Cronache dimenticate

di lion_blackandwhite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una terra insanguinata ***
Capitolo 2: *** Promessa per il futuro ***
Capitolo 3: *** La cima della Rupe ***
Capitolo 4: *** Fiori, roditori, alberi e api ***
Capitolo 5: *** Come nacque il più fiero ***
Capitolo 6: *** Assalto nelle acque agitate ***
Capitolo 7: *** L'udienza nella Palude ***
Capitolo 8: *** Cambiamenti per il futuro ***
Capitolo 9: *** Il nuovo leader delle iene ***
Capitolo 10: *** Dissapori dal passato ***
Capitolo 11: *** La Stagione delle Piogge ***
Capitolo 12: *** Un amico per la vita ***
Capitolo 13: *** Il Cimitero degli Elefanti ***



Capitolo 1
*** Una terra insanguinata ***


L’alba fu breve, quel giorno: nubi nere come la pece, cariche di pioggia e fulmini, oscurarono quasi immediatamente il sole nascente, gettando nell’ombra le Terre del Branco. Con un cupo vento ad infastidirlo, il gruppo di leoni, composto da numerose femmine e un solo maschio che aveva il compito di guidarle, lasciò la Rupe dei Re.

Camminarono per un breve tratto, sufficiente a raggiungere le estremità delle sue terre, e in lontananza scorsero il futuro luogo dello scontro, una landa pianeggiante appena oltre il confine era stata scelta come campo neutro. Giunti nel a destinazione si udì uno schiocco secco, seguito da un rombo assordante in lontananza, proveniente dalle nubi scure che affollavano il cielo: poi, sempre più velocemente, la pioggia cadde sulle loro teste con forza, inondando il terreno e rendendolo molle e fangoso.

Il leone era fermo, in attesa, con una strana espressione indecifrabile sul muso. La folta criniera rossiccia cominciò a inzupparsi senza sosta, ma ciò non parve turbarlo in quel momento. A catturare la sua attenzione fu piuttosto l’apparizione in lontananza di alcune figure scure e minacciose: nell’istante in cui riconobbe i ribelli, dall’altro lato della valle, cominciò a sua volta ad avanzare, guidando il suo branco. Molti furono i pensieri che gli affollarono la mente; tra tutti i dubbi che lo attanagliavano in quel momento, si chiese infatti cosa avrebbe fatto suo padre in quella situazione.

Un attimo dopo però scosse vigorosamente il capo, cercando di riprendersi: non era proprio il momento adatto per esitare. Animato dall’adrenalina, quasi automaticamente il suo corpo forte e slanciato fece qualche passo, sfoderando gli artigli nel momento in cui la distanza tra i due gruppi raggiunse la soglia di non ritorno.

Ruggì in risposta alle provocazioni della fazione ostile, strepitante e disperata allo stesso momento. Un ululato di vento precedette il rombo di un tuono in lontananza, e a quel punto il precario equilibrio si spezzò.

La battaglia infuriò immediatamente e non passò molto che le prime vittime caddero da entrambi i lati. Tutti i leoni lottavano per uccidere in quel momento, mirando ai punti più sensibili dei loro corpi per eliminare quanti più avversari possibili.

L’ erba bagnata si tinse presto di rosso, senza nemmeno dare il tempo alla pioggia di far scorrere lontano il sangue che sgorgava reiteratamente dalle ferite dei combattenti.

«Che ti prende, Mohatu[1]? Dov’è finita la tanto decantata forza bruta che il tuo paparino era così fiero di vantare?» ruggì una leonessa della fazione opposta saltando addosso al sovrano, ma questi la scansò prontamente. Il giovane leone, che aveva il pelo biondo tendente al castano, non appagò quella provocazione, ma sferzando l’aria con una minacciosa zampata sfiorò la sua avversaria, facendola arretrare.

«Combatti, codardo!» ribadì in tono impudente la leonessa, cercando di provocarlo: per contro, la tonalità del suo manto era scura e tendente al rosso, segno caratteristico di tutto quel gruppo. Mohatu digrignò i denti e a quelle parole reagì, con un unico movimento la atterrò senza difficoltà, sovrastandola con la propria stazza, bloccandola a terra con le sue zampe.

«Su, uccidimi! Che aspetti, patetico Re!?» Mohatu ruggì rabbioso e per tutta risposta aumentò la pressione delle zampe sul petto della leonessa che a quel punto boccheggiò, in debito di ossigeno. «Non ho intenzione di ucciderti se non mi costringerai a farlo» mormorò il leone con voce roca e ferma.

«Questa spirale di violenza e odio deve finire qui e adesso. Non sono incline a togliere una vita se me ne viene concessa la possibilità». La fissò con uno sguardo risoluto e compassionevole, pregando internamente e con tutte le sue forze che le parole pronunciate avessero sortito un buon effetto.

La leonessa per tutta risposta, dopo un momentaneo sgomento, scoppiò sfacciatamente a ridere. «Non avrei mai creduto che il famigerato Re delle Terre del Branco fosse solo un vile codardo incapace di uccidere… Mi vergognerei ad avere per sovrano un leone del genere…Senza spina dorsale…».

Mohatu rimase scioccato da quelle parole ed ebbe un fatale attimo di distrazione, sufficiente perché l’avversaria si liberasse dalla stretta; senza perdere altro tempo gli si avventò contro puntando la gola, ma nel momento in cui stava per sferrare l’attacco ella venne scaraventata lontano, colpita in pieno muso da un’altra leonessa, arrivata in soccorso del Re: con un balzo deciso, le saltò addosso, schiacciandole violentemente la trachea: quella emise un ultimo, terribile rantolo per poi spirare.

«Mohatu, torna in te! Moriremo tutti quanti se non reagisci!» gli urlò la leonessa dal pelo chiaro che l’aveva salvato, per poi allontanarsi. Il giovane parve risvegliarsi da quel torpore e, finalmente, si rese conto che doveva combattere se il suo branco voleva sopravvivere: con un potente ruggito si lanciò nuovamente all’attacco anche lui, quando qualcuno gli sbarrò la strada.

Ora a fronteggiarlo c’era un maschio, il capobranco della fazione nemica: caratterizzato dal pelo color del sangue, il corpo del leone era segnato da evidenti cicatrici dall’aria piuttosto recente; aveva l’aspetto emaciato, come se avesse sofferto a lungo, mentre la criniera, nera e particolarmente voluminosa, appariva arruffata e sporca di fango, conferendo al suo proprietario una fisionomia ancora più minacciosa; i suoi occhi rossi infuocati erano puntati sul suo avversario, così Mohatu sguainò nuovamente gli artigli, pronto a lottare dopo avergli ringhiato in segno di avvertimento.

«Pronto a morire, Re delle Terre del Branco?» tuonò il leone di fronte a lui, digrignando a sua volta i denti; Mohatu ricambiò lo sguardo feroce, ma non rispose.

All’improvviso, un secondo lampo accecante attraversò il cielo scuro, seguito da un tuono fragoroso: nello stesso istante i due leoni si lanciarono l’uno contro l’altro.

Mohatu cercava in ogni modo di evitare un attacco diretto, ma l’altro lottava per la sopravvivenza e il suo intento era drammaticamente chiaro, quello di ucciderlo senza altre opzioni. L’aria fu attraversata dai ruggiti dei due maschi, sovrastarono persino quelli delle leonesse. Il Re schivò una zampata del suo avversario e reagì avventandoglisi contro nel tentativo di atterrarlo; il leone tuttavia si liberò quasi immediatamente della presa e per tutta risposta gli morse la spalla, facendolo ruggire dolorante: un fiotto di sangue gocciolò per terra, fuoriuscendo dalla ferita.

«Non ho intenzione di uccidere!» urlò Mohatu in tono risoluto, nel tentativo di fermare il combattimento. «Non voglio lottare contro il vostro branco!» aggiunse con una nota quasi disperata, ma tutto ciò che ottenne dal leone che lo fronteggiava non fu altro che una sonora risata derisoria.

«Cosa ti fa pensare che tu riesca a ucciderci?! Che tu e il tuo patetico regno riusciate a salvare la vostra lurida pellaccia?» ringhiò furiosamente, sputandogli in pieno muso; Mohatu non reagì, limitandosi a fissarlo con un leggero ringhio. «Credi che riuscirai a fare leva sul nostro buonsenso con le tue ipocrite diplomazie?» aggiunse l’altro cominciando a camminargli intorno con aria minacciosa; il Re respirava a fatica, spossato dalla ferita alla spalla, ma continuava a fissarlo dritto negli occhi. «RISPONDI!» gli ruggì il leone, infuriato dall’assenza di reazioni ostili.

«Sto cercando di evitare un massacro!» urlò finalmente Mohatu, voltandosi di scatto per guardarlo dritto negli occhi. «A cosa serve questo spargimento di sangue? Potremmo vivere tutti serenamente e in armonia, se solo mi deste la possibilità di…» ma fu interrotto da un poderoso ruggito.

«La nostra vita non è una favola in cui ti svegli felice e contento con le prede pronte a farsi uccidere per riempirti lo stomaco!» gridò il leone scuro, ma Mohatu stavolta notò un leggero cambiamento negli occhi iniettati di sangue del suo avversario: un sentimento diverso dalla pura furia attraversava ora il suo sguardo, qualcosa di più simile al risentimento che alla cieca rabbia.

«Tu non sai cosa significa sopravvivere fuori dalle Terre del Branco! Un insignificante leoncino viziato che non ha la più pallida idea di cosa si provi a tornare dalla propria compagna senza una sudicia carogna da mangiare per giorni!».

Gli occhi divennero lucidi, anche se lo sguardo era ancora carico di rancore; Mohatu lo fissò, sconvolto, ma ancora in guardia.

«Quindi è così. Siete stati costretti ad attaccarci» mormorò, facendo cautamente un passo avanti. «Non abbiamo alcun bisogno di lottare. Non capisci, è proprio questo a cui mirava mio padre! Era la pace tra i branchi il suo obiettivo, che tutti vivessimo in armonia, senza queste folli lotte!». Provò ad avvicinarsi ancora, ma un ruggito lo fece desistere.

«Pace tra i branchi? Non farmi ridere! Tuo padre voleva soltanto aumentare il numero del suo branco per avere un deterrente, in modo che nessuno osasse attaccarlo!»

Il Re scosse il capo, incredulo per quella menzogna. «No, non è così! Il suo era un nobile ideale ed è morto prima di riuscire nel suo intento, ti assicuro che…» ma fu interrotto bruscamente.

«Ha pagato con la vita la sua stoltezza! Solo un idiota poteva credere a simili assurdità! E tu…» il leone scuro ruggì un’ultima volta, inarcando la schiena, pronto ad attaccare, «lo raggiungerai presto!».

Non si aspettava un altro attacco così all’improvviso: Mohatu lo schivò per un soffio gettandosi di lato, rimediando un graffio superficiale; nonostante il dolore e la stanchezza reagì, piantandogli i suoi artigli affilati sulla schiena. Il leone dal pelo rossiccio cacciò a sua volta un urlo di dolore e si allontanò temporaneamente con un balzo. La pioggia cadeva incessantemente mescolandosi al sangue che fuoriusciva dalle loro ferite, rendendo appiccicose le scompigliate criniere dei due leoni.

Nella foga della lotta erano giunti inavvertitamente al limitare di un crepaccio. Mohatu non aveva alcuna intenzione di arrendersi, ne andava del suo orgoglio, tuttavia continuava ad affannarsi per cercare una soluzione meno brutale; provato dall’estenuante combattimento il giovane Re inciampò per un istante sul terreno sdrucciolevole, dando così all’altro leone l’opportunità di aggredirlo: grazie a un fulmineo riflesso però riuscì ad evitare ancora una volta l’assalto mortale, ma non la violenta zampata che gli lacerò il petto sotto la spessa criniera; ruggendo dolorante si erse su due zampe, furioso e reso momentaneamente cieco dal fango, entrambi ormai a un passo dal crepaccio. Anche il leone scuro si levò in alto e incrociarono violentemente le zampe, colpendosi nello stesso momento; stremati dalla lotta prolungata ricaddero a terra, entrambi segnati da delle grosse e vistose cicatrici sanguinanti provocate dal duro scontro che li aveva coinvolti.

«Non ne hai ancora abbastanza?» gli chiese il Re, amareggiato. Ricevendo un debole ringhio come risposta, si voltò: malgrado la vista leggermente appannata non poté fare a meno di notare il rivolo di sangue che colava dal muso del suo simile. «Guardati intorno: questa guerra non fa altro che causare morte e sofferenza! Perché vuoi continuare a lottare se intendo aiutarti?! Per quale ragione vi ostinate a diffidare delle mie parole?». Ringuainò gli artigli, facendo cautamente un passo avanti: il leone dal pelo rossiccio stavolta non reagì e per la seconda volta Mohatu notò che qualcosa era cambiato nel suo sguardo. «Sei sicuro che combattere sia la risposta? È davvero questo ciò che vuoi per te e il tuo branco?!» insistette.

«Certo che no, ma…!» gli urlò l’altro tentando di replicare ma fu interrotto da un ruggito. «Allora perché?!» gli chiese Mohatu, sofferente. Il leone scuro non rispose ma alzò il capo, guardandosi intorno.

«Forse hai ragione. Non mi ero reso conto di quello che stiamo facendo» disse infine: rimasero immobili per alcuni istanti, approfittando di quel breve momento di pace per riprendersi.

«Qual è il tuo nome? Cosa vi ha spinto a questo?» chiese Mohatu a un tratto, scrutandolo; l’altro parve sorpreso da quella domanda, ma non restò in silenzio.

«Kito[2]» si limitò a rispondere il leone dalla criniera nera, stupendosi per ciò che aveva appena fatto.

«Bene, Kito. Perlomeno adesso so il nome del leone che fino a un attimo fa voleva uccidermi» ribatté quasi ironicamente il Re. «Non è ancora detto che abbia cambiato idea» disse seccamente l’altro, che gli rivolse uno sguardo cupo. «Nessuno sano di mente vorrebbe sfidare il vostro branco senza una ragione valida, Mohatu. La fame, gli stenti, la morte, ecco cosa ci ha posti l’uno di fronte all’altro quest’oggi». Nuovamente si interruppe, abbassando il capo.

«Pensi davvero che queste tragedie riguardino solo te?» gli chiese il leone dalla criniera rossiccia.

«Non è la stessa cosa. Io e te non siamo uguali» ribatté Kito, risentito.

«Ah, davvero?» lo incalzò Mohatu, facendo cautamente un altro passo avanti. «Siamo entrambi leoni. Siamo a capo di un branco, bagnati dalla stessa pioggia. Siamo stanchi, feriti e sanguinanti. Soffriamo allo stesso modo le perdite dei nostri cari… Cosa ti rende diverso da me? Perché non vuoi essere aiutato?» Kito abbassò lo sguardo: per un istante, a Mohatu parve che stesse lottando con sé stesso.

«Sono stanco» mormorò infine, tornando a fissarlo con occhi lucidi. «Tutti noi siamo stanchi. Non c’è nulla di personale in questo conflitto». Esitò prima di continuare, come se stesse scegliendo con cura le parole.

«Il fatto è che non c’è acqua né cibo a sufficienza nelle nostre terre. Come se non bastasse, quel poco che resta dobbiamo contendercelo con altri branchi. Pensavo di poterlo sopportare quando è nata mia figlia, ma poi la mia compagna… lei è… Non è sopravvissuta al parto». La voce gli tremò appena fino a spezzarsi.

«Siamo ancora in tempo, Kito» replicò Mohatu, colpito dal racconto, ma il leone scuro gli rivolse uno sguardo carico di risentimento.

«Ah sì? Puoi riportare indietro la mia compagna? Il Re delle Terre del Branco dispone di questi poteri, per caso?» gli chiese, sardonico. Mohatu scosse il capo, sinceramente rattristato. «Temo di non poter arrivare a tanto. D’altra parte, se il tuo unico interesse è quello di offrire una vita migliore a tua figlia e al tuo branco, potremmo vivere tutti insieme nelle Terre del Branco». Detto ciò gli si avvicinò abbastanza da allungare la zampa e toccarlo, mentre Kito ritraeva gli artigli: alcune leonesse nel frattempo avevano smesso di combattere, attirate dalla conversazione dei due capibranco.

«Non hai paura che possa rivoltarmi contro di te? Ho appena tentato di ucciderti, dopotutto» gli chiese, sospettoso. Mohatu scosse il capo. «Ciò di cui ho paura è vedere un padre che tenta disperatamente di garantire un futuro al suo branco anche a costo della sua stessa vita. Sisi ni sawa[3], Kito, te l’ho già detto» mormorò, mentre la pioggia cadeva rumorosamente. Il leone rossiccio guardò negli occhi il Re delle Terre del Branco e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì rassicurato dopo quelle parole, aprendosi in un flebile sorriso.

«Sei davvero strano, lo sai? Non avevo mai incontrato nessuno come te» affermò, mentre Mohatu lo aiutava ad alzarsi sotto gli occhi esterrefatti delle leonesse che avevano interrotto lo scontro. «Quindi… è finita?» chiese una leonessa incredula, scambiando un’occhiata con le altre intorno a sé. Entrambi i leoni fecero per rispondere, ma quel cenno di assenso non arrivò mai.

All’improvviso i due infatti avvertirono il suolo tremare sotto le zampe: con un tonfo sinistro, una crepa si estese rapidamente intorno a loro; intuendo immediatamente il pericolo, Kito spinse lontano Mohatu mettendolo in salvo, ma prima che potesse saltare a sua volta il terreno si sbriciolò in pochi istanti sotto il suo peso. Con uno sforzo immane riuscì ad aggrapparsi a una debole radice emersa dopo il crollo, ma sapeva che non avrebbe retto a lungo.

«NO!» ruggì Mohatu in preda al panico lanciandosi in suo soccorso, ma l’altro lo fermò appena in tempo. «NON AVVICINARTI O CADREMO ENTRAMBI!» gli urlò Kito con quanto fiato avesse in corpo, bloccandolo. «Non posso lasciarti cadere con me, non dopo che hai promesso di prenderti cura del mio branco!» gli ricordò, disperato. Ora tutte le leonesse fissavano il capobranco sospeso sul precipizio, in attesa di conoscere il suo destino. «CAPO!» gridarono alcune con le lacrime agli occhi. Mohatu fissò gli occhi scarlatti di Kito, maledicendosi per non essere stato più reattivo; ricambiandogli lo sguardo, il leone pronunciò le sue ultime parole, aprendosi in un sorriso sereno. «Prenditi cura di mia figlia, Mohatu. Ti prego, fa in modo che viva felicemente, almeno lei».

Il Re annuì lentamente, impietrito. «Lo giuro sul mio onore. Ti devo la mia vita» mormorò soltanto. Kito sorrise un’ultima volta e i suoi lineamenti si rilassarono: poi, con un terribile crack il supporto su cui era aggrappato cedette, trascinandolo giù nel profondo dirupo, accompagnato dalle urla disperate delle leonesse; il Re fissò con occhi sbarrati il punto in cui si trovava fino a un momento prima il suo ex avversario, senza poter fare altro che osservare il corpo del leone cadere nel vuoto finché non fu inghiottito nell’oscurità­: le ultime parole del leone scuro gli rimbombarono in mente con un frastuono tale che non riuscì più a distinguerle dal rombo della pioggia.

 

*
 

Non passò molto tempo prima che le nuvole si diradassero, lasciando il posto a uno sbiadito cielo azzurro. Il sole ora troneggiava all’orizzonte, illuminando tiepidamente la terra sottostante. Mohatu e il suo branco interruppero le ostilità e il leone spiegò a tutti i sopravvissuti cosa era accaduto durante il combattimento.

Alcune leonesse da entrambe le parti avevano perso la vita; altre, dopo la scomparsa del capobranco si arresero alla realtà e fuggirono via, non credendo alle parole del sopravvissuto e dei testimoni; quest’ultimi che avevano assistito alla scomparsa di Kito invece, attirate da una migliore prospettiva di vita accettarono infine di essere annesse al nuovo branco.

Il Re fu felice per quel piccolo esito positivo ma non poté gioirne appieno: nonostante avesse provato a seguire le orme del padre, anche quel giorno Mohatu aveva fallito nell’ impedire che delle vite venissero spezzate in quel caos di odio e incomprensione.

«Quante non ce l’hanno fatta, Nya[4]?» chiese a una leonessa dal pelo scuro, con lo sguardo perso nel vuoto. Era giunto il momento di tirare le somme.

«Il nostro branco contava quindici unità, Sire. Siamo sopravvissute in undici, purtroppo» snocciolò meccanicamente la femmina, contando le proprie compagne con aria sconsolata. «Con le nuove arrivate che hanno accettato di unirsi a noi risaliamo a tredici. Forse potremmo tornare al numero originario, a giudicare dalla condizione di una di loro» concluse, alludendo alla leonessa che aveva il ventre palesemente rigonfio.

Mohatu avvertì una fitta al cuore ma dovette reprimere la tristezza: Kito e il suo branco avevano dovuto sopportare un vero inferno se persino le leonesse in attesa di cuccioli erano state costrette a combattere; si sforzò di annuire.

«Molto bene. Raduniamoci e torniamo alla rupe, abbiamo bisogno di riposo; mi auguro solo che sia tutto finito». Aveva appena fatto qualche passo quando ripensò alle ultime parole del leone scuro e si voltò, preoccupato: aveva menzionato sua figlia, ma non aveva intravisto cuccioli lì intorno durante la battaglia; a un certo punto però udì uno stridulo miagolio provenire da una parete rocciosa non molto distante. Alcune leonesse si misero in guardia ma Mohatu le fermò, ricordando le ultime parole di Kito.

«Aspettate» ordinò, deciso. «Credo di sapere di cosa si tratta» proseguì, mentre un pianto sempre più forte riempiva l’aria circostante. Il Re si avvicinò cautamente alla fonte del rumore, scoprendone così l’origine: con un sussulto riconobbe un minuscolo cucciolo di leone dal pelo rossiccio che, a giudicare dalle dimensioni, doveva avere non più di qualche giorno di vita.

«Per tutti gli Spiriti, è un cucciolo indifeso! Oh ma che amore, povera piccola! Cosa intende farne, Sire? Probabilmente la madre è fuggita o è morta» gli sussurrò Nya. Mohatu riconobbe con un tuffo al cuore gli stessi occhi rossi del leone che aveva fronteggiato qualche ora prima: non c’erano più dubbi. A conferma delle sue sensazioni, una delle leonesse che erano state annesse al branco si fece avanti con espressione tetra e sottomessa.

«Penso che lei sappia a chi appartenga questa leoncina, Mohatu. È la figlia di Kito». Il leone ricordò le ultime parole che gli aveva rivolto, mentre una profonda costernazione lo avvolgeva.

«Ha dovuto portare sua figlia sul campo di battaglia…?» sussurrò incredulo. «Non immaginavo che fosse così piccola!» protestò, assalito dai sensi di colpa.

«Naturalmente, eravamo tutte qui» disse una delle leonesse dal pelo scuro. «Come potevamo fare altrimenti, sua madre è morta subito dopo averla data alla luce… Povera piccolina» commentò un’anziana con voce velata dalla tristezza.

Il leone boccheggiò, pensando alla propria compagna che era rimasta al sicuro alla Rupe e al loro cucciolo che sarebbe nato da lì a pochi giorni.

Un’istante. Un solo movimento tardivo e avrebbe potuto rendere orfano suo figlio ancor prima di venire al mondo. Bruciato da un opprimente senso di colpa guardò nuovamente la minuscola leoncina. «Mohatu… Cosa sta...?!» chiese Nya esterrefatta, mentre il leone si avvicinava alla leoncina che piangeva con gli artigli sfoderati. Non poteva permettere che morisse.

«Non avrai mica intenzione di lasciarla qui?» chiese il Re, voltandosi con sguardo irato. La leonessa sgranò gli occhi, sorpresa. «Certo che no, ma pensavo che… Insomma… Lei è…».

Mohatu si irrigidì. «Non ho alcuna intenzione di lasciarla qui» ripeté in tono duro. «D’accordo, ma… Ha intenzione di adottarla?» domandò infine la leonessa, preoccupata. Il leone ricambiò lo sguardo sorpreso, rinfoderando gli artigli. Avrebbe anche potuto farlo, ma doveva parlarne con la sua compagna: come se ciò non bastasse, c’era anche un altro problema.

«Non sappiamo quando la Regina partorirà, temo che morirà di fame prima che il nostro cucciolo nasca» mormorò indicando la leoncina, sconsolato.

«Voi non potete nutrirla, vero?» domandò poco convinto alle leonesse del branco di Kito, prevedendo la risposta: quest’ultime infatti scossero il capo. Solo la compagna del leone aveva partorito di recente. «Come immaginavo» constatò.

Nya fissò impietosita la leoncina che si agitava debolmente nel sonno, infreddolita. «D’altra parte» replicò la leonessa, «io sono già madre da qualche giorno». Mohatu sgranò gli occhi con sorpresa: come aveva fatto a non pensarci?

«Nya, sei sicura?» le chiese il leone, ma quest’ultima l’aveva già anticipato. «Mi domandavo quando me l’avrebbe chiesto. Tranquillo, Mohatu, il mio cucciolo accoglierà volentieri una sorellina» esclamò entusiasta, addentando la cucciola delicatamente per la collottola. Il muso del Re si illuminò con un tiepido sorriso.
«Coraggio, torniamo a casa ora» concluse, facendo un cenno col capo agli altri presenti.

Dopo qualche passo, Mohatu si voltò indietro verso il campo neutro della battaglia e diede un’ultima occhiata allo strapiombo franato. Promise a sé stesso che avrebbe posto rimedio a quella scia sanguinosa, anche a costo della propria vita.

Poi, con passo deciso ridiscese la collina ancora bagnata, puntando la rupe rocciosa che si scorgeva appena all’orizzonte.

 


[1] Mohatu: secondo varie fonti, il suo nome può avere più significati, due in particolare provenienti dalla lingua Swahili.: il primo sta per ‘dono dei cieli’, il secondo sta per ‘uguale o comprensivo’. Personalmente li apprezzo entrambi, lascio la preferenza al lettore.

[2] Kito: il suo nome significa ‘pietra preziosa’ nella lingua Swahili.

[3] Sisi ni sawa: in Swahili. significa “Siamo tutti uguali”.

[4] Nya: ‘amica’, ‘compagna’ in lingua Swahili.

Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti! Mentre scrivo queste due righe mi sto chiedendo se ci sarà davvero gente interessata alla mia storia. Spero fermamente di sì.
Bene, se siete arrivati a leggere le mie riflessioni, mi auguro che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento. Tengo particolarmente a questa storia che ho ideato ormai parecchi mesi fa e ho davvero aspettato moltissimo prima di iniziare a pubblicarne i capitoli.
La mia intenzione originaria infatti era quella di completare tutto il romanzo per intero e pubblicare qui su efp solo in un secondo momento, ma diverse circostanze mi hanno costretto ad abbandonare quest'idea. 
Per questo motivo pubblicherò regolarmente un capitolo ogni settimana o due, non ho ancora deciso... almeno all'inizio. L'intenzione è cercare di concludere la storia (che sto scrivendo tutt'ora) molto tempo prima della pubblicazione dei capitoli, in modo tale da procedere con calma e dare priorità assoluta alla qualità della trama, ovvero l'elemento che ritengo più importante. 
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti. Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"


P.S.: Nella sezione dei personaggi Mohatu non è ancora presente. Malgrado non sia un personaggio considerato 'canonico' (il libro delle Six New Adventures in cui viene citato da Mufasa non è più considerato tale in tempi recenti) è un personaggio che comunque fa parte dell'universo TLK in qualche modo e dato che ho visto diverse fan fiction a riguardo, ritengo che meriti una menzione tra i personaggi. Ho fatto richiesta per aggiungerlo alla lista, dato che nella mia storia è uno dei protagonisti principali, ma servono almeno 10 approvazioni, perciò fino ad allora posso metterlo nella descrizione della storia come 'Nuovo personaggio'. Mi fareste un grosso favore se lo votaste, in modo che possa aggiungerlo tra i personaggi della mia storia nel riepilogo!

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Capitolo 2
*** Promessa per il futuro ***


Nota: la porzione di testo in corsivo indica la presenza di un flashback

Il viaggio di ritorno verso la rupe non fu breve. Ferito e sanguinante, Mohatu percorse il sentiero che li avrebbe ricondotti alla Rupe, ripensando agli eventi appena trascorsi e all’importante decisione che aveva preso.

Cercò di non fare movimenti bruschi mentre camminava, abbassando di tanto in tanto lo sguardo per controllare che la minuscola palla di pelo tra le sue fauci stesse dormendo tranquilla; la cucciola infatti smise di piangere soltanto nel momento in cui lui stesso la prese per la collottola: Nya provò a scherzarci su, dicendo che il leone doveva aver ispirato maggiore fiducia alla neonata dal momento che era stato il primo a trovarla.

Rimase silenzioso per tutto il viaggio, immerso nei suoi pensieri. Non aveva alcun dubbio che quella di soccorrerla fosse stata la decisione più giusta, ma dentro di sé non riusciva a liberarsi del cocente senso di colpa per non essere riuscito a salvare anche i suoi genitori. Al contrario, pensò che il suo intervento avesse solo peggiorato le cose: si chiese cosa sarebbe accaduto se non avesse temporeggiato così tanto, inducendo Kito a spingerlo verso il precipizio...

Prima di giungere a destinazione, comunque, i superstiti sostarono brevemente presso una limitrofa pozza d’acqua per riprendersi dalla fatica della lotta che era costata loro la vita di amici e parenti. Non era certo la prima volta che Mohatu e il suo branco venivano coinvolti in un combattimento da quando suo padre era stato ucciso.

Il precedente Re delle Terre del Branco aveva provato in ogni modo a mediare con gli altri branchi esterni, nel vano tentativo di porre fine ai conflitti. Per ogni alleato favorevole al suo ideale di pace, tuttavia, dieci leoni lo definivano un folle: a detta loro era facile parlare di pace con la pancia piena. Spinti dalla bramosia per quella vasta pianura che offriva approvvigionamento inesauribile, i piccoli branchi nomadi cominciarono a sfidare il Re per appropriarsi delle sue ricchezze, usurpandone il trono; così da allora i combattimenti divennero presto una macabra abitudine e la savana si macchiò di rosso come il sangue che ogni giorno veniva versato irragionevolmente.

Di nuovo, Mohatu si chiese come si sarebbe comportato il suo predecessore nella sua situazione: suo padre era solito dargli molti consigli quando era in vita. Quando risalì in cima alla Rupe dopo aver scalato l’ultima piattaforma rocciosa, alzò lo sguardo verso il cielo con aria malinconica, come in attesa di un suo segno che potesse placare la sua inquietudine.

«Siano ringraziati i Re del Passato, siete tornati!» La voce della Regina attirò la sua attenzione e quella del branco che lo seguiva: voltandosi, il leone riconobbe la compagna dal manto chiarissimo che corse cautamente loro incontro. «Mohatu, com’è andata? State tutti bene?» chiese, tenendo fissi su di lui i delicati occhi verdi come due preziosi smeraldi colmi di apprensione. Senza dargli il tempo di rispondere, la giovane leonessa girò attorno al compagno, concitata, ispezionando da cima a fondo le brutte ferite che aveva riportato.

«Quanti erano?» chiese poi, rivolta alle leonesse. «Una decina, incluso il capobranco» rispose in tono piatto Nya, facendosi avanti dopo aver poggiato per terra la cucciola singhiozzante che aveva trasportato per il resto del viaggio. La Regina notò il cucciolo e le sue pupille si allargarono per la sorpresa.

«Un momento… Dove sono Tulia, Jioni, Akili e Taraji?» domandò in tono grave notando alcune assenze: il silenzio che seguì fu fin troppo eloquente e cominciò a lacrimare.

«Non ce l’hanno fatta, maestà. Hanno sacrificato la loro vita per il bene delle Terre del Branco» confermò la leonessa scura, abbassando dolorosamente il capo, e il branco fu attraversato da alcuni singhiozzi.

La regina parve vacillare ma respirò a fondo per calmarsi, dopodiché si voltò nuovamente verso il compagno; Mohatu le indicò l’ingresso della grotta con un cenno del capo e le leonesse furono libere di rompere i ranghi.

Nya raggiunse in fretta il fondo della cavità dentro la Rupe, alla ricerca della levatrice che si stava prendendo cura del suo cucciolo, l’unica altra leonessa anziana rimasta insieme alla Regina. Dopo averla trovata si distese in un angolo buio e cominciò ad allattare entrambi i leoncini affamati, che finalmente si calmarono.

«Che cosa è accaduto laggiù, Mohatu? Perché Nya sta allattando una cucciola non sua?» domandò allora la Regina, sbigottita da quella scena. Il leone non rispose subito, intento com’era a leccarsi le ferite per evitare un’infezione.

«Vivrà con noi, d’ora in poi. Nya ha deciso di adottarla e… ho fatto una promessa al padre di quella leoncina» mormorò piano quando ebbe terminato. La compagna si voltò a guardarlo, sempre più sorpresa.

«Un padre con sua figlia neonata nel campo di battaglia?» chiese incredula, vedendolo annuire.

«Era il capobranco dei leoni del Nord che ci hanno dichiarato guerra nei giorni scorsi» spiegò il Re, costernato.

«Penserai che sono impazzito, Uzuri[5]. Non ti biasimo» aggiunse dopo aver visto l’espressione scioccata della compagna, «ma lasciami spiegare, prima» e le raccontò l’accaduto per filo e per segno, così come l’aveva vissuto. Quando terminò, la Regina non sapeva cosa dire.

«Tutto questo è incredibile. Posso a stento immaginare ciò che hai provato» commentò infine la leonessa.

Mohatu annuì. «Perciò ho deciso di farla vivere insieme a noi. È il minimo, se non fosse stato per lui ora non sarei qui a raccontartelo».

Entrambi furono attirati dal rinnovato fracasso della cucciola che piangeva incessantemente nelle zampe di Nya, la quale cercava di cullarla sussurrando una ninna nanna.

«Che ne è stato della madre?» chiese Uzuri tristemente, prevedendo già la risposta.

«Morta. Me lo ha detto Kito prima di finire nel dirupo». Dal tono del compagno, la leonessa capì che non voleva proseguire ulteriormente quella conversazione: probabilmente, pensò, ci sarebbe stato un altro momento adatto per chiedere ulteriori dettagli.

«Vieni, ti aiuto io» disse poi a un tratto, notando la difficoltà del suo compagno a raggiungere le ferite più profonde, quelle dietro la schiena. «Non dovresti sforzarti così nella tua condizione, mi passerà» protestò debolmente il Re, prima di abbandonarsi a un gemito di dolore.

«Oh sicuro, così tu sarai il prossimo Re che dovremo seppellire nell’arco di una stagione» lo ammonì Uzuri, costringendolo a distendersi di fianco.

«C’è sempre Choyo[6]» esclamò Mohatu in risposta senza entusiasmo, avvertendo un leggero sollievo grazie alle cure. La leonessa sbuffò e gli scoccò un’occhiata obliqua, spazientita.

«Stai delirando, evidentemente l’infezione è già in circolo». L’affermazione strappò a entrambi una timida risata.

«Dove si è cacciato, a proposito? Gli avevo raccomandato di controllare le zone più vicine alla Rupe per assicurarvi la minima protezione in nostra assenza» chiese il Re, guardandosi intorno.

Uzuri leccò energicamente i quattro graffi più profondi che solcavano la schiena del leone.

«Lo ha fatto, in effetti… All’inizio» rispose in tono piatto. «Poi ha iniziato a piovere e si è rintanato nel suo giaciglio. ‘Il mio caro fratellone tornerà sano e salvo, non vi occorre la mia protezione’ ha detto, per poi blaterare su quanto sarebbero diverse le cose con lui al comando, come al solito» raccontò, imitando la voce aspra del cognato.

Mohatu inarcò le sopracciglia, lasciandosi sfuggire un ringhio. «Non avrebbe dovuto fare così». La compagna alzò le spalle.

«Hmph. Non che io abbia bisogno della sua protezione, figuriamoci. So badare a me stessa» replicò Uzuri con aria determinata. «Soprattutto adesso che devo fare il doppio dell’attenzione».

Vedendo l’espressione preoccupata dipinta sul muso del leone che rivolgeva al suo ventre gonfio, la leonessa sfregò il proprio capo con il suo, in segno di affetto. «Andrà tutto bene, Mohatu. Supereremo anche questa» lo incoraggiò.

Il leone non rispose. La vita che cresceva dentro la sua compagna lo riportò a poche ore prima, quando stava ancora fronteggiando Kito pochi istanti prima che morisse.

«Le hai salvato la vita» insistette Uzuri, quasi come se gli avesse letto nel pensiero.

«Avrei dovuto discuterne con te prima di prendere questa decisione» disse Mohatu senza voltarsi, evitando lo sguardo penetrante della leonessa, ma quella scosse il capo.

«Di cosa stai parlando? Sarei stata d’accordo con te in qualsiasi caso. Sarebbe morta di fame se non l’avessi presa con te, no? Non siamo assassini». Il leone gemette a quella frase e decise di confessarle le sue paure.

«Aveva cambiato idea, Uzuri. Avremmo potuto fermare questa follia, insieme… ma non ho fatto in tempo. Lui ora per colpa mia è…» esitò a pronunciare quel tremendo pensiero, ricordando il leone dalla pelliccia rossa cadere nel vuoto inesorabilmente.

La leonessa però lo interruppe, accarezzandogli il volto con una zampa. «Ora ascoltami bene, Mohatu» gli sussurrò. La giovane lo guardò dritto nei suoi occhi bruni, in quel momento smarriti e pieni di incertezze.

