in
qualche risposta, ho intenzione di aggiungere alcuni momenti tra Obito
e Nozomi
nel loro momento vuoto tra il primo incontro e l’incontro con
Jiraiya. Ero un
po’ indecisa se farne una raccolta esterna alla storia, ma
poi ho deciso di
inserirli qui tra un capitolo e l’altro, così che
nessuno li perda. Non sono
fondamentali per la trama principale, ma sicuramente vi aiutano a
capire meglio
molte cose della loro caratterizzazione ^^
Inoltre
oggi ho superato il mio ultimo esame della triennale *coriandoli*,
quindi
volevo festeggiare. Ora che ho “solo” la tesi credo
di poter gestire meglio le tempistiche
di questa storia, anche se comunque penso che i tempi saranno larghi
;___; ma
prometto di non stare ferma per mesi, almeno durante l’estate
voglio scrivere
il più possibile.
Ho anche
un
altro piccolo annuncio che non c’entra nulla con questo
extra, ma proprio con
la storia principale: vi
consiglio di rileggere i primi capitoli.
Perché?
Perché ho cambiato alcune
cose!
A un
anno
dalla pubblicazione del prologo mi sono resa conto che c’era
una cosa che non
mi soddisfava: il motivo per cui Nozomi finiva nel passato ed era
costretto a
restarci, proprio non mi piaceva. Quuuindi, ho deciso di fare una
virata verso
la classica: non
stavano vincendo la guerra contro Kaguya, quindi alcune cose
rispetto al canonverse sono andate diversamente e l’ultima
cosa che potevano
fare era mandare qualcuno nel passato a risolvere i casini prima che si
presentassero. Questa comporta che Nozomi è un
po’ più giovane (21/22 anni),
inoltre al momento gira con un paio di sharingan di Futuro!Obito in
tasca,
essendosi impiantato il suo kamui per poter viaggiare nel tempo lol Ed
è anche
più ansioso perché ovviamente deve salvare il
mondo dall’imminente apocalisse. Inoltre
ho aggiunto alcuni dialoghi e scene in mezzo a quelli già
esistenti degli
scorsi capitoli perché sentivo che mancava qualcosa, ora
sono molto più
soddisfatta.
Credo di
aver detto tutto, quindi vi lascio all’extra che spero sia di
vostro gradimento
<3
Extra
1
Love
attack!
Il messaggio
arrivò mentre si stavano allenando nel
taijutsu, il primo a notarlo fu proprio Naruto. Chiamò una
pausa e anche Obito
notò il ranocchio al bordo dello spazio erboso, gli occhi
gialli impassibili e
una pergamena legata al collo. Sparì non appena Naruto
gliela slacciò.
Obito
guardò brevemente il compagno mentre leggeva la
lettera, poi alzò la testa al cielo facendo scricchiolare le
vertebre del
collo. Allungò un po’ le braccia e le gambe, i
muscoli indolenziti per il lungo
scontro appena concluso. Combattere Naruto non era uno scherzo, era
quasi
distruttivo. Fin’ora era l’unico che era riuscito
nel farlo sudare.
Stiracchiandosi
controllò la baita abbandonata dove
stavano soggiornando da alcuni giorni. Dopo la disastrosa e
inconcludente
conversazione con lo Tsuchikage, erano fuggiti dal paese della Terra
per
trovare rifugio in quello del Fulmine. Si sperava che, con
l’aiuto di Killer B
e Yugito Nii, il Raikage fosse più ragionevole del suo
collega più anziano e scorbutico.
Non avevano ancora avuto nessun colloquio a faccia a faccia, quando
avevano
reso noto il loro arrivo il Raikage aveva inviato dei messi per tastare
le
acque, diffidente nonostante le rassicurazioni di Killer e Yugito.
Almeno non
erano assassini, anche se a quanto pare non sarebbe stato
facile… non che
potesse biasimarlo, in fondo erano due shinobi sconosciuti che si
volevano
intromettere nei suoi affari politici. Come era stato deciso nessuno
dei Kage
era stato messo al corrente del futuro – nonostante Naruto
fosse scioccamente
fiducioso, aveva abbastanza buon senso da capire che in quel momento i
Kage non
erano le stesse persone disposte al dialogo che aveva conosciuto lui,
anzi era
molto probabile che potessero usare certe informazioni a proprio
vantaggio che
per una collaborazione comune.
Quel posto era
abbastanza sperduto da non essere
trovato senza il loro permesso, ma anche abbastanza vicino alla Nuvola
da
permettere un intervento in qualsiasi momento.
Fu distratto
dalle sue contemplazioni dal verso
sibilato del compagno, un suono secco e pieno di problemi. Obito ebbe
subito
motivo di preoccuparsi.
“Cosa
dice?” domandò controllando il tono della
propria voce, in modo che apparisse calmo e disinteressato.
Naruto
cominciò a muoversi agitato, come un animale in
gabbia. La lettera era così stretta nelle sue mani che il
foglio si stava
accartocciando nella prese. Gli occhi erano lontano, sfocati, quasi non
l’avesse sentito. Ma rispose subito.
“È
di Roshi” disse.
Il Jinchūriki
dello Yonbi, riconobbe, e si chiese che
cosa avesse da dire di così urgente da usare uno dei rospi
di Naruto invece di
attendere una delle riunioni mentali dei Bijū, soprattutto quando
avevano
lasciato il Paese della Terra da poco più di una settimana.
“Cos’è
successo?” lo sollecitò a continuare.
“Ōnoki
in qualche modo ha scoperto che stiamo
trattando con A e ha preso il tutto come una dichiarazione di
lealtà alla
Nuvola a suo danno” spiegò senza smettere di
camminare.
Obito non era
sorpreso. Non gli piaceva che il vecchio
decrepito fosse riuscito in qualche modo a scoprire dove fossero e cosa
stavano
facendo, ma la sua reazione era ovvia. La Nuvola e la Roccia erano in
una
guerra non dichiarata da anni, anche se la Terza Guerra Shinobi era
ufficialmente riconosciuta come conclusa da tutte e cinque le grandi
nazioni, i
due Villaggi non avevano mai accordato trattati di paci e avevano
continuato la
guerriglia.
In ogni caso,
non capiva quale fosse il problema.
“Era
già chiaro che non voleva darci ascolto” gli
ricordò. “Abbiamo deciso di ritentare
più avanti e accontentarci dei risultati
già ottenuti”. Capì quale fosse il
problema non appena finì di parlare e
strabuzzò gli occhi sconvolto. “Sta per attaccare
i Kesseki?”
