Gangs of Detroit

di syila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I° ***
Capitolo 2: *** Capitolo II° ***
Capitolo 3: *** Capitolo III° ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV° ***



Capitolo 1
*** Capitolo I° ***


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"Scelgo gli amici per la loro bellezza,
i conoscenti per il loro buon carattere,
i nemici per la loro intelligenza".

Oscar Wilde


CAPITOLO I°

Sui marciapiedi di Adam Street i cumuli di neve resistevano tenaci addossati alle scale dei palazzi.
Era neve di città: pesante, bagnata e annerita dai fumi dello smog, ma a suo modo ingentiliva la durezza dell'asfalto e insieme alle prime luminarie, affacciate timidamente dalle vetrine dei negozi, suggeriva ai cittadini di Detroit l’approssimarsi del Natale.
L'ora tarda, il freddo e i piovaschi gelidi, che il vento rovesciava a suo capriccio sull'ampia arteria cittadina, l'avevano svuotata di traffico e pedoni, eppure una presenza procedeva spedita con l'aria di sapere bene dove andare, pur senza la necessità di arrivarvi troppo in fretta.
La visiera del cappello lasciava in ombra il suo volto e rendeva difficile determinarne l'età; la fluida sicurezza della camminata apparteneva ad un uomo, mentre il vistoso giubbotto da aviatore, lasciava supporre un ragazzo, affascinato, come tanti coetanei, dai reperti militari della Grande Guerra, specie se potevano essere indossati.
Giunta all'altezza di un garage-officina la figura rallentò il passo e parve esitare guardandosi attorno, poi scantonò decisa rasente muro e s'immerse nelle ombre dell'angusto vicolo che conduceva al retro dell'edifico.
L'unico lampione ancora funzionante rischiarava la facciata anteriore dell'officina senza illuminarla davvero, lasciando nell'oscurità il cortile e gli alti palazzi che lo delimitavano.
Era uno di quei posti da evitare di giorno, figurarsi in una sera da lupi come quella, a meno di avere degli affari loschi da concludere lontano da occhi indiscreti o non sapere a priori dove cercare.
Serviva infatti una vista acuta per individuare, tra le carcasse di auto arrugginite, una ripida scala che conduceva al seminterrato.
La figura iniziò a scenderla facendo gemere i gradini di ferro e una volta giunta davanti una porticina da cui sarebbe passata a malapena bussò sulla lamiera: tre colpi leggeri e ravvicinati, uno più pesante.
Lo spioncino si aprì e si chiuse quasi subito, seguito dal clangore metallico di un meccanismo sbloccato.
Qualcuno aveva lavorato molto per rendere sicuro il piccolo ingresso e il gorilla in giacca e cravatta che lo ostruiva con la sua mole stava lì a dimostrarlo.
“Sei in ritardo, lo Zar ha già chiesto di te.” grugnì in russo, incombendo sul nuovo arrivato come una montagna.
L’interpellato annuì tranquillo e rispose sollevando il pollice in su prima di proseguire lungo un corridoio di mattoni, illuminato da una fila di lampadine allacciate alla meno peggio all’impianto elettrico.
Il tragitto terminava davanti ad un altro portoncino rivestito di legno, dall'aspetto robusto, che lasciava trapelare un ritmo cadenzato e orecchiabile di musica da ballo.
La figura si prese il tempo di levare il berretto, ravviare i capelli e allentare le fibbie del giubbotto prima di bussare; stavolta il gorilla di guardia all'ingresso indossava uno smoking e un sorriso cerimonioso col quale lo invitò ad accomodarsi.
Alle sue spalle splendeva un alone lucente di fumo, improvvisazioni jazz e risate, che investì il nuovo arrivato lasciandolo vagamente stordito.
Al Black Russian c'era il pienone, come ogni fine settimana; i tavoli erano tutti occupati, la pista da ballo era un mare agitato di giovani coppie impegnate in un frenetico charleston, mentre i camerieri vorticavano ai suoi margini reggendo i vassoi pieni con la grazia spavalda degli equilibristi.
Individuare il tavolo giusto non fu questione di fortuna o di un occhio attento, lo “Zar” riservava alla sua corte il posto migliore, proprio sotto al palco dell'orchestra.
Appena si accorse di lui, un giovane uomo, alto e coi capelli così chiari da somigliare ad argento filato, si alzò e cominciò a chiamarlo a gran voce, poi gli andò incontro e lo spinse ad accomodarsi con alcune pacche sulle spalle.
“Ora che è arrivato Otabek siamo al completo, la riunione può cominciare!” annunciò ostentando un largo sorriso a cuore.
“Cazzo che palle, anche stasera dobbiamo parlare di lavoro, eravamo qui per divertirci!”
La delicata esternazione portò l'interesse dei presenti sull'autore, poco più di un ragazzo, che a sua volta dedicò un lungo sguardo di rimprovero all'ultimo arrivato, quasi fosse colpa sua se non potevano fare baldoria.
“Il nostro Tigrenok* è di pessimo umore stasera!” trillò la bella donna dai capelli rossi seduta accanto a lui, che lo avvolse in un abbraccio affettuoso, attirandolo pericolosamente vicino alla profonda scollatura del vestito.
Ignorando le proteste della sua vittima fece l'occhiolino a Otabek, poi invocò altro champagne dal vicino di posto, che riempì la sua coppa fino all'orlo con un gesto premuroso e galante.
“Quando mai sarebbe di buon umore la nostra femme fatale?” le tubò all'orecchio, facendola ridacchiare.
“Fottiti francese!” esclamò il succitato cucciolo di tigre, che proprio non ci stava a farsi definire una “femmina”.
“Sono svizzero cherie e fottersi da soli non è di nessuna soddisfazione, ma puoi chiedere il permesso a Victor e dare il tuo contributo...”
“Vi sembra il caso di fare questi discorsi davanti al piccolo?” chiese la persona all'altro capo del tavolo.
Sedeva un po' discosto da gli altri, forse per via di quell'aria lugubre che, insieme al pallore affilato dei lineamenti e alla sua predilezione per gli abiti scuri, gli aveva fruttato il nomignolo di Padre Gosha.
“Amen Padre.” recitò compunto il Francese guadagnandoci un'occhiata storta dall'interpellato “Però il ragazzo qui non ha niente da imparare, semmai può insegnare qualcosa a noi.”
“Christophe la morale di voi cattolici è così blanda...”
“Ah! Merde! Non sapevo che avessimo una morale, questo potrebbe complicare le cose!”
Tutto il tavolo scoppiò a ridere, perfino Otabek, che passava per essere più serio di Georgi, nascose un sorriso dietro un colpo di tosse.
A quel punto l'uomo coi capelli chiari, affatto risentito dalla piega piccante che aveva preso la conversazione e dai modi sgarbati del moccioso, gli scompigliò i capelli con una carezza affettuosa e dichiarò solennemente “Ti ruberemo solo mezzora Yurotchka!”



Due ore dopo erano ancora lì a discutere di cifre, viaggi e carichi da piazzare; sulla pista da ballo le poche coppie rimaste erano allacciate in un sensuale tango argentino, mentre i camerieri stavano già preparando i tavoli per l'indomani.
L'umore di Yuri era andato in calando, un po' come la serata; ad un certo punto aveva smesso di seguire la conversazione e aveva cominciato a puntare lo champagne.
Victor, lo Zar, il loro generoso anfitrione, nonché il loro Capo, era stato veloce a sottrargli la coppa prima che la trangugiasse, tuttavia nemmeno lo Zar poteva essere in due posti contemporaneamente; così, quando si era allontanato dal tavolo per salutare un paio di affezionati avventori, il ragazzino biondo aveva afferrato la bottiglia dal secchiello porta ghiaccio e l'aveva tracannata fino all'ultima goccia.
“Qualcuno ha da ridire?” chiese sentendo il peso delle silenziose occhiate di rimprovero dei presenti.
Yuri era il più giovane membro della gang e, a detta di Christophe, aveva ancora la bocca sporca di latte, però era il cocco di Victor e questo lo metteva al riparo da sgridate e minacce.
Nessuno aveva capito che ti tipo di rapporto ci fosse tra loro: amanti, amici fraterni, tutore e pupillo...
Lo Zar lasciava correre battute e insinuazioni, il suo protetto le smentiva ferocemente, così gli altri restavano nel dubbio e non potevano approfondire.
Victor, in ogni caso, si prendeva molta cura di lui: abitavano insieme in una bella casa nei pressi di Grand Circus Park e lo viziava esaudendo ogni suo capriccio.
Una volta tornato finse di non notare la bottiglia vuota e l'ostentata indifferenza di Yuri, si limitò a chiamare un cameriere e a farne portare una nuova per i suoi ospiti.
“Quindi cosa facciamo coi musi gialli?” chiese Georgi, riprendendo la discussione dove si era interrotta.
“È seccante che abbiano fatto un'offerta al nostro fornitore abituale” ammise Christophe, che curava i rapporti di lavoro con la sponda canadese del fiume “Lui mi ha assicurato la continuità del rifornimento di birra e whisky, tuttavia...”
“Gli affari sono affari” completò Victor “E se riceverà una proposta migliore non esiterà ad accettarla.”
“La lealtà non è di questo mondo.” concluse serafico Georgi, che tra i motivi della sua tetraggine aveva aggiunto di recente il tradimento e l'abbandono della fidanzata.
“Possiamo batterli sul tempo e sulle quantità.”
L'intervento di Otabek suscitò un certo stupore tra i presenti, perché era raro che esprimesse la sua opinione, almeno ad alta voce.
“Spiegati.” annuì Victor, interessato.
“Trasportiamo i carichi illegali da una sponda all'altra utilizzando chiatte e piccole imbarcazioni. Per non destare sospetti siamo costretti a parecchi viaggi con piccoli carichi di merce, ma se ci servissimo del tunnel ferroviario...”
Tresor lo scalo merci è uno dei posti più controllati della città, la polizia doganale effettua sempre dei controlli a campione, proprio perché sanno quanto è comodo spedire le casse di alcol via treno.” suggerì Cristophe.
“Pensi che controllerebbero anche... Una bara?”
“Vorresti usare delle bare per contrabbandare gli alcolici?” domandò Victor.
“E un mezzo delle onoranze funebri per caricarli in stazione.” precisò Otabek.
Al tavolo le reazioni dei presenti lasciavano trapelare la loro natura: Mila e Christophe sogghignavano divertiti, Yuri aveva un'aria disgustata e Georgi si limitava a disapprovare scuotendo il capo.
Victor invece tamburellava le dita sul mento con aria pensierosa, finché la sua espressione non s'illuminò.
“Potrebbe funzionare!”
“Hah, figurati!” bofonchiò il suo pupillo.
“Invece si, mi assicurerò che nessun funzionario doganale pecchi di zelo coi controlli, al giusto prezzo guarderanno da un’altra parte; Chris tu prenderai accordi con la distilleria, serviranno degli imballaggi più resistenti; Mila e Gosha: voi andrete a Windsor a scegliere un paio di casse, puntate sui modelli costosi, saranno più credibili!”
“Io mi occuperò di allestire il carro funebre.” si offrì Otabek, di cui era nota la passione per la meccanica e i mezzi a motore.
“E io?” s'intromise Yuri quando vide che i compiti erano già stati tutti assegnati e lui era rimasto chiaramente tagliato fuori.
“Tu puoi aiutarmi coi libri mastri del locale, sempre che lo champagne non ti abbia dato alla testa...” gli sussurrò Victor all'orecchio posandogli poi un bacio sulla tempia, il russo poteva sembrare una persona distratta e superficiale, ma difficilmente gli sfuggivano certi dettagli.
La reazione della belva bionda, presa in castagna, fu da manuale.
“Fanculo! Io invece me ne vado a casa adesso!” strepitò il ragazzo alzandosi, mentre gli altri ridevano incuranti delle sue minacce.
“Va bene, va bene, Otabek puoi accompagnarlo tu con l'auto? Io ne avrò ancora per qualche ora.”
“Non c’è problema.”
Il kazako dovette congedarsi in fretta e allungare il passo per raggiungere la dispotica femme fatale, che si era già precipitata all'uscita senza salutare nessuno.



