Alcol

di rocchi68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1 ***
Capitolo 2: *** Cap 2 ***
Capitolo 3: *** Cap 3 ***
Capitolo 4: *** Cap 4 ***
Capitolo 5: *** Cap 5 ***
Capitolo 6: *** Cap 6 ***
Capitolo 7: *** Cap 7 ***
Capitolo 8: *** Cap 8 ***
Capitolo 9: *** Cap 9 ***
Capitolo 10: *** Cap 10 ***
Capitolo 11: *** Cap 11 ***
Capitolo 12: *** Cap 12 ***
Capitolo 13: *** Cap 13 ***
Capitolo 14: *** Cap 14 ***
Capitolo 15: *** Cap 15 ***
Capitolo 16: *** Cap 16 ***
Capitolo 17: *** Cap 17 ***
Capitolo 18: *** Cap 18 ***
Capitolo 19: *** Cap 19 ***
Capitolo 20: *** Cap 20 ***
Capitolo 21: *** Cap 21 ***
Capitolo 22: *** Cap 22 ***
Capitolo 23: *** Cap 23 ***
Capitolo 24: *** Cap 24 ***
Capitolo 25: *** Cap 25 ***
Capitolo 26: *** Cap 26 ***
Capitolo 27: *** Cap 27 ***
Capitolo 28: *** Cap 28 ***
Capitolo 29: *** Cap 29 ***
Capitolo 30: *** Cap 30 ***
Capitolo 31: *** Cap 31 ***
Capitolo 32: *** Cap 32 ***
Capitolo 33: *** Cap 33 ***
Capitolo 34: *** Cap 34 ***
Capitolo 35: *** Cap 35 ***
Capitolo 36: *** Cap 36 ***
Capitolo 37: *** Cap 37 ***
Capitolo 38: *** Cap 38 ***
Capitolo 39: *** Cap 39 ***
Capitolo 40: *** Cap 40 ***



Capitolo 1
*** Cap 1 ***


Era furibonda.
Chiunque avesse incrociato il suo sguardo o si fosse scontrato con lei, non avrebbe usato altri aggettivi per descrivere quella sconosciuta cui era stata rovinata la vita.
Quella sera, quando era rientrata intorno alle 22 dopo una lista interminabile d’impegni, non si aspettava di uscire nuovamente a distanza di pochi secondi. Credeva di meritarsi un po’ di sano relax sul divano, di mettersi in pari con l’ultima sitcom e non di dover scappare dall’appartamento perché aveva beccato quel gran bastardo del suo fidanzato a letto con un’altra.
Quell’appartamento, riempito di gemiti, era stato attraversato dal suo urlo, udito anche dai vicini, e poi dalla sua fuga precipitosa giù per le scale. Raccolta la borsetta, incurante delle preghiere del suo ex, era subito fuggita, urtando alcuni degli oggetti che abbellivano il loro appartamento.
Lei non sarebbe più tornata in quella casa, se non per raccogliere i suoi effetti personali e per ricostruirsi una vita altrove e senza avere più Beverly intorno.
Era sconvolta da quanto successo, vi erano state alcune avvisaglie in passato e Dawn, battagliando con il suo sesto senso, si era convinta che lui non potesse mai comportarsi in modo tanto spregevole, sbagliando totalmente.
L’aveva conosciuto alla fine del terzo anno di superiori, durante una ripetizione con tanto di recupero crediti ed era rimasta vittima del tipico colpo di fulmine di hollywoodiana memoria. Da quel pomeriggio si erano ritrovati diverse volte e dopo aver passato l’esame di recupero, erano usciti nuovamente. Solo diversi mesi più tardi Dawn ammise a tutti i suoi conoscenti di provare qualcosa, incrociando, però, le armi con le sue migliori amiche.
Zoey e Gwen, a essere sinceri, non erano mai state interessate a quel ciccione, ma le chiacchiere che correvano per la scuola e che lo descrivevano come un tipo subdolo di cui era meglio diffidare, le avevano spinte a evitare ogni forma di contatto. Le due non avrebbero mai voluto raccogliere i cocci di Dawn, né costringerla con le cattive maniere a stargli lontano.  Avevano provato a proteggerla, ma lei si era impuntata e, durante un pomeriggio d’inizio marzo, aveva sbattuto la porta, decretando la fine della loro bella amicizia.
Forse, mentre correva a perdifiato per fuggire da quel bastardo, la vera stupida era stata lei: non trovava altre spiegazioni. Se tutti l’avevano messa in allerta e si era ritrovata tradita, la colpa era solo sua.
Senza sapere dove andare e convinta che la sua sola presenza fosse un disturbo per tutti, decise di avviarsi verso uno dei tanti bar del centro cittadino. Uno in particolare era diventato il suo punto di riferimento e angolo di pace dopo le centinaia di ore passate all’Università. Uno tra i più piccoli e accoglienti dell’intera piazza era luogo di lavoro di un suo vecchio compagno delle superiori. Un tipo alquanto singolare che, piuttosto di studiare, si era rintanato in quel locale, diventando poco per volta uno dei migliori barman in circolazione.
Forse lui era l’unica eccezione che non le avrebbe sbattuto la porta in faccia e che l’avrebbe accolta a braccia aperte. Dopotutto lui stesso si era definito, anni prima, un fallimento su tutta la linea e cui nessuno si preoccupava eccessivamente. Ripeteva che nessuno lo ascoltava, che tutti gli ponevano sempre le solite domande e che raramente era avvolto da pensieri solamente negativi. Tutto questo deprezzarsi di fronte agli altri, però, si scontrava con la sua vera essenza. In realtà, e poteva provarci un milione di volte per occultarlo agli altri, lui era un buono che mai avrebbe negato un favore a qualche amico, anche a costo di rimetterci. Sperando che fosse in turno, percorse i pochi chilometri che la separavano dalla sua meta, entrò senza ripensamenti, scansò i tavolini, i servizievoli camerieri e i clienti che si sbracciavano come se fossero a uno stadio per un qualche concerto e si afflosciò sulla sedia più vicina al bancone, laddove Scott, chiamato “la Iena rossa” per via dei suoi capelli e per il suo ghigno impareggiabile, stava ultimando almeno una decina di cocktail.
Girato di spalle, stava versando la crema di whisky dentro i bicchieri di cristallo con una cura e una precisione quasi maniacale. Si vedeva lontano un miglio che ci teneva molto a quell’occupazione trovata con immensa fatica e con la disapprovazione dei suoi genitori che avevano sempre sperato in un futuro più roseo.
“Una birra.” Esordì lei con voce irriconoscibile, saltando direttamente la trafila delle ordinazioni con i camerieri e facendolo annuire.
“Arriva subito.”
“E anche qualcosa di forte.” Borbottò, mentre il rosso prendeva un vassoio con i suoi ultimi cocktail e lo porgeva a uno dei camerieri.
“Non ti si addice.” La rimproverò, accorgendosi di chi fosse quella cliente così particolare.
“Che cosa, Scott?”
“Tutto quanto.” Sbuffò, piantando i suoi occhi grigi sul volto dell’amica.
“Io voglio solo dimenticare.”
“Non so cosa tu voglia dimenticare, ma è sempre bello rivederti.”
“Avrei preferito rimanere a casa, ma non sono mai stata così fortunata.” Sospirò la giovane.
“Mi sembra che tu sia in ottima forma e non mi dispiace stare qui a parlare .” Ammise, fissandola con attenzione.
“Ti sbagli, Scott.”
“Forse hai ragione, anche se questa non è la strada giusta per dimenticare.” Riprese, pulendo il bancone e togliendo alcuni bicchieri, ormai vuoti, dalla sua traiettoria e dal suo strofinaccio leggermente umido.
“Non voglio più soffrire.”
“Beverly?” S’informò, intuendo che fosse colpa di quell’idiota.
“L’ho trovato a letto con Sugar.”
“Intendi quella betoniera che passeggiava per l’Università e che investiva chiunque con la sua motocicletta?” Domandò, suscitandole un moto d’ilarità che soffocò in un istante.
“Non lo so.” Rispose, stringendosi nelle spalle e sperando che Scott non tornasse sul discorso, giusto per accantonare quel tradimento e per non soffrire ancora.
“La prima volta che la vidi mi sembrava un asino su di un cavallo prossimo al collasso.” Seguitò, sperando di farla ridere.
“Non dovresti parlare così di lei.”
“Se si tratta di quella bionda cicciona dispotica, credo che Beverly abbia fatto l’errore più grosso della sua vita. Non mi capacito di come possa stare con quella cosa e allontanare a cuor leggero una meraviglia come te.” Soffiò dubbioso, grattandosi il mento che presentava un accenno di barba e facendola arrossire per quel complimento assai insolito.
“Non lo so e non m’importa più nulla di quel che fa.” Ringhiò nervosa.
“So che non dovrei, ma Zoey e Gwen ti avevano avvertito che stavi facendo una cazzata.” Sospirò, prendendo da sotto il bancone una bottiglietta.
“È questo che mi fa più male.” Piagnucolò, piegandosi sopra il tavolo, mentre il ritornello di una vecchia canzone jazz in sottofondo svaniva sempre più, per lasciare il posto a un’altra molto più vivace e accattivante.
Scott, in quel breve stacco tra una canzone e l’altra, non ricordava d’averla mai vista in quello stato.
Nemmeno quando l’avevano informata in seconda media che era a rischio bocciatura a causa dei tanti giorni di malattia o quando Bridgette, sua vecchia compagna delle elementari, si era trasferita in un altro stato, lei si era avvilita in quel modo.
In entrambi i casi si era chiusa nella sua stanza e, unito al tempo, una sola cosa era riuscita a risollevarle il morale, cancellando quelle lievi ferite: la bottiglietta che Scott stringeva. Si trattava di un semplice succo di frutta, considerato miracoloso dai suoi conoscenti per i suoi effetti portentosi, che agitò appena e che poi stappò con il suo inconfondibile suono, versandone il contenuto in un bicchiere.
“Succo di pesca…il tuo preferito. Fino a quando sarò il capo barman, non toccherai un goccio d’alcol.” La avvisò con sguardo fermo.
“Voglio solo star bene.”
“Devi essere molto confusa per credere che l’alcol azzeri i problemi.”
“Però…”
“Lo faccio contro i miei interessi, ma non cominciare a bere.” Sbottò, accendendosi una sigaretta e gustandosi quei minuti di pausa che erano i primi effettivi dopo un turno massacrante di ben sette ore consecutive.
“Vorrei solo che quest’infelicità sparisse.”
“Buona fortuna allora.”
“Non hai intenzione di aiutarmi?”
“Lo scopo della vita non è eliminare l’infelicità, ma è di tenerla al minimo. Sarà anche una frase da cioccolatini, ma gli errori ti faranno crescere e diventerai sicuramente una donna migliore.” Spiegò, inspirando profondamente.
“Sicuro che non posso?” Domandò lei, allungando la mano destra oltre il bancone e sfiorando un boccale vuoto.
“Al massimo una birra analcolica, ma per oggi ti dovrai accontentare del tuo succo.” Soffiò, facendo fuoriuscire una piccola nuvola di fumo grigio.
“Ho 22 anni e continui a proteggermi.” Costatò con un debole sorriso, ritirando la mano per poggiarla vicino al suo bicchiere.
“Non riuscirai a farmi cambiare idea con qualche stupido complimento.”
“Io volevo solo…”
“Dovresti sapere che l’alcol e la droga non sono la soluzione.” Sospirò, replicando una delle tante lezioni di religione e di buonsenso che il prete delle medie aveva cercato d’inculcare loro per evitargli un futuro segnato dalla dipendenza.
“Ma io…”
“Sono solo problemi che ti fanno credere d’aver trovato ciò di cui hai bisogno.”
“Come?”
“Ne ho visti a decine, se non a centinaia, di ragazzi che bevono, si sentono male e che riprendono a bere solo per annegare il dispiacere. È un fottuto circolo vizioso che fa soccombere tutti i deboli.” Negò, girandosi alla sua destra e trovando un esempio immediato e perfetto per rinforzare quella sua tesi inflessibile.
“Prendi loro.” Bisbigliò, indicando due persone lontane solo tre seggiole, appoggiate al bancone e circondate da boccali oramai vuoti.
“Che hanno?”
“Quando sei un barman, diventi il loro psicologo.”
“Cioè?”
 “Sono stati abbandonati dalle mogli e, per dimenticare, ogni sera si scolano una dozzina di birre.” Spiegò, fissando i due che sonnecchiavano sopra il tavolo e che sbavavano sopra di esso, ringraziando il cielo di non dover pulire quella sudicia postazione.
“Però…”
“La vita non è mai giusta.” Brontolò frustrato, perdendosi tra le nuvolette di fumo.
“Tra quanto finisci il turno?” Chiese Dawn, cambiando discorso e sorseggiando il succo che gli era stato offerto.
“Dammi mezzora e sono libero.”
“Non lavori troppo?”
“Chef crede che io lavori anche troppo poco.” Ammise, raccogliendo una pila di bicchieri e dandole le spalle per metterli subito nella lavastoviglie.
“Non immagini quanto t’invidio Scott.”
“Cosa c’è da invidiare in tutto questo? Sono in mezzo a ubriaconi, tossici e delinquenti della peggior specie.”
“Io vorrei essere autonoma come te.”
“E a me sarebbe piaciuto continuare a studiare, ma senza grana non c’è vita.” Sbuffò, schiacciando la sigaretta sul posacenere grigio che teneva nascosto sotto il bancone e tornando, quindi, al lavoro.
 
Da quando Dawn era entrata, trascinando i piedi stanchi dalle tante ore passate in aula, gli ordini dei vari tavoli si erano accumulati sempre più e alcuni foglietti erano attaccati sul bordo da diverso tempo. Ve ne erano diversi in arretrato e i clienti si stavano spazientendo di dover aspettare delle ore per qualche birra o cocktail non troppo elaborato.
Scott con la sua proverbiale calma, nonostante le rimostranze delle persone e le preghiere dei camerieri, aveva ripreso a muoversi. Tanto sapeva, con un pizzico di eccessiva supponenza, che quel locale era famoso solo grazie alle sue abilità. Il vecchio tirannico Chef Hatchet non si sarebbe mai sbarazzato di uno capace di far piovere nelle sue tasche un mucchio di denaro. L’unica cosa che creava contrasti tra i due, dopotutto, era solo l’orario di lavoro.
Il capo supremo avrebbe voluto che Scott rimanesse nel bar giorno e notte, incurante dei suoi impegni e delle sue passioni. Nel sentire ciò il rosso, l’anno prima, era scattato come una molla e l’aveva ricattato. Qualche ora in più rispetto al suo contratto, qualche decisione presa senza il suo consenso e non si sarebbe fatto troppi scrupoli nel passare alla concorrenza.
Già una volta aveva svolto degli straordinari non retribuiti nel migliore dei modi e, da quel giorno, aveva iniziato a infastidire Chef con la possibilità, nemmeno troppo assurda, di cambiare locale.
Con il passare dei mesi, dinanzi ad alcune proposte allettanti, aveva risposto con una scrollata di spalle, ma era comunque in tempo per recuperare il bigliettino da visita della concorrenza e per una telefonata.
Dopotutto non era nemmeno uno dei peggiori barman in circolazione, anche se in quel periodo costellato da insicurezze, era alquanto improbabile trovare qualcuno che potesse mettersi in gioco e che desiderasse cambiare posto di lavoro.
“Sei davvero bravo.” Sussurrò Dawn, persa a fissarlo con ammirazione, mentre riempiva fino all’orlo una serie di bicchieri.
“Ognuno è maestro in qualcosa.”
“Pensi possa valere anche per me?”
“Certamente, anche se forse esageri nel complimentarti con uno che riesce per miracolo a non servire cocktail al gusto di sapone per piatti.”
“Non dire così.”
“Io sono solo fortunato ad avere dei clienti molto fedeli.” Ironizzò, passando l’ultimo vassoio a uno dei tre camerieri presenti.
“Io…”
“Tu sei qui solo perché siamo amici e perché conosco i tuoi gusti.”
“Anche se spesso sei odioso.”
“Tutti sanno che non reggi l’alcol, Dawn.” Borbottò, girandosi verso la porta che, cigolando, aveva fatto entrare quattro ragazzi poco più grandi di loro, subito squadrati dai vari camerieri e presto ignorati da Scott che aveva altro cui badare.
“Non è vero.”
“Tre anni fa, per festeggiare la maturità, hai bevuto un dito di birra e hai sbroccato tutta la notte.”
“Ti odio, Scott.” Sorrise, ricordando quell’orribile nottata.
“La madre di Mike ti avrebbe tagliato la testa per averle sporcato quel tappeto indiano.”
“Persiano.” Lo corresse lei.
“Indiano o persiano…quella cosa e anche noi abbiamo imparato che tu e l’alcol non andrete mai d’accordo.”
“Forse hai ragione.”
“E fu così che diventasti amica di succo di pesca.” Rise, alleviando una minima parte della sua sofferenza e restituendole un sorriso spensierato.
“Sarei proprio curiosa di vedere la tua reazione se non dovessi più farmi viva.”
“E tradiresti così i tuoi succhi preferiti? Mi deludi, Dawn.”
“Mi ricatti solo perché siete l’unico bar a usarli?” Domandò la ragazza, facendo ghignare il rosso che, afferrato un foglietto con l’ennesimo ordine, si rimise all’opera.
“Duncan ancora non si vede.” Sviò, sbuffando seccato, rileggendo i cocktail per sicurezza e preparando gli ingredienti necessari.
“Credevo avesse mollato.”
“Quello stupido punk senza la grana non può comprarsi le sigarette o pagare l’affitto e pertanto gli conviene stare buono e leccare i piedi al capo.” Brontolò, consapevole che quelli erano anche alcuni dei suoi di motivi per cui era alle dipendenze di Chef. In quel caso gli pareva d’essere come il bue che dà del cornuto all’asino e che non si avvede delle sue condizioni quasi identiche, se non peggiori.
“Chi è che lecca i piedi a Chef?” Intervenne una voce metallica, proveniente da dietro Dawn, che li fece sussultare e che si apprestava a iniziare il suo turno.
Il tintinnio sinistro di una serie di bicchieri aveva fatto da colonna sonora per l’accoglienza trionfale di quello che, a detta di molti, era il vice barman del Pahkitew.
Il suo ingresso nel locale era tipico e i suoi passi pesanti giungevano alle orecchie di Scott con molto anticipo, anche se in quella serata la baraonda e la musica avevano coperto di molto la sua avanzata.
La porta veniva sbattuta abbastanza veemente, creando un circolo d’aria che, nei periodi estivi, poteva anche essere piacevole, ma che in inverno andava incontro ad ogni sorta di maledizione possibile.
Poi si sentiva un flusso di fumo correre nella sala e, se questo non era ancora sufficiente, il rosso vedeva il bancone tremare sotto la borsa carica di cianfrusaglie del collega.
E quella sorta di rituale proseguiva da oltre sei mesi e nessuno, tantomeno Chef Hatchet, era riuscito a convincerlo che quell’entrata in scena fosse quanto di più bizzarro e ridicolo avessero visto nella loro breve vita.
“Alla buonora stupido idiota: dovevi iniziare 40 minuti fa.” Lo accolse, senza curarsi particolarmente di ferire la sua scorza dura.
“Ho avuto un contrattempo.” Borbottò il punk, scrollando le spalle e iniziando uno degli innumerevoli sketch con il collega.
Dopo aver dato una fugace occhiata verso il corridoio che portava agli uffici, afferrò la sua divisa nera e occupò il posto dell’amico che, sentendo la sua voce, aveva già provveduto a togliersi la sua da capo barman.
“È l’ultima volta che ti copro.”
“Non essere crudele.”
“Crudele? Mi costringi a straordinari che Chef non mi paga troppo volentieri.” Brontolò Scott, girandosi verso Dawn che a seguire quello scambio si ritrovò a sorridere.
“Io non dico niente dei succhi alla pesca e tu non sbatti la storia dei ritardi.”
“Ma questa è un’altra faccenda.”
“I succhi mica li paghi.” Gli fece presente il punk, voltandosi verso la giovane e facendole un cenno con il capo.
“Lascia stare Duncan, oggi non è in vena.” Bisbigliò il rosso.
“Ok.”
“Guarda che Max ha chiesto di uscire mezzora prima per trovarsi con Scarlett, quindi, stasera la spazzatura è compito tuo e conta la cassaforte quando la baracca sarà chiusa.” Riprese Scott, ricordandogli tutti gli ordini da eseguire.
“Mai che mi spiegate cosa succede.”
“Ti conviene lasciar stare.” Ripeté, puntandogli contro uno sguardo minaccioso e facendo incastrare un coltello affilato sul tagliere. Quel semplice gesto, almeno per lui, era chiaro. Se continuava a ficcanasare in giro, quella lama non si sarebbe spostata all’ultimo, ma sarebbe andata diretta ad affettargli le dita.
“Che noia!” Commentò, stiracchiandosi appena.
“Tu mi hai mai raccontato i tuoi segreti?”
“Direi di no.”
“Ed è giusto che lei abbia i suoi.” Concluse frettolosamente, raccogliendo la divisa che necessitava di una lavata e uscendo dalla sua postazione.
“Mi dispiace di avervi rovinato la serata.” Si scusò Dawn, cercando il portafoglio nella borsetta, con Duncan che, sollevando appena la mano, le fece intendere che non era necessario e che per una bottiglietta il Pahkitew non avrebbe rischiato il fallimento.
“Non si può essere sempre felici.” La rincuorò Scott, sperando vivamente di essere riuscito a risollevarle il morale così come quando erano bambini.
“Parla uno che ha fatto dell’infelicità la sua quasi compagna di vita.” Lo derise Duncan, ricevendo un’ennesima occhiataccia che andò poi a posarsi sullo stesso coltello di prima.
“Tanto lo verresti a sapere comunque.” Sospirò Dawn.
“Cosa?” Chiese il punk, afferrando il coltello usato dall’amico e iniziando il suo primo cocktail della serata.
“Ha beccato Beverly con un’altra.” Rispose secco Scott, anticipando i farfugliamenti quasi certi dell’amica e rischiando di dover trattenersi al locale per medicare il collega che, per la sorpresa, aveva fatto sibilare la lama tra l’indice e il pollice.
“Mi spiace.”
“E ora che Duncan ha l’aggiornamento dell’ultima ora, possiamo anche andare.”
“Dovresti avvertire anche Zoey e Gwen.” Le consigliò il punk, facendo annuire la giovane che, a testa bassa, si avviava verso l’uscita.
Distanziatasi di qualche metro e lontana dalle voci del bancone, il rosso si volse verso il collega di lavoro e negò con il capo.
“Sei un idiota, Duncan.”
“Io…”
“Sai che hanno litigato e tiri fuori sta roba.”
“Me ne ero scordato.”
“In quasi un’ora credevo d’esser riuscito a risollevarle il morale e tu in 5 secondi l’hai ferita di nuovo.”
“Non accadrà più.”
“Lo spero, perché altrimenti faresti compagnia ai topi e finiresti nel bidone del secco.” Lo minacciò, raccogliendo lo zaino e seguendo l’amica fuori dal locale.
 
Saliti in auto, Scott non mise subito in moto.
Fino a quel momento non ci aveva proprio pensato.
La sua mente era andata, per forza di cose, ai cocktail da preparare, agli affari e alla lista del materiale da comprare per i successivi tre giorni.
Ora che questi problemi erano lontani e che tenevano occupato Duncan, lui era libero di soffermarsi su altro.
Su quanto avesse bisogno di una rinfrescata, tanto per cominciare, oppure se le ultime settimane di luglio erano il periodo migliore per pretendere le ferie.
Tuttavia queste domande innocenti e ordinarie della sua classica routine, si scontrarono e si scostarono dinanzi a qualcosa che non aveva considerato e calcolato al massimo delle sue capacità: dove sarebbe andata Dawn?
Di questo non avevano discusso.
Scott poteva scommettere i suoi capelli rossastri che lei non sarebbe mai tornata da Beverly, nemmeno se questo si fosse messo a strisciare come un verme e nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo rimasto sulla faccia della Terra.
Un sospiro uscì in quel piccolo abitacolo e un ticchettio appena accennato sul volante accompagnò gli istanti successivi.
“Che serata infernale.” Sentenziò il rosso, cercando le parole migliori con cui cominciare il discorso.
“Io…”
“Non credevo che il bar si affollasse così in questi periodi.” Sbadigliò il giovane, allentando la tensione che si era creata.
“Sei stato molto bravo.”
“Sono felice che tu mi abbia fatto compagnia, anche se in una serata che non deve essere stata molto semplice da sopportare.” Si rammaricò, sperando di risistemare i danni causati inconsapevolmente da Duncan.
“Io…”
“Non hai nulla da rimproverarti: tutti sappiamo che Beverly è solo un idiota.” Ammise, inserendo la chiave e tastando la ventola che avrebbe impiegato alcuni minuti prima di riscaldare l’ambiente circostante.
“Sei dalla mia parte?” Chiese, spaventata dalla possibilità che lui le voltasse le spalle.
“Come sempre.” La rassicurò, alzando la mano destra, coperta da cerotti e cicatrici e allungandola per scompigliarle affettuosamente i lunghi capelli biondi.
“Grazie.”
“Devi, comunque, promettermi che non ti vendicherai mai di quello scemo.” Sospirò, scendendo con la mano ad accarezzarle la pallida guancia.
“Dovresti conoscermi bene.” Replicò lei, mentre lui incontrava il suo candido sorriso e si allontanava per allacciare la cintura di sicurezza.
Accortosi che anche lei aveva seguito la medesima accortezza, ritornò a tastare la ventola che, finalmente, stava dando i primi incoraggianti segni di vita.
Nel spostare il suo sguardo attento verso di lei, si accorse che qualcosa era cambiato. Scott era pronto a scommettere che Dawn avesse iniziato a scontrarsi con il suo medesimo dubbio. Quando era scappata, non si era preoccupata di fermarsi, di chiamare qualcuno o di formulare un piano d’emergenza. Lei aveva avuto solo il desiderio di scappare dall’orribile verità che, per molti mesi, era stata sotto i suoi occhi e che lei aveva sempre ignorato.
Stretta in quel laccio che le attraversava il petto e la vita e fissando il cielo scuro dal vetro lucido, ora si sentiva in trappola. A chi poteva chiedere sostegno in quella circostanza? Non c’era nessuno, a quell’ora poi, che potesse aprirle la porta, la accogliesse e la invitasse a fermarsi per alcune notti.
Immaginava che per lei tutto fosse complicato, anche se non credeva che la sua vicinanza le impedisse di farle sorgere la domanda migliore possibile. Scott, nonostante non fosse nei suoi interessi, inspirò l’aria calda dell’abitacolo e la fissò intensamente, quasi volesse essere sicuro che quella era l’unica soluzione rimasta.
“Dove vuoi andare Dawn?” Ricominciò con tono di voce insolitamente basso.
“Non lo so.”
“Se fosse quasi mattina, ti porterei a fare una passeggiata, ma non possiamo.”
“Io non voglio tornare lì.” Riprese lei, facendo annuire l’amico.
“Lo so.”
“E non voglio nemmeno scappare da questa città.” Insistette, chiudendo la testa in una morsa e stringendola sempre di più.
“Se solo tu e le altre non aveste litigato.” Tentò, rimproverandola per quello che aveva causato.
“Solo ora capisco quanto mi volessero bene.” Mormorò, allentando la presa e versando alcune lacrime che le rigarono il volto.
“L’unica soluzione che mi è venuta in mente è di ospitarti per i prossimi giorni.” Sbuffò, accendendo le luci e svoltando subito a destra.
“Non avrai problemi?” Chiese, mentre lui rispettava i vari limiti di velocità che erano imposti dai cartelli installati dalla regione.
“Spiegando la cosa a Courtney non credo possa ingelosirsi troppo.”
“Sei sicuro che sia la cosa migliore da fare?” Insistette, quasi volesse convincerlo che quella non era la soluzione migliore.
“L’appartamento ti sembrerà un po’ incasinato, anche se la stanza degli ospiti dovrebbe essere ancora in perfetto ordine.” Spiegò il rosso, continuando nella sua analisi.
“Non ti arrenderesti comunque, vero?”
“Se hai una destinazione migliore, ti ascolto.” Rispose freddamente, rallentando e fermandosi al terzo semaforo che precedeva, di alcune miglia abbondanti, la svolta verso il suo alloggio.




Angolo autore:

Che dire di questa long?
Potrei ammettere che è da quasi un annetto che ci lavoro, che finalmente è pronta e che spero possa piacervi.
Non so dirvi se ho curato troppo le descrizioni, se i personaggi sono stati ben costruiti, se possa interessarvi dall'inizio alla fine.

Ryuk: Diciamo che è una delle storie a cui siamo più affezionati.

Avevo pensato di tenerla per me: un po' perchè mi sembrava sempre incompleta, un po' perchè è la creatura a cui io e Ryuk teniamo di più.
Non abbiamo niente contro le altre serie e anche se questa dovesse ottenere molte meno visite e meno recensioni, la sentiamo come la nostra preferita.
Ovviamente saremo ben felici di ricevere opinioni, consigli, rimproveri e quant'altro.
Per quanto riguarda le note iniziali devo fare due piccole precisazioni. Ho inserito l'OOC giusto perchè non so mai se riesco a seguire il classico comportamento dei vari personaggi (cosa di cui dubito fortemente) ed è ormai un nostro classico e la parte dedicata a "un po' tutti i personaggi" non comprende tutti quelli che sono comparsi dal primo episodio all'ultimo.

Ryuk: Ne appariranno diversi, ma tutti è davvero impossibile.

Non ho niente altro da aggiungere e vi auguro una buona lettura e un buon proseguimento di settimana.
Credo che ritornerò a pubblicare puntualmente, sempre che mi ricordi, di sabato o domenica.
A presto!

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Capitolo 2
*** Cap 2 ***


La tana di Scott, così poteva essere definita, era una discarica a cielo aperto.
Il paragone con la struttura della periferia era più che adatto per un posto simile. Roba sparsa ovunque, disordine a farla da padrone e odore di chiuso fastidioso: erano questi gli elementi che accolsero quella sera i due.
Se il rosso ne era abituato, per Dawn quello fu uno choc. Lei che era sempre stata una maniaca delle pulizie era entrata in territorio nemico e, se non fosse stato per il disturbo che avrebbe arrecato ai vicini, avrebbe sicuramente cominciato con il passare l’aspirapolvere, con l’aprire porte e balconi e con lo sbattere i tappeti.
L’indomani, se così poteva essere definito poiché mezzanotte era già passata da diversi minuti, avrebbe ripagato l’aiuto dell’amico, sistemando quel casino.
L’unica cosa che la consolava era sapere che lui era dalla sua parte e che la stanza degli ospiti era effettivamente l’unica priva di vestiti sparpagliati, di macchie sui tappeti e di libri ammassati in giro senza alcun senso e a rischio crollo. Tutte le altre stanze, dalla cucina al minuscolo salotto, passando per il bagno e per la camera di Scott, sembravano essere state vittimizzate da un qualche terremoto.
La stanchezza, comunque, le aveva prosciugato ogni istinto bellicoso e le aveva fatto sembrare quel posto un Paradiso.
Protetta, senza troppi pensieri e con la consapevolezza di non aver sbagliato in nulla, crollò in pochi minuti sul morbido letto che le era stato messo a disposizione.
Di tutt’altro umore era il padrone di casa. Non era arrabbiato perché lei, senza volerlo, aveva definito il suo casino come fastidioso e urtante, ma solo perché qualcuno aveva osato ferire un suo caro amico. Qualsiasi cosa pensasse, lo riportava sempre a quella considerazione: Beverly era un bastardo che, se fosse dipeso da lui, avrebbe pagato con la vita. L’avrebbe volentieri affettato con uno dei coltellacci del Pahkitew e lo avrebbe seviziato nei modi peggiori possibili.
Ma la fortuna di quel porco era l’aver trovato un’anima pia. Solo Dawn, la ragazza che aveva tradito nel più squallido dei modi, non avrebbe esagito una vendetta così cruenta.  Avrebbe sempre evitato una soluzione del genere e il rosso, consapevole di questo, era scivolato fino al divano per capire cosa fare.
Non aveva mentito quando le aveva detto che poteva fermarsi, anche se per un periodo relativamente breve.
Poche settimane e doveva andarsene dal suo alloggio. Non agiva per cattiveria, ma quell’appartamento era stato comprato solo per fargli capire se era capace di vivere in autonomia. E Dawn, sotto questo punto di vista, non rappresentava la figura d’autonomia cui aveva pensato.
“Un mese.” Borbottò il rosso, fissando un tempo limite.
Superate quelle settimane, Scott l’avrebbe convinta che era il caso di risolvere la questione.
Che andasse a vivere dai suoi parenti o che comprasse un nuovo appartamento era lo stesso: Dawn non poteva fermarsi lì e questo lo avrebbe compreso tra alcune ore.
 
Erano circa le 10 di mattina quando lei si svegliò.
Avvolta dalla piacevole oscurità della sua stanza, si girò alla sua sinistra, quasi credesse d’aver sempre sognato e con la speranza di ritrovare, quindi, Beverly al suo fianco.
Voltandosi, però, incontrò solo il freddo muro biancastro.
Non era più un sogno o una fantasia, ma era successo davvero: era stata tradita da quello che credeva il suo ragazzo e che avrebbe dovuto amarla e alimentare i suoi sentimenti.
La cosa, poi, che la faceva ancora più arrabbiare era che aveva perso alcuni amici a causa sua. Solo per proteggerlo e per fidarsi, aveva mandato a spasso Zoey e Gwen. E anche con Scott era stata su quella strada. Lui, però, si era dimostrato di tutt’altra pasta. Era sempre stato un tipo che, dinanzi ad un’offesa, scrollava le spalle e ghignava divertito, quasi t’invitasse a continuare con quel ritmo, per poi, magari, in un attimo di pausa, vomitarti addosso offese e battute che ti avrebbero segnato per settimane.
Il rosso aveva letto le carte di Beverly e, come in una partita di poker cui assisteva spesso al locale, aveva bleffato, l’aveva illuso e poi aveva sbancato il tavolo. Aveva ignorato volutamente Dawn, rendendolo il maschio alfa della situazione, anche se la sua ritirata in punta di piedi era stata strategica.
Pensando a questo, aveva tolto il pigiama-felpa che aveva trovato nell’armadio dell’amico e si era rimessa la maglietta azzurra con cui era scappata.
Non era per nulla felice di quel momento della sua vita, ma con un sorriso tirato e con la speranza che tutto potesse solo migliorare, uscì dalla sua stanza.
Analizzò per un attimo i pochi quadri appesi in corridoio e sfiorò appena il cappotto che aveva portato con sé. Percorse, quindi, il piccolo corridoio e si ritrovò in salotto e poi in cucina, dove una figura stava già preparando la colazione.
“Ben svegliata Dawn.” La salutò, avvertendo i suoi passi leggeri e girandosi con sicurezza.
“Grazie.”
“Come stai? Dormito bene?” Domandò, invitandola con una mano a sedersi vicino a lui.
“Ero così stanca e delusa che sono crollata subito.”
“Ti piace la tua stanza?” Chiese Scott, incontrando un suo sorriso abbozzato.
“È un po’ piccola.” Mormorò, pentendosi quasi subito di quelle parole.
“Tutta la mia casa lo è.”
“Se è accogliente, non importa la grandezza.” Obiettò la giovane, rimangiandosi la critica cui aveva appena dato voce.
“Guarda che non intendo cacciarti per cosi poco.” Sorrise, versando il caffè caldo in una tazza e afferrando, dal mobiletto color panna, una piccola scatolina contenente il poco zucchero rimasto e una confezione sigillata di biscotti.
“Dove abitavo prima, mi sentivo fuoriposto.”
“Questo prima o dopo la faccenda di ieri sera?” Domandò il rosso, aprendo il pacchetto e addentando un frollino al cacao.
“Molto prima.”
“Immagino che Beverly non fosse il ragazzo amorevole che ti aspettavi.”
“Già.”
“Le tue amiche te l’avevano detto, anche se ormai è tardi per piangere.” Sentenziò Scott, rialzandosi e recuperando dal frigo il latte fresco.
“Ora non so nemmeno che fine abbiano fatto.”
“So che non dovrei chiedertelo, ma che intenzioni hai? Non conosco i tuoi orari all’Università, ma immagino che dovresti avere lezione.” Tentò, girando il bacon che friggeva nella padella.
“Sì.”
“Siete nel periodo di pausa?”
“Non abbiamo obbligo di frequenza.” Borbottò la giovane, sorseggiando il caffè amaro che l’amico le aveva appena servito.
“Tendo a dimenticarlo.”
“Dovresti saperlo, vecchio universitario.” Lo canzonò, ritrovando il sorriso.
“Lavoro e studio non vanno d’accordo e un anno mi è bastato.” Sbuffò il rosso, rigirando le uova strapazzate.
“Devo solo prepararmi ai prossimi esami.”
“Sei sicura che questo sia il posto adatto per studiare?” Tentò Scott, appoggiando il mestolo e girandosi verso la ragazza.
“Certo che lo è.”
“Mi spiace deluderti, ma non puoi restare qui per sempre. Quest’appartamento è così piccolo che è già un miracolo se ci sto io.” Ammise, sbuffando sconsolato.
“Non mi vuoi?”
“È troppo complicato da spiegare.” Commentò, grattandosi la barba appena accennata e prestando attenzione di non bruciare nulla.
“Non accampare scuse.”
“Posso coprirti per un mese, ma non di più.” Sussurrò, riempiendo i piatti e porgendone uno all’amica che ne studiò il contenuto.
“Nemmeno se ti aiutassi con le pulizie?”
“Io non sono Beverly che ha suo padre pronto a scucire la grana per pagare l’affitto.”
“Ma…”
“Sono figlio di contadini e non ho i fondi per tenerti qui.”
“Hai detto un mese?” Richiese la giovane.
“Se fossi autonoma e se la tua presenza fosse necessaria, non ti farei fretta.”
“Non riuscirò mai a trovare qualcuno che mi ospiti.”
“Mi spiace.” Si scusò Scott, assaggiando parte della sua colazione.
“Vedrò d’inventarmi qualcosa.”
“Se preparassi la colazione questa sorta di convivenza avrebbe i suoi vantaggi.” Ghignò il rosso, facendole recuperare il sorriso.
Scott sapeva bene che quella situazione era complicata.
Avrebbe condiviso l’appartamento per un mese intero con una sua amica e avrebbe dovuto organizzarsi in base ai suoi impegni. Tutto dannatamente complicato per uno che aveva sempre contato solo le ore che gli restavano di riposo prima di lavorare e che, ora, era costretto in qualche modo a conciliarsi con i suoi impegni scolastici.
“E l’Università?” Chiese di nuovo, fissandola intensamente.
“Io…”
“Non puoi restare qui dentro per sempre.”
“Davvero non posso?”
“Certo che no.”
“Perché?”
“Credo che quell’unica maglietta che indossi non resista per un mese senza sporcarsi.” Ammise Scott, afferrando un biscotto e intingendolo, per sbaglio, nel caffè.
“Maledizione.”
“Oggi sarebbe il mio giorno di riposo e, forse, potrei accompagnarti al tuo vecchio appartamento per prendere le tue cose.”
“Lo faresti davvero?”
“Avrei altro da fare, quindi, chiedimelo ora prima che cambi idea.” Sorrise, voltandosi per un attimo.
“Potresti accompagnarmi, per favore?”
“È sempre bello parlare con qualcuno che conosce ancora le buone maniere.” Rispose, recuperando i piatti ormai vuoti e riponendoli nella lavastoviglie.
“A differenza tua che lasci tutto in giro.”
“E questo cosa centra?”
“Tornati a casa, mi aiuterai con le pulizie.” Lo minacciò, notando che l’amico usciva dalla cucina e si avviava verso la sua stanza con il chiaro intento di vestirsi.
Scott aveva intuito che quello sarebbe stato solo il primo di una serie di giorni davvero bizzarri.
 
Tempo di mettersi una maglietta decente, una felpa di un verde militare intenso con tanto di tasche molto profonde e un paio di jeans tendente al grigio, lui era già tornato in salotto.
Dawn era seduta comodamente sul divano con aria triste e, nel vederla così giù di morale, Scott credeva d’aver fatto qualcosa di sbagliato.
Lo sentiva fin nelle viscere che era colpa sua.
Anche se non sapeva di cosa.
Forse era stato troppo schietto nell’ammettere che la convivenza era impossibile o le aveva mostrato una realtà che lei conosceva bene e che l’aveva riportata alla sua vecchia relazione, dove Beverly, con i soldi del padre, faceva lo splendido e poteva garantire per entrambi.
Il rosso, specie se pensava a quest’ipotesi, diventava nero di rabbia.
Non era colpa sua se la sua famiglia non era nata con la camicia, se si era fermato alla maturità, se per mangiare aveva accettato uno dei primi lavori che aveva trovato e se per i primi mesi in quell’appartamento aveva consumato solo pane, acqua e scatolette di tonno.
A lui, la sua vita, piaceva così com’era.
Niente sussulti, una relazione tranquilla e sincera con Courtney, un lavoro discreto e qualche buon amico con cui uscire ogni tanto per festeggiare.
“Andiamo prima che si faccia notte.” Esordì, prendendo le chiavi della sua auto e costringendola, quindi ad alzarsi dal divano.
Giunti al parcheggio, il silenzio continuava a riecheggiare tra loro.
Era rimasto intruso mentre scendevano le scale, mentre una signora del vicinato salutava il rosso con un cenno della mano e mentre il portone dell’ingresso cigolava pesantemente sui cardini.
“Quali impegni hai per i prossimi giorni, Scott?” Chiese Dawn, dopo essersi seduta comodamente al lato passeggero.
“Impegni?”
“Vorrei sapere i tuoi orari di lavoro.”
“La prossima settimana mi becco l’orario pomeridiano.”
“Dalle 14 alle 20?”
“Ti sei messa a spiare il vecchio Chef mentre scriveva il nostro orario?” Domandò, mettendo in moto e uscendo dalla sua via.
“Ho sparato a indovinare.”
“Tu invece hai le mattine all’Università?”
“Non so se riuscirò a presentarmi.” Mormorò, torturandosi le mani e notando come lui ricordasse perfettamente dove abitava, nonostante l’unica volta che l’aveva scarrozzata in giro. In questo aveva un’ottima, se non eccellente, memoria.
Era una calda giornata di giugno, quando Scott aveva da poco preso la patente e aveva accettato con Mike di andare al mare. Credeva fosse una semplice gita e pertanto aveva rubato le chiavi dell’auto di Duncan, contando sul fatto che fosse sempre strafatto e non si sarebbe mai accorto dell’assenza del bidone che suo padre gli aveva regalato.
Quel giorno lei si era divertita un mondo, tra scherzi e chiacchiere di ogni tipo e lui si era offerto di riaccompagnarla a casa.
Da quella serata aveva imparato dove fosse il suo appartamento, anche se non vi fu alcun seguito.
Beverly, infatti, si era impuntato e Dawn, con una balla dietro l’altra, era finita con il rifiutare ogni ritrovo futuro.
Troppo lontano.
Troppo impegnata.
Troppo influenzata.
Usava sempre quel troppo come una scusa.
“Devi chiedermi qualcosa Dawn?” Tentò Scott, notando la sua espressione.
“Avrei bisogno di uno strappo.”
“Andata e ritorno.” Continuò lui, soffiando e annuendo appena.
“Sì.”
“Sarà un po’ difficile fare tutto senza ricevere nulla in cambio e costringendo Chef a rivedere i miei classici orari.” Ricominciò pensieroso.
“Che cosa vorresti?” Chiese, paralizzandosi e tremando appena, aspettandosi qualche richiesta di pessimo gusto.
“Dovrai fare anche il mio giro di lavatrici e pure una sessione intensiva di stiro.”
“Questo è un ricatto.” Sorrise, sciogliendosi divertita.
“Oh sì…lo è eccome.”
“Maledetto.” Mormorò, cercando di trattenersi dal sorridere.
“Ti vedo preoccupata: credi che ci sia qualcuno nel tuo vecchio appartamento?” Domandò, ignorando la sua affermazione.
“Beverly a quest’ora è in giro con il padre.”
“Avrai, quindi, campo libero per muoverti con maggior sicurezza.”
“Io non voglio mettere piede in quella stanza.” Ribatté la giovane, ricordandosi di cosa era avvenuto tra quelle quattro mura.
“Che lavoro ingrato.” Sbuffò il rosso, immaginandosi chi si sarebbe dovuto sobbarcare quel compito assurdo.
Infatti, giunti a destinazione, Dawn era rimasta ferma in salotto, recuperando i suoi libri scolastici, mentre Scott si era avventurato dentro l’appartamento. Se paragonato al suo, quello era una reggia.
La sua topaia non reggeva il confronto e già la loro stanza da letto, laddove lei l’aveva beccato in flagrante, era circa metà della sua abitazione. E i paragoni non finivano qui. Aperto l’armadio, il rosso si ritrovò circondato da una serie di vestiti.
Alcuni leggeri, altri pesanti, altri eleganti e sportivi.
Lui non sapeva nemmeno da dove cominciare e, per non sbagliare, arraffò tutto il possibile, mettendo i suoi abiti in una serie di valigie.
Stesso discorso per la sua biancheria intima e per altri oggetti che lei aveva descritto.
Tempo mezzora ed entrambi erano usciti con almeno quattro valigie cariche di roba, oltre a tre borse piene di tutti i volumi che Dawn usava con l’Università.
Erano scappati come ladri ed erano tornati all’appartamento di Scott che, con tutta la roba che Dawn aveva preteso di portarsi dietro, sembrava ancora più piccolo.
“Ti consiglio di sistemare solo le cose che avrai intenzione d’usare.”
“So che devo stare per un solo mese.” Ribatté lei, facendogli storcere la bocca.
“Non rendermi le cose difficili.”
“Mi aiuterai Scott?” Chiese la ragazza, facendogli gli occhi dolci.
“Ti sembro il tipo che abbandona gli amici in difficoltà?”
“Tra un mese lo farai.”
“Se tu fossi al mio posto che faresti?”
“Ti ospiterei per tutto il tempo necessario.”
“Anche se fossi fidanzata? Scusa se stento a crederci.”
“Io…”
“Cercherò di aiutarti il più possibile.” Promise, portando le valigie nella stanza degli ospiti e aprendone la prima.
Per un paio di ore Dawn sarebbe stata impegnata a sistemare le sue cose e ciò avrebbe concesso al rosso un po’ di tempo per riposare.
 
Passato il pranzo, i due si divisero.
Scott si rinchiuse nella sua camera con il chiaro intento di riposare un po’, dopo la lunga notte insonne, mentre Dawn si ritrovò a sistemare le sue cose nell’armadio.
Ora che era riposata e non andava di fretta, poteva studiare con calma la sua stanza.
Era molto piccola. Un letto e un semplice comodino sulla destra, una piccola finestra che faceva filtrare un po’ di luce naturale, alcuni scaffali sgombri, un armadio e una libreria in mogano che avrebbe accolto buona parte dei suoi volumi.
A differenza delle altre stanze sembrava che quella fosse oggetto di cura dell’amico e che dovesse rimanere assolutamente intatta. Non trovava altra spiegazione per una camera così pulita e accogliente che non mostrava nemmeno un dito di polvere.
Giratasi verso la sveglia, si accorse che erano quasi le 15 e uscì, quindi, dalla sua tana.
La porta di fronte a lei era chiusa e, per non disturbare eccessivamente il suo coinquilino, si avviò verso il salotto.
Messo piede nella piccola sala, iniziò con l’osservare il disordine in cui era capitata. Vestiti ammassati su una sedia che sembrava quasi collassare, mobili impolverati e vecchie riviste sparpagliate su un tavolino che nessuno degnava di uno sguardo da almeno tre mesi.
Anche la cucina era devastata.
Molti piatti ancora appoggiati in giro senza averli caricati nella lavastoviglie, piani di lavoro unti e macchiati e alcuni ingredienti prossimi alla data di scadenza riempivano quella stanza che per qualche motivo non si era salvata da Scott.
Tutto l’ordine che mostrava mentre lavorava, cozzava incredibilmente con il caos che lui aveva evocato nella sua baracca. L’unico vantaggio di quella baraonda era la concentrazione in una zona ristretta.
Pulite le mensole, sistemati i piatti, riordinati gli ingredienti e arieggiata un po’ la stanza…ecco che la cucina assumeva tutt’altro aspetto.
In poco tempo era tornato tutto a brillare e anche il salotto era stato attraversato dalla pulizia che Dawn tanto adorava.
Non era un eufemismo dire che in un paio di ore, quasi tutte le stanze erano complete.
Solo una mancava alla sua opera e questa era la tana della iena. Inizialmente bussò appena e non udendo risposta, aprì parzialmente la porta.
La stanza era avvolta da una lieve oscurità che permetteva comunque alla giovane d’avere ben chiare le disposizioni dei mobili. In termini di grandezza quella camera superava di poco quella degli ospiti, anche se qui il caos raggiungeva picchi enormi. Coperte stropicciate e gettate ovunque, un cuscino sgualcito e penzolante nel vuoto, vestiti sporchi buttati in un angolo della stanza, altri vestiti puliti ammassati come in salotto su una povera sedia, libri in bilico sopra la scrivania in mogano e tanto altro.
Poi vi era lui: Scott che dormiva a petto nudo e che stringeva in un abbraccio il suo cuscino.
Nel vederlo così, Dawn sorrise.
Sembrava vulnerabile, nonostante la sua tempra d’acciaio, anche se la cosa che più le piaceva era il sorriso genuino e ingenuo che aveva spodestato il solito ghigno strafottente.
E nel vederlo in quello stato, lei sperò che rimanesse così per sempre, consapevole tuttavia che quella visione era destinata a svanire ogni qualvolta usciva dalla sua stanza. Era un qualcosa di troppo intimo e privato che, diventando di ordine pubblico, avrebbe distrutto la sua immagine di barman brillante e glaciale.
Perché Scott, era innegabile, era molto interessante. In molte, prima che esibisse, anche dietro al bancone, l’anello di fidanzamento di Courtney, ci avevano provato spudoratamente e il locale era meta attrattiva di molte liceali e universitarie solo per la sua bella presenza. Non a caso quando Duncan era presente, perfino i guadagni si afflosciavano e spingevano Chef a chiedersi come fosse possibile un simile calo. Incrociando lo schema degli orari con i guadagni registrati su pc, aveva intuito il motivo per cui il suo Pahkitew conoscesse, anche in una singola giornata, picchi incredibili alternati a improvvisi sprofondamenti.
Dawn, puntandolo e ignorando il tappeto increspato che aveva sotto i piedi e che aveva rischiato di farla scivolare sul pavimento, si avvicinò e iniziò a smuoverlo appena.
“Scott…Scott…” Bisbigliò con inaspettata delicatezza.
“Hmm…” Mugugnò, girandosi dalla parte opposta.
“È ora di svegliarsi.”
“Ancora…un po’.”
“Possibile che tu sia così pigro.” Sospirò esasperata, scrollandolo un po’ più forte e facendogli aprire leggermente gli occhi.
Giusto il tempo di adattarsi alla poca luce presente e rivolse alla sua ospite una breve occhiata, resistendo comunque alla tentazione di rigirarsi dalla parte opposta e di borbottare qualcosa d’inudibile che sarebbe stata pari a un’auto maledizione per aver accolto quella seccatura su due gambe.
“Che c’è?” Chiese con voce impastata dal lungo sonno, stropicciandosi gli occhi e rimettendosi, con fatica, seduto.
“Io…”
“Mi svegli e poi fai scena muta? Ti meriteresti un rimprovero.” Sorrise, stiracchiandosi appena e sbadigliando sonoramente.
“Dovrei sistemare la tua stanza.”
“Questo sarebbe il tuo tentativo di farmi cambiare idea?” Domandò, rimettendosi in piedi e fissandola con superiorità.
“Perché non lo scopri?” Provò, stuzzicandolo appena.
“Perché sarebbe troppo pericoloso.” Rispose, raccogliendo la maglietta e indossandola, coprendo ciò che fino a qualche minuto prima era rimasto in bella mostra dinanzi alla coinquilina.
“Le pulizie non sono mai pericolose.” Replicò con un pizzico di fastidio nella voce.
“Se non mi minacci con l’aspirapolvere, è probabile.”
“Lasciami fare e non accadrà.”
“E va bene, seccatura.” Soffiò annoiato, uscendo dalla sua stanza e lasciandole il controllo completo della situazione.
 




Angolo autore:

Ryuk: Non credo sia una scelta saggia.

Che cosa stai blaterando?

Ryuk: Convivere con una ragazza è l'errore più grosso che Scott potesse commettere.

Anche perchè deve avere a che fare con le strambere di Dawn e deve pure risollevarle l'umore per quanto combinato da Beverly, giusto?

Ryuk: Un uomo è libero solo quando non ha nessuna costrizione.

Ovviamente ci siamo ricordati giusto in tempo per pubblicare.
Già al secondo capitolo un ritardo sarebbe stato troppo. Questa libertà me la prenderò più avanti.

Ryuk: E fu così che il terzo capitolo uscì verso Natale.

I primi capitoli, lo ammetto, sono un po' lenti a ingranare. Servono per presentare i vari personaggi e per l'azione bisognerà pazientare un po'. Detto questo, spero che la storia continui a intrigarvi.

Ryuk: Intanto vi salutiamo.

Oltre ad augurarvi una buona settimana.
A presto!
 

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Capitolo 3
*** Cap 3 ***


Erano passati tre giorni da quando Dawn aveva fatto irruzione nella sua vita con le tipiche conseguenze del caso e Scott faticava parecchio a tenere i suoi ritmi o ad adeguarsi alle nuove regole di convivenza. Anche quel pomeriggio, giunto al lavoro, trovò Duncan intento ad asciugare alcuni bicchieri e si chiese se lo cose erano destinate a mantenersi in quell’equilibrio.
Una semplice occhiata al registratore di cassa gli fu chiara per capire che in quelle ore non c’era stato poi molto movimento e che Chef era ancora sigillato nel suo ufficio a leggere documenti.
“Come va con Dawn?” Esordì subito il punk, dopo che il collega si era vestito di tutto punto.
“È così evidente che sta da me?”
“Fai tu.”
“L’ho accompagnata all’Università e poi sono passato a riprenderla.”
“Per quanto continuerai così?” Chiese il punk, poggiando lo straccio sul bancone, ora pulito, e fissando l’amico intento ad allineare le bottiglie con i liquori.
“Le ho dato un mese, ma non ne sono sicuro.”
“E Courtney?”
“L’ho avvertita giusto ieri e sembrava serena.”
“I suoi concerti procedono bene?” Domandò Duncan, servendosi un goccio di una bibita frizzante e rinfrescandosi la gola.
“Credo di sì.”
“La situazione non è semplice.” Sintetizzò il punk.
“Quel bastardo di Beverly ha scelto proprio il momento ideale per rovinarle la vita.”
“Anche volendo, io non posso fare nulla per voi.”
“Come se fosse facile, condividendo l’appartamento con Zanna.” Sbadigliò, risvegliando la figura del mitico coinquilino di Duncan.
Quel ragazzo, non proprio divertente e raccomandabile, era un tizio con i capelli grigi tinti e tirati su in una piccola cresta, dotato geneticamente di uno sguardo aggressivo e scazzato e dal sorriso perennemente forzato.
Tipico ritardatario cronico, aveva un pessimo senso dell’orientamento.
Atteggiamento indolente, annoiato e spesso violento era una leggenda vivente nell’Università, considerato come l’unico che avesse osato tirare una testata al capitano di basket, alto quanto una montagna e grosso più del doppio. Quest’azione, unita alla sua abitudine di giustiziere, lo faceva apparire come un qualche mito da evitare come la peste.
Il tutto era completato solo nel conteggiare anche il capellino nero calato sugli occhi grigi e a coprire una lieve cicatrice obliqua sulla fronte, una maglietta scura con un piccolo teschio a maniche corte che lasciava trasparire la presenza di un tatuaggio a forma di squalo, un paio di jeans grigi con cintura nera dotata di fibbia a forma di teschio fumante e in ultima un paio di scarpe da tennis anch’esse molto scure.
Al polso un orologio di scarso valore, abbinato a una collana e il classico pacchetto di sigarette Marx nascoste nello zaino di solito vuoto.
“Quel tipo è da quasi tre giorni che non torna a casa.”
“Sarà in qualche ospedale per medicarsi l’ennesima mano mozzata.”
“Se un giorno non dovessi presentarmi al lavoro, probabilmente qualcuno mi avrà ucciso, confondendomi per quello.”
“Spenderò belle parole per il tuo funerale.” Affermò il rosso, affettando un limone e preparando il primo cocktail della giornata.
“Qualche idea su come risolvere il problema di questa convivenza forzata?”
“Ne avrei una, ma è rischiosa.”
“Ti ascolto.”
“Perché dovrei parlartene?” Chiese il rosso.
“Perché ti conosco bene e quando una cosa è rischiosa, significa che tu vuoi provarci comunque.”
“Ma davvero?”
“Un po’ come quella volta che sei entrato nell’ufficio del Preside solo per recuperare il cellulare ritirato a Mike.”
“Andrà a finire che qualcuno mi arresterà con tutte le cazzate che combino.” Ghignò il rosso, passando il calice analcolico al cameriere.
“La mia testimonianza sarà pulita.”
“Dirai che merito l’ergastolo e che possono gettare anche la chiave.” Tossicchiò il rosso, immaginandosi già la scena in tribunale.
“Senza di te diventerei capo barman.”
“Tempo una settimana e i clienti ti potrebbero denunciare per il sapone che butti nei loro bicchieri.” Ribatté piccato.
“Non è così che si prepara il Metropolitan?”
“Se Chef ti sentisse diffondere l’ingrediente segreto dei nostri migliori cocktail, ti riempirebbe di calci nel sedere.”  Brontolò Scott.
“Già.” Sospirò il punk, voltandosi verso la porta e notando l’entrata massiccia di una trentina di studenti che, in pochi minuti, avevano riempito la loro sala.
Era proprio vero che il Pahkitew era stato reso leggendario solo da Scott.
E per alcune ore, ebbero tempo solo di scambiare qualche breve battuta e di passarsi gli ingredienti da utilizzare.
 
Solo verso le 17 trovarono il tempo di uscire nel retro per fumare in santa pace.
A quell’ora, nonostante tutto, il locale si svuotava e pertanto Chef ordinava la chiusura per le pulizie.
Essendo compito dei camerieri, i due erano liberi d’uscire e di ricaricarsi un po’.
“Ancora poche ore e poi tocca a Mal.”
“Quello lì è sciroccato e lento come una lumaca.” Commentò il rosso, fissando il cielo che si era colorato con il tramonto.
“Sai che potrebbe ereditare uno dei nostri posti?”
“Parli delle offerte che Chef ha ricevuto mesi fa, pur di liberarmi dal contratto, e di cui non dovrei sapere nulla?” Sospirò Scott, appoggiandosi alla pesante ringhiera di ferro.
“Te l’ha detto?”
“I suoi documenti erano in bella mostra.” Scandì con calma, cacciando una nuvoletta di fumo e fissandola svanire.
“Chef ha una pessima abitudine.”
“E poi si lamenta se qualcuno getta le sue cartacce e gli porta via i fogli delle presenze.” Commentò, incrociando le braccia che si ritrovarono percorse dalla ruvidità piacevole del ferro arrugginito.
“Hai scelto cosa fare?”
“Se mi stai chiedendo se ho intenzione d’accettare la proposta di McLean, sei fuori strada.”
“Guadagneresti ancora di più.”
“Il denaro non è in cima alla lista dei miei pensieri o delle mie priorità.”
“Se lo fosse, avresti accettato la proposta dei Gerry&Pete.” Annuì distrattamente.
“Finirei con il lavorare il doppio e addio divertimento.” Confermò, aggiungendo ciò che aveva sentito sui dipendenti del McLean.
Non erano trattati come persone, ma come numeri e ciò inficiava sul loro rendimento. Il loro stipendio poteva anche essere il migliore dell’intera regione, ma in quanto a realizzazione personale erano molto lontani in graduatoria. Quelle poche volte che i suoi conoscenti erano entrati in un locale di proprietà di McLean avevano riscontrato solo musi lunghi, silenzio tombale, celato artificialmente da una musica in sottofondo e maleducazione da parte dei camerieri.
“E con Dawn?” S’informò il punk, mentre il collega sussultava sorpreso.
“Non so che fare, Duncan.”
“Quale sarebbe il tuo piano?”
“Le ho dato un mese di tempo, ma se non trova un’altra sistemazione, come faccio a mandarla via?” Chiese il rosso.
“Non vuole andare dai suoi parenti?”
“Vorrebbe essere autonoma.”
“Sarebbe una cosa positiva, se aiutasse nelle spese.” Sbuffò il punk, picchiettando appena sulla sigaretta e facendo cadere la cenere sullo spiazzo che sarebbe stato ripulito l’indomani da uno dei camerieri, obbligato a sottomettersi a uno dei soliti ordini dispotici di Chef Hatchet.
“Per avere una possibilità, dovrei accettare il lavoro di McLean, ma questo significa rinunciare a quelle poche libertà che ho ora.”
“Infatti.”
“Inoltre dovrebbe prendere lei l’iniziativa e non costringermi a salvarle le chiappe.” Sbottò, gettando la cicca al suolo e calpestandola.
“Però cacciandola ti sentiresti in colpa.”
“Beverly è un coglione.” Sputò il rosso, scaricando parte della tensione su quel ciccione decerebrato che avrebbe pregato di non vedere mai più.
“Glielo abbiamo detto tutti, prima che andassero a convivere.” Tentò il punk, spegnendo la sigaretta e accendendosene un’altra.
“Come ha fatto a tradirla?”
“Tutti sanno che è un idiota.”
“Ok essere stupidi, ma non puoi negare che Dawn sia una bella ragazza.”
“Non mi dirai che il tuo piano consiste nel trovarle un ragazzo che possa appiopparsi le spese.” Riprese Duncan, facendolo negare.
“È appena uscita da una brutta storia e non vorrei farla ricadere di nuovo.”
“Guardiamo in faccia la realtà Scott: se lei non s’impegna, tu non puoi aiutarla.” Borbottò il punk.
“Lo so.”
“C’è qualcosa che ti turba in tutto questo?” Chiese Duncan, gustando l’aroma intenso delle sue sigarette.
“Io non la capisco.”
“Potresti spiegarti meglio?” Domandò il punk, cercando di formulare una strategia che potesse aiutare l’amico.
“È distratta, spesso ha gli occhi arrossati, a volte non tocca cibo e lascia tutto nel piatto.” Elencò, rialzando gli occhi verso il cielo, laddove un aereo con il suo ronzio aveva catturato la sua attenzione.
“Il pensiero e i ricordi la tormentano.”
“Vorrei provare ad aggiustare ciò che Beverly ha distrutto.” Si risollevò, staccandosi dalla ringhiera e stiracchiandosi la schiena.
“Del tipo?”
“Zoey e Gwen non dovrebbero sapere che ho abbandonato l’Università, giusto?”
“Credo di no.”
“E credono che abiti ancora da solo.” Aggiunse, rinforzando le sue ipotesi.
“Cos’hai in mente?”
“Quand’è che puoi aiutarmi?” Chiese il rosso, ricevendo un sorriso per risposta.
“Anche domani, se vuoi.”
“Dobbiamo farle incontrare in qualche modo.”
 
Fatto ritorno a casa, Scott gettò al suolo la borsa di lavoro e si sedette sul divano, dove Dawn stava studiando le materie d’esame.
Dopo quasi sei ore di lavoro poteva finalmente rilassarsi, ma nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che una telefonata lo risvegliò.
Normalmente avrebbe maledetto chiunque osasse rompere il suo riposo, ma un’occhiata al cellulare, gli fece capire che non poteva rifiutarsi. Dopotutto non la vedeva da una vita e riagganciare sarebbe stato controproducente per la sua salute senza considerare che avrebbe dovuto aspettare chissà quanti mesi per rivederla.
Se la sua Courtney, complice le rare occasioni d’incontro, chiamava, lui non poteva tirarsi indietro ed era pronto a guidare tutta la notte, pur di stare anche solo dieci minuti in sua compagnia. Cosa che durante i concerti, le interviste o le incisioni di dischi non era assolutamente fattibile, anche perché una Courtney stanca equivaleva a una Courtney da non rendere nervosa.
“Dimmi Courtney.” Borbottò il rosso, risvegliando Dawn che si era persa a fissarlo.
“Questa sera ho la possibilità di vederti, Scott.”
“Ti sei liberata dai tuoi impegni?”
“I concerti sono finiti e per un po’ posso stare tranquilla.”
“Fino alla prossima esibizione.”
“Accetti di uscire?” Chiese la ragazza.
“Dove?”
“Pensavo a una cenetta romantica.”
“Nessun problema.”
“Ti aspetto questa sera verso le 20 al Wawanawka.”
“Va bene.” Soffiò Scott, chiudendo la chiamata e girandosi verso la ragazza.
Lei distolse subito lo sguardo, concentrandolo verso i suoi appunti e fingendo di non aver sentito nulla della sua discussione.
Non era sua intenzione rovinare la vita all’amico, anche perché lui era liberissimo di fare quello che voleva e non poteva nemmeno contare sul fatto che lui rimanesse sempre a casa a consolarla della sua perdita, ben sapendo che così avrebbe rovinato le cose con Courtney.
“Questa sera dovrai restare un po’ da sola.”
“Eh?”
“Hai sentito benissimo la conversazione.”
“Io…”
“Non aprire a nessuno, non rispondere a nessuno e non piangere.”
“Ma io…”
“So che fa male, ma non puoi continuare così.” Soffiò il rosso, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Però…”
“Non puoi gettare la tua rabbia sullo studio o su di me.”
“Non ho nessuno con cui parlare.”
“Devi sfogarti in altro modo.” Tentò Scott, rialzandosi in piedi e prendendole la mano.
“Scott…”
“Seguimi un attimo.” Provò, portandola nella sua stanza.
“Cosa c’è?”
“Università significa tesi, ma tu sei anche troppo in anticipo.”
“Come sai che ho già cominciato?” Chiese, rendendo quasi inudibile la sua voce.
“Quelli del terzo anno hanno solo questo pensiero.”
“Non è vero.”
“Guarda che parli con uno che, nonostante l’unico anno universitario, ha sentito chiacchiere di ogni tipo in quella scuola.”
“Cavolo.”
“E poi non siamo qui per questo.” Ghignò lui, avviandosi verso la scrivania e aprendone il cassetto destro più in basso.
Da esso comparve un piccolo album dalla copertina marrone che lei non aveva mai notato.
Un qualcosa che, per com’era stato trattato, doveva essere di vitale importanza per lui.
Infatti, sedutosi sul letto, invitò la giovane ad avvicinarsi, giusto per dare una sfogliata all’album e per ricordare il passato.
Dentro di esso erano contenute molte foto di quando era bambino, ma non erano questi gli elementi di cui Scott aveva bisogno. Mostrarle com’era in costume quando aveva 5 anni poteva solo imbarazzarlo da morire e nemmeno le foto del matrimonio di sua zia Margareth o le prime cadute in bicicletta potevano farle cambiare idea.
Lui aveva preso in mano quell’album solo per le ultime pagine.
Superate in velocità quelle delle medie e delle superiori, lui rilesse un primo stralcio di giornale di poche righe e con attenzione lo porse alla giovane.
“Grande successo al locale Pahkitew.”
“In questo articolo tutti parlano del nostro bar e di come un giovane barman abbia stregato i vari clienti.”
“Eri tu?” Chiese la giovane, leggendo quelle poche righe.
“Quella sera mi sono impegnato tanto.”
“Io…”
“Leggi questo.” Soffiò lui, porgendole un nuovo articolo.
“Giuria soddisfatta dei cocktail del Pahkitew.”
E anche quelle poche righe vennero divorate dalla curiosità della giovane.
Dawn aveva capito che Scott si era davvero impegnato molto in quel periodo. Una piccola nota, però, stonava nella dichiarazione di un giudice. Un qualcosa che comunque, conoscendo bene Scott, si sarebbe sempre scontrata solo con una sua scrollata di spalle.
“Perché dicono che non ti sei impegnato?”
“Credono che potrei diventare il miglior barman della regione.”
“E tu?”
“Possibile, ma non ho voglia d’impegnarmi.” Sbuffò il rosso, riponendo i due articoli al sicuro e girando nuovamente pagina.
“E qui?” Chiese lei, indicando una foto del locale con tutti i dipendenti.
In prima fila vi erano i sette camerieri che si alternavano nel bar, seguiti dalla presenza del titolare e dei tre giovani barman.
“Lo staff al completo.”
“Perché hai una coccarda in mano?” Domandò Dawn, facendolo riflettere un secondo.
“Sono arrivato al terzo posto come miglior barman della regione.”
“Solo?”
“Per non arrivare primo tendo a sabotare le mie stesse opere d’arte.” Sorrise il rosso, accarezzando i volti raffigurati sulle foto.
“Perché lo fai?” Chiese con curiosità.
“Perché ho paura che una proposta troppo allettante mi porti via da questa città.” Soffiò Scott, girando l’ultima pagina dell’album.
Nel leggere il suo sguardo annoiato era evidente che quella fosse la sua più grande paura.
Restare da solo, senza nessuno con cui confrontarsi e senza nessuno con cui divertirsi lo avrebbe quasi sicuramente ucciso. Preferiva sapere e restare nell’ombra. Preferiva essere l’eterno incompiuto e felice, piuttosto che concretizzarsi e ritrovarsi senza la minima gioia in corpo.
“E in ultima?”
“La mia foto preferita: il concorso di sei mesi fa.”
“Il concorso?”
“Ho preparato il cocktail più difficile della città e mi sono classificato solo al secondo posto.”
“Ti hanno fotografato con la giuria e con il trofeo?” Chiese la giovane.
“Una bella esperienza.”
“Lo immagino.”
“Se te lo chiedi il trofeo e la coccarda le ho regalate a Chef.” Ammise il rosso, grattandosi la testa.
“Perché?”
“È solo merito suo se ho potuto vincere.”
“Io ho visto come lavori e Chef non influisce sul tuo impegno.” Ribatté la giovane, facendo sorridere l’amico.
“Questa è la tua lezione, Dawn. Se fossi rimasto a casa e non gli avessi chiesto di lavorare, non avrei mai conquistato quel poco che ho in questo momento.”
“Tu…”
“Se resti fermo e non ti concentri sulla felicità, come puoi diventare qualcuno là fuori? Nessuno mai ti allungherà una mano per aiutarti.”
“Ci sei tu.” Soffiò, facendolo annuire.
“Se dovesse accadermi qualcosa, quali speranze vorresti avere? Se dovessi trovare la vera felicità, poi finiresti con il dimenticarmi e non avresti più bisogno del mio aiuto. È per questo che, se ne hai l’occasione, devi cogliere l’attimo e proseguire per la tua strada.”
“Ma…”
“Devi trovare una ragione per vivere e dimenticare Beverly, prima che questa infelicità prenda il sopravvento.”  Riprese, chiudendo l’album e riponendolo al sicuro nel cassetto della scrivania.





Angolo autore:

Pubblico sempre all'ultimo minuto.

Ryuk: Perchè dimentichi sempre le scadenze e hai perso la condizione del tempo.

In questo capitolo compaiono altri personaggi.

Ryuk: Come se non bastassero quelli che c'erano già.

Ringraziandovi per l'interesse, le recensioni e le visite, vi auguro una buona settimana.
A presto!

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Capitolo 4
*** Cap 4 ***


Il Wawanawka era uno dei ristoranti migliori della periferia cittadina.
Il loro cibo era deliziosamente unico e le atmosfere puntualmente perfette. Scott era arrivato in perfetto orario, nonostante parte dei suoi pensieri, nel raggiungere la destinazione, confluisse verso la coinquilina.
Sapeva bene che quello che le aveva spiegato non sarebbe stato sufficiente per smuoverla.
Nemmeno gli innumerevoli succhi alla pesca avrebbero sanato la sua ferita ancora sanguinante e troppo profonda.
Aveva bisogno di una botta secca.
Un qualcosa che la facesse infuriare, risvegliandola totalmente, oppure che la facesse rinsavire, riportandola a com’era prima di quella sera.
In entrambi i casi Scott credeva in quel piano che, a tratti, rasentava livelli di rischio omicida da non rimanere indifferenti. Perché a essere sinceri fino in fondo, una piccola percentuale di fallimento era pronosticabile.
“Ciao Scott, è tanto che aspetti?”
“Courtney.” Borbottò sorpreso, rivolgendole un sorriso e accantonando i suoi pensieri.
“Ti vedo bene.”
“Sono solo un po’ stanco per questi ultimi giorni.”
“Ti ringrazio per avermi informato che Dawn è in difficoltà e mi spiace.”
“L’ho lasciata mezzora fa e temo di non aver risolto nulla.”
“Pensi di arrenderti?” Chiese, incamminandosi verso il piccolo viale alberato che anticipava l’ingresso al ristorante e invitandolo a entrare.
“Mi sono mai arreso in vita mia?”
“La tua caparbietà mi piace.” Sorrise la cantante, mentre Scott la faceva accomodare sul posto che un cameriere gli aveva mostrato.
“Anche se, per questa sera, preferirei cambiare argomento.”
“Potresti almeno dirmi come procedono gli affari al Pahkitew.” Sussurrò Courtney, facendo sorridere il fidanzato.
“Chef sbraita in continuazione che siamo a rischio bancarotta.”
“E Duncan continuerà a farvi disperare come quando ha cominciato.”
“A volte è un po’ sbadato, ma sta imparando.” Ghignò il rosso, porgendo alla fidanzata i menù che erano stati appena portati da un elegantissimo e educatissimo cameriere.
“Era da tanto che non stavamo un po’ da soli.”
“Da quando sei partita per i tuoi sessanta concerti.” Ribatté, rimproverandola per quei i rari momenti d’intimità che riuscivano a concedersi, spesso interrotti dalle notifiche del cellulare che la avvertiva di nuove date appuntate sull’agenda dal suo fedele manager.
“Non farmi la predica Scott: la musica è la mia vita.”
“La musica rende il nostro rapporto complicato.” Sbuffò seccato, fissandola intensamente.
“È mai stato un problema per noi?”
“Per te forse no, ma per me inizia a diventare pesante e fastidioso.”
“Qualcuno ti fa gli occhi dolci?” Lo canzonò, irritandolo.
“Fin troppe oche per i miei gusti.”
“La fama ha il suo prezzo.”
“Tu sarai anche famosa, ma io no.” Scandì con calma, facendola innervosire.
“Guarda che ho letto i quotidiani delle ultime settimane e la critica è entusiasta dei tuoi cocktail e della tua abilità.” Soffiò lei, estraendo il suo cellulare e mostrando le fotografie con tutti gli articoli che lei aveva ritagliato e che custodiva come delle preziose reliquie.
“Ma nessuno è ancora venuto per un selfie o per farmi firmare autografi.” Ribatté il giovane con una lieve nota di sarcasmo.
“Che vuoi dire?”
“Voglio solo dire e, forse potrei anche sbagliarmi, che farsi fotografare dai paparazzi e firmare autografi è roba da famosi.”
“La tua sembra una critica nei miei confronti.”
“Sei tu che la vedi così.”
“Mi vuoi forse dire che sto sprecando il mio tempo nel tentare di costruirmi un’immagine?” Domandò la giovane, facendo negare Scott.
“Mi dà fastidio che nei tuoi tentativi, tutte le volte che usciamo insieme, qualcuno si frappone, chiedendoti una foto e un autografo.”
“E che c’è di male?”
“Che c’è di male? Un idiota ti chiede qualcosa e poi altri ancora si avvicinano e pretendono lo stesso trattamento.” Sbraitò il rosso che, se non fosse stato per la sala deserta e per il ristorante a loro completa destinazione, avrebbe attirato l’attenzione.
Così facendo, in situazioni normali, qualcuno si sarebbe accorto della sua compagna. Magari qualche ragazzino sarebbe pure scattato in piedi con il cellulare e qualche altra ragazza, in compagnia del fidanzato, si sarebbe avvicinata per una foto o per un autografo.
Non era mai successo?
Errore: Scott aveva dovuto sopportare quella faccenda della fama nei cinque appuntamenti precedenti, senza trovare mai qualcosa da ridire.
Offendere, fissare malignamente o lanciare qualche provocazione avrebbe rovinato il clima disteso, la reputazione di Courtney e la loro bella uscita di coppia. Per questo lui aveva sempre ingoiato quei rospi, senza tuttavia riuscire a sopportare in pieno quella faccenda.  Perché a tutti quelli che gli invidiavano d’essere felice con una cantante, manco fosse una diva del cinema, lui era pronto a ribattere che dovevano trovarsi al suo posto.
Fotografi ovunque, speculazioni su tutto, chiacchiere insistenti e velenose: questa era solo la punta dell’iceberg. E oltre a tutto questo vi erano i pedinamenti ossessivi di fotografi e ragazzini-stalker che volevano lo scoop del millennio su cosa mangiava, i primi, e ricordi della loro star preferita con cui tappezzare la stanza, i secondi.
“Io…”
“E le nostre uscite romantiche vanno a farsi benedire.” Borbottò il rosso, mangiucchiando e sfogando la tensione verso un grissino che gli era stato portato nella cesta del pane.
“Sei geloso?”
“Sono geloso del fatto che riservi ai tuoi fan un trattamento migliore che al tuo fidanzato.”
“Io dovrei dire lo stesso, poiché Dawn, in questi giorni, ti sta sempre appresso.” Ribatté lei con franchezza, sorseggiando il vino rosso che aveva ordinato.
“Il discorso è diverso.”
“Infatti nel tuo caso è anche peggio.” Lo provocò lei.
“Perché?”
“Io vedo i fan di cui parli per pochi minuti, mentre tu conosci Dawn da molti anni.”
“Noi siamo solo amici.” Si difese Scott, venendo salvato dal cameriere che aveva appena portato gli antipasti.
Terminata la portata, Scott si ritrovò comunque con i suoi occhi addosso, quasi volesse leggere ciò che pensava e che provava. Intorno sentiva solo lo sferragliare degli chef in cucina, manco stessero combattendo all’ultimo sangue a suon di forchette e mestoli. Era comunque un suono lontano e sarebbe stato impercettibile se la sala, come nelle serate pubbliche, fosse stata piena di gente.
In quei frangenti poteva avvertire perfino il battito accelerato del suo cuore, il respiro quasi spezzato e la pace del Wawanawka. Anche se questo non era proprio il primo ristorante pacifico della città, poiché molte volte la polizia era intervenuta per disturbo della quiete pubblica. Infatti, il proprietario, tirchio come pochi, per guadagnare qualcosa in più, aveva cercato di compiere in passato un passo in avanti per i suoi affari.
Passata la mezzanotte ecco che il Wawanawka diventava una discoteca con gravi ripercussioni sulle orecchie sensibili dei vicini.
E questo, per fortuna, solo nei primi tre mesi. Poi a suon di denunce e di minacce, alcune anche di morte, si era trattenuto e la sua attività era tornata a essere quella di solo ristorante.
“Sono felice che tu abbia trovato il tempo per stare con me.” Tentò lui, cercando di salvarsi dal suo sguardo indagatore.
“Che intenzioni hai con Dawn?”
“Le ho dato un mese di tempo per trovarsi un’altra sistemazione.”
“Non mi sembra d’averti mai minacciato seriamente con un ultimatum.” Soffiò Courtney, facendo annuire il fidanzato.
“Non posso badare per sempre a lei.”
“Non mi avrai mica fatto apparire come la strega cattiva, accusandomi di volerla fuori dal tuo appartamento?”
“Ho solo detto la verità.”
“Quella del tuo stipendio che copre a malapena tutte le spese?”
“Esatto.”
“Io ti ho sempre chiesto d’accettare i miei assegni mensili, ma tu rifiuti.” Gli fece presente la ragazza, facendolo annuire.
“Sono troppo orgoglioso.”
“Me l’hai già detto.”
“Sarebbe un affronto chiedere dei soldi alla propria fidanzata.”
“Posso capirti.” Sussurrò la castana, sciogliendo la tensione di quei minuti.
“Cambiando discorso…il tuo manager che dice dei prossimi impegni?”
“Non era molto felice di sapere che avevamo bisogno di un periodo di riposo, ma Trent l’ha convinto a staccare.”
“Quel ragazzo è un santo.” Ammise il rosso, ringraziando il cielo per quell’aiuto insperato.
Senza di lui, Courtney sarebbe dovuta ripartire in tempo zero, anche se Scott aveva tanto altro di cui ringraziare Trent. Quest’ultimo, infatti, quando ripartivano per le tournée, erano i suoi occhi e le sue orecchie. Controllava i suoi movimenti, discuteva con il manager, aiutava Courtney a scrivere i testi e gli arrangiamenti delle canzoni.
Inizialmente Scott era stato geloso, ma poi le rassicurazioni di Courtney erano riuscite a convincerlo che non era in atto la benché minima relazione clandestina. Avevano ottimi motivi per restare amici e per non spingersi oltre, anche perché, in caso contrario, il danno d’immagine sarebbe stato incommensurabile.
“Trent è l’unico che riesce a calmare Don.”
“Io non so nemmeno come ci riesca.” Ammise la castana, ricordandosi di come il manager temesse discutere con lui.
“Quando si vuole ottenere qualcosa, si può ricorrere a un qualche ricatto innocente.”  Sbuffò il rosso, cercando di avviarsi su un discorso che riguardasse solo loro.
 
Il resto della cena, almeno per Scott, scivolò via con calma.
Parlarono per una buona mezzora di quando si erano conosciuti e della possibilità di fare un viaggio in Europa, non appena le ferie di entrambi fossero coincise alla perfezione.
Nulla di più difficile per il rosso che non si sarebbe mai liberato della figura tirannica di Chef Hatchet.
E nemmeno per Courtney che, costretta dal manager, avrebbe sempre avuto una tappa in più sul suo viaggio. Qualche assurda meta che la costringesse a far sentire la sua voce melodiosa in qualche stadio, facendole rimandare il suo ritorno a casa.
Pagata la sua parte, nonostante le rimostranze della fidanzata, Scott la baciò e la ringraziò per l’invito, ripartendo poi verso la sua abitazione.
Quella serata diversa dal solito l’aveva fatto divertire e chiacchierando un po’, il suo desiderio di restituire la libertà a Dawn si era fatto più forte.
Temeva veramente di perdere la sua Courtney e sentiva a pelle che già un mese, nonostante le sue rassicurazioni, sarebbe stato troppo per lei. Non volendo tirare troppo la corda era ancora più convinto che quel piano escogitato con Duncan dovesse funzionare per forza.
Rincasato verso le 23, si ritrovò avvolto dal buio.
Subito richiuse a chiave la porta dietro di sé e sospirò appena.
La cucina e il salotto erano circondati dalla pace e il bagno, con la porta spalancata, aveva fatto credere al proprietario che esso fosse deserto.
Infatti entrò tranquillamente e si lavò i denti, per poi rimanere fermo nel bel mezzo del corridoio.
Da dove si trovava non gli era difficile notare che la luce nella stanza di Dawn era ancora accesa e un fremito di rabbia lo percorse.
“Non mi ha nemmeno ascoltato.”
Pazienza essere ignorato e tutto il resto, ma non sopportava quelli che ricevuto un consiglio, annuivano e poi tornavano a fare quello che volevano.
Dawn in questo non era cresciuta neanche un po’.
Anche quando si era inimicata Gwen e Zoey, lei aveva bussato alla sua porta.
Lui, nonostante l’ora tarda, l’aveva fatta entrare, rassicurandola, offrendole qualcosa da bere e ascoltando i suoi pensieri.
Aveva ascoltato per una buona mezzora i dettagli del litigio che lei aveva avuto con le altre e poi aveva aperto bocca.
Le aveva consigliato vivamente di provare a fare pace, di metterci una pietra sopra e di ricominciare quasi da zero.
Dawn con le sue promesse era uscita dal suo appartamento.
Con le sue belle parole era tornata a scuola.
E si era messa a ignorare le sue ex amiche.
La lezione che le aveva impartito era rimasta inascoltata ed era rimbalzata contro i muri del suo squallido alloggio.
Un po’ come aveva riscontrato in quel pomeriggio.
Credeva che tre lunghi anni fossero stati sufficienti per farla crescere, ma Dawn, almeno in questo, era rimasta la stessa bambina testarda che aveva conosciuto alle elementari.
Ripensando a ciò diverse volte, si ritrovò a bussare alla sua porta.
Magicamente la luce, prima accesa, si spense di colpo, con Scott che considerò quella come l’ennesima presa in giro della giornata.
Senza considerare i rischi della sua azione, sbatté la porta e accese la luce, risvegliando Dawn che fingeva di dormire.
“Che c’è Scott?” Chiese lei, cercando uno sbadiglio che era quanto di più falso si fosse inventata in vita sua.
“Non sono un coglione che puoi prendere in giro!” Tuonò lui, non curandosi del disturbo che avrebbe arrecato ai vicini.
“Io…”
“Odio che i miei consigli vengano così ignorati.” Sbuffò, avvicinandosi pericolosamente a lei, facendola scattare in piedi.
“Ma io…”
“Cosa cazzo credi? Credi forse che qualsiasi cosa tu faccia, ciò mi costringa a stare sempre dalla tua parte?”
“No.”
“La smetti di prendermi in giro?” Chiese il rosso, alzando una mano e tirando un cazzotto all’armadio.
“Non picchiarmi.” Borbottò lei, coprendosi la testa e abbassandola, sperando che lui rinsavisse.
Nel vederla in quello stato il rosso si sentì male.
Si chiese cosa fosse diventato. Pazienza che era stanco, arrabbiato e deluso, ma questi non erano motivi validi per prendersela proprio con lei.
Non si sarebbe mai sognato di farle del male, ma per qualche secondo una dannata goccia aveva fatto traboccare il suo vaso.
Nel vederla in quella posizione così difensiva, abbandonò la furia che l’aveva colpito e riprese a parlarle con tono fraterno. Perché per lui, Dawn, era soprattutto questo: una sorellina sbadata da proteggere e una dolce creatura che non meritava ciò che aveva passato e che aveva sgridato una volta di troppo.
“Dawn…” Sussurrò appena.
“Sì?” Domandò lei, alzando la testa.
“Cosa ci facevi con la luce accesa?”
“Io…”
“Non starai ripensando all’Università, vero?” Chiese, poggiando la sua mano forte e decisa sulla sua spalla nuda.
“Io…”
“Andrà tutto bene.” La rincuorò, sforzandosi in un sorriso.
“Ne sei sicuro?”
“Tu sei sempre riuscita in tutto quello che facevi e questa cosa non cambierà.”
“Non ci credo.”
“Ora vedi tutto nero solo perché sei confusa, spaventata e piena di troppe insicurezze, ma non durerà in eterno.” Soffiò, accarezzandole la schiena delicatamente.
“Io mi sono guardata allo specchio.”
“E non potevi dirmelo subito?” Abbozzò un ghigno.
“Non in quel senso.”
“Di solito si perde tempo allo specchio solo per controllare un vestito o per la pettinatura e non credo ci sia poi molto da fare.” Ammise il rosso, provando a pensare a quei dieci secondi scarsi che passava dinanzi al riflesso per migliorare la sua immagine.
“Davanti a me ho visto solo una nullità senza un passato e senza un futuro.”
“Non è quello che vedo io.”
“Tu non potresti essere realista perché sei mio amico.” Lo demoralizzò appena, senza scalfire tutta la sua sicurezza.
“Io conosco una ragazza combattiva e fiera che non ha motivo di pensare certe cose.” Ghignò il rosso, facendola annuire.
“Vorrei avere la tua sicurezza, dico davvero.”
“Mi sembra che nelle scelte scolastiche e nei vari viaggi, tu abbia sempre avuto le idee ben chiare.”
“Io…”
“Tutti si spaventano o sono, al contrario, sicuri davanti a qualcosa.”
“Anche tu?”
“Diavolo sì.”
“Hai mai avuto paura?” Chiese lei, facendolo sorridere.
“Il primo giorno di scuola, il primo giorno al bar e se provo a pensare di viaggiare mi viene la paranoia del volo in aereo.” Ammise Scott, sforzandosi di nascondere altre piccole paure che per il momento non lo prendevano di mira.
“Io…”
“Pensa che il primo giorno al Pahkitew ho rotto ben cinque calici e una bottiglia di whisky e questo dopo nemmeno tre ore. Stavo pensando seriamente di chiudermi in spogliatoio e di scappare dalla finestrella del gatto, ma poi il mio ex collega mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha consigliato di non mollare che nessuno nasce pronto.”
“Non ci credo.”
“Puoi chiedere a Chef, se lo desideri e lui ti confermerà ogni parola.” Borbottò Scott, facendola annuire.
“Allora forse c’è una speranza anche per me.” Soffiò, chiedendosi se fosse possibile o se stava correndo un po’ troppo.
“E ora posso sapere cosa ci facevi con la luce accesa?”
Quella semplice domanda la scosse appena.
Rispondere significava ricordare e tutto ciò era doloroso, anche se un giorno avrebbe dovuto affrontarlo e raccontare la sua storia. Ma lei non voleva crescere e maturare in quel modo. Voleva rispettare il suo tempo e guarire da quella ferita che le era stata inferta.
Dawn non era ancora pronta e, senza volerlo, pianse di nuovo e il volto del coinquilino, prima tranquillo e disteso, si scurì di nuovo.
“Beverly.” Bisbigliò lei.
“Ricordi ancora cosa ti ha fatto?” Provò con la massima delicatezza, afferrando il suo fazzoletto e asciugandole il viso.
“Mi ha chiesto di tornare con lui.” Singhiozzò, facendo scattare, nuovamente, la sua rabbia.
“Che gli hai detto?”
“Ho solo detto che tra noi è finita e che non voglio più saperne nulla di lui.”
“Sono felice di sentirtelo dire.”
“A questo punto, però, mi ha rinfacciato che sono un fallimento.”
“Cosa?!” Urlò il rosso, sperando d’aver sentito male.
“Lui ha detto che non sarò mai felice perché sono solo una stupida ragazzina che non sa riconoscere le cose importanti nella vita.”
“Giuro che la prossima volta che ce l’ho davanti, lo disintegro.” Soffiò Scott, avvicinandosi ancor di più verso la figura singhiozzante dell’amica.
“Io…”
“Tu sei solo una piccola stella, invisibile forse, ma con delle ottime potenzialità. Ritornerai di nuovo a brillare e rimarremo affascinati e abbagliati dalla tua forza.” Soffiò il ragazzo, avvolgendo l’amica in un abbraccio che, sperava, potesse curare anche quell’ennesima ferita che Beverly le aveva inferto.
 
Le sei erano l’orario più odiato da Scott e non conosceva altra descrizione per quella sveglia che gli ricordava di non aver chiuso occhio.
Da quando aveva rassicurato Dawn e l’aveva vista addormentarsi, era ritornato a incazzarsi su quella faccenda.
Erano passati dieci minuti dalla sua alzata trionfale dal letto che un’idea lo colse. Afferrato il cellulare, ancora sotto carica, inviò un messaggio al collega di lavoro.
“Zanna è tornato a casa?” Digitò lui, aspettando con impazienza la sua risposta e picchiettando nel frattempo su un mobiletto del salotto.
“Poche ore fa.”
“Puoi chiedergli di passare domani verso mezzogiorno al bar?”
“Nessun problema.”
“Un’ultima cosa Duncan…”
“Dimmi.”
“Il piano di ieri deve essere rinviato.”
“Qualche intoppo?” Chiese, non potendo sapere degli ultimi sviluppi.
“Ti racconterò al lavoro.”
“Ok.” Riprese il punk, salutando il collega e ripiombando nel mondo dei sogni.
L’idea superba, avuta con Duncan, era da rinviare solo per un motivo: la protagonista aveva ricevuto una botta psicologica che doveva essere ancora assimilata del tutto.
Tuttavia, se qualcuno avesse letto nella mente del rosso, probabilmente sarebbe inorridito.
Non tanto per il piano che aveva in mente, ma per tutto il resto.
 











Angolo autore:

A sto giro aggiorno un po' prima del solito.

Ryuk: E qui incontriamo Courtney e Dawn esce, dalla sua chiacchierata con Beverly, con le ossa rotte.

E Scott la consola ancora.
Credo di averla resa un po' troppo debole, ma forse mi sbaglierò.

Ryuk: Il suo carattere emergerà un po' più tardi.

E finalmente scopriamo qualcosa in più su Courtney: è la leader di una band e Trent è il suo vice o una specie.
E con il prossimo scopriremo il piano malvagio di Scott per vendicarsi di Beverly.

Ryuk: A presto!

