Legami - Nulla è come appare

di mask89
(/viewuser.php?uid=61727)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I - Prologo ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***
Capitolo 4: *** Chapter IV ***
Capitolo 5: *** Chapter V ***
Capitolo 6: *** Chapter VI ***
Capitolo 7: *** Chapter VII ***
Capitolo 8: *** Chapter VIII ***
Capitolo 9: *** Chapter IX ***
Capitolo 10: *** Chapter X ***
Capitolo 11: *** Chapter XI ***
Capitolo 12: *** Chapter XII ***
Capitolo 13: *** Chapter XIII ***
Capitolo 14: *** Chapter XIV ***
Capitolo 15: *** Chapter XV ***
Capitolo 16: *** Chapter XVI - 10/10/2018 ***
Capitolo 17: *** Chapter XVII ***
Capitolo 18: *** Chapter XVIII ***
Capitolo 19: *** Chapter XIX ***
Capitolo 20: *** Chapter XX ***
Capitolo 21: *** Chapter XXI ***



Capitolo 1
*** Chapter I - Prologo ***


Chapter I - Prologo

 
Entrò nel suo appartamento, eppure, si sentiva un estraneo.
Per la precisione, aveva quella sensazione da quando aveva avuto la geniale idea di trasferirsi nuovamente nella sua città natale. Non che ci volesse tornare volontariamente, sia chiaro; ma le circostanze, che lo avevano visto coinvolto, avevano decretato tale decisione.
Certo, pensava che sarebbe stato più facile; era convinto che le ferite del suo passato si fossero ormai cicatrizzate e poco visibili; eppure, quelle poche settimane a contatto con Sakura lo avevo provato duramente, almeno dal punto di vista emotivo.
Era convinto di averla dimentica o almeno così gli piaceva credere. Di averla relegata in un angolo del suo cuore e della sua mente, un “piacevole” ricordo a cui ripensare con sagace ironia, ma non era così. Lei era più viva che mai, gli era bastato rivederla per sentire le cicatrici di un amore adolescenziale riaprirsi e sanguinare copiosamente e, di certo, incontrarla puntualmente a lavoro non agevolava la situazione.
Aveva passato l’ultima settimana ad evitarla accuratamente, accaparrando mille scuse, molte delle quali, doveva riconoscerlo, veramente insulse. Ma doveva starle lontano, più distanza metteva fra loro due, più lei era al sicuro. Se Re Mida era capace di trasformare qualsiasi cosa in oro, con le sue inevitabili conseguenze, lui era capace di sconvolgere la vita, se non peggio, delle persone che amava.
Guardò il suo anulare sinistro e si sfilò la fede che portava al dito. Sentì che i ricordi, che aveva cercato di tenere costantemente a bada nell’ultimo anno e mezzo, lo stavano per travolgere. Si diresse verso il mobile dei superalcolici, sperava di annegare i suoi dispiacere nell’alcool; ma doveva ammettere che questi ultimamente, per la precisione da quando era ritornato, si erano fatti più molesti, avevano imparato a nuotare e anche abbastanza bene!
Era quasi giunto alla meta, quando sentì il campanello di casa suonare. Si bloccò, si chiese chi mai potesse venire a casa sua, visto che la sua cerchia di amicizie non era molto estesa e, di certo, lui non aveva fatto chissà quali peripezie per aumentarla. Poi, improvvisamente, un pensiero, anzi, una persona si fece largo nella sua mente. Cominciò a scuotere la testa, non poteva essere lei, anzi, non doveva essere lei. Decise di non aprire, avrebbe fatto finta di non essere in casa.
Il suono del campanello cessò. Era salvo o almeno così pensò; solo che non aveva fatto i conti con la caparbietà della persona che lo cercava. Infatti, quest’ultima, cominciò a bussare alla porta. Continuò imperterrito nella sua strategia.
“Naruto è inutile che tu faccia finta di non essere in casa, ti ho visto entrare. Ti ho seguito. Apri immediatamente questa porta!” urlò inviperito l’interlocutore, dall’altra parte della porta.
Il biondo si portò una mano alla fronte, i suoi peggiori timori si erano avverati, lei era lì. Sapeva che cercare di evitarla, specialmente dopo quello che era quasi successo, non sarebbe servito a nulla; ma il suo geniale amico, che abitava all’interno della sua scatola cranica, non aveva saputo suggerirgli di meglio e, a detta di molti, il suo cervello, era capace di partorire idee veramente geniali!
Si diresse riluttante verso la porta, preparandosi mentalmente ad affrontare una discussione estenuante. Di certo un modo piacevole per concludere una giornata estremamente pesante.
Aprì la porta e la prima cosa che incrociò furono i suoi occhi, di un verde da togliere il fiato, ma che in quel momento emanavano lampi di furia omicida. Sakura entrò in casa come un tornado e si andò a piazzare di fronte.
Naruto guardò la sua figura snella e ben proporzionata stagliarsi contro a lui. Lei era più bassa di qualche centimetro ma, in quel momento, si sentiva un nano al cospetto di un gigante.
“O ti decidi a chiarire, una volta per tutte, la nostra situazione o ti giuro che te le suono, finché non sputi fuori la verità.”
L’uomo deglutì in maniera rumorosa. Sapeva benissimo, che la minaccia appena proferita, era tutt’altro che vacua; Sakura praticava arti marziali dalla tenera età di otto anni e, durante l’adolescenza, non in pochi casi aveva potuto saggiare la dolcezza dei suoi pugni. Era ovvio che, lui sarebbe stato capace di difendersi da ogni suo attacco, ma sapeva già che non lo avrebbe fatto, con lei non ci sarebbe mai riuscito.
“Sakura, per favore, è stata una giornata pesante, possiamo parlare domani?”
Un rifiuto secco, duro, perentorio uscì dalla bocca della donna. Non aveva voglia di aspettare. Si sentiva infuriata, umiliata, offesa. Voleva delle risposte e le avrebbe ottenute!
Portò, istintivamente, la mano destra sull’anulare della mano sinistra e si maledì mentalmente. Come poteva, uno come lui, aver commesso un errore così banale? Aveva notato che, Sakura aveva seguito con gli occhi la traiettoria della sua mano, la sua mente brillante non ci avrebbe messo molto a capire tutto. Ebbe la percezione che tutto il castello di menzogne, che in quelle settimane aveva costruito, stava per disintegrarsi.
La donna cominciò a guardarsi intorno. Quella non era la casa di due persone sposate, anche se in pausa di riflessione. Mancava di tocco femminile. Inoltre, non vi erano fotografie che ritraevano i due insieme e poi l’odore, quella casa non ne aveva. Il suo sguardo indagatore si soffermò sul mobile che era vicino all’ingresso, notò la fede. Fu più lesta di Naruto nel prenderla. La esaminò, al suo interno non vi era nessuna data. Prese la mano sinistra dell’uomo, nessun segno faceva pensare che la fede fosse su quel dito da almeno un paio d’anni.
“Ora mi dirai esattamente cosa cazzo succede!” Ringhiò la ragazza, ormai giunta al limite della pazienza. Ma, le bastò vedere negli occhi l’uomo per sentire che tutto l’astio, il risentimento che provava nei suoi confronti, sciogliersi, come un gelato all’equatore. Di tutto si sarebbe aspettata di vedere nei suoi occhi, tranne quel dolore, accompagnato da un tremendo rimorso.
“Naruto” disse dolcemente “dimmi cosa ti succede.”
“Per favore Sakura, va via. Ti prometto che ti racconterò tutto, ma ora lasciami solo, ne ho bisogno.”
La donna annui con la testa, non se la sentiva di lasciarlo solo, ma dentro di sé era convinta che quella fosse la cosa giusta da fare.
“Va bene…Però, se hai la necessità, in qualsiasi momento, anche nel cuore della notte, chiamami. Io verrò da te.”
Vide il biondo annuire con la testa. Richiuse lentamente la porta e si incamminò verso casa sua, con mille domande che vorticavano nella sua testa.
Appena la porta fu chiusa, Naruto come un automa si portò verso il divano, dove si lascio andare pesantemente. Ormai, la diga di quei ricordi aveva ceduto, si prestava ad affrontare quelle onde di dolore che rapidamente lo stavano raggiungendo.



Angolo autore:

Ciao a tutti. 
Se avete avuto l'ardire di arrivare fino in fondo, non posso che ringraziarvi! XD

Questa è la mia prima fanfiction, almeno per quanto concerne l'universo Naruto.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate trovato la lettura scorrevole. 
Mi farebbe piacere avere una vostra opinione. Si accettano, ovviamente, anche critiche costruttive!
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter II ***


Chapter II
 

Qualche settimana prima…
 
Il sole era tramontato ormai da un pezzo, il guardiano guardò l’orologio e sbuffò, mancava ancora parecchio alla fine del turno. Quei giorni di fine marzo lavorare era un’autentica tortura, quella nevicata abbondante improvvisa, un autentico fatto straordinario per quelle latitudini, aveva reso la struttura praticamente un deserto. Normalmente ci sarebbe stato un via vai di persone, almeno fino alle dieci di sera, ma non quei giorni. Provò a concentrarsi sul cruciverba che aveva portato da casa, mancava ancora mezz’ora all’inizio della ronda notturna. Sbuffò nuovamente, non riusciva a trovare la giusta ispirazione per riuscire a risolvere quei complicati rompicapo. Si voltò verso il suo collega, un moto di invidia lo investì, era concentrato da oltre due ore su quei giochini per telefono. Come diavolo faceva? Concentrò il suo sguardo sull’ampia vetrata della portineria, solitamente gli restituiva come panorama uno splendido prato, ma in quei giorni, invece, era una enorme distesa di bianco. Notò che il riverbero della luce dei fari esterni sulla neve diminuiva drasticamente la visibilità, rendendoli quasi completamente ciechi ad una qualsiasi eventuale intrusione esterna da parte di qualche curioso; per non parlare dei rumori, era tutto attutito; poco male si ritrovò a pensare, le telecamere esterne e i sensori di movimento, che già aveva provveduto ad allarmare da quando l’ultimo dipendente era uscito, sarebbero stati i suoi occhi e le sue orecchie. Si passò una mano tra i capelli argentati per sistemarli, un altro anno di quell’inferno e avrebbe visto la pensione; non che non si sentisse più in grado di lavorare, tutt’altro, per aver passato i sessanta da qualche anno era considerato dall’universo femminile un uomo discretamente piacevole, ma tutti quei turni notturni lo avevano stancato. Ricordava ancora il suo primo giorno di lavoro, più di trent’anni addietro, l’orgoglio di essere una guardia giurata, fare qualcosa di importante, la responsabilità dell’incarico ricevuto, peccato che tutto, abbastanza velocemente, fu soppiantato della noia e della ciclicità del suo impiego.
Si alzò per sgranchirsi le gambe, stare troppe ore sedute non faceva per lui. Gettò un’occhiata al suo collega più giovane, era ancora impegnato a giochicchiare con il suo amato telefono. Roteò gli occhi. Aveva imparato, a sue spese, che richiamarlo era inutile, costantemente dopo ogni rimprovero ritornava al suo telefono, con l’immancabile scrollata di spalle, come se il richiamo da lui effettuato fosse qualcosa di assurdo, fuori dal mondo.
“Vado a fare il primo giro di ronda, tieni gli occhi ben aperti, sono stato chiaro?” Lo vide scuotere la testa, era sicuro che non avrebbe fatto quello che gli aveva detto. Non si capacitava di come avesse fatto ad avere quel lavoro, poi si ricordò che era un lontano parente di un importante funzionario che lavorava per la struttura governativa. Uscì velocemente dalla portineria, prima che la rabbia prendesse il sopravvento e gli facesse fare qualcosa di avventato.
Il giro ai piani superiori era andato bene, come al solito, ora gli toccava andare ai piani sotterranei, venti minuti e avrebbe potuto mettere di nuovo sotto la sua egida quell’idiota. La porta dell’ascensore si aprì, diversamente dalle altre volte, quella notte, aveva voluto cominciare dal piano più in basso. Sembrava tutto in ordine, quando notò un fascio di luce provenire dal fondo del corridoio, fece mente locale, lì si trovava uno dei tanti locali server disseminati per tutto quel piano. Si avvicinò cautamente, mentre camminava si guardava intorno per cercare altri segnali anomali, ma non vi era nessuna traccia. Era ormai nei pressi della stanza e istintivamente portò la mano destra sulla fondina. Si affacciò, non notò nulla di anomalo, tranne la porta lasciata incautamente aperta e la luce accesa; stava per premere l’interruttore, quando notò accanto ad un armadio rack un tesserino di un dipendente della struttura. Si avvicinò per raccoglierlo, girò la testa nel corridoio laterale e, quello che vide, lo avrebbe accompagnato fino al suo ultimo giorno di vita. Uscì precipitosamente dalla stanza, ma riuscì a fare solo pochi metri e cominciò a vomitare.
Kakashi Hatake odiava essere svegliato nel cuore della notte, era una delle tante cose che detestava. Precisamente, le cose che amava erano tre: dormire, leggere la sua amata collana di libri per adulti “Le tattiche della pomiciata” e non avere scocciature. Si rigirò nel letto cercando di ignorare la chiamata, ma il suo senso di dovere l’ebbe vinta. Allungò il braccio e prese lo smartphone, il numero sul display lo fece sobbalzare. Non era di buon auspicio.
“Sei finalmente sveglio, alla buon’ora!” disse l’interlocutore con tono asciutto e perentorio. “Hai dieci minuti di tempo, una macchina ti sta già venendo a prendere” e chiuse la chiamata.
Senza perdere tempo si alzò dal letto. Jiraiya non lo aveva mai disturbato nel cuore della notte, anche per i casi più importanti. Doveva essere successo qualcosa di molto grave. Fece in tempo a mettersi il cappotto, quando sentì il citofono suonare. Erano arrivati. Uscì di casa con mille pensieri chi gli affollavano la mente.
Guardò l’edificio, una sfera in vetro e acciaio, dalla quale dal lato destro dipartiva un’ala dall’andamento sinusoidale sempre dello stesso materiale. Ufficialmente quello era il centro nazionale della ricerca scientifica e biomedica di Konoha, ufficiosamente era la sede dell’Intelligence, oltre che un centro di elaborazione e tracciamento di tutti i dati sensibili nazionali. Se vuoi nascondere qualcosa al tuo nemico allora mettilo in bella vista, in questo caso, nel cuore del campus universitario. Ora riusciva a dare una motivazione alla strana chiamata che aveva ricevuto. Diede uno sguardo intorno, lo scorse vicino alla porta d’ingresso e l’espressione che aveva non gli piaceva affatto.
“Grazie per essere venuto e scusa per il poco preavviso, ma la situazione è grave” disse Jiraiya.
“Quanto grave?”
“C’è stato un omicidio nei sotterranei della struttura, al meno tre.”
“Vorrei tanto sbagliarmi, ma non è quello dove sono convogliati tutti i dati statali top secret?”
“Ricordi bene.”
“Chi è il morto?”
“Nessuno che appartenga ufficialmente alla struttura e neanche uno dei nostri. Per quanto la cosa sia grave, non ti avrei chiamato nel cuore della notte per un omicidio, è altro quello che mi preoccupa…”
“Temi una fuga di dati?”
“Esattamente…Anche se dalle prime analisi effettuate sul sistema non risulta nessuna compromissione. I tecnici stanno anche sottoponendo a test l’hardware, ma dai primi responsi sembra che sia tutto apposto.”
“E allora cosa ti preoccupa?”
“C’è qualcosa che non mi torna, un tizio brutalmente ucciso al meno tre e nessuna fuga di dati. Non ti sembra strano?”
“Effettivamente…”
“Che ne dici di entrare, prima che su questo prato innevato trovino altri due morti per assideramento?”
Si addentrarono nella hall. Kakashi, alla sua sinistra, notò subito la portineria; vide che i due addetti alla sicurezza interna erano controllati a vista da alcuni agenti che conosceva di vista, decise di farsi una breve chiacchierata con i due vigilanti. Li squadrò, con il suo ormai celeberrimo “sguardo neutro”, che non lasciava trasparire nessuna emozione, ma che era capace di far tremare anche il criminale più incallito. Dall’espressione e dalla cera che aveva il più anziano, dedusse che probabilmente era stato lui a trovare il cadavere, era chiaramente ancora sotto shock. Quello più giovane, invece, gli dava l’impressione di una persona capitata lì per caso. Probabilmente scambiarci due parole sarebbe stato un inutile spreco di energie, e lui era un fan sfegatato dell’efficienza energetica, specialmente se si trattava della sua. Se proprio avesse dovuto sprecare energie, avrebbe preferito un bel allenamento, che gli consentisse di tenere in forma quella macchina perfetta che era il suo corpo. Per avere fatto da poco quarant’anni si teneva in perfetta forma fisica, aveva una corporatura snella e muscolosa, frutto del duro allenamento a cui si era sottoposto in tutti quegli anni, che gli consentiva di essere un temibile avversario in un qualsiasi scontro corpo a corpo.
Entrò nella portineria, con un cenno della testa salutò i due colleghi, poi si rivolse direttamente alla più vecchia delle guardie, ignorando deliberatamente la più giovane, che lo guardava con uno sguardo misto tra il terrorizzato e lo spaesato.
“A che ora ha effettuato la ronda?” disse l’agente con un tono piatto, quasi disinteressato, ignorando deliberatamente la parte delle presentazioni, non amava i convenevoli.
“Intorno mezzanotte” replicò la guardia più anziana, con un filo di voce.
“Verso che ora è giunto al più basso dei piani interrati?”
“Credo dopo mezzanotte e mezza.”
“Crede?”
“Ne sono sicuro, perché ci metto all’incirca trenta, quaranta minuti per ispezionare i cinque piani superiori. Solitamente comincio dal meno uno a ispezionare i piani sotterranei, ma oggi volevo sbrigarmi prima” e con la coda dell’occhio guardò il vigilante più giovane.
Kakashi seguì attentamente il movimento degli occhi del suo interlocutore. L’idea che si era fatto sulla guardia più giovane, era stata confermata da quel piccolo, se pur significante, gesto. Gli era bastato per rafforzare quanto aveva sospettato prima.
“Era sicuro che al momento della ronda tutti i dipendenti fossero fuori dall’edificio?”
“Certo, qui in portineria abbiamo un software che ci dà contezza delle entrate e delle uscite dei dipendenti, se sono assenti o se accedono a qualche area non autorizzata.”
“A che ora è uscita l’ultima persona presente in struttura?”
L’uomo si avvicinò al computer presente in portineria e controllò sul software.
“L’ultima persona è uscita alle diciassette. In questi giorni non sono venuti molti impiegati, vista la nevicata eccezionale.”   
“Capisco. Conosceva l’uomo?”
“No, passano un sacco di dipendenti ogni giorno e poi spesso cambiamo postazione, quindi è impossibile memorizzare tutti i volti” disse balbettando l’uomo. L’immagine del cadavere era ritornata davanti ai suoi occhi.
“Ma sul software non compare la foto del dipendente?”
“Non è detto, dal software è prevista, ma non è un obbligo inserirla.”
Kakashi uscì dalla portineria. Stare lì a perdere ulteriore tempo non serviva, non avrebbe ricavato altre informazioni utili parlando con le due guardie. Si avviò verso l’ascensore, la scena del crimine lo stava aspettando.
Delle urla che si propagavano per tutto il piano lo accolsero, quando le porte dell’ascensore si aprirono. Per un attimo fu tentato di pigiare il pulsante per tornare al piano terra, ma sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile, il suo superiore, Jiraiya, lo avrebbe fatto chiamare nel giro di pochi minuti.
Si portò entrambe le mani a massaggiare le tempie; possibile che nonostante avessero passato da un bel po’ la cinquantina, quei due non si decidevano, quando stavano insieme, a comportarsi come due normali persone adulte? Se poi si considerava il fatto che, erano il direttore dell’ufficio delle investigazioni e la direttrice dell’ospedale universitario di Konoha, con una specializzazione anche in anatomopatologia, il quadro che si veniva a formare era di una assurdità disarmante.
Si avvicinò alla strana coppia.
“Jiraiya, Tsunade, è sempre un piacere sentire le vostre urla.”
I due interessati lo fulminarono con lo sguardo, ma se pensavano di intimorirlo si sbagliavano di grosso, ormai era avvezzo alle loro occhiatacce, lo lasciavano indifferente, come molte altre cose d’altro canto.
“Dai la colpa a questo vecchio bacucco. Ogni volta che siamo su una scena del crimine deve mettermi sempre fretta.”
“Forse perché devo raccogliere indizi e ripulire tutto prima della riapertura dell’edificio?” rispose stizzito l’uomo.
“Certo, ogni volta una scusa!”
“Tsunade, “intervenne Kakashi a interrompere la solita discussione “causa del decesso?”
“Dissanguamento.”
“Ora della morte?”
“Probabilmente le ventidue, ma saprò essere più precisa quando l’avrò esaminato in laboratorio. Ora, se mi lasciate finire il mio lavoro in pace…sarebbe cosa molto gradita.”
L’agente capì subito dove la donna voleva arrivare, di peso trascinò Jiraiya con sé in ascensore. Voleva tornare al pian terreno.
“Perché hai chiamato lei?”
“Quello che chiamiamo di solito è in malattia. Comunque, grazie per aver preso le mie parti.” Disse sarcastico l’uomo.
“Non c’è di che. In ogni modo, se la finite con questa storia che si ripete ogni volta, tutta la squadra ne sarebbe riconoscente.”
“Cosa intendi dire?”
“Che dovreste dare una svolta al vostro rapporto. Posso capire una coppia di quindicenni innamorati, ma voi…”
“Io non sono innamorato di quell’arpia!”
“Certo. Le vai dietro soltanto da quando la conosci, ovvero da trent’anni…”
“Fatti gli affari tuoi Kakashi!”
“Come vuoi tu…hai preso il badge della vittima?”
Jiraiya lo prese dalla tasca, era in una bustina di plastica.
“Cosa vuoi fare?”
“Semplice, scoprire l’identità della vittima. È stato trovato altro, oltre il tesserino?”
“Nulla. Né documenti, né telefono. È stato completamente ripulito.”
Kakashi appena uscito dall’ascensore si mise i guanti. Poi prese il tesserino dalla busta e lo passò vicino al lettore badge posto all’ingresso, dopodiché andò a controllare sul software presente sul pc della portineria. Qualcosa non quadrava. Ripeté l’operazione, i dubbi che si erano formati nella sua testa ebbero conferma. Scambiò uno sguardo d’intesa con il direttore dell’agenzia, la situazione stava prendendo una brutta piega.
“Cosa succede?” chiese l’uomo accigliato. L’espressione sul volto del suo agente, non gli piaceva proprio e, nel corso degli anni, aveva imparato che non era un buon segno.
“Ogni volta che passo il badge sul lettore, questo viene associato ad un utente diverso della struttura.”
“Cosa?” urlò il suo referente. “Ma non esce una fotografia, un qualcosa? Possibile che nessuno si sia accorto di questa cosa?”
“Secondo il guardiano no, inserire la propria foto nel database è facoltativo. È ironico se ci pensi, siamo in un’era dove svendiamo i nostri dati per dei giochini su telefono e poi, quando si tratta di cose serie, alziamo muri sulla privacy. Comunque concordo, è una brutta situazione. Bisogna ammetterlo, chiunque sia stato sapeva come muoversi e come colpire.”
Jiraiya camminava nervosamente sul prato innevato. Doveva trovare il modo per sbrogliare quella matassa complicata. All’improvviso gli venne un’idea, anzi, una persona.
“Kakashi, l’unico che ci può dare una mano a dipanare questa situazione è lui. È il più qualificato di tutti, anzi il migliore in assoluto.”
“Non starai parlando di…” e sgranò gli occhi, sperava di sbagliarsi.
“Esattamente!”
“Un anno e mezzo fa è stato molto chiaro, non ne vuole più sapere di noi, dell’agenzia e di tutto ciò che gira intorno, e se devo essere sincero, non ha tutti i torti.”
Jiraiya lo fulminò con lo sguardo.
“Lo so benissimo, credimi se ti dico che ogni giorno mi maledico per quella mia decisione riguardo quella missione, ma è l’unico che può dirci cosa è successo qui.”
“Ormai è fuori dai giochi.”
“No, non ho mai ratificato le sue dimissioni.”
“Cosa?” ribatté incredulo l’agente.
“Diciamo…che ho dimenticato di trasmetterle all’ufficio del personale” disse con noncuranza. “Ufficialmente è in congedo temporaneo fino a nuovo ordine.”
“Cosa vuoi che faccia?” proferì l’agente rassegnato.
“Prendi la macchina e vai in aeroporto, al resto ci penso io. Quando arriverai ci sarà un aereo pronto a decollare, troverai anche tutta l’attrezzatura necessaria. Ah, tieni questa” e gli diede una busta “nel caso in cui non voglia sentire ragioni.”
Kakashi salì in macchina senza fare domande, sapeva che sarebbe stato inutile. Ebbe l’impressione, che il giorno appena sorto e quelli a seguire, sarebbero stati lavorativamente estenuanti. Sapeva dove stava per andare; ma trovarlo, non sarebbe stato semplice. Sarebbe stato il tipico “ago nel pagliaio.”


Angolo autore:

Salve a tutti!
Eccomi di nuovo qua, con il nuovo capitolo. 
Non ho granchè da dire, se non che ringrazio tutti quelli che leggeranno e (se vorranno) lasceranno un commento (cosa sempre gradita, per capire se la storia piace XD) 
Un grazie di cuore a chi ha commentato e ha deciso di mettere la storia nelle seguite.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter III ***


Chapter III

 
Kakashi odiava il caldo asfissiante. Non sopportava il sudore che usciva da ogni poro della sua pelle e che irrimediabilmente faceva aderire i vestiti al corpo. Quella sensazione lo infastidiva parecchio. Voleva andarsene il più presto possibile da quella fornace a cielo aperto che era Suna. Si guardò intorno alla ricerca di un taxi, quello doveva essere il suo giorno sfortunato, non ve ne vide neanche l’ombra. Da quando quel buco d’inferno era diventato una meta turistica? Oppure per festeggiare la sua venuta, tutti i tassisti avevano deciso di scioperare in blocco? Optò di aspettare la circolare, che doveva portarlo dall’albergo vicino l’aeroporto in centro, sotto la capannina preposta ma, dopo trenta secondi passati lì sotto, scartò l’idea. Era peggio di una sauna. Preferì crogiolarsi sotto il sole. Finalmente la fortuna sembrava arridergli, l’autobus stava arrivando, ma appena fu salito si dovette ricredere, ovviamente l’impianto di condizionamento era fuori uso. Si chiese se ultimamente avesse pestato i piedi a qualche divinità per meritarsi quella giornata e non si poteva dire che il tutto stava per concludersi, tutt’altro, era ragionevolmente sicuro che il peggio doveva ancora venire. E se il buongiorno fosse stato quello, avrebbe fatto bene ad armarsi di molta pazienza e sangue freddo, virtù che, fortunatamente, non gli mancavano.
Nonostante fosse lì ormai da alcuni giorni, non riusciva a capacitarsi di come quella città fosse così fiorente, letteralmente un’autentica oasi del gioco d’azzardo nel deserto. Come poteva la gente accettare con tanta tranquillità il fatto di perdere soldi in quella robaccia? Certo, a Jiraiya sarebbe piaciuto e non poco essere in quel posto, una volta tanto il destino aveva deciso di essere clemente con lui, altrimenti la missione si sarebbe complicata e non di poco. Il telefono vibrò, lo stava avvisando che era quasi vicino alla fermata che gli interessava. Spinse il pulsante per prenotarla. Inspirò ed espirò lentamente, quello che stava per affrontare non gli piaceva per niente. Si guardò intorno, per essere in pieno centro la zona non era messa bene, le facciate dei palazzi che svettavano prepotenti contro il cielo, erano molto deteriorate e le insegne di molti negozi erano malandate. Ma la cosa non lo preoccupava più di tanto, la sua attenzione era focalizzata nel cercare un piccolo negozio di informatica. Le ricerche, durate diversi giorni, avevano dato i loro frutti. Diede uno sguardo sullo smartphone per ricontrollare il civico, quello che cercava era qualche metro più avanti. Dopo una breve camminata arrivò davanti alla porta del negozietto che gli interessava, fatiscente anche quella. Si chiese come diavolo poteva aver accettato di vivere in quel buco dimenticato da Dio.


Sakura Haruno se lo sentiva che quello era il giorno sbagliato per arrivare tardi a lavoro, non che fosse una ritardataria abitudinaria, tutt’altro, le piaceva arrivare puntuale ad ogni appuntamento, se non in anticipo. Quella era stata una mattinata particolare, eufemismo di una notte travagliata, passata sulla tazza del wc a rimettere anche l’anima. Nessun malessere dovuto al cibo ingerito la sera prima, almeno se lo si intende come qualcosa di solido. Però, tecnicamente, anche l’alcool è un alimento, visto che ha un buon potere calorico, e lei, la sera precedente, ne aveva un tantino abusato; se per un tantino abusato, ovviamente, si intende una sbornia di dimensioni bibliche. Si sentiva tutta indolenzita e la testa le pulsava dolorosamente, ma doveva sbrigarsi, quelle dieci chiamate, a cui malauguratamente non aveva risposto e che aveva ricevuto da parte della sua professoressa, nonché suo capo, le avevano messo addosso uno stato di agitazione non indifferente. Salì le scale che portavano all’ufficio alla massima velocità e al maggior sforzo che le sue gambe le consentivano, rischiando non poche volte una caduta rovinosa. Arrivò finalmente davanti alla fatidica porta, aveva il cuore a mille e il fiatone; senza indugiare oltre aprì l’uscio. L’espressione che aveva la vecchia Tsunade Senju non presagiva nulla di buono ma, nonostante tutto, non un filo di rughe poteva intravedersi su quel volto. Com’era possibile che quell’ultra cinquantenne fosse del tutto immune allo scorrere del tempo? Come faceva il suo seno, una sesta coppa D, ad essere ancora ben sodo come quello di una ventenne? Come poteva la sua bionda chioma ad essere così lucente e in perfetto ordine ogni giorno? Scacciò quelle stupide domande dalla testa, non era il momento adatto. Eppure, ogni volta che la vedeva, ovvero ogni giorno, le ritornavano puntualmente in mente. Chiuse lentamente la porta, come a voler ritardare il più possibile l’inevitabile sfuriata che l’avrebbe colpita.
“Hai esattamente cinque secondi per trovare una scusa plausibile per il tuo ritardo mostruoso” disse la donna visibilmente alterata.
“Ecco io…”
“Tu?” La incalzò la bionda.
“Io…io”.
“Sono già passati quattro secondi, faresti meglio a giocarti l’ultimo in un modo migliore.”
“Ieri sera ho esagerato con l’alcool e stamattina non ho sentito la sveglia…”
Vide la sua professoressa alzare il sopracciglio destro in un modo quasi innaturale, se la situazione non fosse stata seria si sarebbe messa a ridere.
“Dimmi, per caso, in un modo del tutto casuale, ha a che fare con il tuo quasi marito, nonché ex fidanzato?”
Il silenzio che seguì quella domanda, accompagnato dalla testa china di Sakura, fu una risposta molto eloquente. Tsunade si portò la mano al viso, incredula. L’ira che aveva provato poco prima verso la sua discepola, fu sostituita da una rabbia cieca verso Sasuke Uchiha, ovvero quel “grandissimo stronzo”, come amava definirlo lei, dell’ex della sua miglior allieva, nonché pupilla.
“Quante volte devo ripeterti che struggersi per quel grandissimo deficiente è la cosa peggiore che possa fare a te stessa?”
“Professoressa, vede, io…”.
“Nessuna scusa Sakura, lasciarvi è stata un’autentica fortuna!”
“Se per lasciata intende scaricata una settimana prima del matrimonio, allora sì, sono stata proprio fortunata.” Disse sarcasticamente.
“Preferivi scoprire dopo il matrimonio che ti tradiva con un’altra?” ribatté acidamente la donna più anziana.
“No…” rispose flebilmente.
“Allora smettila di piangerti addosso, ormai sono passati quasi sei mesi. Sei una donna bella, ma soprattutto estremamente intelligente. Vedrai che c’è qualcuno lì fuori che non vede l’ora di conoscerti e passare la vita assieme a te!” Accarezzò il volto della sua allieva. “Bene, visto che il ritardo è giustificato a causa del traffico e siamo in super ritardo, direi di andare direttamente alla morgue, saltando la nostra colazione rituale.”
“La morgue? Ma non sono specializzata in medicina forense!”
“Lo so, ma Shizune ha bisogno di aiuto, quindi ti tocca venire.”
Sakura deglutì nervosamente. Nonostante fosse un medico, la vista di un cadavere riusciva ancora a disturbarla, preferiva di gran lunga aver a che fare con i pazienti, ma Tsunade era sta inamovibile. Mentre si avviava con il suo mentore verso la sala per le autopsie, sentiva la nausea sconvolgerle lo stomaco.
 

Kakashi constatò che l’interno del negozio di elettronica in cui era entrato era in perfetta sintonia con l’esterno. Si guardò intorno, sugli scaffali era presente merce vecchia già di diversi anni. Lo spesso strato di polvere confermava quella prima impressione, per non parlare dell’ordine, completamente assente.  Aguzzò la vista in quel marasma per vedere se vi fosse qualcuno. Osservò che al bancone vi era un ragazzo dai capelli rossi, con degli occhi azzurri contornati da profonde occhiaie e con un tatuaggio sulla parte sinistra della fronte. Mentre si avvicinava alla postazione, constatò che il ragazzo lo guardava con un’espressione indifferente, come se la sua presenza in quell’ambiente non fosse significante. Di rimando lui contraccambiò quello sguardo, sfoderando una delle sue migliori espressioni neutre, di certo un ragazzino non poteva intimidirlo.
“Cerco Naruto Uzumaki, so che lavora in questo negozio, potresti gentilmente chiamarlo?”
Il ragazzo continuò a ignorarlo, cosa che lo irritò non poco, ma doveva mantenere la calma, per la buona riuscita della missione, d’altronde, nessuno gli aveva detto che sarebbe stato facile. Riprovò a formulare la domanda, ma il risultato rimase identico, il ragazzo rimane impassibile, cose se la sua figura fosse stata evanescente. Mandò tutti i suoi buoni propositi a farsi benedire, in un impeto di rabbia gli afferrò il braccio, che era posato comodamente sul bancone. Finalmente ottenne la reazione sperata, vide l’espressione del ragazzo farsi dura, ostile.
“Fossi in te mollerei la presa su quel braccio, almeno se ci tieni ad uscire con le ossa tutte integre da questo posto.” Lo avvertì una voce proveniente dal laboratorio, situato dietro il bancone.
 “Vedo che ti sei deciso ad uscire allo scoperto” disse Kakashi, lasciando andare il braccio del ragazzo dai capelli rossi.
“Scusami se non muoio dalla voglia di rivederti” rispose un ragazzo biondo dagli occhi azzurri, con una voce pieno di risentimento “Cosa ci fai qui?”
“Ti cercavo”.
“Questo è evidente, ma ancora non hai risposto alla mia domanda.”
 “Abbiamo un problema. Vorrei parlarti in privato.”
“Gaara è una persona di cui mi fido ciecamente. Se desideri tanto parlarmi devi farlo in sua presenza.”
L’uomo guardò lo strano duo che aveva di fronte, alzò le braccia come ad indicare la resa a quelle condizioni. Se Naruto aveva detto che dello strano ragazzo rosso ci si poteva fidare, non vi era motivo di dubitare. Aveva fiducia in quello che un tempo era stato il suo allievo.
“Come vuoi tu, per me non ci sono problemi. Come ho già detto abbiamo un problema e tu sei l’unico capace di risolverlo.”
“Se pensavi di venire qui e fare qualche complimento, che per altro poco si adatta al tuo stile, e convincermi a tornare, ti sbagli di grosso, io a Kumogakure non ci torno.”
“Nessuno ha parlato di Kumo, non siamo più operativi lì, siamo andati via di da poco più di un anno, poco dopo che tu sei andato via ci siamo trasferiti. La nostra sede attuale è Konoha.”
Vide gli occhi sgranarsi dallo stupore, sapeva molto bene del suo particolare rapporto con quella città, ed era a conoscenza di quanto lui non ci volesse mettere più piede.
“Devi essere completamento impazzito per venire qui e chiedermi di rientrare nei ranghi e, a Konoha addirittura. Non se ne parla minimamente, la questione si chiude qui.”  Diede le spalle al suo interlocutore pronto a tornare in laboratorio.
“Aspetta, c’è altro che devo dirti.”
“Cosa non ti è chiaro? Ho detto chiaramente che la questione finisce qui.”
“Non riguarda il motivo per cui sono venuto qui. È per ciò che è successo un anno e mezzo fa.”
Naruto lo guardò con uno sguardo pieno di rabbia, non lo aveva mai visto così, ma capiva che far riferimento ad un certo evento non poteva che causare rabbia e dolore.
“Ricordi cosa ti dissi il primo giorno di addestramento?”
“Di certo, in questo mondo, chi infrange le regole è feccia. Ma quelli che abbandonano i compagni sono peggio della feccia.” Rispose il biondo con tono sprezzante.
“Esattamente. Io sono peggio della feccia.” Vide il biondo sgranare gli occhi. “Un anno e mezzo fa dovevo esserti vicino come maestro e come amico; avrei potuto, anzi, avrei dovuto fare di più e invece non ho fatto nulla…per quanto tardive, voglio porgerti le mie scuse.”  
Portò una mano alla tasca destra del giubbotto che indossava e tirò fuori una lettera.
“È di Jiraiya, mi ha detto di consegnartela, sono all’oscuro del suo contenuto” e poggiò il plico sul bancone. “Io sarò fuori al locale per la prossima ora. Se scaduto quel tempo non sarai uscito, prenderò atto della tua decisione e ritornerò a Konoha, è stato un piacere rivederti Naruto.”
L’ora era quasi scaduta. Cominciò a mettere lo zaino in spalla, per potersi così avviare verso la fermata del bus, quando sentì la porta del negozio aprirsi. Vide nella mano destra del suo ex allievo il suo ormai storico borsone, di un colore improbabile: arancio e nero.
“Sei sicuro della scelta che hai fatto Naruto?”
“Sarà meglio sbrigarsi” rispose in un tono asciutto. “Se non riusciamo a prendere l’autobus che passa fra dieci minuti, saremo costretti a rimanere due ore sotto il sole ad aspettarne un altro e non ne ho voglia.”