“Sali in macchina, fa freddo e sta cominciando a nevicare.”
“Conosco la strada, posso tornare anche a piedi!”
“Dall'altra parte della città?”
“Fanculo!”
Lungo il marciapiede di Adam Street, ormai deserto, la situazione stava prendendo una piega surreale: Yuri procedeva di gran carriera stretto nel cappotto col collo di pelliccia, ormai fradicio a causa della neve, mentre la Ford T di Otabek lo seguiva a passo d'uomo.
“Dipendesse da me te lo lascerei fare, però ho promesso a Victor di portarti a casa ed era sottinteso che tu fossi dentro la macchina, non fuori.”
“Oh, quindi si tratta sempre di fare un favore al vecchio!” esclamò stizzito il ragazzo biondo fermandosi di colpo; l'auto accostò poco più avanti e lui la raggiunse, sporgendosi dal finestrino abbassato per dirgli il resto “Chissà come avrai gongolato quando ha deciso di approvare la tua idea! Pensi di guadagnarci qualcosa mettendoti in mostra?”
“Penso ad aumentare il giro d'affari con meno rischi e fatica; sono certo che Victor apprezzerebbe anche il tuo contributo, se decidessi di proporre delle idee oltre ad insulti e provocazioni.”
Stavolta Yuri, che forse era stanco e intirizzito o forse sapeva che Otabek in fondo aveva ragione, lo guardò di traverso e scelse di tenere il punto il silenzio.
“Avanti sali.” ribadì paziente l'autista.
Lo sportello scattò e il riluttante passeggero finalmente decise di accomodarsi.
Il resto del viaggio lo trascorse a guardare fisso fuori dal finestrino, in un mutismo offeso che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto pesare sul kazako, facendolo sentire in colpa.
Con Victor funzionava sempre.
Peccato che Otabek fosse lo stoicismo fatto persona e quel silenzio non lo disturbasse affatto.




“Siamo arrivati” annunciò spegnendo il motore.
Il passeggero non sembrava intenzionato a scendere, si limitava a guardare i fiocchi di neve che cadevano copiosi sul parabrezza, fino a ricoprire tutta la superficie con un sottile velo bianco.
“Davvero pensi che Victor apprezzerebbe il mio aiuto?” chiese in un bisbiglio.
“Lui è molto affezionato a te, ti ascolterebbe.”
“Ci si affeziona anche agli animali da compagnia.”
“Mi risulta che il Capo abbia un cane, quindi quel posto è già occupato.”
Yuri si strinse nelle spalle, invece il suo accompagnatore chiuse gli occhi e sospirò, abbandonandosi contro il sedile.
Affrontare certi argomenti era complicato per una persona riservata come lui, lo sarebbe stato con un amico in circostanze normali.
Ma quelle non erano circostanze normali.
E Yura non era solo un amico.
Decise di provare a mettere insieme un discorso convincente e si girò verso di lui, incontrando un paio di occhi verdi, che lo soppesavano attenti, pronti a giudicare ogni sua parola.
E a reagire di conseguenza.
“Dovresti dimostrargli che sei all'altezza di...”
“Victor non mi darà mai un ruolo di responsabilità nei Black Russian...” lo interruppe il giovane, zittendo con un cenno infastidito della mancina l'ovvia e prevedibile obiezione dell'interlocutore “Vuole tenermi nella bambagia.”
“Puoi biasimarlo?”
Le ragioni del Capo era comprensibili; intendeva offrirgli le possibilità che a tutti loro erano mancate; una vita migliore, magari lontano dalla strada del crimine.
Lui avrebbe fatto la stessa cosa.
Tuttavia capiva anche la bramosia di Yuri, nata dalla sua giovinezza, dalla convinzione di essere spietato, feroce e invincibile, come la Tigre a cui i ragazzi, scherzando, lo paragonavano.
“Hah! Sono stanco di essere trattato come un soprammobile, se voleva che crescessi in mezzo a cipria e tulle doveva lasciarmi a New York, da Lilia e Yakov invece di trascinarmi qui!” rispose il ragazzo con foga “E adesso baciami stronzo, è da quando siamo partiti che aspetto che tu lo faccia!”
“Sei ubriaco. Vai in casa e mettiti a letto...”
Otabek provò a controbattere, ma si trovò le mani del biondino strette attorno al bavero del giaccone e le sue labbra che gli marchiavano fameliche il collo e la mandibola, finché soddisfatte non si posarono sulla bocca per soffocare ogni altra obiezione.
A New York saresti stato al sicuro, pensò inebriato dalla sua sfrontatezza e io adesso non rischierei di finire in fondo al fiume con una pietra legata attorno al collo.

“Yura... Yura, smettila subito!”
Spogliarsi dentro una macchina sulla pubblica via, nonostante fosse notte fonda, era una cattiva idea.
Spogliarsi sul marciapiede era perfino peggio.
“Hai detto che devo mettermi a letto, mi preparo per andare a dormire...” lo provocò l'interpellato, lasciando cadere nella neve il cappotto e la giacca dello smoking.
Quando accennò a slacciare i pantaloni il kazako, dopo aver gettato uno sguardo ansioso alle finestre dei vicini, fu costretto a precipitarsi fuori dall'auto; bastava un nottambulo curioso a metterli nei guai.
Yuri si diede alla fuga con un gridolino di finto spavento e si rifugiò nell'ombra dell'androne, dove l'altro lo raggiunse bloccandolo col suo peso contro la porta.
Le delicate decorazioni di vetro istoriato tremarono e produssero un tintinnio di cristalli a cui si sovrappose il pesante ansimare delle due figure che vi erano appoggiate.
Si fronteggiarono in silenzio per un istante, poi il più piccolo sfoderò un sogghigno compiaciuto.
“Allora vieni a rimboccarmi le coperte?”
“Dovrei già essere di ritorno al club, Victor...”
“Victor ne avrà fino all'alba, conosco le sue abitudini.”
“Hai una vaga idea di quanto sia... Pericoloso?”
“Eppure a qualcuno qui piace...”
Yuri rise dell'espressione sconcertata di Otabek, era bastata una carezza leggera alla patta dei calzoni per rivelare la sua eccitazione.



Senza aggiungere altro le due ombre scivolarono all'interno dell'edificio, chiudendosi alle spalle, insieme alla porta, anche i dubbi e le paure del kazako.
Lui non sapeva se a spingere Yuri tra le sue braccia fosse il brivido di sfidare Victor, pura curiosità o il fatto di trovarsi in una situazione ad alto rischio.
Tra loro funzionava così: niente smancerie, nessuna promessa.
Si era proibito di dare a quegli incontri clandestini un contorno romantico; era solo buon sesso, reso più eccitante dall'aura peccaminosa e perversa che aveva nella morale comune.
Prendevano quel che potevano, con la consapevolezza che la fine sarebbe arrivata senza preavviso, perché se non li scopriva il Capo o qualcuno della banda ci avrebbe pensato la polizia, perennemente in guerra contro i contrabbandieri di alcolici.
Infine, se anche fossero scampati a manette e proiettili, c'era la concreta possibilità di scontrarsi con una gang rivale.
Forse era proprio questo mix di passione, pericolo e adrenalina che li spingeva a continuare il gioco d'azzardo col destino.
Otabek non riusciva ad immaginarsi a sessant'anni seduto sotto il portico di casa a prendere il fresco; la gente come lui moriva giovane, col petto crivellato di piombo, abbandonata in qualche fossato a lato della strada.
Eppure a volte, quando la giornata era stata particolarmente buona e la sua vita aveva una parvenza di normalità, non gli sembrava così assurdo immaginare Yura seduto accanto a lui col gatto in braccio.