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Capitolo 5
*** Cap 5 ***


Mezzogiorno.
Era questo l’orario che Scott aveva prefissato con Zanna per l’incontro. Normalmente avrebbe creduto che era da stupidi incontrare quel bulletto universitario, ma questa volta la misura era colma. Era ora di una lezione in piena regola. Serviva un fuoco che bruciasse quel suo gioco assurdo e che gli insegnasse cos’era la maturità. Ed era in questo che Zanna poteva aiutarlo.
E lo avrebbe aiutato molto volentieri, dato che anche lui era ligio a certe regole non scritte.
Fedele.
Magari non all’orario, ma quello studente scapestrato era fedele a quel poco che aveva e come lo era lui, pretendeva che anche gli altri si sforzassero d’esserlo.
Tuttavia Zanna non era mai stato fedele alla puntualità.
E di questo Scott ne era a conoscenza.
Mezzora o un’ora di ritardo erano tempi abbastanza prevedibili con quello strano individuo.
L’orologio alla parete ticchettò e nessuno si presentò.
5 minuti passarono e il rosso continuava a preparare cocktail a ritmo serrato.
Duncan alla sua sinistra fissava la rabbia che ci metteva e più volte aveva provato a scucirgli qualche parola di bocca, ottenendone ben poco.
“La pagherà.”
“L’hai già detto.” Borbottava di rimando il punk, incupendo il collega di lavoro.
“Non è ancora arrivato.”
“Zanna è un ritardatario cronico.” Soffiava di nuovo, incontrando poi il silenzio del rosso.
15 minuti.
A tanto si era spinto finora il suo ritardo.
Scott affettò un nuovo limone il cui succo macchiò il tavolo e lo strizzò nel bicchiere analcolico di un qualche 17enne annoiato, facendolo scontrare con il ghiaccio per raffreddare i suoi bollori e con un po’ di Coca Cola per rallegrarlo.
“Arriverà mai?”
“La tua richiesta l’ha incuriosito e quindi dovrebbe arrivare a minuti.” Ammise Duncan, mandando un messaggio al suo coinquilino.
“Io lo faccio solo per Dawn.”
“L’hai già detto.”
“Non merita tutto quello che ha passato.” Brontolò il rosso.
“Le belle ragazze come lei dovrebbero essere sempre felici.” Sorrise il punk, passando i suoi cinque cocktail a un cameriere.
“Non ci provare, Duncan.”
“Cosa?”
“Conosco il tuo sguardo e significa che sei interessato.” S’innervosì il capo barman, ripulendo una serie di coltelli.
“È da tanto che sono single.”
“Dawn non è per te.” Sbottò il rosso, rivolgendogli uno sguardo severo e puntandogli contro la lama affilata.
“Non fare lo stupido, Scott.”
“La mia non è stupidità, ma è solo senso di protezione.”
“Bella roba.” Commentò infastidito.
“Lei non è mai stata interessata a te e tu non hai l’aria di amarla.” Sussurrò il rosso, ricevendo un ordine che gli chiedeva una Gassosa e una birra bionda.
“Adesso sembra che nessuno sia degno di Dawn.”
“Per quel che vedo, è proprio così.”
“E tu invece?”
“Dawn sceglierà chi si avvicina di più al suo cuore e noi non avremo nulla da ridire, vero Duncan?” Chiese Scott.
“Certo che no.”
“E comunque non siete fatti per stare insieme.” Ricominciò il rosso, rigirando il coltello nella piaga.
“Perché no?”
“Perché i vostri caratteri sono così diversi che finireste con il litigare ogni santo giorno.”
“E che c’è di male?” Insisté, asciugando una serie di bicchieri.
“Non c’è nulla di male.”
“A volte, Scott, ho come la sensazione che tu voglia Dawn solo per te.”
“Lo vedi quest’orologio, Duncan?” Mormorò il rosso, sollevandosi una manica e mostrando il gioiello al collega.
“Carino.”
“Ho promesso su questo che quelli che fanno soffrire i miei amici, la pagheranno cara.”
“Rientro nella tua promessa?” S’incuriosì il punk, fissando le lancette che correvano senza sosta e notando come fosse già passata un’abbondante mezzora dall’orario prefissato con Zanna.
“In entrambi i casi.” Ammise il rosso.
“Forse per questa volta è meglio che mi tiri indietro.” Lo rassicurò il punk, facendo annuire il rosso, la cui attenzione fu catturata da un cigolio sinistro e da un tizio annoiato che era appena entrato.
Era Zanna che, dopo quasi 35 minuti, aveva ritrovato il suo pessimo senso dell’orientamento.
 
Il coinquilino di Duncan si avvicinò diretto e senza troppi problemi al bancone, gettando al suolo il suo zaino.
Dal pavimento emerse un tonfo pesante e i barman lo fissarono preoccupati.
“Che vuoi Scott?”
“Non ti ho chiamato per demolire il locale.” Rispose il rosso, affrontandolo con lo sguardo.
“Che peccato.”
“So che tra noi ci sono state delle divergenze in passato e che ci sono ancora delle incomprensioni, ma ho bisogno di un favore.”
“Un favore?”
“Esatto.”
“La mia risposta è no.” Ribatté subito Zanna.
“Dovresti ascoltare prima di rifiutare.” Soffiò Scott, mentre il bulletto si alzava in piedi e sembrava propenso ad andarsene.
“Un favore?” Scandì il grigio, assaporando quella parola.
“Solo uno.”
“Ci guadagnerò qualcosa?” Mormorò, risedendosi, abbozzando un sorriso e poggiando le sue braccia muscolose sul bancone. Quel semplice movimento mise in mostra una volta di più il suo tatuaggio animalesco e i suoi allenamenti in palestra degli ultimi cinque mesi.
“Sarei in debito con te.”
“La mia risposta è no.” Ribatté Zanna.
“Io…”
“Un debito non è un premio sufficiente.”
“Potresti ascoltare la mia storia?” Ritentò il rosso, cercando di mantenere la calma.
“Tu mi hai disturbato per una storia?”
“In minima parte è così.” Spiegò Scott, mentre Duncan seguiva quel fitto scambio di battute senza accennare a una sillaba.
“E mi hai fatto saltare il pranzo per questo favore?”
“È importante.”
“Se proviene da te, lo è di sicuro.” Ringhiò il grigio, rialzandosi e facendo intendere che era pronto ad andarsene.
Prima di riuscirci, però, una mano forte e decisa gli afferrò il braccio destro, senza dargli possibilità di divincolarsi. Mai nessuno lo avrebbe bloccato in quel modo e se Scott si azzardava in quel modo, significava che la questione gli stava particolarmente a cuore.
“Zanna ascoltami.” Lo pregò.
“Sai che quel che mi chiederai costerà un bel po’?” Chiese, liberandosi dalla stretta del rosso e tornando ad appoggiarsi al bancone.
“Ne sono al corrente.” Sospirò il rosso.
“E nonostante tu sappia queste cose, sei pronto a chiedermi un favore.”
“Io e te, Zanna, siamo più simili di quanto non sembri.”
“Non mi sembra d’aver mai cannato l’Università.” Lo punzecchiò il grigio, mangiucchiando parte delle patatine che gli erano state offerte da Duncan.
“E a me sembra che tu non abbia mai lavorato in vita tua.”
“Almeno non sono stato bocciato.” Ribatté, provocandolo.
“Se continuiamo con sta storia facciamo notte e non risolviamo nulla.”
“Sei stato tu a cominciare, se vuoi proprio saperlo.” Insistette il grigio.
“E sia.”
“Stai già perdendo, Scott?”
“Possiamo smetterla con queste cazzate?”
“Per te saranno anche cazzate, ma per me è divertimento.” Spiegò Zanna, continuando a riempirsi la pancia di piccoli snack salati.
“Riusciremo mai ad andare d’accordo?”
“Potremmo…se mi chiedessi scusa per quel giorno in biblioteca.”
“Te l’ho ripetuto un milione di volte che era colpa di Brick e Owen.” Sbuffò il rosso, allungando un bicchiere verso Zanna.
“Scaricare la colpa su qualcuno è assai ingiusto e spregevole.”
“Non otterremo nulla continuando così.” Costatò Scott.
“Probabile.”
“Tu continuerai a credere che le mie scuse siano fasulle ed io penserò di non doverti nulla.”
“Questo significa che il tuo favore dovrà essere presentato a qualcun altro.” Affermò il grigio, afferrando il bicchiere pieno di Aranciata che Scott gli aveva offerto.
“Sai quanto mi sia difficile ammettere i miei sbagli, ma quel giorno la nostra ricerca è fallita solo a causa mia.”
“I tuoi tentativi sono abbastanza patetici, ma li accetterò.” Scandì Zanna con molta calma, facendo sospirare l’ex compagno di classe.
“Noi due siamo troppo orgogliosi per pretendere un aiuto o per avanzare qualche scusa, ma questa volta, ho trovato qualcosa per cui sono pronto a rinunciare al mio orgoglio.”
“Il tuo orgoglio non mi basta.”
“Zanna: non me ne faccio nulla dell’orgoglio, se non riesco a dormire la notte.” Sentenziò il rosso, riempiendo nuovamente il bicchiere al grigio.
“È tipico di voialtri che siete troppo buoni.”
“Noi saremo anche troppo buoni, ma è l’unica cosa che ci lega l’un l’altro.”
“Ognuno sceglie secondo ciò che vuole essere.” Spiegò Zanna, sfruttando una delle poche lezioni che aveva seguito.
“Mi aiuterai?”
“Certo, ma prima voglio alcune garanzie.”
“Garanzie?”
“Per muovermi con maggior convinzione e per essere sicuro che non ti stia burlando di me.”
“E cosa vorresti in cambio del tuo tempo?” Domandò il rosso, sperando che le sue pretese non fossero troppo complicate per le sue finanze.
“Una decina di birre gratis.” Propose Zanna, allungando una mano verso l’ex compagno di classe.
“Si può fare.” Ribatté Scott, stringendo e accettando il piccolo ricatto di quello che sarebbe stato il braccio armato del suo piano.
“Quando vuoi cominciare, ti ascolto.”
“Prima vorrei darti un consiglio.”
“Non amo i vostri consigli, ma vedrò di farmene una ragione.” Gli concesse il grigio.
“Fai come vuoi, ma forse la notte è il momento migliore.”
“Come sempre.” Ridacchiò Zanna.
“Ora passiamo alle cose serie.”
“Prima d’annoiarmi e di andare via.”
“In questi anni ho sentito che la tua considerazione dell’alta società non è cambiata poi molto.” Commentò Scott, facendolo annuire.
“L’alta società: gente frivola che crede con il denaro di comprare ogni cosa.” Spiegò, alzando lo sguardo verso il soffitto.
“Se ti offrissi la possibilità di vendicarti su qualcuno di loro, che faresti?”
“C’è qualcuno che detesti?” Domandò il grigio.
“Un ragazzo ha ferito una mia amica e merita di pagare.”
“In che modo l’avrebbe ferita?” Continuò Zanna, esigendo qualche altro dettaglio di quella strana faccenda che gli era piovuta addosso.
“L’ha beccato a letto con un’altra e questo idiota le ha rinfacciato di essere un fallimento.” Alzò la voce Scott, arrabbiandosi di nuovo per quella faccenda.
“Oltre al danno anche la beffa.”
“Se potessi, avrei già fatto qualcosa, ma mi trovo in una posizione un po’ scomoda.”
“Quanto scomoda?”
“Non credo che lei sarebbe contenta di conoscere le mie vere intenzioni.” Sbuffò il rosso, grattandosi la barba.
“Più si è legati ad una persona, più difficile è agire.”
“Il tizio che l’ha ferita è il figlio di uno dell’alta società.”
“Quanto alta?”
“Credo un ruolo dirigenziale.” Rispose Scott, cercando di sforzarsi nel ricordare quale ruolo occupasse quella famiglia.
“Ottimo.”
“Il caro paparino tirava fuori il portafoglio e copriva le spese dell’appartamento oltre a quelle dei vizi e tutto il resto.”
“Avrei da dire che la tua amica se l’è meritato, dato che anche lei ha sfruttato i soldi di quello, ma ora che ha il cerino in mano, sa quanto faccia male il fuoco e quanto sia demoralizzante fissare la piramide dall’ombra che noi occupiamo.”
“Lo pensavo anch’io anni fa, ma quando ti ritrovi in una situazione così intricata, finisci con l’abbassare la testa e rassegnarti.” Spiegò Scott.
“Si è pentita e rimpiange la sua scelta?” Abbozzò il grigio in un sorriso amaro.
“Non passa giorno che pianga e che ci ripensi.”
“Che cosa dovrei fare, infine?” Domandò il grigio.
“Io vorrei che Beverly ricevesse una lezione.”
“Quello che troverò, sarà solo mio?” Chiese il bulletto, sfregandosi le mani al solo pensiero di ciò che avrebbe guadagnato.
“Puoi prendere tutto quello che più ti aggrada.”
“La tua proposta è intrigante, pericolosa e subdola, ma mi piace.”
“Posso contare sul tuo aiuto e sulla tua segretezza?” Domandò il rosso, leggermente preoccupato per un suo rifiuto.
Dopotutto non era la prima volta che il suo interlocutore ascoltava qualche storia, che annuiva convinto, facendoti quasi credere d’essere sulla tua stessa lunghezza d’onda e che poi si tirava indietro perché troppo annoiato.
Zanna non era cambiato di una virgola in questo.
Era sempre lo stesso ambiguo individuo che prima rifiutava, poi si convinceva della bontà della tua idea, nicchiava, si alzava dalla sua postazione, ti fissava con superiorità schiacciante, rifiutava nuovamente, usciva e agiva a modo suo.
Per qualche strano motivo la tua richiesta si ritrovava esaudita nel giro di poche ore e lui svaniva quasi nel nulla, affermando che era stato uno scherzo del destino.
Una fatalità il cui nome era Zanna. Perché era impossibile che per una ventina di volte il destino regalasse qualcosa. La prima volta poteva anche accadere, ma poi il calcolo delle probabilità aumentava vorticosamente.
E come se non bastasse, lui usciva di scena per quelle canoniche due settimane. Alcuni dicevano per calmare le acque, mentre le malelingue dicevano fosse solo per curare l’ennesimo occhio nero.
“Questo Beverly si pentirà d’essere nato.”
“Non dovrebbe essere difficile per te, Zanna.” Lo rassicurò il rosso, prima che il grigio prendesse la sua borsa e uscisse senza saldare il conto.
Il grigio era quindi uscito, lasciando dietro di sé una serie di borbottii e imprecazioni più o meno impercettibili.
Sembrava quasi che ce l’avesse con il mondo e in minima parte era così.
Zanna odiava e ignorava tutti.
Non lo faceva di proposito, ma era l’unica possibilità di vita che gli era rimasta. Dopo essere stato abbandonato dalla sua famiglia ed essere stato escluso dalla società, lui era entrato di diritto nella piramide della feccia.
Ma nessuno osava fargli pesare quella cosa.
Solo a dirgli che era spazzatura e la persona avrebbe conosciuto cosa significava essere schiacciati dal peso opprimente di chi non aveva più nulla da perdere.
Perché lui non aveva più vincoli su nulla. Più gli rinfacciavano che aveva perso tutto, più lui ribatteva che non aveva più nulla da perdere e che pertanto poteva macchiarsi di ogni nefandezza.
Tanto un omicidio, un furto o una rissa non avrebbe mai fatto calare il suo livello ultimo nella graduatoria della feccia.
L’unica via di scampo da quella vita, che per molti era senza senso e priva di futuro, era nell’Università.
Perché il grigio poteva anche essere l’individuo peggiore del mondo cui non avresti chiesto o affidato nulla, ma era dannatamente intelligente. Se si era messo in testa che il corso da lui scelto doveva incoronarlo come il migliore della regione, così sarebbe stato.
Lati positivi, pochi, o negativi, una montagna, lui era semplicemente Zanna: un individuo dal passato assai nebuloso, dal presente leggermente meno oscuro e dal futuro pericolosamente barcollante.
 
Scott ora che poteva contare sull’appoggio di Zanna, si ritrovò a sorridere.
Era da alcune ore che il dubbio lo tormentava, ma ora tutto si era sciolto come neve al sole.
Finalmente Beverly avrebbe pagato per i suoi sbagli.
“Era questo quello che avevi in mente?” Gli chiese Duncan, riempendo un boccale con una birra bionda e cercando di non accumulare troppa schiuma.
“Duncan…”
“La tua idea mi piace.”
“Credevo mi remassi contro.”
“Dovresti sapere che Dawn è una mia amica.” Ribatté il punk.
“Ti terrò comunque d’occhio.”
“Hai un’opinione piuttosto scarsa sul mio conto.”
“Dopo molti anni che ti salvo le chiappe, puoi compatirmi?” Sospirò Scott, alzando gli occhi al soffitto.
“Comunque non è ancora finita.”
“Infatti siamo solo all’inizio.” Sbuffò il rosso, uscendo con il collega dalla postazione di lavoro per dare modo a Mal di prepararsi.
Abbandonato il loro regno, i due uscirono dal bar e poterono fumare in santa pace.
Se Beverly non era più un problema, ve ne era un altro rimasto in sospeso: le ragazze dovevano tornare come quando in quel mese di marzo s’ingannarono di non essere importanti e si separarono con estrema difficoltà.
 




Angolo autore:

Buonasera a tutti.

Ryuk: Indovinate un po', ma siamo ancora di fretta.

Mai una volta che riesca ad aggiornare con un orario normale: sempre all'ultimo minuto.
Sono proprio una causa persa.

Ryuk: E anche questa volta le spiegazioni possono aspettare.

Ho solo fatto comparire un Zanna umano.
Spero vi possa piacere.
Per il resto vi auguro una buona settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 6
*** Cap 6 ***


Nei giorni successivi non accadde nulla di particolarmente rilevante.
Scott continuava a dividersi tra il lavoro al bar, il piano magistrale escogitato con Duncan, le visite all’Università e ovviamente la rinascita di Dawn.
Questo punto, purtroppo, procedeva molto a rilento.
E una mattina, durante il lavoro, una visita inaspettata ribaltò leggermente i suoi piani.
“Sei già venuto a prendere le tue birre?”
“Come sai che sono qui per questo?”
“Non salteresti le lezioni, se non per un motivo valido.”
“Ho fatto come mi hai detto.”
“E?”
“Avevi ragione: Beverly aveva molto da offrire.” Ghignò Zanna, estraendo dalla sua tasca tutto ciò che era riuscito a sgraffignare.
“Quello è una banca che cammina.” Commentò Scott.
“600 dollari, un orologio dello stesso valore, un bracciale d’oro e una collana…neanche alle slot machine si riesce a piazzare un simile colpo.”
“Ha imparato la lezione?” Chiese il rosso.
“Credo di sì.”
“Immagino tu debba ringraziarmi.” Brontolò Scott.
“Ringraziarti? E per cosa?”
“Quando avrai bisogno di denaro contante, potrai sempre dare una botta al bancomat e lui scucirà la grana.”
“Diciamo che per qualche mese non avrò disperato bisogno delle risse clandestine.” Soffiò il grigio, sorseggiando una delle sue prime birre.
“Sapevo che eri la soluzione per il mio problema.”
“Non esulterei così presto, fossi in te.”
“Che intendi dire?” Domandò Scott con timore, sforzandosi di leggere negli occhi annoiati dell’ex compagno di classe.
“Quel ciccione sarà anche fuori uso e non la disturberà più, ma non vorrei essere al tuo posto.”
“Tu…”
“Non intendo ricattarti: sarebbe troppo spregevole spremere un limone secco.”
“Sai come sono ridotte le mie finanze.”
“Ma ci sono cose che nemmeno io posso rivendere in giro.” Soffiò il grigio, estraendo da una tasca dello zaino un piccolo pacchettino.
Nel vedere quel minuscolo sacchetto per un attimo Scott si era preoccupato della sua richiesta e dei clienti che stavano assistendo alla scena. Sapeva che Zanna non era propriamente pulito e di certo non voleva assecondarlo, macchiandosi la coscienza con la droga.
“Non sarà mica…”
“Niente roba illegale, Scott.”
“Allora?” Chiese il rosso, sfiorando il sacchetto che era stato appoggiato sopra il tavolo.
“Ci sono cose che non posso vendere perché sono troppo personali.”
“Personali?”
“Io non so come funzionino quelle cazzate che voi chiamate fidanzamento, ma immagino che entrambi debbano regalare un qualcosa alla controparte.”
“Immagini bene.” Affermò Scott, riempiendo una ciotola con alcuni salatini e porgendola al grigio che ne afferrò una manciata.
“Dovrebbe essere un segno fisico che lega una persona a un’altra.”
“Come un anello?” Chiese Scott, osservando l’amico che svuotava quasi del tutto il bicchiere.
“Sarà codardia, ma io non riesco a vendere una cosa simile.”
“Ti capisco.”
“Preferisco avere la coscienza pulita, almeno in questo.”
“Che cosa vuoi che faccia?” Tentò Scott, notando come Zanna stesse aprendo il pacchettino e come stesse togliendo la carta che avvolgeva l’anello per poi porlo sopra il bancone.
Scott fece altrettanto. Lo prese, lo rigirò diverse volte per controllare quanto lei si fosse sforzata per quel regalo e poi lo nascose dentro la tasca dei jeans.
“Io lo restituisco a te.”
“Grazie.”
“Di quel che farai all’anello, non è affar mio e non mi riguarda, ma ti pregherei di riconsegnarlo alla legittima proprietaria.” Soffiò Zanna.
“Lo farò, anche se temo la sua reazione.”
“È per questo che non vorrei essere al tuo posto.”
“Maledizione!” Sbottò, caricando la lavastoviglie.
“Se riuscirà a capire, lei ti ringrazierà, altrimenti dovrai passare una brutta mezzora.”
“Sembra che tu stia parlando per esperienza personale.” Ricominciò il rosso, rubando un ghigno amaro al grigio.
“Potrebbe anche essere.”
“Nascondi qualcosa, Zanna?”
“Tempo fa, Scott, ascoltai un tuo consiglio e ne rimasi soddisfatto. Ora lascia che sia io a dartene uno.”
“Parla pure.”
“Non forzare la mano con lei.”
“Non ti prometto nulla.”
“Dovresti darle del tempo, prima di affrontarla, anche se credo che non sia questa la soluzione che intendi usare.”
“Io so com’è e se non affronta i suoi problemi, non riuscirà mai a guarire.” Ammise il rosso, sfiorandosi la barba.
“Ricorda comunque di avere pazienza con lei: non puoi pretendere che ritorni a sorridere, dimenticando tutto quello che ha passato.”
“Io…”
“E poi se dovessi venire a sapere da Duncan che nemmeno tu riesci a renderla felice, allora interverrò per farti male.” Lo minacciò scherzosamente, alzando una mano e serrandola in un pugno che poggiò sopra il bancone.
“Vedrò di evitare.”
“Ora posso anche tornare a lezione: dopotutto gli esami non si passano da soli.” Ghignò il grigio, uscendo dal bar e lasciando indietro l’ennesimo conto da saldare.
 
Rimasto solo, Scott si ritrovò a riflettere.
L’anello che Dawn aveva regalato a Beverly come segno d’amore, era ora nella tasca dei jeans.
Senza conoscerne il motivo si sentiva come il terzo incomodo di una qualsiasi serie televisiva.
E come quegli strani tizi dello schermo, lui non sapeva come comportarsi.
Doveva, forse, restituirle l’anello?
E se non l’avesse fatto, che cosa doveva farne di quel gioiello?
“Devo buttarlo via?” Mugugnò, pulendo un bicchiere.
“O forse devo restituirlo, sperando che lei capisca le mie buone intenzioni?” Borbottò, sperando che nessuno si accorgesse che stava parlando da solo.
Nemmeno gli ubriachi che allontanavano dal locale a suon di minacce, si erano mai ridotti a parlottare con il loro amico immaginario.
E lui, da sobrio, era quasi da ospedale psichiatrico.
La cosa che non capiva era come Dawn riuscisse a mandargli in tilt il cervello. Qualsiasi cosa facesse o dicesse, talvolta si fermava per fissarla. E Scott, puntualmente, si chiedeva il motivo per cui s’imbambolasse in quel modo.
“La devo tenere d’occhio.”
Era questa la regola base che si era dato.
Lo faceva perché lei era solo una ragazzina: troppo sciocca e sbadata per accorgersi dei suoi sbagli.
E quegli errori dovevano pur essere corretti in qualche modo.
Un tempo sarebbero state Gwen e Zoey a rimproverarla e a riportarla sulla dritta via, ma ora che le due si erano dileguate, spettava a lui il ruolo di fratello maggiore.
Quello che l’accompagnava a scuola e che teneva lontani con lo sguardo i marmocchi troppo avventati.
Quello che scrutava con attenzione i suoi compagni di corso.
Quello che, prima di farla uscire con qualcuno, doveva conoscere tutto sul suo conto.
Quello che, se non aveva altri impegni, si metteva a pedinarla e la osservava senza perderla di vista.
“Sovrappensiero Scott?” Intervenne una voce roca.
“Duncan.”
“Qualcosa ti preoccupa?”
“Più di qualcosa.” Ammise il rosso, sfiorando un bicchiere.
“Dawn è sempre arrabbiata, immagino.”
“Lo saresti anche tu se qualcuno ti facesse le corna.”
“Probabile.”
“Zanna ti ha detto niente?” Domandò Scott, voltandosi verso l’amico che era propenso a uscire nel retro per gettare l’immondizia.
Duncan afferrato il sacchetto, sbuffò appena e lo riadagiò al suolo, cercando di non squarciarlo come al suo solito.
“Si dev’essere divertito parecchio.”
“Nient’altro?”
“Zanna non parla volentieri delle sue avventure, ma se fischietta, significa che gli affari sono andati molto bene.” Ghignò il punk.
“Ti ha detto niente di quello che ha recuperato?”
“Perché questo interrogatorio?”
“Così.”
“Che cosa speravi che trovasse o che mi dicesse?” Chiese Duncan, lavandosi le mani e tornando subito alla sua postazione di lavoro.
“È quello che vorrei sapere da te.”
“Zanna avrà trovato soldi e gioielli in quantità industriale.” Abbozzò una spiegazione, versando una Gassosa in un piccolo bicchiere.
“Bene.”
“A volte le bugie ti rendono strano, Scott.”
“Bugie?” Mormorò il rosso preoccupato.
“Fino a che punto puoi mentire con un amico?”
“Mentire?”
“Non ti sto accusando, ma è lampante che tu sia strano. Fino a qualche settimana fa, prima dell’arrivo di Dawn, non mi avresti mai chiesto di Zanna. Ora mi chiedi di lui, solo perché gli hai chiesto un favore che è strettamente legato a lei.”
“Non so come comportarmi.” Sospirò Scott, guardandosi intorno e mostrando l’anello all’amico.
Estratto quel gioiellino scintillante il sorriso di Duncan, si trasformò in un ghigno.
Sembrava una carogna che, dopo giorni di duro digiuno, aveva trovato una carcassa da divorare e con cui riempirsi la pancia.
“Carino.” Commentò, mostrando scarso interesse.
“Qualsiasi cosa ti mostro è sempre carino?”
“E così hai deciso di fare il grande passo con Courtney?” Affermò il punk, notando il minuscolo brillante che vi era incastonato.
“Non è per lei.”
“Io di certo non ho intenzione di sposarmi con te.” Lo canzonò nuovamente Duncan, mentre il rosso riponeva il gioiello al sicuro.
“È per Dawn.”
“Amico mio, non avrai mollato Courtney, vero?”
“Ma ti si è fuso il cervello?” Domandò alterato il barman.
“Scusa se non sei molto chiaro.”
“Zanna ha recuperato l’anello che Dawn aveva regalato a Beverly.” Spiegò Scott, riempiendo un bicchierino con del whisky.
“Ora tutto si spiega.”
“E Zanna non ha il coraggio di vendere una cosa tanto personale.”
“E sei preoccupato per così poco?” Chiese Duncan, scrutando l’amico che cercava di mantenere il suo solito atteggiamento glaciale.
“Tu conosci Dawn e sai che cambia all’improvviso.”
“Come la marea.” Commentò il punk.
“La marea?”
“Prima ti travolge e poi si ritira in silenzio.”
“Ecco cosa facevi all’Università, mentre dormivo sul banco!” Esclamò, facendolo sorridere.
“Ho seguito mezza lezione di letteratura e sono stato bocciato lo stesso.”
“Siamo stati bocciati.” Lo corresse il rosso, ricordando il giorno in cui gli era stato comunicato che non avrebbero continuato a seguire i corsi.
Se Scott se l’aspettava, per Duncan quello fu un’enorme choc.
Era convinto che il padre l’avrebbe preso a cinghiate e, infatti, l’indomani si era presentato all’incontro con l’amico con un vistoso occhio nero.
Aveva blaterato qualcosa riguardo a una spugna umida e che era scivolato su di essa, andando a sbattere contro il basamento del lavandino.
Un basamento a forma di pugno a quanto pare.
Poi il punk aveva pregato prima Scott, poi il gigantesco Chef Hatchet di lavorare al Pahkitew e l’Università era stata presto abbandonata e dimenticata.
“Secondo me glielo dovresti dire.”
“È quello che pensavo anch’io.” Sospirò il rosso.
“E ora che hai le idee ben chiare, posso chiederti se hai intenzione di partecipare al contest?” Chiese il punk, affettando alcune fette d’arancia.
“Sono ancora indeciso.”
“Sarebbe una grossa opportunità e tu lo sai.”
“Senza di me, però, avresti un avversario in meno da considerare.” Ribatté Scott.
“Una vittoria senza il mio rivale, non avrebbe senso.” Protestò Duncan, evitando per un pelo di mozzarsi un dito e di correre, quindi, all’ospedale più vicino.
“Ho ancora qualche giorno per confermare o no la mia partecipazione.”
“Sarà uno spasso.” Affermò il punk, riportando tutte le chiacchiere che aveva ascoltato da Chef.
Di come quella fosse una grossa occasione.
Di come il Pahkitew avrebbe ottenuto la notorietà che gli spettava.
Di quanto i primi premi fossero assai sostanziosi e non solo per il bar.
Infatti, anche i barman avrebbero ottenuto una bella cifretta da quel contest.
Un assegno in grado di far ingolosire chiunque, ma che non aveva ancora conquistato del tutto Scott.
Lui sapeva che una vittoria o una buona posizione poteva aumentare il numero di acquirenti attratti dalle sue abilità.
E giorno per giorno la sua buona volontà si faceva corrompere.
Lui aveva solo paura che un’offerta impossibile da rifiutare lo facesse vacillare.
Tutto qui.
Se non avesse avuto nulla da perdere o non avesse avuto alcun pensiero, allora si sarebbe buttato.
O forse, era troppo paranoico per prendere una decisione.
 
Una serie di borbottii e di chiacchiere accompagnarono le 2 ore seguenti.
Uscito dal locale, salutò Chef e rilesse il dépliant con tutte le regole per partecipare al contest.
Non era qualcosa di troppo difficile o di troppo diverso dai concorsi cui aveva già partecipato.
Combattuto se accettare o no il guanto di sfida che Duncan gli aveva lanciato, lui era salito in auto e aveva fatto ritorno all’appartamento.
Fu nel cercare le chiavi della sua tana che sfiorò l’anello e si ricordò del discorsetto da fare a Dawn.
Aperta la porta, il rosso non si sorprese troppo nel notare che lei era seduta sul divano, intenta a studiare per i prossimi esami.
Era un qualcosa che riguardava la Farmaceutica se aveva ben capito.
Una mattonata di nozioni e di formule che gli ricordavano di quanto fosse stato, alle superiori, scarso e insufficiente in chimica.
Non sapeva esattamente cosa studiasse di quel ramo, ma a sfogliare i suoi volumi da oltre 1000 pagine era sicuramente qualcosa di complesso.
Lei, nel sentire il debole cigolio della porta, alzò lo sguardo dalla tabella che stava consultando e accortasi che si trattava del coinquilino, si rituffò sui dati e numeri riportati.
Scott avanzò, quindi, verso la cucina e prima di aprire il frigo, si girò nella sua direzione.
“Ti devo preparare qualcosa o hai già mangiato?”
“Non serve.” Borbottò lei, restando fissa sul libro.
“Sicura di aver mangiato a sufficienza?”
“Certo.”
“Guarda che se questa sera mi svuoti il frigo, mi tocca sculacciarti.” Ghignò il rosso, sperando che ribattesse.
Invece nessuna parola uscì dalla sua bocca.
Poté notare un semplice sorriso e un lieve arrossamento sulle guance. Rassicurato e convinto che lei raccontasse la verità, aprì il frigo e dopo aver consumato un tramezzino, si stiracchiò appena e si avvicinò alla sua postazione.
“Dawn.” Cominciò, appoggiandosi al divano.
“Sì?”
“Posso disturbarti un minuto?”
“Non puoi aspettare?” Chiese lei, incrociando i suoi occhi impauriti con quelli stanchi dell’amico.
“Certo che posso.”
Giusto il tempo d’udire la sua risposta e lei era tornata a tuffarsi su quel libro.
Scott normalmente l’avrebbe lasciata in pace, ma c’era un qualcosa che lo teneva teso come una corda di violino.
Le mani di Dawn, di solito tranquille e distese, picchiettavano sul volume e torturavano quelle poche pagine.
Ogni tanto gli sembrava di sentire alcune leggere imprecazioni e alcuni sbuffi annoiati.
Perfino un, Non ce la farò mai, riempì quella stanza.
E nel percepire quelle parole, sfuggite o meno, Scott si sedette sul divano e le sgraffignò il libro.
Ritrovatasi senza quel volume così opprimente, lei gli rivolse un’occhiata torva.
“Scott…” Ringhiò appena.
“Non passerai mai questo esame.”
“Io…”
“Sei troppo distratta e stanca per continuare.”
“Io devo farcela.”
“In questo stato è più facile che passi io l’esame al tuo posto.” Affermò, chiudendo il libro e osservando la copertina.
“Impossibile.”
“Lascia che ti aiuti.” La pregò, riaprendo il volume nel punto esatto su cui lei si era soffermata.
“Non voglio.”
“Stai rifiutando solo perché non sei stata molto attenta a lezione e ora non riesci a spiegarmi la formula che hai sottolineato.” La sfidò, leggendo alcune righe.
“È una formula che riguarda la dispersione di alcuni tipi di liquidi nelle cellule.” Borbottò lei.
“Immagino che non riguardi tutte le cellule.”
“Infatti, e poi la dispersione può variare secondo l’età, il sesso, le abitudini di una persona.”
“Con questa sicurezza, forse, hai alcune possibilità di farcela.” Sentenziò il rosso, restituendole il libro e aggiungendoci un sorriso.
“Io…”
“Riuscirai sempre in quello che fai, se credi in te.”
“Ma…”
“E poi se sei riuscita a farmi imparare questa cosa delle dispersioni, allora non hai nulla da temere.” La rassicurò, facendola annuire.
“Riuscirò a essere pronta per l’esame?”
“Dipende da quanto tempo ti resta.”
“Due settimane abbondanti.” Borbottò Dawn, perdendosi nei suoi occhi grigi.
“E quante pagine devi studiare ancora?”
“Una ventina circa.”
“Ce la farai sicuramente.” Affermò, rimettendosi in piedi e restituendole la pace di cui aveva bisogno per continuare.
Nel vederlo avviarsi verso la sua stanza, si voltò e sorrise.
Oltre ad essere dannatamente sexy era anche molto paziente e sapeva risollevarle il morale.
Morale.
Quello che aveva perso prima di bussare alla sua porta e che si ricomponeva sempre più.
Come minimo gli doveva qualcosa, anche se non sapeva cosa.
Tanto per cominciare poteva ascoltare la sua richiesta, prima che fosse tardi e che si rinchiudesse nella sua stanza.
“Che cosa dovevi chiedermi?” Alzò la voce, facendolo girare di scatto.
“Posso aspettare ancora un po’.” Rispose, tastando l’anello che aveva nella tasca e convincendosi che quella era la scelta migliore possibile.






Angolo autore:

Sapete già cosa sto per dire, quindi, non sprecherò spazio in questo angolo.

Ryuk: Che accoglienza.

Sono in ritardo, il solito psicoblabla che non porta a niente di particolare.
Spiegazioni, introduzioni, tutto che va in rovina...vabbè niente di nuovo.
A presto!

Ryuk: Oggi vuole solo dormire, compatitelo
 

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Capitolo 7
*** Cap 7 ***


La stanza del rosso era cambiata parecchio in quei pochi giorni.
Una volta avrebbe speso una buona mezzora solo per cercare una maglietta o per trovare un documento, ma ora era tutto al suo posto. I fascicoli dentro una cartellina, i vestiti ripiegati nel loro cassetto e i libri sistemati con ordine sulla sua scrivania. Scott aveva sempre rimandato a data da destinarsi quella pulizia di primavera e solo l’arrivo di Dawn aveva restituito una ventata d’aria fresca a quel posto. Perfino Courtney rabbrividiva quando metteva piede nell’appartamento del fidanzato.
Anche se a suo favore si poteva affermare che il lavoro, con annessi straordinari poco pagati, gli lasciava ben poco tempo da sfruttare. Spesso usciva alle 8 di mattina e tornava, stanco e affamato, verso le 21. E anche quel pomeriggio, dopo alcune ore di lavoro, aveva recuperato i vestiti di ricambio e si era infilato in bagno.
Già sul lavandino erano evidenti le tracce della presenza della coinquilina. Lui che aveva sempre sfiorato la schiuma da barba, il dentifricio e il profumo alla menta, si era ritrovato attorniato da creme e smalti di vario tipo.
Credeva che, entrato nel box, la situazione potesse solo migliorare. Vicino al suo shampoo, una volta sempre in prima fila, figuravano alcuni flaconi che andavano dal blu, al viola, al verde e perfino il suo bagnoschiuma era stato spodestato da qualche boccetta rilassante, super economica e biologica. Preso dalla curiosità, aveva svitato alcune di quelle confezioni e ne aveva annusato il contenuto. Erano tutti aromi delicati alla vaniglia, ai frutti di bosco, al talco o ad altri miscugli di spezie orientali che mai aveva respirato.
Alcuni di questi erano stati capaci di farlo lacrimare e starnutire, mentre per altri sarebbe rimasto fermo a sniffarli per qualche minuto.
Afferrata la manopola e toccato il rubinetto, l’acqua scorse lungo il suo corpo.
Quel fruscio che riempiva il bagno era capace di rilassarlo e il calore che si propagava nel box lo avvolgeva come in una carezza.
E di nuovo sfiorò, quasi rovesciando, uno dei flaconi di Dawn. Quando le aveva detto di prendere le sue cose, di certo non credeva che lei avesse una collezione da fare invidia a qualche profumeria del centro.
Poi con decisione recuperò il suo shampoo e si diede una prima passata. Risciacquati i capelli, si concentrò sul resto del corpo.
In nemmeno 10 minuti era già fuori, avvolto in un semplice accappatoio celeste e desideroso di una bibita fresca. Uscito dal bagno, si avviò lentamente verso la cucina, cercando di evitare ogni sorta di disturbo verso la coinquilina. Aperto il frigo e osservate le varie bottigliette, trovò un succo al pompelmo che agitò appena e che bevve tutto d’un fiato.
Mentre, poi, si premuniva di fare ordine, Dawn si era girata a fissarlo e aveva abbandonato lo studio, troppo distratta dal suo fisico muscoloso.
Le era impossibile distogliere lo sguardo, anche perché era tutt’altra cosa rispetto alla corporatura flaccida e grassoccia di Beverly. Scott, in confronto, era una bomba sexy e lei voleva bearsi di quello spettacolo per ancora qualche secondo. Qualche secondo che si spense solo quando il rosso si girò di scatto, incrociando i suoi occhi.
Solo allora era tornata sul libro, rossa in viso e imbarazzata da morire. Scott, sorridendo sotto i baffi, si sedette vicino a lei, desideroso di punzecchiarla. Era curioso di sapere fino a che punto potesse spingersi la ragazza con quel suo sguardo interessato.
“Potresti coprirti, Scott?”
“Non dirmi che ti vergogni.” Sussurrò, facendola arrossire.
“Qualcuno potrebbe fraintendere.”
“Siamo soli in casa e almeno che tu non nasconda qualcuno nell’armadio, non vedo come si possa sapere in giro.”
“Forse uno dei vicini.”
“Dovrebbe avere un binocolo per vederci.” Ridacchiò il rosso, prendendo uno dei molti libri che lei stava studiando.
“Che cosa dovevi dirmi, Scott?”
“Quando?”
“Prima che ti chiudessi in camera.” Scandì lei con calma, che pur di non cadere in tentazione stava ripetendo mentalmente l’ultima formula studiata in quei minuti.
“Sei pronta ad ascoltarmi?”
“Certo.”
“Puoi chiudere i libri e aspettare ancora qualche minuto?” Sussurrò, alzandosi in piedi, mentre l’accappatoio spostandosi, permetteva a Dawn di avere sott’occhio il suo fisico.
“Una cosa rapida che devo finire i riassunti.” Biascicò rossa in viso, cercando inutilmente di distogliere lo sguardo.
“Ci metterò poco.” La rassicurò, tornando nella sua stanza e vestendosi con le prime cose che gli capitavano a tiro.
Prima di uscire, raccolse l’anello ancora avvolto nella carta e tornò in salotto, laddove Dawn non faceva altro che fissare il corridoio da dove sarebbe sbucato.
Scott avanzò, quindi, molto lentamente, borbottando e preparando un discorso utile in quei frangenti.
Trovate le parole migliori si sedette nuovamente e si girò completamente verso Dawn.
Esaminò, quindi, il fagottino che aveva tra le mani, togliendone la carta e rigirandolo per un’ultima volta. Nel vedere quel piccolo gioiello lei aveva creduto, erroneamente, che Scott le stesse proponendo qualcosa d’insolito. Immaginava che avesse mollato Courtney e che ora le stesse proponendo di mettersi insieme. Sarebbe stato bizzarro e avventato, ma anche molto romantico. Dawn gli avrebbe chiesto tempo e tutto il resto, ben sapendo che un rifiuto le sarebbe stato assai difficile, anche perché, in verità, lei da ragazzina aveva amato Scott.
Fu quando il rosso le sfiorò la mano e l’aprì delicatamente che si chiese se il momento fosse giunto. Subito arrossì e avvicinò la sua testa verso il coinquilino, aspettandosi un lungo bacio appassionato.
“Questo è tuo.” La smontò lui, facendole richiudere la mano intorno all’anello.
“Mio?”
“Sì Dawn.”
“Io…”
“Sono riuscito a recuperarlo.” Soffiò, mentre lei delusa apriva la mano e osservava ciò che l’amico le aveva restituito.
“Recuperarlo?”
“Dovresti riconoscerlo.” Soffiò appena.
“Ma questo è quello che ho…”
“Sì.”
“È quello di Beverly?” Chiese per sicurezza, nonostante avesse riconosciuto il brillante incastonato e il colore da lei scelto.
“Già.”
“E come…”
“Ho fatto ad averlo? Prova a indovinare.”
“Non dovevi andare da Beverly.” Lo rimproverò, malgrado fosse sorpresa per quanto avesse fatto.
“Non sono stato io a recuperarlo.”
“No?”
“Conosco un tizio che si occupa di questo genere di cose.”
“Tu…”
“Non so cosa abbia fatto per convincerlo, ma ti posso garantire che non sentirai più il nome di Beverly in questa città.” La rassicurò, abbozzando un sorriso.
“Non dovevi esporti così.”
“Tu non avresti mai avuto il coraggio di pretendere indietro il tuo regalo: io ti conosco bene.”
“Forse hai ragione, ma non devi sempre scegliere anche per me.”
“Volevo solo evitare che rivedessi Beverly.” Si scusò il rosso.
“Un giorno l’avrei affrontato e avrei fatto in modo di chiedere ciò che mi doveva.”
“Ora parli così, ma qualche giorno fa eri talmente spaventata che il suo solo nome ti faceva tremare.”
“Io…”
“Sapevo che lo volevi indietro e ho fatto in modo di accontentarti.” Sintetizzò il rosso, accarezzando uno dei volumi che lei consultava abitualmente.
“E se lui…”
“Lo avesse minacciato? Sa ancora come difendersi.”
“Io…”
“La mia più grande paura, Dawn, è che lui possa farti male.”
“Non può fare tutto quello che gli pare.” Insistette, facendogli negare il capo.
“Quanto vorrei crederti.”
“Ma…”
“Ti prometto che fino a quando vivrai sotto questo tetto, o anche più tardi, cercherò di evitarti brutte sorprese.”
“Lo fai solo per proteggermi.” Si sorprese lei, facendolo ghignare.
“Ci dovresti essere abituata ormai.”
“Non potrai proteggermi per sempre, però.” Ribadì, mettendosi al dito l’anello che le era stato restituito e riaprendo il libro.
“Temevo fossi arrabbiata.”
“Un po’ lo sono.”
“So che un giorno dovrai cavartela da sola, ma fino ad allora ci penserà il tuo fratello maggiore a farti rigare dritto.” Ghignò, accarezzandole il viso.
“Fratello maggiore?”
“È un compito che mi sono imposto per evitare che ti cacci nei guai.”
“Guarda che sono i guai a venirmi a cercare.” Obiettò, ricevendo un sorriso per risposta.
“Certo.” Ironizzò, facendola imbronciare.
“E poi sono arrabbiata solo perché non hai fiducia in me.”
“Io ho molta fiducia in te.”
“Però non me lo dimostri.”
“È degli altri che non ho fiducia.” Ammise il rosso.
“Parli ancora di Beverly?”
“In generale, Dawn, per me nessuno è alla tua altezza.”
“Anche tu sei più alto di me, eppure siamo qua.” Insistette, aggiungendoci un risolino accennato.
“E poi che fratello sarei, se ti permettessi di fare come meglio credi?”
“Se ti sentisse Alberta.” Sussurrò lei, cercando di sviare da tutti i possibili discorsi che riguardassero Beverly e la sua famiglia.
“Quella per la gelosia potrebbe anche uccidermi.”
“Credevo non lo fosse più.”
“Da quando si è sposata con Lucas, dovresti vedere come si è ridotta.” Continuò, ricordandosi del giorno del suo matrimonio. Ricordava quasi tutto di quell’evento che aveva visto come protagonista la sorella maggiore. Si poteva partire dal suo ritardo di mezzora con lo sposo impaziente del suo arrivo oppure virare verso lo sguardo killer che aveva rivolto alla testimone di nozze di suo marito.
 “Son già passati 6 anni da quel giorno.”
“Credevo fosse troppo giovane per il grande passo.” Ammise Scott, scrocchiandosi le dita e stiracchiandosi appena.
“Forse lo era.”
“A 23 anni si era già sposata.”
“Alberta è sempre stata un po’ matta.” Commentò lei, facendo annuire l’amico.
“E dopo due anni si è confermata su quest’andazzo.” Ghignò Scott.
“Il piccolo Paul, vero?”
“E sei mesi fa la piccola Charlotte.”
“È da tanto che non vedi i tuoi nipotini?” Chiese la giovane, rattristando l’amico.
“La distanza non ci aiuta di certo.”
“Mi dispiace.”
“E la tua famiglia, Dawn?” Domandò il rosso, sperando vi fossero novità migliori, rispetto all’ultima volta che glielo aveva chiesto.
Nel sentire la sua richiesta, lei si era come paralizzata.
La sua famiglia.
Provava una rabbia esplosiva quando tutti le chiedevano di sua madre e di suo padre, ma quando questa richiesta proveniva da Scott, non poteva rifiutarsi. Lui l’aveva sempre aiutata anche in quell’ambito e mantenere il silenzio non sarebbe stato corretto verso una delle poche mani che si era allungata per soccorrerla. Era in debito anche verso Gwen e Zoey se per questo, ma l’ultimo litigio le aveva spinte su terreni diversi.
E infine doveva qualcosa anche a una sua ex prof delle superiori che, nonostante tutto, aveva deciso di fidarsi di lei.
“Non abbiamo ancora finito di parlare della tua.”
“Mia sorella è gelosa del suo Lucas, mio padre brontola e si spacca la schiena tra i campi e mia madre è la solita casalinga chiacchierona.” Sintetizzò Scott, ben sapendo che Dawn stava prendendo tempo con la speranza che lui si dimenticasse tutto.
 
Dawn era rimasta senza carte.
Avrebbe tanto voluto chiedergli come stessero i suoi genitori, ma ne avrebbe ottenuto un Benissimo molto rassicurante. Avrebbe voluto sapere se Paul assomigliava ad Alberta o a Lucas, ma lui avrebbe sempre nicchiato, affermando che il carattere sanguigno della sua famiglia avrebbe continuato a essere tramandato di generazione in generazione. E se l’erede maschio era immune da questo carattere energico, impossibile e a tratti autoritario, ecco che sarebbe stata Charlotte a possedere quel talento. Avrebbe voluto sapere tante altre cose che ora non gli venivano in mente.
Senza nessun’altra domanda da porgli, si scontrò con le sue mani che richiudevano e appoggiavano sul tavolino tutti i libri e con il suo sguardo indagatore.
Sistemati tutti i volumi in base alla grandezza, il rosso si era voltato sicuro e aveva preso la sua mano, stringendola tra le sue.
Nei suoi occhi grigi lei si sentiva protetta e ritrovava tutto il coraggio che spesso svaniva nel ripercorrere il suo passato.
“Andrà tutto bene.” Sussurrò, avvicinandosi ancora di più a lei e avvolgendola tra le sue braccia. Dawn non fece nulla per divincolarsi da quella stretta: appoggiò solamente la testa sulla sua spalla e respirò l’aroma intenso di pino e menta che il suo corpo emanava.
“Io…”
“Guardami negli occhi, Dawn.” La invitò, staccandosi lentamente da lei.
“Sì.”
“Tra noi non dovrebbero esserci segreti.”
“Ma io…”
“Tu sai tutto di me.” Riprese con un ghigno rassicurante.
“Però…”
“Sai che sono allergico al pelo dei cani e che detesto i broccoli.”
“Sei sempre così bravo a risollevare il morale delle persone?” Chiese lei, incuriosita dal suo comportamento.
“Dipende dalle persone che ho intorno.”
“Tipo?”
“Ho come la sensazione che tu voglia evitare di parlare della tua famiglia.” Affermò lui.
“Sai che non è un qualcosa di cui vado fiera.”
“Di solito risollevo il morale solo ai miei amici e tu rientri nella lista.” Sviò, rassicurandola appena.
“Io…”
“Quello che mi dirai non uscirà da questa casa e rimarrà tra noi.” Promise, alzando una mano e ponendola sul cuore, quasi come se stesse giurando.
“Lo spero bene.”
“Ho mai raccontato a qualcuno i tuoi segreti?”
“È questo che mi piace di te, Scott.” Commentò lei, riuscendo a far colorare leggermente le sue pallide guance.
“Quando vuoi cominciare, ti ascolto.”
“Non credo ci sia poi molto da dire.”
“Davvero?”
“La storia che ti ho raccontato qualche tempo fa è rimasta immacolata.” Sbuffò Dawn, sperando che lui non le chiedesse altro.
“Peccato: speravo vivamente che qualcosa fosse migliorato.”
“Nulla di nuovo, almeno secondo la mia opinione.”
“Mi stai dicendo che potresti anche sbagliarti?” Tentò Scott, facendola annuire.
“Può essere.”
“E intendi parlarmene ora o durante la cena?”
“Non credo ci sia qualche differenza: tanto mi tortureresti fino alla fine.” Sorrise la giovane.
“Prima di cominciare, però, ci vuole un drink.”
“Mi raccomando: niente alcol.” Ordinò lei, tenendosi inflessibile.
“So bene che sei astemia.” La rassicurò, alzandosi e recuperando due succhi di frutta.
Uno era l’ennesimo succo al pompelmo che rimaneva invenduto al Pahkitew e di cui, lui e Duncan, facevano incetta, mentre l’altro era l’immancabile succo alla pesca.
Di certo se Chef avesse immaginato che alcuni succhi svanivano solo perché sgraffignati dalle mani esperte di Scott e del punk, allora in quel locale si sarebbe assistita a una rivoluzione in piena regola.
Ma siccome il grande capo era solo interessato ai guadagni e fino a quando le perdite si fossero tenute lontane anni luce, ecco che non aveva bisogno di indagare, di effettuare tagli e di dubitare dei suoi dipendenti.
E se mai quel giorno fosse giunto, Scott e Duncan avevano già pronto un biglietto di sola andata per il Messico.
Perché da quando erano stati assunti nel locale, avevano visto ben poche volte Chef infuriato e ogniqualvolta pregavano che nessuno riuscisse a farlo andare fuori dai gangheri.
Lontano comunque dalle grinfie di quel pazzo, il rosso aveva solo bisogno di sapere se la vita di Dawn avesse subito qualche miglioramento. Dopotutto era questo che un bravo fratello maggiore avrebbe sempre fatto per la sua sorellina.






Angolo autore:

Ringraziate Ryuk per l'aggiornamento che me ne sarei scordato pure oggi.

Ryuk: Come sempre

A mia discolpa...ho dormito poco e sono frastornato.
A presto!

Ryuk: Sperando che sia messo meglio.
 

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Capitolo 8
*** Cap 8 ***


Dawn si sentiva terribilmente in imbarazzo. Quando era andata a vivere da Scott non aveva mai pensato di dovergli qualche spiegazione sul passato della sua famiglia.
Credeva si accontentasse del poco che gli aveva raccontato anni prima, ma non era così.
“Da dove posso cominciare?”
“Posso chiederti se tua sorella è ancora in Cina?” Chiese Scott.
“Lei non tornerà mai più.”
“In parte posso capire il suo timore.”
“Lei, dopo che la mamma è morta, non è stata più la stessa.” Ammise Dawn, asciugandosi gli occhi.
“E tuo padre?”
“Lui ancora non si capacita di quello che ha fatto.”
“Posso immaginarlo.”
“Gli ho fatto visita sei mesi fa e non è più l’uomo che conoscevo.”
“In carcere difficilmente si resta intatti.” Le fece notare il rosso, sfiorandole un braccio.
“Avevo molti bei ricordi con la mia famiglia, ma da quando lui ha ucciso mia madre, non riesco più a perdonarlo.”
“Però gli hai fatto visita.”
“Solo perché il cappellano mi aveva garantito che era ad un passo dalla morte.” Scandì con calma, avvertendo un nodo in gola.
“Non lo era?”
“Gli uomini sono tutti uguali: per una stupida influenza credono di essere pronti all’estrema unzione.”
“E il resto della storia?” Chiese, tornando sul discorso principale e facendola intristire.
“Ricordo quella notte di gennaio quando uccise, in preda alla rabbia e alla gelosia, mia madre con una serie di coltellate. Il sangue era ovunque, anche sulle mie mani e il suo corpo giaceva freddo al suolo.” Borbottò, abbassando sempre più la sua voce.
“Hai sofferto anche troppo, Dawn.”
“Poi è arrivata la polizia, con un mucchio di psicologi al seguito e siamo state mandate dai nonni e alla fine sono cresciuta al loro fianco.”
“Tua sorella, invece, essendo già maggiorenne è scappata lontano.” Concluse il rosso, facendola annuire e vedendola spegnersi sotto i suoi occhi.
Da quando aveva cominciato a raccontare, lei era rimasta ferma a fissare il divano su cui era seduta. Non aveva più alzato gli occhi con il timore che Scott la rimproverasse.
Anche se la sua paura più grande era che la figura dell’amico lasciasse il posto a quella inferocita e orribile del padre. Era un pensiero stupido e irrazionale, ma per quanto fosse infantile e tutto il resto, quello era il suo timore più grande.
“Credo che se lui sapesse di Beverly probabilmente mi darebbe della stupida.”
“Se fosse stato libero, avrebbe chiamato qualche amico e lo avrebbe linciato.” Affermò il rosso che, prima della notte menzionata da Dawn, l’aveva considerato uno dei signori più educati e fedeli della città. Era un ottimo lavoratore e padre di famiglia, ma quella scintilla che si era accesa in lui, aveva bruciato la stima che provava nei suoi confronti.
“Una volta gli volevo bene.”
“Di solito ti direi di perdonare le persone, ma questa volta è diverso.”
“Non ci riuscirei comunque.” Soffiò lei, fissando comunque sbigottita il coinquilino per quello che aveva detto.
“E comunque, Dawn, non sei sola.”
“Io…”
“Hai ancora il tuo fratellone.” Ghignò il rosso, avvolgendola e proteggendola dalla tristezza che stava prendendo il sopravvento.
“Grazie.”
“E ti prometto, Dawn, che presto avrai molti amici con cui parlare.”
“Ma…”
“Devi solo fidarti di me e stare tranquilla.” L’avvertì, sentendola sciogliere sotto la sua stretta e cullandola appena.
“Io…”
“So che è dura, ma devi fidarti di me.” La rassicurò il giovane, mentre serrava ancora di più quel contatto imbarazzante.
Dawn non sapeva quanto fosse voluta quella situazione, ma appoggiato al suo petto, sentiva chiaramente il battito accelerato. E si chiese se il suo cuore battesse per la rabbia oppure se era un qualcosa di più profondo che potesse scalzare la storia dell’affetto fraterno.
Era forse una scusa solo per non ammettere che le piaceva?
O forse era fatto così?
Senza una risposta certa, lei si staccò di prepotenza dalla sua stretta, facendolo sussultare e ritrovandosi davanti ad uno sguardo sorpreso e preoccupato.
“Posso dirti una cosa?”
“Che c’è Dawn?”
“Volevo dirti che mi piaci, Scott.” Ammise, arrossendo di colpo e facendolo ghignare.
“Sei gentile, ma non sono adatto a te.”
“E chi te l’ha detto?”
“Il fatto che sia fidanzato ti suggerisce nulla?”
“Non mi hai risposto.” Obiettò lei, incrociando i suoi occhi ancora più confusi.
“Lo so e basta Dawn.”
“Lo sai e basta? Ogni volta mi stupisci con la tua sicurezza.”
“Ti garantisco che un giorno troverai qualcuno migliore di me e di tanti altri in questa città.” Affermò con risolutezza.
Rialzatosi dal divano, si avviò verso la camera, dove iniziò a messaggiare con Duncan.
Il punk ricevuto il primo messaggio si era chiesto chi lo disturbasse durante il lavoro.
Sentiva già la vociona di Chef che lo avrebbe minacciato di morte qualora lo avesse beccato intento a smanettare più che a preparare cocktail.
Anche se a essere sinceri il bar a quell’ora era quasi deserto e si ritrovava con il rigirarsi i pollici.
“Sei pronto per domani, Duncan?”
“Sono nato pronto.”
“Ottimo.”
“Anche se non capisco cosa tu voglia ottenere.”
“Sai che in matematica non sono poi così bravo.” Digitò con calma, sorridendo per quella verità in un mare di menzogne.
“Gwen e Zoey invece erano le migliori.”
“E lo sono ancora, secondo me.”
“Punti tutta la tua strategia su una sensazione?” Scrisse il punk, accendendosi anche una sigaretta.
“Non dirmi che hai paura di essere minacciato di morte.”
“Da quelle? Vorrai scherzare.”
“Volevo solo essere sicuro che non mi lascassi nei guai.”
“Ti garantisco che riuscirò a liberarmi per tempo.” Promise Duncan, avvertendo l’amico che forse era meglio parlarne in serata.
Raccolto il suo invito, Scott si mise a sfogliare per una buona mezzora alcuni documenti della sua scrivania e poi ritornò in cucina per iniziare a preparare la cena.
L’indomani avrebbe riservato una bella sorpresa per Dawn.












Angolo autore:

So che cosa state per dire e no...non ho imparato a leggere nelle menti altrui.

Ryuk: Ma oggi non è domenica.

Lo so, Ryuk.
Diciamo che sono abbastanza libero e ho pensato di mandare avanti la serie.
Comunque l'appuntamento per domenica è confermato.
A presto!
 

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Capitolo 9
*** Cap 9 ***


Quel benedetto sabato era finalmente arrivato.
Per tutta la notte Scott non aveva chiuso occhio, vinto dal timore che qualcosa potesse andare storto. Bastava assai poco: un impegno improvviso di Gwen o Zoey, un contrattempo di Duncan o anche solo un’uscita senza preavviso di Dawn.
Lui ne aveva di motivi per preoccuparsi. Dopotutto era quello che rischiava di più da quella situazione.
Per un po’ durante quella mattina era riuscito a sviare da ciò. Fino a quando i suoi pensieri fossero stati fermi sul lavoro, allora sarebbe andato tutto per il meglio. Fu quando risalì in auto che i dubbi dimenticati tornarono impetuosi e per quasi tre ore avrebbe dovuto fingere.
“Sei tornato finalmente.” Lo accolse Dawn, non appena varcò la porta.
“Scusa se non ti ho salutato, ma all’alba dovevo già essere al bar.”
“Scuse accettate.”
“Questo pomeriggio dovrei ricevere la visita di un mio ex compagno di scuola e, se non ti chiedo troppo, avrei bisogno del salotto a mia completa disposizione.”
“Mi stai dicendo che devo chiudermi in camera?” Chiese la giovane.
“Per pochi minuti, poi devo uscire con lui.”
“D’accordo.”
“Non avercela a male, ma è una questione abbastanza importante.”
“Quanto importante?”
“Riguarda un vecchio progetto che aveva cominciato durante il primo anno e che non riesce a mandare avanti.”
“E tu che centri?”
“Mi chiede aiuto per l’unico programma che sapevo usare senza impallare il pc.”
“E per quanto dovrei stare in camera?” Chiese la giovane, segnando il punto della pagina in cui si era fermata.
“Credo che una mezzora sia sufficiente e poi potrai tornare sul divano.” La rassicurò, iniziando a lavorare con i fornelli.
“Sembra che ti diverta a darmi brutte notizie.” Sbuffò, chiudendo tutti i libri e portandoli nella sua stanza, prima che l’amico apparecchiasse la tavola.
Il pranzo, stranamente, era passato in rigoroso silenzio.
Di solito Dawn avrebbe riempito la casa di chiacchiere e di domande, ma quel giorno sembrava a corto di curiosità. Era da quando si era confidata con Scott riguardo ai suoi sentimenti che non osava fissarlo negli occhi.
E oltre a questo aveva ridotto il numero di parole da rivolgergli. Si sentiva stupida per quello che aveva detto, anche se lui non aveva né confermato né negato il suo amore. Aveva semplicemente tirato fuori la storia di Courtney e si era defilato.
“Tornando a ieri, Scott.” Soffiò lei, prima di tornarsene in stanza.
“Sì?”
“Non mi hai ancora detto se ti piaccio.”
“Ti diverti tanto a mettermi in difficoltà?” Ridacchiò, scontrandosi con la sua fredda compostezza.
“Posso credere che tu sia interessato a me?”
“Puoi sognare qualsiasi cosa.” Soffiò, mescolando lo zucchero nel caffè e sorseggiandolo appena.
“Guarda che potrei sorprenderti.”
“Di questo ne sono sicuro.” Affermò, squadrandola da capo a piedi.
“E quando vorrai darmi una risposta, potrebbe essere tardi.”
“Sei sicura Dawn che tu non stia esagerando nei miei meriti?” Domandò, fissandola con uno sguardo gelido che la fece rabbrividire.
“Io…”
“Un giorno potrei ferirti e di certo finiresti con l’odiare il tuo fratellone.” Ghignò appena, bevendo metà tazzina.
“Non dici sul serio, vero?”
“Vorrei solo farti riflettere.” Ammise Scott.
Nel sentirlo parlare in quel modo tanto infelice, Dawn decise di avviarsi verso la sua stanza, mentre il coinquilino fissava la piccola figura che svaniva nel corridoio.
Il rosso non aveva intenzione di mentire, d’illuderla con qualche promessa impossibile o di ferirla in qualche modo. Difficilmente avrebbe tradito la sua fiducia, anche se il piano delle 15 poteva far vacillare parecchio il loro rapporto.
 
L’orario dell’appuntamento con Zoey e Gwen era finalmente giunto. Quelle poche ore d’attesa avevano minato molto sulla pazienza di Scott che spesso scattava sull’attenti senza motivo.
Bastava che qualcuno scendesse o salisse le scale o che il campanello suonasse e lui pensava già alle due vecchie amiche.
E tutte le volte, fissando l’orologio, convinceva la ragione che era troppo presto  e che loro erano ancora per strada e discutevano di cosa avesse bisogno.
Fu quando le 15 scoccarono che lui si attaccò al citofono. La fortuna aveva previsto che Dawn rimanesse nella sua camera e che Gwen e Zoey rispettassero la puntualità. Tempo di farle entrare e avrebbe avuto inizio la parte più complicata del suo piano.
“Salve ragazze.” Borbottò, facendo gli onori di casa.
“È da un po’ che non ci vediamo, Scott.”
“L’Università è una brutta bestia, Gwen.” Soffiò il rosso, facendole accomodare sul divano.
“Io e Gwen avremmo una certa fretta.” Esordì Zoey, conteggiando nel suo discorso anche la compagna che si ritrovò ad annuire di rimando.
“Lo immagino.”
“A quanto pare non hai tanta voglia di studiare.” Ridacchiò Zoey, non notando da nessuna parte i libri di matematica.
“Ho appena finito le pulizie.”
“Dura la vita da soli, vero Scott?”
“Non immagini nemmeno quanto Gwen.”
“E non ci offri nulla?” Chiese Zoey, appoggiando la borsa sopra il tavolino sgombro.
“Beh…ho delle birre, delle bibite frizzanti e succhi al pompelmo e alla pesca.”
“Succo alla pesca? Da quanto non li sentivo menzionare.” Sorrise malinconica la dark.
“Non avevi detto di odiare i succhi alla pesca?” Domandò la rossa, facendo girare l’amico che aveva già aperto la porta del frigo.
“Il Pahkitew non riesce a smaltirli e allora io e Duncan ne portiamo a casa qualcuno.”
“Vi date ai furti nel vostro locale.”
“Fino a quando Chef non ci ucciderà con una bastonata.” Sbuffò il rosso, continuando a fissare il frigo quasi vuoto.
“È ancora così violento?”
“Solo con Duncan.” Sospirò, facendo sorridere Gwen.
“Quel piccolo criminale.” Commentò la dark.
“E voi, ragazze? Come vanno le cose nel vostro appartamento?” Tentò Scott, afferrando le bottigliette e appoggiandole sopra il bancone.
Tempo di aprire i succhi, di servirli alle sue ospiti e di svuotare i bicchieri che iniziarono con i soliti convenevoli.
E allora Scott iniziava a raccontare balle riguardo alla sua incapacità di calcolare qualche funzione, raccontando alcuni stralci della sua vita personale e rendendole partecipi delle difficoltà che stava vivendo nel sostenere una relazione a distanza con Courtney. Una parte era la bugia più demenziale possibile, mentre l’altra una confessione che faceva annuire Gwen e Zoey.
Per quanto fosse noioso e tutto il resto, non voleva dare loro una cattiva impressione. Non poteva prendere e scappare all’improvviso: il suo piano aveva bisogno di una struttura seria alle spalle che le facesse rilassare e che impedisse loro di tenerle sulla corda.
Raccontare qualche aneddoto su giornalisti rompiscatole che non lo lasciavano in pace e che scattavano foto anche mentre passeggiava tranquillamente, aggiungendoci speculazioni su possibili tradimenti e solo per aver scambiato quattro chiacchiere con una vicina poco più grande erano argomenti che avrebbero distolto l’attenzione.
Rigirare poi il discorso, ponendo loro delle domande sull’Università, non avrebbe fatto sorgere il minimo dubbio sulla sua strategia. E allora Zoey aveva iniziato con la minuziosa descrizione dei suoi ultimi esami, tutti coronati con un voto superiore al 25, lanciandosi anche in una considerazione piuttosto lusinghiera di quella struttura che, però, aveva stroncato, fin dal primo anno, i sogni e i progetti di Duncan e Scott.
Loro, al contrario, avrebbero sputato peste e corna su quel luogo che non era riuscito a farli sbocciare completamente e che li aveva convinti a impegnarsi in un campo che non fosse Ingegneria Industriale o Scienze e Tecnologie fisiche.
Gwen, al contrario, riconfermandosi sul suo solito carattere sanguigno, aveva descritto il professore che aveva preteso il suo ultimo esame e che, nonostante avesse appena 40 anni, era molto più carogna di qualche collega con più esperienza sulle spalle.
 Tutto sembrava scivolare, quindi, verso l’aiuto in matematica che Scott aveva preteso di ricevere, ma la recita che aveva orchestrato, era cominciata nell’esatto momento in cui aveva inviato un rapido messaggio a Duncan.
“La nostra coinquilina tra poche settimane deve trasferirsi in un’altra città.” Continuò Zoey con l’ultimo argomento di quella giornata, facendo sospirare Gwen.
“Cavolo.” Commentò il rosso, ignorando i loro discorsi, rispondendo a una chiamata concordata con Duncan e brontolando al cellulare.
Tempo nemmeno di avvertirle di un contrattempo studiato a tavolino e lui era scappato dal suo appartamento, chiudendo la porta a chiave.
Gwen e Zoey sorprese da quella situazione, scattarono subito in piedi e picchiarono ferocemente sulla porta, notando che era inutile.
“Ma che intenzioni ha?”
“Di sicuro sarà uno scherzo concordato con quell’imbecille di Duncan.”
“Perché?”
“Perché non si saranno vendicati di chissà quali cavolate. Io me lo sentivo fin nelle ossa che non dovevo accettare la loro proposta. Scott non ha mai voluto recuperare le sue insufficienze, figurarsi ora che è all’Università.” Ringhiò Gwen, tirando un ultimo cazzotto al legno massiccio della porta e sedendosi sul divano.
“Si può sapere che cos’è questo casino?” Brontolò Dawn seccata da quel frastuono che stava disturbando il suo studio, arrivando in salotto e facendo girare di scatto le sue inaspettate ospiti.
“Tu…” Soffiarono all’unisono.
“Cosa?”
“Che ci fai qui, Dawn?” Domandò Zoey.
“Potrei farvi la stessa domanda.”
“Io credo che la cosa sia evidente.” Intervenne Gwen, fissando l’ex amica.
“Perché Scott non mi ha detto che aveva un appuntamento con voi?”
“Con noi?”
“Lui mi aveva detto che stava aspettando un ex compagno d’Università per un progetto.” Ammise, avvicinandosi di qualche passo.
“A noi ha detto che aveva bisogno di un ripasso in matematica.”
“Ma se non va più all’Università da un pezzo.” Ricominciò Dawn.
“Dovevo immaginare che c’era un trucco.”
“È l’ultima volta che mi faccio fregare da una tua sensazione, Zoey.” Affermò la dark.
“Non potevo immaginare che ci facesse un simile scherzo.” Si difese, recuperando la borsetta che aveva appoggiato sopra il divano.
“Perché siete ancora qui?” Domandò Dawn, fissandole con sospetto.
“Perché il tuo amichetto ci ha sigillate qui dentro.” Sbottò Gwen.
“Avrà avuto i suoi buoni motivi.”
“Lo difendi come quando eravamo bambini.” Gracchiò la dark.
“Purtroppo non si fida ancora a lasciarmi le chiavi.”
“A proposito di chiavi: tu che ci fai qui, Dawn?” Chiese Zoey.
“Ci vivo.”
“Stai mentendo.” Affermò con risolutezza Gwen.
“Sono cambiate molte cose in questi mesi e Scott mi ha invitato a fermarmi.” Ammise, superando le due e recuperando un succo dal frigo.
“Tu stavi con Beverly, me lo ricordo bene.” Continuò Gwen.
“Non è più così.”
“Vi è successo qualcosa?” Tentò Zoey che rispetto alla coinquilina sembrava più rilassata e propensa ad ascoltare ciò che l’ex amica aveva da dire.
“Avevate ragione sul suo conto.”
“Come?”
“Quando mi avete avvertito che non era il ragazzo adatto a me, io vi ho mandato via e vi ho mostrato scarsa amicizia.”
“Tutti possono sbagliare.” Sorrise la rossa, mentre Gwen continuava a negare con il capo.
“Beverly mi ha tradito con un’altra e non so in questi mesi quante volte mi abbia fatto le corna. Una sera l’ho beccato a letto con una delle sue amichette e sono scappata al Pahkitew. Non avendo un posto dove stare, Scott ha deciso di ospitarmi per qualche tempo.”
“Beverly.” Ringhiò Zoey, negando con il capo.
“Sei stata abbastanza fortunata che Scott sia rimasto legato a te per tutti questi anni.” Affermò Gwen, maledicendosi poco dopo per quelle parole troppo delicate che erano uscite dalla sua bocca.
In verità lei avrebbe tanto voluto offenderla. Prenderla, bloccarla al muro e darle tante di quelle sberle, per non aver ascoltato i loro consigli, da fare sera. Ma solo gli errori, avrebbero potuto farla crescere e da quel che vedeva, almeno in questo, era maturata un po’.
“Non stiamo insieme.” Sospirò Dawn, girandosi verso la dark.
“Si nota, Dawn.”
“Io, però, vorrei chiedervi una cosa.”
“Ti ascoltiamo.” La rassicurò Zoey.
“Io vorrei sapere cosa pensate di me e di quello che vi ho detto.”
“Lo vuoi sapere davvero?” Continuò Gwen, facendo irruzione in quel dialogo e anticipando di prepotenza ogni risposta di Zoey.
“Sì.”
“Se insisti, ti darò la mia opinione. Secondo me, Dawn, meriti quello che hai passato. Noi ti avevamo avvertito e tu ci hai ignorato.” Sbottò la dark, rivolgendole un’occhiata macabra.
“Smettila Gwen, lei non ha colpe.” S’intromise Zoey, prendendo le difese dell’ex amica.
“Te l’ho sempre detto Zoey che tu sei troppo tenera.”
“E tu sei acida.” Ribatté la rossa.
“Parla quella che ha pianto per settimane intere prima di accettare la sua scelta.” Ricominciò Gwen con una nota di sarcasmo.
“Non ti sopporto quando fai così.” Sbuffò imbronciata Zoey, digrignando i denti dalla rabbia.
“Ragazze…” Bisbigliò Dawn, cercando d’intromettersi.
“E io non sopporto i tuoi tentativi di dirmi che tutto andrà bene.”
“Vorrei…”
“Dimmi Zoey, sei contenta di esserti fatta prendere in giro da Scott?” Chiese la dark, mettendosi in piedi e fissando negli occhi la compagna di stanza.
“Potrei dire lo stesso di Duncan.”
“Con Duncan me la vedo io.” Ribatté Gwen, serrando la mano destra e aspettando con ansia di piantarle un pugno in mezzo agli occhi.
“Non metterti a piangere quando ti dirà che non sei il suo genere di ragazza.”
“Da che pulpito.” Sbuffò la dark per risposta.
“La volete smettere!” Tuonò Dawn, catturando l’attenzione delle altre.
A essere falsi e ipocriti, forse questa era una delle poche cose che aveva accettato di mollare non appena si era messa con Beverly. Ciò che detestava del loro vecchio gruppo era la costante menzogna e l’abitudine di spettegolare delle coinquiline.
Forse la fuga con Beverly era stata anche un bene, sotto questo punto di vista, ma ora che erano rinchiuse come animali in gabbia avevano una possibilità. O si scannavano a vicenda fino a quando una sola fosse rimasta in piedi, oppure potevano uscirne insieme con il sorriso sulle labbra.
“Io vi voglio bene e vi chiedo scusa.”
“Dawn…”
“Voi siete la mia famiglia e non voglio vedervi litigare e dimenticarmi di voi.”
“Noi…” Abbozzò la dark, voltandosi verso Zoey.
“Sono solo una stupida che ha perso ogni cosa.” Soffiò Dawn, scivolando sul divano e raccogliendosi il viso tra le mani.
Non avrebbe mai voluto piangere. Se Scott fosse stato presente si sarebbe tuffata, senza pensare, tra le sue braccia e si sarebbe fatta consolare come al solito. E invece le lacrime e i singhiozzi ruppero il litigio cui stava assistendo. Avrebbe tanto voluto urlare che, con quello che aveva vissuto in quelle settimane, non voleva più sentire discussioni o minacce.
Lei voleva solo, e finalmente ne aveva le idee ben chiare, ricominciare da zero. Desiderava ardentemente ricominciare con le sue vecchie amiche, riprendere l’impegno perso dell’Università, ritentare di conquistare Scott e di fargli accettare la sua possibile presenza come indispensabile per la sua esistenza.
“L’abbiamo fatta piangere.” Sussurrò Gwen, voltandosi verso Zoey.
“Non cambieremo mai.”
“Quando iniziamo a litigare non ci ferma più nessuno.” Ribatté la dark, mentre entrambe prendevano posto vicino all’amica.
Nonostante il risentimento, l’odio e la rabbia che provavano, si resero conto di non averle mai concesso una seconda possibilità. E se l’avevano data a persone insopportabili, tanto valeva concederla anche a lei.
Zoey, dopo essersi schiarita la voce, tossicchiando appena per risvegliare Dawn, si volse verso la coinquilina con uno sguardo più rilassato.
“Ti chiedo scusa per tutto quello che ho detto, Gwen.”
“Non sei l’unica che ha sbagliato.” Obiettò la dark, sistemandosi imbarazzata i capelli.
“Succede a volte di litigare.” Ammise la rossa.
“E succede anche che due sorelle maggiori si arrabbino con la loro sorellina solo perché sono troppo impegnate e preoccupate.”
“Io…” Singhiozzò Dawn, interrompendosi per asciugarsi gli occhi.
“Due brave sorelle maggiori dovrebbero essere pazienti, ma né io, né Zoey siamo esperte in questo.”
“Gwen…”
“Spesso discutevamo di quanto male ci avessi fatto e abbiamo capito dopo molti mesi che forse siamo state troppo dure con te.”
“Zoey…”
“Solo il passato, ci ha fatto capire quanto siamo state sciocche e avventate.” Soffiò la dark.
“Entrambe dovevamo parlarne, ma dopo che te ne sei andata e discutendo tra noi, abbiamo capito che avevi ragione.”
“Amiche mie.” Mormorò Dawn, scoprendo leggermente il viso.
“Avevi ragione, ma avevamo paura che, bussando alla tua porta, ci ridessi in faccia.”
“Non l’avrei mai fatto, Zoey.”
“E ora veniamo qui e scopriamo che tu stai insieme a Scott: puoi immaginarti che sorpresa.” Ghignò divertita la dark.
“È solo una cosa temporanea.” Ammise Dawn, senza riuscire a continuare con le sue scuse e con i suoi discorsi, ritrovandosi stritolata dall’abbraccio in cui Gwen e Zoey l’avevano rinchiusa dopo molti anni di distanza.






Angolo autore:

Pace fatta, signori.

Ryuk: Così ha deciso rocchi e rassegnatevi.

Suvvia Ryuk: tu sei stato il primo a pretendere questa nuova pace e io ti ho accontentato.
Spero, comunque, di aver fatto un buon lavoro.
A presto!
 

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Capitolo 10
*** Cap 10 ***


Uscito dall’appartamento e giunto vicino alla sua auto, Scott trovò Duncan intento a fumare. Per i primi minuti aveva origliato cosa si dicessero le ragazze e poi si era allontanato silenzioso verso l’incontro con l’amico di mille avventure. Il punk, nel sentir il rumore di passi lungo il breve vialetto pieno di ghiaia, alzò lo sguardo e cacciò un’intensa nuvola di fumo.
“Credevo ti avessero fatto fuori.”
“Sono riuscito a scappare in tempo.” Sorrise Scott, accendendosi una sigaretta.
“Come credi che andrà a finire?”
“Non lo so, anche se spero di trovare l’appartamento in piedi al mio ritorno.”
“Quelle tre sono così strane che non so cosa pensare.” Ammise Duncan, staccandosi dall’auto e avviandosi con l’amico verso il vicino parchetto.
“Sai come sono fatte.”
“Potrebbero anche uccidersi, ma non credo che Zoey e Gwen si spingano a tanto.”
“Senti, senti: da quando conosci il pensiero femminile?” Chiese il rosso.
“Chissà.”
“Non si fa così Duncan.” Borbottò risentito il giovane barman.
“Che cosa?”
“Perché ogni volta che siamo al bar, mi stendi a suon di chiacchiere e ora stai sulla difensiva?”
“È giusto che anch’io abbia i miei segreti.”
“Allora com’è che sei così impiccione nei miei affari?”
“Perché i tuoi casini sono divertenti.” Ammise Duncan, tirando un calcio a uno dei tanti sassi che aveva incrociato sul suo cammino.
“Io non capisco perché debba parlarti ogni giorno di Courtney.”
“Non sei obbligato in nessun modo a farlo.” Ghignò il punk, cacciando le mani nelle tasche del giubbotto, alla ricerca di un’altra sigaretta.
“Ma se una volta mi hai stressato per sei ore intere.”
“Il terrore di restare indietro mi rende loquace.” Ridacchiò di nuovo.
“Io credevo che ti rendesse più stupido.”
“Le belle ragazze mi rendono stupido.” Gracchiò il punk, facendo sorridere l’amico che, perso a fissare il cielo, ispirò profondamente.
“Hai sentito qualcosa d’interessante in queste settimane?”
“Niente di strano, se non per il ritrovo con gli sciroccati del liceo.” Sbuffò di nuovo, ricordandosi di quella serata bizzarra. Duncan non credeva che, quel venerdì, fossero quasi tutti presenti. Immaginava che qualcuno fosse impegnato altrove, che non fosse poi molto interessato a quella stupida pizzata o che avessero un lavoro da portare avanti.
Lui si era illuso solo per un motivo: rispetto agli altri, la sua vita era una voragine profonda. Gli altri potevano vantarsi di essere all’Università oppure di aver inventato un qualche progetto milionario oppure di avere un’occupazione più retribuita. Lui invece era andato incontro a uno dei lavori più umili della società, anche se non era solo il suo magro portafoglio a farlo piangere.
Perfino il suo aspetto non era cambiato. E se il suo stile era rimasto pressoché immutato, allo stesso modo gli altri dovevano avere un aspetto più maturo. Alcuni erano cresciuti, altri erano dimagriti, ma lui si sentiva lo stesso marcio individuo che aveva sbattuto la porta l’ultimo giorno d’esame.
“Per fortuna ho coperto il tuo turno e Dawn non se la sentiva di uscire.” Commentò Scott, cacciando un sospiro di sollievo.
“Vi siete evitati una serata noiosa resa umiliante dal gioco dei sé.”
“Ancora quella roba?” Chiese sconcertato il rosso.
“Ci giocavamo alle medie.”
“Io lo snobbavo anche alle medie.” Precisò Scott, negando con il capo.
“Purtroppo ho dovuto partecipare lo stesso.”
“E non potevi darti alla fuga?”
“Ero in mezzo a Owen e Tyler.”
“Il ciccione e il mentecatto.” Sbuffò Scott.
“La domanda, se ricordo bene, riguardava con quale ragazza avremmo voluto fidanzarci durante il liceo.”
“E nessuno ci avrà scelto.” Pronosticò il rosso, non compiendo chissà quale sforzo mentale.
“Come sempre del resto.” Sussurrò Duncan.
“Ho fatto bene a non venire.” Ripeté il capo barman, gettando la sigaretta al suolo e immaginandosi, senza volerlo, le varie accoppiate.
“E poi mi hanno chiesto, vedendo quelli presenti, con quale ragazza sarei voluto uscire.”
“Bella roba.”
“Avrei tanto voluto astenermi, ma con Heather e le altre è una battaglia persa già dal principio.”
“Credevo che la signora del male stesse preparando qualche nuovo perfido piano con il suo tirapiedi Beccamorto.”
“Burromuerto.” Lo corresse il punk.
“Sì quel coso lì.” Borbottò Scott, nonostante credesse che il primo cognome da lui menzionato fosse quello corretto.
“Alejandro che fastidio.”
“Immagino che l’abbiano eletto come il Re della Bellezza e che Justin sia giunto al secondo posto.” Aggiunse il rosso con acidità.
“Per due ore non ha fatto altro che rinfacciarmi il suo portafoglio gonfio di assegni, di biglietti da visita, di numeri di telefono, oltre che le sue stupide sfilate, i suoi capelli lisci e il suo aspetto.”
“Consolati Duncan: non lo rivedrai mai più.” Lo rassicurò l’amico.
“Che fortuna.”
“E tu cosa hai risposto?” Chiese Scott.
“Non ho fatto nessun nome.”
“Non eri poi così lontano dalla tua attuale condizione.” Costatò il rosso, ricevendo un’occhiataccia per risposta.
“Strano che non mi abbiano stressato fino all’ultimo.”
“Potevi usare il nome di qualcuno che era assente.” Borbottò Scott, facendolo ghignare.
“Forse sì, ma non mi sembrava corretto.” Sorrise il punk, accendendosi la cicca e porgendo l’accendino al collega.
“Anche se credo di conoscere bene la tua preda, Duncan.”
“È così evidente, Scott?”
“Di solito, conoscendole, sarebbe sempre meglio partire da Zoey, data la sua bontà, ma quel giorno mi hai pregato di chiamare subito Gwen.”
“Sono solo andato in ordine.”
“Immagino quale ordine tu abbia seguito.” Sibilò, facendolo sussultare.
“E tu, Scott?”
“Ho già i miei problemi a correggere i tuoi cocktail e a seguire Dawn che non ho bisogno di una nuova seccatura.”
“Quindi la tua Courtney sarebbe una seccatura?”
“La vedo talmente poco che potrebbe anche essere.” Ammise, facendosi scappare una risata.
“Se non avessi conosciuto Courtney, con chi saresti uscito?”
“Perché dovrei risponderti?”
“Perché ti stresserò fino alla fine dei tuoi giorni.” Replicò Duncan.
“Rassicurante da parte tua.”
“Io non ho problemi ad ammettere che tra le nostre amiche, solo Gwen sarebbe stata disturbata dal mio tentativo.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Te lo dico solo perché è una rottura sentirti parlare.”
“Non sei poi così paziente nei miei confronti.” Lo canzonò, sfoggiando un ghigno irritante.
“Se dovessi escludere Courtney da questo stupido gioco, allora direi Dawn.”
“Lo sapevo.”
“Credo sia l’unica capace di sopportarmi, anche se probabilmente non sarebbe molto felice del piano che abbiamo attuato.”
“Probabile.”
“Alla fine quella cena com’è andata a finire, Duncan?” Domandò, conoscendo l’amico e sperando in una qualche vendetta o in un qualche drink corretto all’aceto.
“Terminato il caffè, ho lasciato il mio conto da pagare a Burromuerto.”
“Hai fatto bene.”  Si complimentò Scott, dandogli una pacca sulla spalla e facendogli quasi volare la sigaretta.
“Avrei tanto voluto vederlo in preda a una crisi isterica.”
“Crisi isterica? Peggio delle ragazzine delle medie.” Commentò il rosso.
“E comunque possiamo sempre scappare in Messico, se le altre sono troppo incazzate.” Ricominciò il punk, mentre Scott si stiracchiava la schiena.
“Sei pronto a chiamare la polizia qualora si siano uccise?” Chiese Scott, avviandosi verso il suo appartamento.
“Ho anche i guanti per le analisi.” Ghignò il punk di rimando.
“Andiamo allora.”
 
Quel chilometro abbondante che divideva il parchetto desolante dall’appartamento di Scott passò nel più rigoroso silenzio.
Durante il loro cammino, Scott e Duncan avevano incrociato alcuni bambini con le madri, altri anziani che davano da mangiare ai cigni e alcuni ragazzi che regalavano volantini per pubblicizzare il circo che sarebbe arrivato da lì a due settimane.
In compagnia di questi giovani, pitturati come dei mimi, vi era un semplice clown. Si trattava di un tizio che regalava palloncini di ogni colore e forma ai piccoli che correvano spensierati e che con la sua voce attirava altri ad avvicinarsi. Non era come in quel film che avevano visto dopo le medie, al buio di un salotto, durante una notte estiva più afosa del normale.
In quel caso i genitori erano ben presenti e quella brutta copia di Pennywise non avrebbe fatto del male nemmeno a una mosca.
Quel clown giunto in anticipo era uguale a It. Aveva un largo costume di seta color argento, una cravatta blu, un colletto increspato, i pompon arancioni, il naso rosso, gli occhi gialli e i denti affilati. Il ghigno però non era il suo. Il potere di cambiare forma nemmeno. E cosa più importante la loro città non era Derry e i bambini non venivano attirati in trappola nelle fogne cittadine.
Pennywise si sarebbe di certo offeso per un tizio che non lo rappresentava poi così egregiamente.
Confusi da quella strana visione, Scott e Duncan si fermarono e si fissarono per un attimo. Superata la pubblicità ingannevole del clown che prometteva ingresso omaggio per i vincitori di una strana lotteria, si voltarono per l’ennesima volta e girarono l’angolo.
La strada, asfaltata di recente, li portò fino a un vecchio bivio e da lì girarono a sinistra.
Superarono, quindi, il vecchio tabacchino che faceva angolo, salutarono l’altrettanto vecchia fruttivendola che si apprestava ad aprire il negozio e giunsero al parcheggio interno.
“Ancora casini in questo condominio?” S’informò il punk che, prima di aspettare Scott vicino alla macchina, aveva letto alcune righe del foglio appiccicato al vetro del portone.
“Questa gente non rispetta mai le regole, Duncan.”
“Chissà perché da noi va tutto bene.”
“Zanna è un mostro.” Soffiò il rosso, temendo per la sua incolumità.
“Non partecipiamo mai alle riunioni e nessuno ci disturba.”
“Io invece vengo ripreso da quella scimmia che mi abita difronte.” Sbuffò Scott.
“Parli della vecchia Beth?”
“La cozza zitella dell’intera città: è così che l’ho soprannominata.” Dichiarò orgoglioso il rosso.
“Dovevi fare il comico, Scott.”
“La cosa più strana è che, da quando Dawn abita da me, quella si è fatta ancora più assillante.”
“M’immagino la gioia.”
“Ogni volta ci disturba mentre dormo e mentre Dawn studia per prepararsi agli esami.” Brontolò nuovamente, appoggiandosi alla sua auto.
“Da noi perfino il postino ha paura.”
“Quella suona, ascolta quello che diciamo, pretende il tè con i pasticcini, ci parla delle sue amiche zitelle e non riusciamo a mandarla via.”
“Il condominio dell’orrore.”
“Ti giuro che non vedo l’ora di andarmene da questo posto.”
“Zanna a quest’ora l’avrebbe già minacciata di scioglierla nell’acido.” Soffiò Duncan.
“Santo chi se la piglia quella.” Gracchiò Scott.
“Sbaglio o c’era uno che le faceva il filo fino a poco tempo fa?”
“Parli di prima che diventasse una maniaca squilibrata amante dei gatti.”
“Gatti, zitella, squilibrata e rumorosa: sembra il ritratto di una strega.” Mormorò Duncan, quasi temesse di vederla comparire in sella a una scopa ultimo modello.
“Una volta non ho risposto al campanello e lei mi ha ordinato d’aprire, affermando che sapeva che ero presente.”
“Assurdo.” Commentò nuovamente il punk, temendo tuttavia che fosse nascosta per ascoltare quella conversazione.
“L’ho lasciata comunque fuori dalla porta.” Ammise Scott, scrocchiandosi le dita.
“Beh Scott…guarda il lato positivo.”
“Quale?”
“Ha passato da poco i 40 e questo significa che dovrai sopportarla ancora per molti anni.” Gracchiò Duncan, facendo rabbrividire il collega.
“Almeno fino a quando non avrò i soldi per andarmene.”
“A tal proposito avresti la possibilità di andartene prima del previsto.” Commentò il punk, prendendo dal giubbino una semplice scatolina contenente delle mentine.
A sentire il suo vecchio medico, l’ultima volta che si era presentato nel suo ambulatorio, parte della sua tosse perenne era da ricercare nelle sigarette che si spazzolava e per attenuare il fastidio aveva ricevuto l’ordine-consiglio di smettere con quel vizio e di placare le sue violente crisi con caramelle ricche di zucchero.
“Parli del contest?”
“Seguimi un attimo, Scott: qualificandoti anche solo al terzo posto avresti i soldi necessari per sloggiare da qui.” Sorrise il punk.
“Solo al terzo posto?”
“Ovviamente il primo posto è già prenotato per il miglior barman della regione e per il secondo credo dovrai tenere d’occhio qualcuno dei McLean.”
“Sento puzza di sfida.”
“Sei ancora in tempo per firmare le scartoffie.” Ridacchiò Duncan.
“Perché dovrei partecipare?”
“Per dimostrare di essere il migliore e per evitare che il tuo rivale si prenda il primo posto senza sforzi.”
“Sei troppo sicuro di te.” Lo rimproverò appena il rosso, ricevendo una semplice scrollata di spalle come risposta.
“T’immagini la noia di vincere senza nessun contrasto?”
“Non saprei, Duncan.”
“Cos’è che ti frena?” Sbuffò il punk, mettendosi in bocca una seconda mentina e porgendo la scatolina al collega che rifiutò con fermezza.
“Sono tentato di partecipare, ma temo di non ottenere ciò che voglio.”
“E sarebbe?”
“Qualsiasi sia la mia posizione finale, i soldi mi farebbero molto comodo, anche se non sono tutto.” Ammise il rosso.
“Pensa che potresti trasferirti.”
“Quando sono in gara, Duncan, sai che punto sempre a vincere e McLean farebbe di tutto per portarmi via da qui.”
“Se lo dici tu.”
“Se finisco anche solo al secondo posto, poi Chef non avrebbe la forza di respingere o di giocare al rialzo ed io finirei con il farmi allettare dal denaro.”
“Puoi sempre spendere tutti i soldi della vincita e mostrare assoluta fedeltà al Pahkitew.”
“E come?”
“Non ti lamenti sempre che la vecchia fattoria dei tuoi genitori crolla a pezzi?” Soffiò il punk.
“In effetti.”
“Tuo padre sarà ben felice di sistemare il tetto e di riparare la mangiatoia. Sarebbe facile: risistemi la baracca, ti compri un’auto nuova e gli spiccioli che ti restano li metti da parte per i tempi morti.” Ghignò Duncan.
“Resta il problema dello stipendio.”
“Prega Chef di mentire.”
“E come?”
“Se gli dici che vuoi rimanere a vita e se gli concedi di mentire sul tuo stipendio esagerato ecco che nessuno ti disturberà più. Dopotutto chi vorrebbe mai un barman che guadagna 5 mila dollari il mese e che confonde ancora il sapone per piatti al limone con quello alla vaniglia?”
“Mentire sullo stipendio, pregare Chef di non fare l’infame, partecipare al contest: fino a qui non avrei nulla da ridire.”
“La parte più grossa è già risolta.”
“Devo solo ricordarmi di compilare i documenti quanto prima.” Sbadigliò, annotandoselo mentalmente.
“A questo proposito mi sono preso la briga di recuperare qualche altro foglio dalla scrivania di Chef.”
“Se ti avesse beccato, saresti morto.”
“Tanto sapevo che avresti accettato.” Sbuffò Duncan, recuperando dalla tasca interna del giubbotto il foglio e una penna nera.
“Ma che?”
“Non ti resta che consegnarlo a Chef e sarai dentro la gara.” Ridacchiò il punk, fissando il volto sconcertato del collega.
“Sei solo un pazzo che arriverà secondo.”
“Vedremo Scott.”
“Ti farò mangiare la polvere.” Promise il rosso, appoggiandosi meglio sopra l’auto e compilando i campi richiesti dal documento, sotto lo sguardo divertito di Duncan.
 