Lo sguardo
plumbeo e pesante di Naruto era una
risposta più che sufficiente. Si passò una mano
tra i capelli, imprecando alla
prospettiva.
“Merda”.
“Roshi
dice che l’attacco è previsto per la fine del
mese. Ha minacciato di diventare un nukenin se accadrà,
ma… il vecchio non l’ha
preso sul serio. Come nella mia linea temporale, non è
cambiato nulla! Siamo
solo riusciti a rimandarlo di un anno” concluse sconvolto.
Obito non
rispose. Lui non conosceva la strage dei
Kesseki, ma a quanto pare era una delle pagine nere della storia
Shinobi. Aveva
sentito ovviamente della formazione del Villaggio dei Kesseki: dopo la
Terza
Guerra Ninja, un clan di shinobi della Roccia, i Kisseki appunto, aveva
deciso
di abbandonare il villaggio per seguire ideali di vita pacifisti.
Avevano
creato un insediamento a nord del paese, cercando una vita tranquilla e
lontana
dagli scontri. Ōnoki tentava da anni da reclutarli per la sua
guerriglia contro
la Nuvola, ma avevano sempre rifiutato. Nel tempo di Naruto, lo
Tsuchikage
aveva deciso di etichettarli come criminali e ne aveva ordinato il
genocidio.
Tutto il clan era stato decimato, il paese raso al suolo. Non essendo
un clan
rinomato come, per esempio, quello degli Uchiha, per molto tempo la
Roccia era
riuscito a tenere il fatto nascosto, ma anche dopo che si era venuto a
sapere
la notizia difficilmente aveva superato i confini nazionali. Chi lo
aveva
scoperto aveva girato la testa dall’altra parte, per nulla
sorpreso, come per
tutte le stragi di clan che in quegli anni di riassestamento si stavano
compiendo. Se gli Uchiha avevano avuto tanto risonanza era
perché si trattava
di uno dei clan d’elite più famosi tra le nazioni,
senza contare che erano
stati sterminati in una sola notte da un loro membro
interno… non qualcosa che
si sente tutti i giorni, insomma.
Naruto ora, nel
passato, stava cercando di evitarle
tutte. Non solo quella del Clan Uchiha, ma di tutti i clan che erano
stati
cancellati dalla memoria per paura e odio. Alla Nebbia, grazie il
totale
appoggio della nuova Mizukage, c’era riuscito; nella Sabbia
non doveva temerlo
– gli shinobi erano così pochi e preziosi che non
sarebbero mai stati così
sciocchi da fare epurazioni interne; a Konoha l’unico che ci
sarebbe stato era
quello del Clan Uchiha, mentre con la Nuvola ci stavano lavorando
proprio in
quel momento.
La Roccia non
aveva collaborato. La promessa che erano
riusciti a strappare allo Tsuchikage aveva salvato i Kesseki solo per
un anno.
“Lo
contrasteremo” decise senza mezzi termini Obito.
“Se
interverremo ci inserirà nel bingo book come
nemici della Roccia” mormorò Naruto.
“E… riprenderà a fare affari con
l’Akatsuki”.
Obito
provò un’esplosione di rabbia a
quell’infimo
ricatto. Non gli importava nulla di essere etichettato come nukenin,
era la
faccenda Akatsuki il problema. La Roccia era la fonte principale di
guadagno
dell’organizzazione, visto che era disposta a pagarli a peso
d’oro per avere
formidabili shinobi contro la Nuvola. Da un anno a questa parte, dopo
l’insistenza di Naruto, avevano finalmente smesso di fare
appoggio su di loro.
Per l’Akatsuki era stato un duro colpo, Kisame aveva
confermato che ormai
faticavano a trovare nuove risorse monetarie. Con la Roccia a riempire
nuovamente le loro casse, Pain avrebbe potuto continuare con il suo
piano di
monopolio della guerra.
O quello, o la
morte di persone innocenti e pacifiche.
Bastardo
avido, pensò nella sua mente.
“Cosa
vuoi fare?” domandò quindi, anche se conosceva
la risposta.
“Devo
fermarlo” disse infatti, il tono strozzato e gli
occhi spalancati. “Gli ho promesso che lo avrei fermato.
Lui… Ōnoki-jiji se ne
pentirà moltissimo in futuro, lo considererà il
suo più grande rimpianto. Mi ha
supplicato di non farlo accadere anche qui…
Gliel’ho promesso” ripeté con
più
forza. “Non può succedere, non può
essere tutto inutile. Devo fermarlo!”
“Naruto…”
mormorò Obito preoccupato dal suo
impallidire sempre di più, ma il ragazzo non lo
ascoltò.
Riprese a
camminare frenetico, gli occhi spalancati e
l’espressione terrea.
“Roshi
è appena scappato dalla Roccia, come nel mio
tempo. Anche se è per un motivo diverso, ha lasciato la
Roccia e lo Tsuchikage
gli darà la caccia. Assumerà l’Akatsuki
per farlo! E l’Akatsuki riuscirà a
prenderlo, come nel mio tempo. Imprigionerà Son Goku nella
Statua e Roshi
morirà… ancora!” gemette.
“Non sarà servito a nulla, tutti gli
sforzi… cazzo. Il
risveglio di Kaguya sarà più vicino…
tutto quello… succederà ancora… non
sarà
servito a nulla…”
Naruto aveva
l’affanno, il suo fiato diventava sempre
più veloce e difficile mentre parlava, le parole quasi
venivano nascoste dai
suoi respiri irregolari. Era pallidissimo, tutto il colore dorato della
sua
pelle era svanito dal viso, e lo sguardo era sempre più
sfocato mentre si
sforzava di respirare. Campanelli di allarme suonarono nella testa di
Obito
mentre capiva cosa stava accadendo.
Un attacco di
panico.
Lo ebbe appena
realizzato che Naruto si portò una mano
al petto e crollò sulle ginocchia. ormai non balbettava
più, il suo unico
sforzo era respirare. Ma non lo stava facendo nel modo corretto, se
avesse
continuato a prendere così tanta aria senza buttare fuori
sarebbe andato in
iperventilazione e il suo corpo non avrebbe retto lo sforzo.
L’anidride
carbonica avrebbe continuato a diminuire, mentre l’ossigeno
sarebbe aumentato
più del necessario e i muscoli si sarebbe contratti,
dandogli ancor di più la
sensazione di soffocare e così in un circolo vizioso.
Doveva
riprendere a respirare correttamente.
“Naruto,
rallenta” ordinò inginocchiandosi al suo
fianco.