☼ La voce della trascendenza ☼

Ohmmm... Ohmmm...
Ahm eccomi qui!
Di nuovo.
Ebbene si, complice il contest che mi ha segnalato il solito uccellino (una freccia rossa compare sulla testa di Old Fashioned), mi si è accesa la proverbiale lampadina e ho infilato i nostri beniamini on ice in una storia "criminale" ambientata nella Detroit degli anni Venti, in pieno Proibizionismo.
Quando si pensa a questa parte della storia americana di solito si immagina la Chicago di Al Capone, ma in realtà anche Detroit ha avuto i suoi "bad guys"; nella fattispecie la Purple Gang, formata soprattutto da stranieri, che ha dettato legge per alcuni anni, prima di finire abbastanza male.
I nostri ragazzi russi se la cavano decisamente meglio, ma dovranno fare i conti con la gang rivale e coi conflitti personali, tra le ragioni del cuore e gli affari.
Spero che vorrete salire a bordo della Ford T per questo viaggio nel tempo, dove a compensare il ghiaccio ci sarnno piombo, whisky e dinamite!

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Capitolo 2
*** Capitolo II° ***


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CAPITOLO II

“Dovrete impegnarvi di più per dare fondo alle casse di Champagne mesdames e monsieurs, questo giro lo offre lo Zar del Black Russian!”
Victor sollevò la coppa e dal tavolo gli avventori risposero alzando i calici e il volume delle risate, che si unirono al ruggito dell'orchestra.
L'euforia della serata saliva a galla insieme alle bollicine e alle note del charleston; il compleanno del proprietario era in programma la settimana successiva, però allo speack easy* stavano già festeggiando.
La gang dei russi aveva degli ottimi motivi per farlo, lo stravagante piano suggerito da Otabek era stato un successo ed avevano piazzato un importante carico di alcolici nei loro locali proprio a ridosso delle feste di Natale e Capodanno, praticamente sotto al naso degli asiatici.
“Si staranno ancora domandando come abbiamo fatto...” ipotizzò Georgi. “Pagherei per vedere la faccia del giapponese!”
“Io pagherei per vedere il suo culo.” rispose Christophe “Dicono che sia un bocconcino appetibile.”
“Oh, mi tradiresti per un paio di natiche allevate a riso e pesce crudo?” Victor si palesò di soppiatto dietro di lui e gli appoggiò il gomito sulla spalla ostentando un'aria profondamente offesa.
Tresor, Yuratchka ti sta tradendo per un paio di tette...” fu la risposta serafica dell'interpellato, che indicò con un lieve cenno del mento il ragazzino biondo e Mila al centro della pista, impegnati a dare spettacolo.
Il russo gli dedicò un'occhiata affettuosa e indulgente.
“Adora ballare.”
“Ed essere al centro dell'attenzione.”
“Due cose che abbiamo in comune con te Chris, che ne dici: lo raggiungiamo?”
“Facciamogli vedere di che pasta sono fatti questi vecchietti...” approvò lo svizzero.

Victor non era l'unico a tenere d'occhio Yura, mentre Padre Gosha, ormai ubriaco, cercava un po' di conforto nel decoltè di una cameriera dopo averle rifilato la tristissima storia del suo amore, Otabek sorseggiava con parsimonia lo champagne e lasciava vagare lo sguardo sulla pista da ballo, avendo cura di non soffermarsi con troppa insistenza sullo scalmanato biondino.
Di tanto in tanto sorrideva lasciando trapelare un'espressione compiaciuta, che raramente gli si vedeva sul viso.
Anche lui aveva un motivo speciale per festeggiare, un paio di giorni prima la Dea Bendata aveva deciso di favorirlo mettendo sulla sua strada un camion carico con le chiavi ancora inserite nel cruscotto...

Il giovane kazako conosceva talmente bene vecchio Dodge, che avrebbe potuto rimontarlo a occhi chiusi.
Una volta terminata la revisione del motore alzò lo sguardo sull'orologio a parete dell'officina e si accorse che erano appena le dieci.
Occuparsi dei mezzi della banda, mantenerli efficienti e ripararli dopo le loro spericolate scorribande era un lavoro a tempo pieno; perciò avere una mezza mattina libera era un lusso inaspettato e decise di approfittare della giornata di sole per fare due passi in centro.
Girovagò senza una meta precisa tra le vetrine addobbate, in cerca di ispirazione.
Victor aveva detto di non volere regali di compleanno dai suoi amici e collaboratori, tuttavia era il Capo e presentarsi a mani vuote alla festa sarebbe stato estremamente scortese.
Purtroppo sapeva che i gusti del russo erano costosi e questo complicava la ricerca, mettendo a dura prova le sue tasche.
Gli affari coi Black Russian non andavano male, ma parte dei guadagni prendeva la strada del Kazakistan dove viveva ancora la sua famiglia, che, coi recenti sconvolgimenti politici in Russia, se la passava perfino peggio di quando a comandare erano i Romanov.
Sognava di portare in America i genitori e i fratelli, di farli vivere in una casa degna di questo nome e di regalare a sua madre una cucina moderna.
Però doveva fare i conti con la realtà.
Nemmeno spaccandosi la schiena in officina o inondando di birra e whisky Detroit ci sarebbe riuscito.
Serviva un colpo di fortuna e Otabek riteneva di aver esaurito la sua dopo aver incontrato Victor Nikiforov, che gli aveva dato un lavoro, un tetto sulla testa e (in maniera inconsapevole) un amante.
Il Fato aveva finito le cartucce a disposizione e lui, da persona prudente, aveva capito che era meglio non tentarlo.
O almeno lo pensò finché non vide parcheggiato sull'altro lato della strada un grosso furgone Ford T Delivery, col cassone chiuso.
La leziosa pubblicità di una crema di bellezza dipinta sulle fiancate non lo trasse in inganno; il pianale ribassato indicava che il mezzo era destinato a carichi ben più pesanti di qualche scatola di cosmetici e la conferma venne quando riconobbe nel ragazzino, che stazionava nella drogheria di fronte, il pivello degli asiatici.
Continuò a osservarlo, mentre attraversava la strada un po' più avanti; il pivello stava scegliendo le caramelle dai vasi di vetro esposti sul bancone e, a giudicare dall'espressione rassegnata del commerciante, doveva essere un'operazione piuttosto impegnativa.
Otabek, passando davanti al furgone, rallentò, abbassò la tesa del berretto sul volto e alzò il bavero del giubbotto, ma invece di proseguire, con un rapido dietro front, raggiunse il lato del guidatore, aprì la portiera e saltò su.
Dal retrovisore inquadrò il ragazzino che si precipitava fuori dal negozio e lo rincorreva urlando; colse qualche minaccia e delle suppliche, poi il furgone guadagnò terreno e il pivello divenne un piccolo puntino sulla linea dell'orizzonte.
Sicuramente avrebbe dovuto dare un bel po' di spiegazioni al suo capo e quasi gli dispiaceva per lui; la malavita asiatica era un'organizzazione spietata, però non si affidava ad un moccioso ingenuo un carico così importante senza affiancargli una persona esperta.
Evitò di tornare in officina, era troppo alto il rischio che Georgi o Victor lo notassero.
Guidò con prudenza fino al suo appartamento e infilò il Ford T nella sgangherata rimessa che il proprietario gli aveva concesso come deposito, in cambio di qualche lavoretto di manutenzione sulla sua auto.
Solo dopo aver abbassato la serranda si arrischiò ad aprire il portellone, scoprendo quanti soldi poteva guadagnare in meno di due minuti, il tempo necessario a salire sul camion e darsi alla fuga.


Magari non era diventato ricco e quello che aveva fatto tecnicamente si chiamava “furto”; tuttavia nemmeno i proprietari del furgone erano benefattori dell'umanità.
Il mezzo era stipato di whisky scozzese d'importazione, che dopo aver attraversato l'oceano scendeva dal Canada per dissetare gli americani in barba al Proibizionismo.
Non aveva avuto problemi a piazzare la merce, gli era bastato uscire verso i sobborghi cittadini, dove la rete dei russi e degli asiatici non arrivava.
Il suo sguardo inquadrò Yura, in gara contro Victor e Chris e sorrise di nuovo; i soldi che aveva guadagnato in quella fortunata circostanza non sarebbero bastati a portare in America la sua famiglia, però poteva fare un bel regalo di Natale al giovane russo, qualcosa che lo lasciasse senza parole e gli dimostrasse che lo Zar non era l'unico in grado di mantenerlo nel lusso.



“Guarda che non ho voglia di passare il resto della serata a tenerti la fronte, mentre rimetti l'anima.”
“Bene, allora gira la testa da un'altra parte.”
Otabek emise un lieve sospiro; di solito evitava di farsi coinvolgere nelle bravate di Yura, ma con Victor costretto a fare da anfitrione e ad accogliere gli ospiti della festa, Mila avvinghiata ad aitante giocatore di football seduto al bancone del bar e Georgi fuori combattimento, che dormiva a faccia in giù sul divanetto di velluto, lui era l'unico in grado di contenere le sue bizze.
Impresa ardua, perché il ragazzino si era già scolato in ordine sparso un paio di Clover Club*, un French 75* e degli assaggi di Bourbon, come testimoniavano i bicchieri vuoti sul tavolo.
Restava il mistero di come ci fosse riuscito nel breve lasso di tempo in cui lui era andato alla toilette.
“Che fai?” chiese il più giovane vedendolo riordinare il tavolo.
“Faccio sparire questa roba prima Victor se ne accorga.”
Yuri alzò le spalle e sbuffò infastidito.
“Si, hai ragione, se ne accorgerà comunque guardandoti in faccia.”
“Hah! Gestisce dei locali che vendono alcolici, poi pretende che venga qui e beva limonata!”
“Probabilmente cerca solo di farti arrivare sano ai ventuno anni.” ribadì serafico il kazako.
L'altro in tutta risposta sbuffò ancora e si alzò, barcollando appena.
“E adesso dove vai?”
“A prendere una boccata d'aria, non voglio vanificare i tuoi sforzi di nascondere le prove del reato...”
Otabek sogghignò divertito “Ti accompagno.”
“Guai a te se lo fai.”
“Prendi il cappotto, è freddo fuori.”
“Si mammina!”