3°piano, seconda porta a sinistra.
Duncan ricordava bene la locazione dell’alloggio di Scott, anche se quel pomeriggio, di ritorno dalla loro scampagnata, preferiva coprirgli le spalle.
Non voleva che Dawn o una delle altre gli scagliasse contro qualcosa. Nonostante l’amico l’avesse rassicurato che non c’era nulla di tanto pesante da spaccargli la testa, lui aveva preteso una distanza minima di 5 passi.
“Sei patetico.”
“Ne riparleremo quando tu sarai all’ospedale ed io sarò in piedi a portarti i giornali.”
“Credo tu abbia visto troppi film.”
“Tu mi dirai che sono solo delle ragazze, ma non vorrei essere al tuo posto.” Ghignò il punk, mentre salivano l’ultima rampa di scale.
“Intendi scaricarmi tutta la colpa, Duncan?”
“Il primo che entra, di solito, è il colpevole.”
“Frutto delle tue attente analisi sui film gialli degli anni 60, immagino.” Lo snobbò il rosso, inserendo la chiave nella toppa della serratura e aprendo la porta.
Sedute sul divano, intente a guardare la televisione e a parlottare tra loro, vi erano Dawn e le altre che, sentendo il cigolio, si erano voltate nella sua direzione. Scott, ritrovandosi con tutti quegli sguardi puntati addosso, ghignò appena e poi si rivolse verso l’amico che era parecchio distante.
“Vieni, vieni: tutto tranquillo.”
“Tutto tranquillo?” Domandò il punk, avvicinandosi titubante.
“Di che ti preoccupi?”
“Di tutto.” Borbottò Duncan, mentre il rosso veniva come risucchiato all’interno.
Ritrovatosi da solo sul patio e spaventato dalla possibilità di ritrovarsi accalappiato dalla vecchia Beth, entrò con circospezione.
Appena varcata la soglia, vide l’amico circondato dalle tre e subito iniziò a temere per la sua salute. Invece prima Zoey e poi Gwen l’avevano abbracciato, ringraziandolo per quanto fatto.
“Non provarci più, però.”
“È l’ultima volta Zoey.”
“Dawn è stata convincente e abbiamo deciso di non fartela pagare.”
“Che paura, Gwen.” Soffiò, ricevendo un lieve pugno sulla spalla.
Vedendo quel clima disteso, anche Duncan si era avvicinato, affermando che anche lui aveva partecipato a quella trovata.
Nessuno, però, gli rivolse la minima attenzione.
Scott aveva ricevuto tutti i meriti e solo Gwen gli aveva appena sfiorato la spalla per ringraziarlo del suo impegno.
“Ero stanco di vedere Dawn sempre triste e con Duncan ho subito pensato che avesse bisogno di voi.”
“Scott…”
“A volte mi è difficile ascoltarti e darti un consiglio.” Ammise il rosso, voltandosi verso di lei e accarezzandole la testa.
“E pensavi che noi potessimo aiutarti.” Soffiò Gwen.
“La solidarietà femminile è la vostra arma migliore.”
“O la peggiore per noi uomini.” Ridacchiò Duncan, sedendosi sul divano e poggiando i piedi sul tavolino lucidato di recente.
“Ci sono cose che noi uomini ignoriamo per forza di cose.”
“Ammettete tutta la vostra inadeguatezza.” Si complimentò Zoey, prendendo posto sul divano, seguita a ruota da Gwen.
“Già.”
“Almeno nel loro impegno sono lodevoli.”
“Lodevoli? Ma se temevamo della distruzione del condominio.” Ridacchiò Duncan, contagiando tutti i presenti.
La risata delicata di Dawn e Zoey si mescolò a quella sguaiata del punk e di Scott che si ritrovò alimentata da quella più normale di Gwen. Se qualcuno avesse chiesto loro da quanto non ridevano così spensieratamente ecco che il dubbio sarebbe giunto impetuoso.
Per Duncan erano passati alcuni mesi, da quando, piegato sulle ginocchia, aveva visto il vecchio Chef lanciarsi su una buccia di banana, disturbando qualcuno che era troppo in alto per vendicarsi. Era caduto con il suo sedere flaccido, causando un concerto di risate e faticando parecchio a rimettersi in piedi.
Un po’ come quando una compagna d’Università di Gwen era caduta sul pavimento appena lavato e, forse lucidato, da una bidella 50enne. Perfino Dawn, nonostante la fuga da Beverly, aveva riso di gioia qualche settimana prima. Questa volta, però, non era merito di una qualche scivolata goffa, ma solo di una gaffe di Scott che per risollevarle l’umore aveva messo il sale nel caffè, facendo una faccia disgustata subito dopo.
Zoey invece aveva avuto la fortuna di assistere a una scenetta comica, a tratti tragica, proprio nel parchetto vicino all’Università. Una coppietta, appoggiata al bordo di una fontana, era scivolata in acqua ed era stata capace di strapparle una risata.
Scott, invece, aveva trovato nell’ultimo Natale passato con i suoi vecchi e con sua sorella un carico extra di risate. Come poteva dimenticare l’albero caduto in battaglia per mano del gatto di sua madre?
E gli addobbi scorticati dalle scale che suo padre trascinava in giro per sistemare le luci, il tetto o la cucina scassata? Lui, in quel periodo, era ancora disoccupato e pertanto aveva accettato di buon grado il ritorno in campagna. Vuoi per dare una mano ai suoi genitori oppure per fare da babysitter al suo nipotino, lui in quei dieci giorni si era divertito un mondo. Se l’era spassata così tanto che, salito in auto per tornare alla monotonia, si era domandato se fosse possibile premere il reset.
Scott, rincuorato di notare che tutto procedeva per il meglio, cercò di raggiungere la cucina, scontrandosi con un abbraccio di Dawn. Non credeva di venir stritolato in quel modo dalla coinquilina e la cosa lo fece sorridere divertito.
“Grazie Scott.”
“L’ho fatto con piacere.”
“Lo sai? Mi piaci sempre di più.” Sorrise lei, staccandosi e alzando lo sguardo per fissarlo.
“Continua a cercare Dawn.”
“Lo farò.” Sospirò, girandosi verso le sue amiche che avevano nuovamente cambiato canale.
“Ehi piccioncini, non c’invitate a rimanere per la cena?” Ghignò Duncan, riuscendo a farli arrossire violentemente.
“Se Zoey e Gwen sono d’accordo.” Borbottò Dawn, facendo annuire le amiche che continuavano a smanettare con il telecomando.
“Ricorda Duncan che ognuno paga per sé.” Riprese il rosso, prendendo un paio di sedie e portandole vicino al divano dove la televisione avrebbe occupato parte della loro ritrovata pace.






Angolo autore:

E anche per oggi ce l'abbiamo fatta.

Ryuk: Ormai trasformeremo anche il mercoledì in un giorno fisso per pubblicare.

Torneremo come agli esordi.
Proprio un tuffo nel passato questo 2020: sono ritornato alle mie vecchie abitudini.

Ryuk: Già.

Detto questo vi saluto.
A domenica miei cari lettori!
 

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Capitolo 11
*** Cap 11 ***


Quelle poche ore passarono abbastanza velocemente. Discussero dell’Università e del lavoro al bar e sfiorarono solo di striscio il problema della convivenza tra Scott e Dawn. Il desiderio comune era solo quello di ricordare il passato e di farsi quattro risate, allontanando i loro problemi. Il rosso, riconoscendo quella rinascita del loro gruppo, era stato tentato di chiedere a Zoey e Gwen se avessero potuto ospitare Dawn. Dopotutto, la loro coinquilina sarebbe sloggiata in tempi brevi e l’amica poteva occupare tranquillamente il suo posto. Appurato che non fosse il momento migliore per le richieste decise di lasciar stare.
Erano circa le 22 quando i loro amici se ne andarono, chiacchierando e disturbando quasi sicuramente la vecchia Beth che, probabilmente, l’indomani l’avrebbe trattenuto per rimproverarlo e per spiattellargli nuovamente le regole di buon vicinato. Ci mancava solamente che la ignorasse e che l’Amministratore gli facesse recapitare una nuova lettera di richiamo.
Quella giornata finì per entrambi con una semplice rinfrescata e con il classico saluto che anticipava il loro meritato riposo.
Per Scott non vi era, comunque, troppo tempo per riflettere. Appoggiata la testa sul cuscino, piombò subito nel mondo dei sogni. Forse solo la coinquilina sapeva che l’indomani sarebbe stata una giornata bella pesante. Doveva svegliarsi alle 5, scappare al bar che avrebbe aperto verso le 6 e restare fino alle 16, sperando che Mal e Duncan non avessero qualche malanno. Altrimenti in quel caso la sua fuga si sarebbe dovuta posticipare fino alle 21, orario di ritorno di Chef dal suo giro d’affari.
Inoltre doveva consegnare il foglio di partecipazione per il contest che sarebbe cominciato solo a distanza di 5 giorni. Almeno era fortunato che il Pahkitew fosse un locale dagli ottimi standard e che potesse permettersi una valutazione e un interesse tale da evitare ai suoi dipendenti, Scott e Duncan appunto, di doversi sorbire le eliminatorie.
In quel caso il suo supplizio sarebbe iniziato martedì e, quindi, tra 48 ore si sarebbe ritrovato a scattare e a preparare cocktail, affettando e mescolando con la sua tipica calma e maestria. Non avrebbe fatto comunque fatica a passare i vari turni, ma era comunque meglio risparmiare le energie, date le sfide intense che si apprestava a completare.
Da quello che aveva letto, i partecipanti alla finalissima erano quasi una ventina, 18 a essere pignoli, e per ogni cocktail richiesto dai giudici vi era una scrematura di almeno 3 partecipanti all’inizio e poi, giunti nella top 6, eliminazione singola.
I cocktail più imprecisi, con evidenti errori di preparazione e con l’assenza anche di un solo ingrediente, venivano ignorati senza essere nemmeno assaggiati. Potevano essere miscugli dal gusto incredibilmente unico, ma ai quattro giudici ciò importava relativamente.
Un errore? Eliminazione automatica dal contest.
E da quel che aveva sentito in sala, sembrava che i partecipanti fossero tutti dei locali McLean e di quel Gerry&Pete che lo aveva corteggiato a lungo. A rappresentare il Pahkitew sarebbero stati solo in due, data l’inesperienza di Mal e la poca voglia di Chef di sorbirsi la gogna mediatica.
Si sarebbero scontrati con un esercito formato da molti barman divisi tra i primi locali e poi qualcuno proveniente da bar meno conosciuti e in rampa di lancio.
Dopotutto anche solo la top6 era un ottimo biglietto da visita per il futuro, anche se Scott e Duncan, così come quasi tutti i partecipanti, ambivano d’arrivare almeno tra gli ultimi 3. Solo gli ultimi gladiatori, infatti, avrebbero ricevuto un assegno cash e avrebbero aumentato il loro bacino d’utenza.
Dal quarto posto in giù vi era solo un cordiale Grazie per aver partecipato, andrà meglio la prossima edizione.
Parole dolci, al miele quasi, accompagnate da un sorrisino irritante della giuria che non avrebbero permesso il pagamento delle tasse, del mutuo e di altre spese ancora. Il terzo almeno poteva accontentarsi di una cifretta vicina ai 200 mila dollari.
Riflettendo sul suo bisogno effettivo di denaro, Scott poteva affermare che la fattoria sarebbe stata pienamente riparata e che il catorcio sarebbe finito in demolizione.
Discorso diverso e più accattivante per il secondo classificato. L’intervista per il giornale locale sarebbe stata solo il biglietto da visita per i 500 mila che avrebbero gonfiato il portafoglio. Con una simile cifra oltre alla fattoria, anche la mangiatoia poteva essere toccata e il trattore sarebbe stato pensionato senza problemi, anche se suo padre avrebbe imprecato parecchio prima di smontare il fedele Rex, compagno di guerra sui campi per oltre trenta anni.
Oltre a questo, il locale, in segno d’incoraggiamento per addestrare nuove figure da adibire dietro al bancone, avrebbe ricevuto una cifra vacillante tra i 400 e i 500 mila euro.
Ma il primo posto era un qualcosa di cui leccarsi i baffi. In primis il barman migliore avrebbe avuto l’onore di pubblicare un libro pieno zeppo di cocktail, oltre a farsi intervistare da un quotidiano regionale. Nel volume di circa 50 pagine si potevano infilare una marea di consigli, spiegazioni e procedimenti per preparare un buon cocktail fatto in casa con l’unica promessa, se non obbligo, che la prima pagina era e doveva essere una ricetta di puro estro del barman.
Niente ordini imposti dal locale o invenzioni di un altro partecipante. Il vincitore avrebbe dovuto prendere la penna e scrivere il cocktail che più gli piaceva e che, a suo avviso, avrebbe sciolto ogni critico. Infine, parte più importante, il vincitore avrebbe ricevuto un milione di malloppo e avrebbe regalato, sempre a nome dell’organizzazione, un assegno di 6 zeri al locale che l’aveva iscritto.
Se, per fortuna, Duncan e Scott avessero occupato la posizione d’oro e d’argento, ecco che Chef si sarebbe ritrovato con 1 milione e rotti da spendere.
E il capo aveva già alzato le mani con le promesse.
“Vittoria?” Aveva chiesto una sera, a serrande abbassate e con i suoi fedelissimi che incoraggiavano Duncan a dare il massimo, mettendosi sopra il tavolo più robusto della sala e sembrando un dittatore pronto ad arringare la folla.
Quella semplice domanda aveva incontrato le urla di giubilo di alcuni dipendenti che notavano come Chef stesse sventolando trionfalmente il foglio d’iscrizione di Duncan e si erano placate solo quando aveva ripreso a parlare con voce cavernosa e tranquilla.
“Se Duncan riuscisse a vincere il primo premio, cosa di cui andrei estremamente fiero…ho deciso d’investire ogni singolo centesimo di questo famoso milioncino per rendere il Pahkitew ancora più grande e appariscente. Per questo motivo e per la grande dedizione che avete dimostrato in questi lunghi ed estenuanti mesi, vi prometto che chiuderemo alcuni giorni per rifare l’intero locale.”
Se mai qualcuno avesse chiesto ai presenti chi era il miglior capo in circolazione nel raggio di una decina di miglia, ecco che solo una voce si sarebbe alzata nel cuore della notte e avrebbe riecheggiato a lungo: Chef Hatchet.
Con quella mano sul petto e con lo sguardo fisso verso la piccola folla che aveva radunato prima del consueto rompete le righe, Chef già pregustava la vittoria finale, dispiacendosi, però, che Scott non avesse intenzione di salire sulla sua stessa barca.
“Se continueremo a impegnarci, vinceremo!” Urlò di nuovo, rallegrando i presenti e donando una pacca sulle spalle a Duncan che si sentiva caricato di una grossa responsabilità.
 
Dawn, sotto le candide e rosee coperte, si sentiva felice come non mai.
Aveva risolto le cose con le sue amiche, cosa che credeva impossibile fino a qualche giorno prima, e si erano ripromesse d’uscire insieme molto presto per fare shopping.
Il loro vecchio gruppo era tornato come un tempo. Duncan era il solito squinternato che aveva qualche pregio nascosto, su tutti quello d’aver aiutato Scott con un’iniziativa suicida, ma era anche, quando la situazione lo richiedeva, un amico dal cuore d’oro e che si sarebbe meritato qualche riconoscimento in più.
Ma nel cuore della ragazza c’era solo una persona che meritava il suo vero interesse. Duncan era stato carino a partecipare e a impegnarsi per restituirle il sorriso, ma tutto partiva dal solito Scott. Inizialmente, e non si vergognava d’affermarlo, si era innervosita parecchio nell’apprendere che il coinquilino l’aveva incastrata in quel modo. Poi, però, discutendo e confrontandosi a cuor leggero con Zoey e Gwen, aveva compreso le ragioni che l’avevano spinto verso quel piano.
Lui non poteva continuare. Era bravo a risolvere i problemi, e questo era innegabile, ma non poteva rimanere costantemente al suo fianco.
Il rosso aveva il suo lavoro, i suoi amici, i suoi impegni e la sua Courtney. Aveva la sua bella cantante dalla voce soave che affascinava con eleganza, semplicità e gentilezza le persone. E se Courtney era riuscita a conquistare il cuore di Scott, tipo complicato e glaciale, ecco che agli occhi di Dawn diventava irraggiungibile. Lei non sbagliava mai. Lei aveva sempre vinto nella sua vita. Lei aveva tutto.
E un nodo in gola le bloccò il respiro. Dawn si sentiva chiaramente inferiore a Courtney. Era come se una mosca pensasse di volare graziosa come un’aquila o come se la discarica volesse ambire al titolo di luogo più accogliente della città.
Dawn, al calduccio tra le sue coperte, si girò di scatto, rischiando di cadere sul pavimento, e si sentì invadere dalla tristezza e dalla delusione.
Perché Scott avrebbe mai dovuto sceglierla? Perché avrebbe dovuto complicarsi la vita con un’eterna incompiuta, quando poteva gustarsi i cibi e gli aperitivi più raffinati nei ristoranti migliori del mondo?
Il rosso poteva anche licenziarsi, abbracciare la vita da pantofolaio e viaggiare con la sua bella cantante senza alcun problema.
Nessuno avrebbe potuto distoglierlo da questa sua possibile scelta. Dawn, almeno in questo, si sentiva fortunata. Lei sapeva che il coinquilino non avrebbe mai smesso di lavorare e avrebbe, quindi, continuato a mantenersi attivo. La sua gioia, comunque, finiva lì. Si sentiva lontana da Courtney e ancora più distante dal suo Scott.
Rimpiangeva di non aver tentato seriamente quando erano alle medie. Dopo diversi tentativi falliti e altrettanti interrotti, Dawn aveva compreso che il destino non poteva essere battuto. Aveva provato a farsi avanti durante le varie feste, ma puntualmente passava come un’amica speciale o come una sorellina smemorata.
Una volta si era chiesta da quando avesse cominciato ad amarlo e aveva trovato spiegazione solo nel giorno in cui era stata trascinata a giocare, dopo l’omicidio di sua madre. Quel giorno Scott le aveva preso la mano e l’aveva rialzata dal porticato della scuola, facendole dimenticare ogni cosa. Non passava giorno che si sedesse vicino a lei, che la facesse scattare in pochi minuti e che lei dimenticasse tutto.
Entrambi finivano, dopo qualche minuto, distesi all’ombra di una qualche palma, sfiniti da quel rincorrersi e liberi da ogni pensiero. Dawn riusciva a scordare tutto: dalla morte dell’amata madre, alla fuga della sorella e passando per tutte le ansie dei suoi parenti.
Tutto svaniva grazie a Scott che non perdeva giorno pur di starle vicino.
Chiunque gli chiedesse il perché combattesse per farla ridere, lui rispondeva che tutti meritavano almeno un amico. E dopo essere riuscito a guarirla, l’aveva trascinata nel gruppo di Gwen, donandole ciò di cui aveva disperato bisogno: la compagnia.
Un sorriso solcò il viso della giovane e la fece girare nuovamente verso il lato opposto.
Avrebbe tanto voluto che si accorgesse dei suoi sentimenti per ripagarlo di tutti i suoi sforzi. E Dawn, nel fissare l’oscurità della sua stanza, si era fatta una promessa. Tanto aveva capito che peggio di così non poteva andare e che doveva pur dare un valore alla sua vita. Per questo, nonostante non si fosse mai sognata d’intromettersi, era pronta a complicare la vita a Courtney. Sarebbe stata capace di urlare al mondo intero che lo amava, se qualcuno le avesse garantito che, così facendo, il coinquilino sarebbe stato suo per tutta la vita.
 
L’indomani Dawn si risvegliò con il classico spignattare di Scott in sottofondo.
Era molto bravo in cucina, questo glielo aveva più volte riconosciuto, ma in quanto a delicatezza era peggio di un elefante in una cristalleria. Sporcava più pentole di quanto fosse necessario e spesso ribaltava l’olio sulla superficie lucida della piastra, affermando che avrebbe ripulito appena di ritorno al lavoro, ma dimenticandosene ogni qualvolta si distendeva sul divano pieno di libri.
E come ogni mattina, nella loro classica routine, mentre aspettava che il coinquilino terminasse di sistemarsi, lei non gli dava tempo di rispettare quell’innocente promessa e, afferrando lo spray, passava, rimuovendo ogni traccia di sporco.
Girandosi verso la sveglia notò che erano appena le 4 e che, quindi, aveva ancora molto tempo prima di prepararsi per l’Università. Anche se, con la scusa delle prossime prove di recupero e degli impegni del professore, lei poteva benissimo restare sul divano per sistemare gli appunti. Aveva diversi giorni prima di dare l’ultimo esame per quella sessione e un po’ di relax le sembrava più che giustificato.
Infatti sgusciò fuori dal letto, accese la luce e si osservò allo specchio.
Con una semplice spazzolata ai capelli e con una rapida sistemata al vestiario, uscì dalla sua stanza, avviandosi verso la cucina. I suoi passi resi ancora più leggeri dalla dimenticanza delle pantofole passarono inosservati e giunta in sala, si avvicinò al ragazzo.
Lui non faceva altro che sbadigliare e rigirare vorticosamente quella che sarebbe stata anche la sua colazione. Intento a mescolare un’ultima volta, sentì delle braccia avvolgerlo e si ritrovò a trasalire spaventato.
Rischiando di bruciarsi un braccio con la caffettiera arroventata, si girò di colpo e sorprese Dawn intenta a sorridergli.
“Vuoi farmi venire un infarto, Dawn?”
“Volevo solo augurarti una buona giornata.”
“Non farlo mai più.” Borbottò, mentre lei si staccava.
“Non ti piace?”
“Credevo fossi ancora a letto.” Ammise, afferrando un piatto.
“Potrei dire lo stesso, Scott.”
“Chef mi ha incastrato con il turno di mattina.”
“Un motivo in più per starmene in casa.”
“E l’Università?”
“Sono molto avanti.” Borbottò la ragazza, superando l’amico e fissando i fornelli.
“Occhio a non sottovalutare la scuola.”
“Starò attenta.”
“Non me la sento di discutere di prima mattina.”
“Anche perché non credo ti convenga.”
“Cambiando discorso…intendi fare colazione a quest’ora o preferisci aspettare?”
“È un po’ triste fare colazione da soli e per questo ti farò compagnia.”
“Lo immaginavo.” Ghignò il rosso, recuperando un altro piatto e riempiendo una tazza con il caffè.
“Posso chiederti se è possibile avere una proroga?” Tentò Dawn.
“Su cosa?”
“Non so se 10 giorni siano sufficienti per un altro appartamento.”
“Di quanto tempo avresti ancora bisogno?” Domandò il rosso, portando le cibarie sul tavolino e sedendosi tranquillamente.
“Non saprei.”
“Da quando sei diventata timida?”
“Se ti dicessi che voglio rimanere qui per sempre, mi odieresti.”
“Sai bene che non porto mai rancore.”
“Ora sai di quanto tempo avrei bisogno.” Ammise lei, rigirando la forchetta sul cibo e mescolando distrattamente le sue uova.
“Se non sbaglio quella che vive da Gwen e Zoey presto leverà le tende e tu potresti andare da loro.”
“Nemmeno tu mi vuoi.” Soffiò amara, gettando le posate sopra il piatto e ottenendo solo uno sguardo severo per risposta.
“Te l’ho detto che faccio fatica a tirare avanti.”
“So benissimo che non mi vuoi in mezzo ai piedi.”
“Se fossi in una condizione migliore, ti terrei senza battere ciglio.”
“Stai mentendo.” Brontolò, facendolo sbuffare rumorosamente.
“Sono stato il primo ad accoglierti e ora fai la difficile?”
“Io…”
“Sei un’ingrata.”
“Avevi promesso che mi saresti stato vicino e che ti saresti preso cura di me.”
“Questo quando eravamo alle medie.” Mormorò il rosso.
“Mi hai ingannato per tutto il tempo.”
“Sai che non è vero.”
“Io la vedo così.”
“La verità, Dawn, è che temo che Courtney possa farmi una scenata se dovesse venire a sapere di questa faccenda.”
“Hai paura?” Lo sfidò Dawn.
“Anche tu faresti lo stesso, se avessi il timore di perdere qualcuno che ami.”
“Non saprei.”
“Posso concederti altre due settimane e non di più.” Borbottò, abbassando la testa e provando un misto di rabbia e delusione in corpo.
Dentro di sé ripeteva che era solo colpa sua.
Se solo avesse avuto uno stipendio maggiore rispetto a quello che Chef gli passava mensilmente ecco che non avrebbe avuto problemi economici di sorta e si sarebbe potuto permettere una baracca leggermente più capiente.
E con tutte queste ipotesi racchiuse insieme, allora Scott avrebbe invitato Dawn a fermarsi per tutto il tempo necessario, Courtney permettendo ovviamente. In mancanza di tutti questi elementi aveva le mani legate ed era costretto ad adeguarsi a ciò che la società gli imponeva.
“Grazie.” Mormorò lei, accettando quella proposta.
“Le tue amiche ti aiuterebbero volentieri.”
“Odio approfittarmi di loro.”
“Tu faresti lo stesso, se qualcuno fosse nei guai.” Affermò Scott, sorseggiando l’ultimo goccio di caffè del suo bicchiere.
“Questo sì.”
“Detesto scappare, ma il lavoro non mi lascia scampo.” Sbottò il rosso, scattando in piedi.
“Vai pure Scott: non voglio che tu faccia tardi e che Chef ti tenga lontano da me.” Ribatté lei con malizia, facendolo arrossire.
“Ne riparleremo questo pomeriggio, se vuoi.” Borbottò il rosso, raccattando il suo piatto e bicchiere.
Tempo di mettere il tutto nella lavastoviglie e di filare in camera per vestirsi ed era scappato quando fuori non era ancora l’alba. Lei era ancora seduta al suo posto, quando la porta si chiuse, e si ritrovò sola in quell’appartamento che senza Scott diventava troppo grande.
 
Per le prime ore, Dawn era rimasta sul divano contesa a guardare la televisione e a sistemare gli appunti.
Se Scott avesse saputo che usava le chiacchiere mattutine delle varie emittenti solo come colonna sonora, probabilmente avrebbe preso lo schermo e l’avrebbe scagliato fuori dalla finestra. Lei, consapevole dei suoi sforzi, non lo faceva di proposito.
Eppure le parolone del notiziario e le promesse delle pubblicità erano un suono perfetto con cui accompagnare le formule scientifiche. Dovevano aver fatto anche una ricerca riguardo quella scelta di studio, ma Dawn era troppo impegnata con le nuove formule del libro per cercare l’articolo in questione.
Verso le 8 chiuse tutto e si preparò per le pulizie.
La situazione in quella casa non era drammatica come la prima volta, ma era comunque lontana dall’ordine che lei adorava. Alcune macchie sul pavimento erano state cancellate in pochi secondi e la cucina era stata ripulita da cima a fondo.  Controllate le altre stanze, lei intuì che solo un luogo avrebbe avuto bisogno di molte più cure: la tana di Scott.
Il rifugio del ragazzo che amava e che non riusciva a togliersi dalla testa. Tutte le volte che i suoi occhi incrociavano quelli grigi e malinconici, se non era seduta o appoggiata, rischiava quasi di svenire.
Entrata nella sua camera, sistemò al meglio i suoi vestiti e, mentre spostava alcuni libri, un foglietto viola svolazzò e si posò ai suoi piedi.
Lentamente lo lesse e lo appoggiò laddove l’aveva trovato.
“Il torneo regionale dei barman.” Scandì con calma, pensando ai premi.
E riprendendo in mano quel dépliant, Dawn rimuginò di nuovo.
“Devo fare qualcosa per aiutarlo.”






Angolo autore:

Ryuk: Puntuali come al nostro solito.

Un vero miracolo.
Che altro dire? Vi ringrazio per l'appoggio, anche se vorrei una vostra opinione.
Appurato che è sbagliato, io la vedo così, rovinare la vita altrui o le relazioni...siete dalla parte di Dawn o da quella di Courtney?

Ryuk: Da quando ti metti a fare referendum?

Semplice curiosità

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Capitolo 12
*** Cap 12 ***


Il turno di lavoro non era stato troppo intenso.
Certo aveva dovuto preparare la colazione per una ventina di studenti che avrebbero fatto manca, servire qualcosa come una quarantina di caffè per dottori, avvocati, ingegneri, professori e operai in ritardo perenne e poi fare l’inventario mentre Mal si occupava delle ore morte.
Dalle 9 alle 11, almeno da loro, il locale era quasi deserto. Qualche pensionato entrava, ordinava un amaro, aspettava a un tavolo l’ordinazione e poi giocava a briscola con qualche amico.
Oppure si potevano beccare le anziane che tornavano dal mercato e che, tra una chiacchiera e l’altra, si fermavano per riposare e per spettegolare di ogni cosa. Ma durante le ore morte dottori, avvocati, ingegneri, professori e operai erano già al loro posto.
Alcuni nel loro ambulatorio poco fuori dal centro.
Gli ingegneri nel loro studio per qualche progetto di pura urbanistica che strizzava un occhio all’ecologia e al risparmio.
Altri in aula impegnati a inculcare qualche regola agli studenti, rimpiangendo il periodo in cui avevano deciso di aiutare le generazioni future.
E gli ultimi a martellare in qualche cantiere, officina, fabbrica per permettere il progresso della società che spesso snobbava il loro impegno.
Richiusa la fredda porta di ferro del magazzino alle sue spalle, Scott lesse con calma i fogli che Chef gli aveva passato appena iniziato il turno.
Entrato in ufficio, il tiranno aveva ricevuto la sua richiesta di partecipazione al contest e aveva abbozzato un ghigno, ricambiando con un compito punitivo.
Di per sé il locale sembrava piuttosto piccolo, ma nessuno considerava gli spazi dedicati allo staff e quelli dove si accumulavano le bibite, i liquori e i pezzi di ricambio.
Scott sfogliò le tre pagine che aveva ricevuto e iniziò a controllare le condizioni dei vari scatoloni in base alle etichette arancioni che vi erano appiccicate sopra.
Per fortuna quel supplizio era solo semestrale e alternato con Duncan che, anche in una mansione così semplice, finiva sempre con lo discutere con Chef e tutte le volte per il mancato rispetto delle direttive vigenti.
E a ogni controllo di magazzino c’erano etichette sbiadite o staccate da risistemare e cui aggiungere una sigla.
C’erano volute alcune ore per sistemare tutto quel caos. Scott poteva capire l’interesse di Chef per gli affari e la sua preoccupazione per le tante spese, ma quelli non erano buoni motivi per lasciare al degrado un locale che richiedeva costante sostegno. Perché oltre alla sala principale con il bancone scricchiolante e la lavastoviglie imbizzarrita, vi erano anche i tavolini e le sedie ormai passate di moda, i servizi non propriamente igienici e l’insegna luminosa che si era spenta mesi prima.
Con i dollaroni che Chef avrebbe potuto intascare, il Pahkitew avrebbe cambiato volto e avrebbe fatto concorrenza al Gerry&Pete e a McLean.
 
Ritornato in sala verso le 12, Scott dovette aspettare ancora un’ora prima di dileguarsi.
Per obbligo doveva aspettare che Duncan entrasse in scena con la sua classica camminata da pistolero cattivo e che gettasse il suo borsone sopra il bancone, facendo partire qualche scheggia destinata al pavimento.
Perfino Chef, rintanato nel suo ufficio, sentiva quel tonfo e imprecava a denti stretti per quella mancanza di rispetto che ai suoi tempi sarebbe stata punita con un centinaio di giri di corsa, un migliaio di addominali e con qualche frustata. Tuttavia il tempo della guerra era passato e, giunto in un periodo morto, lui si era indebitato fino al midollo per aprire quella bettola.
Non aveva dimenticato le sue umili origini e quando sentiva suoni sinistri provenire dalla sala, lui drizzava le antenne e usciva come un demonio. Se la colpa era da ricercare in un qualche cliente imbranato poco male, ma se uno dei suoi dipendenti si azzardava a spaccare qualcosa, lui avrebbe rispettato la regola militare. Ne avrebbe azzoppato uno per correggerli tutti.
Infatti anche quella mattina il tiranno tirò la penna, che stava masticando distrattamente, contro la libreria piena di fatture, richiuse il portatile grigio che gli serviva per scrivere le buste paga e scivolò fuori, urtando un cameriere che era andato a gettare l’immondizia.
Questi non ebbe nemmeno il coraggio di fissarlo negli occhi. Sentiva il rischio d’essere sbranato se si fosse intromesso e se gli avesse fatto perdere il motivo principale di tanta rabbia. Non era nemmeno entrato in sala che la sua vociona e che i suoi passi si fecero già assordanti.
Scott, appoggiato il coltello che aveva appena usato per affettare alcune fette di limone, si era, quindi, voltato verso Mal che stava preparando una birra bionda e un paio di snack e poi verso Duncan che tranquillo si stava sistemando il grembiule.
“Adesso ti ammazza, Duncan.”
“Non credo, Scott.”
“Perché sfidi la sua pazienza?”
“Perché è divertente.”
“Ringrazia il cielo che Chef ha il cuore d’oro e non ti ha ancora tagliato lo stipendio.” S’inserì Mal, passando il vassoio al secondo cameriere in sala.
“Potrebbe anche farlo.” Aggiunse il capo barman.
“Se ci prova, gli sguinzaglio contro Zanna.”
“Zanna contro Chef: la sfida del secolo.” Rifletté Scott.
“Sarebbe interessante.” Replicò Duncan, riprendendo la borsa e gettandola al suolo, facendo vibrare il bianco pavimento che in un punto mostrava almeno tre piastrelle traballanti, piene di crepe e addirittura rimovibili.
Già una volta Mal e Scott erano volati su quelle maledette e il secondo un pomeriggio ci aveva rimesso pure una botta micidiale al ginocchio.
Le imprecazioni che uscirono dalla sua bocca furono udite oltre che da Chef anche dalla clientela che si girò a fissarlo. Poi Hatchet era giunto in postazione, aveva osservato la zona del crimine e si era convinto che la colpa fosse del borsone del punk. Il giorno successivo Duncan fu chiamato subito in ufficio e dovette sopportare un cazziatone di una buona mezzora sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Prima d’assistere a un omicidio, Scott aveva afferrato la sua borsa ed era scappato dal Pahkitew.
Nemmeno il tempo d’aprire la porta che sentì le imprecazioni del suo capo e non gli fu troppo difficile immaginare che il punk avesse abbassato la testa come un cucciolo impaurito. Avrebbe promesso di non farlo più, tenendo quella parola per qualche ora e poi sarebbe ricominciato il volo del borsone sul pavimento. Detta così poteva passare come una disciplina olimpionica, ma a vedere Duncan far vorticare quel peso sembrava una bazzecola.
Pure Mal ci aveva provato una volta per irridere il collega ed era finito con lo sbriciolare un calice di vetro che, data l’assenza di Chef, fu nascosto in un sacchetto dell’immondizia e non fu detratto dal suo misero stipendio.
 
Salito in auto, Scott accese, come di consueto, la radio e poi, con molta calma, si avviò verso la sua abitazione.
Non aveva fretta di giungere a destinazione. Dopotutto era una bella giornata, aveva appena terminato il turno di lavoro che sarebbe ripreso solo l’indomani verso le 16 e davanti a sé aveva infinite possibilità.
Avrebbe potuto pranzare tranquillamente, mettersi sul divano a guardare un film, sempre che non fosse occupato da Dawn e le sue enciclopedie, e rilassarsi.
Nel caso i volumi da 1000 pagine avessero troneggiato con l’amica, ecco che si sarebbe chiuso nella sua stanza a sistemare i suoi hobby. Avrebbe ritagliato e catalogato quelle poche righe che esaltavano le sue gesta e avrebbe ripulito la cassettiera, dove gettava di tutto.
Poteva anche farsi una doccia e poi mettersi a dormire, in attesa che la coinquilina lo pregasse di preparare la cena. La cosa era strana, poiché credeva che tutte le donne fossero ossessionate dal desiderio d’imparare a cucinare.
Non era una peculiarità necessaria per la sua esistenza, ma affermare di dipendere da un uomo sarebbe stato imbarazzante. Scott non aveva mai conosciuto una ragazza che fosse orgogliosa d’ammettere la totale incapacità di cucinare un toast senza bruciarlo del tutto.
Pensando a cibo e bevande si era reso conto che doveva prepararsi al contest.
Sapeva che avrebbe avuto a che fare con barman molto abili e non voleva che il suo locale facesse una brutta figura. Per esperienza personale era molto meglio ripassare tutti i cocktail che la giuria aveva inserito nella lista delle richieste.
I primi li avrebbe potuti fare a occhi chiusi, con una mano legata dietro alla schiena e con qualcuno che gli urlava nelle orecchie, mentre gli ultimi, quelli più difficili e meno richiesti dalla clientela, non erano così immediati.
Doveva conoscere la qualità dei prodotti, le giuste dosi senza sgarrare nemmeno di una lacrima e non doveva sporcare nulla. Spesso nelle fasi finali era proprio la pulizia dell’ordinazione a fare la differenza tra una vittoria e una sconfitta.
In molti avrebbero affermato che stava esagerando, ma dall’alto dei tornei cui aveva partecipato e cui aveva assistito, aveva visto molti barman brillanti eliminati per un’esposizione non all’altezza delle aspettative.
Anche lui ne era stato vittima, anche se a essere sinceri, si poteva dire che ne era stato ciecamente consapevole. Quando aveva partecipato, non si era svenato per la pulizia, pur sapendo che, ignorando quell’elemento, avrebbe perso. Per paura di abbandonare il Pahkitew si era sabotato senza problemi.
Alla giuria aveva risposto con mancanza di tempo e con un piccolo attimo di confusione che aveva pregiudicato la perfezione. Ma in quella gara era pronto a sputare sangue: desiderava ardentemente quel milioncino che gli avrebbe migliorato la vita.
Per quei cinque intrugli si sarebbe ritagliato un’ora in cucina.
Non era molto, ma era un tempo più che onesto per uno che non partiva totalmente da zero.
Nel frigo doveva esserci tutto il necessario e pertanto non avrebbe dovuto svenarsi per cercare spezie, liquori e altro.
Sollevato di non dover cambiare strada, girò a destra dopo l’ultimo semaforo che anticipava di pochi minuti il suo quartiere.
Imboccata la stradina, parcheggiò l’auto al suo posto fisso e recuperò lo zaino che aveva riposto nel bagagliaio.
Salutò, quindi, uno dei condomini che si apprestava a uscire e salì con tutta calma le scale.
Quei gradini marmorei con qualche lieve traccia di crepe e scrostamenti non erano così male: davano una nota di eleganza a quella struttura moderna.
La tensione che si respirava tra quelle mura, però, non era dovuta a quelle scale e nemmeno alle pulizie settimanali che erano svolte puntualmente.
Poteva anche capire la rabbia di tutti quei condomini che si erano ritrovati a rinunciare a uno dei servizi migliori del condominio.
Dopotutto quel servizio era una delle aggiunte che aveva messo in preventivo non appena aveva deciso di comprare casa.
Se quel posto fosse stato poco più in là e non vi fosse stato l’ascensore, lui avrebbe ringraziato quello dell’agenzia immobiliare e avrebbe levato le tende.
Fu nel ritrovarsi davanti a quel gioiellino tutto acciaio e di una nota casa tedesca che ghignò soddisfatto.
Quella bestia imponente poteva contenere almeno 14 persone insieme e filava che era una bellezza.
Scott l’aveva testato il giorno stesso in cui aveva ottenuto le chiavi e vi aveva incrociato anche la pazza che abitava proprio di fronte a lui.
La vecchia Beth Gerdson, almeno di primo acchito, non sembrava per nulla una zitella, amante dei gatti e del blue jazz. Poi aveva sentito quel giradischi gracchiare e quella melodia sparata ad alto volume e il rosso aveva capito perché quell’appartamento fosse rimasto invenduto per oltre due anni.
E come se il Karma non fosse già abbastanza crudele nei suoi confronti, l’ascensore si era fermato mesi prima senza motivo apparente.
Quel gioiello tedesco, controllato qualche settimana prima del suo effettivo trasferimento, si era bloccato al piano terra con le promesse dell’amministratore di risolvere il problema. Erano trascorse settimane, ore furibonde alle assemblee e non si era trovata la soluzione. E così le vecchiette si lamentavano ogni santo giorno delle rampe da fare, i giovani ascoltavano queste imprecazioni e l’amministratore, nel ricevere almeno una decina di telefonate al giorno, tutte smistate dalla sua fedele segretaria, si metteva le mani tra i capelli canuti.
Prese le chiavi dalla tasca destra dei jeans, aprì la porta e la richiuse subito alle sue spalle. Compì pochi passi, si voltò sorridente verso Dawn che leggeva sul divano e portò lo zaino nella sua stanza. Dopo essersi velocemente cambiato, ritornò in sala e si avviò verso la cucina.
Prima d’iniziare a miscelare e a preparare i cocktail che lo preoccupavano, si girò verso la coinquilina che sollevò lo sguardo nella sua direzione.
“Scott.” Esordì, accogliendolo con un sorriso che gli creò un senso d’imbarazzo.
“Cosa c’è Dawn?”
“Secondo te è difficile preparare un cocktail?”
“Dipende.”
“Una ragazza può imparare?” Chiese lei, sollevandosi dal divano.
“Penso di sì.”
“Bene.” Commentò felice, richiudendo il quaderno degli appunti.
“Perché mi chiedi se una ragazza può imparare? Non avrai intenzione di chiedere a Chef di farti assumere, voglio sperare.”
“All’inizio ci ho pensato.”
“Ti sconsiglio di venire in un locale come il nostro: facciamo fatica a buttare fuori gli ubriaconi molesti e una bella ragazza come te sarebbe in difficoltà.” Ammise, facendola arrossire.
“Lo immaginavo.”
“Devi dirmi qualcosa, Dawn?”
“Io sono felice di stare qui con te.”
“Lo pensi solo perché non abbiamo ancora litigato seriamente.” Affermò il rosso, notando alcuni bicchieri e cucchiaini sparsi nel lavello.
“Spesso, però, mi fai arrabbiare.”
“Non ne dubito.”
“Io volevo scusarmi per questa mattina.”
“La colpa è anche mia.” Ammise Scott, staccandosi dal piano di lavoro e avvicinandosi a Dawn.
“Vorrei sdebitarmi con te.”
“Apprezzo il pensiero, ma non credo tu possa darmi qualcosa.” Soffiò, facendola imbronciare.
“Tu mi hai aiutato molto in questi giorni.” Borbottò risentita per quell’ultima affermazione.
“Siamo amici: è normale che mi preoccupi per te.”
“Ti ho preparato una sorpresa.” Sorrise, superando l’amico e aprendo il frigo.
“Una sorpresa?”
“Esatto.” Rispose, prendendo un calice contenente uno strano intruglio tendente al rosa.
Il vetro era leggermente appannato, segno che non era passato molto dalla sua preparazione, ed era ben lontano dallo stato solido del gelato.
“Tieni.”
Dawn gli porse, quindi, il bicchiere delle buone occasioni e Scott lo fissò con attenzione.
Era la prima volta che qualcuno gli preparava un pensiero di quel genere o meglio era insolito che una ragazza gli preparasse da bere. Spesso, al Pahkitew, era Duncan a servirlo, oppure Mal desideroso di mettersi alla prova e di dimostrare che non era l’ultima ruota del carro.
Nessuna ragazza, né tantomeno Courtney, aveva mai tentato di conquistare il suo rigido palato. Prima di assaggiarlo, fece ondeggiare leggermente quel liquido rosato, mettendolo controluce, per poi annusarlo con attenzione così come gli aveva insegnato Chef e adottando gli stessi accorgimenti dei vari giudici con cui si sarebbe confrontato da lì a poche ore, suscitando in Dawn uno sguardo dubbioso.
“Non è avvelenato.” Si difese la giovane, osservando con attenzione quella pantomima che le pareva ridicola e inutile.
“Un giudice deve osservare prima di gustare.”
“Cosa?”
“Prima di assaggiarlo, vorrei sapere il perché.”
“Te l’ho detto: volevo ringraziarti.”
“Solo?” Chiese, poggiando il calice sul piano di lavoro.
“Ti sono grata per avermi aiutato con Zoey e Gwen.”
“L’ho fatto volentieri.”
“Scott…”
“Cosa c’è Dawn?” Domandò, mentre lei si avvicinava di qualche passo.
“Sai che non sono così brava in cucina e credo che il mio cocktail non possa essere alla tua altezza.”
“Ci andrò leggero.” Ghignò di rimando.
“Vuoi rendere le cose più interessanti?”
“Che cosa dovrei fare?”
“Ti sfido a riconoscere gli ingredienti che ho usato.” Tentò lei, facendolo annuire e osservandolo portarsi il bicchiere alle labbra.
Dawn avrebbe tanto voluto essere al posto di quel calice fortunato. Avrebbe tanto desiderato che quelle labbra invitanti si posassero sulle sue, che lui la toccasse con la medesima delicatezza con cui sfiorava quel pensiero innocente e che si complimentasse per quanto era dolce, sensibile e graziosa.
Scott annusò di nuovo quell’aroma delicato e poi riempì la bocca con un primo sorso riscontrando un gusto pari a una carezza. Non aveva mai assaggiato un qualcosa di così strano.
Era sicuramente superiore ai cocktail delle ultime pagine che Mal si ostinava a preparare, anche se era abbastanza lontana dalla perfezione. Quell’esperimento, comunque, era uno sforzo ammirevole per una che si cimentava per la prima volta con il mestiere del barman.
“La base è formata da un lieve strato di ghiaccio tritato.” Cominciò con calma, analizzando quel compito per nulla impossibile.
“Bravo.”
“Il colore e l’aroma sono derivati dalla pesca e, per essere precisi, liquore e piccola aggiunta di crema di gelato.”
“Non sbagli un colpo.” Si complimentò, beandosi dei sorrisi di Scott.
“Hai evidenziato la dolcezza e l’armonia di questo cocktail aggiungendoci qualcosa di delicato come l’essenza di vaniglia.”
“Già.”
“In ultima hai aggiunto una piccola nota d’acidità per creare un contrasto.”
“Cosa di preciso?” Domandò curiosa.
“Ho conosciuto un pazzo capace di usare una lacrima d’aceto, ma in questo caso devi aver usato succo di limone.”
“Fantastico.”
“Devo dire che questo cocktail ti rispecchia egregiamente.”
“Hmm?”
“Il gusto delicato della pesca è simile al tuo carattere, anche se assaggiandolo meglio, si può percepire il limone che rappresenta la tua tenacia.”
“Io…”
“Sei stata brava…un giudice come si deve potrebbe farti arrivare tra i primi cinque in una gara per emergenti.” Si congratulò, bevendone un altro sorso.
“Manca un altro ingrediente.”
“Come?”
“Non li hai detti tutti.” Borbottò, vedendolo staccarsi preoccupato dal bicchiere e tuffandosi di nuovo in quel liquido dolcissimo.
“Ti giuro che non riesco a percepire nient’altro.” S’azzardò, riappoggiando il calice sopra il bancone e fissandola negli occhi.
“Ne sei sicuro?”
“Non noto nessuna spezia o liquore particolare.”
“Io…”
“Sempre che tu non abbia usato una dose talmente piccola da farla diventare insignificante.” Si scusò, sperando che lei ricordasse la ricetta di quella miscela.
“Quando mi versi il succo alla pesca, tu non aggiungi nulla?”
“Non mi sembra.”
“Scott…non lo fai di proposito, ma io lo percepisco e tutte le volte mi emoziono.” Affermò risoluta, facendolo preoccupare.
“Io…Dawn…non lo so.” Balbettò confuso.
“Tutte le volte che passavo al Pahkitew tu mi sorridevi e mi rivolgevi la parola.”
“Ma…”
“Negli altri locali che visitavo con Beverly, non ho mai provato una cosa simile, nemmeno se ordinavo i vostri stessi succhi.”
“Che cosa vuoi dirmi infine?”
“Io ho usato tutto l’affetto che provo per te.”
“Dawn…”
“So bene che non mi consideri, ma voglio che tu sappia che sono felice d’averti conosciuto e d’aver avuto la possibilità di vivere con te.” Ammise, abbracciandolo e sentendolo sussultare.
Nel stringere quel debole corpo che stava recuperando sicurezza, Scott si sentì strano. In quei momenti si sentiva felice di poter aiutare una ragazza così insicura come Dawn, anche se un nome lo faceva sentire colpevole. Con Courtney non poteva sognare la meritata tranquillità e di certo lei non avrebbe mai apprezzato quell’abbraccio improvviso.
Dopo essersi sistemati sul divano, Scott spostò lo sguardo verso Dawn che si era appisolata sopra il suo petto.
Nell’osservarla, abbozzò un semplice sorriso e si rimise in piedi, cercando di non svegliarla dal suo meritato riposo. E anche dalla sua posizione poteva notare, una volta di più, quanto fosse meravigliosa e angelica. Purtroppo, però, la sua fortuna si arrestava bruscamente. Poteva ammirarla, consigliarla e farle forza, ma non avrebbe mai potuto vivere con lei.
Era raro che lo pensasse, ma Scott non era più soddisfatto della sua vita con Courtney. Lei sempre lontana, impegnata con i suoi concerti e mai desiderosa di attraversare lo Stato solo per rivederlo. Purtroppo era in una trappola da cui non poteva fuggire e, in quel pomeriggio, non gli restava altro che prepararsi al contest con la chiara promessa che, se fosse giunto in prima posizione, il delicato cocktail della coinquilina sarebbe piombato direttamente nella prima pagina della sua futura pubblicazione.
 




Angolo autore:

Rieccoci puntuali.

Ryuk: Siamo più puntuali mercoledì che domenica...molto sensato devo dire

La domenica non sono proprio sintonizzato: dormo quasi in piedi.
Almeno oggi mi sono ricordato senza fatica.
Detto questo vi saluto.
A presto!
 

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Capitolo 13
*** Cap 13 ***


Il venerdì del contest i locali di McLean, di Gerry&Pete e il Pahkitew avevano chiuso con ampio anticipo per la partecipazione al torneo.
Ogni anno i tre giganti, con la presenza di qualche bar in rampa di lancio come contorno, chiudevano molto prima del solito e si avviavano verso una grande cucina, dove si davano inizio alle danze.
20 concorrenti per 20 postazioni scintillanti e supertecnologiche, anche se il forno e la lavastoviglie erano solo aggiunte superflue.
La grande giuria era formata da cinque persone e tutti avevano un’importanza riconosciuta a livello nazionale.
Il primo a sinistra era un ragazzo cinico, dal sarcasmo galoppante e dallo sguardo enigmatico.
Leggermente abbronzato, spesso posava i suoi occhi stanchi laddove riscontrava qualche errore, cambiando subito atteggiamento quando trovava livelli di perfezione.
Noah Perkinson aveva un’abilità e una manualità incredibile e voci sicure gli attribuivano la somma capacità di essere in grado di preparare almeno 500 cocktail senza aver bisogno di leggere la lista degli ingredienti.
Quella sera era stravaccato tranquillamente sulla sua sedia e stropicciava con disinteresse l’elenco dei nomi che partecipavano a quell’incontro.
Il suo atteggiamento, irrispettoso e arrogante, era dovuto alla sua vittoria prematura nel torneo della 16° edizione, quando a soli 19 anni, aveva strapazzato senza problemi concorrenti molto più quotati ed esperti.
In quell’edizione oltre a stabilire il record come unico barman a stravincere ogni prova, si era fregiato del titolo di più giovane partecipante e vincitore in assoluto.
Aveva stravinto con un Mojito talmente perfetto da spingere un ristoratore ad assicurarsi le sue prestazioni a suon di milioni.
La seconda giudice, vicina a Noah non tanto per la conoscenza, ma solo come interesse per le abilità dei vari concorrenti, era una giornalista sui 45, poco avvenente, ma grande bevitrice e seduta su quel tavolo sin dalla 10° edizione.
In molti affermavano che fosse la più semplice da ingannare, ma forse questa malalingua era stata valida per le primissime edizioni. Kelly Hudson non aveva mai avuto un passato come barista o come proprietaria, ma di anno in anno aveva migliorato le sue abilità ed era diventata una delle più richieste assaggiatrici a livello regionale. Collaborava con un giornale e la sua opinione sui locali trovava riscontro in un blog che era divorato dai suoi fan.
In mezzo al tavolone, rispettivamente in 3° e in 4° posizione vi erano due ex concorrenti che avevano entrambi partecipato alla 14° edizione.
Si erano conosciuti proprio il giorno del torneo, quando entrambi venticinquenni erano nel periodo migliore della loro carriera.
Entrambi avevano raggiunto la finale e per entrambi era scattato qualcosa in quegli istanti.
Quella sera la signorina Carrie Davies era uscita vincitrice dal confronto, anche se qualche mese più tardi fu il signor Devin Wellington ad averla vinta, prendendola in sposa. Per i primi mesi lavorarono in due ristoranti separati e poi, con fatica e con un bel mutuo, aprirono un locale in un’altra città, coronando il loro sogno.
In ultima veniva il più capriccioso dei giudici.
Le sue origini da campagnolo potevano far credere che fosse un tipo semplice da conquistare, ma dinanzi a loro vi era l’ideatore del contest. Ezekiel Snow era il più anziano del gruppetto e aveva seguito, conosciuto e offeso almeno un centinaio di ragazzi in tutte le 24 edizioni.
Ne aveva viste di cotte e di crude in quelle cucine, compreso qualcuno che era alle prime armi e non riusciva a trovare la differenza tra un pompelmo e un limone secco.
Davanti a quegli sguardi la maggior parte era rabbrividita, anche se dovettero aspettare le 17 per dare inizio alle danze.
“Eliminato!”
“Tu sei fuori!”
“Fa schifo!”
Erano questi gli urli che eliminavano le persone.
Com’era lecito aspettarsi i pesci piccoli, quelli provenienti da locali estranei al Gerry&Pete, al Pahkitew e ai McLean, erano stati subito divorati e sbattuti fuori.
Se non lavoravano in ambienti gratificanti ed erano stati costretti alle eliminatorie, qualcosa voleva pur significare.
Tolti i primi concorrenti erano rimasti i giganti della città.
“Il liquore che hai usato non era quello giusto.”
Ezekiel aveva colpito di nuovo, eliminando uno dei McLean e suscitando le ire dell’uomo che venne subito messo a tacere da un’occhiata del giudice.
Era noto che tra loro non scorresse buon sangue e nell’edizione numero 15 e numero 18 alcuni avevano giurato che era stata solo la fissazione di Ezekiel a togliere una vittoria più che meritata ai pupilli di Chris McLean.
Le radici per quell’odio che veniva a galla ogni anno in quel periodo, erano dovute a una serie di torti e di ripicche per un documento. Per una sciocchezza simile erano andati anche per vie legali ed Ezekiel aveva costretto McLean al rimborso per il danno d’immagine.
Inutile dire che entrambi si erano legati quella faccenda al dito.
“La preparazione è completamente sbagliata.” Sbottò Noah, venendo appoggiato anche da Devin e Carrie che votarono per la 3° eliminazione tra le file dei McLean.
Non avevano nemmeno cominciato a fare sul serio e il gruppo più numeroso aveva iniziato con il perdere i pezzi, mentre i locali Gerry&Pete e il Pahkitew si salvavano senza sussulti.
Né Duncan, né Scott erano mai stati vicini all’eliminazione, anche se il punk aveva ricevuto, durante la preparazione del secondo cocktail, una tirata d’orecchie da parte di Noah.
 
Il quarto cocktail consisteva nel classico Cosmopolitan shakerato e uno sguardo dei giudici fu sufficiente per far capire ai 10 rimasti in gara che erano vicini alla top6.
Dovevano solo superare quello scoglio per poi ambire a una posizione in vetta.
Il Pahkitew era sempre uscito indenne dalle varie prove, mentre i McLean avevano perso quasi metà dei partecipanti.
Il Gerry&Pete invece era stato costretto a rinunciare solo a un dipendente e sperava che i 4 rimasti in gara si facessero valere.
Mentre preparava quel cocktail, per niente difficile, Scott ripensava agli ingredienti e alla promessa che aveva fatto a Dawn che aspettava preoccupata a casa.
Se avesse vinto, avrebbe portato anche Duncan e avrebbero festeggiato per il successo del Pahkitew.
“Concentrazione: vodka, cointreau, lime, mirtillo e ghiaccio a cubetti.” Rifletté, preparando le dosi così come Chef gli aveva insegnato in passato.
Scott, anche dopo aver presentato i calici, era sicuro di quanto fatto.
Si era estraniato dal mondo esterno e dai singhiozzi degli altri concorrenti che pregavano la giuria per una seconda opportunità. Se non fosse stato preso a ristudiare tutti i suoi cocktail, avrebbe riso loro in faccia e avrebbe urlato che erano patetici.
Quel torneo non permetteva piagnistei, ripensamenti dell’ultimo minuto o preghiere per convincere i giudici a eliminarne un altro.
Se Ezekiel urlava “Sei fuori!”, non c’era possibilità d’appello.
Dovevi toglierti il grembiule, appoggiare l’asciugamano e smammare dalla postazione senza alzare la voce e senza minacciare nessuno.
“Concorrente 2 e 6 avete sbagliato la misura del cointreau.”
I ragazzi in questione si dileguarono e si avvicinarono a quelli già eliminati, ricevendo il rimprovero dei titolari che speravano in sorte migliore.
Questa volta era il Gerry&Pete a dover sommare le eliminazioni.
“Concorrente 16 hai esagerato con il lime e il mirtillo è scomparso.” Borbottò Kelly, girandosi verso Noah che aveva preso il microfono in mano.
“Non farei bere sta roba nemmeno al mio peggior nemico.” Sbadigliò, rovesciando il cocktail sul pavimento biancastro.
“Concorrente 18 credo che tu non abbia ben chiaro come si prepara un Cosmopolitan.” Gracchiò Ezekiel, sorridendo sotto i baffi, mentre Scott si voltava verso l’ultimo ragazzo che aveva alle spalle.
Lo stesso Duncan si era girato temendo che il collega fosse crollato, anche se il numero 13 era ancora in piedi.
 
Ripuliti i tavoli e ordinati 5 minuti di pausa, i giudici tornarono al loro posto ed Ezekiel iniziò a complimentarsi con quelli rimasti.
“Voi siete i migliori della città e dovreste andarne fieri, anche se siamo lontani dalla fine.”
Il silenzio scese nuovamente in quella grande sala.
Il grande giudice poggiò, quindi, il microfono sul tavolo ed estrasse la busta contenente i cocktail che sarebbero stati richiesti per la fase finale.
Letta la lista, rifletté un attimo e poi diede voce alla sua scelta.
“Un vero barman deve conoscere anche cocktail esteri, quindi, un bel White Russian è cosa gradita per questa sfida.”
Così come aveva detto il nome, gli ultimi rimasti erano subito partiti in quinta per la preparazione.
“Non devo usare subito la panna.”  Mugugnò Scott, notando come anche Duncan stesse usando la stessa accortezza.
Quello era uno dei cocktail più temuti, non perché fosse complicato, ma per la percentuale d’errore cui si poteva andare incontro.
La panna, considerata il tocco di classe del cocktail, doveva andare shakerata al ghiaccio e solo alla fine doveva incontrare il restante ghiaccio, la vodka e il liquore al caffè. La prima volta che l’aveva preparato, ricordava d’aver dato di stomaco una notte intera e solo perché aveva esagerato con la vodka, credendo che la panna dovesse essere solo superficiale.
Era stato un errore da pivellino e le volte successive aveva aggiustato i suoi sbagli.
Versata la panna shakerata e ripulito il bordo del bicchiere, Scott e i sei barman porsero il cocktail all’unico giudice che avrebbe assaggiato quella preparazione.
In effetti quella era la grande novità di quell’edizione.
Gli ultimi cocktail venivano assaggiati da un solo giudice, compresa la sfida finale che era a discrezione solo di Ezekiel.
Noah si ritrovò, quindi, sei bicchieri pieni di quel nettare che era considerato il sovrano delle miscele in terra russa. Osservò, quindi, le preparazioni e, senza neanche assaggiare il contenuto, scartò con sicurezza i tre bicchieri che non rischiavano l’eliminazione.
Scott aveva visto il suo impegno snobbato e anche Duncan era stato risparmiato dalla prova dell’assaggio.
Il White Russian era sì alcolico, ma non doveva stroncare e bruciare la gola. Noah assaggiò il primo e si coprì la bocca con un tovagliolo, contorcendola in un moto di disgusto.
Per correttezza assaggiò anche gli altri due, ma solo quello di Rick, novizio dei Gerry&Pete, subì uno sguardo criminale dal giudice.
“Cosa ci hai messo?”
“Io…”
“Il White Russian richiede impegno e attenzione, anche nel shakerare la panna.” Brontolò il giudice, mentre i due ragazzi giunti in nomination tornavano silenziosamente in postazione.
“Mi spiace.”
“Ti dispiace? Se non sei in grado di preparare uno schifosissimo White Russian, non vali il mio tempo, ragazzino.”
Nel vederlo piangere e scappare dalla sala, ignorando perfino le parole di conforto dei proprietari, i cinque rimasti in gara capirono che non sarebbe stato così semplice.
“Ora che ci siamo levati quella cartuccia, vedete di preparare un Godfather senza errori.” Ringhiò Noah, passando il microfono alla signora Kelly e assaggiando i cocktail che aveva ignorato in precedenza.
 
Altri cinque minuti per le pulizie generali e i rimasti iniziarono a preparare ciò che serviva per un Godfather all’altezza.
“Ricorda Duncan, il Godfather è un omaggio satirico a quelli della mafia e ha gusti forti e decisi.”
Il punk sorrise nel ricordare quella lezione.
Era al suo terzo giorno al Pahkitew, quando Chef lo prese in parte, lo chiamò nel suo ufficio e gli insegnò quel primo cocktail.
“Variante del Godfather è il Godmother.”
Il Godmother assomigliava vagamente al Godfather, ma era meno pungente. Ricordava d’averli assaggiati e di aver sentito quel Godfather come più semplice da preparare.
Se qualcuno gli avesse chiesto quali erano i cocktail che sperava di preparare, Duncan avrebbe risposto che il Godfather e il Cosmopolitan erano apprezzati dal suo estro. Entrambi gli avevano attraversato la strada e l’avevano scortato al sicuro, donandogli una sicurezza sempre maggiore.
“7 minuti.” Impose la signora Kelly, risvegliando Duncan che si era perso tra i suoi innumerevoli ricordi.
“Sono sufficienti.” Bisbigliò, sorridendo come un beota.
Afferrato il bicchiere, versò delicatamente nelle giuste dosi ciò che gli era stato richiesto.
Dapprima inserì 2 cubetti di ghiaccio, poi versò lo Scotch e l’Amaretto nelle stesse identiche dosi e poi mescolò con molta calma il tutto.
Il Godfather era bello che pronto e a tre minuti dal termine, il punk si arrischiò a girarsi verso Scott che con un ghigno gli fece capire che non aveva intenzione di abdicare il suo titolo di capo barman nel Pahkitew.
Nonostante fossero molto lontani, si scambiarono un sorriso d’intesa con la muta promessa che la finale sarebbe stata una questione tra loro due.
Scoccate le 18:37 la superficie vicina a quella della signora Kelly si ritrovò occupata da cinque bicchieri, con la diretta interessata che, per la sua nomea di gran bevitrice, sorvolò sugli aspetti esteriori.
Al contrario, Noah e Devin che le erano vicini, avevano già notato quelli a rischio, ma per non innervosirla, avevano soprasseduto.
Il primo che si presentò fu quello di Topher, sosia giovanile di McLean e dotato comunque di un talento cristallino.
“Passabile.” Commentò la giudice.
Il ragazzo le porse un sorriso e tornò al suo posto, lasciando all’ultimo pupillo di McLean l’incarico di passare il turno.
“Non so.” Scandì la signora Kelly, appoggiando il cocktail alla sua sinistra e concentrandosi su quello successivo.
Scott posò, quindi, il vassoio con la massima attenzione e lo porse nelle mani della giornalista che colpita dalla cortesia insolita, sorrise divertita.
“Il migliore fino a questo momento.”
Il rosso non aveva bisogno di pregarla per sapere di essere tra gli ultimi quattro.
Ancora un piccolo sforzo e sarebbe stato retribuito. Se gli fosse andata male, avrebbe guadagnato solo l’assegno per il 3° posto, anche se sarebbe stata comunque una bella soddisfazione.
Per il successivo fu il turno di Ryan, ultimo baluardo dei Gerry&Pete che con le mani ancora tremanti appoggiò il vassoio sul tavolo.
La signora Kelly nel leggere la sua ansia giocò un po’.
Più volte si portò alle labbra quel bicchiere, vedendolo di volta in volta sul punto di svenire, salvo poi accontentarlo e bere quella preparazione.
“Puoi andare tranquillo.” Lo rassicurò la donna, restituendogli il calice e sorridendo come una madre magnanima.
Dopotutto quel ventenne poteva essere benissimo suo figlio e sperava vivamente che uscisse indenne da quella prova.
In ultima veniva il punk che, mentre appoggiava il vassoio, si girò verso Chef che alzò il pollice in segno d’approvazione.
La donna, incontrando lo sguardo sicuro e implacabile del concorrente, desistette dal spaventare il giovane.
Si portò il bicchiere alle labbra, buttò giù un primo sorso e sbiancò.
Quel Godfather era come la carezza di un angelo.
Senza preavviso svuotò l’intero bicchiere e lo appoggiò sopra il vassoio luccicante.
“Incredibile.”
“Signora?”
“Mai assaggiato un Godfather così completo.”
“Io…”
“Passerei nel vostro locale solo per berne un altro di simile.” Si congratulò, alzandosi in piedi e stringendo la mano al concorrente.
Gli altri si sorpresero per quella mossa: la signora Kelly non era una donna che si lasciava andare troppo facilmente a convenevoli di quel genere. A molti ricordava un maschiaccio con qualche disfunzione ormonale, ma per una volta mostrò il suo lato più femminile.
“La aspetto allora.” Sorrise il giovane, riprendendo il vassoio e tornando alla sua postazione.
Giusto il tempo di sedersi per qualche secondo e di ripensare ai complimenti della donna che la signora Kelly tornò a parlare con voce gelida.
Gli sembrava impossibile che lei si trasformasse da donna cortese a strega.
“Credo che il signor Dave non sia capace di continuare.” Cominciò la donna, intimando allo sfortunato concorrente d’andarsene e di riprovarci l’anno successivo se aveva il coraggio di continuare a lavorare come barman.
E per lavorare in un locale dei McLean, specie dopo quella figura barbina, doveva averne da vendere.
 
Il microfono passò di mano e incontrò la presenza di Devin che lesse la lettera che Ezekiel aveva scritto qualche giorno prima in loro compagnia.
Esclusi il White Russian e il Godfather ve ne erano rimasti 4 tra cui scegliere.
“Un bravo barman deve saper miscelare fantasia, estro, sregolatezza, ma deve restare fedele ai dettami che gli sono impartiti. Spesso, in questa veste, ci si dimentica che i primi cocktail sono i più difficili perché sono presto dimenticati. Se siete dei barman degni di questo nome, e non ne dubito, dovete sapermi stupire con un Vodka Martini.”
Topher, ultimo pupillo dei McLean, nel sentire quella richiesta ghignò come un bambino che si accorge dei regali sotto l’albero la mattina di Natale. Il Vodka Martini era una bazzecola per lui che una sera aveva preparato oltre 50 ordinazioni di quel genere per alcune stelle frustrate del cinema.
Ormai gli usciva perfino dalle orecchie e non a caso alzò subito le mani al cielo come se avesse il milione in tasca.
I tre rimasti si fissarono per un attimo e capirono che uno dei posti era già prenotato. In cuor loro speravano che facesse una qualche sciocchezza e che la sua arroganza gli si ritorcesse contro.
Quelli del Pahkitew non avevano nulla contro McLean, ma consideravano quel torneo come un gioco per vedere chi era il migliore.
A Ryan, invece, era stato inculcato il motto di far fuori chiunque si mettesse sulla sua strada. Gerry e Pete lo avevano pregato di sbattere fuori l’ultimo dei McLean e poi di battersela al massimo con i pupilli di Chef.
Con quest’ultimo erano anche in buoni rapporti per alcuni consigli di marketing, mentre il primo meritava di stare fuori da quella graduatoria. Avrebbero venduto anche i loro capelli purché quell’edizione vedesse l’inutilità della partecipazione dei McLean.
“Vodka e Vermouth…che baggianata.”
Topher preparò il bicchiere, utilizzando alcuni cubetti di ghiaccio e mescolando il tutto per una ventina di secondi abbondanti, aggiungendo il tocco di classe della scorzetta di limone e la classica oliva verde come decorazione.
Soddisfatto di quella preparazione, fu il primo ad avvicinarsi al tavolo, seguito poi da Duncan, da Ryan e in ultima da Scott.
“Avete fatto presto.” Commentò Devin, girandosi verso la moglie.
“Mai possibile che vi dovete fissare negli occhi prima di ogni decisione.” Brontolò Noah, sprizzando acidità da tutti i pori.
“Non ho nemmeno bisogno di assaggiarli per dirvi chi è fuori.”
“Come scusi?” Intervenne Ryan, parlando anche in nome degli altri.
“Nel nostro torneo si giudica l’aspetto esteriore del cocktail e solo in caso di parità ci si cimenta nell’assaggio.” Spiegò il giudice, fissando i quattro bicchieri.
“Che cosa intende dire?” Seguitò Ryan, mentre gli altri studiavano le preparazioni così com’erano state servite al giudice.
“Un vero Vodka Martini va preparato in una coppetta Martini raffreddata in precedenza.”
“E allora?” Chiese Duncan, non notando che qualcuno vicino a lui tremava come se avesse davanti la morte in persona.
“L’oliva poi non è stata richiesta e quando una cosa non è richiesta, diventa inutile e dannosa al fine ultimo.”
Tutti focalizzarono la loro attenzione sui bicchieri.
Dal secondo al quarto tutti mostravano il vetro appannato, segno di una coppetta raffreddata in precedenza e l’assenza dell’oliva. Il limone era un argomento ancora dibattuto tra i barman: c’era chi lo usava e chi preferiva evitare. In entrambi i casi, però, si era nel giusto, almeno fino a quando non vi fosse stata una linea di massima da seguire.
“Credo sia la prima volta che i locali McLean restano fuori dalla top3.” Ridacchiò Noah, abbandonando la sua posa di disinteresse e facendo segno con la mano di levarsi dalle scatole.
Per Topher quello fu lo smacco peggiore. Era partito con i favori del pronostico, almeno in quella prova, e aveva toppato, facendo una figuraccia.
La sua rabbia si scontrò con il bicchiere che aveva preparato e che si ritrovò ben presto in frantumi, facendo schizzare dalla sedia Ezekiel che non sopportava simili oltraggi verso la nobile arte che lui aveva affinato in tanti anni di onorato servizio.
“Non ti permetto di sprecare un cocktail solo perché sei così inetto da non sapere come si prepara un Vodka Martini decente.”
“Stia zitto lei.” Tuonò il ragazzo, mentre Chris McLean cercava di placcare il ragazzo.
“Sarà divertente l’anno prossimo senza la vostra presenza: squalificati per un’edizione.” Ringhiò il giudice, puntandogli contro la penna che avrebbe usato per ricordarsi di quella decisione ferrea.
“Ma…”
“Volete che diventino 5? Fuori dalle scatole.” Ringhiò il giudice, mentre Chris usciva mestamente con i suoi ragazzi dalla grande sala.
 
Riportato l’ordine e ripulito il danno di Topher, i 3 finalisti scalpitavano per il penultimo cocktail.
Il foglio prima letto da Devin arrivò, quindi, a Carrie che si ritrovò in difficoltà.
Da una parte vi era il suo cocktail preferito, mentre dall’altro ve ne era uno che era parecchio atipico per una finale.
Alla fine, sentendo la mano del marito sfiorarle la gamba, capì chi doveva scegliere.
“Sapeste com’è difficile trovare un qualcuno che riesce a preparare un Buck’s Fizz senza impazzire.” Sorrise, sperando che i tentativi dei partecipanti fossero all’altezza.
Ryan, Duncan e Scott iniziarono subito la preparazione.
Quel cocktail che era stato loro richiesto aveva una piccola particolarità: ne esisteva uno molto simile, anche se la Mimosa divergeva per la quantità delle dosi.
Non era impossibile da preparare, ma non era nemmeno uno dei più semplici.
Scott e Duncan senza volerlo ripensarono ai loro affetti.
Per il primo c’era un amore lontano e un amica che lo aspettava per far baldoria, per il secondo una ragazza cui non aveva mai avuto il coraggio di confessarsi.
Lo stesso Ryan sperava che la sua girl fosse felice per quella posizione che aveva ottenuto: dopotutto era tra gli ultimi 3.
Entrambi giunsero davanti alla giudice nello stesso momento e si allinearono come bravi soldatini.
“L’aspetto sembra invitante.” Commentò la giudice, portandosi alle labbra il cocktail di Ryan.
Dopo averlo gustato con attenzione, riappoggiò il calice sul vassoio e si concentrò su quello di Scott e poi su quello di Duncan.
Dentro di Carrie era in atto una tempesta.
Stentava a credere che quei cocktail fossero quasi allo stesso livello e non riusciva a trovare un’evidente nota di demerito.
Per far passare qualcuno doveva andare ai dettagli e il tormento che lei provava, era stato percepito anche da Ezekiel che sollevò lo sguardo.
“Allora signorina?” Chiese, spronandola a dare una valutazione.
“Difficile…davvero difficile.”
“Signorina…”
“Non mento, quando dico che è difficile escludere uno di voi, ma ci sono alcuni dettagli che fanno la differenza.”
“Dettagli?” Chiese Duncan, parlando a nome anche degli altri due.
“Non mi sento di dire che qualcuno è superiore agli altri in questa prova, ma qualcuno non può andare avanti e si deve accontentare del terzo posto.”
“Signorina Carrie dovrebbe darci una risposta.” Continuò irritato il capo della giuria.
“Il grande escluso dalla finale è…”






Angolo autore:

Abbiamo solo una parola per sto capitolo: Contest.

Ryuk: E niente spoiler prego.

Avete sentito Ryuk? Mò mi dileguo.
Alla prossima!
 

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Capitolo 14
*** Cap 14 ***


La tensione si tagliava con il coltello. Erano dettagli. Solo quelli erano i colpevoli di quella mancata vittoria, anche se per molti arrivare tra gli ultimi tre poteva essere il premio di una vita.
Qualcuno era partito anche solo con il desiderio di non essere l’ultimo e confrontarsi con i migliori era l’essenza stessa di un vero barman.
“Mi spiace Ryan, ma la tua corsa termina qui.” Borbottò la giudice, fissando il ragazzone che aveva abbassato il capo.
“Che cosa ho sbagliato?”
“I tuoi colleghi hanno controllato la spremuta d’arancia con molta più attenzione, mentre a te è sfuggito un seme.”
“Tutto qui?”
“Non è uno sbaglio pesante e dovresti essere soddisfatto.” Lo consolò, stringendogli la mano.
“L’anno prossimo andrà meglio.”
“Questo è lo spirito giusto, ragazzino.” Lo canzonò Noah, inserendosi nella conversazione e ritrovandosi comunque a stringere la mano del terzo in classifica.
Ryan, raccolto il suo vassoio e appoggiato alla sua postazione, si avvicinò a Scott e Duncan, augurandogli buona fortuna. Gli ultimi due partecipanti e dipendenti del Pahkitew, si strinsero la mano in segno di rispetto reciproco e si scambiarono alcune battute.
“Te l’avevo detto che sarei arrivato in finale, Duncan.”
“La tua gara finisce qui, Scott.”
“Finisce qui solo perché siamo in finale.”
“Vincerò io, diventerò famoso e sarò il nuovo capo barman del Pahkitew.”
“Vedremo.” Ghignò il rosso, staccandosi e tornando alla sua postazione, mentre i giudici li fissavano divertiti.
Era questo il genere di clima che esigevano nelle competizioni.
Il rispetto reciproco, la stima e l’amicizia erano ingredienti speciali che miglioravano il gusto stesso dei cocktail.
“Credo sia la prima volta che abbiamo due barman dello stesso locale.” Riprese Ezekiel.
“Se non sbaglio, durante la 3° edizione, abbiamo avuto in finale quelli di Dwayne e Junior.” Obiettò la signora Kelly, mentre il collega si picchiettava sulle tempie per quella dimenticanza.
“In cosa consiste l’ultimo cocktail?” Chiese Noah, ponendo i suoi piedi sopra il tavolo e stiracchiandosi appena.
“Qui amici miei andiamo direttamente nella lontana Italia.” Borbottò Ezekiel con sguardo insolitamente nostalgico.
“In Italia?” Domandò Devin.
“È un cocktail abbastanza recente, dalla preparazione basilare ed è uno di quelli che apprezzo più volentieri per la sua delicatezza.”
“L’ultimo cocktail sarà…” Si frappose Carrie, creando la giusta suspense.
“Il Bellini.” Mormorò Ezekiel, facendo annuire i due barman rimasti.
 
Scott nel fare mente locale si accorse di quanto quel cocktail fosse nelle sue corde.
Quello oltre a essere uno dei suoi preferiti, gli rievocava una persona molto cara che era seduta sul suo divano, impegnata nel parlare con le amiche, ma preoccupata per le sorti del contest.
Dawn avrebbe tanto voluto essere presente, ma avrebbe fatto avanti indietro come un’indemoniata, disturbando i vari partecipanti e ricevendo alcuni rimproveri da Noah ed Ezekiel che poco tolleravano quei fastidi esterni.
Sarebbe stato inutile farla sedere vicino a loro con magari una bevanda da assaggiare con tutta calma: il nervosismo l’avrebbe spinta a fare un casino indescrivibile, tanto da costringere lo stesso Chef Hatchet a uscire per non unirsi a quella ridicola marcetta. Con quel Bellini, però, si sarebbe rasserenata e avrebbe incrociato lo sguardo di Scott che contraccambiava con un ghigno per manifestare la sua sicurezza.
Tornando a quella richiesta il capo barman del Pahkitew si era chiesto come fosse possibile che una coincidenza così insolita bussasse alla sua porta per regalargli il meritato milione.
Il Bellini era sì particolare, ma quanti erano così?
Il bicchiere non era così raro e nemmeno l’utilizzo del Prosecco era qualcosa di così ricercato. Vi erano almeno una ventina di preparazioni e di varianti che richiedevano quella nota alcolica, ma comunque Scott non trovava spiegazioni. Perfino Duncan si era voltato verso di lui, quasi a fargli capire che la fortuna aveva bussato con forza alla sua porta e che non aveva alibi per fallire. L’ingrediente segreto che rendeva unico il Bellini era la polpa di pesca bianca.
Pesca.
Era questo ciò che gli altri chiamavano karma o almeno così credeva. Lui conosceva così bene Dawn e sapeva quanto fosse fissata con quei frutti che non credeva di meritarsi quel regalo. Con precisione chirurgica iniziò a trattare quel cocktail e senza neanche accorgersene si ritrovò davanti al bancone della grande giuria con Duncan che giunse dopo quasi un minuto.
Lui si sentiva sicuro, ma ricordando la spavalderia di tanti prima di lui e di Topher in particolare e con lo sguardo glaciale di Ezekiel iniziò a vacillare.
Nemmeno all’esame di maturità, davanti alla bisbetica di letteratura, aveva avvertito tutta quella tensione che il giudice aveva richiamato attraverso la sua impassibilità.
“Tranquilli…la preparazione sembra eccellente.” Li rincuorò quasi sapesse cosa si provava a starsene sulla graticola in piedi davanti a ben cinque giudici e che anche un nonnulla poteva essere fatale.
“Signore…” Sussurrò Duncan.
“L’aspetto è perfetto.”                                                            
“Grazie.”
“Sono rimasti gli scavezzacolli del Pahkitew del maestro Chef.” Sorrise Ezekiel, lanciando un saluto verso il vecchio amico che osservava il tutto da molto lontano.
“Certo signore.” Annuì Scott, lanciando una fugace occhiata a Duncan che non aveva nemmeno aperto bocca per esprimersi.
“Proviamo il primo…quello del capo barman.” Soffiò il giudice, sorseggiando il cocktail e ritrovandosi inebriato da tanta dolcezza.
Ezekiel era pronto a giurare che aveva fatto centro, ma ne restava comunque un altro da assaggiare e non voleva precludere qualche possibilità al giovane Duncan solo per via del suo aspetto o per quel drink ineccepibile.
“E ora il secondo.” Borbottò dopo una trentina di secondi, prendendo il bicchiere e portandoselo alle labbra, iniziando quasi subito a riflettere.
Anche in questo caso il gusto era incredibile e soave. Non c’era nulla di sbagliato e una volta di più l’uomo fu costretto a fermarsi e a sollevare lo sguardo verso il soffitto, quasi non sapesse verso quale direzione pendere.
“I miei complimenti al vincitore, anche se il secondo non è tanto lontano.” Ammise, prendendo in mano i cocktail e fissandoli con attenzione.
“Un giorno il secondo potrebbe superare il primo e per questo consiglio al vincitore di continuare su questa strada.”
I due ragazzi annuirono convinti, mentre Ezekiel alzava entrambi i calici al cielo.
Dopo averli riportati alla sua altezza, ne appoggiò uno al banco e bevve l’intero contenuto dell’altro: sancendo la fine del contest. Il perdente abbassò la testa sconfitto, venendo rincuorato dall’amico che gli piazzò una manata sulla spalla. I loro occhi s’incrociarono e lo sconfitto si scrollò di dosso tutta l’ansia che aveva accumulato in quelle poche ore.
Aveva perso, questo era innegabile, ma se l’avessero preso due anni fa, lui sarebbe sicuramente arrivato ultimo. Si era impegnato, era cresciuto, aveva ottenuto un minimo di notorietà e la vita avrebbe potuto solo sorridergli.
“Se sei capo barman ci sarà un motivo.” Brontolò deluso il punk, stringendo la mano al collega che ghignò di rimando.
“Non fare quel muso lungo: usciamo da qui e andiamo a festeggiare.”
“Io…”
“Siamo amici Duncan e puoi tornare ad allenarti da domani.” Lo rincuorò, mentre i giudici si avvicinavano e porgevano loro gli assegni.
Tempo di chiamare anche Chef per avvicinarsi e si misero in posa per una foto che avrebbe occupato almeno una pagina del quotidiano locale.
 
Scott e Duncan, dopo aver posato per una ventina di minuti e aver rilasciato un’intervista ai giornali, si avviarono verso la macchina del primo.
Gli assegni erano al sicuro nelle tasche dei jeans, Chef era tornato al suo locale per attaccare il cartello di chiusura del prossimo week-end e le promesse dei giudici avevano fatto sorridere i due barman.
Presto sarebbero stati chiamati chi per l’intervista e chi per il libro da pubblicare.
Inoltre, prima di uscire, sia Scott che Duncan erano stati fermati da McLean che complice la figuraccia rimediata, cercava qualcuno che potesse ricostruire parte del suo Impero.
Se il rosso aveva nascosto il bigliettino da visita in una delle tasche interne del giubbino, Duncan lo aveva stracciato senza colpo ferire.
Saliti in auto, discussero sulle impressioni di quel contest, confessandosi tutti i timori di quelle ore.
Duncan confessò d’aver avuto una paura fottuta quando Noah lo aveva votato e credeva che fosse costretto all’eliminazione.
Invece qualcuno, usando della stupida uva bianca anziché rosé, aveva fatto molto peggio e lui si era salvato per un soffio. Bastava che quell’eccentrico giudice si fosse alzato la mattina con il piede ancora più storto e sarebbero stati in due ad abbandonare la postazione.
Continuarono a parlarne fino a quando non giunsero all’appartamento.
Arrivati nel parcheggio, riconobbero il macinino di Mike e si scambiarono un sorriso d’intesa.
“Gli facciamo uno scherzo?” Chiese Duncan.
“Non ti smentisci mai.”
“Sarà divertente.”
“Tu consideri tutto divertente.”
“Non dirmi che non vuoi vedere la faccia della tua Dawn quando gli dirai che sei arrivato ultimo.” Ghignò, pensando ai loro volti sbigottiti.
“Sarebbe bello.”
“La tua Dawn…eh Scott?”
“Che intendi dire?”
“Avanti amico mio: il succo alla pesca, il Bellini, Dawn a casa tua…non avrei nulla da dirti se tu fossi libero e facessi una qualche pazzia.”
“Non so di che parli.”
“Ti dà fastidio che Courtney sia sempre lontana e non sarebbe male se tu ammettessi che così non puoi continuare a vivere. Fossi in te, mi guarderei intorno, anche se non credo che tu abbia bisogno dei miei consigli…primo eliminato del torneo.”
“Esatto…secondo eliminato.” Replicò, facendolo sghignazzare.
Così come si erano messi d’accordo, salirono le scale e aprirono la porta dell’appartamento, adottando una faccia da funerale.
I loro amici gli andarono subito incontro, ma nel vederli in quello stato si erano come paralizzati.
“Com’è andata?” Domandò Mike.
“Insomma…” Borbottò Duncan.
“C’era un sacco di gente forte e abbiamo fatto del nostro meglio.”
“Avete perso?” Chiese Dawn, mentre abbassavano il capo demoralizzati.
“Cazzo quei giudici non capiscono nulla.” Brontolò Gwen, avvicinandosi al punk e appoggiandogli il braccio intorno alle spalle.
“Chef ha deciso di chiudere il locale…non si aspettava che facessimo una così pessima figura.” Ringhiò Duncan, facendo annuire il collega.
“Si può sapere come vi siete classificati?” Domandò Zoey.
“Siamo stati molto sfortunati.”
“Sfortunati?” Chiese la dark, guardando lo sguardo vitreo del punk.
“Sfortunati perché se foste stati presenti, avreste visto la nostra vittoria!” Urlò Scott, scoppiando con l’amico in una fragorosa risata ed estraendo gli assegni che avevano ricevuto.
“Che bastardi!” Commentò Mike, mimando un pugno verso la spalla sinistra di Duncan.
“Dovevate vedere le vostre facce.”
“Taci Duncan.”
“Eravate uno spasso, Zoey.” Ghignò il rosso, avviandosi verso il frigo e prendendo una bottiglia di Champagne.
Con quello che avevano passato, era giusto festeggiare per quell’inaspettata vittoria.
 
Duncan appena ricevuto il calice si sedette comodamente sul divano, venendo raggiunto ben presto anche da Gwen che si ritrovò abbracciata dal dark.
Nel sentire quel contatto si girò verso il punk che la fissò divertito.
“Ricordi Gwen? Mi avevi fatto una promessa.” Bisbigliò Duncan, mentre gli altri continuavano a brindare e a discutere.
“Io…”
“Mi avevi detto che se avessi ottenuto una buona posizione poi avresti fatto qualcosa di carino per me.”
“Perché ricordi tutto quello che viene  a tuo vantaggio?”
“Non mi hai fatto finire.” Brontolò, accarezzandole la schiena.
“Ma…”
“Mi piacerebbe uscire con te, ma questa sera ambisco a qualcosa in più.”
“Per buona posizione intendevo il primo posto.”
“Che crudeltà.” Commentò il punk che nel sentire quelle parole si era convinto di aver perso per la seconda volta in quella giornata.
La sua vita era sempre fatta così.
Quando arrivava ad un passo dal traguardo ecco che si accorgeva di qualche furbastro che l’aveva preceduto, oppure qualcuno lo squalificava e gli toglieva quella medaglia d’oro per cui si era tanto sbattuto nella mini-maratona dei 14 anni.
Con la scuola non era mai stato un primo vincente, nemmeno con gli sport era stato un chissà quale orgoglio, dato che veniva definito l’eterno secondo che si distrae a un passo dal successo, e con il lavoro era assai chiaro di non poter pretendere troppo. Dopotutto l’esperienza di Scott era più che lampante e non poteva colmare quei due anni di differenza come se niente fosse.
Gwen, però, doveva rappresentare la sua redenzione. Aveva sbagliato, non aveva mai centrato il suo vero obiettivo, ma quella ragazza che aveva fatto breccia nel suo cuore, che l’aveva trasformato da punk con pessime compagnie a punk dall’aspetto rude con il cuore d’oro sperava potesse alzargli il braccio per mostrare al mondo che anche un marcio può occupare il posto centrale del podio.
Per l’ennesima volta si era sbagliato e la rabbia provata per qualche fugace secondo, lasciò il posto alla delusione.
“Se non hai vinto, io non ti devo nulla.” Affermò divertita.
“Credevo non fossi interessata al denaro.” Si scaldò il punk, appoggiando i piedi sopra il tavolino colmo di riviste.
“Non l’ho mai detto.”
“Allora perché non vuoi uscire con me?”
“Perché meriti un premio migliore.” Sentenziò, fissandolo negli occhi.
“Quale?”
“Questo.” Borbottò, tirandolo a sé, mentre gli altri osservavano la scena con curiosità.
Scott nel vedere l’amico fraterno felice, preferì ignorarli, lasciandogli un momento d’intimità che si perse non appena furono costretti a tornare a casa.
 
Chiusa la porta e rimasti soli, Scott si accasciò sul divano con Dawn che aveva cacciato i suoi volumi sul pavimento. Nel spostare la sua attenzione sui vari elementi di quella casa, lei si era resa conto d’avere il suo sguardo addosso.
Scott, infatti, studiava le sue curve e la riempiva di complimenti abbastanza inconsueti. Tra il dialogo, le fatiche della giornata e il consiglio di Duncan si era autoconvinto che forse la sua relazione con Courtney non procedeva poi così bene. Nelle ultime settimane era uscito solo una volta in sua compagnia e anche in quel caso erano stati interrotti da un gruppo di giornalisti e di fan esagitati.
Nel vederla firmare autografi e scattare fotografie, lui se l’era svignata, lasciandola con un palmo di naso. I giornali riportarono nella settimana seguente la possibile crisi che li aveva colpiti e per una volta il giovane barman si ritrovò ad assentire su quella tormenta che li aveva presi di mira.
Perché avrebbe dovuto negare? Era vero che le cose con la sua cantante non procedevano bene. Per un verso erano i suoi impegni a pesargli, per un altro era il probabile flirt con un attore di Hollywood, per un altro giornale scandalistico era Trent il motivo per cui le cose non andavano bene.
Fin dal ritorno di Courtney, se non prima, aveva notato diversi particolari. Le gigantografie che la ritraevano uscire dalla stanza d’albergo del compagno di band in tarda serata, i suoi vestiti molto corti e alquanto piccanti, i sorrisi che si scambiavano quando si facevano fotografare insieme erano cose che Scott non riusciva a tollerare. Quella collaborazione di solo lavoro si era fatta molto più forte e se aggiungiamo che l’ultima storia seria di Trent risaliva a quasi due anni prima, ecco che i dubbi di Scott diventavano certezze.
Si sentiva preso in giro dalla sua ragazza, anche se lei aveva sempre negato il tutto, tirando fuori i discorsi di fotomontaggi, dichiarazioni riportate in modo sbagliato e altre balle che avrebbero potuto fregare qualche bambino delle elementari.
Scott non si era mai bevuto una sola parola di quelle frottole. E in quei momenti di appannamento era propenso solo a dimenticarsi di tutti quei problemi. Infatti, una volta rimasto solo con Dawn e dopo essersi riposato per qualche istante, si attaccò a lei e la fissò con desiderio.
Erano partiti dal punzecchiarsi senza sosta, per poi avventurarsi in una serie di carezze sempre più intime. Scott era passato dal sfiorare il suo viso, alla schiena e, quindi, ai fianchi per poi abbandonare i suoi intenti e fiondarsi sulle sue labbra. I primi baci furono abbastanza casti con entrambi che attingevano da quella fonte insperata di gioia.
Dopo alcuni minuti, senza preavviso, la prese in braccio e la portò nella sua stanza per travolgerla con la passione che provava. Adagiata sul letto, riprese a baciarla, facendola fremere. Dawn che, fino a quella sera era arrivata ancora illibata, si lasciò travolgere dal desiderio di volere Scott solo per sé.
Era solo per lui che aveva aspettato.
Durante le chiacchiere con alcune colleghe all’Università era venuta a sapere di non essersi persa nulla. Le più esperte affermavano che gli uomini erano tutti dei maiali e che se fossero potute tornare indietro, avrebbero regalato la loro verginità solo a qualcuno di veramente degno.
I bambini con cui si erano intrattenute, le avevano gettate via, rafforzando l’idea che tutto fosse stato un enorme sbaglio. Se perfino Beverly era rimasto con un palmo di naso, un motivo doveva pur esserci. Non aveva rinunciato al desiderio di diventare donna, ma voleva che quell’evoluzione fosse destinata a una persona in particolare.
Solo per lui era rimasta inflessibile e aveva resistito per tutto il tempo. Aveva aspettato a lungo. Aveva perfino denigrato uno dei più fighi del suo corso. Aveva rifiutato i tentativi disperati di Beverly, scontrandosi con le sue minacce se non avesse rispettato i suoi tempi.
Lei sentiva a pelle che farlo con lui o con chiunque altro della sua Università sarebbe stato solo un contentino. Ambiva ad altro e non voleva cedere la sua verginità al primo tizio che faceva grandinare dollari dal cielo o che aveva la reputazione dello sciupafemmine.
Il suo bene più prezioso doveva andare a vantaggio dell’uomo che amava e poco le importava che Scott non sapesse di quell’ansia. Non le importava di restare zitella e vergine a vita: lei voleva farsi toccare solo dal coinquilino.
E anche se era impegnato con quella cantante, a Dawn ciò non importava. Le bastava attingere alla fonte della felicità e affacciarsi al Paradiso anche solo una volta, per sapere d’aver vissuto al massimo e di non avere nulla di cui pentirsi.
Scott sarebbe sempre stato l’unico uomo della sua vita: sia che le cose volgessero per il meglio, sia che continuassero su quei binari infelici. Dawn lo tirò a sé e prese l’iniziativa, subendo poco dopo l’onda della passione del coinquilino.
Leggermente alticci per l’alcool che avevano consumato, si ritrovarono dopo un po’ stanchi, estasiati, nudi sul letto e felici di quel fuoco che li aveva animati. Era stato intenso, magnifico e avevano goduto a lungo di quell’amore che li aveva riempiti all’improvviso. Appoggiata la testa sul cuscino, Scott si ritrovò con il capo di Dawn sul suo petto, per poi stringerla a sé, richiudendo gli occhi e ripensando a quella meravigliosa serata.