Senza rendersene
conto era scivolato nel ruolo di
comandante, cosa che faceva ogni volta che si presentava una
difficoltà che
temeva di non poter affrontare; vedere Naruto in quello stato, sempre
così
forte e determinato, lo stava spaventando e quasi inconsciamente stava
tentando
di proteggere se stesso tornando nei panni di Madara.
“Naruto,
se non respiri correttamente sverrai. Naruto” ripeté il suo nome quasi
fosse una formula
magica che lo avrebbe fatto tornare in sé.
Ma il ragazzo
biondo non lo stava ascoltando. O anche
se lo aveva fatto, non riusciva a seguire i suoi consigli. La sua
faccia era
diventata appiccicaticcia per un sudore freddo, i respiri sempre
più rauchi e
il corpo sempre più rigido, tremante. Obito tentò
di ricordare tutto quello che
aveva letto sugli attacchi di panico quando era un genin, poi
agì d’istinto.
Prese le guance
di Naruto tra le mani – erano umide,
quando aveva iniziato a piangere? – e premette i loro volti
insieme. Cercò alla
ceca le labbra e lo costrinse ad aprirle alla sua bocca. Lo
baciò, tenendolo
stretto perché non si staccasse e continuò a
baciarlo anche se rimase immobile.
Continuò a baciarlo anche quando, timidamente, le labbra si
mossero in
ricambio. Non era quello l’obiettivo, ma non poté
evitare il brivido che scivolò
lungo la sua schiena, l’improvviso calore al fondo dello
stomaco. Lo baciò,
liberandolo dalla sua stretta solo quando il corpo non fu
più contratto e
tremante.
Distanziò
i loro visi, cercò di non fare caso a quanto
fossero rosse e gonfie le labbra di Naruto. Sfuggì agli
occhi azzurri, sgranati
nella sorpresa, vergognandosi un po’ per il suo gesto
impulsivo.
“Non
respiravi correttamente, rischiavi un
sovraccarico di ossigeno. Così ti ho impedito di respirare
troppo velocemente”
spiegò meccanico, come se non avesse fatto un gesto troppo
intimo.
Naruto
scivolò a terra, crollando ancora provato tra
l’erba alta. Alcuni fili verdi solleticavano le sue guance,
lentamente stava
riacquistando un po’ di colore ora che non si affannava
più per respirare.
“Che
cosa?” domandò nonostante ciò con il
fiato corto.
“Stavi
iperventilando, il tuo ossigeno nel sangue
stava aumentando mentre l’anidride carbonica diminuendo,
sbilanciando l’altezza
di acidità nel sangue. Non riuscivi a calmare il respiro
quindi… il bacio lo ha
fermato e i livelli di anidride carbonica e ossigeno sono tornati
stabili”
spiegò meccanico, cercando di metterci più
professionalità possibile nel suo
gesto.
Naruto lo
guardava con gli occhi larghi come piattini,
sembrava davvero confuso. Ma forse era anche per i rimasugli
dell’attacco di
panico. In fondo lo stress non era stato evitato, aveva regolarizzato
il suo
respiro ma c’era il rischio si ripresentasse. Prese fiato
quindi.
“Lo
avevo imparato da ragazzino, appena laureato. Nel
caso… Rin…”(fece così male
dire il suo nome dopo tutti quegli anni)”…avesse
avuto un attacco di panico avrei saputo cosa fare”.
Gli occhi
azzurri si strinsero appena, tirati ai lati
dall’accenno di sorriso.
“Intendi
una scusa per baciarla”.
Ignorò
quel commento. “Non mi è mai servito, anche nei
momenti di maggior tensione lei era così calma. Anche quando
facevamo missione
di rifornimento e camminavamo a un passo da accampamenti nemici, lei
non aveva
mai paura. O non lo mostrava. Probabilmente ero io quello
più agitato” aggiunse
con disprezzo, il tono che aveva ogni volta che ricordava quanto fosse
stato
stupido e ingenuo da bambino. “Rin non aveva mai paura. Mai.
Faceva tutto ciò
che doveva senza tremare, non importa quanto fosse spaventoso o
difficile”.
Come
gettarsi sul raikiri del suo migliore amico.
Strinse i pugni
al pensiero, ma lo allontanò subito.
Non doveva avvelenarsi con il passato.
“Anche
Kakashi riusciva a mantenere la calma, ma credo
che lui imbottigliasse i suoi sentimenti. Sai, la regola dello shinobi
perfetto” continuò alzando gli occhi al cielo.
“Minato-sensei non c’è neanche
da parlarne, lui era
lo shinobi
perfetto”.
Si interruppe,
accorgendosi che Naruto aveva effettivamente
calmato del tutto il suo respiro e lo stava guardando attento. Obito
provò
l’istinto di scappare a quello sguardo.
“È
la prima volta che mi parli di loro” disse il
viaggiatore del tempo. “Anche in futuro… non
l’hai mai fatto. Non
così”.
Corrucciò
la fronte, chiedendosi perché sapere questo
lo faceva sentire come se avesse vinto un punto rispetto al se futuro.
Davvero,
non capiva perché a volte sentisse una sorta di competizione
con l’Obito di cui
gli parlava Naruto, quello che era arrivato a strapparsi gli occhi per
dare una
seconda possibilità al mondo.
“Be’,
stavo cercando di distrarti” disse con una
scrollata di spalle. “Così da superare
l’attacco di panico”.
Naruto si
portò una mano al petto, come accorgendosi
solo in quel momento che il cuore non batteva più doloroso e
impazzito.
Sorrise.
“Ne
sai una più del Saggio”.
“Modestamente…”
Si ritrovarono a
condividere una piccola risata,
guardandosi di sottecchi. Per Obito quella non era la prima risata dopo
anni,
in un modo o nell’altro Naruto lo aveva già fatto
ridere in passato con la sua
spontaneità, ma non era… abituato. Anche quando
faceva un solo stiramento delle
labbra restava un po’ sorpreso dalla genuinità del
sentimento che provava. Era
una piccola felicità…
Naruto
tornò a parlare, la voce più tranquilla.
“Quindi
questo è il mio quarto bacio
non-bacio…”
lamentò esasperato.
Inarcò
un sopracciglio. “Quarto?”
Nei suoi ricordi
ne aveva visti solo due, il bacio
accidentale con Sasuke quando erano bambini, la respirazione a bocca a
bocca di
Sakura durante la Guerra… e basta. Poi c’era il
suo avvenuto appena pochi
minuti prima.
Gli occhi
azzurri lo guardarono comicamente depressi.