«Sei un Re saggio e un meraviglioso leone. Sei buono, giusto, fin troppo gentile e preferisci evitare di ricorrere alla violenza quando ti è possibile. So per certo che hai fatto tutto ciò che era in tuo potere per salvarli».

La leonessa gli rivolse uno sguardo comprensivo, poi continuò: «il Cerchio della Vita sa essere crudele con chi non lo merita ed è magnanimo con chi compie delle atrocità, a volte. Questi scontri che ormai ci coinvolgono così spesso stanno diventando più grandi di tutti noi… Non addossarti anche questa responsabilità» disse, indicando la leoncina che adesso dormiva adagiata a terra.

«È nostro compito andare avanti e guidare coloro che verranno dopo, offrendogli un mondo migliore» e indicò il proprio ventre. «Non hai alcuna colpa se il terreno è crollato, Mohatu» insistette.

Il leone abbozzò un sorriso, sollevato da quelle parole di conforto e le accarezzò il capo con la propria criniera.

«Come ti senti? State bene, tu e il cucciolo?» chiese poi, di nuovo un po’ in apprensione. Uzuri sorrise, battendosi una zampa sul petto.  «Te l’ho detto, stiamo benone! Del resto, non dovrebbe mancare molto alla nascita».

Il leone si irrigidì, preso alla sprovvista. «D-davvero? Sei sicura?» le chiese, ed ella annuì.

«Certo che sono sicura, sciocco» mormorò, scoppiando poi a ridere. «Piccolo, lo senti tuo padre?» chiese, sfiorandosi il ventre con la zampa. «Crede che io non sappia quando nascerai, è proprio un simpaticone! Ma in fondo è proprio per questo che l’ho scelto, no?» aggiunse, strappando una risata al compagno.

«In realtà le cose non sono andate proprio così…» replicò affettuosamente il leone dalla criniera rossastra, mentre il sole cominciava la sua discesa oltre l’orizzonte.

«Sarai un ottimo padre, mio Re».

«E tu una madre meravigliosa, mia Regina». 
 
*
 
Il sole tramontò altre dieci volte dopo quella tragica battaglia, concedendo al branco di Mohatu una lieve tranquillità. Quella notte però la rupe dei Re si trovò nuovamente in uno stato di agitazione: la Regina infatti si era sentita male quello stesso pomeriggio, segno inequivocabile che il momento del parto era finalmente arrivato.

Mohatu apprese la notizia solo in un secondo momento, poiché si trovava nel bel mezzo delle Terre del Branco mentre Uzuri entrava in travaglio, impegnato a risolvere una disputa tra una mandria di gnu e un gruppo di gazzelle, accusate dai primi di aver sconfinato nel loro territorio.

A informarlo dell’evento improvviso era giunto un giovane pennuto, un bucero caratterizzato da delle appariscenti piume blu e un grosso becco, la cui forma affusolata e la sgargiante tonalità canarina ricordava curiosamente una banana.
 
«SIRE!» stridette ansimante, comparendo all’improvviso davanti al leone. Il verso chiassoso costrinse tutti i presenti a voltarsi verso di lui: nessuno, a parte Mohatu, parve contento di vederlo.

«Cosa c’è, Zozu? È successo qualcosa?» gli chiese gentilmente il giovane leone. Zozu provò a parlare, ma la fatica per aver volato troppo velocemente lo costrinse a riprendere fiato.

«Fa pure con comodo, pennuto, tanto noi abbiamo tutto il tempo del mondo!» esclamò uno degli gnu con tono sarcastico.

«Via, via, fallo respirare, guarda com’è stremato…» ridacchiò una gazzella. Sentendosi provocato, lo gnu sbuffò rumorosamente, rivolgendogli uno sguardo di profonda avversione.

«Oh taci, sporco ladro! Non ti ingrazierai così facilmente il Re!». Il gruppo di gazzelle rumoreggiò rabbiosamente, mentre il leader assumeva un’espressione profondamente offesa. «Come…Osi darmi del ladro, patetico ruminante?!».

I due arrivarono muso contro muso e sarebbe scoppiata una rissa se un sonoro ruggito non li avesse interrotti appena in tempo.

«Molto bene, datevi una calmata adesso» tagliò corto Mohatu, scoccando un’occhiata severa a entrambi gli erbivori, che si guardavano ancora in cagnesco ma in rigoroso silenzio.

«Vediamo se ho capito bene: questa mattina all’alba la mandria di gnu ha sostato come al solito nel territorio che spetta loro di diritto per cibarsi…» cominciò il leone aggrottandosi la fronte, pensieroso, «quando vi siete accorti che era già stato occupato, giusto?» chiese, rivolgendosi al bovide.

«E depredato mio Re, precisamente!» convenne indignato quest’ultimo.

«In effetti questo è il territorio di alimentazione degli gnu, cosa è successo al vostro?» domandò il leone rivolgendosi alla gazzella, che arrossì per l’imbarazzo.

«Nulla, Sire, ma vede… Qui c’è molta più scelta e sa, la nostra specie ha uno stomaco molto delicato» si giustificò.

«Ladri cafoni, altro che stomaco delicato!» tuonò lo gnu, incoraggiato dalle lamentele che si levavano dalla sua mandria. «Re Mohatu, io ho una mandria enorme da gestire, il territorio che ci spetta è appena sufficiente a sfamare noi! Comprenderà che non posso permettere alle altre specie di…» ma a quel punto Zozu, ripreso fiato, lo interruppe schiarendosi rumorosamente la voce.

«Sire» esordì in tono sorprendentemente regale e composto, «chiedo il suo consenso a intervenire per risolvere la discussione», e si inchinò. Mohatu fece un cenno di assenso, così il bucero si voltò verso i due capibranco, che lo fissarono quasi increduli.

«La legge è chiara in merito. Secondo il decreto di Re Mohatu indetto nella scorsa stagione delle piogge, a ogni mandria spetta di diritto una porzione di territorio delle Terre del Branco, la cui dimensione è soggetta a modifiche in base alla stagione, al numero di componenti e alla quantità di cibo disponibile. Ciò significa» sbottò all’improvviso, agitando minacciosamente un’ala nei confronti della gazzella, «che VOI non avreste dovuto sconfinare in altri territori per futili motivi, e ci tengo a ricordare che “maggiore scelta” rientra proprio in questa categoria; d’altra parte, VOI…» continuò in direzione degli gnu, appollaiandosi sulla spalla di Mohatu, «avete la faccia tosta di convocare il Re in persona per una questione tanto banale? Avete la porzione di territorio più vasta di tutte le altre mandrie e avete davvero il coraggio di lamentarvi?».

Un mormorio imbarazzato si diffuse in tutta la mandria; lo gnu deglutì, intimorito dalla sorprendente autorità del bucero. Infine, alzò gli occhi al cielo e voltò le spalle al Re, mugugnando un «Ce ne andiamo, allora», concludendo con un epiteto assai poco lusinghiero in direzione del volatile.

Zozu osservò gli gnu allontanarsi strepitando, dopodiché si rivolse alle gazzelle, che di fronte allo sguardo accusatorio del bucero fecero altrettanto senza dire una parola.

«Sono piacevolmente impressionato» commentò il giovane leone dalla criniera rossa, quando si furono allontanati.

«Avrei perso molto più tempo se non fossi arrivato tu, grazie infinite» ammise convinto, e Zozu sorrise orgogliosamente.

«Mi lusingate troppo, Sire. Sono mere questioni burocratiche queste, un maggiordomo che si rispetti deve essere in grado di gestirle con fermezza e autorità, al fine di alleggerire i gravosi doveri cui il Re deve adempiere!» disse agitando l’ala compiaciuto. Mohatu scoppiò a ridere. «Su questo non c’è dubbio. Potresti persino governare il Regno con la tua caparbietà se fossi appena un po’ più grande, sai?».

Il bucero avvampò, imbarazzato. «R-ritengo che i-il ruolo di maggiordomo sia più consono alle mie capacità, S-sire, eheh…».

«Piuttosto, per quale motivo mi stavi cercando? Sei venuto così di fretta dalla Rupe dei Re che mi hai fatto preoccupare» disse Mohatu, voltandosi tranquillamente verso il bucero.

Questi ricambiò sorridendo cordialmente. «Oh, quello, sì…Mi ha mandato Nya…» cominciò con noncuranza, ma una volta pronunciato il nome della leonessa parve imbambolarsi: rapidamente il sorriso si trasformò in una smorfia terrorizzata, ricordandosi dell’urgenza.

«DEVE TORNARE SUBITO ALLA RUPE! LA REGINA…» sbraitò in preda al panico, spiccando immediatamente il volo. Il cuore di Mohatu mancò un battito, allarmato dalla reazione del maggiordomo.
«Cosa è successo a Uzuri?» chiese, con una nota di panico nella voce.

«LA REGINA STA PER PARTORIRE, MOHATU!» Urlò di gioia Zozu, dimenticando per un istante le formalità, ma subito dopo essersi reso conto del tono scomposto cercò di darsi un minimo di contegno, riprendendo un tono solenne. «Ehm, Re Mohatu volevo dire. Deve recarsi subito alla Rupe!» disse poi, ma il leone era già lontano.

«E ME LO DICI SOLTANTO ORA?!» gli ruggì dietro quest’ultimo, correndo a tutta velocità verso il grande monolite roccioso.

«Accidenti a me. Devo rivedere le mie priorità» sussurrò nervosamente il bucero a sé stesso, inseguendolo.
 
Ora era lì, disteso accanto alla punta estrema della Rupe in attesa, con il sole da poco sparito dall’orizzonte. Uzuri non aveva ancora partorito: le leonesse più anziane si erano rintanate assieme a lei dentro la grotta, in una zona interna più riparata e destinata alle madri che accudivano i neonati.  

Pertanto Mohatu, costretto ad attendere fuori dalla grotta, si offrì di tenere d’occhio uno dei cuccioli già nati mentre le madri erano intente ad assistere Uzuri.

Mentre le ombre avvolgevano la savana, il leone udì un miagolio ben distinto provenire dalle sue zampe, e abbassando lo sguardo sorrise radioso.

«Piccola Uru[7], tra poco non sarai più sola! Presto arriveranno dei nuovi cuccioli a farti compagnia. Sei contenta, vero?» Strofinò il naso affettuosamente contro quello della leoncina, che miagolò entusiasta, afferrandoglielo con le zampine.

«Ehi, mi hai acchiappato!» rise divertito il Re. «Sarai proprio una brava cacciatrice, ne sono sicuro!» dichiarò, sollevandola da terra giocosamente.

«Che scena patetica, fratello» proruppe però una voce all’improvviso. Mohatu avvertì l’odore del nuovo arrivato, il quale ringhiò sommessamente per segnalargli la propria presenza.

Il Re riconobbe immediatamente il proprietario di quella voce e la tensione parve allentarsi leggermente. «Choyo, quale piacevolissima sorpresa trovarti qui» lo salutò cordialmente, voltandosi a guardarlo.

L’altro leone maschio del branco avanzò cautamente, circospetto. Somigliava vagamente a Mohatu ma allo stesso tempo non potevano essere più diversi, a cominciare dall’aspetto fisico: visivamente più gracile, con la coda che gli penzolava malinconicamente a terra, Choyo aveva una criniera rossiccia, identica a quella del fratello per colore, ma poco folta e arruffata, il pelo di una tonalità appena più sbiadita, mentre il corpo mingherlino e poco allenato rispetto a quello del Re lasciava trasparire una certa trascuratezza, sebbene non fosse segnato dalle cicatrici.

Abbassando lo sguardo, Mohatu notò che teneva gli artigli sfoderati, pertanto si alzò con calma per non spaventare la cucciola e lo fronteggiò, guardandolo dritto negli occhi.

«A cosa devo la visita?» gli chiese cautamente. Choyo non rispose subito: lo squadrò intensamente con una strana espressione, poi gettò un’occhiata disgustata alla cucciola, che prima il fratello teneva tra le zampe e ora giaceva a terra, ricambiandogli lo sguardo con un’espressione innocente.

«Mi stavo domandando quando avrò il piacere di vedere quella lì data in pasto agli alligatori, ma a giudicare da questo quadretto familiare, ho come l’impressione che le mie aspettative verranno largamente deluse» disse in tono assente.

Quelle parole non piacquero per nulla a Mohatu, colto alla sprovvista. «Sono desolato, ma temo tu abbia ragione a questo proposito. Abbiamo già parlato della sorte di questa leoncina, ed è a tutti gli effetti parte del nostro branco» replicò freddamente, sentendo la propria ira crescere come un fuoco ardente.

Choyo rise, beffardo. «Come puoi essere caduto così in basso? Un membro del nostro branco, dici… Quindi d’ora in poi tutti i cuccioli orfani raccattati durante i combattimenti verranno accolti da sua maestà il Re?» gli chiese, sarcastico. «Se fosse stato per me non avrebbe visto sorgere il sole dopo che i suoi genitori l’hanno lasciata sul campo di battaglia. È questa la fine che devono fare, prima che abbiano la possibilità di ucciderti per vendetta» aggiunse, scoccando alla leoncina un’occhiata velenosa.

«Questa volta è diverso» rispose Mohatu seccamente. «Non ha alcuna responsabilità così come non ne aveva il suo branco di origine» aggiunse, determinato a concludere quella spiacevole conversazione.

«Il ‘branco’ a cui apparteneva questo cucciolo ha ucciso le nostre leonesse! Metà del branco perduto in tre combattimenti, Mohatu. Non è altro che una sporca traditrice tanto quanto il suo vergognoso padre naturale» osservò Choyo, cinico.

Il Re digrignò i denti. «Le lotte precedenti non avevano nulla a che vedere con questo branco! Se non fosse stato per suo padre, io non sarei qui» replicò, provando un moto di tristezza a quel ricordo.

«Che eroe» sogghignò Choyo, incurante dell’espressione contrita del fratello. «Peccato che sia cascato da solo in quel dirupo. Poteva portarsi questo sgorbio con sé e il problema si sarebbe risolto immediatamente». A quelle parole Mohatu perse la pazienza e gli ruggì in segno di avvertimento, furibondo.

«Ho deciso di salvarla e te ne farai una ragione che ti piaccia o meno, fine della questione» sentenziò irato, con gli occhi che lampeggiavano pericolosamente. Il fratello fece un passo indietro, intimorito da quello scatto violento, ma sostenne il suo sguardo.

«Non intendo tollerare altre empietà su Uru o sulle sue origini da parte tua, d’ora in avanti. Sei mio fratello, ma ricorda bene il tuo posto, Choyo. Soprattutto se contribuisci così poco al benessere del nostro branco» concluse in tono categorico il sovrano, tornando a sedersi.

L’altro leone lo fissò con sguardo cupo mentre la cucciola piangeva, spaventata dal forte rumore provocato dal fratello che la teneva nuovamente tra le zampe.

«Non potrai mentire a te stesso per sempre» disse poi Choyo in tono sommesso. «Tu non sei il vero padre, né tanto meno Nya è la madre: il cucciolo che sta per nascere, quello è tuo figlio» aggiunse, accennando all’entrata della grotta.

«Ne sono perfettamente consapevole, fratello» replicò Mohatu, stizzito. «Nya sta assistendo Uzuri e Uru non le dava tregua. Non c’è niente di male a occuparsi dei cuccioli, dovresti provarci anche tu ogni tanto» aggiunse per provocarlo, ma quello non si scompose. «Sempre così altruista e nobile il nostro Re» osservò, «ma sii sincero per una volta, Mohatu, entrambi sappiamo la verità dietro questo atto di magnanimità. Lei è viva solo perché sei stato troppo codardo per lasciarla dove è stata abbandonata» disse con un ghigno. «Non facevo altro che ripeterlo a nostro padre. Sei troppo buono. Sarai molto più forte e saggio di me, come diceva lui… Quanto al cervello, però, posso considerarmi fortunato».

Mohatu si sentì oltraggiato da quelle parole, sfoderò gli artigli e gli ringhiò contro, spaventando nuovamente la leoncina sotto di sé. «Fratello, ti avverto…» disse, guardandolo dritto negli occhi. Choyo però gli sorrise imperterrito.

«Continua così e finirai come quel Kito che tanto ti porti orgogliosamente nel petto, un morto di fame che si è piegato a te nel momento in cui ha capito che poteva abbindolarti: fidati del tuo saggio fratellino».

Il grande leone a quel punto ringhiò ancora più forte. «MI HA SALVATO LA VITA!» ruggì al fratello, ricordando dolorosamente l’ultima battaglia che aveva affrontato.

«Perché non avrebbe potuto fare altrimenti» replicò Choyo, ghignando. «Ormai aveva perso. Sapeva di non potere nulla contro di te e non poteva più garantire nulla al suo branco. Se non si fosse suicidato ‘eroicamente’ ci avrebbero pensato le sue sottoposte a toglierlo di mezzo».

Mohatu era sconvolto: non era andata così, suo fratello si stava sbagliando di grosso.

«Tu… Non eri lì» disse soltanto, respirando a fatica. «Beh, allora è tutto a posto, no?» commentò sarcastico questi.

Il Re digrignò i denti, ma prima che potesse fare altro una voce squillante li interruppe.

«Sire, Sire! Ci siamo, è nato, è nato! Un maschio sano e forte!» trillò Zozu nel suo tono più cordiale ed entusiasta, svolazzando intorno ai due leoni.

Volse uno sguardo al Re, ma notando l’espressione irata che rivolgeva a suo fratello, il sorriso dipinto sul becco si attenuò e ridiscese a terra.

«Va… Tutto bene?» chiese, incerto sul da farsi. I due leoni continuarono a fissarsi per qualche istante, finché Choyo accennò appena un inchino: la sua espressione arrogante, tuttavia, non lasciò trasparire alcuna forma di rispetto.

«Splendidamente» disse in direzione di Zozu. «Dovevo fare le mie congratulazioni al nostro amato Re Mohatu per la nascita di suo figlio, nonché mio nipote. Adesso, però…» aggiunse sbadigliando, «vado a stendermi, si è fatto tardi. La mia povera anca reclama il suo dolce riposo, sapete com’è malconcia… Porgerò i miei omaggi alla Regina domani, naturalmente» concluse, accennando all’entrata della grotta.

Detto questo, dopo aver lanciato un’ultima occhiata infuocata al fratello fece dietrofront, scomparendo nell’ombra notturna come se nulla fosse accaduto.

Mohatu lo seguì con lo sguardo, in collera e ancora con le vene pulsanti nella tempia, finché non scomparve: sospirò più volte cercando di tornare in sé e solo dopo aver riaperto gli occhi scorse il bucero, rimasto immobile in attesa di istruzioni.

«Grazie Zozu, scusa per la scenata» si affrettò a dirgli, forzando un sorriso. Il pennuto si inchinò velocemente, rigido come un ramo d’albero.

«Un Re non deve scusarsi per aver impartito una lezione, Sire» replicò, tenendo il becco chino fino a quasi toccare terra.

Il leone prese per la collottola la cucciola, non prima di averla calmata per il baccano che aveva causato, per poi fare il suo ingresso nella grotta; dopo pochi passi il giovane riuscì a mettere da parte i pensieri cupi dovuti alla discussione con Choyo poiché alla sua vista comparve Uzuri, accerchiata da alcune delle leonesse più anziane del branco, intenta a tenere tra le zampe un batuffolo biondo di pelo.

Si avvicinò cautamente, con il cuore che cominciò a battergli a mille e un sorriso che andava via via allargandoglisi sul muso. Consegnò gentilmente la leoncina alla madre adottiva, Nya, la quale teneva stretto tra le zampe l’altro cucciolo, un maschio nato pochi giorni prima l'ultima battaglia che li aveva coinvolti: entrambi i leoncini ora fissavano incuriositi il nuovo arrivato.

La Regina alzò appena il capo, riconobbe l’odore del compagno nella penombra della grotta e sorrise stancamente.

«Uzuri… Amore mio…» mormorò il Re, leccandole affettuosamente il muso dopo averla raggiunta. Aveva gli occhi lucidi dall’emozione, mai aveva creduto di poter provare tanta felicità come in quel momento. La leonessa ricambiò l’affetto del compagno finché insieme non abbassarono lo sguardo.

Il cucciolo aveva le palpebre semiaperte, da cui si potevano intravedere fiocamente delle brillanti iridi verdi identiche in tutto e per tutto a quelle di sua madre, mentre il manto era color sabbia dorata, straordinariamente simile a quello di suo padre; piangeva a pieni polmoni, quasi come per far sapere a tutti quanti che si era appena affacciato alla vita.

«Ehi, ehi… Non fare così…» sussurrò il leone, portandosi a pochi centimetri dal piccolo: questi, avvertendo il calore paterno accanto a sé iniziò a calmarsi e il pianto, lentamente, si diradò.

«Penso che tu piaccia già al nostro maschietto» decretò Uzuri intenerita; Mohatu scrutò orgogliosamente entrambi mentre Uru scoppiava a ridere, cercando di scavalcare allegramente la zampa della madre per raggiungere il minuscolo leoncino. Il fratellino invece, intimorito dal pianto, alzò lentamente la testolina per osservare il cucciolo appena nato, ora con aria interrogativa.

«Direi che ha fatto colpo non solo su di noi, eh?» ridacchiò il Re, ritraendosi e leccando nuovamente il muso della compagna che annuì convinta.

«Come vogliamo chiamarlo?» chiese dopo un po’: Uru, nel frattempo, si era avvicinata al piccolo sprofondato in un sonno tranquillo e lo osservava con gli occhioni spalancati.

Mohatu ci pensò, ma nel profondo aveva già una chiara idea sul nome che avrebbero potuto dare al loro cucciolo nel caso si fosse trattato di un maschio.

«Pensavo a un nome, in effetti» esordì, cauto.

«Beh, che aspetti? Io non ho proprio alcuna idea in mente, perciò sta a te!» replicò la Regina, scoppiando a ridere gioviale.

«Ahadi[8]» disse Mohatu, deciso. Si rivolse a Uzuri, in attesa del suo parere e quest’ultima annuì.

«E sia, amore mio. Ahadi, come la promessa di un futuro migliore» concluse, approvando la scelta del compagno.
 
[5] Uzuri: Vuol dire ‘bellezza’ nella lingua Swahili.
 
[6] Choyo: significa ‘egoista’ in Swahili.
 
[7] Uru: è questo il nome scelto dal branco per la piccola leoncina, in memoria del padre naturale. Significa ‘diamante’ in lingua Swahili.
 
[8] Ahadi: Significa ‘la promessa’ in Swahili.

Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo della storia. Ho deciso di pubblicare con cadenza settimanale come potete notare, precisamente ogni sabato salvo imprevisti dell'ultimo minuto che eventualmente comunicherò. Domando scusa in anticipo se i titoli dei capitoli potranno sembrare un po' banali, ma in tutta onestà non sono proprio il mio forte!
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto i vostri commenti con il prosieguo della storia! Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

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Capitolo 3
*** La cima della Rupe ***


Trascorse diverso tempo[9] dalla nascita di Ahadi. Con la venuta al mondo del piccolo principe, quasi come se fosse stato un segno del destino, le Terre del Branco vissero un periodo di relativa pace e lentamente i conflitti si calmarono, divenendo sempre più radi. A tempo debito la nuova generazione di cuccioli venne al mondo, allietando le giornate con risate, marachelle e dispetti: sembrava logico sperare, dunque, che nelle Terre del Branco si stesse finalmente tornando a una parvenza di normalità.

Come sua abitudine il Re era solito svegliarsi di mattina presto, appena prima dell’alba, quando ancora tutto il resto del branco era profondamente addormentato, al fine di controllare che non ci fossero intrusi e che il territorio fosse tranquillo.

Tuttavia fu un cucciolo quel giorno ad aprire gli occhi per primo, precedendo persino Mohatu. Il leoncino, dopo un breve sbadiglio, cominciò a guardarsi intorno freneticamente, facendo ballonzolare il minuscolo ciuffetto nero appena accennato sulla testolina; i suoi brillanti occhi verdi si abituarono in fretta all’oscurità e dopo aver controllato attentamente, con sua grande soddisfazione, nessuno si era ancora svegliato, esattamente come sperava.

Sorridendo sotto i baffi, il piccolo sgattaiolò dalla morbida zampa della madre, cercando di non allertarla: la leonessa aprì appena gli occhi per vedere il figlio arrampicarsi agilmente sulla schiena del padre, immerso in un sonno profondo e completamente ignaro dell’imminente agguato. Uzuri ebbe l’impulso di scoppiare a ridere, pregustando ciò che sarebbe accaduto da lì a pochi istanti, ma rimase silenziosa; il leoncino perciò agì indisturbato e non appena fu sopra la testa del genitore - che nel frattempo russava sonoramente - si accovacciò su due zampe e lo puntò, pronto a scattare.

«È ora di svegliarsi…» esordì, sussurrandogli nell’orecchio: il leone non diede cenno di averlo sentito e, per contro, russò un’altra volta.

«Oh, insomma…» sbuffò il cucciolo. Indispettito, allora spiccò un salto, atterrandogli proprio sulla testa.

«Papà!» lo chiamò ancora, ruzzolando per terra. Il leone ruggì per la sorpresa, quasi svegliando tutto il branco che dormiva lì intorno: Uzuri, ancora con gli occhi chiusi, non riuscì a trattenere una quiete risata.

«Ahadi! Cosa fai sveglio a quest’ora!?» chiese il Re ancora stordito al figlio, sorpreso e irritato insieme. Il leoncino gli batté la testa contro il muso, in segno d’affetto.

«Buongiorno, papà!» flautò, salutando allegramente il genitore. Mohatu sbuffò nervosamente per rimproverarlo, ma vedendo il sorriso tenero del figlio esitò: dopo essersi assicurato che tutti gli altri dormissero si avvicinò al leoncino, in modo che nessun altro li sentisse.

«Piccolo, è ancora molto presto: un leoncino della tua età ha bisogno di tanto riposo» sussurrò.

«Ma io sono sveglissimo!» obiettò Ahadi, alzandosi con entusiasmo. «E poi ogni volta che mi sveglio tu sei già andato via» aggiunse imbronciato, risedendosi. «Tu non hai bisogno di dormire?» gli chiese con aria confusa.

Impossibilitato dal trattenere una risata alla raffica di domande, il Re poggiò la testa su una zampa, sbadigliando stancamente. «In effetti si, mio piccolo Ahadi. Tuo padre ha delle responsabilità su tutto il regno, per questo motivo dovresti farlo riposare per bene…»

Stava per riaddormentarsi quando avvertì un leggero fastidio sentendosi tirare: aprendo un occhio scorse nuovamente il cucciolo, arrabbiato e intento a strappargli senza successo una grossa ciocca di criniera rossiccia.

«Ieri hai detto che se mi fossi svegliato presto come fai tu» gli ricordò Ahadi, premendogli il naso con le zampette, «mi avresti fatto vedere le Terre del Branco. È l’alba e sono sveglio! ‘Una promessa è un dovere che ti impegni a mantenere’» aggiunse in tono pomposo, imitando goffamente la voce di suo padre. Il leone fece un lungo sospiro e guardando negli occhi vispi del figlio capì che il suo riposo non avrebbe avuto ulteriore seguito per quella mattina.

«E va bene, hai vinto» lo assecondò, spingendolo verso l’uscita. «Ma fai piano, piccola peste, o sveglierai tutto il branco» lo richiamò, ma il leoncino era già corso fuori dalla grotta.

«Non stava più nella pelle!» commentò una voce femminile alle spalle del Re, che sorrise.

«Scommetto che ti eri accorta del suo risveglio e hai fatto finta di nulla» mormorò in tono vagamente accusatorio.

«Ovviamente. Quando capita di vedere il grande Re Mohatu venire colto di sorpresa?» ribatté Uzuri ironicamente mentre uscivano, scoppiando a ridere.

«Un po’ troppo spesso in effetti, da quando c’è quella piccola palla di pelo pestifera intorno a noi» esclamò il leone, facendo un sonoro sbadiglio.

«Mamma, papà! Venite, sembra tutto così piccolo da quassù!» li chiamò il leoncino dalla punta estrema della rupe. Quando i due genitori lo raggiunsero, il cielo iniziò a comparire timidamente oltre l’orizzonte, gettando una fioca luce in tutta la savana.

«Che bello… è la prima volta che vedo sorgere il sole!» disse il cucciolo, entusiasta. «E tutto sembra così diverso a quest’ora, la savana è così calma e grande...»

«E da qui non si vede nemmeno tutta, sai?» replicò il leone bronzeo: facendo un passo avanti, cominciò ad emettere dei bassi ruggiti per segnalare la propria presenza a eventuali predatori, annunciando al contempo l’inizio di un nuovo giorno.

«Dici davvero?» domandò il cucciolo, voltandosi stupefatto verso i due adulti. «Sono così grandi le Terre del Branco, allora?». Non riusciva proprio a immaginare qualcosa di così grande.

«Come potrei mai mentire a mio figlio?» disse Mohatu, facendogli l’occhiolino. «Coraggio, andiamo, ti mostro una cosa» aggiunse, voltandosi. Fece un cenno alla sua compagna, che annuì. «Vai con tuo padre, Ahadi, su» lo incoraggiò, accarezzandolo con la zampa: il cucciolo raggiunse in fretta il leone che si era introdotto in un sentiero laterale della rupe, confuso.

«Dove andiamo?» gli chiese il leoncino, senza riconoscere quel sentiero. «Ti mostro tutte le Terre del Branco come promesso» rispose Mohatu, sorridendo. «Vieni, su, c’è una piccola salita che ci aspetta» disse poi, accennando alla cima del monolite; incerto, Ahadi lo seguì, chiedendosi come avrebbe fatto a esplorare da quell’altezza.

La ‘scalata’ consisteva nell’arrampicarsi in uno stretto passaggio che conduceva alla cima del monolite; il tempo che impiegarono per arrivare a destinazione fu sufficiente al sole per comparire all’orizzonte, iniziando stavolta a illuminare il territorio con una tenue luce rossastra.

Una volta arrivati in cima, con calma, Mohatu si avvicinò allo strapiombo e si sedette. Notando che il figlio era rimasto fermo, alzò una zampa per invitarlo ad avvicinarsi.

«Coraggio, Ahadi, vieni qui insieme a me» disse, e il cucciolo obbedì seppur timoroso, perché solo in quel momento infatti si era reso conto di quanto fossero saliti in alto: zampettò piano verso il padre e ad ogni passo che faceva, il cucciolo non poté che rimanere sempre più estasiato dallo straordinario panorama che si presentava alla sua vista, magnifico e maestoso.

«Osserva attentamente, figlio mio» lo richiamò Mohatu in tono solenne. «Tutto ciò che vedi qui intorno ed è illuminato dal sole, è il nostro regno. Queste sono le Terre del Branco in tutta la loro interezza». Tacque in attesa della reazione che, con sua grande soddisfazione, non tardò ad arrivare.

«Che forza!» commentò genuinamente Ahadi, incredulo ed emozionato insieme da quella rivelazione.

«Volevo mostrarti il nostro territorio nella sua interezza prima di iniziare la nostra gita odierna» continuò il Re, «perché è importante che tu capisca subito quanto sia grande il luogo in cui viviamo e di conseguenza la responsabilità che abbiamo su tutti coloro che si trovano qui». Il leoncino alzò lo sguardo e osservò l’adulto curiosamente.

«Ci vivono tanti animali nelle Terre del Branco, papà?» gli chiese.

«Ebbene sì, Ahadi» fu la pronta risposta del Re, osservando la savana. «Il numero di abitanti cambia continuamente a seconda delle stagioni, ma in genere molti branchi si stabiliscono in questo territorio per la sua rigogliosità e la sicurezza che possiamo garantire loro».

Ahadi a quelle parole lo fissò con aria confusa. «Ma perché degli animali erbivori dovrebbero sentirsi al sicuro vicino a noi leoni? Non hanno paura di essere mangiati?» chiese, inclinando la testa; Mohatu scoppiò a ridere, sorpreso da quell'osservazione.

«È presto detto, figlio mio. Tutto ciò che vedi qui intorno» e indicò con una zampa il territorio circostante che comprendeva lande sterminate di pianura, fitta vegetazione e branchi di animali che da lassù somigliavano a dei minuscoli puntini, «dal più piccolo essere vivente al più maestoso dei baobab coesiste grazie a un delicatissimo equilibrio, che se turbato avrebbe delle conseguenze catastrofiche su tutti quanti noi».

Il leoncino non rispose, incerto, perciò il leone provò a spiegarsi meglio.

«Per farla breve, è vero che gli erbivori di cui noi ci nutriamo, ovvero gazzelle, impala, zebre, gnu, giraffe, e via dicendo…» Ahadi non riuscì a trattenersi e si leccò i baffi all’udire il nome di quei ruminanti, ma il padre non diede segno di accorgersene e continuò, «…vivono in questo territorio perché abbondante e adatto a farli vivere in pace e prosperità; è vero che noi leoni li mangiamo, ma lo facciamo solo ed esclusivamente per sopravvivere ed è bene che questo concetto sia ben chiaro: a dimostrazione di ciò, le leonesse durante la caccia mirano sempre ai componenti più anziani e ai feriti, quasi mai agli esemplari più in salute e in alcun modo ci è permesso togliere la vita ai cuccioli. Ci sono delle leggi che, osservandole, garantiscono chiaramente questo equilibrio. Allo stesso modo…» aggiunse, alzandosi «quando moriamo i nostri corpi diventano nutrimento per qualcun altro. In questo modo siamo tutti collegati nel grande Cerchio della Vita».

Al termine della spiegazione rimasero a contemplare il panorama per un po’: solo quando il grande cerchio luminoso era comparso quasi in tutta la sua interezza nel cielo, i due leoni ridiscesero nella valle a bere un po’ d’acqua dal ruscello che scorreva lì vicino, prima di intraprendere la passeggiata che il Re aveva promesso a suo figlio.

Mohatu mostrò così al cucciolo i luoghi più vasti e sconfinati delle Terre del Branco, pur rimanendone a debita distanza: osservarono insieme le grandi radure verdeggianti dei confini a Est, il fiume principale che scorreva pigramente verso Sud, l’erba delle colline che si diradava proseguendo verso Ovest, giungendo in una gola desertica. Spostandosi verso Nord però, al di là delle alture rocciose, tutto ciò che vide Ahadi fu una spessa coltre di ombra fitta che pervadeva quella zona misteriosa. Ebbe l’impulso di chiedere cosa ci fosse lì dentro, ma la voce del padre lo richiamò alla realtà.

«Un’altra cosa che è bene rammentare, figliolo» stava dicendo, «è che noi leoni non siamo gli unici carnivori a vivere in queste terre. Le zone vicino ai confini sono in parte destinate a piccole comunità di leopardi, di ghepardi…» indicò verso la lontana radura a Est, «…e al clan delle iene» aggiunse, accennando alle grandi alture ombrose che si ergevano a Nord. «Occorre che ci sia reciproco rispetto tra tutti noi predatori: cacciare più del necessario potrebbe causare parecchi problemi; d’altra parte, cacciare meno del dovuto comporterebbe un’insufficiente alimentazione del branco, compromettendo il benessere e la salute di tutti noi». Ahadi cercò davvero di stare attento alle parole di Mohatu, ma quei discorsi erano sorprendentemente complicati per lui: a peggiorare le cose, la scoperta di nuove zone delle Terre del Branco che moriva dalla voglia di esplorare abbassarono ulteriormente la sua voglia di ascoltare il saggio leone.

Comunque i due vagarono per tutto il resto della mattinata, controllando alcune zone del Regno che Mohatu riteneva più sicure da mostrare; sulla strada del ritorno però, padre e figlio intrapresero una strada che li portò particolarmente vicini al confine Nord, e con il sole ancora più in alto nel cielo, la spessa coltre ombrosa che avvolgeva quella zona misteriosa della savana risultò ancora più evidente: Ahadi non poté fare a meno di notare il tetro quanto brusco cambio di paesaggio e la fame di informazioni si fece inevitabilmente sentire.

«Cosa c’è laggiù, papà? Perché è tutto così buio e… ci sono tutte quelle…?» chiese infine il cucciolo, bloccandosi con aria incuriosita.

Mohatu si voltò verso la direzione indicata dal figlio e capì a cosa si stesse riferendo: tante, tantissime ossa nascoste nella penombra, piccole e grandi, polverose e marce.

«Sono ossa quelle, papà? Inquietante! Di chi sono??» mormorò Ahadi tutt’altro che impaurito, avvicinandosi a ciò che restava di un topo lì accanto; il Re però lo spinse via delicatamente con la testa, facendolo allontanare dal confine. «Vieni via, cucciolo» gli ordinò pacatamente facendo qualche passo. «Questo è uno dei luoghi che dovrai evitare assolutamente finché non sarai adulto e in grado di difenderti, Ahadi» gli disse con aria molto seria. Il leoncino abbassò le orecchie, evidentemente deluso dal tono del padre che non ammetteva repliche.

«Ma…» fece comunque il cucciolo, supplichevole. Mohatu ebbe un’esitazione: pensò di dovergli una spiegazione, altrimenti la curiosità avrebbe certamente spinto suo figlio a esplorare quel luogo pericoloso.

«Siamo soliti chiamarlo Cimitero degli Elefanti. Come puoi vedere dal suo ingresso, è un posto lugubre e appartato in cui molti animali vengono a morire, in particolare appunto gli elefanti» illustrò Mohatu in tono grave: il cucciolo deglutì.

«Gli anziani dicono che siano stati i primi animali a frequentare quest’ala delle Terre del Branco per tale scopo; le ossa che vedi» aggiunse, indicando i resti lasciati lì davanti «appartengono a loro per la maggior parte. È un luogo molto pericoloso e da parecchio tempo viene considerato oltre il nostro territorio, perché le carcasse attirano molti predatori che vivono fuori dai confini. Se altri leoni vedessero voi cuccioli gironzolare da queste parti…».