Un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene; nel locale il caldo, il fumo, i profumi aggressivi delle signore e la musica avevano creato una coltre opprimente che gli stringeva la gola.
Nell'uscire allungò la mano verso il guardaroba e pescò a caso una giacca, tanto nessuno sarebbe andato via prima dell'alba.
All'aria gelida della notte il malumore del suo stomaco si placò; Yura espirò il fumo della sigaretta e chiuse gli occhi, beandosi del calore che gli trasmetteva il giubbotto di Otabek.
In un primo momento non ci aveva fatto caso, lo aveva riconosciuto dall'odore; uno strano connubio di benzina, tabacco e acqua di colonia.
Altin aveva una specie di venerazione per quella giacca; tutte le volte che gli aveva chiesto di prestargliela lui aveva risposto picche.
Chissà cosa ci trovava di tanto speciale; l'aveva acquistata usata in un mercatino delle pulci dove vendevano roba militare; la pelle era logora, specie sui gomiti e mancavano un paio di bottoni.
Con quello che guadagnava lavorando per Victor poteva permettersi un cappotto nuovo!

Un leggero tramestio attirò la sua attenzione, adesso era abbastanza lucido da capire che qualcuno si muoveva nell'ombra dei palazzi e stava venendo verso di lui.
“Ehi!” sbraitò “C'è una festa privata stasera, tornate un'altra volta!”
In tutta risposta un grosso gatto randagio schizzò fuori da una catasta di casse di legno, attraversò di corsa il cortile e scomparve nell'oscurità del vicolo.
“Stupida palla di pelo...” bofonchiò il giovane russo, gettando in un angolo il mozzicone di sigaretta.
Subito dopo, con la coda dell'occhio, riuscì a percepire delle sagome scure alle sue spalle, poi tutto si fece nero e, mentre una mano gli tappava la bocca impedendogli di urlare, venne trascinato via a forza.
Ai primi piani alcune finestre illuminate si spensero in fretta, i potenziali testimoni non avevano alcuna intenzione di farlo sapere in giro.



“Dov'è Yura?”
“È uscito un attimo a prendere una boccata d'aria.”
“A fumare una sigaretta e a smaltire la sbronza vorrai dire.”
“C'è anche questa possibilità.”
“Puoi andare a chiamarlo? Stanno per portare la torta e bere a stomaco vuoto è una pessima abitudine.”
Victor e Otabek si scambiarono un sorriso, poi il kazako partì al recupero dell'imprevedibile ragazzino; al Capo non era sfuggito che fumasse di nascosto e non poté fare a meno di chiedersi se si fosse già accorto che loro due avevano una relazione e aspettasse il momento giusto per incastrarli.
Una volta fuori fu costretto ad accantonare le sue riflessioni; lo spiazzo era deserto, lo percorse fino in fondo e imboccò il vicolo che portava su Adam Street, quindi tornò indietro col respiro accorciato da un'ansia crescente, provò a chiamare Yura, con un tono via-via più spazientito, ma il suo nome si perse tra le facciate dei palazzi.
Di lui nessuna traccia.
C'era la concreta possibilità che lo sbruffone fosse svenuto a causa della sbronza quindi controllò accuratamente ogni auto, ogni cassa, ogni angolo buio e dopo l'ennesimo buco nell'acqua provò a chiedere al gorilla all'ingresso.
La guardia gli confermò che era uscito, però non lo aveva visto rientrare; nell'ultima mezzora non era passata anima viva.

“Può essere tornato a casa.”
“A piedi? Alle tre di notte? Senza avvisare nessuno?” Victor, a cui era difficile sentir alzare la voce, imprecò e batté con forza le mani sul tavolo.
Otabek sentì cedere la maschera dell'impassibilità che aveva indossato nel comunicargli la notizia.
“Tresor sai che non è nuovo ai colpi di testa, quante volte doveva essere a scuola e lo abbiamo trovato al parco?” intervenne Chris.
“In fondo ad Adam Street c'è il forno di Kolja...” spiegò Mila “A volte io e Yurotchka andiamo là a prendere la Pastila* appena sfornata. Vado a controllare.”
“Ti accompagno.” si offrì Georgi, ormai sveglio.
“Dividiamoci e cerchiamolo, mi sembra una buona idea.” approvò Victor.
“No cher, tu rimani, nel caso tornasse qui.”
“Se torna giuro che compro collare e guinzaglio e lo lego alla gamba del tavolo!”
“I felini non amano i guinzagli, dovresti saperlo ma vie... Vedrai, non sarà andato troppo lontano.”
“Io prendo la macchina e controllo a casa vostra.” disse Otabek, che si sentiva responsabile di quella scomparsa ed aveva un brutto presentimento a riguardo.



Controllare la casa di Grand Circus Park era stato uno solo scrupolo da parte sua, Yura non era lì, come non era nella caffetteria del parco.
La notte ormai cedeva il passo alla luce fredda del primo mattino e Detroit cominciava a risvegliarsi dal sogno natalizio popolandosi di figure frettolose, che si recavano al lavoro.
Il kazako accostò, spense il motore e appoggiò la fronte sul volante esalando un profondo sospiro, poi alzò lo sguardo e inquadrò la facciata elaborata e le luci del Princess Theatre; da lì cominciava il territorio dei Red Lotus.
La gang asiatica era l'unica spiegazione che riusciva a darsi per la scomparsa di Yura; in qualche modo avevano collegato il furto del camion ai Black Russian e avevano preso lui, perché era l'unico a portata di mano.
Avrebbero cercato di farlo parlare o si sarebbero limitati ad ammazzarlo per dare l'esempio?
Poteva essere già morto, mentre lui era lì a lambiccarsi il cervello in cerca di una spiegazione.
Non sapeva l'esatta ubicazione del loro quartier generale, però scendere e mettersi a perlustrare i dintorni era troppo azzardato; la lavanderia accanto al teatro aveva appena alzato la serranda e gli parve che le due dipendenti lo fissassero con troppa insistenza.
Aveva bisogno di schiarire le idee, cercò nella tasca il portasigarette e fu allora che si accorse di non aver preso il giaccone al guardaroba.
Fece mente locale: non l'aveva preso, perché non c'era, invece ricordava bene il cappotto col vistoso collo di pelliccia del giovane russo.


☼ La voce della trascendenza ☼

Carissimi, sprezzante del pericolo eccomi a postare il secondo capitolo di questa gangster story di Venerdì 13!
Avrei preferito procrastinare, ma gentilmente mi hanno avvisato che il regolamento dei contest è cambiato di recente e che i capitoli di una storia in concorso devono essere online entro quindici giorni.
Perciò entro questa Domenica avrete la possibilità di scoprire che ne è stato di Yura, cosa s'inventerà Otabek per poterlo salvare e soprattutto come reagirà Victor a sapere del fattaccio e del tradimento (ma siamo proprio sicuri che ignorasse tutto? u.u hummm...).
Nel frattempo ringrazio chi legge e preferisce il mio delirio Criminal e vi rimando a domani per il seguito!

NOTE – Traduzioni
Speak Easy: locale clandestino in cui, durante l'epoca del Proibizionismo, si vendevano alcolici, non di rado c'era anche un orchestra e la possibilità di ballare e divertirsi.
Clover Club e French 75: nomi di classici cocktails in voga all'epoca.
Pastila: tipico dolce russo a base di mele

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Capitolo 3
*** Capitolo III° ***


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CAPITOLO III

“Ti senti tanto forte con quell'affare in mano? Slegami e ti faccio vedere dove puoi infilare la tua lima per unghie troppo cresciuta!”
“Per il tuo bene... Io non lo farei innervosire.”
“Perché? Credi che abbia paura di due fottuti musi gialli?”
Le cose erano precipitate in fretta quando Yuri aveva realizzato chi erano i suoi rapitori; inoltre il rude trattamento a base di strattoni, calci e spintoni subito durante il viaggio, non lo aveva reso incline alla trattativa e alla diplomazia.
Lungi dal chiedere il motivo del suo sequestro, provando magari a negoziare un riscatto (come avrebbe fatto una persona ragionevolmente attaccata alla pelle), il russo era partito a testa bassa vomitando sui suoi carcerieri tutto il vocabolario di insulti appreso nell'ambiente della malavita e qualche espressione originale, suggerita dalla sua fantasia.
“Guang Hong ricordami perché non possiamo sgozzarlo e buttarlo nel fiume...” chiese il ragazzo che teneva la punta della lama all'altezza della gola del prigioniero.
Quella che Yuri aveva definito in maniera sbrigativa una “lima per unghie” era in realtà una geom, una spada coreana di rispettabile lunghezza e sicuramente molto affilata.
“Il capo ha preso tempo, gli servono delle informazioni.” rispose l'altro, un soggetto dall'aria timida e buona, che sembrava essere capitato per caso nel posto sbagliato.
“Allora sarà divertente...” l'espressione impenetrabile dello spadaccino si aprì in un ghigno diabolico.
Subito dopo qualcuno entrò nella stanza in cui lo avevano relegato e Yuri si preparò al peggio.
Nonostante minacciasse e inveisse era ben consapevole della gravità delle circostanze.
I Black Russian e i Red Lotus erano gang rivali con gli stessi interessi, come predatori in competizione su un territorio ristretto, dovevano eliminare la concorrenza per garantirsi un giro d'affari più ampio e avevano deciso di cominciare con l'anello debole della catena.