Angolo autore

Ciao a tutti! Eccomi qui con il terzo capitolo.
Vorrei ringraziare chi ha deciso di mettere la storia nelle seguite e chi ha deciso di lasciare un commento, grazie per il tempo che mi avete dedicato.
Spero che il capitolo sia stato piacevole da leggere.
Resto in attesa di un vostro commento, per capire se la storia è di vostro gradimento o meno o se gradite o meno lo stile della narrazione.
Ancora grazie e a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter IV ***


Chapter IV

 
Sakura odiava con tutta sé stessa stare in quel luogo, ovvero la sala per le autopsie. Quell’odore di disinfettante misto alla formaldeide la disgustava. Era abituata all’odore dell’antisettico fra le corsie dell’ospedale, ma lì, nella morgue, per lei assumeva una percezione particolarmente negativa. Salutò con un cenno della testa Shizune, la responsabile del reparto, che si trovava vicino al bancone autoptico. Temeva che se avesse aperto bocca, la nausea che accusava si sarebbe trasformata in qualcos’altro. Lentamente si avvicinò, il cadavere era ancora ricoperto con un lenzuolo bianco, tirò un sospiro di sollievo, aveva ancora qualche attimo di tregua. La vecchia Tsunade tirò all’improvviso il telo, lo vide e lo stomaco cominciò a contorcersi violentemente. Aveva bisogno di un lavandino. Cominciò a correre verso il fondo della stanza, sentiva che i conati di vomito si facevano sempre più aggressivi. Riuscì finalmente ad individuarlo e cominciò a rimettere quel poco di alcool che le era rimasto della sera precedente.
“Mi devi cinquanta euro Tsunade” Disse la responsabile con un’aria trionfante. “Come previsto è durata meno di cinque secondi”.
La bionda imprecò, odiava perdere una scommessa, cosa che accadeva spesso. Irritata, tirò fuori la banconota e la passò all’assistente. Guardò con aria torva la sua pupilla, gliel’avrebbe fatta pagare molto cara.
“Allora, cosa mi sai dire? Hai qualche informazione più dettagliata su questa salma?”
“Il soggetto era un uomo di trent’anni, che godeva di un’ottima salute. Vista la massa muscolare e la bassa percentuale di grasso, si può dire che fosse un tipo sportivo, probabilmente un body builder. Dalla temperatura del fegato sono riuscita a risalire all’incirca all’ora della sua morte; questa è avvenuta tra le ventidue e le ventidue e trenta. Quindi la tua supposizione era giusta. È corretta anche la tua ipotesi sulla causa della morte, ovvero per dissanguamento, anche se sarebbe ugualmente morto, prima di esser sezionato.”
“Cosa intendi dire?”
“Prima che venissero recisi completamente i suoi arti, testa compresa, il soggetto in questione aveva subito delle forti percosse. Guarda questi lividi sul busto e sulla testa. Era difficile individuarli sul momento, poiché ricoperti completamente di sangue. Dopo il lavaggio del corpo è stato facile individuarli. L’assassino si è divertito a massacrarlo e poi a sezionarlo. Un autentico macellaio.”
“Mio Dio…”
“Sapeva molto bene cosa fare per ridurlo in quello stato, per poi divertirsi con il suo corpo. I tagli sono netti, precisi, non vi è un filo di sbavatura. Chiunque sia, è un autentico figlio di puttana fuori di testa.”
“Ipotesi sull’arma utilizzata?”
“Un oggetto molto affilato con una lama non più lunga di sessanta centimetri. Mentre, per quanto riguarda le varie contusioni…è stato massacrato a mani nude.”
“Quindi ci sono tracce dell’assassino!”
“No, ho controllato ovunque, nessuna traccia. Lo ripeto, è un tipo che sa cosa fare.”
“Sei riuscita a scoprire chi fosse?”
“No, ho provato ad inserire le sue impronte nel database, ma non risulta nulla. Ho provato a incrociare altri dati biologici in altre banche dati, ma nulla. Questo individuo è un perfetto sconosciuto.”
“Maledizione!” imprecò la bionda.
“Non ho intenzione di darmi per vinta. Nessuno uccide per poi non lasciare alcuna traccia. A costo di rivoltarlo daccapo come un calzino, ti giuro che troverò qualcosa.”
“Grazie, Shizune.”
“Sakura, se hai finito di rimettere quel poco di alcool che ti era rimasto in corpo, direi che è ora di risalire.”
L’allieva la guardò in tralice. Altro che mano, quella strega l’aveva presa per i fondelli. Si ripulì la bocca con un tovagliolo e si avviò verso l’uscita.
“Hai intenzione di tenermi il muso per tutto il tragitto, oppure ti va di fare attività più ricreative, come ad esempio parlare?”
“È stato ingiusto da parte sua, sa molto bene quanto non sopporti la vista di certe cose.”
“Sei un medico!”
“Specializzata in medicina interna.” Urlò.
“E poi dovevo fartela pagare per il tuo ritardo, no?” disse divertita la bionda.
La guardò in malo modo. Stava per risponderle, quando notò alcune sue tirocinanti camminare per il corridoio, con aria afflitta.
“Buongiorno ragazze, come mai quelle espressioni?”
“È mercoledì...” risposero desolate in coro.
“E quindi?”
“Seconda lezione della settimana con il vecchio Sarutobi “
Sakura ridacchiò, ricordava benissimo quanto potessero essere noiose le lezioni di informatica dell’anziano professore. Ore ed ore di noiose nozioni, per soli tre miseri CFU.
“Buona fortuna ragazze. Cercate di non addormentarvi durante la spiegazione. Ah, quasi dimenticavo, per questa settimana non farete tirocinio con me, bensì con la dottoressa Ino Yamanaka. Noi ci vediamo direttamente mercoledì prossimo.”
Le ragazze annuirono con la testa. Le vide andare via. Si guardò intorno per capire dove fosse finito il suo mentore. Lo trovò vicino la porta del bar e le indicava di avvicinarsi. La raggiunse.
“Devi offrirmi un’abbondante colazione, visto i soldi che mi hai fatto perdere.”
Sakura si portò una mano al capo. Il suo già esile conto bancario sarebbe stato messo a durissima prova.

 
Il viaggio di ritorno fu tutt’altro che piacevole. Non per la durata del volo o per la poca comodità del mezzo, anzi, in tutto erano all’incirca due ore di viaggio e i posti in prima classe erano stati una sorpresa molto gradita. In pieno stile Jiraiya, un tipo a cui non piaceva certo badare a spese. Mille pensieri scorrevano nella sua testa. Non riusciva ancora a capacitarsi della sua decisione. Che fosse stata avventata? Eppure, il contenuto di quella lettera…certo, non credeva che tutto ciò che fosse scritto corrispondesse alla realtà, ma se fosse stata vera, anche solo la più piccola parte…La voce dell’hostess all’altoparlante lo ridestò dai suoi pensieri, invitava i passeggeri a mettersi la cintura, in quanto prossimi alla fase di atterraggio. Guardò Kakashi che era a seduto al suo fianco. Nonostante lo conoscesse da diverso tempo, non riusciva a capacitarsi di come riuscisse a immergersi completamente nella lettura di quella schifezza di libri per adulti, in qualsiasi momento a lui utile. Guardò la copertina per leggere il titolo, “La violenza della pomiciata”, roteò gli occhi, per giunta il best seller scritto da quel vecchio pervertito del suo ex capo, nonché mentore ai tempi dell’agenzia. Forse quella era stata, veramente, una pessima decisione.
Il clima mite di aprile di Konoha, accompagnato dal caldo ma non cocente sole pomeridiano, sembrava dargli un caloroso bentornato. L’abbondante nevicata, di qualche giorno prima, era un ricordo lontano. Peccato che lui si sentisse completamente fuori posto. Una macchina nera li stava già aspettando, per portarli alla sede operativa dell’agenzia. Il traffico era abbastanza intenso a quell’ora, molte persone stavano uscendo dagli uffici per ritornare alle loro abitazioni o per prendersi un aperitivo con i proprio amici, dopo una lunga giornata lavorativa. Mentre guardava la città, attraverso il finestrino oscurato dell’auto, si trovò ad ammettere che durante la sua assenza fosse molto cambiata, decisamente in meglio. I palazzi vecchi e deteriorati avevano ceduto il passo ad edifici moderni e splendenti, che la proiettavano verso un futuro luminoso. Stentava quasi a riconoscerla. 
“Sai di cosa vuole parlarmi?”
“Non sono autorizzato a discuterne.”
“Però, ti era consentito scoprire dov’ero.” Ribatté seccato il biondo.
“Non ne avevo bisogno, l’agenzia sapeva bene dov’eri finito. Non ha mai smesso di monitorarti, dal giorno in cui te ne sei andato. La parte difficile era capire dove ti fossi nascosto di preciso.”
“Che cosa?” latrò Naruto “Come diavolo vi siete permessi? Io ho dato le dimissioni. Avete spiato un normale cittadino. Voi non avete il senso della misura. Io vi denuncio! Vi distruggo!”
“Vedo che la calma continua ad essere una delle tue virtù” ironizzò il suo ex-maestro. “E comunque, non sei un normale cittadino.”
“Ti sbagli, come ti ho già detto, ho dato le dimissioni, quindi, voi non avevate nessun diritto di spiarmi!”
“Hai ragione, lo hai fatto. Ma Jiraiya non le ha mai ratificate, ergo, sei ancora un agente.”
Il volto di del biondo assunse dapprima un’espressione sconvolta, per poi passare alla pura rabbia. Stava per iniziare a inveire violentemente, quando fu bloccato da Kakashi.
“Non ne sapevo nulla neanche io. Me lo ha rivelato poco prima di mandarti a prendere. Se ti può consolare, neppure io sono contento di questa cosa. Però, conoscendolo, avrà avuto i suoi buoni motivi. Hai passato molto tempo con lui, sai benissimo che non fa mosse avventate, anche se le apparenze potrebbero lasciar pensare il contrario. Concedigli il beneficio del dubbio.”
Vide l’espressione del suo ex-allievo rilassarsi. Sapeva che non avrebbe mosso un dito contro Jiraiya, nonostante la veemenza delle parole usate poco prima.
Per Jiraiya, Naruto, era come un figlio, mentre per Naruto, Jiraiya, era come un secondo padre. All’interno dell’agenzia non aveva mai visto instaurarsi un rapporto del genere, ma doveva ammettere che il suo allievo era una persona speciale. Anche lui, che era considerato quasi un automa privo di sentimenti, sentiva di voler bene a quel ragazzo, e le scuse che aveva posto qualche ora prima, un fatto più unico che raro, ne era la prova lampante.
L’autista segnalò che erano arrivati a destinazione. 
Il biondo rimase a bocca aperta nel vedere dov’erano e la struttura davanti a sé. Nonostante la luce fosse ormai fioca, poiché il sole era ormai calato, nella sua mente erano molto vividi i ricordi legati a quei luoghi, anche se aveva frequentato per poco tempo quei posti.
 “Perché siamo qui, nel campus universitario? E cos’è questa struttura?”
“Questa” e Kakashi indicò l’edificio “tecnicamente è la sede del centro nazionale della ricerca scientifica e biomedica, e in parte realmente lo è, almeno nella parte visibile della struttura. Poi ci sono i tre piani interrati che, ufficialmente, servono a contenere tutto il materiale scientifico per la ricerca e i vari server. Ufficiosamente, è il cervello della “Radice”. Poi ci sono, e bada bene, questa è un’informazione strettamente riservata, altri piani sotterranei, accessibili solo a noi dell’agenzia.”
“Se vuoi nascondere una cosa, mettila bene in vista” disse sarcasticamente il biondo.  
“Vedo che ricordi ancora bene i miei insegnamenti.” Ribatté il maestro “Andiamo, Jiraiya ci aspetta.”
L’ufficio era spazioso ed arredato con mobili ed oggetti di valore. Tipico del modo di essere del suo mentore. Solo la segretaria che, se non ricordava male, lavorava da diversi anni per lui, non era in sintonia con la personalità di chi dirigeva quel posto. Una donna sulla quarantina, né bella né brutta, con poco seno e un fondoschiena normale. Fosse stato per il vecchio pervertito, l’assistente sarebbe stata presa direttamente sfogliando una rivista per adulti. Fortunatamente, non si occupava lui dei colloqui di lavoro e di valutare i vari curricula, anche se nei suoi riguardi, invece, aveva fatto un’eccezione. 
Lo vide indaffarato vicino alla scrivania, non era cambiato molto in quell’anno e mezzo in cui non si erano visti. Soltanto i capelli, ormai, erano diventati completamente bianchi ed erano ulteriormente cresciuti. Come li vide, smise di fare ciò in cui era immerso e cominciò ad avvicinarsi ai suoi due ospiti.
“Naruto, ragazzo m…”
Un pugno diretto sul naso interruppe il suo saluto e lo spedì a terra.
“Questo è per non aver accettato le mie dimissioni” disse il biondo, visibilmente alterato.
“Come…” poi si voltò verso Kakashi e lo guardò in tralice. “Avevi proprio la necessità di spifferare tutto?”
“Non l’hai classificata come informazione riservata” pronunciò il diretto interessato, con un tono molto innocente.
Jiraiya si limitò a scuotere la testa, sapeva che cercare di spuntarla con il suo miglior agente era una battaglia persa in partenza.
“Naruto, come volevo dirti, prima di dimostrarmi che la tua forza non è minimamente variata, sono contento di vederti.”
“Io molto meno”.
“Credimi, se la situazione non lo avesse richiesto non ti avrei disturbato…”
“Cosa è successo?” 
“Non gli hai detto nulla?” disse il direttore rivolgendosi a Kakashi. 
“Hai classificato tu le informazioni come di livello S…” 
Il capo dell’agenzia si portò una mano al viso, quell’uomo sapeva essere veramente irritante quando voleva.
“C’è stato un omicidio, un'autentica mattanza, in una delle stanze server dove vengono convogliati i dati sensibili dell’agenzia.”
“Quindi? Non mi occupo di omicidi.”
“Infatti, non sei qui per questo motivo. Crediamo che ci sia stata una fuga di dati.”
“Avete controllato il sistema?”
“Si, e non risulta nessuna anomalia.”
“Allora non capisco cosa ci faccia qui”.
“Non sono convinto di ciò e tu sei l’unico che può dar conferma ai miei sospetti”.
“Se il sistema non ha riportato nulla di anomalo, allora non c’è stata nessuna fuga di dati.” Asserì seccato il biondo.
“Non dire cazzate Naruto, tu sei il più grande hacker in circolazione, meglio conosciuto come la Volpe. Uno che all’età di sedici anni ha hackerato i server della difesa, senza che nessuno se ne accorgesse. Ci hanno impiegato mesi per individuarti e altrettanti per risalire alla tua identità.”
“Già, e quando mi avete preso mi avete dato due possibilità: unirmi a voi o passare il resto della mia vita in carcere.” 
“Bhe, non mi sembra che ti sia dispiaciuto unirti a noi. Sei diventato il nostro miglior analista e uno dei nostri agenti operativi più abili, al pari di Kakashi. Ma non sono qui per rivangare i tempi passati. Per caso, hai letto la lettera?”
“Si, il contenuto corrisponde al vero?”
“Ti ho mai mentito?”
“No.”
“Se decidi di accettare questo caso, quello che ti ho promesso sarà vero. Ti garantirò tutti i livelli di accesso di cui avrai bisogno, per controllare ed esaminare qualsiasi dato dell’agenzia di cui necessiti.”
“Quindi…”
“Potrai anche dedicarti a quell’indagine che ti negai un anno e mezzo fa.”
“Perché ora?”
“Ho commesso un errore nei tuoi confronti e voglio rimediare, e poi…non passa giorno che non pensi a quella ra…”
“Basta così” disse il biondo con tono pieno di risentimento.
“Mi dispiace per quello che è successo.”
“Ho detto basta così. Accetto le tue scuse e l’incarico, ma non provare mai più a parlare di lei, chiaro?”
“Chiarissimo.”
“Quale sarà la mia copertura?”
“Nessuna, sarai te stesso.”
Naruto lo guardò sorpreso.
“Me stesso? E come faccio ad accedere a questa struttura se sono semplicemente me stesso.”
“Hai una laurea in informatica o ricordo male?”
“Si, l’ho presa mentre mi addestravo con voi.”
“Appunto. Da lunedì, sarai il nuovo docente di sistemi informatici presso questa università. Prenderai il posto del vecchio Sarutobi, che non vede l’ora di andare in pensione.”
“Ma se non ho partecipato a nessun concorso?!”
“Invece si” e gli mostrò un foglio con la graduatoria del concorso per professore di seconda fascia. “Complimenti, sei arrivato primo.” 
“Ma è falso.”
“Per niente, il documento è originale, il rettore stesso dell’università l’ha firmato.”
“Non ci posso credere…”
“E potrà essere veramente il tuo lavoro se lo vorrai, ovviamente, ad incarico terminato.”
“Grazie” balbettò il biondo.
“Ah, c’è un’ultima novità. Al termine della missione consegnerò le tue dimissioni.”
“Cos…”
“Meriti di essere felice e, finché sguazzerai in questa fogna e sarei costretto ad essere a contatto con questa merda, difficilmente lo sarai. Ora, puoi anche andare. Kakashi tu rimani qui, ho alcune cose di cui discutere con te.”
Naruto cominciò ad avviarsi verso la porta, era quasi arrivato quando sentì Jiraiya che lo chiamava.
“Un’ultima cosa...Bentornato, mi sei mancato.”
Sorrise. Forse la sua permanenza a Konoha non sarebbe stata così disastrosa, o almeno così si augurava.


Note dell'autore

Ciao a tutti! Come ogni lunedì ecco puntuale il capitolo.
Ringrazio tutti coloro che hanno commentato e/o seguono la storia.
Come al solito, sarei felice di conoscere la vostra opionione.
A presto, spero!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter V ***


Chapter V

 
Jiraiya gli aveva dato un giorno libero, per permettergli di sistemare tutte le sue cose, nella casa che gli aveva messo a disposizione. Il trasloco era durato meno del previsto, solo una mattinata, non aveva molto di suo, non gli interessava accumulare roba. Finito di sistemare quel poco che aveva, decise di uscire di casa. Pensò di andare a trovare i suoi genitori, erano quasi due anni che non li vedeva. L’ultimo loro incontro risaliva a quando risiedeva ancora a Kumo. Li aveva invitati per chiedere consiglio su una faccenda importante. Poi, nell’ultimo anno e mezzo il vuoto; inframmezzato da qualche breve chiamata e da qualche fugace messaggio. Per carità, non che i suoi vecchi fossero persone assenti, tutt’altro, ma il dolore che aveva vissuto lo aveva portato ad allontanarsi da tutto e tutti.
Giunse davanti la palazzina dove abitavano i suoi. Nonostante Konoha fosse pesantemente cambiata in quei lunghi dieci anni, quella parte della città era riuscita a mantenere il suo vecchio aspetto. Si sentì leggermente rincuorato; quel repentino cambiamento, seguito da tutte quelle novità, lo aveva un po’ scombussolato. Il fatto che quel luogo non fosse cambiato, gli permetteva di aggrapparsi a quel briciolo di ricordi felici che gli rimanevano e di non sentirsi un’entità a parte, in quella che era la sua città natale, anche se aveva dei forti dubbi sull’ultima affermazione.
Ebbe fortuna, la porta dell’atrio era già aperta, la sorpresa sarebbe riuscita perfettamente. Salì velocemente le scale che portavano al quarto piano, dove era sito l’appartamento dei suoi. Nonostante la rapidità con cui aveva affrontato quella serie di gradini, notò che non aveva minimamente il fiatone. Nonostante ultimamente si fosse allenato poco, il suo fisico riusciva a reggere ancora bene uno sforzo prolungato. Arrivò davanti all’uscio, notò con piacere che, sebbene fosse lì da diversi lustri, non era cambiato, sempre di quell’improbabile colore rosso.
Provò a sentire se dall’interno della casa provenissero dei rumori, ma tutto taceva. Una sgradevole sensazione si fece largo in lui, che avesse scelto il momento sbagliato? Che fossero via per qualche motivo? Bussò. Sentì un rumore di passi provenire dall’interno, tirò un sospiro di sollievo ma, in contemporanea, sentì i battiti del cuore accelerare.
Una donna di una incredibile bellezza, nonostante avesse superato da poco i cinquant’anni, dal fisico tonico ed asciutto, con una folta chioma rosso fuoco, che scendeva fluente per tutta la schiena, con degli incredibili occhi blu scuro screziati da venature grigie, aprì la porta. Rimase senza fiato nel vedere chi avesse bussato alla sua porta. Lo abbracciò.
“Naruto!” disse la donna in lacrime.
Il ragazzo ricambiò quell’abbraccio, gli era mancato sprofondare in quella stretta rassicurante.
“Minato” urlò piena di felicità la donna “vieni a vedere chi è venuto a trovarci!”
Un uomo, dai capelli color del grano e dai limpidi occhi azzurri, si avvicinò all’ingresso. Un’espressione di stupore fece capolino sul suo viso, poi si avvicinò al ragazzo e lo strinse forte a sé.
Naruto rimase stupito nell’osservare, come poco erano cambiati i suoi genitori, in quel lasso di tempo in cui non si erano visti. Sembrava che il tempo per loro non fosse mai passato. I capelli avevano ancora il loro colore naturale, anche se qualche filo d’argento lo si poteva notare e, qualche ruga si era fatta largo sui loro volti. Ma, tralasciando questi piccoli particolari, conservavano ancora un aspetto giovanile, li si poteva tranquillamente scambiare per una coppia di quarantenni.
Entrò in casa, notò che, a parte qualche mobile e qualche altro piccolo particolare, aveva conservato le stesse sembianze di quando era andato via. Si accomodò sul divano presente in cucina.
“Mamma, papà, io vorrei chiedervi sc…”
La mano della donna corse veloce a chiudergli la bocca.
“Non hai nulla di cui scusarti!”
“Dici? Non mi sono fatto sentire per quasi due anni. Direi che ho tutto il diritto di sentirmi in colpa e chiedere scusa.”
“È dovere di un genitore aspettare ed avere fiducia in un figlio.” rispose con calma l’uomo. “E poi, anche noi, insomma…”
“Voi non avete nessuna colpa! Sono io che mi sono chiuso come un riccio, allontanandomi da tutto e tutti. Voi ci avete provato…mi rifiutavo di rispondere alle vostre chiamate.”
“Naruto stavi passando un brutto periodo” e la madre lo guardò dritto negli occhi “Direi che lo stai passando tutt’ora.”
“Cosa? Come puoi affermare una cosa del genere?”
“Sei mio figlio, mi basta guardarti negli occhi per capire se qualcosa non va. Dimentichi sempre che ti ho portato in grembo per nove mesi.”
 Sorrise, aveva smesso di contare da un pezzo quante volte avesse sentito quella battuta.
“Perché sei tornato? Dopo il…dopo l’ultima volta che ci siamo visti, eri inamovibile sulla tua decisione di non ritornare.”
“Scommetto che è opera di Jiraiya” disse il padre.
Il ragazzo non rimase sorpreso dalla deduzione, visto che, aveva messo a corrente i suoi genitori del suo lavoro.
Ciò che non sapeva, è che, anche il suo papà, in gioventù, aveva fatto parte dell’agenzia e, a detta di Jiraiya, che era stato il suo addestratore, il miglior agente che avesse mai visto. Inoltre, era l’unico uomo a cui era stato concesso di dimettersi senza subire nessuna conseguenza. La causa delle sue dimissioni era stata una donna, sua moglie.
Kushina era una abile informatica che aveva attirato l’attenzione di un’organizzazione terroristica. Su di lei era stata posta una taglia stratosferica, per essere rapita e portata al cospetto dei criminali. Minato era stato incaricato, dall’agenzia, di sgominare l’organizzazione e di mettere in salvo la risorsa. All’inizio della missione credeva di aver a che fare con un noioso nerd. Peccato che, quando la vide, il suo cuore fece un triplo salto mortale nel petto e i suoi occhi non facevano che fissare quei fluenti capelli rossi. Si era innamorato perdutamente di quella donna a prima vista; con il prolungarsi dell’incarico l’impressione era diventata certezza e, cosa più bella, lei ricambiava i suoi sentimenti. Dopo la fine della missione decise di presentare le sue dimissioni, non voleva mettere nuovamente la donna in pericolo a causa del suo lavoro. Jiraiya, stranamente, aveva accettato le sue dimissioni senza controbattere. L’unico favore che gli aveva chiesto, era di non fare mai menzione, con nessuno, dei suoi trascorsi con “La Radice”.  Dopo poco le aveva chiesto di sposarlo e Naruto era il frutto del loro amore. Avevano raccontato a loro figlio la storia del loro amore diverse volte, ma non facendo mai menzione dei loro trascorsi con l’agenzia. Avevano taciuto su una parte del loro passato. Anche quando Jiraiya venne a bussare alla loro porta per dire cosa, il loro amato “bambino”, avesse combinato e che, appena fosse diventato maggiorenne avrebbe dovuto fare i conti con l’organizzazione.  Saperlo con “La Radice” li preoccupava molto, ma al tempo stesso erano sicuri che il vecchio pervertito, come adoravano chiamarlo, lo avrebbe messo sotto la sua ala protettiva e che non gli avrebbe mai fatto correre rischi eccessivi. Inoltre, sapevano che, al momento giusto, avrebbe trovato il modo per svincolarlo. Avrebbero rotto quella promessa solo in casi di estrema necessità.
Invece Naruto, con loro era stato sempre un libro aperto. Li aveva messi al corrente della sua scelta e, anche se non scendeva mai nei dettagli e, nel limite del possibile, li metteva sempre a conoscenza della sua attività, per non farli preoccupare eccessivamente; anche se, molto raramente, il suo capo lo mandava in missione sul campo; lo preferiva dietro lo schermo di un pc ad analizzare i dati. Tranne per quella missione di due anni addietro…
“Ci hai preso in pieno papà.”   
“Puoi dirci qualcosa in merito, oppure sono informazioni strettamente confidenziali?”
Raccontò loro, ciò che poteva del suo nuovo incarico.
“Quindi, il posto di professore universitario potrebbe diventare reale, quando riuscirai a sbrogliare la situazione…” disse la madre.
“Esattamente.”
“E hai già deciso se accettarlo quel posto, una volta che tutto sarà finito?” chiese speranzosa. Saperlo lì a Konoha, vicino a lei, a loro, la riempiva di speranza e serenità.
“Non ancora, non so.”
“Prenditi tutto il tempo che ti serve” proferì l’uomo; guadagnandosi un’occhiataccia dalla moglie “qualsiasi decisione prenderai, noi l’accetteremo e sosterremo.”
“Grazie…ora devo andare, si è fatto tardi.”
“Non vuoi rimanere per cena?” chiese la madre.
“No, ho ancora altre faccende da sistemare. Vi prometto che una di queste sere vengo a cenare qui da voi.”
L’accompagnarono verso l’uscita. Rimasero sulla soglia della porta, finché non sentirono il portone dell’androne chiudersi.
“È duro il lavoro dei genitori, eh?” disse il biondo, stringendo forte la donna a sé.
“È stato straziante, in quest’anno e mezzo, vederlo soffrire da lontano e non poterlo consolare. Vegliarlo, ma non poterlo toccare.”
“Per quanto possa essere difficile, bisogna lasciargli fare le loro esperienze ed essere presenti quando chiedono aiuto.”
“Ma lui non lo ha chiesto!”
“Vero, ma già che sia venuto qui, a parlarci di questo, è un passo avanti. E poi…”
“Poi, cosa?”
“Lei è ancora qui. Se c’è una persona, che ci può restituire il Naruto che conosciamo, è lei.”
“Dici? Dopo tutto quello che è successo? Non ne sarei così sicura.”
“Non saprei, ma sono sicuro di una cosa: certi sentimenti non spariscono nel nulla.”
La donna strinse l’uomo forte a sé, quella vicinanza le trasmetteva serenità e sicurezza. Minato le diede un bacio sul capo, tra i capelli che tanto amava. Chiusero la porta, con la speranza che il loro amato figlio, finalmente, avrebbe trovato la felicità.

 

Spazio autore:

Ciao a tutti! Ecco il nuovo aggiornamento!
Spero che sia stato di vostro gradimento :)
Mi farebbe veramente piacere conoscere la vostra opionione.
A presto, spero!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter VI ***


Chapter VI

 
Sakura era distrutta, quel fine settimana, alla convention di medicina interna tenutasi a Suna, su una nuova tecnica di intervento in caso di infarto, l’avevano letteralmente stremata. Fortunatamente, Tsunade le aveva concesso il lunedì libero per riprendersi. Si gettò di peso sul letto. Il suo sguardo corse verso la fotografia che aveva sul comodino. Ritraeva lei e il suo ex-ragazzo, durante una loro vacanza nel sud Italia. Si ritrovò a pensare al loro rapporto, al suo tradirla con un’altra donna, per giunta, medico anche lei ed alla scoperta del tutto una settimana prima del matrimonio. Non poté impedire ad una lacrima di scorrere liberamente sul suo viso. L’asciugò furiosamente. La sua professoressa aveva ragione, piangere e struggersi per quel “figlio di buona donna” non aveva senso, era solo lesivo verso sé stessa. Prese la fotografia e, con un lancio perfetto, la scagliò nel cestino della spazzatura. Eppure, non riusciva a sentirsi libera, soddisfatta. Le lacrime ripresero a scendere, ma questa volta non fece nulla per asciugarle. Rifletté su quella relazione che era durata quasi un decennio, si trovò a chiedersi se Sasuke l’avesse mai amata realmente, oppure se fosse stata solo una lunga illusione. Si ritrovò a pensare a tutti quegli anni. I primi appuntamenti, la bellezza di fare le cose con la persona che si ama, l’invidia provata dalle sue amiche nel vederla in coppia con il ragazzo più desiderato delle scuole superiori. Lei che lo aspettava sempre dopo ogni suo allenamento in palestra. Lei che non andava al cinema se a lui un film non piaceva. Lei che rinunciava a comprare un vestito, perché lui lo riteneva troppo corto. Lei che lo seguiva ovunque andasse, anche se quelle attività non le piacevano. Lei che era sempre pronta a sostenerlo, se qualcosa non andava bene in famiglia o con suo fratello. Lei che lo aveva aspettato un interno anno, quando aveva deciso di partire da solo per visitare nuovi posti. Lei che aveva dato anima e corpo per quella relazione. Posò il dorso della mano destra sugli occhi per coprirli, per cercare di nascondere a sé stessa quelle lacrime, amare. Si chiese se lui avesse mai provato a fare una delle tante cose per lei. La risposta fu impietosa. No. Solo all’inizio della relazione aveva mostrato un vago interesse per lei, per cosa faceva, per i suoi amici, per i suoi interessi. Poi, il disinteresse più totale. Quanto era stata sciocca a giustificarlo ogni volta. È il suo carattere si diceva, è una persona introversa si ripeteva. È un lupo solitario, replicava contro quella parte del suo istinto che, inutilmente, cercava di metterla in guardia. Bugie. Stupide, sciocche menzogne che raccontava a sé stessa, per non guardare in faccia la realtà. Da quando aveva smesso di vivere per le sue ambizioni, i suoi sogni, i suoi ideali, per seguire ciecamente quelli di un’altra persona? Com’era diventata l’ombra di sé stessa? Da quando, annullarsi, era diventato un prezzo ragionevolmente buono da pagare, per amare? 
Nel vorticare di quei pensieri, il volto di un ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, si fece largo. Le lacrime aumentarono. Nonostante avesse “l’amore”, in quegli anni gli era terribilmente mancato. La sua presenza rassicurante, i suoi sorrisi, l’essere costantemente positivo nonostante le avversità. L’essere complici, la sua imprevedibilità nell’affrontare i problemi della vita. Dentro di sé lo sentiva. Era lei la causa del suo allontanamento da Konoha. All’inizio non ci aveva quasi fatto caso; ma con il trascorrere del tempo, si era accorta che una parte della sua vita era cambiata, in peggio. Come quando si avverte ancora la presenza di un arto reciso, ma si è consapevoli che ormai non c’è più. Aveva cercato di contattarlo più volte in quegli anni. Dapprima aveva provato a chiamarlo, ma il numero non corrispondeva più alla sua utenza. Poi aveva provato tramite i canali social, ma sembrava come se non fosse mai esistito. Si era giocata la carta dei suoi genitori, ma si erano trincerati dietro un imbarazzato muro di silenzio. In tutti quegli anni, si era convinta che lui fosse voluto uscire dalla sua vita, senza un buon motivo. Si era rifiutata di vedere la verità. Solo ora, riusciva a vedere con chiarezza la morte nei suoi occhi, quando gli aveva confessato di amare Sasuke Uchiha, il suo migliore amico, suo “fratello”. Ora comprendeva la sofferenza che gli aveva procurato con quella stupida confessione. Aveva distrutto la sua vita, poteva sopportarlo, poteva biasimare solo sé stessa. Il male che inconsciamente aveva causato, a quello che lei reputava essere il suo migliore amico, no. Non riusciva a tollerarlo. Ormai era troppo tardi per chiedere scusa. Esausta si addormentò.
 

La raccolta dei dati era la parte che più odiava del suo lavoro, ma era ben consapevole che, fosse una parte determinante, nella buona riuscita di un’analisi corretta. Aveva passato tutto il fine settimana a lavorare, giorno e notte. Ormai aveva perso il conto di quanti caffè ed energizzanti aveva bevuto, con buona pace dei tic nervosi che gli erano venuti. Ma lui era fatto così, che si trattasse di un allenamento o di una missione, ci metteva tutto sé stesso, anche a costo di rimetterci fisicamente. Certo, se Jiraiya gli avesse facilitato un po’ la vita, sicuramente ci avrebbe messo meno tempo, ma non poteva fargliene una colpa. Aveva provato per portare a casa il risultato nel più breve tempo possibile. Aveva mosso tutte le leve immaginabili ma, la burocrazia, ha delle ragioni che la ragione fa fatica a comprendere. Nel suo caso, un’autorizzazione di massimo livello che, avrebbe impiegato giorni affinché fosse presa in esame e poi concessa. Ma lui, Naruto Uzumaki, non era mai stato un tipo a cui piaceva molto aspettare. Certo, gli mancavano un bel po’ di dati importanti, che avrebbe potuto ottenere, se solo avesse forzato la mano, ma preferiva non esagerare. Nello stato di subbuglio in cui si trovava l’agenzia, un tentativo, eufemismo di intromissione, brutale di accesso ai sistemi, avrebbe sortito un effetto contrario e in quel caso, avrebbe potuto dire addio alla piena autorizzazione e con quello alla sua personale indagine.
Non che non fosse capace di penetrare un sistema senza far scattare gli allarmi, ma sapeva, molto bene che, sarebbe stato impossibile non lasciare tracce poiché, in quel momento, tutti i “fari” dell’agenzia illuminavano a giorno i dati che passavano per i server. Aveva preferito lavorare ai limiti della legalità, per ottenere alcuni dati che, gli avrebbero permesso di fare delle ipotesi più efficaci. Quei giorni di raccolta delle informazioni, gli avevano consentito di elaborare una duplice strategia su come affrontare il problema. Dapprima, aveva elaborato un software capace di analizzare in contemporanea le timbrature e i volti di chi obliterava, ma avrebbe dovuto aspettare il giorno successivo per verificare se ciò che aveva creato funzionasse bene. Il secondo punto della strategia era capire come si fossero infiltrati nel sistema della portineria e ricercare eventuali tracce. Quella era la parte che lo preoccupava maggiormente. Dai primi dati che aveva potuto verificare, anche se incompleti, si era fatto un’idea abbastanza precisa. Non erano dei criminali informatici di basso livello. Sapevano come comportarsi, trovare una falla, nel loro piano, non sarebbe stato facile. Certo, il software in dotazione a quelle povere guardie giurate non era di certo il massimo della sicurezza. Soltanto ad un primo sguardo aveva trovato bug sulla sicurezza abbastanza preoccupanti. Per non parlare degli ID e delle password fornite al personale per accedere all’interfaccia grafica. Alla tenera età di otto anni era stato capace di creare chiavi d’accesso molto più complesse. Sorrise beffardo, probabilmente, mettere come parola di accesso il cognome di quegli operatori, avrebbe reso agli hacker la vita un tantino più complicata. Si stropicciò gli occhi con le mani, da quante ore era vicino a quello schermo? Troppe. Posò lo sguardo sull’orologio da polso. Un cronografo di gusto discutibile, poiché, il quadrante richiamava le fattezze di un rospo. Ma a lui piaceva. Vi era un particolare legame con quell’oggetto. Era il regalo che i suoi genitori gli avevano fatto appena compiuto sei anni. Nonostante ai suoi non mancassero certo i soldi, visto che suo padre era dirigente di una grande azienda di sicurezza, mentre sua madre una funzionaria di una multinazionale di informatica, non lo avevano mai viziato con regali costosi o facendolo “vivere sugli allori”. Gli avevano insegnato il senso del dovere. Sul lavorare duro, per migliorarsi costantemente. Solo su una cosa non avevano mai lesinato, sull’amore incondizionato che gli avevano costantemente fatto sentire per tutta la vita. Vide che era mezzanotte inoltrata, era meglio andare a coricarsi. Si doveva svegliare presto, il primo giorno da professore universitario lo aspettava e, di certo, non voleva fare brutte figure, come ad esempio arrivare in ritardo alla sua prima lezione.
 