Angolo autore:

Buonasera cari lettori.
Mi scuso per l'orario e forse ci saranno anche alcuni errorini, dato che l'ho riletto di fretta, ma spero che vi piaccia.

Ryuk: E come sempre ci piace rovinare tutto.

E mandare tutto in vacca.
Ma che ve lo dico a fare: questo sarà solo l'inizio dei problemi.
Immaginatevi una risata malvagia qualsiasi ed ecco la mia uscita di scena almeno per questo capitolo.
A presto!


P.S Per la scena "intima" potrei pensare di cambiare il "colore" della serie...anche perchè è la prima volta che descrivo una cosa simile. Voi cosa ne dite?
Anche perchè mi darebbe fastidio dover cambiare solo per un capitolo. Lascio a voi la sentenza

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Capitolo 15
*** Cap 15 ***


Alle 4 era già sveglio.
Normalmente nel girarsi a fissare la sveglia, avrebbe imprecato e poi si sarebbe voltato, recuperando le coperte che erano scivolate sul pavimento. Aveva gli occhi spalancati e persi nel nulla, da quando aveva visto Dawn dormire sul suo petto.
Non ricordava nulla dell’ultima serata, se non la vittoria del festival.
Nella sua testa c’era solo confusione.
Era rimasto immobile per diversi minuti con la speranza che lei si smuovesse e che la sbornia, non ancora del tutto smaltita, la finisse di martellare sulla sua povera testa. Passavano i minuti, resi interminabili dalla sveglia che gli ticchettava vicino, e non trovava nulla. L’unica cosa di cui era abbastanza certo è che era finito a letto con la coinquilina e che aveva, quindi, tradito Courtney.
Scosso da questo pensiero, sussultò appena.
Quel lieve tremore, percepito anche da Dawn, la portò a spostarsi e ad adagiare la sua testa sul cuscino.
Accortosi del momento favorevole e datole un’ultima occhiata, scappò dalla sua stanza, recuperando in velocità i vestiti che aveva lanciato in giro.
Richiusa la porta alle sue spalle, cacciò un profondo respiro, sapendo che stava solo scappando dal suo problema.
Perché Dawn si sarebbe svegliata, si sarebbe accorta di non essere nella sua stanza, avrebbe tremato nel constatare d’essere nuda e avrebbe collegato le cose.
Il suo sogno si era sì concretizzato, ma ciò aveva complicato l’esistenza di Scott che eclissatosi sul divano si chiese cosa dovesse fare.
Era ancora legato a Courtney ed era andato a letto con Dawn.
Non negava di essersi affezionato alla coinquilina, ma vittima delle circostanze non sapeva se fosse amore o se fosse solo un enorme senso di colpa.
Aveva bisogno di un parere disinteressato proveniente da un qualcuno che, anche se inesperto, poteva offenderlo e dirgli cosa fare. E alle 5 solo una persona al mondo avrebbe potuto aiutarlo: Duncan.
Afferrato il cellulare e mandato un messaggio con la disperata richiesta d’incontrarsi subito al parco, iniziò a prepararsi, sperando che la sua attesa fosse esigua e che la figura del punk si palesasse molto prima di riprendere sonno sulle comode panchine.
Vestitosi rapidamente e lasciato un semplice biglietto alla coinquilina, uscì dall’appartamento, cercando di fare meno rumore possibile. Non voleva che la vecchia Beth lo sorprendesse fuori e che con la sua voce orribile risvegliasse mezzo condominio.
Lentamente e pesando i passi sul pianerottolo, scese una prima rampa di scale e poi di corsa si ritrovò all’ingresso, salutando uno dei suoi vicini che tornava dopo il massacrante turno serale in una fabbrica di stampe.
Il perché non chiudessero alle 19 come tutte le ditte normali era stata oggetto di critica da parte dei sindacati e anche un giornale locale aveva ripreso quel comportamento disumano da parte della Gauge Society.
In molti avevano visto quella notizia sgonfiarsi come una bolla di sapone e almeno la metà aveva ipotizzato che il direttore degli affari interni avesse passato sottobanco a sindacati, giornali e sospetti un assegno di qualche migliaio di dollari.
Chiuso il caso e, per rilanciarne l’immagine, lo stesso giornale locale che aveva scritto peste e corna sul gruppo Gauge, si era premunito di decantare le lodi di una società solida e unica nel suo genere a utilizzare prodotti privi di agenti chimici inquinanti.
Salutato il 50enne che non vedeva l’ora di concedersi una doccia e di stringere la moglie, Scott si avviò verso la sua destinazione, gettando un’occhiata al tabacchino e al fruttivendolo ancora con le serrande abbassate.
Il rosso, varcato l’imponente cancello che restava aperto anche di sera, si ritrovò nel piccolo parco cittadino e si sedette al suo posto preferito. Si trattava di una panchina verde, riportante alcune scritte offensive, che era sempre avvolta da un’ombra piacevole e che era diventata, durante gli anni delle superiori e il tentativo all’Università, la meta preferita di Scott e Duncan per evitare le lezioni.
Era il loro posto, anche se il punk non si sarebbe mai palesato a quell’ora. Forse verso le 6, se aveva disperato bisogno di cicche e se Zanna, com’era lecito aspettarsi, non gli avesse allungato il pacchetto.
Sedutosi tranquillamente e chiusa la testa in una morsa, Scott ritornò a fare mente locale.
I pochi che gli passavano vicino, finivano con l’ignorare quella zazzera rossa piegata su sé stessa che cercava di concentrarsi.
Passeggiando e barcollando aveva recuperato qualcosa.
Ricordava di aver festeggiato con i suoi amici la vittoria del contest, che era rimasto da solo con Dawn e che l’aveva trascinata nella sua stanza.
Il resto era ancora avvolto dalla nebbia, anche se non gli serviva un genio per capire cosa fosse accaduto poi. Sotto effetto dell’alcool, vittima della rabbia verso Courtney e affascinato dalla coinquilina, l’aveva spogliata e avevano fatto l’amore.
Serviva davvero chiamare Duncan per una cosa che conosceva?
Messa così gli sembrava d’aver dichiarato guerra a uno che, almeno in quei giorni, avrebbe preferito dormire e ricaricare le batterie. Specie se il punk si era intrattenuto fino a tardi con Gwen e se aveva avuto modo di divertirsi con lei.
Leggendo il messaggio, si sarebbe alzato furioso e lo avrebbe raggiunto, magari agitando in aria un coltello per quella sveglia forzata.
Aveva ancora una leggera emicrania, qualche debole domanda da porsi, ma aveva anche collegato diverse cose che, però, gli impedivano di sollevare lo sguardo e di prestare attenzione al mondo circostante.
Qualcuno poteva sedersi vicino o rivolgergli la parola e Scott sarebbe rimasto concentrato sulla ghiaia che aveva sotto i piedi e sulle prime piantine che iniziavano a sbocciare.
“Ti sembra normale svegliare qualcuno di domenica, Scott?” Esordì una voce che lo risvegliò all’istante dal torpore.
“Duncan.”
“Non hai una bella cera.”
“Io…”
“Hai idea di cosa significhi per me alzarsi all’alba?” Domandò il punk, accomodandosi vicino al collega.
“Mi spiace.”
“Per quale motivo mi hai chiamato qui?” Lo interrogò, stringendosi nel giubbotto invernale.
“Mi serve il tuo aiuto.”
“La cosa è evidente: non mi daresti noia, se non ci fosse un ottimo motivo.” Replicò, socchiudendo leggermente gli occhi.
“Credo di aver fatto una cazzata.” Borbottò il rosso, sollevando lo sguardo.
“Sensi di colpa post sbornia?”
“In parte.”
“Che cosa mi sono perso?”
“Non ho ancora le idee molto chiare.” Mentì, consapevole di non dovergli raccontare tutta la storia.
“Incoraggiante.” Commentò il punk, accendendosi la prima cicca di giornata e porgendo il pacchetto all’amico che rifiutò la proposta.
“Sto cercando di smettere.”
“Oh…non si lasciano i grandi amori Scott.” Lo rimproverò con sguardo eloquente.
“Il medico mi ha sconsigliato di continuare con il fumo.” Protestò con un pizzico di fastidio.
“Siamo qui per parlare dei nostri vizi, del nostro futuro come vecchi romantici o per discutere di quello che pensi d’aver combinato?”
“Ho fatto una stronzata.”
“Come il solito.”
“Secondo te sono patetico?” Chiese il rosso, sbuffando come una ciminiera.
“Finiscila di girarci in tondo e sputa il rospo.” Tossicchiò il punk.
“Ti ho già detto che ieri ho fatto un casino?” S’informò, studiando una coppia di ragazzi che stava praticando footing.
“Per la quarta volta, credo.”
“Io…”
“Se la cosa non è grave, puoi usare la scusa dell’ubriaco.”
“Non è così semplice.”
“Che c’è? Sei uscito in strada e hai investito qualcuno?” Tentò, ben sapendo che nelle sue condizioni era altamente improbabile.
“Peggio.”
“Che cosa può esserci peggiore di questo?” Chiese il punk, assaporando l’intenso aroma che gli riempiva la bocca e aspettando la sua risposta.
“Ho baciato Dawn.” Cominciò il rosso, prendendola alla lontana e sperando di non far cadere l’amico in uno stato di shock tale da paralizzarlo sulla panchina per il resto dei suoi giorni.
“Credo di non aver sentito bene.” Soffiò, sturandosi le orecchie.
“Invece hai sentito benissimo: ho baciato Dawn.”
“Tu…cosa?!” Tuonò con rabbia inaspettata.
“Dopo che siete andati via ieri sera, ci siamo seduti sul divano. Lei mi sembrava così perfetta che mi sono avvicinato e ci siamo baciati.”
“Stai scherzando, vero?” Domandò serio Duncan, facendolo negare.
“Vorrei scherzare, ma è successo sul serio.”
“Ma si può sapere cos’hai nel cervello? È mai possibile che tu riesca a complicarti la vita, anche quando non è difficile continuare sulla tua strada?”
“Non dirmi che l’avresti ignorata.”
“Ora capisco perché dicevi che Dawn era una bella ragazza: in verità tu la ami.”
“Ti sbagli.”
“Baceresti mai una che odi o che ti fa schifo?”
“No, ma…”
“Lei non ti è del tutto indifferente.” Spiegò il punk come se fosse una cosa lampante e innegabile.
“Io…”
“Lei ti piace, vero?”
“Una volta forse.” Bisbigliò il rosso, temendo irrazionalmente che qualcuno sentisse quell’innocente confessione.
“E comunque ti sei comportato in modo stupido.” Lo rimproverò il punk, prendendo tra le mani la sigaretta e gettandola lontano.
“Non farmi la predica che due anni fa ti sei baciato con la miglior amica di tua sorella.”
“Vuoi paragonare questa roba con quello che hai fatto con Dawn? Sai che non ti conviene!” Sbraitò, facendo ghignare il collega.
“È la stessa cosa.”
“Due anni fa ero solo come un cane e nessuna mi voleva.” Confessò con una nota d’amarezza nella voce.
“Io…”
“Ero libero, non avevo legami e non come te che baci Dawn, sapendo che Courtney ti sta ancora aspettando.” Ribatté Duncan, infastidito per quella situazione che poteva complicare la vita del suo migliore amico.
“Non ho finito.” Continuò Scott, quasi strozzandosi con quelle parole.
“Che è successo poi?”
“Questa mattina eravamo nudi nello stesso letto.”
A sentire quella risposta il punk si ritrovò con la sigaretta, la seconda della giornata e accesa qualche attimo prima, persa nel vuoto. Credeva fosse uno scherzo e che qualcuno si fosse nascosto in un qualche cespuglio, per poi saltare fuori all’improvviso con una telecamera e consigliargli di riguardare la sua faccia sbigottita su uno dei programmi insulsi delle 18.
Non aveva dubbi in proposito, se non per lo sguardo e per i movimenti dell’amico che avevano annientato la sua sicurezza precedente. Stentava a credere che Scott e Dawn fossero andati a letto insieme. Per qualche interminabile secondo, una quindicina abbondanti, era rimasto pietrificato con il respiro talmente rallentato da risultare quasi morto. Se qualcuno gli avesse tastato il battito o avesse cercato di stabilire le sue funzioni vitali, probabilmente avrebbe abbassato il capo, confermandone il decesso.
Per Duncan quella situazione era illogica ed essendo priva di ogni razionalità, si era ritrovato senza la tipica lucidità e apatia che l’accompagnava.
Fu nell’avvertire il lieve venticello accarezzargli la pelle che si ricompose e, come se nulla fosse successo, iniziò a cercare un senso in quell’intricata matassa. Il punk, con quello che aveva passato e con tutti i consigli ricevuti in quegli anni, sentiva che doveva trovare a Scott una scappatoia per quel bivio su cui si era smarrito.
“Voi avete…” Tentò per aver conferma dei suoi timori.
“Ricordo solo d’averla baciata e di essermi risvegliato questa mattina, mentre la tenevo stretta a me.”
“Ti sei incasinato la vita.”
“Credi non lo sappia?”
“Ma come si fa, dico io, a rovinarsi in questo modo?”
“Io…”
“Sei fidanzato con Courtney e tu vai a letto con una come Dawn.”
“Ti giuro che non so cosa mi sia passato per la testa.” Brontolò il rosso.
“Almeno hai idea di come uscire da questa situazione?” Chiese il punk, fissando l’amico.
“Non proprio.”
“Ora capisco il perché tu mi abbia seccato a quest’ora.” Ammise Duncan.
“Mi sono svegliato e per la paura sono scappato, venendo subito qui.”
“Scappare dal problema non ti aiuterà a risolverlo.”
“Dovevo aspettare il suo risveglio, magari prepararle la colazione come se niente fosse successo, per poi dirle che per noi non c’è nessun possibile futuro e ferirla di nuovo?” Domandò Scott, resistendo alla tentazione di accendersi una sigaretta.
“Le devi parlare e tu lo sai.”
“Cazzo.”
“E anche Courtney dovrebbe sapere di questa scappatella.” Aggiunse il punk, facendo sussultare l’amico che non si aspettava di sentire quell’obbligo.
“Perché proprio a me?”
“Sei stato tu a volerlo.”
“Le cose andavano così bene e ho mandato tutto al diavolo.” Sbuffò il rosso.
“Prima di suicidarti, posso farti una domanda Scott?”
“Ti ascolto.”
“Io non sono interessato alla tua risposta, anche perché non voglio far soffrire Gwen, ma a chi hai intenzione di rinunciare?”
“Rinunciare?”
“Non puoi averle entrambe.” Sussurrò Duncan, aggiungendoci un ghigno dei suoi.
“Non credi che la mia scelta sia ovvia?”
“È più difficile di quanto vuoi ingannare la tua coscienza.”
“Come puoi dirlo?”
“Rinunci a Courtney, rendi felice Dawn, ma sbandieri ai quattro venti che sei un traditore incapace di resistere alla tentazione e che la lontananza può renderti le cose difficili.”
“Io…”
“Rendi felice Courtney e getti nello sconforto Dawn che, con quello che ha vissuto, potrebbe non riprendersi  mai più.”
“Cazzo.”
“Facevi la predica a Beverly, affermando che era un bastardo e tutto il resto? Ora sei nella medesima posizione, se non peggio.” Replicò il punk.
“Cosa mi consigli?”
“Io non posso dirti di stare con Courtney o di provare con Dawn: sei l’unico che può scegliere.”
“Perché è tutto così difficile?” Borbottò il rosso.
“Ti consiglio di tornare a casa e di affrontare il problema.”
 
Scott avrebbe tanto voluto fare come gli aveva consigliato Duncan.
Non era folle affermare che il suo desiderio era quello d’incamminarsi verso il suo appartamento, aprire la porta e parlare con Dawn. Avrebbe risolto la questione, rinnovando il suo amore per Courtney con la speranza di non doversene pentire.
Aveva scelto la sua fidanzata solo per un motivo: era la scelta più logica e quella che tutti si aspettavano che facesse. E se questo significava ingoiare un paio di rospi, rinunciare a Dawn e tentare di ricucire uno strappo insanabile, allora l’avrebbe fatto.
Non aveva nulla contro la sua coinquilina, ma davvero non riusciva a considerarla come un’ipotetica fidanzata. Le piaceva, questo era fuor di ogni dubbio, e nutriva un affetto pari solo a quello che mostrava verso la sua famiglia. Tuttavia era terrorizzato. Era irrazionale, stupido e infantile, ma lui non voleva stare con Dawn per farla soffrire e per poi, in un terribile giorno, porre fine alla loro relazione.
Si accontentava di soffrire e di sognare un qualcosa che non ci sarebbe mai stato. Lo faceva solo per evitare noie e sofferenze a una ragazza che aveva patito anche troppo durante la sua vita.
Già doveva contare il passato doloroso della sua famiglia con una madre morta, un padre condannato e una sorella partita per chissà dove, poi doveva sommare la fine tragica della sua vecchia relazione con Beverly e i litigi avuti con Zoey e Gwen. E anche se qualcosa si era risolto, il suo cuore sanguinava ancora e non meritava di subire una botta che poteva essere evitata.
Le avrebbe chiesto scusa, invitandola comunque a rimanere nella sua abitazione, ma pregandola di non fare pazzie.
Non voleva lasciarla così o sbatterla fuori dal suo appartamento solo perché lei provava a intromettersi. Se fosse dipeso da lui, l’avrebbe tenuta nella sua dimora per tutta la vita, ma questo cozzava con quello che voleva realizzare.
Un giorno Dawn sarebbe stata libera e Scott avrebbe cercato di defilarsi per evitarle guai. Trovato l’uomo della sua vita e capite le sue reali intenzioni, si sarebbe eclissato e le avrebbe permesso di essere felice.
Con questi pensieri e incurante degli sguardi dei passanti, verso le 9 aprì la porta del suo appartamento e subito vide la figura che era croce e delizia per la sua tormentata psiche.
Vestita con un semplice pigiama e seduta sul divano in compagnia di alcuni tomi vi era Dawn che era intenta a studiare.
Nel vederla così impegnata, Scott arrossì appena.
Era come un angelo e al rosso parve di vivere in un déjà-vu.
Avevano già vissuto quella situazione almeno un centinaio di volte, anche se la sua ammirazione per lei era sbocciata solo la sera precedente. Ricordava d’essersi seduto vicino a lei per un attimo di relax e che aveva iniziato a scrutarla con attenzione, scendendo e soffermandosi sul gracile fisico che iniziò con lo sfiorare appena.
Nonostante i suoi occhi fissi, l’alcol ne aveva azzerato ogni controllo e Scott era finito con il carezzarla sempre più intensamente.
Rialzato lo sguardo e incrociati i suoi occhi chiari, si era fiondato sulle sue labbra, aspettandosi un rifiuto e ritrovandosi invece accolto da un calore inebriante che li portò ad abbandonare ogni indugio e a passare il resto della serata nella stessa stanza a fare l’amore.
I suoi ricordi s’interrompevano qui.
Non ricordava il piacere che aveva provato, se c’era stato.
Nella sua mente erano rimaste impresse le sue labbra, le sue carezze e il sorriso che aveva intravisto alle quattro, prima di scappare terrorizzato.
“Scott…stai bene?” Esordì Dawn, mentre lui, pallido e confuso, era rimasto fermo vicino alla porta per molti minuti. Nel vederlo in quello stato credette avesse dormito poco e male a causa della recente vittoria e preoccupata aveva dato voce ai suoi timori, facendolo sussultare come se l’avesse beccato con le mani nella marmellata e risvegliandolo dai suoi intricati pensieri.
“Perché proprio con te?” Si chiese retoricamente, come se aspettasse una qualche risposta divina provenire da qualche angolo della casa.
“Che cosa Scott?”
“Non doveva accadere.” Si rimproverò il rosso, cacciando un profondo sospiro.
“Di che parli?”
“Di tutto.”
“Tutto cosa?”
“Non ricordi nulla di ieri sera?” Tentò il rosso, azzerando la distanza che si stendeva tra la porta d’ingresso e il divano e sedendosi, quindi, vicino a lei.
“Solo che hai vinto il contest e che abbiamo festeggiato fino a tardi con Zoey e gli altri.”
“Se è così che la vuoi mettere, avresti ragione.”
“Ho dimenticato qualcosa?”
“Mi prometti di non arrabbiarti?” Chiese preoccupato, rendendo irrequieta l’amica.
“Perché dovrei arrabbiarmi?”
“Mi sono divertito molto con gli altri, ma è successa una cosa dopo che siamo rimasti soli.”
“Non ricordo.”
“Eravamo seduti su questo divano, proprio come ora, e abbiamo parlato un po’, nonostante fossimo un po’ alticci.”
“Strano che non abbia sbroccato, di solito non lo reggo l’alcol.” Rise Dawn, sperando di allentare la tensione e di restituire un sorriso a Scott che era teso come una corda di violino.
“È una cosa seria Dawn.”
“Hmm?”
“Tu davvero non ricordi nulla di quello che è successo?”
“No, anche se dovresti spiegarmi perché ero nuda nella tua stanza.” Sbuffò Dawn, facendo negare l’amico che sperava di non doversi scontrare anche con l’innocenza della coinquilina.
“Se ti dicessi, per assurdo eh, che ci siamo baciati…tu che faresti?”
“Io…”
“Purtroppo non è stata un’assurdità: è successo davvero.” Ripeté, facendola tremare.
Un fiume attraversò la mente di Dawn, permettendole di ritornare in possesso di buona parte dei ricordi della sera precedente.
Le era bastato sentire che aveva baciato Scott e che avevano approfondito quel contatto e si sentì avvampare. In un attimo la sua mente le mostrò qualche immagine delle chiacchiere avute con Zoey e Gwen, della festa di celebrazione per la vittoria e del brindisi.
Lo sguardo di Scott, normalmente severo e strafottente, era scomparso quando si ritrovarono a sfiorare i calici carichi di Champagne.
Erano rimasti per alcuni secondi con i bicchieri in aria, scambiandosi sguardi intensi e sorrisi sinceri. Dawn si ritrovò ad arrossire nel leggere i suoi occhi e sedutisi a tavola con l’intento di mangiare alcune tartine, a causa dell’alcol, finirono con il flirtare e con lo stuzzicarsi amabilmente.
Quegli occhi grigi e malinconici la sciolsero e finì con l’accomodarsi sul divano, laddove il suo sguardo la fece arrossire e poi sentire protetta. Le sue labbra leggermente screpolate si aprirono con decisione e dolcezza, causandole un tremito e restituendole la felicità che per troppo tempo era stata lontana.
“Noi…”
“È successo Dawn.”
“Sul serio?” Chiese la giovane, stringendosi nelle spalle.
“Credo ci siamo fatti trascinare un po’ troppo.”
“No.” Ringhiò lei, facendolo sussultare.
“No? In che senso, Dawn?” Domandò Scott con preoccupazione.
“Per me quel bacio è stato tutto.”
“Io…”
“Tu cos’hai provato?” Tentò, prendendolo in controtempo.
“Non importa cos’ho provato…è tutto il resto che è sbagliato.”
“Ti è piaciuta la nostra serata?” Chiese Dawn, facendolo tremare.
“Dawn…io non posso.”
“Perché no?”
“È stato tutto un errore.” Rispose categorico, abbassando il capo.
“Un errore?”
“Il nostro bacio, la nostra notte di passione…non può ripetersi mai più.” Riprese, tentando di rimettersi in piedi.
“Ieri non era così.”
“Prova a capirmi.”
“Che cosa dovrei capire?”
“Sono in una situazione complicata.”
“Sei tu che la dipingi così solo perché non accetti la realtà dei fatti.”
“Quale realtà?”
“Dovresti averlo capito ormai.”
“Dawn io non posso stare con te.” Mormorò dispiaciuto.
“Perché?”
“Devo ammettere che mi piacerebbe tanto, ma purtroppo non è possibile.” Sbuffò, rattristandola di nuovo.
“Io…”
“Io non posso perdere Courtney.” Bofonchiò, facendo scattare Dawn.
Lui non lo faceva per amore. Lo faceva solo per un motivo incomprensibile che non avrebbe mai portato alla sua crescita personale che l’avrebbe costretto a rimanere l’eterno 22enne infelice.
“E non pensi a me?” Chiese la giovane.
“Mi dispiace.”
“Avanti dillo.” Lo esortò, sperando che non facesse come il suo ex.
“Cosa?”
“Dì pure che è colpa mia e che non mi hai mai considerato capace di fare breccia nel tuo cuore. Tu partivi già con questa sicurezza.” Gracchiò, rimpiangendo la sua scelta di essersi lasciata andare come un’ingenua scolaretta.
“Ma io…”
“Non ho intenzione di offendermi perché ormai ci sono abituata.” Lo rassicurò, turbandolo per quei discorsi troppo complicati.
“A cosa?”
“Sono stanca di sentirmi dire che tutti possono essere felici e che io sono destinata a restare sola e senza amore.”
“Dawn…”
“Tu dici che la colpa è mia, vero?” Lo interrogò, facendolo annuire mestamente.
“Credo di sì.” Soffiò, cercando di mantenersi sicuro in quello che diceva.
“Solo mia?” Domandò la giovane, avvicinandosi lentamente e fissandolo con malizia.
“Io…”
“Vedrò d’essere colpevole per tutta la vita.” Sorrise, allontanando tutti i libri e saltandogli addosso per poterlo baciare.
Nel sentire quel lieve contatto, Scott avvertì la medesima sensazione della sera precedente. L’unica differenza era che questa volta lui era ancora in possesso della ragione.
Non era ubriaco e, quindi, poteva analizzare tutto con la lucidità che il giorno prima aveva bellamente ignorato. Infatti, ripensando a ciò che doveva fare, cercò di allontanarla, seppur con fatica.
“No Dawn.” La respinse, tentando di sfiorarle una guancia.
“Io…”
“Le cose non funzionano così.”
“Perché?”
“In che lingua devo dirti che sono fidanzato?” Chiese il giovane con tutta la calma di cui era capace.
“È colpa mia se ti amo?”
“Tu…cosa?”
“Come puoi essere così stupido da non essertene accorto?”
“Non l’ho nemmeno sospettato…ti giuro.”
“Quando stavo con Beverly, io pensavo a te.” Sussurrò, arrossendo.
“La cosa mi fa piacere, ma non può funzionare.”
“Io…”
“Ti pregherei, Dawn, di non saltarmi più addosso.”
“Ma io…”
“Io amo Courtney e non voglio farla soffrire.”
“Però fai soffrire me e la cosa non ti preoccupa.” Sbuffò lei, cercando di non piangere e di recuperare la calma perduta.
“Potresti sempre baciarmi, solo per spingermi a lasciare Courtney e per restare in quest’appartamento.”
“Tu mi conosci.”
“Un tempo, forse, ma ora non ne sono così sicuro.” Borbottò amaro, rimettendosi in piedi e fissando la sua ospite.
“Mi stai dando della bugiarda?”
“Hai ancora pochi giorni per trovarti una sistemazione e se vuoi comportarti da sgualdrina solo per restare qui…beh la cosa non funzionerà.” Ringhiò Scott, raccogliendo le chiavi appoggiate sopra il tavolino e uscendo di casa.
Non aveva ben chiaro come comportarsi, anche se preferiva scappare da quella situazione che stava minando tutte le sue certezze.




Angolo autore:

Muahahahah!
Buonasera cari lettori.

Ryuk: Mi sembri di ottimo umore.

A dire il vero mi sto dando un tono. Sono stanco e dormirei per il prossimo mese, ma non si può e, quindi, fingo che tutto vada liscio.

Ryuk: Contorto e ingiudicabile.

E mi spiace informarvi che questa è solo la punta dell'iceberg...il bello deve ancora venire.
A presto!
 

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Capitolo 16
*** Cap 16 ***


Scott credeva fosse semplice mantenere la calma e seguire il discorso che si era preparato.
Doveva solamente parlare con Dawn, evitare di farla arrabbiare e convincerla che non c’era possibilità per un ripensamento. Sarebbe stato un piano perfetto per ogni altra ragazza che aveva conosciuto, ma lei era unica nel suo genere. Dinanzi ai suoi occhi e al suo sorriso si era sentito in trappola ed era ricorso alle offese e alle minacce per salvarsi, comportandosi come un bastardo.
Poteva anche accettare la serietà del momento e la sua insicurezza, ma non poteva digerire il fatto d’aver considerato Dawn come una dai facili costumi.
Di certo non poteva scappare, andare da Duncan e Zanna con il serio rischio di farli incazzare o ascoltare le chiacchiere noiose di sua madre e spaccandosi la schiena tra i campi. Fosse stato in estate, avrebbe recuperato la tenda da campeggio e si sarebbe appostato in uno dei tanti spiazzi offerti dal parco cittadino.
Quella, però, era la stagione peggiore per avere simili pensieri. L’inverno stava per essere scalzato dalla primavera e gli esperti parlavano di alcune settimane segnate dall’instabilità meteorologica.
Ripensando alla sua casa e a ciò che doveva ancora fare, iniziò a tremare. Se la coinquilina poteva essere considerata come la parte più semplice, Courtney non era così pacifica e tranquilla quando qualcuno portava via qualcosa di sua proprietà.
Trent e il resto della band lo sapevano bene. Già una volta per uno scalo aereo qualche furbacchione le aveva fregato il bagaglio a mano e la tenera leader aveva sbraitato a lungo, prima che un terrorizzato Don le consigliasse di mantenere la calma per non rovinarsi l’immagine.
Se qualcuno aveva avuto la sciagura di ritrovarsi in mezzo ad un uragano, ecco che Courtney sarebbe stata descritta come una calamità ben peggiore.
La cantante era scattata come una furia, aveva inveito contro quelli dell’aeroporto, facendo sussultare perfino quelli della sicurezza, aveva sbattuto a terra i bagagli di alcuni passeggeri e si era placata solo nell’ascoltare il consiglio del manager.
In quel caso era stato fortunato a non ritrovarsi lì.
Se fosse stato presente, in qualità di uomo della coppia, lei lo avrebbe scuoiato vivo per non aver tenuto d’occhio i suoi effetti personali. Scott aveva ringraziato il cielo di essere al Pahkitew, ma di certo non poteva esimersi dal pensare che questa volta fosse spacciato.
Pregava che, nel momento in cui le avesse riferito dell’innocente notte di passione con Dawn, non vi fossero armi nelle vicinanze.
Come minimo si sarebbe ritrovato un coltello piantato chissà dove, un microfono incastrato in gola e non sarebbe stato l’unico a uscirne male.
La stanza d’albergo numero 313 sarebbe stata resa irriconoscibile da una ragazza che, all’apparenza calma, nascondeva un lato diabolico da far paura.
Rabbrividendo al solo pensiero, si fece coraggio e s’incamminò lentamente verso il suo albergo o almeno ci stava provando, dato che si ritrovò di nuovo al parco.
Non sapeva nemmeno come ci fosse arrivato.
Per ogni tratto di strada che compiva, si voltava indietro e ritornava sui suoi passi, facendo presupporre ai passanti che fosse impazzito.
Scott avrebbe tanto voluto vedere la loro sicurezza e la loro spavalderia se fossero stati invischiati nella sua medesima situazione.
Tutti erano capaci di ragionare solo considerando la loro sfera privata che quando mostrava una qualche macchia li faceva scattare come delle molle.
Se ora si ritrovava nei guai, era perché non si era preoccupato subito per quella macchia che si era insinuata nel suo cuore.
Quando erano gli altri a correre preoccupati, lui li derideva e li fissava con superiorità senza imparare come risolvere i suoi guai.
Perfino Duncan ci era caduto e Scott si era spinto solo verso qualche consiglio fraterno.
Il resto era tutta farina del suo sacco e come una ruota che girava, ora era il suo turno di problemi, infelicità e notti insonni.
Perché aveva sì sbagliato con Courtney, ma aveva sbagliato anche con Dawn.
Era ritornato di nuovo su di lei.
Era partito sicuro dei suoi mezzi ed era ritornato al punto di partenza, aspettando che qualcosa lo rincuorasse e gli confidasse che non aveva sbagliato.
Poteva mentire alla sua coscienza, ma il suo cuore gli avrebbe ripetuto che era stato un vero bastardo a offendere una cara ragazza che non si meritava la sua amicizia.
Guardando la sua immagine riflessa sul piccolo laghetto, abitato da tenere papere e cigni, si chiese cos’era diventato.
Non era mai stato così bello come le altre credevano.
Era solo un orribile individuo che meritava di affogare nella fossa che aveva scavato sotto i suoi piedi.
Aveva tradito Courtney, trattato male Dawn, fatto un casino dietro l’altro e tutto perché non era stato capace di confrontarsi con la sua donna.
Per quanto riguardava la coinquilina, sperava che i dolcetti comprati sulla via del ritorno, fossero sufficienti come scusante per quel caratteraccio che si ritrovava.
 
Il Margarita era l’unico hotel della loro città in cui alloggiavano tutti i VIP.
Era stato costruito sul finire degli anni 80 e aveva sempre tenuto il passo, non vivendo nel sentimento dei tempi andati.
Il Ferston, per esempio, nato molto prima del Margarita era fallito all’inizio degli anni 2000 proprio per il romanticismo dei vecchi proprietari.
Quando i concorrenti spendevano per aria climatizzata, tv satellitare, Wi-Fi assicurato in ogni stanza e chiusura elettrica alle porte, loro si facevano beffe di quelle spese assurde.
Tempo due anni e il Margarita aveva preso il volo, lasciando il Ferston a leccarsi le ferite e a dover spegnere l’insegna che avevano affisso.
Dal lontano 2004 un solo hotel era degno di essere abbellito con 5 stelle luccicanti e quello non era il Ferston destinato a 3 stelle per via di alcuni optional mancanti e poi obbligato a chiudere per la dilapidazione di un patrimonio immenso.
Schiacciati dalla crisi, furono costretti a svendere l’immobile che si ritrovò ad abbellire la città come uno degli edifici fantasma che la giunta politica non riusciva a piazzare.
Il Margarita, oltre a sfruttare le loro idee geniali ,si ritrovò a comprare uno dei rari spazi verdi che si stendeva alle loro spalle e che gli consegnò la fama tanto agognata.
I motivi per cui il Ferston era fallito, oltre al pessimo senso degli affari, si potevano collegare alla lungimiranza dei rivali e alla loro scelta di acquistare un’area naturale in mezzo a tutto il cemento che li opprimeva.
Il Ferston, ingobbito da strutture vecchie, dall’impossibilità di panorami all’altezza e da altre scelte discutibili, abdicò senza colpo ferire e permise al Margarita di regalare ai propri ospiti delle serate indimenticabili negli oltre 20 ettari riempiti di alberi immensi, di qualche laghetto artificiale e di alcuni animali curati con grande impegno e costanza.
Quel Paradiso immerso nel grigiore cittadino era come il primo fiore che sbocciava da sotto la neve e che augurava una buona e felice primavera.
Non a caso cantanti, attori, autori e registi usavano quel 5 stelle come meta prediletta per ritrovare l’ispirazione, pretendendo la suite imperiale da sempre destinata a quelle celebrità troppo capricciose per accontentarsi di una normale stanza.
A volte erano gli attori di Hollywood ad avanzare simili pretese, altre i grandi politici, ma in quelle settimane la suite era destinata a Courtney. La cantante, infatti, era diventata una cliente abituale, accettando di farsi immortalare per l’eternità e di porre la sua foto a imperitura memoria nella grande sala, avvolta da una cornice dorata e in compagnia di Presidenti, sovrani e celebrità.
Anche quella volta, vittima di una generosità insolita, aveva pagato tutto di tasca sua, comprese le stanze per il resto della band che era stata fatta alloggiare sullo stesso pianerottolo.
Scott, nel salire le scale, ignorando i richiami degli addetti alla reception, sperò che lei fosse presente e che non fosse intenta a parlare con i suoi fedelissimi.
Non voleva intromissioni, né che gli altri della band ascoltassero i loro problemi.
Oltre che stupido sarebbe stato controproducente.
E se con Trent e Cody era pronto ad ascoltare i loro rimproveri, allo stesso modo non riusciva a tollerare Anne Marie e Dakota.
Con Don si sarebbe schiantato su uno stupido sorriso di circostanza, rafforzando la sua teoria che il loro rapporto fosse piuttosto normale. A volte osavano con un semplice saluto di cortesia, una stretta di mano, qualche battuta e poi filavano per la propria strada.
Quel diamante che però introduceva a ogni concerto meritava ben più di un qualche ringraziamento, anche se Scott preferiva non arrischiarsi in quel campo.
Approfittarsi della voce di Courtney solo per ricercare un tornaconto personale era un qualcosa che gli faceva ribrezzo.
Dopotutto se l’aveva convinta al provino, era solo per renderla felice e per far conoscere a tutti quella voce melodiosa che aveva ascoltato per puro caso.
Scrollando le spalle e aspettando che il suo respiro rallentasse e che non mettesse in evidenza le rampe di scale divorate di corsa, bussò con veemenza alla porta e aspettò pazientemente che Courtney venisse ad aprire.
Sotto i suoi piedi e percosso da un battito continuo, un tappeto rosso, simile a quello delle premiazioni Oscar, riceveva tutta la sua tensione.
Fu nel sentire la sua voce squillante, ancora prima che la porta si aprisse, che Scott alzò lo sguardo e tentò di mantenersi calmo.
Un semplice spiraglio gli fu sufficiente per iniziare a parlare senza esitazione.
“Dobbiamo parlare Courtney.” Esordì con voce ferma.
“Scott?”
“Posso entrare o dobbiamo discutere qui fuori?”
“Discutere e di cosa?”
“È molto meglio se mi fai entrare, se non vuoi rovinare la tua immagine.” Mormorò il rosso, sbirciando nella stanza e notando la presenza al gran completo della band.
“Ma noi…”
“Le vostre prove possono aspettare: è una cosa molto importante.”
“Quanto importante?”
“Se mi fai entrare e restiamo soli te lo posso spiegare.” Continuò, pregandola con lo sguardo di fare quanto le chiedeva.
“Mi dispiace ragazzi, ma possiamo riprendere tra mezzora?” Borbottò la leader, girandosi verso gli amici che annuendo, uscirono dalla suite, lasciando Courtney da sola con il fidanzato.
Nel farsi superare dai membri della band non percepì nulla di strano.
Trent gli sussurrò un saluto, accompagnato presto da quello di Cody, mentre Anne Marie lo aveva superato, continuando a smanettare con il cellulare e rischiando di andare a sbattere contro ogni spigolo o contro i suoi stessi amici.
Dakota, così come se l’era immaginato, gli rivolse uno sguardo di superiorità e sbuffò, passando vicino a quello che era semplice feccia.
Il rosso avrebbe tanto voluto urlarle dietro che Sam, il suo ragazzo, non era un trofeo così meraviglioso, ma desistette per non creare problemi alla band e per non perdere di vista il suo obiettivo.
“Che sia una cosa rapida Scott: non vogliamo perdere del tempo prezioso.” Lo pregò Don, stringendo un fascicolo dalla copertina arancione.
“Non te lo garantisco Don.”
“Il tempo è denaro.”
“Preferisci che la tua assistita stia bene o il vile denaro?” Chiese il rosso.
“Courtney viene prima di ogni cosa.”
“Anche perché non avresti di che mangiare, se lei ti dicesse addio.”
“Fate pure con modo.” Si rabbonì il manager che, al solo pensiero di rinunciare al denaro proveniente dalla sua stella, le avrebbe concesso anche una settimana di ferie pur di sapere che non aveva intenzione di liquidarlo con un calcio nel sedere.
Richiusa la porta e assicuratosi che nessuno avesse l’insana voglia di origliare i loro discorsi, Scott si afflosciò sul divano in pelle beige che era stato usato, fino a qualche minuto prima, da Trent e Cody per confrontarsi su alcuni accordi che dovevano essere migliorati.
Vicino al tavolino centrale c’erano ancora tutti gli spartiti e gli strumenti del gruppo, oggetti che Courtney raggruppò insieme e che poi mise al sicuro sopra un altro divano beige, occupato in precedenza da Anne Marie, Dakota e Don.
Rimasti soli e con Courtney seduta al suo fianco, tutta la sicurezza di Scott aveva preso definitivamente il volo.
Era come a scuola, quando il prof più bastardo lo beccava in castagna e lo interrogava proprio sull’unico argomento che non aveva studiato o che non aveva capito.
Tutto il discorsetto e la spavalderia di quei minuti era svanita come la neve a contatto con i primi raggi primaverili.
“Vuoi che ti offra qualcosa?” Domandò Courtney, mettendolo a suo agio e agitando un piccolo calice analcolico.
“No grazie.”
“Neanche un goccio d’acqua?”
“Potresti tirarmelo in testa per quello che ti ho fatto.” Mugugnò, chiudendo la testa in una morsa e fissando il tappeto persiano che aveva sotto i piedi.
“Sai che non sopporto i misteri.”
“Ti conosco bene.”
“Perché non vai subito dritto al sodo?”
“Prima di cominciare ti devo chiedere scusa.”
“Anch’io avrei da dirti una cosa Scott, ma posso aspettare.” Sospirò Courtney, mentre il silenzio ritornava a riempire la stanza.
Le sensazioni che aveva provato in quell’intensa mattinata erano ritornate impietose.
Non meritava l’amore di Courtney.
Non meritava nemmeno quello di Dawn, specie dopo quello che le aveva fatto.
Se fosse stato possibile avrebbe rinunciato a entrambe, ma in cuor suo sentiva che non era possibile.
Doveva fare una scelta.
Provare a ricominciare con la sua ragazza, ammesso che lei fosse d’accordo, oppure dirle la verità, ma scegliere Dawn?
Perché, così come l’aveva messa Duncan, non era semplice.
Entrambe potevano renderlo felice, ma solo con una di loro poteva costruirsi una vita senza rimpianti.
Stringendo Courtney avrebbe dovuto accettare la sua gloriosa carriera da cantante e i suoi innumerevoli tour. Potevano essere una coppia felice e senza problemi economici, ma non potevano avere una famiglia o dei figli per via del successo che Courtney doveva costruirsi.
E nulla gli impediva di sciogliere la possibilità che lei, in un giorno magari non troppo lontano, s’infatuasse e volesse uscire con qualche attore o cantante famoso e che ricevesse, quindi, il benservito.
Sarebbe passato come l’ex della cantante più famosa e amata dell’ultimo ventennio.
Accettando Dawn, invece, sentiva di poter rimanere se stesso.
Non sarebbe mai stato famoso, non sarebbe mai finito in prima pagina su un qualche settimanale per un qualche assurdo scandalo o per una qualche foto troppo intima, non sarebbe stato ricoperto dei migliori onori, ma sarebbe rimasto vicino ai suoi amici, alla sua famiglia e al suo lavoro.
“Ti ho tradito Courtney.” Ammise a bassa voce, risultando inudibile.
“Come?”
“Ieri sera, di ritorno dal contest tra i vari locali, sono andato a letto con Dawn.”
“Tu cosa?” Chiese, scuotendo le sue corde vocali in un esercizio che sarebbe stato tipico di un qualche tenore alle prime armi.
“Abbiamo festeggiato con Duncan e gli altri, poi siamo rimasti soli ed è successo l’irreparabile.”
“Tu...”
“So d’aver sbagliato, ma meritavi di sapere la verità.” Mugugnò, interrompendo sul nascere le possibili imprecazioni della sua ragazza.
“Scott…”
“Non ti sto chiedendo di metterci una pietra sopra, di dimenticare questa storia e di perdonarmi come se niente fosse: ti chiederei l’impossibile.” Commentò con distacco, apparendo ai suoi occhi come un informe pezzo di ghiaccio appena uscito dal freezer.
“Tu la ami?” Domandò Courtney, afferrando lo stelo del calice e sorseggiando il calice freddo che le avevano portato prima dell’arrivo di Scott.
Fu nel mangiucchiare l’unico pezzetto di ghiaccio presente, rinfrescandosi la gola, che posò i suoi occhi stranamente tranquilli sul suo inaspettato ospite.
“Non lo so.”
“Devi scegliere: o me o lei.” Continuò, imitando la stessa presa di posizione di Duncan.
“Io…”
“Non puoi averci entrambe.” Affermò con disinvoltura, notando che il fidanzato continuava a fissare il tappetto che si stendeva sotto i suoi piedi e che abbelliva quella stanza con un tocco orientale molto delicato.
“Perché?”
“Potresti tradirmi di nuovo e la cosa sarebbe umiliante.” Rispose, notando che quella possibilità poteva essere estesa anche al contrario.
“Courtney…”
“Se ti preoccupa la mia immagine pubblica, puoi stare tranquillo.”
“Non saprei chi scegliere.”
“Il tuo cuore lo sa, ma ti rifiuti di dargli ascolto.” Lo rimproverò la cantante, appoggiando il calice sul frigo bar e recuperando, da una piccola credenza, una rivista a livello nazionale che al suo interno presentava, oltre alle immancabili ricette di cucina, all’oroscopo e ai consigli medici, una sezione gossippara che la riguardava da molto vicino.
“Non vorrei sbagliare.”
“Hai paura di danneggiarmi?” Richiese Courtney, sfogliando la rivista con noncuranza e rovinando le prime pagine riguardanti un’attrice che aveva speso parole al vetriolo per gli ultimi concerti e dischi della sua band. Si trattava di una di quelle dive invidiose incapaci di congratularsi con le nuove generazioni e che, fino al decennio precedente, erano sul tetto del mondo, ma ora con l’avanzare dell’età, si erano ritirate a semplici comparse o si accontentavano di partecipare alle registrazioni nei salotti buoni della tv dove i pettegolezzi, le lacrime e le accuse erano all’ordine del giorno.
“Un po’.”
“Non sei l’unico a collezionare cazzate e la mia immagine è già incrinata da qualche giorno.”
“Che intendi dire?”
“Sere fa, dopo l’ultimo concerto, è successo che io e Trent abbiamo passato il nostro tempo insieme e i paparazzi non sono stati così clementi con noi.”
“Voi…”
“Non farmi la predica Scott: alla fine te l’avrei detto.” Ammise, mostrando l’articolo su cui era stampata una foto che la ritraeva all’uscita da un locale in atteggiamenti intimi e inequivocabili con il chitarrista del gruppo.
“Ah sì? E quando?”
“Sei geloso, Scott? Dopo quello che hai fatto con Dawn?” Chiese la leader con un risolino accennato che sconfisse l’improvvisa rabbia del rosso.
“E io ho trattato male Dawn solo perché credevo d’essere il bastardo della situazione?”
“Sarebbe cambiato qualcosa se ti avessi avvertito?”
“Che cazzo di domande mi fai? Sarebbe cambiato tutto…e in meglio.” Tuonò, posando i suoi occhi furiosi sulla cantante.
“È inutile continuare con questa storia e tanto vale ammettere che tra noi è tutto finito.”
“Pensavo fosse più difficile.” Commentò, grattandosi imbarazzato la testa.
“E ora cosa farai Scott?”
“Mi sono messo in una situazione complicata.”
“Già.”
“Almeno potrò dormire la notte e avere la certezza di non sentirmi un verme.” Soffiò con apparente calma.
“Credo sia colpa mia, Scott. Non sono riuscita ad affrontarti e ora hai trattato male anche Dawn.” Si rimproverò, abbassando lo sguardo
“L’ho fatto perché credevo di recuperare terreno, ma alla fine ho aperto una voragine sotto i miei piedi.”
“Spero che non sia troppo tardi per voi.” Sospirò Courtney, mentre Scott si rimetteva in piedi.
“Non posso saperlo fino a quando non sarò a casa.” Soffiò il rosso, vedendo la sua ex alzarsi e abbracciarlo per fargli forza.
“Io farò sempre il tifo per voi, Scott.”
“Non farti scrupoli a chiedere il mio aiuto se dovessi averne bisogno.”
“In questi momenti ho proprio bisogno di un amico che mi possa risollevare il morale.” Biascicò Courtney, rivolgendogli un sorriso.
“Ricorda, però, che se Trent dovesse farti soffrire, non esisterà uno stadio che possa salvarlo.”
“A proposito di stadi Scott…c’è un’ultima cosa che avrei da dirti.” Ammise Courtney, fissandolo intensamente.
“Quale?”
“Probabilmente, anche senza la mia notte con Trent e la tua con Dawn, la nostra storia si sarebbe presto conclusa.”
“Perché?” Chiese incuriosito da quelle strane parole.
“Forse avrei anche perdonato la tua scappatella, ma non credo saresti stato felice di apprendere che io e la mia band siamo diventati famosi anche in Europa e che presto dovremo trasferisci per continuare il nostro percorso.”
“Cavolo.”
“Don dice che si tratta di una serie di concerti, di dischi e di partecipazioni che ci faranno girare per quasi tre anni.”
“Sarei rimasto senza di te per così tanto tempo?” Chiese il rosso leggermente infastidito per quel segreto che ormai non lo riguardava più.
“Nemmeno io ero troppo felice di questa situazione, ma poi mi sono lasciata convincere.”
“Ora per te sarà più semplice, stando con Trent e zittendo i pettegolezzi dei vari giornalisti.”
“Quanto li odio quei disgraziati.” Ringhiò la castana.
“Almeno adesso non avrò più fastidi.”
“Quelli famosi vivono sempre nel terrore dei paparazzi.”
“Non v’invidio per niente.”
“E io non invidio quello che dovrai fare per Dawn.” Borbottò Courtney, risvegliando il suo interesse.
“Dawn…”
“Si vede che sei innamorato di lei.”
“Se non lo fossi, non sarei qui.”
“Non ti ho fatto storie per il suo trasferimento solo perché doveva essere felice e non volevo rovinare tutto come al mio solito.” Ammise, facendolo tentennare.
“Io…”
“E la sua felicità sei tu Scott.” Affermò la cantante, usando lo stesso tono di sua madre quando era davanti a una qualche marachella.
“Credevo la odiassi.”
“Io non sono cattiva…sono dalla sua parte.”
“Come?”
“Ammiro Dawn per quello che è riuscita a fare: io stessa non sarei mai riuscita ad accettare l’idea di non avere una famiglia a darmi forza.”
“E perché una ragazza come te invidia una che non ha nulla?” Chiese, facendola sorridere.
“È tornata a vivere con una determinazione incredibile e ha degli amici che non la abbandoneranno mai. Lei aveva perso tutto, ha ricominciato da zero, ha preso la sua vita in mano e ti ha rubato un sorriso.”
“Come nella tua canzone.” Soffiò Scott.
“Era dedicata a lei e alla sua forza di volontà.”
“Non credo abbia mai ascoltato un tuo CD.”
“Ora, però, tu le hai strappato via il sorriso e potrebbe non rialzarsi.”
“È per questo che devo rimediare.” Affermò il rosso, battendosi una mano sul petto.
“Credo sia il minimo.”
“Prima che vada, posso sapere tra quanto partirai?”
“Ho ancora qualche noia per il passaporto, ma credo che due settimane siano sufficienti per questi problemi burocratici.”
“Avrai sicuramente successo, Courtney.” Sorrise il rosso, contagiando l’amica che si sciolse a quel pronostico innocente.
“Anche se sarà una strada tortuosa, non usciremo mai sconfitti.” Replicò divertita, alzando il pollice in segno di vittoria.
“Mai arrendersi.” Soffiò, ripetendo il medesimo segno d’incoraggiamento e uscendo per sempre dalla sua vita.




Angolo autore:

Credevate mi fossi dimenticato dell'appuntamento del mercoledì?

Ryuk: Tecnicamente è così...siamo già a giovedì.

Questo non significa nulla.

Ryuk: Ti sei solo dimenticato, per la decima volta, di pubblicare...sai la novità.

Ieri sera si è rotto il tram e mi son fatto 8 Km a piedi, scusa se non avevo tanta voglia di accendere il pc.

Ryuk: E dovevi preparare la cena.

Oltre che farmi un bagno e stare sotto il condizionatore per avere un po' di fresco.

Ryuk: Giornata penosa.

Alla fine almeno sono arrivato, anche se Scott ne combina di tutti i colori. Ed era convinto che avesse cornificato Courtney, ma lui ne aveva già un paio da chissà quanto.
Le storie quelle belle e sensate.

Ryuk: detto questo vi salutiamo.

A presto!



 

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Capitolo 17
*** Cap 17 ***


Erano circa le 17 prima che Scott trovasse il coraggio di aprire la porta di casa.
Aveva fatto una capatina nella pasticceria preferita di Dawn per comprare le sue ciambelle e poi aveva dato un’occhiata al Pahkitew che recava ancora il foglio di chiusura.
Quei pochi clienti che avevano incontrato le serrande abbassate, avevano creduto che Chef Hatchet fosse uscito di senno per perdere un guadagno così facile. Appurato che fosse inutile restare davanti alla porta chiusa, si divisero, permettendo a Scott di leggere il foglio che Chef aveva appiccicato frettolosamente.
Non aveva mentito quando aveva affermato che potevano concedersi una settimana di riposo oltre al giorno successivo alla vittoria del contest.
Una settimana di relax gli avrebbe permesso di stare con Dawn senza doversi preoccupare dei turni massacranti, recuperando il loro rapporto.
Accesosi una sigaretta e rimirato il cielo che si stava scurendo sempre più, si avviò con passo svelto verso il suo appartamento, continuando a stringere il minuscolo pacchettino che aveva comprato in pieno centro.
Durante la passeggiata, Dawn tornò a essere il suo pensiero fisso.
Da quando avevano fatto l’amore, dubitava che lei fosse realmente innamorata del suo aspetto e del suo carattere. Capitava anche alle persone più insospettabili che una leggera infatuazione potesse sconvolgere tutto l’insieme. Ma quando lei aveva tentato di baciarlo e aveva cercato di trattenerlo, lui si era come rasserenato.
Non stava mentendo. Lei era veramente innamorata e l’appartamento passava in secondo piano nella scala delle sue esigenze. Una volta c’erano le sue amiche al primo posto, poi era sopraggiunto Beverly e infine aveva scalato le gerarchie.
Solo nello schiacciare i sassolini che anticipavano il percorso interno al parcheggio condominiale, si era reso conto che Dawn era cambiata molto da quando stava nella sua baracca.
“Sono solo un’idiota.” Borbottò, salendo di corsa le scale e ritrovandosi davanti alla porta del suo appartamento.
Inserita la chiave, la serratura era scattata senza difficoltà, mostrando un ingresso avvolto nella più totale oscurità.
Il rosso si ritrovò a pensare che fosse strano. Era ancora troppo presto e, sempre che non fosse andata via la luce per un blackout, non c’era motivo di quel buio opprimente. Sfiorato l’interruttore che aveva alla sua destra e richiusa la porta alle sue spalle, appoggiò le chiavi sulla minuscola mensola.
Credeva che Dawn corresse subito per riprendere la discussione, ma nel girarsi verso il salotto si accorse di un elemento che lo lasciò sorpreso: le tapparelle erano abbassate a notte e non lasciavano passare nemmeno un filo di luce.
Incuriosito da quella situazione, le rialzò velocemente, per poi fare un rapido giro della casa in cerca dell’amica.
Il bagno era completamente deserto. Svuotato di ogni suo interesse e privo di tutte le sue creme, i suoi balsami e i suoi profumi ecologici.
Ritornato nel minuscolo corridoio, buttò lo sguardo sull’appendiabiti e notò la mancanza del suo cappotto invernale. Era improbabile che l’avesse già messo via, ma lui continuò a ferirsi, credendo che Dawn fosse nella sua stanza, che stesse cucendo uno dei bottoni e che le creme le servissero per un’ultima ricerca farmaceutica.
Senza nemmeno impegnarsi, snobbò la porta della sua camera, intuendo che lei non aveva motivo per nascondersi proprio lì. Quello era il luogo in cui, se possibile, non avrebbe più messo piede fino a quando non si fossero riappacificati.
Prima di pentirsene, toccò la maniglia della stanza di Dawn, premette sull’interruttore e la luce mostrò l’interno desolante della stanza.
Lei non era nemmeno lì.
E con lei erano scomparsi anche i suoi libri zeppi di termini incomprensibili e l’immancabile portatile che le serviva come resoconto per tutti gli esami che aveva conseguito brillantemente.
Era sparito tutto.
Scott, non convinto ancora di quella situazione, aprì con foga l’armadio, quasi scardinando l’anta dalla sua sede.
Non c’era più nulla.
Il suo cappotto era volato via con lei. La sua biancheria intima gettata in una valigia beige che non si trovava. Le sue magliette, i pantaloni e la divisa scolastica erano stati portati via nel cuore della notte.
Colpito da quella situazione, quasi barcollando si ritrovò fuori dall’ex stanza di Dawn e percorse il piccolo corridoio, sperando che quello fosse uno scherzo.
Fu nel stendersi sul divano a fissare il soffitto che si chiese se avesse portato via davvero tutto.
Non poteva pensare che Dawn volesse cancellare la sua esistenza dal suo appartamento.
Preoccupato si alzò e raggiunse il frigo, il quale si mostrava svuotato di tutti i succhi alla pesca che lui recuperava dal Pahkitew.
Prima di chiuderlo, attaccato con un pezzo di scotch al portabottiglie, vi era un foglio che lo fece rabbrividire.
Lo staccò, lesse le poche righe che erano riportate e intuì che quello era un addio.
Lei non sarebbe mai più tornata indietro per riprendere la discussione. Aveva appena perso la guerra più importante di tutte: quella con il suo cuore e la sua coscienza.
“Scott,
quando leggerai queste poche righe sarò già lontana.
Tu hai sempre avuto ragione sul mio conto.
Dopotutto che te ne fai di una che vuole vivere nel tuo appartamento solo perché ti ama? Sono sicura che capirai.
Hai avuto modo di usarmi per i tuoi comodi come Beverly e, ora che hai ottenuto ciò che volevi, usi Courtney come scusa.
Una volta dicevo di amarti. Come si fa ad amare una persona che prende il tuo cuore, lo calpesta e poi ti sorride, illudendoti d’essere in grado di ricomporlo?
Come si fa a vivere così? Quando credi di meritarti la felicità per poi vedere solo un’altra faccia che ti prende in giro.
Io sono stanca di sentirmi dire che ho sempre sbagliato e solo perché ripongo la mia fiducia nelle altre persone.
È insostenibile continuare così ed io non voglio più saperne d’amare.
L’amore è una fregatura…ti corrompe, ti fa battere il cuore, ma non riempie ciò di cui hai bisogno.
Ma tanto è inutile. Tu sai già tutte queste cose Scott.
Sei stato proprio tu a insegnarmele, segno che sai cosa si prova.
E allora perché mi hai usato in questo modo?
Solo perché sono sempre stata sola?
Non più.
Non sarai più nei miei pensieri e per questo ho deciso di andarmene.”
 
Scott, nel leggere quelle poche parole, barcollò paurosamente.
Dawn era andata via.
E questo solo per colpa della sua maledetta lingua lunga.
Nel rileggere quelle frasi, afferrò con rabbia le chiavi della macchina e uscì di casa, rischiando di urtare la vecchia Beth che era appena rientrata dal suo giro pomeridiano.
Prima di discutere con Dawn, lei non aveva menzionato nessuna novità sul piano abitativo e pertanto gli era rimasta una sola possibilità.
Non sarebbe mai tornata dai suoi parenti e le uniche che potevano accoglierla erano Zoey e Gwen.
Salito in auto e imprecato contro il traffico, si apprestò a seguire il classico tragitto che lo conduceva dalle sue vecchie amiche.
Normalmente avrebbe chiesto a Duncan sostegno morale, ma non era nelle sue intenzioni incasinarsi ulteriormente.
Il sostegno del punk poteva essere prezioso, ma non se questo significava rovinare la sua relazione con Gwen.
Probabilmente le due conoscevano già i fatti e l’avrebbero affrontato a muso duro per quanto era successo.
Sbuffando innervosito e rischiando di beccarsi una multa per eccesso di velocità, parcheggiò sotto il loro appartamento e scese dalla vettura.
Citofonò al secondo campanello sulla destra e sentì chiaramente la voce gracchiante di Gwen all’altro capo.
“Gwen…sono io…”
“Scott?”
“Puoi dirmi se Dawn è qui?” Chiese preoccupato.
“Lei non vuole vederti più.”
“Sono stato un coglione lo so, ma voglio farmi perdonare.”
“Qui non si tratta di perdonare.” Ringhiò la dark, facendo sussultare anche Zoey che era uscita dalla sua stanza nell’udire la suoneria del citofono.
“Ti prego…”
“Adesso io e Zoey scendiamo e ci spiegherai cosa le hai fatto.”
“D’accordo.” Mormorò il rosso.
 
La pazienza non era mai stata una delle sue migliori virtù, specie se si trovava sotto pressione e non c’era troppo tempo da perdere.
Scott, nell’attesa, era stato anche sul punto di accendersi una sigaretta, salvo desistere e aspettare l’arrivo delle due amiche.
Prima che potesse formulare delle scuse decenti, il vecchio portone scricchiolò minacciosamente e Zoey e Gwen gli si presentarono davanti.
“Dawn sta bene?”
“Sì, ma non vuole vederti più.”
“La capisco.”  Soffiò, abbassando il capo dinanzi alle parole della dark.
“Ci puoi spiegare il perché tu sia stato così cattivo con lei?”
“Credevo di poter risolvere le cose con Courtney, ma nella mia stupidità ho ferito l’unica ragazza che mi abbia mai amato veramente.”
“Tutto qui?” Insistette Zoey.
“Tra me e Courtney è tutto finito.”
“Credi che questo sia sufficiente per Dawn?” Continuò la rossa, mentre Gwen manteneva il silenzio ben sapendo che aprendo bocca avrebbe causato solo problemi.
Era conscia di non sapersi controllare e in quella situazione la delicatezza e la diplomazia non erano dei dettagli di poco conto. Se volevano risolvere qualcosa o quantomeno placare la guerra in atto, dovevano evitare discussioni superflue.
“Solo ora capisco quanto fosse importante e quanto non possa stare senza di lei.” Mormorò, iniziando a singhiozzare appena.
“Che cosa vorresti da noi?”
“Vorrei parlarle.”
“Lei non vuole vederti mai più.”
“Vi prego.” Piagnucolò, prima che una figura a lui nota si avvicinasse a Gwen e Zoey.
“Scott non forzare la mano…per oggi hai sbagliato anche troppo.”
“Anche tu Mike?”
“Mi hanno raccontato cosa hai fatto e ti conviene lasciar passare qualche giorno per farla sbollire.”
“Se faccio come dici, lei finirà con l’odiarmi ancora di più.” Ammise il rosso, abbassando il capo.
“Noi non abbiamo intenzione di farti entrare.” Replicò il giovane.
“Che cosa posso fare ora?”
“Noi vedremo di aiutarti Scott, ma dovrai essere tu a fare la maggior parte del lavoro.” Gracchiò Gwen, parlando anche in nome dei compagni.
“Io…”
“Questa storia resterà solo tra noi.” Promise Mike, facendo sospirare il rosso.
“Va bene.”
“Per oggi, però, ti conviene uscire e svagarti un po’.” Gli consigliò l’amico, mentre Zoey e Gwen iniziavano già a confabulare tra loro per risolvere la faccenda. Scott, nel vederle così intente a discutere, avrebbe chiesto volentieri se avessero qualche idea, ma desistette. Sapeva bene che la mente femminile in certi casi era infallibile e lui di certo non voleva sbagliare approccio nuovamente.
“Non so dove.”
“Recupera Duncan e fate un giro.” Borbottò Zoey.
“Io…”
“Anche se sembra un po’ tonto, può farti capire i tuoi sbagli.” Ringhiò Gwen con quello che sembrava più un ordine che un consiglio accorato.
“Ma lui mi darebbe dell’idiota.”
“Per come hai trattato Dawn, lo sei ai massimi livelli.” Lo rimproverò Mike, facendolo sussultare.
“Non posso fare nulla per questa sera?”
“No.” Rispose secco il moro.
“Potreste almeno recapitarle un messaggio?” Tentò, pregando i suoi interlocutori di accogliere quella richiesta disperata.
“Quale?”
“Prima di uscire dall’auto e di citofonare ho ritrovato la lucidità, ho riletto la sua lettera e ho risposto alle sue domande.”
“Di che lettera parli?” Domandò spiazzata Zoey, non ricordando d’aver sentito qualcosa di simile dalla sua migliore amica.
“La sua lettera d’addio.”
“E tu?” Chiese Mike, fissando il foglio che Scott gli stava porgendo e che mostrava una calligrafia abbastanza decisa.
“Non leggerla…è un qualcosa che serve al suo cuore.”
“Potremmo ascoltarti, se ci prometti che questa lettera non la farà soffrire di nuovo.” Sbuffò Zoey, mentre recuperava la lettera da Mike e la metteva in una delle tasche della sua felpa.
“Avete ancora un po’ di fiducia in me?”
“Non troppa.” Ammise Gwen.
“Le parole che ho scritto, la faranno stare un po’ meglio.”
“E tu?”
“Cosa m’importa di soffrire se lei non ritorna com’era prima?” Mormorò, ringraziandoli con un fugace sorriso.
Ritornato a fissare il freddo marciapiede, Scott si voltò, dando loro le spalle e ritornò alla sua macchina con la speranza che Duncan non fosse troppo impegnato per un’uscita utile soltanto a placare i rimorsi che gli stavano attanagliando il cuore.
 
Rimasti con quel dubbio, Zoey decise, senza consultarsi con gli altri, che quella lettera doveva essere consegnata a Dawn.
Non era giusto che la spulciassero e che decidessero per lei. Conoscevano bene Scott e di certo non avrebbe scritto una qualche cattiveria con cui mortificarla e scatenare le ire del gruppo.
Rientrati in casa e salutato Mike che era sopraggiunto solo come sostegno morale, Zoey si avviò verso l’ultima porta che conteneva tutta la disperazione di Dawn. Prima di bussare, però, si ritrovò bloccata da Gwen che prese a fissarla con uno sguardo capace di far rabbrividire chiunque.
“Ti fidi ancora di lui?”
“Lui non è cattivo e tu lo sai.”
“Non lo è? Dopo quello che ha fatto a Dawn?” Protestò senza spostarsi di una virgola.
“Possibile che sia sempre l’unica a leggere negli occhi delle persone?”
“Io ho visto solo un guscio vuoto che merita di soffrire.” Ringhiò la dark, cercando di afferrare la lettera che Zoey teneva in mano.
Nemmeno lei aveva chiari i propri intenti. Anche se l’avesse recuperata, non sapeva che farsene delle sciocchezze che Scott aveva scritto. Per curiosità l’avrebbe letta e poi l’avrebbe bruciata così come faceva abitualmente con le scartoffie che riempivano la sua scrivania.
“E noi cosa eravamo?”
“Hmm?”
“Perché pensi che Scott ci abbia chiuse nel suo appartamento con Dawn quella volta?”
“Per quel che vale, questo potrebbe essere frutto di un suo piano.” Mormorò Gwen, rinunciando, per via della difficoltà, al suo proposito di distruggere la lettera.
“Se è così che la pensi, non rivolgerai più la parola a Dawn.”
“Ma perché?”
“Hai appena affermato che Dawn merita di soffrire e questa è una delle tue crudeltà peggiori.” Ammise Zoey, facendo sussultare la coinquilina.
“Non ho mai detto nulla di simile…è solo che mi secca vederla piangere.”
“Se ben ricordi tutte le volte che piangeva, Scott riusciva a risollevarle il morale e io sono certa che anche questa volta riuscirà a farle tornare il sorriso.” Soffiò la rossa, facendo negare appena Gwen che non sembrava troppo convinta.
“T’invidio Zoey: vorrei tanto essere ingenua come te.”
“Ehi!”
“Non è una cosa negativa.”
“Ne sei sicura?” Domandò con un pizzico di curiosità.
“Sarebbe bello se riuscissi a fidarmi di tutti e a tenere sempre una porta aperta anche per le persone che mi hanno fatto soffrire in passato.”
“È questione di pratica.” Ammise Zoey, mentre Gwen si spostava e iniziava a bussare con veemenza alla porta di Dawn.
“Mi hai convinto.”
“Tutti sappiamo che fai tanto la dura, ma che hai un cuore tenero.”
“Non aggiungere altro se non vuoi ritrovarti con un occhio nero.” La minacciò la dark, udendo alcuni passi che si avvicinavano all’uscio.
 
Dawn, nei suoi stati, avrebbe chiesto di non essere disturbata.
Era a pezzi. Gli occhi arrossati, l’emicrania, la rabbia che faceva tremare il suo esile corpo e tante altre piccolezze l’avevano spinta a tuffarsi sul candido letto che le avevano messo a disposizione.
Quel tocco pesante alla porta e quel chiacchiericcio fastidioso la costrinsero ad alzarsi, facendo entrare solo un debole fascio di luce. Non voleva pensare che le sue amiche avessero accolto quel gran bastardo di Scott, né che lui si stesse premunendo di farla stare bene, quando qualche ora prima l’aveva presa e poi gettata come un vecchio paio di scarpe.
“Non voglio…vedere nessuno.”
“Lo sappiamo Dawn, ma è arrivata una lettera a tuo nome.”
“Una lettera?” Mormorò, allungando la mano verso Zoey, prima che Gwen con le sue rozze maniere scardinasse del tutto la porta.
Quell’apertura, a suo avviso, non era sufficiente e se volevano farla uscire dalla sua tana, c’era bisogno di una mossa improvvisa che la lasciasse sorpresa e incapace di reagire. Dawn, infatti, si ritrovò spiazzata e restò ferma sull’uscio, mostrando alle sue amiche lo stato pietoso in cui si era ridotta a causa di Scott.
“Ce l’ha passata un amico.”
“Un amico?”
“Uno che è innamorato perso di te e che non l’ha mai ammesso chiaramente.” Ammise Zoey, guardando di sottecchi Gwen che si ritrovò ad annuire.
“Io non voglio più…amare.”
“Se la leggessi, lo renderesti felice.”
“E alla mia felicità…chi ci pensa?” Singhiozzò, asciugandosi gli occhi.
“Io ancora non riesco a credere che Scott possa aver fatto tanti danni.” Brontolò la dark, osservando l’amica che nel sentire quel nome ricevette una debole scossa.
“Lo odio.”
“Questo nostro amico ci ha detto che questa lettera ti farà stare meglio.” La rincuorò Zoey, porgendole il foglio.
Dawn avrebbe desiderato che loro fossero sincere e che non stessero architettando nessun trucco per fregarla.  Trovava impossibile che qualcuno conoscesse il suo nuovo indirizzo, che si preoccupasse di lei proprio quando era in quegli stati e pertanto credeva che il loro amico fosse in realtà quello da cui era fuggita qualche ora prima.
“Non è sua, vero?”
“Di chi parli?” Domandò Gwen.
“Di Scott.”
“Ascolta Dawn, questa…”
“Lo sapevo…lasciatemi stare.” Sbuffò, cercando di richiudere la porta, ma ritrovandosi bloccata da Gwen che con un gesto rapidissimo l’aveva spiazzata. Con la mano libera aveva preso la lettera di Scott, l’aveva messa nelle mani tremanti di Dawn, l’aveva spinta all’interno e l’aveva chiusa dentro.
La dark sperava vivamente di non doversi pentire di quella scelta affrettata e che lei leggesse le parole che il rosso aveva usato. Se anche quelle l’avessero fatta disperare, avrebbe recuperato Scott, l’avrebbe legato da qualche parte, magari a una colonna della metropolitana e l’avrebbe scuoiato vivo, corrompendo qualche barbone che poteva denunciarla come colpevole dell’omicidio, dileguandosi poi nel cuore della notte.
“Era l’unico modo.” Soffiò Gwen con calma glaciale.
“Ma…”
“Se avessimo fatto come il tuo solito, non avrebbe mai accettato.”
“L’hai costretta.” La rimproverò Zoey.
“Dawn è come una bambina e a volte bisogna forzare la mano nei suoi confronti.” Borbottò Gwen, mimando il gesto di una sculacciata e avviandosi verso il divano, in attesa che Dawn pretendesse d’uscire dalla sua stanza.
 
La ragazza, nel tenere quella lettera tra le mani, si chiese cosa dovesse farne.
Non credeva di vivere quel dubbio tremendo.
Avrebbe tanto voluto stracciarla e ignorarla del tutto, ma le sue mani sembravano non possedere l’energia sufficiente per farlo. Alla fine, aprendo il foglio, si accorse che era lo stesso che aveva attaccato al frigo, salvo poi girarlo e notare la calligrafia di Scott.
“Dawn,
 quando leggerai queste poche righe probabilmente sarai già troppo lontana.
Io ho sempre sbagliato con te e di questo ne sono profondamente pentito.
Credevo di non amarti, ma cavolo non è così.
Dopotutto che te ne fai di uno che vuole amarti incondizionatamente, ma che è troppo spaventato per farsi avanti?
Forse non capirai mai il perché sia stato così stupido e ottuso.
Io non ti ho mai voluto usare e mai avrei voluto usare una scusa per sottrarmi dall’amore che provo verso di te.
Una volta dicevo di non amarti. Come si fa a non amare una ragazza meravigliosa come te? In verità avevo troppa paura di stare con te, per poi perderti e non meritarmi di vedere il tuo sorriso.
È vero.
Come si fa a vivere così? Quando credi di meritarti una felicità che non puoi provare perché non vuoi ferire nessuno.
Io sono stanco di sentirmi ripetere che dovrei aver fiducia nei miei mezzi, quando in verità finisco sempre con l’essere odioso.
È insostenibile essere così, ma io voglio continuare ad amarti.
L’amore non è una fregatura…ti riempie, ti scalda, ti accoglie nelle fredde notti di solitudine e ti fa trovare un motivo per cui devi vivere.
Ma credo che tu sappia già queste cose perché me le hai insegnate tanto tempo fa.
E allora perché ti scrivo questa lettera?
Per farti capire che senza di te sarò sempre solo e che non avrò mai il piacere di continuare a vivere.
Non ho intenzione, però, di arrendermi.
Proverò a riconquistarti e a riempire il tuo cuore…quello che credi svuotato e privo di ogni gioia.
Sarai sempre nei miei pensieri e ancora più spesso ti rivedrò, fino a quando non potrò stringerti come una volta.
Un bacio, tuo Scott.”




Angolo autore:

Ryuk: Qualcuno dica a rocchi che le lettere non vanno più di moda.

Sempre la solita seccatura.

Ryuk: E gli spieghi di non scrivere più in corsivo, grazie.

Accontentatelo così mi lascia in pace.
Detto questo vi saluto e vi auguro un buon inizio di settimana.
Alla prossima!
 

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Capitolo 18
*** Cap 18 ***


Scott, risalito in auto, ripensò al consiglio di Gwen e Zoey e sbuffò con nervosismo.
Doveva distrarsi in qualche modo, ma non se questo significava uscire con qualcuno per poi demoralizzarlo con i suoi problemi. Aveva già fatto una grande cazzata per i fatti suoi e non voleva rovinare una serata che Duncan poteva spendere in modi migliori.
Richiusosi nel suo appartamento, incurante dei rimproveri della vecchia Beth, cercò di ripensare alle ultime 24 ore appena trascorse.
Sperava che il cellulare suonasse presto e di ricevere una buona notizia e, invece, per alcune ore restò solo con il silenzio e i suoi pensieri.
Questi ultimi l’avevano convinto che dovesse pur far qualcosa per smuovere la situazione e l’unica possibilità era d’affrontare la questione fin dalla radice.
Alzatosi dal divano, si mise a osservare il calendario e tastò la prima data cerchiata con un pennarello rosso.
Mancavano ancora pochi giorni a quell’appuntamento e avrebbe avuto modo di confrontarsi con lei senza avere nessuno in mezzo ai piedi.
Molto più in fondo notò un’altra data sottolineata in verde e che riportava delle parole che non avrebbe mai voluto aggiungere. Non c’era bisogno che qualcuno sapesse che il 27 di quel mese sarebbe stato il compleanno più triste della sua vita.
Se fosse stato possibile, avrebbe chiesto con grande anticipo un unico regalo: riavere Dawn nella sua vita.
Gli restavano tre settimane di tempo, anche se la faccina sorridente abbinata al 27 non gli restituiva il buonumore.
Ricordava perfettamente che era stata la coinquilina a disegnarla e che affermava quanto fosse giusto festeggiare in qualche modo. Nel pensarlo tirò una capocciata contro la parete e socchiuse gli occhi, cercando d’immaginare la faccia che avrebbe fatto, non appena l’avrebbe incrociato all’uscita dall’Università.
Presentarsi giornalmente non gli avrebbe mai garantito la sua presenza, ma quel venerdì coincideva con l’esame più tosto dell’intero anno. Volendo avrebbe potuto rinviarlo, ma dubitava che lei rinunciasse a un test così importante, solo per un idiota capace di farla piangere e soffrire.
Un suono ovattato e distante, proveniente dal tavolino, attirò la sua attenzione. Ritornò, quindi, sul divano e visitò nuovamente la chat online, dove Zoey lo teneva aggiornato delle ultime novità.
“Dawn ha letto la tua lettera.”
“Sul serio?”
“Sei riuscito a farla uscire dalla sua stanza, ma quando proviamo a parlarle di te, si zittisce e ci guarda con odio.”
“Se è per farla stare meglio, offendetemi pure.”
“L’abbiamo già fatto, ma ci guarda comunque in modo strano.” Ammise Zoey, facendo sbuffare Scott che non sapeva come continuare la conversazione.
“Le dà fastidio che parliate di me.”
“Non sembra una situazione complicata.”
“È molto peggio di quanto pensi, Zoey.”
“Perché?”
“Temo d’averla persa ormai.” Picchiettò nervoso.
“Ne sei sicuro?”
“È lo stesso comportamento che ha espresso nel mio appartamento quando accennavo a Beverly.”
“Hai intenzione di rinunciare a lei?”
“Credo non sia più interessata a quel che faccio.”
“Questo è ovvio.” Digitò Zoey, facendo sbuffare l’amico.
“Anche se la incontrassi, poi lei farebbe di tutto per evitarmi e ciò mi darebbe fastidio.”
“Mi spiace.”
“Credo dovrai sforzarti molto per farci tornare amici.”
“Io credevo che la volessi solo per te.”
“Come posso ambire a tutto questo, se non riusciamo nemmeno a rivolgerci la parola?”
“Questo è vero.”
“L’unica mia possibilità è quella di sorprenderla.” Digitò Scott, mentre dall’altro capo Zoey mostrava la chat a Gwen che annuiva appena.
“Vedi solo di non spaventarla.”
“Non è mia intenzione.”
“E cosa avresti in mente?”
“Lo scoprirai.” Scrisse, uscendo poco dopo dalla chat e risultando, quindi, offline.
 
Quando era ancora alle superiori, aveva fantasticato a lungo sulla possibilità che una relazione potesse avere fine.
Credeva di meritarsi una notte insonne, lo stomaco ribaltato dai sensi di colpa, una profonda emicrania e tante altre piccolezze che aveva osservato in giro.
Quelle sensazioni erano riscontrabili nelle serie televisive di sua madre e molto più da vicino nella vita privata di Alberta che, quando era ancora all’Università, ogni settimana si lasciava con il suo Lucas, salvo poi riprenderlo in tempo zero.
Nel dividere la stanza con lei, nel sentirla singhiozzare o nel calmare i suoi scleri nel cuore della notte, si accorgeva di quanto soffrisse. In tutto questo credeva d’essere ben lontano da quella minaccia e mai si sarebbe rovinato in quel modo.
Mai sarebbe andato a letto senza cena, facendosi cullare da una qualche musica triste o da un film drammatico che cadeva nella scontatezza di una morte tra i protagonisti.
E mai si sarebbe tuffato nei ricordi. Non avrebbe speso ore a fissare con sguardo depresso il panorama che si stendeva dalla sua finestra o sarebbe rimasto incollato dinanzi alla chat del suo cellulare.
Eppure la prima nottata l’aveva passata in bianco e con tutti questi elementi riuniti insieme.
Aveva torturato un piccolo hamburger per una buona mezzora prima di riuscire a buttarlo nello stomaco.
Aveva riempito il salotto di riferimenti tristi quali i suoi vecchi album di foto, musiche deprimenti e un film che terminava solo con l’ennesima malattia mortale ai danni di una sfortunata contadina.
Di solito si sarebbe appisolato dopo nemmeno 5 minuti e avrebbe lasciato andare la televisione a ruota libera, fino a quando la sigla del telegiornale non fosse ritornata a risvegliarlo per qualche inutile notizia dall’estero.
Aveva provato di tutto per dormire.
Si era concesso un latte bollente e poi una bella doccia per rinfrancare lo spirito, ma per ogni azione che svolgeva, ecco che davanti ai suoi occhi appariva la figura di Dawn.
Con quella bevanda calda lei avrebbe aggiunto un cucchiaino di miele e qualche biscotto e poi avrebbe occupato il bagno per una buona mezzora prima di uscire trionfante con una scia di profumo capace di dargli alla testa.
Senza di lei, però, non avrebbe più rischiato di rovesciare i suoi balsami e non l’avrebbe più stuzzicata con il semplice accappatoio con cui si presentava in salotto.
Si era pure messo a sfogliare le sue vecchie foto, ma per una forza superiore alla sua volontà, correva sempre alla ricerca d’immagini con il suo volto.
Laddove c’era Dawn, carezzava la sua figura e versava alcune lacrime, rovinando quei piacevoli ricordi.  
Solo verso le 4 aveva sentito gli occhi pesanti e aveva provato a distendersi, ma il chiudere la luce ebbe l’effetto opposto.
Per qualche assurdo motivo in dieci minuti si era ritrovato in cucina, intento a smanettare tra i fornelli giusto per ammazzare il tempo.
Sperava soltanto di non arrivare al successivo venerdì in condizioni pietose.
 
Dawn, nonostante il pessimo periodo, aveva aspettato a lungo l’esame che si apprestava a svolgere.
Le sue compagne avevano provato a farla desistere, onde evitarle una figuraccia che avrebbe solo complicato il suo percorso di studi.
Lei, però, era rimasta inflessibile.
Non voleva sbagliare e deludere le sue amiche e i suoi professori.
Avrebbe conseguito un esame dietro l’altro e poi avrebbe cercato un lavoro che potesse mettere in mostra le sue qualità. Era propensa anche ad accontentarsi all’inizio, per poi, affinate le sue abilità, pretendere ciò che le spettava di diritto.
Prima, però, doveva passare l’esame della capricciosa Blaineley che era capace di bocciare anche i più preparati per un’inezia. Bastava una formula, mezza riga imprecisa e un’analisi un po’ grossolana ed era pronta per un voto inferiore al tanto pregato 18.
Di solito se la prendeva con le ragazze, specie con quelle che tendevano a mettere in mostra il loro fisico procace. I maschi e quelle meno fortunate in natura partivano già con un leggero vantaggio ed erano meno oppresse dallo sguardo indagatore dell’acida Blaineley.
Ovviamente si ritrovò a consegnare il cellulare, un documento e il libretto dei voti prima d’iniziare la prova e poi si sedette, come di consueto, in una delle prime file. Aveva sentito dire che era sconsigliato nascondersi in fondo, poiché c’era il grande rischio di ritrovarsi con molti docenti addosso.
Aveva affrontato e conseguito molti esami e tutti li aveva svolti senza sotterfugi, anche se quella mattina non si sentiva proprio al massimo della forma. Solo da mercoledì era ritornata a mangiare qualcosa e a dormire senza troppi pensieri, anche se il più importante tornava a fargli visita almeno una volta al giorno.
Eliminare dalla sua mente la figura di Scott le era impossibile.
Scrollando le spalle, si tuffava nello studio e il rosso, almeno nel suo immaginario, veniva sommerso da nozioni e formule che la sua testa bacata non avrebbe mai memorizzato.
Dawn, nel rileggere le 15 domande del test e nel rileggere le sue risposte, sospirò sollevata.
Anche quell’esame era passato ed era stato svolto in modo soddisfacente.
Si avviò lentamente verso la cattedra, consegnò le sue schede alla prof che appose una firma e un timbro sul suo libretto e le rivolse un debole sorriso.
Compilate alcune generalità, riprese i documenti e il cellulare e uscì dall’aula.
Percorse alcuni metri e si fermò vicino alle prime finestre dell’edificio, giusto per scrutare il panorama.
Il cielo grigio aveva fatto capolino, coprendo il tiepido sole che aveva scorto, appena si era affacciata dal balcone.
Quando era uscita, il sole l’aveva illusa che l’ombrello fosse superfluo, ma anche quello l’aveva tradita senza colpo ferire.
Con malavoglia superò il portone, alzando gli occhi al cielo e sperando che non piovesse troppo forte.
Giunta a pochi passi dal cancello, alzò lo sguardo dalle piastrelle traballanti e si accorse di un tizio immobile che stava aspettando.
Nel vederlo di spalle pensò si trattasse del ragazzo di una candidata e che volesse farle una sorpresa per poi festeggiare in sua compagnia. Mentre si avvicinava, notò alcuni dettagli insoliti e si rese conto che quella figura in particolare era colpevole della sua recente tristezza.
“Scott?”
“Credevo di non rivederti più.” Mormorò lui, girandosi di colpo e sospirando sollevato.
“Che ci fai qui?”
“Ti stavo aspettando.” Ammise, coprendola con l’ombrello.
“Io non voglio vederti più.” Tuonò, cercando di andarsene, ma ritrovandosi trattenuta per un braccio.
“Ne sono consapevole.”
“Se lo sai perché sei venuto fino a qui?” Domandò, scostandosi da quel contatto che le faceva solo ribrezzo.
“Perché è questo che fanno due amici quando discutono. Non vogliono vedersi per non soffrire e pregano perché l’altro sparisca, ma in cuor loro sanno che non è realmente così. So quanto male ti ho fatto e quanto hai sofferto e per questo vorrei parlarti.”
“Io non ho nulla da dirti e noi non siamo più amici.” Replicò, facendogli abbassare lo sguardo.
“So che la rabbia fa straparlare e che non pensi realmente a ciò che mi hai appena detto. Tu hai tanto da raccontarmi…lo leggo dai tuoi occhi.”
“Stai sbagliando.”
“Non trattenerti e dimmi pure tutto quello che vuoi.” Soffiò il rosso, porgendole l’ombrello e uscendo sotto le intemperie.
“Tu mi hai gettato via.” Lo accusò con rabbia.
“Lo so ed è stato l’errore più grave della mia vita, ma ti prometto che non accadrà più.”
“Non ti credo.”
“Ne ho la certezza, anche perché tra me e Courtney è tutto finito.”
“La cosa non mi riguarda.” Borbottò, guardandosi intorno e cercando una scusa plausibile per ignorarlo o magari un qualche aggancio come qualche professore o compagno cui chiedere alcuni consigli sui prossimi esami e che le consentisse d’ignorarlo.
“Ma io…”
“Puoi anche riprendertela, tanto lei non sarà mai al livello di una sgualdrina come me.” Lo interruppe, sfoggiando un sorriso diabolico.
“Vorrei tanto tornare indietro e non ferirti, ma mi è impossibile.”
“Il passato ci fa crescere, anche se dubito che tu possa imparare qualcosa da tutto ciò.” Mormorò, facendolo negare.
“Non c’è proprio nulla che possa fare per riabilitarmi ai tuoi occhi?”
“Una cosa c’è.”
“Farei di tutto pur di renderti felice.” Ammise il rosso, incrociando i suoi occhi chiari ormai vuoti e disinteressati.
“Devi lasciarmi in pace: voglio solo questo.” Sbuffò infastidita.
“Non posso proprio farlo.”
“Perché?”
“Perché ti conosco bene e se t’ignoro, tu mi odierai ancora di più.” Soffiò, facendola sobbalzare e vedendola stringere con forza il manico dell’ombrello.
“Ti è mai importato?”
“Sempre.”
“Se fosse stato davvero così, non mi avresti mai dato della sgualdrina.”
“Io…”
“Lo vedi? Prima offendi una persona, poi cerchi di scusarti come un idiota…alla fine perché dovrei perdonarti?”
“È stato il mio unico sbaglio.” Tossicchiò, rischiando di beccarsi una polmonite per tutta l’acqua che gli stava scivolando addosso.
“Il tuo unico sbaglio è stato quello di accogliere una sgualdrina come me.”
“Non dire così…ti prego.”
“Per quanto ancora hai intenzione di seguirmi come un cagnolino bastonato?” Domandò piccata, incamminandosi verso la sua abitazione, mentre lui continuava a pedinarla.
“Fino a quando non ammetterai che stai esagerando.”
“Io starei esagerando?”
“Non volevo dire questo, ma…”
“Da quando sei preoccupato per una semplice sgualdrina?” Sbuffò infastidita, sperando di levarselo di torno.
“Smettila di considerarti una sgualdrina…è stato solo uno sbaglio del momento.”
“Da quel che ho capito mi consideri uno sbaglio.”
“Non mettermi in bocca parole che non userei mai.” Sbottò adirato, facendola tentennare per un breve istante.
“E cosa vorresti da me?”
“Vorrei che tornassimo a com’eravamo un tempo.” Ammise, abbassando il capo.
“Puoi impegnarti quanto vuoi, ma ti garantisco che è impossibile.”
“Non dovresti essere così rancorosa nei miei confronti.” La rimproverò il rosso, facendola ringhiare debolmente.
“Tu sei l’ultimo che può commentare il mio carattere.”
“È solo che non vorrei vederti arrabbiata.” Soffiò, superandola e intralciandole il cammino.
“Ah no?”
“Mi sento male nel sapere che tu sei così a causa mia.”
“Così come?” Gracchiò, facendolo sussultare e cercando di evitare il suo sguardo magnetico.
“Quando sei arrabbiata, diventi ancora più bella ai miei occhi.”
“Vorrà dire che il ragazzo che mi piace apprezzerà quest’aspetto.”
“Il ragazzo che ti piace?” Chiese Scott, avvicinandosi e ritrovandosi coperto dall’ombrello che le aveva prestato.
“Mi sono innamorata di un ragazzo che mi apprezza per quel che sono.” Soffiò lei, cercando di allontanarsi dall’aura maligna che il rosso sembrava emanare.
“Chi è?”
“Perché t’interessa?”
“Perché non ho ancora finito e non voglio perderti.”
“Tu mi hai perso settimane fa.”
“Voglio conoscere il suo nome.” Borbottò risoluto.
“Non meriti di saperlo.” Lo canzonò, sorridendo malignamente.
“Credevo andassi oltre alle apparenze, ma mi sbagliavo.” Commentò il rosso, avvertendo alcune gocce gelide scendergli sulla schiena per via della tela dell’ombrello ormai zuppa.
“Una lettera non è sufficiente per farmi tornare il buonumore.”
“Però…”
“E non è sufficiente nemmeno per scusarsi.” Ricominciò, facendolo annuire.
“L’hai letta?”
“Volevo sapere quali cazzate ti saresti inventato.”
“Non erano cazzate: io ti amo davvero e non ti lascerò così.”
“In tal caso dovrai farti da parte.” Tuonò, facendolo negare.
“Scordatelo!”
“Vorrà dire che quando accetterò di uscire con Mike, tu sarai il primo a soffrirne e ciò mi renderà ancora più felice e soddisfatta.”
“Mike?”
“Lui mi piace molto e voglio conquistarlo.” Soffiò, facendo incupire Scott che abbassò lo sguardo a fissare le mattonelle del marciapiede.
“Io…”
“Credevi davvero in un miracolo?”
“Forse.” Ammise, vedendola avvicinarsi e sussultando confuso.
“Ho intenzione di dirtelo chiaro e tondo. Non m’interessa più nulla di quel che fai, di come ti comporti e di tutti i tuoi sbagli, Scott. Da quando ti conosco ne hai fatti talmente tanti che credo d’aver perso il conto, anche se questo lo rimpiangerai per tutta la vita.” Dawn si alzò, quindi, sulle punte e gli mollò uno schiaffo, lasciandolo sotto la pioggia senza dargli la possibilità di replicare.
Nel vederla allontanarsi e nel sentirsi ancora più bagnato, intuì che si era spinto troppo oltre e che era tardi per migliorare le cose.
Quella che attendeva Gwen e Zoey era un’impresa titanica: riconciliare due persone dal carattere impossibile.








Angolo autore:

Oggi è mercoledì giusto?

Ryuk: Hai dimenticato di aggiornare, vero?
Avrò l'agenda piena per le prossime 2-3 settimane e l'ultima è stata una delle peggiori...mi son completamente dimenticato.

Ryuk: Le scuse sono per gli stupidi.

E a quanto sempre io rientro perfettamente in questa categoria.
A presto!
 