“È lui?”
La domanda, formulata in tono autoritario e sbrigativo dal nuovo arrivato costrinse il prigioniero a guardarlo, mentre i suoi guardiani si piegavano in un inchino rispettoso, una forma di saluto comune nei paesi asiatici.
A parte la sottile montatura dorata degli occhiali, non c'era niente di rimarchevole in quel mangiariso; giovane, ma di età indefinibile, con gli occhi a mandorla, i capelli neri e i lineamenti arrotondati, che rendevano gli orientali tutti uguali tra loro.
Aveva però una specie di autorevolezza nello sguardo e un atteggiamento sicuro, sufficiente ad intimidire i suoi scagnozzi e Yuri ne dedusse che era il loro Capo.
“È russo.” fu la laconica risposta dello spadaccino.
“Aveva il giaccone descritto da Minami.” precisò il moccioso gentile.
Sul viso dell'uomo comparve qualcosa che Yuri identificò come disappunto, sembrava scontento; anche i due tirapiedi lo avevano capito e si scambiavano occhiate nervose.
Il mangiariso fece un cenno con la mancina e una figura, che fino a quel momento era rimasta nascosta alle sue spalle, si rivelò.
Un altro moccioso, pensò Yuri fissandolo torvo, tanto che l'interessato ebbe un attimo di esitazione e il Capo fu costretto a ripetere l'invito ad avvicinarsi.
“Lo riconosci?” chiese indicando il prigioniero.
“Ecco io... io...” pigolò l'interpellato rimpallando lo sguardo tra Yuri e gli altri, quasi potessero aiutarlo a rispondere “Mi sembra proprio il giubbotto che ho visto...”
“Ti sembra o ne sei sicuro?”
“L'ho visto solo per un attimo... Ma potrebbe essere lui, si!”
“Ehi! Di cosa stai parlando mangiacaccole!”



Nessuno si aspettava la violenta irruzione dell'ostaggio nel discorso e Yuri ci guadagnò una razione supplementare di calci, che lo fecero cadere sul fianco.
Il capo aspettò pazientemente che esaurisse la scorta di offese, poi si accoccolò sui talloni e dopo averlo studiato in silenzio alcuni istanti disse: “Ti illustro la situazione Roshia boketan*: sei nei guai.”
“Grazie al cazzo, fin lì ci arrivavo da solo!”
Stavolta il calcio fu assestato con diabolica precisione nelle reni e produsse una fitta così acuta da togliergli il respiro.
“Seung Gil il nostro ospite ci serve vivo, al momento.” il mangiariso con gli occhiali riprese lo scagnozzo in maniera piuttosto
blanda, poi tornò al suo discorso “Ora hai compreso la tua posizione; migliorarla dipende solo dalla tua volontà di collaborare. Perciò ti rivolgerò una domanda chiara, impossibile da fraintendere anche per un baka gaijin* come te: dov'è il carico di whisky scozzese che ci hai rubato quattro giorni fa su Monroe Avenue?”
L'interpellato aprì la bocca per dare fiato ad un'altra sfilza di imprecazioni, tuttavia un’idea lo trattenne: dalle sue parole dipendeva morire subito di una morte violenta e dolorosa o procrastinare la dipartita, sperando che nel frattempo Victor e il resto della gang si fossero messi sulle sue tracce.
In mezzo c'erano dozzine di variabili, compreso l'essere torturato da quella specie di maniaco con la spada per estorcergli una verità che comunque non possedeva.
“Su quali basi affermi che sono io ad averti rubato il whisky?” replicò cercando di mantenere la calma nonostante il dolore delle percosse e la rabbia.
Il capo prese atto con soddisfazione del suo cambiamento di tono e indicò il moccioso dietro di lui “Ha riconosciuto il tuo giubbotto.”
“Hai una vaga idea di quanti ragazzi indossino questo tipo di giacca militare?”
Yuri tacque e socchiuse le palpebre aspettandosi un altro calcio, che invece non arrivò; al contrario l'asiatico gli dedicò un sorriso accondiscendente e disse “Tuttavia soltanto uno porta ricamato sulla schiena un cappello a cilindro inscritto in un cerchio.”
Cazzo Otabek, cos'hai combinato? Pensò.
Al primo pensiero se ne accavallò subito un altro: trattandosi del kazako non c'era modo di recuperare la refurtiva, sapeva come lavorava Altin: una volta in possesso della merce l’avrebbe fatta sparire in un paio di giorni, tramite i suoi agganci.
Questo portò ad un'immediata conclusione: senza l'alcol era impossibile trattare con gli asiatici, lo avrebbero ammazzato come un cane mandando un souvenir a Victor insieme ad un biglietto di condoglianze.
Tanto valeva togliersi qualche soddisfazione.
“Lungi da me mancare di rispetto alla tua ospitalità, però... Devo proprio dirtelo: se ti fai soffiare sotto al naso un carico di whisky dal primo che passa, puoi chiudere bottega e cambiare mestiere stronzo mangiariso!”.
Com'era prevedibile le sue parole provocarono l'immediata reazione degli scagnozzi, anche di quel tontolo dall'aria gentile, che per essere una mezza calzetta, tirava dei calci fortissimi; il pestaggio continuò fino all'ingresso di un nuovo personaggio, che al vedere il biondino a terra, sanguinante e malconcio si mise le mani nei capelli e urlò “Fermi! Fermi!”
Il Capo sembrava aspettare il suo arrivo, diede ai due sottoposti l'ordine di fermarsi, prese l'ultimo arrivato per un braccio e si allontanò con lui confabulando sottovoce.
“Dimmi che hai le informazioni che ti ho chiesto Pichit-kun, perché ammazzare di botte un ragazzino mi disturba abbastanza.”
“Ah, Yuuri Katsuki si ricorda di avere un cuore?” rispose l'interpellato sfoderando un largo sorriso.
“Mi reputo migliore delle bestie russe, inoltre spero ancora di recuperare il carico di whisky.”
“Allora rallegrati amico mio! Hai per le mani qualcosa di più prezioso del liquore scozzese!” esclamò gongolando il suo interlocutore.
“Spiegati meglio.” l'altro non comprendeva il motivo del suo entusiasmo. “Devi sapere che i nostri hanno pescato un bel pesciolino stavolta...” iniziò Phichit prendendola alla lontana “Stando a quanto dice il mio infiltrato al Black Russian quello sul pavimento è il cocco di Nikiforov!”
I due asiatici si girarono verso Yuri ancora steso a terra, che li fissava in cagnesco con l'occhio non tumefatto.
“Questo cambia le cose.” concluse il giapponese.
“È sicuro! Lo Zar ha un debole per lui, al locale lo sanno tutti, pensa cosa potresti ottenere in cambio della sua restituzione!”
Phichit vide le sue palpebre abbassarsi e le labbra piegarsi in un sorriso, come se l'idea di avere a che fare col russo gli procurasse piacere.
Aveva capito che si conoscevano e c'era della ruggine tra loro, ma su quegli eventi regnava un fitto mistero, perché Yuuri eludeva le sue domande con l'agilità della lepre in fuga dai cacciatori.

Quando terminarono di parlare tornarono dagli altri e il Capo chiese la spada al coreano, che gliela consegnò quasi di malavoglia.
Yuri non aveva più aperto bocca, un po' perché gli mancavano le forze per farlo, un po' perché aveva capito che ogni scusa era buona per accanirsi su di lui.
“Allora, sembra che io non sia l'unico ad aver perso qualcosa d'importante.” Yuuri fece una lunga pausa calcolata, poi proseguì “Nikiforov sama ha smarrito il suo animaletto da compagnia.”
Il giovane russo, con la mente annebbiata dalle percosse, impiegò un attimo a realizzare che non si stava riferendo a Makkachin, il cane di Vitya, bensì a lui.
“Victor ti farà il culo a strisce se solo ti azzarderai a toccarmi brutto stronzo!” abbaiò rabbioso.
“Quindi gli piacciono i cuccioli selvatici.” il giapponese in tutta risposta conficcò la lama nel pavimento ad un palmo dal viso del ragazzo, che si ritrasse d'istinto “Tranquillo Hiyoko chan* non è mia intenzione rovinare questo bel faccino, voglio solo mandare un messaggio a quell'idiota del tuo Capo...“



Il club, coi rimasugli della festa, i coriandoli e le stelle filanti ammucchiati negli angoli, i le bottiglie vuote e gli avanzi della grande torta sul tavolo, aveva l'aria desolata di un posto abbandonato in fretta e furia dai suoi occupanti.
Congedati gli ultimi invitati all'alba Victor era rimasto ad aspettare notizie di Yura e più passavano le ore, più montavano rabbia e inquietudine, che alle tre del pomeriggio erano ormai sul punto di traboccare.
Nei confronti del giovane aveva più del tenero affetto di un amante o di un fratello maggiore, c'era un senso di responsabilità che non si esauriva a Yakov e Lilia, ma si estendeva all'altro capo del mondo, in Russia, dove viveva suo nonno, che aveva accettato di separarsi dal nipote solo per non farlo morire di fame...

Di sera la stazione Kiyevskaya risplendeva di luci e marmi pregiati, come una sala da ballo, ma Vitya era troppo stanco per costruire paragoni poetici, voleva salire subito sul treno e lasciarsi cullare dal morbido dondolio dei vagoni fino ad addormentarsi, il viaggio fino a Vienna era lungo, poi lo aspettavano Parigi e Marsiglia.
Infine il luogo più lontano in assoluto: l'America, oltre l'oceano.
Significava imbarcarsi su un piroscafo e lui non stava nella pelle, voleva essere già al porto, sulla passerella della nave, pronta a partire verso quella terra favolosa dove tutto sembrava possibile.
Invece Yakov temporeggiava, faceva avanti e indietro lungo la pensilina, occhieggiava verso l'atrio, stava chiaramente aspettando qualcuno.
Anche Lilia era nervosa; il ragazzo aveva imparato che le pieghe del suo viso raccontavano molto più di quanto non dicesse a voce. “Il treno non ci aspetta....” le fece notare con discrezione.
La donna stirò le labbra in una smorfia di fastidio, poi gli indicò le valigie ammonticchiate “Allora mettiti avanti col lavoro, comincia a portarle sul treno.”
“Oui tantine!*” cinguettò Victor ben sapendo che il diminutivo affettuoso avrebbe accentuato l'espressione contrariata della ballerina. La lunga turnée giustificava la quantità di bagagli al seguito, ma in realtà il loro numero rimaneva sempre uguale, anche quando Madame Baranovskaja si spostava da Mosca a San Pietroburgo.
Considerando che era un viaggio di sola andata, pensò Victor caricando l'ennesima cappelliera, era fin troppo esiguo.