“Orochimaru”
rabbrividì di disgusto. “Stavo tipo…
affogando, Orochimaru è stato quello che mi ha tirato fuori
e mi ha fatto la
respirazione bocca a bocca. No, non lo ricordo e non voglio
ricordare” aggiunse
sempre più depresso e inorridito.
Obito
scoppiò a ridere, incredulo.
“Orochimaru!”
“Mi ha
salvato la vita, eh” precisò Naruto, offeso.
“Ma… Dei, che schifo” socchiuse gli
occhi. “Non ci voglio pensare”.
Ci
credeva, il
Sannin dei Serpenti era una delle persone più viscide e
inquietanti che avesse
conosciuto. Gli faceva un po’ strano pensare che in futuro
sarebbe passato
dalla stessa parte di Naruto, salvandogli perfino la vita…
ma immaginava fosse
abbastanza facile scegliere la propria fazione quando il nemico era una
dea che
voleva distruggere tutto il mondo, compresa la conoscenza del genere
umano.
Sì,
in futuro scegliere di unirsi e fare fronte comune
contro una minaccia unica era stato facile; ora le nazioni non avevano
nessun
motivo pratico e immediato per farlo, al contrario continuavano a
premere sulle
loro differenze e vecchi rancori. Sospirò, chiedendosi se
non fosse quella
l’unica strada per la pace. Creare una minaccia che
costringesse il mondo a
unirsi.
Ma a quale
prezzo? Non uno che Naruto avrebbe pagato,
su questo poteva starne certo.
“Quei
baci non contano” continuò Naruto, ignaro dei
suoi pensieri. “Non è che fossero voluti da
qualcuno… non si possono
assolutamente contare come baci”.
“Quindi
sei a zero baci veri” lo stuzzicò.
Lo
guardò offeso. “Perché, tu
invece?”
In
realtà quello era stato il suo primo bacio in
generale, che contasse o meno. Prima era troppo innamorato di Rin per
pensare a
qualcun altro, dopo… meglio lasciar stare.
Scrollò quindi le spalle, senza
rispondere.
Naruto
spostò di nuovo gli occhi al cielo, erano più
azzurri e limpidi di quanto esso non fosse. Il sole illuminava il suo
viso e i
ciuffi d’erba accarezzavano le guance, le sue labbra erano
ancora un po’
gonfie. Ricordò quanto fossero morbide mentre lo baciava,
così calde e dolci, e
sentì il suo stomaco agitarsi come… pieno di
farfalle.
Da quanto non
provava una sensazione del genere? Era
quasi scombussolato all’idea di poter provare di nuovo
qualcosa di simile.
Naruto
continuava a parlare, ma ormai non lo ascoltava
più. Più i secondi passavano, più si
rendeva conto che non importava quanto
fosse difficile il nuovo sentiero che aveva intrapreso, lo avrebbe
seguito fino
alla fine se questo significa poter stare al suo fianco.
Gli occhi
splendidi ora lo guardavano direttamente, un
po’ aggrottati – forse aveva fatto una domanda e
lui non se n’era accorto.
Obito si
sentì cadere.
Prima che
potesse deciderlo davvero, la sua bocca
stava di nuovo coprendo quella di Naruto. Fu veloce, uno schiocco di
labbra, e
il ragazzo più giovane lo guardò sorpreso.
“Ma…
non sono più in panico” mormorò
confuso, a un
soffio dalla bocca dell’altro.
“Lo
so” disse.
E
tornò a baciarlo, con le labbra socchiuse che
accarezzavano timidamente quelle dell’altro. Ora che non
aveva più un urgenza,
si sentiva impacciato nei movimenti. Era strano. Era bello.
E Naruto stava
ricambiando.
“Quindi
è così che passate il tempo?”
Il cuore di
Obito schizzò in gola e si staccò da
Naruto, che sembrava ancora molto scombussolato. Due ombre si erano
allungate
su di loro, coprendo il sole: Yugito Nii e Killer Bee. La prima li
stava
guardando con un sorriso malizioso, le braccia incrociate e le
sopracciglia
inarcate, mentre il secondo stava improvvisando una terribile
canzonetta
d’amore.
Si
allontanò veloce, guardandoli torvo.
“Cosa
ci fate qui?” chiese, le orecchie arrossate e la
posa difensiva. Non gli piaceva che avessero visto.
Yugito
sventolò davanti a loro una pergamene.
“Siamo
stati contatti da Roshi, lo Tsuchikage…”
“Lo
so” disse velocemente Naruto, tornando serio e
concentrato. “Ha scritto anche a noi”.
“Non
lascerete che uccida i Kesseki, vero?”
“Ovviamente,
no!” disse Naruto alzandosi. Alcuni
ciuffi d’erba rimasero attaccati ai suoi capelli.
“Non possiamo permettere una
cosa del genere”.
“Bene.
Perché ne abbiamo parlato con A e… Bee,
smettila per l’amore del Saggio!” sbottò
per interrompere i versi che stava
facendo.
Non
funzionò molto, il rapper si intromise solo per
spiegare in rima che il Raikage aveva permesso di ospitare i Kesseki
nel Paese
del Fulmine.
“Davvero?”
domandò incredulo Naruto.
“Big
Brother is Great! Yeah!”
“Sì,”
tagliò Yugito. “Ma questo inasprirà i
rapporti
con la Roccia…”
“Una
cosa alla volta” considerò. “Al momento
dobbiamo
pensare ai Kesseki e a Roshi. Se diventerà un nukenin
sarà solo contro
l’Akatsuki”.
Yugito socchiuse
gli occhi, come se stesse ascoltando
qualcuno nella sua testa. Poi sorrise soddisfatta.
“Matatabi
dissente. C’è Son Goku con lui, questa volta
collaborano. L’Akatsuki passerà un brutto tempo se
lo affronterà”.
Questo
scatenò un’altra serie di rime da parte di
Killer Bee sull’amicizia tra Roshi e Son Goku. Naruto
sorrise, ricordandosi che
era vero: non era come al suo tempo, Bijū e Jinchūriki andavano
già d’accordo…
insieme sarebbero stati invincibili.
“Le
cose non andranno come l’ultima volta” promise
Yugito. “Per nessuno di noi. Ora siamo insieme”.
Obito
osservò come il sorriso di Naruto si stava
allargando, accecante quanto il sole. Provò ancora quella
morsa allo stomaco.
Strinse i pugni e si alzò, non era il momento.
“Allora
al lavoro” disse. “Abbiamo una difesa da
pianificare”.
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Capitolo 16 *** Circondati da squali ***
Capitolo
14
Circondati
da squali
«Why
do things that matter the most
Never end
up being what we chose?»