Gli occhi le bruciavano, con il dorso della mano si asciugò una lacrima che le era sfuggita dall’occhio sinistro. Se ne pentì subito, il guanto in lattice non aveva fatto altro che aumentare l’irritazione. Se li sfilò, frustrata. Quel cadavere stava mettendo a dura prova la sua pazienza, oltre che la sua autostima. Sentiva che c’era qualcosa che non tornava, che aveva tralasciato. Diamine lei era Shizune, la miglior anatomopatologa della nazione. Solo Tsunade le era avanti, la quale per altro, le aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere. Uscì dal laboratorio per prendere una boccata d’aria. Chissà, forse, magari schiarirsi le idee le avrebbe fatto bene. Prese il pacchetto di sigarette dalla sua borsa rosa, a forma di porcellino. Sapeva bene quanto fosse ridicolo quell’oggetto, ma a lei piaceva. L’aveva custodito fin dalla più tenera età e accompagnata in tutte le fasi della sua vita.
Cominciò a fumare nervosamente. La brace rossa della sigaretta, che lentamente si consumava ad ogni boccata, in quel buio, sembrava più ardente che mai. Da quante era si trovava in quel maledetto posto? Era sicura solo di una cosa, di essere entrata lì quando il sole era appena sorto, mentre nel cielo si stagliava un magnifico gioco di luci e colori. Ora invece, era buio pesto e, i lampioni dell’ospedale universitario, rischiaravano a sufficienza il viale di accesso all’obitorio. Ma lei doveva sbrogliare quella matassa. Nessuno commetteva un omicidio perfetto, era il prima assioma che aveva assimilato, quando aveva intrapreso la carriera di medico legale. Si arrovellò il cervello, che avesse sbagliato qualcosa? Che non avesse esaminato con perizia qualche particolare? Impossibile.
Rientrò furiosa in laboratorio, più decisa che mai a risolvere quel rebus. Tirò, nuovamente, fuori tutto il materiale del caso che aveva personalmente prelevato da quel corpo. Quello che ancora si rifiutava di spedire al laboratorio scientifico, per le analisi di rito. Poi si diresse verso la cella frigorifera; quel corpo gli doveva delle risposte, e anche subito. Riesaminò un’altra volta tutte le ferite che gli erano state inferte, ma nulla. Oltre al taglio ben eseguito, non c’era niente di nuovo che potesse esaminare o aggiungere. Certo, era un taglio che lasciava un’impronta molto particolare sulla carne; ma solo un’analisi comparata in laboratorio, avrebbe potuto dare la certezza di quale arma fosse. Passò al busto, ma anche lì, nulla di nuovo da segnalare. Sentì la frustrazione aumentare ogni minuto che scorreva, ma decise di non demordere. Si accinese a riesaminare la testa. La parte esterna non le aveva dato molta soddisfazione, anche il riesame dei seni nasali non le diedero nuove informazioni. L’ultima spiaggia era la bocca, ma ormai le sue speranze erano “ridotte al lumicino”. Stava quasi per arrendersi, quando notò qualcosa di strano sulla faringe. Senza perdere tempo, illuminò quel piccolo orifizio con una lampada più potente. Come aveva fatto a non notare prima quell’elemento anomalo? Con irruenza prese le pinze che si trovavano sul carrello. Le infilo con forza ed estrasse ciò che aveva attirato la sua attenzione. L’esaminò con interesse sotto la luce, sembrava una foglia. La campionò e la mise assieme all’altro materiale da spedire al laboratorio della scientifica. Non sapeva spiegarsi il perché ma, finalmente, si sentiva soddisfatta.


Spazio autore:

Ciao a tutti! Ecco il nuovo aggiornamento!
Spero che la storia vi appasioni sempre di più!
Come sempre, mi farebbe veramente piacere conoscere la vostra opinione.
A presto, spero!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter VII ***


Chapter VII

 
Shikamaru Nara era visibilmente annoiato, ma non dal suo lavoro. Stranamente, amava essere a capo del laboratorio della scientifica. Infatti, era una delle pochissime attività che, gli facevano alzare il culo dal letto la mattina, molto volentieri. Lui odiava i rapporti umani, specialmente se questi avevano le fattezze del tecnico del laboratorio. Una donna bionda, che era solita portare i capelli raccolti in diverse trecce, con il colore degli occhi di un verde scuro; tratti che, tra l’altro e, che purtroppo per lui, corrispondevano alla sua ragazza. Era felicemente fidanzato, con quella dolce arpia, all’incirca da due anni. Il loro era un rapporto strano. Se non si era a conoscenza della loro situazione sentimentale, si poteva esser facilmente indotti a pensare che, semplicemente, si odiassero. Peccato che, quel continuo lanciarsi frecciatine e battutine, con tutti gli annessi e connessi, era il tratto saliente della loro relazione. Nonostante quel rapporto potesse risultare strano e altamente disfunzionale, almeno ad una visione superficiale e frettolosa, nascondeva un legame solido e ben rodato, che poteva far invidia a coppie di vecchia data.
Quel mercoledì mattina però, non era lei la causa della sua aria torva. Jiraiya gli aveva dato il tormento per tutta la giornata precedente e se, entro la tarda mattina di quella giornata, non gli avesse consegnato qualche dato, sicuramente sarebbe tornato all’attacco, più rompiscatole che mai. Probabilmente, quel vecchio bastardo pensava che bastasse mettere un po’ di polvere fatata qua e là, agitare la bacchetta magica, recitare la formula di qualche composto chimico; et voilà, l’analisi del laboratorio era bella e pronta, per esser data in pasto a qualche ipotesi fantasiosa, di un detective da quattro soldi.      
Chiuse, talmente con tanta forza la porta del suo ufficio, che le vetrate tremarono violentemente. Stava per mettersi a consultare le scartoffie, che regnavano sulla sua scrivania, quando vide con la coda dell’occhio Temari, la sua ragazza, che si stava avvicinando. Si sedette pesantemente sulla poltrona, pronto ad affrontare quella furia dai capelli biondi. 
«Buongiorno pesaculo, ti sei alzato con la luna storta oggi?»
«Temari, oggi non è aria…»
La donna rimase basita da quel tipo di risposta. Solitamente l’avrebbe salutata e appellata con qualche epiteto carino del tipo: scocciatura, rompiballe e via discorrendo. Invece, l’aveva chiamata per nome, non era da lui.
«Qualcosa non va?»
«Riformula la domanda e prova a chiedermi se c’è qualcosa che va…»
Decise di assecondarlo.
«Allora, c’è qualcosa che va?»
«No.»
«Vuoi deciderti a dirmi come stanno le cose oppure, te le devo tirare fuori con le pinze?» Disse la bionda, spazientita da quell’insulso scambio di battute.
Shikamaru alzò le braccia al cielo e scosse la testa, in segno di resa. Sapeva che, quando la sua dolce metà usava quel tono, era meglio assecondarla. Nel migliore dei casi non gli avrebbe rivolto la parola per giorni. Nel peggiore, l’avrebbe portato alla “canna del gas”, circonlocuzione di “non gliela avrebbe fatta vedere per diversi mesi”, un’eventualità che preferiva caldamente evitare.
«Allora?» ripeté la bionda, battendo nervosamente il piede destro a terra.
«Jiraiya…mi sta tormentando da ieri.»
«Per quei reperti d’analizzare, arrivati lunedì mattina?»
«Si.»
«È da ieri mattina che mi sta perseguitando per avere dei risultati. Come se, chiamandomi ogni dieci minuti, accelerasse il processo delle varie analisi che abbiamo avviato.»
«Gli hai detto che ci stai facendo lavorare come degli schiavi, facendoci fare anche dei turni notturni?»
«Certo, e che ho anche destinato le migliori risorse a seguire questo caso; ma per lui è troppo poco.»
«E non lo hai mandato beatamente a quel paese? Diavolo, sei pur sempre il capo di questo buco di laboratorio della scientifica.»
«Sai benissimo che non è possibile, visto che è un mio diretto superiore. E poi…non è da lui comportarsi così.» Sospirò l’uomo «La situazione è delicata…» Si lasciò sfuggire.
«In che senso?»
«È confidenziale…»
«Sicurezza nazionale?»
Il moro annuì con la testa.
«Comunque, ero venuta a portarti questi» e poggiò una cartellina sulla scrivania.
“I primi risultati che vuole quell’imbecille del nostro direttore.”
«Qualcosa d’interessante?» Chiese l’uomo speranzoso.
«Più che altro, direi qualcosa di insolito.»
Lui si limitò a guardarla alzando perplesso il sopracciglio destro, aspettando in religioso silenzio il resto della relazione.
«Su tutti i campioni esaminati, l’unico DNA trovato è quello della vittima. Un caso più unico che raro. Ma, per validare questa affermazione, voglio aspettare che tutte le analisi siano concluse. Però, se devo essere sincera, non credo che emergerà nulla di nuovo.»
«Come mai?»
«Solitamente, già dalla prime analisi, si hanno delle divergenze, anche se piccole; ma in questo caso niente. Se posso esprimere un’opinione…»
«Puoi.»
«È un fottuto professionista a sangue freddo, che sa come far sparire le tracce. Ecco con chi abbiamo a che fare.»
«Maledizione!» Imprecò.
«Ma…»
«Ma…» ribadì l’uomo irritato.
«Shizune ha fatto un ottimo lavoro.» Prese una foto dalla cartellina «Vedi questa foglia? L’anatomopatologa, l’ha trovata all’intero della faringe del malcapitato. L’ho analizzata personalmente…è una foglia di incenso.»
«Quindi?»
«È una varietà talmente rara, che praticamente non viene commercializzata. È tipica di una sola regione, anzi di un deserto. Quello che si estende intorno a Suna. Il che mi ha portato a pensare una cosa…»
«Insomma, Temari, ti vuoi decidere a dirmi tutto o mi devi tenere sulle spine ancora a lungo?»
La donna emise una risata divertita.
«Quando sei nervoso, sei uno spasso, pesaculo!»
L’uomo sbuffò irritato, ma decise di rimanere saggiamente in silenzio. Preferiva subire le sue angherie e avere le informazioni, piuttosto che restare a leggere pagine su pagine di analisi di laboratorio.
«Ho pensato…e se la pianta e l’arma del delitto fossero in qualche modo collegate? E indovina un po’? Ho fatto centro. Posso dire con certezza che, l’arma usata, è una katana con una lama, non più lunga di sessanta centimetri. Ti starai chiedendo cosa avrà di speciale? Il materiale usato è un metallo che si estrae solo nelle miniere di Suna; ed è lavorato secondo una tecnica antichissima, che lascia una traccia particolare quando taglia.»
«Non riesco a cogliere il punto di tutto questo.»
«A volte mi chiedo come tu possa essere diventato il capo più giovane, che ci sia mai stato in questo laboratorio. Per caso hanno estratto il tuo curriculum a sorte?»
Shikamaru si limitò a guardarla in tralice.
«Questa tecnica di lavorazione non è più utilizzata in nessun procedimento industriale moderno. Solo dei monaci che, casualmente hanno il loro monastero nel deserto di Suna, sono in grado di riprodurla oggigiorno. Quelli dediti al culto di Jashin. L’arma usata è sicuramente una katana rituale. Come faccio a saperlo? Al giorno d'oggi viene prodotta solo per quel motivo. A forgiarla per sé stesso è il novizio che, dopo un lungo percorso spirituale, diventa monaco del culto.»
«Praticamente, stiamo cercando un monaco che uccide a sangue freddo.»
«Esattamente. Per la precisione, un monaco di robusta corporatura, alto all’incirca un metro e ottanta, vista l’inclinazione dei tagli.»
«Ottimo lavoro!»
«Sono la migliore, lo sai.» La donna si affrettò a raggiungere la porta. Era quasi sull’uscio, quando si bloccò e voltò verso il suo ragazzo. «Ah! La prossima volta che chiama Jiraiya, digli che, se pensa che basti mettere un po’ di polverina fatata qua e là, agitare la bacchetta magica e recitare la formula di qualche composto chimico, per avere delle buone analisi…Bhe, si sbaglia di grosso.»
«Già detto!» rispose l’uomo sorridendogli.
«Ci avrei scommesso pesaculo, a stasera. Ho finito il mio turno. Ah! cerca di arrivare in forze stasera, ho voglia di divertirmi un po’!»
Shikamaru si lasciò andare di peso sullo schienale della poltrona. Quella donna era una pazza arpia dominatrice, ma l’amava alla follia.
 

Sakura guardò l’orologio appeso al muro nella medicheria, le sue tirocinanti sarebbero arrivate a breve. Prese la borsa dalla scrivania e tirò fuori alcune cioccolate. Quale miglior medicinale, se non quel “nettare degli dèi”, per risollevare il morale di quelle tre povere malcapitate, per via della lezione del vecchio Sarutobi? Sentì la porta aprirsi. A fatica, non gli caddero dalla mano quei deliziosi bocconcini al cacao. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Altro che tre ragazze distrutte da una lezione noiosissima di due ore. Altro che delle povere anime in pena, in cerca di conforto. Sembravano il ritratto della gioia. Che fosse il caso di fare un esame tossicologico?
Scosse il capo, cosa diamine le passava per la testa? Sicuramente ci doveva essere una spiegazione logica a quella ilare felicità, o almeno lo sperava. 
«Buongiorno Professoressa!» dissero le tre ragazze, con aria trasognante.
«Buongiorno ragazze» rispose titubante. «Mi aspettavo di trovarvi con il morale sotto i tacchi, invece…»
«Eh, ma come si può essere tristi, quando a parlarti c’è un uomo così affascinante…» replicò la più giovane delle tre.
«Bhe, sicuramente il professor Sarutobi quando era più giovane sarà stato un uomo di fascino, ma ora…»
«Ma non stavo parlando del vecchio Sarutobi!»
«Ah, quindi c’è stato un cambio di lezione, non ne sapevo nulla!»
«No no, sempre informatica.»
«Non capisco…»
«Non ha saputo? Il professore, ormai, era prossimo alla pensione. Siccome aveva parecchi giorni di ferie cumulati, ha deciso di sfruttarli tutti prima di andare in congedo. In pratica, da questo lunedì è stato già sostituito dal nuovo docente.»
«Non ne sapevo nulla…»
«E che uomo!» Dissero all’unisono.
Sakura le guardò, confusa e allo stesso tempo divertita; almeno non si annoiavano più durante quella lezione. Anche se, quella reazione, per aver visto semplicemente un uomo, anche se pur bello, le sembrava un tantino esagerata.
«Corpo statuario» proferì la più anziana delle tre. «Capelli color oro, occhi di un azzurro da togliere il fiato e quel sorriso così caldo, che mette in mostra i suoi candidi denti bianchi…un autentico dio greco, sceso in terra, per renderci la vita, in questo misero posto, più bella!»
Mentre sentiva quella descrizione, sentì il battito del cuore mancargli. Nella sua mente si sovrappose a quell’immagine, un’altra persona che conosceva molto bene. Scosse violentemente la testa, non era lontanamente possibile. Lui era via, chissà dove. Espirò lentamente. Il continuo richiamarla delle sue allieve, la riportarono alla realtà.
«Tutto ok, Prof.?»
«Si, si certo.» Si affrettò a dire.
«Visto che, è stato così gentile da dare il suo numero, per contattarlo, nel caso non avessimo capito qualcosa…quasi quasi ne approfitterei, chissà, da cosa nasce cosa…» disse la più giovane delle tre.
«Moegi!» Urlò imbarazzata. «Ti sembra un atteggiamento consono verso un professore? Non se ne parla minimamente, te lo proibisco!»
«Ma prof., è così bello!»
Sakura scrutò le tre in tralice. Poi, un sorriso, si fece largo sulle sue labbra.
«Avanti su, fatemelo vedere!»
«Cosa?!?!» risposero le tre, falsamente scandalizzate.
«So benissimo che lo avete fotografato, mostratemi una sua foto.»
Le tre risero. Moegi prese il telefono, selezionò lo scatto che meglio le era riuscito e lo mostrò alla sua docente.
Guardò incuriosita l’immagine. Grave errore. Sentì il sangue defluire dalle sue guance, come se fosse evaporato all’improvviso. Il cuore si fermò, per poi cominciare a battere furiosamente. Le sue pupille si dilatarono all’inverosimile. Cominciò a tremare violentemente. Poi, come ridestata da quello stato di trance, uscì come una furia dalla medicheria, lasciando le tre ragazze sbalordite.



Spazio autore:


Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Grazie a chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento
.
A presto!
Mask

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Chapter VIII ***


Chapter VIII
 


L’aula dove si teneva la lezione era al piano inferiore. Corse più velocemente che poteva. Si gettò a rotta di collo giù per le scale, non voleva certo perdere tempo con quei lenti ascensori. Quando giunse al piano aveva il fiatone. Non era da lei. Ogni mattina si alzava alle sei, per andare a fare la sua consueta corsa di un ora al parco cittadino. Ma, tutto quell’allenamento quotidiano sembrava essere sparito all’improvviso. Il miscuglio di emozioni che aveva provato, nel vedere chi fosse immortalato in quella foto, l’avevano mandata in confusione totale, facendole anche dimenticare la tecnica di respirazione da usare durante la corsa. Era arrivata finalmente presso l’aula. Aprì la porta violentemente. Una smorfia di delusione si fece largo sul suo viso. Il vuoto più totale regnava in quel posto. Si guardò intorno disperata. Provò a cogliere il più piccolo indizio che le fosse d’aiuto, per cercare di rintracciare l’uomo al centro dei suoi pensieri. Notò il piccolo gabbiotto; si avvicinò nella speranza di trovarvi qualcuno.  Fu fortunata, seduta comodamente sulla poltrona vi era una vigilante che, con aria alquanto annoiata, sfogliava una rivista di cronaca rosa.
«Ehm, buongiorno.»
«Buongiorno», rispose la donna corpulenta, senza staccare gli occhi dal giornale.
«Per caso ha visto passare di qui un uomo?»
La donna alzò gli occhi dalla rivista e la guardò come se fosse una imbecille, ma quel giorno si sentiva particolarmente ligia al suo lavoro; decise di risponderle.
«Ragazza cara, direi che da qui ne passano centinaia al giorno…», proferì con ovvietà.
Sakura si sentì stupida. Doveva essere molto più dettagliata, specifica.
«Cerco un uomo, della mia stessa età. Biondo, occhi azzurri, dal sorriso disarmante. Dovrebbe aver finito da poco una lezione in quell’aula lì, sulla sinistra», e la indicò.
Vide gli occhi della donna illuminarsi e un sorriso apparire sulle sue labbra.
«Oh, quell’uomo!», disse sardonica e le fece un occhiolino. «Un autentico dio greco. Si, l’ho visto poco fa…»
Sentì un pizzico di rabbia, del tutto irrazionale, farsi largo dentro di lei. Va bene, Naruto era un bel ragazzo e col tempo, doveva ammetterlo, era diventato un uomo molto affascinante; ma, definirlo un dio greco, le sembrava un pochino esagerato, dopotutto era sempre Naruto, no? E poi, tutte quelle donne che sembravano prostrarsi ai suoi piedi, cominciavano ad infastidirla, e non poco. Cercò di mantenere la calma.
«Mi sa dire, per favore, che direzione ha preso? Dove sia andato?»
«Mi ha consegnato le chiavi dell’aula poco fa», proferì con aria trasognante la vigilante. «Che uomo, che sorriso…»
Sakura sentì una vena pulsare all’altezza della tempia destra. Stava perdendo del tempo prezioso e quella donna non le era molto d’aiuto. 
«E non mi sa proprio dire che direzione abbia preso?»
«Ci stavo arrivando», sibilò stizzita la donna. «Dopo avermi consegnato il mazzo, mi ha ringraziato e ha detto che sarebbe tornato nell’ufficio.»
«E mi sa dire dov’è?»
La donna controllò sul pc.
«Al quinto piano del dipartimento d’informatica, situato qui di fronte.»
Il medico ringraziò a malapena l’operatrice e fuggì via. Non si curava degli sguardi che gli studenti le rivolgevano, mentre si muoveva velocemente tra i corridoi della facoltà di medicina. Tutti i suoi pensieri erano concentrati verso la ricerca di quell’unica persona. Tutte le sue energie erano canalizzate in quello sforzo, per farla arrivare al suo ufficio il più presto possibile. Percorse rapidamente, per quanto le sue ballerine glielo permettessero, il viale che separava la sede in cui di solito operava, dalla facoltà d’informatica. Si scontrò con diverse persone durante il tragitto, ma non le aiutò a rialzarsi, mormorando soltanto delle scuse di circostanza; la sua mente era altrove. Ignorò, anche del tutto, i ripetuti richiami, allibiti, della sua professoressa. Non aveva tempo per lei, ora. Le avrebbe presentato le sue scuse più tardi.
Era giunta finalmente davanti all’ingresso. Si sentiva prossima all’infarto. Costrinse le sue gambe a proseguire, nonostante tremassero per lo sforzo. Entrò nella hall. Si guardò intorno alla ricerca di un punto informazioni. Sapeva il piano, certo, ma a prima vista quel posto le sembrava un dedalo. Lo trovò e si avvicinò. Questa volta il guardiano si mostrò più gentile e molto più celere nel dare informazioni. Almeno lui, non era caduto nella trappola del fascino che sembrava emanare Naruto Prese l’ascensore, voleva conservare più energie possibili. Quanto ci impiegava quel dannato aggeggio ad arrivare? Stava rimpiangendo amaramente di non aver preso le scale. Finalmente i battenti si aprirono. Una volta tanto la fortuna sembrava arriderle, era vuoto. Schiacciò, con tutta la forza che aveva, il pulsante che segnava il numero del piano che le interessava. Durante l’ascesa, batté a terra il piede destro nervosamente. Quel mezzo era maledettamente lento, sarebbe arrivata al piano “incriminato”, quando ormai sarebbe stata prossima al pensionamento. Finalmente, lo schermo lcd segnò il quinto piano. Si catapultò fuori. Guardò intorno, per fare mente locale su ciò che il custode le aveva detto. Camminò alla massima velocità possibile; non voleva fare pessime figure anche lì. In quanto, ormai, alla facoltà di medicina la sua reputazione, dopo la corsa a ostacoli, che l’aveva vista protagonista qualche minuto prima, era decisamente compromessa. Per sua fortuna, madre natura l’aveva dotata di un ottimo senso dell’orientamento. Infatti, nonostante quel posto fosse labirintico, aveva raggiunto in poco tempo l’ala che le interessava. Si ritrovò a ringraziare mentalmente l’operatore, che l’aveva messa sulla buona strada. Fece scattare il maniglione della porta antipanico, che consentiva l’accesso agli uffici del corpo docente. Al contrario dei vari passaggi che aveva dovuto affrontare per arrivare li, trafficati da rumorosi studenti, in quel posto regnava la pace più assoluta. Soltanto il ronzio del condizionatore rompeva quella monotonia. Cominciò a percorrere il corridoio, voltando la testa a destra e a manca, cercando di scorgere la porta con la targa che portava il nome che cercava. Non ne ebbe bisogno; era di spalle, indaffarato a sistemare dei documenti sulla scrivania, ma avrebbe potuto riconoscere quella zazzera bionda fra mille. Con un pizzico di nostalgia constatò che, nonostante fossero passati diversi anni, quei capelli erano ancora difficili da domare, ribelli, come il suo proprietario. I battiti del suo cuore, che poco prima si erano regolarizzati, ricominciarono ad aumentare. Si sistemò i capelli al meglio delle sue possibilità e, nervosamente, con le mani stirò la gonna e il maglioncino che indossava, cercando di darsi un aspetto accettabile. Aspetto che, era sicura, esser stato stravolto da quell’esercizio fisico imprevisto. Raccolse tutto il coraggio che aveva a disposizione e si decise a chiamarlo.
«Naruto» pronunciò con delicatezza.

 
La lezione era andata meglio di quanto si augurasse. Fortunatamente, la classe, afferente al corso di medicina, che gli era capitata era tranquilla. Certo, non che si aspettasse degli scapestrati ragazzini, tipo alunni delle superiori. Ma, capiva perfettamente che una materia come la sua, in quel corso di laurea, poteva essere alquanto ostica. Invece, con sua autentica sorpresa, quel gruppo di studenti, sembrava interessato alle sue spiegazioni; soprattutto le ragazze, che intervenivano spesso, facendo, doveva ammetterlo, domande abbastanza pertinenti. Posò la ventiquattr’ore sulla scrivania. Quella borsa non era il massimo della praticità per uno come lui, avrebbe preferito la sua fida tracolla, che lo aveva accompagnato sin dai tempi dell’università. Ma, quella valigetta, era un regalo dei suoi “per il suo nuovo impiego” e non gli sembrava opportuno non utilizzarla. Non riusciva ancora a sentirsi a suo agio in quell’ufficio; non aveva ancora avuto l’occasione per dargli il suo tocco personale, ovvero un po’ di sano disordine. Però, dopotutto, era lì solo da qualche giorno e non aveva molto tempo a disposizione, e poi…non era ancora sicuro di voler rimanere, quindi, perché cercare di rendere sua, una cosa che ancora non era sicuro di volere? Scosse leggermente la testa. Cominciò a trafficare con gli oggetti presenti nella borsa. Dove diavolo si erano cacciate le sue chiavette usb? Sentì un rumore di passi provenire dal corridoio ed un fruscio di abiti, ma non se ne curò; era troppo concentrato nel trovare quei maledetti aggeggi che, avevano la brutta abitudine, di sparire nei momenti meno opportuni.
Sentì pronunciare il suo nome. Un brivido attraversò la sua schiena. Avrebbe riconosciuto quel timbro vocale fra milioni. Cosa diavolo ci faceva lei lì? Avrebbe voluto non voltarsi, il suo cervello gli ordinava di rimanere immobile, fermo, come una statua; ma il suo corpo, accidenti a lui, sembrava non obbedirgli, seguiva una volontà del tutto sua. Quegli istanti, gli sembrarono interminabili. Finalmente la guardò.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta? Come minimo dieci anni. Ma, a quanto pare, l’effetto che lei riusciva ad avere su di lui, in tutto quel lasso di tempo, era rimasto immutato. La sua bocca emise un suono strano, a causa del risucchio d’aria che, involontariamente, aveva fatto, appena l’aveva vista.
Era bellissima. Come sempre. La ragazzina diciannovenne era completamente sparita, per lasciare spazio ad una donna. Un esemplare, a suo dire, perfetto: un corpo magro ma tonico, gambe lunghe e sottili ed il seno, nonostante non fosse così prosperoso, ben si adattava alla sua fisionomia; al contrario, se fosse stato diverso, il tutto non sarebbe risultato armonioso. Ma, tutto passava in secondo piano, rispetto a quegli occhi, di un verde talmente intenso da sembrare innaturale.   
Si era sbagliato, non era bellissima, era sublime. Il tempo, aveva trasformato quell’opera d’arte vivente, in un capolavoro.
«Sakura», balbettò incredulo.
«Naruto» ribatté la donna, mentre lentamente si avvicinava a lui. Poi fulminea, guidata da quell’istinto, gli mollo uno schiaffo sul volto.   
L’uomo, allibito, si toccò la guancia dolorante. Era incapace di articolare una frase che avesse senso.
«Si può sapere dove cazzo sei stato per tutto questo tempo?» urlò.
Il biondo, come ridestatosi da uno stato di trance, si affrettò a chiudere la porta. Non gli sembrava il caso di dare spettacolo, già nei suoi primi giorni di lavoro. Poi si preparò mentalmente ad affrontare quella furia che, un tempo, dalle elementari alle superiori per la precisione, era stata la sua migliore amica e, in cuor suo, anche qualcosa di più. Sicuramente, non sarebbe stato un colloquio facile. Quelle iridi, che tanto lo avevano tormentato la notte durante l’adolescenza, se avessero potuto, lo avrebbero fulminato seduta stante.
Si avvicinò con circospezione; il ceffone che aveva ricevuto qualche secondo prima, pulsava sulla gota ancora dolorosamente. Cercò di temporeggiare un paio di secondi, il tempo necessario per ritrovare la calma interiore che, quel tornado umano, gli aveva letteralmente spazzato via.
«Ciao, Sakura.»
«Ciao Sakura? È tutto quello che hai da dire?» inveì la donna.
«Bhe, dopo tutto questo tempo, direi che salutarci è il minimo…»
Sentiva le mani che le prudevano, ma si trattenne dall’uccidere il malcapitato.
«Brutto idiota, rientri a Konoha, hai un lavoro come professore e non ti viene in mente di cercarmi?»
«E che sono stati giorni intensi…è successo tutto così in fretta…» cercò di giustificarsi.
«A quanto pare, nonostante i dieci anni e passa che sono intercorsi, sei rimasto la solita testa quadra!» E la mano destra saettò velocemente verso il volto del biondo che, questa volta, non si fece cogliere impreparato. La bloccò saldamente. Il gesto sorprese Sakura. Mai, in tutti i loro anni di conoscenza, lui aveva cercato di parare una sua carezza. Quel gesto sembrò spiazzarla, facendola calmare leggermente. Naruto ora la guardava con una intensità, negli occhi, che non gli aveva mai visto prima. Cercò di darsi un contegno, effettivamente, non doveva essere un bello spettacolo.
Era riuscito a tranquillizzarla, quella era la parte facile. Ora cosa le avrebbe dovuto rispondere? Che si era informato sul fatto che lei era lì e che sperava di non incontrarla? Che, volutamente, non aveva provato a cercarla? Temeva che rivedendola certi ricordi sarebbero, inevitabilmente, riaffiorati? Che era bellissima? Nonostante ora fosse un uomo, forgiato da diverse esperienze, appena l’aveva rivista, si era sentito un ragazzino? Che le era mancata? Nulla di tutto questo uscì dalla sua bocca. Le parole si erano perse, chissà in quali meandri della sua testa. La sorpresa era ancora tanta, per fargli riuscire a formulare un pensiero coerente, che non peggiorasse la situazione.
«Mi dispiace…è che mi sono trasferito qui appena qualche giorno fa…è successo tutto all’improvviso…neanche ci speravo più di vincere quel concorso!» Disse, cercando di essere il più convincente possibile.
«Non ti credo!» sentenziò “Il Naruto che conoscevo io, che conosco io, avrebbe trovato un attimo per venirmi a cercare. Avrebbe fatto di tutto per farmi sapere che tornava a casa.» A stento riuscì a trattenere le lacrime. Quella menzogna l’aveva ferita, profondamente. Non riusciva a credere che lui le stesse mentendo. Non lo aveva mai fatto. Tutti cambiano e tutti mentono, ma credeva che, almeno per lui, questa affermazione non valesse.
Il biondo si torturò, fino a far sanguinare, il labbro interno con i denti. Nonostante tutto, non riusciva ad odiarla, a non provare più sentimenti. Si sentì un verme, non riusciva a sopportare di vederla in quello stato; tutto desiderava, fuorché essere la causa del suo dolore. Con la mano destra le accarezzo la guancia, fino a scendere fin sotto al mento. Con estrema delicatezza le sollevò il viso, per permettergli di guardarla negli occhi.
«Sakura devi credermi, quando dico che non ho avuto il tempo di pensarci. Sono stato letteralmente trascinato dagli eventi. È successo talmente tutto in fretta. Ancora faccio fatica a credere di essere qui. La chiamata all’improvviso, il trasferimento, preparare le lezioni… A malapena sono riuscito a vedere i miei genitori.»
«Mi sei mancato, terribilmente.» E lo abbracciò.
Naruto non si aspettava quel gesto, almeno non da lei. Non che in passato non si fossero mai sfiorati o toccati; ma, l’atto più vicino ad un abbraccio che lei avesse fatto nei suoi confronti, era un pugno. Meccanicamente, ricambiò quel gesto. Avvertì il suo corpo sussultare, poi delle lacrime che inumidivano la sua camicia. Non sapeva come comportarsi, non l’aveva mai vista in quello stato, almeno per lui; era nell’imbarazzo e nell’impasse più totale.
Fortunatamente, il bussare alla porta lo tirò fuori da quella situazione. Se da un lato era dispiaciuto nello sciogliere quell’abbraccio, dall’altro era grato a quel disturbatore; gli aveva impedito di fare qualcosa di stupido o di cui si sarebbe pentito. Le diede il tempo necessario per darsi una sistemata, prima di aprire la porta.
«Avanti», pronunciò ad alta voce. Vide una figura entrare. «Ah, Kakashi, sei tu!»
L’uomo di soffermò a guardare la donna presente in quella stanza, con malcelato interesse. Non gli capitava molto spesso. Osservò che gli occhi erano rossi e lucidi. Doveva aver pianto. Spostò la sua attenzione su Naruto, riservandogli un’occhiata incuriosita.
«Kakashi lei è Sakura», e indicò la donna, «Sakura lui è Kakashi.»
«Piacere!» dissero all’unisono.
«Naruto, mi dispiace disturbarti, ma devo parlarti urgentemente.»
«Tolgo il disturbo!» pronunciò prontamente la donna.
La vide avanzare verso l’uscita della stanza. Prima di chiudere la porta, incrociò il suo sguardo. Gli fu sufficiente per capire, che lei non avrebbe demorso. Sarebbe ritornata alla carica, per farsi dare tutte le spiegazioni che riteneva necessarie. L’uscio si chiuse ed uno strano silenzio calò in quel luogo.
«Quindi lei è la famosa Sakura» proferì sardonicamente Kakashi «La descrizione che mi hai fatto, non le rende lontanamente giustizia.»
«Stai zitto», sibilò il biondo.
«Certo, però, fare piangere una donna…»
«Non una parola in più!» soffiò furioso in risposta.
L’agente si limitò a fare un sorriso ironico.
«Sono qui perché Jiraiya ci vuole vedere. Ha delle novità.»
«Va bene. Però, prima di andare…ho un favore da chiederti.»
 


Spazio autore:

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Grazie a chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento
.
A presto!
Mask

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chapter IX ***


Chapter IX

 
Tsunade l’avrebbe uccisa, per poi resuscitarla e licenziarla davanti a tutto il personale dell’ospedale; ne era sicura. Aveva abbandonato le sue tirocinanti, investito diverse persone in quella sua folle corsa, ignorato bellamente la sua professoressa e, dulcis in fundo, allontanata dal suo posto di lavoro senza un buon motivo. Cosa diavolo le era passato per quella massa grigia di neuroni, comunemente detta cervello? Forse, se avesse presentato lei le dimissioni, quel briciolo di dignità che le rimaneva, o per meglio dire, non si era ancora giocata, sarebbe stata salva.
Peccato che la sua insegnante non la pensasse esattamente come lei. L’attendeva davanti all’entrata principale dell’ospedale, con un’espressione omicida dipinta in volto. Probabilmente, fare harakiri nel bel mezzo del vialetto non era male come idea; e l’avrebbe fatto, se non fosse stata sicura che, Tsunade, avrebbe fatto di tutto per strapparla dall’abbraccio della morte; per poi ucciderla con le sue delicate mani, ovviamente. Ordinò a sé stessa di non mostrare nessuna incertezza. Se avesse dovuto soccombere, l’avrebbe fatto con onore. Com’era quell’antico detto spartano? Figlio, torna con il tuo scudo o sopra di esso. Ecco, il suo scudo sarebbe stato quel poco di rispettabilità che le rimaneva e l’avrebbe difesa strenuamente o almeno, così sperava. Alzò la testa e guardo dritto davanti a sé; parola d’ordine: soccombere con onore.
«Cosa diavolo ti è preso?!» Sibilò la donna, contenendo al massimo la sua ira. Anche se, il tentativo era miseramente fallito.
«Ha ragione professoressa, il mio comportamento è stato intollerabile. Firmerò le dimissioni entro stasera, non si preoccupi.»
Tsunade la guardò come se di fronte a sé ci fosse stato un alieno. La sua migliore alunna era impazzita, non vi era altra spiegazione, oppure…l’afferrò per il braccio e cominciò a trascinarla per il corridoio dell’ospedale.
«Prof., cosa sta facendo?» Disse, cercando di divincolarsi a fatica da quella ferrea presa.
«Semplice, ti porto prima a fare un tossicologico e, nel caso risulti negativo, da un mio amico psicologo.»
«Ma cosa sta dicendo?!» Rispose stupita.
«Sakura, o sei drogata oppure sei completamente impazzita! Non ci sono altre spiegazioni!»
«Non sono mai stata meglio in vita mia!» Replicò indignata il giovane medico, interrompendo quella marcia forzata. «E, per sua informazione, non mi sono mai drogata e non ho intenzione di cominciare ora!»
«E allora come spieghi il tuo comportamento?»
«Posso spiegare, ma…in privato, se è possibile.»
La bionda annuì con la testa. Le lasciò andare il braccio e fece strada fino al suo ufficio. Durante quel tragitto nessuna delle due parlò, troppo prese dai propri pensieri. Entrarono nell’ufficio. Sakura si sedette sulla sedia imbottita, destinata agli avventori, senza chiedere il permesso. Tsunade si accomodò sulla sua poltrona. Un silenzio, carico di tensione, calò in quella stanza.
«Allora, ti decidi a parlare?»
“Lui è tornato!”
Sentì il sangue ribollire nelle sue vene. La sua pupilla perdeva ancora tempo, dietro quel poco di buono del suo ex-ragazzo.
«Quante volte ti devo ripetere che, gettarti via per quell’emerito stronzo, non serve?» Disse piena di risentimento.
«Cosa?» Esclamò stupita «Non mi riferivo a Sasuke.»
«Ah, e a chi allora?»
«Naruto è ritornato a Konoha.»
La bocca della donna assunse la forma di un ovale perfetto, per via dello stupore. Una malsana curiosità si fece largo in lei, facendole dimenticare del tutto la rabbia, provata fino a poco prima. La sua alunna, diverse volte e con un certo interesse, gli aveva parlato di quell’amico, ma mai sarebbe arrivata a pensare, che si sarebbe comportata in quel modo, pur di rivederlo. Doveva sapere! Al costo di legare la malcapitata sulla sedia. Al costo di restare in quell’ufficio fino a notte fonda.
«Quindi è lui il motivo di questo tuo comportamento. Interessante…»
Sakura si divincolò sulla sedia. Il tono con cui la professoressa aveva pronunciato quella frase non le piaceva per niente. Per non parlare, dello strano luccichio presente, ora, nei suoi occhi. Tutti quegli indizi non lasciavano presagire nulla di buono. Deglutì a vuoto.
«Ora mi dirai tutto ciò che voglio sapere, anche a costo di fare l’alba…» Disse la donna con una malcelata nota sadica nella sua intonazione.
Il giovane medico sospirò rassegnata. Avrebbe dovuto fare harakiri quando ne aveva avuto la possibilità.
 