Gli zii non avevano preso la decisione a cuor leggero.
Yakov, impresario e marito della talentuosa etoile, sempre a contatto col bel mondo moscovita dei politici e degli uomini d'affari, aveva avuto il sentore che il declino dell'Impero russo, già in atto da alcuni anni, sarebbe degenerato presto o tardi in una guerra civile.
Allora, da persona prudente, aveva considerato che era meglio vivere quella crisi come emigrati di lusso piuttosto che da possibili vittime di un cambio di regime.
Quindi aveva fatto in modo di mettere quanta più distanza possibile tra il traballante destino dei Romanoff e ciò che rimaneva della sua famiglia.
New York gli era sembrata un buon compromesso.
A Victor non dispiaceva lasciarsi alle spalle una vita che odorava di polvere e muffa; poteva cominciare a soffrire di nostalgia una volta esaurito l'entusiasmo per il nuovo mondo.

Il triplice fischio della locomotiva lo svegliò all'improvviso dalle sue riflessioni, aprì il finestrino dello scompartimento e si affacciò preoccupato.
“Zia! Stiamo partendo!”
“Yakov!” Lilia a sua volta sollecitò il marito, che dopo un'ultima occhiata all'atrio si rassegnò a raggiungerli al binario.
Stava per salire sul predellino quando il suo nome gridato all'inizio della pensilina gli intimò di fermarsi e aspettare; una figura avanzava tra la folla e i facchini, trascinando insieme una grossa valigia e un bimbetto piuttosto riluttante, insaccato in un cappotto troppo largo per lui.
“Pensavo che avessi cambiato idea.” lo apostrofò Yakov, mentre Lilia prendeva in consegna bagaglio e moccioso.
L'uomo scosse il capo.
“Se viene con voi una possibilità almeno ce l'ha. Non voglio che vada in fabbrica o nell'esercito a farsi ammazzare per quei porci dei Romanoff.”
Nikolaj Plisetsky non era un realista e nemmeno uno di quei sovversivi socialisti, che andavano per le fabbriche incitando gli operai allo sciopero.
Era un uomo anziano, con un nipote che senza di lui sarebbe finito in orfanotrofio.
Preferiva saperlo vivo in America insieme a due persone fidate, anche se questo significava molto probabilmente non rivederlo più.
“Comportati bene Yuratchka.”
Il suo saluto fu sbrigativo, come la ruvida carezza con cui si congedò dal bambino; dire di più, attardarsi in spiegazioni lo avrebbe spinto a cambiare idea e non poteva permettersi questa opzione.
La scena avvenne sotto lo sguardo di Victor, sconcertato dall'atteggiamento del piccolo, che aveva visto il nonno andare via senza versare una lacrima.
“Vitya, questo è Yuri...” Lilia lo introdusse poco dopo nello scompartimento, mentre Yakov si occupava di sistemare i bagagli “Da oggi vivrà con noi, vorrei che lo considerassi come un fratello e che faceste presto amicizia.”
“Certo zia!” trillò entusiasta, lui era un maestro ad accattivarsi le simpatie delle persone, gli veniva naturale, conquistare il nanerottolo sarebbe stata una passeggiata.
“Io sono Victor, ma puoi chiamarmi Vitya!” esclamò porgendogli la mano e uno smagliante sorriso a forma di cuore.
Il moccioso guardò con la medesima espressione corrucciata il fratello acquisito e la mano tesa, poi, a tradimento, gliela azzannò, facendo precipitare tutto il vagone nel caos.




Victor accarezzò la cicatrice, un piccolo arco pallido tra pollice e indice e sorrise.
Le grandi storie iniziano spesso in maniera rocambolesca e Yura crescendo aveva fatto in modo di essere all'altezza di quella premessa, combinandone di tutti i colori.
Sparire di punto in bianco era una delle sue specialità; all'inizio aveva valutato le ipotesi più plausibili: dall'incidente all'incontro con una ronda della polizia; poi dopo ore passate senza notizie era stato costretto a considerare lo scenario peggiore: un rapimento.
Da parte di chi?
C'era l'imbarazzo della scelta: nel suo ambiente gli sgarbi e i nemici si accumulavano come i calzini nel cesto della biancheria sporca.
“Victor!”
L'esclamazione allarmata annunciò il ritorno di Christophe, ma fu soprattutto la mancanza dei soliti diminutivi leziosi a convincerlo che doveva prestargli attenzione.
“Novità?” il russo lo chiese col tono stanco di chi aveva già formulato troppe volte la stessa domanda.
“Devi dircelo tu, ho trovato questa infilata sotto la porta del club!” rispose lo svizzero porgendogli una semplice busta bianca su cui era scritto solo To Mr Nikiforov.
Intanto alla spicciolata erano tornati Mila, Georgi e Otabek e si erano avvicinati in silenzio, in attesa che il destinatario aprisse la missiva.
La busta mostrava un leggero rigonfiamento, troppo piccolo per contenere un dito o un orecchio, pensò Victor sollevato; ciononostante l'aprì con le mani che gli tremavano.
Insieme al messaggio uscì una ciocca di capelli biondi, arrotolata e tenuta ferma da uno spago; nessuno dei presenti aveva ragione di dubitare che quei capelli fossero di Yura.

Pregevole Nikiforov sama, il contenuto nella busta è un piccolo anticipo.
Se non vuole che il suo pupillo le venga restituito un pezzo alla volta, la pregherei di farsi trovare domani sera alle venti e trenta presso l''ingresso della galleria superiore dell'Opera House*.
Porti un suo uomo di fiducia, sono certo che abbiamo molti argomenti di cui discutere.
Devotamente suo Y.K.


La lettera venne fatta girare tra i componenti della gang e quando toccò a Otabek leggerla impallidì.
“I Red Lotus?” mormorò Mila indignata “Si mettono a sequestrare i ragazzini adesso?”
“Vogliono qualcosa, è chiaro.” convenne Georgi.
“Già e si sono premurati di avere l'attenzione di Victor.”
Cristophe rivolse un'occhiata inquieta all'interessato, il suo silenzio lo preoccupava più di quando alzava la voce.
“Come ci muoviamo mon amì?”
“Non mettere via lo smoking Chris, domani sera andiamo all'Opera.” fu la concisa risposta.
Impartì alcune brevi istruzioni ai presenti e li congedò, tuttavia Otabek rimase, aspettando pazientemente che anche lo svizzero si allontanasse.
“Qualcosa non ti è chiara?” chiese Victor ormai esausto.
“No. È tutto chiaro.”
“Quindi?”
Il giovane kazako esitò un momento, poi disse a bassa voce “So cosa vogliono i Red Lotus e perché hanno preso Yura.”


☼ La voce della trascendenza ☼

Come c'era da immaginarsi Yura ha reagito malissimo al suo sequestro e ha rimediato una quantità indefinita di maltrattamenti da parte dei suoi carcerieri.
Poteva finire molto peggio se Santo Phichit (santo subito!) non fosse arrivato portando alcune informazioni che hanno fatto tornare il sorriso a Yuuri.
Victor intanto, in preda all'angoscia ripensa al momento in cui ha conosciuto il demonietto biondo.
E alla fine Otabek è costretto ad affrontare il capo. Preparatevi perché le sorprese non sono finite; alcune rivelazioni "scottanti" ci aspettano nell'ultimo capitolo, dove qualcuno uscirà di scena in modo drammatico! Ma in certi casi tutto il male viene per nuocere.
Restate a bordo della Ford T per l'ultima tappa del viaggio! ^-^

PS: piccola curiosità: i nomi delle gang: Black Russian e Red Lotus sono ispirati a due cocktails, che s'intonano perfettamente col tema del Proibizionismo ^^ Come sempre ringrazio Old Fashioned e la sua notevole cultura mixologica per le info e le delucidazioni in materia ^^

NOTE – Traduzioni
Tantine: zietta in francese
Hiyoko chan: dal giapponese, piccolo pulcino
Roshia boketan: dal giapponese, idiota d'un russo
Baka gaijin: dal giapponese, stupido straniero

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Capitolo 4
*** Capitolo IV° ***


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CAPITOLO IV

La sera successiva la Detroit Opera House era gremita di pubblico, c'era un concerto di musica classica, ma Victor aveva altro per la testa che mettersi a guardare il programma della stagione teatrale.
“Eccoli.” Christophe gli toccò la spalla e gli indicò una coppia di personaggi ferma a lato dell'ingresso alla galleria Il suo accompagnatore serrò le labbra in una smorfia di fastidio e annuì; non era il giovanotto con la pelle abbronzata ad interessargli, bensì quello con gli occhiali, vestito di un inappuntabile smoking, indossato con elegante noncuranza.
Nello stesso momento i due si accorsero di loro e si avvicinarono.
“Mr Nikiforov è di una puntualità squisita, lo apprezzo molto.”
“Abbiamo un incontro di lavoro, dove preferisce discuterne signor Katsuki?”
Victor aveva deciso di saltare tutti i preamboli andando dritto al sodo, c'era la vita di Yura in ballo, non avrebbe compiaciuto il mangiariso con inutili smancerie.
“Un vero uomo d'affari. Ho riservato un palco solo per noi due; Phichit farà compagnia al suo amico al ridotto del teatro, servono degli ottimi cocktails.”
“Ah, io a quest'ora bevo solo champagne.” dichiarò Christophe “Alors mon amì, andiamo a veder se c'è del Dom Perignon in fresco?”
“Faccia strada monsieur!” esclamò allegro il thailandese, che nel congedarsi incrociò lo sguardo di Yuuri e vi riconobbe una vecchia amica: l'ansia.
Scambiò con lui un breve cenno d'intesa come a rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene, poi si allontanò in compagnia del ciarliero uomo biondo.