(The hell song – Sum 41)
Nozomi
guardò annoiato le cime degli alberi che scorrevano in alto,
le foglie così
fisse da nascondere il cielo. Era steso sul carro stravaccato, le
braccia sotto
la testa e il corpo che sussultava a ogni scossone delle grandi ruote
sul
sentiero dissestato. Guardava soprattutto gli spessi rami degli alberi,
sarebbe
stato così meraviglioso poter viaggiare saltando su essi
come in una vera
missione ninja e non a passo di civile su un vecchio carro malandato.
Si
accigliò
infastidito da tutta quella messinscena. Era chiaro come il sole che
fossero
tutti shinobi, che il delegato del Paese del Carbone era un Nara e che
quindi
non c’era nessun motivo per viaggiare in quel modo lento e noioso.
“Ehi,
lo
sapete che sono un sensore, sì, dattebayo?” chiese
quindi.
Al suo
richiamo rispose il presunto Kusagi Iwao, seduto sui posti posteriori
del
carretto trainato dai due stanchi cavalli. Si voltò a
fissarlo con espressione
austera.
“Certo,
ed
è per questo che la tua presenza è fondamentale
per rilevare eventuali bande di
ladroni inviate da avversari politici”.
Nozomi
si
morse la lingua per non rispondere per le rime.
No, intendo che
so che sei un cazzo di shinobi e
quindi tutto questo è inutile!
Kurama
era
confuso quanto lui, l’unica opzione che gli veniva in mente
era che il Sandaime
lo stesse facendo allontanare da Konoha con un pretesto e che, per
tenerlo il
più lontano possibile, avesse creato quella lenta e noiosa
messinscena. Odiava
che Obito non fosse con lui, sicuramente avrebbe capito subito cosa
stava
davvero succedendo.
Genma lo
guardò con simpatia. Era seduto sul retro del carretto,
intento a intagliare un
pezzo di legno. La sua scultura però non stava venendo
affatto bene per tutti
gli scossoni che il mezzo stava ricevendo.
Ecco
un’altra cosa strana: tutti gli shinobi coinvolti erano
troppo rilassati, come
se non temessero davvero un attacco, anche se il Sandaime aveva parlato
di
quella missione come se frotte di ladroni e avversati politici
volessero
manomettere l’affare.
“Ohi,
ma tu
non sei preoccupato?” chiese quindi a Genma.
Lui
allargò
il sorriso. “Perché esserlo con un sensore che
può avvisarci in anticipo?”
replicò.
Nozomi
si
imbronciò, e guardò allora Gai che, invece di
starsene comodamente seduto sul
corretto come stavano facendo lui, Genma e Tenzō, aveva deciso di
seguire il
mezzo correndo, come buono allenamento. Non che dovesse sforzarsi molto
visto
la lentezza dei cavalli.
Rassegnato
alla sua situazione, chiuse gli occhi e si lasciò
precipitare dentro la sua
dimensione condivisa con Kurama. Calciò l’acqua
come un bambino imbronciato.
“Che
ne
pensi?” chiese alla grande volpe che lo fissava ugualmente
annoiata.
“Lo stesso che pensavo dieci minuti fa”
replicò seccato. “Stanno
organizzando
qualcosa a Konoha per cui non vogliono né te né
Obito. È una coincidenza troppo
assurda che vi abbiano allontanati entrambi lo stesso giorno”.
Nozomi
sospirò
e andò ad arrampicarsi sulla volpe. Kurama
borbottò infastidito mentre tirava
ciuffi di pelo rossicci per salire fino alla sua testa e sistemarsi tra
le
grandi orecchie sporgenti.
“Come
va a
casa?” chiese allora.
“Niente di nuovo”
brontolò. “Il cucciolo
è ancora con Iruka alla loro
lezione privata” informò.
Kurama
poteva sapere tutto quello che succedeva a Naruto, visto che la sua
parte yang
era sigillata nel bambino. Era come ci fosse una corrente di chakra che
li
univa e rendeva la volpe sempre consapevole di cosa stava succedendo al
suo
altro Jinchūriki. Era uno degli effetti imprevisti dell’avere
due Jinchūriki
dello stesso Bijū, ma non si lamentavano visto che quello permetteva
loro di
monitorare Naruto ogni volta che lo desideravano.
“È
davvero
strano” mormorò Nozomi. “Iruka non mi ha
mai insegnato a leggere”.
“Forse sta già avvenendo un cambiamento
nella vita di Naruto”.
“Ma
come?
Cioè, non abbiamo davvero fatto ancora nulla di
stravolgente” protestò con
rimpianto.
“Be’, siamo qui. Già questo è stravolgente”.
Non
rispose, emettendo solo un suono gutturale a labbra strette. Kurama non
aveva
tutti i torti, chissà quanti cambiamenti avevano messo in
atto senza nemmeno
accorgersene, con il loro solo essere lì, senza poterli
controllare davvero. A
volte ne aveva paura, come se tutto potesse davvero sfuggire al suo
controllo,
le nazioni ninja era così vaste… Era rassicurante
sapere di avere gli altri
Bijū dalla loro parte, in grado di risolvere i problemi lì
dove Nozomi e Obito
non potevano arrivare.
Chiuse
gli
occhi, confortato dal morbido pelo sotto di lui. Anche se non era
davvero vero,
anche se tutto quello era solo una proiezione mentale di entrambi, il
manto di
Kurama era così soffice. Nozomi adorava addormentarsi
accoccolato al Bijū,
avere il corpo caldo della volpe che lo teneva al sicuro. Poteva sempre
abbassare le difese sull’ambiente circostante,
perché sapeva che Kurama
l’avrebbe svegliato in qualsiasi momento al primo cenno di
pericolo.
E anche
quella volta non sbagliò.
“Moccioso, pensò tu abbia
un’occasione per
divertiti” sogghignò la voce.
Nozomi
aprì
gli occhi. Non era più nel suo spazio mentale, ma di nuovo
sul carretto. Scattò
in piedi con un solo colpo di reni, la mano già dentro la
sacca delle armi a
tirare fuori uno dei suoi kunai marcati. Attorno a lui percepiva la
pigra ma
viva presenza del chakra naturale, una dolce polvere naturale che
avvolgeva
ogni cosa rendendo Nozomi consapevole di tutto ciò che
succedeva. Doveva aver
richiamato il senjutsu inconsciamente, mentre sonnecchiava.
Il suo
scatto fu così veloce che Genma sussultò,
perdendo la presa sulla statuetta di
legno.
“Cos…”
“Ci
sono
avversari!” disse fin troppo eccitato.