Esitò un attimo, non sapendo cosa dire, mentre il cucciolo lo ascoltava attentamente. «Correreste un grave pericolo, insomma. E non voglio che vi cacciate nei guai, soprattutto tu» lo ammonì, seppur usando un tono dolce.

Ahadi si erse in tutta la sua minuta statura, imitando la postura maestosa del padre. «Io non ho paura di niente!» disse con sguardo fiero, prima che uno scricchiolio sinistro lo facesse sobbalzare. «Non ho alcun dubbio in merito» osservò, facendolo salire sulla sua schiena dopo averlo afferrato per la collottola. «Andiamo alla Rupe adesso» gli annunciò, incamminandosi.

«Papà» esclamò il leoncino, dopo un po’.

«Dimmi Ahadi, cosa c’è?» chiese il Re, alzando lo sguardo. «Grazie per aver passato del tempo con me. Mi sono divertito tanto!» rispose il cucciolo, sbocciando in un sorriso che scaldò il cuore del leone.

Arrivati ai piedi della rupe il Re fece scendere il figlio dalla sua testa, ma prima di lasciarlo andare qualcosa catturò la loro attenzione. Dinanzi ai due infatti sedeva placidamente nell’ombra un leone adulto. Mohatu riconobbe la figura sghemba del fratello, incupendosi all’improvviso.

«Bene, bene, tu guarda se non è proprio il mio caro nipote con il paparino al seguito». Ahadi, riconosciuta la voce sorrise, voltandosi verso la fonte.

«Ciao, zio Choyo!» lo salutò andandogli incontro: il cucciolo gli si attorcigliò sulla zampa anteriore, tuttavia non ricambiò il segno d’affetto in alcun modo.

«Come mai da queste parti?» gli domandò Mohatu, rivolgendogli un’occhiata inquisitoria. «Credevo che il tuo giaciglio fosse nel retro della Rupe, non davanti» aggiunse, scrutando cupamente la rientranza.

«Oh, nulla di speciale. Mi godo gli ultimi istanti di frescura prima di andare a presidiare i confini come mi è stato ordinato di fare, no?» gli rispose Choyo innocentemente, con un poco convinto sorrisetto sul muso.

«Sarà una gradevole novità allora, perché era da un po’ che le leonesse di pattuglia non ti vedevano in giro a fare il tuo compito, Choyo» replicò il Re, guardingo.

Continuava a fissare sospettosamente il fratello, con cui non aveva mai avuto un buon legame: le divergenze sulla questione dei combattimenti e la gestione della caccia causavano spesso accesi litigi tra i due e la recente battaglia contro il branco di Kito non aveva fatto altro che allontanarli. Dal giorno della nascita di Ahadi, infatti, il loro rapporto si era ulteriormente guastato.

«Oh, quelle volgari leonesse saputelle non tengono mai a freno la lingua. Un regno così grande va protetto, non è così? Dovrebbero pensare a cacciare e presidiare i confini piuttosto che parlare alle mie spalle. Converrai con me, vero fratellone?» disse Choyo in tono mellifluo, sottolineando l’ultima parola.

«Ahadi!» chiamò una voce all’improvviso. Voltandosi, i tre leoni scorsero la figura di una cucciola dal pelo scuro e gli occhi vermigli da una sporgenza laterale della Rupe. Sorrideva e agitava le zampe al fine di attirare l’attenzione del principe, che ricambiò con entusiasmo.

«Uru!» disse questi a sua volta, illuminandosi. «Papà, posso andare a giocare con Uru e tutti gli altri?» domandò al genitore, inclinando la testa con impazienza.

Mohatu annuì accennando un piccolo sorriso e senza dire altro il leoncino attraversò a grandi passi il viottolo per raggiungere l’amica.

«Non ti sei ancora sbarazzato di quella leoncina?» domandò Choyo, scoprendo appena i denti con disapprovazione. Mohatu provò un moto di rabbia, ma cercò di contenersi: non voleva rischiare di perdere il controllo un’altra volta a quelle provocazioni.

«No, e non intendo farlo. Uru è un membro del branco a tutti gli effetti, ha una madre amorevole nonostante il Cerchio della Vita non sia stato molto clemente con lei nei suoi primi giorni».

Data l’assenza di reazioni, il Re prese nuovamente parola. «Non ho dimenticato le tue parole, Choyo. Ho ancora bene impressa la tua opinione su Uru e questa cosa non mi piace».

Il fratello sostenne lo sguardo inarcando le sopracciglia, ma rimase ancora in silenzio.

«Nonostante le nostre divergenze, i nostri litigi e modi di pensare contrastanti… Abbiamo passato tanti brutti momenti, ma ne siamo sempre usciti insieme» mormorò in tono malinconico. «Noi due siamo fratelli. Questo non potrà mai cambiare, è nel nostro sangue. Tengo molto alla tua partecipazione nel branco, perciò continuo a non comprendere la ragione dietro la tua ostilità».

Choyo rimase in silenzio un lungo istante per poi ghignare, divertito. «Che cosa commovente, Mohatu. Per un attimo hai quasi toccato questo povero cuore freddo e raggrinzito» esclamò in tono canzonatorio, scoppiando in una fredda risata.

«Cosa ci trovi di tanto divertente?» chiese allora il Re, infastidito dal solito atteggiamento reticente del fratello. Choyo alzò gli occhi al cielo e sputò in terra un grumo di sangue, tossicchiando.

«Ti sembra di avere davanti uno dei mocciosetti del branco? Non sono certo rimbambito, fratello. So perfettamente del nostro legame di sangue e quanto tieni alla mia ‘opinione’» rispose seccamente, «tuttavia sono un po’ confuso, dopo l’ultimo suggerimento che gli ho dato, Sua Maestà il Re sembrava sul punto di aggiungere qualche cicatrice sul mio corpo. Forse sperava che con un paio di graffi gli sarei stato più somigliante».

Il fratello sbuffò, spazientito. «Di certo tu non mi rendi le cose più facili. Vorrei che mi dessi dei consigli ragionevoli, non serve a nulla fare altri spargimenti di sangue!». Choyo alzò gli occhi al cielo e scosse il capo.

«Allo stesso modo non serve a niente chiedere il mio parere se non lo accetti» rispose, voltandogli le spalle. «Fai come meglio credi, così come hai sempre fatto». Fece per allontanarsi, ma Mohatu con un balzo gli sbarrò la strada con aria determinata.

«Neanche nostro padre avrebbe voluto scatenare delle faide. Fino al suo ultimo giorno ha dato prova delle sue pacifiche intenzioni, mostrando clemenza a tutti gli altri branchi!» disse in tono fermo. Choyo però parve rabbuiarsi a quel punto.

«Già, pacifiche intenzioni. Continui a ostinarti nel credere a questo suo delirio? Nostro padre era solo uno sciocco sognatore che credeva di vivere in una bolla incantata!» ribatté, disgustato dall’ingenuità di suo fratello. «A cosa l’ha portato il suo nobile intento, eh Mohatu? Hai bisogno che ti rinfreschi la memoria?» chiese sardonicamente.

Il leone davanti a sé abbassò lo sguardo. «Non è questo il punto» replicò malinconicamente. «Non ha mai iniziato una guerra. Dopo che le Terre del Branco sono finite nel caos ha provato a sistemare le cose, facendo quell’accordo».

«Ci è morto sistemando le cose, fratello» rimbeccò Choyo.

«Le Terre del Branco godono già di una reputazione abbastanza pessima senza alcun merito» rispose Mohatu, cupo. «Gli altri branchi sono accecati dalle dicerie, alimentate da fame e stenti. Se noi però dimostrassimo loro che si sbagliano sul nostro conto, offrendo aiuto in caso di necessità, allora forse potremmo…»

«Trovarci con la gola recisa nel bel mezzo della notte» lo interruppe Choyo in tono aggressivo. «Svegliati una buona volta, Mohatu. Che cosa te ne importa del benessere degli altri branchi? Ciò che conta è il nostro di territorio, e l’unico modo per difenderlo è uccidere tutti gli invasori nel momento in cui osano sfidarci. Solo la forza può tenere lontani ospiti indesiderati!».

Il Re ringhiò, impaziente. «Il potere non basta da solo! È la fiducia negli altri che ci manca! Noi siamo solo un branco, senza alleati siamo esposti a troppi pericoli, Choyo! Non possiamo fare sempre affidamento su noi stessi. Non possiamo continuare a sacrificare altre vite… Non è quello che ci hanno insegnato» disse infine in tono triste.

Il fratello gli scoccò un’occhiata torva: detestava quel suo atteggiamento così sentimentale e cavalleresco. Vederlo così affranto gli fece tornare in mente Uru e il giorno in cui Mohatu l’aveva salvata dopo la faida con il branco proveniente dalle montagne ed ebbe un lampo di comprensione.

«Non sperare che aver adottato una cucciola orfana farà di te un salvatore agli occhi degli altri regni. Lo vedranno solo come un ipocrita tentativo di fare ammenda dopo aver distrutto un’accozzaglia di disperati che hanno osato sfidare il Re delle Terre del Branco» disse Choyo dopo un po’, con un sorriso arrogante dipinto sul muso. Mohatu sentì nuovamente montare la rabbia. «Non abbiamo distrutto un bel niente, io non volevo lottare e lo sai benissimo». Il fratello ridacchiò. «Ottima strategia per farsi rispettare, un Re arrendevole che adotta cuccioli bisognosi» mormorò in tono fortemente sarcastico.

«Non mettere di nuovo Uru in questa storia. È una leoncina normalissima che ha il diritto di stare al mondo tanto quanto me e te. L’ho salvata perché ho voluto così, non potevo lasciarla morire. Non me ne importa nulla di cosa pensano gli altri branchi sul suo passato, nessuno a parte noi sa com’è andata davvero» replicò in tono asciutto. Distolse lo sguardo 
dall’orizzonte e tornò a fissare il leone di fronte a lui. 

«Come Re difenderò la nostra terra, anche a costo della vita se necessario, ma l'isolamento non è l’unica via percorribile e la violenza non è una soluzione, fratello. Quella leoncina ne è la dimostrazione. Ti dimostrerò che hai torto» concluse.

Choyo parve sorpreso per un istante, ma poi tornò alla sua solita espressione crucciata e austera. «Dovresti essere bravo nei fatti così come sei abile con le parole, Mohatu. Lo vedremo presto dove ti porterà questa decisione, non c’è ombra di dubbio, fratello» gli mormorò. Detto questo il leone proseguì verso il confine, lasciandosi il Re alle spalle.

Nel frattempo, Ahadi e Uru corsero a perdifiato fino a raggiungere la base della rupe. I due cuccioli avevano appena scalato l’ultima roccia, quando si sentirono chiamare da una voce appena dopo aver oltrepassato l’ingresso della grotta principale.

«Ehi, Uru! Ce ne hai messo di tempo per trovarlo, eccoti finalmente!». I due leoncini si voltarono verso la fonte di quel richiamo e ai loro occhi si materializzarono altri tre cuccioli che agitavano le loro zampette da lontano per attirare la loro attenzione.

«Aheri[10]!» esclamarono all’unisono, correndo verso di lui: il cucciolo, caratterizzato dal pelo ocra e da un sottile ciuffetto di criniera sanguigno sorrise loro di rimando, pur senza tuttavia nascondere dietro i suoi occhi color miele un velo d’impazienza; accanto a lui, una leoncina dal pelo cereo e delicato parlottava a sua volta con un altro maschietto scuro che li fissava da lontano con lacrimosi occhi azzurri: messo leggermente più in disparte, il cucciolo apparentemente non sembrava prestarle attenzione e la smorfia sul muso esprimeva un certo disagio.

«Siete tutti qui! Mi avete aspettato per tutto questo tempo?» chiese Ahadi, sorpreso di vederli.

«Naturale, principino» lo canzonò Aheri, «qui è una noia mortale se manchi tu. Bure[11] ha paura pure della sua ombra, mentre Uru e Asali[12]… beh, sono femmine» spiegò il leoncino, annoiato. «Ehi!» lo rimproverarono all’unisono le due, mentre l’altro cucciolo abbassò lo sguardo, ferito da quelle parole.

«Non mi importa se offendi me, ma non essere così cattivo con lui» lo ammonì Asali infastidita, inarcando le sopracciglia sulle iridi azzurre.

«Ma è vero!» protestò l’altro. «Non vuole giocare alla lotta perché ha paura di farsi male, non vuole fare gare perché ha paura di stancarsi, non vuole giocare a ‘prendimi[13]’ perché…» ma fu interrotto da Uru, che con un movimento fulmineo lo colse di sorpresa, atterrandolo di spalle.

«…Perché non vuole che sua sorella ti umili nel momento in cui cominci a bullizzarlo» esclamò in tono deciso, tenendolo ben piantato a terra. Aheri provò a divincolarsi, senza successo, e arrossì violentemente quando Asali e Ahadi scoppiarono a ridere. Bure, invece, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime. «U-Uru… Non importa… Quello che dice è v-v-vero…» balbettò timidamente, tenendo lo sguardo fisso a terra. La cucciola dal pelo rossiccio lasciò andare Aheri e gli si avvicinò cautamente per consolarlo.

«Non devi dire così, fratellino. Quando giochiamo insieme ridi sempre e a volte mi batti pure!» gli mormorò, leccandogli una guancia. Bure sorrise timidamente in sua direzione. «Lo so… Ahadi e Aheri mi incoraggiano sempre a giocare con loro, mentre tu e Asali mi tirate su il morale» esclamò, guardando i suoi amici. «Voi siete tutti più piccoli di me… Eppure sono così debole e mi sento sempre stanco tutto il tempo…» aggiunse in tono mogio.
Era vero: Bure, essendo nato parecchi giorni prima degli altri cuccioli avrebbe dovuto essere un po’ più robusto, ma alcune complicazioni occorse durante la gravidanza avevano tribolato la madre Nya: quando nacque, le leonesse più anziane sentenziarono che il piccolo non era destinato a sopravvivere tanto da arrivare ad aprire persino gli occhi. Contrariamente alle aspettative, però, il leoncino riuscì a smentirle, benché fosse fragile e di salute cagionevole.

«Sciocchezze» ribatté Aheri, «è perché non mangi abbastanza, amico!» decretò con aria di chi la sapeva lunga, annuendo convinto: Asali si batté la fronte con una zampa, allibita, e il leoncino scuro soffocò una risata.

«Non importa se ti stanchi prima di noi, fratellino» sussurrò Uru con aria comprensiva. «Promettimi che non ti chiuderai più in te stesso perché pensi di non essere alla nostra altezza. Se lo vuoi, puoi farcela!» lo esortò.

«Uru ha ragione, amico. Siamo tutti qui con te» aggiunse Ahadi, facendo l’occhiolino, «…e anche quello scemo di Aheri!» disse infine, scoppiando a ridere. «Guarda che ti ho sentito!» replicò il cucciolo, ringhiando sommessamente.

«Piuttosto…» disse poi Uru, voltandosi verso il principe. «Allora? Raccontaci tutto! Dove sei andato con il Re? Che avete visto di bello? Eh? Allora?». La leoncina continuò a tempestarlo di domande, finché una voce cristallina alle loro spalle non intervenne.

«Cosa ci fate ancora qui con una così bella giornata?».

I cuccioli alzarono lo sguardo e riconobbero Uzuri, la Regina, avanzare verso di loro, accompagnata da altre tre leonesse. «Ciao, mamma!» dissero in coro i cuccioli, sorridendo alle rispettive madri.

«Salve, sua maestà» aggiunsero in fretta tutti tranne Ahadi accennando un timido inchino, mentre il cucciolo dal pelo scuro restò ammutolito.

«Ehi, Bure» ridacchiò divertito Ahadi, «anche oggi di poche parole?» gli chiese, notando quella reazione. L’altro lo guardò spaventato, balbettando «N-n-no, i-i-io…», deglutì e poi fece un buffo inchino, tremante. «Buon g-giorno, s-s-sua maestà» biascicò tremante in direzione della leonessa, che sorrise cordialmente e gli leccò una guancia, lasciando Bure in uno stato di estatico imbarazzo.

Aheri allora gli diede una energica pacca sulla spalla, facendolo trasalire. «Su con la vita, amico! Non essere così spaventato come al solito, la nostra Regina è buona, mica vuole mangiarci!» e rise divertito, mentre l’altro cucciolo tossicchiava.

«Smettila di colpirlo! Gli farai male di questo passo!» intervenne Asali, preoccupata.

«Non volevo fargli male davvero, sai» sbuffò Aheri alzando gli occhi al cielo, «e poi noi maschi abbiamo la pelliccia più dura!» disse, gonfiando il petto con evidente orgoglio. «Non sarà certo un colpetto del genere a farlo svenire a terra. Dico bene, Bure?» chiese in direzione del cucciolo, il quale non sembrava troppo convinto: il sorriso incoraggiante dell’amico, tuttavia, ebbe l’effetto di rincuorarlo e annuì, più fiducioso. «S-si, non sono un debole» incespicò.

Le leoncine alzarono gli occhi al cielo. «Eccolo che ricomincia…» si lamentò Uru, ma in realtà sembrava divertita.

«Bene, cuccioli, noi andiamo a caccia» annunciò la leonessa sorridendo loro, «divertitevi e tornate alla Rupe prima che il sole sparisca oltre l'orizzonte, d’accordo?» si raccomandò infine, e i cuccioli annuirono.

«Cambiando argomento, che facciamo oggi? Avete in mente qualcosa?» chiese poi Ahadi, mentre osservava la madre allontanarsi con la sua squadra di cacciatrici.

«Pozza dell’acqua?» suggerì Asali, ma subito la proposta venne bocciata da una pernacchia.

«Nooooia!» si lamentò poi Aheri, scoppiando a ridere. La leoncina ringhiò in sua direzione, offesa. «Ci siamo già andati da poco!» si giustificò con una risatina il leoncino, ma Asali gli lanciò un’altra occhiataccia.

«Potremmo andare nel Sentiero dei Roditori a giocare un po’ piuttosto, che ne dite? Non è lontano dalla Rupe dei Re e ci sono tanti posti da esplorare da quelle parti» suggerì Uru.

«Mi sembra un’ottima idea» convenne Ahadi, soddisfatto dalla proposta; ci fu un assenso tutto sommato generale e così i cinque cuccioli si mobilitarono per raggiungere la destinazione stabilita.

Mentre si allontanavano dalla Rupe qualcuno era intento ad osservarli, dall’alto di un piano roccioso nascosto nell’ombra; gli occhi iniettati di sangue seguirono i cuccioli zampettare allegramente con uno sguardo malevolo, colmo di disapprovazione e disprezzo.

Un giorno arriverà la mia occasione… e quando sarà il momento, fratello…”  pensò il leone digrignando i denti, “tu e la tua prole sarete solo un lontano, brutto ricordo”.
 
[9] Diverso tempo: sono trascorsi circa 4 mesi, adesso i cuccioli hanno imparato a comunicare e sono in grado di andare in giro più o meno da soli.
 
[10] Aheri: ‘Ti voglio bene’, in lingua Swahili.
 
[11] Bure: ‘Libero’, in lingua Swahili.
 
[12] Asali: ‘Miele’, in lingua Swahili.
 
[13] Prendimi: ‘tag’ nell’originale, è il gioco che voleva fare Kiara quando incontra Kovu per la prima volta, venendo successivamente interrotti da Simba e Zira ne 'Il Re Leone 2'. Una versione leonizzata del classico ‘acchiapparello’, possiamo dire.


Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il terzo capitolo. Non succede niente di particolarmente originale qui, ne sono consapevole, è più o meno una rivisitazione delle prime scene del classico, cercando comunque di diversificare un po' i dialoghi e l'approccio del discorso ma il succo è sempre quello, quindi non mi sono potuto discostare più di tanto ahaha!
In ogni caso ho in parte voluto mostrare questa contrapposizione delle due scene, mostrando delle leggere differenze, spero di essere riuscito nell'intento.
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto i vostri commenti con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: il quarto aggiornamento verrà pubblicato a metà settimana perché sarà un po' più breve del solito. Sabato prossimo perciò troverete il quinto!

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, chiedo gentilmente di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Grazie a chi lo farà!

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Capitolo 4
*** Fiori, roditori, alberi e api ***


Mentre Ahadi e gli altri cuccioli abbandonavano la rupe per andare a giocare nel territorio circostante, il padre Mohatu tornò alla rupe senza incrociare nessun altro ad eccezione della Regina, la quale stava per andare a caccia con le altre leonesse che l’avevano preceduta.

Dopo averla salutata, il leone dalla criniera rossiccia si guardò intorno interrogativamente, come alla ricerca di qualcuno.

«Uzuri! Hai visto…?» chiese alla leonessa, ma questa lo interruppe. «Ahadi e i cuccioli sono andati a giocare. Sembravano piuttosto di corsa, ma credo di averli sentiti parlare del Sentiero dei roditori» disse tranquilla, rivolgendogli poi uno sguardo confuso.

«Perché me lo chiedi? Dovevi dirgli qualcosa?» domandò. Mohatu scosse leggermente il capo e le leccò il muso, stavolta più rilassato.

«È stata una lunga giornata… e il sole non è nemmeno nel suo punto più alto» le sussurrò, e raccontò alla compagna gli eventi della mattinata, inclusa l’ennesima e accesa discussione con Choyo.

«Non so come comportarmi, Uzuri» confessò il leone, giù di morale. «Capisco il suo punto di vista, fa bene a rimanere in guardia e a pensare alla sicurezza del branco, però…».

La leonessa rimase in silenzio ad ascoltarlo. «Choyo potrebbe avere le sue ragioni, non lo nego, ma di certo non ha mai vissuto il campo di battaglia tanto quanto me… e soprattutto, te» disse poi, gli occhi verdi animati da uno scintillio. Il leone si voltò a guardarla, sorpreso.

«Sarà mosso da uno strano istinto protettivo che francamente non gli avrei mai associato…» continuò, «tuttavia, non credo abbia una reale percezione della sofferenza che porta un conflitto. Del resto non ha mai partecipato a una lotta vera, ha sempre lasciato a te e a tuo padre l’onore».

«Conosce la sofferenza tanto quanto noi, però. Ha perso un padre e una madre anche lui» obiettò Mohatu. «E anche se il branco di Kito è stato ragionevole, quelli che abbiamo affrontato prima di loro non lo erano per niente».
Uzuri si alzò, richiamata da una leonessa lontana. «Beh, questo non vuol dire che tutti siano fatti alla stessa maniera. Nessuno inizia una guerra senza una ragione» disse infine, leccandogli la guancia.

«Fate attenzione!» si raccomandò il leone, sospirando preoccupato, e la guardò allontanarsi insieme alla sua squadra.

D’un tratto, un battito d’ali attirò la sua attenzione, facendolo voltare: non ci volle molto perché scorgesse un giovane bucero dal becco giallo volare in sua direzione. Zozu atterrò con grazia su una sporgenza rocciosa e si inchinò ossequioso, in segno di riverenza.

«Sire, perdoni l’intrusione» esordì in tono pomposo: Mohatu non si mosse ma gli fece cenno che fosse in ascolto.

«Ho appena terminato la prima ricognizione nel territorio, Sire, giungo in vostra presenza per illustrarle il secondo rapporto giornaliero, dopo quello mattutino... Sire?» chiese ancora il volatile, sorpreso che il leone tenesse lo sguardo fisso a terra in un evidente conflitto interiore.

«Va…ehm, va tutto bene, Re Mohatu?» gli chiese Zozu con quanto più tatto possibile, preoccupato dalla sua espressione vacua, e finalmente scosse il capo.

«La solita questione, Zozu. Inizio a farci l’abitudine, in effetti…» ammise tristemente, voltandosi per la prima volta verso il pennuto che sbuffò, irritato. «Si tratta nuovamente di Choyo?» chiese, e senza aspettare la risposta continuò spedito.

«Lungi dal volermi immischiare nei vostri rapporti, Sire, ma è mia personalissima e modesta opinione che dovreste essere più risoluto con vostro fratello. L’impudenza che mostra nei suoi confronti è francamente inaccettabile, mi stupisco di come possa tollerarla ancora» disse in tono di disapprovazione. Mohatu accennò un piccolo sorriso, osservando il pennuto che nel frattempo aveva poggiato le ali sui propri fianchi. Conosceva Zozu da quasi tutta la vita, di lui aveva sempre apprezzato la straordinaria sincerità e capacità analitica. Oltre ad essere il maggiordomo reale, prima di tutto era sempre stato suo amico.

«È mio fratello, Zozu, non è così semplice parlare con lui. Ed è sempre stato così, lo sai bene, sin da quando eravamo cuccioli». Il pennuto non parve soddisfatto da quella giustificazione, ma sapeva di non dover esagerare, perciò si limitò ad alzare le spalle.

Uno strano verso proveniente da lontano in ogni caso interruppe quella conversazione.

«Cos’è stato?» chiese il Re al bucero, guardando verso l’orizzonte. Zozu si librò in aria immediatamente.

«Sire, ecco perché sono venuto a chiamarla. Giù alla Pozza Grande, in un versante del fiume che scorre fino al confine Sud, alcuni alligatori ribelli stanno creando scompiglio. Hanno invaso la Pozza rivendicandola come loro territorio e attaccano chiunque si avvicini».

Mohatu si alzò, inquieto. «Allora andiamo immediatamente a vedere che succede» gli disse e si avviarono di corsa.

 
Nel frattempo, Ahadi e gli altri leoncini erano ancora diretti verso la loro destinazione, proseguendo a piccoli passi.

«Uh, è questa la strada per il sentiero dei roditori?» chiese Uru, guardandosi intorno con curiosità; il principe, distante qualche passo, al ripetersi per l’ennesima volta di quella domanda alzò gli occhi al cielo e sbuffò, evidentemente irritato. «Per l’ultima volta…Si, Uru, è questa la strada. Mi ricordo perfettamente dove si trova, fidati» disse, affrettando il passo.

«Secondo me non ha la minima idea di dove stiamo andando. Tu che dici, Uru?» Sussurrò una voce alle sue spalle, e la leoncina riconobbe Aheri che ridacchiava, facendole l’occhiolino e ammiccando verso il principe.

«Invece lo so benissimo!» sbottò puntualmente Ahadi, voltandosi di scatto e inarcando le sopracciglia.

«Su, su, ragazzi… Non c’è bisogno di litigare, siamo quasi arrivati, no?» intervenne Bure timidamente, ma non appena Aheri e Ahadi si voltarono verso di lui trasalì, abbassando le orecchie. I due cuccioli si scambiarono un’occhiata, dopodiché scoppiarono a ridere di gusto.

«Non possiamo perderci» esclamò poi il principe, indicando un sentiero: i cuccioli notarono delle orme di leone adulto ben impresse nel terriccio. «Le ha fatte mio padre quando abbiamo passeggiato questa mattina. Ho detto che non era necessario, ma…» alzò gli occhi al cielo, «pensava che fosse più sicuro così». I leoncini osservarono le impronte, stralunati. «E io che pensavo ti ricordassi la strada… Che ingenuo che sono» commentò Aheri ironicamente, guadagnandosi un’occhiataccia da parte del principe. «Le ha fatte per i cuccioli sbadati come te, tonto che non sei a-» spiegò, ma Aheri gli sfrecciò davanti, interrompendolo.

«Scommetto che arrivo prima io laggiù!» disse il cucciolo con il ciuffo rossiccio ridendo.

«Ehi!» rimbeccarono gli altri due leoncini, che presero a inseguirlo subito dopo; Uru e Asali si guardarono a sua volta, sorridendo confusamente. «Maschi…» dissero in coro.

«No, aspettatemi!» urlò affannosamente Bure ai due cuccioli tentando di inseguirli, mentre i due leoncini si spintonavano per arrivare prima.

«Sono più veloce di te!» esclamò allegramente Aheri all’amico, riuscendo a superarlo con uno scatto: ma subito fu fermato dal principe, che per tutta risposta lo atterrò.

«Non esiste!» dichiarò all’amico, tenendolo ben fermo sotto le sue zampe; Aheri ringhiò e riuscì a divincolarsi, scoppiando nuovamente a ridere. «Togliti dalle zampe, Ahadi, non siamo ancora arrivati! Posso ancora vincere!», ma nel momento in cui fece un passo si immobilizzò sul posto, incredulo.

«Troppo tardi, avete perso entrambi!» disse una voce: gli altri tre cuccioli li aspettavano poco più avanti, alla fine del sentiero.

«Ha vinto Bure!» dichiarò Uru tutta contenta, alzando la zampa del fratellino in segno di esultanza. «Lui è stato il più veloce, ah-ha!» li derise la leoncina.

«Sta zitta, Uru. Ha avuto solo fortuna» mugugnò Ahadi, infastidito. «Già, la prossima volta vincerò!» rincarò Aheri. «Sempre se qualcuno non decida di saltarmi addosso per fermarmi, vero Ahadi?» aggiunse con un sorrisetto, ma prima che il principe potesse rispondere alla provocazione una voce li interruppe.

«Si, si, vincerete voi due la prossima volta… Adesso possiamo fare un gioco che non preveda lotte e corse? Siete noiosi» esclamò infatti Asali, sovrastandoli da una piattaforma rocciosa rialzata.

Si voltò verso Aheri in particolare, che arrossì per qualche strana ragione. «Va bene, d’accordo…Ma io non sono noioso» ammise infine.

«Cosa facciamo allora?» chiese Bure di buon umore, abbassando la zampa. «Siamo arrivati, nel caso l’aveste notato» aggiunse, indicando un punto alle sue spalle: una radura erbosa circondata da folti alberi, ai cui piedi si distingueva un sentiero pieno di buchi scavati dai roditori nel terreno, si prolungava fino alla collina poco distante.

«Ehi, guarda che bei fiori ci sono lì, Uru!» le mormorò all’improvviso Asali, indicando estasiata un cespuglio pieno di fiori rossi[14].

«Andiamo a dare un’occhiata più da vicino?» chiese la leoncina di rimando e corsero via.

«Ehi Asali, aspetta!» tentò di fermarla Aheri, senza successo, «non dovevamo giocare tutti insieme?» chiese a mezza voce in tono evidentemente deluso, mentre le due leoncine si allontanavano. «Lasciale stare quelle due, Aheri» bofonchiò Ahadi, annoiato.

«Chissà cosa mai ci vedranno in quei fiori, le femmine» mormorò Bure a un tratto, pensieroso. «Voi lo sapete?» chiese inarcando un sopracciglio, voltandosi verso i due amici, i quali strinsero le spalle.
«Non ne ho idea, però alla mamma piace quando papà le regala dei fiori colorati» ricordò Ahadi, pensieroso.

«Magari è l’odore che fanno a piacerle?» suggerì il leoncino dal pelo scuro aggrottando la fronte con un artiglio, anche se poco convinto. «La forma?»

«Il colore» rispose Aheri piano mentre osservava da lontano Asali e Uru parlottare entusiaste, annusando i petali. I due leoncini si voltarono, sorpresi. «Come fai a saperlo?» gli chiesero.

«Perché…» cominciò vago, lo sguardo fisso sul terreno, ma alzando il capo qualcosa attirò la sua attenzione e l’imbarazzo passeggero scomparve.

«…Sono come delle api!» spiegò con un ghigno. «I colori accesi le attirano e fanno fiorire i cespugli cospargendo il pollame! Io lo so!» aggiunse con orgoglio. «Cosa c’è di tanto divertente?» chiese scocciato, perché gli altri due leoncini erano scoppiati a ridere.

«Forse volevi dire polline?» lo corresse Ahadi. Il cucciolo con il ciuffo rossiccio avvampò, abbassando le orecchie.

«Dovresti ascoltare meglio Zozu e non passare tutto il tempo della passeggiata a fargli scherzi» rise Bure, rotolandosi per terra; Aheri inarcò le sopracciglia. «Scommetto che non sapete però dove vivono…» ma Ahadi lo anticipò, «…in un alveare, che costruiscono negli alberi. Qualcos’altro, genio?» lo provocò trionfante.

«Sai anche che se ti avvicini troppo e fai rumore potrebbero pungerti?» ribatté il cucciolo con un sorrisetto. Il principe non capì subito cosa intendesse dire, ma poi l’altro indicò un punto sopra la loro testa, all’ombra di un albero. Un ronzio sempre più acuto riempì l’aria e un attimo dopo Ahadi si ritrovò a correre all’impazzata, nel vano tentativo di evitare la puntura di un’ape che lo inseguì fino a colpirlo dietro un orecchio.

«Bella mossa, sapientone» esclamò Aheri, ridendo a crepapelle mentre il leoncino dagli occhi verdi si grattava convulsamente la parte irritata.

«Ah-ha» disse l’altro con una smorfia. «Perché non facciamo una sfida di coraggio?» chiese all’improvviso, i quali lo fissarono con rinnovato interesse.

«Di che parli?» chiese Bure, che dopo aver riso era vagamente preoccupato. Il principe indicò l’albero dietro di lui. «Arrampicarsi su quel tronco…».

Aheri lo interruppe, scettico. «Sul serio? Per te scalare quell’alberello è una prova di coraggio?» domandò, ma poi Ahadi con un ghigno spostò la zampa verso l’alveare incastrato tra i rami. «…E dare una zampata all’alveare».

La seconda parte della sfida lasciò Bure e Aheri a bocca aperta. «Passo» rispose subito il leoncino scuro, tremando, «non ci penso nemmeno a salire lassù, figuriamoci a scatenare quegli insetti».

«Codardo, non è così alto» mugugnò l’altro cucciolo.

«Perché non vai per primo allora?» lo provocò il principe, ridendo sotto i baffi, sicuro di colpire nel segno: puntualmente, Aheri inarcò le sopracciglia, punto sul vivo.

«Non credere che non ne sia capace!» replicò, avanzando a grandi passi verso il tronco. 

«Bene, allora!» disse Ahadi. «Chi riesce a colpire l’alveare senza farsi pungere, vince!».
 
[14] I fiori Protea, detti anche ‘fiori di fuoco’.

Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il quarto capitolo a metà settimana - in anticipo di un giorno a dire il vero - come promesso.
Neanche qui succede molto in quanto è più un interludio a quello che succederà nei prossimi capitoli, ho deciso di approfondire un po' il carattere di alcuni personaggi per farveli conoscere un po' meglio dandogli lo spazio che meritano.
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto i vostri commenti con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: come già anticipato, il quinto capitolo verrà pubblicato Sabato prossimo, come di consueto.

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, chiedo gentilmente di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Grazie a chi lo farà!

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Capitolo 5
*** Come nacque il più fiero ***


Mentre Aheri scalava il tronco del robusto albero che lo avrebbe condotto all’alveare, Bure teneva gli occhi puntati su di lui con paura crescente a ogni graffio che incideva nel tronco per lo sforzo di arrampicarsi.

«Non penso affatto che questa sia una buona idea, Ahadi…» mormorò poco convinto. Il principe d’altra parte non diede alcun segno di preoccupazione mentre si grattava l’orecchio con insistenza. «Piantala, Bure, sarà divertente!» gli sibilò a mezza voce, incitandolo a guardare il leoncino che arrancava a fatica.«Vedrai come se la cava!» aggiunse con un sorrisetto malizioso.

Bure, dubbioso, alzò lo sguardo nuovamente proprio quando Aheri disse «Voi due, voglio proprio vedere come ve la caverete dopo che avrò svegliato le nostre amichette!». Nel dirlo artigliò malamente il tronco e la corteccia scricchiolò in modo sinistro, facendolo sobbalzare spaventato.

«Attento!» lo avvertì Bure a bocca aperta. «Che fine ha fatto il tuo coraggio?» lo canzonò Ahadi facendo ridere nuovamente l’altro cucciolo accanto a lui, suo malgrado; Aheri fece una pernacchia in risposta, poi prese un bel respiro e con una piccola spinta riuscì ad assestarsi stabilmente in un ramo più robusto, potendo così riposarsi per un momento.

Guardando giù si rese conto di essere arrivato molto in alto: il cucciolo deglutì, tremante, ma non poteva mollare dopo essere giunto fin lassù e con rinnovata determinazione cominciò faticosamente ad avanzare verso l’alveare di fronte a lui.

“Ancora pochi passi… pochi passi… e poi devo solo fargli un graffietto, prima che si sveglino…” disse tra sé e sé a mezza voce. Il leoncino cercò di non pensare a nulla e a focalizzarsi solo sul suo obiettivo e non appena fu abbastanza vicino da toccarlo, allungò la zampa più che poteva per cingere l’alveare con un artiglio finché non riuscì finalmente nel suo intento.

«Si! Ce l’ho fatta!» esultò, orgoglioso della sua caparbietà. «Bravissimo, Aheri!» urlò di rimando Bure ai piedi dell’albero, sinceramente ammirato.

«Ora scendi, prima che…» aggiunse, ma tacque all’improvviso: nell’istante in cui il cucciolo aggrappato al ramo fece per tornare indietro, il trio sentì distintamente uno strano ronzio che li fece raggelare.

«Oh, oh» gemette Ahadi mentre le api fuoriuscivano dalla loro casa, infastidite dal baccano. «Aheri, ti consiglio di scendere in fretta se non vuoi grattarti la pelliccia per tutta la notte!» avvertì il principe all’amico con un sorrisetto stampato sul muso: Aheri gli lanciò un’occhiataccia.

«Se riesco a scendere da qui te le suono, Ahadi!» gridò terrorizzato e arrabbiato insieme.

«Su, salta giù! Ti aiutiamo noi!» replicò il principe alzandosi su due zampe, dopo essersi attaccato al tronco.

«Vi avevo detto che era una pessima idea!» esclamò Bure, mentre soffiava su alcune api che l’avevano puntato. «Muoviti a scendere da lì, Aheri!» gridò rivolto all’altro cucciolo, che deglutì ancora.