Quella base non gli piaceva. Quell’assenza totale di finestre, da dove potesse filtrare la luce naturale del sole, lo infastidiva. Fortunatamente, lui non era costretto a passarci molto tempo. Probabilmente sarebbe impazzito, nel lavorare diverse ore al giorno, lì sottoterra. Si sarebbe sentito uno scarafaggio, con tutto il rispetto, ovviamente, per quei ripugnanti insetti. Era ormai da mezz’ora che attendeva in quella sala d’aspetto. Dove diavolo era finito quel vecchio pervertito? Lo aveva fatto chiamare con urgenza, e poi, come per magia era sparito. Guardò alla sua destra, invidiò Kakashi, lui sì che sapeva cosa fare! Eufemismo di immergersi nella lettura di libri per adulti. Sbuffò. In quel momento sentì la porta aprirsi con un leggero fruscio. Finalmente, Jiraiya, aveva deciso di degnarli della sua attenzione.
«Bentrovati ragazzi, scusate il ritardo, ma è uscito un imprevisto all’ultimo secondo.»
«Certo…» mormorò il biondo.
«Prego accomodatevi» disse l’uomo mentre apriva la porta del suo ufficio.
«Ci hai mandato a cercare con una certa urgenza, perché?» Chiese Kakashi, appena seduto sulla poltrona. Era andato dritto al punto, odiava i giri di parole.
«Ci sono delle novità sul caso.»
«Interessante…» Si limitò a dire l’agente.
«Non vedo il motivo per cui io debba essere qui…Ho già ribadito che non mi occupo prettamente di omicidi. A proposito, a che punto sono le autorizzazioni? Stiamo perdendo tempo prezioso.» Ribatté stizzito il biondo.
«Calma Naruto. Se sei qui è perché c’è un motivo. Risponderò a tutte le tue domande; ma, procediamo con ordine. Abbiamo finalmente una pista da seguire.»
«Cioè?» pronunciarono all’unisono i due ospiti.
«L’omicida che cerchiamo è un monaco. Ma non uno qualsiasi. Questo religioso è dedito al culto di Jashin. Sappiamo che il monastero, che tra l’altro è l’unica sede nota del culto, si trova a pochi chilometri dalla città di Suna, esattamente a Sud-Ovest, nell’area desertica che circonda la città. Ha sicuramente usato una katana rituale, probabilmente la sua. Il ricercato è alto circa un metro e ottanta e, secondo il resoconto del laboratorio della scientifica e del medico legale, anche con una muscolatura robusta.»
«Perché?» Chiese incuriosito Kakashi.
«Dal referto consegnatomi dall’anatomopatologo, l’uomo in questione si è divertito a massacrare a mani nude la vittima, riducendola in fin di vita. Senza aver bisogno di usare sostanze per renderla innocua.»
«Quindi siamo riusciti a identificarlo?» ribatté Kakashi.
«No, non ha lasciato nessuna traccia.» Vide che il suo agente lo stava per interrompere, ma bloccò sul nascere la domanda. «Sto arrivando al punto. Siamo riusciti a capire chi fosse, grazie ad una foglia di incenso, che si era incastrata nella faringe del cadavere. Rara, non commercializzata, che si trova solo nel deserto di Suna ed usata, esclusivamente, dagli adepti di quel culto. Brancoliamo ancora nel buio per quanto concerne la sua identità.»
«Invece, per la vittima ci sono novità?»
«Sì. Ed è il motivo per cui ho voluto qui anche Naruto.» Vide il biondo cambiare espressione, da annoiata a incuriosita.
«Cosa vuoi dire?» Rispose, ridestato dal suo torpore.
«La vittima è…» Fece una lunga pausa. «È il capo che ti sfuggì durante quella missione.» Lo vide impallidire.
«Cos…non è possibile…» Balbettò l’hacker. Era troppo frastornato da quell’improvvisa novità, per riuscire ad articolare null’altro.
«Siamo riusciti a risalire alla sua identità, grazie all’esame del DNA. Il bastardo aveva cambiato, grazie ad una operazione chirurgica, i suoi connotati. Si era dato alla latitanza, almeno fino a qualche giorno fa…»
Jiraiya vide il suo giovane allievo perso nei suoi pensieri. Non riusciva ad immaginare cosa stesse provando. Certo, lui poteva essere più delicato nel dare quelle informazioni. Aveva provato a immaginare diversi scenari nella sua testa; ma, era arrivato sempre ad un’unica soluzione: in qualsiasi modo gliela avrebbe detta, per il suo protetto, sarebbe sempre stata una notizia devastante. Lo richiamò più volte, finché non fu costretto ad urlare il suo nome.
«Naruto, capisco che per te non sia una notizia facile da digerire, ma ho bisogno che tu rimanga lucido, ok?»
«Si, scusami.»
Il direttore rimase turbato da quella risposta e dal tono usato. Ma, in quel frangente, non poteva badare ai sentimenti del biondo. Il suo ruolo, in quel momento, gli imponeva di proseguire. 
«E qui veniamo a te Naruto.»
«In che senso?» Chiese.
«Finalmente sono riuscito ad ottenere tutte le autorizzazioni necessarie che ti riguardano, ma…»
«C’è sempre un ma, vero?» Sbuffò ironicamente il biondo.
«Sei stato autorizzato a procedere solo per questo caso…»
«Cosa?!» Urlò infuriato «Mi avevi garantito che…»
«Il primo ministro Senju, il ministro degli interni Uchiha e della difesa Hyuga, sono stati categorici. Posso darti massima autorizzazione solo su un’indagine.»
«Fanculo, avevi fatto una promessa.» Gridò infuriato, sbattendo i pugni sulla scrivania.
«E io mantengo sempre la parola data!» Latrò di rimando il direttore.
«Cosa vuoi dire?» Chiese il giovane turbato.
«Che, se casualmente, durante questa indagine, dovessi guardarti in giro…io, diciamo, che sarò un po’ distratto…»
«Ah…»
«Fai attenzione, ok? Non posso coprirti all’infinito…»
«Certo! Sono l’hacker più bravo, no?»
Jiraiya sorrise. Ma, in realtà, non era quello a preoccuparlo. Il caso stava prendendo una piega strana. Per la prima volta in vita sua, non sapeva che direzione prendere. Tenne quei turbamenti per sé, non voleva preoccupare i due, specialmente il più giovane, con i suoi ragionamenti.
«Bene», disse «qui abbiamo finito. Potete tornare ai vostri compiti.»
I due uscirono dall’ufficio del loro capo, con più domande rispetto a quando erano entrati. 
«Cosa ne pensi, Kakashi?»
«Non lo so. Però, la cosa è strana.»
«Lo è anche per me, sembra che mi stia perseguitando.»
«Forse, dormendoci su, le idee si schiariranno.»
Erano giunti davanti all’ascensore.
«Naruto, sei ancora sicuro di voler quell’oggetto che mi hai chiesto?»
«Dopo quello che ho sentito da Jiraiya, ne sono più sicuro che mai.»
«Per me stai commettendo un errore.»
«Più sarà lontana da me e più sarà al sicuro.»
«Allontanarla non è la soluzione…E poi, non mi sembra sia una tipa che molli facilmente…»
«Vuol dire che ricorrerò alle maniere forti. Farò tutto il necessario per tenerla al sicuro, specialmente dopo queste rivelazioni.»
«Come vuoi, ma rimango sempre della mia opinione. Comunque, avrai ciò che mi hai chiesto entro stasera.»
«Grazie…»
L’ascensore era finalmente arrivato. Naruto entrò.
«Non entri?»
«No, ho delle pratiche da sbrigare in ufficio…»
«Tu che stai dietro a delle scartoffie? Preoccupante…»
L’uomo ignorò la frecciatina del suo ex- allievo.
«Arrivederci Naruto.»
I battenti si chiusero. L’ascensore saliva. Si ritrovò a pensare alla conversazione con Jiraiya. Suna, pensò. Doveva inviare urgentemente un messaggio.



Spazio autore:

Come sempre, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Un grazie di cuore a chi ha deciso di mettere la storia nelle seguite, da ricordare e preferite e a chi ha lasciato un commento.
Inoltre, vorrei ringraziare chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento
.
Ci vediamo dopo ferragosto, tranne se miracolosamente non riesco ad aggiornare prima.
A presto!
Mask.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Chapter X ***


Chapter X
 

Aveva, finalmente, tutti gli accessi e le autorizzazioni che gli servivano per poter calibrare al meglio il software che aveva ideato. Ma, concentrarsi su quelle stringhe di codice, quella sera, gli risultava alquanto difficile. I suoi pensieri erano altrove. Erano diretti verso Sakura, ad essere sinceri. Un decennio per cercare di dimenticarla, ed era sicuro di esserci riuscito, per poi veder crollare le sue certezze in meno di una frazione di secondo. Gli era bastato specchiarsi in quegli occhi, bellissimi a suo parere, per sentire il Naruto adolescente emettere un vagito e riaffiorare in superficie. Aveva cercato, con tutte le sue forze, di uccidere quella parte di sé che, a quanto pare però, era riuscita a sopravvivere. Stava per alzarsi dalla sedia per dirigersi verso il mobile-bar, alla ricerca di conforto, quando notò una notifica sullo schermo del suo pc da scrivania. Abbandonò i suoi propositi, non era qualcosa che poteva tranquillamente ignorare. Era l’invito ad una videochiamata da parte di Tasso, sulla loro chat clandestina. Aprì il link per la videoconferenza.
«Ciao Gaara, non pensavo che rispondessi subito al messaggio che ti ho inviato. Ci hai messo soltanto ventiquattro ore.» Si pentì immediatamente della sua ultima affermazione.
Il ragazzo, dall’altra parte dello schermo, si limitò a guardarlo con il suo sguardo vacuo.
«Qui sopra sono Tasso, ricordatelo bene, Volpe.»
«Si, scusami.»
«E comunque, anche io, qui, ho il mio bel da fare. Ti ricordo che te ne sei andato all’improvviso, lasciandomi un bel po’ di cose da sbrigare…e non mi riferisco al negozio.»
«Ti ho chiesto di vederci per questo motivo.» L’espressione del biondo si fece seria. Il rosso rimase in silenzio, in attesa che, il suo compagno di scorribande informatiche, continuasse il discorso. «L’operazione “Scudo di sabbia” è temporaneamente sospesa.»
«Cosa?» Rispose sorpreso il suo interlocutore.
Naruto ridacchiò, non gli capitava spesso di vedere delle reazioni sul volto di Gaara. Ricordò la prima volta che lo aveva visto di persona; si era convinto che avesse qualche tipo di paresi facciale, solo dopo molto tempo, aveva scoperto che, anche lui, era capace di esprimere delle emozioni.
«Sei impazzito per caso? Hai dedicato oltre un anno a questo lavoro, ed ora mi dici va sospeso?»
«Non sono impazzito. Ci sono delle novità e voglio metterti al corrente. Inoltre, ipotizzo che la nostra attività investigativa e ciò che sta accadendo qui, in qualche modo, anche se non so ancora come, siano collegate.»
«Volpe, ci sto capendo ben poco. Non è meglio se riepiloghi dall’inizio la situazione?»
Naruto annui con la testa. Il suo amico aveva ragione, era meglio procedere con ordine.
«Come ben sai, facevo parte, per meglio dire, faccio tutt’ora parte, visto che le mie dimissioni non sono mai state ratificate, di un’agenzia per la sicurezza nazionale. Ricordi l’uomo che mi ha parlato in negozio?» Lo vide annuire con la testa. «È stato il mio maestro, mentre l’attuale capo è stato il mio mentore. Per farla breve, c’è stato un omicidio all’interno della nuova sede dell’organizzazione. È certo che l’omicida è un adepto al culto di Jashin, a causa del massacro che ha perpetrato…» Notò Tasso sgranare gli occhi. «A quanto pare li conosci…»
«Qui la leggenda dei monaci assassini è famosa, ma non nel modo in cui credi.»
«Cosa vuoi dire?»
«Che, secondo la tradizione, questi monaci uccidevano solo se necessario o per mantenere la pace nella regione. Insomma, erano una specie di guardiani dello status quo e non dei pazzi omicidi a sangue freddo…e poi, il più giovane di questi monaci…dovrebbe aver passato da un pezzo i sessant’anni. Ti stai sbagliando.»
«No, le prove che abbiamo in mano portano a loro. Inoltre, l’assassino non è una persona in età da pensionamento…»
«Quello che mi stai dicendo è molto strano. Cosa vuoi che faccia?»
«Semplice, usa tutti i nostri mezzi per carpire tutte le informazioni su di loro.»
«C’è anche dell’altro, vero?»
«Si…la vittima, è il capo dell’organizzazione che sgominai un anno e mezzo fa…»
«Non è possibile…» Disse Gaara incredulo.
«Già…»
«Pensi di coinvolgere anche Piovra, a questo punto?»
«Si, il momento sarebbe giunto prima o poi…»
«Ora capisco perché pensi che il tutto sia collegato…Vuoi che ci pensi io a contattarlo?»
«Si. Ti metto a capo dell’operazione.»
«Va bene, ci penso io.»
«Gaara …grazie.»
«Non devi ringraziarmi, chi tocca uno di noi, tocca tutta la famiglia. Non avremo un legame di sangue, ma siamo fratelli.» Il rosso chiuse la chiamata, senza dare possibilità di replica al biondo.
Naruto si lasciò andare pesantemente contro lo schienale della poltrona. La situazione si stava complicando, più del previsto. Era meglio mettersi subito all’opera.

 
Da quanto lei e Ino, ovvero la sua migliore amica, non trascorrevano una serata insieme? Da troppo tempo, si rispose Sakura. Fra turni massacranti, impegni vari e una sequela di sfortunati eventi, non erano riuscite a trovare un ritaglio di tempo, da dedicare a loro due, negli ultimi mesi. Quella serata, sembrava ad entrambe un autentico miracolo. Il locale che avevano scelto, per quell’occasione, era un luogo abbastanza insolito per i loro gusti. Non erano avvezze a frequentare pub dove i principali avventori fossero uomini, alquanto rudi; la birra scorreva a fiumi e la musica, principalmente rock, sovrastava le voci di chi si apprestava ad assaporare quella bevanda. Sakura era leggermente spiazzata, si sentiva a disagio in quel locale; ma, dopotutto, erano pochi i luoghi in cui poteva definirsi a suo agio e questi, principalmente, si potevano ridurre: all’ospedale, alla biblioteca universitaria e al suo appartamento. Un’autentica vita spericolata se, ovviamente, la si paragonava a quella di monaco buddhista. Ino, piuttosto, sembrava apprezzare quel luogo. Certo, non era sicuramente un’assidua frequentatrice di birrerie, ma quel posto le piaceva. Si appuntò mentalmente di ringraziare il suo amico Choji. Aveva centrato perfettamente il locale che aveva in mente, per passare la serata con Sakura Ma, tutto considerato, non doveva essere stupita che il compagno di vecchia data, ci avesse visto bene. Quell’uomo era un’autentica cintura nera nel consigliare locali carini, di tendenza e dove, soprattutto, non si rischiasse di lasciare buona parte, del già esiguo, stipendio. 
La bionda prese per il polso l’amica e la trascinò verso il tavolo che, il banconista, le aveva indicato. Vista la quantità di gente lì presente, prenotare non era stata un'idea malvagia. Ed era soltanto giovedì! Cominciarono a sfogliare distrattamente i menù, con le diverse varietà di birra, ma ci rinunciarono ben presto; compresero che, per loro cercare di capirci qualcosa, era alquanto arduo. Si sarebbero lasciate consigliare dal cameriere, come spesso accadeva quando andavano in un posto nuovo.
«Allora fronte spaziosa, da quanto non passavamo una serata sole noi due?»
Sakura la fulminò con un’occhiataccia, odiava quel nomignolo, che lei le aveva affibbiato dalle elementari. Tuttavia, quel gesto, aveva suscitato la risata ilare della sua controparte.
«Fin quando continuerai a chiamarmi con quell’epiteto?»
«Finché non mi stancherò, il che, probabilmente, non accadrà mai!»
«Gentilissima, come sempre.»
«Lo sai, che se hai bisogno di una parola di conforto, non devi rivolgerti a me.»
Questa volta sorrise, sapeva benissimo che, quella frase, era falsa. Nessuno più di lei, nel periodo più brutto della sua vita, le era stato accanto.
«Grazie.» Vide che la squadrava con aria dubbiosa. «Per essermi stata vicina, in questi ultimi mesi…»
«E perdermi lo spettacolo di Sakura depressa? Giammai!» E le sorrise dolcemente.
Si portò una mano al viso disperata. Cercare di ringraziare quell’idiota della sua amica, a volte, risultava veramente impossibile. Probabilmente, provare a scalare una montagna a mani nude sarebbe risultato più facile. Stava per risponderle per le rime, quando un cameriere interruppe quel momento idilliaco. Vide che stava posando due birre sul tavolo, insieme a dei salatini.
«Ehm, credo che abbia sbagliato tavolo?! Noi non abbiamo ancora ordinato.»
«Nessun errore signorina! Questo giro lo offre il ragazzo che è di turno al bancone…»
Le due si voltarono, immediatamente, verso l’uomo in questione. Un ragazzo moro, leggermente pallido di carnagione, probabilmente della loro stessa età. Sakura osservò che le stava osservando ed in particolar modo, il suo sguardo, era puntato sulla sua amica. Poi le fece un occhiolino.
«A quanto pare abbiamo fatto colpo…» Commentò ironica, in modo tale che la sentisse solo Ino.
«Come se bastasse una birra per far colpo su di me!» Disse a denti stretti. Poi si rivolse al cameriere. «Ringrazialo da parte nostra, è stato un gesto molto carino.»
«Allora…» e si affrettò a cambiare il discorso «non hai nulla da dirmi?»
«Cosa dovrei dirti di nuovo?!» Rispose allarmata.
«Del fatto che, primo: ieri hai piantato in asso le tue tirocinanti… Secondo: sembravi una furia fra le corsie dell’ospedale… Terzo: un certo ragazzo biondo, professore presso il dipartimento di informatica… Ora, fai un po’ tu…L’ordine non è essenziale!»
«Come hai fatto a sapere tutto ciò?» Chiese allibita.
«Diciamo che le tue tirocinanti e la cara Tsunade, si sono lasciate sfuggire qualcosa…»
«Io le uccido!»
«Certo, potrei anche aiutarti. Però, prima mi raccontami tutto!»
Sakura la guardò di sbieco. Altro che serata solo loro due, a rinvangare i vecchi ricordi. Quella grandissima “stronza” della sua amica le aveva teso una trappola, con i fiocchi. Da quanto era diventata così stupida? Sospirò. Ormai era lì. Conosceva Ino, non avrebbe mollato la presa per nessun motivo al mondo. Tanto valeva bere subito quell’amaro calice.
«Naruto è tornato!» Vide la bionda aggrottare la fronte. «È lui il misterioso biondo, il bel professore di informatica…» Si stupì, nell’osservare, come l’espressione della sua amica fosse passata dal perplesso alla stupita nell’arco di pochi secondi.
«Quel Naruto?»
«Sì», pigolò. Non poté impedire alle sue guance di arrossire.
«Quel casinista, testa quadra, che ti è stato costantemente “appiccicato” dalle elementari alle superiori?»
«Sì», con l’imbarazzo che diventava sempre più evidente.
«Quindi, tu hai combinato tutto quel macello per rivederlo?»
«Sì». Era sicura, ormai, di essere diventata bordeaux. Desiderò ardentemente di essere inghiottita dalla terra; ma, quel pavimento in granito, non mostrava nessuna crepa, anzi, sembrava più solido che mai. Bevve un lungo sorso di birra, per cercare di recuperare quel poco di dignità che le era rimasta.
«Interessante…molto interessante! E, oltre a dire solo sì, sai articolare qualche frase più complessa?»
Sakura ignorò la frecciatina. Era consapevole, di essere molto lontana dal soddisfare la sete di notizie di quell’arpia bionda.
«Non riesco a spiegarmi cosa mi sia successo, figuriamoci se riesco a dirlo ad alta voce…»
«Tu provaci…»
«Ti ricordi che, lo scorso weekend, ho partecipato a quel convegno?» La vide annuire con la testa. «Ecco, rientrata a casa, ero talmente stanca da gettarmi di peso sul letto e…»
«E…» Disse incuriosita la donna.
«Praticamente, il cervello, anziché farmi riposare, ha cominciato a divagare sulla mia situazione attuale; per poi…» Bevve un altro lungo sorso di birra per darsi coraggio. «Ecco, fra il divagare dei pensieri, ho riconsiderato Naruto, il nostro rapporto, quando è andato via, le mie vane ricerche per rimettermi in contatto con lui. Ero convinta di non rivederlo mai più…E poi, all’improvviso, quella foto…È stato troppo, lui era lì. Dovevo vederlo!»
«Capisco…» Asserì seriamente la bionda. «Ma, ancora, non riesco a trovare il motivo del tuo comportamento.»
«Ino, lui mi è mancato terribilmente in tutti questi anni! Non puoi immaginare neanche quanto! Scoprire che era a pochi metri da me, mi ha scombussolata…»
«Ok, capisco cosa vuoi dire, ma…»
«Ma…»
«Come dire, la reazione mi sembra un tantino eccessiva per un amico, per quanto caro.»
«Ti darei ragione se si fosse trattato di una qualsiasi altra persona; ma, con Naruto, un discorso del genere non può essere fatto. Ciò che ho condiviso con lui, probabilmente, non l’ho condiviso neanche in tutti gli anni con cui sono stata fidanzata con Sasuke …»
Non riusciva a credere alle proprie orecchie! Possibile che Sakura avesse fatto un’affermazione di quella portata? Probabilmente, non se ne era accorta neanche lei…Aveva appena ammesso, candidamente, che Naruto, nella sua vita, era stato più importante di Sasuke. Si guardò bene dal rimarcare quell’aspetto, doveva lasciarla parlare…
«E, quando l’ho visto…è diventato veramente un bell’uomo, sai? Le tirocinanti non mentivano affatto. Comunque, quando l’ho incontrato l’ho schiaffeggiato…»
Una risata eruppe dalla bocca della bionda. Chissà perché se lo aspettava. Tipico di Sakura picchiare Naruto, per un qualsiasi motivo, anche il più futile.
«E poi l’ho abbracciato…»
Il riso le si smorzò. Guardò il bicchiere della sua amica, non aveva bevuto tanta birra, per iniziare a dire cavolate. L’aveva abbracciato, questo sì che era interessante!
«E che altro è successo?»
«Nient’altro. Un uomo è entrato nel suo ufficio, interrompendo quel momento.»
«E cosa hai intenzione di fare?»
«Cosa vuoi dire?»
«Non mi vorrai dire che, dopo tutto questo, non hai intenzione di rivederlo o di parlarci?»
«Eh no no…è che non so come, sono passati più di dieci anni.»
«Fammi capire! Perché, voglio essere sicura di non essere impazzita all’improvviso. Dopo dieci anni, ti butti fra le sue braccia e ti preoccupi del come? Vai da lui e chiedi di fare una pausa pranzo insieme, una cena, una birra, insomma, una qualsiasi cosa, no?»
«E se lui non mi vedesse più come una sua cara amica? O che sia impegnato? Non è così facile…»
«Sakura Haruno, da quando sei diventata così prudente! E poi, parliamo di Naruto! L’hai detto tu stessa; avete condiviso tanto, non può di certo averti dimenticata. Nel caso fosse impegnato, non vedo il problema. Vuoi vederti come amica, giusto?»
«Certo!» Si affrettò a dire imbarazzata.
«Appunto! Siamo nel duemila venti. Non ci vedo nulla di male se un uomo, anche se impegnato, esce con un’amica, magari per bere una birra.»
«Dici?»
«Certo!» Sperò di essere stata abbastanza convincente. «Che ne dici di andare? Si è fatta una certa.» Si avvicinarono alla cassa per pagare il conto, ad aspettarle c’era il misterioso benefattore.
Ino bloccò Sakura con il braccio, voleva affrontare quello sfrontato personalmente.
«Ti ringraziamo per il gesto, ma non siamo abituate ad accettare doni da sconosciuti.»
«Ma io non sono uno sconosciuto, sono il barman!»
«Appunto, pagati la nostra consumazione e basta.» Lo sguardo non ammetteva repliche.
Il ragazzo capitolò. Sorrise soddisfatta. Stava per andare via, quando si sentì chiamare.
«Aspetta!» Era lui che l’aveva chiamata. «Almeno...Accetta questo» e le consegnò un cartoncino arrotolato.
Ino guardò perplessa il moro, però, decise di vedere cos’era. Srotolò il plico e rimase senza fiato. Era un ritratto a matita di lei e Sakura, che le ritraeva mentre ridevano. Prese una biro dal portapenne, vicino alla cassa, ed un tovagliolo. Scarabocchiò qualcosa sopra e lo passo all’uomo.
«È il mio numero!» Disse prima che l’uomo potesse aprire bocca. Gli diede le spalle. «Aspetto una tua chiamata…»
Il barman rimase imbambolato nell’osservarla, mentre usciva. Quella lunga coda bionda l’aveva ipnotizzato. Lentamente, un sorriso si formò sulle sue labbra. 
 

Spazio autore:

Ciao, bentrovati.
Come promesso, sono tornato dopo ferragosto. Spero abbiate trascorso delle piacevoli vacanze.
Come sempre, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Ringrazio chi ha deciso di mettere la storia nelle seguite, da ricordare e preferite e a chi ha lasciato un commento.
Inoltre, vorrei ringraziare chi leggerà e vorrà lasciarmi un commento.
A presto!
Mask.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Chapter XI ***


Chapter XI

 
Se ne stava già pentendo. Quell’infelice scelta di uscire di casa, con il maglione di lana pesante già indossato, lo stava uccidendo. Era soltanto la prima decade di aprile. Ciò nonostante, il caldo era opprimente, altro che piccolo anticipo dell’estate! Se lo sarebbe tolto volentieri, ma, purtroppo per lui, non aveva abbastanza spazio nella borsa. Decise, stoicamente, di resistere; dopotutto, la sua meta non era poi così lontana. Aveva già avvisato la segreteria del suo dipartimento che, quella mattina, non sarebbe arrivato al solito orario, poiché impegnato in un servizio esterno per la facoltà. Aveva provveduto ad avvisare personalmente i suoi corsisti, quindi, avrebbe potuto prendersela con comodo nello svolgere quella attività. Finalmente, era nei pressi del luogo di suo interesse: il centro nazionale della ricerca scientifica e biomedica. Prima di entrare osservò il suo riflesso sull’ampia vetrata dell’edificio. Era ridotto ad uno schifo, dopo solo quindici minuti di camminata. I capelli gli si erano incollati al collo e al viso, rivoli di sudore colavano lungo le guance; ma, ciò che lo inorridì maggiormente, erano quelle enormi chiazze di sudore sotto le ascelle. Rabbrividì. Era impresentabile. Altro che stoico, un deficiente, ecco cos’era! Poggiò la borsa, sulla soffice erba verde del prato e, come una furia, si tolse il maglione che indossava, di un improbabile color arancio. Se lo legò in vita, cercando di nascondere, con una certa cura che non credeva di possedere, quelle pozze maleodoranti che le sue ascelle avevano generato. Si ritrovò a chiedersi perché, quella brillante idea, non gli fosse venuta in mente qualche kilometro prima. Aprì la tasca più piccola della sua ventiquattro ore e tirò fuori delle salviette ed un deodorante. Si ritrovò a ringraziare mentalmente quella santa donna di sua madre che, fin da piccolo, gli aveva inculcato l’assoluta necessità di portare con sé, ovunque andasse, quegli oggetti salva dignità. Si rimirò sulla vetrata, aveva un aspetto più che dignitoso, eccetto, se lo si poteva definire così, quel piccolo particolare della sua maglietta, che aveva deciso di indossare sotto il maglioncino. Una t- shirt che, sulla parte frontale, rappresentava un corvo con le ali spiegate, ovvero la cover di un album di una delle sue band preferite. Sospirò pesantemente; quella mattina, aveva rinunciato di avere l’aspetto di un professore universitario. Maledì le pile della sveglia che, proprio quella notte, avevano deciso di passare a miglior vita. Tirò fuori dalla tasca dei jeans il badge che Jiraiya gli aveva dato ed entrò nella struttura. Salutò, con un cenno della mano, le due guardie che erano di turno in portineria; le riconobbe, poiché erano le stesse della sera dell’omicidio. Kakashi gli aveva mostrato diverse volte le foto inerenti al caso. Passò il tesserino sul lettore ottico del tornello, il quale, si sbloccò per farlo passare. Successivamente, lo poggiò sul marcatempo, per segnalare l’inizio della sua attività lavorativa. 
 
Non era la prima volta che si trovasse nei sotterranei di quell’edificio; ma, di solito, era sempre in compagnia di Jiraiya o Kakashi. Si guardò un attimo intorno, per cercare di capire quale percorso scegliere. Aguzzò la vista, notò che vi erano ancora i sigilli posti dalla scientifica. Sapeva dove dirigersi. Se in superficie aveva odiato profondamente il maglione, li giù, ne era in piena adorazione. Nella stanza in cui era entrato, la temperatura era tenuta costantemente bassa dai potenti condizionatori, affinché, i server lì presenti, fossero costantemente refrigerati. Si avvicinò al rack di suo interesse e lo cablò con il suo pc. Avviò subito il programma, che gli era costato oltre una settimana di notti insonni. Infatti, dopo la chiamata di Gaara, ci aveva lavorato costantemente ogni sera e a pieno regime nel fine settimana. Solo la notte precedente, era stato finalmente soddisfatto del suo lavoro. Con suo sommo sollievo, osservò che per il momento andava tutto per il meglio. Lo ridusse a icona, nel frattempo che si interfacciava con tutti i database di cui avesse bisogno, si mise a lavorare su altro. Si infiltrò all’interno del circuito chiuso delle telecamere dell’edificio e da lì, riuscì a risalire al mainframe generale, a cui giungevano tutte le immagini delle videocamere del campus. Sia la parte esterna, che quella intera. Ricercò quella che puntava sul corridoio del suo ufficio. Voleva essere sicuro che non ci fosse qualche movimento strano, nei pressi di quel posto, in sua assenza. Probabilmente era un po’ paranoico, ma la sicurezza, nel suo lavoro, non era mai troppa. Finalmente la trovò. Ingrandì la videata. Tutto era tranquillo. Il suono di una notifica interruppe quella attività. La prima parte di quell’analisi era terminata; tutti i database che gli interessavano erano stati analizzati e copiati sull’hard drive del suo pc. Sarebbe stato meglio non riferire di quell’ultima parte a Jiraiya; infatti, era stato autorizzato ad entrare dove meglio credesse ma, copiare i dati, era tutt’altra cosa. Era una violazione a tutti gli effetti. Rischiava il carcere a vita, ma non gli interessava. Ormai, la sua vita era finita un anno e mezzo prima…Filtrò, da quella sterminata lista, i database che al momento gli interessavano; poi, sempre all’interno del programma che aveva ideato, li mise a confronto con il software di timbratura dei tornelli; sperava di riuscire a ricavare qualche dato utile. Lanciò la ricerca.

 
Ritornò ad esaminare il video che gli forniva la telecamera. Notò che vi era qualcosa di strano, c’era una figura davanti alla porta del suo ufficio. Ingrandì la finestra e, per poco, quando individuò le fattezze di quell’individuo, non si strozzò con la saliva. Era Sakura. Cosa ci faceva lì? Aveva passato l’ultima settimana ad evitarla accuratamente; cercando, ovviamente, di non farsi scorgere da lei. Mentre, nei due giorni precedenti, con suo grande sollievo, non aveva dovuto ricorrere a nessun mezzo per cercare di evitarla; sembrava come sparita. Invece, ora, era lì e, dall’espressione del volto, sembrava più determinata che mai a volerlo incontrare. Sospirò, per quanto poteva andare avanti in quel modo? Non riusciva a capire che era per il suo bene? Una nuova notifica lo distolse da quei pensieri. La ricerca era stata poco efficace, come aveva immaginato; vi erano troppi risultati, per poter dire che era giunto a qualcosa di identificabile. Cominciò a vagare senza una meta, per la stanza. Doveva restringere il campo della sua ricerca. Il problema era come. Cominciò a spremere le meningi. Rifletté sul database dei dipendenti, e su quello della “Radice”. Loro potevano accedere in qualsiasi momento alla struttura sotterranea. Ma sapeva che, solo dalle otto del mattino alle ventidue di sera, usavano come entrata quella dell’istituto. Nell’altra fascia oraria, adoperavano un’entrata diversa, accessibile da un edificio aperto tutto il giorno, situato appena fuori dal campus, per non destare sospetti. Difficilmente, l’anomalia poteva essere lì. Provò ad accertarsene e il software incrociò i dati delle timbrature sul tornello, con quelli del marcatempo e poi con le telecamere, nessuna anomalia. Tutto collimava. Il suo ragionamento era corretto. Una buona fetta dei dati poteva essere eliminata. Decise di analizzare personalmente gli altri database, invece di muoversi alla rinfusa. Partì da quello dei dipendenti del dipartimento biomedico. Doveva essere il suo giorno fortunato. Quei dati non lo convincevano. A prima vista, sembravano incompleti e poco protetti; intrufolarsi in quel sistema, non sarebbe stato affatto difficile. Impostò nuovamente la ricerca e attese. Ci aveva visto giusto, l’analisi aveva restituito una gran quantità di timbrature anomale. Infatti, per molte di queste non vi era nessuna corrispondenza con il marcatempo e le telecamere. Cominciò ad analizzare il flusso dei dati del server, per cercare di capire se ci fosse stata effettivamente una fuga. Molti di questi sembravano in ordine, ma vi erano delle anomalie. Alcuni, infatti, oltre ad essere convogliati nel normale flusso, creato tra le varie postazioni, sembravano seguire anche un altro percorso. Doveva ammettere che la cosa era bene architettata. Solo un’analisi accurata della quantità dei dati processati, avrebbe evidenziato l’irregolarità di quelli fuoriusciti. Pochi kilobyte di differenza, ma che nel computo totale, potevano contenere una quantità non indifferente d’informazioni trafugate. Stava per iniziare ad approfondire la faccenda, quando guardò l’orologio da polso. Si era fatto tardi; quella ricerca aveva richiesto più tempo del previsto, ma, adesso almeno, aveva una base dai cui partire. Diede uno sguardo al video della telecamera; Sakura era ancora davanti al suo ufficio. Si portò una mano agli occhi, per stropicciarli. Stava già cominciando a detestarsi per ciò che avrebbe fatto, ma sarebbe stato a fin di bene.