“Ma
tu non
stavi dormendo?!”
Rise
prima
di scattare verso l’alto, aggrappandosi al primo ramo
disponibile. C’erano
cinque persone sparse per tutta la zona, li stavano seguendo e dai loro
livelli
di chakra non potevano essere più forti di un chūnin. Nulla
al suo livello, ma
almeno qualcosa per spezzare la noia.
Chiuse
brevemente gli occhi, concentrandosi mentre infilava tra le nocche
altri kunai
da lanciare. Si
concentrò sul chakra
della natura, sulle forme che rivelava e svelava ai suoi
sensi… poi lanciò le
lame, che andarono a conficcarsi sulla corteccia di diversi alberi.
Appena
la
prima lama si impiantò, lui si dislocò su
quell’albero. Facendo leva sul tronco
saltò in alto e parò con il kunai
l’attacco di un uomo nascosto lì. Il
poveretto se l’era visto piombare addosso
all’improvviso, quando solo un
secondo prima si trovava a metri di distanza e molto più in
basso, perciò non
poteva essere biasimato se il suo attacco era risultato molto sciatto.
“Il
Flash
Giallo di Konoha?!”
Nozomi
sorrise e non rispose. Rimase fisso sull’albero solo con un
piede mentre alzava
l’altra gamba e, con precisione perfetta, colpì la
nuca dell’uomo con il collo
del piede. Lo shinobi avversario perse immediatamente i sensi, ma
Nozomi impedì
che precipitassi lasciandolo steso sul ramo.
Passò
quindi al nemico successivo. Il piccolo scontro era stato
così veloce che
nessuno dei suoi compagni si era reso conto di quello che stava
succedendo,
dell’immediato pericolo. Disarmò e rese
incoscienti quattro dei cinque ladroni
appostati, a quel punto l’ultimo rimasto si rese conto del
pericolo e scappò.
Quando Nozomi atterrò sull’albero con la marcatura
non era lì, ma non era
affatto un problema. Al contrario, un piccolo inseguimento lo avrebbe
reso più
interessante. Perciò, sicuro di sé, rimase fermo
un minuto a godersi il leggero
vento tra le fronde, la sensazione calda e confortante del chakra
naturale che
lo circondava, poi scattò. Sapeva perfettamente dove fosse,
nonostante il
disperato tentativo di mascherare il suo chakra.
Era solo
a
pochi metri di distanza quando si accorse di altre tre presenze,
familiari
quanto inaspettate, che stavano intercettando il suo obiettivo. Sorrise
sorpreso da quella piega degli eventi e decise di fermarsi, le sue
capacità
sensoriali che lo rendevano consapevole del piccolo scontro che stava
accadendo
poco avanti. Il ladrone cadde subito, ovviamente, e non poté
evitare di ridere.
Era scappato per finire direttamente dentro la bocca di un altro leone.
O
meglio:
squalo.
Atterrò
sul
sottobosco, fermandosi acquattato tra l’erba alta come un
felino pronto al
balzo. Alzò solo il viso, un ghigno da schiaffi sulle labbra
mentre guardava
l’ampia e muscolosa figura in piedi sul ramo poco
più alto. Il ladrone stava
abbandonato svenuto sulla sua spalla, come un sacco di patate. La
grande spada
sulla schiena lo rendeva riconoscibile a chiunque.
“Ehila,
Zabuza!” salutò con calore.
֎
Questo vecchio
squalo deve proprio stare qui?
Era il
pensiero che tormentava Obito mentre stava esponendo l’esito
della loro
missione direttamente all’Hokage. In una situazione normale
sarebbe bastato
scrivere un rapporto da consegnare a uno dei burocratici stanziati
appositamente, ma visto che si erano presentati con un gruppo di
bambini
spauriti invece di seguire le indicazioni date
dall’Hokage… be’, era ovvio che
il suddetto Hokage volesse una spiegazione di persona.
Almeno
non
sembrava arrabbiato dalla sua iniziativa, anche lui doveva capire che
la
salvezza di quei bambini veniva prima di ogni cosa. No, il suo fastidio
per una
volta non era rivolto a Hiruzen, ma a Danzo.
Il
vecchio
consigliere si trovava nell’ufficio quando erano entrati e,
considerando la
presenza di Shisui, Obito immaginava stessero parlando degli Uchiha.
Era
sorpreso lo avessero interrotto per lui… Forse aveva fatto
esasperare così
tanto il Sandaime da rendersi una priorità. Avrebbe sorriso
al pensiero se
Danzo non fosse sembrato così interessato e compiaciuto nel
sapere che avevano
portato con sé un gruppo di bambini provvisti di speciali
kekkei genkai.
Infatti non si stupì quando, al termine del suo discorso,
parlò per primo.
“Complimenti
per la brillante riuscita” disse frettolosamente.
“Da qui, credo che la cosa
migliore sia affidarmi quei bambini così da poterli gestire
correttamente”.
Obito
socchiuse gli occhi. Non gli sfuggì che al fianco del
vecchio Shisui si fosse
irrigidito.
“Intendi:
riconsegnarli ai legittimi genitori?” sibilò
minaccioso.
Il
Sandaime
riconobbe subito il suo tono e fece per intervenire, ma purtroppo Danzo
non era
stato abbastanza a contatto con Obito per riconoscere i segnali di
pericolo. Si
limitò a fare un gesto con la mano.
“Quello
che
è necessario” rispose diplomatico.
Obito lo
guardò a lungo, chiarendo con lo sguardo quanto poco lo
trovasse affidabile
soprattutto il suo disprezzo. Alla fine si voltò verso il
Sandaime.
“Richiedo
che mi venga affidato come missione”.
Hiruzen
quasi perse la pipa dalla bocca. “Cosa?”
Lo
guardò
impaziente. “Ritrovare i genitori dei bambini”
specificò. “Chiedo che mi venga
affidata come missione. Troverò le loro famiglie e mi
assicurerò che le
raggiungano” promise.
La
risposta
sbigottì il vecchio Hokage, era davvero molto raro che degli
shinobi si
accollassero volontariamente dei moccioso. Mentalmente decise di
segnarsi
questa cosa, visto che nelle missioni di babysitting era quasi sempre
impossibile trovare qualcuno disposto a prenderle che non fossero
ingenui genin
freschi di Accademia. Il problema si mostrava quando erano nobili
influenti a
chiedere missioni per i propri figli, pretendendo sempre shinobi di
grado
superiore visto la loro classe sociale.
“Permesso
accordato” disse quindi.
La cosa
andava anche a suo vantaggio, almeno non doveva essere lui a occuparsi
delle
future scartoffie.