«Fidati di me!» lo esortò Ahadi, pronto a scattare. Il leoncino dal ciuffo rossiccio prese un ultimo bel respiro. «Uno… due…»

Prima di saltare, i leoncini sentirono il ramo scricchiolare pericolosamente e Aheri saltò proprio quando si spezzò di netto, rovinando giù.

«Farai meglio a prendermi, Ahadiiiiii!» urlò, talmente forte da far voltare pure le altre due leoncine ancora intente a contemplare l’area circostante in cerca di altri fiori, accorgendosi finalmente di tutto quel trambusto.

«Ma che succede?» chiese Uru, stupita di vedere l’amico ruzzolare giù dall’albero.

«AHERI!» Trasalì invece Asali, terrorizzata da quella scena. Videro Ahadi spiccare un poderoso salto e cingere appena in tempo il busto dell’amico con le proprie zampe, evitando così per un soffio il ramo e l’alveare in caduta libera proprio sopra le loro teste. Uru e Asali corsero immediatamente incontro ai tre amici, spaventate.

«Che cosa diavolo vi è preso!?» strillò la leoncina dal pelo chiaro, spaventatissima, e in reazione alle sonore risate dei due amici inarcò le sopracciglia, sorpresa e infuriata nello stesso momento.

«È stato troppo forte!» rise Ahadi, deliziato dall’avventura. «Dovremmo rifarlo un’altra volta!» aggiunse, sghignazzando divertito.

«Si… Certo…» rispose Aheri senza fiato, dandogli una zampata in testa. «Magari la prossima volta ci vai tu lì sopra, però» disse rivolto al cucciolo dal ciuffo nero, unendosi suo malgrado alle risate.

«Sicuro!» replicò Ahadi. «E questa volta sceglieremo un albero ancora più alto!» esclamò elettrizzato, ma non appena si voltò a guardare gli amici vide una leoncina che ricambiava il suo sguardo con occhi lucidi di rabbia.

«Siete... proprio... degli sciocchi! Potevate farvi male sul serio!» farfugliò Asali, guardando i due amici in cagnesco. «Per te ogni scusa è buona per fare qualcosa di pericoloso? Ma dove hai il cervello?!» sbottò poi puntando Aheri, il quale smise immediatamente di ridere.

«Ci stavamo solo divertendo…» tentò di giustificarsi Ahadi, cercando lo sguardo di Uru e Bure per un sostegno, ma prima che chiunque altro potesse rispondere nuovamente si levò un furioso ronzio dietro le loro spalle: uno sciame di api fuoriuscì dall’alveare
che giaceva tristemente per terra, ormai completamente distrutto. 

«Ragazzi… credo sia ora di…» mormorò Bure in preda al panico, facendo dei passi indietro, «FILARE!!» urlarono gli altri cuccioli all’unisono scappando tutti verso la stessa direzione e con le api infuriate alle costole; impiegarono parecchio tempo per liberarsi di tutte le api, e il sole era già piuttosto alto nel cielo quando l’ultima ape smise di inseguirli.

«Accidenti… che prurito…» grugnì Aheri, grattandosi energicamente il fianco con una zampa.

«Colpa vostra!» ridacchiò Uru, osservandolo divertita. «Se non aveste disturbato quelle povere piccole api non vi avrebbero punto!» e spostò lo sguardo verso Ahadi e Bure, che si grattavano nervosamente allo stesso modo: il principe era stato punto più volte sia sulla testa che sulla schiena e faticava a grattarsi, mentre Bure soltanto dietro l’orecchio sinistro.

«Ma io non ho fatto niente!» gemette Bure, rovistando con la zampa la bolla che pulsava. «Non è stata neanche una mia idea!» protestò, voltandosi torvo verso Ahadi che si stava rotolando per terra, in preda al forte prurito.

«Ah, piantatela, nessuna ape vi ha punto la schiena» sbottò irritato. Gli altri cuccioli scoppiarono a ridere, inclusa Uru; Asali invece si voltò dall’altro lato, chiaramente offesa.

«Ve lo meritate» disse con aria soddisfatta. Aheri abbassò il capo e si morse il labbro, chiaramente turbato per qualcosa. «Andiamo, non era così alto… E poi non ho avuto per niente paura, sai Asali?» biascicò speranzoso, tenendo lo sguardo fisso a terra.

La cucciola però sbuffò, senza degnarlo di un’occhiata. «Non me ne importa niente. Avete distrutto quell’alveare e ora le api dovranno costruirlo da capo» disse. «Vi piacerebbe se un elefante gigante distruggesse l’intera Rupe dei Re? Costringendovi a dormire fuori e a congelare?» li accusò, voltandosi verso di loro con aria irritata.

Bure annuì convulsamente, preoccupato. «Ha ragione, avete fatto un bel po’ di confusione» tentò di sostenerla, ma la leoncina a quelle parole si voltò di scatto verso di lui.

«È anche colpa tua, Bure, non provare a scaricarli!» disse, indignata. «Ti ho visto ridere a crepapelle, non sei tanto meglio!». Il leoncino chinò anche lui il capo, imbarazzato.

«Perché sei salito su quell’albero, comunque?» la interruppe Uru rivolgendosi al leoncino, curiosa.

«Per dimostrare chi era il più coraggioso» replicò Aheri, vergognandosi per quanto ora sembrasse stupido ciò che aveva fatto.

Uru lo fissò, stupita. «Ma… Tu hai paura delle altezze!» disse, sgranando gli occhi. Aheri improvvisamente scosse frenetico il capo in sua direzione con aria atterrita.

«Che cosa?!» chiesero all’unisono Ahadi, Bure e Asali, presi alla sprovvista.

«Era un segreto!» sibilò il leoncino arrabbiato, ma Uru lo interruppe. «Perché l’hai fatto se hai paura delle altezze? Che sarebbe successo se Ahadi non ti avesse preso in tempo?» chiese inarcando un sopracciglio, imperterrita.

Ahadi abbassò le orecchie, sentendosi in colpa: non aveva proprio idea di quella fobia e aveva provocato l’amico solo per il suo mero divertimento. «Sono stato egoista, mi dispiace» gli disse, «se avessi saputo…» ma Aheri lo interruppe, ringhiando rabbioso.

«Ecco! È per questo che non volevo farlo sapere a nessuno! Non voglio che pensiate a me come un codardo che non sa nemmeno stare sopra un albero senza tremare!» sbraitò, agitato.

«Non lo avremmo mai…» cominciò Asali, ma il cucciolo la interruppe di nuovo. «Volevo solo dimostrare a me stesso che posso farlo, anche se le altezze mi fanno rabbrividire» esclamò infine guardandola, tirando su col naso: sembrava sul punto di scoppiare a piangere ma si voltò in tempo per non farsi vedere.

I quattro amici si guardarono senza sapere cosa dire, così Uru diede una spintarella all’amica per incoraggiarla ad avvicinarsi; quest’ultima allora fece qualche passo e si schiarì la gola.

«Anche se sono ancora arrabbiata con te per lo stupido pericolo che hai corso…» cominciò, parlando al leoncino che era di spalle, «devo dire che sei stato coraggioso, e questo lo apprezzo molto».
 
Aheri si voltò, asciugandosi gli occhi lucidi con la zampa. «Dici davvero?» le chiese e quest'ultima annuì, aprendosi in un piccolo sorriso.

«Non è da tutti affrontare le proprie paure!» disse Ahadi, annuendo. «E sei stato l’unico ad essere salito lassù, dopotutto» aggiunse Uru, guardando di sottecchi il fratello e l’amico.

«Tecnicamente noi non abbiamo avuto modo di dimostrarlo» precisò Bure, inarcando un sopracciglio. «Il ramo si è spezzato prima che potessimo fare il nostro tentativo…»

«Bure, ti sei tirato indietro appena ho lanciato la sfida!» rimbeccò Ahadi, e tutti gli altri scoppiarono a ridere. Asali intanto si avvicinò ulteriormente al leoncino dal ciuffo rossiccio, intento ora a leccarsi una zampa. «Non ti sei fatto male, vero?» chiese, ma l’altro scosse il capo.

«Rilassati, Asali, sono tutto intero! ‘Il prode Aheri è sopravvissuto ed è pronto per la prossima avventura!’» esclamò in tono pomposo mentre saliva su una roccia, ma nel farlo mise male la zampa e inciampò su sé stesso, cascando rovinosamente al suolo.

«Si, dovresti anche migliorare gli atterraggi, ‘prode Aheri’!» rise Bure e il cucciolo gli lanciò un’occhiata infuocata, inarcando le sopracciglia.

«Ehi!» gli gridò, infastidito. Alle risate si unì anche Ahadi e a quel punto l’altro leoncino gli ringhiò, prima di lanciarsi su di lui.

«Ti faccio vedere io!» esclamò con un ghigno dipinto sul muso, e i due cuccioli iniziarono a lottare, soffiando e ringhiando.

«Adesso tocca a me vincere, amico!» disse il principe determinato, mettendosi in posizione d’attacco.

«Lo vedremo!» replicò l’altro cucciolo, ricambiando la stessa espressione decisa; i due cuccioli di leone non potevano certo ferirsi come sarebbero stati in grado di fare da adulti essendo ancora troppo giovani, ma i loro artigli potevano graffiare la pelle abbastanza da rigare con sottili rivoli di sangue la pelliccia del loro avversario; essendo un gioco innocente, tuttavia, entrambi lottavano senza artigli sguainati e col puro scopo di divertirsi. Sapevano bene che i loro genitori li avrebbero sicuramente puniti se si fossero feriti tra loro.

Bure osservò i due amici avvinghiarsi l’uno contro l’altro, un po' invidioso: entrambi erano già più muscolosi di lui benché fosse nato prima e la statura scarsa, così come il ciuffo di criniera non ancora comparso stavano lì a dimostrarlo. Incapace di competere, dunque, non amava particolarmente praticare i giochi di lotta, preferendo il più delle volte rimanere in disparte durante le sfide tra i due amici, facendo piuttosto da arbitro e spettatore insieme.

I due cuccioli continuavano a lottare e a rotolare per terra, rincorrendosi talvolta, allontanandosi sempre più dagli amici per avere più spazio.

«Dove credi di andare?» gridò Aheri inseguendo Ahadi, ma il tentativo di braccarlo andò a vuoto.

«Dove tu non puoi prendermi!» replicò l’altro leoncino dagli occhi verdi, scattando avanti. I due si avvicinarono a un fiumiciattolo che scorreva pigramente lì accanto; arrivati presso la riva Ahadi bagnò l’altro cucciolo con l’acqua, affondando la zampa nel fiume: raggiunto dagli schizzi, Aheri scrollò violentemente il capo.

«Piantala!» si lamentò infastidito. Gli altri cuccioli nel frattempo li osservavano a distanza, osservando la scena.

«Non credete sia ora di finirla?» esclamò Bure annoiato a tratto mentre i due amici si tiravano le orecchie: nella successiva mezz’ora, infatti, nessuno dei due era stato in grado di sconfiggere l’altro atterrandolo al suolo a schiena in giù, atto che decretava la fine inequivocabile della lotta. Aheri però fu distratto dalle parole del leoncino scuro e il suo avversario, con uno scatto fulmineo, riuscì a ribaltarlo, spingendolo a terra; ormai braccato tentò debolmente di liberarsi, ma Ahadi fece pressione e lo immobilizzò definitivamente: aveva vinto.

«Bravo Ahadi!» disse con un sorriso Uru: Ahadi ricambiò, orgoglioso e provato dalla ‘lotta’ con l’altro cucciolo.

«Va bene, va bene, mi hai battuto» rantolò Aheri, anche lui boccheggiante, «hai vinto questo round. Togliti dalle zampe adesso».

«Ora siamo pari!» esclamò l’altro, trionfante. Gli altri tre cuccioli si avvicinarono nel frattempo, mentre Ahadi diceva «Il più coraggioso, il più forte…» diede un’occhiata a Bure, il quale aveva abbassato il capo, aggiungendo «e il più veloce!». Bure arrossì, visibilmente compiaciuto.

«Sarebbe stato più divertente fare un gioco che coinvolgesse tutti, sapete» commentò Asali, sbadigliando annoiata: Bure fece spallucce. «A me non piace la lotta, preferisco esplorare» ammise.

«Lo faremo domani! Possiamo sempre tornare qui e cercare qualcosa di interessante» suggerì Uru. Non ci fu tempo di una risposta, perché a quel punto una voce che li chiamava a gran voce attirò la loro attenzione. «Principe Ahadi! Piccoli, siete lì?» diceva.

«Oh no…» si lamentò il leoncino dagli occhi verdi, riconoscendo la voce: un bucero dal becco giallo comparve davanti a loro, volando svelto. Ormai il sole stava iniziando a tramontare: la luce si era fatta più fioca e le ombre iniziarono ad allungarsi dietro gli alberi, pertanto il Re doveva aver chiesto al suo maggiordomo di riportare i cuccioli alla Rupe.

«Ah-ha, beccati!» gracchiò trionfante il pennuto, planando a terra. «Venite, piccoli, è ora…» cominciò con il suo tono solenne, ma Ahadi lo interruppe, «…di andare a casa, Zozu, lo sappiamo» completò, dopodiché il maggiordomo gli fece un inchino e si alzò nuovamente in volo. «Vi siete divertiti?» chiese gentilmente, e i leoncini gli raccontarono impazienti le avventure vissute in quella giornata.

Zozu ci sapeva fare con i cuccioli: la pazienza, sua grande virtù, gli permetteva di gestire l’esuberanza dei più giovani; inoltre, la capacità di ascoltare, che sfruttava nella mansione di maggiordomo del Re gli tornava particolarmente utile anche quando doveva tenere d’occhio il Principe e i suoi amici.

«…E poi c’era quest’albero enooooorme, Zozu, scommetto che non riusciresti nemmeno tu a volare fino in cima!» stava raccontando Aheri.

Ahadi e Uru li precedevano, un po’ più distanti. «Gli piace esagerare nei dettagli, come al solito» commentò la leoncina, sogghignando a quelle parole. «C’è altro da aspettarsi dal ‘prode Aheri’?» domandò il principe, imitando la voce dell’amico e la leoncina scoppiò a ridere.

«Ci è mancato poco oggi, siamo stati fortunati» disse poi Ahadi, rabbuiandosi appena. «Non avevo idea che avesse paura delle altezze».

«L’ho scoperto per caso anche io, se può consolarti» confessò Uru in tono misterioso; il leoncino inarcò un sopracciglio, perché sapeva bene che l'amica era una attenta osservatrice e non scopriva mai nulla in modo fortuito.

«Oh e va bene, diciamo che me lo ha detto sua madre…in un certo senso, ecco» confessò infine, arrossendo. «Ricordi quando siamo andati alla Pozza dell’acqua?» chiese, e il cucciolo annuì. Uru abbassò il tono di voce, dicendo «quel giorno giocavamo su una roccia usandola per fare i tuffi. Aheri si bagnava e faceva come se niente fosse, ma non si è mai gettato da lì. Ci hai fatto caso?» chiese, compiacendosi dell’espressione sorpresa dell’amico.
«Ma…Poi è salito lì… Me lo ricordo bene» obiettò questi, perplesso.

«Lo hai visto scendere?» chiese Uru, e Ahadi scosse il capo: in effetti non aveva visto l’amico tuffarsi dalla roccia quel giorno. Tutto iniziava ad avere un senso.

«Ha aspettato che ce ne andassimo tutti quanti prima di farsi aiutare da sua madre…è stata lei a tirarlo giù» spiegò, pensierosa. «La signora Onyo[15] ha cercato di convincerlo a scendere da solo, ma proprio non voleva saperne… Non era mia intenzione origliare!» si giustificò, arrossendo, «è solo che io e Asali non lo vedevamo arrivare, così sono andata a controllare se fosse tutto a posto… Ecco tutto» concluse. Nel frattempo i leoncini avevano costeggiato buona parte del fiume e la Rupe dei Re si intravedeva appena a causa dell’oscurità che calava velocemente. Zozu volò più in alto per controllare quanta strada ancora mancasse, mentre i cuccioli si radunarono vicino la sponda, in attesa di istruzioni.

«Bene, siamo quasi arrivati» annunciò il bucero abbassandosi di quota, «La Rupe non è molto lontana, dobbiamo solo attraversare questo ruscello». Indicò loro con l’ala un viottolo naturale creato con delle rocce piatte che spuntavano dall’acqua. «Potete saltare qui, non ci vorrà molto, vedrete!» spiegò in tono rassicurante, ma Bure trasalì a quella prospettiva.

«Cosa? Attraversare il fiume? Sei tutto matto!?» urlò tremante al pennuto, arretrando. Aheri d’altra parte la pensava diversamente.

«Io trovo che sia una splendida idea! Se passiamo da lì, torneremo a casa in un batter d’occhio e taglieremo un sacco di strada. Facciamolo!».

Ahadi si voltò verso le due leoncine, che erano indecise. «Non sappiamo nuotare ancora bene… e se cadiamo in acqua?» domandò Asali a Zozu, preoccupata.

Aheri la sentì e intervenne. «Non cadremo in acqua, fidati di me!» la rassicurò, «e se dovessi avere paura ti prenderò in spalla e salterò anche per te!» aggiunse gonfiando il petto con aria orgogliosa. La leoncina lo fissò un po' interdetta, ma notando l’espressione sicura e determinata del cucciolo si sciolse in una risata, rassicurata. «Va bene, se lo dici tu…»

Ahadi si voltò verso l’altra cucciola, anch’essa preoccupata, chiedendole con entusiasmo «Uru? Allora?», ma nel farlo notò che qualcosa non andava.

«I-io… Non lo so, Ahadi…» mormorò, tremando. Cercò di nasconderlo, ma presto il leoncino capì che l’amica, non sapendo nuotare bene, temeva le acque profonde. Ahadi perciò le sorrise, poggiando la propria zampa su quella di Uru.

«Non aver paura, ci sono io ad aiutarti» le sussurrò in tono rassicurante. «Sono solo due rocce, che saranno mai?» aggiunse con un sorrisetto: Uru si sentì rincuorata e arrossì leggermente, mormorando un timido ‘grazie’.

Così i leoncini si apprestarono ad attraversare il corso d’acqua; come scoprirono presto, erano ben più di due rocce come aveva detto Ahadi, e il fiume in quel punto sembrava, come previsto, piuttosto profondo.

Aheri attraversò per primo precedendo Asali e con dei cauti salti, molto lentamente, riuscirono ad attraversare senza particolari difficoltà; Bure doveva essere il terzo, ma terrorizzato com’era si rifiutò di muoversi, piantando gli artigli sull’erba.

«Io non riesco a passare, farò tutta la strada larga, non mi importa se arrivo a notte fonda!» strepitò molto tempo dopo, raggiungendo la seconda roccia.

«Su, non fare il codardo, Bure! Salta come un coniglietto, andiamo!» lo esortò Aheri dall’altra sponda, ridacchiando.

«Non sono uno stupido coniglio, testa di rapa!» sbottò malamente il cucciolo dal pelo scuro, la paura dipinta sul muso. «Bure!» lo chiamò Uru: il cucciolo 
tremante si voltò per fissare la sorella, la quale provò a incoraggiarlo usando parole più dolci.

«Aheri non ha torto, fratellino! Un piccolo passo… Piano e con calma, vedrai che sarà uno scherzo!». Il leoncino sospirò a fondo più volte cercando di calmarsi, finché il suo cuore non rallentò il battito: poi, seguendo il consiglio di Uru fece un salto dopo l’altro, finché non raggiunse in sicurezza l’altra sponda.

«Ce l’hai fatta, amico!» esultò Aheri con un sorriso tutto denti, il quale era scosso ma al tempo stesso meravigliato della sua stessa audacia.

«Bene Uru, tocca a noi!» esclamò Ahadi alla leoncina vagamente angustiata. «Vai per prima, io ti starò dietro» aggiunse, deciso; la cucciola annuì e saltò sulla prima piattaforma, cauta: Ahadi la seguì con lo sguardo e attese che avanzasse per poi iniziare a sua volta il percorso.

Uru acquisì sicurezza man mano che avanzava e lentamente il timore scomparve. «Ehi, è più facile di quel che pensassi» esclamò, sentendosi molto più leggera.

«Visto? È semplice!» rispose sorridendo Ahadi, seguendola ad appena qualche passo di distanza.

«Coraggio, muovetevi voi due! Muoio di fame!» urlò di rimando Aheri, impaziente. Uru spiccò un altro salto, ma stavolta atterrò sulla superficie scivolosa della piattaforma e non riuscì a mantenere l’equilibrio.

«Attenta, Uru!» provò ad avvertirla Ahadi, ma non fece in tempo perché la leoncina cadde rovinosamente in acqua. «URU!» strillò Bure, terrorizzato dalla scena. «Oh no!» esclamò Zozu che osservava dall’alto: prima che potesse intervenire, Ahadi si mosse in automatico e balzò immediatamente nella piattaforma successiva, in attesa che la leoncina riemergesse dall’acqua. Uru annaspò, ma il principe riuscì ad afferrarla prontamente per la collottola, strattonandola fuori.

I due cuccioli boccheggiarono bisognosi di ossigeno, fradici ma sani e salvi. «Mi hai salvato…» balbettò la leoncina all’altro cucciolo, che sorrise lievemente. «L’ho detto che ti avrei aiutata, no?» sussurrò a fatica.
«Stai bene?» le chiese. La leoncina annuì, decisa.

«Coraggio, muoviamoci» tagliò corto poi il cucciolo. Uru si scrollò velocemente l’acqua dalla pelliccia e fece un altro salto, questa volta cautamente; Ahadi la seguì subito dopo e durante il balzo venne attratto da qualcosa di strano nell’acqua: forse fu uno scherzo della luce bassa ma gli parve di notare una luce gialla brillare appena al di sotto della superficie del fiume; senza badarci troppo il leoncino compì un altro salto.

Mentre Uru raggiungeva la sponda, Ahadi notò un movimento strano accanto a sé: riconobbe distintamente qualcosa di scuro che si muoveva lì vicino, e dubitò che fosse un pesce. Fece un altro salto, guardandosi ancora intorno.

«Coraggio, Ahadi! Sei rimasto solo tu, andiamo a casa!» Il cucciolo sentì il richiamo di Bure, perciò distolse lo sguardo dall’acqua e si voltò verso il gruppo di amici.

«Arrivo!» urlò di rimando; ora gli mancavano solo due pietre prima che raggiungesse l’altra sponda.

A quel punto, però, uno strano verso proveniente dall’acqua fece rabbrividire i presenti. Le acque del fiume cominciarono a vorticare convulsamente, seguite dalle grida di Bure e Asali.

«PRINCIPE!» strillò Zozu in preda al panico: Ahadi li fissò allarmato e i suoi timori si concretizzarono quando Uru lo avvertì a gran voce: «DIETRO DI TE! UN ALLIGATORE!».
 
[15] Onyo: la madre di Aheri. Il suo nome significa ‘avvertimento’ in lingua Swahili

Angolo dell'autore:
"Ciao a tutti!
Ecco a voi il quinto capitolo. Come ripetuto più volte, le Terre del Branco non sono ancora un luogo sicuro, perciò bisogna tenere gli occhi bene aperti anche dentro il proprio territorio... Come se la caveranno adesso i cuccioli?
Anche stavolta ho voluto dare spazio allo sviluppo caratteriale dei vari personaggi, in modo che possiate riconoscere degli elementi che torneranno utili più avanti.
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: il prossimo capitolo e i successivi verranno pubblicati solo il sabato, non farò nuovamente eccezioni.

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, rinnovo gentilmente la richiesta di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Servono 10 voti e ancora siamo a 3!
Grazie a chi lo farà!

*Edit 27-05-20:
Chiedo scusa ai lettori se sabato scorso non ho aggiornato con il sesto capitolo, ma sono stato poco bene e non ho avuto modo di editarlo per la pubblicazione. Provvederò sabato prossimo!

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Capitolo 6
*** Assalto nelle acque agitate ***


Il figlio di Mohatu si voltò di scatto e raggelò all’istante: un enorme coccodrillo riemerse dal fiume, schioccando furiosamente le proprie fauci.

«AHADI SCAPPA, VIENI QUI!» urlò Aheri all’amico, terrorizzato: il principe parve rinsavire e provò a fuggire, ma a causa della fretta scivolò malamente all’ultima piattaforma.

L’alligatore riemerse e si avvicinò con maniacale lentezza verso il gruppo di leoncini. Zozu stridette allarmato e si precipitò a terra.

«Andate alla Rupe, chiamate qualcuno!» gridò a Bure e Asali in tono autoritario: i due ebbero una piccola esitazione, ma poi corsero via verso il monolite visibile alle loro spalle.

«Fermati, per tutti gli spiriti!» disse poi rivolto al rettile gigante. «Cosa credi di fare?!» continuò perentorio, ma il suo interlocutore lo ignorò.

Ahadi sguainò gli artigli nel tentativo di aggrapparsi alla pietra, ma l’alligatore approfittò di quell’incertezza del cucciolo per spalancare le sue fauci nel tentativo evidente di divorarlo, ma il leoncino trovò appena in tempo la forza di risalire la piattaforma e saltò, nel tentativo disperato di sopravvivere.

«Signore, sta commettendo un gravissimo crimine, la avverto!» si sgolò il bucero piazzandosi davanti al leoncino nel tentativo di proteggerlo, ma l’alligatore parve ancora una volta sordo a quegli avvertimenti. «Principe, lo terrò a bada io, fugga oppure…!» fece il pennuto, ma prima che potesse concludere quella frase il coccodrillo emerse completamente fuori dall’acqua, mostrando completamente la propria enorme stazza: la coda gli si agitò nervosamente e il leoncino, intuendo il pericolo, afferrò il pennuto con le proprie fauci e lo lanciò lontano, mettendolo in salvo e riuscendo contemporaneamente a evitare la frustata che si abbatté sul masso in cui erano aggrappati.

Zozu ruzzolò via, atterrando malamente accanto ad Aheri e Uru: intontito, per qualche istante l’unica cosa che avvertì furono i ringhi sommessi dei leoncini e lo scialacquare dell’acqua provocato dal mostro marino. Quando rinvenne spalancò il becco con sgomento perché vide Ahadi in precario equilibro sopra il dorso viscido dell’alligatore, il quale aveva sbarrato la sponda del fiume nel modo di voltarsi: setacciò allora velocemente la superficie dell’acqua, accertandosi che nelle vicinanze non ci fossero altri compagni del mostro che stava attaccando il cucciolo con ferocia.

«Aiutatemi!» gridò il leoncino in preda al panico, la paura evidente nei suoi occhi verdi. Istintivamente Aheri si sporse sulla riva più che poteva, gridando «Salta sulla sua coda, Ahadi! Salta e ti prenderò io!», tendendo una zampa.

Uru afferrò le zampe posteriori dell’amico e le strinse con forza, permettendogli di allungarsi ulteriormente sopra la superficie, ma questi era ancora troppo lontano da Ahadi, non avrebbe mai potuto fare un salto tanto lungo; come se non bastasse, l’alligatore in quel momento avvertì distintamente il peso sopra la schiena muoversi appena e realizzò che la sua vittima stesse cercando di sfuggirgli. Con un movimento improvviso, manovrando la lunga coda colpì il principe e lo scaraventò in acqua.

«AHADI!» Urlò Uru con gli occhi rossi spalancati dal terrore, ben sapendo che il leoncino non sapesse ancora nuotare molto bene. Questi però riemerse tossendo con il ciuffo di criniera nero incollato sul muso, dopo aver ingollato una generosa quantità d’acqua.

«S-sto bene!» gridò di rimando per tranquillizzare l’amica, ma sapeva di non essere affatto al sicuro: subito dopo infatti avvertì uno strano movimento alle sue spalle, segno inequivocabile che il coccodrillo stava ritornando all’attacco; il leoncino tentò affannosamente di raggiungere l’ultimo masso per mettersi in salvo, ma il rettile riemerse in un vortice d’acqua sibilando bieco e con le fauci nuovamente spalancate, ricadendo su di lui prima che avesse raggiunto il punto di salvataggio.

Ahadi chiuse d’istinto gli occhi ormai paralizzato dal terrore, lottando contemporaneamente con il fiume per non affogare, ma proprio quando pensò che la sua vita era ormai finita, percepì un sibilo dolorante provenire da un punto non meglio precisato davanti a lui: i secondi passarono e il morso che attendeva non giunse, ma non osò aprire gli occhi finché una voce familiare non glieli fece spalancare, cogliendolo totalmente alla sprovvista.

«Non provare a mangiare il mio migliore amico, stupido rettile!» ringhiò quella voce.

Aprì gli occhi e con somma sorpresa trovò Aheri sopra la testa del suo aguzzino: il leoncino era saltato sulla bocca dell’alligatore, chiudendogli bruscamente le fauci per ostacolarlo dal suo intento omicida.

«Muoviti a salire lassù!» urlò risoluto e terrorizzato insieme, cercando di mantenere l’equilibrio in quel folle gioco per la sopravvivenza; Ahadi non se lo fece ripetere due volte e raggiunse finalmente la piattaforma con un grande sforzo, tremante per il freddo e l’angoscia, dopodiché saltò l’ultima pietra, con la salvezza ormai a un passo.

Voltandosi vide Aheri saltare sulla roccia dietro di lui, con l’alligatore ancora alle costole, infuriato e inesorabile: i due leoncini provarono a fuggire ma dall’acqua affiorarono ai loro lati altri due rettili, mettendoli in trappola.
«Che facciamo adesso?» sussurrò Aheri all’amico, in preda al panico. Ahadi non sapeva proprio cosa fare, paralizzato dal terrore e dal freddo.

«Adesso siete in trappola, piccoli impiastri insolenti» gracchiò il primo alligatore, mostrando i denti affilati in un macabro ghigno. «Imparerete a caro prezzo che la mia bocca non è un trampolino su cui potete giocare!» I due leoncini chiusero istintivamente gli occhi, sentendosi spacciati, ma all’improvviso dei ruggiti tonanti proruppero nell’aria, potenti e furiosi, sorprendendoli come un fulmine a ciel sereno.

Ahadi riconobbe il timbro di quei ruggiti e aprì gli occhi, sussultando di gioia: davanti a lui, un enorme leone dal pelo color grano e la criniera vermiglia aveva fatto la sua apparizione, furioso come non lo era mai stato prima d’ora. Una leonessa invece dal pelo chiaro e gli occhi smeraldini li afferrò prontamente per la coda, allontanandoli dalla fonte di pericolo.

«Come osate attaccare MIO figlio!?» ruggì collerico il maschio, sovrastando i tre rettili che nel frattempo erano arretrati.

«Come osate attaccare dei cuccioli!?»  proseguì, fremendo. Il rettile più vicino scoprì i denti in aria di sfida, pronto ad aggredirlo, ma Mohatu reagì istantaneamente, sferrandogli una zampata micidiale: dal solco provocato sulla spessa pelle uno schizzo di sangue macchiò la superficie dell’acqua, intorpidendola. L’alligatore fu costretto ad indietreggiare di parecchi passi con aria dolorante. Il leone poi si voltò di scatto verso gli altri due in modo intimidatorio, mettendo bene in mostra gli artigli affilati e scoprendo i denti: tanto bastò per farne scappare uno a zampe levate, terrificato dal Re.

«Fuori dalle zampe se non vuoi fare la stessa fine, leone da strapazzo» ringhiò un altro coccodrillo particolarmente grande, affiancando il compagno ferito.

«COME OSATE?!» Zozu si alzò in volo con il volto deformato dall’ira. «Avete la più pallida idea di chi avete di fronte, rivoltanti bestie?». Uzuri affiancò il compagno, scrutando con un’espressione indecifrabile i due aggressori, ma Mohatu non fece nulla per nascondere il proprio stato d’animo. In un attimo gli alligatori parvero rendersi conto del loro errore, a giudicare da come le loro pupille si allargarono dalla paura.

«N-n-non s-s-sarà m-mica il…» balbettò il coccodrillo ferito, ora tremante. Mohatu ruggì talmente forte da far trasalire anche l’altro.

«Perdonateci, sire… Non sapevamo che fosse vostro figlio…» sussurrarono atterriti.

«Non importa se siamo i sovrani» rispose in tono freddo la regina, «nessuno deve osare attaccare dei cuccioli indifesi, indipendentemente dalla loro specie. Avreste infranto la legge attaccando chiunque altro».

Zozu stava per intervenire, ma il Re gli scoccò un’occhiata furibonda e non disse nulla, così il leone si rivolse nuovamente ai due coccodrilli.

«Io vi ho già visti» ringhiò. «Siete la stessa banda di seccatori che hanno creato scompiglio di recente nella zona del fiume che attraversa la Pozza Grande» constatò, gli occhi ridotti a fessure.

Gli alligatori si scambiarono un’occhiata e deglutirono, rendendosi solo in quel momento in che guaio si fossero cacciati.

«Questa sì che è sfortuna», commentò ironicamente Zozu, incapace di trattenersi. «Fare arrabbiare Re Mohatu due volte nello stesso giorno non è da tutti».

«Silenzio, Zozu» tagliò corto il leone con veemenza. «Non credo alle coincidenze. Avevate un motivo più che valido per organizzare una rappresaglia contro di me».

«Non avevamo idea che quella insolente palla di pelo fosse…» replicò l’alligatore ferito alzando la voce, ma Mohatu lo sovrastò nuovamente.

«SILENZIO!» ruggì con il volto deformato dall’ira. «Quella palla di pelo insolente, oltre ad essere un cucciolo, è MIO figlio ed il TUO futuro RE!».

Mohatu era irriconoscibile agli occhi del figlio in quel momento: Ahadi lo aveva sempre visto come un leone pacato e tranquillo, gli unici momenti in cui il Re mostrava una certa aggressività corrispondevano sempre ai momenti dei pasti, ma ciò era considerato piuttosto normale. Ora però aveva scoperto un altro lato della personalità del genitore, comprendendo davvero per la prima volta perché suo padre venisse così rispettato da tutti gli animali della savana.

«N-n-no, Sire, ecco… noi non intendevamo… Insomma, non…» balbettò l’alligatore, facendosi piccolo e continuando a indietreggiare. «Quello che il mio amico intende dire…» intervenne l’altro rettile in tono più fermo, intento a tamponare il graffio sanguinante con una delle zampe, «è che i vostri cuccioli di leone stavano passando per questa zona del fiume, disturbando le acque e il nostro sonno. Sapete benissimo, non acquatici, che noi alligatori detestiamo essere importunati durante le ore di riposo, adulti o cuccioli che siano…»

«Questo non giustifica un accanimento» ringhiò Mohatu, scoprendo i canini. «Zozu stava scortando i cuccioli alla Rupe, non avevano alcuna intenzione di disturbarvi. Non prendetemi in giro» continuò «ultima possibilità per dire la verità».

Calò un lungo silenzio carico di tensione. Nessuno dei due parve tentato di confessare, così Mohatu sospirò. «Molto bene. Se è così, non mi lasciate scelta. Fuori dalle mie Terre e non fatevi mai più vedere» disse in tono efferato.
Entrambi gli alligatori non protestarono e si voltarono con aria succube, accennando un debole inchino al Re che li osservò allontanarsi, emettendo un basso ruggito percepibile a ogni respiro. I due aggressori così sparirono sotto la superficie del fiume, dileguandosi per l’ultima volta nell’oscurità delle acque profonde.

Con il sole ormai sparito dall’orizzonte, il Re si voltò verso il figlio con un’espressione ancora adirata: Ahadi ricambiò lo sguardo e scorgendo ancora la furia che tratteggiava il muso del genitore abbassò le orecchie, sconfortato e con gli occhi che gli si riempirono di lacrime, senza osar dire una parola.

«State bene?» Uzuri interruppe il silenzio, guardando con apprensione Uru, Ahadi e Aheri, ancora col pelo umido.

«S-sì…» balbettò la leoncina mentre il cucciolo annuì, scuotendo appena il ciuffo rossiccio, ma Ahadi rimase impietrito, senza accennare una reazione.

«Piccolo mio» sussurrò la leonessa avvicinandosi al figlio, ma questi si ritrasse, rivolgendole uno sguardo spaventato.

«Coraggio, torniamo a casa» li interruppe con voce roca il Re, facendo dietrofront, e con un cenno annuì alla compagna: aveva visto la reazione del figlio che intanto non riusciva a smettere di tremare. Ahadi sussultò istintivamente quando vide il padre avvicinarsi ma si fece comunque afferrare delicatamente per la collottola, senza opporre resistenza.

Uru seguì silenziosamente il leone, camminandogli il più vicino possibile e affiancata dal fratello Bure che le leccava il pelo per asciugarla, sentendosi ora al sicuro; Asali e Aheri invece seguirono Uzuri a pochi passi di distanza.
Nessuno osò fiatare durante la strada di ritorno: la stanchezza, ma soprattutto la paura provata poco prima, sembrava aver privato i cuccioli della loro consueta vitalità.

Quando giunsero ai piedi della Rupe Mohatu si arrestò, e così fecero gli altri cuccioli: Zozu li attendeva poco più avanti, essendo arrivato prima in volo, fissandoli con aria visibilmente agitata.

Mohatu poggiò a terra il proprio figlio con molta più calma di quanto desse a vedere e si sedette. La regina oltrepassò il compagno e il figlio, seguita dagli altri quattro leoncini e si incamminò in direzione della Rupe.

«Zozu, puoi andare a casa per oggi. Da qui in poi ci penso io» ordinò quietamente al maggiordomo, che annuì lentamente e dopo un breve inchino si alzò in volo, allontanandosi verso la Savana illuminata fiocamente dalla luna.

«Devo scambiare due parole con nostro figlio: vi raggiungeremo a breve, d’accordo Uzuri?» disse alla leonessa, che non si voltò indietro.