 
Ormai aveva perso la percezione del tempo. Era lì da ore, ma di Naruto nemmeno l’ombra. La segretaria le aveva spiegato che, il “professore”, non si sarebbe fatto vedere, almeno fino a metà giornata o, almeno, lui aveva detto così. Si mosse leggermente sulla sedia. Era seduta da troppo tempo in quella posizione, cominciava a sentire indolenzito il fondoschiena. Certo, non avrebbe mai immaginato di passare il suo primo giorno libero, dopo un’intensa settimana lavorativa, in quel posto, però, non avrebbe mollato. Doveva parlargli a tutti i costi, anche se voleva dire restare lì fino a tarda serata. Prese l’ebook rider dalla borsa e cominciò a leggere. I suoi occhi scorrevano quei caratteri, ma la sua mente si rifiutava di dare un senso compiuto a quei segni. Era impegnata altrove. Era concentrata ad elaborare le giuste parole da trovare, da dire. Ad immaginare tutti gli scenari possibili che sarebbero potuti accadere. Ad evitare le trappole e le incomprensioni, di una parola detta di troppo o al momento sbagliato. Da quando parlare con Naruto era diventato così difficile? In passato non lo era mai stato, al contrario, era difficile trovare qualcosa di cui non parlare, su cui scambiare un pensiero, un’opinione, risultasse ostico. Sentì la porta in fondo al corridoio aprirsi. Voltò lo sguardo in quella direzione. Era arrivato. Scattò in piedi come una molla. Si era accorto della sua presenza. Lo salutò con un cenno della mano. Gesto che fu prontamente ricambiato dal suo amico. Mentre lo vedeva avvicinarsi, sentì l’agitazione dentro di sé aumentare sempre più. Tutte le parole che aveva pensato, le frasi che aveva composto nella sua mente, erano, come per magia, sparite, volatilizzate, chissà dove. Si era completamente sbagliata, parlare con lui non era diventato difficile, ma impossibile. Tutti gli argomenti, con cui aveva pensato di attaccare bottone, ora, le sembravano stupidi, futili, privi di ogni senso o logica. Boccheggiò. Doveva fuggire, era l’unica cosa che avesse senso fare; magari il suo amico di vecchia data l’avrebbe presa per pazza, ma, almeno, non avrebbe fatto la figura dell’idiota. Ripensò, con crudele ironia, a quell’ultima parola. Un decennio prima era lei che apostrofava il biondo in quel modo. Si ritrovò a riflettere con amarezza che, forse, l’idiota, era stata sempre e solo lei. Tentò la fuga ma, le sue gambe, si rifiutavano di obbedire a quell’ordine mentale. Inesorabilmente, lo vedeva avvicinarsi.
«Ciao Sakura, che ci fai da queste parti?»
«Ciao Naruto…Ecco, io…Non abbiamo avuto più modo di parlare…Ed eccomi qui.»
«Capisco…» Aprì la porta del suo ufficio e fece entrare la sua “ospite”. Da quando era così formale con lei? Scacciò quel pensiero dalla testa, doveva mantenere le distanze. Lo faceva per il suo bene, ripeté come un mantra. Le indicò la poltrona.
«Aspetti da molto?»
«No no, al massimo da dieci minuti.»
Bugiarda” pensò il biondo. Ma non si sentì offeso da quella piccola menzogna, tutt’altro, le era grato di non fargli pesare la sua codardia. Perché aveva sperato fino all’ultimo secondo, che lei fosse andata via, ormai stanca di aspettarlo.
«Ho dovuto svolgere un lavoro fuori dipartimento.» Si sentì in dovere di giustificare. «Pensavo di sbrigarmi prima…mi dispiace che tu abbia dovuto aspettare, anche se per poco.»
«Non è stato un problema. È il mio primo giorno libero da lavoro, dopo due turni di notte, quindi ho tutto il tempo a disposizione.»
«Allora…» Disse il biondo, portando la mano sinistra sul suo capo, per dare una parvenza d’ordine a quella disordinata massa di capelli biondi. Aveva notato che lei aveva seguito il suo gesto con gli occhi. Abbassò lo sguardo, non voleva guardarla in faccia, altrimenti non sarebbe stato capace di proseguire oltre con il suo piano. «Di cosa volevi parlare?»
Sakura aveva seguito il gesto di Naruto. Un piccolo oggetto, posto all’anulare, aveva attirato la sua attenzione. Fu come una doccia fredda, non poteva credere ai suoi occhi. Una fede. Il suo migliore amico era sposato. Avvertì, quelle poche certezze che aveva, sgretolarsi. Quando si era sposato? E con chi? Perché si sentiva tradita da quel piccolo oggetto? Perché una gelosia irrazionale si stava facendo largo in lei? Perché voleva scoppiare a piangere? Perché la volta precedente non l’aveva notata? Rispondere all’ultima domanda fu semplice, era impegnata a guardare altro.
«Tu…Sei sposato?!»
Fece finta di essere sorpreso da quella domanda. Da consumato attore, spostò il suo sguardo sulla sua mano sinistra.
«Eh sì, da un paio d’anni.» La guardò negli occhi. Errore fatale. Un però di troppo, sfuggì dalla sua bocca.
«Però…» continuò la donna. Il tono usato, inspiegabilmente, le aveva donato un barlume di speranza.
«Ecco…» Non doveva parlare. Doveva rimanere zitto. Ma, la sua bocca, non seguiva la sua volontà. «Ultimamente le cose non vanno bene, siamo in pausa di riflessione.»
Se ci fossero stati dei fuochi d’artificio in quella stanza, sarebbero risultati poco rumorosi, rispetto all’esplosione di gioia che Sakura provò nel suo petto. Erano in crisi! Era una notizia magnifica. I conti con la coscienza, li avrebbe fatti in un secondo momento.
«Mi dispiace!» Proferì, cercando di camuffare la sua felicità. «Non era mia intenzione toccare una ferita aperta.»
«Non è colpa tua, non lo sapevi…Allora, ora mi dici perché sei qui?»
«Mi chiedevo…Visto che non ci vediamo da tempo, perché una di queste sere non usciamo per andare a farci una birra?»
«Cosa?!» Disse il biondo, strabuzzando gli occhi.
«Ovviamente come amici…Dopo dieci anni penso che ne abbiamo di cose da raccontarci!»
«Ecco…Io non so. Lei potrebbe non prenderla bene…Da quando mi sono trasferito…»
Improvvisamente, le vennero in mente le parole di Ino.
«Siamo nel duemila venti Naruto, un uomo ed una donna possono andare a bere una birra insieme, senza che ci sia un doppio fine. Allora, ci stai?»
«Ecco io…» No. Doveva assolutamente rifiutare. L’assenso non era contemplato. Pensò. «Credo, che tu abbia ragione…»
«Perfetto! Scusami, ma ora devo andare. Ho altre commissioni da sbrigare. Ti chiamo io.»
«Ma non hai il mio numero…» Rispose frastornato, dal quel tornado di nome Sakura.
«Me lo daranno le mie tirocinanti…Sei stato così gentile da lasciarglielo a lezione…» Ironizzò e gli fece l’occhiolino.
La vide uscire. Una tempesta. Un’entità che non riusciva a domare, ecco cos’era quella donna.  Lui, invece, era un grandissimo idiota. Uno dei migliori agenti dell’agenzia, ripetevano. Il miglior analista che si sia mai visto da queste parti, ribadivano. Un emerito coglione, ecco cos’era. Gli era bastato guardarla negli occhi, per cadere ai suoi piedi, come un ragazzino alle prime esperienze. Perché quando era con Sakura o nelle immediate vicinanze, il suo cervello andava in blocco totale? Cominciò a sbattere la testa contro il vetro, che ricopriva il piano in legno, della scrivania.


Spazio autore:

Ciao, 
come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Chapter XII ***


Chapter XII

 
Era passata una settimana da quell’episodio e Sakura, stranamente, non si era fatta ancora sentire. Era capitato, in quei giorni, di incontrarsi nei corridoi dell’università di medicina o nei vari vialetti del campus, però, nonostante si fermassero a parlare, la ragazza non aveva minimamente accennato ad un eventuale appuntamento. Soltanto in una pausa pranzo, passata insieme, aveva fatto un rapido accenno, ma era tutto terminato nel giro di poche e rapide battute. Alle sue orecchie, durante quel pasto, era risultato rilevante un’altra notizia. Lei e Sasuke si erano lasciati. Quella notizia lo aveva lasciato di sasso. Allo stesso tempo lo aveva messo in allarme. Ora più che mai doveva mantenere le distanze da lei. Quel tipo di rapporto, legato esclusivamente all’ambito del lavoro, poteva andava bene. Era una giusta distanza di sicurezza. Andare oltre non era contemplato. In quel senso, probabilmente, il suo piano, in qualche modo, stava funzionando. Si convinse che, fosse stato un buon deterrente; dire che fosse un uomo impegnato; sembrava avesse avuto il suo effetto; visto che, la donna, non aveva accennato, se non marginalmente, alla questione. Dopotutto era vero. Come aveva letto da qualche parte “se dici sempre la verità, poi non devi ricordarti di nulla.” Ecco, quello era il punto, lui ricordava, tutto, purtroppo. Avrebbe pagato, profumatamente, per dimenticare l’esito finale di quella maledetta missione, di un anno e mezzo prima. Prima che la sua mente cominciasse a correre troppo, prese velocemente dal mobile bar una bottiglia di whiskey e ne riempì un bicchiere fino all’orlo. Poi lo buttò giù, tutto in un sol colpo. Nell’ultimo anno, quel distillato, era diventato il suo miglior amico. Anche se, doveva ammettere che, ultimamente, non era più tanto di conforto, rispetto ai primi tempi. Stava per riempire il secondo bicchiere, quando sentì lo smartphone squillare. Chi poteva essere a quell’ora, di venerdì sera? Fece mente locale. Kakashi e Jiraiya non potevano essere, li aveva visti la mattina stessa, per fare il punto della situazione. Le indagini in quei sette giorni non avevano fatto grandi passi in avanti. Nonostante la buona pista che pensava di aver trovato, non erano stati in grado di dare un volto all’omicida. Individuare la vittima era stato facile, compariva in tutti i video delle telecamere quando entrava nella struttura, anche se, non vi era uno schema preciso delle sue incursioni. Ma, la sera dell’omicidio, era un’anomalia che ancora non era riuscito a risolvere. Infatti, nonostante risultasse dentro l’edificio, non comparivano né lui né il suo carnefice; quel giorno erano diventati come dei fantasmi.
Qualcuno dei suoi studenti? Impossibile. Gli aveva espressamente detto di non chiamare dopo le diciotto, pena una bocciatura con i fiocchi in sede d’esame. Prese il telefono, sul display non compariva nessun nome, solo un numero che, fra l’altro, non gli era minimamente familiare. Normalmente, avrebbe rifiutato la chiamata ma, quella sera, sentiva l’impellente necessità di mandare a quel paese quel disturbatore. Toccò l’icona di suo interesse.     
«Naruto, finalmente ti sei deciso a rispondere.» Disse una voce femminile che conosceva molto bene.
«Sakura!» Vide i suoi buoni propositi di attaccare briga sfumare.
«Sei pronto per quell’uscita?»
«Cosa? Avevi detto che mi avresti avvisato!»
«Ed è quello che sto facendo! Fra un’ora, vieni al municipio. Ho prenotato un posto carino da quelle parti. Ti piacerà. Non fare ritardo, come al solito!» Chiuse la chiamata.
Guardò inebetito il telefono. Quella donna era un’autentica forza della natura. Giusta distanza di sicurezza, pensò ironicamente. Doveva troncare tutto quella sera, prima che la sua vicinanza cominciasse a farle del male. Bevve un altro bicchiere di whiskey, tutto d’un fiato.
Era nei pressi del municipio da quasi venti minuti buoni. La torre dell’orologio segnava le ventuno e quindici, ma di Sakura neanche l’ombra. Poi il ritardatario era lui! Forse era il destino che gli stava suggerendo che quello, dopotutto, non era il posto in cui si doveva trovare. Poteva tollerare gli incontri nel campus o le pause pranzo in sua compagnia ma, essere lì, senza ombra di dubbio, era portare il loro rapporto su un altro livello. Lei doveva rimanere una conoscenza lavorativa. Già da adolescente si era scottato a causa sua, se non proprio ustionato e, appena rivista aveva capito, che quelle cicatrici non erano mai guarite del tutto. Quella, però, era una cosa che poteva tranquillamente tollerare, sopportare. Dopotutto, era già sopravvissuto una volta a quell’incendio. Era altro che non si poteva minimante permettere. Non avrebbe assolutamente permesso che la storia si ripetesse; e poi, non c’era spazio per un'altra donna nella sua vita, non più. Lui era un uomo impegnato. Era consapevole di avere un sacco di difetti ma, su una caratteristica era sicuro di eccellere, la fedeltà. Che potesse essere verso una donna, gli amici, degli ideali o una promessa. E lui aveva promesso. Aveva solennemente giurato a sé stesso di allontanare le persone che più amava, per non far più del male. Anche a costo di farsi odiare. La scorse mentre scendeva dell’autobus. Non poté impedire al suo cuore di aumentare i battiti cardiaci. Che avesse quindici, venti o trent’anni non aveva importanza. Lei sarebbe stata sempre bellissima ai suoi occhi. Era vestita in un modo semplice, ma che risaltava il suo fisico. Vide che lo salutava, ricambio il gesto.
«Scusa per il ritardo, colpa dell’autobus» e gli scoccò un bacio sulla guancia.
«Non ti preoccupare» disse imbarazzato da quel gesto. «Non sono qui da molto…Dove dobbiamo andare?»
«Qui vicino c’è un locale niente male, l’ho scoperto qualche sera fa.»
Il posto gli piaceva. Quell’arredo in stile birreria irlandese era di suo gusto; ma, era la musica, che si diffondeva da quelle casse, l’aspetto che più gradiva; il caro, vecchio e mai banale rock. Si guardò in torno alla ricerca di Sakura. La vide che parlava con il ragazzo al bancone e prendere due pinte di birra. Poi si voltò verso di lui e gli indicò di seguirlo.
«Allora, da quando frequenti i pub? Pensavo mi avessi invitato ad un simposio letterario…»
«So divertirmi anch’io, sai?» Rispose falsamente stizzita.
«Sakura Haruno che conosce il divertimento…Questa mi è nuova.»
«Vuoi per caso che te le suoni?»
«Avresti dovuto suonarle al tuo ex…» Ironizzò. Sapeva di ferirla con quella battuta, ma doveva farle del male. Doveva allontanarla da sé. Vide il suo sguardo rabbuiarsi. Una sensazione sgradevole lo colpì allo stomaco. Buttò giù tutta la pinta di birra, per scacciare quell’odiosa emozione. Fece cenno al cameriere, che passava di lì, di portarne altra. Un silenzio tombale calò fra i due, interrotto solo dal cameriere che posava un altro boccale.
«Hai ragione, ma a metà». Quella risposta lo ridestò dai suoi pensieri e lo incuriosì al tempo stesso. «Se proprio dovessi picchiare qualcuno…Sceglierei me stessa.»
«Non sto capendo…»
«Vorrei picchiarmi, perché ho voluto seguire un sogno adolescenziale. Perché ho annullato me stessa, a causa di quel sogno. Perché ho ferito le persone a cui più tenevo, con le mie scelte.» Sollevò la testa e lo guardò dritto negli occhi.
Era sconvolto da quelle parole. Non riusciva a credere che, la persona davanti ai suoi occhi, le avesse dette veramente. Sentì, lentamente, un senso di compiacimento farsi largo dentro di lui. Lo soffocò bevendo, ancora, il boccale di birra tutto in un sorso. Si sentì leggermente stordito, forse mischiare tutta quella birra, con il whiskey bevuto poco prima, non era un’idea saggia, ma lo avrebbe aiutato a fare la cosa giusta. Allontanarla da sé. Chiese un’altra birra, che gli fu prontamente portata.
«Tu sei felice delle tue scelte?»
«Si!» Secco, diretto, brutale.
«Anche se sei in pausa di riflessione?» Lo incalzò.
«Certo. Il fatto che ultimamente le cose non vadano bene e il pesante litigio, causato dal mio trasferimento, non offuscano il mio sentimento. La convincerò a trasferirsi qui. Domani e domenica lei sarà qui, parleremo proprio di questo. Sistemeremo tutto.»
«Sei sempre stato un pessimo bugiardo, Naruto. I tuoi occhi dicono il contrario. Conosco quando provi amore per una persona. In questo momento, non provi minimamente quei sentimenti verso tua moglie! La tua bocca potrà anche parlare di amore ma, i tuoi occhi, la tua voce, i tuoi gesti, esprimono tutt’altro. Stai mentendo su tutto!»
Si infuriò.
«Non ti permetto di mettere in dubbio le mie parole!» Urlò. «Io amo mia moglie!»
«Stai mentendo!»
«Quella che mente sei tu! Cosa pensavi? Che appena ti avrei rivista, sarei ritornato ad essere il tuo schiavo? Quello che ti ha sempre sostenuto? La spalla su cui piangere? Che avrei mollato tutto, soltanto perché Sasuke ti ha lasciato ad un passo dall’altare? Sono andato avanti con la vita, io. Cresci, Sakura!» Pronunciare quelle parole gli era costato parecchio, aveva il fiatone. Doveva farle del male ed era sicuro di esserci riuscito. Si detestò con tutte le sue forze. Non si sentiva molto diverso da Sasuke Uchiha. Il suo amico. Il suo rivale. La stava trattando esattamente come lui. Giocava con le sue emozioni.  
Uno schiaffo lo colpì in pieno volto.
«Ho commesso molti errori, è vero. Ma non ti permetto di dubitare dei miei sentimenti. Non ti chiederei mai una cosa simile, se non fossi sicura del fatto che mi stai mentendo. Rispondi con sincerità: tu sei felice con lei? La ami? Non sei stato ancora capace di dirmi il suo nome!»
Si alzò più infuriato che mai. Come si permetteva di chiedergli una cosa del genere? Come poteva mettere in dubbio i suoi sentimenti per Hinata?
«Fanculo. Non meriti una risposta. Vado via.»
Ma prima che potesse solo muovere un passo, la donna scatto in piedi, per fronteggiarlo.
«Rispondi alle mie domande!» I loro occhi si incatenarono.
Non riusciva ad articolare una parola. Lo aveva messo sotto scacco. Quel suo sguardo gli stava perforando l’anima, non gli permetteva di ragionare lucidamente. E l’alcool ingollato non lo aiutava di certo. Istintivamente si avvicinò. Avvertì il suo viso avvicinarsi inesorabilmente a quello si Sakura. Non riusciva a fermarsi. Quelle invitanti labbra erano sempre più vicine. Poi, un altro volto, si sovrappose a quello che aveva davanti a sé. L’allontanò bruscamente. Poté notare in quegli occhi verdi, rabbia, delusione, sofferenza. Scappò via da quel pub.
Arrivato a casa si buttò di peso sul letto. Aveva rovinato tutto. Aveva raggiunto il risultato. La parte più difficile era fatta. Ora doveva solo evitarla. Allora perché si sentiva uno schifo?


Spazio autore:

Ciao, 
come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo, anche se più breve del solito.
Molti nodi stanno venendo al pettine, come giusto che sia, visto che siamo a nove capitoli dalla fine.
Ringrazio ancora una volta chi commenta e/o ha messo la storia nei seguiti, da ricordare, preferiti.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Chapter XIII ***


Chapter XIII
 
 
Continuava a rigirarsi nel letto, ma Morfeo si rifiutava di accoglierlo fra le sue braccia. Ogni volta che chiudeva gli occhi continuava vedere il suo sguardo. Non riusciva a togliersi la sua espressione dalla mente. Si mise a sedere nel letto. Istintivamente portò la sua mano al portafoglio, che era depositato sul comodino. Lo aprì e tirò fuori una fotografia. Gli si formò un nodo in gola. La rimise a posto e poi, con un gesto di rabbia, lo scagliò dall’altra parte della stanza. Non poteva permettersi di abbandonarsi ai ricordi. Non vedeva l’ora di finire quella dannata, ultima, missione per poter fuggire nuovamente da Konoha. Se lo sentiva. Ritornare era stato un errore. Nella sua fantasia, aveva pensato che fuggire sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi e che il tempo li avrebbe risolti tutti. Stupido idiota! I problemi non si risolvono mai da soli. Si mettono comodamente seduti ad aspettare la resa dei conti che, implacabilmente, si presenta sempre. Il tempo guarisce tutti i mali, dicevano. Che grandissima cazzata! Lo scorrere del tempo non guarda in faccia nessuno, non si preoccupa della gloria o delle nefandezze degli uomini. Lui era un’entità a sé stante. Ecco qual era la verità. Scuse, ecco cosa erano. Menzogne dette a sé stessi, per rifuggire quella realtà troppo dura, troppo opprimente da sopportare. Nel suo caso, il conto era stato presentato da una donna dagli occhi verdi. Doveva chiudere in fretta quella missione e scappare nuovamente. Non vi era altra soluzione. Si ridistese nel letto, sperando che, questa volta, il sonno avesse pietà di lui.
La suoneria del telefono lo risvegliò. Guardò la sveglia, segnava le quindici. Cercò di capire da dove provenisse quel suono fastidioso. Trovò quell’infernale aggeggio elettronico sotto il letto. Come diavolo era finito lì sotto? Il display non gli restituiva nessun numero, solo una serie di caratteri senza senso. Accettò la chiamata.
«Finalmente hai deciso di palesarti. Sto cercando di contattarti da questa mattina. Che fine avevi fatto?»
«Gaara!» Disse. Adesso era completamente sveglio.
«Chi altri altrimenti?»
«Non ti sei fatto sentire per due settimane! Cosa è successo?»
«Non so tu, ma io ho lavorato e anche abbastanza duramente. Ho delle novità.»
«E cosa aspetti a dirmele?»
«Non qui, non mi fido molto di questa linea.»
Naruto roteo gli occhi. A volte Gaara era estremamente paranoico.
«Dove?»
«Ti ho mandato il link per la videochat, tramite mail.»
«Ok, dammi dieci minuti e sono pronto.»
Si sciacquò il volto con dell’acqua fredda. Aveva bisogno di essere il più lucido possibile. Il tono usato da Gaara aveva un che di urgente, che lo aveva messo in un inconsueto stato di agitazione. Avviò il computer e si mise subito a controllare la posta. Si portò una mano alla fronte, avrebbe impiegato cinque minuti buoni per seguire tutte le istruzioni che gli aveva inviato, per rendere la loro conversazione irrintracciabile. Altro che paranoico, ci sarebbe voluta una parola a sé stante per definire la natura di quel ragazzo. Si mise a lavorare alacremente. Doveva sbrigarsi, sapeva bene quanto poteva diventare irritante se si fosse presentato solo con qualche secondo di ritardo.
«Appena in tempo, Volpe.»  
«Allora, che cosa hai di così importante da dirmi? Non ti ho mai visto usare protocolli di sicurezza così avanzati. Anche io avrei serie difficoltà a rintracciare il segnale di questa conversazione.»
«So, anzi sappiamo, chi è l’omicida.»
«Ci siete riusciti allora!»
«Avevi dei dubbi?»
«No. Ero sicuro che avresti guidato la squadra al successo. Però, in poco meno di due settimane. È sorprendente!»
«Non è stato per nulla facile!»
«Allora chi è?»
«Avevi ragione Volpe. È un monaco adepto al culto di Jashin. Si chiama Hidan. Ha ventitré anni, è alto un metro e settantasette centimetri e pesa all’incirca ottanta kilogrammi. È un’autentica macchina della morte. Nella sua breve carriera ha già completato oltre cento omicidi. Un killer a sangue freddo, non lascia tracce del suo passaggio. Ma questo lo sapevamo già…Andiamo con ordine. Nasce in una piccola famiglia criminale, il più piccolo di tre fratelli. All’età di cinque anni tutta la sua famiglia viene trucidata davanti ai suoi occhi. Gli assassini decidono di risparmiarlo poiché, durante la mattanza, non aveva mostrato la benché minima emozione. Lo portano al cospetto del loro mandante, il quale riconosce in quel bambino delle qualità più uniche che rare. Il passo successivo è stato il monastero dei seguaci di Jashin, dove ha ricevuto l’addestramento, fino all’età di vent’anni, per diventare l’assassino perfetto.»
«Ma avevi detto che la leggenda…»
«Mi sbagliavo. Ci sbagliavamo tutti quanti.»
«Cosa vuoi dire?»
«Il culto di quei monaci è antichissimo. Quello che fanno trapelare all’esterno è un falso mito. La verità è un’altra: nel Jashinismo la violenza è alla base dei suoi comandamenti e, tutto ciò che non è un massacro totale, è considerato un incommensurabile peccato. L’adepto, devoto a Jashin, deve accettare di dover pregare prima e dopo aver sconfitto e, naturalmente, ucciso il proprio avversario. E indovina un po’, sai che pianta usano solitamente bruciare durante la preghiera?»
«L’incenso presente solo nel deserto di Suna...»
«Esattamente. Inoltre, il primo omicidio deve seguire uno scrupoloso rituale. La vittima deve essere prima massacrata a mani nude, ridotta in fin di vita, ripulita del sangue versato durante il pestaggio, svegliata, sezionata viva ed infine cosparsa del suo stesso sangue. Era talmente sicuro di non essere trovato, che ha compiuto il rituale sulla vittima del tuo caso. Credimi, ci ha impiegato parecchio tempo.»
«Sto per vomitare…e non ho neanche fatto colazione!»
«Dopo questo primo omicidio rituale, può usare l’arma che meglio ritiene per compiere l’esecuzione. Fermo restando che la preghiera a Jashin, prima e dopo aver compiuto l’opera, resta essenziale.»
«E la foglia nella gola, fa parte del rituale?»
«No, si sarà trattata di una casualità, che ha giocato a nostro favore.»
«A breve, in allegato, ti manderò i suoi movimenti degli ultimi due anni. Dovresti leggerla, c’è qualcosa che ti riguarda…»
«Cosa intendi dire?»
«È meglio che lo veda tu stesso.»
«…»
«Inoltre, ti sto mandando anche la sua attuale posizione. Se volete catturarlo, è questa l’occasione giusta. È a Kumo.  Il suo prossimo obiettivo è in quella città. È un ricco criminale, fa soldi con la droga. Mercoledì darà una festa in onore di sua figlia, che diventerà maggiorenne. Piovra, che lo tiene sotto stretta osservazione, mi ha riferito che ha comprato un abito per l’occasione. Siamo sicuri che colpirà in quell’occorrenza.»
«Tasso…Grazie.»
«Naruto» si stupì che lo avesse chiamato con il suo vero nome. «Ho riattivato l’operazione Scudo di Sabbia. Avevi ragione. C’è un nesso fra la nostra indagine e questo caso. Mi faccio vivo io in caso di novità.» Chiuse la chiamata.
Cominciò ad analizzare gli allegati che Gaara gli aveva inviato. Era un ottimo lavoro, minuzioso, ben eseguito. Tipico del suo modo di fare. Cominciò a scorrere i dati relativi ai movimenti di Hidan; una data e un luogo lo fecero impallidire. Era presente a Kumo il 10/10/2018. Sentì lo stomaco contorcersi, andò in bagno a vomitare. Non poteva essere possibile. Era un incubo. Salvò tutti i documenti ricevuti su una chiavetta. Poi chiamò sia Jiraiya che Kakashi, doveva vederli immediatamente.
 

Jiraiya a stento riusciva a credere a ciò che stava leggendo. Da dove provenivano quelle informazioni? Possibile che corrispondesse tutto alla realtà dei fatti? Guardò il suo miglior allievo esterrefatto. L’espressione che aveva in volto, non lasciava spazio a nessun dubbio o interpretazione. Quei file erano autentici. Inoltre, anche il più scettico degli investigatori, sarebbe dovuto capitolare innanzi a quella documentazione accessoria, che era stata fornita. Fotografie, fotogrammi, note spese, mail scambiate e altro ancora. Bastava solo un decimo di quei documenti, per incastrare ed incarcerare a vita un criminale di quel calibro; ma, chiunque avesse svolto quel lavoro, era andato in profondità, non tralasciando il minimo particolare.
«Come hai ottenuto tutto ciò? Chi te lo ha fornito?» chiese Jiraiya.
«Protezione delle fonti.» Rispose annoiato il biondo.
«Cazzo Naruto, stiamo parlando di sicurezza nazionale e te ne esci con queste stronzate?»
«Prendere o lasciare; io non ti rivelo da chi ho avuto queste informazioni, tu ti prendi il merito di aver risolto il caso. Semplice, no?»
«Qui non abbiamo risolto proprio un bel niente, non sappiamo dove sia!»
«Invece, lo sappiamo…»
«Ma qui non c’è scritto niente!»
«Ho omesso volutamente l’informazione. Nel caso avessi insistito nel sapere chi fosse la fonte…»
«Sei un gran figlio di…»
«Ho imparato dal più bravo…»
Jiraiya sorrise. Era cresciuto il suo allievo. Decise di arrendersi.
«Come vuoi tu. Allora dove si trova?»
«Secondo il mio informatore è a Kumo. Il suo obiettivo è un ricco criminale. Colpirà mercoledì prossimo, durante un party. Pensate di riuscire a preparare un piano per la cattura?»
«Kakashi, pensi di riuscire in questa missione?» chiese il Direttore dell’agenzia.
«Certo!»
«Jiraiya, fammi partecipare alla cattura. Voglio essere il primo a mettergli le mani addosso!» Proferì con rabbia il biondo.
«Non se ne parla minimamente.»
«Sei impazzito? Un anno e mezzo fa lui era a Kumo per me, io devo sapere. Mi deve delle risposte!»
«E le avrai, ma alla missione non partecipi! Sei troppo coinvolto!»
«Naruto» disse Kakashi con calma «Jiraiya ha ragione. Sei troppo coinvolto. Non saresti lucido in missione. Ti fidi di me?»
«Si…»
«Allora lascia che me ne occupi io. Sono sicuro che il Direttore ti terrà costantemente aggiornato sulla missione. Vero?»
«Certo. Inoltre, appena Kakashi sarà di ritorno, ti manderò a prendere. Potrai assistere all’interrogatorio.»
«Va bene. Ma se qualcosa dovesse andare male io…»
«Andrà tutto bene. Dopotutto ci sono io sul campo. Fino ad ora ho fallito?»
«No.»
«Allora, non c’è più nulla da dire. Vado a preparare tutto il necessario. Capo, ti occupi tu della logistica?»
«Certo.»
L’agente poggio una mano sulla spalla di Naruto.
«Ci vediamo presto.» Uscì dalla stanza.
 Il biondo si trovò a sperare che quei giorni passassero in fretta.
 

Spazio autore:

Ciao, 
come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Il puzzle finalmente comincia a prendere forma.
Ringrazio ancora una volta chi commenta e/o ha messo la storia nei seguiti, da ricordare, preferiti.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Chapter XIV ***


Chapter XIV
 

Ino guardava la sua amica in religioso silenzio. Era seduta sul divano dell’appartamento di Sakura, ma il letto di un fachiro, probabilmente, sarebbe stato più comodo. La osservava, ma non osava proferire parola. Sapeva che, pulire in maniera ossessiva compulsiva la casa, con annesso mobilio e oggettistica varia, era il modo del tutto personale dell’amica di scaricare il nervoso. Puntò l’attenzione sui suoi piedi. Ormai aveva perso la sensibilità. Era seduta da diverso tempo in quella posizione, ma non osava muovere un muscolo. Sapeva fin troppo bene a cosa sarebbe andata incontro, se, e soltanto se, si fosse mossa e conseguentemente avesse sporcato anche solo un millimetro quadro. Un’invettiva l’avrebbe colpita, roba da far sembrare quelle di Cicerone in senato contro Catilina ramanzine adatte a dei ragazzini un po’ vivaci. Certo, poi ci sarebbe stata la parte divertente, ovvero vederla pulire maniacalmente quello “sporco”; ma, in quel frangente, ci teneva alla sua vita. Inoltre, le sarebbe dispiaciuto interrompere, in quel modo brusco e non volontario, la sua frequentazione con il ragazzo del bar. Nonostante l’approccio non convenzionale, probabilmente era stato proprio quello a convincerla; passare del tempo assieme a Sai le piaceva.
«Mi stava per baciare, capisci? E poi è scappato, come se fossi la cosa più ripugnante al mondo!»
Quella frase di Sakura la risvegliò dalle sue elucubrazioni mentali. Il cervello ci mise più del tempo del previsto per elaborare quell’informazione.
«Naruto mi stava per baciare!» Ripeté seccata l’amica, per quella mancanza di attenzione.
«Cosa? È una cosa positiva no?»
«Mi stai ascoltando, oppure sei presente qui solo fisicamente?»
«È difficile seguire i tuoi ragionamenti mentre ti muovi di continuo!» Cercò di giustificarsi.
«Se non lo hai notato sto facendo le pulizie; è normale che mi muova!»
«Ma è la quinta volta che passi l’aspirapolvere e sono qui da meno di mezz’ora! Magari se ti fermassi…»
L’amica la guardò abbastanza scocciata. Poi, rassegnata, le si sedette accanto.
«Allora, mi dici cosa è successo? Per bene, questa volta.»
«Il piano che avevamo messo a punto stava dando i suoi frutti. Incontrarlo in settima a lavoro, passare un po’ di tempo con lui, dare piccole informazioni su ciò che mi era successo, cercare di capire la sua situazione attuale, stava funzionando. Insomma, quella tensione iniziale sembrava essere svanita. Era come se fossimo tornati, in qualche modo, al tempo del liceo. Anche non dare troppo peso a quell’appuntamento stava funzionando. Naruto in quei giorni mi sembrava più rilassato. Anche i suoi maldestri tentativi di evitarmi erano spariti. Poi, venerdì sera è andato tutto, meravigliosamente, male. E dire che c’erano tutti i presupposti per passare una bella serata…»
«Capisco…»
«Mi ha fatto capire chiaramente che il nostro rapporto, ormai, è compromesso. Non gliene faccio una colpa…Ciò che mi fa star male non è questo. La cosa che mi ha ferito di più è che mi abbia mentito. Spudoratamente!»
«Scusami, ma non riesco a seguirti!»
«Lui mi aveva offesa e gli ho risposto per le rime. Gli ho chiesto se fosse felice con la moglie, se fosse felice della sua vita…»
«E…»
«Mi ha risposto che lo era. Ma non è vero. Era troppo arrabbiato, sembrava come se gli avessi toccato un nervo scoperto. E poi, quel tentativo di baciarmi…»
«Sakura, tutti mentono…»
«Certo, ma Naruto non mi ha mai mentito prima d’ora!»
«Le persone cambiano…»
«Certo, ma non così drasticamente! Mi sembrava di parlare con un estraneo. No, c’è qualcosa che non va in tutto questo…»
«Forse dovresti accettare che i rapporti e le persone inevitabilmente, con il passare del tempo, mutino.»
«Probabilmente hai ragione, solo che mi è difficile accettare tutto questo. Pensavo che passando un po’ di tempo insieme, in qualche modo, le cose si sarebbero risolte da sé. Che stupida!  Io…Credo che gli debba delle scuse. Non sono nessuno per intromettermi, così prepotentemente, nella sua vita. Ho rovinato tutto, nuovamente…»
«Con la differenza che, questa volta, hai modo di recuperare!»
Sakura abbracciò l’amica.
«Grazie, per sopportarmi.»
Ino scosse la testa divertita. Com’era possibile che quella donna fosse un medico tanto capace e razionale e allo stesso tempo, una persona totalmente irrazionale nei rapporti con l’altro sesso? Non seppe darsi una risposta, ma di certo sapeva che lei, come amica, ci sarebbe sempre stata per sostenerla.

La missione di cattura era stata un autentico successo. Lo avevano catturato non appena compiuto l’omicidio. Era stata stroncata una vita umana, vero, ma non aveva nessun rimorso. Quel narcotrafficante, nella sua scalata al potere, non aveva esitato ad uccidere donne, uomini e bambini. Nessuno avrebbe rimpianto la sua morte. Eppure, non riusciva ad essere del tutto soddisfatto. Qualcosa non quadrava e quel sorrisetto beffardo sul volto dell’omicida, non faceva che dare adito ai suoi dubbi. Tutto era andato liscio, fin troppo. Aveva l’impressione che li stesse aspettando, come se li volesse spettatori del suo ennesimo massacro. Come se l’aggiunta del pubblico facesse da cassa di risonanza alle sue gesta. Forse era soltanto la suggestione e il poco riposo che gli istillavano quei dubbi. Dopotutto, aveva soltanto dormito dieci ore in quattro giorni. Decise che, in quelle due ore di volo, avrebbe cercato di addormentarsi, per dare il giusto riposo alle sue membra, legittimamente, stanche.
 
Naruto era nel suo appartamento, intento a trafficare come al solito al pc. Credeva che, immergersi completamente nei database, scaricati sull’hard disk, avrebbe in qualche modo distolto la sua mente. Ma quel chiodo fisso, che corrispondeva al nome di Sakura Haruno, lo martellava dalla domenica mattina. Non riusciva a dimenticare quel venerdì sera. Alle parole di disprezzo che le aveva quasi urlato contro. La cattiveria con cui erano state pronunciate. Il sentirsi male per aver detto cose che, assolutamente, non pensava. La verità era solo una: non riusciva a smettere di provare qualcosa per lei e purtroppo, era ben consapevole che non fosse amicizia. Ma, non poteva permettere a quel sentimento di rovinare tutto. Il modo migliore di volerle bene era starle lontano, il più possibile. E di certo lei non rendeva la situazione più facile. Aveva passato tutto l’inizio della settimana ad evitarla come la peste. Ora inventando delle scuse, di cui alcune veramente insulse, in altri casi cambiando percorso, pur di non vederla. Era giunto perfino a fingere che non fosse nel suo ufficio. Odiava trattarla in quel modo. Odiava vedere in quegli occhi la sofferenza che le provocava. Però, non aveva scelta. Lo faceva per lei, per lui e per Hinata. Una telefonata lo distolse da quei pensieri. Guardò lo schermo, era Jiraiya. Fu una chiamata breve, ma tanto bastò per metterlo in uno stato di fibrillazione. Hdan era stato catturato con successo e, entro un’ora, sarebbe stato pronto per l’interrogatorio. Si cambiò più in fretta che poté. Salì in macchina e partì alla volta della base. Doveva sentire con le sue orecchie quello che aveva da dire.
 