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Capitolo 19
*** Cap 19 ***


Erano trascorsi pochi giorni da quando aveva fatto la figura dello scemo sotto la pioggia.
Non gli era mai passato per l’anticamera del cervello la possibilità che lei facesse una cosa simile. Credeva che Dawn corresse come una pazza solo per abbracciarlo, rabbuiandosi subito dopo che il suo piano era naufragato e risvegliandosi parzialmente solo quando una vecchietta gli aveva chiesto se stesse bene o avesse bisogno di qualcosa.
Non doveva finire così.
E sapere che avrebbe dato tutto per lei era anche peggio.
Quella domenica, uno dei pochi giorni di riposo concessi dal tirannico Chef Hatchet, sarebbe stata ancora più traumatica.
Aveva passato il venerdì pomeriggio e l’intero sabato a chiedersi in cosa avesse sbagliato.
E non ne era venuto a capo.
Peggio di quei problemi irrisolvibili di matematica che in quarta superiore lo tenevano impegnato per delle ore. Solo che questa volta il problema non si era risolto con la sua soluzione.
Aveva sbagliato il calcolo iniziale e di conseguenza Dawn non era tornata con lui nell’appartamento.
Domenica.
Normalmente avrebbe odiato il week-end e solo perché era costretto a parcheggiarsi nel bar per molte ore, prima che Chef ordinasse il classico rompete le righe.
Dopo molte proteste era riuscito a scroccare quella giornata come riposo non pagato.
E aveva creduto che sarebbe stata la domenica più bella della sua vita.
Il seme del fallimento non era nemmeno stato considerato e contava di passare quelle 24 ore a parlare e a stare con la sua Dawn.
Purtroppo però si era sbagliato e, incassato quel colpo terribilmente duro, si era deciso a fare visita ai suoi vecchi.
Si era alzato verso le 9 e, dopo una rapida rinfrescata, era salito a bordo del suo bolide alla volta della campagna.
In quasi due ore era giunto a destinazione, parcheggiando vicino al trattore di suo padre.
Normalmente il vecchio macinino sarebbe stato messo nel garage, ma la porta della rimessa era chiusa e quindi il posto era già occupato.
Sicuramente da un’Audi rosso fuoco, guidata da una matta che lui conosceva bene.
E, infatti, a correre su e giù per i campi e a salire e scendere dall’altalena, che il vecchio aveva installato tre mesi prima, c’era un bambino che aveva già tre anni.
Un marmocchio fastidioso che conosceva bene e che non vedeva da un pezzo.
E quella peste poteva anche essere una minaccia, specie per le povere galline del pollaio che dovevano scappare lontane o per i fiori di sua madre sradicati fin alla radice, ma era una parte importante della sua vita.
Sceso dall’auto, il piccolo, riconoscendo la vettura e le manovre tipiche, era subito corso incontro a Scott che lo sollevò in un attimo.
“Zio Scott.”
“Sei diventato pesante.” Sorrise, facendogli fare un breve giro di pochi metri sulle spalle, per poi rimetterlo a terra.
“Mi hai portato un regalo?”
“Chi te l’ha detto?”
“Lo fai sempre.” Rispose sinceramente, prima che lo zio estraesse dalla tasca del giubbotto alcune biglie colorate.
“Scott a volte lo vizi troppo.” Lo rimproverò una voce che, sentendo una brusca frenata, era appena uscita da casa e che lui ricondusse a una vera seccatura.
“Avanti Alberta, non essere così rigida.” Soffiò, mentre il piccolo tornava a giocare, facendo rotolare l’ultimo regalo ricevuto sulla terra piena di buche.
“Come mai sei qui, fratellino?” Domandò lei, invitandolo a entrare.
“Se rimanevo ancora in città, rischiavo d’impazzire.” Ammise, varcando la porta e sorprendendosi per quella scena che aveva davanti agli occhi.
Normalmente suo padre, stanco della settimana di lavoro, si sarebbe spaparanzato sul divano, intento a leggere il quotidiano, fumacchiando la sua fedele pipa.
Ogni tanto avrebbe alzato lo sguardo solo per seguire le battute della consorte che brontolava su quanto fossero scadenti i programmi televisivi.
Vestito leggero, con una canotta macchiata di caffè e con un filo di barba, lui ribatteva che lo Stato ci guadagnava anche troppo con spettacoli simili.
Ogni tanto avrebbe richiuso gli occhi, ripensando a cosa fare per l’indomani e risvegliandosi solo con una lieve pacca della moglie che non poteva credere fosse già stanco dopo nemmeno due ore dalla sveglia.
Come se quella figura in vestaglia potesse conoscere i problemi del marito.
Lei era sempre dentro la fattoria, intenta a cucinare, cucire e a ripulire casa.
Ma non quella volta.                                                                                              
Quel giorno erano troppo impegnati a giocare con la nipotina che Alberta aveva dato alla luce otto mesi prima.
Un tenero fagottino che Scott, a causa della distanza e degli innumerevoli impegni, aveva visto solo al battesimo.
In cucina, impegnato a preparare la pappa, c’era suo cognato. Si trattava di un uomo simpatico e cordiale che era impossibile detestare. Alto quasi 2 metri, fisico muscoloso, castano, occhi verdi: era il tipico figone che se non avesse lavorato come vicepresidente in una qualche azienda, poteva essere confuso per il modello di una qualche casa di moda.
Era così aitante che in molte ci avevano provato con lui, anche da dopo sposato, attirandosi l’ira di Alberta e la contemporanea gelosia.
“Potreste lasciarmi spupazzare la mia nipotina per un po’?” Chiese Scott, avvicinandosi ai genitori e prendendo in braccio la piccola Charlotte.
Lei nel vedere quella faccia quasi sconosciuta era stata sul punto di piangere, ma il giovane zio con delle facce buffe era riuscita a farla desistere.
Avvicinandosi per baciarla sulla guancia, lei aveva provato ad afferrargli i capelli rossastri, facendolo sorridere.
“Scott…”
“Scusate se sono passato senza avvertirvi.” Soffiò, stringendo la nipotina.
“Ci hai fatto una bella sorpresa.” S’inserì Alberta.
“Dopo alcuni mesi sono riuscito a scroccare una domenica ed eccomi qua.”
“Da solo?” Chiese la madre, incrociando il suo sguardo ferito.
“Già.”
“Non hai portato Courtney?” Continuò suo padre, facendolo negare.
“È una storia lunga e non ho molta voglia di raccontarvela.”
“Qualche problema con il lavoro?”
“Le solite cose Alberta.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Allora immagino che tu sia triste per qualcos’altro.”
“È così evidente che le cose non mi vanno bene in questo periodo?” Domandò, cullando Charlotte che si stava assopendo e spostando lo sguardo verso i genitori.
“Abbastanza.”
“Se proprio devo parlarvene, preferirei farlo davanti ad una tazza di caffè.” Soffiò, concentrandosi sulla nipotina quasi addormentata.
“D’accordo.” Borbottò suo padre.
“Non vi secca, vero?”
“Dobbiamo solo avvertire Lucas di aggiungere un posto a tavola.” Sorrise la madre, riprendendo il suo lavoro a maglia.
Di quel groviglio rosa che lei stava districando, i presenti non sapevano nemmeno cosa fosse destinato a nascere.
Dal colore sembrava destinato a Charlotte, ma poteva trattarsi di qualsiasi cosa. Poteva essere una sciarpa, insolita per il periodo primaverile, oppure una qualche coperta con cui avvolgerla nel pieno dell’inverno.
Se Alberta sembrava preoccupata, di tutt’altro avviso era il padre.
Quest’ultimo conosceva bene sua moglie. Quella del lavoro a maglia era solo una fissa momentanea. Aveva cominciato quasi 25 anni prima una sciarpa verde per il figlio di sua sorella e non ne aveva portato a termine nemmeno metà.
Poi era nato Paul e aveva tentato un capellino celeste con il risultato di cacciarlo sopra un armadio a fargli prendere polvere.
E ora saltava fuori il groviglio rosa.
Il vecchio brontolone aveva affermato che tempo due mesi e si sarebbe messa il cuore in pace: Charlotte non avrebbe ricevuto il benché minimo segno d’indumento in lana.
E quella scatola, carica di aghi e filo che troneggiava alla sua sinistra, sarebbe tornata su qualche sedia, in attesa di nuovi sviluppi famigliari.
Magari non per Alberta, propensa ad accontentarsi di due marmocchi, anche se Lucas ne avrebbe voluto un terzo, ma per Scott.
Lui era ancora giovane e avrebbe avuto modo di rifarsi, donando alla madre l’illusione di sistemare un nuovo groviglio.
 
Il pranzo domenicale era passato con l’accortezza dei suoi parenti di non menzionare Courtney in alcun modo.
Temeva che la madre lo rimproverasse per essersi fatto sfuggire una così bella ragazza, ma la spiegazione appena abbozzata del tradimento della sua ex con il chitarrista della band, era stata  sufficiente per zittirla.
Fu nell’aspettare che Paul tornasse in giardino e che Charlotte venisse portata nella sua stanza a dormire che iniziò a prepararsi un certo discorsetto.
“Ora che non ci sono i bambini puoi dirci cosa è successo?” Esordì il padre, facendolo annuire.
“È stata tutta colpa mia.”
“Perché?” Domandò la madre, mentre Lucas e Alberta si erano ripromessi di stare in silenzio per evitare problemi.
“Prima che Courtney tornasse dal suo tour, sono finito a letto con una mia amica.”
“Stai scherzando, vero?” Chiese seccata la donna, fissando il figlio.
“La conosciamo?” Tentò Alberta, non riuscendo a resistere alla tentazione d’impicciarsi degli affari altrui.
“Dawn.”
“Non ti credo fratellino.”
“Ti sembrerà strano, ma l’ho mandata via, credendo di riuscire a riconquistare Courtney. “ Soffiò, accendendosi una sigaretta.
“Hai fallito?”
“È andata a letto con Trent e tra noi è tutto finito.”
“Allora perché non hai portato la tua nuova ragazza Scott?” Borbottò la madre, prendendogli la cicca e spegnendola sul posacenere.
La vecchia megera, così la chiamava il rosso, non avrebbe mai accettato che qualcuno della sua famiglia fumasse. Alberta era cresciuta con quell’insegnamento, Lucas l’aveva accettato di buon grado e l’unico estraneo a quella punizione divina era il vecchio consorte.
Il padre di Scott affermava che, il fumare la pipa, era l’unica consolazione che gli era rimasta e non aveva intenzione di rinunciarvi, nemmeno con la minaccia di un possibile divorzio. Adorava che la consorte si preoccupasse per la sua salute, ma escluso il buon cibo e la visita degli adorati nipotini, non aveva quasi più nulla di cui gioire. Il lavoro dei campi gli aveva disintegrato la schiena, con le spalle che chiedevano un periodo di pausa e con la moglie che si preoccupava di acconciature, gossip e grovigli irrisolvibili.
“Ho perso anche Dawn.” Mormorò, abbassando il capo.
“Come?” Domandò Alberta.
“L’ho trattata malissimo e lei non vuole vedermi più.”
“Cosa le avresti detto?”
“Alberta mi odierebbe se sapesse la verità.”
“Provaci almeno.” Lo esortò la maggiore, facendolo sbuffare.
“Stupidamente le ho dato della sgualdrina.”
“Sei un idiota.” Commentò Alberta, facendo annuire anche i suoi genitori.
“Credi che non lo sappia?” Replicò, rialzando lo sguardo e cercando nella tasca dei suoi jeans.
“E hai intenzione di arrenderti così?”
“Ho provato ad affrontarla, ma è difficile.” Rispose, girandosi verso la madre.
“Dawn ha fatto bene ad andarsene: magari è la volta buona che cresci un po’, moccioso.” Sbottò il padre, facendolo sussultare.
“Caro lui…”
“Non difenderlo: si è comportato come un idiota e se non riesce a farsi perdonare, merita di restare solo e di soffrire. Lei ti amava e tu sei stato così ottuso da sminuirla: se non fossi sicuro che tu sia mio figlio, crederei che tu sia uno scherzo della natura.” Replicò, appoggiando la pipa sul tavolino e ricevendo il rimprovero silenzioso della consorte che brontolava a chi spettasse di fare le pulizie.
“Io…”
“Possibile che tu non abbia imparato nulla e che ti sia impossibile comprendere la sua sofferenza?” Sbuffò il vecchio, stiracchiandosi le braccia indolenzite.
“Darei qualsiasi cosa pur di rimediare, ma in questi giorni ho fallito.”
“E che avresti fatto in proposito?” Chiese la madre, anticipando il marito.
“Ho provato a parlarle e ad aspettare che rincasasse, ma tutte le volte mi sfuggiva o mi ritrovavo davanti le sue coinquiline che mi promettevano si sarebbero inventate qualcosa per sistemare le cose.”
“Almeno ti sei impegnato.” Si sgonfiò il padre, incapace di mantenersi serio e minaccioso per più di cinque minuti consecutivi.
“Per il momento, però, non ho intenzione di arrendermi.”
“Se avessi un po’ di cervello, creeresti il momento perfetto.” Terminò Alberta, facendo annuire il fratello che, recuperato un foglietto dal suo portafoglio, gli diede una leggera sistemata.
“Non sono venuto qua solo per parlare dei miei problemi.” Ammise, controllando che il padre non si fosse appisolato al suo posto e ritrovandosi intrappolato da due occhietti ancora vivaci che squadravano ogni sua mossa.
“Ci sembrava il contrario.” Soffiò la madre, rimettendosi a lavorare a maglia e concentrandosi sulla creazione da far indossare alla piccola Charlotte.
“Il giorno precedente alla mia cazzata è stato il più bello della mia vita.”
“Davvero?”
“Vedi Alberta…ho lavorato sodo, ho festeggiato a lungo con i miei amici, ho amato Dawn e ho vinto un qualcosa che migliorerà la nostra vita.” Mormorò, sorseggiando l’ultimo rimasuglio di caffè amaro che aveva tenuto sul tavolino.
“Di che parli?” Chiese la sorella, afferrando il bigliettino che il rosso le porgeva e cercando di capire di cosa si trattasse.
“Una metà del milione l’ho tenuta per l’appartamento, per la macchina e per i miei problemi, ma il resto è tutto per voi.”
“Come?” Borbottò il padre, scattando in piedi e prendendo l’assegno che il figlio aveva firmato a loro vantaggio.
“Un giorno scapperò da quel condominio di matti, ma nell’attesa questa fattoria ha bisogno di una bella risistemata.”
“Non sei tu a scegliere cosa c’è da fare.” Brontolò il vecchio, piuttosto restio, per orgoglio, d’accettare l’aiuto economico che il figlio gli stava porgendo.
“E poi con lo stipendio di Chef, la somma che ho messo da parte aumenta sempre di più.” Continuò, ignorando le sue proteste.
“Chi vuoi che possa derubare una testa di legno come te?” Lo provocò Alberta, facendolo ghignare divertito per via di quell’insulto insolito.
Era chiaro che qualsiasi ragazza, anche la più disperata, si sarebbe avvicinata nell’apprendere che Scott era benestante. Avrebbero fatto di tutto per stuzzicarlo, finendo poi con il prosciugare il suo cospicuo conto in banca. Temendo questa situazione e non sicuro della propria volontà incrollabile, era finito con lo smezzare il suo patrimonio.
Ora che non era così ricco, la fila si sarebbe accorciata e avrebbe avuto maggiori sicurezze nei propri mezzi.
A ogni modo credeva che lo stato del suo conto non fosse poi così importante: alla fin fine tra tutte le ragazze che provavano a conquistare il suo cuore, ve ne era una in particolare che avrebbe continuato a scaldarlo e che avrebbe fatto diventare le altre insignificanti.
Qualsiasi ragazza si fosse palesata all’orizzonte e avesse tentato di catturarlo, avrebbe fallito.
Solo Dawn c’era riuscita e, dopo averla ferita e allontanata nel più orribile dei modi, non voleva distruggere la piccola speranza che Zoey e Gwen avevano instillato nel suo cuore.
“Non vorrei rovinare ancora le cose.”
“Come ci si può innamorare di te, fratellino?”
“Non voglio più rischiare.”
“Ogni tanto riesci a fare qualcosa di buono.” Nicchiò Alberta, rimpicciolendo i suoi meriti e uscendo con Lucas in giardino per verificare che Paul non ne combinasse una delle sue.
“Con questi soldi potete sistemare il tetto e sostituire il trattore.” Borbottò Scott, risistemando il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans.
“Prima credevo fossi ancora un bambino, ma forse mi aspetto sempre troppo.” Sospirò il vecchio, riprendendo la pipa e porgendo al figlio il pacchetto di sigarette, facendo intendere che quel regalo era una sua decisione e che la moglie non doveva rovinare quel momento.
 
Staccarsi dai suoi nipoti e dalla sua famiglia, gli fu particolarmente difficile.
Erano le 18 circa prima che risalisse in auto e durante il tragitto si ritrovò a pensare all’ultima telefonata che aveva avuto con Chef.
Da quello che aveva sentito, sembrava che vi fossero delle piccole rogne nel preventivo per la ristrutturazione del locale e che la settimana prevista per completare il progetto si sarebbe prolungata, fino a raggiungere 20 giorni consecutivi.
L’impianto non a norma, uniti con dei requisiti non soddisfacenti, aveva spinto la ditta a cui si erano rivolti, a pretendere qualche tempo bonus per eventuali danni impossibili da riscontrare con una semplice occhiata.
Non potevano sapere se sotto il pavimento vi fossero perdite o se alcuni angoli mostrassero segni d’infiltrazione fino a quando tutto non fosse stato smontato e il locale non fosse rimasto svuotato di ogni decorazione.
Chef Hatchet, durante le sue riflessioni, aveva deciso d’informare Duncan e gli altri suoi dipendenti che la chiusura del locale per ristrutturazione sarebbe avvenuta in un periodo a cavallo tra fine aprile e i primi di maggio.
Un periodo nel quale, anche negli anni precedenti, si registravano flessioni non proprio incoraggianti.
Laddove gite fuori porta, esami infernali e prime ferie organizzate riempivano quella città, il Pahkitew si accorgeva che un bel gruzzolo varcava i confini per rilassarsi.
In quei 10 intensi minuti avevano discusso del preventivo, del prossimo giro ferie che Scott prevedeva di far saltare per l’ennesimo anno consecutivo e di alcune nuove direttive che avrebbe incasinato i pochi neuroni di Duncan.
Scott non si era limitato ad ascoltare gli scleri del suo capo, ma aveva avanzato una richiesta che avrebbe tanto voluto realizzare.
L’avevano fatto diverse volte e pure Duncan era stato accontentato.
Il rosso credeva di meritarsi quello stupido premio e seppur Chef non fosse felice di quella richiesta, alla fine aveva acconsentito.
Il 27 marzo il Pahkitew, al contrario dei suoi soliti standard, avrebbe chiuso alle 16 per un inventario che non aveva senso d’esistere.




Angolo autore:

La famiglia di Scott doveva pur comparire.

Ryuk: Alberta vuole sempre salutare i suoi fan.

E non lo diciamo perchè ci sta minacciando con un fucile...assolutamente no.
A presto!
 

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Capitolo 20
*** Cap 20 ***


Quella mattina si era svegliato carico d’energia.
Si era alzato, aveva aperto la finestra e poi era filato a fare colazione. Sul tavolo, allineate in riga, vi erano tre fette biscottate e l’immancabile marmellata di arance che aveva ricevuto dai suoi genitori prima di lasciare la fattoria. Gli pareva che fosse una confettura naturale di una qualche amica di sua madre che, per contraccambiare gli innumerevoli favori, regalava i suoi vasetti in giro.
In sottofondo si poteva sentire la caffettiera che rumoreggiava e che in pochi secondi avrebbe riempito la tazzina di un caffè nero e amaro. Il tavolo, apparecchiato per una sola persona, gli pareva più rassicurante rispetto ai primi giorni di tristezza e di vuoto.
Non aveva ancora dimenticato Dawn e il suo sorriso, ma ora poteva conviverci senza essere costantemente vittima del rimorso. Nel suo cuore si sentiva ancora colpevole, ma in quelle due settimane scarse qualcosa era cambiato.
Sul piano lavorativo tutto procedeva bene: avevano già iniziato a impacchettare e a portare alcuni scatoloni nel magazzino che Chef aveva affittato per evitare agli operai di ficcanasare durante il restauro.
Avrebbero potuto tenere un inventario dettagliato nel pc, ma Chef temeva comunque che la ditta da lui assoldata si portasse via qualche souvenir del locale.
Per questo aveva chiesto, in quella settimana, di avere più uomini possibili a disposizione: così facendo i camerieri e Scott avrebbero avuto modo di sistemare tutto con calma e non sarebbero stati presi dalla frenesia di fare tutto con i minuti contati.
In sala Duncan e Mal avevano continuato a servire i pochi clienti presenti, salvo poi accucciarsi e recuperare quelle bottiglie ancora intatte che non sarebbero state utilizzate nel mese seguente.
Con molti meno universitari in giro, gli ingredienti per gli spritz diventavano ingombranti e fastidiosi, così come il whisky e il rum che erano sfruttati raramente.
Il rosso, nel sorseggiare il caffè, si sentì pervaso da una sensazione d’immane tristezza. In quelle giornate spesso piombava all’improvviso e senza motivo apparente nella depressione, sentendosi un fallimento su tutta la linea.
Nel guardare la sua storia forse era davvero così. Aveva provato a stare vicino alla sua famiglia, ma la vita in campagna non si conciliava con il suo carattere e le sue aspettative. Aveva tentato con l’Università, ma era stato un buco nell’acqua. E in ultima aveva perso anche Dawn, troppo impegnata a fare gli occhi dolci a Mike per accettare le sue scuse.
Era in questi momenti che credeva d’essere inutile e di non aver più nulla da dimostrare a nessuno.
Chiunque aveva qualcuno da stringere e su cui fare affidamento, mentre lui doveva girarsi e illudere gli altri che tutto andasse bene e che non gli pesasse l’orribile maltrattamento perpetrato ai danni di Dawn.
Solo pensare a lei e tutto diventava inconsistente. I richiami dei clienti insoddisfatti dai suoi cocktail, i suoi ultimi ritardi, le occhiatacce e le imprecazioni rivolte ai suoi colleghi erano stupidaggini che gli scivolavano addosso. Eppure quella mattina si sentiva diverso ed era riuscito a sorridere. Consumò in gran fretta la sua colazione e uscì, nonostante avesse ancora una buona mezzora di tempo prima di partire.
Di solito non si sarebbe intrattenuto a perdere tempo con qualche condomino, ma per quell’unica volta si ritrovò a scambiare qualche battuta con uno del 4° piano. Si dibatteva ancora dell’ascensore da riparare e del tetto che mostrava alcuni problemi d’infiltrazione.
Erano argomenti che Scott aveva sempre evitato, ma che in quella mattinata avevano incontrato il suo interesse. Scesi i gradini e avviatosi verso il centro, si fermò a prendere le sigarette e osservò le vetrine che iniziavano ad esporre capi primaverili.
Erano molte le magliette e le scarpe che erano finite sotto il suo sguardo vigile, anche se in quei giorni si era reso conto che, in tutto il suo abbigliamento, il portafoglio era rimasto lo stesso.
“Mi servirebbe molto.” Borbottò, appoggiando le mani sul vetro.
Se non avesse avuto i minuti contati e non fosse stato di fretta, quello sarebbe stato il secondo regalo che avrebbe preteso più di tutti.
Il primo era ovviamente la totale riconciliazione con la sua coscienza.
“Pazienza.” Sbuffò, riprendendo la strada più rapida per raggiungere il locale.
 
Varcata la soglia e presentati i croissant ai suoi colleghi, si fermò nell’ufficio di Chef per consegnargli un bombolone alla crema.
Come sempre era oberato di lavoro e si destreggiava tra scartoffie e telefonate che gli facevano perdere il filo dei suoi pensieri.
Scott non avrebbe mai voluto un ruolo con così tante responsabilità che, a suo avviso, avevano trasformato il carattere del capo. Credeva che quel suo comportamento inflessibile e rigido fosse dovuto allo stress accumulato e alle delusioni che gravavano sulle sue spalle.
Forse anche lui era un fallito. Aveva gettato anima e corpo sul lavoro d’imprenditore, ma aveva tralasciato tutto il resto.
Chef Hatchet, se a qualcuno fosse importato, era divorziato con un figlio che non vedeva dall’ultimo Natale.
Era sempre presente nei suoi pensieri, ma gli affari erano il cancro del mondo e l’avevano allontanato da ciò che aveva faticosamente costruito.
Quando aveva aperto il Pahkitew, si era illuso che nulla potesse cambiarlo e che sarebbe sempre rimasto lo stesso. Quando aveva capito che gli innumerevoli extra erano utili per concedersi una vacanza o un regalo, l’ingordigia era comparsa in lui. Ritornava raramente a casa e restava fermo per delle ore nel suo ufficio, incrementando il suo senso per gli affari, ma ammalandosi di un qualcosa che non conosceva pastiglie, tisane o pomate prodigiose.
La depressione post divorzio, poi, l’aveva annientato psicologicamente.
I suoi ex dipendenti erano pronti a giurare che perfino un diavolo come Chef avesse affrontato un pessimo periodo, facendo riaffiorare delle lacrime che raramente gli avevano rigato il volto.
Nel vederlo ora, sembrava sereno e inscalfibile.
Nemmeno una tempesta gli avrebbe fatto qualche graffio, anche se la parte più sanguinolenta era nel suo cuore.
Ogni giorno si sedeva sulla sua poltroncina, abbassava lo sguardo verso destra, laddove teneva anche una piccola lampada, e si asciugava gli occhi.
Prima di estrarre documenti e di firmare assegni, accarezzava la foto che ritraeva il figlio e l’ex, e si chiedeva come fosse stato possibile compiere un errore così madornale.
Non aveva mai tradito sua moglie, ma quelle poche volte che tornava a casa non facevano altro che litigare.
Aveva sempre toppato, ma non credeva che una data così importante, potesse essere fatale al loro rapporto. Lo strappo definitivo lo riscontrò solo quando rientrò in tarda serata e quando si rese conto che doveva essere presente al compleanno di suo figlio.
Una lunga serie di malumori e di ripicche segnarono le pratiche per il divorzio e Chef abbassò sempre la testa senza colpo ferire.
Anche quella mattina aveva sorriso a DJ e si era rimesso al lavoro.
Verso sera, prima di chiudere l’ufficio, avrebbe rivolto il medesimo saluto al ragazzo e alla sua ex.
Scott, non spaventato dalla sua indole, entrò nell’ufficio e si sedette difronte a lui, pazientando che mettesse giù la penna e che gli rivolgesse la parola.
“Hai bisogno di qualcosa Scott?”
“Nulla di particolare.”
“Se non hai niente perché sei qui?”
“Non lo so.”
“Vorrà dire che parleremo dei tuoi ultimi cocktail.” Borbottò intimidatorio, rivolgendogli uno sguardo rabbioso.
“Qualcosa non va?” Domandò il rosso, cercando di mantenersi calmo.
“Non ci girerò intorno, ma mi sembri piuttosto spento.”
“Io…”
“Ho fiducia in te, ma nelle ultime settimane i tuoi cocktail non sono così eccelsi.”
“Mi spiace.” Si scusò, incrociando lo sguardo del suo datore.
“Spero tu sappia fare di meglio.”
“Certo che sì.” Promise, facendo ridacchiare Chef.
“Se c’è qualcosa che ti turba, io sono qui.”
“Mi sembra evidente che qualcosa sia cambiato.” Sbuffò, annuendo all’intuizione del suo capo.
“Non ho ancora compilato la tua busta paga e un segreto con il proprio capo può rientrare nelle detrazioni fiscali.”
“È un ricatto.”
“No…voglio solo conoscere le ansie del mio miglior dipendente.”
“Sembra sia preoccupato per la mia vita.” Replicò il rosso, facendolo stringere nelle spalle.
“Ragazzo mio…tu e Duncan avete quasi la stessa età di mio figlio e non vorrei vedervi male.”
“Come?”
“So cosa significa essere giovani. Ti sembrerà strano, ma anch’io sono stato un ragazzo e non ti sto parlando di secoli fa. Ho commesso così tanti sbagli da far rabbrividire chiunque.”
“Dubito che lei abbia mai fatto una cazzata come la mia.” Ribatté Scott, dimenticandosi di quanto Chef soffrisse ancora per via del divorzio e degli alimenti da pagare ogni singolo mese alla sua ex.
“Non ti costringerò a parlarne, se non vuoi.” Replicò Chef, firmando un nuovo documento e restando in attesa.
“È troppo difficile spiegare cosa ho combinato.”
“E mi lasci così? Avrei bisogno di un motivo semmai dovessi licenziarti.” Gracchiò, gelando il dipendente che si era paralizzato.
“È una cosa privata.”
“Vorrei conoscere il motivo delle ultime perdite.” Commentò Chef, girando il pc verso il dipendente e mostrando un lieve ammanco.
“Non ho mai rubato in vita mia.”
“Un ammanco si può avere anche quando gli affari non girano nel migliore dei modi e si cerca di mascherare il problema. E anche se sono il capo, ciò non significa che io debba perdere la testa e il sonno per i vostri cocktail.” Ringhiò, abbassando la mano e recuperando da un cassetto della sua scrivania un foglio con stampate alcune recensioni negative.
Parte del veleno era da ricercare nella concorrenza sleale degli altri locali, ma alcune di quelle righe rispecchiavano le opinioni di clienti in carne e ossa.
E se sulla presenza di qualche scarafaggio sotto i tavoli o sul bagno cui mancava il sapone, era pronto a incolpare il gruppo dei McLean, sulla qualità di certe preparazioni o sulla cortesia dei camerieri non poteva metterci la mano sul fuoco.
“Non riesco a conquistare una ragazza.” Sbuffò il rosso, semplificando di molto il suo problema.
“È una delle tue solite balle.” Lo annichilì l’uomo.
“Magari lo fosse.”
“Potrei capire quell’idiota di Duncan, ma tu non hai di questi problemi.”
“Se le spiego tutta la storia, facciamo notte.” Borbottò il rosso, cercando di rialzarsi, ma ritrovandosi bloccato da una mano che l’aveva afferrato per il braccio.
“Considera questo giorno come già stipendiato.”
“Hm?”
“Hai il permesso di restare qui e di parlarmi del tuo vero problema.” Sbuffò Chef, sottolineando con veemenza l’ultima parte.
Incrociato lo sguardo del ragazzo, raccolse i documenti che stava esaminando e li ripose in uno dei cassetti della sua scrivania. Nascosto anche il timbro che usava di solito e la penna stilografica che aveva ricevuto in regalo da Ezekiel, richiuse il portatile e fissò il dipendente con estrema curiosità.
“Sicuro?”
“Consideralo come il mio regalo di compleanno.” Minimizzò, scrollando le spalle.
“Con Duncan non l’ha mai fatto.”
“Fino a quando Duncan farà una qualche cazzata, non avrò motivo di essere così magnanimo.” Spiegò, recuperando dalla giacca, che aveva appoggiato dietro la poltroncina, una scatola con alcuni sigari cubani ricevuti da un ex dipendente.
“Ne vuoi uno?” Chiese, appoggiando i cinque rimanenti sopra il tavolo.
“Resto fedele alle mie sigarette.”
“Dicono che il sigaro faccia meno male.” Soffiò Chef, afferrando l’accendino che, da quasi sette anni, era diventato una buona compagnia.
“Con quello che ho passato, finirò con il morire giovane.” Ridacchiò Scott, contagiando anche il suo capo che annuì appena.
“Ne fumi tante?”
“Qualche tempo fa ero ridotto a due in tutta la giornata, ma oggi un pacchetto mi è anche poco.” Ammise, stringendo il pacchetto ormai quasi vuoto e sentendosi fortunato per essersi fermato a comprarne un altro da venti.
“Non è una cosa molto positiva.”
“Se vivessi ancora con i miei, allora sarebbe mia madre a tenermi in riga.” Tossicchiò, perdendosi a fissare il soffitto che mostrava alcuni segni d’incrostazione ben evidenti.
“Raccontami qualcosa che non so.” Lo esortò Chef, facendolo sorridere.
“Lei conosce la mia fidanzata.”
“Intendi Courtney?”
“Deve sapere che sono finito a letto con un’altra, ma ero convinto di riconquistare Courtney e di poter sistemare le nostre divergenze.”
“Ti sei sbagliato?” Domandò Chef, dando una lieve scrollata al sigaro.
“Mi sono accorto in ritardo del mio sbaglio e Dawn non ne vuole più sapere di me.”
“Capisco…”
“Ho provato a parlarle, ma le offese con cui l’ho allontanata sono troppo pesanti perché siano dimenticate.” Ammise, dandosi nuovamente dello stupido per quell’azione sconsiderata.
“Ascolta Scott, ti parlo solo perché ho provato sulla mia pelle cosa significa perdere la donna della propria vita, ma se ci tieni a lei, devi saperla conquistare.”
“Non ho intenzione di arrendermi.” Ammise, facendo ghignare Chef.
“Se non conoscessi bene le donne, ti direi che potrebbe anche fare una qualche pazzia.”
“Magari.” Commentò, sedendosi meglio.
“Una ragazza infuriata può ragionare in un modo che nemmeno t’immagini.” Soffiò, riprendendo i suoi documenti e allungandoli verso il suo dipendente.
“Sarebbe un sogno, ma la vedo dura.”
“A proposito di sognare, cosa ne dici se t’insegno qualcosa su come diventare imprenditore?” Domandò Chef, recuperando un piccolo libricino che, anni fa, gli era tornato molto utile per aprire il Pahkitew.
“Io…”
“Non pretendo che tu possa rilevare il locale quando sarò vecchio e non avrò più le forze, ma queste nozioni potrebbero esserti utili.”
“Oltre a quelle che già so?”
“Il regolamento che vi ho dato al momento dell’assunzione è solo una goccia in un mare di norme e leggi che complicano la nostra esistenza.” Replicò, studiando il contenuto di una direttiva che conteneva un codice penale da lui poco conosciuto.
“Davvero?”
“Se t’immergi in questo mondo, devi sapere che ci sono regole sulla salute, sugli stipendi, sulla rumorosità dei locali e perfino sul controllo dell’immondizia. Quando vi rimprovero per la raccolta differenziata o vi chiedo di pulire i bagni è solo perché i controlli potrebbero farmi chiudere e così vi ritrovereste tutti a spasso.” Spiegò, assumendo il tono più serio di cui era capace.
“Io…”
“Molti dei miei colleghi, i Gerry&Pete ad esempio, hanno pagato multe che toccavano anche i 1000 dollari per non aver rispettato alcune direttive regionali o statali.”
“E lei?”
“Solo quando ero agli inizi, ho avuto modo d’imprecare contro il governo e la loro mania di scucirmi 400 dollari senza motivo.”
“Invece?” Chiese Scott, incuriosito da quei discorsi che fino a quel giorno non l’avevano mai toccato da vicino.
Per carità il Pahkitew era, in sostanza, la sua seconda casa e avrebbe dovuto preoccuparsi per le rogne di Chef, ma proprio non ci riusciva. Era convinto che il suo capo sapesse cosa faceva e pertanto non aveva motivo di affliggersi in quel modo.
“Un amico mi ha chiesto se pagavo per l’insegna e allora ho collegato le cose.”
“È stato fortunato.”
“La fortuna e gli affari non sempre vanno d’accordo, Scott.” Sospirò, timbrando su un foglio che sarebbe diventato ufficiale solo verso il periodo invernale.
“Ho sempre creduto il contrario.”
“La fortuna non compare all’improvviso, ma va conquistata. È come una bella donna, se non ti comporti da gentiluomo e non la corteggi, lei non ti darà mai il suo numero e non riuscirai a portarla fuori a cena una seconda volta.”
“Credo abbia ragione.” Annuì, concentrandosi sui fogli che Chef gli aveva passato e accorgendosi dei termini del nuovo contratto telefonico che avevano stipulato.
 
Solo verso le 15 era riuscito a defilarsi dal Pahkitew.
Aveva così il tempo materiale per passare in pasticceria, prendere la torta che aveva ordinato e sistemare l’appartamento in attesa che arrivassero i suoi amici.
Riempito il salotto con palloncini, snack salati di ogni tipo e bevande frizzanti, era andato a farsi una doccia.
Da quel che aveva sentito nel locale, sembravano tutti elettrizzati di chiudere prima del previsto.
Perfino Chef aveva promesso di presentarsi per una fetta di dolce e, allo stesso modo, Duncan aveva garantito sulla presenza di Zanna.
Non sarebbe stato un qualcosa di troppo grande.
Conteggiati i suoi colleghi e gli amici di una vita, poteva disporre tranquillamente di una decina di posti a sedere.
In tutto questo Chef aveva promesso di defilarsi un po’ prima per incontrare un suo conoscente e Zanna aveva un appuntamento della massima importanza.
Gwen aveva affermato che l’ex nemesi di Scott aveva una leggera infatuazione per una sua compagna di corso e che spesso s’incontravano in biblioteca per discutere delle varie lezioni di chimica.
I più informati erano dell’idea che se Zanna aveva iniziato a frequentare con più costanza le lezioni, era solo per incontrare e salutare una mora di loro conoscenza.
Sedutosi tranquillo a guardare la televisione, si rialzò dal divano solo quando mancavano pochi minuti alle 17.
I primi ad arrivare furono Mike, Zoey e Gwen. Per quanto si sforzasse di notare se c’era qualcun altro in loro compagnia, era evidente che quella speranza era destinata a rimanere tale.
Dawn non sarebbe mai passata a fargli gli auguri.
Abbozzando un lieve sorriso con cui accogliere i suoi ospiti, prese il cellulare ancora in carica e verificò se qualcuno gli avesse mandato un semplice messaggio.
Escluso quelli provenienti dalla sua famiglia e quelli di alcuni suoi ex compagni di liceo, non c’era nessun altro che avesse speso alcuni secondi per migliorargli la giornata.
“Hai fatto le cose in grande, Scott.” Commentò Mike, facendolo sorridere.
“Già.”
“Scott…io e Gwen abbiamo provato a convincere Dawn a presentarsi, ma non riesce ancora a perdonarti.”
“Lo sospettavo.” Soffiò, abbracciandole e ringraziandole comunque per i loro sforzi.
“Che cosa dobbiamo fare Scott?” Tentò la dark, mentre Mike prendeva posto sul divano.
“Voi avete fatto anche troppo.”
“Vuoi arrenderti così?”
“Devo impegnarmi anch’io, se voglio avere una seconda possibilità, Zoey.” Borbottò il rosso, afferrando un bicchiere contenente della Gassosa.
“Sai bene quanto sia testarda.” Replicò Gwen.
“Non credevo che la mia Dawn potesse odiarmi in questo modo.” Ammise, aprendo nuovamente la porta e facendo entrare i ritardatari.
In prima fila Duncan aveva tra le mani una bottiglia di Spumante e subito dietro tutti gli altri.
A chiudere il tutto la presenza minacciosa di Chef che stava squadrando la casa del suo dipendente e lo sguardo indecifrabile di Zanna.
Così come avevano fantasticato spesso negli anni passati, Scott e il punk poterono leggere la loro reazione che terminò con una rapida stretta di mano.
Quella che il rosso aveva organizzato era una semplice festa di compleanno.
Non c’era nulla di trascendentale o indimenticabile in quei calici alzati per un brindisi e in quelle candeline spente con un semplice soffio. Gli avevano chiesto d’esaudire un desiderio e di tenerlo segreto se voleva che si esaudisse. Sia che lo urlasse ai 4 venti, sia che rimanesse fedele allo sguardo severo di Zoey , lui aveva inteso che il buonumore con cui si era svegliato quella mattina era un qualcosa di assurdo e irrealizzabile. Era evidente che fosse scattato dal letto, conteggiando i minuti che lo separavano dalle 17, solo perché convinto che Dawn partecipasse.
Gli era bastato così poco per dare un significato a quella giornata che, fino a quel momento, era stata l’ennesimo fallimento.
“Che dite se andiamo al parco per assistere ai fuochi?” Propose Duncan, ridestandolo dai suoi pensieri e facendolo sussultare.
“Perché no? Tu vieni Scott?” Gli chiese Mike, facendolo riflettere.
“Non so.”
“Non hai mai nulla da fare e, quindi, perché tirare pacco?” Lo punzecchiò Gwen, facendolo sospirare pesantemente.
“E va bene.” Soffiò, mentre tutti uscivano e lui recuperava il giubbotto.
 
Usciti all’esterno e, incontrati i rimproveri della solita acida guastafeste Beth, buona parte degli invitati era già andata via.
Alcuni avevano altri impegni, altri dovevano tornare a casa per darsi una sistemata e uno di loro, dopo una capatina dagli amici di sempre, sarebbe tornato, illuminato solo dai lampioni, al Pahkitew per sistemare alcuni documenti rimasti indietro.
Nonostante tutto il denaro continuava a essere il suo interesse numero uno.
Poteva odiarlo e rimanerne schifato, ma proprio non riusciva a mantenersi freddo nei suoi confronti.
Durante la breve passeggiata Scott era rimasto indietro, stretto nel suo giubbotto a fissare Zoey e Gwen che confabulavano con Mike e Duncan.
Alla fin fine si era ridotto a uscire con i suoi migliori amici, sentendosi come il terzo incomodo.
Cosa ci faceva in mezzo a quelle due coppie se era sempre indietro e non poteva avvicinarsi?
Quando aveva accettato di uscire, credeva di essere preso in maggiore considerazione e invece li stava accompagnando come un fedele cagnolino. Solo per vedere qualche stupido fuoco che sarebbe finito con l’annoiarlo e che non avrebbe migliorato quella giornata.
“Verrai anche tu alla gita?” Gli domandò Duncan a un certo punto, alzando la voce e girandosi a guardarlo per un breve istante.
“Quale gita?”
“Quando Chef chiuderà il Pahkitew per le riparazioni, avevamo pensato di passare un week-end in montagna.” Ammise il punk, facendolo riflettere.
“Non sarebbe una brutta idea.”
“Ma?”
“Ma non credo possa divertirmi, Zoey.”
“E se ti dicessimo che Dawn ha intenzione di venire?” Tentò Mike, facendolo sospirare.
Scott conosceva quel vecchio trucco.
Se Dawn era effettivamente interessata a Mike, lei avrebbe partecipato solo per farlo sentire uno schifo e per flirtare con il moro. Anche in montagna, passeggiando tra i sentieri, si sarebbe sentito il terzo incomodo e la cosa non gli avrebbe fatto piacere.
D’altro canto poteva almeno rivederla e scambiarci qualche parola.
“Non ho nulla di meglio da fare.” Gracchiò, mentre gli altri si fermavano davanti a una panchina e alzavano gli occhi al cielo.
Lo spettacolo, da quel che ne sapeva, era appena cominciato, anche se non gli sembrava che fosse chissà cosa.
Per un po’ sperò di scrollarsi di dosso quella sensazione, ma dopo 15 minuti, impalato e con il naso all’insù, iniziò a sentirsi dannatamente fuoriposto. Gli altri erano in perfetta sintonia, mentre lui non riusciva a star bene nemmeno con sé stesso.
Aspettò ancora. Sperava che quella sensazione svanisse o si rimpicciolisse, ma con il passare dei secondi si era come amplificata.
Mike e Duncan con le rispettive metà non erano le uniche coppiette o presunte tali presenti in quella fredda serata. Non era poi molto strano che Scott cercasse una scusa valida con cui defilarsi da quel campo.
I fuochi d’artificio, per occhi pieni di gioia, erano di uno spettacolo indescrivibile, ma per lui che aveva la rabbia nel cuore, erano di una noia assoluta.
Era stato sufficiente avvertire Duncan, che gli rispose con un grugnito, per interrompere quella nottata intensa e stancante. Uscito dal parco, si strinse nel giubbotto primaverile e abbassò lo sguardo.
Illuminato dalle luci dei lampioni, sembrava uno dei tanti vagabondi che cercava disperatamente la via della stazione per coprirsi dal freddo pungente.
Il suo sguardo ferito non era comunque intenzionato a guarire con quella festa a sorpresa. Era grato per le risate che gli erano sfuggite senza controllo ed era felice che Zanna e Chef avessero partecipato, anche se la sua tristezza aveva sempre preso il sopravvento.
Con il nodo in gola e con un terribile mal di testa si fermò per qualche istante a fissare la Luna disturbata dai bagliori dei fuochi. Una figura si avvicinò, correndo, mentre lui afferrava il pacchetto e si accendeva una delle ultime sigarette che gli erano rimaste.
Inutile sforzarsi di sorridere e di ringraziare per quella pensata, se era vinto da una tristezza assillante e opprimente.
E quel scricchiolio si allontanò ancora.
Quella che correva aveva già il suo amore.
“Che bel compleanno.” Commentò, ripercorrendo la strada che l’avrebbe condotto verso il suo appartamento.
La sigaretta che stringeva tra le labbra continuava a placare parte del suo rimorso, anche se non sapeva per quanto.
Sentiva chiaramente che il suo corpo si stava ammalando sempre più.
Era già cominciata la primavera, ma nell’anima sentiva ancora l’inverno pungente e gelido. Era orribile sprecare una serata così bella nel piangersi addosso per uno sbaglio commesso di sproposito.
Perfino Courtney gli aveva mandato un messaggio d’auguri da Parigi, segno che era ancora nei suoi pensieri e che non avevano sbagliato a dividersi. L’aveva ringraziata di cuore per quel pensiero e aveva ricevuto una foto che la mostrava felice con il resto della band, stretta al braccio di Trent, proprio sotto la Tour Eiffel.
Perso nei suoi pensieri, Scott era giunto al parcheggio condominiale e aveva rialzato lo sguardo smarrito.
Illuminata dai lampioni, una figura stava appoggiata alla sua auto e subito il rosso si avvicinò per farle notare che se voleva un posto in cui stare tranquilla, qualche panchina del parco sarebbe stata perfetta al suo scopo.
Prima di riuscire a rimproverarla, però, quella persona si era staccata e gli era andata incontro.
 






Angolo autore:

Ryuk: Il compleanno di Scott.

Io odio i compleanni...compreso il mio.
Preferirei ibernarmi per un giorno intero piuttosto di dover ringraziare per degli auguri di qualcuno che mi rivolge la parola per cinque minuti in tutto l'anno.

Ryuk: Sei l'unico stramboide.

Calma shinigami: nemmeno Scott ama il suo compleanno e, quindi, punto per l'unico e superbo rocchi.

Ryuk: Chi si loda, si sbroda.

Non posso nemmeno concedermi il lusso di un qualche complimento che mi rimandi nell'oblio.
Maledetto shinigami.

Ryuk: Piccolo spoiler...tra un po' ci sarà un bel background.

Bello...non esageriamo.
Sarà bello solo se i nostri lettori lo reputeranno tale.
Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana.
A mercoledì
 

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Capitolo 21
*** Cap 21 ***


Nel vedere quel passo leggiadro e nel calcolare la sua altezza, Scott rabbrividì.
Credeva avesse esagerato con lo Spumante e che fosse vittima di una qualche allucinazione post sbornia. Eppure non aveva mai barcollato durante quella breve passeggiata e non sentiva la tipica sensazione di nausea che si riscontra non appena si alza troppo il gomito.
Se non stava sognando e l’alcol non centrava per nulla, c’era solo una possibilità. Gli pareva impossibile e tutto il resto, ma forse qualcuno dall’alto aveva notato che aveva sofferto anche troppo e che, almeno durante il suo compleanno, una sorpresa fosse necessaria.
“Ciao Scott.” Esordì, facendolo sussultare.
“Dawn?” Domandò sorpreso, squadrandola con attenzione.
“Finalmente sei tornato.”
“Mi stavi cercando?”
“Sono venuta solo per farti gli auguri.” Rispose, tenendosi a distanza e facendo intendere che non era intenzionata ad abbracciarlo o a stringergli la mano.
“Un messaggio sarebbe stato sufficiente.” Minimizzò Scott, scrollando le spalle e fingendo che la sua vicinanza non gli facesse piacere.
“Non mi avresti risposto.”
“Finora sei tu quella che ignora i miei messaggi.” Precisò piccato.
“Sono troppo impegnata con l’Università per parlarti.”
“Se vuoi saperlo, anche Courtney mi ha salutato.” Si lasciò sfuggire, notando uno strano guizzo nel suo sguardo.
“La cosa non mi riguarda.”
“Hai ragione, ho sbagliato di nuovo.” Soffiò, accennando un sorriso.
“Non riuscirai mai a fare qualcosa di giusto.” Replicò lei con amarezza.
“Sono stanco di parlare e forse è meglio che vada.”
“Come sempre scappi dinanzi al pericolo.”
“Dopotutto sono solo un codardo.” Ammise, facendola sussultare.
“Sono passata per consegnarti una cosa.”
“Qualunque cosa sia, te la regalo.” Soffiò, dandole le spalle e compiendo alcuni passi verso la sua abitazione.
“Purtroppo il negozio non ha accettato il reso.”
“Puoi sempre rigirarlo a un altro ragazzo.” Ribatté, scrollando le spalle.
“Non mi sembrava corretto.”
“Perché lasciarmi sotto la pioggia e senza darmi la possibilità di scusarmi o di chiarirmi, è il massimo della correttezza.”
“Sei stato tu a costringermi.”
“La cosa assurda è che non sono nemmeno arrabbiato per questo, anche se non ho intenzione di accettare il tuo regalo e di farti dormire senza sensi di colpa.” Ammise, girandosi nuovamente.
“Ma io…”
“Mi spiace Dawn, ma ci rinuncio.” Ricominciò, negando con decisione.
“Rinunci a cosa?”
“Rinuncio per sempre a provare a riconquistarti Dawn.”
“Sai che perdita.” Lo bloccò lei.
“Come fai a non capire che sarei disposto a fare qualunque cosa pur di rientrare nella tua vita? Se mi chiedessi di piangere davanti a tutti lo farei, se mi chiedessi di umiliarmi non esiterei, ma non voglio pensare che il tempo passato insieme non valga più nulla per te.”
“Purtroppo è così.” Replicò gelida, facendolo sospirare.
“Forse un giorno ti pentirai di tutto questo dolore e mi auguro di non essere troppo lontano. Non posso sperare in nulla di malvagio, ma temo che per te possa essere una grave perdita.” Rimuginò, compiendo alcuni passi verso il portone, prima di ritrovarsela davanti a fissarlo con occhi furiosi.
“Prendilo!”
“No!” Tuonò di rimando, rifiutandosi di venir considerato da lei solo in quella breve giornata.
“Ti ho detto di prendere il tuo regalo, Scott!”
“Lasciami in pace: ho sofferto anche troppo.”
“Ti ordino di prenderlo!” Ricominciò lei, sbattendo con veemenza il pacchetto contro il suo petto.
“Lo fai solo perché temi di sentirti in colpa.”
“Di cosa dovrei sentirmi in colpa?”
“Se non lo sai tu.”
“Non rompere e accettalo!” Gli ordinò, mentre lui titubante prendeva quel pensiero coperto da una carta rossa e da un fiocco dorato.
Per quello che gli importava, poteva anche trattarsi di una scatola stile matrioska contenente tante altre piccole scatole.  Soppesato tra le mani, Scott si rese conto che non era uno scherzo e che non sarebbe minimamente esploso. Aprì delicatamente la confezione sotto il suo sguardo incuriosito e poi sollevò il coperchio della scatola color aviatore.
Le sue pallide mani, piene di cicatrici e tagli coperti da cerotti, sfiorarono un portafoglio marrone, strappandogli un sorriso sincero e assai raro in quegli ultimi giorni.
“Grazie.”
“Ti piace?”
“Cambierebbe qualcosa se dicessi il contrario?” Sorrise, facendola rabbrividire.
“Purtroppo no.”
“Apprezzo il pensiero.”
“Ora posso anche andare.” Annuì felice, mentre Scott nascondeva subito il portafoglio nella tasca sinistra dei jeans.
Nel vederla allontanarsi da sola, si sentì pervaso da una strana paura e si affiancò a lei.
Quella poi, considerando la pessima reputazione della città, era la scelta migliore possibile. Se fosse stata in compagnia delle sue amiche e di Mike, allora sarebbe andato sul sicuro e sarebbe potuto rincasare, ma in quel caso era da sola e se le fosse capitata quale seccatura, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Se vuoi, posso darti uno strappo.” Riprese, facendola girare di scatto.
“Non vorrei darti fastidio.”
“Mi darebbe fastidio non accompagnarti a casa.”
“Io…”
“E poi non ti lascerei andare nemmeno se rifiutassi.” Ridacchiò, salendo in macchina e aspettando che Dawn facesse lo stesso.
Chiusa la portiera, tastò la ventola che, come il solito, avrebbe iniziato a funzionare con molto ritardo e sbuffò per quella rottura che il meccanico non riusciva a riparare senza menzionare a costi elevati e all’intera sostituzione del cruscotto.
La radio, normalmente accesa e sintonizzata su una stazione fissa, fu chiusa proprio nell’istante in cui i Green Day avevano iniziato il ritornello di Holiday. Quella era una delle sue band preferite e in passato, quando era ancora alle superiori, aveva collezionato alcuni loro cimeli, salvo poi sigillare spille, foto e articoli di giornale in uno scatolone che doveva essere nella sua vecchia stanza alla fattoria.
Ricreato il silenzio, si girò a fissare Dawn e sorrise, facendola arrossire.
“Grazie.” Mormorò lei.
“E di cosa?”
“Potevi ignorarmi e a quest’ora saresti sul tuo divano per la maratona horror.”
“Un’altra volta, forse.”
“Io non capisco come tu riesca ad adorare quella robaccia.” Protestò Dawn, sforzandosi di non ricordare i suoi travestimenti spaventosi di Halloween.
Se avesse bussato, per esempio, alla casa dei McGrady, distante appena tre isolati, ecco che ad aprire si sarebbe presentato un ragazzo universitario, occhialuto, parecchio anonimo, vestito con pigiama di Superman e con tanto di fobia per clown pazzi psicotici, per strani esseri dotati di mani sferraglianti e per i ninja.
Harold McGrady, manco fosse rincorso dal Demonio, sarebbe schizzato nella sua stanza, rischiando di far precipitare al suolo il prezioso vaso di famiglia e si sarebbe rifiutato d’uscire fino a quando It e Freddy Krueger non fossero andati al diavolo. Di certo non poteva sapere che Duncan e Scott, quella sera, erano andati di casa in casa solo per fare dolcetto o scherzetto e non per ucciderlo.
La fantasia di quel giovanotto l’aveva spinto a credere che i ninja, suoi acerrimi rivali, avessero assoldato due pazzoidi solo per accopparlo. E fu così che It e Freddy si aggiunsero alla lista delle sue innumerevoli paure.
“Tu segui le sitcom demenziali e a me lasci l’orrore.” Si scaldò il rosso, non aspettandosi che iniziasse a ridere. Credeva che, risentita da quella verità, sbraitasse qualcosa e che difendesse a spada tratta tutti i protagonisti delle sue serie.
“D’accordo.”
“Questo è un bel regalo, Dawn.”
“Quale?”
“Siamo riusciti a parlare senza litigare, come quando eravamo bambini.” Sorrise amaro, rabbuiandosi subito dopo.
“Io…”
“Dawn, anche se non mi sopporti, continuo a volerti bene come allora.”
“Ti è piaciuto il regalo?” Richiese lei, sviando dal suo discorso, mentre lui metteva in moto.
“Certo.”
“Non stai mentendo?”
“Ti giuro che è il migliore che abbia mai ricevuto.” Sorrise, uscendo in strada e avviandosi verso l’appartamento della giovane.
Il silenzio cadde pesante e ingombrante in quell’abitacolo.
Scott era convinto che dovesse dire qualcosa per tentare di ricominciare daccapo, anche se non sapeva come. Aveva sentito da Duncan che Dawn aveva sofferto molto della sua scelta e di certo non voleva rigirare il coltello nella piaga.
Allo stesso modo lei non aveva il coraggio d’affrontare l’ex coinquilino e pertanto preferì zittirsi e lasciarlo guidare in pace.
Quei 10 minuti erano stati i più lunghi, ma anche i più brevi, della loro vita. Entrambi desideravano parlarsi con franchezza, ben sapendo che solo il più coraggioso avrebbe tentato la prima offensiva.
Solo giunto a destinazione, il ragazzo sollevò lo sguardo verso Dawn e le sorrise.
“Che serata particolare.” Esordì, cacciando un sospiro.
“Già.”
“È stata una delle serate più strane e interessanti della mia vita.”
“Davvero?”
“Non mi aspettavo di rivederti.”
“Sarai stanco.” Tentò lei, scontrandosi con un nuovo sorriso.
“Mai stato meglio in questi ultimi periodi.”
“Ti è successo qualcosa di brutto, Scott?” Chiese, facendolo annuire.
“E la tua vita come procede, Dawn?” S’informò, facendola tentennare.
“Potrebbe andare meglio.”
“Come sempre.”
“Forse è il caso che vada.” Soffiò appena, tentando di aprire la portiera, ma scontrandosi con il blocco azionato dal suo autista.
“Prima devo parlarti.”
“Questo è un sequestro di persona.”
“Non lo è se ci conosciamo da anni.” Mentì, sapendo che il pericolo della denuncia alleggiava seriamente sopra la sua testa.
“Io…”
“Vorrei farti solo una domanda.” Borbottò triste.
“Non voglio ascoltarti.”
“Tu sai che la mia pazienza è infinita.” Ribatté, mentre lei, dopo alcuni tentativi di scappare, si rimetteva seduta e cercava di mantenere la calma.
Fino a quando non fosse stata propensa ad ascoltare e avesse continuato a sfiorare la maniglia con la speranza che la porta cedesse, lui non avrebbe chiesto nulla. Sarebbe rimasto in rigoroso silenzio e avrebbe atteso con fiducia la sua scelta. Dopotutto non aveva nulla da perdere. La sua vita, così com’era, gli faceva schifo e stare da solo con Dawn, anche se lei lo odiava, non gli creava fastidio. Scott, infatti, socchiuse leggermente gli occhi e poi inspirò con calma. Aveva tempo. Sarebbe rimasto lì dentro anche tutta la notte purché lei abbandonasse le sue intenzioni di fuga.
“Chiedimi quello che devi.” Lo spronò, risvegliandolo e facendolo tossicchiare.
“Non voglio farti arrabbiare.”
“Non occorre che tu me lo dica: tanto sono già arrabbiata.”
“So bene che potrà sembrarti patetico e ripetitivo e che non mi perdonerai mai per quello che ho combinato, ma non posso credere che, con quello che abbiamo passato, tu accetti di rovinare tutto questo.”
“Hai detto che la colpa era solo mia.”
“Ero spaventato e confuso.” Confessò, cercando una scusa per proteggersi.
“E tu mi hai gettato via, Scott.”
“Non volevo parlarti di questo.”
“Ah già…dimenticavo che detesti i rimproveri.” Affermò con disinvoltura.
“Capisco il tuo odio. Lo considero giusto, anche se vorrei sapere il motivo per cui non eri presente alla festa.” Tentò, provando a essere il più dolce e tranquillo possibile.
“Tu mi volevi?”
“Certo che sì.” Sbottò, picchiettando sul volante.
“A volte sei strano, Scott.”
“Perché non c’eri?” Richiese, percependo il suo sospiro.
“Perché, di sicuro, avrei rovinato tutto. Zoey e Gwen me ne hanno parlato per quasi due settimane e non volevo rovinare i tuoi sforzi.” Ammise, torturandosi le mani.
“Non lo sapevo.”
“Sei soddisfatto ora?”
“Sì, anche se non sono stato sincero.” Sospirò, mentre i vetri iniziavano ad appannarsi leggermente.
“Come?”
“Di solito, quando si festeggia, non si dovrebbe mentire e, soffiando sulla torta, credevo di aver sbagliato desiderio. Ho subito capito che era un sogno irrealizzabile e irrazionale, ma proprio perché era quello che ho sempre sperato, alla fine mi sono arreso.” Mormorò, cancellando con delle strisce il piccolo disegno.
“Qual era il tuo desiderio?” Domandò, vinta dalla curiosità e torturandosi le mani durante quei pochi secondi d’attesa.
“Il mio cuore diceva che potevo riuscirci e ho mentito con me stesso, credendolo possibile.”
“Cos’hai chiesto?”
“Io volevo parlarti, ma alla fine sono finito con il raccontarti un’ennesima bugia.”
“Non me ne sono nemmeno accorta.” Soffiò, arrossendo e nascondendo il suo imbarazzo dietro il colletto rialzato del giubbotto.
“Era questo il mio più grande desiderio.”
“Tu, però, non hai mentito.”
“Dawn…io non sono capace di rinunciare a te.” Borbottò amaro, riconfermando una scomoda verità: lui non ci sapeva stare senza la sua compagnia. Aveva provato nelle ultime settimane a chiudere l’orribile pagina che entrambi avevano aperto e imbrattato, ma era soltanto precipitato nella spirale dei ricordi che tendeva a ferirlo senza la minima delicatezza.
“Dovrai farlo.”
“Anche se mi obbligassi, non credo di riuscirci.”
“Forse non hai capito, Scott: sono io che non voglio ricominciare.” Sbuffò stizzita.
“Posso almeno provarci?”
“Tu puoi sprecare il tuo tempo come meglio credi.”
“Tu non sei mai stata uno spreco per me.” Obiettò, poggiando una mano sulla sua spalla e compiendo uno sbaglio.
Prima la vide rabbrividire, manco avesse sfiorato un pezzo di ghiaccio e poi notò come si stesse piegando sopra il cruscotto, versando alcune lacrime che sotto il riverbero della luce dei lampioni risaltavano ancora di più. Non era nelle sue intenzioni farla piangere, eppure come gli capitava di solito, l’aveva fatta sprofondare in quello stato. Come quando avevano chiacchierato al bar dopo la sua fuga precipitosa dall’appartamento di Beverly o come quando l’aveva definita una sgualdrina, rinnovando il suo amore, ormai scricchiolante e vuoto, nei confronti di Courtney.
In entrambi i casi si era ripromesso che mai più l’avrebbe vista versare lacrime e puntualmente si rimangiava la promessa fatta.
“Anche se sono stato egoista, io sarò sempre dalla tua parte Dawn.”
“Non voglio.” Singhiozzò lei.
“Rispetto la tua scelta, ma non puoi decidere per me.”
“Ti prego…non farmi piangere per questo.”
“Ormai ho deciso.”
“Non voglio farmi del male.” Ribadì lei, sperando di riuscire a congelare i suoi intenti.
“Vorrà dire che lotterò per entrambi.”
“Faresti questo solo per me?” Mormorò triste, non riuscendo a cogliere nel suo sguardo il minimo accenno a un eventuale ripensamento.
“Ti chiedo solo di fidarti.”
“Come l’altra volta?” Chiese, prendendolo in controtempo.
“Da allora ho capito molte cose.”
“Tipo?”
“Il fatto che tu mi odi, che cerchi di starmi lontana, che mi fai pesare il fallimento…tutto lampante e logico come il sorgere del Sole. Immagino che ti stia impegnando per rendere fondati i tuoi tentativi con Mike.” La punzecchiò, temendo di scontrarsi con un’atroce risposta affermativa.
“Dicevi di sapere tutto.” Lo sfidò, facendolo sghignazzare.
“Ora ne ho la certezza e ti consiglio di stare attenta.”
“Attenta? Perché? Vuoi forse picchiare Mike e tenermi lontana da lui?”
“Certo che no.”
“Il nostro è amore.”
“Non sembra vero amore.” Brontolò il rosso.
“Da quando sei diventato un esperto in amore?”
“Non posso più nemmeno esprimere una mia opinione?”
“Non è che tu sia geloso, Scott?” Chiese con un pizzico di malizia, catturando un suo breve istante di spaesamento.
“Lo sono, anche se non posso pretendere qualcosa e vorrei solo che ricominciassimo da zero.”
“Come amici?”
“Sarebbe da stupidi continuare a farsi la guerra.”
“Sei stato tu a cominciare, se ben ricordi.” Protestò lei, asciugandosi frettolosamente il viso con la manica destra del giubbotto e spargendo il trucco che era ormai colato.
“Posso almeno chiederti una tregua?”
“Se credi di far pace con così poco, allora ti sbagli.”
“So bene che sei molto testarda in certe cose.” Ammise il rosso, facendola sorridere.
“Mettere in risalto i miei difetti non ti permetterà di migliorare le cose.” Borbottò lei, sfiorando la maniglia nella speranza che si aprisse.
“Posso almeno sapere se hai intenzione di partecipare alla gita di gruppo?” Sospirò, sbloccando il comando, mentre lei afferrava la borsetta per uscire e per tornarsene al suo appartamento.
“Non lascerò mai Mike da solo.”
“Allora non sarà l’ultima volta che parleremo.” Concluse, uscendo e accompagnandola fino alle scale della sua nuova abitazione.








Angolo autore:

Buonasera carissimi.
Mi scuso per questo aggiornamento giunto con 10 giorni di ritardo, ma mi sono preso un break per ricaricare le batterie, in quanto ero fisicamente e mentalmente a pezzi.
Non che mi sia tornato molto utile: sono più stanco di prima, ma pazienza.

Ryuk: Speriamo di aver creato il giusto interesse per la gita in montagna.

Ci sarà, come sempre, da divertirsi.
Detto questo vi saluto e vi auguro un buon fine settimana.
A presto!
 

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Capitolo 22
*** Cap 22 ***


Era stata dura.
Resistere alla tentazione di rincontrarla e impegnarsi al massimo al Pahkitew, allontanando tutte le sue ansie e preoccupazioni, gli era costato immensa fatica.
Era come un bambino che scendeva le scale poco prima dell’alba natalizia e desiderava scartare i regali, ben sapendo che doveva aspettare il risveglio dei genitori.
Questa sua scelta gli aveva restituito l’abilità con i cocktail che, in quelle settimane, si era solamente sopita.
Attingendo a una forza d’animo che credeva di non possedere, era riuscito a tornare all’antico splendore, riguadagnandosi il rispetto dei colleghi e gli elogi di Chef che, finalmente, poteva sonnecchiare molto più tranquillamente sopra la sua scrivania.
Gli aveva dato di che pensare quando Scott aveva ammesso lo smarrimento dell’ardore e della soddisfazione con cui aveva cominciato e senza volerlo Chef era finito sul forum con tutti i curriculum di aspiranti barman.
Non voleva pensare che il suo rosso preferito abbandonasse la barca solo per una crisi d’identità e, scottato da una precedente esperienza negativa, aveva cominciato a studiare i vari profili che avrebbero potuto raddrizzare l’eventuale licenziamento di Scott.
Se si fosse tirato indietro e avesse rassegnato le dimissioni, Chef aveva già pensato a una contromossa adeguata.
Innanzitutto avrebbe promosso Duncan nel ruolo di capo barman, Mal avrebbe ricoperto il ruolo di Vice e poi si sarebbe dato ai colloqui di gruppo per una terza figura da affiancargli dietro il bancone.
Per un po’, prima di presentare il contratto al possibile fortunato, si sarebbe risollevato le maniche e, nelle serate di calca, avrebbe alzato boccali e sarebbe tornato in sala, mostrando agli affezionati clienti il suo brutto grugno.
Fortunatamente Scott si era scrollato di dosso quella mano gelida che si era attaccata come una sanguisuga al suo braccio e aveva sfornato dei cocktail da far rimanere di stucco anche il più cinico dei clienti. Ricordava perfettamente quella mattina quando si era presentato di buonora e si era messo d’impegno per riconquistare il terreno perso.
Serviva in velocità, seguiva Mal, usciva per aiutare i camerieri e riusciva pure a intrattenersi con Duncan per delle conversazioni profonde ed efficaci. Da quello che aveva sentito, passando per un goccio di Gassosa, sembrava che il rosso stesse insegnando al collega qualche nuovo trucchetto per rendere più rapidi i servizi sul vassoio.
Chef Hatchet, rientrando nel suo ufficio, aveva tirato un sorriso tale da lasciare di sasso uno dei suoi camerieri che di certo non si aspettava quell’insolito raggio di sole in una giornata uggiosa e piovosa. Non pensava nemmeno di sentirlo fischiettare e di poter convenire con gli altri che quello sarebbe stato un periodo di pace per il Pahkitew e i loro dipendenti.
Il primo a notare quell’insolita evoluzione era stato Duncan che, di ritorno da alcuni giorni di riposo, aveva riempito l’amico di pacche sulla schiena.
“È bello vederti così allegro.” Esordì una mattina, facendolo ghignare.
“Sono tornato in piena forma.”
“Hai sistemato le cose?”
“Ti sembrerà assurdo, ma non è cambiato nulla.”
“Hai trovato un’altra da stressare con la tua sola esistenza?” S’informo il punk con un tono di voce non proprio rassicurante.
“Assolutamente no.”
“Cosa mi sono perso?”
“È solo che ho capito l’inutilità di restare male per troppo tempo.”
“Se ti piace una ragazza, il tempo non mai è inutile.” Lo corresse Duncan, facendolo annuire.
“Mi sono spiegato male.”
“Come il solito.”
“In verità soffro ancora per la storia con Dawn, ma in misura leggermente minore. Questo sollievo che provo ora, è dovuto alla chiacchierata che mi sono fatto con lei.”
“Gwen non mi ha detto nulla.” Gracchiò il punk, sistemandosi il grembiule e asciugando una pila di bicchieri.
“Probabilmente Dawn ha preferito evitare. Sarebbe stato troppo imbarazzante per lei e, con quello che ci siamo detti, posso anche capirla.” Soffiò il rosso.
“Mi manca solo questa parte.”
“È mai possibile che tu sappia sempre tutto?”
“È questo il vantaggio di andare a trovare la propria ragazza tutti i giorni.”
“Occhio a non stancarti troppo con i tuoi giochi.” Lo provocò, facendolo arrossire appena e sentendo un tintinnio di calici abbastanza sinistro.
“Pensa per te.”
“Tra me e Dawn non è ancora finita e con il week-end in montagna mi gioco tutto.”
“Era ora che la smettessi con la depressione e ti sforzassi di fare qualcosa di buono.” Replicò Duncan, leggendo il primo ordine.
“È da parecchio, però, che non parliamo di te, Duncan.” Ammise Scott che, durante le settimane precedenti, non aveva assorbito tutte le chiacchiere che si erano scambiati i camerieri.
Nell’osservare i tre che portavano vassoi e che parlottavano fitto con i clienti, li aveva paragonati a delle ochette. Starnazzavano, conoscevano ogni loro mossa e si lanciavano in giudizi piuttosto beceri riguardo le ragazze che entravano nel locale.
E se per Mal il discorso era leggermente diverso, dato il suo evidente interesse per una cameriera, con Scott e Duncan potevano sbizzarrirsi molto di più.
Tutte quelle che si approcciavano ai barman, finivano sotto il loro sguardo indagatore e, secondo certe caratteristiche, si piazzavano in una classifica piuttosto demenziale.
E in tal proposito al rosso erano giunte alcune voci riguardo Zoey e Gwen.
La prima era stata oggetto di apprezzamenti anche abbastanza volgari, mentre la seconda era passata sotto traccia e si era classificata in una posizione che, probabilmente, avrebbe fatto infuriare sia Duncan sia la dark.
“Che cosa dovrei dire?”
“Pensavo ti mettessi a parlare delle tue conquiste.”
“Non sono mai stato un latin lover.” Soffiò Duncan, riempiendo una tazzina con del caffè amaro.
“Stai mentendo.” Lo canzonò divertito.
“Io non mento mai.”
“Guarda che le bugie fanno diventare calve le persone.”
“È solo una diceria.” Si difese il punk, porgendo l’ultima ordinazione a uno dei camerieri che lo ringraziò con un fugace sorriso.
“Ieri sera un idiota con una stupida macchina grigia mi ha quasi investito e sul lato passeggero mi pareva ci fosse la tua cara Gwen.”
“Ci sono tante ragazze che le somigliano.” Tentò Duncan, ben sapendo che in quel caso era quantomeno impossibile che lei avesse una sosia.
Se fosse stata una ragazza acqua e sapone, in stile Dawn o Zoey, avrebbe anche potuto cavarsela, ma i suoi capelli, il suo atteggiamento da maschiaccio e altre caratteristiche non erano per nulla riscontrabili in un’altra donna e in una città come la loro.
La sua figura e il suo stile erano riconoscibili ovunque e pertanto la sua difesa diventava fuori luogo e quantomeno bizzarra.
“E ci sono tanti ritardati che non hanno ancora sistemato il fanale rotto.”
“Ecco…io…”
“Uscita galante a cena o classico cinema con film intramontabili?” Domandò Scott che, a fissare l’orologio, si era quasi convinto che le scelte fossero piuttosto ristrette.
Volendo c’era la possibilità del palazzetto, ma la direzione che Duncan aveva scelto era ben lontana dalla partita di basket e poco si conciliava con un appuntamento che doveva, per forza di cose, essere galante e impeccabile.
“Possibile che con te non riesca mai a fare qualcosa in gran segreto?” Si chiese retoricamente, facendo sghignazzare l’amico.
“Sei stato sfortunato che avevo bisogno di fumare, altrimenti non ti avrei nemmeno incrociato.”
“Sapevo che dovevo passare per il centro, ma non volevo rimanere imbottigliato e così sono passato vicino a casa tua.”
“Dove stavi per investirmi.” Concluse Scott, mentre il collega tornava verso il lavandino laddove aveva da asciugare ancora qualche boccale.
“Avrò anch’io il diritto di uscire e di divertirmi.” Sbottò infastidito.
“E chi dice il contrario?”
“E poi durante questi appuntamenti parliamo anche di quello che ti è successo.”
“Perché dovete rovinarvi le serate a causa mia?” Chiese seccato dalla piega che stava prendendo la loro conversazione.
“Quando avevamo bisogno del tuo aiuto, hai sempre cercato di sostenerci, anche se i problemi sembravano irrisolvibili.”
“Non cambia di molto le cose.”
“Ora che sei in difficoltà, io non ho intenzione di lasciarti nei guai. Se lo facessi, mi sentirei un infame e la cosa mi darebbe fastidio.”
“Tutto qui?” Domandò il rosso, cacciando quella parte del loro dialogo e costringendo il collega a parlare della sua relazione con Gwen. Una volta, quando le cose con Dawn erano in perfetto equilibrio, avrebbe sempre ascoltato gli episodi di Duncan.
Con il passare delle settimane e con l’intricarsi della faccenda, aveva smesso di preoccuparsi dell’amico ed era rimasto parecchio indietro. Come in una delle serie tv che sua madre adorava e per cui sarebbe rimasta sveglia per delle notti intere, malgrado le imprecazioni del consorte che odiava il volume perennemente elevato, Scott sentiva di essere ancora a quella sera sul suo divano, dove stavano celebrando la vittoria del contest e dove Duncan e Gwen si erano baciati.
Ne era passata di acqua sotto i ponti e lui aveva ignorato quel lento, ma costante fluire per non finire sommerso dai sensi di colpa che aveva comunque ereditato dopo esser stato lasciato da Dawn.
“Prima di Gwen, come ben sai, ho avuto le mie esperienze, ma per colpa del mio lavoro troppo umile e poco esaltante sono state relazioni brevi e noiose.”
“Spero che questa volta il discorso sia diverso.”
“Ti sembrerà strano, ma riesco a parlarle di tutto.”
“Aprirsi con qualcuno che può capirti è abbastanza normale.” Lo rincuorò, felice di apprendere che il collega stava passando un buon periodo.
“Sento di potermi confrontare con lei senza ostacoli e anche Gwen pensa la stessa cosa, anche se forse non sembro la persona più adatta.” Soffiò placido, staccandosi dal lavandino e avvicinandosi al bancone dove il collega stava controllando la qualità di alcuni prodotti.
“L’amore è una cosa molto stimolante.”
“Così dicono.”
“Devi solo giocare bene le tue carte e non lasciare niente al caso.”
“È sempre bello ricevere qualche consiglio dal grande Scott.” Borbottò il punk, facendolo incupire all’improvviso.
“E ricordati un’altra cosa, Duncan.”
“Quale?”
“Ci sono tante mele marce che possono rovinare un cestino e, anche se difficile, dovrai cercare di renderlo sempre curato e invitante.”
“Non ti seguo.”
“Tieni d’occhio quelle persone che potrebbero rovinare la vostra storia e cerca di allontanarle con moderazione.” Spiegò Scott che, nonostante tutto, aveva imparato quella lezione solo da poco tempo e a caro prezzo.
“Io…”
“Molte persone possono inquinare la tua relazione solo per il gusto di farlo.”
“Di chi parli?” Chiese Duncan, rivolgendo uno sguardo maligno verso i camerieri.
“Potrebbero essere loro, ma potrebbe anche trattarsi di qualcun altro.” Ammise Scott, studiando i tre babbei che sfilavano tra i tavoli con la loro maglietta rossa e con il logo del Pahkitew cucito in bianco all’altezza del cuore.
“Chi?”
“Per noi barman può esserci il problema di una qualche cliente troppo appiccicosa, di una compagna di scuola o di un’amica d’infanzia.” Spiegò distrattamente, prendendo un bicchiere e riempiendolo con un goccio d’aranciata.
Nell’ascoltare quella lezione Duncan preferì seguire la linea del silenzio, permettendo all’amico di sorseggiare tranquillamente e di riprendere il suo discorso.
“Ovviamente potrebbe anche esserci qualche ex che pretende la minestra riscaldata, ma il pericolo maggiore viene da Gwen che ha troppe distrazioni di cui tenere conto.”
“Tipo?”
“Ci sono tanti rompiscatole all’Università e il discorso degli ex è comunque valido anche per lei.”
“Non mi resta che fidarmi.” Soffiò il punk, facendo sorridere anche Mal che era appena giunto dalla sua visitina all’ufficio di Chef.
“In tanti possono essere invidiosi della tua fortuna e questo sentimento spesso li spinge a distruggere tutti i rapporti che finiscono sotto le loro grinfie. Alcune persone, Duncan, vogliono solo veder  bruciare il mondo e non si preoccupano di calpestare gli altri per ottenere quello che desiderano.”
“Rientri anche tu in questa lista?” Lo stuzzicò Duncan, facendolo sospirare rassegnato.
“Dipende tutto da te e da ciò che hai imparato.” Ridacchiò il rosso.
“Non finirò mai di ringraziarti per tutto quello che hai fatto.”
“Ciò che hai ora non dipende solo da me.”
“Se non fosse stato per te, a quest’ora sarei a casa a rigirarmi i pollici e non farei che discutere con mio padre.” Obiettò il punk.
“A proposito…come sta il vecchio?” Tentò il rosso, sperando di non impantanarsi in un discorso che sarebbe potuto tornare su Dawn e le sue amiche.
“È acido come il latte e velenoso come una serpe.” Ammise, ricevendo una pacca sulla schiena.
“A volte non so proprio che razza di famiglie abbiamo.”
“Tra me, Dawn e Zoey si può quasi dire che la sfiga si sia sbizzarrita.” Soffiò con calma glaciale, escludendo dal suo elenco Mike e Scott.
Dell’intero gruppo di amici erano gli unici, insieme a Mal e Gwen, che potevano sfoggiare una famiglia unita e coesa.
Per Scott c’era solo il problema della lontananza, per Mike e Mal si trattava di genitori che non potevano badare a loro, ma che erano sempre presenti per un aiuto di ogni genere e per Gwen c’era il padre onnipresente e la madre calma e paziente.
Lui, invece, veniva, così come Dawn e Zoey, da una situazione piuttosto malferma.
Non era nulla di paragonabile al vecchio Zanna che si dibatteva in un mare di squali con una tale ferocia da far paura anche al più tosto dei poliziotti, ma gli lasciava comunque di che pensare.
Dawn aveva perso la madre in tenera età, il padre era in carcere per l’omicidio perpetrato ai danni della consorte e la sorella se l’era svignata, facendosi viva solo con le letterine natalizie che giungevano, di anno in anno, da un paese sempre diverso e che venivano recapitate con ritardo imbarazzante.
Di Zoey, quelle poche volte che aveva osato insinuarsi nella sua vita, aveva dipinto un quadro piuttosto nebuloso.  Senza problemi si era lasciata sfuggire che era figlia unica, ma il resto dell’albero genealogico era rimasto piuttosto vago.
Se lei non era mai stata troppo interessata a parlare con gli altri dei suoi genitori, al contrario Mike aveva spifferato qualcosina in più.
La madre di Zoey era un’avvocatessa in carriera: una di quelle regine del foro che perdevano il caso solo una volta ogni decennio e che garantiva alla figlia un’immensa fortuna.
Se fosse stata una semplice casalinga o una massaia dal lavoro umile e poco remunerativo, i centri sociali le avrebbero levato anche la figlia. Dimostrando un reddito sufficiente e un impegno all’altezza, era riuscita a sopperire alla mancanza dell’adorato marito, morto con il suo camion durante il trasporto di un carico di legname.
“Credevo che tuo padre fosse cambiato.”
“L’erba cattiva oltre a non morire mai, non cambierà mai.”
“Pensavo si fosse dato una regolata.”
“Quel vecchio porco non si è calmato nemmeno dopo il divorzio e continua a fare i suoi comodi.” Ringhiò furibondo, facendo annuire l’amico.
“È ancora circondato da splendide 20enni?” Domandò curioso.
“Purtroppo.”
“La cosa non ti dà fastidio?” Chiese Scott, vedendolo sussultare.
“Un po’.”
“E non hai paura che possa rovinarti in qualche modo?”
“L’unico modo che ha per rovinarmi la vita è che vada a letto con Gwen.” Soffiò il punk.
“Ma…”
“Non temere: le nostre ragazze sono al sicuro.”
“Come lo sai?” Chiese Scott, vinto dal timore che quel porco allungasse le mani su qualche ragazza indifesa e che potesse, con immensa sfortuna, infastidire la sua Dawn.
“Sarebbe umiliante, almeno per una ragazza, far conoscere alla società d’essere andata a letto con uno che potrebbe essere suo padre.”
“In effetti.”
“Solo qualche disperata potrebbe accettare la corte di quel porco.” Terminò il punk, stanco di quel discorso che stava diventando troppo pesante e opprimente.
“Ma come cavolo ci riesce?”
“Non ne ho idea.” Sibilò, gettando uno straccio con stizza nel lavandino e facendo intendere al collega che era meglio, almeno per quella giornata, non accennare più al porco che abitava in una piccola villetta lontana appena cinque minuti di macchina dal centro cittadino.
 
Per qualche minuto la postazione dei barman fu riempita dal più insolito dei silenzi.
Mal si era messo a servire un tavolo di studenti appena usciti dalla loro aula e che si erano chiusi nel Pahkitew per rifocillarsi un po’ con qualche bibita frizzante o con qualche tramezzino.
Di per sé era una giornata abbastanza tranquilla.
Esclusi i sette giovani che si erano seduti a discutere di un importante esame e alcuni vecchietti presto serviti con un caffè corretto, si poteva affermare che il locale di Chef, così come buona parte dei locali rivali, fosse quasi deserto.
Scott si era messo a lucidare i vassoi d’argento, Duncan aveva seguito le preparazioni di Mal e Chef era disperso nel suo ufficio a sistemare i documenti da proteggere dall’avanzata degli operai.
Stanco di riordinare le bottiglie messe in bella vista, Scott aveva aggirato il bancone e si era seduto su uno degli sgabelli che stavano meditando di sostituire.
Giratosi a osservare i clienti, aveva raccolto la testa tra le mani, lasciandosi scivolare addosso tutte le urla fastidiose degli studenti e il chiacchiericcio sommesso dei vecchietti.
Ora che era tranquillo e non aveva nulla che potesse tenerlo impegnato, il pensiero s’insinuava sui soliti cammini che incrociava durante il suo rigirarsi frenetico tra le coperte del letto.
Concentratosi a fissare l’etichetta di una bottiglia di whisky invecchiato, aveva ormai preso il volo e non si accorse di un braccio che gli passava dietro il collo e di una mano che si posava sulla sua spalla destra.
“Terra chiama Scott…ci sei?”
“Per me è partito.” Replicò una voce che fece girare subito Duncan.
“Ah no…non si parte senza di noi.” Gracchiò Mike, sventolandogli una mano davanti agli occhi e facendolo sussultare.
“Voi?” Domandò sorpreso il capo barman.
“È sempre perfetta la vostra accoglienza.” Lo derise Zoey, mentre Gwen raggiungeva Duncan dietro il bancone e gli donava un fugace bacio.
“Che ci fate qui?”
“Avevamo sentito parlare di grandi sconti e pensavamo di scroccare una bella birretta o qualche cocktail gratis.” Tentò Mike.
“Non credo siate pronti per scontrarvi con Chef in proposito.”
“A che cosa stavi pensando?” Soffiò Zoey, gettando la borsa al suolo e sedendosi alla destra dell’amico.
Allo stesso modo, alla sua sinistra, imitando la rossa, Mike aveva occupato un posto e allungando le mani oltre il bancone aveva recuperato la ciotola dei salatini, rischiando comunque di rimetterci le dita a causa di un coltello agitato dal fratello Mal con troppa foga.
Il moro nel sentire la lama limargli quasi le unghie aveva rivolto un’occhiata torva al gemello, il quale lo gelò a sua volta con uno sguardo che non ammetteva troppe repliche. Se fossero stati in camera da soli, così come quando erano alle elementari, probabilmente si sarebbero fatti una bella scazzottata, crollando sfiniti sul pavimento.
La scelta di dividersi e di vivere ognuno per conto proprio, era logica conseguenza della diversità del loro carattere e del loro stile di vita.
Mal era un ragazzo intelligente, astuto e dotato di un’inventiva tale da aprirgli le porte per l’Università, salvo poi rendersi conto che l’ingresso era sbarrato e che la strada intrapresa era piena d’insidie.
Molto più metodico, puntuale e preciso del fratello aveva dalla sua anche una maturità maggiore e uno stile di vita meno attivo e meno dedito alle feste.
Guardandosi allo specchio e rigirando questo suo carattere al contrario ecco che compariva l’immagine chiara e limpida di Mike.
Quest’ultimo era molto meno preparato, leggermente più infantile del fratello, ma assai più attivo di quell’eremita che aveva come parente.
Tra le feste con i compagni dell’Università, le uscite con i suoi amici e le visite frequenti ai genitori, il telefono fisso del suo appartamento suonava spesso a vuoto e riceveva le sue attenzioni per le chiamate perse quando la mezzanotte era ormai passata da un bel pezzo.
Unire due mondi così diversi in una stanza sarebbe stato come mettere nella stessa teca di vetro uno scorpione e una tarantola, ben sapendo che solo uno ne sarebbe uscito vincitore da quella battaglia mortale.
Uno scontro così brutale sarebbe stato quasi impossibile e se Mal non aveva affettato le dita di Mike, era solo per la presenza di troppi testimoni e per la rottura di dover pulire il banco di lavoro dalle sue tracce di sangue.
“Niente di speciale.” Ammise Scott, risvegliando Mike.
“Davvero?”
“Stavo solo riflettendo sul come ci siamo conosciuti.”
“A scuola ovviamente.” Soffiò Gwen, ritornata vicino a Zoey e sbattendo i suoi occhioni per fare in modo che Duncan le preparasse il suo cocktail preferito.
“Probabilmente vi siete dimenticati qualcosa.”
“Davvero?” Chiese Mike, porgendo la ciotola con i salatini alle ragazze e ricevendo un’ennesima occhiataccia dal fratello.
“È passato tanto tempo…” Commentò Duncan, stracciando l’ultimo ordine e gettando il foglietto nel bidone dell’immondizia.






Angolo autore:

Fatemi indovinare, mercoledì era ieri

Ryuk: Vero...in ritardo come al nostro solito.