“So cosa vogliono i Red Lotus e perché hanno preso Yura.”
“Parla chiaro.”
Sotto lo sguardo inquisitorio del Capo Otabek perse quel poco di sicurezza che ancora gli rimaneva e provò a mettere insieme una risposta soddisfacente, che non comportasse la sua immediata eliminazione fisica.
Gli aveva raccontato dell'improvviso “colpo di fortuna” e di come fosse riuscito a piazzare il carico di whisky usando certe conoscenze in periferia.
Azzardò anche un'ipotesi abbastanza verosimile sul rapimento: il pivello dei Red Lotus aveva visto un tizio di spalle, con un giubbotto da aviatore e Yura lo aveva indossato la sera prima quando era uscito a fumare.
Gli asiatici avevano fatto due più due e avevano catturato il primo russo che corrispondeva grosso modo alla descrizione.
L'unica cosa che aveva trattenuto Victor dal prendere il suo sottoposto e offrirlo alla gang dei musi gialli in un bel pacco regalo, era la consapevolezza che non sarebbe servito a niente.
Loro avevano già un membro dei Black Russian, non importava che il colpevole del furto fosse qualcun altro; rappresentava comunque una seccatura in meno.


“Il tuo carico è già stato piazzato. Posso rifonderti merce di pari valore o del valore che riterrai opportuno a risarcire il danno.”
Nell'aria si stavano diffondendo le note dei Concerti Brandemburghesi di Bach e Victor era costretto a bisbigliare pur trovandosi accanto al suo vicino; nella penombra riusciva a cogliere il riflesso dorato delle lenti e dietro ad esse la mandorla allungata dei suoi occhi.
“Mi offri della volgare merce per riscattare il tuo prezioso protegé?”
Il tono ironico del giapponese lo fece fremere di rabbia.
“Il suo peso in oro ti suonerebbe meglio?”
“Chi ti dice che io sia interessato ai beni materiali?”
“Che cosa vuoi Yuuri?” sibilò il russo stringendo i pugni “L'anno scorso ti avevo proposto di lavorare in società e tu hai rifiutato!”
“La tua offerta era inaccettabile.” rispose l'altro risentito “Trenta e Settanta non è una divisione equa, è un disonorevole ricatto!”
“Sono stato realista; la vostra fetta di mercato è piccola, limitata perlopiù ad asiatici e italiani, i Black Russian gestiscono i locali frequentati dagli americani.”
“Quindi pensavi che regalarmi le briciole dopo avermi portato a letto sarebbe bastato!”
Il sussurro era appena percettibile, ma tagliente come una lama e Victor si irrigidì.
“Quello non c'entrava niente con gli affari. E ti ricordo che sei stato tu a sparire il mattino dopo.”
“È stata la scelta giusta, a quanto pare preferisci la carne giovane...”
“Yura è un fatto personale allora! Una vendetta nei miei confronti!” a quel punto si girò a fronteggiarlo e incontrò il sorriso sornione del giapponese.
“È capitato al momento giusto, noi orientali lo definiamo Karma.”
“Dovevi lasciarlo fuori dalle nostre questioni!” un mormorio infastidito dal palco attiguo lo convinse ad abbassare il tono di voce “Immaginavo che non saresti venuto a patti facilmente, ecco perché c'era un piano di riserva; in questo momento i miei ragazzi stanno andando a liberarlo. Sappiamo dov'è il vostro magazzino; è l'unico posto dove potreste tenerlo senza destare sospetti.”
Yuuri non si scompose.
“I tuoi ragazzi stanno per fare una brutta fine Nikiforov sama” rispose ironico “Davvero hai pensato che non ci fossimo preparati ad una vostra sortita? Salteranno in aria come birilli e sarà tutta colpa tua.”
“Può darsi che anche qualcuno dei tuoi ci resti secco! Georgi ha la dinamite e stai sicuro che la userà.”ribatté Victor alzandosi in fretta, senza badare ai rimproveri che venivano dai palchi vicini. Yuuri lo imitò.
“Sei pazzo come un fottuto russo Nikiforv sama!”
“E tu sei pieno di sorprese per essere un fottuto mangiariso!”
I due uscirono in fretta e corsero alla caffetteria, dove Phichit e Christophe, ignari di tutto, chiacchieravano amenamente del campionato di baseball.



“Com'è la situazione?”
“Ho fatto il giro dell'edificio sembra tutto tranquillo, c'è una luce accesa sul retro, ho provato ad affacciarmi, però la finestra è coperta dai giornali.”
Otabek si accucciò vicino a Mila dietro alla barriera formata da un carico di assi da cantiere lasciate a marcire lungo il molo, su cui si affacciavano i doks del porto.
Gli asiatici avevano scelto un posto strategico dove stoccare la merce; quei magazzini erano quasi tutti abbandonati e alcuni cadevano a pezzi, nessuna impresa voleva investire nella loro ricostruzione ed avevano finito per diventare una base ideale di traffici illegali e il rifugio di povere anime derelitte.
“Uno è uscito a fumare, ed è rientrato quasi subito.” riferì la ragazza, che nascondeva i vistosi capelli color di fiamma sotto un basco maschile “Quanti potranno essere?”
“Chi se ne importa, bastano un paio di queste a sistemarli tutti.” s'intromise Georgi mostrando l'interno del pastrano, dove alloggiavano due oggetti allungati di forma cilindrica.
“Santa Madre di Dio Gosha! Metti via quella roba! Hai pensato che potrebbe uccidere anche Yura? Mi chiedo perché Victor ti abbia dato il permesso di portarla!”
“Perché nella peggiore delle ipotesi vuole assicurarsi che dei Red Lotus non resti nemmeno la polvere.”
“Li useremo come ultima risorsa.” propose Otabek e gli altri due convennero.
Nonostante il kazako ostentasse calma e freddezza, dentro di sé era dilaniato da emozioni contrapposte.
Aveva ragione di credere che, indipendentemente dall'esito della sortita, lui non avrebbe rivisto l'alba e forse la cosa migliore che poteva fare quella notte, dopo aver messo in salvo Yura, era morire.
La conversazione con Victor lasciava poco spazio ai dubbi; un paio di velate allusioni gli avevano dimostrato che era a conoscenza della loro relazione.
Nemmeno un Capo accomodante come lui avrebbe tollerato un simile affronto.
“Quanto dobbiamo aspettare ancora?”
Georgi consultò l'orologio “È mezzanotte passata. Lo spettacolo a teatro è sarà finito da un pezzo ormai.”
“Gli accordi erano di attendere fino a mezzanotte, dobbiamo muoverci.”
Tre sagome scure uscirono dal nascondiglio, s'infilarono nell'ombra del magazzino e da lì proseguirono rasente muro fino a raggiungere l'ingresso.
Georgi tentò la porticina del passaggio pedonale e questa cedette subito, aprendosi senza fare rumore.
“Puzza di trappola lontano un miglio.” mormorò.
Tutti e tre misero mano alle pistole, Otabek scivolò all'interno per primo, dentro era buio pesto o almeno così gli sembrò finché i suoi occhi si adattarono intercettando un debole chiarore sul pavimento e in quel riflesso scintillò il luccichio metallico di una lama.
Schivò il fendente di puro istinto e fece fuoco; il lampo della detonazione illuminò l'ambiente e gli permise di vedere il suo contendente che si rialzava deciso a tornare alla carica; lo aveva ferito, perché con la mano sinistra premeva sul fianco, ma non abbastanza gravemente.
Al primo sparo ne seguirono altri in rapida successione, ormai era scontro aperto, anche se tutti sparavano alla cieca; il kazako sentiva le pallottole fischiargli attorno e non riusciva a prendere la mira, lo spadaccino lo incalzava costringendolo a retrocedere.
Mila e Georgi aveva trovato un riparo di fortuna dietro alcune casse, tuttavia i loro avversari erano in una posizione migliore e li tenevano bloccati.
“Questi bastardi ci stavano aspettando!” ringhiò Padre Gosha frugando con rabbia nel cappotto.



Yura, dall'ufficio in cui lo tenevano rinchiuso, poteva sentire tutto; lo avevano legato e imbavagliato e per quanto si sforzasse i nodi e il bavaglio resistevano, perciò non poteva avvertire i ragazzi della trappola esplosiva che avevano preparato i musi gialli.
Poi senza preavviso un boato assordante scosse il vecchio magazzino dalle fondamenta, le pareti tremarono come fogli di carta e al prigioniero piovve in testa una nuvola di polvere e detriti.
Appena poté guardò in alto: i primi barbagli di un incendio illuminavano il soffitto impregnando l'aria di un fumo denso e acre, mentre le travi del tetto si erano inclinate; presto tutta quella roba gli sarebbe rovinata addosso e se per caso fosse scampato al crollo sarebbe di certo morto nell'incendio.
Fuori intanto dopo i primi attimi di sconcerto dovuti all'esplosione lo scontro era ripreso, uno dei Red Lotus, il ragazzino a cui Otabek aveva rubato il carico, giaceva a terra svenuto, il suo compagno lo stava trascinando via coprendo la ritirata con la pistola in pugno e, al contempo, cercava di non farsi uccidere, ma la vera spina ne fianco era lo spadaccino, che aveva abbandonato la spada per una più pratica e moderna arma da fuoco.
“Georgi, Mila! Copritemi le spalle!”.
L'incendio stava montando rapidamente, alimentato dal legno con cui era costruito l'edificio; presto il vecchio magazzino si sarebbe trasformato in un inferno e Yura era ancora intrappolato da qualche parte, doveva trovarlo in fretta.
Mentre il suo avversario fu costretto a ripiegare dietro un pilastro il giovane kazako corse verso il retro; il fumo rendeva difficile orizzontarsi e i cumuli di detriti avevano trasformato la sua avanzata in un percorso ad ostacoli.
“Yura! Dove sei? Rispondimi!”
Ad un certo punto, tra le grida e il crepitare delle fiamme, gli parve di udire dei tonfi ritmici e pesanti, che provenivano da qualche parte davanti a lui.
Avanzò a tentoni fino ad una porta chiusa, su cui si avventò, facendola cedere con una spallata; sul pavimento c'era il ragazzo: ferito, malconcio, ma comunque vivo e Otabek sentì il bisogno di ringraziare un Dio in cui comunque non credeva per questo.
“Ce ne andiamo da qui...” gli disse, dopo averlo liberato dal bavaglio.
Una serie di scricchiolii li avvisarono che il tetto stava per cedere.
“Oh cazzo...” mormorò Yuri spaventato.
Otabek raddoppiò i suoi sforzi e riuscì a sciogliere le corde.
“Ce la fai a camminare?” chiese dopo averlo rimesso in piedi alla meglio.
“Ho anche la forza di prenderti a calci nel culo dopo il casino che hai combinato coi...”la replica rabbiosa del ragazzo si spense nella bocca dell'altro; dopo un lungo istante di sconcerto si rese conto che lo aveva baciato e che lo stava allontanando, con tutta la forza che aveva.
“Allora comincia a correre e non fermarti!”