Danzo
non
sembrò apprezzarlo. “E se ci fossero bambini
orfani?” domandò gelido. “Potrei
occuparmene io”.
“Conosco
qualcuno che potrà tenerli” disse a denti stretti.
“Che si occupa proprio di
orfani. Lei saprà crescerli meglio di chiunque
altro”.
“Ed
è
qualcuno qui nel Paese del Fuoco?” indagò
sospettoso l’Hokage.
Obito
chiuse gli occhi, maledicendo quella domanda. Ma li riaprì
presto, in modo di
guardarlo dritto in volto quando rispose.
“No,
è di
Ame” disse solo, non sapendo come avrebbero preso quella
notizia.
Fortunatamente,
meglio del previsto. Il Sandaime rilassò la posa delle
spalle e rasserenò lo
sguardo, evidentemente rassicurato.
“Bene,
ottimo. Abbiamo buoni rapporti con Ame” spiegò.
Obito si
sforzò per non alzare gli occhi al cielo, visto che sapeva
dell’odio di Nagato
per Konoha e che quei buoni rapporti erano solo di facciata per
permettere
all’Akatsuki di occuparsi dei suoi affari sotterranei senza
l’intromissione del
grande Villaggio. Forse Hiruzen non considerava il paesino pericoloso
visto che
non era mai stato patria di shinobi famosi, ma solo un villaggio di
periferia
su cui le grandi nazioni potevano combattere senza timore di resistenze
locali.
Danzo
però
intervenne, forse un po’ più consapevole della
delicata situazione ad Ame.
“Hiruzen,
ti ricordo che Hanzo non ne è più il
leader”.
“Sì,
è
vero” ricordò per nulla impressionato.
“Ma il nuovo leader è sempre stato molto
disponibile con noi. Anche senza un vero rapporto commerciale, non
paghiamo
troppi dazi e ha lasciato tutte le questione diplomatiche
com’erano state
decise con Hanzo”.
Il
vecchio
consigliere sembrava voler dire qualcosa in merito, forse che sapeva
che Hanzo
era stato assassinato da un’organizzazione criminale che
continuava a operare
nel piccolo villaggio. Ma dirlo significa ammettere che si era
invischiato
negli affari di un altro villaggio, arrivando a stringere alleanze
personali
con il leader, senza informare il proprio Hokage delle mosse politiche.
Non era
qualcosa che il Sandaime avrebbe spazzato via facilmente.
Quindi
doveva ingoiare il rospo e starsene zitto. Obito sorrise soddisfatto
alla piega
di eventi.
“Ottimo,
allora ci penseremo io e Nozomi” disse con tono insolitamente
allegro.
Capì
di
aver cantato vittoria troppo presto davanti all’occhiata che
il Sandaime faticò
a nascondere.
“Cosa?”
domandò con una fitta d’ansia.
“Nozomi
attualmente è in missione fuori dal villaggio”
spiegò senza smettere di
sorridere, anche se le labbra erano molto rigide come se si sforzasse mantenerle stirate in quel
modo.
Obito
collegò immediatamente tutti i puntini e non poté
evitare di incazzarsi.
“Cioè
ci
avete mandato appositamente in due missioni diverse per
separarci?!”
Fanculo
a
Konoha, fanculo anche ai mocciosi. Doveva trovare Nozomi subito e
assicurarsi
che non avesse fatto qualche disastro… che qualcuno non lo
avesse attaccato per
portarglielo via! Tornare a casa e sapere che Nozomi non era
lì era
sconvolgente, gli strinse il petto così dolorosamente che
per un momento non
riuscì a respirare. Era come se si fosse perso, arrivando
nel punto sbagliato,
in un posto che non era casa.
“Non
volevamo separarvi” contraddisse Hiruzen.
“È solo capitato che ci servissero
due shinobi per due missioni diverse, voi eravate gli unici con i
requisiti
giusti”.
Obito ci
credeva pochissimo, era sicuramente stato organizzato tutto per
separarli.
“E
qual è
la missione di Nozomi?”
“Scortare
un diplomatico del paese del Carbone” spiegò.
Lo
guardò
incredulo. “E Nozomi era davvero indispensabile per una
missione di scorta?!”
“Con
il
senjutsu potrà tenere traccia di eventuali attacchi meglio
di un qualsiasi
altro nostro sensore” spiegò Danzo con voce
lisciante. “Si trattava di un
diplomatico davvero importante. Sono stati richiesti solo ninja
d’elite”.
Prese un
lungo respiro, cercando di calmarsi. Non gli credeva ancora, ma doveva
ricordarsi quanto Nozomi fosse potente. Nessuno lo avrebbe ucciso,
poteva
difendersi da solo anche senza il suo aiuto.
“Bene.
Allora per i mocciosi ci penserò io”
tagliò corto ormai di cattivo umore.
“Potrebbe
essere utile l’affiancamento di uno Yamanaka?”
propose Hiruzen accomodante.
“Nel caso i bambini mostrassero segni di traumi”.
Avrebbe
preferito lavorare da solo, ma per una volta riconosceva del senso
nell’Hokage.
Era ovvio che dopo essere stati rapiti e imprigionati per mesi, vedendo
molti
di loro sparire senza motivo, avesse bisogno di sostegno psicologico;
un
sostegno che Obito era troppo rotto per dare.
Annuì
seccato, dentro di sé ancora sconvolto nel sapere che Nozomi
non era lì con
lui. Non era a casa.
֎
Zabuza
non
era cambiato per nulla dal loro ultimo incontro, che ormai risaliva a
molti
mesi prima, quando c’era stato il colpo di stato a Kiri.
Rispetto al loro vero
primo incontro, quando Nozomi era un Naruto dodicenne e pieno di
illusioni sul
mondo, invece era completamente diverso. Gli abiti erano puliti, nuovi
e ben
stirati; il suo viso non era scarno e rovinato come quello delle
persone che
stentavano a sopravvivere in un mondo che le odiava; soprattutto sulla
fronte
il suo hitai-ate di Kiri brillava ben lucidato e privo del graffio che
caratterizzava
i nukenin.
Sorrise
nel
vedere subito dietro di lui Haku, il bambino di otto anni sembrava un
magnifico
uccellino nel suo kimono colorato e con i capelli lucidi e lunghi come
piume di
corvo.
Nozomi
sentì alle proprie spalle atterrare i ninja di Konoha, le
armi sguainate e gli
sguardi tesi. Tra loro c’era anche il sedicente Iwao, che
forse per la tensione
di trovarsi davanti nei ninja di Kiri si era dimenticato di dover
tenere i
panni del civile.