Era lì dietro quella vetrata particolare, che gli consentiva di vedere l’interrogato, ma di non essere visto a sua volta. Il suo corpo fremeva. Moriva dalla voglia di sapere cosa ci facesse a Kumo un anno e mezzo prima. Perché ora era ricomparso per quel caso. Qual era il nesso fra i due episodi. Ma Jiraiya era stato categorico, non toccava a lui condurre l’interrogatorio, ci avrebbe pesato Ibiki Morino, esperto nel far parlare, con qualsiasi mezzo, chiunque. Ma, quel farabutto, si stava rivelando un osso duro anche per quell’esperto investigatore. In un’ora e mezzo di interrogatorio era a malapena riuscito ad estorcergli il nome e l’età, cose che già ampiamente sapevano. Il restante tempo era stato infarcito di battutine oscene e scadenti, accompagnate da risate sprezzanti. Non gli importava nulla di essere lì, prigioniero dello Stato; tutt’altro, la situazione sembrava divertirlo. Rideva alla paventata possibilità del carcere a vita. Poi, ad un tratto, tutta quella immotivata allegria sparì.
“Portatemi Naruto Uzumaki e vi dirò qualsiasi cosa!”
Il silenzio piombò nella stanza adiacente a quella dell’interrogatorio. Nessuno osava fiatare. Tutti gli sguardi erano puntati sul biondo. Tutte le teste convergevano, principalmente, su due domande: come faceva a sapere del coinvolgimento di Naruto sul caso? Perché voleva parlare con lui? Senza aspettare nessun ordine, cominciò ad avanzare verso la porta che lo avrebbe portato al cospetto dell’omicida. Aveva già posato la mano sulla maniglia, quando sentì afferrare il polso.
«Non devi andare, è una trappola.»
«Non mi importa Jiraiya, ha fatto il mio nome e cognome. Sa che sono coinvolto.»
«E non ti sembra strano?»
«Non mi interessa. Ha detto che dirà qualsiasi cosa!»
«E tu gli credi?» Chiese incredulo il direttore.
«Abbiamo solo un modo per scoprirlo…»
«Va bene. Ma io e Kakashi ti accompagneremo. Prendere o lasciare…»
«Va bene.»
Naruto aprì la porta. Hidan lo accolse con una risata di scherno.
«Finalmente ti sei degnato di entrare. Stavo per mandarti un invito scritto, sai?» E fece un’altra risata dileggiante. «Oh, ma guarda, ti sei portato anche la scorta. Non sei abbastanza uomo da parlarmi da solo? Ho le manette!» Gli mostrò i polsi, con aria di sfida.
«Taci!» Urlò Kakashi. Lo strano presentimento, che gli aveva tenuto compagnia durante il viaggio, ormai era divenuto certezza, ma non era quello ad impensierirlo. Era del tutto sicuro che il peggio dovesse ancora arrivare.
«Ibiki, lasciaci soli.» Disse perentorio Jiraiya.
«Come sapevi che fossi qui?» Chiese Naruto.
«Oh, so molte cose sul tuo conto…Sei stato il mio trastullo per parecchio tempo. All’inizio, quando ho cominciato a studiarti, mi sembravi un tipo abbastanza interessante. Ma poi, che delusione! Sei un cliché, amico mio. Sei fuggito da Konoha, perché il tuo migliore amico si è preso la ragazza dei tuoi sogni. Poi a Kumo hai conosciuto un’altra donna che te l’ha fatta dimenticare…Però, devo dire che hai buon gusto in fatto di donne!»
Naruto sentì la rabbia ribollirgli in corpo, ma prima che potesse aprire bocca, Kakashi lo bloccò, mettendogli una mano sulla spalla.
«Ti sta provocando.» Disse sottovoce. «Non dargli ascolto, continua con le tue domande.»
 «Non hai risposto alla mia domanda…»
«Diciamo che, un uomo molto potente, voleva che tu fossi qui.»
«Stai dicendo che quest’uomo ha inscenato l’omicidio e un furto di dati, per me?»
«Esattamente.»
«Chi è quest’uomo misterioso?»
«Non l’ho mai incontrato. Inoltre, usa una falsa voce per comunicare con me o mail irrintracciabili.»
«Perché tutto questo?»
«Sapeva che l’agenzia avrebbe richiamato il miglior analista dal suo esilio forzato, specialmente per rintracciare i dati rubati.» Un sorriso sghembo si formò sulle labbra dell’assassino.
«Come facevi a sapere del mio esilio?» Chiese titubante il biondo.
«Oh, la risposta questa volta è semplice. Sono stato io a causarlo, sempre su ordine di quest’uomo potente. Non dimenticherò mai quella data. Uno dei miei lavori meglio riusciti. È stato divertente vedere…” Ma non riuscì a terminare la frase.  Naruto gli si scagliò addosso, cominciandolo a riempire di pugni sul volto. Jiraiya e Kakashi dovettero usare tutta la loro forza per separarlo da Hidan.
«Ti ammazzo!» Urlò furioso.
Una risata, lugubre, sovrastò le urla in quella stanza. Resa ancora più tetra dal quel viso pieno di sangue.
«Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.» Proferì sarcasticamente.
Naruto smise di divincolarsi. Quella frase lo aveva colpito come un pugno nello stomaco. Aveva ancora mille domande da fare, ma prima che potesse dire solo una parola, venne trascinato di peso fuori dalla stanza.



Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Nuovi elementi si aggiungono a questo caso. Chi sarà l'uomo misterioso molto vicino a Naruto?
Ringrazio ancora una volta chi commenta e/o ha messo la storia nei seguiti, da ricordare, preferiti.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Chapter XV ***


Chapter XV

 

Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Certo, il terribile cazziatone di Jiraiya, sul modo in cui si era comportato durante l’interrogatorio, gli pesava come un macigno sulla coscienza; ma, ciò che più che gli toglieva il sonno era quella frase finale pronunciata, in quel modo insolente, da Hidan. No, non era casuale. “Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.”  La ripeteva dentro di sé, come un mantra, da ore. Smise di rigirarsi nel letto, ormai era chiaro che Morfeo, per l’ennesima volta nell’arco di pochi giorni, lo rifiutava apertamente. Si mise al pc, nella speranza di placare quei dubbi, che ormai lo stavano assalendo da ore. Provò a cercare il significato di tale proverbio su internet, era indubbio a cosa si volesse riferire, ma preferiva averne la certezza. La sintesi delle risposte, fornitegli dai vari siti consultati, non gli piacque affatto: era più facile aspettarsi qualche attacco da parte dei nemici, invece del tradimento di una persona cara. Per tale motivo, si fa affidamento a Dio affinché ci protegga da situazioni del genere. Quindi Hidan stava insinuando che una persona a lui cara lo avesse tradito. Non poteva essere possibile…Tuttavia, ripensando agli eventi di un anno e mezzo prima…No, non poteva avere assolutamente ragione. Non era possibile. Era sicuro che nessuno, della sua cerchia di amicizie dell’agenzia, lo avesse tradito. Però, soltanto alcuni di loro potevano essere a conoscenza di quella sera. Avrebbe controllato, ma solo per precauzione. Poi, reso sicuro dalla sua ricerca, avrebbe sbattuto i suoi risultati sul volto di quel bastardo e, a quel punto, gliela avrebbe fatta pagare. Solo per avergli fatto dubitare di alcune persone a lui care. Però avrebbe fatto le cose per bene. Nessuno doveva sapere ciò che stava per fare. Era giunto il momento che Volpe ritornasse all’azione, dopo molto tempo. Avrebbe sfruttato lo stesso sistema adoperato dagli hacker per falsificare le timbrature. Si infiltrò nel database biomedico e creò una utenza falsa a cui associò un badge. Successivamente, si registrò nel software della portineria, per abilitare il tesserino a tutte le aree, compresi i piani interrati; in modo tale che il programma non rilevasse delle anomalie o che gli fossero bloccati gli accessi, nel caso in cui avrebbe avuto la necessità di accedere ad altre aree. In seguito, si occupò delle telecamere; quel giorno non avrebbero registrato nessun movimento. Infatti, ogni ripresa video sarebbe finita su un server esterno, per essere immediatamente distrutta. Ci mise diverso tempo, per completare e perfezionare tutto il lavoro; ma, verso le cinque del mattino, si poté ritenere soddisfatto. Finalmente, il richiamo del letto si fece sentire. Impostò la sveglia alle otto. Poi si coricò.

 
Notò che all’ingresso vi erano le solite due guardie. Le salutò con un gesto della mano. Poi passò il tesserino sia sul tornello, che sul marcatempo. In seguito, si voltò verso la telecamera presente all’ingresso e fece un occhiolino. Rise beffardo, tanto nessuno lo avrebbe notato. Con disinvoltura si recò verso gli ascensori. Prese quello vuoto e pigiò il tasto che portava al meno tre. Si guardò intorno, non c’era nessuno. Raggiunse la stanza di suo interesse, quella dell’omicidio. Collegò il pc al server. Scrocchiò le dita delle mani, salutò Naruto Uzumaki per dare il benvenuto alla terribile Volpe. La risposta alle sue domande era in quel flusso di dati. Ne era sicuro. Imprecò verso sé stesso, per non aver controllato in quei giorni quelle anomalie. Ma, a sua discolpa, aveva avuto il suo bel da fare. Fra lezioni da preparare, notizie non facili da digerire, era stata un’impresa concentrarsi. Per non citare Sakura. Sapeva che sarebbe stato difficile gestire certe emozioni, ma non avrebbe mai potuto prevedere che lo avrebbero fatto deragliare così tanto. Pensava di essersi lasciato tutto alle spalle, invece...Si schiaffeggiò il volto. Non era il momento di pensare a certe cose. Doveva rimanere concentrato su ciò che si apprestava a fare. Si collegò ai server dell’agenzia e cominciò a studiare i vari flussi di dati. Iniziò ad analizzare tutte le anomalie che riscontrava nella rete dell'agenzia. Era molto strano, non seguivano uno schema fisso. Infatti, in alcuni giorni non ve ne erano affatto, in altri, invece, il traffico dati in entrata ed in uscita era elevato e sembrava concentrarsi in alcune particolari ore della giornata. Osservò che, quei particolari pacchetti di dati, confluivano nella rete pubblica dell’edificio. Com’era possibile? Come erano riusciti a violare un network così sicuro, senza destare alcun sospetto? Come avevano potuto creare un ponte con la rete pubblica della struttura e, conseguentemente, far fuoriuscire dati così importanti? Doveva procedere con ordine, per rispondere a quelle domande. Avviò un programma che aveva ideato lui stesso ed impostò la ricerca in modo tale da capire, da quanto tempo, quello stillicidio di dati andava avanti. Dopo qualche minuto, ebbe la risposta, all’incirca da un anno. Praticamente, da quando l’agenzia si era trasferita a Konoha. I dubbi aumentarono. Com’era possibile che nessuno se ne fosse mai accorto prima? Iniziò a scorgere la lista dei giorni, ma non riuscì ad individuare uno schema, una connessione logica. Sembrava che, quella fuga di dati, fosse aleatoria. Ma, nel suo lavoro, la casualità non esisteva. Tutto aveva una logica. Bisognava soltanto trovare la giusta chiave d’interpretazione. Un particolare balzò agli occhi, da subito dopo l’omicidio, non vi erano più quelle piccole alterazioni. Le due reti sembravano essere tornate due entità distinte. Si concentrò in modo particolare su quel giorno; notò che, in quella data, corrispondeva l’ultimo flusso anomalo. Cercò di circoscrivere l’arco temporale. Il risultato fu sorprendente, era durato tutta la notte, anche durante le indagini preliminari della Radice. Com’era possibile? Fece una scansione di tutti i device, per tipologia, connessi ad entrambe le reti. I pc, sia fissi che mobili, risultavano, per quanto concerne il loro traffico, in perfetto ordine. L’anomalia non era lì. Passò ad analizzare i dispositivi mobili; finalmente ebbe successo. I dati che transitavano dai server dell’agenzia a quelli della rete pubblica, convogliavano verso un determinato IP. Provò a incrociarlo con i giorni delle anomalie. Ci aveva visto giusto, compariva sempre. Fu facile risalire al device; corrispondeva ad uno smartphone. Quell’IP doveva appartenere al telefono della vittima, ne era sicuro; se fosse stato così, sarebbe stato anche facile triangolarlo e, di conseguenza, recuperarlo. Ma, doveva averne la certezza matematica. Incrociò i giorni delle anomalie con le timbrature della vittima. Il risultato smorzò il suo entusiasmo. Entrambe non corrispondevano. Non poteva essere vero, si era sbagliato. Riconfigurò la ricerca e attese; ma il risultato fu uguale al precedente. Non ci stava capendo più nulla. Era ormai sicuro che, l’omicidio e la fuga dei dati fossero collegati. Ma, quei nuovi risultati rimettevano in discussione tutto. Si alzò in piedi di scatto. Aveva bisogno di riflettere. Se non era stata la vittima a causare quello, allora chi? Doveva estendere la sua ricerca a tutti i dipendenti della struttura. Era l’unica strada percorribile. Azzerò i precedenti parametri di ricerca, per adattarli a quella nuova ipotesi. Attese che il programma facesse le sue analisi di rito ma, anche questa volta, il risultato fu deludente. Non era possibile. La vittima non era il trafugatore di dati; nemmeno i dipendenti, sia dell’agenzia che della struttura, erano loro; allora chi? Poi un’intuizione. I dipendenti esterni, come gli addetti alle pulizie e le guardie armate; anche loro potevano accedere alla rete della struttura. Rilanciò la ricerca. Questa volta ebbe successo. Vide che l’IP era collegato ad uno smartphone. Iniziò a triangolare il segnale. Con sua enorme sorpresa, constatò che il possessore di quel telefono era nell’edificio. Era agganciato al repeater della portineria. Da quell’indirizzo riuscì ad infiltrarsi nel dispositivo e, non appena scoprí a chi era collegato, a momenti rischiava di cadere dalla sedia. Il misterioso possessore era la guardia giovane. Non era possibile che quell’individuo fosse capace di un’operazione di tale entità. Aveva letto il suo profilo. Qualcosa che non quadrava. Entrò nel log delle connessioni del telefono. Dal registro evinse che tutti quei dati erano reindirizzati verso altri IP. Quel telefono era una specie di testa di ponte. Chi credeva che quella moltitudine di indirizzi falsi lo avrebbero scoraggiato, si sbagliava di grosso. Sorrise, finalmente era giunta l’occasione per testare ufficialmente il suo nuovo algoritmo. I test preliminari erano andati più che bene, ma quel banco di prova sarebbe stato l’ideale. Quel programma gli consentiva di arrivare al vero indirizzo IP, che si celava dietro quella moltitudine di indirizzi falsi. L’attesa durò più di un’ora ma, finalmente, aveva l’indirizzo di colui che era dietro tutto. Lo localizzò. Un senso di vertigine lo colse. Non poteva essere possibile. Ricontrollò tutto, ma non vi era nessun errore. Era tutto vero. A malincuore, decise di forzare l’accesso di quel pc, non fu difficile. Si sentì come se avesse scoperchiato il suo vaso di Pandora personale. L’origine del suo dolore, che lo aveva torturato e tormentato nell’ultimo anno e mezzo, era archiviata in quel pc. Scoppio a piangere. Perché Jiraiya gli aveva fatto tutto questo? Per quale scopo? Cosa aveva fatto, per farsi odiare così tanto? Lavorò come un ossesso per raccogliere tutte le prove per incastrare il vecchio bastardo. Aveva quasi ultimato il tutto quando, un particolare, attirò la sua attenzione. Un senso di malessere, peggiore del precedente, lo investì. Quando uscì da quell’edificio era pomeriggio inoltrato. Un cadavere probabilmente avrebbe avuto un aspetto migliore. Si diresse verso il suo ufficio, aveva delle faccende urgenti da sbrigare.
 
Sakura era inviperita. Aveva sbagliato nei suoi confronti, lo sapeva bene; ma non accettava, assolutamente, il modo in cui la stava trattando. Poteva sopportare il fatto che inventasse delle scuse, di cui alcune veramente stupide, per non parlarle; ma, cercare di evitarla in modo così evidente, l’aveva ferita, umiliata, infuriata. Quel venerdì avrebbe risolto la situazione una volta per tutte, o non si sarebbe più chiamata Sakura.
Ino aveva cercato di dissuaderla in tutti i modi da quella folle idea, ma, ormai, aveva deciso. Avrebbe pedinato Naruto per tutto il giorno, per poi seguirlo fino a casa sua, dove non avrebbe avuto più scampo e sarebbe stato costretto a dirle tutta la verità. Era talmente convinta di ciò che stava facendo, che per quel giorno, aveva chiesto ed ottenuto un giorno di ferie. Una cosa a dir poco eccezionale, visto che non le richiedeva mai e Tsunade era letteralmente costretta a mandarla in riposo forzato.  Quella, però, era un’occasione particolare; poiché, il tarlo del dubbio la stava corrodendo da dentro, come mai le era successo in vita sua. La mattinata si era rivelata un autentico buco nell’acqua. Aveva provato a cercarlo in facoltà, ma la segretaria le aveva detto che per quella mattina non si sarebbe fatto vivo, un lavoro urgente lo avrebbe tenuto lontano dal suo ufficio. Dopo la pausa pranzo, si era appostata sul tetto dell’ospedale; da quel posto aveva un’ottima visuale sui viali che conducevano al dipartimento di informatica, quindi, se fosse passato da quelle parti, sicuramente sarebbe stata capace di riconoscerlo. La pazienza non era mai stata una sua virtù, ma se voleva vincere quella guerra, l’unico modo era attendere che, l’uomo al centro dei suoi pensieri, si facesse vivo. L’attesa finalmente aveva dato i suoi frutti, erano le diciotto passate, quando lo vide avanzare verso la struttura che ospitava il suo ufficio. Decise di scendere dal tetto e di appostarsi nel bar dell’ospedale. Sarebbe passato per forza di lì, per andare a prendere la metro che lo avrebbe riportato a casa. Diverse volte, in quelle settimane, avevano condiviso il percorso che li portava alla fermata. Ordinò un té freddo. Quei giorni di fine aprile erano davvero caldi, inoltre, tutte quelle ore di attesa sul terrazzo l’avevano assetata. Sorseggiò lentamente la bevanda, mentre gli occhi erano fissi sull’ampia vetrata. Finalmente lo vide passare. Guardò l’orologio, questa volta l’attesa era durata all’incirca un’ora. Si affrettò a pagare alla cassa, poi corse verso l’uscita. Mantenne una certa distanza, non voleva che il biondo si accorgesse che lo stesse seguendo. Si confuse tra la folla mentre scendeva le scale che portavano alle varie fermate della metro. Si ritrovò a pensare che, normalmente, i loro percorsi si interrompevano dopo la prima rampa di scale, considerato che lei prendeva la linea A per tornare a casa, mentre lui la B. Ma, quel giorno, sarebbero andati verso la stessa direzione. Lo osservava da lontano. Aveva un’aria strana. Sembrava pensieroso; rinchiuso in una sfera personale, in cui aveva escluso il resto del mondo, infatti, non era interessato alle cose o alle persone che gli erano attorno. Entrò nel vagone, nonostante ci fosse parecchia gente, riusciva ancora a scorgere la chioma bionda del suo amico. Il viaggio durò all’incirca mezz’ora; alla penultima fermata, prima del capolinea, lo vide prepararsi verso l’uscita sul lato destro della carrozza. Fece lo stesso. Uscita dal vagone, gli diede diversi metri di vantaggio, non voleva correre il rischio di farsi scoprire, ora che era quasi giunta all’obiettivo. Sorrise, quello era il quartiere in cui era cresciuto. Quante volte ci era stata dall’infanzia all’adolescenza? Quante volte era stata ospite a casa sua? Ricordò con affetto i genitori di Naruto, due persone fantastiche, i quali ogni volta l’accoglievano a casa loro, la facevano sentire parte della famiglia e non una semplice amica in visita. Da quanto non li andava a trovare? Da parecchio, si disse. Fortunatamente, l’inseguimento non durò a lungo, il suo amico abitava nelle vicinanze della fermata, in una palazzina di recente costruzione, o almeno così le sembrava. Lo vide entrare nell’androne del palazzo. Attese qualche secondo, poi si avvicinò al campanello, per capire a che piano fosse situata l’abitazione. Era al settimo. Suonò ad un campanello a caso e si fece aprire il portone con la più classica delle scuse: era lì per fare una sorpresa ad una persona a lei cara. Doveva essere la sua giornata fortunata, la graziosa vecchietta che le rispose, credette, senza esitazione, alla sua innocente bugia. Uscita dall’ascensore si guardò intorno, per localizzare l’appartamento di Naruto. Lo trovò alla sua destra. Inspirò profondamente e suonò al campanello. Attese. Nessun rumore giungeva dall’interno. Nessuna riposta. Ora basta! Pensò. La sua pazienza era giunta ormai al limite. Non gli avrebbe permesso di usare quello stupido stratagemma nuovamente.      
«Naruto è inutile che fai finta di non essere in casa, ti ho visto entrare. Ti ho seguito. Apri immediatamente questa porta!» Non le importava che tutti i condomini del palazzo la sentissero. Ormai, in quelle settimane la sua dignità era andata a farsi benedire da un pezzo. Lo sentì trafficare con la serratura. Sorrise soddisfatta. Almeno quel suo coprirsi di vergogna era servito a qualcosa!
Entrò in casa come una furia, pronta a dirgliene di tutti i colori. Non lo degnò neanche di uno sguardo, la rabbia era troppa.
«O ti decidi a chiarire, una volta per tutte, la nostra situazione o ti giuro che te le suono finché non sputi fuori la verità.» Lo sentì accampare una scusa. Una giornata pesante. Voleva rimandare tutto al giorno successivo. Ma anche no! Lei voleva delle risposte e subito! Non lo aveva mai visto così titubante. Lo vide portarsi la mano destra sull’anulare della mano sinistra. Dov’era la fede? Si guardò intorno, qualcosa non tornava. Quella casa aveva qualcosa di strano, mancava di tocco femminile. E dov’erano le foto di sua moglie o del loro matrimonio? Erano in pausa di riflessione, certo, ma questo non giustificava l’assenza della testimonianza della loro unione. I dubbi aumentarono nella sua testa. Con la coda dell’occhio vide la fede poggiata nel portaoggetti vicino l’ingresso. Fulminea la prese. Scrutò l’interno alla ricerca di una data, di un nome. Niente, non c’era nulla di tutto ciò! Gli prese la mano, nessun segno che indicasse che la fede era sul dito da almeno due anni. Era furiosa.
«Ora mi dirai esattamente cosa cazzo succede!» Ma quella sensazione sparì non appena lo guardò, finalmente, negli occhi. Un baratro di dolore e rimpianto ecco cos’erano quelle iridi. Sentì tutto quell’astio defluire rapidamente dal suo corpo.
«Naruto, dimmi cosa ti succede.» Proferì con tutta la dolcezza di cui era capace.
Le chiese di andare via, con la promessa che l’avrebbe richiamata per raccontarle tutto.
Lentamente si avviò verso la porta. Non voleva lasciarlo da solo, ad affrontare chissà quali demoni; ma, dentro di sé, sapeva che era la cosa giusta da fare.
Richiuse la porta. Si ritrovò a sperare, con tutta sé stessa, che quella chiamata giungesse il più presto possibile.



Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Finalmente il traditore è venuto a galla. Ma quali saranno le motivazioni? 
Inoltre, siamo tornati al punto dove la storia ha inizio. Cosa vuole dimenticare Naruto del suo passato? Sakura riuscirà ad aiutarlo?
Ringrazio ancora una volta chi commenta e/o ha messo la storia nei seguiti, da ricordare, preferiti.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Chapter XVI - 10/10/2018 ***


Chapter XVI - 10/10/2018

 

Era fuori di casa da più di un mese. L’indagine sotto copertura gli aveva portato via più tempo del previsto, ma si poteva ritenere soddisfatto, l’organizzazione criminale era stata sgominata. Quei criminali informatici si erano dimostrati più ostici del previsto, ma alla fine li aveva stanati. Uno dei capi era riuscito a fuggire, ma i vertici dell’agenzia per cui lavorava gli avevano assicurato che in pochi giorni lo avrebbero catturato; ormai quel farabutto aveva le ore contate. Non era mai stato tutto quel tempo lontano da lei. D’altronde, lui non era neanche aduso partecipare a missioni sotto copertura, poichè era un analista dell’agenzia e, a detta di molti, uno dei migliori, se non il migliore, che fosse passato ultimamente da quelle parti. Ma non gli interessavano tutte quelle belle parole, voleva solo tornare a casa, farsi una doccia e vederla. L’unico metodo che conosceva, per togliersi tutto quel lerciume che in quei giorni era stato costretto a toccare, rinvangare, per poter chiudere quell’indagine.

Guardò l’orologio, segnava le 5:35 del mattino del 10/10/2018. Non un orario ideale per chiamare una persona; anche se si trattava della propria ragazza e, che di lì a pochi mesi, sarebbe diventata sua moglie. Si limitò a mandare un messaggio: “Hinata finalmente oggi torno a casa, l’incarico che dovevo svolgere è terminato. Per farmi perdonare di questa prolungata assenza forzata ti porterò al nostro locale preferito, così festeggiamo anche il mio compleanno. A stasera. Ti amo.”

Mandò un messaggio anche al suo superiore; quella sera non voleva essere disturbato per nessuna ragione al mondo. Come di consueto motivò la sua richiesta, anche se non ne aveva la necessità; sapeva che non avrebbe battuto ciglio, specialmente dopo il successo della missione. Però, lui ci teneva ad essere trasparente nei rapporti. Inoltre, Jiraiya andava oltre la semplice definizione di capo. Si diresse verso la sua squadra. Un aereo li aspettava all’aeroporto militare per tornare a casa. Durante le ore di volo avrebbero dovuto sistemare tutte le scartoffie. Sarebbe stata una lunga giornata lavorativa, ma non gli importava; il solo pensiero di rivederla lo faceva sentire più vivo che mai.  

 

Era sotto casa sua, era arrivato in anticipo di qualche minuto, ma non l’aveva avvisata, poichè sapeva che era sempre puntuale e poi, qualche minuto di attesa non lo avrebbe certo ucciso, anzi. La vide uscire dall’appartamento. Era magnifica. L’abito che indossava quella sera era semplice, ma fasciava magnificamente il suo corpo, mettendo in risalto tutte le sue forme e i lunghi e fluenti capelli neri, che le ricadevano morbidi sulle spalle. Ma, la cosa che lo lasciava ogni volta senza fiato, erano i suoi occhi. Occhi in cui gli piaceva perdersi, immergersi, ogni volta che gli fosse possibile. Occhi che gli donavano una pace e una serenità che in tutta la sua vita non aveva mai avuto. Ma Hinata non era solo quello. Era bellissima, senza ombra di dubbio, e più volte i suoi amici avevano rimarcato nei loro discorsi da “uomini e da bar” tale aspetto, ma a lui interessava poco; ciò che amava profondamente era il suo carattere, un caleidoscopio di caratteristiche uniche e speciali.

Ricordava ancora quando l’aveva incontrata la prima volta: si era trasferito da qualche mese, o per meglio dire fuggito dalla sua città natale, adducendo la scusa che voleva frequentare la migliore università di informatica della nazione. Dopotutto, cos’altro puoi fare quando il tuo migliore amico si fidanza, in quanto stufo di essere single, con la donna della tua vita, quella che tu hai sempre segretamente amato dalle elementari, approfittando del fatto che lei avesse una cotta per lui da inizio liceo? Konoha era diventata, all’improvviso, troppo stretta per lui, troppo asfittica. L’unico modo, per sfuggire a quel senso di claustrofobia, era allontanarsi da quella città e lasciare quei ricordi dolorosi e indelebili alle sue spalle. Quella soluzione, per quanto sofferta, aveva cominciato a dare i suoi frutti, ma ciò che aveva dato una svolta alla sua vita era stato l’incontro con Hinata. L’aveva conosciuta ad una festa universitaria per matricole, dove era stato trascinato a forza dai suoi amici di corso Gaara e Killer B, nonché compagni di scorribande in rete. Non che non gli piacesse uscire e fare baldoria, sia chiaro, ma il contraccolpo psicologico era ancora troppo forte in lui, quindi, la sua voglia di divertirsi non era proprio morta, ma emanava un odore alquanto particolare. Oramai era lì, ma di certo non potevano costringerlo a fare chissà cosa. Avanzò verso il bar e prese una birra. Cominciò a girovagare per il locale, i suoi timori erano fondati, in ogni angolo vedeva coppiette limonare abbastanza pesantemente e non di rado gli capitava di vedere dei ragazzi presi dai fumi dell’alcool provarci, in un modo del tutto imbarazzante, con delle ragazze. Dopo un paio d’ore ormai, la pazienza aveva raggiunto il limite.  Decise ad andare via, la situazione lo aveva alquanto annoiato. Però, una scena lo incuriosì: un ragazzo ci stava provando con una ragazza, ma il volto di quest’ultima faceva trasparire che era tutt’altro che interessato alle avances, anzi tradiva un certo disgusto, ma soprattutto, paura. Decise di intervenire, aveva sempre aborrito certi atteggiamenti. Scacciò in malo modo l’importunatore e rassicurò la ragazza, ma quest’ultimo gesto gli fu fatale. Quando incrociò quegli occhi il suo cuore perse un battito, per poi cominciare ad accelerare follemente. Quello fu l’inizio della loro conoscenza che, nel giro di poco tempo, si trasformò in una relazione. Per poi arrivare alla proposta di matrimonio. Hinata, nel giro di poco tempo, aveva preso il posto di Sakura nel suo cuore. 

 

Il rumore della portiera dell’auto che si chiudeva lo riportò al presente. La baciò, le sue labbra erano morbidissime. Inspirò a pieni polmoni quel suo dolce profumo al gelsomino. Le era mancata terribilmente!

 

La serata era stata piacevole, ma sentiva una strana tensione in Hinata. Era una sensazione mai provata prima, una novità assoluta nel loro rapporto. Neanche le prime volte che erano finalmente usciti da soli, aveva provato una sensazione simile. Aveva provato a chiederle il motivo di tale atteggiamento, ma la donna aveva sempre sviato elegantemente il discorso. All’improvviso una idea gli venne in mente, lì si sarebbe giocato tutte le sue carte. 

Fecero una lunga passeggiata, per tutto quel tempo non parlò nessuno dei due. Ad entrambi, in quel momento, le parole sembravano inutili e fuori posto. La condusse nel posto in cui le aveva chiesto di sposarsi. Sperava che quel posto l’aiutasse a sciogliere il nervosismo che l’attanagliava, in modo tale da capire cosa avesse. La guardò a lungo, il volto di Hinata sembrava più rilassato, decise che era il momento di capire cosa avesse.     

«Mi dici cosa ti succede?»

«Naruto io…io» deglutì rumorosamente «non riesco più a tenermi dentro questa cosa…»  Lo guardò dritto negli occhi. «Sono incinta!»

Rimase senza parole. Era la prima volta che accadeva una cosa simile. Sentì il sangue defluire dalle guance. Poi, quando finalmente il suo cervello ricominciò ad elaborare le informazioni appena ricevute, un urlo di gioia eruppe dalla sua bocca. Strinse la donna forte a sé.

«Da quanto lo sai?» Chiese con la voce rotta dall’emozione.

«Qualche giorno, non sapevo come l’avresti presa, per questo era preoccupata.»

L’uomo la baciò, in lontananza sentì il rombo di una motocicletta che si avvicinava, ma non gli interessava, anche se stonava con la perfezione di quel momento. Fu un attimo, intorno a loro esplose il caos. Dei colpi di pistola infransero quel silenzio, istintivamente si abbassò. Poi come tutto era cominciato finì.

Andò alla ricerca di Hinata e la vide a pochi metri da sé, riversa a terra. Il tempo sembrò scorrere più lentamente. Quegli occhi che aveva tanto adorato, così pieni di vita ora erano vitrei e non restituivano più quella gioia di vivere. Sentì qualcosa rompersi dentro di sé, tutto era andato in frantumi. Si ritrovò ad abbracciarla, a sussurrare parole alle sue orecchie, a toccare le sue labbra con i polpastrelli della sua mano, ma nessun segnale veniva dalla persona che aveva tanto amato. Urlò. Un urlo disperato pieno di dolore e si ritrovò a maledire il cielo e la sua stessa esistenza. Gli avevano portato via la cosa più preziosa, anzi, le due cose più preziose. Non aveva avuto il tempo di dirle quanto era felice per quella notizia, quanto l’amava. Il mondo per lui aveva cessato di esistere.  
 

Quando si destò da quei ricordi, notò che i suoi occhi erano secchi e gli bruciavano. Tutte le lacrime trattenute nell’ultimo periodo si erano esaurite quella sera. Lui non poteva più amare, anzi non doveva più amare. A causa del suo lavoro aveva perso Hinata e suo figlio. Non se lo sarebbe mai perdonato. Inoltre, non poteva permettere che questo accadesse nuovamente. Doveva rimanere impermeabile ai sentimenti e poi il solo fatto che un’altra donna si fosse insinuata nella sua vita, lo faceva sentire male. Gli sembrava di tradire la sua memoria. 

Perse il conto di quanto tempo era stato seduto sul quel divano a rinvangare quei ricordi. All’improvviso, uno strano profumo lo ridestò dal quel torpore che l'aveva invaso. Acuì i suoi sensi, non era un odore qualsiasi, era il suo profumo, quella fragranza di gelsomino che tanto adorava di lei. Si guardò intorno stupefatto, ma non riusciva a vedere o percepire nulla. Un leggero venticello colpì il suo viso, come una carezza. 

E capì che era lei, che ancora una volta lo stava riportando alla vita, ancora una volta gli stava donando speranza.

Si ritrovò a piangere. Un pianto diverso, liberatorio; perché dal profondo della sua anima, capì che lei lo aveva perdonato, anzi, non lo aveva mai accusato di nulla. Grazie a lei era riuscito a perdonare, finalmente, sé stesso. 

Prese il telefono, sapeva cosa doveva fare.


Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Finalmente siamo giunti al punto di partenza, dove la storia ha avuto inizio. Il passato tragico di Naruto è stato rivelato in tutta la sua tragicità.
Ammetto che sono molto legato a questo capitolo, perchè è stato il primo che ho scritto, quindi ho un legame molto particolare.
Come sempre, spero che sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Chapter XVII ***


Chapter XVII

 

Sakura era stesa sul divano. Vedeva le immagini scorrere alla TV, ma in realtà non le stava realmente guardando. La sua mente era da tutt’altra parte. Era rimasta nell’appartamento di Naruto a rimuginare su quei frammenti di tempo che l’avevano vista protagonista, a chiedersi il perché di certi sguardi, di certe parole. Da quando era tornata a casa aveva provato a distrarsi; dapprima con una doccia calda, ma il senso di rilassamento che di solito donava era come svanito. Successivamente, aveva provato con il cibo, ma stranamente non riusciva sentire nessun gusto. Era come se ogni suo pensiero, ogni suo senso, ogni fibra del suo corpo, non si fosse mossa da quella casa. Era un simulacro svuotato di ogni pensiero e sensazione.

Il vibrare del telefono la riportò alla realtà, scrutò l’orologio erano le 00:30. Guardò il display, era Naruto. Quella sensazione di torpore, smarrimento, che fino a quel momento l’aveva dominata, alla vista di quel nome, era magicamente sparita. Lesta prese il dispositivo, prima che il ragazzo potesse chiudere la chiamata.

«Naruto!» Disse con voce apparentemente calma. 

«Sakura» pronunciò l’uomo, con un tono grave, profondo. Lunghi brividi percorsero la schiena della donna quando sentì quel timbro vocale. «Ho bisogno di parlarti.»

«Il tempo di vestirmi e sono da te, mezz’ora al massimo.»

«Sei sicura? È mezzanotte inoltrata.»

«Non è un problema, domani e dopodomani non lavoro e poi non ho sonno.»

«Sakura …Grazie.»

Uno strano senso di agitazione si impossessò della ragazza. Era stata lei a dirgli che poteva chiamarlo in qualsiasi momento, anche nel cuore della notte, ma non era quello a turbarla. Il tono greve, che aveva usato per tutta la durata della seppur breve conversazione, le aveva messo una certa ansia addosso. Una sensazione spiacevole, che la pervadeva in ogni parte del suo corpo.

Scosse la testa, decise di non pensarci. La cosa più importante era cercare di capire cosa avesse Naruto. Chiarire la natura del loro rapporto, perché, inutile nascondersi o girarci intorno, da quando lui, improvvisamente, era tornato nella sua vita, si era sentita rinascere, si sentiva meglio, completa. In quei giorni in cui, per usare un eufemismo, non si erano visti, per non dire che l’aveva evitata come la peste, lei si era sentita priva di ogni sensazione positiva che solo lui le sapeva donare. Si guardò allo specchio del bagno e si scoprì sorridere, da quando non lo faceva? Da tanto, troppo tempo, non riusciva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta.    

Prese il lucidalabbra ma quasi immediatamente si bloccò. Un pensiero balenò nella testa: da quando desiderava farsi bella per lui? Da quando voleva farsi notare da lui? Da quando aveva cominciato a desiderarlo? Perché vederlo e sentirlo in quello stato le avevano provocato una strana sensazione nel petto?