Yuri compì alcuni passi a ritroso, spinto dall'inerzia, incespicò e cadde all'indietro rotolando tra spezzoni di legno in fiamme e lamiere contorte, si sentì abbrancare alla vita e trascinare indietro e mentre tentava di divincolarsi, sordo alle urla di Georgi, che gli intimava di non fare pazzie, vide il resto del tetto crollare e seppellire lo stanzino in cui era stato segregato.
Otabek non era uscito.
Georgi e Mila lo tirarono fuori a forza; all'esterno l'aria era umida e meno soffocante, carica degli odori limacciosi del fiume; i due russi lo lasciarono per affidarlo alle braccia di qualcun altro, che il ragazzo, agitato e fuori di sé, non riuscì a identificare.
“Yura! Sono io, Yura! Guardami!”
“V-victor?” balbettò, i contorni del suo viso erano offuscati dalle lacrime e dalla fuliggine “Dov'è Beka? Lui... Lui non... Era dietro di me! Deve essere uscito!”
Rivolse le stesse domande a Mila e Georgi, ottenendo soltanto dei mesti cenni di diniego.
“Yura...” un nuovo tentativo di abbraccio da parte di Victor venne bruscamente respinto.
Non voleva essere consolato, non provava dolore, solo una grande rabbia per quell'assurda situazione in cui gente come loro si faceva la guerra e moriva contrabbandando qualche bottiglia di whisky.
“Tutto questo per cosa? La morte di Beka per cosa? Eh?”inveì il giovane strattonando l'uomo davanti a lui, che provò a replicare, ma venne zittito.
“Non provare a dirmi che sono affari!” urlò Yuri indicandogli il gruppo degli asiatici, egualmente malridotto, fermo poco distante “Fanculo i vostri affari!”
“Sei sconvolto.”
“Sono incazzato!”
“Sei sconvolto.” ribadì Victor afferrandogli le spalle “Ed è per questo che domani ti metterò su primo treno diretto a New York.”
“Tu sei pazzo se pensi che io...”
“Torni da Yakov e Lilia” Victor continuò ignorando le sue proteste “Christophe verrà con te e si assicurerà che arrivi sano e salvo.”
Yuri lo fissava allibito.
“Scriverò una lettera agli zii e gli spiegherò la situazione, dopo stanotte è chiaro che non posso gestire gli affari della famiglia e le tue intemperanze allo stesso tempo...” si chinò sussurrando alcune parole intellegibili al suo orecchio e il ragazzo, che aveva già pronta una lunga lista di insulti, sgranò gli occhi e tacque.
“Chris accompagnali a casa, tra poco questo posto sarà pieno di gente.”
Lo svizzero annuì e prese in consegna Yuri, che stavolta non si oppose.
“E tu mon coeur?”
Lontano si sentiva l'allarmato scampanellio del camion dei pompieri accompagnato dall'ululato delle sirene della polizia.
“Ho delle faccende da sistemare.” rispose il russo rivolgendo un cenno all'omologo giapponese, che congedò i suoi e si avvicinò solo quando l'altro rimase da solo.

“Che casino, eh?” constatò Yuuri davanti al magazzino ridotto ormai in macerie.
“Già.”
“L'acqua caduta da un vassoio non torna indietro.*”
“È il tuo modo di dirmi che ti sei pentito a non aver accettato la mia proposta di diventare soci?”
“Un samurai ha una sola parola Victor.”
“Fottetevi tu e la filosofia orientale, sei un samurai come io sono uno Zar.” chiarì il russo senza distogliere gli occhi dalle fiamme; le sirene erano ormai molto vicine, si scorgevano i riflessi dei fanali sull'acqua e sulle pareti dei fabbricati.
Yuuri fece spallucce e sorrise.
“Sei mi fai una nuova proposta potrei valutarla.”
“Parliamone questo fine settimana al cottage.”
“Quello di Anchor Bay?”
“Esatto.”
“Va bene, conosco la strada.”
Victor sogghignò soddisfatto.



Due giorni più tardi Phichit mise sotto gli occhi del Capo il suo rapporto sui danni al magazzino.
“Efficiente come al solito Phichit-kun, lo hai compilato in fretta.”
“Coi contatti giusti è facile.” si vantò il giovane thailandese sorridendo.
“E... Il cadavere?” chiese Yuuri, mentre scorreva l'elenco stilato dal suo braccio destro.
“Quale cadavere?” l'altro trasecolò “La polizia non ha rinvenuto cadaveri tra le macerie!”
“Ah...” Yuuri arrotolò il foglio e lo picchiettò sulle labbra con aria pensierosa.
“D-doveva esserci un corpo?” chiese l'interlocutore sempre più preoccupato, nessuno di loro mancava all'appello, perciò la conseguenza più logica era che qualcuno dei Black Russian ci avesse rimesso le penne.
“Probabilmente no.”
“Quindi?”
“Quindi va tutto a meraviglia. Questo fine settimana farai le mie veci, io devo andare fuori città.”
“Da solo? Affari o piacere?” la fervida immaginazione di Phichit aveva già ipotizzato che in quello spostamento in solitaria fosse coinvolto lo Zar.
“Entrambi amico mio, come sempre.”



In Marzo a New York si respirava già un'aria primaverile, la pioggia aveva lavato le strade facendo brillare la vernice scura delle auto sotto i raggi tiepidi del sole.
A Yuri importava poco dei cambiamenti stagionali; appoggiato in maniera indolente all'angolo del palazzo in cui vivevano i suoi tutori, aspettava lo chauffeur che doveva accompagnarlo alla scuola di danza gestita da madame Baranovskaja.
Era stato praticamente costretto a frequentarla.
A lui non dispiaceva ballare, era tutto il resto a non andargli a genio.
Da quando Victor lo aveva riconsegnato come un fottuto pacco non aveva più avuto un momento per sé.
Secondo l'opinione di Lilia tenersi occupato lo avrebbe aiutato a non pensare a quanto era successo a Detroit, ma lui ci pensava anche dopo un intero pomeriggio di esercizi alla sbarra, ci pensava in camera sua, la sera, quando la testa gli ciondolava sui libri, perché a sentire Yakov era scandaloso che avesse perso quasi un anno di studi.
E ci stava pensando anche in quel momento, mentre seguiva con lo sguardo l'approdo della limousine davanti all'ingresso con quindici dannati minuti di ritardo.
“Ce ne hai messo di tempo...” bofonchiò a mezza voce all'indirizzo dell'autista, il quale, appena il ragazzo aprì la portiera, lasciò andare il pedale del freno facendo scivolare l'auto un po' più avanti.
“Che cazzo...”
Yuri lo raggiunse e il giochino si ripeté altre due volte finché non riuscì a salire al volo.
“Vuoi essere licenziato o cosa?” strepitò stizzito all'indirizzo dell'uomo in uniforme scura, di cui, dai sedili posteriori, scorgeva solo la punta del berretto.
“Sarebbe un peccato signore, oggi è il mio primo giorno di lavoro.”
L'autista alzò la testa e girò lo specchietto verso il passeggero, catturando un'espressione incredula e confusa, che presto si scompose in pianto.
“Dove devo portarla?” chiese imperturbabile.
“Dove vuoi portarmi razza di idiota, alla scuola di danza!” rispose il giovane russo tra i singhiozzi; non riusciva a smettere piangere e per lo stesso motivo non riusciva a smettere di ridere.
“Sarebbe un peccato con questa bella giornata, posso suggerire una meta alternativa?”
“Portami dove vuoi Beka, purché sia lontano da qui.”


☼ La voce della trascendenza ☼

Si sono una brutta persona... u.u
O almeno la sono stata per un paio di paragrafi, perché non si può far morire male Otabek-santo-subito!
Chi altri potrebbe sopportare gli scleri del tigrotto?
Non saprei se definirlo esattamente un lieto fine, nel mondo dei gangster raramente le storie finiscono con un "E vissero felici e contenti" però a loro modo le cose sono andate a posto per Yura, Victor, Beka e Yuuri e proseguiranno su binari diversi, magari solo per un po'.
È tempo di mettere la Ford T in garage e di imbarcarci per altri lidi... Ho detto imbarcarci? Uhmm potrebbe non essere così fuori luogo :D
Nel frattempo vi ringrazio e vi rimando qui a data da destinarsi, ho ancora dei progetti nel cassetto per i nostri beniamini On Ice,anche se adesso mi sto dedicando ad altre creature con gli occhi a mandorla che prima o poi vedranno la luce su EFP...
See you next level!

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