Ho la testa da un'altra parte e non ricordo quasi niente.
Ho proprio bisogno di una vacanza.
A presto e scusate per l'ennesimo ritardo
 

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Capitolo 23
*** Cap 23 ***


Controllata la grande sala e notato che tutto fosse in perfetto ordine, Duncan si era seduto, presto imitato anche da Mal, sulle seggiole che si trovavano ben nascoste sotto il bancone. Spesso si erano chiesti a cosa servissero se poi non avevano il tempo materiale di tirare il fiato e di prendersi qualche minuto di pausa.
Qualcuno giurava d’aver sentito Chef Hatchet affermare che erano necessarie per evitare multe e richiami dalle associazioni sindacali. Come se avesse mai temuto quei tizi in giacca e cravatta, tutti profumati e impettiti, che entravano il lunedì o il martedì per presentargli alcuni dépliant riportanti statistiche su disoccupati e sull’indice di gradimento verso certe scelte politiche non proprio impeccabili.
Già una volta Mal li aveva visti allontanarsi di gran carriera e, se la luna era particolarmente storta, non ci sarebbe stato nulla di sorprendente se il vecchio Hatchet si fosse premunito d’estrarre, dal terzo cassetto della scrivania, la perfetta riproduzione di una scacciacani.
Quest’unica arma era alla pari di una pistola a bolle per bambini, ma quei due ometti che erano entrati verso le 10, erano scappati come se si fossero trovati davanti un plotone d’esecuzione con tanto di mitra alla mano.
Per quanto odiasse girare per la città, Mal non incrociò mai più gli occhi grigi di quello più anziano, né la cravatta con pallini blu su sfondo bianco del più giovane.
Chef Hatchet era, e tra i dipendenti ciò doveva passare sottotraccia, in alcune rarissime circostanze, il demonio sceso in terra.
Probabilmente quei due sventurati che si erano ritirati nel bar per cercare riparo dalle intemperie, sperando di fare un’opera pia nella consegna di quel fascicolo, non avevano considerato che il proprietario, proprio quella mattina, aveva già avuto le sue belle gatte da pelare.
Tra la vecchia Chevrolet costretta al carro attrezzi, il ritardo di mezzora al locale, la macchina del caffè che faceva le bizze e che si era rassestata con una sua manata sul fianco sinistro e un cameriere assente per malattia, quella nuova visita l’aveva spinto a una rabbia cieca e incontrollata.
La fuga precipitosa dei sindacalisti fu il degno dessert per una giornata che Chef, fin dall’alba, avrebbe preferito passare a letto, rigirandosi tra le coperte.
E quella scena spaventosa era rimasta impressa nella mente di Mal che, dopo qualche ora, riferì anche a Scott e Duncan per evitare che, anche questi ultimi, si ritrovassero sotto l’occhio furibondo del signor Hatchet.
Fu per evitare inutili discussioni e per non ritrovarsi quella famosa scacciacani puntata a poca distanza che l’argomento sgabelli diventò tabù. Più di una volta il punk si era morsicato la lingua per resistere alla tentazione di vederlo uscire fuori dai gangheri e temendo un turno massacrante o un taglio del suo stipendio, aveva allontanato quell’intenzione sadomasochista.
Sarebbe rimasto in silenzio e avrebbe considerato quegli sgabelli come parte dell’arredamento stile retrò.
Di certo non era colpa loro se per molte ore erano costretti in piedi a preparare le ordinazioni.
E non era nemmeno colpa loro se nei momenti di pausa dovevano assentarsi dal bancone per divertirsi nel magazzino interno a risistemare i vecchi scatoloni carichi di cianfrusaglie, di pezzi di ricambio o di semplici gadget che erano stati tolti con il passare dei giorni.
Quello era il loro lavoro e non c’era nulla di cui potevano lamentarsi.
Poteva andare molto peggio. Potevano lavorare all’esterno, sotto le intemperie, magari al freddo e con uno stipendio da fame.
L’unico sbattimento era d’ascoltare alcuni clienti troppo rumorosi e di doversi sorbire le rare feste di compleanno che spesso costringevano Scott a salire su una scaletta traballante per recuperare lo scatolone che si ergeva sopra tutti gli altri.
Se avesse difettato di memoria, sarebbe stato sufficiente ricordarne il colore. L’arancione gli avrebbe sempre ricordato che dentro quella bara di cartone con tanti “FRAGILE” sparsi sulla superficie, vi fosse tutto il necessario per le rarissime feste di compleanno.  Togliendo lo scotch e sollevando alcuni fogli di giornale, era possibile trovare piatti e bicchieri ancora incellofanati, palloncini e i classici festoni di “BUON COMPLEANNO”.
Scott, nell’accantonare questa sciocchezza, recuperò un bicchiere di succo e iniziò a sorseggiare la bevanda che, con qualche pezzo di ghiaccio e un goccio di rhum, sarebbe stato passabile come un drink di nuova invenzione.
“Eravamo tutti in classe insieme.” Rammentò Zoey, facendo annuire Gwen che iniziò a sgranocchiare alcuni salatini.
“E non andavamo molto d’accordo.” Continuò Mike.
“Nemmeno ora si può dire che andiamo molto d’accordo.” Mugugnò Scott, rigirandosi il bicchiere tra le mani.
“Di cosa volevi parlarci Scott?” Domandò Duncan.
“È giunto il momento che sappiate la verità.”
“Quale?”
“Quando Dawn è entrata nella nostra scuola, la mia intenzione era di conoscerla, ma i suoi nonni dopo qualche giorno mi hanno raccontato cosa aveva passato.” Mormorò affranto, abbassando la testa.
“E tu?”
“Per le prime settimane, Zoey, ho accettato quello che mi avevano consigliato, ma poi…”
“Poi?” Lo incalzò Gwen, cercando di guardarlo, ma rimanendo ostacolata da Zoey che occupava tutto lo spazio.
“Vedendola sempre sola, ho provato ad avvicinarmi, contravvenendo a ciò che i suoi nonni mi avevano consigliato di fare.”
“Perché ti hanno chiesto di lasciarla stare?” Domandò Zoey.
“La prima volta che la vecchia Sadie li aveva informati della bella novità, loro mi avevano preso in parte e avevano preteso, di nuovo, che lasciassi in pace Dawn. A loro avviso non meritava di soffrire, anche a costo di rimanere sempre in disparte.”
“Ma che razza di spiegazione è?” Sbottò Mike, allungando una banconota da 10 dollari a Mal per il pagamento dei cocktail di Gwen e Zoey e anche per i salatini che aveva consumato.
“Eravamo solo dei bambini ed ero in difficoltà.”
“Cosa ti ha fatto cambiare idea?” Lo interrogò Duncan, ricordandosi vagamente il giorno in cui il suo miglior amico si era allontanato per sospingere l’altalena della sconosciuta. In quel pomeriggio e nei successivi aveva odiato sia Scott sia Dawn. Il primo perché l’aveva lasciato da solo nella casa dello scivolo a mangiare la sua pizzetta con il prosciutto, mentre la seconda per aver distolto l’amico dai suoi classici passatempi.
“Nessuno merita di stare solo.”
“Non è solo questo, vero?” S’informò Gwen, facendolo annuire mestamente.
“Dopo quella settimana che ho passato a spingere la sua altalena e a parlare con lei, sono rimasto a casa per quasi dieci giorni.”
“Pensavamo fossi malato.” Mormorò Duncan.
“Ci hai fatto preoccupare.” Confermò Mike.
“Non era mia intenzione, ma i miei genitori hanno avuto qualche noia con la scuola.”
“Ancora i vecchi?” S’informò il punk, incontrando lo sguardo severo di Gwen che sembrava chiedergli di usare parole leggermente più delicate nei confronti dei parenti di Dawn.
“Non erano felici del mio comportamento e avevano preteso, con una scusa assurda, il mio allontanamento dalla scuola. Credevano che dieci giorni a casa fossero sufficienti per proteggere la loro nipotina, ma tutto questo non ha fatto altro che invogliarmi a starle più vicino.”
“E la vecchia Sadie che aveva abbozzato a una decisione della Preside.” Sbuffò Mike.
“Durante quei giorni avevo raccontato parte della storia ai miei genitori e loro mi avevano consigliato di non essere l’unico ad avvicinarmi a Dawn.”
“Se una classe intera o almeno una buona parte si fosse stretta intorno a lei, stringendo amicizia, i nonni di Dawn non avrebbero avuto la forza per pretendere una sospensione di gruppo.” Terminò Zoey, facendo annuire il rosso.
“I miei erano contenti d’avermi a casa per via dei lavori nei campi, ma i vostri genitori non sarebbero stati felici di questa scelta ottusa e infelice.”
“Appena tornato a scuola, ci hai fatto conoscere Dawn e il resto è storia.” Soffiò Mike, riponendo il resto nel suo portafoglio di pelle nera.
“Dawn non sa di questa faccenda e non deve saperlo mai.”
“Perché non glielo vuoi dire?” Lo interrogò Gwen, mentre Scott alzava il bicchiere e s’inumidiva le labbra secche e screpolate.
“Il primo motivo è quello più ovvio di tutti: lei guarderebbe ai suoi nonni con uno sguardo carico di rancore e ciò la porterebbe a chiudere tutti i rapporti con la sua famiglia.”
“Ma loro hanno mentito.” Sbottò Duncan.
“L’hanno fatto per una buona causa. Dawn non aveva ancora metabolizzato ciò che era successo a sua madre e loro credevano, isolandola dal mondo, di proteggerla da ogni cosa.” Replicò Gwen, difendendoli con una nota di fastidio nella voce.
“Tu che avresti fatto, Scott?” Lo interrogò Zoey.
“È più facile dire che non avrei mai cercato d’isolarla da tutto.”
“Hai detto che avevi diversi motivi per non dirglielo.” Continuò Mike, facendo annuire l’amico che iniziò a scrocchiarsi le dita della mano destra.
“Se vuoi il bene di una persona, non la devi ferire con storie troppo tristi e pesanti. Io ammiro moltissimo Dawn per quello che è riuscita a fare, ma allo stesso modo non voglio che lei si riavvicini a me solo perché colpita da questa faccenda.”
“Lei merita di saperlo.” Gracchiò Duncan.
“Se osate aprire bocca, potrei anche accettare l’idea di scuoiarvi vivi.”
“E allora perché ce l’hai raccontata?”
“Per farvi capire che, nonostante le difficoltà passate, noi siamo rimasti in buoni rapporti. Abbiamo passato tanto tempo a discutere e se il destino ci ha fatto cambiare strada, non ha ostacolato del tutto ciò che avevamo costruito a fatica.”
“Dovresti scrivere un libro su questa tua morale assurda.” Lo stuzzicò Mal che fino a quel momento era rimasto silente e aveva pulito il bancone.
“Non sono io lo scrittore…Mike lo è.” Replicò, girandosi a fissare l’amico che era noto per i suoi testi profondi e carichi di significato.
“Solo perché i miei temi erano sempre premiati con ottimi voti, ciò non significa che io sia un moderno Shakespeare.”
“Abbassa la cresta che Duncan non conosce nemmeno questo Shakespeare.” Mormorò Zoey, facendo imbronciare il punk.
“E tu accetteresti questa situazione senza battere ciglio?” Chiese Mike, sbirciando alla sua destra.
“Non so nemmeno io cosa sto cercando.”
“Si può sapere che intenzioni hai con Dawn?” S’informò Gwen, mentre lui continuava a sorseggiare la sua bibita.
“Aspetterò la nostra gita, ma se qualcosa dovesse andare storto, allora saprò che è inutile continuare e me ne farò una ragione.”
“Ti giocheresti tutto questo in due giorni?” Soffiò Mal, girandosi verso la lavastoviglie ed estraendo alcuni boccali.
“Vi ho mai chiesto qualcosa in tutti questi anni?” Li interrogò, ignorando apparentemente la domanda del collega.
“Non mi sembra.” Ammise Zoey, facendo annuire tutti i suoi compagni.
“Vi ricordate quando sono sgattaiolato nell’ufficio del Preside per recuperare il cellulare di Mike? O quando ero volontario durante le interrogazioni perché non eravate preparati? O quando vi accompagnavo in biblioteca, anche se mi annoiavo a morte? Era solo per godermi la vostra compagnia e per non sentirmi solo. Io non ho mai voluto nessun favore da voi, ma questa volta ho bisogno di una promessa.” Insistette, facendo ondeggiare il poco succo che era rimasto sul fondo del bicchiere.
“Che genere di promessa?” Tentò Mike, facendosi portavoce anche per gli altri.
“Se la gita dovesse rivelarsi un fallimento, io rinuncerò per sempre a lei.”
“Tutto qui?”
“Le permetterete di fare come meglio crede e le darete il vostro prezioso sostegno. Ovviamente cercherò di defilarmi dalla sua vita, di non impicciarmi nei suoi affari e non sarò più il fratellone che risolve tutti i suoi problemi. Dawn non è più una bambina e non ha più bisogno di un peso morto che le impedisce di spiccare il volo.”
“Noi…”
“Dovete promettermelo!” Tuonò, facendo girare uno dei vecchietti della sala verso il bancone e ritrovandosi presto incenerito dallo sguardo di Duncan che lo spronò a ritornare sul suo solitario.
“Se è questo che vuoi…” Annuì il punk, interrompendosi con la stretta energica della mano di Gwen sulla sua.
Nell’incrociare il suo sguardo, percepì paura.
Gwen e Zoey sembravano conoscere il pronostico di quella gita e, tremando come foglie secche sferzate dal vento autunnale, avevano permesso anche a Mike e al punk di analizzare quella possibilità. Duncan respirava quel timore come un cane da caccia che fiuta la preda: le ragazze erano terrorizzate dalla possibilità che il gruppo si disfacesse alla pari di una tela da quattro soldi e che ognuno andasse per la sua strada.
Promettendo di non farne parola con Dawn e di accettare la sua decisione, il gruppo poteva smembrarsi il giorno successivo al fallimento. Escludendo Scott dal loro gruppo, ben presto Dawn si sarebbe sentita additata per quella decisione e, trovandosi magari un’altra compagnia, avrebbe ignorato le coinquiline.
Mal non aveva mai fatto parte del loro gruppo per il pessimo rapporto che lo legava al fratello e allo stesso modo Zanna non aveva motivo di uscire con loro, sempre che non fossero propensi a indebitarsi, offrendogli magari la cena e il cinema tutte le sante volte.
Potevano uscire in coppia, ma avrebbero ricevuto bordate provenienti dagli ex del gruppo. Duncan, lavorando a stretto contatto con Scott, si sarebbe sentito in colpa e avrebbe limitato le uscite con gli altri. Così facendo la relazione con Gwen avrebbe subito un violento scossone e lei stessa si sarebbe sentita percossa, così come Zoey e Mike, dalle insinuazioni velenose della coinquilina.
Quella poteva essere la data utile per dividersi del tutto.
“Ma noi…” Soffiò Zoey, ricevendo un pizzicotto dalla dark e interrompendosi quasi sul nascere.
“Non dovrete bussare alla mia porta per chiedermi di aiutarla e non organizzerete qualche stupida festa con lo scopo di chiuderci in qualche stanza e di farci stare soli. Stando per molti anni con Alberta e con le sue strane manie complottistiche so riconoscere tutti i trucchi con largo anticipo.”
“D’accordo.” Mormorò Mike, accettando a malincuore la sua decisione.
“Questa pausa è durata anche troppo: devo tornare al lavoro.” Soffiò, ritornando dietro al bancone e permettendo a Duncan di prendersi un attimo di break.
 
Le 16 erano giunte con fin troppa fretta.
Mal era andato via verso mezzogiorno per prendersi alcune ore di riposo, salvo poi ritornare verso le 15 per la conclusione del turno. Poco dopo la sua uscita di scena anche due camerieri erano tornati a casa e allo stesso modo Duncan e il suo gruppo avevano lasciato Scott da solo nel locale.
Il punk sarebbe tornato verso le 19 per le ultime 4 ore e si sarebbe sacrificato in un turno di estrema fatica e di sudore con Mal.
Scott, al contrario, dopo aver aperto il locale con il cameriere più anziano verso le 5 di mattina, si sarebbe intrattenuto, così come stabilito dall’orario affisso in bacheca, fino alle 15:30, sperando che Mal non facesse troppi danni nel ritrovarsi a lavorare, gomito a gomito, con Chef.
Appena usciti dal Pahkitew e dopo aver percorso 300 metri scarsi, Duncan, con Gwen stretta al suo braccio, si fermò un attimo e aspettò che Mike e Zoey fossero sufficientemente vicini.
“Che si fa ora?” S’informò, restando sul vago.
“A che proposito Duncan?”
“Forse voi avete intenzione di starvene zitti e di piegare la testa, ma io non lo accetto.”
“Avevi promesso.” Borbottò Zoey.
“Incrociare le dita sotto il tavolo è una stronzata che credevo valida solo per i bambini delle elementari.”
“Sappiamo che sei scosso e che vuoi aiutare il tuo miglior amico, ma non è questa la strada.” Replicò Gwen, notando come il fidanzato stesse cercando l’accendino.
“E quale sarebbe allora?”
“Scott ci ha chiesto di rimanerne in disparte.” Borbottò Mike.
“Si vede lontano un miglio che non è ciò che pensa.”
“Ma è ciò che vuole.” Replicò il moro con sguardo fermo, ricevendo per risposta un’onda di fumo acre e pesante.
“Tu che ne sai di ciò che vuole?” Domandò acido il punk.
“Lo conosco meglio di chiunque altro.” Continuò imperterrito.
“Ti sbagli Mike. Sono io il suo migliore amico: tu sei solo un semplice ex compagno di classe.”
“Puoi vederla in questo modo, ma sappi che in verità hai solo un’immagine sbiadita di Scott ed è quella di quando eravate bambini. Lui è cresciuto, tu sei cresciuto e ognuno è libero di fare le sue scelte sbagliate o giuste che siano.” Ringhiò Mike, sentendosi trattenuto per un braccio da Zoey che lo stava pregando di abbassare la voce a causa della sceneggiata che stavano facendo quasi in pieno centro.
“L’unica persona che non è cresciuta è Dawn.” Mormorò Gwen, mentre il fidanzato gettava al suolo la sigaretta ancora quasi intatta.
“Già.” Assentì Zoey.
“Ha lo steso comportamento di quando era una bambina. Si chiude in camera quando litiga con qualcuno, resta dei giorni senza mangiare e pretende delle scuse anche quando ha torto marcio.” Elencò Gwen, facendo sospirare i due ragazzi.
“Tutto qui?” Domandò Mike che, pur abitando nello stesso palazzo, anche se su piani completamente diversi, non era a conoscenza di tutte le sfaccettature del caratterino di Dawn.
“Non accetta le critiche, ti urla contro e non riesce mai a organizzarsi per i fatti suoi.” Concluse Zoey, convintasi di aver descritto più che egregiamente il lato negativo di colei che, in quelle settimane, era la sua rivale per quanto concerneva l’amore di Mike.
“Mi sento fortunato a vivere da un’altra parte.” Commentò Duncan, rassegnatosi di dover seguire la decisione della maggioranza.
“Si può dire, però, che ha anche i suoi pregi.”
“Se non li avesse, la vostra convivenza sarebbe un Inferno.” Soffiò Mike, fermandosi alla fermata del tram e aspettando che il mezzo giungesse per ricondurli a casa.








Angolo autore:

Siamo nuovamente in ritardo.

Ryuk: Di 10 giorni...che novità.

Ormai non prometto più nulla: quando mi ricorderò di pubblicare puntualmente sarà un bel giorno.
A presto
 

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Capitolo 24
*** Cap 24 ***


Quella benedetta gita.
Scott non aveva altri aggettivi per descrivere quei pochi giorni che Chef aveva concesso loro di pausa per la chiusura del Pahkitew.
Prima di accettare la proposta di Duncan e degli altri credeva di passare le sue giornate chiuso in casa, magari a ripulire il caos che lasciava in giro oppure a fare una capatina dai suoi vecchi.
Tutto per ricordare i vecchi tempi
Era questo ciò che il collega aveva borbottato per rifrancarlo ed era questo ciò che Scott aveva maledetto. I vecchi tempi. Non ricordava periodo peggiore come quei famosi vecchi tempi. E di quei vecchi tempi facevano parte anche Mike, Dawn, Zoey e Gwen.
Di per sé non avrebbe mai avuto nulla da temere, se non per un dettaglio.
Lui era stato piantato da Courtney ed era stato mollato anche da Dawn. Proprio quando aveva capito quanto lei fosse importante, quando le aveva esternato i suoi sentimenti e quando la sua ex era ormai in Europa per diventare una vera stella. Di certo, però, non credeva che quella gita in montagna fosse così tremenda fin dai posti auto.
Duncan alla guida non era male, specie se si sceglieva il lato passeggero e si rimaneva con gli occhi chiusi, sperando nella buona sorte, in una probabile morte indolore e che non ci fosse nessuno nell’altra corsia mentre loro tentavano la manovra di sorpasso.
Ma dietro?
Per Scott era un continuo Apriti cielo.
Dawn faceva gli occhi dolci a Mike, con quest’ultimo nel bel mezzo di due fuochi con la stessa Zoey che partecipava a quel gioco.
Gwen poi parlottava con il pilota, stuzzicandolo e rendendo Scott inquieto che era costretto a fissare il panorama.
Scesi dall’auto, le cose non erano migliorate un granché. Raccolte le borse e discusso per un po’, erano subito partiti, neanche il tempo di una schifosa colazione, alla volta dei rifugi.
In prima linea, Scott poteva studiare le figure di Mike, Zoey e Dawn che sgambettavano come matti.
Poco distante le figure di Duncan e Gwen che borbottavano qualcosa d’inudibile e che probabilmente era un miscuglio tra roba da bar, scuola e vecchi concerti.
In fondo alla fila, distanziato di 400 metri, Scott camminava molto a rilento. Sembrava quasi che qualcuno gli avesse attaccato alla gamba un macigno che lui doveva trascinare per quei pendii scoscesi.
In verità nulla di fisico lo rallentava in quel cammino.
Erano i suoi pensieri ad allontanarlo dagli altri.
La pace che si respirava in mezzo a tutta quella natura indomabile, scalfita solo dai cartelli che pregavano di rispettare l’ambiente, di non inquinare, di non appiccare incendi e di non disturbare la flora, lasciò presto il posto a nuovi pensieri. Camminare da solo, almeno per Scott, era un’attività rilassante che lo avrebbe sempre spinto a guardarsi dentro e a riflettere sul suo passato.
Alcune volte si sforzava invano pur di tenersi impegnato, mentre altre volte non aveva nemmeno bisogno di spremere la sua povera psiche tormentata. E rifletteva a lungo su quei pendii pieni di ciottoli, di erbe spontanee e di alcune cicche gettate in giro nonostante i divieti.
Il Pahkitew era lontano.
L’ansia del lavoro lo avrebbe bersagliato solo dopo quasi una settimana.
La paura di perdersi non era nemmeno presa in considerazione, mentre superava i cartelli che mostravano il punto preciso in cui si era soffermato per riprendere fiato e in cui molti si fermavano per ritrovare la bussola.
In quel lento avanzare e nell’osservare le figure minuscole davanti a sé, sentì come un tremito che gli batteva perfino sulle ossa.
Dawn e Mike.
Zoey e Mike.
Tutte volevano Mike.
E questo lo faceva infuriare. Credeva che con quello che aveva passato un premio di consolazione gli fosse dovuto, anche se Dawn non sarebbe mai stata la medaglia d’argento che sperava. Per lui era l’oro che mai avrebbe vinto. Lui non sarebbe mai stato il suo eroe che tornava al calar del sole.
Sarebbe sempre stato vinto dal dolore provato nel scottarsi con la verità: Dawn non era per lui, ma solo per qualcun altro. A testa bassa cercò nella tasca dei pantaloni una sigaretta e si fermò nel ricordarsi che le aveva nascoste dentro lo zaino.
Appoggiatosi a un masso che in alcuni punti era ricoperto di muschio, tirò fuori l’intero pacchetto e lo trasferì in una delle tasche dei jeans, non prima d’averne sgraffignata una dal suo contenuto già concluso per una buona metà.
Preso l’accendino e appoggiata la cicca alle labbra, si sentì avvolto da una sensazione di pace apparente.
E prima che riuscisse a riprendere il cammino, un lieve fruscio alla sua sinistra lo portò alla realtà. Subito rimise lo zaino in spalla e ripartì, accompagnato da quella seccatura.
Anche gli altri si erano fermati, rendendosi conto della sua lontananza e lei si era offerta di verificare che tutto andasse per il meglio.
“Tutto bene, Scott?” Cominciò, facendolo annuire.
“Non dovrebbe?”
“È da quando abbiamo cominciato il viaggio che sei silenzioso.”
“Non ho nulla da dire.”
“Sei diverso rispetto al solito.”
“Zoey lasciami in pace.” Sospirò, fermandosi di nuovo e raccogliendo la bottiglietta d’acqua che aveva messo nello zaino.
“Siamo lontani e se c’è qualcosa che ti preoccupa, puoi sempre parlarmene.”
“Secondo quale legge?”
“Noi siamo amici.”
“È molto meglio, fidati, se noi due non siamo amici.” Riprese, allungando leggermente il passo.
“Perché?”
“L’ultima ragazza che credevo mia amica è scappata tempo fa.”
“Capisco...”
“Non mi avrai raggiunto solo perché ti suscito pietà o perché quella te l’ha chiesto.” Scandì lentamente, additando la figura lontana che parlottava con Mike.
“Quanto astio, Scott.”
“Sapevo che non dovevo venire, ma Duncan mi ha pregato di partecipare.”
“Fino a qualche giorno fa eri felice di venire con noi.”
“Non avevo collegato bene le cose e solo adesso mi rendo conto che lei mi ha ormai dimenticato. Spero soltanto che questa giornata serva a Duncan per fare qualche passo avanti.”
“Si nota, vero, che è cotto?” Gli chiese a un certo punto Zoey, facendolo sospirare.
“Almeno lui sarà felice.”
“Hai provato a parlarle?”
“Non sono il tipo che soffia la ragazza a un amico.” Ribatté il rosso.
“Non parlavo di Gwen.”
“Appunto.” Sussurrò, negando con il capo.
“Le parleresti, se ne avessi l’occasione?”
“È passato troppo tempo e il mondo non si può più cambiare.”
“Ma…”
“Guardami bene Zoey…ti sembro vuoto, vero?” Chiese Scott.
“Non lo so.”
“Tempo fa non riuscivo nemmeno a mangiare o dormire e poi mi sono detto: ne vale la pena?”
“Sì se può renderti felice!” Tuonò lei.
“Perfino di notte la sognavo e ora che è felice, perché devo preoccuparmi?”
“Perché non puoi continuare in questo modo.” Ammise sinceramente.
“Un giorno starò bene, spero.”
“Non un giorno: devi stare bene subito.” Lo rimproverò, afferrandogli un braccio e facendolo voltare verso di sé.
“E tu Zoey?” Gli chiese il rosso, riprendendo il cammino.
“Io?”
“Sei felice che Mike sia lontano da te?”
“Io, a differenza tua, lotterò sempre per il suo amore.”
“Che cosa romantica.” Replicò, gelandola con lo sguardo.
“E anche tu dovresti.”
“Il mio cuore sta bene così com’è.”
“Si vede, infatti.” Ironizzò, allungando il passo.
“Che cosa vorresti insinuare?”
“Il tuo cuore ti ha fatto perdere peso e ha fatto comparire le rughe solo perché ne aveva voglia?”
“E se anche fosse?”
“Amico mio…le clienti potrebbero scappare se vedessero come ti sei ridotto.” Soffiò Zoey, pungendolo sul vivo.
“Contenta te di stare a parlare con uno come me.”
“Da quel che vedo, non ti sei ancora arreso.” Insistette, facendogli abbozzare un sorriso molto tirato.
“Si vede che non riesci a leggere nelle persone.”
“Io…”
“Non ho più alcun interesse su Dawn.” Spiegò, fermandosi per un istante sopra un masso e fissando il panorama.
“Non si spiega il perché tu abbia accettato di seguirci in questa gita.”
“Ti correggo…è stato Duncan a obbligarmi.” Sospirò, respirando l’aria frizzante che gli scompigliava appena i capelli.
“Ma una volta eri interessato.” Ricominciò, distogliendo l’attenzione.
“Hai detto bene: una volta.”
“E allora perché non ci provi di nuovo?”
“Perché non mi va.”
“Idiota.”
“E poi finirebbe male come la scorsa volta.”
“Io a volte non ti capisco.”
“Consolati Zoey: nemmeno io riesco a capire cosa mi passa per la testa.” Ghignò il rosso, sbadigliando appena.
“Credevo fossi destinato a stare con lei.”
“Lei, invece, cerca solo di soffiarti Mike.” Sbuffò con calma, facendole notare come Dawn si fosse avvinghiata al braccio del ragazzo.
Nel vedere quella scena la rossa s’infuriò all’istante, si staccò dall’amico e iniziò la volata per raggiungere il moro. Superò in pochi istanti Duncan e Gwen e nell’arco di 2 minuti anche lei si era attaccata al braccio del suo tesoro.
Prima di defilarsi, Scott aveva ricevuto una qualche promessa-minaccia che lo avvertiva di stare allerta, in quanto quella discussione non era conclusa.
E invece per lui quel dialogo era morto e sepolto.
 
Perso nei suoi innumerevoli pensieri, lui fissava solo i ciottoli che incontrava sul suo cammino.
Si era perso quasi tutto di quelle prime ore.
I 5 laghetti che avevano incrociato e che erano stati ignorati.
La foresta che si stendeva era stata subito dimenticata.
Anche i rifugi precedenti erano stati abbattuti dalla sua tristezza.
Nulla gli risollevava il morale.
Perfino durante il pranzo al sacco aveva ascoltato senza spiccicare parola e rendendo ancora più marcata la sua distanza dagli altri.
Fisicamente era presente, ma spiritualmente era lontano.
Dal mondo di cui aveva provato a fare parte.
Escluso dalla vita di Dawn.
Forse se lo meritava per tutte le volte che era intervenuto in suo soccorso.
E di questo si malediceva.
Sarebbe stato molto meglio, a suo avviso, che non si fosse mai preoccupato della sua vita, che non si fosse mai messo a sospingere la sua altalena, che Beverly non si facesse beccare mentre era a letto con un’altra e che quest’ultimo continuasse a importunarla.
Era più saggio se l’avesse ignorata quella sera al bar e se l’avesse lasciata da sola in balia degli eventi e senza una meta precisa.
E invece era intervenuto, rovinandosi la vita.
E oltre alla sua vita, di conseguenza, stava rovinando anche quel pomeriggio che già segnava le 14 spaccate, orario in cui si sarebbe deciso come passare il resto della giornata.
“Che cosa facciamo, adesso?” Chiese subito Mike.
“Sono finiti i rifugi?”
“Non credo, Zoey.” Borbottò il moro.
“E allora perché non continuiamo?” Tentò Dawn, restando stretta al braccio di Mike e lanciando alcune occhiate in giro.
“Seguendo il sentiero si potrebbe andare al prossimo lago e poi all’ultimo rifugio della giornata.” Propose Duncan, mostrando le cartine ai compagni di ventura.
“A me sta bene.” Soffiò Gwen, sistemandosi lo zaino.
“E a te Scott?” Gli chiese Mike, studiando lo sguardo spento dell’amico.
“Fate quello che vi pare.”
“E allora se siamo tutti d’accordo possiamo riprendere.” Concluse Zoey, ricominciando la passeggiata.
E nulla era cambiato: il rosso si era di nuovo distanziato.
Quella piccola chiacchierata non era durata poi molto e non era nemmeno riuscito a farsi valere.
Tutto perché non voleva rovinare nulla di quella giornata.
Era questo il suo dannato problema o così bofonchiava Zanna ogni qualvolta lo trovava al vecchio parco.
“Tu metti troppo spesso la felicità degli altri prima della tua.”
Scott con questi rimproveri mentiva.
Prometteva che sarebbe cambiato, che non avrebbe più fatto lo schiavetto e che avrebbe camminato a testa alta, non curandosi del dolore altrui.
Ma quelle erano solo scuse avare di ogni significato e che aveva sempre disprezzato con tutto il suo cuore.
“Almeno è una bella giornata.” Soffiò, fissando il sole accompagnato da alcune candide nuvole bianche.
Con quasi due minuti di ritardo anche lui era giunto al lago che avevano visto sulla cartina.
Da quando avevano predisposto quella meta intermedia, non si erano più fermati.
Nemmeno per una breve pausa o che altro e lui sentiva chiaramente la stanchezza fluire nel suo corpo.
Quello specchio cristallino almeno sarebbe stata un’ottima scusa per riposare.
Mentre gli altri correvano avanti e indietro, lui avanzava tra quei ciottoli con estrema calma ben sapendo che un passo falso e sarebbe finito a far compagnia alle trote.
E finire la giornata da bagnato era quanto di peggio potesse esserci.
Con lentezza raggiunse l’ombria, dove erano stati abbandonati gli zaini, e si distese, chiudendo gli occhi.
Avrebbe dormito ben volentieri una decina di ore, provando a calmare la sua anima tormentata e immaginando di essere su un comodo lento, anziché su tutti quei sassi deformati.
Male di vivere.
Era la compagna che lo guidava da quando Dawn aveva arraffato il suo ombrello ed era scappata, senza nemmeno salutarlo, all’appartamento delle altre.
Ma quello che lo segnava era il vuoto interiore.
Nulla che lo rendeva felice o che gli strappasse un sorriso sincero: tutto era una menzogna che alimentava solo il suo vuoto.
Ma all’ombra di quell’albero sentiva di poter dormire e di poter stare in pace.
Ci sperava fino al grido che squarciò quel calmo e tiepido pomeriggio.






Angolo autore:

E via un altro casino.

Ryuk: Non sei mai soddisfatto, vero?

Mai...tifo soltanto per la sfortuna.

Ryuk: Che essere infelice.

 

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Capitolo 25
*** Cap 25 ***


Mezzora.
Tanto era passato da quando si era disteso per rilassarsi e quell’urlo, capace di rievocare perfino i morti, lo risvegliò. E Scott, per sua sfortuna, non era ancora passato a miglior vita. Scattato in piedi, si guardò intorno e poi vide un campanello di persone intorno ad una certa zona.
Inutile chiedersi cosa fosse successo: qualcuno si era fatto male.
A giocare come deficienti sui ciottoli lisci e umidi era normale che qualcuno scivolasse e che impattasse contro quei maledetti.
E in quei pochi metri che lo separavano dagli altri, credeva di conoscere il nome dell’idiota.
“Sicuramente è Duncan: quello per mettersi in mostra farebbe di tutto.” Sbuffò, preparandosi già a una serie d’imprecazioni e rimproveri.
Fu quando lo notò in piedi, a fargli ampi cenni con la mano destra, che capì che il punk era integro e che non era stato lui a rimetterci qualcosa.
Nemmeno Gwen era stata così avventata: lei era inginocchiata e aveva un quoziente intellettivo che difficilmente l’avrebbe spinta a cadere malamente. Inoltre stava parlando animatamente con Zoey, negando con la testa e facendogli intendere che era qualcosa di serio.
Scott sperava in cuor suo che non fosse poi nulla di grave, che si potesse proseguire nel viaggio e che quegli stupidi avessero imparato la lezione.
E mentre i suoi amici discutevano animatamente, eliminò l’ultimo integro della lista.
“Che c’è?” Chiese burbero, avvicinandosi e notando la ferita sporca di sangue di Dawn che lei tentò di coprire con fatica e con mani tremanti.
“Sono caduta.”
“Lo vedo.” Borbottò con lieve sarcasmo.
“Dawn non riesce a rimettersi in piedi.” Soffiò Mike, prima di correre verso il suo zaino rimasto incustodito, sperando di trovare un qualche cerotto con cui medicare l’amica.
“Forse è una storta.” Continuò Zoey.
“Fammi dare un’occhiata.” Cominciò Scott, scoprendo la zona insanguinata e tastandola con attenzione.
Non era la prima volta che medicava qualcuno. Non era nemmeno la prima volta che toccava il sangue o che svolgeva il ruolo da crocerossino. Tra lo stare nella fattoria dei genitori, nel lavorare in un bar, non proprio ai primi posti per il piano di sicurezza, o nel vivere semplicemente da solo aveva imparato come mettere un cerotto, come fare una fasciatura decente e come riconoscere i vari traumi.
“Io…”
“Poteva andarti anche peggio.” La rimproverò, rimettendosi in piedi.
“È una storta, vero?” Gli chiese Duncan.
“Credo sia solo una botta, ma a giocare come idioti poteva anche essere una frattura.”
“Noi…”
“Ormai è successo Zoey e non vale la pena piangere.” Sospirò Scott, inginocchiandosi verso l’infortunata.
“Scott…”
“E tu…la prossima volta che vuoi correre, assicurati di essere al mare.” Continuò, mentre Mike li raggiungeva di corsa.
“E ora che facciamo, Mike?” Lo interrogò Gwen.
“Immagino che non abbiate portato cerotti o altro.” S’intromise Scott, permettendo all’amico di recuperare fiato.
“Nessuno andrebbe mai a pensare che in una giornata simile qualcuno possa farsi male.” Si rammaricò Duncan.
“Brutta situazione.” Commentò Gwen, cercando il suo cellulare e accorgendosi della mancanza completa di segnale.
“Vi ho rovinato la gita.” Soffiò Dawn, fissando i suoi amici.
“Ma cosa vai dicendo, Dawn?” Obiettò Zoey, accarezzandole una spalla.
“L’hai fatto eccome.” Sbuffò Scott, accendendosi una sigaretta.
“Io voglio che voi andiate avanti.” Riprese Dawn, pregando i suoi compagni di continuare.
“Ma noi…”
“Non voglio che voi rinunciate solo a causa mia.”
“Ti piace tanto fare la coraggiosa?” La sminuì Scott, guadagnandosi una serie di occhiatacce.
“Noi…”
“Non preoccupatevi.” Ripeté lei.
“Ma il prossimo rifugio dista un’ora e non riusciremo mai a venirti a riprendere.” Intervenne Mike, girandosi verso Zoey e Gwen.
“Non importa.”
“Sono stanco di questa gita.” Borbottò il rosso, sedendosi nuovamente e leggendo nello sguardo di Dawn una muta richiesta d’aiuto.
Magari se l’era solo immaginato. Magari era frutto di un’allucinazione o era l’effetto di quel pacchetto di sigarette da 20 che, negli ultimi periodi, terminava in due giorni scarsi.
“Noi non vogliamo abbandonarti.” S’intestardì Mike.
“Ma io…” Tentò Dawn, cercando con lo sguardo il rosso che rispose con una scrollata di spalle e inspirò profondamente.
“La questione è talmente semplice da affrontare.” Soffiò Scott, picchiettando sulla cicca e facendo cadere la cenere.
“E cosa dovremmo fare secondo te?” Chiese Zoey, fissandolo intensamente.
“Sono stanco di camminare.”
“Idiota.” Commentò Gwen, facendolo sorridere.
“Il prossimo rifugio è troppo lontano per me, ma se tornassi indietro, in mezzora ce la potrei fare.”
“Sicuro?” Lo interrogò la dark.
“E nei rifugi, di solito, c’è anche il kit del pronto soccorso.” Riprese, gustando l’aroma intenso che gli riempiva la bocca.
“Io non voglio il tuo aiuto.” Mormorò Dawn.
“Io non voglio aiutarti: desidero solo tornare indietro e potresti cogliere l’occasione al volo.”
“Se lui si è offerto…” Tentò Mike, venendo zittito da uno sguardo assassino della biondina.
“No.”
“Beh allora lasciamola qui.” Affermò Scott, scattando in piedi.
“È quello che vi ho chiesto di fare.” Sbraitò lei, cercando di colpire il rosso con un calcio.
“Dawn ripensaci.” La pregò Zoey.
“No.”
“Se lei ha deciso di rimanere qui durante la notte, incurante dei lupi che si aggirano e che potrebbero ucciderla, non sarò di certo io a farle cambiare idea.” Riprese il rosso con un ghigno malefico, sputandole quella verità a poca distanza dal viso.
“Lupi?” Chiese preoccupata, rabbrividendo e stringendosi nelle spalle.
“Non lo sai? Queste foreste ne sono piene, a centinaia oserei dire, e se tornassimo domani, di te resterebbero solo le ossa.” Borbottò nuovamente, distruggendo poco per volta tutta la sua spavalderia.
“Io…”
“Se invece volessi farti medicare la ferita, allora non correresti pericoli.” Sospirò il rosso, spegnendo la sigaretta e mettendola in un sacchettino, onde evitare d’inquinare l’ambiente circostante e di incorrere in una qualche multa da versare allo Stato.
“Solo perché non voglio morire.” Bisbigliò lei.
“Ma certo.” La rassicurò, chinandosi e cercando di prenderla in braccio. Rimessa in piedi e in equilibrio precario, con l’aiuto degli altri, se la caricò in spalla e si girò verso i suoi amici.
“Sicuro di farcela, Scott?” Gli domandò Zoey, notando un suo lieve sorriso.
“Non ti preoccupare, starà bene.” Affermò, battendosi un pugno chiuso sul petto e afferrando con la mano libera il suo zaino e la borsa dell’amica.
“Fate attenzione comunque.” Li pregò Mike, mentre i due si avviavano verso il rifugio.
“Con me non avrà mai nulla da temere.”
“Ci fidiamo di te, Scott.” Mormorò Gwen, porgendo al rosso una delle tre mappe che aveva stampato per quella giornata.
Afferrato quel foglio pieno d’indicazioni, di segni e di consigli utili per evitare certi tratti troppo ripidi o pericolosi, Scott picchiettò l’indice della mano destra sulla sua tempia, facendo intendere ai suoi compagni che aveva memorizzato ogni singolo percorso di quella montagna.
“Dopo averla medicata, passeremo la serata nel rifugio e poi proveremo a raggiungervi.”
“Se pensi di non farcela, restate fermi che poi passiamo a recuperarvi.” Propose Mike.
“Tutto dipende dalla piccola Dawn.”
“Io non sono piccola.” Protestò lei di rimando, riuscendo a far ridere i suoi amici.
“Se la sua ferita non è grave e se ha bisogno solo di riposo, domani riprenderemo il cammino.”
“E come possiamo sapere se lei starà bene?” S’informò Duncan.
“Se domani verso mezzogiorno non siamo di ritorno, allora significa che la sua ferita è più grave del previsto e che è impossibilitata a muoversi.”
“Potresti sempre portarmi in braccio.” Propose Dawn, facendo sorridere l’amico.
“Sicura che sia la scelta più saggia?”
“Non dovrebbe?”
“Credevo non fossi degno di toccarti.”
“Io…”
“Se ne hai voglia e non hai nulla da ribattere, potrei anche ripensarci.” Affermò, facendola arrossire appena.
“Questa situazione mi ricorda la fuga romantica dei protagonisti di un vecchio film.” S’inserì Zoey, notando come l’amica si fosse completamente attaccata alla schiena di Scott per nascondere l’evidente imbarazzo che aveva incendiato il suo volto.
“Forse è meglio che andiate, prima che la ferita s’infetti.” Borbottò Gwen, invitandoli a partire e indicando a Scott, per maggior sicurezza, il rifugio dove si sarebbero fermati in quella lunga notte.
A osservare la mappa e ad accettare il segno nero che Duncan aveva tracciato con una biro, Scott calcolò che il rifugio 14, quello dove avrebbe portato Dawn per la sua medicazione, e quello 16, dove gli altri sarebbero andati ad alloggiare, erano separati da due ore di un lungo e tortuoso peregrinare.
 
Salutati i loro amici, Scott si girò una sola volta per controllare che il gruppo di Mike si fosse mosso dal luogo dell’incidente.
Questo ovviamente qualche metro prima di aggirare un tornante che avevano incontrato sul loro cammino e che in discesa era molto più leggero rispetto all’andata. In salita, anche a causa del suo zaino eccessivamente carico, aveva fatto una fatica bestia per non rotolare a fondo valle.
Rassicurato dal fattore terreno, aveva riscontrato la totale assenza dei suoi compagni, segno che anche il gruppo di Mike era partito alla volta dell’ultimo rifugio di giornata.
Prima di partire, e ci avrebbe scommesso un taglio della sua fedele zazzera rossa, gli pareva d’aver notato un sorriso rassicurante di Duncan e Zoey. Gli stavano suggerendo che quella situazione era quella che aveva sempre aspettato. Sarebbe rimasto solo con Dawn e non vi sarebbe stato nulla in grado di rovinare il discorsetto che aveva preparato nelle sere precedenti.
Percorsi altri 500 metri si fermò per un breve istante e la fece sedere su un masso, sorprendendosi per quella tranquillità e silenzio del tragitto.
Recuperate dallo zaino due bottigliette d’aranciata, ne porse una all’amica che studiò quel regalo con particolare attenzione.
“Hai bisogno di qualcosa di fresco per sentirti meglio.”
“Come puoi dirlo?” Lo interrogò lei con un ringhio sommesso.
“Se non la vuoi, posso bermela io.” Borbottò, allungando la mano verso il suo pensiero innocente e incontrando la sua opposizione.
“Non fare l’ingordo.”
“Giornate come queste sono assai rare.” Commentò amaro.
“Eh?”
“Mi ricorda tanto il viaggio che abbiamo fatto durante il quarto anno a visitare il monte Rushmore.”
“Io non ricordo.” Borbottò, bevendo di gusto quella bibita frizzante e acidula.
“Eravamo rimasti indietro e con noi c’era il preside Josh.”
“Solo perché…”
“Perché ti sei svegliata tardi ed io ho avuto sfortuna con i mezzi pubblici.” Mormorò divertito, sedendosi vicino all’amica.
“Quante volte ti ho detto che non devi sederti vicino a me?”
“Non ho intenzione di chiederti nulla, ma voglio che tu sappia che i sentimenti di quel giorno sono rimasti immutati.”
“Ma se nemmeno ti piacevo durante la gita al monte Rushmore.” Replicò nervosa, svuotando del tutto la bottiglietta.
“Inconsciamente mi sei piaciuta dall’esatto momento in cui ho sospinto la tua altalena, ma solo nell’ultimo periodo ho fatto chiarezza nel mio cuore.”
“Stai diventando ridicolo, Scott.”
“Ero davvero troppo immaturo.”
“Io…”
“Sarà ridicolo o stupido, ma tu mi piaci.”
“Non mi servono queste cose: ho solo bisogno che tu mi porti nel rifugio per la medicazione.” Ribatté gelida, facendolo annuire appena.
“Hai ragione tu: sono solo una perdita di tempo.”
“Dobbiamo riprendere il cammino prima che faccia buio.” Soffiò decisa, cercando di rimettersi in piedi, ma avvertendo delle fitte dolorose che la fecero desistere.
“Almeno su questo, però, dovrai darmi ascolto.”
“E va bene.”
“Cerca soltanto di non sbilanciarti troppo: non vorrei farti cadere.” Mormorò, inginocchiandosi e aspettando che lei gli salisse sulle spalle.
Fu nel sentire quel peso caricato su di sé e nel riscontrare una lieve ostruzione nei movimenti che intuì d’averla in groppa.
Fortunatamente non aveva esagerato e, seguendo i suoi consigli, non l’aveva fatto andare lungo e disteso.
Non ci sarebbe stato nulla di pericoloso nella zona in cui si erano fermati, ma per il suo infortunio ogni movimento poteva essere dannoso, anche se al massimo potevano ruzzolare un po’, fermarsi distesi  e contemplare il cielo.
Nei suoi sogni o così come aveva visto al cinema, si sarebbero fermati uno sopra l’altro e da quella posizione di vantaggio l’avrebbe baciata senza il minimo ripensamento.
Ripensandoci nuovamente era arrossito e aveva sperato che quel sogno si concretizzasse.
L’avrebbe stretta e amata con la stessa intensità che aveva sperimentato nella sua stanza.
Concluso quel fugace contatto, l’avrebbe presa in braccio come una principessa e l’avrebbe condotta in pochi minuti al rifugio. Fatta distendere sul letto, l’avrebbe medicata il meglio possibile e poi si sarebbero stretti, tornando come una volta e dormendo senza incubi o sensi di colpa.
Avrebbero dimostrato il loro amore e tutto sarebbe tornato com’era giusto che fosse.
Tuttavia i suoi piedi e la voce perentoria di Dawn, lo spronavano a evitare ogni possibile errore o volo pindarico.
Se fossero caduti e si fossero trovati in una simile situazione, probabilmente Dawn l’avrebbe picchiato a sangue e, tenendole il muso per tutta la vita, avrebbe fatto sapere alle sue amiche che lui era solo un porco approfittatore. Caricato da questa possibilità e consapevole che Gwen e Zoey gliela avrebbero fatta pagare se si fosse comportato come un disgraziato, non spiccicò parola per diversi minuti.
 
Da pochi metri avevano superato il cartello che li avvertiva che mancavano appena 10 minuti prima del rifugio 14 e che il gettare l’immondizia tra i cespugli poteva essere sanzionato con una multa superiore ai mille dollari. Quei semplici avvertimenti erano un deterrente molto più efficace rispetto ai consigli paterni dei vari ristoratori che chiedevano ai campeggiatori di non rovinare l’ambiente che avrebbero incontrato, percorrendo i vari sentieri.
In buona parte era innegabile che alcuni, anche dinanzi alla preghiera più accorata, finissero con il comportarsi in modo becero, contravvenendo alla regola più giusta e normale per il pianeta Terra.
Scott raramente aveva seguito le lezioni di biologia delle superiori, ma una mattina si era svegliato all’improvviso. Era rimasto meravigliato dalla spiegazione più semplice del prof che aveva sintetizzato l’argomento inquinamento con poche lapidarie parole.
Tutti credevano di fare i propri comodi, non rendendosi conto che il pianeta soffriva come un cane abbandonato. Erano semplici ospiti e facevano i padroni di una realtà che li avrebbe potuti spazzare via con un semplice alito di vento.
Scendendo con attenzione, notò come la primavera avesse ormai attecchito e che alcuni alberi mostrassero dei fiori dai colori semplicemente indescrivibili.
I prati pieni di margherite e di altri fiori rossastri potevano essere il degno spunto di un qualche pittore del secolo precedente.
Aguzzando la vista e puntandola verso le radici degli alberi era rimasto sorpreso da uno scoiattolo che stava cercando qualche ghianda e cui avrebbe lanciato qualche pezzetto di pane se fosse stato certo che non fuggisse per la paura.
Era un paesaggio fiabesco che sperava potesse mitigare il carattere dell’amica. Non sarebbe stato in grado di sostenere, in una giornata così intensa e faticosa, un’ennesima battaglia psicologica con il caratteraccio di Dawn.
Prima diceva una cosa, poi ne faceva un’altra e infine ritornava sui suoi passi, sbagliando ugualmente decisione.
“Ti senti bene?” Chiese all’improvviso, preoccupato di non sentire nessun richiamo o consiglio proveniente dalla sua bocca.
“Mi brucia un po’ la caviglia.”
“Tanto?” S’informò, cercando di guardarla con la coda dell’occhio.
“All’inizio era solo un lieve prurito, ma adesso inizia a fare davvero male.”
“Da quanto?” La interrogò, cercando di non fermarsi per monitorare le sue condizioni.
“Saranno cinque minuti al massimo.”
“Pensi di reggere ancora un po’?” Domandò, aumentando l’andatura.
“Ho paura che possa essere un’infezione.” Ammise, cercando di non pensarci troppo.
“Se mi fermo, potrei farti perdere tempo e peggioreresti.” Si scusò, sentendosi stringere ancora di più.
“Mi fa male.”
“Non dovevamo fermarci.” Protestò nervoso.
“Non è colpa tua, Scott.”
“Hmm?”
“È dura da credere, ma credo che dovrai portarmi all’ospedale.” Soffiò delusa.
“Dovrò camminare per tutto il pomeriggio se dovesse andare male.”
“Non hai le chiavi di Duncan?” Chiese preoccupata.
“Duncan non si è mai fidato di lasciarmi la sua carriola.”
“Ma voi siete amici.”
“Anche noi siamo amici, ma in queste ultime settimane siamo peggio di cane e gatto.” Ribatté, pungendola sul vivo.
“Io…”
“Se fosse necessario, ti porterei in spalla fino in capo al mondo.”
“Lo faresti solo per me?”
“Lo farei solo perché ti voglio bene.” Rispose secco.
“Vorrei essere fortunata per una volta.” Singhiozzò, sperando che il rifugio contenesse il kit medico e che Scott non fosse costretto a camminare per altre 20 miglia prima di poterla lasciare alle cure di medici e infermieri.
“Ti fidi di me?”
“Io…”
“Ho bisogno di saperlo.” Mormorò, notando come il vento si fosse leggermente alzato e di come il sole stesse iniziando a soffrire la presenza di alcune nuvole grigie.
“Penso di sì.”
“Allora tieniti stretta che ballerai un po’.” Ghignò divertito, iniziando a correre e sentendola completamente stretta alla sua schiena.
“Ho paura…”
“Andrà tutto bene.” La rassicurò, quasi urlando.
“Scott…”
“E domani rivedrai Mike.”
“Mike...”
“Vedrò di medicarti il prima possibile e cercherò di farti dimenticare questa giornata. E superata questa brutta avventura, vedremo di festeggiare.” Promise, mentre lei versava alcune lacrime capaci di rovinare il filo di trucco che aveva messo solo per far colpo su Mike e che ora stava macchiando la maglietta di Scott.
“Io...”
“Parleremo dei nostri sogni così come facevamo in passato.” Affermò, sperando di allentare la tensione, incurante delle parole della ragazza.
“Anche tu mi piaci un po’.” Bisbigliò lei, rimanendo inudibile e non notando nulla di diverso nell’atteggiamento di Scott.
“Poi Mike vorrà sapere tutto di questa faccenda.” Continuò imperterrito con voce molto alta e ignorando, senza volerlo, le confessioni che Dawn stava facendo uscire dopo molto tempo.
“Tu mi piaci tanto.”
“E non sarà il solo, ma lui è molto curioso e ne vorrà sapere più di tutti.” Borbottò divertito, accennando a un risolino che in altri frangenti avrebbe considerato irritante.
“Lui non mi piace come te.”
“Ti sei dimostrata coraggiosa e lui ne sarà rimasto colpito. Non mi stupirei di vederlo talmente colpito da chiederti un appuntamento.” Continuò compiaciuto, sentendola irrigidirsi per quello che poteva essere il primo sintomo di un bel febbrone.
“Anche se mi hai trattato male, io continuo ad amarti.” Singhiozzò disperata, sperando che lui si fermasse e le chiedesse il motivo di tanto dolore.
“Forse solo Zoey sarà un po’ triste per questa storia: sai credevo che lei fosse innamorata di Mike, ma forse sono sempre stato troppo cieco.” Continuò, ridendo per quelle constatazioni capaci di fargli piangere il cuore fin troppo martoriato.
“Io vorrei passare la mia vita con te.” Soffiò avvilita per quella confessione che non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere.
“Per vedere tutto questo, però, devi ristabilirti alla perfezione.” Affermò disinvolto, facendo scattare qualcosa nel cuore di Dawn.
Prima che se ne rendesse conto, si sentì montare la rabbia.
Scott aveva calpestato, ignorando le sue confessioni, i suoi sentimenti una volta di più.
Era come aveva detto Zoey una volta. Se s’ignorava o si faceva qualcosa di sbagliato, lei diventava un mostro ed era capace di rinnegare, anche in pochi secondi, la bontà e la gioia che riempivano il suo cuore. E se Dawn era una buona ragazza, così come dicevano molti in giro, allora Scott avrebbe incontrato una tempesta in piena regola.
A proposito di questo sua sorella una volta l’aveva messo in guardia sulla bontà di alcune persone e lui, testando quelle parole sul padre e su alcuni amici, aveva notato come fossero innegabili.
Il suo vecchio, alcuni suoi ex compagni di classe e Dawn appartenevano alla categoria dei buoni e quando si arrabbiavano, avevano un qualcosa in più rispetto ai classici cattivi quotidiani. In confronto a quelle persone Heather e il suo fedele tirapiedi Beccamorto erano degli agnellini, perché nessuno poteva conoscere il livello di cattiveria di certe persone.
E quello che riempiva il cuore e che scorreva nelle vene di Dawn, era un miscuglio tra sangue e il veleno più tossico possibile.
“Allora muoviti che non voglio fare notte.” Ordinò secca.
“Dawn?”
“Non mi hai sentito?”
“Io…”
“Ora mi senti, ma prima mi hai ignorato.” Ringhiò nervosa.
“Avevi detto qualcosa?”
“Stai zitto e portami al rifugio!” Sbottò, zittendolo all’istante e meravigliandolo della sua capacità di cambiare atteggiamento, specie se si paragonava quel presente a quello che si era fatta sfuggire appena due minuti prima, quando aveva confessato a cuor leggero d’amarlo. Era riuscita a sviscerare tutti i sentimenti che avevano riempito il suo cuore, ma l’aveva fatto così silenziosamente che lui non se ne era nemmeno accorto.
E questa sua improvvisa e immotivata debolezza l’aveva fatta infuriare.
Si era fatta animare nuovamente dallo stesso rancore che era riuscita ad accantonare con immensa fatica e che ora l’avvelenava, rovinando tutti i suoi buoni propositi.
Ora non aveva il coraggio di ripetersi, non riusciva nemmeno ad aprire bocca, se non per far uscire degli ordini e delle offese a una persona che non le meritava.
Perché da quando era scappata via, non aveva fatto altro che trattarlo in quel modo e se Scott si era allontanato inesorabilmente, facendosi vedere in giro molto meno del solito, la colpa era soltanto sua e del suo pessimo carattere.










Angolo autore:

Mi piace troppo lasciarvi sulle spine.

Ryuk: Ma non si sono ancora riappacificati?

Ti piacerebbe...e invece no.
Devono soffrire tanto.

Ryuk: Ecco cosa succede quando c'è una carenza affettiva...si diventa come rocchi.

Il tuo chiacchiericcio è insopportabile e fuoriluogo.
A presto
 

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Capitolo 26
*** Cap 26 ***


Non era andata per niente bene o così aveva pensato non appena aveva sentito il suo ordine.
Mentre si esprimeva a ruota libera e lasciava parlare il suo cuore, ignorando tutto il resto, lui sentiva d’essersi perso qualcosa.
Magari era solo lo stress o la sua coscienza sopita, ma gli pareva d’aver sentito una voce e che questa avesse tentato di rincuorarlo.
Inizialmente aveva pensato all’amica, ma nel sentire quell’obbligo opprimente, intuì d’aver sopravvalutato tutte le sue abilità. Era solo lo stress. Era quel maledetto che gli prendeva la testa e che, come una tenaglia, lo teneva fermo, mentre lo costringeva alla debolezza fisica e mentale, all’insonnia o a problemi intestinali.
Il suo medico di fiducia, lo stesso che lo aveva pregato di smettere di fumare per non danneggiare ulteriormente la sua salute, l’aveva invitato a prendersi il suo tempo nel fare le cose e gli aveva chiesto se potesse assentarsi dal lavoro per rilassarsi un po’ e per permettere al suo corpo di ritornare scattante come un tempo.
Scott avrebbe tanto voluto dargli retta.
Era stato lui a curarlo dalla varicella o a permettergli di assentarsi dal lavoro per una settimana a seguito di alcuni controlli alla schiena e al ginocchio sinistro. Sarebbe stato un sollievo allontanarsi dalla città, ma salendo in auto e selezionando una meta, avrebbe affrontato il tragitto in solitudine, aumentando la sua pseudo depressione e peggiorando l’intero quadro clinico.
Aveva pregato che quella gita potesse funzionare, ma fino a quel momento era stato tutto uno sbaglio.
Dawn continuava a pensare a Mike.
Lui era trattato peggio di uno straccio per pulire i pavimenti e la sua condizione peggiorava di giorno in giorno.
Gli restava solo la carta del rifugio. Quello che riusciva appena a intravedere dalla sua posizione e che sperava contenesse il kit medico e i beni di prima necessità. Non aveva più le forze per sopportare il peso di Dawn e non voleva scendere ancora di più a valle, rischiando di perdere il contatto con i suoi compagni.
Conoscendo la fantasia galoppante di Zoey, quest’ultima avrebbe creduto che fossero nei guai, sperduti tra i boschi, inseguiti da animali famelici, costretti magari in un ospedale oppure rapiti da strane entità aliene che volevano utilizzarli come cavie.
Prima di riuscire a ridere per questa considerazione, percepì alcune gocce cadergli sui capelli e nell’alzare lo sguardo si accorse di come il cielo si fosse scurito e di come il sole fosse andato a farsi una bella dormita dietro le nubi.
“Fortuna che siamo quasi arrivati.” Borbottò il rosso, risvegliando la compagna.
“Hmm?”
“Tra qualche minuto inizierà a piovere.”
“Come fai a saperlo?”
“Il tempo in montagna è così capriccioso che può cambiare da un’ora all’altra.” Spiegò, scendendo l’ultima discesa e notando di come ormai fosse tutto sul pianeggiante.
“Scott…io volevo scusarmi.”
“Hai fatto bene a sgridarmi: stavo perdendo tempo.” La rincuorò, sorridendo per quella situazione dai contorni ridicoli.
“Io…”
“Posso chiederti una cosa?” Domandò, continuando a passo sostenuto.
“Vuoi chiedermi di cambiare idea sul tuo conto?”
“Ti sembro così ottuso da volerti convincere del contrario?”
“Non lo so.”
“Come sei messa a rifornimenti?” Chiese, sperando che almeno nella sua borsa vi fosse qualcosa da mangiare.
“Non ti sei preparato con attenzione?”
“Pensavo di non incontrare simili difficoltà e facevo affidamento sul prossimo rifugio.” Borbottò imbarazzato, facendola sorridere.
“È impossibile che tu abbia lasciato tutto al caso.”
“Ho solo un pacchetto di cracker, una mela e alcune barrette al riso soffiato e cioccolato.” Elencò deluso, soppesando la borsa dell’amica tra le mani e pregando che la fatica del trasporto fosse ricompensata con qualche panino e non con un insieme di maglie e trucchi.
“Sarebbe divertente vederti morire di fame.”
“Ma così non avresti la medicazione e resteresti nel rifugio, fino a quando Duncan e gli altri non tornano indietro.”
“Volevo conquistare il palato di Mike, ma non ha toccato niente di ciò che gli ho offerto.”
“Sai che è molto schizzinoso sul mangiare.”
“Proprio per questo mi sono impegnata al massimo, ma è stato tutto inutile.” Replicò infastidita, mentre notava come Scott stesse cercando di aprire la porta ben sigillata del rifugio.
“Il tuo impegno non andrà sprecato.” Continuò, cercando di fare forza sulla maniglia, ma ritrovandosi in difficoltà.
“Ti serve una mano?”
“Questa maledetta si è bloccata.” Ringhiò, tirando un cazzotto contro il legno pesante della porta.
“Se vuoi possiamo…”
“Se riesco ad aprirla senza romperla e senza disturbarti, mi offrirai parte della tua cena?” Tentò, girando la testa nella sua direzione.
“Non hai bisogno di simili ricatti per farmi stare meglio.” Lo punzecchiò, notando tutto il suo impegno e sperando che la pioggerellina che stava scendendo sulle loro teste fosse presto sostituita dal calore e dalla sicurezza di quel minuscolo rifugio.
“Et voilà.” Esclamò dopo poco, richiudendo la porta alle loro spalle e tirando un profondo sospiro di sollievo.
“Stavo iniziando a dubitare della tua abilità.”
“Dato che ti ho portato al sicuro, potrei pretendere anche qualcos’altro.” Ghignò divertito, facendola arrossire.
“Del tipo?”
“Un bel bacio al tuo indomito cavaliere non sarebbe un qualcosa di troppo umiliante.”
“Cavaliere? Per avermi portato fino a qui credevo fossi un indomito destriero.” Replicò, ridendo a sua volta e permettendogli di udire quella soave risata che aveva quasi dimenticato.
“A volte ti dimentichi dell’odio che provi verso di me.” Mormorò sorpreso, facendola sussultare.
“Io…”
“Quando parlo come un idiota, abbassi le difese e mi concedi una possibilità.”
“Purtroppo questi momenti sono assai rari e ti conviene medicarmi il prima possibile, se non vuoi che Gwen ti minacci di morte.” Ringhiò di rimando, rendendosi conto con incolpevole ritardo che c’era un fondo di verità nelle parole dell’amico.
“Mi aspettavo un rifugio più grande.”
“Ed io mi aspettavo di essere già medicata a quest’ora.” Replicò nervosa, mentre lui la faceva adagiare sul letto e la fissava con un ghigno di superiorità che detestava.
Quel ghigno le faceva ricordare che lei era inferiore in tutto quello che lui faceva e che dal suo atteggiamento più cinico poteva aspettarsi anche la mossa più disperata. In quel caso, però, lui non avrebbe fatto assolutamente nulla per danneggiarla.
A suo avviso era già sconfitta in precedenza.
Stava peggiorando la sua vita per inseguire una chimera irrealizzabile e non si rendeva conto che poteva attingere alla felicità, allungando una mano e lasciandosi tutto alle spalle.
Era troppo cocciuta per svegliarsi da quello stato di torpore e, come aveva letto in una vecchia leggenda giapponese, Scott sentiva che Dawn era come la rana che abbandonava il suo stagno e che, non ritrovando la via di casa, sarebbe morta, sotto atroci sofferenze, nel grande oceano.
Era un paragone calzante.
Più si dibatteva, più sprecava energie e meno comprendeva il significato di quella storiella che il prof di letteratura antica gli aveva assegnato durante l’ultima lezione del terzo anno.
Incapace di trattenersi, dopo esseri allontanato per cercare il kit medico, si era voltato nella sua direzione, laddove Dawn si era tolta le scarpe e aveva scoperto la zona insanguinata per controllare la situazione e per asciugarla leggermente.
“Sei come quella rana…” Borbottò affranto.
“Hmm?”
“Stavo solo riflettendo.” Soffiò, aprendo il primo dei tre mobili che riempivano quel rifugio e di cui uno era, come lecito aspettarsi, custodia del kit medico.
“Una rana?”
“Lo capirai quando sarà tardi.” Pronosticò, riprendendo la sua ricerca e togliendo dalla sua traiettoria alcuni piatti, bicchieri e posate di plastica, presto accantonate insieme a delle tovaglie di stoffa.
 
Erano tutte vettovaglie quasi inutili.
Cosa se ne faceva un campeggiatore di posate o bicchieri, quando probabilmente si era portato da casa tutto ciò di cui aveva bisogno?
Quella schifosa bettola era utile solo per dormire e per avere un riparo da eventuali intemperie.
L’unica cosa per cui poteva ringraziare il cielo era il kit medico che sperava fosse ancora presente e che non fosse stato sgraffignato da qualche delinquente.
E per delinquente non intendeva Zanna o Duncan.
Intendeva quelli che, incapaci di andare aldilà delle proprie difficoltà, preferivano ostacolare anche gli altri per essere paghi.
Prima di scattare verso i mobiletti del rifugio, aveva controllato la ferita di Dawn e poi aveva ripreso la ricerca, borbottando e mugugnando come al suo solito.
“Dove cavolo hanno nascosto questo kit?” Brontolò spazientito.
“Non l’hai ancora trovato?”
“Non mettermi fretta.” Sbuffò, aprendo un mobiletto e trovando solo un po’ di cibo.
“Faccio prima a diventare vecchia.”
“Se non la smetti di rompere, ti riporto indietro e ti faccio mangiare dai lupi.” La zittì, concentrandosi sugli altri mobili presenti.
Era il silenzio ciò che gli mancava.
Per qualche secondo si beò di quella sensazione piacevole, salvo interrompersi nell’udire un leggero ticchettio al vetro appannato della finestra e lo sferzare più intenso del vento sulla porta.
“Piove.” Notò Scott, distraendosi per pochi istanti.
“Gli altri avranno raggiunto il rifugio?”
“Dovresti preoccuparti delle tue condizioni e poi di quelle degli altri.”
“Io…”
“Ma tanto so che i miei consigli non ti servono.” Rise amaro, avviandosi verso l’ultimo mobile che aveva da controllare.
“Come facevi a sapere del kit medico?” Tentò Dawn, sperando di alleviare il clima d’ostilità che aveva riempito quelle ultime settimane.
“Da piccolo venivo spesso in montagna con mio padre.”
“Non lo sapevo.”
“Ci sono tante cose che non sai di me, Dawn.” Sorrise, guardandosi intorno e sperando che quell’oscurità così opprimente svanisse il prima possibile.
“Per me, invece, hai solo sparato a indovinare.”
“Non del tutto.” Soffiò con calma, sfiorando il pacchetto di sigarette e ricacciandolo in profondità.
“Stai mentendo.”
“Se fossimo in inverno e i soccorsi ritardassero, quali speranze vorresti avere in un posto così infido e sconosciuto?” Spiegò Scott, riconcentrandosi sul mobiletto che aveva da controllare.
“Ci sono davvero i lupi?”
“Credevo avessi bisogno di una scusa valida per seguirmi.” Sussurrò, sorprendendola per quella premura molto insolita.
Aperta la sportella e spostati alcuni libri di vario genere, il kit medico di un arancione intenso e con una croce verde sul coperchio aveva fatto la sua magica comparsa.
Controllato il contenuto, perfettamente intatto, e appoggiato sulla credenza alcuni flaconi inutili alla medicazione e delle bende troppo corte e sottili per coprire la zona interessata, Scott si era riavvicinato al letto e aveva estratto altre garze imbevute con l’alcol.
“Ora ti brucerà un po’.”
“Io…”
“Vorrei dirti di resistere e che sarà una cosa breve, ma sarebbe solo una menzogna.”
“Cerca solo di non essere troppo brusco.” Soffiò, scoprendo la zona lesa e permettendo a Scott di vedere meglio l’entità del danno.
“Cercherò di essere delicato, ma se dovessi farti male, fermami subito.”
“Sì.”
Scott ricevuto il permesso di cominciare, aveva pulito la ferita con la massima precisione e velocità.
Lei, durante la prima medicazione, per non complicare ulteriormente le cose, era rimasta immobile.
Ogni tanto qualche lieve fitta la costringeva a chiudere gli occhi e a una smorfia di fastidio, ma per la maggior parte della medicazione era rimasta a farsi cullare dal tocco delicato e morbido del suo infermiere.
Più lo fissava e più arrossiva, rischiando di mostrarsi in una condizione di cui lui non avrebbe mai meritato di godere.
Nonostante l’impegno, la sua proposta e il suo aiuto essenziale per ritornare nel rifugio, Dawn non riusciva più a considerarlo degno della sua fiducia. Non era più un amico o un fratello con cui confrontarsi e cui chiedere consiglio.
L’ultima volta era stata abbandonata proprio per questo e lei non se la sentiva di affrontare ancora e per la milionesima volta quella questione. Avevano litigato. C’era qualcosa di tanto strano in quest’ovvietà? A tutte le persone normali capitava almeno una volta e più la questione è importante o la persona è fondamentale alla nostra vita, più si è restii ad accettare un abbraccio, una carezza o qualsiasi altra forma d’affetto.
E se aveva deciso di chiudergli la porta in faccia, ammettendo che se lo meritava ampiamente, solo lei aveva il diritto di rigirare la chiave e di riaccoglierlo nella sua vita. Nessuno, né i suoi amici, né le sue coinquiline, potevano o dovevano permettersi di obbligare il suo cuore a concedere una chance a uno sconosciuto così detestabile.
Fu nell’abbassare lo sguardo che Dawn notò come lui avesse applicato sulla caviglia un cerotto che, però, tolse subito.
A suo dire la ferita era ancora troppo fresca e sarebbe stato costretto a sostituire spesso la medicazione per evitare di sporcare ovunque.
Prima di procedere ulteriormente, si era rialzato dal letto ed era tornato vicino ai flaconi, sperando che non fosse stato troppo precipitoso e non si fosse dimenticato di una qualche pomata lenitiva. Recuperata una confezione completamente bianca, ad eccezione di una striscia rossa che attraversava il tubetto, si era messo a cercare tra gli scomparti del kit un ultimo strumento che, in quei frangenti, aveva finito con l’ignorare stupidamente.
Fu nell’estrarre un termometro digitale, che lei sobbalzò incuriosita, affermando che quella misurazione era solo un’immensa perdita di tempo.
Nello scontrarsi con le sue mani e poi con il suo sguardo furioso, si calmò e tornò placida e tranquilla come uno dei tanti laghi di quella riserva montana.  Come se non bastasse, Dawn si era fatta convincere anche dal suo brontolio e dalle sue imprecazioni, rabbrividendo solo al pensiero che era effettivamente nelle sue mani e che sarebbe stato inutile protestare con uno così testardo.
Ciò che incontrò poco dopo riuscì comunque a rallegrarla: era riuscita a scorgere un sorriso fugace e una scusa appena mormorata, riguardo al fatto che aveva ragione e che non c’era il minimo bisogno di antibiotici per fermare la febbre.
Fu nel poggiarli al suolo e nel srotolare parte della garza che Dawn intuì cosa stesse per accadere. Scott avrebbe iniziato, dopo le medicazioni con alcol e ovatta e dopo averle cambiato almeno due cerotti, una lenta e precisa fasciatura.
Questa volta Dawn restò concentrata sul suo lavoro, notando che talvolta lui tornava indietro laddove non era soddisfatto, coprendo con maggior attenzione la zona lesa.
Completata la fasciatura, Scott tastò appena sopra di essa e la carezzò lievemente.
“Sei stata fortunata.” Ammise sollevato.
“Davvero?”
“Potevi anche fratturarti la caviglia.” Affermò, riponendo l’armamentario usato dentro il kit.
“Io…”
“Te l’ho detto diverse volte di stare attenta.”
“Non sono più una bambina, Scott.” Protestò, mentre lui si rialzava e metteva al suo posto il kit medico.
“Quanto vorrei crederti, dico sul serio.”
“Secondo te Mike era preoccupato?” Gli chiese Dawn, facendolo rabbrividire.
“Lo era, ma non in quel senso.”
“Quale senso?”
“Per quanto tu possa impegnarti, dovrai cedere il passo a Zoey.”
“Ti sbagli.” Scattò lei, facendo una lieve smorfia.
“Tu puoi fare qualunque cosa per conquistarlo, ma non riuscirai a far breccia nel suo cuore.”
“No!”
“Felice di sbagliarmi, ma è così.” Affermò, sedendosi vicino.
“Da quando stai dalla parte di Zoey?”
“Io non sto dalla parte di nessuno, ma ti pregherei di non rovinare tutto.” Soffiò il rosso, cercando di mantenere la calma.
“Non sono affari che ti riguardano.”
“Già…non lo sono.” Borbottò, allontanandosi di nuovo.
“E poi che t’importa?”
“Io vorrei solo farti capire che Zoey ti odierà, se continui così.”
“Zoey non potrà mai odiarmi.” Ringhiò lei, facendolo sorridere amaramente.
“Solo una bambina non ragiona su quello che fa.”
“Io non sono una bambina!” Sbraitò, cercando di rimettersi in piedi, ma fallendo e ritrovandosi sorretta da un braccio.
“Ti conviene riposare.”
“Non dirmi quello che devo fare!”
“Il mio era solo un consiglio.”
“Dei tuoi consigli ne faccio anche a meno.” Ribatté con rabbia.
“Stai facendo tutto questo solo per attirare l’attenzione?” Sibilò lui, facendola distendere nuovamente.
“Taci!”
“Ci sono delle volte che non vorrei essere dalla tua parte.” Ammise, accendendosi una sigaretta.
“E allora perché ci provi comunque?”
“Perché sei l’unica persona che posso capire.”
“Tu non sai niente di me.”
“Ti sbagli.” Soffiò appena, assaggiando l’aroma che gli riempiva la bocca.
“Dimostramelo.” Lo sfidò, cacciandosi nei guai.
“So quanto fossi legata a tua madre e quanto vorresti che tutto tornasse come un tempo.” Picchiettò lui, facendo cadere la cenere sul pavimento.
“Non parlare della mia famiglia!” Ringhiò nervosa, facendolo sospirare pesantemente.
“E comunque so che hai passato gli ultimi esami con un misero 20.” Sviò, maledicendosi per aver tirato in ballo i genitori della ragazza e rievocando, quindi, dei ricordi non proprio piacevoli.
“Tu…”
“Quando dicevo che riuscivi in tutto quello che facevi, non intendevo concederti il permesso d’ignorare lo studio.”
“Non lo sto ignorando: è che sono concentrata su altro.” Sbuffò, stringendo le coperte.
“Immagino che sia faticoso uscire con Mike, fargli dimenticare Zoey, comportarsi da gatta morta e prepararsi per gli esami.” Elencò, sottolineando in particolare gli ultimi due punti di quella lista provvisoria che avrebbe potuto allungare ancora di più.
“Smettila di rimproverarmi!” Ringhiò, non riuscendo a fermarlo.
“Com’è che con Beverly ci riuscivi senza problemi?” Domandò senza troppi giri di parole.
“Non sono affari tuoi.”
“20 miseri punti…perfino io potrei fare di meglio, se m’impegnassi.” Sospirò il rosso, aggiungendo che era una vera delusione e che si aspettava molto di più da lei.
“Chi ti ha detto che sono in difficoltà?”
“Prova a scoprirlo da sola.”
“Zoey farebbe di tutto per screditarmi.” Commentò, tirando un lieve pugno al mobiletto che aveva alla sua destra.
“Perché sei ancora così immatura da scaricare la colpa agli altri?”
“Io…”
“Se vuoi proprio saperlo, è stato Duncan a dirmelo.” Borbottò il rosso.
“Appena lo avrò tra le mani, lo strozzerò.”
“Dawn io so cosa si prova a restare soli.” Aggiunse Scott, cercando di distoglierla dai suoi intenti vendicativi.
“Io non sono mai stata sola.”
“Scusami tanto se mi pareva il contrario.” Soffiò il rosso, abbassando la testa.
“A dire il vero sei tu quello che è sempre stato solo.”
“Lo ero, prima d’incontrarti.” Tentò, spegnendo la sigaretta che aveva riempito la stanza con un aroma intenso.
“Io non sono mai stata interessata a te.”
“Me ne sono accorto.”
“E poi perché dovrei stare con uno come te?” Gli chiese, facendolo sussultare.
“Non eri tu a dire che non si giudica un libro solo dalla copertina?”
“Allora diamo un’occhiata al suo contenuto, ti va?” Continuò ironica, quasi volesse il permesso prima di distruggerlo.
“Perché no?”
“Hai giocato con molte persone, hai deluso Courtney e hai fatto in modo che mi affezionassi a te. Perché sei così cattivo? Quali possibilità pensi di avere ancora?”
Tutte quelle domande vomitate con tanta ferocia si scontrarono con la pochissima sicurezza di Scott.
Cattivo. Era così che lo considerava. E poi quelle domande.
Lui voleva solo tornare come un tempo. Voleva ridere, scherzare e parlare per delle ore, prima di riaccompagnarla a casa. Davanti a quelle verità aveva ricevuto un altro schiaffo che lo aveva indotto al silenzio.
Abbattuto, aveva rialzato lo sguardo, scontrando il vuoto con il suo fuoco e accorgendosi che lei non era come Zoey. Quest’ultima, in un moto di pietà, avrebbe anche potuto spegnere il suo ardore, ma Dawn, con quello che le aveva fatto passare, non aveva motivo per impegnarsi in una premura che l’avrebbe spinta solo alla confusione. Lei aveva accettato di partecipare alla gita solo per un secondo fine e questo riguardava l’avvilire, ferire e umiliare Scott.
Un po’ come quei beceri del club di scienze che catturata una mosca preferivano storpiarla prima di accopparla con una scossa elettrica.
Quello era il suo modus operandi della vendetta.
Dawn e il suo ardore avrebbero spinto il nulla presente nello sguardo glaciale di Scott ancora più in profondità.
“Un momento, pensi davvero che io potrei mai stare con te?” Continuò brusca, facendolo tentennare.
“Una volta era così.”
“Io amo Mike e tu non esisti più.”
“Non ti credo.” Soffiò, allontanandosi mestamente.
“Se tu non ci fossi, mi faresti solo un gran favore.” Infierì, costringendolo ad abbandonare il rifugio prima che la rabbia prendesse il sopravvento.
Uscito e raggiunta la pioggia, Scott sentiva che ormai era giunto il momento.
Dawn era cresciuta, ormai era pronta per spiccare il volo e lui doveva scansarsi dalla sua traiettoria per permetterle di ottenere l’esperienza necessaria a vivere.















Angolo autore:

Ehi Ryuk...shinigami da bancarella, vedi anche tu quello che vedo io?

Ryuk: Sarebbe?

Il deserto più assoluto.
In due settimane nessuno ha scritto niente.

Ryuk: Non mi dirai che siamo gli unici sopravvissuti all'Apocalisse, vero?

No!
Si vede che gli altri autori hanno di meglio da fare...mica come te che mi stai sempre con il fiato sul collo.

 

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Capitolo 27
*** Cap 27 ***


Rimasta sola nella stanza, Dawn aveva cercato di rimettersi in piedi, meditando, a causa del dolore, di rinunciare alle sue intenzioni.
La botta alla caviglia la torturava senza sosta e le parole del rosso erano tornate a farle compagnia. Nello scorgere la sua figura allontanarsi verso l’esterno, sentì qualcosa spezzarsi. Dopo essere scappata dal suo appartamento, l’aveva ferito di nuovo e non si era preoccupata dei suoi sentimenti.
Se Zoey e Gwen fossero state presenti, si sarebbe ritrovata il loro sguardo severo come rimprovero. Un po’ come quando usciva senza avvertirle o quando lasciava la sua stanza nel più totale caos, ignorando le loro lamentele. Non era capace di difendersi da questi loro assalti e sarebbe finita con lo soccombere e con l’evitare inutili discussioni.
Se non aveva accettato le scuse di Scott, nonostante il suo cuore battesse ancora in quella direzione, era solo per il timore d’essere umiliata.
Da una parte era felice di notare tutti i suoi tentativi e di apprendere che nessuno avesse osato allungare le sue mani verso di lui, ma dall’altro era terrorizzata di sentirsi un semplice ripiego per la fuga precipitosa di Courtney.
Era questo ciò che aveva sentito un pomeriggio, rientrando dai suoi corsi universitari e interrompendo l’ora del tè delle sue coinquiline.
Aveva appoggiato la borsa carica di libri al suolo e si era avvicinata alla credenza color nocciola per prendere alcuni biscotti da consumare con la terza tazza d’infuso ai frutti di bosco che Gwen aveva riempito fino all’orlo.
Preso posto proprio di fronte a Zoey, aveva assaggiato quella dolcezza ed era rimasta in attesa degli ultimi pettegolezzi delle coinquiline. Gwen aveva parlato di Duncan e della sua intenzione d’invitarla, durante uno dei prossimi week-end, a conoscere sua madre.
Per quanto detestasse rivangare la figura paterna del fidanzato, conoscendo la sua pessima fama di latin lover, non era riuscita a rimanere in silenzio e aveva sviscerato quel nome tanto odiato. Prima di renderle partecipi di quanto era successo poi, Gwen aveva cambiato discorso e aveva estratto dal cilindro la figura del Pahkitew.
Zoey, nel sentire il nome di quel locale, si era come illuminata e si era girata verso Dawn che aveva intinto un biscotto dentro l’infuso. Credeva che anche lei avesse un moto d’interesse e invece, almeno apparentemente, era rimasta fredda e distaccata.
Fu quando Gwen fece uscire quel discorso che lei si risvegliò brevemente, ma quel tepore momentaneo fu seppellito da strati di ghiaccio e tristezza.  Dawn sapeva che Scott poteva fingere. Quando aveva letto la sua lettera, era rimasta indifferente, anche se un’altra ragazza l’avrebbe stracciata o non l’avrebbe nemmeno aperta.
Aveva bisogno di tanto tempo per riunire tutti i pezzi che lui aveva sbadatamente lanciato in giro.
Nell’ascoltare le sue amiche era rimasta sorpresa.
Nel rileggere più volte la chat e i suoi vecchi messaggi di scuse, alcuni davvero romantici, era arrossita nell’assoluta oscurità notturna della sua stanza.
Nel vederlo sotto la pioggia, dopo giorni d’infelicità cronica, era rimasta dapprima colpita, poi si era spaventata, facendo sfociare tutto nella rabbia e nei sensi di colpa.
Nessuno, nemmeno il peggior individuo di questo mondo, meritava di essere gettato in quel modo.
Quando gli aveva preso l’ombrello ed era scappata, ignorando le sue richieste di aiuto, si era sentita come la donna migliore di questo mondo, ma nel voltarsi per attraversare la strada, intravedendo la sua figura, si sentì una delle peggiori persone in assoluto.
Quale donna avrebbe trattato in quel modo la persona che aveva sempre amato e che continuava ad amare nonostante tutto?
Inutile affermare che, rientrando nel suo appartamento e rivolgendo uno sguardo spento e vitreo alle sue amiche, si era subito buttata a peso morto sul suo letto e lì era rimasta fino a quando non trovò il coraggio di rialzarsi.
Non doveva finire così: lei non aveva preso le giuste misure e aveva esagerato più di quanto fosse stato necessario. Va bene farlo arrabbiare e pentire di quello che aveva perso, ma non voleva schiaffeggiarlo e uccidere tutti i loro ricordi.
Avrebbe tanto voluto che quello fosse uno scherzo, che potesse riavvolgere il tempo per ritornare al cancello della sua Università e per aspettare che Scott le corresse incontro per farsi perdonare.
Farsi perdonare, ma da cosa?
Lui non aveva sbagliato quasi nulla.
Il suo unico errore, se così poteva essere definito alla luce dell’intera situazione, era stato commesso quando, in preda a milioni di dubbi sul suo futuro, non aveva le idee ben chiare e si era ritrovato a scegliere tra lei e Courtney.
Sinceramente, e Dawn se ne era accorta nell’ennesima serata insonne fatta di sensi di colpa, lui non aveva sbagliato così gravemente, eppure si era ritrovato comunque con un pugno di mosche in mano. Ma anche ammettendo che lui la scegliesse fin dall’inizio, che la stringesse come quella notte di passione nel suo letto e che le chiedesse di rimanere per sempre in quell’angusto appartamento, poi sarebbe stata la stessa Courtney a rinfacciare a Scott il suo errore.
Secondo la sua opinione, lui era comunque destinato a portare il fardello dello sbaglio.
Tuttavia non riusciva a spendere parole dolci nella sua direzione: era come se il suo lato più spregevole avesse preso il sopravvento e le impedisse di accettare tutta la sua dolcezza. L’unica persona in tutta quella storia da rimproverare era la stessa che la derideva non appena si collocava davanti allo specchio.
Era da incolpare per i suoi pessimi voti all’Università, per il carattere impossibile delle ultime settimane, per i suoi doveri nell’appartamento di Gwen e Zoey che non svolgeva del tutto e per aver ferito e gettato nello sconforto un ragazzo che, prima della sua comparsa silenziosa al Pahkitew, stava molto meglio.
Se per i primi tre punti della sua lista bastava un impegno ferreo, per l’ultimo serviva qualcosa di più.
Aveva bisogno di un passo indietro e di un bagno d’umiltà che aveva compiuto ben poche volte nella sua breve vita.
Non appena sarebbe stato possibile, si sarebbe scusata e avrebbe fatto in modo di ricostruire il loro rapporto quasi da zero.
Nonostante l’assenza di segnale e appurata l’impossibilità di contattare i suoi amici per rincuorarli, per informarli che loro stavano bene e per sapere se anche loro avevano trovato riparo dalla lieve pioggerellina che stava flagellando quella zona di montagna, lei continuò a osservare il cellulare per tutto il tempo, sperando che la porta cigolasse nuovamente e che Scott ritornasse all’interno per passare quella serata lontani da casa.
Erano solo le 16:32 quando iniziò a giocare con alcune applicazioni del suo smartphone e dovette attendere fino alle 17:48 prima di appoggiarlo sul comodino alla sua sinistra.
Abbandonato quel suo sciocco passatempo e convintasi che la figura bagnata che aveva davanti non fosse quella di un campeggiatore spaesato, com’era solita fare abitualmente, alzò gli occhi e rivolse a Scott uno dei suoi sorrisi più dolci.
Da bambina, tramite sua madre, aveva imparato che un sorriso e uno sguardo dolce erano degli ottimi modi per iniziare con delle scuse sincere.
Era sicura che Scott, piuttosto di evitare l’ennesima notte insonne e di tirarle un pugno sulla testa, si fosse messo a passeggiare nervosamente per sfogare la rabbia e per evitare una qualche cazzata che avrebbe suscitato l’ira dei suoi amici e dei suoi parenti.
“Non dovevi uscire con quel tempo.” Lo rimproverò seria, risvegliandolo dal torpore e facendogli scrollare le spalle.
“Ora ti preoccupi per me?” La interrogò con un filo di voce.
“Il mio era solo un consiglio.”
“A me sembrava altro.” Borbottò, togliendosi le scarpe completamente zuppe e avviandosi verso lo zaino in cerca di una maglietta asciutta e pulita.
“Scott io volevo…”
“È tutto apposto, in fin dei conti hai ragione.”
“Volevo scusarmi per prima.” Soffiò lei, perdendo via via il coraggio di continuare e abbassando gradualmente la sua voce.
“Non ci pensare, tutta acqua sotto i ponti, sai?”
“A volte mi comporto in modo orribile.”
“Solo a volte?” La punzecchiò, togliendosi la t-shirt azzurra e mostrando il fisico a Dawn che si ritrovò ad arrossire e a distogliere lo sguardo.
“Che cosa vorresti insinuare?”
“Io? Proprio nulla.” Ammise compiaciuto, coprendosi con una polo rossa.
“Non mentire.” Ricominciò lei, aumentando il tono e facendo vibrare le sue corde vocali.
“Non urlare.”
“Non dirmi che cosa posso o non posso fare.”
“È solo che vorrei evitare l’emicrania.” Soffiò, cercando di mantenersi calmo, mentre dinanzi a sé aveva una furia che con il suo sguardo saettava ovunque.
“Mi stai dicendo che ti faccio venire il mal di testa?”
“Di certo non me lo curi.” Ironizzò con una vena di sarcasmo, sperando di placare tutta la furia che sembrava emanare.
“E tu rovini la mia vita.”
“Qual è il nesso tra le cose?”
“Mi stai facendo perdere la pazienza.” Ringhiò lei, allungando una mano verso il mobiletto vicino e pretendendo un goccio d’acqua.
“Sapessi la mia com’è ridotta.”
“Sembra che tu stia parlando con una strega.” Protestò, afferrando il bicchiere che lui le porgeva e bevendo tutto d’un fiato.
“È questo che non capisco, Dawn.” Riprese preoccupato, appoggiando la bottiglietta vicino a lei e sedendosi al suo fianco.
“Cosa?”
“Prima mi offendi e poi pretendi che ti dia una mano.”
“Io…”
“Sai perché faccio tutto quello che mi dici senza obiettare nulla?” Domandò, grattandosi la barba.
“No.”
“È perché mi sento in colpa e credo di doverti qualcosa.” Sussurrò, fissandola negli occhi.
“A me la cosa non interessa.”
“Ma interessa a me.”
“Se ti senti in colpa e sai già che ti tratterò male, perché continui a provarci nonostante tutto?” Chiese lei, incuriosita dal suo strano comportamento.
“Perché sento che hai bisogno di me.”
“Come posso aver bisogno di uno che non fa altro che rovinare la mia vita?” Replicò seccata, pentendosi quasi subito di quelle offese.
Di nuovo. Era successo di nuovo.
Lui aveva provato a ricominciare e lei gli aveva sbattuto la porta in faccia. Non credeva di essere in grado di sentirsi stupida per la terza volta in quella giornata.
Si era promessa di farsi perdonare e poi ricadeva con le offese, scontrandosi e perdendo con il sorriso sfoggiato da Scott.
Non capiva cosa ci fosse di tanto bello da sorridere.
Alcune persone, Dawn, sorridono solo perché non sanno piangere.
Scott non sapeva piangere?
In effetti l’aveva visto raramente piegarsi e versare qualche lacrima.
E una volta di più l’amarezza che si stagliò su quelle labbra così sottili sconfisse la speranza di Dawn di vederlo crollare e di elemosinare una mano cui appigliarsi e che lei gli avrebbe concesso senza la minima esitazione.
“A che ora vuoi cenare?” Sviò lui, cambiando discorso.
“Come?”
“Non hai fame?”
“Un po’.”
“Non appena avrai voglia, posso iniziare a preparare la cena.” Borbottò tranquillo, allontanandosi ed evitando qualsiasi nuova discussione.
 
La cena passò nel più totale silenzio.
Dawn non sapeva come comportarsi con Scott, il quale temeva di ritrovarsi con qualcosa di rotto e di dover, quindi, ricorrere al kit per medicarsi in qualche modo.
Poteva essere più stanco di così?
Nemmeno quando aveva partecipato alla mini maratona scolastica di 10 miglia si era ridotto in quello stato. E durante quella patetica manifestazione era pure caduto, a metà percorso, sul nero asfalto, continuando il resto della gara con un ginocchio gonfio e completamente coperto di sangue.
Poteva parlare di questo durante quella cena?
Di certo lei lo avrebbe guardato con sguardo schifato e gli avrebbe tirato dietro il sandwich che aveva preparato all’alba per quello sciocco di Mike.
Che cosa aveva detto durante la scarpinata?
Che Scott, anche al netto delle sue lacune, era molto più carino di Mike.
Da un fronte all’altro era lampante che avevano tanto da dirsi.
I loro occhi erano un continuo incrociarsi e abbassarsi, facendogli ripetere quella strana danza per almeno mezzora.
“Che intenzioni hai, Scott?” Ricominciò Dawn, vincendo sulla paura di offenderlo nuovamente e mangiando un cioccolatino.
“Hmm?”
“Dove dormirai?”
“Ti stai preoccupando per uno che non conta niente ai tuoi occhi.” Nicchiò, scrollando le spalle e tornando a mangiucchiare la sua mela.
“Anche se ti odio, ciò non m’impedisce di essere preoccupata.”
“Le cose non coincidono così come le hai descritte.”
“Ma…”
“Una volta ho dormito sul pavimento, un’altra ancora sono stato costretto in tenda e non mi sono mai lamentato.” Sbuffò annoiato.
“Se tu non fossi così…”
“Così come, Dawn? Sei tu a comportarti in modo stupido.” Replicò secco, facendola sobbalzare.
“Sapevo che dovevo star zitta.”
“Io non ti obbligo a parlare.”
“Lo so.”
“E poi perché una come te dovrebbe stare con un mostro? L’hai detto tu che non è il caso di tentare di ricostruire un rapporto ormai senza futuro.”
“Io…”
“Sei confusa? Prima dici una cosa, poi ne dici un’altra, inventi un sacco di storie e t’infuri se qualcuno te lo fa notare.” Borbottò seccato, addentando l’ultimo boccone.
“Non sono affari tuoi.”
“L’hai già detto.”
“Questa volta non scherzo.”
“Se non scherzi perché cerchi di parlare con me?” Domandò provocatorio, rimettendosi in piedi e iniziando a sistemare il tavolo che avevano sfruttato per la cena.
“Non lo so.” Ammise, fissandolo confusa.
“Mi odi, non vuoi parlare, eppure siamo qui con il tuo stupido orgoglio che c’impedisce di tornare a essere felici.”
“Come posso avere fiducia dopo quello che mi hai fatto? Mi hai ferita e mi hai gettata via come se niente fosse.” Ringhiò, facendolo sobbalzare.
“Ero confuso.”
“E ora sono io a essere confusa e ad aver bisogno di tempo.”
“Mi stai dicendo che devo aspettarti?” Chiese, fermandosi dal raccogliere i bicchieri e ponendosi alla sua altezza.
“Devo solo abituarmi all’idea che tu sei dannoso alla mia felicità.” Ribatté acida, facendolo sussultare e leggendo il velo di tristezza che copriva il suo sguardo.
Di certo Dawn non se l’aspettava.
Credeva che prendesse le vettovaglie, le gettasse con stizza nello zaino e si mettesse a consultare le mappe, dandole le spalle e ignorandola per il resto della sera.
Magari una persona intelligente avrebbe anche cercato di mettersi nuovamente in contatto con Mike e gli altri, ma non Scott.
Lui non era mai stato così stupido da lasciarla così, perdendo un’occasione più unica che rara.
Infatti, stanco di quei discorsi, cercò di abbracciarla e di toccare il suo corpo fremente di rabbia, per poi baciarla senza ripensamenti.
Dawn non credeva d’averlo aspettato così a lungo.
Era intenso, meraviglioso e stava sciogliendo il ghiaccio che aveva nel cuore.
Nonostante avesse cercato d’allontanarlo, aveva ceduto e si era lasciata trasportare fino a quando non era rimasta senza fiato.
Solo in questo momento, lui si era staccato e l’aveva fissata serio.
“Ricambi ciò che provo.” Costatò il rosso.
“No.”
“Non fare la bambina e accettalo.”
“È stato solo uno sbaglio.”
“Tu mi ami ed io provo la stessa cosa. Allora perché vuoi continuare questa guerra assurda che ci fa solo soffrire?”
“Perché te lo meriti.”
“Quello che dici non ha minimamente senso.”
“Se trovassi un altro ragazzo che mi ama, poi saresti l’unico a star male.”
“Un ragazzo come Mike?”
“Può essere.”
“Non amerai mai nessuno come me.” Mormorò il rosso, tentando di afferrarla e di stringerla per poi baciarla di nuovo, ma scontrandosi con uno schiaffo che lo costrinse ad abbandonare le sue intenzioni.
“Vattene e non costringermi a colpirti di nuovo.” Ringhiò lei, dandogli le spalle e zoppicando incerta verso il suo letto.






Angolo autore:

E anche questa domenica il mio dovere è stato fatto.

Ryuk: Non hai riletto manco mezza riga

Perchè vado troppo di fretta
A presto!
 

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Capitolo 28
*** Cap 28 ***


Aveva attinto alla felicità per pochi attimi.
Si era affacciato e aveva percepito un calore, per poi ripiombare laddove era sempre stato nelle ultime settimane. Dawn, e ora ne aveva la certezza, non era più per lui. Era triste da dire, ma era così. Credeva che quel bacio avventato fosse l’ultima carta e che potesse riconsegnargli ciò che aveva perduto, ma aveva toppato un’altra volta.
Sentiva il cuore chiuso in una morsa, la testa terribilmente pesante e una stanchezza che fino a quel momento era rimasta sopita da qualche parte nel suo corpo.
Il maledetto stress era tornato a flagellarlo.
Rialzandosi nuovamente dalla posa sbattuta che aveva assunto, si tastò la mascella e si avviò, quindi, verso lo zaino con il chiaro intento di fare ordine e di ricontrollare la mappa.
Non avevano discusso, alla luce della sua storta, se era il caso d’andare incontro a Mike e gli altri o se era meglio rimanere lì al sicuro. A pensare al suo vecchio amico, percepì di nuovo un profondo senso di gelosia e maturò la decisione di non incamminarsi in alcuna direzione.
Se lei voleva andare, poteva uscire dal rifugio, zampettare verso Nord, ripercorrere il sentiero e ricongiungersi agli altri.
Lui sarebbe rimasto lì, al suo posto. Probabilmente si sarebbe accucciato sopra il letto e si sarebbe gettato via nuovamente.
Valeva la pena ricominciare?
Gettare le proprie forze su una situazione che gli si ritorceva contro?
Era come il cane che suo padre teneva vicino al divano e che tentava di giocare con il gatto di sua madre, salvo andare incontro a graffi e morsi che lo segnavano per delle ore. Raramente giocavano insieme e andavano d’accordo, ma per la maggior parte del tempo erano in guerra e il cane si rifiutava di non poter disturbare quel piccolo micio nero.
Erano come quegli animali.
Erano come il Sole e la Luna.
Erano elementi discontinui e incapaci d’andare d’accordo per lasciarsi tutto alle spalle.
L’indomani non sarebbe partito. Non avrebbe portato il suo zaino, imprecando sui ciottoli lisci. Si sarebbe rifiutato di scorgere qualche animale ancora mezzo addormentato.
E questa volta non avrebbe più pensato a quella storia.
Aveva provato dopo la prima cazzata e non aveva ottenuto nulla. Aveva tentato di sorprenderla con la lettera e con la visita all’Università, ma tutto gli si era rivoltato contro.
E aveva pure osato durante quella stupida gita.
Basta!
Si era stancato di essere quello che tentava, che sperava, che pregava, per poi abbassare la testa e sentire il suo orgoglio che offendeva la sua ostentata stupidità.
Controllate ancora le mappe per alcuni minuti, si voltò a fissarla e si convinse che lei fosse già nel mondo dei sogni. Stringendosi nelle spalle, si alzò nuovamente e spense la luce, distendendosi sul freddo pavimento e accontentandosi della visione oscura del soffitto.
 