Diamine, lui era Naruto, il ragazzo casinista per eccellenza. Una figura costantemente presente dalla sua infanzia fino alla fine della sua adolescenza, il suo confidente, la sua ancora nei momenti più bui, il suo migliore amico. Allora perché quella definizione all’improvviso le cominciava ad essere fin troppo stretta? Perché in tutti in quegli anni, in cui lui era stato assente, non era riuscita ad ammettere a sé stessa che le era terribilmente mancato? Perché, segretamente, anelava ad un suo ritorno? Per quale ragione l’aver scoperto che era sposato l’aveva fatta sentire male e per quale motivo quando aveva saputo che era in pausa di riflessione con la moglie, si era sentita, colpevolmente, felice?

Si riscosse, scacciò tutti quei pensieri dalla testa. Ci sarebbe stato un momento in cui avrebbe risposto a tutte quelle domande, ma non era quello. Ora ciò che contava era andare da Naruto e vedere come stava, aiutarlo in questo momento di difficoltà, essere, per almeno una volta, lei l’ancora di salvataggio. Posò il lucidalabbra, si vestì velocemente e corse fuori di casa.

Era avanti all’uscio da cinque minuti abbondanti, eppure, non riusciva a decidersi a bussare. Il ricordo di quegli occhi pieni di tristezza e rimorso, accompagnati da quel tono greve che aveva sentito al telefono, la facevano esitare. Chiuse gli occhi, inspirò ed espirò lentamente, in modo da poter calmare i battiti del suo cuore, quel tremitio muscolare che pervadeva tutto il corpo. Da quando parlare con il suo “amico” le metteva tutta quest’ansia addosso?

Quei pensieri la resero furente con sé stessa; con un impeto di rabbia si trovò a battere le nocche della mano destra contro il legno della porta. Il dado era tratto.

Quando l’uomo aprì la porta rimase senza fiato. In tutti quegli anni trascorsi insieme, non lo aveva mai visto in quello stato. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, delle occhiaie terribili e il viso scavato. Ma quelle iridi, ora, avevano un aspetto diverso rispetto a qualche ora prima; sebbene ci fosse ancora un velo di tristezza, non erano più quel turbinio di dolore e rimorso. Una strana quiete, come se finalmente avesse preso piena coscienza di sé, balenava in quell’azzurro.  

Istintivamente portò le mani verso quel volto tanto provato. Delicatamente con i polpastrelli toccò le guance. Notò che la pelle era ancora umida. Quanto poteva aver pianto, per essere ridotto in quelle condizioni? Non riusciva a capacitarsi di cosa avesse potuto ridurre Naruto in quello stato; non riusciva a darsi una risposta che la soddisfacesse. Il dolore che provava, nel vederlo in quelle condizioni, le mozzò il respiro.

L’uomo si scostò leggermente, in modo da poter far entrare la sua ospite; con un cenno della mano le indicò il divano, chiuse la porta e lentamente cominciò ad avanzare verso il luogo poco prima indicato. 

«Grazie per essere venuta e scusa per il poco preavviso.”

«Ad essere sincera non mi aspettavo che mi chiamassi così presto, ma non ti preoccupare, avevo promesso, no?» Disse la donna abbozzando un sorriso.

Un silenzio carico di aspettativa calò fra i due.

«Ho accuratamente cercato di evitarti» pronunciò all’improvviso, come sempre diretto e al limite del brutale. «Non lo posso negare…ma c’è una ragione.»

Sakura si limitò ad annuire. Se una parte di sé l’avrebbe voluto prendere a pugni per l’affermazione appena fatta, l’altra era ben conscia del fatto che, se aveva avuto quel comportamento, era per un valido motivo. 

«Ti volevo, anzi, ti voglio proteggere…da me.»

Se si fosse trattato di un qualsiasi altro momento probabilmente sarebbe scoppiata a ridere, per poi calmarsi e cominciare a picchiarlo selvaggiamente. Ma, la situazione talmente strana e il tono di voce tremendamente serio usato, le fecero comprendere che quelle parole erano tremendamente vere.

«Naruto, io ho bisogno di capire, per quanto possa credere alle tue parole, non mi bastano!»

«Chissà perché lo immaginavo!» Dichiarò divertito il biondo. «Non sei mai stata una persona che si accontenta. Ti è sempre piaciuto andare a fondo, studiare approfonditamente qualsiasi situazione o argomento. Un’autentica secchiona!»

«Ricordi che ti ho picchiato per molto meno, vero?» Rispose caustica la donna.

«Impossibile dimenticare!» Ridacchiò. «Comunque hai ragione, hai il diritto di sapere. Tutto è cominciato undici anni fa, quando sono partito da Konoha…»

Mentre Naruto raccontava la sua storia, il volto di Sakura era un mutare continuo di espressioni: incredulità, stupore, gioia, invidia, gelosia, ma il sentimento che dominava su di tutti alla fine della storia era il dolore. Come aveva potuto sopravvivere a quell’evento, come aveva fatto ad andare avanti con la vita? Lei ne sarebbe morta. Un evento del genere le avrebbe dilaniato l’anima, ne era sicura. Si sarebbe fatta accogliere molto volentieri dal caldo abbraccio della morte. Sentì gli occhi che le pizzicavano, una lacrima, lentamente, cominciò a percorrere il suo volto. Come aveva fatto a sopportare tutto quel dolore da solo, senza il supporto di nessuno?

Ma ciò che la stava dilaniando maggiormente era il senso di colpa, che era sempre più cresciuto mentre andava avanti con la storia. Come poteva essere stata così cieca nei confronti del suo migliore amico? Si sentì una miserabile. Il suo amore adolescenziale per Sasuke lo aveva costretto a fuggire, il destino lo aveva ricompensato con una donna meravigliosa, per poi riprendersi tutto, beffardamente, con gli interessi. Mentre lei si leccava le ferite del suo quasi matrimonio con il suo amore adolescenziale, lui era stato costretto ad affrontare una tragedia completamente da solo. Cominciò a piangere sommessamente. Sentì le sue calde mani sulla sua schiena che cercavano di consolarla. Diamine, era andata a casa sua per essere di aiuto ed ora era lui che consolava lei! Si sentì debole, inutile, stupida.

«Sakura mi dispiace, io non…» 

«Non ti devi scusare, quella che deve chiederti scusa sono io. Sono stata cieca ai tuoi sentimenti, ti ho costretto a fuggire, non sono stata capace di farmi sentire e ti ho lasciato affrontare tutto questo da solo. Come posso definirmi una tua amica? Come?»

«Ascoltami bene, non è colpa tua, ok? Se avessi la possibilità di tornare indietro non cambierei nulla, rifarei tutto ciò che ho fatto di nuovo. Il mio percorso, quello che ho subito, mi hanno portato ad essere ciò che sono, ho solo un rimpianto…»

«Hinata doveva essere una donna meravigliosa…»

«Lo era.»

«La invidio sai? Sono gelosa perché ha potuto conoscere, amare, la parte migliore di te, la stessa che io ho ripudiato per correre dietro il mio amore adolescenziale. È stata una donna fortunata.»

«Talmente fortunata che è morta a causa mia!» Ironizzò amaramente.

Uno schiaffo lo colpì violentemente in volto.

«Non dire mai più una cosa del genere!» Urlò la donna. «Non è colpa tua o del tuo lavoro, quella sera potevano desistere da quell’atto, invece, hanno deliberatamente deciso di agire. Io non l’ho potuta conoscere ma, da come l’hai descritta, sono sicura di una cosa: lei non ti avrebbe mai incolpato di nulla.»

 «Sakura…»

«Lei avrebbe voluto che tu fossi andato avanti con la vita. Glielo devi, Naruto. Devi continuare a vivere per lei e non tentare di sopravvivere. Questo non sei tu. Lei continuerà sempre a far parte di te, mai nessuno potrà sostituirla, ma questo non vuol dire che devi chiudere te stesso al mondo.» 

Con uno scatto la donna lo abbracciò. Sentiva il suo corpo scosso dal pianto, come aveva potuto trattenere tutto quel dolore per tutto quel tempo? Come aveva fatto a non impazzire? Restarono abbracciati a lungo, avvertì che si rilassava sempre più.

«Grazie, di tutto.» 

«Non dire sciocchezze, è il minimo che potessi fare. Tienilo bene a mente, io per te ci sarò sempre.»  La donna guardò l’orologio sulla parete. «Accidenti le 02.30, si è fatto veramente tardi, forse è meglio che vada…» Si alzò dal divano.

Istintivamente, come spinto da una forza invisibile, Naruto le afferrò un polso.

«Sakura aspetta, che ne diresti se…Ecco…Restassi a dormire qui?» Notò lo stupore che si faceva largo sul viso della donna. «Ovviamente tu prendi il letto, io dormirò sul divano.» Si affrettò a dire. «Mi farebbe piacere.»

«Ecco io…bhe, ecco, mi piacerebbe, ma non ho un ricambio con me…» Disse la donna leggermente imbarazzata, certamente non si aspettava una richiesta del genere.

«Ti posso dare qualcosa di mio. Ti garantisco che sono assolutamente puliti. Sono diventato un bravo casalingo, sai? In questi anni sono diventato leggermente ordinato.»

La donna scoppiò a ridere a quelle affermazioni. Ricordava molto bene quanto da adolescente fosse disordinato. Però, doveva ammettere che era parecchio migliorato. La casa era in perfetto ordine; un autentico miracolo se ripensava alla sua stanzetta, una perfetta riproduzione del caos primordiale.

«Va bene, ma non farti venire strane idee, chiaro?» Disse con un falso tono minaccioso.

«Ma cosa vai a pensare?» Asserì l’uomo imbarazzato. «Si è fatto tardi a causa mia e casa tua è dall’altra parte della città. È un modo di ringraziarti per essere venuta qui, nient’altro.»

«Quante volte ti devo dire che per me non è un problema? Comunque, credo che una maglietta sia più che sufficiente, vista la differenza sostanziale di taglia.»

«Sei sicura?»

«Certo, mi piace indossare qualcosa di leggero quando vado a dormire e poi fa talmente caldo… quindi andrà benissimo. Dov’è il bagno?»

«È la seconda porta a sinistra. Troverai delle maglie nell’armadietto a sinistra, nel secondo cassetto partendo dal basso. Fa con comodo, io nel frattempo preparo la camera.»

Vide la donna annuire con la testa, la osservò mentre avanzava verso il bagno. Cosa diavolo gli era passato per il cervello? Aveva invitato Sakura a dormire a casa sua. Non riusciva a credere a cosa avesse detto, eppure si era buttato, come spinto da una forza invisibile. Si sentiva stranamente felice. Un brivido che gli attraversò tutta la schiena lo distolse da quei pensieri; mentre un altro preoccupante e allo stesso tempo divertente si fece largo nella sua testa, se solo lo avesse provato a proporre un decennio prima, si sarebbe ritrovato in un letto di ospedale in fin di vita.

Sentì la porta del bagno aprirsi, la vide e la bocca improvvisamente si inaridì. Altro che differenza sostanziale di taglia, quella maglia era maledettamente corta e le metteva fin troppo bene in risalto quelle lunghe, perfette, nivee, gambe che si ritrovava. Sentì il suo volto andare a fuoco. Si ritrovò a imprecare mentalmente. Stava arrossendo come un ragazzino che viene beccato in flagrante a sbirciare una ragazza. Inveì, nuovamente, contro sé stesso. Quella sarebbe stata una lunga notte, difficilmente sarebbe riuscito a cancellare una immagine del genere dalla sua retina.   

Sakura fece finta di non notare la reazione che aveva avuto nel vederla conciata in quel modo. Sentì un moto di orgoglio crescerle nel petto, anche se era passato diverso tempo, non le era indifferente. Avrebbe dovuto già saperlo, visto che, da quando erano ragazzini, lui non faceva altro che lodarla; ma lei era troppo impegnata a seguire il suo stupido sogno d’amore, per accorgersi quanto quei complimenti fossero veri e non dettati da un secondo fine. Represse un sorriso, non voleva metterlo in imbarazzo, non se lo meritava. Si avvicinò con passo lento e studiato, la divertiva vedere che, il malcapitato, non riuscisse a muovere neanche un muscolo. Gli scoccò un bacio sulla guancia.

«Buonanotte Naruto» soffiò al suo orecchio e gli diede le spalle. Un sorriso trionfante si era fatto largo sulla sua bocca.

 

Un buon profumo lo risvegliò. Certo non era stata una notte facile, non per aver passato la notte sul divano, sia chiaro, aveva dormito in posti ben peggiori; ma la vista di Sakura prima e il bacio che gli aveva depositato sulla guancia poi, avevano reso quella notte alquanto agitata. Prendere sonno si era rivelata un’ardua impresa. Fatto alquanto anomalo per lui. Annusò l’aria. Decise che quell’odore gli piaceva. Lentamente si alzò, senza fare alcun rumore si avvicinò alla cucina. 

Era uno spettacolo delizioso. Quell’ondeggiare dei suoi capelli lisci e setosi, ad ogni suo movimento, era ipnotico e, quelle gambe che lo avevano tormentato per tutta la notte, alla luce del sole, erano ancora più belle. Deglutì rumorosamente. Represse i pensieri poco casti che si stavano formando nella testa e si decise ad entrare nella stanza.

«Buongiorno, cos’è questo buon profumo?» Si sedette sullo sgabello vicino all’isola. 

«Pancakes!» Rispose sorridendogli.

«Davvero? È da una vita che non ne mangio uno.»  Notò una strana luce negli occhi della donna.

«Ah sì? E sai qual è il miglior modo per accompagnarli?»

«No.» Replicò titubante il biondo. 

«Questo!»

Con un gesto fulmineo spiaccicò della panna sul naso dell’uomo. Naruto rimase senza parole, pietrificato dal quel gesto così veloce. Era talmente spiazzato che a malapena vide la donna avvicinarsi a lui con un passo lento e provocatorio. Se la ritrovò difronte e la vide sedersi sulle sue gambe a cavalcioni e sentì entrambe le mani posarsi sulla sua nuca. Notò che la maglia si era alzata del tutto, a mostrare le forme perfette delle sue gambe. Avvertì il coinquilino dei piani bassi risvegliarsi, i battiti del suo cuore accelerare bruscamente e i due soli neuroni funzionanti andare in ebollizione.  

«Sakura…»

«Ssssh» fece con fare provocante la donna e la vide accingersi a leccare via la panna dal suo naso, per poi passare al collo e alla mandibola; con buona pace dei neuroni che ormai erano completamente fusi.

«Sakura…»

«Sai, a volte parli veramente troppo. Dovresti prendere esempio dall’inquilino residente al piano inferiore!»  Lo baciò. Un bacio lento, provocante, carico di passione.

Naruto si risvegliò da quello stato di trance, rispose al bacio. Sollevò di peso la donna per i glutei e l’appoggiò con delicatezza sul top dell’isola. In breve tempo la cucina fu invasa dai gemiti di piacere dei due amanti. 

Fecero diverse volte l’amore quella mattina, travolti da una sfrenata passione. Esausti ed ansanti si gettarono nudi sul letto. Non riuscivano ancora a credere a quello che avevano fatto. Un’espressione felice capeggiava sui loro volti. 

«Perché?» Chiese il biondo.

«Perché cosa?» Ribatté la donna. 

«Insomma», indicò i loro corpi. «Tutto questo.»

«Sei la solita testa quadra! Pensi che l’abbia fatto per pura pietà oppure, secondo te, c’è un motivo più profondo?» disse accigliata e gli diede le spalle.

«Non fraintendere, non puoi neanche immaginare quanto a lungo abbia sognato questo momento. Quante volte durante gli anni del liceo ho sognato di fare l’amore con te, accarezzare il tuo corpo, sentirti gemere di piacere contro le mie labbra, risvegliarmi accanto a te al mattino. Da quando sono ritornato qui e poi, soprattutto dopo ieri sera, ho capito che certi sentimenti sono tornati più forti che mai…»

«Sei pentito di quello che hai fatto?» Lo interruppe la donna.

Rimase interdetto; le aveva praticamente fatto una dichiarazione e lei gli faceva quella domanda, non riusciva a capire, poi un’intuizione.

«Hinata farà sempre parte di me, non potrò mai riuscire a dimenticarla. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuore. Però, sento di essere un uomo fortunato, la vita mi ha dato la possibilità di amare due donne con la stessa intensità. Quindi no, non sono pentito. Sono sicuro che lei sarebbe felice per me, anzi, lo è.» Vide la donna girarsi, notò che i suoi occhi erano lucidi, sentì un nodo d’ansia formarsi al livello della bocca dello stomaco. «Sakura…»

«Non potevi dare risposta migliore» e gli accarezzò dolcemente il viso. Sentì il volto dell’uomo rilassarsi al suo tocco.

«E tu? Sei sicura di voler stare con me…dopo tutto quello che ti ho detto…con tutti i pericoli che comporta…»

«Mai stata così sicura, non permetterò a nessuno di portarmi, anzi, di portarci via questa felicità!» Lo baciò.

«Sakura» disse interrompendo il bacio. «Qualsiasi cosa succeda in futuro, non perdere mai la fiducia in me. Me lo prometti?»

La donna guardò il biondo con un’espressione dubbiosa.

«Perché questa domanda?» Chiese con una sfumatura d’ansia nella voce.

«Ho bisogno di sapere che qualsiasi cosa succeda, tu avrai fede in me.»

«Ignoro il motivo di questa domanda, ma te lo prometto, per me non potrebbe essere diversamente.»

Ripresero a fare l’amore, mentre il mondo fuori continuava ad andare avanti alla sua folle velocità. 




Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
La situazione sentimentale tra Naruto e Sakura sembra essersi risanata.
Se vi va di leggere una versione un po' più hot, potete andare qui Enjoy the Silence
Come sempre, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Chapter XVIII ***


Chapter XVIII

 
Ino quel lunedì mattina non riusciva a credere a ciò che stava vedendo. Probabilmente aveva le allucinazioni, ma le scene di ordinaria follia ospedaliera erano quelle solite. Quindi no, non aveva nessun disturbo audiovisivo. Veramente vedeva sorridere Sakura a trentadue denti. Era la quintessenza della felicità. Le si avvicinò e le tirò un pizzico sul braccio; ancora non riusciva a fidarsi, del tutto, dei suoi sensi. La reazione stizzita della sua amica per quel gesto, accompagnata dalla sua espressione spaesata a causa di quell’azione, le diedero la certezza che, effettivamente, non avesse nessun malessere. Cos’era successo alla sua amica, nel fine settimana, per causarle quel repentino cambio d’umore? Insomma, fino al giovedì della settimana precedente, sembrava una psicopatica a piede libero; invece, ora, sembrava essere tornata una persona normale, addirittura felice. Doveva sapere, a tutti i costi! La trascinò di peso nel bar dell’ospedale. La confusione, che regnava a quell’ora del mattino, sarebbe stata ideale per passare inosservate. Osservò con suo piacere, che l’unico tavolo libero era in un angolo appartato dell’ampia sala. Non le avrebbe disturbate nessuno. Fece un cenno al barista, mentre transitava per la stanza. Era più che sufficiente, ormai erano clienti abituali dai tempi dell’università, non c’era la necessità di proferire parola, per farsi arrivare al tavolo ciò che desideravano. Nonostante la moltitudine delle persone, il cameriere portò subito i succhi di frutta e due cornetti ai cereali con i frutti di bosco. Essere dei medici, dopotutto, aveva dei vantaggi. 
«Ora» esordì la bionda «mi dirai esattamente cosa è successo questo fine settimana!»
«E perché dovrebbe essere successo qualcosa?»
«Per quel sorriso trasognante che ti ritrovi stampato sul viso, da quando sei entrata in questo girone infernale, comunemente chiamato ospedale!»
«Ma no, ti stai sbagliando!» Rispose imbarazzata.
«Ascoltami bene fronte spaziosa. Ti conosco dai tempi delle elementari e non ti ho visto mai sorridere così. Neanche quando ti sei fidanzata con Sasuke Uchiha. Neanche quando ti sei laureata con lode. Quindi, smettila di prendermi in giro e dimmi cosa è successo.» 
Il sorriso di Sakura si allargò ancor di più.
«Io e Naruto abbiamo chiarito!»
Ino la squadrò per bene. Credeva a ciò che aveva appena detto, ma era abbastanza, per non dire del tutto, sicura che le stesse nascondendo qualcosa. Doveva farla parlare, anche a costo di forzare la mano. Era troppo curiosa! 
«Interessante. Ma c’è dell’altro. Sputa il rospo!»
«Nient’altro, finalmente abbiamo risolto tutto fra di noi. Ecco perché sono felice.»
La bionda assottigliò gli occhi. Se pensava di liquidarla con quelle briciole si sbagliava di grosso. C’era molto di più e lei su certe cose non si sbagliava, mai!
«Sakura Haruno, pensi che sia una cretina solo perché sono bionda? Mi dispiace, cara. Ora tu mi dici tutto, o ti giuro che non ci schiodiamo di qui, neanche se dovesse venire Tsunade in persona ad urlarci contro. Anzi, sai cosa ti dico, quasi quasi mi faccio aiutare dai lei…» E si guardò intorno alla ricerca della professoressa.
«Va bene, va bene. Ti dirò tutto, ma ti prego di non dirlo a nessuno. Ecco io e Naruto, abbiamo deciso di tenere, al momento, la cosa per noi…»
«Tu e Naruto, eh? Continua, cara, continua pure…» Disse con tutta la malizia di cui era capace. 
«Venerdì sono riuscita ad affrontarlo, come mi ero ripromessa. L’ho seguito fino a casa sua e ho cominciato ad inveirgli contro, finché mi sono accorta che qualcosa non andava. Praticamente, mi ha chiesto di lasciarlo solo e che mi avrebbe richiamato, cosa che ha fatto qualche ora più tardi…» Bevve un sorso di succo, per schiarirsi la voce. «Ecco, mi ha finalmente detto il motivo del suo comportamento. Non è sposato.» 
Ino la guardò perplessa. Non stava capendo.
«Quella fede, è il ricordo della promessa di matrimonio fatta alla sua precedente ragazza, che è morta di leucemia. Se l’è portata via nel giro di pochi mesi.» Sperò che la sua amica credesse a ciò che aveva appena detto. L’espressione sconvolta sul viso della bionda la rassicurò. Aveva promesso solennemente a Naruto di non raccontare ad anima viva ciò che le aveva rivelato.
«Mio Dio…è terribile…»
«Già. Inoltre, mi ha svelato che, appena mi ha visto, i sentimenti che provava per me sono tornati a galla. Solo che non voleva avvicinarsi troppo a me, perché gli sembrava di tradire la sua ragazza. L’amava molto, sai? Sono contenta che abbia potuto conoscere una donna del genere.»
«Ma allora…Mi hai detto che avete risolto!»
«In quell’arco di tempo che è rimasto solo, mi ha confidato che ha sentito come se lei lo avesse spinto ad andare avanti, a non autodistruggersi. Come, invece, stava facendo. Quando sono andata da lui, mi ha parlato molto di Hinata e dal modo in cui la descriveva, posso dire che era una donna eccezionale. Sono sicura che avrebbe sofferto molto nel vederlo ridotto in quello stato. Abbiamo parlato a lungo, di noi due, del nostro rapporto. Stavo per andare via, quando mi ha chiesto di restare a dormire da lui.»
«Cosa?» Gridò. Mezza clientela si voltò nella direzione da cui proveniva l’urlo.
«Abbassa la voce! Sei impazzita?! E poi, non è successo niente…Almeno quella sera…» pigolò Sakura.
La bionda rischiò di strozzarsi con il cornetto a quella rivelazione. Tossi parecchie volte, prima di riuscire ad articolare qualche parola.
«Spiegati meglio…» Proferì con gli occhi pieni di eccitazione. Sentiva che stava per ricevere una notizia bomba.
«Come dire…Il mattino successivo, complice il mio provocarlo, abbiamo fatto l’amore, diverse volte…Ci abbiamo dato dentro tutto il fine settimana.» Avvertì il suo volto andare in fiamme. Sia per la dichiarazione appena fatta, sia per le sensazioni che aveva provato in quei due giorni, passati nell’appartamento di Naruto. Vide l’amica dapprima guardarla con gli occhi sgranati, poi portarsi una mano sul ventre e l’altra sulla bocca, per contenere l’eccesso di risa. 
«Oddio» disse, cercando di riprendere fiato tra una risata e l’altra. «Non ci posso credere. Tu che…» Scoppiò di nuovo a ridere. «Ora capisco quel sorriso...E brava Sakura.» 
La guardò di traverso. Ma, alla fine, si ritrovò a ridere anche lei. Amava Naruto e la sensazione che derivava da quella consapevolezza, le donava un senso di felicità che mai aveva provato prima. 

 
Si sentiva rinato. Quei giorni erano stati un autentico sogno a occhi aperti. Per questo, si sentiva più determinato che mai a chiudere la faccenda. Doveva farlo, per lui, per Hinata e ora anche per Sakura. Non avrebbe permesso che la storia si ripetesse. Questa volta, avrebbe estirpato il male dalla radice. Aveva deciso di non dire nulla a Sakura. Non le avrebbe rovinato la vita. Una lacrima gli scivolò sulla guancia. Perché ci doveva essere sempre un’ombra nella sua felicità? Nella sua esistenza? Era arrabbiato con sé stesso, perché le stava mentendo spudoratamente. Non di certo, per quanto concerne i sentimenti che nutriva nei suoi confronti. L’amava. L’aveva sempre amata. Inconsciamente, non aveva mai smesso di provare quel sentimento. Ma quello che stava per fare…L’asciugò rabbiosamente. Se voleva avere una minima speranza di successo, per quello che si apprestava a fare, doveva mantenersi lucido, calmo. Non doveva permettere ai suoi sentimenti di interferire. Pena, la morte. Guardò ossessivamente il suo telefono. Gaara non si faceva vivo da quasi una settimana. Da venerdì, da quando gli aveva parlato dal suo ufficio, non dava notizie. Pensava che ci avrebbe messo meno tempo. Che avesse avuto qualche imprevisto? No, glielo avrebbe fatto sapere. Sentì suonare alla porta. Si domandò chi potesse essere. Quel mercoledì Sakura aveva il turno di notte. Aprì. Rimase sorpreso nel vedere chi fosse l’ospite inatteso, anzi gli ospiti.
«Killer B, Gaara, cosa ci fate qui?» Chiese sorpreso.
«Buonasera, anche a te, Naruto.» Rispose caustico Gaara.
“Yo, fratello!” Si limitò a dire B.
«Prego, entrate pure, è che non mi aspettavo una vostra visita…»
«Non ci fermeremo per molto.» Disse il rosso accomodandosi sul divano. «Però, abbiamo una cosa importante da dirti…»
«Cioè?»
«Scudo di Sabbia è stato un autentico successo. Siamo riusciti a completare tutto in meno di quarantotto ore, grazie alle tue indicazioni di venerdì pomeriggio.»
«E allora perché non ti sei fatto vivo?»
«Prova tu a tenere a bada una banda di nove pazzi scatenati e vediamo se riesci ad avere del tempo libero.” Rispose irritato Gaara, mentre B rideva beatamente stravaccato sul divano. 
«Non capisco…»
«Tutta la famiglia è qui. Si è voluta riunire per aiutarti!»
«Cosa?» Urlò il biondo.
«Già. Dopo quello che ci hai detto, ho contattato tutta la famiglia. Sono tutti pronti a darti pieno supporto. Il tuo piano può partire anche domani, noi siamo pronti!»
«Non è possibile, vuoi dire che gli altri ragazzi della banda sono qui?»
«Si, per garantirti il pieno supporto.»
«Allora, fratello, quando intendi agire?» chiese B.
«Se voi siete pronti, direi che domani sarebbe perfetto.» Rispose il biondo risoluto. Ormai ogni traccia di sorpresa era sparita.
«E domani sia!» Disse Gaara alzandosi, seguito a ruota da Killer B. 
«Ragazzi» li richiamò «Grazie!»
«Te l’ho già detto una volta» rispose il rosso voltandosi «Noi siamo una famiglia. Chi tocca uno di noi, tocca tutti noi. E poi, non dimentichiamo. Hai accettato di entrare nell’agenzia a causa nostra e nonostante questo, non ci hai mai tradito.»
«L’attacco informatico alla difesa era una mia iniziativa.»
«È vero» disse B «ma noi ti abbiamo aiutato. Potevi coinvolgerci, invece te ne sei assunto la piena responsabilità. È il nostro personale modo per sdebitarci, ma lo avremmo fatto anche se non avessimo avuto una motivazione. Gaara ha ragione. Siamo una famiglia!»
Li vide uscire dall’appartamento. Si sentì un uomo fortunato, aveva ritrovato la gioia di vivere, l’amore e un gruppo di amici pazzi, pronti ad aiutarlo in qualsiasi momento. 

 
Aveva dato appuntamento a Jiraiya e Kakashi in un open bar, situato sul terrazzo di un esclusivo palazzo, edificato a strapiombo, sulla sponda del fiume, il quale divideva la città in due. Quest’ultimo lo aveva avvisato che avrebbe fatto un po’ di ritardo, causa corso di aggiornamento. Ma questo non sarebbe stato un problema.
Mentre si avviava verso l’ingresso, notò che, con suo disappunto, un pontile per pulire le vetrate rovinava quella magnifica facciata. Si abbottonò il giubbotto in pelle. Nonostante fosse quasi metà maggio, quel giorno il cielo era di un compatto color grigio. La temperatura era rigida e le nuvole gravide di pioggia. Vide che Jiraiya lo stava aspettando già al tavolo che aveva prenotato, era situato vicino la ringhiera. Da lì si godeva di un’ottima vista sul corso d’acqua. Come al suo solito, stava facendo il cascamorto con la cameriera. 
«Quando finirai di fare il marpione con le ragazze?»
«Probabilmente il giorno in cui morirò.» Sghignazzò il direttore dell’agenzia. «La tua borsa sembra pesare parecchio.»
«Già, ma c’è un motivo…»
«Cioè?»
«Ho risolto il caso!»
«Cosa?!»
«Ho scoperto chi si cela dietro l’omicidio. Chi è il mandante di Hidan. Perché mi voleva qui. Il nesso con la mia missione di un anno e mezzo fa. Ecco.» Tirò fuori dalla borsa la voluminosa cartellina. «Buona lettura!» Disse ironico.
Jiraiya cominciò a spulciare quei numerosi dossier. Mentre leggeva, vide il suo allievo prediletto, scarabocchiare qualcosa con alcuni fogli. 
«A quanto pare, ti ho trasmesso anche una delle mie abitudini più bislacche. Scrivere qualcosa senza senso, mentre si è in attesa o nervosi.»
«Già…» Rispose, girando il foglio verso il suo interlocutore. Il direttore lo guardò per un attimo accigliato, come infastidito da quel gesto, poi divertito rispose con qualche scarabocchio. Naruto ripiegò il foglio e lo mise al posto.
Si tuffò nuovamente nella lettura. Più andava avanti, più non riusciva a credere a ciò che stava leggendo. Finché non arrivò all’ultimo file. Lo sbigottimento si trasformò in rabbia. 
«Naruto, se questo è uno scherzo, sappi che è di pessimo gusto!» disse irritato. 
«Nessuno scherzo. Tu sei il colpevole di tutto questo. Sei tu che hai organizzato tutto!» Rispose con rabbia. 
«Sei impazzito all’improvviso?»
«Mai stato meglio!»
«Cazzo Naruto, come puoi credere ad una cosa del genere? È ovvio che non ci sono io dietro tutto questo. I tuoi informatori ti avranno dato delle notizie fuorvianti!» Sbraitò alzandosi dalla sedia e sbattendo i pugni sul tavolo. In quel momento poco gli importavano le occhiatacce degli altri avventori.
«Nessun informatore questa volta. Ho hackerato personalmente il tuo pc personale. Sei stato tu a fornirmi tutte le prove che mi servivano! Eri l’unico a sapere dov’ero quella sera con Hinata.» Rispose con rabbia. Lentamente si alzò in piedi ed aprì la zip del giubbotto . Tirò fuori un revolver. Sparò.
Kakashi aveva accumulato un ritardo mostruoso anche per i suoi standard. Sperava di trovare ancora i due al bar. Prese l’ascensore che lo avrebbe portato sulla terrazza panoramica. Era quasi giunto al piano, quando sentì il rumore di un’arma da fuoco. I suoi sensi furono allertati. Cosa diavolo stava succedendo?  Quando i battenti dell’ascensore si aprirono, constatò che il caos era intorno a sé. Gente che scappava, come impazzita. Si diede un rapido sguardo intorno. La scena che osservò lo lasciò pietrificato. Poi il suo addestramento prese il sopravvento. Vide Jiraiya colpito al petto, che indietreggiava pericolosamente verso la ringhiera. Udì un secondo colpo di pistola e colui che lo aveva sparato. Era Naruto. Il proiettile aveva centrato perfettamente il cuore. Vide il suo superiore cadere oltre la balconata. Dopo qualche secondo, udì il tonfo in acqua. Si avventò sul suo ex-allievo, bloccandogli ogni possibile movimento. Un fulmine squarciò il cielo, cominciò a piovere.
«Naruto, cosa cazzo hai combinato?»
Non ebbe la forza di dire nulla. I suoi pensieri erano rivolti a Sakura, ai suoi genitori e ai suoi amici. Perdonatemi, pensò.



Spazio autore:

Ciao, 
puntualmente, come ogni lunedì, ecco il nuovo capitolo.
Le cose belle, come al solito, durano troppo poco. Naruto si è messo nei guai; riuscirà a cavarsela? E Sakura come reagirà?
Come sempre, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
A presto!
Mask.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Chapter XIX ***


Chapter XIX

 
Sakura non riusciva a darsi pace. Era da dieci, lunghissimi, giorni che non vedeva Naruto. Era come sparito all’improvviso nel nulla. Aveva provato a contattarlo, ma ad ogni sua chiamata rispondeva la segreteria telefonica. Aveva lasciato oltre cento messaggi, ma non aveva ricevuto risposta. Era andata a cercarlo in facoltà, anche lì nessuna traccia; anche il suo appartamento si era rivelato un buco nell’acqua. Forse era partito per una missione all’improvviso, si disse e, probabilmente, non aveva avuto il tempo di avvisarla. Eppure, sentiva che quella risposta non l’appagava. Il suo sesto senso le diceva che fosse successo qualcosa di grave. Inoltre, quello stato d’ansia, si ripercuoteva anche sul suo lavoro. Commetteva errori stupidi, banali, che neanche un medico alle prime esperienze avrebbe compiuto. Per sua fortuna, anche la sua professoressa sembrava persa nei suoi pensieri. Era da oltre una settimana che aveva perso la sua solita carica vitale. Il suo volto era scavato e gli occhi gonfi e rossi. Le era sembrata devastata da un’orribile notizia, ma non aveva osato chiedere. Poiché, l’unica persona che aveva provato a domandarle cosa fosse successo, se ne era pentita amaramente. Tsunade le aveva urlato contro come un’ossessa. Si era ripromessa di parlarle, magari quando le acque si sarebbero calmate un po’. Per di più, le era apparso come se la volesse evitare. Avrebbe affrontato tutto al momento debito. Ora, la sua priorità, era un’altra persona. Si ritrovò a chiedersi chi potesse aiutarla. Ebbe un’epifania. Come aveva fatto a non pensarci prima?! Uscì correndo di casa, sperando che la sua intuizione fosse giusta. Era davanti a quella porta rossa da cinque minuti buoni. Da quanto tempo non li andava a trovare? Troppo. L’ultima volta non era stata una visita molto piacevole, considerato che si erano rifiutati categoricamente, anche se con un certo tatto, di dare notizie su Naruto. Sperò che, questa volta, la sua visita avesse un altro esito. Suonò il campanello. Una donna, dai lunghi capelli rossi, le aprì la porta. Non era cambiata molto, era bella come sempre, nonostante avesse passato i cinquanta. Ma, in quel frangente, la sua bellezza era deturpata da un volto intriso di dolore.       
«Ciao Kushina, scusa il disturbo.»
«Sakura, da quanto tempo!» Esclamo la donna sorpresa. «Entra.»
«Sicura che non arrechi fastidio?»
«Ma stai scherzando? Quale fastidio! Sono felice di vederti. Vieni, c’è anche Minato, sarà contento d’incontrarti. Sei proprio diventata una bella donna, sai?»
«Grazie!» Rispose arrossendo. Entrò nel soggiorno, dove trovò l’uomo. Rimaneva sempre sbigottita nel constatare quanto padre e figlio si somigliassero. Se non fosse stato per i capelli più lunghi e per qualche ruga, li si sarebbe potuti confondere.
«Sakura, sono felice che tu sia qui.»
Nonostante il tono allegro usato dal biondo, l’espressione sul volto era cupa. Sentì lo stomaco chiudersi. Si sedette. Serrò i pugni all’altezza delle ginocchia. L’atmosfera di quella casa non era la solita. Abitualmente, fin da quando aveva avuto modo di frequentarla, si respirava un’aria di serenità, pace e spensieratezza. Ora, tutto questo, sembrava un lontano ricordo sbiadito nel tempo. La voce della donna interruppe il suo flusso di pensieri.
«Naruto ci ha detto tutto. Siamo felici che, finalmente, vi siate ritrovati. Fin da quando eravate piccoli facevamo il tifo per voi due.» Un leggero sorriso si formò sulle labbra.
«A quanto pare lo avevano capito tutti, tranne la sottoscritta…»
«Non biasimarti. Non è facile comprendere un sentimento come l’amore. Non tutti sono fortunati, da capire chi è la persona giusta, dal primo momento.» Guardò l’uomo alla sua destra.
«Voi sapete dov’è Naruto? Sono giorni che non lo sento!» Diretta, brutale. Non le andava ti tergiversare sull’argomento. Vide i due che si scambiavano uno sguardo preoccupato. Lo aveva già visto in passato. Le sembrò di rivivere lo stesso momento, ma, questa volta, non avrebbe demorso. Avrebbe abbattuto, con tutte le sue forze, quel muro di silenzio imbarazzato.
«Non possiamo dirtelo.» Rispose l’uomo.
Nuovamente quella risposta. No, non avrebbe accettato quel verdetto. Le loro continue occhiate, quel tono poco rassicurante. Loro sapevano. Si sarebbe giocato il tutto per tutto.
«So tutto! Naruto mi ha raccontato ogni singolo aspetto della sua vita!» Osservò i loro volti. Erano sconcertati. Non erano pronti ad una reazione del genere.
«Sakura» disse dolcemente la rossa. «Noi non sappiamo…»
Minato posò una mano sul braccio della moglie. Poi la guardò intensamente.
«Kushina, se le ha raccontato tutto, allora è giusto che sappia.» Poi posò il suo sguardo su Sakura «Naruto è in carcere…»
«Cosa?» Era sicura di aver sentito male.
«Ha ucciso un uomo…Il suo capo, Jiraiya.»
Quella vaga sensazione di malessere che provava esplose nel suo petto, come una supernova. Sentì il fiato mozzarsi. Non era possibile. Il Naruto che conosceva non sarebbe stato in grado di uccidere nessuno, per alcuna ragione al mondo. C’era qualcosa di profondamente sbagliato. E poi, perché quel nome le era familiare? Un’intuizione la folgorò. Era l’uomo che vedeva spesso accanto a Tsunade. Non poteva essere! Adesso riusciva a dare una spiegazione razionale al comportamento della donna.
«Non può essere…»
«Invece è così» disse l’uomo addolorato. «Non riusciamo a credere a quello che ha fatto. Lo abbiamo saputo grazie a delle nostre conoscenze. Non ci permettono di vederlo o di avere contatti con lui…» Abbracciò la moglie che, nel mentre, era scoppiata in lacrime.
«No, no, no. Mi rifiuto di crederci. Non può aver commesso un gesto del genere. Non è da lui!»
«La fonte è sicura…»
«Non mi interessa.» Poi come un lampo, le sovvenne la promessa che le aveva fatto fare il biondo. «Io ho fede in lui. Finché non lo sentirò dalla sua voce, io mi rifiuterò di crederci! Ditemi in che carcere si trova…»
«Non è possibile…» Ma una carezza della moglie lo interruppe.
«Sakura ha ragione. Dobbiamo avere fiducia in nostro figlio. Dobbiamo batterci con tutte le nostre forze per vederlo. Quello che ci stanno facendo è disumano.» Nello sguardo della donna, ora, vi era una feroce determinazione.
«Avete ragione. Andiamo!»
Una voce, proveniente dall’ingresso, bloccò i loro movimenti e li gelò sul posto.
«Fossi in voi non muoverei un muscolo.» Si sentì il rumore di una pistola che veniva armata. «Almeno, se ci tenete alle vostre vite.»