Ahadi fissò i propri amici e la madre sparire oltre il masso che conduceva alla piattaforma rocciosa della Rupe e abbassò il capo, incapace di voltarsi verso il padre: dopo averlo visto così infuriato con gli alligatori, temeva che quella stessa rabbia si sarebbe ora riversata su di lui; percepì il padre muovere un passo alle sue spalle, ma lui rimase immobile e continuò a tenere chino il capo senza dire una parola.

Mohatu si sedette compostamente davanti al cucciolo e poi parlò, scandendo bene le parole.

«Guardami, Ahadi, è con te che voglio parlare» intimò al figlio. Questi deglutì e alzò lo sguardo molto lentamente fino a focalizzarsi sull’espressione del padre che troneggiava davanti a lui, imponente come una montagna.

«Perché Uru e Aheri erano bagnati?» fu la prima domanda del leone. Il cucciolo esitò, ma si sentì appena più tranquillo.

«Uru è caduta in acqua mentre attraversavamo, l’ho aiutata» rispose con un sussurro. «Aheri invece mi ha salvato quando sono stato spinto in acqua, distraendo quel…quel…» si interruppe perché il Re lo scrutava con aria molto severa.

«Ho capito» tagliò corto e il cucciolo tacque, fissando sottecchi il genitore con aria spaventata.

Con enorme sorpresa però, Ahadi notò che il muso di Mohatu non era più attraversato dalla stessa collera di prima. Ora il suo sguardo celava una sincera preoccupazione.

«Non volevo spaventarti, figliolo. Mi sono lasciato un po’ andare» sussurrò il leone con un tono morbido. «Sono certo che dev’essere stata una brutta esperienza per voi. Non sono tanti i cuccioli di leone che possono dire di essere sopravvissuti a un attacco del genere».

Ahadi lo fissò a bocca aperta, preso totalmente alla sprovvista e mentre il padre gli sorrideva incoraggiante.

«N-non sei arrabbiato con me?» domandò con voce tremante. Il leone ricambiò il suo sguardo, stupito. «Con te? E perché dovrei, Ahadi?» provando una sensazione di sollievo e tristezza insieme, gli occhi del cucciolo si riempirono di lacrime, grato che non volesse urlargli contro.

Inevitabilmente proruppe in un pianto liberatorio, sfogando la tensione accumulata fino a quell’istante. «M-m-mi d-d-dispiace, papà…» balbettò, con le lacrime che sgorgavano copiose e bagnavano il terreno. «H-ho avuto t-t-tanta p-paura…» disse a fatica, disperandosi.

Mohatu sorrise comprensivo per la reazione del figlio e lo avvolse calorosamente con una zampa, in segno di affetto.

«Su, piccolo…» sussurrò, cercando di calmarlo, «è tutto finito adesso. Per fortuna io e tua madre siamo arrivati in tempo…» il leoncino strinse forte la sua zampa, sentendosi finalmente al sicuro: lentamente si quietò, e il suo respiro tornò ben presto calmo e regolare.

«Va meglio?» sussurrò il Re al figlio dopo un po’, e con una zampa asciugò una lacrima che gli solcava il musetto: quest’ultimo sorrise debolmente e annuì.

«Hm-hm» rispose timidamente.

«Bene così, questo è il mio Ahadi» replicò Mohatu, ora più tranquillo. «Adesso però ho bisogno che tu risponda ad alcune domande, figliolo. Dobbiamo scoprire esattamente cosa è successo e ho bisogno del tuo aiuto, te la senti?» chiese il leone cautamente.

Ahadi esitò, ma poi annuì sotto lo sguardo rassicurante del leone. «Ho bisogno che tu mi racconti cosa è successo nei minimi dettagli. Non tralasciare nulla, anche se ti sembra banale» disse al cucciolo.
 
«Noi… stavamo tornando a casa» cominciò Ahadi. «Eravamo al Sentiero dei Roditori, abbiamo giocato lì per tutto il tempo noi cuccioli. Poi Zozu è venuto a prenderci e abbiamo ripercorso la strada per tornare a casa… Ci siamo accorti che si stava facendo tardi… così Zozu ci ha suggerito di attraversare il fiume su quel viottolo… saltando sui massi».

Mohatu rimase in silenzio e fissò con intensità il figlio, il  quale si intimorì. «N… Non penserai che è colpa di Zozu, vero? Lui…» Il Re però scosse il capo, in segno di diniego. «Non vi avrebbe mai messo in pericolo di sua spontanea volontà, di questo ne sono certo. Ho affidato a Zozu la mia stessa vita in passato, e lo farei ancora senza esitare. Non temere per lui, figliolo» Ahadi aprì la bocca, ma non disse nulla.

Cercò di ricordare tutto quello che aveva vissuto, come gli aveva chiesto suo padre. «Sembrava tutto tranquillo… Aheri, Bure, Asali sono passati senza problemi… Poi appena Uru è caduta in acqua le cose sono cambiate» osservò, corrucciato. «Ho notato che l’acqua ha iniziato a vorticare sempre di più… poi tutto ha iniziato a muoversi… E dal nulla è sbucato uno di quei cosi… Mi ha trascinato in acqua… Aheri mi ha salvato ma ci hanno sbarrato la strada… Sono sbucati fuori altri due coccodrilli e… e… Infine tu e mamma siete arrivati» concluse il cucciolo, prendendo un lungo respiro affannato.

«Quindi vi hanno attaccato solo dopo che Uru è caduta nel fiume» ripeté il leone, pensieroso, mentre il cucciolo si limitò a stringere le spalle.

Padre e figlio rimasero immersi nel silenzio per alcuni minuti, finché Ahadi non riprese parola.

«Sai, papà» disse, titubante. «Hmm?» fece quest’ultimo.

«Pensavo… Non ti ho mai visto così arrabbiato con qualcuno» bofonchiò il leoncino. «Se devo essere sincero, anche tu mi hai fatto paura» aggiunse in tono mite.

Mohatu si voltò verso il cucciolo, sorpreso. «Ma è naturale, Ahadi: qualunque padre avrebbe reagito così se il proprio figlio fosse stato in pericolo di vita, e non oso pensare cosa sarebbe successo se fossi arrivato solo un istante dopo…»

Ahadi alzò il capo, incuriosito dal tono preoccupato del padre, che continuò «la paura può indurci a tirare fuori il meglio di noi per il bene degli altri, figlio mio, ma bada bene: anche il lato oscuro delle nostre emozioni può emergere. Cosa avrei fatto se fosse capitato qualcosa a te o ai tuoi amici?»

Ahadi abbassò nuovamente lo sguardo, pensieroso. «Allora hai avuto paura anche tu?» chiese, esterrefatto. Con sua sorpresa, Mohatu annuì.

«Ma… tu sei il Re, papà. Il Re non deve avere paura di niente, no?» replicò Ahadi, incapace di credere alle proprie orecchie.

Mohatu sorrise, ma il tono con cui rispose fu insolitamente serio. «Lascia che ti dica una cosa. Quando al mondo non hai nulla da perdere, essere coraggiosi è molto facile: si è più intraprendenti, spericolati e sprezzanti del pericolo. Ma quando ami immensamente qualcuno, anche più della tua stessa vita, e sei responsabile di altri individui, allora le cose cambiano» spiegò.

Ci fu una breve pausa silenziosa. «Forse hai ragione, Ahadi: il Re deve mostrarsi forte davanti ai suoi sudditi, coraggioso e senza paura per debellare i pericoli quotidiani e mantenere il regno prospero e in salute. Ciò non vuol dire tuttavia che tuo padre non abbia mai avuto paura… Questa sì che sarebbe una bugia bella grossa!» ridacchiò. «Essere Re non vuol dire soltanto fare ciò che si vuole, quando si vuole. Le mie decisioni e azioni hanno delle conseguenze su molti di noi. Posso nasconderlo, ma provo paura esattamente come qualunque altro animale, e ne hai avuto la prova quest’oggi. Mi sono infuriato con quegli alligatori perché temevo per la vostra vita, figlio mio» concluse.

Ahadi ripensò all’intervento di Mohatu e gli comparve un sorrisetto. «Sai una cosa? Quegli alligatori facevano tanto i grossi con noi e Zozu, ma appena hanno visto te e mamma sono scappati via a zampe levate!»
Mohatu sorrise con una punta di orgoglio. «Avrei proprio voluto vedere! Nessuno può permettersi di sfidare tuo padre, il Re delle Terre del Branco!» e anche lui si unì alle risate del figlio, finalmente entrambi rasserenati dopo le avventure di quella giornata. 


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"Ciao a tutti!
Ecco a voi il sesto capitolo. Per fortuna si è risolto tutto per il meglio, anche se ci è mancato davvero poco!
Temo di aver un po' esagerato con i riferimenti all'opera originale del Re Leone. Il mio obiettivo era una rivisitazione, ma in questo frangente ho calcato un po' troppo la mano e non era questa la mia intenzione, ma tant'è. Nei prossimi capitoli ci discosteremo parecchio, perciò cercherò di evitare che capiti ancora. Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: il prossimo capitolo verrà pubblicato sempre di sabato, ma tra due settimane.

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, rinnovo gentilmente la richiesta di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Servono 10 voti e ancora siamo a 3!
Grazie a chi lo farà!

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Capitolo 7
*** L'udienza nella Palude ***


Nei giorni successivi la disavventura occorsa ai cuccioli nei pressi del fiume ebbe delle conseguenze.

Il Re, insieme alla Regina Uzuri e al suo consigliere fidato, Zozu, decise di recarsi nel lago confinante a Est in modo da avere un confronto diretto con il capobranco degli alligatori che vivevano nelle Terre del Branco, ipotizzando un legame con i tre che avevano attaccato i leoncini.

Kondo[16], il leader, era in buoni rapporti con Mohatu e la famiglia reale, pertanto per il sovrano risultava abbastanza semplice riuscire a parlare con lui.

«Credi che saprà dirci qualcosa su ciò che è successo?» chiese Uzuri al compagno mentre gli camminava accanto, diretti verso il luogo prestabilito per l’udienza. Il leone sospirò.

«Non so neanch’io cosa spero di ottenere parlandogli, ma sono sicuro che Kondo non avrebbe mai permesso una cosa del genere se l’avesse saputo: la sua lealtà nei nostri confronti, come sai, è risaputa. Voglio vederci chiaro» disse in tono calmo. Uzuri non replicò, ma rimase comunque inquieta.

«Scusi se mi intrometto, Sire» esclamò Zozu che planava sopra le loro teste, «ma dubito che parlare con Kondo porterà a qualcosa. Non nego certo che siate degli ottimi amici, Mohatu, tuttavia… Insomma…». Tacque, esitante, allora il Re lo incalzò. «Cosa vuoi dire?»

Il bucero prese coraggio e atterrò sopra la testa di Mohatu. «Pensi con chi stiamo andando a discutere, Sire. Ammesso che i nostri sospetti siano fondati, il capobranco degli alligatori non ammetterà mai che alcuni dei suoi sottoposti si siano macchiati di un crimine tanto grave. Se ammettesse di essere stato a conoscenza di eventuali avvisaglie, causerebbe un incidente diplomatico non indifferente, prima di tutto. In men che non si dica, una rivolta nel loro gruppo è la conseguenza più plausibile che mi viene in mente, Sire. Inoltre» continuò, appollaiandosi sulla spalla del leone «gli alligatori sono una specie orgogliosa e molto aggressiva. Vivendo per lo più dentro le acque delle Terre del Branco e non fuori, molti di essi faticano a sottostare alle leggi che coinvolgono tutti gli altri mammiferi e uccelli. Alcuni gruppi nelle zone delle Terre di Nessuno si definiscono ‘Signori del Fiume’, persino…»

Mohatu a quel punto però lo interruppe, pacato. «Zozu, sono già a conoscenza di tutto questo, non temere: non stiamo certo andando dai nostri amici alligatori per dare vita a un altro conflitto; tutto quello che dobbiamo fare è accertarci dello stato delle cose e scoprire cosa ha indotto davvero quei tre individui ad attaccare Ahadi, Uru e gli altri cuccioli. Ignoriamo le identità di quei tre e solo Kondo può aiutarci».

All’udire il nome dei due leoncini, Uzuri parve ricordare qualcosa di impellente. «Mohatu ascolta, a proposito di Uru…» cominciò, ma dovette interrompersi perché la coppia reale era arrivata nel luogo in cui risiedevano gli alligatori.

Il lago che si estendeva alla loro vista era molto vasto e circondato da diverse zone paludose. L’acqua era torbida e scura, totalmente differente dalle pozze e fonti cristalline dove gli altri abitanti delle Terre del Branco erano soliti abbeverarsi, e circondata da una fitta vegetazione. Senza esitare, i tre vi si addentrarono.

Dopo essersi districati per un po' tra radici e fitte piante, Mohatu e Uzuri giunsero in un punto in cui la vegetazione si diradava, scorgendo la palude in cui erano diretti. Avvicinandosi cautamente alla riva notarono immediatamente la moltitudine di alligatori presenti dentro l'acqua scura; il maggiordomo deglutì, intimorito dai rettili, ricordando dolorosamente la brutta botta che aveva subito nel tentativo di difendere Ahadi dal pericolo.

«Non temere, Zozu» lo rassicurò il Re in tono quiete, e il pennuto annuì, seppur guardingo. Il leone si voltò verso la superficie scura dell’acqua e ruggì compostamente: diversi alligatori riemersero immediatamente attirati dal richiamo, ma molti altri lo ignorarono.

«Zozu aveva ragione, immagino» mormorò il leone rivolto alla compagna, schiarendosi poi la voce. «Sono il Re delle Terre del Branco, Mohatu» aggiunse in tono profondo, fronteggiando i rettili erano emersi dalla superficie che avevano posato lo sguardo su di lui con le pupille ridotte a fessure. «Devo parlare immediatamente con il vostro capobranco per una questione delicata. Sapete dirmi dove posso trovare Kondo, per caso?» chiese infine.

All’udire quel nome i pochi esemplari che erano emersi schioccarono le fauci, prima di sparire nuovamente sott’acqua; la superficie si agitò all’improvviso, come scossa da una scarica elettrica, finché qualcosa sgusciò fuori dalla riva e subito dopo comparve di botto davanti a Mohatu, fronteggiandolo.

Zozu saltò in aria, colto di sorpresa mentre Uzuri indietreggiò, spaventata dall’apparizione improvvisa; l’unico che rimase impassibile fu proprio il leone, che ricambiò lo sguardo del coccodrillo dall’alto in basso.

Kondo era enorme. Segnato da grandi e vivide cicatrici, il corpo longilineo e possente giustificava la sua posizione nella scala gerarchica. I compagni, a debita distanza, lo fissavano con timore reverenziale; poi una voce che somigliava più a un ringhio sommesso ruppe il silenzio carico di tensione.

«Quale onore ricevere udienza dal Re delle Terre del Branco direttamente nel proprio uscio di casa… Sire» mormorò, sorridendo con un cipiglio arrogante. Mohatu non rispose ma sostenne lo sguardo: rimasero immobili per lunghi istanti con gli altri alligatori in allerta, pronti ad attaccare alla minima provocazione, ma i secondi passarono senza alcun imprevisto.

Kondo finalmente parve soddisfatto e fece due passi indietro: il clima si rasserenò all’istante e i suoi compagni ritornarono a muoversi pigramente nel lago.

«Sono sorpreso. Credevo che avresti reagito bruscamente al mio benvenuto» esclamò Kondo al leone, ridacchiando.

«So che metti alla prova i visitatori. Se avessi voluto attaccare me o la mia compagna, non credo che sarei nemmeno riuscito a chiedere di te ai membri del tuo gruppo» spiegò Mohatu gentilmente.

L’alligatore lo squadrò stringendo gli occhi, concentrato. «Sei un leone davvero strano, Mohatu. Forse è per questo che andiamo d’accordo… Relativamente, per essere chiari».

In assenza di ostilità, il leone si sentì abbastanza al sicuro da fare un cenno a Zozu e a Uzuri in modo che potessero avvicinarsi anche loro.

«Cosa ti porta qui, Re delle Terre del Branco? Non sono molto frequenti le visite di voi leoni da queste parti» domandò Kondo al leone senza fare troppi preamboli. Mohatu non rispose subito: anche se era in buoni rapporti con l’alligatore che aveva davanti, era fondamentale scegliere con cura le parole da usare per evitare incomprensioni.

«In effetti no, Kondo. Sono venuto per chiederti se sei al corrente di quanto accaduto nei pressi della Rupe dei Re, qualche giorno fa. Una spiacevole faccenda che ha coinvolto mio figlio e alcuni alligatori».

Il capobranco rimase rigido come un masso, ma Uzuri e Zozu avvertirono distintamente un basso ringhio dopo quelle parole.

«Non so di cosa stai parlando, Mohatu. E francamente trovo vagamente offensiva la tua velata accusa» mormorò infatti il coccodrillo senza nascondere la propria irritazione.

«Ti sbagli Kondo, lungi da me dal fare un’accusa senza alcuna prova» replicò il Re. «Anzi, come la Regina Uzuri potrà confermare, io nutro la massima fiducia nei tuoi confronti e sono sicuro che ci sarai di grande aiuto nel chiarire questa faccenda».

«È così» confermò la leonessa, fidandosi del compagno. «Pensiamo che tu non abbia nulla a che fare con questo assalto».

L’alligatore li scrutò in silenzio con espressione indecifrabile. I due leoni e Zozu rimasero in attesa e col fiato sospeso, nella speranza che non si fosse indispettito troppo.

«Parlate» rispose infine in tono piatto.

Mohatu scambiò un’occhiata con Uzuri che annuì impercettibilmente.

«I nostri cuccioli sono stati attaccati da tre alligatori un paio di tramonti fa e apparentemente senza un motivo valido» cominciò a raccontare Mohatu.

«Uno l’ho ferito personalmente per legittima difesa, aveva tentato di attaccarmi e ho dovuto reagire. Conoscevo i soggetti in questione, avendoli incontrati poco prima quello stesso giorno: in una delle fonti d’acqua più grandi avevano assalito un paio di animali mentre si abbeveravano e rivendicato quella zona come loro proprietà esclusiva».

Kondo lo fissò intensamente: poi sorrise, beffardo. «E con ciò? Ci sono centinaia di alligatori nelle Terre del Branco. Anche se il mio gruppo è il più numeroso, non è detto che questi trasgressori siano sotto la mia guida» osservò.

«Qui inizia la parte strana» replicò Mohatu, insolitamente serio. «Non potevo tollerare un attacco diretto alla mia famiglia senza che mi dessero alcuna spiegazione. Sono stato costretto a esiliarli e non hanno fatto alcuna resistenza. Non una protesta o un lamento. Hanno fatto dietrofront e sono filati via».

Kondo inarcò le sopracciglia: stava perdendo la pazienza rapidamente. «Inizi a stancarmi con queste storielle senza senso, Mo…» ma il leone sovrastò la sua voce, continuando il proprio racconto. «Mentre riportavo i cuccioli al sicuro, ho chiesto a Zozu di tornare a casa. Ficcanaso com’è, però, il mio maggiordomo ha ritenuto necessario tenere d’occhio i movimenti dei tre esiliati per accertarsi che uscissero dalle Terre del Branco senza creare ulteriori problemi, ma a un certo punto hanno fatto una deviazione. Indovina dove erano diretti?»

Il bucero deglutì all’occhiata penetrante che l’alligatore gli rivolse ma sostenne fieramente lo sguardo, cercando di mantenere un portamento regale e austero.

«Illuminami» replicò Kondo in tono piatto, tornando a fissare il Re.

«Proprio qui, nella Palude Mamba[17]» rispose Uzuri in tono serissimo.

«Non ricordo di averli visti passare da queste parti» ribatté l’alligatore, ostinato.

«Oh, ti prego» lo incalzò all'improvviso Zozu senza riuscire a trattenersi. «La palude è sorvegliata dalle tue sentinelle in ogni momento del giorno, è impossibile che tu non ne sappia nulla!». Nel frattempo si era alzato in volo, portandosi a distanza di sicurezza. L’alligatore alzò la testa e sembrò quasi maledirlo mentalmente.

«Hmph. È proprio un pennuto irritante, come fai a sopportarlo tutto il santo giorno?» domandò al leone, che sorrise lievemente a quell'affermazione.
 
«Per tutti gli spiriti, e va bene» ammise infine Kondo in tono quasi disgustato, roteando gli occhi. «Li conosco, lo ammetto, e me ne dolgo profondamente. Quei tre idioti facevano parte del nostro gruppo».

«Davvero?» chiese Uzuri, intervenendo.

«‘Facevano’?» domandò all’unisono Mohatu, sorpreso. L’alligatore parve restìo a parlarne, ma sotto lo sguardo fermo del Re fu costretto ad annuire.

«Ma certo. Sono nati e cresciuti qui, erano miei sottoposti. Sin da cuccioli creavano problemi di continuo: agitavano le acque facendo scappare le prede, litigavano per il cibo, discutevano sempre gli ordini… E crescendo sono diventati anche peggio, tanto da mettersi in testa malsane idee» raccontò l’alligatore, ora furibondo.

«Cosa ti hanno detto quando sono tornati dal versante vicino la Rupe?» chiese Mohatu. Kondo inarcò un sopracciglio a quella domanda.

«Secondo te? Mi hanno raccontato che li hai attaccati senza alcun motivo. Sono tornati gridando vendetta per l’affronto che avevano subìto e hanno preteso il supporto del gruppo per un secondo assalto» esclamò. Zozu spalancò il becco inorridito, semplicemente sconvolto da quella rivelazione.

«Senza alcun motivo?! Sua maestà il Re avrebbe…?! Hanno quasi ucciso me e il Principe Ahadi!» commentò, palesemente stizzito.

«Non agitarti pollo ceruleo, e lasciami finire» lo interruppe l’alligatore impaziente, e si rivolse nuovamente alla coppia di leoni. «Ovviamente ho pensato si fossero bevuti il cervello e non ho creduto a una sola parola di quello che mi hanno raccontato» disse.

«Avevo capito che i leoni c’entravano qualcosa, intendiamoci, ho riconosciuto l’odore che avevano addosso ed era palesemente il vostro. Ma neanche per un istante ho creduto che tu li avessi attaccati senza motivo». Zozu a quel punto tacque e si appollaiò sulla spalla del Re, tranquillizzato.

«Grazie» mormorò Mohatu, sollevato dal fatto che almeno il suo amico ragionasse. «Poi che è successo?» gli chiese.

«Gli ho intimato di dirmi la verità» continuò l’alligatore, «e dopo un po’ è saltato fuori che volevano fartela pagare perché li avevi cacciati da una pozza d’acqua che avevano occupato».

«La storia coincide, se non altro» constatò Mohatu suo malgrado.

«Ad ogni modo» continuò Kondo rabbuiandosi, «dopo aver negato il mio consenso a quella follia qualcosa è cambiato in loro». I tre ascoltatori notarono un cambiamento nel tono di voce del coccodrillo, diventando assai più aggressivo.

«Hanno cominciato a farneticare accuse anche contro di me. Volevano dare una scossa alla nostra specie, un cambio di rotta decisivo dicevano… All’improvviso io come capobranco non gli andavo più bene» rise in tono tetro, «e sapete cosa hanno fatto quei tre ingrati? Mi hanno sfidato».

I due leoni lo fissarono, sorpresi. «Non mi starai dicendo che…?» cominciò Mohatu, ma l’altro lo interruppe.

«Esattamente ciò a cui stai pensando, maestà. Waasi[18] si è fatto avanti, convinto di potermi battere solo perché è riuscito a incassare un colpo dal Re in carne ed ossa, borioso e quasi fiero di quel graffietto che gli avevi fatto. Non lo trovi ironico anche tu?» concluse amaramente guardandolo negli occhi. Il leone non rispose e calarono in un breve silenzio che fu interrotto nuovamente dall’alligatore.

«Quel… pezzente» disse con la voce intrisa d’odio e con gli occhi che brillarono nella semi-oscurità, «ha osato reclamare il Mashindano[19] contro di me… ME! Dopo averlo cresciuto come un figlio… Dopo avergli insegnato tutto ciò che sapevo…» ringhiò, agitando la coda nervosamente.

«Avrebbe potuto essere un buon leader, sapete. Era più giovane, ma credeva anche di essere più forte. La sua arroganza gli è costata cara. Ha avuto comunque la gentilezza di lasciarmi un bel ricordino, come potete vedere…» e fece notare ai presenti solo in quel momento una profonda ferita appena cicatrizzata sul fianco.

«Che fine ha fatto?» chiese Uzuri ingenuamente. «Sai dirci dove possiamo trovarlo?».

Kondo si voltò lentamente verso di lei e ridacchiò, lasciandosi sfuggire un basso ringhio. «Oh sì, so dove potete trovarlo. Volete i dettagli su come ho staccato la testa a quel traditore o preferite la versione concisa, miei cari sovrani?» domandò, glaciale.
Mohatu fece una smorfia mentre la Regina rabbrividì, pentendosi di averglielo chiesto e scosse il capo velocemente; Zozu invece si passò un’ala sul collo esile, inorridito. L’alligatore posò di nuovo lo sguardo sul leone e riprese il discorso.

«Per quanto riguarda gli altri due, da indegni codardi quali erano se la sono filata ancor prima che la testa di Waasi finisse in fondo alla palude, perciò risultano ufficialmente banditi dal mio branco. So che non approvi questi metodi, Mohatu» lo anticipò, perché il Re lo fissava con uno sguardo carico di disapprovazione, «ma sono stato costretto. Sai benissimo che questa è una legge che va al di là di qualsiasi regola tu possa promulgare e io ho agito come ritenevo opportuno in quel momento per il bene del mio gruppo».

Mohatu scosse il capo, risentito. Aveva ragione dopotutto, non poteva opporsi a quella legge superiore.

«Conosco le origini del Mashindano e non discuterò oltre, se come dici è stato lui a sfidarti per primo» disse infine il leone. «Non ritengo tuttavia plausibile la necessità di ucciderlo, Kondo. Potevi dargli una lezione e bandirlo, il rito non prevede necessariamente una morte».

L’alligatore ghignò ancora. «La prossima volta che sarò in vena di farmi trucidare me lo ricorderò, Mohatu» commentò sarcastico. «Ho lottato per difendermi. Non ne vado fiero ma Waasi era andato troppo oltre, diventando un pericolo per sé e per gli altri: non potevo permettere che vivesse, nemmeno da esiliato».

«Bisogna darci un taglio con questa violenza!» replicò il leone, infervorandosi. Il brusco cambio di tono fu percepito immediatamente dagli altri rettili e una dozzina di occhi gialli riemersero dalla superficie mettendosi in ascolto.

«Per quanto possa essere illuminante questo consiglio, maestà» replicò Kondo con enfasi sull’ultima parola, «non ho bisogno del tuo parere su come gestire il mio gruppo. Le minacce vanno eliminate se necessario, Mohatu, prima che siano loro ad eliminare te. Specie se provengono da quelli di cui ti fidavi maggiormente e tu dovresti saperlo bene» disse infine, 
incamminandosi verso la riva del fiume.

Al Re parve di risentire le parole di suo fratello Choyo, riferendosi a Uru: ‘È questa la fine che devono fare, prima che abbiano la possibilità di ucciderti per vendetta’. Capì che non avrebbe ottenuto altro dall’alligatore e si alzò. «Molto bene, suppongo non ci sia altro da dire. Mi ha fatto piacere rivederti, Kondo» disse infine, in tono vagamente deluso. Uzuri imitò il compagno e aggiunse «ti ringraziamo per le informazioni».

L’alligatore grugnì, soddisfatto. «Buona giornata, maestà» li congedò, e Zozu guidò in volo la coppia reale verso l’uscita della palude, conducendoli nei prati verdi delle Terre del Branco.

Quando il trio fu abbastanza lontano, Kondo fu avvicinato da due simili, che lo approcciarono con cautela.

«Capo» mormorò uno dei due, preoccupato. Il grosso alligatore che gli dava le spalle non diede segno di averlo sentito. «Mi domandavo…» proseguì l’altro, titubante. «Non è mai un bene quando voi idioti cominciate a fare domande» replicò Kondo, secco. «Che cosa volete?»

Entrambi i suoi sottoposti deglutirono. «N-non a-a-avremmo potuto chiedere al Re… D-dato che siete amici, ecco…» il coccodrillo ammutolì allo sguardo assassino che gli rivolse il capogruppo, così intervenne l’altro «se poteva aiutarci a risolvere il nostro piccolo problemino con i licaoni…?».

Un semplice ringhio da parte di Kondo bastò a farli arretrare un paio di metri. «Dovrei umiliare me e il nostro gruppo di fronte al Re delle Terre del Branco e chiedere aiuto per una bazzecola tanto ridicola?» chiese in tono serafico.

«Ma… Ma Signore» obiettò uno degli alligatori col capo chino, «i licaoni non sono mai stati una grana per noi… Tutto è cambiato però da quando sono entrati in combutta con quel tipo inquietante». Kondo sbuffò, irritato.

«Sciocchezze» rispose. «I licaoni non sono così stupidi da farsi abbindolare da un solo soggetto. Tuttavia è pur vero che sono sempre stati indipendenti e subdoli, ma mai così letali. Dev’esserci sotto qualcosa di strano» rifletté ad alta voce.

«A-a-appunto!» esclamarono i due alligatori. «Abbiamo subìto delle perdite preoccupanti e sua Maestà non ne è ancora al corrente… Sono sicuro che ci aiuterebbe a trovare una soluzione…» propose, ma Kondo lo interruppe.

«Mohatu ha già abbastanza grane a cui pensare con i seccatori oltreconfine, non intendo angustiarlo anche con questa faccenda. Siamo leali alla Corona delle Terre del Branco, è nostro dovere difendere il territorio dando il nostro contributo» disse. «Pattugliate l’area in cui si sono consumate le ultime due aggressioni e fornitemi rapporti regolari. Se la situazione dovesse precipitare informerò immediatamente il Re, ma per adesso vediamocela da soli» diede istruzione ai rettili di fronte a lui.

«Ora andate voi due, levatevi dalle zampe prima che cambi idea» li intimò infine, osservando con aria vagamente preoccupata i due sottoposti sparire in fretta sotto le acque della palude.
 
[16] Kondo: guerriero, nella lingua Swahili.
[17] Palude Mamba: Il luogo in cui vive Kondo e il gruppo di alligatori di cui è il leader. ‘Mamba’ significa ‘Coccodrillo’ in lingua Swahili.
[18] Waasi: Vuol dire ‘stupido’ in lingua Swahili.
[19] Mashindano: Antico rituale di combattimento; quando un coccodrillo invecchia o è ritenuto inadatto a essere il leader, un altro coccodrillo può sfidarlo a una lotta fisica. Lo scontro si conclude solo se uno dei due sfidanti perde la vita o si arrende: chi rinuncia alla lotta viene bandito dal branco, mentre il vincitore prende il controllo dei rimanenti coccodrilli. Tale rituale è applicabile a tutte le specie carnivore della Savana, ma è una pratica barbara di lotta primordiale che Mohatu sta cercando di abolire nel suo regno.


Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Ecco a voi il settimo capitolo.
Adesso ci spostiamo verso l'introduzione di alcuni personaggi un po' più dark e che influiranno sulla vita delle Terre del Branco e sui loro abitanti.
Questa volta ho volutamente scelto di introdurre un elemento pre-esistente e proposto nella serie 'The Lion Guard', il rito del Mashindano per l'appunto. Avrà un ruolo importante nella storia e simboleggia in modo evidente il passaggio che Mohatu sta cercando di compiere tra l'era buia che ha vissuto in gioventù e quella di pace che sta costruendo dopo essere diventato Re.
Piccolo spoiler: la prossima volta daremo spazio alle iene che verranno introdotte per la prima volta nel dettaglio! 


Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.
Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: il prossimo capitolo verrà pubblicato sempre di sabato, tra una settimana spero. Se dovessero esserci imprevisti farò un edit con una comunicazione.

P.P.S: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, rinnovo gentilmente la richiesta di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Servono 10 voti e ancora siamo a 3!
Grazie a chi lo farà!

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Capitolo 8
*** Cambiamenti per il futuro ***


Sulla via del ritorno, usciti finalmente dalla palude Mohatu si sentì più tranquillo, nonostante il colloquio avuto con l’amico rettile lo avesse parzialmente deluso.

«Che maleducazione» sibilò indignato Zozu a denti stretti, sopra le teste dei due leoni. «Ha proprio una faccia tosta quel Kondo!».

«Ammetto che non condividiamo lo stesso punto di vista in certi aspetti, ma Kondo è leale alle Terre del Branco» replicò Mohatu senza voltarsi.

«Si ma… Cosa abbiamo scoperto in fondo? Era ovvio che si sarebbe chiamato estraneo a quanto successo, Sire. E non abbiamo la certezza che quanto abbia detto corrisponda a verità» obiettò Zozu ostinato, ma Uzuri scosse il capo.

«Diceva il vero. Le leonesse di pattuglia hanno avvistato due alligatori abbandonare il nostro territorio nel cuore della notte…» spiegò, «e il giorno prima dell’agguato avevo incontrato Kondo. Senza ferite recenti» aggiunse il Re. Il bucero parve sorpreso dalle nuove informazioni e si arrese all’evidenza. «Immagino di essere stato un po’ troppo prevenuto nei loro confronti… un buon maggiordomo dovrebbe essere più imparziale» mormorò, un po’ abbattuto.

«Nessuno ti biasima dopo ciò che è successo» lo rassicurò Mohatu, ma il leone pensando nuovamente alla storia dell’alligatore si rabbuiò. «Perché andare contro la guida di Kondo? Non capisco cosa sia passato per la testa al suo discepolo…» rifletté ad alta voce.

Zozu ancora una volta rispose prontamente. «Ci sono sempre delle mele marce in ogni branco, Sire…».

«Può darsi» intervenne Uzuri «che avessero un differente modo di vedere le cose. Gli alligatori sono di natura piuttosto bellicosa, non sarebbe la prima volta che un giovane tenta di imporsi al più vecchio».

Mohatu non rispose e si limitò ad annuire, poco convinto. Continuava a rimuginare su quell’episodio dalla notte dell'aggressione, era fondamentale prevenire in tempo qualunque minaccia, prima che divampasse in modo incontrollabile.

«Zozu, hai preparato il rapporto sulla pattuglia di questa mattina?» esclamò improvvisamente voltandosi verso il bucero, che parve sorpreso dalla richiesta: tuttavia il bucero domò all'istante l'esitazione e si schiarì la gola, pronto a parlare.

«Come già riportato nei giorni precedenti, Sire, posso garantirle che neanche oggi è accaduto qualcosa fuori dall’ordinario in seguito alla faccenda che ha coinvolto i cuccioli. I gruppi minori di caccia, ovvero i leopardi, i ghepardi e le iene, si sono regolarmente distribuiti i turni senza alcun intoppo di sorta. Nessuno degli informatori del sottosuolo, durante la ronda, mi ha segnalato anomalie di sorta durante la notte e le prime luci dell’alba…», ma a quel punto una voce alle loro spalle lo interruppe.

«Allora credo che dovresti cominciare a cercare qualche altra sentinella, visto che quelle attuali non sembrano essere in grado di svolgere il proprio lavoro» disse qualcuno dall’aria familiare. Voltandosi, il trio riconobbe con aria sbigottita la figura del fratello di Mohatu avanzare con aria tranquilla verso di loro.

«Choyo!» esclamò il Re a bocca aperta. «Cosa fai qui?»

«Sono venuto a trovare mia cognata e il mio caro fratellone per ascoltare le litanie del tuo fedele pennuto» ribatté ironicamente l’altro. Zozu si bloccò a mezz’aria e atterrò sulla spalla di Uzuri, fumante di rabbia.

«Dico sul serio» lo avvertì Mohatu, ma guardando negli occhi del fratello capì che c’era qualcosa di serio nel suo comportamento stavolta.

«Ho sentito strane voci all’alba, nel confine tra il cimitero e l’insediamento delle iene» cominciò il leone più piccolo. «Pare che il capoclan voglia venire a farti visita con una piccola delegazione per questioni politiche». La notizia lasciò perplessi i presenti.

«Impossibile» esclamò il bucero, agitato. «Non sono stato informato!» insistette.

«Evidentemente» replicò Choyo sarcastico alzando appena lo sguardo, poi si rivolse nuovamente al fratello. «Secondo quanto ho scoperto dovrebbero arrivare tra poco, perciò penso sia il caso che il Re e la Regina si facciano trovare alla Rupe, non trovate?»

«Naturalmente» annuì Mohatu affrettando il passo, e tutti insieme si avviarono verso il monolite roccioso.

«Hai saputo l’argomento della conversazione che stiamo per affrontare?» domandò il Re pensieroso.

«Qualcosa riguardo alla distribuzione dei turni di caccia» rispose il fratello in tono distratto mentre camminavano.

«Devo fare una piccola deviazione adesso, ci si vede alla Rupe» annunciò Choyo dopo aver camminato per un tratto insieme al gruppo.

«Come, vai via di già?» cercò di fermarlo il Re, un po’ deluso: era raro che avesse delle conversazioni tranquille con il fratello… Ma se ne pentì quasi subito, perché Choyo si arrestò e disse, con un sorrisetto stampato sul muso:

«Ho il mio bel da fare, grazie a Sua maestà il Re e al suo patetico maggiordomo che non sa fare il proprio lavoro… Povere Terre del Branco» e si avviò a grandi passi, accompagnato dalle urla irate del bucero.

Uzuri attese che il leone fosse abbastanza lontano per poi rivolgersi al compagno, ma questi si voltò verso Zozu, ancora fumante.

«Vai a parlare con la delegazione di iene e informali che stiamo arrivando, per favore» ordinò risoluto. Il bucero però non parve molto contento di quell’istruzione.

«Signore!» protestò, irritato. «Se questa notizia fosse vera lo avrei saputo, sa che sono in grado di svolgere il mio lavoro, al contrario di Choyo, quel…» ma prima che potesse concludere la frase fu interrotto.