Aveva abbandonato il cellulare sopra il comodino, in una condizione di stand-by e con la suoneria ridotta al minimo.
Come se potesse usarlo in qualche modo. Non poteva connettersi a Internet, non poteva inondare Zoey e Gwen di messaggi e non poteva nemmeno telefonare per ricevere conforto.
Quando era salita sulle spalle di Scott, era stata felice.
Aveva ammesso i suoi sentimenti, si era accorta di non poter stare senza di lui, ma poi l’aveva ricacciato in un angolo.
Non voleva Mike e questo era più che evidente. Non erano propriamente incompatibili, ma non erano nemmeno sulla stessa lunghezza d’onda.
Era questo ad affliggerla.
Doveva lasciarsi andare, abbandonare i suoi patetici approcci e ritornare con Scott oppure continuare a fargliela pagare?
E perché doveva scontrarsi sempre con lui?
Era molto più semplice andare d’accordo.
Discutere dei propri gusti, uscire insieme, passeggiare mano nella mano, piuttosto di non guardarsi in faccia e di evitarsi come la peste.
Inspirando pesantemente, si rimise seduta e si voltò per controllare l’ora sul display.
Mezzanotte era già passata da una dozzina di minuti e il rifugio era avvolto da un’oscurità piacevole.
Allungando una mano, recuperò la bottiglietta d’acqua e dopo alcuni sorsi, una domanda le sorse spontanea.
Aveva davvero rispettato ciò che aveva promesso?
A tastare sul lato libero era evidente che non ci fosse nessuno e a sospingersi a curiosare oltre il limite del letto, imprecando lievemente per il dolore alla caviglia, notò la sua figura immobile come una statua e avvolta dal giubbotto che si era portato dietro.
Sistemandosi i capelli e sfruttando la poca luce presente, studiò il suo volto contratto e notò quanto fosse stata stupida finora.
Per non ferirsi, lo stava facendo soffrire.
Per orgoglio aveva tentato di dimenticare il suo Scott.
Sperando che lui non si risvegliasse e non la vedesse in quella posizione piuttosto scomoda per la sua ferita, tentò di farsi forza e di rialzarsi.
Non aveva intenzione di disturbare il suo meritato riposo, né di rinunciare al letto per dormire al suo fianco.
Voleva solo la sua buonanotte.
Ora che il suo orgoglio era distratto e non faceva danni, poteva prendere una coperta leggera, abbassarsi su di lui e coprirlo appena.
Dopo quella gentilezza, si sentì molto meglio e, senza fare il minimo rumore, tornò al suo posto, sperando che tutto potesse solo migliorare e che il suo lato più freddo non ritornasse impetuoso l’indomani.
E mentre si tirava ancora più su le coperte, nell’oscurità della notte, laddove il riposo di entrambi poteva essere finalmente tranquillo, Dawn si mise una mano sul cuore che batteva fin troppo in fretta.
Anche se l’aveva schiaffeggiato, avevano discusso pesantemente e gli aveva chiesto di stare lontano, lei sperava che continuasse a riprovarci.
Era solo questione di tempo e tutto sarebbe ritornato come ai bei tempi.
E nel voltarsi alla sua sinistra, Dawn si tastò le labbra che avevano sfiorato il desiderio di avere Scott per tutto il resto della vita.
 
Aveva provato ad alzarsi l’indomani, accettando anche l’aiuto di Scott, ma la sua caviglia non ne voleva sapere di reggere il suo peso.
Pochi passi e si sentiva mancare, ritrovandosi sorretta dall’amico che, nonostante tutto continuava a farsi usare come stampella umana.
Non era comunque questo a lasciarla perplessa.
Giorni prima le avrebbe fatto forza, le avrebbe consigliato di esercitarsi e di non esagerare troppo. Quella mattina, tuttavia, sembrava di pessimo umore. Era silenzioso, si tastava spesso la testa e ogni tanto si strofinava gli occhi, colpevoli di mostrargli un panorama sfocato.
Dawn aveva provato a chiedergli se si sentisse bene, ma lui non aveva mai risposto, scrollando sempre le spalle e chiudendosi in se stesso.
Una sola volta si era lasciato sfuggire un leggero mugugno, percepito dalla ragazza. Si trattava di “Un starò bene, spero.” che non la lasciava molto tranquilla e che le incuteva un certo timore.
Per tutta la giornata si era chiesta il significato di quelle parole.
Era solo un’uscita infelice tanto per farla sentire in colpa o un mero presagio per una qualche intenzione che non traspariva dal suo sguardo appannato?
I suoi occhi le parevano ancora più grigi e sul suo volto non c’era il minimo accenno a un sorriso che potesse farla sentire in pace.
Quella era l’ultima giornata in montagna, prima di ritornare ognuno alle proprie vite.
Il Pahkitew avrebbe aperto l’indomani, le ragazze sarebbero tornate all’Università, Mike avrebbe dato qualche ripasso a un amico un po’ indietro con le lezioni e Dawn si sarebbe dimenticata di quell’uscita infelice.
Credeva, anzi sperava che il ritorno di Duncan potesse restituirgli un minimo di loquacità, ma dopo essersi scambiati alcuni dettagli e convenevoli su quella gita, il rosso si era avviato a passo spedito verso valle, non volendo nessuno al suo fianco.
Dawn passava tra le spalle di Mike a quelle di Duncan, chiedendo ogni tanto di scendere per sgranchirsi le gambe e per sentire la caviglia non ancora in ottime condizioni.
E mentre Scott camminava tranquillo, distante quasi 300 metri dalla carovana che aveva alle sue spalle, Zoey e Gwen bersagliavano l’amica di domande.
“Che gli hai fatto?” Esordì la dark, dopo aver calcolato per l’ennesima volta la distanza che il rosso aveva concesso loro.
“Io? Assolutamente niente.” Si difese contrariata dall’invadenza dei suoi amici.
“E allora com’è che sembra giù di morale?” Continuò Zoey, mentre Mike avvertiva la tensione che si stava andando a creare nel loro piccolo gruppo.
Era sufficiente che qualcuno stesse male e tutto andava a scatafascio. Se Gwen aveva la luna storta, ecco che tutti puntavano il dito su Duncan e le sue solite cazzate. Se Zoey soffriva e spesso piangeva per delle inezie, ecco che Mike si ritrovava attorniato e riceveva l’occhiata assassina del gemello. Se Dawn non stava bene, tutti puntavano su Scott e il suo carattere complicato.
“Sta mattina si è svegliato così. Che ci posso fare io se è in guerra con il mondo intero?”
“Sicura di non avergli fatto nulla?” S’informò Duncan, accendendosi una sigaretta.
“Assolutamente.”
“Eppure ieri stava meglio.” Affermò Zoey, giurando di non essersi sognata il ghigno che aveva intravisto prima che lui ripartisse con Dawn per fornirle le prime cure.
“Magari ha dormito poco.”
“O magari gli hai fatto qualcosa che non dovevi.”
“Ancora con questa storia?” Chiese infastidita.
“Siamo in quattro contro uno e possiamo decidere anche di lasciarti qui se non ci racconti cosa gli può essere successo.” La minacciò Gwen, sfoggiando un sorriso diabolico che contagiò parzialmente anche Duncan.
“Io…”
“Guarda che sono d’accordo con loro.” Ammise Mike che sorreggeva il peso della biondina.
“Anche tu?” Domandò afflitta, cercando con lo sguardo Zoey e sperando che almeno lei potesse difenderla dal loro interrogatorio.
“Nessuno avrebbe da ridire se tornassi a casa a piedi.” Confermò la rossa, schierandosi apertamente dalla parte di Gwen.
“Ma io non so nulla.” Protestò con una vocina che pareva uscita da un qualche cartone animato.
“Non l’hai offeso?” Domandò Gwen.
“Gli ho solo detto che non ero più interessata a quello che faceva e che non doveva più provarci con me.”
“Nulla d’insolito.” Borbottò Duncan, facendo fuoriuscire una nuvola di fumo grigio.
“Abbiamo discusso, questo è vero, ma non gli ho detto nulla che potesse ridurlo così.”
“Non ne sono così sicura, ma questo è il massimo che possiamo ottenere.” Nicchiò Zoey, mentre Gwen scrollava le spalle.
 
Se Duncan avesse mai immaginato che quella gita, oltre alla gioia di aver consolidato il suo rapporto con Gwen, gli avrebbe consegnato un viaggio di ritorno segnato dal completo silenzio, allora avrebbe invitato la fidanzata a farsi un bel viaggio senza nessuna rottura intorno.
E lui che era alla guida odiava di non potersi distrarre in qualche modo.
Alla sua destra Scott si era raccolto la testa tra le mani, come se soffrisse di una qualche emicrania dovuta da qualche urlo che gli aveva sfondato i timpani.
Era come se sentisse qualcosa cui lui voleva imporre di rimanere zitto.
Dietro al lato passeggero, dove il rosso alternava momenti di profondo sconforto ad attimi dove inseguiva le macchine sorpassate dalle manovre spericolate del punk, vi era Zoey che non meditava più nemmeno di dividere Dawn dal suo amato Mike.
Era chiaro chi avesse vinto in quella gita e di certo il bel moro non era poi molto interessato a una che stava distruggendo il suo gruppo.
Non serviva esporre i suoi difetti o esaltare alcuni lati negativi: bastava che Dawn esibisse il caratteraccio dimostrato verso Scott e si sarebbe allontanata da chiunque.
Soddisfatta da questa considerazione e osservando alcuni patetici tentativi dell’amica, si era messa a smanettare con il cellulare, cercando di chattare con Gwen che, seppur fosse distante pochi metri, non poteva rivolgerle parola così apertamente.
Proseguendo da destra verso sinistra Mike era concentrato sulla guida non proprio esemplare di Duncan e in alcuni momenti cercava con lo sguardo la rossa che seguitava comunque a sorridere davanti allo schermo del suo cellulare.
Dawn, al contrario, era immobile come una statua e ogni tanto si sfiorava la caviglia, cercando di stabilire se doveva rinunciare alle prossime lezioni all’Università per curarsi da quella fastidiosa botta che si era procurata.
Gwen, dopo i primi momenti di silenzio e infastidita dai movimenti di Dawn che torturava la zona lesa ogni cinque minuti, aveva estratto il cellulare e s’era intrattenuta con quella svitata di Zoey, non rendendo partecipe nessuno del suo desiderio di uscire da quel veicolo fin troppo opprimente.
Non l’aveva mai ammesso, ma quando si trovava in un ambiente chiuso e non c’era nessuno con cui discutere, soffriva di claustrofobia. Credeva di aver passato quella rottura di scatole, ma le tante ore spese con lo psicologo l’avevano convinta di aver sprecato solo tempo e denaro.
Abbassando lievemente il finestrino e lasciandosi scompigliare leggermente i capelli scuri, si sentì molto meglio e riprese la sua chat con Zoey che presto interruppe per la profonda noia che l’aveva colta.
Ma quei semplici movimenti non erano passati inosservati a Duncan che poteva notare come le dita di Zoey e Mike si muovessero freneticamente sugli schermi dei cellulari.
Se prima era Gwen, ora distratta da tutt’altro, a essere impegnata con la rossa, ora era il moro a discutere con quest’ultima e con la velocità con cui stavano chattando, sembrava un qualcosa di molto serio.
O così era parso a Duncan che, con la strada deserta davanti a sé e sul grande rettilineo della strada statale che doveva affrontare, aveva gli occhi quasi fissi sullo specchietto retrovisore.
“Duncan ci sta guardando.” Era questo ciò che aveva scritto Mike dopo averle chiesto, se le era piaciuta la gita.
“Che guardone rompiscatole.”
J”
“E tu?” S’informò Zoey, sorridendo per quella faccina ridicola.
“Avrei preferito che non ci fossero simili incomprensioni, ma non è stata così male.”
“Per una volta abbiamo organizzato qualcosa di carino.”  Ammise Zoey, cercando di guardarlo, mentre lui seguitava a scrivere.
 “La gita è stata interessante, anche se qualcosa ha catturato il mio interesse da molto prima.”
“Davvero?”
“Volevo chiederti Zoey, se una sera ti andasse di uscire senza tutti questi rompiscatole tra i piedi.”
“Guarda che siamo usciti insieme anche ieri sera.” Soffiò divertita.
“Uscire per prendere una boccata d’aria di 5 minuti, preoccupati per i nostri amici persi in chissà quale rifugio e senza sapere le loro condizioni non è proprio il genere di appuntamento che avevo sempre sognato.”
“Un appuntamento?”
“Non siamo mai usciti insieme e mi piacerebbe conoscerti meglio.”
“Mike Fraser…mi stai forse dicendo che ti piaccio?” Digitò compulsivamente, cercando di osservare se gli altri erano ancora svegli.
“Zoey Cheney…mi stai forse dicendo che non sei interessata?”
“A volte mi fai delle domande cui preferisco non rispondere.” Commentò divertita, stuzzicandolo ancora un po’.
“Lo prendo per un no.”
“Girati.” Gli consigliò, ridacchiando sommessamente.
“Ma…”
“Girati e avrai la mia risposta.”  Ripeté di nuovo, mentre lui si voltava a fissarla e si ritrovava spaesato da un bacio scoccato a tradimento.
Sorpreso per quel movimento assai repentino, si era messo ad accarezzarle il volto arrossato e poi, avvertendo un lieve scossone, forse opera di una buca, era tornato a concentrarsi sulla sua amata chat telefonica.
“Domani sera?” Tentò Mike.
“Anche questa sera, se non ti dà fastidio.”
“Non è che stiamo affrettando un po’ troppo i tempi?”
“Guarda che sono io quella che dovrebbe protestare: hai accettato gli occhi dolci di Dawn fino all’altro ieri solo per farmi ingelosire e ora mi chiedi pure del tempo. Se non fossi così caruccio, potrei anche ripensare alla proposta che ti ho appena fatto.” Ribatté seccata, facendosi sfuggire un ringhio sommesso che venne percepito da Mike.
Nel sentire quel suono così gutturale e preoccupato dalla possibilità di litigare dopo nemmeno cinque minuti dall’inizio della loro storia, appoggiò il cellulare sul ginocchio sinistro e con la mano destra iniziò un lento messaggio che convinse Zoey della bontà della sua proposta.
Finito il viaggio di ritorno, si sarebbe inventata una scusa valida e sarebbe finalmente uscita con Mike, non rendendosi conto, però, che qualcuno, attraverso lo specchietto retrovisore, aveva captato le loro intenzioni future.
E con un sorriso da beota sul volto, Duncan si rese conto che mancava solo una coppietta all’appello e che questa, per forze di cose, doveva essere formata dallo spento Scott e dalla superficiale Dawn.
O così pensava, fino a quando l’indomani non ricevette una pessima notizia.




Ryuk: Siamo tornati

Andiamo avanti e indietro senza una meta precisa.
Almeno questa storia sta continuando come me l'ero immaginata.
Tutto troppo semplice, vero?
Ovviamente no...adoro rimescolare le carte.

Ryuk: Vi auguriamo una buona settimana.

Con la speranza che domenica prossima abbia voglia o mi ricordi di aggiornare.
Non contateci troppo, però...
 

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Capitolo 29
*** Cap 29 ***


Prima che la notizia potesse circolare e potesse preoccupare i ragazzi della gita, Duncan aveva accompagnato a casa i suoi compagni di viaggio.
La scelta più saggia sarebbe stata quella di scaricare prima Scott, per poi dirigersi verso casa delle ragazze e, quindi, fare ritorno all’appartamento che divideva con Zanna.
Il caro squalo, così veniva chiamato dal punk, aveva ben altro cui badare che fare la guardia a uno squallido appartamento periferico. Aveva, per esempio, da passare in banca per prelevare qualche dollaro e poi farsi una scampagnata fino alla villa dove vivevano i suoi genitori.
Era stato abbandonato questo lo ricordava bene.
Era stato scaricato in uno schifosissimo orfanotrofio e solo perché, stanco di subire i soprusi del fratello minore, lo aveva picchiato con una tale foga da causargli la gogna mediatica.
Una famiglia illustre non poteva permettersi che la società li denigrasse per una testa calda che non accetta di abbassare il capo e per questo accettarono di scacciare quel ragazzo che ora fissava lo stupido George, oltre il cancello, impegnato a fare quattro passi in giardino con la sua ragazza.
Potevano essere più diversi di così?
Se il guardiano si fosse fermato e li avesse fissati intensamente, avrebbe dubitato che fossero fratelli e che erano divisi da soli tre anni di differenza.
Quello che andava a ramengo e che era rimasto per pochi minuti all’ombra di una quercia era il primo erede: quello denigrato e diseredato. Al contrario, quello più educato, più tranquillo e che aveva dimenticato il maggiore non sapeva dell’odio profondo provato da chi era diventato feccia.
Zanna era rimasto lì per pochi minuti, aveva ghignato e aveva alzato gli occhi verso il cielo, allargando le braccia e ritornando sui suoi passi, colto da una sensazione di libertà che mai avrebbe accarezzato se fosse rimasto succube di quella famiglia disgustosa.
Era stato dimenticato.
E lui non aveva né desiderio, né tantomeno volontà d’incrociare lo sguardo severo del padre o il sorrisetto ironico e fastidioso della madre.
Era nato per essere una stella, ma era diventato un’ombra.
 
Duncan si era avviato, quasi fosse in combutta con Mike, verso l’appartamento delle ragazze.
Scese Gwen e le altre con il moro che aveva accettato di fermarsi alla loro fermata per aiutare Dawn a salire le rampe di scale, il punk aveva acceso una sigaretta ed era ripartito con nonchalance.
Guardando alla sua destra, notò come Scott fosse perso nei suoi pensieri e come non avesse intenzione di spiccicare parola.
“Le ragazze e Mike sono già scesi.” Esordì, facendolo annuire.
“Sì.”
“E questo viaggio di ritorno è stata una bella rottura di palle.”
“Aha.”
“Io e Gwen pensavamo di tornarci un giorno e magari di visitare anche più rifugi.”
“Ok.”
“Pensavamo che gli alieni avessero una qualche base segreta e che alcuni visitatori fossero scomparsi per degli strani esperimenti governativi.”
“Interessante.” Borbottò laconicamente.
“E domani chiederò a Chef di promuovermi a capo barman.” Seguitò pacifico.
“Certo.”
“Posso sapere cosa ti è successo o intendi continuare così?” Domandò nervoso, sbuffando seccato per l’essere stato ignorato fino a quel momento e tirandogli una sberla sulla testa per fare in modo di ricevere la sua attenzione.
“Lei mi odia, Duncan.” Piagnucolò, tenendosi il capo e rivolgendo all’amico un’occhiata assassina.
“E la cosa ti stupisce?” Borbottò serio, rallentando prima di arrestarsi all’inizio di una rotonda.
“Ho provato a parlarle, perfino a baciarla, ma non mi ha nemmeno considerato.”
“Un momento…l’hai baciata?”
“Eravamo da soli nel rifugio, l’avevo medicata il meglio possibile e lei ha attaccato con i suoi soliti monologhi. Ero stanco di sentirla parlare e così ho preferito rischiare, prima di pentirmene.”
“E lei?”
“Mi ha colpito e ha confermato i miei sospetti: lei, come ti dicevo, mi odia.”
“Sicuro?”
“Quanti significati conosci dell’odio?” S’informò stanco, sedendosi un po’ meglio.
“Non l’ha detto per scherzare?”
“Il suo tono non ammetteva repliche.”
“E tu?”
“Ci ho provato, ma devo rinunciare.” Mugugnò triste.
“Ma…”
“Mi sento così stanco…” Sospirò pesantemente, abbandonando la testa sul vetro del finestrino e chiudendo lentamente gli occhi.
“Perché non ti allontani e poi ritorni a farti sotto?” Tentò, sperando che lui cogliesse quel consiglio spassionato.
“Non cambierebbe nulla.”
“Ne sei sicuro?”
“È così fredda che non si accorgerebbe nemmeno della mia assenza e se facessi come mi hai consigliato, ne approfitterebbe per rinfacciarmi di non esserle stata vicina.” Ammise, dischiudendo gli occhi e stropicciandoli con insistenza prima di essere sicuro di non vedere sfocato.
“Mi spiace.”
“Sarebbe così sfacciata d’ammettere che non ha sentito la mia mancanza.” Sorrise forzatamente.
“E ora farai come ci hai promesso al Pahkitew.”
“Anche se non sembra, mi conosci meglio di chiunque altro.”
“Sarebbe stato bello uscire tutti insieme.” Replicò il punk, facendolo sospirare.
“Senza dubbio.”
“Tra Mike e Zoey si è tutto sistemato.”
“Lo sapevo che Dawn stava per fare un buco nell’acqua.” Soffiò amaro, scrollando le spalle.
“Perché deve essere così cocciuta?”
“Perché se non fosse così, non sarebbe Dawn.”
“Dopo quello che ti ha fatto, dopo quello che hai sopportato a causa sua, e non parlo solo degli ultimi mesi, tu continui a proteggerla. Perché Scott? Perché sei così convinto che lei guarisca e possa ritornare sui suoi passi, quando dimostra al contrario di non tenere minimamente a te? Chi ti dà la certezza che lei un giorno capisca, che possa chiederti scusa e che tutto questo sia dimenticato? Se non lo sai, ma credo che tu sia abbastanza empatico da capire, trovo i tuoi tentativi privi di senso.” Spiegò, facendo fuoriuscire tutta l’amarezza che aveva accumulato durante le ore in auto.
“Sei un dannato ficcanaso.” Commentò divertito.
“In cuor tuo, sai che non ti perdonerà mai e questo perché non possiede ciò che speravi.”
“Nessuno sa cos’ha nel cuore.”
“Parla con me e non riciclare le frasi dei cioccolatini.”
“Lei è così perché ha sempre sofferto.”
“Per me esageri nelle tue considerazioni, Scott.” Replicò Duncan, facendolo negare impercettibilmente.
“Se la proteggo e se cerco di arginare le vostre insinuazioni, è solo perché non voglio che lei si ferisca inutilmente.”
“Però accetti di soffrire al suo posto.”
“Non posso fare diversamente.”
“Ti preoccupi tanto di non vederla soffrire, ma lei si preoccupa di non ferire te?” Chiese Duncan, facendogli avvertire un nodo in gola che di solito anticipava le rare lacrime d’amarezza che gli rigavano il volto scavato e pallido.
“A me sta bene qualsiasi cosa, anche essere gettato via come una scarpa vecchia, ma non voglio che lei possa subire ancora.”
“Un’altra ragazza si getterebbe subito ai tuoi piedi, Scott.” Ammise, facendolo sospirare di nuovo.
“Lei è l’unica che voglio al mio fianco e se non l’accetta, sto bene anche così.”
“La cosa che mi dà più fastidio, oltre al vederti ridotto così male, è la considerazione che potevamo essere tre coppie felici, prive di ogni forma di gelosia o invidia.”
“I sogni, quelli veri, non si realizzano mai.” Ammise il rosso, notando come mancassero pochi metri al raggiungimento del suo appartamento.
“Ma…”
“L’impegno tradisce i sogni. Continuo a soffrire e a spaccarmi la testa pur di coronare il mio desiderio, ma ho ottenuto solo un mare di sensi di colpa.” Ringhiò nervoso, mentre Duncan si fermava e girava verso la stradina che li avrebbe condotti all’appartamento.
“A quanto pare…”
“Il lato positivo? Ti sembrerà strano, ma anche in questa faccenda ce ne sarebbe uno.”
“Quale?” Chiese il punk, fermando la sua auto e aspettando che il rosso scendesse dalla sua auto e recuperasse le sue borse.
“Nessuno brontolerà mai per il mio disordine.” Minimizzò, strappando una risata a Duncan e avviandosi barcollante verso il suo appartamento.
 
Era solidarietà maschile o era un semplice sesto senso che Duncan aveva coltivato per puro caso?
Poteva essere una domanda scema, ma era questo ciò che si chiese Mike mentre aspettava Zoey per il loro appuntamento.
Durante il viaggio in auto, avevano discusso su quale locale visitare e dopo attenti studi, avevano optato per un pub dei Gerry&Pete.
Sarebbe stato un affronto e Mal se la sarebbe presa a morte, se avessero fatto un giretto per il bar dei McLean.
Tutti, ma non loro.
Potevano andare anche alla peggiore bettola di quella città, ma non dovevano sognarsi nemmeno minimamente di pagare sette dollari per un panino poco farcito e altri tre dollari per una Coca Cola mezza ghiacciata.
Probabilmente non avrebbero scelto nemmeno il Pahkitew, poiché il moro temeva d’essere avvelenato dal gemello che, pur d’intascarsi l’eredità senza dividerla con nessuno, era capace di mandarlo alla fossa con un po’ di cianuro.
Mai aveva accettato, e di certo non avrebbe cominciato quella sera, un qualcosa preparato dal gemello malvagio.
Preferiva morire di fame piuttosto di mettere sotto i denti qualcosa dalla dubbia provenienza e che poteva essere scaduta da chissà quanti giorni o mesi.
Perso nei suoi pensieri e strettosi nel suo giubbino primaverile, trasalì non appena avvertì una mano sfiorare la sua.
Nel girarsi verso destra, sgranò gli occhi e sorrise verso Zoey, la quale si era agghindata come se dovesse andare a una qualche cerimonia della massima importanza.
“Sorpreso di vedermi?”
“Credevo mi avresti fatto aspettare un’altra mezzora.” Ammise senza fronzoli, ottenendo un sorriso per risposta.
“Ero così felice di uscire che non avevo troppa voglia di farti aspettare.”
“Vorrà dire che la prossima volta mi congelerò per chissà quanto tempo.” Mormorò divertito, facendola sorridere.
“Non è stata una giornata molto semplice.” Commentò Zoey.
“La tua amica è strana forte.” Confermò il moro, credendo che la rossa difendesse, in segno di solidarietà femminile, la povera Dawn.
“Non sei il primo a farmelo notare.”
“Immagino che ti abbia fatto storie per quest’appuntamento.” Brontolò il moro.
“Avrò anche il diritto di uscire ogni tanto e poi sapeva benissimo a cosa andava incontro, scontrandosi con me.”
“Credevo fossi una brava ragazza.”
“A quelli che provano a rubarmi qualcosa, impartisco sempre una sonora lezione.” Replicò infastidita dalla piega che stava prendendo la conversazione.
“La cosa mi fa piacere.”
“Credevo ti facesse paura.”
“Adoro le ragazze come te.” Ammise, prendendo la mano della giovane.
“Lo so.”
“Con l’Università che non ci lascia tregua, speravo che la gita mi permettesse di capire cos’hai intenzione di fare terminati gli studi.”
“È una domanda?” Chiese, seguendolo nel suo cammino.
“Forse.”
“Non posso garantirti che i miei attuali progetti possano essere gli stessi di domani: purtroppo cambio idea in continuazione.”
“Come tanti altri.” La rassicurò.
“Pensa che la scorsa estate ero partita con l’idea di rimanere a casa e fino a metà luglio ero rimasta così, ma poi sono andata in montagna con mia madre e i miei propositi sono andati a farsi benedire.”
“A volte capita.”
“Mi piacerebbe, finito il mio corso, viaggiare per qualche settimana, magari all’estero e poi iniziare un tirocinio abilitativo.” Esordì, dando voce a una delle ultime idee che aveva colto mentre si faceva un bagno rilassante qualche settimana prima.
“Ma…” Soffiò Mike, intuendo che aveva anche altro che le ronzava per la testa.
“Mi piacerebbe anche aiutare Gwen a scrivere il suo romanzo o un qualcosa di simile e diventare, quindi, famosa.”
“Non sapevo avessi l’anima della scrittrice.”
“A volte, invece, medito di proseguire con il percorso di studi e di accedere a un Dottorato alla ricerca.”
“Poche idee, ma confuse.” Commentò il moro.
“E tu Mike?”
“Mi mancano una ventina di esami e poi cercherò lavoro.”
“Tutto qui?”
“Quando mi sentirò pronto, vorrei una famiglia.” Soffiò convinto.
“I tuoi genitori ne sarebbero felici.”
“Anche tua madre ne sarebbe contenta.” Ammise, girandosi a fissarla.
“Guarda che abbiamo appena cominciato e forse stai correndo un po’ troppo.” Obiettò, riportandolo con i piedi per terra.
“Se le cose dovessero andare bene, perché darci dei limiti?” Domandò, abbozzando un sorriso che la fece arrossire.
“Forse hai ragione.”
“Tu che cosa desideri Zoey?”
“Hmm?”
“Hai tante idee che ti vorticano attorno, ma non sei abbastanza lucida da decidere con calma.”
“Vorresti darmi una mano?” S’informò, facendolo annuire.
“Diciamo che vorrei darti una mano a dipanare i tuoi dubbi.”
“Io…”
“Purtroppo non posso scegliere anche per te e semmai dovessimo tracciare due vie divergenti, un giorno potresti odiarmi e, di conseguenza, augurarmi le peggiori cose possibili.” Spiegò, avvertendo un suo sospiro sommesso.
“Se la vedi così, come pensi di aiutarmi?”
“Ti farò una semplice domanda: ti piace la nostra città?” Chiese a bruciapelo, alzando lo sguardo a fissare il tramonto.
“Io…”
“Non è una domanda difficile.”
“Anche se dicessi che l’adoro, non vedo come possa tornarci utile.”
“Invece ti tornerà molto utile.”
“E come?” Domandò incuriosita, stringendosi al suo braccio.
“Hai appena bocciato la tua idea di diventare famosa.”
“Perché?”
“Una persona famosa, anche se porta nel cuore la sua città natia, non si sognerebbe mai di rimanere in un posto così piccolo.”
“Ma…”
“E di solito i tirocini abilitativi li organizzano a una trentina di miglia da casa.” Brontolò Mike.
“Hai paura di non vedermi più?”
“Ho paura che tu possa perdere di vista i tuoi veri sogni. Ami questa città, non vuoi andartene e non sembri entusiasta d’iniziare già a lavorare. Cos’è che ti preoccupa veramente?”
“Non ti si può nascondere nulla.”
“Così come odio restare nell’oscurità e non conoscere le intenzioni dei miei amici più cari, allo stesso modo non posso accettare che tu non dia voce al tuo desiderio più grande.”
“Sai che mia madre fa i salti mortali per pagarmi l’Università.” Brontolò dispiaciuta.
“Sei disposta a fermarti per non inseguire il tuo sogno e poi tra qualche anno ti sentirai in colpa. Sai vero che, qualificandoti al primo posto nel tuo attuale corso, hai ottime possibilità di entrare come principiante nel Dottorato cui tanto aspiri?”
“Sul serio?”
“Mio padre è un grande amico del nostro Rettore e questa vecchia volpe tende nascosto questo segreto fino all’ultimo.”
“Io…”
“Hai sempre preso ottime valutazioni in questi anni?” S’informò Mike, fermandosi per un istante e pensando a cosa ordinare.
“Dal 25 in su.”
“Ora che conosci questo segreto, puoi impegnarti e andare tranquilla.”
“Il Dottorato sarà mio.” Affermò entusiasta, sfoggiando un sorriso che il ragazzo aveva visto solo raramente.
“Abbiamo tutta la serata per parlare di questo e di molto altro.” Borbottò, aprendo la porta del locale e facendola entrare per prima.
Dentro quell’ambiente, stranamente tranquillo, e fissandosi intensamente negli occhi, discutendo di tanti argomenti, di certo non si aspettavano di ricevere, da lì a poche ore, una notizia che avrebbe rovinato a posteriori quella bella serata.
 






Angolo autore:

Pubblichiamo il seguito dopo un mese di assenza, ma abbiamo fatto qualche piccolo cambiamento alla trama.
Niente di così ecclatante, ma mi piace che tutto sia lineare, prima di pubblicare strafalcioni.

Ryuk: Non ci piace, chiamatela pignoleria, scrivere tanto per senza avere tutto già stabilito.

Speriamo solamente che la storia continui a piacervi e mi auguro che non ci siano altri inconvenienti.

Ryuk: Anche questo è un record...abbiamo pubblicato più in questa settimana che in un mese.

Manco agli esordi avevo così tanta voglia di scrivere, si vede che sto entrando nel periodo natalizio dove odio e fastidio si uniscono e mi spingono a sfogarmi sulla scrittura.

Ryuk: Ottima scusa!

A presto!
 

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Capitolo 30
*** Cap 30 ***


Chef non si aspettava di ritrovarselo davanti quel pomeriggio.
Era da parecchio che il vecchio Hatchet non conosceva una gioia, salvo poi ricadere nel medesimo dispiacere che aveva patito quando il suo piccolo DJ l’aveva affrontato a muso duro per chiedergli il motivo dell’assenza alla sua festa di compleanno, con conseguente divorzio dalla sua ex.
Era entrato, dopo una settimana di chiusura dettata dalle ferie, alle 15 in punto, aveva salutato Duncan, scambiando qualche battuta e poi si era avviato verso l’ufficio del suo capo impegnato come sempre a firmare, leggere e paragonare i documenti della sua scrivania.
“Mi spiace, signore.” Esordì, sedendosi proprio davanti a Chef e distogliendolo dalle sue scartoffie.
“Per cosa Scott?”
“Non volevo arrivare a tanto, ma purtroppo non mi resta altra scelta.”
“Eh?”
“Tempo fa le ho confidato un problema personale e ormai ho capito che sta prendendo il sopravento e  che devo allontanarmi per stare meglio.”
“Ed io che centro?” Chiese l’uomo.
“Non voglio girarci troppo a lungo, finirei con il farmi del male.”
“Che cosa vorresti da me?”
“Devo andarmene da questa città e per questo devo accettare la proposta dei McLean.”
“La mia risposta è no.” Replicò Chef, alzandosi in piedi e puntandogli contro la penna che stava usando per firmare i documenti.
“Mi spiace.”
“Con i mi spiace, non si migliora il mondo e non si correggono i propri sbagli.”
“Io…”
“Ne abbiamo passate di tutti i colori e ora tu vieni qui e mi tiri un pacco simile?”
“Mi…”
“Se ripeti mi spiace, ti pianto un proiettile in mezzo agli occhi.”
“Perché devo restare in questa città se non sono più felice?” Chiese, alzando lo sguardo sofferente e incrociando gli occhi del suo capo.
“Per me stai sbagliando.”
“Io…”
“Dormici su ancora un po’ e poi troveremo un accordo.” Soffiò Chef.
“Non credo cambierò idea.”
“Il destino opera in modo imperscrutabile ed è meglio garantirsi sempre una scappatoia.”
“Domani dovrei iniziare a lavorare per i McLean.”
“L’unica concessione che posso darti è che sarai libero da ogni vincolo del Pahkitew solo quando metterai piede nel locale dei McLean.” Brontolò il vecchio Chef.
“Se un giorno dovessi pentirmene, significa che la soluzione migliore era quella d’ascoltarla fin dal principio.”
“Davvero?”
“Dovevo provarci da subito, ma scappando ho solo rovinato tutto.”
“Verrai a farmi visita ogni tanto?” S’informò l’uomo, facendolo annuire impercettibilmente.
“Non glielo garantisco, ma posso provarci.”
“Anche se odio i McLean dal profondo del mio cuore, sono sicuro che riuscirai a farti valere con quel maledetto taccagno e presto, magari tra qualche mese, sarai la stella che migliorerà per sempre la qualità dei loro locali.”
“Tutto quel che so, che ho sperimentato, è solo merito dei suoi preziosi insegnamenti.” Soffiò il rosso, facendo sospirare Chef che si ritrovò ad asciugarsi gli occhi.
“Mi dev’essere entrata un po’ di polvere in questi stupidi occhi.” Ringhiò, passandosi freneticamente una mano e cercando di non mostrare la sua debolezza.
“Io…”
“Ricorda comunque, ragazzo, che la carriera di un barman non finisce mai e che hai sempre qualcosa da imparare.”
“Sarà fatto.”
“Lascia pure le chiavi sopra questa scrivania e saluta come si deve i tuoi vecchi colleghi.” Borbottò, pregandolo di non staccarsi completamente dalla loro città.
Così come gli era capitato prima di partire per la guerra, ignorando tutti i suoi vecchi amici e conoscenti, Chef Hatchet aveva imparato una lezione d’oro. Era partito con la prima camionetta di soldati, non aveva salutato nessuno e al suo ritorno, quasi una decina d’anni più tardi, nessuno gli aveva perdonato quella fuga improvvisa.
Era stato dimenticato e quando uno scheletro sbuca in un armadio, ecco che la sorpresa non è mai troppo piacevole.
Coperto da un’impermeabile marrone, con un sigaro tra le labbra e con la bandiera cucita sul suo zaino, era tornato, senza che quasi nessuno rimanesse colpito dalle sue conquiste o dalle umiliazioni patite. Quando aveva fatto visita agli anziani genitori, sentiva di meritarsi, non solo dai vicini, ma anche dagli ex compagni di liceo, tutto quell’astio.
Aveva raccolto tutto quell’odio, aveva sbattuto la porta in faccia a quelle persone così prive di ogni qualità e con immensa fatica aveva aperto il Pahkitew.
Per un po’ era stato felice, ma con il passare degli anni si era reso conto che una lettera o un semplice confronto sarebbe stato molto più apprezzato di un inutile e dannoso silenzio.
“Sai…te lo dico per esperienza personale.” Nicchiò, accendendosi un sigaro e risedendosi sulla sua poltroncina.
“D’accordo.”
“E cerca di non lasciare strascichi velenosi con questa tua scelta.”
“Hm?”
“Non si sa mai di quali persone si potrebbe aver bisogno l’indomani.” Spiegò distrattamente, riaprendo il portatile e concedendo al rosso un’ultima occhiata.
“Farò del mio meglio.”
 
Quando aveva preso la macchina e aveva acceso la radio, si era scontrato con la possibilità che Chef gli dichiarasse guerra. Già lo vedeva che devastava mezzo ufficio con la polizia che sopraggiungeva in pochi minuti per evitare un omicidio.
Non era mai stato un cattivo diavolo, ma talvolta si poteva dubitare sulla sua bontà infinita.
E Scott, non sapendo come aveva passato la notte, temeva che lui potesse trasformarsi nell’incarnazione del male.
Prima di tornare in sala, controllò l’orario che era affisso sulla porta dello spogliatoio e riempì una borsa con tutti i suoi effetti personali. Dal suo armadietto tolse un vecchio poster, alcune calamite e dei giornali che dimenticava sempre di buttare e che da quasi sei mesi erano in un angolo.
Con i manici della borsa in una mano e con la sua vecchia giacca nera nell’altra ritornò in sala, dove per uno strano scherzo del destino, trovò tutti i suoi amici.
Mal era appena arrivato e stava preparando alcuni drink elementari, Duncan aveva appena caricato la lavastoviglie e sbirciava verso Zoey, Gwen e Mike che stavano consumando uno spuntino.
Appoggiate le borse al suolo, giunse alla sua postazione e poggiò il suo mazzo di chiavi del magazzino e della saletta privata.
Tutti quei movimenti robotici e privi di ogni senso catturarono l’attenzione di Duncan che fu il primo ad avvicinarsi per capire che cosa stava accadendo.
“Pensavo fossi di riposo”
“È finita Duncan.” Sbuffò, abbassando la testa e sforzandosi di non cominciare a piangere.
“Cosa?”
“Mi dispiace, ma non ce la faccio più.” Brontolò, negando diverse volte con il capo, quasi cercasse la forza in qualche angolo sperduto di quella sala.
“Di che parli?” S’intromise Gwen.
“Sono stanco e ho bisogno di cambiare aria.”
“Se hai bisogno di riposo perché stai ancora qui?” Domandò Duncan, sperando di ottenere una qualche reazione dallo sguardo ferito dell’amico.
“Mi dispiace…dico sul serio.”
“La smetti con tutti questi misteri?” Replicò il punk, puntandogli contro un coltello e invitandolo a parlare prima di fare qualche sciocchezza.
“Avevo promesso che il Pahkitew sarebbe stato l’unico locale della mia vita, ma purtroppo non è destino.”
“Vuoi andartene?” Borbottò Mike che aveva intuito qualcosa.
“Ho accettato la proposta del signor McLean.” Soffiò con calma glaciale, sentendo poco dopo una serie di bicchieri raggiungere il pavimento.
“Tu…”
“Devo solo firmare il nuovo contratto, ma nel frattempo Chris ha preteso che informassi Chef della mia decisione.”
“Stai facendo una cazzata!” Sbraitò Duncan, rimproverandolo per quella scelta assurda.
“Sei tu a vederla così, Duncan.” Sussurrò placido.
“Tempo fa dicevi che mai ti saresti sognato di lavorare per uno che tratta i suoi dipendenti come delle nullità, anche a costo di rinunciare a tutto quel denaro.”
“Quei giorni non torneranno più.” Si rammaricò, inspirando profondamente.
“No!”
“Da oggi sarai tu, Duncan, il capo barman.”
“Non voglio.” Si ostinò il punk, allontanando quella responsabilità che non sentiva ancora in grado di sopportare.
“Era il tuo sogno.”
“Io non voglio diventare capo barman in questo modo!” Tuonò, facendo sussultare alcuni vecchietti che, con il timore di assistere a una rissa a pochi passi da loro, si ritrovarono a raccogliere le carte, a pagare il conto e a scappare in un altro locale.
“Non fare il bambino.” Replicò Scott, continuando a porgere la sua vecchia giacca, leggermente sgualcita sulla manica destra, al collega.
“Avevi promesso che non avresti mai accettato.”
“Ho mentito.”
“Perché l’hai fatto?” Richiese Duncan, facendolo sorridere amaramente.
“Tutti gli uomini mentono: la sola variabile è su che cosa.”
“Stai ricopiando la battuta di un film.” Gli fece notare Gwen con sguardo carico di rabbia.
“Questa semplicemente è la scelta migliore che potessi fare per il mio futuro.” Si confidò, sperando che gli altri lo lasciassero in pace.
“Cazzate!” Sbottò il punk, afferrandolo per la maglietta e fissandolo negli occhi.
“Lasciami Duncan.” Lo pregò, abbassando lo sguardo.
“Ti lascio andare solo se mi guardi negli occhi e mi spieghi il motivo.”
“Non capiresti.”
“Da quando mi reputi così stupido da non comprenderti?”
“Duncan…”
“Ho bisogno di sapere il motivo.” Gracchiò, mentre Mal cercava di convincere il collega di allentare la presa prima di essere costretto a chiamare rinforzi.
“Io…”
“Guardami negli occhi!” Ripeté, cercando di creare un contatto visivo con Scott.
“Sapevo l’avresti presa così male, ma non volevo andarmene con una semplice telefonata.”
“Cosa ti aspettavi? Che fossi pronto a stenderti il tappetto rosso e che fossi felice di prendermi carico delle tue responsabilità?”
“Mi spiace.” Mormorò, trovando il coraggio di fissarlo negli occhi.
“Credi che Duncan si accontenti di così poco?” Domandò Zoey, inserendosi e facendo annuire tutti i presenti.
“Non volevo ferirvi.”
“Eppure lo stai facendo.” Obiettò Gwen, notando come il fidanzato si stesse trattenendo per non riempire di pugni l’amico.
Duncan, se avesse avuto la certezza che McLean non avrebbe mai assunto un dipendente con occhi neri o fratture multiple, l’avrebbe spedito pure all’ospedale e l’avrebbe legato al letto per i successivi 4 mesi, pagando di tasca sua anche l’intero reparto di rianimazione e il primario che sarebbe stato costretto a visitarlo.
“Noi siamo amici e te ne vai così.” Continuò Mike, facendo socchiudere gli occhi al diretto interessato.
Ciò che aveva ascoltato fino a quel preciso momento era la pura e semplice verità. Mai si sarebbe sognato d’allontanarsi dal Pahkitew, specie se doveva piegarsi al denaro promesso da Chris, né avrebbe abbandonato i suoi pochi amici.
Quella era la sua città, la sua gioia, ma c’era un qualcosa che andava ben oltre a tutto questo. Se fosse rimasto, avrebbe continuato a soffrire. Accettate le loro parole, Scott dischiuse gli occhi e si ritrovò quasi accecato dalle luci che si ergevano sopra il banco di lavoro.
“Non ho bisogno di voi e dei vostri consigli.” Ribatté, gelando i suoi amici e facendo allentare la presa di Duncan. Nel vederlo intontito da quelle parole, ne approfittò per scostare la sua mano e per allontanarsi di qualche passo.
“Sei un ingrato!” Ribatté Mal, tornando al suo lavoro e ignorandolo.
“Vi giuro che è stato bello lavorare con voi, ma devo andare.”
“No!”
“Mi mancheranno le nostre chiacchierate e i nostri progetti, ma devo preparare le valigie.” Affermò il rosso, evitando la successiva mano che aveva tentato di acchiapparlo nuovamente.
“Io non mi bevo queste stronzate.” Sbuffò il punk, facendolo tentennare.
“Come faccio a spiegarmi?”
“Fino a poche settimane fa avresti riso in faccia a McLean e oggi ti svegli e decidi di partire senza dirci nulla.”
“In questi giorni ho avuto tempo di ascoltare il mio cuore e ho capito che questa città non ha più nulla da offrirmi.” Sospirò, girandosi verso i suoi amici.
“E non vuoi salutare Dawn?” Gli chiese Zoey.
“È stata lei a spronarmi e a consigliarmi di accettare la proposta del signor McLean.” Mentì, inginocchiandosi per aiutare Mal a raccogliere i cocci di vetro.
Il gemello di Mike, anche da quella posizione, gli avrebbe rifilato volentieri un pugno sul muso, ma nel notare il suo impegno e le sue lacrime, si accontentò di riservargli un’occhiata infastidita.
“Ne era consapevole?”
“Non l’ha detto chiaramente, ma si è fatta capire a meraviglia.” Sbuffò, gettando i fondi dei bicchieri nel cestino e sfiorandosi l’occhio destro.
“Lei non ci ha detto nulla.”
“L’ho pregata di non farlo, Zoey.” Ribatté Scott, rimettendosi in posizione eretta e vedendola stringersi al braccio di Mike.
Nel notare quel movimento così semplice, ma allo stesso modo automatico, il rosso si era reso conto di una cosa. Quando si riceveva una brutta notizia e si temeva di non riuscire ad affrontarla con le proprie sole forze, le persone cercavano consolazione e appoggio verso coloro per cui provavano maggior affetto.
Se Duncan non fosse stato dall’altra parte del bancone, probabilmente Gwen gli avrebbe stretto la mano per fargli forza.
Così come una cameriera, assente in quel preciso momento, avrebbe tentato di tenere calmo Mal, portandolo magari nel retro per una sigaretta da consumare in santa pace.
Quella mossa aveva reso evidente quale fosse stata la scelta che Mike aveva maturato in quelle poche settimane. Quest’ultimo era rimasto sicuramente sorpreso dall’improvvisa e immotivata vicinanza di Dawn, specie se poteva far ingelosire Zoey per poi punzecchiarla e farla sorridere.
In tutto questo non aveva mai considerato Dawn come la donna della sua vita e i suoi abbracci sarebbero state le uniche gioie che lei avrebbe ricevuto nei suoi tentativi di esaltarsi agli occhi degli altri. Quando si attaccava al suo braccio o tentava un approccio ben più serio di una carezza sulla guancia o di un bacio d’affetto nella medesima zona, era stato evidente quanto Mike fosse imbarazzato e di quanto sperasse che lei non andasse oltre.
Nel sostituire Dawn con Zoey era evidente tutto il contrario. Con la prima era teso e preoccupato come una corda di violino, mentre con la seconda si sentiva libero di sorridere e di comportarsi come se niente fosse. Era da mesi che era lampante l’interesse reciproco tra Mike e Zoey ed era lecito aspettarsi che lui non mandasse tutto in malora.
Loro erano due facce della stessa moneta. Erano due pezzi che combaciavano alla perfezione e che, con il loro amore puro e cristallino, non si sarebbero mai più divisi. Se l’avevano notato perfino gli sfigati dei camerieri, allora era una cosa talmente lampante da sembrare una verità assoluta.
Di conseguenza a questa scelta, che Scott aveva accolto con un mesto sorriso di circostanza, era più che evidente che Dawn avesse perso, nonostante l’impegno e la buona volontà, la sua ennesima battaglia con i mulini a vento.
“Sicuro di quel che fai?”
“Non posso più rimanere Mike, mi capisci?” Borbottò risoluto.
“No.”
“Credevo che almeno tu dicessi che questa era la strada migliore.”
“Ognuno di noi sbaglia e poi si corregge.”
“Non tornerò più sui miei passi.” Replicò il rosso con un pizzico di fastidio, apprestandosi a risalire quella che, metaforicamente parlando, era la sua nuova vita.
In quei lunghi anni di servizio presso il Pahkitew di Chef Hatchet credeva d’aver tagliato il traguardo e che nulla potesse intralciare ciò che aveva realizzato con tanta fatica. Era giunto al suo premio, prima che il destino si accorgesse che era stato tutto troppo facile e che, quindi, avesse bisogno di una bella penalità per ricominciare a sputare sangue.
“Vorrà dire che ti auguro buona fortuna.” Ribatté, allungando la mano e aspettando pazientemente che lui appoggiasse la borsa per stritolargliela.
“È già qualcosa.”
“Anche se non lo approvo.” Continuò con sguardo di sfida.
“Qualcuno accetterà mai la mia scelta?” Domandò spazientito e alzando gli occhi verso il soffitto rinfrescato di recente.
“Ti sembrano domande da fare?” Replicò Gwen, mentre Mal le porgeva il cocktail alla menta peperita che aveva ordinato da 10 minuti circa.
“Ogni tanto verrò a vedere come state.”
“Come se fosse sufficiente.” Mugugnò Duncan, leggendo le ordinazioni quasi illeggibili del tavolo numero 7 e che pretendevano 3 limoni bis e un Margarita.
“E vedete di tenere alto il nome del Pahkitew.”
“Non siamo dei pivelli come te.” Lo sfidò Mal.
“Se mai aveste bisogno di me, Chef avrà il mio nuovo numero.”
“Misterioso fino alla fine eh?” Bofonchiò Mike, assaggiando alcuni stuzzichini salati che erano in bella vista davanti a lui.
“Vi auguro che siate felici e che i vostri sogni si realizzino.” Soffiò il rosso, abbracciando anche le ragazze.
Accucciatosi di nuovo, raccolse le borse cariche dei suoi effetti personali e si avviò verso l’uscita.
Prima, però, di riuscirci la voce di Duncan riempì quella stanza.
“Se esci da quella porta, non tornare più!” Sbraitò il punk, liberatosi dalle ordinazioni rimaste in sospeso e minacciando l’ex collega.
“Duncan...”
“Non ti permetto di lasciarci così!” Esclamò nuovamente.
“Un giorno capirai e mi ringrazierai.” Soffiò deluso, ignorando le sue minacce e uscendo per sempre dal Pahkitew.
 


Angolo autore:

Ryuk: Buonasera a tutti.

Finalmente ci ricordiamo che oggi è domenica.

Ryuk: A che punto stiamo?

Mancano una decina di capitoli alla conclusione, se non sbaglio.
Ovviamente vi ringrazio per le visite e per le recensioni e spero che questo ciclo finale possa piacervi.
A presto!
 

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Capitolo 31
*** Cap 31 ***


La sua figura svanì non appena girò a destra oltre la porta del locale e Duncan, spaventato e sorpreso da quella situazione assurda, scattò verso la porta, prendendola a pugni.
Quei pochi che lo vedevano, credevano fosse impazzito e che presto quelli del reparto neuro sarebbero andati a prelevarlo con la camicia di forza. Dallo sguardo e dalla rabbia con cui sbatteva i pugni sui vetri, non sembrava una cosa molto semplice e, le vecchiette che si allontanavano da quel frastuono, erano pronte a giurare che aveva il diavolo in corpo e che avrebbero pure dovuto sedarlo per portarlo via.
I pochi rimasti nel locale si fissavano preoccupati e temevano che quel matto di Duncan si avvicinasse e ribaltasse il tavolo sulla loro testa.
Se avessero almeno provato a capire le sue motivazioni.
Se avessero saputo che Duncan non era destinato alla pazzia e che soffriva come un cane per quella decisione immatura, allora si sarebbero rasserenati e avrebbero continuato a sorseggiare i loro drink e si sarebbero di nuovo avventurati nelle loro diatribe calcistiche.
Il punk sarebbe rimasto lì fino a quando qualcuno non fosse stato in grado di farlo rinsavire dalla sua incazzatura e non fosse riuscito a placare l’odio dimostrato verso la menzogna che Scott aveva sfruttato volutamente per liberarsi non solo del Pahkitew e dei suoi problemi, ma anche dei suoi amici più cari.
Solo un deficiente sarebbe rimasto zitto nel notare che lui accettava di farsi assumere da McLean e soci, incurante delle difficoltà che avrebbe incontrato nel trasferirsi nella sua nuova città.
“Voi sapete perché sta scappando?” Chiese Duncan, girando la testa e fissando gli amici con uno sguardo da psicopatico.
“No.” Negò Mike, tentando di alzarsi dalla seggiola.
Fu nel percepire il passo pesante proveniente dagli uffici e nel vedere Mal alzare gli occhi al cielo che intuì a cosa sarebbero andati incontro.
Chef Hatchet era appena uscito dalla sua tana ed era pronto a pasteggiare con l’idiota che stava distruggendo l’opera di ristrutturazione del suo amato Pahkitew. Fu nell’avvertire quella tensione che Mike abbandonò l’intenzione di portare Duncan a più miti consigli, sorridendo al pensiero che presto ci avrebbe pensato Chef a farlo rinsavire con una delle sue classiche manone sulla schiena.
Sarebbe stato il boss ad affrontarlo, a pretendere che mantenesse la calma e a chiedergli il motivo di quella furia cieca. E qui Duncan si sarebbe incazzato ancora di più. Avrebbe urlato che Scott stava scappando da qualcosa o qualcuno e che non si sarebbe rassegnato fino a quando un nome o un problema non fosse stato sviscerato totalmente.
“Sta scappando da qualcuno.” Soffiò Duncan, calmandosi appena.
“Da qualcuno?” Gli chiese Gwen, provando ad andargli incontro, ma ritrovandosi bloccata da Zoey.
“Non so chi, ma la cosa mi sembra evidente.”
“Come puoi dirlo, Duncan?” Lo interrogò Mike.
“Io lo conosco bene: Scott non fuggirebbe mai da una difficoltà.”
“Chi?”
“Se lo sapessi, non sarei di certo qui a lamentarmi!” Ringhiò verso Zoey.
“Ma…”
“E non è semplice sapere chi lo odia.”
“Avrà pestato i piedi a qualcuno.” Tentò Mal, concentrandosi a pulire il piano di lavoro.
“Nessuno ha mai odiato i suoi cocktail e ha sempre evitato discussioni che potessero mettere in cattiva luce il locale.” Ragionò il punk con tutta calma, facendo annuire i suoi amici.
“Qualcuno deve pur esserci.”
“Chef non lo avrebbe mai licenziato e anche noi saremmo stati felici d’averlo al nostro fianco.” Ammise, ignorando ciò che Mike aveva appena finito di dire.
Quella era la sacrosanta verità.
Chef non l’avrebbe solo tenuto come capo barman, ma l’avrebbe pure incatenato al bancone per scusarsi con quei clienti rimasti insoddisfatti dai cocktail di Mal e che fossero, quindi, ripagati da un nuovo calice, bicchiere o boccale più vicino al gusto richiesto.
Lui era e sarebbe sempre rimasto il suo dipendente preferito.
Quello cui aveva insegnato tutto ciò che sapeva nell’angolo bar e cui avrebbe spiegato anche il lato imprenditoriale sempre che ne avesse interesse.
E così come Scott aveva imparato da Chef, il rosso avrebbe passato la sua esperienza a Mal che, essendo ancora alle prime armi, mostrava lacune e difficoltà in quei drink che erano richiesti con meno costanza.
Duncan sentiva d’escludere da quella raffazzonata lista anche i dipendenti che riempivano il Pahkitew e buona parte delle loro conoscenze.
L’unico, ma con parecchie riserve, che si poteva arrischiare in una minaccia era Zanna. L’ex compagno di classe di Scott aveva ottimi motivi per volerlo isolare in quel modo, anche se ciò avrebbe cozzato con i ringraziamenti per il discorso di Beverly e per la partecipazione attiva alla sua festa di compleanno.
Dietro di lui c’erano solo persone che dovevano volergli bene.
Mike non poteva odiarlo: dopotutto si conoscevano e sostenevano fin dalle elementari ed erano sempre stati in ottimi rapporti.
Avevano scherzato a lungo insieme e avevano passato molte estati a farsi compagnia, mentre la città si spopolava e loro erano gli unici sfigati ad occupare le panchine pubbliche, rimpiangendo l’impossibilità di spassarsela al mare.
E nemmeno le ragazze avevano motivo di odiarlo. Zoey e Gwen, semmai, erano ancora in debito per il riavvicinamento a Dawn dopo la rottura rimediata da Beverly.
Nemmeno quel flaccido e orribile ragazzo aveva motivo di vendicarsi su Scott, dato che lo conosceva a malapena e non aveva la consapevolezza se poteva o meno tenergli testa.
Conclusa quella semplice lista, Duncan si accorse che era rimasto con un solo nome in mano.
Rassegnato e deluso tirò un nuovo pugno contro la porta e questa volta si ritrovò con una figura possente e minacciosa alle sue spalle.
Chef Hatchet, liberatosi dai suoi innumerevoli impegni, avrebbe calmato i bollori del suo dipendente, non accorgendosi che la sua sola presenza aveva ricaricato la rabbia di Duncan che, nei minuti precedenti, era rimasta sopita a causa dei suoi intricati ragionamenti.
 
Mal aveva sempre odiato, specie in quei frangenti, essere l’ago della bilancia.
Da una parte capiva le ragioni di Duncan, ma dall’altro si sentiva in dovere di stroncarlo.
Chi era lui per decidere della vita del suo migliore amico? Lui stesso se ne avesse avuta l’occasione se ne sarebbe andato, mandando a quel paese Mike e costruendo la sua fortuna altrove.
Tuttavia sentiva che avrebbe sudato le famose sette camicie per rimanere impassibile.
Ecco: Scott non gli era sembrato proprio impassibile. Non gli dava l’idea di un lupo solitario pronto ad azzannare la sua preda e capace di affrontare tutto senza nessun sostegno. Gli pareva ancora abbastanza spaesato e un alito di vento poteva essere sufficiente per riportarlo verso la diritta via o per sospingerlo in mare aperto.
Quel mare pieno di squali che faceva rima con McLean e che, volente o nolente, avrebbe incrociato fin troppo spesso il suo cammino da semplice apprendista.
Lui era quello che vestiva di bianco, l’ultima ruota del carro, quello costretto ai lavori più umilianti e agli orari più impossibili. Non aveva voce in capitolo, ma sentiva che quell’occasione poteva tornargli assai utile.
Era spregevole da dire, ma senza Scott poteva indossare la giacca nera e poteva farsi valere un po’ di più.
Se lo meritava? Doveva andare fiero di essere avanzato nelle gerarchie solo perché qualcuno si era tirato indietro?
Un tempo avrebbe risposto che non gli importava e che tutti avevano ciò che si meritavano.
E allora perché non esultava?
Perché non alzava il pugno al cielo, così come quando andava allo stadio e la sua squadra di basket vinceva la partita?
Era forse un segno di riconoscenza verso tutti gli insegnamenti e le ore che Scott aveva speso per renderlo una persona migliore e per fargli apprendere tutte le procedure per realizzare non solo i drink più elementari, ma anche quelli più complicati?
Incredibile a dirsi, ma si era fatto plagiare e se non fosse stato per la presenza di Chef nel locale, probabilmente, pur essendo la famosa ultima ruota del Pahkitew, sarebbe stato lui a zittire Duncan.
Fu nel girarsi e nel sentire la mano rassicurante del suo capo che abbassò la testa e se ne andò in spogliatoio, dove aveva assoluto bisogno di stare tranquillo.
Tanto anche su quelle panche sarebbe stato possibile sentire la vociona di Chef Hatchet.
“Torna al lavoro, Duncan!” Gli ordinò Chef, toccandogli una spalla.
“No.” Replicò, scostando quella mano.
“Non ho intenzione di ripeterlo una terza volta: devi ritornare al lavoro!”
“E cosa farebbe se mi opponessi?”
“Hm?”
“Io potrei fare come Scott e andarmene da questo posto.”
“Di questo passo non andremo da nessuna parte.” Soffiò Chef, girandosi verso i pochi presenti.
“E allora mi spieghi perché l’ha lasciato andare.”
“Ragazzo mio, voi siete come dei figli per me e che razza di padre sarei se non vi permettessi di fare le vostre esperienze per poi aprirvi le braccia e farvi ritornare nel mio amato Pahkitew?”
“Eh?”
“Non sono i cocktail, la location, quella stupida luce all’ingresso, la tua entrata ridicola in stile western o i tavoli nuovi di pacca a rendere magico questo posto. Quando arriverai alla mia età, capirai ciò che rende speciale un luogo e potresti anche ringraziare questo stupido vecchio che hai davanti.”
“Che cosa significa?” Chiese il punk.
“Esiste una magia diversa e un significato diverso per ogni persona di questo piccolo mondo.”
“Continuo a non capire.”
“Per me questa magia consiste nel donare un po’ di sollievo anche a quelli che non hanno più nulla a questo mondo e per questo motivo non faccio molte storie se qualcuno non può pagare una birra. Nella desolante campagna militare in cui sono stato, non c’era niente e tutti si dibattevano per un osso rosicchiato. Perché dovrei, una volta tornato nell’ozio, alimentare questa stupida e morbosa ricerca, se mi è più facile fare qualche regalo senza sentirmi in colpa?”
“Io…”
“Tu cos’hai che vorresti proteggere per sempre, Duncan?” Chiese l’uomo, fissandolo intensamente.
“Io…”
“Una volta per me era la scuola, poi l’esercito, quindi mia moglie e mio figlio, ma a oggi ho trovato la mia vera dimensione e la magia di cui ti parlavo prima. Ovviamente potrai cambiare idea con la maturità: dopotutto al massimo sei alla seconda o terza scelta della tua breve vita.”
“Mi sta chiedendo per cosa lotto?”
“Precisamente e se non ti dispiace, vorrei che anche le altre persone presenti sentissero ciò per cui ti batti disperatamente.” Lo esortò, rivolgendosi anche a quei pochi che erano rimasti sempre in silenzio e che seguivano quei discorsi filosofici, manco fossero a una lezione universitaria.
“I miei amici…io voglio divertirmi e avere dei ricordi che possano durare per sempre.” Balbettò incerto, facendolo sorridere amaramente.
“Verità per verità…è giusto che tu sappia ciò che ha sempre reso speciale il Pahkitew.”
“Sarebbe?”
“Voi siete l’anima del mio locale.”
“Come?”
“Parlo sempre per me, ma voi siete quella parte di famiglia che non ho mai potuto avere.”
 
“Signor Chef non dovrebbe lavorare così a lungo.”
“Signor Chef…Duncan ha inventato un nuovo cocktail, lo vorrebbe assaggiare?”
“Signor Chef…Duncan è ancora in ritardo.”
“Signor Chef…mi scusi, ma ho buttato via alcuni dei suoi documenti.”
 
“Signore…”
“E ora anche tu vorresti abbandonare questa famiglia. Puoi immaginare il dolore che posso provare quando vedo i miei ragazzi prendere il volo e lasciare indietro un vecchio catorcio che non è più in grado di gettarsi nel vuoto?”
“Io…”
“Ora capisci perché non mi sono opposto?”
“Forse.” Ammise, ritrovandosi chiuso in uno degli insoliti abbracci di Chef Hatchet.
“Grazie Duncan.” Bisbigliò, versando alcune lacrime che finirono con il bagnare la giacca del punk.
“Signore, ma lei…”
“Non mi hai mai chiamato signore così tante volte come in questa giornata.” Sbuffò, tirando su con il naso e staccandosi dal ragazzo.
“Beh io…”
“E ora torniamo al lavoro: non vorrai vero che Scott possa pensare che il Pahkitew tra le tue mani possa andare in rovina?” Lo provocò divertito, restituendo il vecchio ardore allo sguardo prima spento e vitreo di Duncan.
Anche se dubitava di quel recupero quasi lampo, spezzettato dalle rassicurazioni dei vari amici di Scott, Chef temeva che un nuovo crollo fosse sempre dietro l’angolo.
Seppur avesse una scarsa autonomia dietro il bancone, dovuta a una vecchia ferita alle ginocchia che si era procurato in tempo di guerra e che ora lo tormentava senza sosta, in quei giorni si sarebbe intrattenuto molto di più nella grande sala.
 
Il punk rientrò alla sua postazione, sbuffando sonoramente e chiedendosi se era veramente il caso di protrarre il suo turno fino alla chiusura.
A essere sinceri la domanda riguardava se era saggio tenere aperto il Pahkitew, quando al suo interno, a partire dal capo indiscusso, passando per i barman e chiudendo verso i camerieri, era chiaro che le preparazioni di birre e drink sarebbero andate assai a rilento e che il servizio sarebbe stato alquanto impreciso.
Duncan si sentiva scosso e temeva che una cazzata potesse essere dietro l’angolo. Magari era la volta buona che allungava a qualcuno un qualche drink corretto al sapone per piatti, oppure poteva mostrare un ammanco superiore ai 50 dollari della sua prima chiusura di quasi un anno prima.
E avrebbe pure dovuto tenere d’occhio Mal.
Come poteva superare quelle lunghe ore se perfino i suoi amici erano prossimi a rientrare a casa?
“È stato bello finché è durato.” Mugugnò Duncan.
“Che cosa stai cercando di dirci?”
“È semplice Zoey: senza Scott a tenere unito il nostro gruppo, ben presto ci manderemo tutti al diavolo.”
“Non è vero.”
“Scott se ne andrà, Dawn si sentirà in colpa, non uscirà più con noi e poco alla volta ognuno andrà per la propria strada.” Pronosticò Mike.
“Zoey ricordati che devi accompagnarmi dall’estetista.” Sbuffò Gwen, voltandosi verso l’amica e sembrando impassibile dinanzi alla tragedia che si stava consumando.
“Ma…”
“Ieri sera ne abbiamo parlato fino a tardi e tra mezzora abbiamo un appuntamento.” Continuò, facendole l’occhiolino.
“Pensavo che…”
“Alza il culo e seguimi.” La spronò, lasciando il drink quasi intatto sul bancone e strattonando l’amica fino all’uscita.
“Ma Gwen e noi?” Chiese Duncan, facendo sorridere la fidanzata.
“Il tuo drink era fantastico come sempre, ma vado di fretta e ti prometto che questa sera riuscirò a farmi perdonare.” Soffiò maliziosa, illudendo il fidanzato.
“Se vai di fretta, perché hai bisogno anche di Zoey?” Domandò Mike incurante di quella promessa e mangiucchiando alcuni salatini.
“Perché vuole vedere come lavora il miglior estetista della città.”
“Davvero?” S’informò la rossa, ricevendo un’occhiataccia come risposta.
“Davvero!” Tuonò Gwen, tirando per un orecchio la coinquilina e trascinandola verso la visita che aveva prenotato appena cinque minuti prima.
 






Angolo autore:

Ryuk: E ora che accadrà?

Ne combino di tutti i colori e costringo gli altri alle mie diavolerie.

Ryuk: Ecco cosa succede quando si è abituati a lavorare per tante ore al giorno e poi si finisce in malattia.

Eh?

Ryuk: Si diventa ancora più psicotici.

Alla prossima!
E se non risentirete più Ryuk, probabilmente avrà fatto una finaccia.
 

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Capitolo 32
*** Cap 32 ***


Perfino una stupida avrebbe capito che non c’era e non ci sarebbe mai stato nessun estetista in grado di migliorare l’aspetto di Gwen. Purtroppo per la dark, quando Zoey parlava e vedeva Mike, i suoi neuroni andavano in pappa e non riusciva a pensare razionalmente, rischiando di rovinare sempre tutti i suoi magheggi.
Fu quando salì in auto, partendo a tutta birra e rispettando il classico tour di ritorno, che la rossa si risvegliò dalla sua stupidità e collegò le cose.
“Stiamo tornando a casa, vero?” Domandò, riconoscendo i vari viali.
“Alleluia! Ancora poco e mi toccava portarmeli dietro.”
“Ma…”
“Dobbiamo cercare di risolvere la cosa.” S’impuntò Gwen, superando alcuni ciclisti che impunemente circolavano sulla strada, ignorando la pista a loro dedicata.
“Ma la casa di Scott è dall’altra parte.”
“Che cosa possiamo ottenere da lui se non il sentirgli ripetere a pappagallo che lo fa per la sua felicità e che Dawn gli ha dato l’illuminazione divina? E poi potrebbe lasciarci fuori di casa e non mi va di aspettarlo su una panchina come se fossi una barbona qualunque.”
“Allora?”
“Abbiamo avuto la soluzione sotto i nostri occhi fino a due secondi fa e possibilmente può ancora fargli cambiare idea.”
“Come?”
“Deve parlargli con calma.” Sbuffò, maledicendo il semaforo rosso che aveva fermato la sua folle corsa.
“Dawn?”
“Di certo non mia madre…è ovvio che tocchi a lei risolvere la cosa.” Sputò ironica, facendola stringere nelle spalle.
“E se non funzionasse?”
“Lo sento fin dentro le ossa che questa è l’ultima carta che ci resta e se non la caliamo adesso, loro sono fregati e, di conseguenza, il nostro gruppo va al diavolo.”
 
Avevano discusso ancora un po’ e si erano divise il lavoro.
Come nei vecchi serial televisivi che Gwen guardava spesso con Duncan, loro erano come i poliziotti dell’interrogatorio.
Lei, complice anche il suo aspetto non proprio rassicurante, era il poliziotto cattivo che aveva il compito di riempire di domande il malcapitato per poi schiacciarlo con il peso psicologico del delitto.
Zoey, invece, era la controparte buona. Quella che consigliava un avvocato, che riponeva la sua fiducia nell’arrestato e che dava preziosi suggerimenti per uscirne vivo. Indossando quelle maschere implacabili, rientrarono a casa e trovarono Dawn intenta a studiare, incurante di quello che sarebbe capitato.
Gwen e Zoey senza nemmeno pensarci, si avvicinarono minacciosamente al divano, chiusero il volume farmaceutico che l’amica stava consultando e la fissarono negli occhi.
“Sei contenta, Dawn?” Le chiese subito Zoey con tono materno, senza darle nemmeno il tempo di capire a cosa si riferisse.
“Insomma: nell’ultimo esame ho preso solo 20.” Sbuffò di rimando la giovane, cercando di recuperare il suo libro, mentre Gwen con una lieve spinta la teneva seduta.
“Io ci rinuncio.”
“A cosa?”
“Tu non sai niente di quello che è successo a Scott, vero?” Continuò la rossa, parlando anche in nome della dark.
“Si è tagliato un dito?” Domandò sarcastica, sistemandosi una ciocca di capelli che era scivolata a coprirle l’occhio destro.
“La smetti di essere così insopportabile!” Sbraitò la rossa, zittendola.
“Io…”
“Ora capisco perché Scott abbia deciso di fare così.”
“Per il momento non m’importa nulla di quel che fa.”
“Non t’importa.” Sbottò Gwen, tirandole uno schiaffo che la fece lacrimare appena.
“Io…”
“Ripetilo ancora che non t’importa e te ne tiro un altro.” La minacciò, alzando ancora la mano e preparandosi per un nuovo colpo sul viso immacolato della coinquilina.
“Stavo studiando.”
“Lo studio è più importante del tuo miglior amico?” Le chiese Zoey, facendola sussultare.
“Non ho detto questo.”
“Allora non neghi che lui sia importante per te.”
“Ma ti stai ascoltando, Zoey?” Soffiò Dawn.
“Quando ci hai spiegato cos’era successo, credevo che fosse una cosa breve e che foste pronti per stare insieme.”
“Ti sbagliavi.”
“Scott si è sempre impegnato tanto, ma tu hai bruciato ogni possibilità.” Affermò Zoey, continuando con il discorso che si erano preparate durante il tragitto di ritorno tra il bar e il suo appartamento.
“Impegnato? Quello? Scherzi, vero?”
“Con Courtney è stato strano, ma poi si è sistemato tutto.”
“Quasi.” Obiettò Dawn.
“Ti ha dato molti consigli, ti ha aiutato con gli esami, ti ha protetto da Beverly e ti ha restituito l’anello che gli avevi regalato.”
“L’ha fatto.” Ammise la biondina, percependo qualcosa di strano nelle parole sibilline della coinquilina.
“E tu l’hai sempre ignorato.”
“Non è vero.”
“Mi sbaglio o l’hai ignorato e mandato via solo perché ti chiedeva una seconda possibilità?”
“Già.”
“Ora sarai felice, Dawn: non ci saranno più seconde possibilità.” Esclamò Zoey al termine di tutto.
“Io…”
“Scott ha deciso di andarsene per sempre.” Ringhiò la rossa.
“Andarsene? Dove?”
“Scott ha accettato l’ultima proposta dei McLean e domani ha intenzione di partire.”
“Scott…” Soffiò, assaggiando quel nome così speciale che per troppo tempo era rimasto lontano dalla sua bocca.
“Credevamo te l’avesse detto, ma a quanto pare ha mentito.”
“Io…”
“E ormai è tardi per riprovarci: hai sbagliato tu, Dawn.” Concluse Gwen, mostrandosi disgustata per quella faccenda.
“Io non ho mai sbagliato.” S’intestardì Dawn.
“Se ne sei convinta, non serve continuare a parlare di Scott.” Sbadigliò la dark, restituendo uno dei volumi alla coinquilina.
“Ed io che credevo che avessi ancora qualche possibilità.” Affermò Zoey, sedendosi e chiudendo gli occhi per gustarsi qualche attimo di relax.
“Non m’importa nulla di quello che fa.”
“Lo immagino…anche perché non lo vedrai mai più.” Ghignò Gwen.
“Mai più?” Domandò Dawn preoccupata.
“Cambiando lavoro e sistemandosi in una città più vicina ai suoi genitori perché dovrebbe tornare a scassare?”
“Io…”
“Non dirmi che inizi a dubitare di te stessa.” Sorrise Gwen, stiracchiandosi appena, mentre Zoey apriva leggermente gli occhi.
“È complicato.”
“Sarebbe tutto più semplice se ammettessi la verità e se tornassi com’eri prima.” Borbottò Zoey, facendo annuire la dark.
“Io…”
“Ma se la cosa non t’interessa perché ti preoccupi? Dopotutto non consideravi Scott solo come un troglodita insensibile?” La punzecchiò Gwen, rigirando il coltello nella piaga.
“No.”
“Fino a ieri era un bastardo che non volevi più in mezzo ai piedi e ora cambi idea. Che cosa è successo di tanto strano?” Continuò la dark.
“Credevi che accettasse di continuare a vederti, senza avere la possibilità di rimediare e che qualsiasi cosa dicessi, gli andasse bene?” S’inserì Zoey, leggendo alcune parole dal volume dell’amica.
“No.”
“Come ti saresti sentita se fosse stato lui a trattarti così?”
“Ne avrei sofferto.” Soffiò, abbassandosi sempre più e comprendendo poco per volta tutti i suoi madornali errori.
“E ora lui è stanco di soffrire e vuole andarsene.”
“Zoey…”
“Non so cosa puoi fare a questo punto e forse è il caso che rinunci a lui.”
“Mai!”
“Noi non abbiamo intenzione di aiutarti, se il tuo intento è di farlo rimanere per poi continuare come hai fatto finora.” Brontolò Zoey.
“Non credevo in nulla di ciò che dicevo.”
“E questo è ancora più grave.” Commentò Zoey.
“Tu sai perché non è mai partito?” Tentò Gwen, cogliendola alla sprovvista.
“Non me l’ha mai voluto dire.”
“Lui aveva paura di lasciarti e di rimpiangere la sua scelta.”
“Perché non me ne ha mai parlato?” Domandò spiazzata.
“I ragazzi difficilmente esternano i loro sentimenti, ma stando con Duncan ho sentito alcune chiacchiere interessanti.”
“Interessanti?” Domandò Zoey, sperando di conoscere qualcosa in più sul conto del suo adorato Mike.
“Scusate ragazze, ma io vorrei sapere di Scott.” Tentò Dawn.
“Perché vuoi sapere di Scott?” Chiese Gwen con un sorriso appena accennato.
“Perché mi piace.” Sussurrò la biondina.
“Non è ancora sufficiente.” Sospirò la dark, sperando che lei ammettesse quella realtà che ormai si era fatta fin troppo evidente.
Era lampante che tutti quei cambiamenti fossero conseguenza di quanto avesse sofferto per amore di Scott.
Altrimenti non poteva spiegarsi il caratteraccio impossibile, il casino che regnava sovrano nella sua stanza con la mancata copertura di alcuni turni al lavaggio piatti e gli esami consegnati con difficoltà.
Il pensiero l’aveva uccisa, continuava a ferirla e incontrastata la rendeva infelice.
Lei, per non mostrarsi in quello stato che avrebbe suscitato solo pietà, parole di conforto inutili o risolini di scherno da parte dei suoi conoscenti, indossava una maschera inflessibile con cui ferire il responsabile del dolore che la spingeva ad affogare, ogni sera, le sue lacrime, i suoi singhiozzi e i suoi urli disperati sul cuscino.
“Io e Gwen siamo dure d’orecchie.”
“Ma…”
“In fin dei conti Scott è solo irrecuperabile e insopportabile.” Sentenziò Gwen.
“Non parlate male di lui!” Tuonò seccata.
“Perché?” Chiese subdolamente Zoey, credendo d’aver cucinato a puntino la coinquilina.
“A volte sarà anche odioso, ma ammetto di essere peggiore di lui.”
“E perché dovresti dire queste cose? Dopotutto non sei interessata a quello che fa.” Ghignò la dark, poggiando una mano sulla spalla dell’amica.
“Ti sbagli.”
“Che cosa aspetti a dire che lo ami?” Chiese Zoey.
“Io…”
“Se lo lasci andare, qualcuno sarà ben felice di stare con lui.” Riprese Gwen, rimproverandola velatamente per quella cocciutaggine che finalmente stava per essere sconfitta.
“Non so se lui mi voglia ancora.”
“Lui, durante la gita, era felice di aiutarti e solo perché poteva stare in tua compagnia.”
“Davvero?”
“Non dovresti avere simili dubbi.” Brontolò Zoey, voltandosi verso la dark.
“Comunque non ci hai ancora detto se lui ti piace come possibile ragazzo.” Soffiò Gwen.
“È vero.” Si vergognò, nascondendo il volto tra le mani.
“Molto bene.” Commentò Gwen.
“Io non volevo che tutto finisse così.”
“L’abbiamo capito.”
“Volevo solo farlo ingelosire e poi ammettere che non potevo stare senza di lui, ma ho fatto un casino dietro l’altro.”
“Possibile che ti renda conto di questa cosa solo adesso che lo stai per perdere?” Chiese la dark.
“Dovevo chiarirmi con lui alla gita e invece l’ho ferito ancora.”
“A volte sei peggio delle bambine delle elementari.” Commentò Zoey, abbracciandola e facendola piangere ancora di più.
Aveva sbagliato tutto. Non aveva indovinato una mossa da quando lui l’aveva accolta quel giorno con l’ombrello per rimediare ai suoi sbagli.
Anzi forse ancora da prima non aveva fatto centro. Da quando aveva accettato che Courtney si mettesse con Scott, lei aveva perso solo tempo ed era finita con il mettersi con Beverly, credendo di trovare la luce, ma incasinandosi soltanto la vita.
“Io voglio stare con lui.”
“Se solo non fossi stata così testarda e fastidiosa.” Borbottò la dark.
“Oltre che odiosa, saccente e aggressiva.” Aggiunse Zoey, facendola sorridere lievemente.
“Diciamo pure che sono stata una stupida.”
“Ora l’hai capito.” Soffiò Gwen, aiutandola a rialzarsi dal divano.
“Io…”
“Corri da lui e lascia che sia il tuo cuore a parlare.”
“Ce la posso ancora fare?” Chiese, filando nella sua stanza, presto seguita dalle amiche e iniziando a vestirsi, ricevendo i consigli migliori per appianare le loro divergenze.
“Ce la devi fare.” Gracchiò Gwen con tono minaccioso, agitando per aria una mazza da baseball e facendole intendere che un fallimento non era ben accetto.
“Gwen, Zoey…grazie.” Sospirò, abbracciandole e scappando verso l’appartamento di Scott.








Angolo autore:

Ci stavamo per scordare di aggiornare.

Ryuk: Memoria di un pesce

Ovvio, anche se qui ci sta un chiarimento totale e Dawn comprende i suoi sentimenti e i suoi sbagli
Alla prossima!

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Capitolo 33
*** Cap 33 ***


Scott, dopo alcune ore spese a preparare le valigie e a rivangare vecchi episodi legati a strane foto scattate quando era a scuola o in campeggio, si era seduto sul divano e aveva preso un pezzo di carta con cui salutare i suoi amici.
Si sentiva in dovere di lasciare una lettera per tutte quelle persone con cui aveva condiviso degli anni meravigliosi. Qualsiasi persona con un briciolo di cuore, dopotutto, avrebbe lasciato quel minuscolo segno di ringraziamento.
Li avrebbe salutati come dovuto, lasciando una traccia e un ricordo agrodolce per chiunque si sarebbe ritrovato quell’insulso foglio di carta in mano in futuro. Perché sinceramente e logicamente, lui non sarebbe mai più ritornato.
Aveva promesso il contrario, ma si trattava di una menzogna che tutti avrebbero sfruttato per non tagliare i ponti: distanti per tanti mesi, in caso di rimpatriata, avrebbero tirato fuori discorsi che lui ignorava e si sarebbe sentito di troppo. Meglio evitare di riaprire vecchie ferite e così sarebbe rimasto a fissarli inebetiti, bisbigliando o fornendo un’opinione abbastanza rivedibile.
Nonostante volesse scrivere l’esatto contrario, la penna non scorreva sulla carta.
Non era mai stato bravo a scrivere o a descrivere i suoi sentimenti e aveva sempre preferito nasconderli ed evitare problemi.
Gli sarebbe mancato quasi tutto di quella città.
I ritardi perenni di Duncan e dei vari mezzi di trasporto.
Le sigarette fumate in compagnia.
La vociona di Chef che riecheggiava nel locale quando gli affari non andavano come voleva o quando il punk, con la sua entrata trionfale, sfasciava la sua baracca.
Mal con i suoi tentativi, talvolta patetici, di ricopiare i suoi cocktail.
Mike che teneva d’occhio il gemello malvagio, che lo derideva per i suoi esperimenti fallimentari e che accompagnava le ragazze all’Università.
Gwen e la sua benedetta pazienza con Duncan.
I consigli amorevoli e tipici di una sorella maggiore di Zoey.
E, infine, non sarebbe mai riuscito a dimenticarsi di quel diavolo che l’aveva stregato e che lo stava portando a scappare.
Questi pensieri, tuttavia, l’avevano attraversato con troppa velocità e non avrebbero mai lasciato segno sulla carta.
L’inchiostro non correva alla stessa velocità di ciò che lui pensava e provava.
Come se non bastasse aveva dimenticato di mettere nella valigia la foto di gruppo che, da sopra la mensola, lo fissava con intensità.
Sembrava quasi che lo sguardo di Mike stesse bucando quel ricordo e che lo bacchettasse per quella sua scelta irrazionale.
Duncan pareva propenso a sguinzagliargli contro l’assente Zanna, mentre le ragazze, con il loro solito sorriso stampato sul volto, non vedevano l’ora di assistere allo spettacolo.
Nel pensare a questa possibilità assai remota, sorrise e si spaparanzò sul divano, credendo ben presto di appisolarsi.
 
I suoi progetti furono annichiliti dal campanello che, suonando alle 8 di sera spaccate, gli fece credere che non poteva esistere niente di peggio.
Senza nemmeno rispondere, aprì, credendo si trattasse di Duncan che, nel caso fosse rimasto fuori, era liberissimo di sfasciare il portone. Già non avevano i soldi per l’ascensore, figurarsi per quel portone che, una volta rotto, avrebbe fatto passare i peggiori sbandati della strada.
Il punk doveva essersi liberato del suo turno al Pahkitew, l’avrebbe pregato di ripensarci e di concedere, a quella che era stata la sua vita finora, una seconda e ultima possibilità .
“Posso entrare?” Lo interrogò una voce che, risalite le scale, lo fece raddrizzare dalla posa sbattuta che aveva assunto nel mettersi sul divano.
“Tu?” Chiese sconcertato per quella visita che non avrebbe mai calcolato in vita sua.
“Non sei ancora partito.”
“Che ci fai qui?” Le chiese, mentre lei richiudeva la porta, abbandonando la borsetta in un angolo e sedendosi sul divano.
“Vorrei parlarti.”
“Se sei qui solo per questo, sappi che è un po’ tardi per farmi cambiare idea.”
“Ci metterò poco, lo giuro.”
“Credo sia meglio per te, anche perché tra un po’ andrò a dormire.” Soffiò stanco.
“Ti chiedo scusa, Scott.” Esordì, facendolo sussultare.
“E per cosa?”
“Per come ti ho trattato in questi mesi.”
“Ma io…”
“Potevi ignorarmi, così come quando Beverly ti offendeva per allontanarmi da voi. Se l’avessi sempre ascoltato, ti saresti liberato di un peso inutile.”
“Tu non sei mai stata inutile per me e lo sai. Avevo intuito le intenzioni di Beverly e sono rimasto solo perché avessi qualcuno cui appigliarti nel momento del bisogno.” Continuò, sfiorandole una spalla.
“Perché non mi hai avvertito?”
“Ho visto cos’era successo con Gwen e Zoey e non volevo lasciarti sola.” Soffiò, accarezzandole la schiena e iniziando un debolissimo massaggio.
“Beh grazie.”
“Dovrei essere io a ringraziarti, Dawn. Tu mi hai aperto gli occhi su molte cose e mi hai sempre spronato a migliorare.”
“Non siamo ancora pari.”
“Che cosa ti manca per non essere in debito con me?” Le chiese preoccupato per quella tristezza che aveva preso il sopravvento.
“Non hai ancora detto che mi perdoni e che accetti le mie scuse.”
“Se non ti avessi perdonato, ti avrei spedito fuori con una bella porta sul muso.”
“Rassicurante.” Sorrise lei.
“E, Dawn, accetto le tue scuse.”
“Ho capito troppo tardi quanto tu sia importante per me e non voglio perderti.”
“Dovevi parlarmene prima che prendessi questa decisione.” Soffiò Scott.
“Non avrò mai il coraggio di salutarti.” Si rattristò Dawn.
“Mi stai salutando ora.”
“Non è la stessa cosa.”
“A me sta bene comunque, non preoccuparti.” Replicò, fissando imbarazzato il soffitto.
“Se solo ne avessimo parlato un po’ prima.”
“Sarebbe finita come con la gita in montagna.” Ridacchiò Scott, percependo la sua mano poggiata sopra il ginocchio.
“Che tempistica infelice.”
“Almeno posso dire che è stato bello parlare come ai vecchi tempi.” Sorrise rilassato, accarezzandole il volto contratto.
“Perché non possiamo ricominciare?”
“Da dove?”
“Dal passato…da quando potevamo essere felici insieme.”
“Piacerebbe anche a me, ma è impossibile.”
“Anche il mio sogno senza di te sarà impossibile.”
“Non preoccuparti Dawn: riuscirai a laurearti anche senza di me.” Affermò, scrocchiandosi le dita.
“Ti sbagli.”
“Hai sempre preso ottime valutazioni e questo mi ha sempre reso orgoglioso, anche perché significa che i miei consigli ti sono serviti a qualcosa. Devo, però, ammettere che il mio, quando eri qui, si trattava solo di un pensiero egoista e arrogante.” Continuò, cancellando di volta in volta tutti i suoi meriti e quelli che gli altri avevano evidenziato.
“Di che parli?”
“Credevo che, giusto per non sentirmi un vero fallimento scolastico, una parte dei tuoi esami, fosse merito mio. Ovviamente mi stavo sbagliando e sopravvalutavo le mie abilità.”
“E se ti dicessi che forse avevi ragione? Qui mi sentivo a casa e con i tuoi consigli, ho consegnato i migliori esami della mia vita. Durante la gita in montagna mi hai chiesto il perché ho iniziato a vacillare e a prendere pessimi voti.” Gli ricordò lei, facendolo annuire.
“Ero solo curioso.”
“Io potrei fare molto meglio di così, ma senza di te rischierei di fallire un esame dietro l’altro.” Ammise, provando ad abbracciarlo, ma scontrandosi con il suo rifiuto.
“Forse puoi aiutarmi con la lettera d’addio che voglio scrivere agli altri. Dovresti sapere che non sono poi così bravo a mettere i pensieri su carta e molto spesso i miei temi finiscono nell’immondizia.” Sussurrò, afferrando il foglio bianco e riponendolo subito sopra il tavolino.
“No.” S’intestardì Dawn, frapponendosi tra lui e la lettera.
Per un attimo nel vederla in piedi, Scott si chiese cosa volesse ottenere con quello sguardo dolce e incantevole. Dopotutto non poteva guarire. O così credeva prima che lei prendesse un pennarello che aveva dietro di sé e iniziasse a tracciare sulle sue braccia alcune deboli strisce nerastre.
“Vendicati!” Lo sfidò, suscitandogli un debole sorriso.
“Io…”
“In questi minuti ho pensato anche a un nuovo cocktail che vorrei farti assaggiare e sempre a base del mio succo preferito.” Sussurrò lei.
“Succo di pesca.” Ridacchiò lui.
“Ti ho detto di vendicarti!” Lo rimproverò, puntandogli il pennarello sul viso.
“Io…”
“Non ci riesci, Scott?” Chiese, sedendosi furbescamente sulle sue ginocchia e facendo cadere a terra l’indelebile.
“Che cosa vuoi fare, Dawn?”
“Io voglio dimenticare.” Soffiò, intrecciando le sue mani dietro la testa del ragazzo, mentre lui la stringeva appena per evitare che scivolasse.
“Dimenticare non è…”
“La soluzione, lo so.” Insistette, adagiando la testa sopra il suo petto.
“Allora perché?”
“Restiamo così per sempre, ti prego.”
“Non possiamo Dawn.”
“Perché no?” Ricominciò, alitando sul suo petto.
“È passato troppo tempo.”
“L’affetto che provo per te non finirà né oggi, né domani. E poi sento che il tuo cuore batte sempre più forte.” Continuò, stuzzicandolo appena e sorridendo.
“Dawn…”
“Io ho sempre sbagliato con te, Scott.”
“Solo perché volevi farmi ingelosire, provandoci con Mike?” Chiese, spostandole una ciocca di capelli e accarezzandola dolcemente.
“Lo sapevi?”
“Era così evidente.”
“Tutte le volte, però, mi facevi arrabbiare e non riuscivo a dirti la verità.”
“Io ti rimproveravo solo perché non volevo perderti e continuo comunque a star bene con te.” Affermò il rosso, tenendola stretta a sé, mentre lei si beava di quel battito accelerato.
Nel sentirlo così frenetico Dawn capì che non aveva nulla da temere.
Finalmente i sentimenti di Scott non erano più ovattati dal suo risentimento passato. Avendo ammesso alle sue amiche che non poteva vivere senza, aveva ritrovato la sincerità e la consapevolezza che nessuno poteva portarglielo via.
Tuttavia il silenzio s’inserì pesante tra loro.
 