“Vedo
che
sei in compagnia” disse Zambusa, poi aggiunse lentamente:
“Nozomi”.
Non si
stupiva che conoscesse il suo nuovo nome, del resto si era premurato di
comunicarlo a tutti i Bijū, che poi ne avevano parlato ai loro
Jinchūriki e…
poteva immaginare che Haku lo avesse confidato a Zabuza. Del resto
Zabuza era
anche una delle poche persone a essere stata messa al corrente del
viaggio del
tempo, anche se come Kisame non conosceva gli eventi che sarebbero
successi in
futuro senza il loro intervento.
“Eh,
sì,
una missione” rispose quindi spensierato. “Invece
voi che ci fate così tanto
lontano da casa?”
Alle sue
spalle percepì il nervosismo del compagni, probabilmente non
si aspettavano di
vederlo conversare così amabilmente con dei ninja di un
paese con cui
formalmente Konoha non aveva mai fatto pace.
“Viaggio
di
istruzione”.
Fu Haku
a
rispondere, saltando sullo stesso ramo in cui si trovava anche Zabuza.
Era
molto lontano, quindi rischiò di perdere
l’equilibrio nel farlo e Nozomi
sorrise dalla tenerezza. Questo piccolo bambino era molto diverso dalla
macchina assassina che aveva incontrato da genin e in cuor suo
sperò che
sarebbe rimasto così il più a lungo possibile.
Non aver salvato Haku era sempre
stato il suo rimpianto, quando era arrivato nel passato si era subito
assicurato di aiutare il bambino e creare le condizioni
perché avesse una vita
serena. Anche se, be’, farlo diventare il Jinchūriki di
Isobou non era nei
programmi…
Nozomi
scoccò la lingua sul palato. “Oh,
capisco!”
Una
terza
figura si approcciò a loro, saltando tra i rami con
l’aria di chi avesse un po’
di fretta. Era un altro ninja di Kiri e Nozomi riconobbe subito la
donna, con
il suo caschetto biondo e gli occhiali squadrati: Isoshi Tsumi. Aveva
combattuto con loro durante la ribellione a Kiri ed era diventata un
jonin
sotto il comando della nuova Mizukage. I suoi occhi chiarissimi si
riempirono
subito di allarme e preoccupazione nel vedere il nutrito numero di
shinobi di
Konoha e, a differenza di Zabuza e Haku, si mise subito sulla difensiva.
“Dichiarate
le vostre intenzioni” ordinò con voce tagliente.
Genma fu
il
primo a riprendersi. “Dovreste essere voi a farlo. Questi
sono i territori del
Daimyo del Fuoco”.
Zabuza
sbuffò e intervenne prima che la situazione degenerasse.
Gettò il bandito che
teneva mollemente ai piedi di Nozomi, poi si voltò verso la
compagna.
“Tsumi-san,
abbassa gli artigli. Non lo riconosci?”
Il
ragazzo
sorrise nervosamente allo sguardo della donna che lo tagliò
dalla testa ai
piedi con diffidenza.
“Dovrei?”
Ci
rimase
male al non riconoscimento, anche se era ovvio. Mentre agiva a Kiri
aveva
camuffato le proprie speranze, senza mai rivelare il proprio nome o
luogo
d’origine. All’epoca non aveva ancora nessuna
storia di copertura con cui
rispondere alle domande scomode, quindi si era sempre nascosto dietro
una
maschera rispondendo solo a un nome in codice, o meglio un nome di
battaglia
che si era guadagnato dopo la loro prima azione contro il regime di
Kiri.
Zabuza
però
sembrava essere meno paziente e comprensivo.
“È
uno
degli amici di Kisame”.
Tsumi
continuò a guardarlo, finché una luce di
comprensione non brillò nei suoi occhi
verdemare.
“L’Uragano?”
Poté
sentire Genma sbuffare al soprannome, ma lo ignorò annuendo
vigorosamente.
“Sì,
sono
io, Tsumi nee-san!”
La donna
contrasse lo sguardo al volume di voce molto elevato.
“Sì,
direi
che non ci sono dubbi” mormorò fra sé.
“In
realtà
mi chiamo Uzumaki Nozomi” si presentò ormai forte
della propria storia di
copertura.
Un’espressione
sbalordita distese i lineamenti della loro interlocutrice appena disse
il
proprio cognome. Si voltò verso Zabuza con evidente sorpresa.
“Tu
lo sapevi?”
ringhiò.
“Forse”.
“
E la
Godaime?”
“No”.
Alla
risposta il viso di Tsumi si oscurò brevemente.
Tornò a guardare i ninja a
terra con molta serietà, come in cerca di un trucco. Nozomi
sorrise per tutto
il tempo e questo la face sospirare.
“Chi
l’avrebbe detto”. Si sistemò gli
occhiali sul naso. “Il nostro alleato contro
il tiranno Yondaime Mizukage era Konoha”.
Quel
commento fece agitare un po’ i suoi compagni, che si
scambiarono occhiate
perplesse e nervose. Nozomi si sforzò di continuare a
guardarla sereno, in
realtà non sapendo minimamente come rispondere. Doveva
ammettere che si era
unito solo recentemente a Konoha o lasciare che traesse da sola le sue
conclusioni, credendo che fossero stati mandati in segreto da Konoha?
In quel
momento avrebbe voluto avere Obito al suo fianco, lui sarebbe stato
molto più consapevole
delle conseguenze che avrebbero avuto una o l’altra scelta,
sicuramente avrebbe
saputo come rispondere senza creare un contrasto internazionale, al
contrario
volgendo le cose a proprio vantaggio.
Ma era
solo.
Non sei
solo, moccioso,
ricordò una voce offesa nella sua tesa.
Giusto,
Kurama era con lui. Non aveva nulla da temere, lo avrebbe aiutato nella
scelta.
Allargò
il
sorriso. “Perché non ne parliamo con calma,
eh?”
Uhhh
è
passato meno di un mese!!! (28 giorni, ma shhh)
Forse il
capitolo è un po’ di passaggio, nonostante la
piccola azione portata avanti da
Nozomi, ma era fondamentale per introdurre sia la sua missione (non
dimentichiamo che è tutto uno scherzetto di Sandaime!!) sia
per rivelare quello
che è successo a Kiri quando sono arrivati. Nel prossimo
capitolo si parlerà
proprio di questo anche perché, come avete notato, Haku
è diventato un
Jinchūriki! Il prossimo capitolo spiegherà i
perché e per come ^^
Spero vi
sia piaciuto!
Un
bacio,
Hatta
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