«Attento a quello che dici, Zozu» lo avvertì Mohatu, severo. «Choyo fa perdere facilmente la pazienza, ma le poche volte che svolge il suo lavoro lo fa in maniera impeccabile. Mi fido di ciò che ha riportato, perciò adesso vai, per favore» ordinò con la consueta pacatezza.

Sconfitto, il bucero annuì e fece un inchino a mezz’aria. «Ai suoi ordini, maestà. Sarò di ritorno a breve». I due leoni lo osservarono allontanarsi in volo fino a sparire, finché non si misero nuovamente in cammino. Mohatu notò che la compagna al suo fianco era molto silenziosa.

«Cosa succede, Uzuri?» le chiese; la leonessa non rispose subito, ed evitava il suo sguardo.

«Sono preoccupata. Con tutto quello a cui dobbiamo già pensare, gli alligatori ribelli… Ci mancavano solo le iene a protestare» confessò, mordendosi un labbro. «C’è qualcosa di cui volevo parlarti, prima di tornare a casa» disse infine al leone senza voltarsi.

Mohatu rimase in ascolto senza dire una parola, finché non ricordò che la compagna voleva parlargli di qualcosa appena prima che arrivassero nella palude.

«Volevi parlare di Uru, giusto?» chiese. La leonessa si voltò di scatto, vagamente sorpresa dal suo intuito, e annuì lentamente. «Già, proprio lei… E anche di Nya».

«Ti ascolto» disse, mentre i due si sedevano.

«Ecco…» cominciò Uzuri titubante, «Uru è una leoncina splendida. È dolce, curiosa ed è molto sensibile a tutto quello che la circonda. Noi tutti riteniamo che il giorno in cui la salvasti fu una vera e propria benedizione per tutto il branco».

Il Re accennò un tiepido sorriso: sebbene le parole della compagna lo rincuorassero non poté fare a meno di ricordare le circostanze in cui si era reso necessario quel salvataggio.

«Nya ormai la considera sua figlia al pari di Bure sebbene Uru sappia che non hanno alcun legame di sangue, e la piccola sembra essere felice così. Ultimamente però, Nya dice che ha iniziato a fare delle domande. Chiede della sua vecchia famiglia, dei suoi veri genitori, del branco a cui appartenevano».

Il leone chinò il capo, rabbuiandosi. «Non è ancora pronta per un simile passo, Uzuri» disse in tono sommesso. «Io non sono pronto».

La leonessa aprì la bocca per ribattere, ma il compagno la anticipò nuovamente. «Come posso dirle che il suo vero padre è morto in quel modo così orribile per salvarla? Che sua madre non aveva abbastanza forze per sopravvivere al parto? Che il suo branco è stato distrutto da quello che l’ha accolta?!».

La leonessa scosse il capo. «Hai perfettamente ragione, Mohatu. Tuttavia, il passato non si può cambiare, ricordi? E dalle nostre azioni abbiamo senz’altro avuto modo di trarne qualcosa di positivo».

Mohatu abbassò lo sguardo, contrito, e la leonessa proseguì il discorso.

«La rovina del branco di Kito è stata la siccità, non la battaglia contro di noi. La fame ha indebolito la madre di Uru tanto da ucciderla nell’atto di partorire. La disperazione ha spinto suo padre ad attaccarci, eppure tu sei riuscito a farlo ragionare! Hai salvato Uru, avevi salvato suo padre e hai fermato un inutile massacro. Hai dato un futuro a una creatura innocente, Mohatu, onorando la memoria di quel povero leone e non c’è nulla di più nobile in questo. Uru merita di sapere che tutti noi le vogliamo bene!»

Il leone si sciolse in un sorriso all’espressione tanto infervorata della compagna. «Sei tanto cara, Uzuri» le sussurrò, «ma non cambierò idea per adesso. Uru merita di conoscere le sue origini, ma non di crescere troppo in fretta. Ritengo che per il suo bene sia meglio lasciarle vivere la sua infanzia con una famiglia e un branco disposto a prendersi cura di lei, senza alcun fardello ad opprimerla».

Uzuri finì di ascoltare il leone e lo fissò con un misto di sorpresa e vergogna. Si era resa conto solo in quel momento che stavano parlando di una cucciola di pochi mesi, non di una leonessa adulta, senza mostrare alcun tipo di empatia.

«Le diremo la verità, puoi starne certa» precisò il Re, quasi a consolarla. «Solo… Non ora. Spero tu capisca le mie ragioni». La leonessa annuì decisa e si scambiarono un sorriso.

«Sono molto uniti lei e nostro figlio, non trovi?» chiese poi il Re dopo un lungo silenzio e aver ripreso a camminare verso la Rupe.

«Oh, sì è vero» confermò la compagna, sollevata per il cambio di argomento. «I cuccioli vanno tutti molto d’accordo, ma effettivamente Ahadi tende ad apprezzare particolarmente la compagnia di Uru».

«Già, è proprio a questo che mi riferisco. Ho avuto modo di osservarla in questo periodo, e in lei vedo delle caratteristiche che hanno da sempre contraddistinto le migliori Regine delle Terre del Branco. In effetti, oserei dire che ti somiglia molto in questo aspetto» disse in tono tranquillo.

«Suppongo di sì» replicò Uzuri, ma le parole del leone non la convinsero del tutto. «Dove vuoi andare a parare, Mohatu? Non starai mica suggerendo di proporre Uru come Regina, vero?» gli chiese andando dritta al punto.

«Perché no?» domandò di rimando, sorridendo. La leonessa assunse un’espressione stupefatta e arrabbiata insieme.

«Come puoi pensare a una cosa del genere proprio adesso?!».

«Come Re è mio compito salvaguardare non solo il presente, ma anche il futuro del nostro branco… Perciò sto valutando la possibilità di scegliere una degna compagna per nostro figlio». Uzuri non poteva credere alle sue orecchie pensando che fosse solo uno scherzo. Mohatu, d’altro canto, non era solito burlarla su argomenti di quel tipo.

«So che può sembrare precipitoso… Ma io li vedo molto bene, insieme. Uru potrebbe seguire le tue orme e diventare un sostegno fondamentale per Ahadi con i tuoi insegnamenti, esattamente come tu lo sei per me».

«Mohatu, sii ragionevole! Sono a malapena dei cuccioli, non sanno nulla di amore!» protestò la leonessa. «Come puoi essere certo che le cose tra loro funzioneranno quando diventeranno adulti? Non sono sicura che un fidanzamento deciso contro la loro volontà possa essere la migliore soluzione per il futuro del regno…».

Il leone non si scompose. «Con noi ha funzionato tutto alla perfezione, perché con loro non dovrebbe?» chiese, tranquillo.

«Non è la stessa cosa» sbottò la regina, irritata. «Non eravamo così piccoli e le circostanze erano completamente diverse. I nostri branchi erano alleati…»

«E tu eri cotta di me» la interruppe il leone con un sorrisetto. «Nei tuoi sogni» replicò ironica la compagna alzando gli occhi al cielo, «al massimo ti tolleravo».

Mohatu scoppiò a ridere. «Stai mentendo! Se non ricordo male mi chiamavi ‘piccolo idiota saccente’ perché ti rimbeccavo sempre, o forse la memoria mi inganna?».

Uzuri si voltò di spalle ma sorrise a quel dolce ricordo. «Lo sei ancora, sai? Solo che adesso sei un enorme idiota saccente».

«Il tuo enorme idiota saccente» replicò il compagno, leccandole la guancia affettuosamente. La leonessa ricambiò, posando nuovamente lo sguardo su di lui: quella incrollabile fiducia e sicurezza che dimostrava nelle decisioni era un atteggiamento tipico del leone che amava.

La coppia si accoccolò sull’erba, scambiandosi tenere effusioni e giocando a rincorrersi, proprio come due cuccioli; il loro momento romantico, tuttavia, fu presto interrotto dal ritorno di Zozu, che aveva terminato la sua perlustrazione. «Sire, torno adesso dal confine Nord» si annunciò con il solito tono pomposo. «Le iene sono in marcia verso la Rupe, come preannunciato da suo fratello».

«Allora mettiamoci in marcia, non ci metteremo molto ad arrivare alla Rupe» disse il Re, alzandosi.

«Sire» lo interruppe il bucero, «Non è tutto» aggiunse con un tono strano. «Non ho riconosciuto il loro leader. Dev’essere cambiato recentemente, ma temo di essere all’oscuro della sua identità».

I due leoni si scambiarono un’occhiata confusa: dovevano vederci chiaro, c’era qualcosa di strano in quella storia.

«Torniamo alla Rupe, adesso» esclamò infine il Re, aumentando il passo.

Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Ecco a voi l'ottavo capitolo.
Domando scusa per la lunga assenza. Avrei dovuto postare qualche settimana fa, ma impegni di vario genere (e mancanza di ispirazione) mi hanno tenuto lontano dalla storia e quindi ho deciso di fermarmi un attimo per far sì che le idee ritornassero. Spero di essere più regolare con i prossimi aggiornamenti.

Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: a chiunque legga il capitolo anche senza commentare, ma possiede un account efp, rinnovo gentilmente la richiesta di accedere almeno per far aggiungere 'Mohatu' alla sezione dei personaggi, così da consentirmi il suo inserimento alla descrizione della storia. Servono 10 voti e ancora siamo a 3!
Grazie a chi lo farà!

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Capitolo 9
*** Il nuovo leader delle iene ***


Mohatu e Uzuri rincasarono all’ombra del monolite in cui vivevano non molto tempo dopo. I due leoni risalirono fino a raggiungere la base della Rupe rocciosa, dove incontrarono alcune leonesse del branco, in attesa del loro ritorno.

«Cosa succede?» chiese Mohatu a quest’ultime, notando l’insolito comitato di benvenuto.

«Re Mohatu, Regina Uzuri» rispose Onyo, la madre di Aheri inchinandosi, con aria preoccupata. «Le iene sono qui. Richiedono udienza».

Il Re annuì. «Ce lo aspettavamo, in effetti. Fatele passare» ordinò, e subito le leonesse ridiscesero sotto la Rupe, sparendo momentaneamente.

«Sire, la prego, faccia attenzione» esalò Zozu, preoccupato. «Ho dato un’occhiata alla delegazione e non ho riconosciuto nessuno dei consiglieri del capoclan, né tantomeno il vecchio leader. C’è qualcosa che mi puzza» aggiunse scrollando nervosamente il becco. Uzuri nel frattempo si guardò intorno, notando l’assenza del consueto fracasso dei cuccioli.

«Dove sono i piccoli?» domandò, non vedendoli.

«Al sicuro, Altezza. Dentro la grotta con le più anziane» la rassicurò immediatamente una giovane cacciatrice. La Regina annuì, ma la tensione era palpabile nell’aria.

«Chi è il nuovo leader? Zozu ha detto che non c’era alcuna traccia di Rashid[20] nella delegazione che ci ha raggiunto» chiese Mohatu, voltandosi verso i membri del branco rimasto: nessuno seppe dare una risposta a quella domanda.

«Una di loro ha catturato la mia attenzione, Sire» disse a un tratto Nya, che si indicò l’occhio destro con l’artiglio. «Il suo occhio sinistro era completamente rosso, come se fosse stato ferito di recente… E aveva l’aria di guidare la delegazione… Magari è un rappresentante di Rashid?».

Mohatu alzò le spalle e scambiò un’occhiata con Zozu, che aveva l’aria agitata. Decisamente c’era qualcosa di strano.

«Di cosa vorranno discutere, Mohatu?» chiese la regina. Nel frattempo anche Choyo era tornato alla Rupe, sedendosi in disparte e pronto ad assistere all’incontro.

«Non lo so, ma dev’essere accaduto qualcosa qui. Perché Rashid dovrebbe mandare qualcuno al suo posto? Lui e mio padre erano in ottimi rapporti, da quel che so» rifletté ad alta voce il sovrano senza distogliere lo sguardo dal fratello.

«Le iene non richiedono mai udienza se non hanno in mente qualcosa…» osservò Uzuri con aria preoccupata. Il leone non rispose, ma adagiò delicatamente la propria zampa su quella della sua compagna, stringendola forte.

«Andrà tutto bene» le sussurrò, incoraggiante.

Subito dopo l’aria fu attraversata da alcune risate provenienti dalla parte inferiore della Rupe e qualche istante più tardi al cospetto dei leoni si presentò la delegazione di iene maculate; il gruppo era capeggiato dall’esemplare con l’occhio rosso descritto dalle leonesse, la quale catturò immediatamente anche l’attenzione del sovrano.

Una femmina di iena, decisamente l’esemplare più grande del gruppo malgrado l’evidente giovane età, procedeva con spavalderia e baldanza: i suoi compagni, al contrario, sembravano essere palesemente terrorizzati dall’idea di trovarsi circondati da leoni grandi almeno il doppio di loro, i cui sguardi gli erano tutti puntati addosso.

La coppia reale né tantomeno Zozu, Choyo o il resto del branco riconobbero qualcuno di familiare in quella delegazione, e di certo non c’era alcuna traccia di Rashid.

«Mohaaaatu!» esordì la iena più grande con tono lezioso di adulazione, puntando il Re con lo sguardo. «Sono proprio felice che la nostra richiesta di udienza sia stata accolta!». Fece un profondo inchino dopo alcuni passi: mentre era chinata gettò un’occhiata alle sue spalle e le altre iene che l’avevano accompagnata immediatamente si affrettarono a imitarla. Mohatu mantenne la sua austera espressione ma fece un cenno per farle alzare.

«È dovere di un sovrano accogliere udienza a tutti i sudditi del proprio regno. Non vedo alcun motivo per rifiutare una richiesta dalle iene, dopotutto anche voi siete degli abitanti di queste Terre» rispose, asciutto.

La iena sorrise, servile, ma Zozu notò un ringhio sinistro provenire dalla sua bocca dopo che il Re ebbe pronunciato la sua ultima frase; si guardò intorno e capì che nessun altro l’aveva notato.

«Oh, noi iene non meritiamo tutta questa clemenza, Sire. Lei è troppo caritatevole» riprese la iena con il suo solito tono mieloso. «Del resto, la sua bontà d’animo è leggendaria in tutte le Terre del Branco. Da quando è salito al trono sono diventate ancora più splendide, ricche e popolose di prima, senza ombra di dubbio…».

Mohatu colse una leggera esagerazione in quei complimenti, perché malgrado gli elogi della iena con l’occhio ferito, i suoi compagni non sembravano essere dello stesso parere.

«Ho trovato piuttosto insolita questa richiesta dalle iene, perciò mi domandavo come mai non fosse presente Rashid, il vostro capoclan. L’ultima volta che l’ho visto, lui e il suo gruppo sembravano abbastanza in salute e soddisfatti della vita che conducevano» osservò il leone, accigliato. «Come mai non è qui, perché nessuno mi ha avvertito della sua assenza? E soprattutto...» una voce a quel punto lo interruppe.

«Chi diavolo sei tu?» domandò: i presenti si voltarono verso la fonte e scorsero il fratello del Re, che osservava la scena con aria quasi infastidita.

Le iene si irrigidirono sul posto scambiandosi delle occhiate, piuttosto irrequiete; la femmina che aveva parlato però non perse il buonumore e restò piuttosto tranquilla.

«Le mie più sentite scuse, sono proprio una maleducata… Avere la faccia tosta di richiedere udienza al Re e dimenticare persino di presentarmi» ridacchiò con un velo di imbarazzo. A quel punto si schiarì la gola e tornò a fissare negli occhi il leone di fronte a lei.

«Il mio nome è Kifo[21], vostra Altezza Mohatu» si presentò. «Rappresento il clan delle iene maculate vivente nelle Terre del Branco da poco tempo».
La notizia fu seguita da un leggero brusìo che confermò i sospetti dei presenti: qualcosa era accaduta, dunque.

«Che ne è stato di Rashid? Perché non è venuto lui stesso a parlare con me?» domandò Mohatu.

«Diciamo che è… ecco, un tantino… Indisposto» esclamò la iena chinando il capo. «Ha affidato a me il compito di guidare il nostro clan al meglio delle mie capacità, e mi creda Signore quando dico che l’ultima cosa che voglio è deluderlo!».

«Capisco» tagliò corto il Re, ma Uzuri capì dal tono di voce del compagno che quella spiegazione non lo aveva affatto convinto.

«Come mai sei ferita? Cosa ti è successo all’occhio?» chiese allora la leonessa intervenendo, osservandola attentamente. La iena parve sorpresa da quella domanda e si massaggiò delicatamente l’occhio gonfio e pieno di sangue.

«Questo? Oh, nulla di speciale, mi sono ferita con il corno di uno gnu mentre cacciavo» si giustificò, senza preoccuparsi troppo di nascondere i segni di artigli che le sfregiavano appena il muso. Mohatu, Choyo e Zozu a quel punto pensarono tutti la stessa identica cosa: balle.

«E quale sarebbe la ragione che vi ha spinto a venire qui in mia presenza senza aspettare che Rashid tornasse al suo posto?» la incalzò il Re.

Kifo ridacchiò un’altra volta, irritando non poco il maggiordomo per quell’atteggiamento poco rispettoso.

«Oh, Sire, andate dritto al sodo senza perdere tempo… Vedete, in questo periodo così florido e splendente per le Terre del Branco anche il mio clan ne sta beneficiando… Il nostro clan sta crescendo in numero stagione dopo stagione grazie all’abbondanza di cibo, Sire…».

Il leone annuì. «Ne sono al corrente, Kifo. Non posso darti torto, in effetti» convenne, «ma vorrei precisare che le nostre Terre sono diventate floride grazie anche ai loro abitanti, che prima di essere cibo sono degli esseri viventi, e come tali vanno rispettati». Aveva usato un tono tranquillo, ma a Kifo parve subito evidente quanto le sue parole lo avessero infastidito.

«Vedete, Mohatu, sappiamo bene che le leggi stabilite non permettono una caccia eccessiva per mantenere l’equilibrio con gli altri branchi, e lungi dalle mie intenzioni di volerle trasgredire ma… Continuando di questo passo, la quantità totale di prede che ci è consentita potrebbe presto non essere più sufficiente per il mio clan».  

Assunse un’espressione supplichevole e gli occhi le divennero lucidi. «Oh, i nostri poveri cuccioli… Così giovani e da così poco tempo affacciati alla vita… Come faremo a sfamare anche loro, ora che siamo così tanti…» esclamò con aria affranta. «Da qui nasce il motivo della nostra visita, Sire: vorremmo aumentare le nostre provvigioni, in modo da poter accumulare abbastanza cibo per tutto il nostro clan in forte crescita».

Kifo concluse il suo discorso e fece un altro profondo inchino, stavolta rigida e composta, subito imitata in modo piuttosto goffo dalla sua delegazione.

Il leone rimase sorpreso dalla richiesta. «Comprendo perfettamente la situazione, Kifo, e di certo non è mia intenzione condannare il vostro clan a morire di fame».

La iena sorrise «Oh grazie, Mohatu, siete proprio un sovrano magnifico…» stava quasi per allontanarsi, quando fu interrotta dal leone.

«Qual è la vostra richiesta nel dettaglio?» chiese.

«Beh» fece la iena, guardandosi una zampa con innocenza, «considerato che abbiamo avuto un boom di nascite e pochi anziani hanno tirato le cuoia, che ne pensa di… Raddoppiare la nostra quota? Tanto ce n’è abbastanza per tutti noi carnivori, dubito sia un problema».

La richiesta fu seguita da un assordante silenzio. Oltre che totalmente folle, quella richiesta suonava quasi come una provocazione. Mohatu aveva promulgato delle leggi che permettessero la crescita sana dei branchi nei periodi di prosperità, ma quanto chiesto da Kifo era oltre ogni limite.

«Il doppio?!» esclamò esterrefatto Zozu. «Questo è un oltraggio, Sire! Non deve neanche prendere in considerazione questa insulsa richiesta, è fuori da ogni logica!» protestò.
Mohatu non rispose, ma annuì alle parole di Zozu. «Mi rincresce ma questa richiesta non può essere accolta. È un cambiamento troppo radicale che sconvolgerebbe ogni equilibrio raggiunto, provocando danni gravissimi a tutti gli abitanti delle Terre del Branco. Per non parlare degli accordi con le altre specie sui turni di caccia…».

Kifo raggelò. Guardò il Re, senza capire. «Ma… Noi…» ma Mohatu la interruppe nuovamente. «La legge permette di aumentare autonomamente la quantità di selvaggina necessaria al nutrimento di clan e branchi. Noi carnivori la dobbiamo rigorosamente rispettare per salvaguardare gli altri abitanti delle nostre Terre… Se iniziassimo a cacciare in modo incontrollato, aumentando spropositatamente il numero di uccisioni…». La iena a quel punto però lo interruppe, inarcando le sopracciglia.

«E a che serve rispettare queste leggi se il mio clan deve poi soffrire la fame?» protestò, adirandosi.

«Non dovete soffrire la fame, Kifo» ribatté Mohatu, pacato. «Potete cacciare di più se è necessario per la sopravvivenza dei membri del tuo clan. Allo stesso modo, però, non posso consentirvi di raddoppiare i vostri turni così, da un giorno all’altro» concluse il leone.

Kifo grugnì infastidita, non aveva la minima intenzione di mollare. «Non è affatto giusto! Solo il nostro clan conta più di quaranta iene, non abbiamo alcun modo di sfamarci appieno con la tua legge!» insistette.

Il Re, ancora una volta, scosse il capo. «Le quote sono distribuite in modo che i nostri branchi non patiscano la fame e le leggi stabiliscono chiaramente che la quantità di prede cacciabili è variabile in base ai componenti dei nostri gruppi e alla stagione. Anche i leopardi sono raddoppiati dalla stagione corsa, eppure non sono sorte lamentele e gradualmente il loro turno di caccia è stato adattato alle loro esigenze. Pertanto non vedo perché dobbiate cacciare più di quanto vi spetti di diritto».

Kifo parve stordita da quella informazione di cui era rimasta all’oscuro: graffiò il terreno con gesto di stizza e digrignò i denti.

«Le leggi, eh? Belle leggi davvero!» proruppe con tono avvelenato. «Voi leoni cacciate molto più di noi, eppure da quando metà del vostro branco è stato massacrato nei conflitti con gli estranei non avete diminuito le vostre scorte di carne. Siete i primi a non rispettare le leggi e poi predicate buone maniere e rispetto degli abitanti!».

L’effetto di quelle parole fu immediato: dei ronzii furibondi si levarono tutt’intorno dalle leonesse, profondamente offese da quell’accusa. La iena si guardò intorno intimidita, rendendosi conto di aver parlato troppo: guardò Mohatu, i cui occhi lampeggiarono furiosamente in sua direzione. Choyo d’altro canto scoppiò a ridere per quella sfuriata, guadagnandosi un’occhiataccia dai presenti.

«Come osi, Kifo!» intervenne Uzuri, disgustata. In qualità di leader delle cacciatrici, sentì quell’accusa particolarmente personale e la lasciò sconvolta.

«Vi osservo sempre» sibilò con un ghigno malevolo la iena. «Un giorno fate gli amiconi con impala, antilopi, zebre, gnu e ippopotami, il giorno dopo affondate i denti nelle loro gole senza fare troppi complimenti». Nessuno rispose, ma diverse leonesse trattennero dei ruggiti rabbiosi.

«Non vi biasimo, certo» continuò la iena, «è nella nostra natura, uccidiamo per sopravvivere e bla bla. Quello che però non capisco, Re Mohatu, è perché dovremmo scendere a patti con il nostro cibo. La carne diventa più saporita quando ricorda di aver parlato con loro?».

Mohatu irrigidì. Zozu volò in alto, pronto a rispondere a quelle accuse. «La squadra di cacciatrici presta un’attenzione maniacale in questo aspetto, e il loro rispetto durante le battute caccia è conosciuto persino dai regni confinanti!» esclamò in tono furente dopo essersi schiarito la gola. «Tra l’altro, proprio per l’improvvisa dipartita di un grosso numero di componenti del branco dei leoni, la Regina Uzuri guida la squadra affinché vengano catturati soltanto lo stretto numero necessario di prede per sfamare tutto il loro branco…».

«Tsk, come no» ribatté Kifo alzando gli occhi al cielo «e chi lo dice questo? Tu, becco di banana?» ringhiò in sua direzione, ma prima che il maggiordomo potesse rispondergli il Re proruppe in un ruggito facendo calmare all’istante gli animi.

Anche lui, tuttavia, era parecchio infastidito da quelle parole. «Farò finta di non aver udito le ultime frasi» dichiarò in tono glaciale. Fece un profondo sospiro e parve quietarsi nel momento in cui riaprì nuovamente gli occhi ambrati.

«Lo ripeterò un’ultima volta. Non ho alcuna intenzione di accettare la tua richiesta, Kifo. Mi dispiace, ma se la metti in questi termini è fuori discussione. Il tuo clan si adeguerà alle leggi che vigono nelle Terre del Branco, altrimenti mi vedrai costretto a prendere seri provvedimenti. Sei congedata» concluse in un tono che non ammetteva repliche.

Kifo era livida. La capoclan, perso il sorriso e l’atteggiamento servile che l’avevano caratterizzata all’inizio dell’udienza, fissava con profonda rabbia i leoni di fronte a lei, i quali ricambiavano la stessa espressione.

Senza aggiungere un’altra parola lasciò in fretta la Rupe, dirigendosi verso il confine Nord. Choyo osservò da lontano la brusca reazione della iena e la malcelata aggressività che il canide aveva rivolto a suo fratello.

Mentre osservava le iene diventare dei puntini sempre più piccoli alla sua vista, immersi nella semioscurità della savana, il leone rifletté attentamente sull’incontro a cui aveva assistito: un tipo del genere era meglio farselo amico che averlo come nemico, pensò tra sé e sé. Ma che fine aveva fatto Rashid, il vecchio capoclan? Doveva scoprirlo assolutamente.

Il Re licenziò il proprio branco appena concluso l’incontro e non passò molto perché lasciasse a sua volta la Rupe per andare a presidiare i confini, accompagnato dal fedele maggiordomo Zozu; le leonesse invece si dispersero nei pressi della Rupe, lasciando così così Choyo solo e immerso nei suoi pensieri.

Questi considerò l’idea di avvertire il fratello su ciò che stava per fare, ma poi convenne che non era così necessario che lo sapesse, al momento.

Facendo molta attenzione a non farsi notare da occhi indiscreti lasciò così la Rupe, mettendosi alla ricerca delle iene. Nemmeno si accorse però che una delle leonesse del branco, appena risvegliatasi dal suo riposo e ignara di quanto accaduto decise di seguirlo, incuriosita da quello strano comportamento furtivo.


[20] Rashid: il nome del capoclan delle iene. Significa ‘giustamente guidato’ in lingua Swahili.
[21] Kifo: ‘mortale’ in lingua Swahili.



Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Ecco a voi il nono capitolo.
Come potete aver intuito durante la lettura, le iene non sono sempre state esiliate e un tempo convivevano nelle Terre del Branco. Cosa sarà successo allora di tanto grave perché venissero cacciate nel cimitero degli elefanti, luogo in cui risiedono durante i fatti del Re Leone? Presto scopriremo la verità... O la mia interpretazione dei fatti, per essere più precisi!

Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

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Capitolo 10
*** Dissapori dal passato ***


Kifo non pronunciò una sola parola per tutto il viaggio di ritorno, ma la frustrazione era più che evidente ai suoi compagni; sapeva che sarebbe stato difficile convincere il Re ad accogliere le sue richieste, ma non credeva che sarebbe stato così insensibile persino davanti alle ‘suppliche’.

«Su, Kifo… In fondo, non è andata così tanto male, eheh…» esordì una delle iene che la seguivano; la leader non rispose, ma ringhiò rumorosamente in segno di avvertimento, infastidita da quelle parole.

Da lontano, illuminato spettralmente dalla luna piena presente nel cielo, si poteva scorgere il passaggio che delimitava il confine Nord con le Terre del Branco. In mezzo, nascosto tra la vegetazione, uno stretto cunicolo appena visibile conduceva alla tana del clan.

«Oh andiamo, non fare così» continuò imperterrita l’altra con un ghigno, «cosa pensavi, che con le tue parole avresti davvero fatto breccia sul suo grande e glorioso animo nobile? Di certo avrà capito che il tuo era un pessimo tentativo di leccargli il c…» ma prima che potesse concludere quell’ingiuriosa affermazione, Kifo si voltò di scatto e gli affondò le zanne nel collo, prima che quest’ultimo potesse rendersi conto dell’agguato improvviso.

Le altre iene si irrigidirono sul posto, sorprese e spaventate da quella violentissima reazione. La vittima tentò debolmente di divincolarsi dalla morsa mentre il sangue cominciava a schizzare dalla ferita che il suo simile gli aveva inferto.

«No… ti prego… Kifo…» rantolò con gli occhi dilatati dalla paura: la matriarca per tutta risposta lasciò la presa, leccandosi il rivolo di sangue che le colava sul muso.

«Cosa c’è… Hai ancora voglia di insultarmi?» domandò con un sussurro inquietante. La povera iena ferita provò a scuotere la testa ma il sangue cominciò a fuoriuscire ancora più rapido dalla gola ormai recisa: cadde a terra, inerme e in preda al panico, mentre le forze cominciavano ad abbandonarla. Kifo sputò il sangue che aveva leccato e si avvicinò alla sua vittima, in preda agli ultimi spasmi vitali.

«Questa è la fine che fanno i ficcanaso come te e Rashid che non sanno quando tenere a freno la lingua, mio piccolo, schifoso amico. Ora dormi… Dormi e raggiungilo…» e infine affondò gli artigli delle sue zampe sul dorso del canide morente, il quale ebbe un ultimo sussulto silenzioso.

Le altre iene assistettero impietriti a quella scena terrificante finché i rantoli del loro compagno non si estinsero del tutto.
Sfogata la frustrazione, Kifo si voltò a guardarli con aria disgustata.

«Quell’enorme e peloso sacco di pulci può fare il prepotente quanto vuole, ma potete star certi che non la passerà liscia dopo quest’affronto!» dichiarò con un ringhio, scuotendo nervosamente il terreno sotto le zampe. Riprese a camminare verso il cunicolo oscuro, superando il valico che segnava il confine, quando notò che i suoi sottoposti erano rimasti indietro, accanto al cadavere dilaniato di quello che era stato il loro compagno e rivolse loro un’occhiata interrogativa.

«Che fate, non venite?» chiese: le tre iene rimaste non dissero nulla, ma fissavano il corpo con un misto di disgusto e avidità.

«Avete intenzione di fare uno spuntino notturno, rivoltanti spazzini?» domandò la capoclan con una smorfia. Quelle non risposero inizialmente, ma poi una di loro prese coraggio e l’espressione nel muso cambiò, sorridendo follemente e con la bocca salivante.

«Beh, Kifo… dato che ce l’hai procurato sarebbe un vero peccato non approfittarne… E poi odiamo gli sprechi, lo sai».
Le altre iniziarono a ridere e a latrare disgustosamente mentre accerchiavano il corpo senza vita. La leader si voltò, glaciale.

«Fate come volete» sentenziò, lasciandosi alle spalle il macabro suono della carne che veniva strappata dalle ossa.


Choyo li osservò per tutta la consumazione del pasto. Acquattato nell’erba e accuratamente nascosto, il leone fissò le quattro iene smembrare con foga ciò che rimaneva del loro compagno, senza nascondere una smorfia di ribrezzo per quell’atto di cannibalismo.

«Bene, dopo questo spettacolino si può dedurre che la sparizione di Rashid non è solo una coincidenza» pensò il leone, ripensando alle parole che aveva udito dalla nuova leader stessa. Era riuscito ad avvicinarsi talmente tanto al luogo in cui si era consumato l’assassinio perché sottovento, cosicché le iene non riuscissero ad individuarne l’odore. Il fratello del Re era particolarmente portato nella caccia e la sua abilità nel pedinare le sue vittime senza farsi notare gli era parecchio utile in quelle situazioni.

In pochi minuti i canidi spolparono tutta la carcassa e si apprestarono a seguire Kifo nel cunicolo per rincasare, latrando soddisfatti e con lo stomaco pieno. Il sole, nel frattempo ormai sparito completamente dall’orizzonte, lasciò il posto al buio della notte nel paesaggio circostante.

«Devo trovare un modo per parlare con Kifo e accertarmi che Rashid sia veramente morto come immagino» rifletté il leone a voce alta, sicuro che nessuno fosse nei paraggi. L’unico modo per scoprirlo era intrufolarsi nel cunicolo e seguire le iene, ma se fosse stato scoperto si sarebbe cacciato in un guaio che non era particolarmente incline a correre. Indeciso sul da farsi, a un certo punto una voce lontana raggiunse le sue orecchie.

«Stai dicendo sul serio? Eheheh» la risata inconfondibile costrinse il leone ad appiattirsi, guardingo. Aguzzando la vista, Choyo scorse due iene di pattuglia riemergere da una strettoia laterale: probabilmente esisteva un’entrata secondaria per accedere alla conca in cui risiedeva il clan.

«Ti dico che è così» sentì dire da una seconda voce. «Sarà una femmina ma è davvero fuori di testa. Ha sgozzato quel tipo solo perché ha fatto una battuta un po’ spinta». Una risata ancora più forte seguì il racconto.

«Povero idiota, con Kifo non c’è da scherzare. Mi domando dov’era quando ha fatto il discorso d’insediamento al clan». Entrambi scoppiarono di nuovo a ridere ottusamente, finché la seconda iena riprese il discorso.

«Peccato, mi piaceva Rashid come leader… In fondo non si viveva male sotto la sua guid-» ma fu interrotto dal sibilo concitato dell’altro, ora tremendamente agitato.

«Ti sei bevuto il cervello, amico? Ripetilo più forte e ti ritroverai a fare da colazione per i nostri compagni» disse.

«Ma io non so cacciare bene, non posso sfamare un intero clan da solo» rispose l’altro, senza capire. Choyo alzò gli occhi al cielo e si udì un sonoro colpo, seguito da un gemito di dolore.

«Tonto, nel senso che tu farai da colazione, come il tipo che ha infastidito Kifo» esclamò la iena con sarcasmo marcato.

«È pericolosa. Le sue idee non sono niente male, ma bisogna farci attenzione. Non è tollerante come quel rammollito di Rashid, lei almeno sa che non bisogna fare alleanze con Mohatu se vogliamo espanderci».

«Ohi, che male… Il Re comunque ci permette di cacciare nelle Terre del Branco, e qui il cibo non manca mai. Non capisco perché dovremmo espandere il nostro territorio se fa già parte del Regno…»

«Sembra di risentire quell’idiota dell’ex leader» borbottò la prima iena, annoiata. «‘Dobbiamo essere grati con il Re, che amministra le Terre del Branco con saggezza e garantisce al nostro clan le basi per un prospero futuro’. Sono tutte stronzate».

Scoppiarono a ridere come se avessero fatto una battuta particolarmente divertente, infine cominciarono ad incamminarsi. Choyo, deluso dalle poche informazioni che aveva scoperto scosse il capo e fece per alzarsi, quando udì un’ultima frase.

«Ora siamo agli ordini di Kifo e quel traditore di Rashid non potrà metterci i bastoni tra le zampe, amico. È meglio che ti ficchi questo bel concetto in quella testolina».

Il fratello del Re rimase in ascolto finché uno scricchiolio alle sue spalle lo fece sobbalzare. Sguainò gli artigli, in allerta e pronto ad attaccare l’intruso per difendersi, con il cuore che iniziò a pompare sempre più velocemente; la voce delle iene in lontananza si spense del tutto, lasciando il posto a un vento leggero che scompigliava l’erba tutt’intorno. Choyo annusò l’aria e con una smorfia contrariata sputò un grumo di sangue sul terreno.

«Accidenti…» pensò il leone irritato, incamminandosi di malumore. Proseguì senza prestare troppa attenzione a ciò che gli stava intorno, ma capì di non essere stato l’unico ad aver fatto un giro notturno nelle Terre del Branco.

La leonessa l’aveva seguito furtivamente. Una volta arrivati ai piedi della Rupe, la giovane non aspettò oltre e con uno scatto sinuoso raggiunse in pochi metri il suo obiettivo, apparentemente ignaro dell’agguato.

Con uno strattone improvviso, Choyo si ritrovò a rotolare nell’erba soffice dei cespugli costeggianti il monolite, mentre il suo aggressore cercava di inchiodarlo sul terreno: al maschio, tuttavia, fu sufficiente una leggera pressione per riacquistare l’equilibrio perduto e prendere immediatamente il controllo della situazione, ribaltando la leonessa e sovrastandola col proprio peso. Quest’ultima, sorpresa, lo fissò con aria sottomessa.

«Sei proprio un’incosciente» le mormorò arrabbiato. «E anche poco furba se pensavi di cogliermi di sorpresa, suddita» aggiunse con astio. La leonessa parve dispiaciuta, ma sentendosi definire in quel modo la fece animare nuovamente.

«Ho un nome e lo sai benissimo. Questa freddezza non richiesta è parecchio scortese» replicò, risentita.
Il volto di Choyo fu percorso da un ghigno. «Decido io cosa è richiesto o meno. Dopotutto sono il principe, perciò rispetta il tuo posto, Onyo».

La giovane fissò con i propri occhi blu notte il leone di fronte a lei, incurvando il muso in un leggero sorriso. «Allora lo sai il mio nome» sussurrò cercando di avvicinarsi ma Choyo arretrò, ringhiando in segno di avvertimento.

«Come al solito sei venuta a ficcanasare in affari che non ti riguardano, rovinando il mio lavoro!» disse, scagliandosi verso di lei con fare minaccioso. «Hai la più pallida idea di quanto tempo ho perso a pedinare quei due idioti?» chiese, frustrato.