Lei non sapeva più come continuare, nonostante desiderasse ammettere, come con le sue coinquiline, ciò che provava per l’amico. Per quanto avesse negato, Scott sarebbe sempre stata la sola metà che s’incastrava con gli altri pezzi che aveva riunito. Ogni mattina si alzava pensando a lui, ogni volta che apriva il libro di scuola su una determinata pagina ecco che lui spodestava l’immagine di uno scienziato dell’Ottocento, quando assaggiava la sua bibita preferita, Scott ritornava con prepotenza a stagliarsi nella sua mente. Nell’arco di 24 ore lei lo vedeva, sognava e arrossiva, ripensando al suo desiderio, almeno un centinaio di volte.
Sognava di stringerlo, di perdersi interi pomeriggi nei suoi occhi grigi e di baciarlo senza fine.
Il suo sogno, però, era destinato a sciogliersi: il suo orgoglio gli avrebbe impedito di rimangiarsi la promessa fatta a McLean. Per quanto avesse sofferto in quei mesi e per quanto desiderasse toccare il fragile corpo che aveva vicino, affondando le mani nei suoi capelli, lui non voleva passare per un bugiardo.
Aveva salutato tutti quelli che conosceva.
Perfino Zanna era stato abbracciato durante una passeggiata al parco.
Con quale coraggio avrebbe rimostrato il suo volto in giro, magari bussando al Pahkitew per chiedere a Chef d’essere riassunto?
Qualcuno gli avrebbe potuto ridere in faccia, anche se alla domanda del suo ripensamento, lui avrebbe risposto semplicemente con un bacio alla sua bella.
Sarebbe rimasto solo per amore.
Era una scelta così ridicola?
Era davvero qualcosa di così sciocco e infantile se preferiva restare lì per Dawn?
Ripensandoci forse non era così male.
La sua famiglia avrebbe accettato qualsiasi scelta purché ne fosse convinto e provenisse dal suo cuore.
E quella felicità, per Scott, era solo la ragazza che quasi sonnecchiava sopra il suo petto.
E i suoi amici?
Avrebbero preteso una festa per la sua mancata partenza e Duncan avrebbe tenuto il broncio per settimane, ricordandogli che lui l’aveva sempre detto che i McLean dovevano fallire e che non erano degni della sua abilità.
“Scott?”
“Dimmi.” Sospirò il rosso.
“Non te ne andare.”
“Mi chiedi di rimanere con tutto quello che mi hai fatto?”
“Mi dispiace.”
“Ho sofferto come un cane nel starti lontano e ora pretendi che io rinneghi la proposta migliore che abbia mai ricevuto?”
“Ti prego.” Soffiò lei, risollevando la testa e fissandolo negli occhi.
“Perché non sei venuta prima?” Chiese, mormorando appena.
“Mi sono arresa non appena avevi raggiunto la felicità, anche se non sopportavo l’idea che Courtney ti portasse via. Beverly e Mike per me sono sempre stati un ripiego. Non potendo stare con te, speravo di alleviare le mie sofferenze, ma mi sbagliavo.” Piagnucolò, sforzandosi di trattenersi, mentre Scott la stringeva ancora di più.
“E va bene.” Mormorò soddisfatto, sorridendole e sorprendendola con un bacio improvviso.
“Scott…” Borbottò lei dopo quel gesto che era riuscita a farle battere nuovamente il cuore.
“Non preoccuparti: andrà tutto per il meglio.” Ammise sollevato.
“E ora che facciamo?” Domandò preoccupata, fissandolo intensamente.
“Ti fidi di me?”
“Sono disposta ad affidarti tutta la mia vita, purché tu non mi faccia soffrire.”
“Per non soffrire, dovrai soddisfare un mio piccolo desiderio.” Soffiò malizioso, sentendola irrigidirsi e vedendola arrossire violentemente.
“Un desiderio?”
“Domani mattina manderò al diavolo McLean, ma questa notte la voglio passare solo con te.” Borbottò, facendola sospirare.
“Ma io non ho nulla qui. Come faccio?” Piagnucolò, credendo, nello scontrarsi con il suo sguardo, di perdere anche quell’unica possibilità che si era conquistata con tanta fatica.
“Quando sei scappata, non hai portato via tutto. Hai lasciato qui alcuni vestiti di riserva. Se per questo speravo sempre che potessi tornare indietro per riprenderli. Poi, però, avrai pensato che erano rimasti da Beverly e non mi restava altro che custodirli, giusto per avere un ricordo di quello che potevo avere e che avevo perso nel più stupido dei modi.” Ammise, inspirando profondamente.
“Forse li ho lasciati qui inconsciamente: pregavo anch’io di ritornare.”
“Se è così che stanno le cose, non mi sembra ti pretendere troppo, anche se a ben pensarci ci sarebbe ancora una piccola cosetta di cui non abbiamo discusso.”
“Quale?” S’informò, cercando di staccarsi almeno un po’ dalla stretta in cui Scott l’aveva rinchiusa.
“Se un giorno dovessimo litigare, non scappare. Preferisco che tu mi tenga il muso per dei giorni interi, piuttosto di non sapere dove hai intenzione di andare.”
“Tutto qui Scott?” Domandò, regalandogli un sorriso che aveva visto assai raramente.
“Mi pare di sì.” Rispose secco, perdendosi nel suo sguardo e sentendo le calde labbra di Dawn che si posavano nuovamente sulle sue per suggellare un amore che si era finalmente ricomposto.
 




Angolo autore:

Buonasera cari lettori

Ryuk: Ci stavamo per dimenticare che oggi è domenica.

Tra le feste e altro, ho sballato il mio orario e non ci capisco un'acca.
Ovviamente vi auguro con un po' di ritardo delle buone feste, intese come fine e inizio anno e spero che abbiate passato un lieto Natale.

Ryuk: Chiediamo perdono per questo dialogo poichè non sappiamo se siamo riusciti a renderlo al meglio.

Purtroppo non sono portato per i sentimentalismi e punto più alla concretezza, ma non ho nulla di cui rimproverarmi.
Difficilmente sarei riuscito a fare di meglio...questo è il mio personale limite

Ryuk: Un po' patetico, ma non si può spremere un limone secco.

Detto questo vi salutiamo e vi rinnoviamo gli auguri per un buon fine anno e, si spera, un ottimo inizio 2021.
Alla prossima!
 

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Capitolo 34
*** Cap 34 ***


Qualche mese più tardi
 
Tutto era tornato al suo posto.
Era rientrato al Pahkitew, aveva discusso pesantemente con Chef e poi aveva organizzato una bella cena con i suoi amici per farsi perdonare.
Allo stesso modo anche Dawn era rientrata all’Università e aveva conseguito un esame dietro l’altro, confermando la teoria che aveva teorizzato nei mesi precedenti: nel piccolo appartamento di Scott riusciva a prepararsi meglio che altrove.
E con la difficoltà d’incastrare i vari impegni, tutte le valigie di Dawn erano state spostate, anche se per un breve periodo.
Erano passati pochi giorni e il rosso, studiando anche il suo conto bancario, si era accorto che un nuovo appartamento poteva essere la soluzione per tutti i loro problemi.
Le piccole discussioni, le punzecchiature reciproche, alcuni scatoloni ancora sigillati, l’avevano spinto a considerare che una casa con una metratura superiore potesse essere l’unica soluzione possibile.
Una cucina più grande, un salotto più accogliente, magari un terrazzo, due camere indistinte, ma sufficientemente grandi per accogliere anche una coppia che non se la sentiva di dormire su letti separati, due bagni che non li facessero discutere di prima mattina e un piccolo studio che poteva tornare utile anche come semplice magazzino in cui buttare tutto quello che non serviva sottomano.
Ne avevano viste di diverse e dopo un lungo cercare, l’agente immobiliare aveva presentato ciò di cui avevano fatto richiesta.
I confort di Scott erano stati rispettati, i desideri di Dawn esauditi, non c’erano grandi lavori di ristrutturazione da fare e il prezzo di soli 200 mila dollari, lasciavano sul conto un bel gruzzolo che non era il caso di dilapidare.
Piccoli accorgimenti, qualche miglio di vantaggio su Pahkitew e Università e la trattativa si era ufficialmente conclusa.
L’unica cosa che sarebbe mancata a entrambi, oltre ad alcuni ritardi al locale a seguito dei vari passaggi in auto, era il dover salutare l’insopportabile Beth Gerdson con quel suo dannato giradischi.
E quell’ultima sera, nel piccolo nido d’amore che li aveva protetti, dopo aver cenato, si erano chiusi nella stanza del rosso.
“Domani sarà un gran giorno.” Soffiò Scott, rifacendosi allo strapazzo del trasloco che li avrebbe tenuti impegnati per molte ore.
“A me piaceva questa casa Scott.” Protestò Dawn, distendendosi sul letto.
“La prima volta che sei entrata qui, ti avevo avvertito che vivevo nello stretto e che riuscivo a starci a malapena.”
“Ma…”
“Tutte le mattine finisco con l’urtare le tue valigie.” Brontolò, sfiorandole la schiena con due dita gelide che riuscirono a farla tremare.
“Ed io mi ritrovo a sistemare le tue maglie e il caos del salotto.” Replicò, credendo che il fidanzato la stesse solo provocando.
“So benissimo d’essere un casinista, ma anch’io sono in difficoltà con tutti i tuoi libri e profumi sparsi per ogni angolo della casa.”
“Ma…”
“L’altra settimana mi hai fatto una scenata solo per aver urtato e rovesciato nello scarico l’intero contenuto del tuo shampoo preferito.”
“A volte sono davvero ingiusta.” Mormorò abbattuta, girandosi a studiare i movimenti del suo ragazzo.
“Solo a volte?”
“Spesso.”
“È già un miglioramento.” Si congratulò lui, togliendosi il pigiama e lanciandolo verso la solita sedia collassata della scrivania.
“E mi dispiace di essere così disordinata da farti disperare.”
“A volte è un po’ difficile dire che hai torto.” Ghignò divertito, ritrovandosi davanti il suo viso.
“Che cosa stai cercando di dirmi?” Chiese, fissandolo intensamente negli occhi.
“È complicato unire due mondi diversi in un posto così piccolo.”
“Finalmente qualcosa di carino.” Soffiò, abbozzando un sorriso e illudendolo che da lì a breve gli avrebbe concesso un bacio.
“Io sono sempre stato così, ma tu eri troppo impegnata a distruggermi per accorgetene. È difficile per due caratteri diversi essere sempre d’accordo su tutto, ma possiamo provarci comunque.” Soffiò, incupendosi all’improvviso.
“Vedrò di sopportare i tuoi difetti.” Mormorò Dawn, sentendo le sue mani che le carezzavano di nuovo la schiena.
“Se ci trasferiamo, è solo per non litigare inutilmente.”
“Hmm?”
“Con una casa più grande, non dovrai sbraitare contro il mio disordine cronico ed io non finirò con incastrare i piedi nelle tue valigie.”
“Ti sono stata d’intralcio, vero?” S’informò preoccupata.
“Sono troppo stanco per discutere.”
“Non ti sei ancora ripreso dall’ultima volta?” Replicò maliziosa.
“Neanche un po’.”
“Vorrà dire che ti darò una razione extra di coccole per farmi perdonare.”
“Dovresti andare avanti anni prima d’essere alla pari.” Ghignò divertito.
“Ne sei sicuro?” Chiese, sfilandosi il pigiama e rimanendo solo in biancheria intima.
“Adoro il tuo metodo per sistemare le cose.”
“È un metodo come un altro.”
“Sei tu a renderlo speciale, Dawn.” Ammise, filando sotto la trapunta invernale e il lenzuolo.
“Come siamo galanti questa sera.”
“Sei bellissima come il solito e quando dormi e posso stringerti lo diventi ancora di più.” Soffiò, facendola avvampare.
“Grazie.” Mormorò, infilandosi sotto le coperte e cercando qualche carezza dal suo fidanzato.
“Di solito non sono cose che si dovrebbero dire in pieno giorno in mezzo alle persone, ma di notte è tutto perfetto.”
“Anche se a volte sei un vero pervertito.” Disse lei, percependo una lieve risatina per risposta.
“Sarò per sempre il tuo pervertito. E se chiudi la luce, possiamo riprendere il discorso di ieri.” Mugugnò, notando come Dawn si fosse avvicinata più del solito.
“Posso chiederti di stringermi?”
“Non è una cosa di cui dovresti vergognarti.” Ammise, allargando le braccia.
“È solo che sento freddo e potresti scaldarmi per bene.”
“A tal proposito conosco una bella ginnastica che può aiutarci.” La informò, sentendola sussultare per quell’ambigua proposta.
“Per questa volta mi accontenterò di stringerti.” Replicò lei, attaccandosi al suo corpo muscoloso e rassicurante.
Nell’avvertire quella fragile creatura che si stava assopendo tra le sue braccia, il rosso ringraziò il cielo che lei avesse avuto l’ardire di correre come una pazza, di sedersi sulle sue ginocchia, di accantonare il suo orgoglio e di concedergli una possibilità che non credeva di meritarsi appieno.
Solo qualche settimana più tardi, quando ormai era tutto risolto, Dawn aveva espresso i dubbi che l’avevano afflitta, nel percorrere la distanza tra l’abitazione di Gwen e l’appartamento di Scott, affermando con disinvoltura che il suo timore era di tornarsene a casa con la coda tra le gambe.
In tutto questo Scott sentiva d’essere stato molto fortunato.
Aveva ricevuto l’appoggio della sua famiglia, dei suoi amici, di Zanna e perfino di Chef Hatchet che gli aveva restituito il grembiule di capo barman.
Un’altra persona gli avrebbe riso in faccia e l’avrebbe costretto a gettarsi ai piedi di Chris McLean, ma il buon cuore e il buonsenso avevano prevalso, convincendo il vecchio tiranno a concedergli una seconda e ultima opportunità.
Un giorno avrebbe litigato nuovamente con Dawn, così com’era tipico delle coppie normali, ma con uno sguardo più intenso o una carezza improvvisa, ecco che la rabbia provata si sarebbe sciolta come neve al sole.
Per ora, alleggerito da quella pace, si accontentava di stringerla e sperava, anche nelle notti venture, di poterla scaldare con lo stesso amore provato non appena era rientrata nella sua vita.






Angolo autore:

Siamo stati assenti per alcuni giorni e di questo ce ne scusiamo, ma è stato un periodo un po' complicato al lavoro e non vi voglio annoiare eccessivamente.

Ryuk: Forse la prossima si manterrà su quest'andazzo, ma speriamo per fine mese di ritornare più tranquilli.

Detto questo vi salutiamo e vi auguriamo buona settimana
 

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Capitolo 35
*** Cap 35 ***


Durante le successive ferie estive
 
Il Pahkitew aveva chiuso per le canoniche due settimane di metà agosto e aveva liberato i suoi dipendenti da quei pochi impegni giornalieri.
Mal se ne era andato a zonzo con la sua cameriera preferita e Chef Hatchet aveva prenotato una settimana in collina, per poi rientrare alla base qualche giorno prima, giusto per avere la certezza che nessuno fosse andato a svuotargli la cassaforte.
Gli sarebbe seccato enormemente il dover chiamare qualche fabbro per sistemare le porte o il dover sostituire qualche finestra per poi maledire chiunque gli avesse portato via quei canonici mille dollari che teneva come fondo cassa.
Fortunatamente erano stati solo timori dettati da un passato, elemento che non gli aveva mai fatto chiudere occhio e che l’aveva spinto a credere di essere rientrato per niente.
Gli altri suoi dipendenti, Duncan e Scott, erano a divertirsi con fidanzate e amici al seguito.
Tutto era partito, ovviamente, dalle ragazze che avevano organizzato una nuova gita tra i rifugi che aveva fatto filtrare qualche raggio di sole nella più complessa storia cui avessero mai preso parte.
Dawn si era preparata con largo anticipo, anche se a camminare tra quei percorsi, era chiaro che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.
Tutti sapevano che Duncan e Gwen avevano discusso fin dall’abbozzo di quell’idea e lo stesso Mike aveva ingoiato la pillola, pur di non litigare con Zoey.
Non avevano nulla contro gli amici di una vita, ma liberi da ogni impegno e con la possibilità di non avere terzi incomodi tra i piedi, avrebbero preferito ricostruire e solidificare un’intimità che con i vari impegni era solo una chimera.
Come poteva Mike stare con la sua fidanzata se entrambi erano impegnati all’Università e se quest’ultima doveva centrare senza appello il tanto desiderato Dottorato?
Come potevano Duncan e Scott amare le rispettive fidanzate se erano costretti a turni massacranti e se rientravano quando queste erano già addormentate?
Gli unici ritagli di tempo erano in quelle settimane scarse che potevano concedersi senza troppi sforzi.
Ma se il punk aveva mollato il colpo, se Mike aveva ingoiato il rospo, Scott aveva tentato di far valere un po’ di più le sue ragioni e aveva litigato pesantemente Dawn.
Credeva fosse cambiata, ma a sentire che lui era quello freddo e insensibile e che se non cresceva era destinato a restare solo, ecco che gli era salito il magone e per la seconda volta si apprestava a quella gita con il morale sotto i tacchi.
Dawn sprizzava gioia da tutti i pori, Gwen e Zoey condividevano le cuffiette per ascoltare l’ultimo gruppo rock scoperto dalla dark, Mike era alla guida, Scott fissava nervoso e abbattuto il panorama e Duncan dormicchiava beatamente.
Era questo il clima, apparentemente disteso, che si respirava all’interno di quell’auto. Se una persona esterna si fosse, però, rimpicciolita e trasformata in una mosca, avrebbe notato che era solo una facciata di pessimo gusto.
Dawn era l’unica davvero onesta.
Gwen e Zoey erano impegnate a osservare gli altri e si erano accorte di quanto i fidanzati e Scott stessero detestando quella gita. Mike guidava con una tale lentezza da rendere esasperante il viaggio, il rosso era imbambolato dal paesaggio per non dover discutere con nessuno e il punk fingeva di dormire giusto per non cominciare qualche stupido discorso.
Non fu un caso se per le 3 ore di viaggio nessuno spiccicò parola.
La situazione migliorò giusto un po’ quando giunsero a destinazione e, come se si trattasse di uno strano scherzo del destino, Duncan e Scott, seguivano a rilento il resto del gruppo.
“Avete litigato, vero?” Chiese il punk a un certo punto, facendo sbuffare l’amico.
“È così evidente.”
“E immagino che il motivo sia lo stesso che ha spinto me e Gwen a non vederci per una settimana intera.”
“Non ce l’ho con voi, ma mi secca essere qui.”
“Quello che ti dà fastidio è l’averci intorno.” Bofonchiò Duncan, facendolo sospirare.
“Lavoriamo per molti mesi senza un minimo di pace, vediamo raramente le nostre ragazze e queste settimane che sono preziose per il nostro rapporto, le viviamo in questo modo.”
“Stessa cosa che ho detto a Gwen.”
“Lei, però, non credo ti abbia accusato di essere un disgraziato, un essere gelido che merita tutto quello che ha passato.”
“Ha detto veramente così?” Chiese nervoso, con un tono talmente alto da rischiare di farsi sentire anche dalla diretta interessata.
“È come se mi avesse rinfacciato tutti gli sbagli passati.”
“Ma lei…”
“Era seria e sarebbe capace di ripetersi in questo stesso istante.” Ammise, sfoggiando un ghigno carico di amarezza.
“Adesso ci penso io.”
“No Duncan, ti prego. Non voglio rovinare ulteriormente questa gita. Già fa così schifo, se poi venisse a sapere che racconto cose nostre, ne farebbe una tragedia e starei anche peggio.” Replicò, afferrandolo per una spalla e impedendogli di correre verso le ragazze.
“Con tutto quello che ti ha fatto, non ha ancora capito nulla?”
“Io mi sono estraniato dalle sue offese e, anche se bruciano, lei è l’unica a essere ancora arrabbiata.”
“Questo non lo tollero.” Ringhiò il punk.
“Lascia perdere, tra qualche giorno tutto sarà apposto.”
“E lei quando imparerebbe la lezione? Quando capirà che anche tu puoi stancarti di subire tutte queste angherie?”
“Ma è solo colpa mia Duncan.”
“Colpa di cosa?”
“Forse sono un egoista.”
“Se tu sei egoista, lei che cosa sarebbe? Come può una ragazza che pensa solo a divertirsi, negare un così piccolo desiderio al proprio fidanzato?”
“E con Gwen?” Lo interrogò il rosso.
“Le ho spiegato con calma le mie ragioni e ha capito.”
“Andrà meglio l’anno prossimo.” Si consolò, scrollando le spalle.
“Se lo dici tu.”
 
Davanti e allegre vi erano le tre giovani con un silenzioso Mike troppo impegnato a guardare la mappa che a integrarsi in quel frenetico ciarlare.
Dopo i soliti discorsi e pettegolezzi, però, erano scivolate sui soliti argomenti che avrebbero riempito i prossimi giorni.
Zoey parlava di quella gita con lieve entusiasmo, stringendosi al braccio del fidanzato, mentre le sue amiche si guardavano alle spalle e notavano come le tartarughe stessero conversando animatamente.
“Duncan a quest’ora mi starà descrivendo come la matrigna di chissà qualche fiaba.” Borbottò Gwen, scalciando un sasso.
“Perché?” Le chiese Dawn.
“Perché hanno litigato di brutto.” Soffiò Zoey, ricordando le urla che aveva sentito, mentre i due erano in camera della dark.
“E allora?” Continuò la biondina, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli.
“A quanto sembra non sono l’unica ad aver discusso prima della gita.” Notò risollevata la dark, sfregandosi le mani.
“Lui a volte è così egoista e non l’ho ancora perdonato.”
“Scott sarebbe cosa? Mi auguro tu stia scherzando o abbia bevuto più del normale.” Ringhiò la dark, fissandola con nervosismo e chiedendosi se non avesse sentito male.
“Io ci tenevo a questa gita.”
“E lui?” La interrogò Zoey che seguiva con attenzione quel fitto scambio di osservazioni.
“Lui che può vedermi tutti i giorni, voleva che rimanessimo soli.”
“E per una cosa simile sarebbe egoista?” Richiese Gwen, facendo annuire l’amica.
“Come lo descriveresti uno così?”
“Ti sembrerà assurdo, ma io e Duncan abbiamo fatto pace per una litigata simile.”
“Cosa?”
“E non pensare che sia stato semplice: si sono tenuti il muso per quasi una settimana.” Rispose Zoey, intromettendosi nuovamente e ricevendo una nuova occhiata assassina come ringraziamento.
“C’è da dire che dormendoci su, ho trovato le sue motivazioni sensate. Per una volta.”
“Davvero?”
“Con un lavoro massacrante, dai turni estenuanti e con i week-end spesso incastrati al Pahkitew, i momenti che passiamo insieme sono assai scarsi. Se ci aggiungiamo le visite alle nostre famiglie, altri problemi e la pigrizia, ecco che stiamo insieme assai poco.”
“Non ho discusso con lui solo per la gita.” Si difese Dawn, credendo di ritrovarsi al sicuro e su un terreno ben più solido di quello dell’amica.
“E cosa avrebbe combinato questa volta? È arrivato in ritardo di cinque minuti al vostro appuntamento o si è dimenticato l’ultimo voto del tuo esame?” La sbeffeggiò Zoey con un’ironia talmente sottile e tagliente che l’amica non notò nemmeno.
“Qualche sera fa è rientrato sul tardi e, dopo aver cenato, si è subito addormentato sul divano.”
“Mai pensato che fosse un po’ stanco?” Domandò Gwen, credendo nuovamente che una visita da qualche medico potesse fare miracoli per quel fastidio alle orecchie che si protraeva da quando Dawn aveva iniziato a parlare.
“Certo che l’ho pensato, ma è impossibile crollare dopo nemmeno cinque minuti. Gli stavo raccontando la mia giornata e appena mi volto per chiedergli conferma di una cosa, ecco che lui dorme beato. A questo punto non ci ho più visto, l’ho svegliato, gli ho rinfacciato questa faccenda e l’ho obbligato a stare sul divano.”
“E sarebbe crollato dopo quante ore di lavoro?” Chiese Zoey, immaginandosi la giornata orribile del rosso che aveva dovuto sopperire all’assenza di Mal per una visita medica urgente e a quella di Chef per affari e spese varie.
“Beh è partito verso le 5 di mattina per l’apertura ed è rientrato intorno alle 22 quando Chef è rientrato dal giro.”
“E dopo quasi 16 ore di lavoro pretendi che uno sia pimpante e non abbia voglia di dormire?” Domandò Gwen.
“Io…”
“Credo si sarebbe addormentato anche con un concerto sotto casa.” Nicchiò Mike, inserendosi per la prima volta in quella discussione tutta al femminile.
“Diciamo che si sarebbe addormentato, anche se ti fossi messa in costume e gli avessi proposto di giocare al dottore.” Replicò Gwen, facendo arrossire l’amica che non si aspettava di discutere di un tema simile proprio con loro.
“E solo per questo sarebbe un egoista che merita tutto quello che ha passato?” Ringhiò Gwen.
“No, ma…”
“La prossima volta che starà male, augurati che non sia colpa tua.”
“Perché?”
“Perché lui sta soffrendo e dubito che sia guarito dall’ultima botta che gli hai causato.” Infierì Gwen, facendola tremare.
“Io…”
“Se vuoi che lo stress lo uccida poco alla volta, allora continua su questa strada che sarà già un miracolo se vedrà i figli di Alberta andare alle elementari.”
“Sarebbe colpa mia?” Domandò Dawn timidamente.
“Lui ha sempre fatto il possibile per te.” Borbottò Zoey.
“Lo so.”
“Ti ricordi lo scorso Natale? Ti ha comprato quella borsetta che volevi tanto, quella maglietta rossa che desideravi da una vita e come se non bastasse ti ha offerto la cena nel più lussuoso dei ristoranti. Roba che per una lista simile devi sommare almeno quattro anni consecutivi.” Elencò Gwen, guardando verso la rossa che stava regalando un bacio a Mike.
“E tu a cosa avevi pensato? Una semplice cintura in pelle e poco altro.” La attaccò Zoey, aumentando leggermente l’andatura.
“Ma l’importante è il pensiero.” Replicò Dawn, difendendo la sua scelta.
“Se fosse davvero importante il pensiero, avresti almeno ripensato alla sua richiesta e a quest’ora sareste entrambi felici.” Infierì la dark.
“Ma io sono felice.” Obiettò la biondina, facendo negare le sue amiche.
“Tu credi di essere felice. Questa è solo una convinzione che cerchi di trasmettere anche agli altri. Una persona innamorata è felice quando anche l’altra metà è nella stessa situazione. Se Scott fosse felice, lui saprebbe contagiarti e ti renderesti conto che la sua idea iniziale non era così malvagia.” Sospirò Zoey.
“Forse avete ragione.”
“Purtroppo, però, non è sempre così semplice rimediare.” Affermò la dark.
“Che cosa posso fare per rimediare?”
“Beh…Mike e Zoey hanno già attuato il piano.” Soffiò Gwen, indicando i due che, allungato il passo, erano già distanti almeno 200 metri.
“Che cosa…”
“Fingi di esserti fatta male e tutto andrà per il meglio.”
“D’accordo.” Borbottò Dawn senza fare ulteriori domande, accucciandosi poco dopo e sedendosi al suolo, simulando un improvviso dolore alla stessa caviglia dell’altra volta.
 
Era bastato davvero così poco.
Le due tartarughe del Pahkitew avevano raggiunto le fidanzate e Scott, notando Dawn al suolo, aveva percorso gli ultimi metri di corsa e con la paura a fluire tra le sue vene.
Non poteva credere che pochi minuti di svista le erano stati sufficienti per farsi male.
Aveva messo male un piede, Mike e Zoey erano già andati in cerca dei soccorsi e Gwen aveva suggerito di riportarla al rifugio passato mezzora prima per facilitare i vari medici che sarebbero accorsi.
Nel sentire quelle parole e nel fissare la sua ragazza che continuava a tastarsi la caviglia, Scott non ci pensò nemmeno un istante e la prese subito in braccio, ritornando sui suoi passi e non accorgendosi che l’amico e la dark stavano sorridendo e si erano avviati verso il successivo rifugio, laddove avrebbero informato Mike e Zoey della novità.
Spiegato il piano, una delle due coppie avrebbe proseguito ulteriormente il proprio cammino, lasciando l’altra indietro e concedendosi quella tanto agognata intimità che poteva ritornare protagonista in quelle ore.
Percorsi i primi 20 minuti di cammino con Scott che continuava a tenerla tra le sue braccia e Dawn che lo fissava in estasi, gli rivolse nuovamente la parola.
“Sono felice Scott.” Esordì, facendolo sorridere.
“Anch’io.”
“Sei felice di trasportare una zoppa?”
“Sono felice di poter passare il mio tempo con te.”
“È come se avessi già vissuto questa situazione.” Sorrise la giovane, notando uno strano guizzo nel suo sguardo.
“È lo stesso anche per me.”
“L’altra volta, però, non avevi sentito la mia dichiarazione e questo mi aveva fatto arrabbiare.”
“Questa volta, invece, ti sei arrabbiata perché sono solo un egoista.” Soffiò, rigirando, senza volerlo, il coltello nella piaga.
“Tu avresti i migliori motivi per arrabbiarti eppure non ci riesci. Sei tanto buono con me, Scott.”
“Se sapessi che la scorsa volta, pensavo di scappare via con te, senza voltarmi mai indietro, ecco che non sarei più così buono come credi. Ero felice che tu fossi presente e di poter risolvere le cose. Poi ti sei ferita, gli altri ci hanno lasciato soli e il mio sogno di ritornare a casa felice mi pareva a portata di mano. Invece eri ancora arrabbiata e sono crollato.”
“Non ripensiamoci: ti prego.” Soffiò la giovane che non voleva ritornare a quel periodo che aveva passato con il rimorso.
“Talvolta credo di meritarmi tutto quello che ho passato.” Ammise, inspirando profondamente.
“No.”
“Dawn tu sei…”
“Non è vero che meriti tutte le cattiverie che ti ho detto o ho pensato mentre discutevo con te. Quando mi arrabbio, parlo a vanvera e mortifico i miei amici più di quanto sia necessario. Più tengo a una persona, più divento perfida e questo mi causa molti problemi.”
“Va tutto bene.” La rincuorò, tentando di alzarla un po’ di più per baciarla sulla fronte.
“Niente affatto.”
“Mi basta saperti felice, perché io possa sentirmi soddisfatto.” Ammise, facendola arrossire.
“Se avessi la macchina, accetterei di scappare con te.”
“Perché me lo dici solo ora?”
“Le mie amiche mi hanno fatto riflettere e credo che tu abbia sempre avuto ragione su questa gita.”
“Finalmente!” Esultò felice.
“Magari avremo altre occasioni.”
“Questo è sicuro.” Soffiò, mentre Dawn sperava di potersi chiudere con lui dentro il rifugio.
Erano bastati altri 5 minuti prima che Scott aprisse con molta fatica la porta e la richiudesse a chiave alle sue spalle, per poi adagiare sul morbido letto la giovane che si era come addormentata.
A vederla così sembrava una fragile bambola di porcellana e per un momento era stato nel dubbio se svegliarla per medicarla o lasciarla tranquilla.
Fu quando le scompigliò affettuosamente i capelli che lei riaprì gli occhi e lo invitò con la mano a sedersi vicino a sé.
“Ti fa male la caviglia?” Chiese lui, fissandola negli occhi e cercando di rialzarsi per cercare il kit medico.
“Lo sai, Scott? Io sono una pessima fidanzata.” Sibilò, spingendolo a rimanere immobile.
“Perché dici questo?”
“Perché non intuisco i tuoi bisogni e finisco con il mentire.”
“Parleremo di questo non appena avrò finito di medicarti.”
“Ti sembra che sia ferita?” Domandò, distendendo le gambe e massaggiandosi la caviglia.
“Che cosa stai tramando?”
“In verità mi fa male qui.” Soffiò, posandosi la mano sul petto e rialzando lo sguardo.
“Il cuore?”
“Sapere di deluderti e di trattarti male, mi fa soffrire. Tu non meriti tutto questo.” Mormorò dispiaciuta, ricevendo una carezza che la fece sussultare.
“Al contrario ti merito appieno.”
“Hmm?”
“Mi piace pensare che tu alla fine abbia esaudito il mio desiderio: grazie Dawn. Quando ti dicevo che i nostri difetti non sono poi così inconciliabili, non stavo mentendo. A volte sei una sciocchina, ma non potrei mai essere arrabbiato con te.” Obiettò soddisfatto, notando alcune lacrime che stavano per sgorgare dai suoi occhi.
“Scott…”
“E questa sera che siamo soli, ti dimostrerò perché sono così egoista da voler riempire il nostro tempo solo con noi due.” Borbottò malizioso, avvicinandosi alla sua ragazza e baciandola con un’intensità tale da cancellare gli ultimi sentimenti negativi che li avevano spinti al litigio.






Angolo autore:

Ryuk: I prossimi capitoli saranno momenti abbastanza diluiti nel tempo.

Separati, ma non troppo

Ryuk: Alla prossima!
 

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Capitolo 36
*** Cap 36 ***


Diverse settimane dopo
 
Era pieno settembre e Chef, calcolando le ferie e i permessi della busta paga, aveva notato quanto Scott avesse sgobbato nell’ultimo periodo e quante ore avesse accumulato.
Prima di ritrovarsi qualche sindacato sul piede di guerra, aveva affisso sul suo armadietto un biglietto con su scritto di prendersi almeno due settimane, se non tre, di ferie.
Gli sarebbe seccato terribilmente di pagare una multa per quella dimenticanza e non dovette faticare troppo per convincere il suo barman a staccare la spina. Tre settimane di riposo significava affrontare l’ultima parte dell’anno, quella normalmente più dura e sfiancante, con un sacco di energia e fantasia. Magari con una botta di sedere Scott sarebbe rientrato con qualche nuovo cocktail d’ultimo grido e i suoi affari sarebbero aumentati ancora di più.
Non come Duncan che rientrava solo per sfasciare il suo Pahkitew o come Mal che sembrava ancora più sfinito di quando raccattava il suo grembiule per una lavata e per far ammattire ogni giorno la sua cameriera preferita.
L’unico intoppo era da ritrovare nei primi dieci giorni di vacanza, laddove Dawn stava preparando il penultimo esame del suo corso e non poteva assentarsi in alcun modo dalla città.
Sapere che la sua ragazza era impegnata, aveva spinto Scott a rimanere con lei, giusto per supportarla il più possibile e non patire la sua lontananza.
Quale uomo avrebbe lasciato la sua donna da sola, non curandosi delle difficoltà e della probabile incazzatura che sarebbe sorta poi?
Molto più facile pazientare, tifare per un 25 tranquillo e poi preparare le valigie per un viaggetto tranquillo e senza pensieri.
Per i primi giorni avrebbe sistemato alcuni documenti, dormicchiando fino a tardi e l’avrebbe interrogata di tanto in tanto sulle ultime formule che non le entravano in testa.
E se qualcuno gli avesse fatto notare che il suo periodo da universitario era passato da un pezzo e che era stato un fallimento in piena regola, lui avrebbe preso il libretto della sua Dawn e avrebbe sbattuto loro la verità più lampante: da quando si era fatto perdonare, lei era migliorata notevolmente e non si parlava di due-tre punti, ma anche di una decina di numeri buoni.
Passare da un 18 risicato a un 26 pieno era un balzo mica da ridere e non poteva essere frutto della fortuna o di qualche argomento preferito studiato con assoluta meticolosità.
 
Anche per quel giovedì mattina si era svegliato abbastanza tardi e nonostante questo era scattato prima che Dawn appoggiasse la mano sulla sveglia per metterla a tacere e per rigirarsi verso la sua destra, dove sperava di potersi rilassare qualche istante in più.
Scott, d’altro canto, aveva iniziato con il suo canonico caffè e con le classiche brioches calde alla marmellata che entrambi adoravano.
Distesosi sul divano, aspettò che la fidanzata uscisse dalla camera e poi si sedettero al loro posto, scambiandosi alcune occhiate e sorrisi.
“Devi studiare ancora tanto?” Chiese Scott a un certo punto, facendola annuire.
“È l’esame più difficile che abbia mai affrontato.”
“Lo dicevi anche di quello precedente.”
“Ma questa volta sono sicura che non andrà bene.”
“E poi te ne esci con un bel voto.”
“Io…”
“Non andrai mai peggio dei miei esami del primo anno.” Mormorò Scott, ricordando ciò che aveva subito con il vecchio decrepito d’Ingegneria.
“Ti sei pentito d’aver abbandonato l’Università?”
“Assolutamente no.”
“Dalla tua voce sembrava il contrario.”
“Se non fosse stato per quel 12 del primo esame e per gli altri test schifosi che ho svolto, oggi non vivremmo insieme.” Ammise, arrossendo appena.
“Come?”
“Andando bene, non avrei mai chiesto a Chef di lavorare e, di conseguenza, non ti avrei consolato al Pahkitew e via discorrendo.”
“E questo chi l’ha deciso?”
“Hm?”
“È vero che sarei scappata dal mio ex, ma avrei cercato il tuo appartamento e sarei comunque venuta per un abbraccio.” Precisò, allungando leggermente la mano e accarezzando quella del suo ragazzo che non si aspettava una confessione simile.
“Non lo sapevo.”
“Se non fosse stato per Beverly che mi ha allontanato da te e dai miei amici, avrei fatto di tutto pur di aiutarti a continuare.”               
“Nessuno può sapere cosa sarebbe successo e per questo preferisco che tutto sia andato così.”
“Io…”
“Se qualcuno mi offrisse la possibilità di ritornare indietro, garantendomi di laurearmi, io rifiuterei perché non avrei la certezza di stare con te e di essere veramente felice.”
“Scott…”
“Una persona una volta mi ha detto che cambiando qualcosa nel passato, non è detto che il lato positivo resti immutato e per questo non voglio sacrificare nulla di quello che stiamo costruendo.”
“Ho capito.”
“E dato che studiare tutto il giorno è una bella rottura, questo pomeriggio andremo un po’ in giro.”
“Ma io devo…”
“Studiare senza staccare mai è controproducente, te lo garantisco.” Borbottò Scott, alzandosi in piedi e iniziando a sparecchiare la tavola.
 
Dawn, dopo una bella doccia, si era subito messa a studiare sul divano, rileggendo e confrontando varie volte i suoi appunti con le nozioni dei suoi volumi enciclopedici.
Talvolta bisbigliava di non riuscire a imparare una formula e che questa le sarebbe stata fatale, ma puntualmente lo sguardo rabbioso di Scott, sollevato dal quotidiano sportivo, la spingeva a mordersi la lingua e riprendeva a studiare.  
Già doveva accettare a malincuore di bruciarsi una settimana così e non gli andava di vedere la sua fidanzata deprimersi in quel modo.
Se avesse affrontato tutto con la dovuta leggerezza e senza troppe ansie, avrebbe passato anche quell’esame senza nessun problema.
Suvvia, si diceva, in quanti potevano affermare di aver superato un periodo difficilissimo in modo tanto brillante? Era stata tradita, aveva trovato l’amore, poi era stata sbattuta fuori di casa per un errore grossolano, aveva cercato di mortificarlo, pentendosi e soffrendo come non mai ed era ritornata sui suoi passi, ritrovando l’amicizia di un gruppo che aveva abbandonato anni prima e l’amore di chi l’aveva allontanata ingiustamente.
Con tutti questi eventi a sommarsi tra loro e con la base di una tragedia famigliare nessuno sarebbe riuscito a continuare.
Eppure lei c’era riuscita.
Certo in alcune giornate più nere si arrabbiava e ascoltava la gelosia che le riempiva le vene, ma per questo Scott sentiva di doverla proteggere. Era perché le mancava un pezzo del suo passato che Dawn si comportava in quel modo.
Perso in questi pensieri, si risvegliò al suono del campanello che, al contempo, aveva disturbato anche lo studio assatanato della fidanzata. Rialzatosi dal divano, si chiese chi fosse a disturbarlo e dopo aver udito risposta, si girò confuso verso la sua ragazza.
“Chi era?” Lo incalzò Dawn.
“Courtney.” Borbottò, corrucciandosi appena.
“Courtney?” Domandò, alzandosi e rimanendo sulla soglia in attesa che l’ex di Scott si presentasse loro.
 
E non dovette pazientare a lungo.
In nemmeno un minuto Courtney stava osservando estasiata il loro salotto e si stava scusando per il disturbo che stava arrecando.
Rincuorata da Scott che si era ritrovato in uno dei suoi soliti esuberanti abbracci, aveva percepito lo sguardo furioso di Dawn cui rispose con un sorriso che lasciò spiazzata la diretta interessata.
Nel vederli stretti in quel modo, Dawn si chiese comunque il perché fosse presente.
Da quel che sapeva, quell’odiata cantante doveva essere lontana milioni di miglia con la sua band e con i suoi interminabili concerti.
Non poteva credere che lei fosse tornata all’improvviso solo per complicarle la vita o per riprendersi il suo ragazzo.
Sapeva che le ex erano ex per un motivo, ma Courtney era speciale per Scott e di sicuro quest’ultimo non l’aveva dimenticata seriamente.
“Che ci fai qui Courtney?” Chiese Scott, fissandola intensamente.
“Il mio manager ha avuto alcune difficoltà con gli organizzatori dei concerti in Germania e ha ordinato il rompete le righe per un mesetto abbondante.”
“Pensavo che Trent avesse fatto una qualche cavolata.”
“Ogni tanto mi fa disperare, ma sto benissimo con lui.”
“Come tutti gli uomini.” S’inserì Dawn, facendo annuire Courtney che si avvicinò per salutare anche quell’amica che non aveva conosciuto così bene.
“La piccola Dawn ha imparato come tenerti in riga, eh Scott?”
“Già.”
“Anche se non capiamo come hai fatto a sapere dove abitiamo.” Tentò Dawn, facendo sorridere nuovamente la cantante.
“Prima di passare ho fatto un salto al Pahkitew e ho trovato Dunky.”
“Dunky?” Chiese Dawn.
“Era il nomignolo dato a Duncan.” Precisò Scott che aveva quasi dimenticato quell’umiliante abbreviazione.
“L’ho immaginato.”
“Mi ha spiegato dove abitavi e voleva che mi fermassi per un drink.”
“E tu?” Domandò Scott, intuendo parte del motivo per cui era presente.
“Figurati se mi faccio avvelenare da quel punk psicopatico.”
“Ho capito.”
“Sono tornata a casa per stare un po’ con la mia famiglia e per riassaggiare uno dei tuoi cocktail meravigliosi.” Soffiò, sbattendo i suoi occhioni e convincendo per l’ennesima volta il rosso a preparare ciò che desiderava da quando era atterrata con il suo jet privato.
“Il solito?” S’informò, mentre Dawn invitava Courtney a sedersi sul divano.
“Se non ti è di troppo disturbo.” Borbottò, osservando la figura di Scott che si allontanava e che preparava gli ingredienti sopra il piano della cucina.
 
Rimaste sole sul divano, Dawn e Courtney, seppur fossero abbastanza simili in certi frangenti, non sapevano di cosa parlare.
Era evidente che l’unico punto in comune fosse Scott e quando questo si allontanava, ecco che il mutismo ritornava impetuoso. Dawn temeva di affrontarla e di fare una pessima impressione, ma non voleva nemmeno vivere nel dubbio che stesse giocando per farli allontanare.
“Devo dire che nei tanti anni in cui siamo stati insieme, non ho mai visto Scott così felice.” Esordì Courtney, facendo sussultare Dawn.
“Sul serio?”
“Non amo scherzare su situazioni così serie.”
“È incredibile che la famosa Courtney Jackson sia qui oggi.” Borbottò Dawn che mai avrebbe ammesso d’aver collezionato quasi tutti i suoi dischi.
“Per i miei amici sono solo Courtney. Il fatto che io sia famosa è solo un qualcosa in più e non aggiunge nulla al mio carattere.”
“Credevo che quelle famose tendessero a vantarsi del loro status.”
“Solo quelle che sono troppo insicure e che temono di veder sbriciolato il loro impero.” Replicò Courtney, continuando con il suo sorriso rassicurante.
“E con Trent va tutto bene?”
“Siamo due anime travagliate che vivono per costruire un roseo futuro.” Mormorò la cantante, ripetendo senza musica e senza accompagnamento la strofa di un ritornello di una sua canzone.
“È strano.”
“Cosa?”
“Se qualcuno mi dicesse che è facile parlare con l’ex del proprio ragazzo, lo prenderei per pazzo e gli riderei in faccia.”
“Non tutte le coppie si lasciano in buoni rapporti.” Borbottò Courtney, facendo annuire la sua interlocutrice.
“È abbastanza raro.”
“Anche se ogni tanto devo ammettere che Scott un po’ mi manca e solo perché è in grado di preparare dei cocktail insuperabili.”
“Davvero?”
“Lui forse non te l’ha detto, ma ogni tanto ci telefoniamo e mi ripete che sta benissimo così, anche davanti alla mia offerta di trasferirsi in Europa.”
“Io…”
“Non pensare che vi voglia dividere: l’offerta è estesa a entrambi.” Ammise divertita.
“E lui rifiuta sempre.” Commentò Dawn.
“Dice che gli piace questa città e che è qui che si sente a casa.”
“Davvero?”
“Mi ripete che lo fai disperare, ma che alla fine non cambierebbe nulla di questa storia.” Borbottò, abbozzando un sorriso compiaciuto.
“Non lo sapevo.”
“Anche se dovresti cercare di essere un po’ meno asfissiante.”
“Io credevo fossi tornata solo per portarmelo via.” Confessò tranquillamente.
“E lui che dice?” Domandò Courtney, facendola incupire.
“Potrebbe…”
“Ti garantisco che Scott non farebbe nulla per ferirti.”
“Io…”
“Dai per scontato che le ragazze siano tutte interessate a lui, ma non puoi averne la certezza.”
“Credo tu abbia ragione.”
“Ti sembreranno due consigli strani, ma dovresti avere fiducia in lui e allo stesso tempo devi tenertelo stretto senza essere troppo opprimente.”
“Lo so.”
“Cerca di sorprenderlo e vedrai che Scott resterà per sempre con te.” Le consigliò, scompigliandole affettuosamente i capelli e sviando poi sul discorso dei suoi faticosi concerti e sulla descrizione della sua bizzarra band.
 
Sorseggiato l’incredibile cocktail di Scott e parlato fitto ancora per una buona mezzora, Courtney si era alzata dal divano e aveva salutato i suoi amici.
Una semplice occhiata e un abbraccio erano bastate alla giovane per far capire a Dawn che anche lei era dalla sua parte e che doveva sforzarsi a mitigare quel suo caratterino. Non voleva sentire un’altra telefonata del suo ex, dove affermava che tutto era perfetto, tranne che per quel piccolo difettuccio che rovinava i loro momenti.
Un altro abbraccio e una pacca sulla spalla destra di Scott e se ne era andata per ritornare ai suoi innumerevoli impegni.
Prima che il rosso riuscisse a chiudere la porta, però, aveva sentito Dawn abbracciarlo da dietro e aveva sorriso.
“Cosa c’è Dawn?” Domandò leggermente preoccupato.
“Tu sei mio.”
“Lo so.”
“E nessuno mi porterà mai via da te.”
“Mi dici questo solo perché sei gelosa anche di Courtney?” La punzecchiò, sentendola annuire.
“Ero gelosa, ma da oggi proverò a essere migliore.”
“Sarebbe un bel regalo.”
“E siccome per oggi ho studiato abbastanza, potremmo andare a mangiare fuori.” Propose, sculettando fino alla sua camera, consapevole che Scott la stava fissando e che presto l’avrebbe raggiunta.
 




Angolo autore:

Sera lettori

Ryuk: Siamo leggermente in ritardo, ma stiamo migliorando

Almeno non abbiamo tirato dritto

Ryuk: L'unica cosa è che non abbiamo avuto tempo per rileggere e potrebbe esserci scappato qualche errore

Detto questo vi saluto e vi auguro una buona settimana
Alla prossima!
 

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Capitolo 37
*** Cap 37 ***


Qualche giorno più tardi
 
Dawn credeva, anche alla luce di tutti gli anni passati, che mai l’avrebbe rivista.
Difficile che qualcuno potesse ripresentarsi dopo quello che aveva passato e con il rischio di ritrovarsi una porta sbattuta sul grugno.
Aveva parlato con Courtney e si era sentita rassicurata dalle sue confidenze: Scott, così come aveva dimostrato più volte, non si sarebbe mai sognato di ripetere l’errore della mattina successiva al contest. Mai più l’avrebbe cacciata e non avrebbe guardato nessun’altra donna, sempre che non si trattasse del classico scambio di saluti con la madre, con la sorella o con qualche lontana zia.
Quella mattina erano nuovamente a casa da soli.
Chef gli aveva concesso un’altra giornata di riposo, l’Università doveva accogliere solo qualche smemorato che aveva saltato diverse lezioni e, quindi, erano liberi di potersi divertire.
Erano rientrati la sera prima sul tardi, avevano passato una piacevole cena in uno dei ristoranti migliori della città e rientrati in casa, avevano fatto l’amore, crollando sfiniti e risvegliandosi l’indomani tra le braccia dell’altro con tanto di coccole e piccole provocazioni.
Alzatasi presto per preparare la colazione, iniziò con le classiche pulizie e poi uscirono per una passeggiata nel parco vicino.
Rientrati quando erano solo le 11, continuarono a sistemare la casa, fino a quando il campanello non li costrinse ad abbandonare le loro attività.
“Non passa giorno che qualcuno venga a trovarci.” Borbottò il rosso, abbandonando lo straccio sopra un mobile e scendendo dalla scala.
“Spero solo non siano quelli che vendono aspirapolveri.”
“Oppure Courtney: a volte è una vera seccatura.”
“Non dovresti parlare male della tua ex.” Lo rimproverò Dawn, facendogli scrollare le spalle.
“Oppure potrebbe essere qualche vicino, Zoey o Gwen che hanno litigato con Mike e Duncan o qualcuno che ha sbagliato indirizzo.” Elencò il rosso.
“Secondo me è tua sorella.” Mormorò, sentendo la mano di Scott che le sfiorava il fianco.
“Tutte le volte che siamo soli mi viene il desiderio di toccarti e di stringerti a me.”
“Pervertito.” Commentò lei, facendolo ridacchiare.
“Diciamo che un secondo round dopo l’ultima notte insieme non ci starebbe male.”
“Potrei concederti un secondo round appena finiremo le pulizie e dopo una bella doccia.” Soffiò, mentre il campanello continuava a suonare imperterrito.
“Oppure potremmo avere la nostra rivincita nella doccia.” Le propose, facendola arrossire lievemente.
“Vediamo chi è questo scocciatore e poi penseremo a qualcosa.”
“Da quando sei diventata così sfacciata e provocante?” S’interrogò Scott, afferrandola per un braccio e facendola girare verso di sé con il chiaro intento di darle un altro bacio.
“Da quando ho capito che sei e sarai sempre il mio tesoro.”
“Certo che sarebbe bello passare al sodo, ma con tutto questo casino in sottofondo rischiamo di combinare poco o nulla.” Borbottò infastidito, lasciando libera la sua ragazza che rispose al citofono.
Tempo di chiedere chi fosse e Dawn si girò, bianca in volto e tremante come una foglia, verso Scott che, nel vederla in quello stato, temette di doverla sorreggere per uno svenimento improvviso.
Era come se qualcosa avesse prosciugato le sue certezze e le sue energie e, di sicuro, la colpa era in quei passi leggiadri che stavano salendo le scale del loro condominio.
Presto avrebbe saputo perché Dawn si era trascinata a fatica fin sul divano e il perché il suo umore fosse passato dal più gioioso possibile a una depressione mista stanchezza che non aveva riscontrato in nessuno dei suoi conoscenti.
 
Come per Courtney la settimana precedente, in quasi due minuti la visita si era palesata sull’uscio e timidamente aveva allungato la testa dentro casa, quasi si vergognasse per quel passaggio improvviso.
Davanti a sé trovò la figura di un ragazzo abbastanza alto che la fece sussultare e subito dietro, seduta sul divano e con gli occhi persi nel vuoto, vi era Dawn.
“Si può?” Domandò timidamente, mentre lo sconosciuto la invitava, seppur non sapesse chi fosse, all’interno, per poi richiudere la porta.
Non ricordava nessuno con il suo aspetto, anche se aveva la sensazione di averla già vista almeno una volta. Forse era solo stanco, ma gli sembrava che fosse in una vecchia abitazione e che l’ultima volta, quando era ancora un bambino, gli aveva offerto una fetta di torta.
“Ciao Dawn.” Borbottò lei, superando i pochi metri che la dividevano dal divano e sedendosi davanti alla ragazza.
“Sarah.” Sussurrò aridamente.
“Scusa se sono passata senza avvertirti, ma volevo che fosse una sorpresa.”
“Potevo farne anche a meno, non credi?” Domandò Dawn, facendo sussultare Scott che non ricordava uno sguardo così gelido.
“Ho faticato molto a trovarti.”
“Non m’interessa.”
“I nonni non sapevano che ti eri trasferita qui con il tuo amico.” Soffiò lei, facendola sospirare.
“Il mio amico? I nonni non sanno niente degli ultimi mesi perché non ho avuto il tempo di avvertirli.” Sibilò Dawn.
“Ed io non mi sono ancora presentato.” Borbottò Scott, ritrovando il coraggio d’inserirsi e riscontrando un sorriso rassicurante nella sconosciuta.
“Non serve…io ti conosco.”
“Davvero?”
“Forse mi avete dimenticato e non posso farvene un torto, Scott.”
“Da quel che ho capito, ti chiami Sarah.” Ammise il rosso, ricevendo un applauso per risposta.
“Ho fatto tutta questa strada solo per rivederti Dawn.”
“Ora ti ricordi che esisto, eh Sarah?” Chiese, fissandola minacciosamente.
“Io…”
“Hai aspettato tutti questi anni per rifarti viva e solo perché pensi che papà sia prossimo a tirare le cuoia. Ti fai sotto per l’eredità come la lurida serpe che sei, senza considerare tutto quello che abbiamo passato.”
“Ma io…”
“La mamma è morta e tu sei scappata come una vigliacca. Avevo bisogno di te, quando papà è stato arrestato e quando ero sprofondata nel baratro, ma tu eri già lontana. Tante volte ero in crisi e avevo bisogno di una mano amica o di un abbraccio e sono stata costretta a ricercare in altre persone quell’affetto che non mi hai mai mostrato.”
“L’ho fatto per il tuo bene, Dawn.”
“Per il mio bene? Io volevo solo ricostruire la mia vita con quelle poche certezze che mi erano rimaste e tu eri una di queste. Che cosa devo pensare di una sorella che se ne va e non ritorna mai indietro, se non che ti vergognavi di me?” Chiese, mentre alcune lacrime le rigavano il volto.
“Io…”
“Ora ricordo chi sei.” Mormorò Scott, intromettendosi nuovamente e permettendo alla fidanzata di recuperare parte della sua lucidità. Era vero che difficilmente si sarebbe dimenticato di qualcuno, ma quell’amnesia su due gambe, era la famosa sorella maggiore di Dawn e ora ricordava in quali casi l’aveva conosciuta.
Sarah aveva compiuto da poco i canonici 18 anni, quando sua madre era morta e aveva approfittato della cosa per abbandonare il padre e tutto il resto della sua vecchia vita. Era una bella ragazza, spigliata e curiosa, molto più matura della sua età ed era la sosia giovanile della figura materna.
Occhi glaciali, alta quasi 175 cm, bionda naturale, fisico ben proporzionato e che di sicuro doveva attirare l’attenzione di diversi ragazzi. L’ultima volta che la intravide, in forma e con un abitino niente male, era la vigilia dell’omicidio e aveva ammesso in cuor suo che Dawn sì era carina, ma che se avesse avuto l’età di Sarah, ci avrebbe provato spudoratamente, guadagnandosi subito dopo un bel due di picche. Ora, però, non aveva nessun interesse per lei e il suo unico desiderio era nella fedele fidanzata che continuava a far disperare dopo tutti i casini che aveva combinato.
“Devo dire che sei diventato un bel ragazzo, Scott.” Mormorò Sarah, facendolo arrossire lievemente, consapevole di essere sempre stata osservata dal ragazzo.
“Non ci provare, Sarah.” Ringhiò Dawn.
“Come scusa?” Chiese, girandosi verso la sorella.
“So che cosa stai pensando.”
“Non so di cosa parli.”
“Ricordo bene cosa dicevano i tuoi ex di te, quando papà ti proteggeva e non mi pare il caso di spiattellare la verità ai quattro venti.”
“Quale verità?” Domandò seccata.
“Vuoi che ti chiami con i tuoi soprannomi? Sarah la vedova nera o la gatta morta.”
“Non è vero.”
“Hai rovinato molte storie nella tua vecchia scuola e hai infastidito anche alcuni colleghi di papà, anche se questi avevano quasi vent’anni in più ed erano già sposati e con figli.”
“Io…”
“Non voglio più parlarti, Sarah.”
“Dopo tutta la strada che ho fatto?” Domandò con rabbia.
“Se una volta ero disposta a stare tranquilla e ad ascoltare ogni verità, oggi non è più così. Forse non ti sembrerà vero, ma non sono più la bambina che hai abbandonato.”
“Per me sei sempre la mia dolce sorellina.” Borbottò, mentre Dawn scattava in piedi e la inceneriva con lo sguardo.
“Tu per me sei solo una sconosciuta e non meriti niente da me, se non il mio disprezzo.”
“E il tuo amico che dice?” Chiese, guardando verso Scott che non voleva insinuarsi in quell’intricato problema famigliare.
“Lascia stare il mio futuro marito!” Ringhiò, andandole a un palmo di naso e preparandosi già a riempirla di ceffoni.
“Tuo marito?”
“Stiamo organizzando il matrimonio e non ho intenzione d’invitare una che potrebbe provarci con gli invitati o che potrebbe flirtare con il mio Scott!”
“Ma…”
“Non riesci a capire che ho perso tutto e non mi resta quasi più nulla se non il suo amore?” Chiese nervosa, ricacciando indietro le lacrime.
“Non era mia intenzione farti arrabbiare.”
“Se per quasi 15 anni me la sono cavata senza di te, riuscirò a fare altrettanto anche in futuro.” Replicò, indicandole la porta e tenendola fissa nel suo mirino, fino a quando non la vide sparire con la coda tra le gambe.
 
Richiusi dentro quell’appartamento, Scott si sedette davanti a Dawn e le rivolse uno sguardo sereno e colmo di riconoscenza.
Non era propriamente felice di quel litigio cui aveva assistito, ma aveva perfettamente ragione a difendersi in quel mondo. Alzatosi un attimo, la abbracciò e le scompigliò i lunghi capelli, cercando d’infonderle un po’ di forza.
“Ho fatto male, Scott?” Esordì lei, con la voce ancora rotta dal piano, dopo qualche attimo.
“Non credo.”
“Perché, allora, mi sento così triste?”
“Perché ricordare il passato, non è piacevole.”
“Ero così felice quando mi sono svegliata e ora Sarah, quella lì, ha rovinato tutto.”
“Io non sarò come Sarah, ma so come risvegliare il tuo sorriso.” Borbottò enigmatico, staccandosi e fissandola intensamente negli occhi.
“Come?”
“Succo di pesca e una bella doccia rilassante.” Le propose con il timore che lei calcolasse tutto ciò come un tentativo di approfittarsi del suo malessere psicofisico, facendola riflettere per dei secondi che gli parvero interminabili.
“Sarebbe questo il tuo programma?”
“Una lunga doccia rilassante.” Ammise divertito, facendola annuire e ritrovando il suo sorriso.
“E le pulizie?” Domandò lei.
“Le faremo domani, sempre che tu non voglia provare giochini nuovi.”
“Non credo che ci siano altre attività da svolgere.”
“Si può sempre ripassare.” Obiettò risentito.
“Grazie Scott.”
“È questo che farebbe qualsiasi fidanzato per un sorriso.” Soffiò, baciandola dolcemente e trascinandola subito dopo verso il bagno, saltando a priori il primo punto del loro programma.
Sarebbe stata, nonostante le difficoltà iniziali, un’altra giornata intensa.






Angolo autore:

Buonasera a tutti
Ryuk: Sembri di buonumore.

L'alcol fa miracoli.
Fa sembrare una persona migliore, ti rende felice...ergo non bevete mai

Ryuk: Ma come?

Tornando alla storia, beh questo e il prossimo capitolo, nonostante ciò che scrissi tempo fa, sono legati.
Olè mandiamo in vacca tutto quello che dico in un colpo solo

Ryuk: Vi ringraziamo e vi auguriamo una buona settimana

E notte

Ryuk: Alla prossima!
 

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Capitolo 38
*** Cap 38 ***


Una settimana dopo
 
Scott si avviava a rientrare a casa dopo ben 10 ore di lavoro.
Aveva salutato la sua ragazza che erano le 7 di mattina e alle 18 era sulla strada del ritorno.
Di per sé non era stata una giornata troppo dura. I clienti, dopo averci fatto l’abitudine, erano quasi tutti, l’eccezione era una rarità, della stessa pasta: dei rompiscatole pieni di pretese che avrebbero meritato le peggiori punizioni corporali di questo mondo.
Perché passi di volere un drink leggermente alcolico, ma non troppo o un qualcosa di fresco, ma che non fosse troppo freddo, le giornate erano quasi identiche.
Si trattava di parlottare con i colleghi, di confrontarsi con Chef e di pulire il magazzino dove mettevano i pezzi di ricambio o dove sistemavano alcuni scatoloni.
Per il resto non c’erano troppe eccezioni, sempre che non si rompesse la lavastoviglie o la macchinetta del caffè non si mettesse a ragionare per i fatti propri e non decidesse di concedersi alcune pacche affettuose con tanto di dolci rassicurazioni di Duncan.
Alla fine, durante quella mattina, se l’era cavata egregiamente da solo e nel pomeriggio si erano palesati prima Duncan e poi Mal per concludere il turno. Se ben ricordava si sarebbero divisi in quel modo per ancora due giorni, poi il punk avrebbe avuto il suo giorno di riposo, seguito dopo 24 ore da Mal che avrebbe beneficiato di quello stacco meritato. In entrambi i casi gli sarebbe toccata la chiusura e sarebbe rientrato verso mezzanotte, cercando ovviamente di fare meno rumore possibile e di non disturbare Dawn.
Dopo 48 ore da Mal avrebbe staccato la spina e allora si sarebbe concesso un’intera giornata ristoratrice da passare al fianco della sua fidanzata.
Nel frattempo, però, doveva stringere i denti.
Fu quando girò l’incrociò che notò la presenza di un’auto della polizia.
Inizialmente aveva pensato a un qualche litigio tra condomini cui qualche vicino aveva risposto con tanto di chiamata anonima agli agenti. Non era da scartare nemmeno l’ipotesi di un qualcuno che rompe le scatole con musica a palla e che obbliga un iracondo vicino a quella contromisura esagerata.
Di certo non si aspettava che potesse essere un qualcosa da riguardarlo troppo da vicino.
Dawn non era una ragazza che amava creare troppi casini, tant’è che si sospettava che quell’appartamento fosse praticamente deserto.
Salite le scale e con le chiavi in mano, però, le sue certezze iniziarono a vacillare pericolosamente.
Tutte le sue teorie erano appena naufragate e davanti alla porta di casa sua, si ritrovò due agenti in divisa che lo fissavano imperturbabili.
Senza volerlo iniziò a tremare.
Voleva sapere che cosa era successo durante quelle poche ore di assenza e il perché di quella presenza insolita. Possibile che fosse successo qualcosa alla sua Dawn?
Magari un ladro era entrato in casa, aveva approfittato del fatto che lei fosse in bagno o distesa sul divano, per ucciderla a sangue freddo e portare via i loro pochi beni personali.
Forse era riuscita a cacciare un urlo agghiacciante e qualche vecchietto aveva chiamato di soprassalto la vicina caserma per avvertirli di quanto successo.
Non voleva pensare che si fosse suicidata: aveva sempre provato a farla sorridere, anche se questo significava uccidere il proprio benessere.
Poteva anche essere scivolata, sbattendo la testa e morendo poco dopo.
Oppure erano due truffatori che si erano spacciati per poliziotti e che volevano aspettare pazientemente che lei aprisse, per costringerla con le cattive maniere. O forse era successo qualcosa nel condominio ed era all’interno con un ispettore per raccogliere la sua testimonianza.
Spaventato dalle varie possibilità che si aprivano davanti a sé, deglutì nervosamente e si avvicinò con titubanza.
“Buona…buonasera…io abiterei qui.” Borbottò intimidito, indicando la porta e facendo ondeggiare lievemente le chiavi.
“Il signor Black?” Chiese uno di loro, mostrando il distintivo e risultando ancora più minaccioso agli occhi del rosso.
“Sì…sono io.”
“Tra una decina di minuti ce ne andremo, non si preoccupi.” Bofonchiò l’altro agente.
“Ma che cosa…che cosa è successo? Perché siete qui?”
“Oh non pensi al peggio: il giudice ha accettato una richiesta di visita.” Seguitò uno dei due, spostandosi e permettendo al padrone di casa d’inserire la chiave nella serratura.
“E che sarebbe?”
“Uno dei suoi parenti ha ottenuto questo premio per la sua buona condotta.”
“Continuo a non capire.” Borbottò sconsolato, girando la chiave e aprendo la porta.
 
Negando deluso per quanto poco era riuscito ad ottenere, appoggiò le chiavi sulla mensola alla sua destra ed entrò deciso in casa.
Ormai era sicuro che Dawn stesse bene e che non le fosse successo nulla di veramente dannoso. Appoggiato lo zaino vicino al primo mobiletto, passò il salotto e subito si avviò verso il divano, laddove Dawn era seduta e intenta a parlare con un vecchietto che Scott non ricordava.
Le andò subito alle spalle e la abbracciò da dietro, facendola sussultare.
“Scott?”
“Perché…ho avuto paura.” Ammise a cuor leggero.
“Ma io sto bene.”
“E come potevi pretendere che lo sapessi? Rientro a casa dopo tante ore e mi trovo la polizia davanti alla porta che mi fissa intensamente e sembra pronta a porgermi le condoglianze.” Mormorò, inspirando il profumo emanato dalla sua ragazza.
“Per questo credo sia colpa mia.” Borbottò il vecchietto, alzandosi in piedi, mentre Scott si staccava da Dawn.
“Per cosa?” Domandò il rosso, fissandolo intensamente.
“Sai Scott, sei diventato un bravo ragazzo…quasi sono sorpreso. Pensare che anni fa eri solo un bambino e ora sei l’uomo che rende felice mia figlia.”
“Sua figlia?”
“So che non vi aspettavate la mia visita e che non meriterò mai il vostro perdono, ma volevo vedere la mia piccola Dawn ancora una volta, prima di rimanere recluso fino alla mia morte.”
“Io…”
“Ho saputo che Sarah è passata a trovarvi, ma per quanto è successo e tutto il suo disinteresse verso la famiglia, io non la considero più come mia figlia.” Borbottò l’uomo, risedendosi al suo posto e fissando la coppietta che aveva davanti.
“So che è difficile da credere, ma ti potrei, con fatica, anche perdonare papà.” Tentò Dawn, facendolo sorridere.
“Appena il giudice mi ha informato di questa possibilità, ho subito pensato a te, anche se mi è stato un po’ difficile trovarvi.”
“I nonni non sanno ancora nulla della mia decisione.” Ammise la ragazza.
“Avresti dovuto avvertirli.” La rimproverò, sfoggiando un lieve sorriso.
“Lo so, ma tra l’Università, il trasloco e altri problemi non abbiamo avuto il tempo materiale.”
“Erano preoccupati di non sapere che fine avessi fatto.”
“Rimedierò domani mattina.” Promise divertita.
“E anche per loro, Sarah è un capitolo ormai chiuso.”
“Ma è loro nipote.” Obiettò Dawn che non voleva essere l’unica a essere rimproverata per tutte quelle settimane di silenzio.
“Dopo che è successo quel casino, lei è scappata e non ha aiutato le persone che più di tutte ne avevano bisogno. Non parlo di me e di quella mia azione scellerata che meritavano di culminare in un buco marcio e senza aria, ma mi riferisco a te e agli altri parenti in generale.”
“Però…”
“Tu avevi bisogno di una mano amica, i tuoi nonni dovevano ritrovare un po’ di certezza e solo così avreste potuto accantonare l’immagine di un orco che uccide la moglie per un motivo futile.”
“E Sarah non è stata molto corretta.” Biascicò Scott che non avrebbe mai voluto parlare di quella cosa, ma che era scivolato maldestramente.
“E non è stata corretta nemmeno con i miei vecchi colleghi, con i suoi ex compagni di classe e nemmeno con voi due.”
“Già.” Confermò Dawn.
“Adesso mi sto dando dello stupido per averla sempre protetta. Se fossi stato un po’ più severo, tradizionalista e presente, non avrebbe combinato troppi casini e alcuni miei colleghi non avrebbero divorziato.”
“Possibile.” Mormorò il rosso.
“Prima che rientrassi a casa, Dawn mi stava spiegando cosa è successo con sua sorella. Giorni fa è passata e ha provato a sedurti, costringendovi ad ammettere che state per sposarvi.”
“Era solo una bugia per zittirla e per evitare che si mettesse tra noi.” Si scusò la giovane, facendo sospirare il padre.
“Per me non lo era.” Obiettò il rosso, facendo girare di scatto entrambi.
“Come?” Domandò Dawn.
“Un giorno troverò il coraggio di dichiararmi e tu dovrai pensarci bene. Per il momento, però, posso dimostrarti quanto sei fondamentale per la mia vita.”
“Ora posso ammetterlo a cuor leggero.” Soffiò sollevato l’uomo.
“Che cosa papà?”
“Spesso, quando ero in isolamento, speravo potessi essere felice e che qualcuno fosse riuscito a coprire, almeno parzialmente, la più grande cavolata che ho fatto in tutta la mia vita. Non sto cercando delle stupide scuse, né il vostro perdono, ma voglio che sappiate che sono profondamente pentito e che la gelosia che mi attraversava era malriposta e mi ha fatto esplodere.” Mugugnò triste, asciugandosi il viso dalle lacrime.
“Papà…”
“In cuor mio, non so nemmeno il perché, speravo fosse quel ragazzino che ti accompagnava a casa e che ti faceva sempre ridere e ora so che è così.”
“Farò sempre del mio meglio per farla star bene.” Promise Scott, facendo annuire l’uomo.
“Già da allora speravo in questa possibilità. Tu eri l’unico in grado di farla sorridere e lei stessa poteva fare altrettanto.”
“Io…”
“Sappi una cosa, però, Scott. Se dovessi venire a sapere che tratti male la mia bambina, io uscirò da quel buco che chiamano cella e ti farò a pezzi. Nessun amico o collega ti riconoscerà, le plastiche facciali ti sembreranno inutili, ti chiederai il motivo, forse potresti anche maledirmi, ma la cosa non m’interessa. Dopo che ho perso tutto, desidero che Dawn non soffra più.” Borbottò risoluto.
“Lo so signore.”
“Tu mi sembri abbastanza sveglio e dubito che tu possa rovinarti in modo tanto stupido.” Continuò intimidatorio, facendolo annuire.
“Non preoccuparti, papà. Scott sa come trattarmi e se mi fa arrabbiare, sono capace di rendergli la vita impossibile.” Soffiò, facendo annuire il diretto interessato.
“Sono felice di sentirtelo dire.” Sibilò, sfoggiando un sorriso e alzandosi dalla sedia per permettere agli agenti di ricondurlo in carcere.
 
Rimasti soli nuovamente, Dawn si alzò dal divano e cercò di recuperare la borsa di Scott, ma prima che ci riuscisse, una mano la bloccò e la fece girare verso di sé.
Lei sapeva benissimo che cosa provava il suo ragazzo e sperava vivamente non fosse troppo arrabbiato.
“So che cosa stai per dirmi.”
“Ah sì?”
“Non dovevo aprirgli la porta, mentre non c’eri.” Borbottò dispiaciuta.
“Non è questo.”
“Allora cosa?”
“Io sto pensando seriamente al nostro matrimonio e, tra un po’, troverò davvero il coraggio di chiedere la tua mano.”
“Io…”
“E anche se stimavo molto tuo padre, ti giuro che non farò mai nulla per rovinare la perfetta immagine di famiglia che ho in testa.” Ammise, passandole una mano sul viso e attirandola subito dopo per un bacio appassionato.


















Angolo autore:

Mi sono preso due settimane di ferie, posso vero?

Ryuk: Non quando c'è del lavoro in arretrato.

Ah no?

Ryuk: Questa è l'ultima pausa che ci prendiamo, almeno fino a luglio

Sempre che mi ricordi di aggiornare
A presto!
 

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Capitolo 39
*** Cap 39 ***


Un lunedì sera di diversi mesi più tardi
 
Dawn era stanca e furiosa.
L’ultima volta che un sentimento così negativo e dannoso aveva attraversato il suo esile corpo era quando aveva beccato Beverly a letto con un’altra, costringendola a una fuga precipitosa e a un periodo molto intenso.
Si poteva affermare con assoluta certezza che fosse arrabbiata con Scott e non per un tradimento impossibile.
Dawn non ce la faceva più a vedere il suo ragazzo spremersi sempre più. Era da alcune settimane che lavorava come un mulo e, anche quando raggiungeva il meritato riposo, ecco che Chef lo chiamava per novità o per chiedergli di rientrare a seguito di assenze ingiustificate.
E quando non c’era nessuno in malattia, ecco che era la chat del lavoro a tenerlo impegnato con tante richieste, cui lui rispondeva puntualmente.
La loro intimità era come se non esistesse più ed era messa in secondo piano.
E quella sera, stanca delle tre telefonate consecutive ricevute dal suo ragazzo, rimuginò sulla cosa e pensò di ricattarlo.
Non voleva spingersi a tanto, ma lui era sempre più stressato.
Dormiva sempre meno, mangiava un boccone e scappava via, non riuscivano più nemmeno a parlare che quel dannato cellulare s’insinuava tra loro.
Quando filavano sotto le coperte per dormire o per fare l’amore, la vibrazione estesa del cellulare li interrompeva ed ecco che si staccavano, si ricomponevano e Scott si girava per messaggiare.
Una volta si era infilata di rabbia in bagno e si era seduta sulla tazza per piangere e per sfogare tutta la sua amarezza.
Qualche settimana prima le mani di Scott s’insinuavano tra i suoi capelli, le carezzavano le spalle e la schiena e si appoggiavano sui suoi fianchi, per poi attirarla in un bacio appassionato. Ora era come se avesse la lebbra e quel lungo bacio era diventato un ridicolo stampo o un contatto fugace sulla guancia.
Non ce la faceva più.
Scott si stava esaurendo come una batteria sotto sforzo e lei stessa faticava a riempire quella casa con le sue solite risate.
Finito il dolce, alzò lo sguardo dal suo piatto e fissò intensamente Scott che, nel sentire il suo sguardo addosso, abbandonò la chat e sollevò gli occhi verso la fidanzata.
Davanti si ritrovò un debole sorriso, le occhiaie di Dawn e un respiro piuttosto affaticato. Prima di chiederle qualcosa, lei gli fregò il cellulare e lo allontanò con cattiveria, rischiando di farlo cadere dal tavolo e di danneggiare oltre 300 dollari di spesa.
“Dawn…che cosa c’è?”
“Sono stanca, Scott.”
“Stanca di cosa?”
“Io ti amo tanto, ma in queste settimane mi sento così ignorata.” Ammise dispiaciuta, rendendosi conto che forse era solo un po’ egoista e che le cose sarebbero migliorate un giorno o l’altro.
“Non è vero.” Tentò di difendersi.
“Non ti ricordi più nemmeno che ieri è passata a trovarci Alberta.”
“Io…”
“Eri così preso che non hai degnato di uno sguardo i tuoi nipotini.”
“Ma il lavoro…” Borbottò, venendo interrotto.
“Metti un freno a ciò che fai.”
“Io…”
“Le preoccupazioni del lavoro devono rimanere al Pahkitew e quelle di casa restano tra noi e queste quattro mura.”
“Lo so che è così.”
“I problemi di una cosa non devono intaccare e rovinare l’altro insieme.” Spiegò Dawn, sorseggiando un goccio d’acqua e allontanando il cellulare del fidanzato che aveva ripreso a vibrare e che lui stesso aveva cercato di afferrare.
“Poteva essere una cosa importante.” Protestò lui.
“Oppure poteva trattarsi di una sciocchezza: tipo Duncan che non si ricorda dove ha lasciato la lista della spesa per il bar.”
“Io…”
“Tu non hai il diritto di essere sempre reperibile.”
“Lo so.”
“Ti preoccupi tanto dei problemi altrui, ma dimmi chi mai si è preoccupato di aiutarti quando eri solo al bar e vi erano una trentina di ordinazioni tutte in fila? Io ero lì: ti sei rimboccato le maniche e hai soddisfatto tutti quanti.”
“Già.”
“E sarebbe anche ora che gli altri imparino a camminare senza il tuo continuo sostegno.” Mugugnò Dawn che non avrebbe mai avuto il coraggio di ripetere una lezione simile.
“Io…”
“Ma tanto so che non mi darai mai ascolto e per questo ti propongo un gioco.”
“Come quelli che facciamo di solito in camera?” Chiese Scott con malizia, facendola arrossire.
“Ti piacerebbe, ma non è questo che meriti con queste settimane infernali.”
“Di che gioco parli allora?” Domandò il rosso costretto a resistere alla tentazione d’ignorare una seconda telefonata leggermente più prolungata rispetto alla precedente.
“Questa sera mi prenderai in braccio.”
“Sembra facile.” Commentò il rosso.
“E mi lascerai sulla porta della nostra camera. Io non entrerò, filerò in quella degli ospiti e ripeteremo tutto questo per una settimana.”
“E a che scopo?”
“Potresti capirlo lunedì prossimo.” Affermò lei, sorridendo divertita.
 
E quella breve settimana era volata via in un attimo.
Scott ripeteva volentieri quel rituale piacevole. Non ricordava più l’ultima volta che l’aveva presa in braccio e l’aveva fatta volteggiare per casa, rischiando di sfasciare un vaso da pochi spiccioli.
Faticava pure a ricordare quanto fosse leggera in realtà. Se mai le avesse detto che la ricordava più pesante, di sicuro Dawn l’avrebbe guardato storto, ma sentire quella piuma così vicina aveva risvegliato qualcosa.
Già da giovedì aveva cercato di varcare l’uscio in sua compagnia, ma lei aveva scalciato e aveva preteso di seguire le regole.
Era insostenibile quel gioco stupido.
Quando si rigirava tra le coperte e non sentiva i suoi mugugni, stava male.
Quando allungava un braccio per essere certo che fosse al suo fianco e non sentiva il suo corpo, si svegliava di soprassalto.
E quando provava con una mano a carezzarle il viso, affondava nel suo cuscino e doveva accontentarsi di respirare il profumo del suo shampoo.
Era tutta colpa di quel maledetto cellulare e della sua incapacità d’ignorare le richieste altrui. Stava perdendo Dawn per quello stupido motivo e anche se era in un giorno di riposo, non riusciva a staccare totalmente la spina.
Si sentiva in colpa d’abbandonare i colleghi, anche se spesso le loro telefonate e i loro messaggi erano solo per cavolate di poco conto che si potevano risolvere con pazienza, con tempo e con l’aiuto di un cameriere vicino.
Voleva che lunedì sera arrivasse subito e fortuna volle che fu una settimana abbastanza leggera e spensierata.
La cena era passata, erano distesi sul divano e Scott aveva cacciato il cellulare sopra il tavolino consapevole che non poteva lasciarla vinta a quell’aggeggio malefico. Aveva parlato con Chef e l’aveva pregato di chiamarlo solo per questioni di vitale importanza e non per ricevere conferma della presenza di due bottiglie di Whisky nascoste nel magazzino.
Il capo, scottato dal suo passato e per paura di vedere nel suo dipendente preferito il medesimo sbaglio, aveva promesso di limitare le sue chiamate e aveva preteso dagli altri colleghi di Scott di non esagerare troppo con messaggi e di non intasare la chat.
Aveva abbandonato il cellulare, aveva spento il televisore e aveva preso in braccio la sua ragazza, non fermandosi dinanzi a nulla.
Quella regola non valeva più e voleva dimostrarle che era quasi guarito.
Superato l’uscio, l’aveva fatta distendere sul suo lato e subito si era affiancato a lei, riempiendola di carezze, di baci e di attenzioni.
Diversi tocchi delicati sul viso, molti baci carichi di passione e il sorriso di Dawn era ritornato a illuminare quella stanza.
“Mi sei mancata.”
“Alla fine il mio gioco ha funzionato, vero?” Chiese Dawn, facendolo sospirare.
“Non era mia intenzione ignorarti, ma il lavoro mi spreme sempre…”
“Non importa: tu sei tornato da me e il resto non conta nulla.” Obiettò, mettendo un dito sulle labbra del fidanzato per zittirlo.
“Sono stato davvero ottuso.”
“Già.”
“Come ti è venuta in mente questa trovata geniale?”
“Dovevo trovare un modo per punirti e per farti capire i tuoi sbagli. Sarebbe stato troppo facile spiegarlo a parole o urlarti contro: avevo bisogno di qualcosa che potesse essere talmente sottile da confonderti e da tagliarti.”
“Io…”
“Pensavo di uscire con te, per poi litigare in auto e costringerti a lasciarmi per strada, ma ho troppa paura a camminare da sola.”
“Che cosa…”
“Avevo bisogno di un qualcosa di privato, che rimanesse tra noi, ma che potesse anche sconvolgerti nel profondo.”
“Ci sei riuscita.” Borbottò Scott, mentre Dawn si alzava e si allontanava appena.
“Non ne ero sicura, ma tentare non costava nulla.”
“Io…”
“Se non avesse funzionato, avrei pensato a qualcosa di diverso e solo al colmo della disperazione, avrei usato la carta della separazione.” Ammise, facendolo tremare, mentre lei sculettava appena per farsi ammirare dal suo uomo.
“E ora dove vai?” Domandò leggermente preoccupato.
“Non ho intenzione di tornare nella camera degli ospiti.” Lo rincuorò lei, togliendosi rapidamente il pigiama e infilandosi sotto le coperte.









Angolo autore:

E questo è il penultimo capitolo della serie

Ryuk: No...ne manca davvero solo uno?

Non temere Ryuk: ho due progetti finiti che devono solo vedere la luce
E stranamente sono entrambi a base liceale
Perchè sono così fissato?

Ryuk: Non saprei...

A domenica prossima con i saluti a Alcol e intanto vi auguro una buona settimana
A presto!
 

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Capitolo 40
*** Cap 40 ***


6 Anni più tardi
 
La loro storia non era ancora conclusa.
Era solo agli albori e non si sarebbe mai spenta con una semplice parola.
Quel pomeriggio era rientrato un po’ prima del solito.
Da quando aveva rilevato il Pahkitew, acquistandolo dal povero Chef, non aveva mai avuto tanto tempo libero.
Una cosa però l’aveva imparata dal suo vecchio capo: mai sacrificare la propria famiglia per inseguire il denaro, la fama o la carriera.
C’erano delle priorità di cui non avrebbe mai fatto a meno.
E questa preziosa lezione l’aveva riascoltata quando il signor Hatchet, dall’alto dei suoi 65 anni, aveva accettato di vendergli il locale, diventato un incubo, per quasi 60 mila dollari.
Vi chiederete cosa gli era capitato di tanto malvagio da svendere la sua attività principale per pochi spiccioli.
A sentire il Gerry&Pete, per esempio, oppure i McLean, un locale di bassa lega poteva anche solo essere regalato per una cifra simile, ma per un locale di solito sulla bocca di tutti si partiva da una base di almeno mezzo milione.
Per alcuni, quello di Chef, era un regalo verso il suo dipendente preferito, ma la verità la conoscevano solo Duncan, Scott e Dawn.
Non c’era niente di più triste del sapere che aveva sempre sprecato tempo.
Lui che aveva sempre lottato per dare un futuro degno al suo piccolo DJ si era ritrovato con un sogno infranto.
Non aveva mai avuto nulla contro le moto sia chiaro.
Da lontano amava le Harvey Davidson, ma non era mai stato elettrizzato dall’idea di montarci sopra. Era solo un premio scolastico e lui aveva aperto il portafoglio per comprare quell’innocente pensiero al suo DJ. Sperava che suo figlio si riavvicinasse in quel modo, che l’ex moglie lo trattasse con maggior riguardo, ma quando la bara bianca sfilò sotto i suoi occhi, intuì che il mondo non era posto per lui.
Era invecchiato troppo in fretta il vecchio Hatchet e in un raro sprazzo di lucidità aveva venduto la sua attività al fidato Scott.
Con quella sciocca buonuscita aveva insegnato qualcosa al suo successore e salutando i suoi vecchi dipendenti, era praticamente sparito dalla faccia della Terra.
Alcuni dicevano che era andato alle Hawaii per starsene in panciolle, ma alcuni giuravano di incrociarlo di tanto in tanto per le strade notturne della città.
Di sicuro era dimagrito di almeno venti chili e il volto scavato, pieno di rughe, con una barba incolta di chissà quanti mesi era quanto restava di un individuo dall’immensa forza fisica.
Una forza che, come si sa, spesso passa da una persona a un'altra senza nemmeno battere ciglio.
E in quel caso aveva preso pure un bell’aereo e si era fermata a Berlino, dove Courtney continuava con la sua band a viaggiare per diversi tour, rimanendo stretta al braccio rassicurante del suo Trent.
Mai una rottura, mai una gelosia, tante canzoni dedicate al rispettivo partner e una relazione che proseguiva senza sussulti.
I giornali scandalistici, al contrario, parlavano di alcune torbide relazioni nel resto del gruppo con Cody che aveva regalato un anello con tanto di brillante alla sua fan-stalker e con Anne Marie e Dakota che non riuscivano a rimanere fedeli alla buona immagine che la loro leader stava cercando di portare avanti a tutti i costi.
Un giorno erano ritratte con qualche giovane scapestrato, quello seguente con qualche cantante in rampa di lancio e un altro ancora erano immortalate con degli attori di quinta categoria.
A sentirla per telefono, Courtney non poteva essere più disperata, ma contando su un buon manager e su un ragazzo amorevole, non riusciva proprio a rimanere in bestia per tanto tempo.
 
Abbandonati questi pensieri e spostando alcune foto che erano state messe su una mensola, Scott si era messo sul divano.
Sapeva che la moglie sarebbe rientrata da lì a pochi minuti, anche se non si spiegava quell’insolito ritardo e quella bizzarra assenza.
Fu nel sentir cigolare la porta che si rialzò in piedi e la accolse con la prima domanda pomeridiana.
“Dove sei stata, tesoro?”
“In giro.”
“Questo lo immagino, ma non mi hai spiegato dove.” Borbottò con un pizzico di curiosità.
“Ero uscita con Gwen e Zoey.”
“Prevedibile.”
“E non mi sono accorta che stavo ritardando.” Ammise dispiaciuta, facendo ridacchiare il consorte che si avvicinò di qualche passo.
“Tu sei più lenta di una tartaruga e le tue amiche sono rimaste per tutto il pomeriggio al Pahkitew con la speranza che ti facessi viva e staccassi un po’ prima dal lavoro.”
“Io…”
“E neanche in farmacia sapevano dov’eri, dato che ti sei presa alcuni giorni di permesso senza dirmi niente e senza spiegare nulla alle tue colleghe.” Sospirò turbato, sentendola balbettare alcune parole di difficile interpretazione.
“Ma…”
“Non eri con le tue amiche, non eri al lavoro…puoi spiegare a tuo marito, dove sei stata dalle 8 di mattina fino alle 17 di sera?” Domandò con un pizzico di fastidio.
“Scott…”
“Conosco il mio nome e non serve che mi racconti qualche scusa: mi basta la verità.”
“Io…”
“E non sono il tipo che crede tu abbia una relazione clandestina: tu sei troppo buona e innocente per farmi andare in giro con un paio di corna.” Continuò, facendola prima arrossire pervia dei suoi complimenti, salvo poi farla scattare per l’ultima parte della frase.
“Avevo bisogno di fare shopping.”
“Si direbbe che tu non abbia trovato nulla di tuo gradimento.” Borbottò divertito, non notando alcuna borsa al seguito.
“Già.”
“A causa tua sono stato costretto a rimanere al Pahkitew, dove Gwen si è messa a parlottare con Duncan sulle prossime ferie e Zoey, mentre aspettava Mike dal colloquio di lavoro, si è messa a confabulare con Mal e la sua fidanzata riguardo qualche nuovo progetto.”
“Si sposeranno?” Chiese la donna.
“Mal sembra avere le idee abbastanza chiare e Serena, nonostante ancora qualche dubbio, si sta lasciando convincere.”
“Sarebbe bello se c’invitassero.”
“Ormai sembra che tutto sia in discesa e il peggio è un lontanissimo ricordo.” Soffiò sollevato, facendola annuire.
“Duncan non ha ancora trovato il coraggio per dichiararsi a Gwen?”
“È da tre mesi che quello zuccone continua a ripetermi che glielo chiederà domani. Spesso viene in ufficio e mi costringe a fare la parte di Gwen per prepararsi al meglio, ma ormai inizio a dubitare della sua parola e del suo orgoglio.”
“Almeno si è allontanato dal suo vecchio coinquilino.”
“Parli di Zanna? Ogni tanto passa a farci visita, ma da quando si è trasferito, non ha più molto tempo libero da dedicarci. Come sai: o le risse con i suoi soldi o gli amici e lui non è mai stato il tipo che si lega a qualcuno con tanta ostinazione.”
“La sua famiglia continua a rompergli?”
“Sembra quasi che tu mi stia riempiendo di domande solo per non darmi spiegazione di dove sei stata finora.”
“E tu dovresti spiegarmi quando hai deciso che Alberta dovesse portare Lucy nella fattoria dei tuoi genitori.” Replicò infastidita.
“Avevamo bisogno di un momento di pace e poi Paul e Charlotte volevano giocare un po’ con la loro cuginetta.”
“Sei fortunato a essere così caruccio da essere irresistibile e che non c’è nessuno nel mio albero genealogico.”
“Mi sarebbe piaciuto che le nostre famiglie potessero incontrarsi molto spesso.” Mormorò deluso.
“Scott…” Soffiò, sentendo gli occhi carichi di lacrime.
“Ma non pensiamo a questo…se non vuoi dirmi dove sei stata, non importa.”
“Non volevo farti preoccupare.”
“Sai che quando non ti trovo a casa, penso sempre al peggio. Dove abitavamo prima, credevo che Beverly potesse passare per infastidirti o che la signora Gerdson ti stendesse a suon di chiacchiere.”
“Io…”
“Perfino i miei genitori mi hanno pregato di lasciare quel vecchio condominio quando sapevano che avevamo fatto pace e, con loro immenso sollievo, li ho accontentati.” Sospirò Scott.
“Era da qualche giorno, sai, che mi sentivo poco bene.” Tentò, prendendola alla lontana per evitare che il marito la riempisse di domande.
“Perché non me l’hai detto subito?” Chiese il rosso con irruenza, baciando sulla guancia la consorte e fissandola intensamente negli occhi.
“Perché non volevo darti di che pensare. Tu sei troppo impegnato con il tuo lavoro e temevo di distoglierti dai tuoi pensieri.”
“Sei una vera sciocchina Dawn.” Replicò, scompigliandole affettuosamente i lunghi capelli e regalandole uno dei suoi soliti sorrisi.
“Ma…”
“Quando ci siamo sposati, ti ho promesso che sarei sempre stato al tuo fianco, che ti avrei rispettato, onorato e amato per tutta la mia vita. Quando si tratta di te, avrò sempre tutto il tempo di questo mondo e non ti farò mai mancare nulla.”
“Scott…”
“Mi dà molto più da pensare quando non ti confidi con me: sembra quasi che tu non abbia fiducia e che preferisca tenermi all’oscuro.”
“Io ho molta fiducia in te, Scott.”
“Ma alcune volte non lo dimostri.” S’imbronciò, facendola sorridere e portandola a passargli una mano tra i capelli rossastri.
“Siamo così testardi che una visita dal dottore potrebbe diventare un litigio.”
“Che cosa ti ha detto?” Continuò il rosso, facendola stringere nelle spalle.
“Prima di andare dal nostro medico, ho fatto un test.”
“Un test?”
“Alla decima Scott.”
“Alla decima? Alla decima di cosa?”
“A volte sei davvero così innocente che non riesci a capire.” Borbottò, accarezzandogli il volto per poi prendere una mano del suo uomo e posarla sul suo ventre ancora piatto.
“Sai che la mia famiglia è spesso soggetta a malattie bizzarre e la nausea e i dolori di cui soffrivo in questi ultimi giorni, oltre a non lasciarmi troppo tranquilla, mi hanno spinto a sostenere alcuni esami del sangue e un test generico.”
“Allora?”
“Era un test da farmacia: uno di quelli che fanno solo le donne.”
“Alla decima.” Borbottò sorpreso, collegando le cose.
“Finalmente ci sei arrivato…il test ha confermato che sono già arrivata alla decima settimana di gravidanza.”
“Dawn…”
“Ho paura, però, di perdere anche questo, nonostante ci sia già la nostra Lucy.”
“Io...”
“Prima di averla, prima di poterla stringere, ci sono rimasta malissimo nel perdere il nostro piccolo principino.” Soffiò, alzandosi sulle punte per baciare il suo uomo che la strinse al suo corpo massiccio.
“Devi stare tranquilla: andrà tutto bene.”
“Ma…”
“E questa è la notizia più bella degli ultimi mesi.” Ammise, prendendola in braccio e posandola sul divano del salotto, dove iniziò a baciarla e accarezzarla così come faceva puntualmente ogni sera e come avrebbe continuato a fare per il resto della loro meravigliosa vita insieme.










Angolo autore:

E anche questa serie giunge al termine

Ryuk: Già...ma ehi aspetta un attimo!

Non dirmi che se n'è accorto

Ryuk: Hai fatto schiattare il figlio di Chef?

Sì.

Ryuk: E nei miei calcoli Scott e Dawn dovrebbero avere già due figli più quello in arrivo

Oh me disgraziato...come ho fatto a non ricordarmi di dirti che volevo un'ultima delusione per la nostra coppietta?
Non te la sarai presa, vero?

Ryuk: Tu sei un maledetto senza cuore.

Ho sentito di peggio
E poi si tratta solo di una lieve correzione...non ho mica fatto così tanto male

Ryuk: Povero me

Tralasciando i piagnistei di questo shinigami, vi ringrazio per l'appoggio, per la pazienza, per i commenti e per le osservazioni destinate a questa serie
Ovviamente spero vi sia piaciuta...ho fatto del mio meglio a non farvi leggere troppe sviste, nè troppi deliri
E dato che sono sanguinario e ho dimenticato pure il background di Zanna (e di questo mi spiace un botto perchè era un qualcosa che m'intrigava assai), ci sono andato leggero con le disgrazie e con le morti o dovevo calcare ancora di più la mano?


Ryuk: Assassino!
Spero che Ryuk riesca a leggere qualche vostro commento, prima di finire al fresco
Detto questo, vi saluto e vi auguro una buona settimana.
E per domenica prossima non so ancora con quali dei due progetti uscire, anche perchè il titolo di entrambi fa davvero pena

A presto
 

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