«Volevo solo assicurarmi che fossi al sicuro!» si giustificò Onyo, offesa. «Passeggiare nel territorio delle iene tutto solo dopo la discussione di oggi con il Re sarebbe poco saggio, perciò ho pensato…»

«Non ho chiesto il tuo supporto. Avrei potuto scoprire di più se non mi avessi distratto con il tuo baccano. Come diavolo fai a essere nella squadra di cacciatrici?» la schernì il leone con il solito ghigno.

«Di sicuro io sono in grado di dare il mio contributo al nostro branco procurandomi il cibo» rispose a tono Onyo, inarcando le sopracciglia. «Tu puoi dire lo stesso?»

«Spetta alle femmine il compito di cacciare. Noi maschi dobbiamo difendere il territorio e le vostre code ingrate» replicò il leone facendo qualche passo per allontanarsi.

«Re Mohatu, forse. Lui lo ha dimostrato combattendo per il suo branco».
Choyo si irrigidì sul posto e fu attraversato dall’impulso di colpirla, ma subito cercò di ricomporsi: lui non era come il suo caro ed emotivo fratellone.

«Stai andando troppo oltre, bada alle tue parole» scandì lentamente, voltandosi a fronteggiarla. Lo sguardo ora di ghiaccio del leone impaurì a tal punto Onyo da costringerla ad arretrare, attraversata da un doloroso ricordo.

«Io…Ci tengo a te. Per questo ti ho seguito» mormorò con aria afflitta, strascicando distrattamente una zampa. «Nonostante…tutto… Ricordo con nostalgia i nostri trascorsi e…» La leonessa provò a cercare gli occhi di Choyo, speranzosa. Quando i due incrociarono lo sguardo, tuttavia, ciò che vide fu soltanto un profondo disgusto negli occhi del maschio di fronte a lei.

«Hai avuto la tua occasione per questo, suddita» sibilò questi con disprezzo. «Potevi essere una principessa, entrare a far parte della famiglia reale, e hai deciso di buttare tutto al vento».

Onyo raggelò, addolorata. «Ho fatto solo un errore… Io ti amavo… Ti amo ancora, Choyo…»

Il leone però a quelle parole rise freddamente, senza mostrare alcuna gioia. «Menti. Le tue parole sono solo il frutto del rimorso. Non puoi cancellare il passato e sperare che anche gli altri dimentichino».

In assenza di una risposta, il fratello di Mohatu decise che aveva sprecato fin troppo del suo tempo per quella leonessa e si incamminò nuovamente verso il suo giaciglio preferito. Era quasi arrivato quando la voce della giovane lo raggiunse alle spalle, rotta dai singhiozzi.

«Come puoi essere così crudele!? Noi abbiamo ancora un legame, ricordatelo! Vuoi ignorare anche quello?» gridò, furiosa e disperata insieme.

Choyo non si voltò nemmeno. «Hai distrutto tu quel legame. Hai commesso tu il tradimento. Ti sei allontanata nel bel mezzo della notte, ti ho cercata ovunque». Il tono era calmo, ma un ringhio sinistro nascondeva a malapena la rabbia crescente al riaffiorare di quei ricordi.

«Se avessi saputo prima che mentre ero preoccupato da morire, tu ti dimenavi tra le zampe di uno sporco vagabondo appena fuori dai confini… Per i Re, quanto sono stato idiota» sogghignò amaramente.

«Fu solo quella notte!» protestò Onyo con le lacrime copiose a rigarle il muso. «Ero confusa, nel bel mezzo della guerra[22]… Tu eri distante in quel periodo e… Avevo bisogno di conforto…»

«Sei solo una lurida sgualdrina, suddita» mormorò piano il leone, freddo. La leonessa gemette e pianse, chinando il capo.

«Aheri non merita il tuo odio!» disse infine, supplicandolo. «So che ho sbagliato ed è imperdonabile ciò che ho fatto! Non c’è giorno che passi senza che non me ne penta amaramente, ma ti prego, Choyo, permettimi di dire a nostro figlio chi è suo padre! Lui ha bisogno di te…»

Il leone la squadrò impassibile, rivolgendole un altro sguardo carico di disprezzo. Infine disse:
«Dì pure al tuo… prodotto[23], chi era suo padre. Dì che una notte un volgare vagabondo, passeggiando annoiato fuori dai confini, ha trovato in mezzo ai prati una leonessa confusa e in cerca di conforto, divertendosi fino alle prime luci dell'alba per poi sparire per sempre. Dì a tuo figlio che sei una sgualdrina che ha preferito una sveltina con uno sconosciuto al suo vero padre, un compagno che la amava e rispettava. Dì che suo padre ti ha risparmiato da esilio e morte certa nonostante quello che hai fatto, mettendo tutto a tacere, persino al Re. Digli... che se dovesse scoprire la vera identità di suo padre, tu andresti incontro a morte certa. Dì questo a tuo figlio» concluse in tono minaccioso.

Detto ciò si distese nel suo giaciglio e chiuse gli occhi, poggiando la testa sulle proprie zampe e pronto a riposarsi.
«Sparisci dalla mia vista adesso e non osare rivolgermi mai più la parola a meno che non ti interpelli, suddita. E stanne certa, non accadrà» concluse, voltandosi dall’altra parte.

Distrutta da quelle parole pesanti come macigni, Onyo si voltò indietro e molto lentamente si diresse, tra un leggero singhiozzo e l’altro, verso la grotta principale per raggiungere il resto del branco addormentato.

 
[22] Nel bel mezzo della guerra: un breve periodo imprecisato antecedente ai fatti del primo capitolo.
[23] prodotto: dall’inglese ‘spawn’. Ho usato questa traduzione del termine per dare un tono più dispregiativo possibile, in modo da marcare una volta di più il risentimento di Choyo nei confronti di Onyo e Aheri.


Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Ecco a voi il decimo capitolo!
Zan zan, primo colpo di scena. Questa idea mi è venuta durante la seconda stesura, quando ho iniziato a revisionare i primi capitoli per pubblicarli sul sito. All'inizio Choyo e Aheri non dovevano essere imparentati, ma ho deciso di renderli padre e figlio per uno scopo ben preciso che servirà più avanti nella storia. Inoltre nel mio immaginario si somigliano pure parecchio, manco a farlo apposta, e quindi dopo aver rielaborato la nuova idea ho pensato che nel complesso può funzionare.
Che ne pensate di Kifo e delle iene? E che fine avrà fatto il vecchio leader? Sarà davvero morto come Choyo sospetta?
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

P.S.: di nuovo, domando scusa per la prolungata assenza... Non posso garantire al momento una pubblicazione costante a causa dell'estate e del periodo abbastanza intenso che sta attraversando me e la mia famiglia, ma conto di poter pubblicare al più presto... Passeranno una, due, tre settimane ma continuerò la storia, non temete... Anche perché è già scritta da un po' ahahah

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Capitolo 11
*** La Stagione delle Piogge ***


Passarono diverse settimane da allora[24]. La stagione delle piogge imperversava nelle Terre del Branco con tanta violenza quanta misericordia.

Il Re visse un periodo molto intenso a causa dei disagi che le condizioni atmosferiche creavano continuamente in tutto il territorio, costringendo così Mohatu ad avere del tempo libero molto limitato da dedicare alla sua famiglia.

Le precipitazioni nella savana da sempre indicavano l’imminente ritorno di molti branchi nomadi che erano soliti spostarsi a seconda delle condizioni atmosferiche. Durante i primi giorni, tuttavia, i violenti e prolungati temporali costrinsero i cuccioli e la maggior parte delle leonesse ad interrompere le normali attività che li tenevano occupati, rinunciando ai consueti riposini all’ombra degli alberi e alle regolari battute di caccia, impegno ben più importante.

I leoni perciò trascorrevano la maggior parte delle giornate rintanati alla Rupe dei Re, nel vano tentativo di ripararsi dal freddo e dalla pioggia che cadeva fitta dalle nubi scure e minacciose.

A soffrire l’inattività forzata in quel periodo erano soprattutto i cuccioli, costretti ormai da tempo a rimanere rinchiusi dentro le oscure e umide mura della grotta della Rupe, unico rifugio che permetteva loro di stare asciutti. L’idea di dover trascorrere le giornate senza poter uscire fuori ad esplorare e divertirsi equivaleva alla peggiore delle punizioni.

«Uffaaaaaaa che noia mortale!» sospirò teatralmente un cucciolo dal pelo scuro e gli occhi azzurri, stiracchiandosi dopo essersi ridestato dall’ennesimo sonnellino di quella lunga giornata.

«Non la smette più questa pioggia…» sbuffò poi osservando sconsolato la Rupe al di fuori della grotta, completamente allagata.

«Abbi pazienza, Bure» sussurrò dolcemente una leonessa accanto al leoncino. «Capisco bene quanto sia frustrante per voi piccoli rimanere qui al chiuso, ma non vorrete mica prendervi un malanno inzuppandovi con questo tempaccio, vero?»

Il piccolo faticò a trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, sentendosi ripetere quella domanda per l’ennesima volta. «No, mamma… certo che no… Però non c’è niente da fare qui…» si lamentò Bure mettendo il broncio. «Perché in questo periodo piove sempre? Prima c’era sempre il sole e faceva caldo… Odio l’acqua, fa freddo e non si può giocare».

La leonessa allungò le zampe verso il cucciolo e lo strinse a sé. Sorrise all’irrequietezza del figlio, che da qualche tempo dimostrava più vitalità e un grande appetito, cosa che stava contribuendo ad irrobustire il suo corpo piuttosto gracile. «È per via della stagione umida, Bure, che nelle Terre del Branco si alterna con quella secca» provò a spiegare la leonessa al figlio pazientemente, ma questi grugnì infastidito.

«Vorrei che tornasse la stagione secca adesso!» borbottò il leoncino, giocando nervosamente con la zampa della madre.

«Temo che ci vorrà un bel po’» rispose la leonessa, leccandogli la nuca. Bure rabbrividì e si scostò rapidamente, risentito. «Mamma, smettila! La mia criniera non crescerà mai se mi scompigli tutto il pelo, uffa!» la ammonì, facendola sciogliere in una risata.

«Perché non vai a cercare tua sorella, hmm? Si è svegliata prima di te, magari puoi fare un gioco con gli altri cuccioli» propose poi al figlio, i cui occhi si illuminarono all’istante.

«Sì! Voglio sfidare Aheri per vedere chi percorre tutta la grotta più velocemente!!» annunciò con entusiasmo, allontanandosi in fretta. Da quando era stato denominato ‘il più veloce’ dai suoi amici, Bure adorava mettersi alla prova per migliorare sempre di più, aumentando così il suo desiderio di competizione.

«Divertiti!» lo salutò la madre, ridacchiando. «E non andare troppo veloce o rischierai di sollevare un tornado, mi raccomando!».

Rimase sola per un paio di minuti, circondata solo dal rumore della pioggia che picchiettava tra le pareti della rupe e sul pavimento roccioso oltre l’ingresso. Il paesaggio era appena visibile, a causa della poca luce filtrata dalle dense nuvole nere cariche di pioggia e fulmini. L’acqua copiosa che scendeva dal cielo, inoltre, rendeva impossibile scorgere alcunché oltre i pochi metri di distanza.

Non passò molto, comunque, quando udì il suo nome riecheggiare dalla parte più interna del rifugio, ben udibile grazie all’ambiente ovattato della grotta. «Nya! Nya, dove sei?»

La leonessa si voltò verso quella voce e subito scorse nella semioscurità una leonessa dal pelo chiaro e gli occhi smeraldini. «Regina Uzuri!» esclamò subito scattando in piedi, riconoscendola, e quella le sorrise benevola.
«Nya, perdona il disturbo, ma secondo i rapporti di Zozu la pioggia dovrebbe diminuire di intensità tra qualche ora, quindi potremmo avere un po’ di luce per una battuta di caccia tranquilla. Dovremmo deliberare con il resto della squadra per organizzarci al meglio, dato che in questo periodo le nostre possibilità sono limitate». La leonessa dal pelo scuro annuì con entusiasmo. «Ovviamente, mia Regina. Arrivo subito» le rispose, affrettandosi a seguirla.

Si incamminarono verso il centro della grotta, dove erano concentrate le altre componenti della squadra di cacciatrici; prima di raggiungerle, però, mantenendosi a debita distanza da orecchie indiscrete, Nya parlò.
«Mia Regina, perdoni la mia curiosità. Mi domandavo se avete accennato a Sua Maestà il Re quanto vi ho riferito riguardo a Uru. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa».

Uzuri scosse il capo, turbata. «Mohatu è dell’opinione che i tempi non sono ancora maturi per raccontarle il suo passato. Non ritiene necessario informare Uru sulle sue origini, al momento. Pensa che un peso del genere per la sua età sia troppo gravoso da sopportare e francamente sono d’accordo con lui».
Nya annuì, seppur poco convinta da quella risposta. «Suppongo che abbiate ragione. Cercherò di deviare la sua curiosità finché non sarà più grande, allora... Anche se ammetto che non sarà affatto semplice con una cucciola come lei» sussurrò, facendo un inchino.

Uzuri sorrise leggermente. «Uru è una brava leoncina, Nya, e tu sei un’ottima madre sia per lei che per Bure. Te la caverai benissimo».

La leonessa dal pelo scuro arrossì, travolta da un moto di orgoglio misto a imbarazzo. «Faccio solo il mio dovere, Maestà… La r-ringrazio» disse, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.

«Sai, Mohatu sente una forte responsabilità verso di lei» proseguì Uzuri in tono più serio dopo una piccola pausa. «Crede ancora di essere il responsabile della morte del padre naturale. Immagino voglia proteggerla, ma credo anche che abbia paura del suo giudizio» proseguì la regina.

Nya la fissò, sorpresa. «Al contrario, Regina Uzuri. Uru adora il Re, è quasi come un eroe per lei dopo l’agguato degli alligatori…» ammise, non capendo.
«Esattamente» ribatté la leonessa dal pelo chiaro. «Teme di deluderla, rivelandole che a causa sua non ha il suo vero padre ad accudirla» concluse. La madre di Uru e Bure fu sul punto di replicare, ma dovette tacere perché avevano raggiunto le altre leonesse, radunate in loro attesa per discutere sull’imminente battuta di caccia. Decise perciò di lasciar perdere quel discorso, in attesa di un'altra occasione.
 
*
 
Le leonesse fecero ritorno alla rupe soltanto dopo il tramonto – o quel che si poteva interpretare come tale, vista l’impossibilità di scorgere il sole dietro la spessa coltre plumbea. La pioggia, come preannunciato da Zozu, era calata d’intensità subito dopo che quest'ultimo aveva informato la Regina, consentendo loro di cacciare senza troppi intoppi. In quel lasso di tempo i cuccioli rimasero dentro la rupe al riparo dalle intemperie sotto il costante controllo del maggiordomo, a sua volta impossibilitato a volare, e delle leonesse più anziane.

Il bucero zampettava vigile davanti l’ingresso della grotta reale, immerso nei suoi pensieri. Teneva lo sguardo fisso, perso apparentemente nel vuoto, cercando di riordinare le scarse informazioni che aveva raccolto grazie ai subordinati che viaggiavano nel sottosuolo, in modo da informare il Re con il rapporto serale prima di congedarsi al termine della giornata. Preso completamente com’era dalla frenetica elaborazione si stupì quindi di inciampare all’improvviso, travolgendo una piccola coda bionda che terminava in un ciuffo di pelo nero.

Zozu grugnì, massaggiandosi la testa momentaneamente disorientato. Mettendo a fuoco la vista, poi, scorse un cucciolo di leone dal pelo biondo e un ciuffo di criniera nera che diventava sempre più folto ogni giorno che passava. Ahadi gli ricambiò uno sguardo perplesso, evidentemente distratto anche lui dal pennuto che aveva camminato sopra la sua coda.

«Ehi, Zozu» lo salutò il cucciolo, riconoscendolo. «Scusa, non volevo farti inciampare» aggiunse, spostando lontano la coda.

Zozu non ci badò e fece un profondo inchino, ossequioso. «Principe Ahadi, cosa fa qui vicino all’uscita? Finirà per bagnarsi» lo ammonì cordialmente.

Il cucciolo fece qualche passo indietro, titubante. «Io… Niente. Avevo voglia di guardare fuori» rispose in tono piuttosto vago.

«Perché non è a giocare con gli altri cuccioli? Avete litigato?» chiese il maggiordomo, ma il leoncino scosse il capo.

«C’è qualcosa che la preoccupa, Principino?» domandò ancora. Ahadi abbassò lo sguardo per qualche secondo, indeciso sul da farsi.

«Senti… mi chiedevo…» esordì, «Puoi dirmi come mai papà sta sempre tanto tempo fuori anche quando piove così forte?»

Il bucero capì allora cosa turbava l’animo del leoncino e sospirò. «Oh Altezza, suo padre è molto occupato in questo periodo. Come sa, i primi giorni della Stagione delle Piogge sono quelli che noi conosciamo come fase più critica, perciò è naturale che…» ma Ahadi lo interruppe. «Questo lo so… E non è pericoloso? Insomma, non si vede nulla qua fuori» insistette, deglutendo preoccupato.

Il maggiordomo annuì, rivolgendogli un’occhiata solenne. «Certo che lo è, mio Principe. Le assicuro però che Re Mohatu è perfettamente in grado di badare a sé stesso ed è suo preciso dovere di sovrano affrontare le avversità per il bene di tutto il suo Regno».

Il cucciolo tacque, preoccupato per il padre: non lo vedeva dalla sera prima, e probabilmente quel giorno non l’avrebbe nemmeno incontrato.
Fece per parlare nuovamente quando alle sue spalle avvertirono dei passi felpati: voltandosi, Ahadi e Zozu videro davanti a loro una leoncina avvicinarsi lentamente.

«Bentrovata, piccola Uru» la salutò il maggiordomo in tono affabile. Ella sorrise al saluto e si rivolse al leoncino.

«Ahadi, cosa fai qua fuori? Vieni dentro, fa freddo» disse, cercando vanamente di convincere l’amico che tuttavia non si mosse.

«Sta aspettando il ritorno di Re Mohatu?» chiese poi al bucero che annuì appena, sconsolato. «Temo di sì, mia cara» replicò.

«Perché doveva uscire anche oggi? È lì fuori, tutto solo per aiutare chissà chi…» esclamò Ahadi all’improvviso con irritazione: non riusciva davvero a capire perché il Re fosse tanto richiesto nelle sue Terre in una giornataccia come quella.

Il bucero rispose nel suo solito tono pomposo. «Il Re è occupato a presidiare i confini in questo periodo, Principino. Vede, le Terre del Branco sono pericolose durante la Stagione delle Piogge: l’arrivo di nuove mandrie comporta anche l’attrazione di branchi ostili e di predatori indesiderati, perciò è fondamentale assicurarsi che nessuno con intenzioni bellicose valichi i confini».

Vedendolo ancora sinceramente preoccupato, Zozu cercò un approccio meno formale e gli accarezzò il capo con una zampa. «Suo padre interviene come può fin dove l'autorità glielo consente e questo lo costringe a girovagare per le Terre del Branco fino a quest’ora tarda. Come Re, Mohatu è il primo difensore del delicato equilibrio che governa le Terre del Branco e deve fare tutto ciò che è in suo potere perché esso non venga turbato» disse infine. I due leoncini annuirono un po’ rincuorati da quelle parole, ma il cucciolo dal ciuffo nero non sembrava ancora tanto convinto.

«Ahadi, tuo papà è davvero buono con tutti, per questo è un Re rispettato. Non corre alcun pericolo, fidati!» aggiunse Uru, cercando di suonare convincente.

«Vorrei tanto aiutarlo, è sempre lì fuori da solo» mugugnò con uno strano scintillio negli occhi il principe. Zozu sorrise, rivedendo nel suo sguardo la stessa espressione del Re.

«Non si preoccupi principino, è il suo successore. Arriverà il momento in cui affiancherà suo padre nelle mansioni di sovrano fin quando, un giorno, ascenderà al trono e diventerà il Re di queste terre a sua volta».

Ahadi stava per replicare quando una fortissima raffica di vento li investì inzuppandoli d’acqua, subito seguita dal rombo di un poderoso fulmine abbattersi in lontananza.

«Devo comunque ammettere che è un magnifico temporale, questo» commentò suo malgrado il pennuto, scrollandosi l’acqua di dosso.

«Voglio andare a cercarlo, adesso basta» tagliò corto Ahadi, facendo un passo verso l’uscita. Zozu però gli si piantò davanti, ostruendo il cammino.

«Temo di non poterlo permettere, principe» sentenziò in tono risoluto. Ahadi ringhiò in segno di protesta, ma prima che potesse fare altro fu interrotto.

«Cos’è che non puoi permettere ad Ahadi, Zozu?» chiese una voce alle loro spalle che li costrinse a voltarsi.

«E perché siete tutti bagnati?» domandò Asali, stupefatta. «Non sarete usciti fuori a giocare senza di noi, spero!» li incalzò Aheri, sospettoso.

«Non essere ridicolo» obiettò Bure, «guardali bene, non sono così zuppi» osservò, indicando la sorella che era quasi totalmente asciutta.

«Voglio andare a salvare il mio papà che è da solo lì fuori» disse il principe con aria determinata, lasciando tutti in silenzio.

«Non si vede un palmo dalla zampa, là fuori. Potrebbe essere in pericolo?» esclamò Bure, preoccupato. «Stiamo parlando del Re, Ahadi. Tuo padre è forte, non ha bisogno dell’aiuto di noi cuccioli per cavarsela!» aggiunse Aheri, cercando di farlo ragionare.

«Non ho chiesto il vostro aiuto!» lo rimbeccò il leoncino dagli occhi verdi.

«Ahadi, non andare!» lo supplicò Asali, spaventata.

«Per l’amor del cielo, calmatevi!» urlò Zozu, sovrastando le loro voci. «Credo che stiate sottovalutando il nostro Re, miei cari cuccioli. Vi garantisco che Mohatu ritornerà sano e salvo, come ha sempre fatto. Come dice Aheri è un tipo in gamba, sapete? Ha affrontato situazioni ben più gravi di queste, starà bene» aggiunse.

«E se…» Ahadi provò un’ultima volta, ma capì che le sue timide proteste non sarebbero servite a nulla. «Va bene, va bene... mi arrendo» sussurrò sconsolato. Zozu tirò un sospiro di sollievo e i leoncini si acquietarono.

«Quando saremo più grandi lo aiuteremo in qualche modo, non dovrà più fare tutto da solo» esclamò Aheri, determinato.

«Ha ragione, siamo dei cuccioli ancora» annuì Asali. «Se uscissimo adesso gli causeremmo ancora più preoccupazioni a lui e a tutto il branco!»

«Ricorda chi siamo» riprese Aheri con un sorrisetto, «il più veloce, il più forte e il più coraggioso lo faranno stare così poco occupato che non dovrà preoccuparsi più di niente, te lo garantisco!»

Il principe si bloccò, preso alla sprovvista. All’improvviso si sentì più leggero e l’entusiasmo lo pervase. «Hai ragione, amico! Lo aiuteremo nei suoi doveri, così potrà avere più tempo libero!»

Le risate ritrovate dei cuccioli tranquillizzarono il maggiordomo, che tuttavia rimase perplesso da ciò che Aheri aveva detto. Il più veloce, il più forte e il più coraggioso… Era da molto che non li sentiva nominare, eppure il ricordo che conservava sin da quando era un pulcino gli riaffiorò chiaro e cristallino in mente.

Immerso nei suoi pensieri, tuttavia, non si accorse che uno dei cuccioli lo aveva accerchiato e quando se ne rese conto fu troppo tardi, ritrovandosi bloccato a terra.

«Che accidenti state facendo!?» gridò irato.

«Ahadi, fermati per tutti i Re! Dove credi di andare?» gli fece eco Uru, sorpresa e spaventata. Il principe aveva approfittato del momento di distrazione per sfuggire al controllo del suo irritante babysitter ed era brillantemente riuscito nel suo intento. Pertanto rimase molto sorpreso quando, una volta fuori dalla grotta e rapidamente bagnato dalla pioggia battente, sentì un peso estraneo attaccarsi alla sua zampa posteriore facendogli perdere l’equilibrio.

«Devi fermarti, ti caccerai solo in un grosso guaio!» lo raggiunse una voce. Il principe non fece in tempo a voltarsi che perse l'equilibrio, ruzzolando giù per un sentiero laterale della Rupe dei Re seguito a ruota da Aheri e Bure, i quali avevano cercato di fermarlo. Senza controllo, i tre scivolarono per tutta la collina, finendo la corsa fortunatamente davanti a una cavità rocciosa piuttosto ampia.

«AHADI! TORNI QUI ALL’ISTANTE!» La voce di Zozu riecheggiò con potenza inaudita alle loro spalle. Il principe fece un sorrisetto ai due amici, i quali alzarono gli occhi al cielo. «Dì la verità, ci provi proprio gusto a farlo arrabbiare, eh?» chiese Bure, sorridendo sotto i baffi. «Beh, non posso darti torto» replicò il principino in tono affettato.

«Direi che lo abbiamo fatto agitare abbastanza, torniamo su. Non è che impazzisca all’idea di prendermi un raffreddore, sapete?» mugugnò Aheri con leggera irritazione.

«E qui dentro che abbiamo?» disse ad alta voce Bure, ignorandolo. Lui e Ahadi si affrettarono a entrare nel cunicolo che avevano appena scoperto. “Almeno è riparato…” pensò sospirando il leoncino dal ciuffo rossiccio.
Prima che potessero fare un solo passo, però, il maggiordomo sfrecciò davanti a loro, furioso e gocciolante.

«Il p-più forte, veloc-ce e c-c-coraggioso, e-eh?» domandò loro, facendo una risata isterica. Per il freddo batteva freneticamente il becco, o forse era in preda a uno dei suoi soliti tic di cui soffriva quando lo mandavano fuori dai gangheri: i cuccioli non seppero dirlo con certezza.

«Vi mancano soltanto il più fiero e il più acuto di vista, dopodiché sareste la più indisciplinata Guardia del Leone[25] che si sia mai vista nelle Terre del Branco!» abbaiò.

«La Guardia del Leone?» chiese Aheri inclinando il capo, curioso. «Cos’è, un gioco?» domandò Bure, infiammandosi dall’entusiasmo.

«Oh no, niente affatto» replicò il pennuto calmandosi leggermente, grato di aver finalmente catturato l’attenzione dei cuccioli.

«La Guardia del Leone è un gruppo formato da cinque membri che si distinguono per una loro qualità in particolare – coraggio, forza, fierezza, vista e velocità appunto – e il loro compito è proteggere le Terre del Branco da qualsiasi cosa minacci il principio del Cerchio della Vita» spiegò. «Il loro leader, che di solito è denominato il più fiero, ha l’importantissimo compito di mantenere gli equilibri del nostro territorio, facendo di fatto le veci del Re».

Il racconto del maggiordomo lasciò senza fiato i cuccioli presenti. «Sembra una cosa fichissima!» urlò Bure con eccitazione, incontrando l’entusiasmo degli altri leoncini.

«E che caratteristiche ha il più fiero, Zozu?» domandò Ahadi. Il pennuto si schiarì la gola e rispose «è conosciuto dalle leggende anche come ‘il più feroce’ della Guardia, il Leader infatti possiede un potere superiore che nessun altro ha».

Ancora una volta i leoncini si concentrarono su di lui. «Ebbene, il Leader della Guardia viene investito di un potere mistico chiamato ‘Il Ruggito degli Antenati’. Un potere così forte e travolgente che permette di spazzare via qualsiasi cosa minacci le Terre del Branco con un unico, possente ruggito» concluse soddisfatto, ma stavolta fu accolto da un assordante silenzio. Quando si voltò nuovamente verso i leoncini, vide in loro espressioni di scherno, delusione e scetticismo.

«Ci stai solo prendendo in giro» osservò Ahadi con una nota di delusione nella voce, voltandosi dall’altra parte. «Ha ragione, e poi cos’è questa storia del Ruggito che spazza via qualsiasi cosa? Nessuno può ruggire così forte…» rimbeccò Aheri, scettico. Zozu deglutì, temendo di aver un po’ esagerato. «Beh, cuccioli, forse ho usato qualche parolone, ma vi assicuro che esiste. Sono note a tutti le gesta del primo leader Askari e di come sia riuscito a stringere l'accordo di pace tra leoni ed Elefanti! Lui non è certo una leggenda…»

«Mamma dice che è vissuto quando il nonno di Re Mohatu è arrivato nelle Terre del Branco, da giovane» rifletté ad alta voce Bure, aggrottandosi la fronte con un artiglio. «Non ricordo nulla però che riguardi un poderoso ruggito, no no» proseguì scuotendo il capo.

«Askari non è stato l’unico Leader della Guardia, anche suo figlio lo fu» continuò il pennuto, «persino lo zio di sua Maestà a suo tempo fu Leader della Guardia. Sapete, normalmente questo ruolo spetta di diritto al secondogenito maschio del Re o, qualora non lo avesse, al parente maschio più prossimo».

A quel punto, Zozu realizzò in che luogo erano finiti e un sorrisetto compiaciuto gli si dipinse sul becco. «E a supportare le mie parole c’è una cosetta che dovreste proprio vedere!» disse, e indicò con un gesto teatrale la parete della grotta. I leoncini alzarono la testa: fiocamente illuminata, la facciata alle loro spalle era decorata con delle tracce piuttosto particolari. Ciò che li colpì maggiormente fu l’effigie della testa di un leone stilizzato, circondata dall'impronta di cinque zampe leonine differenti, quasi come a formare le punte di una stella.

«Questa è la prova che la Guardia esisteva davvero in passato» spiegò il maggiordomo, «e la grotta in cui ci troviamo adesso era la loro base operativa. È qui che si riposavano i membri quando non erano in servizio».
I tre cuccioli rimasero a bocca aperta dinanzi a quella scoperta. Era tutto vero, ed era incredibile! Ma allora…

«Perché non c’è più?!» protestò Bure ad alta voce. «Non è giusto!»

«Perché Ahadi non ha un fratello, amico…» replicò Aheri come se fosse ovvio, ma a un certo punto si bloccò. «Un momento» rifletté, fissando il leoncino dagli occhi verdi. «Ahadi, tu non hai un fratello… Ma tuo padre sì!» concluse, sorpreso della sua stessa capacità di ragionamento. Ahadi si voltò verso Zozu, il quale si rabbuiò.

«Tuo zio è il leader della Guardia del Leone e non ce l’hai mai detto?!» domandò Bure, stupefatto.

«Non lo sapevo!» protestò Ahadi, anche lui sconcertato. «Zozu, è vero? Lo zio Choyo è…?» chiese Ahadi lentamente al pennuto che aveva di fronte, ma questi scosse il capo.

«No. Choyo non è mai stato Leader» disse in tono insolitamente serio.

«Come mai…?» domandò Aheri incuriosito, ma Zozu cominciò a spingerli via. «Adesso basta con le domande, cuccioli. Si è fatto tardi e avete bisogno di riposo, su, andate dalle vostre madri e lasciatemi qui a svolgere il mio lavoro». I leoncini protestarono, ma a quel punto il bucero perse nuovamente la pazienza.

«Ora ne ho abbastanza! Tornate alla Rupe o informerò il Re della vostra disubbidienza!» tuonò. Il trio abbassò le orecchie, e senza dire un’altra parola uscirono velocemente dalla tana con grande sollievo del volatile.

Quando rimase nuovamente isolato davanti alla grotta, un tuono assordante rimbombò tutt’intorno e la pioggia aumentò di intensità.

“Ormai avrebbe dovuto essere di ritorno … Spero solo che abbia trovato un riparo, Maestà…”
Il bucero diede un’occhiata all’ingresso della grotta, ormai anche lui ansioso per la sorte del suo amico e sovrano.

Una Guardia del Leone, rifletté malinconicamente, in effetti avrebbe fatto proprio comodo in quel momento.

 
[24] Diverse settimane da allora: il tempo esatto trascorso dal precedente capitolo corrisponde a circa due mesi, pertanto si è conclusa la stagione secca e ha avuto inizio la stagione delle piogge. I cuccioli adesso hanno circa 5-6 mesi.  
[25] Guardia del leone: gruppo di supporto del Re Leone delle Terre del Branco, mostrato per la prima volta nella serie ‘The Lion Guard’.


Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Dopo una luuunga attesa ecco l'undicesimo capitolo!
In questo e nel prossimo esploreremo alcuni aspetti cruciali per lo sviluppo di certi personaggi, e l'introduzione della Lion Guard era necessaria. Aheri ci ha proprio preso, in effetti il leader della Guardia del loro tempo avrebbe dovuto essere Choyo, il fratello di Mohatu. E allora cosa è successo? Chissà :)
Per quanto gli somigli in molti aspetti - e lo ammetto senza problemi, è ispirato a lui in fin dei conti - vorrei sottolineare comunque che Choyo non è Scar. Naturale che siano simili, in fondo è il suo prozio, ma gli ideali che li spingono sono sostanzialmente diversi e avrete modo di vederlo abbondantemente nei prossimi capitoli.
Detto questo, vi anticipo che nel prossimo capitolo introdurrò una vecchia conoscenza... Che in realtà non sarà tanto vecchia per l'epoca in cui ci troviamo! Immaginate chi possa essere? Eheh
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

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Capitolo 12
*** Un amico per la vita ***


Nel bel mezzo della tempesta, Mohatu faticava a trovare un riparo. Sulla via del ritorno alla Rupe dei Re infatti, la pioggia aumentò talmente tanto di intensità che il leone fu costretto a rinunciare momentaneamente al rientro verso casa. Procedendo a fatica, cercando di aprirsi un varco tra le fortissime raffiche di vento che sferzavano la savana, Mohatu si guardò intorno per trovare un giaciglio di fortuna in modo da proteggersi dalla pioggia battente e dai fulmini che attraversavano minacciosi il cielo sovrastante.

“Uzuri e Ahadi saranno in pensiero” pensò Mohatu malinconicamente dopo essersi accovacciato e aver poggiato la testa su una delle zampe, stanco e crucciato ma finalmente al riparo.

Ripensò agli eventi che lo avevano tenuto impegnato durante quella lunga giornata: nelle prime ore del mattino, il fiume si era ingrossato a causa delle precipitazioni e un branco di zebre si era ritrovato bloccato nella sponda opposta; la pioggia non fece che aumentare nel corso della mattina e in aggiunta cominciarono ad abbattersi fulmini tanto violenti che degli gnu impazzirono a causa di essi: il leone fece in tempo a calmare gli animi, intervenendo proprio un attimo prima che i bovidi imbizzarriti precipitassero in una ripida scarpata.

E il peggio doveva ancora venire. Finalmente nel pomeriggio ci fu una temporanea diminuzione della pioggia. Mohatu però non fece nemmeno in tempo a tirare un sospiro di sollievo, che alle sue orecchie giunse la segnalazione di un clandestino tentativo di caccia non autorizzata da parte di leoni stranieri, sgattaiolati entro i confini senza farsi notare. Vedendosi costretto a intervenire dovette ricorrere alla forza per cacciare via gli intrusi, non senza riportare qualche leggera ferita. I vagabondi infatti erano leoni particolarmente ostili, senza branco e abbandonati a loro stessi, pertanto attaccavano chiunque gli capitasse a tiro, non necessariamente per sfamarsi.

Lasciato finalmente ai suoi pensieri per qualche istante in quel riparo di fortuna, Mohatu diede un’occhiata al cielo, speranzoso di scorgere uno squarcio di stelle in quella spessa coltre nera come la pece, ma per un po’ rimase completamente impenetrabile. Ciò gli diede la possibilità di riflettere sui problemi che il branco stava affrontando in quel periodo, la gestione delle leonesse arrivate da poco, la ribellione dei coccodrilli, le parole di Kondo…

E suo fratello.

Choyo occupava sempre un posto speciale nella mente del Re, che proprio non riusciva a interpretare il suo atteggiamento. Non aiutava mai attivamente il branco quando gli veniva chiesto esplicitamente di fare qualcosa, come ad esempio il presidio dei confini e accompagnarlo nelle ore di pattugliamento; d’altro canto riusciva sempre a trovare il modo di rendersi utile, ad esempio fornendo delle preziose informazioni sulla presenza di intrusi, oppure aggiornando frequentemente la squadra di caccia sugli spostamenti delle mandrie per massimizzare la raccolta di cibo. Sembrava quasi che cercasse in qualche modo di compensare l’aperta critica verso il modo di governare del fratello con consigli e informazioni fatte passare sotto traccia. Perlomeno, pensò Mohatu, teneva al branco nonostante i mugugni e le continue discussioni, e questo era un motivo più che sufficiente per apprezzare comunque il piccolo contributo che Choyo offriva.

Mentre rimuginava su quei pensieri, un lampo improvviso illuminò la buia savana e l’aria fu attraversata da un tremendo tuono che rimbombò ovunque. Il leone istintivamente sollevò una zampa per proteggersi e quando la abbassò qualcosa catturò la sua attenzione.

A pochi metri di distanza vide un albero sghembo quasi del tutto sradicato oscillare pericolosamente sul fiume: probabilmente, pensò il leone, era stato colpito da un bufalo non troppo sveglio di passaggio che durante la sua corsa l’aveva quasi abbattuto; sorrise al pensiero, immaginandosi la scena, ma un altro lampo illuminò l’area circostante e il suo sorriso scomparve di botto dopo aver notato che qualcuno vi era aggrappato.

Un giovane mandrillo[26] tentava in tutti i modi di scendere dall’albero, senza riuscirci; il vento e la pioggia ne impedivano i movimenti e l'instabilità continua della pianta ormai morente non aiutava affatto il povero primate. Senza pensarci due volte, il leone si alzò e corse ad aiutarlo: se l’albero avesse ceduto – e ormai era questione di attimi – l’animale sarebbe finito sul fiume ingrossato dal maltempo e con tutta probabilità morto affogato.
Mohatu allora abbracciò lo spesso tronco pericolante e con il suo peso riuscì a stabilizzarlo temporaneamente. Il mandrillo, visibilmente terrorizzato, non parve accorgersi di nulla in un primo momento, così il leone provò a chiamarlo cercando di sovrastare gli ululati del vento.

«Serve una zampa, piccolo?» gli domandò, avvicinandosi a fatica, ormai totalmente inzuppato.

Il primate finalmente lo udì e si voltò spaventato, ma vedendo la buona volontà del leone, impegnato nell’intento di aiutarlo, parve visibilmente sollevato: annuì freneticamente e allungò una zampa. «Asante[27]! Fammi scendere subito, per favore!»

«Ci provo!» rispose il leone di rimando allungando la sua. Il mandrillo la afferrò prontamente e fece un passo verso di lui quando udirono un sinistro scricchiolio provenire dall’albero, il quale si inclinò pericolosamente verso il fiume in piena.

«Oh no!» dissero all’unisono. Il mandrillo, preso dal panico, strattonò la zampa del leone e quest’ultimo con uno sforzo riuscì a lanciarlo dietro di sé, mettendolo al sicuro: nel farlo però Mohatu si ritrovò sbilanciato e prima che potesse fare altro perse l'equilibrio e finì tra le vorticose acque del fiume.

«Leone!» gridò il giovane mandrillo, atterrito da quella scena. Il Re nel frattempo lottava per non affogare: le rapide del fiume, unite alla profondità delle acque non gli consentivano di muoversi come voleva e faticava a riemergere.

“Sono in un bel guaio, accidenti!” disse tra sé e sé, cercando di trattenere il fiato sott’acqua: provò a nuotare controcorrente ma era impossibile, perciò provò ad avvicinarsi alla sponda, nel tentativo di aggrapparsi a una roccia sporgente.

La paura e il panico crebbero a ogni tentativo fallito: per tre volte i suoi artigli sfiorarono appena la sponda, mentre i polmoni si riempivano sempre più d’acqua. Mohatu si indeboliva rapidamente, le forze cominciavano a mancargli per l’enorme sforzo a cui si stava sottoponendo e fu sul punto di arrendersi quando iniziò a perdere i sensi.

“Papà!”
“Mohatu…”
“Figlio mio…”

Tre voci risuonarono nella sua testa come un tiepido sussurro, delicate ma allo stesso tempo sempre più forti e chiare. Avrebbe reso orfano il suo adorato figlioletto… Lasciato vedova l’amore della sua vita… E si sarebbe presto ricongiunto con suo padre…

“Non ti arrendere!”

Qualcuno lo stava chiamando… Eccola di nuovo, quella strana voce rassicurante, non capiva dove l’aveva già sentita...

«Ehi, tu! Leone, non mollare proprio ora!» ripeté quella stessa voce, stavolta rimbombandogli nella testa molto più chiaramente.

Il tono tanto forte lo costrinse ad aprire gli occhi e la bocca, alla disperata ricerca di ossigeno.

Il Re delle Terre del Branco riemerse dalle rapide, faticosamente. Dopo aver messo a fuoco la vista si guardò intorno, stupendosi di sé stesso per essere fermo e non più in movimento: un attimo dopo si rese conto di essere rimasto incastrato in una stretta rientranza del fiume, in una sorta di conca vicino alla sponda.

«Hai aperto gli occhi finalmente! Afferra questo!» Mohatu si voltò confusamente e riconobbe colui che aveva salvato prima di mettersi in pericolo: il giovane mandrillo si protese verso di lui, allungato alla sua massima estensione, protraendo un lungo bastone dall’aria piuttosto robusta.

Non c’era tempo per riflettere, così il leone non se lo fece ripetere due volte. Dopo quella che parve un’eternità, con l'aiuto del mandrillo riuscì finalmente a uscire fuori dall’acqua, crollando affannosamente nella morbida e mai così benedetta superficie solida del terreno.

Per un po’ il ticchettio della pioggia e i respiri affannati dei due animali furono gli unici suoni che riecheggiarono.

«C’è… C’è un riparo, là in…In fondo» esordì il mandrillo, con il pelo incollato sul muso e il volto ancora contratto per lo sforzo. Mohatu si sentiva svenire e non ebbe la forza di rispondergli a voce, perciò annuì leggermente, raccogliendo le poche forze rimaste per rimettersi in piedi.

La piccola grotta non era lontana, ma impiegarono molto a raggiungerla. Quando finalmente furono all’asciutto, il leone si scrollò la maggior parte dell’acqua che aveva addosso e ricadde pesantemente, ansimando per la stanchezza.

«Mi hai… Mi hai salvato la… Vita…» biascicò con il respiro ancora irregolare. Il mandrillo lo fissò preoccupato e si avvicinò velocemente, trascinando con sé lo stesso bastone che aveva usato per portarlo lontano dal pericolo.

«Non parlare, ora» gli intimò, premendo la zampa sulla sua bocca. «Sei quasi morto affogato. Fai dei respiri profondi mentre cerco un modo per farti espellere l’acqua che hai inghiottito».
Qualcosa nell’istinto di Mohatu lo indusse dargli retta, così obbedì. Concentrò i suoi sforzi per respirare normalmente, avvertendo un forte peso premergli dentro il petto che gli impediva di incamerare sufficiente aria; il mandrillo armeggiava alle sue spalle e a un tratto gli diede una spinta che lo costrinse a stendersi sul fianco.

«Ti avverto, potrebbe farti male» annunciò il primate in tono autoritario, «ma non posso permettere che tu muoia dopo ciò che hai fatto per me».
Prima che potesse dire altro, il leone vide il lungo bastone alzarsi sopra la sua testa e ricadere velocemente verso il suo corpo. All’impatto Mohatu avvertì prima una dolorosa fitta, poi l’impellente necessità di rigettare: spalancò così la bocca e riversò a terra una spropositata quantità d’acqua, tossendo.
Il dolore d'altra parte svanì all’istante e quando ebbe finito, dopo aver ripreso fiato, si rese conto che il peso che gli premeva nei polmoni era sparito.

«Ma… Cosa... Come…?» balbettò, sconvolto.
Il mandrillo sorrise, sollevato. «Dovevo sdebitarmi. Sarei finito in quel fiume al posto tuo se non mi avessi aiutato a scendere da quell’albero» disse semplicemente. Il leone non replicò, cercando di riprendere fiato, così l’altro proseguì tranquillo.

«Tu hai salvato il povero Rafiki[28]. Sei stato davvero un leone coraggioso, e anche piuttosto pazzo» proseguì. «Mi chiedo, però… Che cosa facevi qui in giro da queste parti? Non mi aspettavo di certo dell' aiuto con una magnifica tempesta come questa!»

Mohatu si scrollò nuovamente l’acqua dal pelo, completamente fradicio. «Beh... dovrei farti io questa domanda. È mio dovere controllare i confini del proprio territorio e soccorrere i miei sudditi in difficoltà» ribatté, confuso.
Il primate allora lo fissò, stupito, ripetendo senza voce le parole 'mio dovere' e 'sudditi'. Gli si avvicinò con sguardo rapito e cominciò a odorarlo, inspirando profondamente; il leone parve ancora più confuso da quell’atteggiamento, ma lo lasciò fare.

Terminata l’ispezione il mandrillo spalancò gli occhi, sognante, e sorridendo esclamò: «Per tutti gli spiriti, ho l’onore di dovere la mia povera vita a nient’altri che il magnifico Re delle Terre del Branco, Mohatu?»
Il leone avvampò di botto, imbarazzato dal complimento inaspettato. «Oh, ehm… In un certo senso…» balbettò, ricordando di aver sparso l’acqua ovunque senza riguardo poco prima, per asciugarsi in fretta.
Rafiki scoppiò a ridere di gusto. «Sei davvero il Re! E hai messo in gioco la tua stessa vita per salvare uno stupido mandrillo! Sei proprio fuori di testa! Ma sarò per sempre in debito con te…»
Mohatu sorrise di rimando: quello strano individuo gli infondeva un senso di sicurezza e fiducia che non riusciva a spiegarsi. «Tu hai salvato la mia vita e io la tua. Direi che siamo ampiamente pari. Non sentirti in debito con il tuo Re».
Il mandrillo scosse il capo e gli occhi si riempirono rapidamente con lacrime di gioia. «Siano ringraziati i Re del Passato, ci hanno protetto nonostante la furia della pioggia li abbia resi ciechi!» e lo abbracciò forte, tanto che il Re si lasciò sfuggire una risata sollevata.

Quando i due si separarono, Mohatu cercò con successo di mettersi seduto in posizione eretta e avviò una conversazione. «Allora… Cosa ci facevi lì, caro… ehm…» Non ricordò il nome, ma l’animale di fronte a lui rispose prontamente.
«Rafiki, Sire! Ho affrontato un lungo viaggio, provengo dal lontano Nord… In un posto chiamato ‘Albero della Vita[29]. Vivevo lì con i miei genitori, ma dopo aver studiato tanto ho deciso di lasciare la mia casa. Vedi, Mohatu, io… Ho viaggiato in tanti posti diversi, per ampliare le mie conoscenze. Fu allora che ho sentito parlare delle Terre del Branco. Mio nonno ha vissuto qui tanto tempo fa, e da cucciolo mi raccontava tante storie affascinanti su questo posto favoloso… Perciò adesso sono qui! Stavo cercando un posto tutto mio, magari un bel baobab spazioso in cui insediarmi… Ma poi sono stato sorpreso dal temporale e come te cercavo un riparo, perciò mi sono rifugiato in quel gracile alberello. Non è stata una delle mie idee più brillanti, devo riconoscerlo».

Mohatu annuì, interessato. «No, infatti» convenne, ridacchiando. «L’Albero della Vita hai detto? Vieni da molto lontano davvero, caro Rafiki… Ad ogni modo, spero che nessuno ti abbia importunato da quando sei arrivato. Sono tempi abbastanza difficili, da queste parti» esclamò, tornando serio; il mandrillo scosse il capo.
«Oh no, in realtà non ho incontrato nessuno. Ho visto solo delle antilopi temerarie affrontare la tempesta dal mio alberello. A parte un imponente leone che ha quasi rischiato di affogare per salvarmi la vita, comunque, non un singolo animale mi ha importunato, non direi» osservò con un largo sorriso che il leone ricambiò. Il mandrillo si voltò di spalle, rigirandosi tra le dita il lungo bastone che aveva utilizzato per curare il leone.

«E dimmi» chiese ancora Mohatu, indicandolo con una zampa: ora che lo osservava meglio notò delle decorazioni particolari, e sulla sua estremità vide due piccole zucche penzolanti legate saldamente con una liana che producevano dei piccoli suoni ogniqualvolta entravano in contatto. «Perdona la curiosità, ma a cosa ti serve quello strano e colorato ramo, a parte salvarmi la vita? Da come lo tratti, mi pare evidente che tu ci tenga molto».

Rafiki fece un saltello, entusiasta per quella domanda. «Dici il vero mio giovane Re, ci tengo moltissimo infatti! Devi sapere che questo è uno scettro. Uno strumento essenziale per me, che sono uno sciamano».
Il leone non capì. «U-uno sciamano?» chiese, incerto. Il mandrillo annuì, incoraggiante. «Certo, naturale. Uno sciamano come me lascia la sua terra d’origine in giovane età e raccoglie conoscenze e verità in tutti i luoghi che ha visitato. Si diventa un tutt’uno con il mondo che ci circonda e se sai ascoltare, puoi persino percepire i sussurri degli spiriti che aleggiano in queste Terre!»

Mohatu ascoltò educatamente, ma trovò quella spiegazione fin troppo bizzarra; il mandrillo rise nuovamente, divertito dall’espressione dipinta sul muso del leone.
«Non mi aspetto che tu mi creda subito, giovane Re. Ti basti pensare che posso essere utile nel caso qualcuno abbia le idee confuse e necessiti di una piccola spinta verso la strada giusta»

Il leone sorrise nuovamente, sollevato. «Ad ogni modo, Rafiki, sei libero di restare nelle Terre del Branco per tutto il tempo che desideri. Chiunque è il benvenuto qui se rispetta il Cerchio della Vita».
Rafiki annuì freneticamente. «Oh, grazie mille mio Re! Ho tutta l’intenzione di fermarmi qui, non speravo altro!»
Trascorsero gran parte della notte a parlare amabilmente, approfondendo reciprocamente la loro conoscenza, e in breve tempo il leone e il mandrillo stabilirono un legame che si sarebbe successivamente trasformato in una solidissima amicizia.

Era ancora buio quando la pioggia smise di cadere. Mohatu osservò il cielo, finalmente stellato e privo di nubi.
«Rafiki, prima di tornare a casa vorrei mostrarti un posto in cui potresti vivere. Sono piuttosto sicuro che ti piacerà, permettimi di accompagnarti».
Il mandrillo esultò, gioioso. «Asante, mio Re. Tuttavia…» aggiunse in tono preoccupato, «non vorrei che ti sforzassi troppo. Dopo quello che hai passato devi riposare… E invece ti ho tenuto sveglio con le mie chiacchiere…» concluse, rammaricato.

Il leone scosse il capo. «Non dire così, ci siamo tenuti compagnia. Il posto è vicino, perciò non ti preoccupare per me, e poi…» fece l’occhiolino «le tue chiacchiere sono più interessanti da ascoltare della pioggia incessante».
Il duo pertanto si incamminò, calpestando l’erba ancora bagnata dall’acqua che era caduta durante la giornata.

«E dunque, giovane Mohatu» disse dopo un po’ il mandrillo al suo fianco mentre proseguivano, «spero che la tua famiglia e il tuo branco non siano preoccupati dalla prolungata assenza del loro Re». Il leone scosse il capo, sereno. «Loro sono alla Rupe, al sicuro e al caldo. A quest’ora il mio piccolo Ahadi starà dormendo come un sasso, mentre Uzuri…» si interruppe, impietrito: la sua amata sicuramente era rimasta sveglia ad attendere il suo ritorno, preoccupata. «Essere Re comporta una grande responsabilità e tanti sacrifici, mio caro Mohatu. Ma non c’è bisogno che te lo dica uno stupido mandrillo, lo saprai già» commentò il mandrillo. «L’amore che provi per la tua famiglia traspare in ogni parola, te lo assicuro» aggiunse, ridacchiando.

Il leone inarcò un sopracciglio, scettico. «Mi prendi in giro?» Rafiki rise nuovamente. «Oh no, niente affatto. Trovo che tu sia guidato da uno spirito nobile e altruista. Sei un compagno fedele, un padre amorevole e hai già dimostrato ampiamente di essere un degno Re». Mohatu non rispose e incontrò gli occhi di Rafiki, il quale adesso lo osservava con una strana intensità.
«Ma… vedo anche che la tua sicurezza è offuscata da una vaga preoccupazione… C’è qualcosa, se non più cose che ti turbano, su questo non c’è alcun dubbio. E non mi riferisco certo ai tuoi doveri» esclamò, risoluto.

Il leone si arrestò, sbigottito. Neanche il suo più intimo amico avrebbe potuto fargli una spiegazione tanto accurata del suo io, eppure quel mandrillo sconosciuto l’aveva fatto dopo neanche qualche ora dal loro primo incontro; cominciò a credere davvero che avesse qualche sorta di dono, e quella strana idea lo atterriva tanto quanto lo affascinava.
«Io… Io non credo proprio, Rafiki. Ti sbagli» insistette, sentendosi violato nel profondo.

Il mandrillo parve deluso per un istante, ma poi sorrise. «Capisco, non ti senti ancora pronto» lo anticipò il mandrillo di buon umore, guardandosi intorno: erano arrivati in una radura isolata, dove il vento soffiava leggero sulle foglie di un maestoso baobab rigoglioso.

«Penso che questo sia il perfetto luogo in cui potermi riposare» disse, indicando l’albero. Fece due passi verso il tronco e si voltò verso il leone un’ultima volta. «Ti ringrazio per l’aiuto prezioso di questa notte. Ricordati che il mio invito è sempre valido: qualora avrai le idee poco chiare, ci penserà il buon Rafiki a mostrarti la strada!»
Mohatu si alzò di rimando, facendo un breve inchino al mandrillo. «Passerò a trovarti, di tanto in tanto per vedere come vanno le cose».

Rafiki annuì e fece uno strano gesto con la zampa con cui formò un piccolo cerchio: poi scalò rapidamente il tronco e senza voltarsi sparì dietro i rigogliosi rami del baobab.

 
 
[26] Il mandrillo è una scimmia assai variopinta: sul dorso il pelo è bruno scuro, con sfumature verde oliva, sul petto invece è giallastro, sul ventre diviene di consistenza ovattata ed è di colore biancastro, mentre sui fianchi è presente una fascia divisoria fra il pelo del dorso e del ventre, di colore bruno chiaro. In tutto il corpo il pelame è un po' ruvido e ispido. La testa del maschio è di dimensioni eccezionali rispetto al corpo. (Descrizione presa da Wikipedia)
[27] Asante: vuol dire ‘grazie’ in lingua Swahili.
[28] Rafiki: significa ‘Amico’ in Swahili.
[29] Albero della Vita: dall’originale ‘Tree of Life’, il luogo mostrato nella serie The Lion Guard.

Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Dopo una luuunga attesa (niente, ormai è la normalità XD) ecco il dodicesimo capitolo!
Finalmente Rafiki ha fatto la sua comparsa nella scena! E non avete idea di quanto mi abbia messo in difficoltà. Fino all'ultimo sono stato indeciso sull'età da attribuirgli. All'inizio avevo pensato di descriverlo come un po' più giovane rispetto a come lo conosciamo, ma non credo che i mandrilli vivano così tanto a lungo, perciò ho poi optato per raffigurarlo come un giovane adulto, in una fase in cui ha superato da poco l'adolescenza. Ho cercato di renderlo un po' inesperto data la giovane età e l'inesperienza ma allo stesso tempo spero di aver conservato le caratteristiche che lo contraddistinguono. Spero di renderle ancora più evidenti nei prossimi capitoli. 
Nel prossimo capitolo entreremo nella prima fase dark di questa fan fiction... Preparatevi a vedere il sangue.
Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"


P.S.: dato che ultimamente mi sto esercitando per imparare a disegnare qualcosa che sia più dettagliato di un omino dell'impiccato, nei giorni scorsi durante una fase di ispirazione ho realizzato una giovane versione di Rafiki compatibile al periodo in cui si svolge la mia storia. La trovate nel link qui sotto: 
https://www.deviantart.com/lion-blackandwhite/art/Sisi-Ni-Sawa-King-Mohatu-858863510

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Capitolo 13
*** Il Cimitero degli Elefanti ***


Il Cimitero degli Elefanti veniva da sempre considerato la cosiddetta ‘destinazione finale’, il luogo in cui i pachidermi, ormai raggrinziti dall’età e divenuti un peso per il proprio branco, trovavano conforto e si addormentavano per l’ultima volta, cadendo in un eterno sogno dove era possibile incontrare nuovamente i propri cari che li avevano preceduti, tornando a correre felici insieme, spensierati e nuovamente pieni di energia.

Se le anime degli elefanti trovavano conforto proseguendo il loro percorso ultraterreno, ciò che si lasciavano dietro diventava parte essenziale del Cerchio della Vita. La terra sacra era un luogo miracoloso anche per coloro che, alla ricerca disperata di sostentamento, si cibavano dei gusci ormai vuoti dei pachidermi, sopravvivendo così a loro volta.

Sin dall’insediamento del primo sovrano delle Terre del Branco, il Cimitero era un luogo rispettato dai predatori e naturalmente era considerato il peggiore dei tabù introdurvisi per disturbare la pace che avvolgeva quel luogo: per anni venne protetto e conservato a partire dal primo Re Leone, dal suo branco e dai suoi abitanti e le generazioni che seguirono rispettarono quella volontà… Finché non si consumò l’ascesa dei Signori della guerra: esseri spietati e arroganti, questi leoni venivano guidati solo ed esclusivamente dalla sete di potere e di sangue, pronti a uccidere chiunque intralciasse il loro inarrestabile dominio. Le lotte allietavano le loro giornate, la morte cullava il loro riposo, la sofferenza che causavano agli innocenti li divertiva e non gli bastava mai. Per un po’ regnò il caos nella Savana e il terreno circostante, alimentato solo dalla spropositata quantità di sangue versato in poco tempo cominciò a morire, devastato dalla desolazione che i crudeli predatori lasciavano alle loro spalle.


Tutto sarebbe andato perduto se non fosse stato per un coraggioso leone. Egli riuscì finalmente a scacciare i signori della guerra dalle Terre del Branco con l’aiuto dei principali gruppi di animali che vivevano lì; predicò che la cooperazione e la fiducia riposta negli altri fossero l’unico modo perché tutti potessero sopravvivere; tuttavia nemmeno la morte dei tiranni poteva essere la soluzione per curare la Savana, in quanto era fondamentale, più di qualsiasi altra cosa spezzare quella spirale di morte e distruzione per sconfiggerla completamente.

I signori della guerra sopravvissuti così vennero esiliati dalle Terre del Branco e si dispersero oltre i suoi confini: alcuni si insediarono in altri territori, fondando il loro branco; altri non ebbero altrettanta fortuna e divennero vagabondi. Il coraggioso leone venne nominato come nuovo Re succedendo al suo predecessore rimasto vittima delle lotte e con il suo saggio operato riuscì a far rifiorire le ormai morenti Terre, ma il Cimitero degli Elefanti, contaminato dalla morte e dalla sofferenza indotta, nonostante gli sforzi di tutti non si riprese mai, trasformandosi in una landa cupa e desolata, ingrigita dai resti e da una nebbia insistente causata dai gas che fuoriuscivano dai vulcani sotterranei, risvegliatisi per manifestare la propria ira.

A tempo debito il Re ebbe due figli, che chiamò Mohatu e Choyo, e visse fino alla fine dei suoi giorni cercando di trasmettere loro il suo credo e le sue convinzioni per proteggere le Terre che tanto amava.

 
Un gemito di sofferenza risuonò da lontano, squarciando malamente il cupo silenzio della notte.
Dalle profondità oscure di uno stretto cunicolo, i densi fumi che fuoriuscivano dalle numerose spaccature del terreno rendevano l’aria satura e irrespirabile. A causa della temperatura elevata, la crescita di qualsiasi forma di vita vegetale era del tutto impossibile. Eppure, proprio da lì provenivano le urla inconfondibili di un animale sofferente.

«E fa silenzio, lurido traditore» eruppe velenosamente qualcuno con voce infastidita, coprendosi le orecchie con le zampe. «Anche io mi trovo qui sotto a respirare gas tossici, eppure non è che mi stia lamentando così tanto».
La iena di fronte a lui boccheggiò disperatamente in cerca di ossigeno. Aveva un aspetto orribile: lunghi e profondi graffi sanguinolenti gli percorrevano tutto il corpo; la pelliccia, una volta liscia e curata, era completamente arruffata e diversi ciuffi erano stati strappati via; una delle zampe era inclinata in modo innaturale e penzolava in disarmonia con il resto del corpo. Il petto del canide si alzava e abbassava rapidamente, ma gli occhi iniettati di sangue erano fissi sul suo simile, che in quel momento gli voltava le spalle.

«Credevo…Di essere un buon leader» mormorò affannosamente. «Ho sempre…messo…il bene del clan al primo posto…» continuò, lasciandosi sfuggire un lamento. L’altra iena, tuttavia, lo ignorò.
«Cos’è che ho sbagliato?» Domandò nuovamente il ferito dopo un lungo silenzio.

«Hai tradito il tuo clan, Rashid» rispose la iena di fronte a lui, lanciandogli un’occhiata obliqua. «Sai, quando si tradisce la propria razza accadono delle conseguenze, e sono sicuro che rimarrai sconvolto, ma qualcuno potrebbe un tantino rivoltartisi contro» proseguì sarcasticamente. «E incredibilmente, proprio contro ogni pronostico, è esattamente quello che è successo! Per tutti i cagnacci della savana, ma a che pensavi quando sei sceso a patti con Mohatu?» chiese con aggressiva incredulità.
«Ma…Io l’ho fatto per noi…» rispose Rashid, cercando di sostenere il suo sguardo. «Le iene hanno rischiato di essere distrutte dai signori della guerra… Mohatu ci ha permesso di…» ma a quel punto fu interrotto da una terza voce, preceduta da una risata agghiacciante. «…renderci i suoi schiavi!» esclamò la nuova arrivata.

«Ah no, aspetta… Usiamo le tue parole. Forse intendevi che quel sacco di pulci ci ha permesso di vivere in armonia con le bellissime Terre del Branco, facendoti credere che fosse il favore di un amichetto, magari?» e nuovamente scoppiò a ridere.
Rashid chinò il capo. «Io e Mohatu siamo davvero amici…Kifo» borbottò, prima di tossire e sputare una spropositata quantità di sangue.
«Ancora con questa storia? Tsk, Rashid, credevo che avessi imparato la lezione…» la femmina fece qualche passo verso ciò che rimaneva del vecchio leader, il quale istintivamente iniziò a tremare. «Ecco… è questo che io voglio vedere da tutti coloro che mi si oppongono. La paura nei loro occhi, il terrore che divora la carne a ogni passo che faccio…» alzò una zampa e la affondò nella carne di Rashid, il quale urlò nuovamente di dolore, «il rispetto adeguato che spetta alla nostra specie».

«Per…Quanto tu possa negarlo…», biascicò la iena morente «non potrai mai cambiare ciò che è stato… Stai commettendo un grave errore…»
Kifo digrignò i denti, ma poi sorrise nuovamente. «Caro, dolce, piccolo Rashid… è proprio qui che ti sbagli… Chi ha commesso l’errore sei proprio tu, non io... Ricorderai come la maggior parte del clan ti si sia rivoltata contro non più tardi di una luna piena fa, no?» cominciò a girare intorno al corpo della iena ferita, con calma. «E ricorderai altrettanto chiaramente come tutti, stanchi del tuo atteggiamento servile verso quegli sporchi leoni, abbiano deciso di dare una svolta alla loro misera condizione. Io sono solo il rappresentante della nostra volontà, Rashid. Nient’altro»

«Kifo, tu vuoi la guerra contro le Terre del Branco… Non te ne importa nulla del clan…» disse Rashid, tossendo un’altra volta.
«Vero…» asserì, poi morse la zampa ferita del suo simile, facendolo urlare di dolore, «e falso» aggiunse con uno strattone.
Ignorando i pietosi guaiti del canide lanciò lontano l’arto reciso, facendolo finire in uno dei crateri da cui fuoriusciva il fumo incandescente.
«Rognosa figlia di p…» guaì Rashid in lacrime tremando dal dolore, ma ancora una volta fu interrotto dalla iena di fronte a lui. «A me importa tanto, tantissimo del nostro clan. Molto più di quanto importi a te, in effetti».

«IO DESIDERO SOLO LA LORO SICUREZZA!» Abbaiò Rashid, in un ultimo impeto di orgoglio, ma Kifo scoppiò a ridere sguaiatamente.
«La loro sicurezza! Quindi per te va bene renderci tutti dei fantocci alla mercé dei leoni, stare alle loro regole e farci comandare a bacchetta?!» sibilò, furiosa.

«Mohatu…non è così…Lui è… diverso… dagli altri…» replicò l’altro, ormai con gli occhi che faticavano a restare aperti. «Stupido vecchio, sei cieco. Un leone delle Terre del Branco non può cambiare la sua natura. Tratterà noi iene sempre come spazzatura». Contrariamente a ciò che si aspettava, Rashid ridacchiò.
«Ti pentirai… Di ciò che stai facendo… Rivoltarti contro Mohatu non risolverà il tuo problema…»

«Ah, davvero? Io dico di sì, invece» ribatté la iena. «Spodestarti e prendere il controllo del clan è stata una delle migliori decisioni della mia vita, e anche la cosa migliore che potesse capitare a tutti noi. Non saremo più costretti a chinare il capo ai leoni e alle loro assurdità di regole sul Cerchio della Vita! Non ci saranno più confini di territorio, non ci sarà più l’insulso rispetto che dobbiamo alle nostre prede, il nostro CIBO! Ci prenderemo tutto ciò che vogliamo, quando vogliamo! Saremo superiori a qualsiasi razza, nessuno sovrasterà il clan di Kifo!»

«Buona fortuna…allora…» ridacchiò Rashid tossendo, «non riuscirai mai da sola a distruggere Mohatu e il suo branco…»
Kifo però, a quelle parole, assunse un’espressione di finto sgomento. «Da sola? E chi ha detto che sono da sola?» gli chiese, e si compiacque di vedere la paura comparire un’altra volta negli occhi del suo predecessore.
«Naturalmente, avrei preferito che i nostri ranghi fossero più folti per poter sbrigare questa faccenda da noi…» proseguì la leader, «ma dato che siamo ancora in inferiorità, è abbastanza scontato che abbia bisogno di alcuni… alleati che si uniscano alla causa e cancellino per sempre quelle macchiette».
«Quale folle si unirebbe alle iene per rovesciare il Re delle Terre del Branco…» sogghignò Rashid, cercando di dissimulare la sua preoccupazione.

Kifo lanciò un’occhiata alla terza iena, rimasta in disparte. «Vai a chiamare il nostro ospite» le ordinò; quando si fu allontanata abbastanza rivolse nuovamente l’attenzione al canide morente. «Considera la soddisfazione della tua curiosità come ultimo desiderio, Rashid».
«Mi domando quale genere di feccia…» chiese a fatica quest’ultimo «possa aver accettato di scendere a patti con una squinternata pazzoide come te…»

Kifo scoppiò a ridere. «La risposta ti sorprenderà parecchio! Ti stupiresti di quanti esseri odino chi governa le Terre del Branco, sai».
«Vedi, forse Mohatu e la sua banda di criminali adesso potranno giocare a fare i Re, le Regine e i principi degli animali, atteggiandosi a salvatori della terra, con la tipica spocchiosità che solo degli esseri boriosi come i leoni possono possedere. Ma la verità è che nessuno li ha messi in quella posizione. I suoi antenati si sono autoproclamati superiori a tutti gli altri, senza che nessuno glielo chiedesse hanno dato il via alla nostra decadenza».

«Così giovane… Così ignorante…» commentò amaramente Rashid, scuotendo il capo. «Chi ti ha raccontato questo mucchio di sciocchezze, Kifo? Non è ciò che ho insegnato quando ero il leader…»
«Perché tu non ci hai mai raccontato altro che bugie!» scattò rabbiosa la femmina, digrignando i denti. «Bugie che soltanto una iena senza spina dorsale, leccapiedi dei leoni poteva propinarci».
«Oh Kifo… Che cosa sei diventata…» Rashid scosse il capo con le lacrime agli occhi. Capì che non c’era più nulla da fare per farla rinsavire.

«Ero l’ombra di me stessa, vecchio. Ma ora ho capito chi sono» replicò la leader con un ghigno malvagio, mentre un ringhio sinistro e minaccioso si levò alle sue spalle.
«Io sono destinata a guidare questa stirpe di iene fino alla più magnifica delle grandezze, non rimarremo dei miseri cagnolini scodinzolanti come ci hai imposto tu!» proseguì Kifo.
«Sei la disgrazia che ha quasi portato all’estinzione la vera natura di noi iene, Rashid. Ma non temere… Presto non sarai che un mero, lontano ricordo»

Un’ombra minacciosa oscurò la vista dell’ex leader. Per ultimo ciò che riuscì a percepire fu un tremendo ruggito e la stretta mortale delle fauci intorno al collo.
Poi, con un secco ‘crack’, tutto divenne buio.


«Lascialo andare, quella feccia è già abbastanza martoriata di suo». Il predatore misterioso obbedì all’ordine e lanciò lontano il corpo ormai inanimato di Rashid.
«Davvero carino da parte tua, farmi usare il tuo ex capoclan come stuzzicadenti» esordì questi con voce roca. «Avevo proprio qualcosa di fastidioso incastrato tra i denti».
Kifo si contorse in una smorfia disgustata. «Lieta di esserti stata utile» replicò.

«Devo dire che lo avevate conciato male anche senza il mio aiuto, comunque» proseguì l’animale accanto a lei. «Penso che sarebbe morto da solo per le ferite, tra atroci sofferenze. Gli hai solo fatto un favore facendomi rompere il suo collo»
«Ti è servito come antipasto. Spezzare le ossa a Mohatu sarà molto più soddisfacente, te lo assicuro…» Kifo ghignò, voltandosi a guardarlo. «Del resto, non c’è bisogno che dica a un leone discendente dagli antichi Signori della Guerra quanto sia soddisfacente fare a pezzi un membro usurpatore della sua specie, giusto?»

Il leone non rispose. Con passo calmo si avvicinò al guscio ormai vuoto di Rashid e affondò le zanne sul suo corpo, imbrattandosi il muso di sangue. Scosse la folta criniera color della pece e fletté i muscoli delle possenti zampe per spiccare un salto, atterrando su una piattaforma rocciosa piuttosto alta. Illuminato dalle luci rossastre che provenivano dai crateri vulcanici, Kifo poté notare come il corpo vigoroso del leone fosse segnato da vecchie ma grosse e profondi cicatrici, quasi come a testimoniare lo stile di vita del guerriero che aveva di fronte.

«Non sono il tuo galoppino, Kifo» disse con la voce ridotta a un sussurro. «Voglio uccidere Mohatu perché le Terre del Branco devono essere mie, a ogni costo. È solo un caso il fatto che entrambi desideriamo la sua morte, niente di più».
Kifo rise nervosamente, sentendosi addosso lo sguardo assassino del suo ‘alleato’. «Certo che no, non voglio sfruttarti, figuriamoci…Io e il mio clan saremo ben felici di aiutarti nel tuo piano, mio spaventoso amico…»
«…A patto che tu riceva il meritato compenso, ovvero una libera prolificazione dei tuoi cagnacci. Giusto?» la interruppe il leone con uno sguardo di ghiaccio.
«Non temere, avrai ciò che ti spetta per la tua collaborazione…Dopotutto sono da solo, per ora» asserì poi con aria annoiata.

«Ma…tu hai noi! È più che sufficiente per annientare il branco di Mohatu, no?» domandò Kifo interdetta, ma l’altro scoppiò a ridere.
«Cosa credi che possa fare contro un branco intero?» chiese sarcasticamente il leone. «Mohatu non è certo da solo. La sua regina è una delle leonesse più letali che conosca, anche se è una femmina non è il tipo da sottovalutare… Per non parlare di tutto il resto del suo numeroso branco... No, ancora non siamo in grado di sconfiggerli».
La iena aggrottò la fronte, pensierosa. «Ma se non ora… Quando colpiremo?»

«Chi ha detto che non faremo alcuna mossa?» ruggì nervosamente il leone, facendola indietreggiare di parecchi metri. «Non siamo ancora in grado di distruggere tutto il branco… Perciò procederemo per gradi. Prima toglieremo di mezzo la parte più debole… Poi rimpolperemo i nostri ranghi».
«Quando intendi… la parte più debole… vuoi dire…» chiese ancora la iena. Cominciò a prendere consapevolezza di quelle parole e un ghigno malevolo le si dipinse sul muso. «Oh, ho capito… I cuccioli…» disse, infine.

Il leone annuì appena. «Senza alcun successore, il Re sarà costretto a produrre un nuovo erede. Ciò causerà l’indebolimento del branco, senza contare il devastante trauma psicologico che quell’essere patetico subirà con la perdita di suo figlio».
«Le Terre del Branco non hanno alleati da diverse stagioni ormai, sin dai tempi del padre di Mohatu, e nessuno pare abbia voglia di avere niente a che fare con loro, al momento» continuò. «Dopo aver distrutto il suo futuro, noi approfitteremo di quel lasso di tempo per raccogliere altri alleati… E nel momento in cui penserà di aver finalmente rimesso insieme tutti i pezzi frantumati delle sue speranze…

Lo schiacceremo completamente».


Angolo dell'autore:

"Ciao a tutti!
Dopo una luuunga attesa (a quasi tre settimane dal precedente, complimentoni lion...) ecco il tredicesimo capitolo!
Come vi avevo anticipato, ecco l'inizio di una fase un po' dark della storia. Com'era già evidente, Kifo è uno dei villain... Ma non è l'unico! Anzi, direi che abbiamo conosciuto anche il vero e proprio antagonista principale, anche se ancora aleggia in lui un certo alone di mistero... Come avrete notato, non ho ancora rivelato la sua identità, ma quel momento arriverà presto. 
Anche nel prossimo capitolo, in base a ciò che ho in serbo per il development della storia, preparatevi a vedere diverse scene cruenti... Anche peggiori di queste. Spero di riuscire a rendere bene tutto ciò che ho già in mente (e scritto: il motivo principale per cui perdo tanto tempo ad aggiornare la fan fiction è che cerco di riadattare, a volte quasi del tutto integralmente, veri e propri pezzi che avevo già steso tempo fa e che rileggendoli non sono più adatti al compimento della storia fino a questo punto... Pubblico soltanto quando il capitolo mi soddisfa al 100%, sono molto esigente!).
Sono ancora indeciso se suddividere il prossimo capitolo in due parti... Probabilmente, se farò così, tra la pubblicazione della prima e seconda parte non passerà moltissimo, perché mi assicurerò di completarlo per intero... Il problema è quando pubblicherò la prima parte XD spero di avere l'ispirazione e mettermi al lavoro subito, chissà. 

Come al solito... (messaggio preimpostato in arrivo)

Sentitevi liberi di lasciare una recensione, una critica o anche dei suggerimenti, sono sicuro che mi aiuteranno molto con il prosieguo della storia.

Numerosi feedback possono tornare molto utili!
Rimango inoltre a disposizione in caso di eventuali domande sui personaggi o su qualcosa che è risultato poco chiaro nella lettura. 
Al prossimo capitolo!

Un saluto da Lion"

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