 
Ormai aveva perso la percezione del tempo. In quella cella non filtrava uno spiraglio di luce naturale. Solo grazie al suo orologio sapeva che era lì da ben quindici giorni. Non era pentito di ciò che aveva fatto. L’unico rimpianto che aveva, era quello di non aver potuto dire niente ai suoi cari. Non gli era permesso di vedere nessuno. L’unica visita che riceveva era quella di Ibiki Morino; ma quegli estenuanti interrogatori, non erano riusciti a fiaccare la sua resistenza. Non avrebbe detto una sola parola, avrebbe accettato, in tutta tranquillità, la sua condanna. Se lo meritava. Aveva deluso tutti. Provava un solo rimpianto: non aver trascorso abbastanza tempo con Sakura. Ancora una volta aveva distrutto ciò che più amava; ma, ora, non poteva incolpare nessuno, solo biasimare sé stesso. Il martellare di un bastone, sulla robusta porta di acciaio, lo ridestò dai suoi pensieri. Lentamente, si alzò in piedi. Provò dolore nel fare quel gesto così normale. Ma, dopo quindici giorni passati disteso sul letto o seduto, i suoi muscoli si erano leggermente atrofizzati. Vide entrare due guardie.
«Cosa volete?»
«Ti trasferiamo.» Rispose laconica la guardia più anziana.
«Dove?»
«Fuori da questa nazione. Noi saremo la tua scorta.» Indicò gli altri componenti del gruppo. Erano in sei.
«Così hanno deciso di torturarmi…»
«Visto che non ti decidi a parlare. Ora andiamo. In marcia.»
Camminò a lungo. L’unica nota positiva, era che sentiva i suoi muscoli riattivarsi. Arrivò davanti all’entrata principale del cortile interno del carcere. Quando i battenti si schiusero, la luce del sole lo colpì con forza. Dovette schermarsi gli occhi con le mani, o almeno ci provava, considerato che le manette ai polsi limitavano i suoi movimenti. Si sentì trascinare di peso, per poi essere gettato malamente nel blindato. Il pavimento in acciaio gli diede un freddo benvenuto. Le guardie, che erano entrate dopo di lui, lo aiutarono a rialzarsi e a sedersi. Un clangore metallico sentenziò la chiusura del portellone del furgone. Guardò l’orologio, era passata quasi un’ora da quando era iniziato il viaggio, dovevano essere giunti all’aeroporto. Si ritrovò a pensare che il destino aveva uno strano senso dell’umorismo. Appena ritornato voleva far di tutto per andarsene, ora, invece, desiderava rimanere a Konoha con tutto sé stesso. Avvertì il mezzo frenare, per poi spegnersi. Subito dopo, il portellone si aprì. Fu quasi scaraventato a terra, era riuscito a mantenersi in piedi grazie al suo straordinario senso dell’equilibrio. Si guardò intorno, l’aereo che lo avrebbe portato chissà dove era a una decina di metri. I motori erano già accesi, anche se alla minima potenza. Intuì che appena salito sarebbe decollato. Venne strattonato, era il segnale per indicargli di procedere verso il velivolo. Appena tutti furono a bordo, il portellone venne richiuso. Fu un attimo, poi il caos invase quell’angusto abitacolo. Osservò, inerme, la sua scorta falcidiata. Guardò allarmato chi avesse sparato. Quando si tolsero i passamontagna, gli si gelò il sangue nelle vene.
«Sei un deficiente!»
«Gaara, ragazzi?!»
«Chi altri sennò? Dovevi fare solo una cazzo di cosa!» Inveì il rosso. «Seguire il piano! Sparare e scappare.»
«Mi dispiace! Ma perché ammazzare questi uomini innocenti?»
«Non sono morti, guarda meglio, fratello!» Intervenne B.
Vide dei dardi conficcati nel collo degli uomini della scorta.
«Si sveglieranno domani mattina, non si ricorderanno nulla.» Spiegò Polpo.
«Ma cosa avete intenzione di fare?» chiese allibito Naruto.
«Semplice!» Rispose il rosso. «Riprendere con il piano Scudo di Sabbia!»

 
Kakashi era furioso. Come poteva un aereo militare scomparire dai radar, pochi minuti dopo il decollo?
Ma, quella rabbia, era la somma dei bocconi amari che aveva dovuto ingoiare nei giorni precedenti. Da quando il nuovo direttore aveva preso il posto di Jiraiya, l’agenzia peggiorava ogni giorno che passava. Innanzitutto, le indagini condotte sull’omicidio del suo ex capo; non aveva mai visto tanta incompetenza tutt’assieme. Le ricerche erano state condotte in modo superficiale, approssimativo e la cosa, incredibilmente, sembrava avere l’approvazione delle più alte cariche dirigenziali e governative. Non si erano neanche affannati più di tanto nella ricerca del corpo. Asserendo che, siccome era caduto nel fiume e le piogge dei giorni precedenti avevano reso la corrente troppo forte, ricercare la vittima sarebbe stato molto dispendioso; poteva essere stato trasportato chissà dove, l’area da indagare era troppo grande! Come poteva la morte di un uomo, così importante poi, essere liquidata in quel modo? Non riusciva a capacitarsene. Per non parlare della sua esclusione dal caso. Troppo coinvolto, avevano sentenziato! Caricò, stizzito, la sua pistola d’ordinanza. Per non parlare di come stavano trattando Naruto. Il suo allievo aveva commesso un crimine atroce; ma, neanche i peggiori criminali, che aveva personalmente arrestato, avevano subito il suo trattamento. Isolato dal mondo, un solo pasto al giorno, nessuna ora d’aria e interrogatori lunghi ore, senza, a volte, la possibilità di poter andare in bagno. Lo stavano distruggendo. E dulcis in fundo, siccome resisteva a tutto questo, il nuovo direttore, aveva deciso di estradarlo in un paese, dove la tortura fosse consentita. Poiché, oltre a uccidere un uomo, durante le sue indagini, aveva “violato” dati che non competevano all’investigazione che stava effettuando. Violazione dei segreti di Stato, il capo di accusa. Per questo volevano estorcergli ogni singola informazione. Ma, la cosa peggiore era un’altra. Hidan era stato rilasciato nei giorni precedenti. Poiché, secondo il nuovo direttore, i capi di accusa non erano sufficienti per tenerlo ancora in stato di fermo. Un centinaio di omicidi, fra cui la ragazza di Naruto e non vi erano abbastanza elementi! Cazzate! E lui, in tutto questo cosa aveva fatto? Niente. Non era stato in grado di muovere un dito. Finì di allacciarsi il giubbotto antiproiettile e si diresse furente verso la sua macchina, situata al meno cinque. Vi entrò sbattendo la portiera. Stava per mettere in moto, quando sentì qualcosa di gelido premere contro la sua nuca. La riconobbe, era la canna di una colt.
«Un solo movimento e raccoglieranno il tuo cervello dal parabrezza



Spazio autore:

 
Ciao, 
è lunedì,  quindi ecco a voi il nuovo capitolo.
Siamo giunti al terz'ultimo capitolo di questa storia. Chi è il misterioso uomo che minaccia la famiglia di Naruto, Sakura e Kakashi? Riuscirà il nostro eroe a portare a termine il suo piano, aiutato dai suoi amici? 
Come sempre, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Un commento è sempre gradito. :-P
A presto!
Mask.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Chapter XX ***


Chapter XX

 

I tre si guardarono smarriti. Quella villa era enorme e le luci che la illuminavano non facevano altro che aumentare quella percezione. Le carte catastali che avevano consultato davano una vaga idea, ma vederla dal vivo era tutt’altra cosa. Per quanto accurate, non potevano minimamente ricreare, quella comprensione che solo la vista poteva donare. Occupava l’intera superficie di un quartiere di Konoha. Era anche vero, però, che quella grandiosità giocava nettamente a loro favore. Passare inosservati sarebbe stato un gioco da ragazzi. Si avvicinarono al cancello d’ingresso e mostrarono i loro inviti alle guardie. Non era il solito invito su carta, bensì un badge. Se chi aveva creato quel sistema, aveva avuto la presunzione di renderlo a prova d’intrusione o di ospiti indesiderati, con tutta certezza si poteva affermare che aveva fallito e anche abbastanza miseramente. Infiltrarsi e creare delle false generalità era stato di una facilità inaudita. Rubare le caramelle ad un bambino, presumibilmente, sarebbe risultato più difficile. Diedero uno sguardo al parcheggio delle auto. Quella meno costosa non se la sarebbero potuta permettere, neanche mettendo insieme tutti i loro risparmi. Osservarono attentamente tutto ciò che il loro sguardo poteva cogliere. In quel posto, in quel momento, era riunita tutta l’alta società della nazione. Politici, banchieri, imprenditori, capitani d’industria, tutti riuniti ad applaudire la candidatura a primo ministro alle prossime elezioni di Madara Uchiha, attuale Ministro degli Interni, annunciata solo qualche giorno prima. 

«Naruto» disse Gaara sottovoce. «Questa volta cerca di non fare cazzate e segui il fottutissimo piano, chiaro?»

«Chiarissimo.»

«Ascolta bene fratello, questa volta nessuno salverebbe il tuo culo bello!» canticchiò B.

Il biondo si portò una mano alla fronte. Se i presupposti fossero stati quelli, avrebbero fatto prima a scavarsi una fossa con le loro mani. Specialmente se Piovra cominciava a parlare in stile rap. Tanto valeva entrare lì dentro ad armi spianate e farsi crivellare di colpi, nel tentativo, vano, di far riuscire la loro missione. 

«Ok, io seguo il piano, ma voi due…cercate di comportarvi come persone normali, intesi?»

«Io sono normale.» Rispose asciutto Gaara. Ed effettivamente, del rosso non si poteva lamentare. Il tatuaggio sulla fronte era stato ricoperto con abbondante cerone. Inoltre, sapeva mantenere il sangue freddo anche nelle situazioni più disparate.

«Anche io, fratello!» Rimbeccò B. Sapeva che era così. Sperava solo che non se ne uscisse, nuovamente, con una delle sue frasi da rapper da strapazzo. Ma era consapevole che, nei momenti cruciali, poteva contare su di lui.

«Scusatemi ragazzi. È che sono un po’ nervoso…Il resto della squadra?»

«È già entrata in azione. Ora tocca a noi; diamoci da fare!» Asserì il rosso.

Si divisero e mescolarono fra la moltitudine di gente che era intervenuta a quell’evento. Erano alla ricerca del loro obiettivo, ma quest’ultimo ancora non si decideva a comparire. Era in ritardo sulla tabella di marcia, strano per un tipo metodico come lui. Quasi ad esaudire il loro desiderio, finalmente lo videro scendere dalle scalinate. Finalmente, Madara era comparso sulla scena. Nonostante avesse passato i sessant’anni, il suo portamento non ne risentiva minimamente. Attesero. Sequestrarlo appena si fosse presentato, era fuori discussione. Dovevano, purtroppo, aspettare. Dovettero attendere più di un’ora, affinché l’attenzione sull’uomo del giorno scemasse. Lentamente cominciarono a circondarlo. Prima, però, verificarono che non ci fosse nessuna guardia del corpo nelle vicinanze. Campo libero. Quella sera era senza la sua scorta. Presumibilmente, si sentiva al sicuro all’interno di quella reggia. Vide che Gaara e B erano ormai alle spalle dell’obbiettivo. Gli si parò davanti.

«Madara Uchiha, finalmente ci incontriamo.» 

L’uomo rimase in silenzio a fissare il suo interlocutore. Se fosse rimasto stranito nel vedere chi fosse a parlargli, non lo dimostrò minimamente. Un ghigno comparve sulle sue labbra.

«Naruto Uzumaki, scommetto.»

«In carne ed ossa.»

«Ti credevo fuori dal paese a quest’ora. Sei un tipo pieno di risorse. Sei venuto a costituirti?» Disse beffardo.

«No, a farla finita una volta per tutte!»

«Non so a cosa ti stia riferendo…» Rispose vago.

«Seguimi!»

«Non ne ho la minima intenzione.»

«Oh, io penso che lo farai.»

Gaara gli puntò una pistola alle spalle, all’altezza del costato.

«Farai bene ad eseguire l’ordine che ti ha dato il mio amico, se non ti vuoi ritrovare cadavere.»

«Non ne avrai il coraggio, ragazzino. Non ne uscireste vivi…»

«Vuoi provare?» Ed armò il cane della pistola. 

«Dove mi volete condurre?»

«Nel tuo ufficio dobbiamo andare, perché le prove dobbiamo prelevare.» Canticchiò B. 

Naruto e Gaara sorrisero questa volta. Accompagnati dall’ostaggio, lentamente e senza dare troppo nell’occhio, si avviarono verso l’ufficio. Durante il tragitto fecero delle soste e si fermarono a parlare con degli avventori, per non destare sospetti. Ci volle quasi mezz’ora per raggiungere la sospirata meta, ma era andato tutto per il meglio. La prima fase del piano era giunta tranquillamente in porto. Chiusero a chiave la porta dell’ufficio, in modo tale che nessuno potesse disturbarli. Gli tolsero qualsiasi dispositivo elettronico avesse addosso.  

«Gaara mettiti al pc. B resta in guardia. Tu siediti, dobbiamo fare una lunga chiacchierata.»

«Ragazzino, credi che tu e i tuoi amici, possiate venire in casa mia, pensando di farla franca?»

«Onestamente? Non credo.»

«Almeno hai le palle.»

«Perché?» 

«Perché cosa?»

«Perché tutto questo? Perché mi volevi uccidere? Perché incastrare Jiraiya? Perché inscenare un omicidio e un furto di dati per me?»

«Oh bhe, è complicato da spiegare…»

«Abbiamo tempo.»

«Sai cosa sono i Big Data?»

«Sono un grande volume di dati, strutturati e non strutturati.»

«Esattamente. Ma detta così è robetta inutile. Sai cos’è la cosa più importante di questi dati?»

«Ciò che conta, veramente, è quello che si fa con i dati. La capacità di saperli analizzare, per estrarre informazioni utili.»

«Vedo che hai fatto i campiti a casa. Bene, immagina nel mondo della politica cosa possa significare…»

«Influenza su intere masse di popolazione, da usare nelle elezioni.»

«Giusto! Jiraiya ci aveva visto giusto su di te. Sei un tipo sveglio.»

«Non capisco, puoi fare questo anche senza ricorrere a grandi mezzi. Che connessione ha questo con me? Con Jiraiya? Con l’agenzia?»

L’uomo rise sguaiatamente. Quella situazione, anziché intimorirlo, sembrava divertirlo.

«Non ci arrivi proprio Uzumaki?»

«Sei tu la mente di questo piano. Raccontami tutto…»

«Oh bhe, visto che stiamo tanto comodi. Posso?» Indicò la bottiglia di whiskey sul tavolo, vicino la poltrona su cui era seduto. Naruto fece un segno di assenso con le testa. «Ti ricordi di quel gruppo di criminali informatici che hai arrestato?»

«Si»

«Erano alcuni dei miei uomini, stavano gettando le basi per il mio piano. Sarebbe filato tutto liscio, se tu non avessi cominciato ad indagare su di loro…Sapevo che fossi bravo, ti tenevo sotto controllo. Però, mai avrei immaginato che li avresti sgominati in poco più di un mese…Quindi sono passato al piano B.»

«Uccidermi.»

L’uomo scoppiò a ridere.

«Ucciderti. Mi dispiace, caro, ma non è mai stata la  mia intenzione. Volevo solamente fiaccarti il morale. Il tuo profilo psicologico parlava abbastanza chiaro…e poi ammazzare uno dell’agenzia, avrebbe peggiorato solo la situazione.»

«No…non oserai dire…» sussurrò inorridito. 

«Vedere la tua ragazza morire davanti agli occhi ti ha devastato, vero?» Rise più forte.

«Tu, bastardo…» Era pronto a scattare per avventarsi sull’uomo, ma venne fermato prontamente da B. 

«Resta calmo, ti vuole provocare. Vuole essere picchiato. Sa che qualsiasi segno sul suo volto, insospettirebbe gli invitati. Per noi la fuga diverrebbe impossibile. Sa di essere il nostro lasciapassare. Resta concentrato. So che fa male, ma resisti.» Vide l’amico rilassarsi. Lasciò andare la sua ferrea presa sul suo corpo.

«Come hai fatto ad accedere al mio profilo psicologico? Solo il direttore dell’agenzia può…»

«Oh bhe questa è semplice…Abbiamo avuto sotto controllo il pc personale e di lavoro di J. per anni.»

«Cosa? Come hai fatto?»

«Quei bravi ragazzi che tu hai arrestato, hanno creato un programmino davvero interessante. Una volta installato sul pc, come per magia, te ne fa assumere il controllo.»

«Il pc di Jiraiya era sorvegliato, nessuno di estraneo può avvicinarsi. A quello personale poi, solo pochi confidenti avevano accesso.»

«Esattamente. Usa un po’ l’immaginazione, puoi arrivarci…»

«La segretaria!»

«Bravo!»

«Hai corrotto anche lei!»

«No, quella donna gli era fedele fino all’osso. Ho dovuto usare metodi più persuasivi, come minacciarla di ucciderle i figli.»

«Fottutissimo bastardo!» Sibilò il biondo a denti stretti.

«Il suo conto in banca non è dello stesso avviso. Pago sempre chi mi serve bene.»

«Va avanti…»

«Vedi, però. Nonostante tu fossi fuori dai giochi, Jiraiya in segreto ha continuato ad indagare. Non era convinto di ciò che ti era accaduto. Stava facendo troppe domande. In altre parole, si stava avvicinando alla verità. Quindi ho voluto “cogliere due piccioni con una fava”. Farlo fuori e mettere un mio uomo a capo dell’agenzia. Anzi, tre piccioni, visto che anche tu non avevi mai smesso di indagare in privato.  Pensa che immagine poetica, l’allievo che arresta il proprio maestro!»

«Chiarisci la cosa…» Pronunciò ormai al limite della pazienza. 

«Mesi fa si è presentato a casa un funzionario del dipartimento del centro nazionale di ricerche. Mi ha chiesto di intercedere per trovare un lavoro a suo nipote. All’inizio pensavo di scacciarlo. Poi, ho avuto un’idea geniale. Ho raccolto un po’ di informazioni sul ragazzo: un perdigiorno, che passa l’intera giornata vicino al telefono e la sera a ubriacarsi nei pub. Era il tipo perfetto. Ho fatto un po’ di pressione, affinché fosse fatto assumere come guardia presso il centro. Sai cosa ha fatto appena assunto?»

«Posso immaginare…»

«Si è andato a ubriacare in un bar. Hackerargli il telefono, in quel frangente, è stato un gioco da ragazzi.»

«Hai fatto tutto questo da solo? Non è possibile… La rete dell’agenzia è ben protetta…» 

«Ho assoldato un gruppo di hacker.»

«Capisco. Hai usato il telefono del ragazzo, per inviare segreti di stato sul pc personale di Jiraiya e da lì poi, passarli sul tuo, vero?»

«È corretto.»

«In modo tale che Jiraiya risultasse la mente di quel piano. Inoltre, sapevi che mi avrebbe richiamato, considerato che lui sospettava la fuga dei dati, anche se gli analisti gli dicevano il contrario.»

«Esattamente. Anche usare il capo della banda che hai debellato. Che colpo di genio, eh? Sapevo che ti avrebbe fatto immergere nel caso! Era una mia idea, anche quella di usare Hidan per farti mettere sulla giusta strada. Sapevo che ci saresti riuscito, che avresti trovato le anomalie. Non credevo che avresti ammazzato Jiraiya. Onestamente, pensavo che lo avresti denunciato e basta. Mi hai sorpreso ragazzino. Ma…»

«Ma…»

«Solo una cosa mi sfugge. Come hai fatto a risalire a me?»

«Semplice. Il tuo programma per controllare i pc di J. consuma un bel po’ di banda. Sei stato molto attento su quello del lavoro, ma sul personale…hai avuto poca cura. Inoltre, non hai nascosto le tue incursioni. Pensavi di essere intoccabile, vero?»

«lo sono. Grazie al tuo aiuto ho messo un mio fantoccio a capo dell’agenzia. Quindi direi che il piano è perfettamente riuscito. Grazie ai server della Radice, potrò accedere a tutti i dati che mi servono. Infiltrarmi in tutti i dispositivi che voglio. Sfruttare i miei dati per farmi eleggere. Inoltre, potrò tenere amici e nemici per le palle. Ogni loro sordido segreto, ormai, è mio. Trasformerò questa stupida democrazia in un regime e mi imploreranno per farlo!»

La porta della stanza esplose in mille pezzi. Una squadra tattica entrò di prepotenza nell’ufficio. Tutte le armi erano puntate verso i tre ragazzi. 

«Finalmente vi siete decisi ad intervenire!» Disse l’uomo. «Con tutto quello che vi pago, avreste dovuto agire nel giro di cinque minuti dalla mia chiamata.» Dal taschino della giacca, tirò fuori una specie di telecomando, di forma rotonda, molto sottile. Fu un attimo, poi si ritrovò tutte le armi rivolte contro.

«Madara Uchiha, ti dichiaro in arresto!» Proferì un uomo entrando.

«Jiraiya!» esclamò felice Naruto. 

«Ragazzo mio, ottimo piano.» Gli diede una pacca sulla spalla.

«L’agente più imprevedibile dell’agenzia ha colpito nuovamente.» Disse un soldato, mentre si toglieva il passamontagna.

«Kakashi!»  

«Che succede?» Balbettò smarrito il padrone di casa.

«Succede che i tuoi giochi sono finiti e che l’agenzia ti ringrazia per la confessione resa.» Affermò Jiraiya.

«Io non ho reso proprio un bel niente!»

«Invece, si!» Intervenne B. Smontò la pistola che aveva. «Vedi, questa non è una pistola, ma una videocamera, collegata al tuo sistema di diffusione audio e video. I tuoi ospiti hanno sentito tutto. Anche l’intera nazione. Guarda, il mio amico laggiù…» e indico Gaara. «Ha trasmesso tutto in diretta streaming. Non avevamo bisogno di nessuna prova. La prova eri tu!»

«Come ci siete riusciti? Ho sul mio libro paga i migliori hacker in circolazione!» 

«Chi, gli Akatsuki? Catturati diverse ore fa!» Rispose Naruto. «Prima di venire qui ci siamo infiltrati nel tuo sistema di sicurezza e lo abbiamo fatto a pezzi, abbiamo sempre avuto la situazione sotto controllo. E comunque, i migliori sono quelli che vedi in questa stanza!»

«Tu…Tu eri morto!» Disse Madara rivolgendosi a Jiraiya. «Ti hanno visto che ti colpiva al cuore, cadere dalla balconata, il tonfo in acqua…»

«Oh quello. Trucco da cinema. Effettivamente Naruto mi ha sparato e mi ha fatto anche abbastanza male. Ma basta indossare un buon giubbotto antiproiettile e si sopravvive.»

«Ho fatto controllare le vostre conversazioni. Non avete mai parlato di certi aspetti!»

«Perché non abbiamo comunicato nel solito modo convenzionale.» Dalla tasca del pantalone, tirò fuori un foglio tutto scarabocchiato e glielo mostrò. «Vedi questi scarabocchi? In realtà sono un codice, che ho insegnato personalmente al mio allievo. Mentre leggevo il falso dossier, ho visto che scriveva qualcosa. Mi ha incuriosito. Quando ho letto cosa avesse scritto, ovvero se indossavo un giubbotto antiproiettile, ho risposto in modo affermativo. Anche se, ancora non capivo il perché. Poi i proiettili sono stati abbastanza chiarificatori.»

«Ma eri caduto, il tonfo in acqua...»

«Vedi, questi cari ragazzi, avevano montato un ponteggio per pulire le vetrate. Al momento della caduta erano solo qualche metro più in basso. Mi hanno preso letteralmente al volo, per poi buttare in acqua un corpo con lo stesso mio peso. Poi, il fattore pioggia ha giocato a nostro favore. Non è stato lasciato nulla al caso. Hanno pianificato tutto fino all’ultimo dettaglio. Sono venuto a conoscenza del loro piano solo dopo la mia morte. Anche Kakashi era all’oscuro di tutto.»

«Già, ma la prossima volta evita di puntarmi una colt alla nuca, prima di spiegarmi un piano.»

«Considerala la mia personale vendetta per tutte le volte che mi ha fatto perdere la pazienza!» Jiraiya rise.

«Hai perso Madara.» Disse trionfante Naruto. 

«Anche tu ragazzino, nuovamente.»  Rise sguaiatamente. «Ho fatto rilasciare Hidan di proposito. 

Sapevo che fossi un osso duro, quindi per costringerti a confessare, ti avrei fatto vedere il video di lui che minacciava di trucidarla. Ovviamente, dopo la tua ammissione avrebbe avuto carta bianca per qualsiasi sua fantasia omicida.»

Naruto sgranò gli occhi inorridito. 

«Sakura!» Esclamò.

«Portale un mazzo di fiori sulla sua tomba, anche da parte mia!» L’eco di quella risata malvagia rimbombò in quella stanza, rimasta silente per via di quella notizia. 

«Naruto» lo richiamò Jiraiya «Cosa stai aspettando? Vai da lei, salvala! Corri, ci sono diverse macchine veloci fuori. Pensa solo ad arrivare a casa sua. Al resto ci penso io. Vai!»

«Salutami il confettino!» Urlò Madara, con tutta la malvagità di cui era capace. 

Il biondo si precipitò fuori dalla villa e salì nella macchina, che un agente gli aveva indicato. Aveva il cuore in fibrillazione. Non avrebbe permesso alla felicità di sfuggirgli. Nuovamente.



Spazio autore:

 
Ciao, 
è lunedì,  quindi ecco a voi il nuovo e penultimo capitolo
La mente che si cela dietro questi omicidi finalmente è stata svelata; il movente rivelato. Riuscirà il nostro eroe ad essere finalmente felice? Lunedì prossimo, nell'ultimo capitolo, lo scoprirete.
Come sempre, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Un commento è sempre gradito. :-P
A presto!
Mask.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Chapter XXI ***


Chapter XXI
 

La lancetta del tachimetro sfiorava, pericolosamente, i 200 km/h, ma gli sembrava di andare troppo lento. La villa era situata a diversi chilometri fuori dalla città. Fortunatamente, la macchina era una sportiva che teneva bene la strada. Pigiò ancora più a fondo l’acceleratore. Sentì un rombo prepotente provenire dal propulsore. Vide la lancetta del contagiri superare i 5000, contemporaneamente quella del carburante calare a vista d’occhio, ma non era sufficiente. Il bastardo platinato era già in città, era quasi da Sakura. Spinse l’acceleratore fino in fondo. Sentiva le mani sudate per la tensione. Le strinse sul volante, fino a far sbiancare le nocche. Finalmente vide le luci della città. Superò in volata due auto e rischiò quasi un frontale con un’altra, che viaggiava nel senso opposto di marcia; ma, il piede continuava ad essere costantemente premuto sul pedale. Lo alzò solo una volta entrato in città. Non voleva avere rogne. Con sua sorpresa, notò che vi erano dei posti di blocco sul percorso più breve, che lo avrebbe portato dalla sua ragazza; i poliziotti gli facevano segno di proseguire, mentre il resto del traffico veniva bloccato. Pensò, che quella era tutta opera di Jiraiya. Si annotò mentalmente che, appena rivisto, gli avrebbe chiesto scusa per quel tiro mancino che gli aveva tirato sul bar panoramico. Inoltre, osservò che due motociclette della polizia lo avevano affiancato. Volevano essere sicuri che arrivasse a destinazione il più presto possibile. Arrivò all’appartamento di Sakura in un baleno. Scese dalla macchina e controllò la sua pistola: era pronta a fare fuoco. Fece cenno agli altri di restare giù in attesa. Era la sua personale resa dei conti. Nessuno doveva interferire. Salì silenziosamente le scale, fortunatamente era solo al secondo piano. Era stato lì solo una volta, qualche giorno prima del suo arresto, ma gli era stato sufficiente per mappare l’intero edificio. Giunse al piano, la porta era leggermente schiusa. L’apri lentamente, senza fare il minimo rumore; lo spazio necessario per poterci passare senza difficoltà. Il marasma che vi era all’interno gli raggelò il sangue. Che fosse arrivato troppo tardi? Delle voci familiari, provenienti dalla cucina, sembravano confutare quell’ipotesi. Con circospezione si affacciò nella stanza e quello che vide lo lasciò senza parole. Suo padre era disteso sul divano, poiché Sakura stava finendo di fasciare il suo braccio destro; nel mentre, sua madre stava ripulendo gli attrezzi chirurgici usati dal medico. In un angolo giaceva a terra, senza vita, il corpo di Hidan. La fronte era “abbellita” da un foro da proiettile.
«Mamma, papà, Sakura!» Esclamò sbalordito. «Cos’è successo qui?»
Vide le due donne lasciare ciò che stavano facendo ed avvicinarsi lentamente a lui. Poi, all’improvviso, sentì un dolore lancinante allo stomaco e tutta l’aria fuoriuscire, violentemente, dai suoi polmoni.  Entrambe, in sincronia, gli avevano dato un pugno nello stomaco.
«Sono felice di rivedervi anche io.» Mormorò a fatica. Le sentì ridere.
Poi si sentì avvolgere in un abbraccio. Avrebbe riconosciuto quel profumo tra mille. Era il suo odore, fiori di ciliegio. Lo inspirò a pieni polmoni. Gli era mancato terribilmente in quei giorni di prigionia. 
«Perdonami. Non ti avevo detto nulla, per non coinvolgerti in tutto questo, per non farti rischiare nulla e invece…ero quasi sul punto di perdere tutto, nuovamente …»
«Esserti accanto è una mia scelta, ricordatelo, sempre. Jiraiya ci ha detto tutto. Solo che il suo intervento non era previsto…» Indicò il corpo che giaceva a terra. «Se non fossero intervenuti i tuoi…»
Naruto si avvicinò a Minato.
«Tutto bene papà?» Chiese preoccupato.
«Oh, è solo una ferita superficiale.» Disse indicando il braccio «Un graffietto.»
«Un graffietto un corno! Trenta punti di sutura fra quelli interni ed esterni.»
«Non è niente. Quando ero in servizio come agente ho subito di peggio…» Si pentì immediatamente della sua frase. Gli antidolorifici gli avevano sempre fatto uno strano effetto e Sakura gliene aveva somministrati parecchi.
«Papà, cosa significa quello che hai detto?!» Chiese sorpreso il biondo.
«Che tuo padre era un agente della Radice, il migliore!»
«Jiraiya!» Esclamarono tutti quanti sorpresi.
«Vedo che qui state tutti bene. Tranne te Minato. Però, sei arrivato in tempo, come sempre!»
«Qualcuno mi vuole spiegare cosa succede? Cosa ci fate qui? Perché voi vi conoscete? Datemi una spiegazione!» Urlò esasperato il biondo.
«Qualche giorno prima della tua evasione» disse Kushina «Jiraiya ha fatto irruzione in casa nostra, c’era anche Sakura, che era venuta a chiedere di te. In pratica questo qui» e indico l’uomo «prima di rivelarsi ci ha minacciato di morte, con una pistola.»
Il direttore dell’agenzia scoppio a ridere.
«Ho sempre desiderato fare un’entrata in quello stile!» I quattro lo guardarono basiti.
«Dicevo…» continuò la donna irritata. «Ci ha detto del tuo piano e che Hidan fosse a piede libero. Io e Minato siamo stati allarmati dalla notizia e, per questo, abbiamo cominciato a sorvegliare Sakura. Il nostro presentimento era fondato. Quando siamo entrati, i due stavano lottando furiosamente. Nonostante la strenua difesa, Sakura stava avendo la peggio. Ci ha sparato subito addosso ed un proiettile ha colpito al braccio Minato, poi ha preso in ostaggio la tua ragazza. Stava per tagliarle la gola. Papà non ha avuto altra scelta, ha dovuto sparare per ucciderlo. Per quanto riguarda le altre domande che hai fatto, ti dobbiamo parecchie spiegazioni. Ma non ora. Che ne dici di domenica a pranzo? Ovviamente, Sakura tu sei invitata.»
«Mi sta bene. Mamma, papà…Grazie!»
«Jiraiya…Cosa ne sarà di me? Ho ucciso un uomo…»
«I miei agenti hanno fatto irruzione e hanno dovuto sparare per salvare la ragazza. Voi non siete mai stati qui, chiaro?»
«Grazie!» Risposero all’unisono i coniugi.
«Naruto» disse l’uomo «Hai risolto il caso, brillantemente. Manterrò fede alla mia promessa. Appena riprenderò il mio posto firmerò le tue dimissioni. Mentre per il posto da professore, hai preso una decisione in merito?»
“Ecco” e guardò con la coda dell’occhio Sakura “Se l’offerta è ancora valida, accetto.”
“Bene, sono felice della tua decisione. Parlerò il più presto possibile con il rettore.” Si avviò verso la porta d’ingresso; prima di uscire si fermò. “Naruto, ti auguro di essere felice. È una ragazza in gamba, ti ama molto sai?” Aprì la porta.
«Signor Jiraiya» lo bloccò Sakura «alla professoressa Tsunade, è mancato molto. Era distrutta per la sua morte. Le vuole molto bene, solo che non lo dimostra. Vada da lei, per favore…»
«Credo che seguirò il tuo consiglio. Anche se rischio di morire veramente, questa volta…»
La ragazza rise.
«Oh, ma poi passerebbe ogni suo momento a disposizione per curarla.»
 
Durante quel pranzo domenicale, Naruto toccò, insolitamente, poco cibo.  Se per poco si intende solo il bis di ogni portata. La vera storia di come si fossero conosciuti i suoi genitori, lo aveva lasciato a bocca aperta e a stomaco “quasi” vuoto. Pensava già che i suoi genitori fossero fantastici, con quelle novità che gli avevano rivelato, ora erano il non plus ultra. Si guardò attorno, tutte le persone che amava di più erano lì. Gli era dispiaciuto che i suoi amici non fossero potuti rimanere; purtroppo avevano i loro impegni, ma si era ripromesso di andarli a trovare, ognuno di loro nelle loro città, per ringraziarli di persona. Lo avevano aiutato, non lo avrebbe mai dimenticato.
Quando uscirono di casa era pomeriggio inoltrato, ma il sole di inizio giugno donava ancora i suoi caldi abbracci, nonostante non mancasse molto al tramonto. Decisero di andare al parco cittadino, situato sul monte che sovrastava la città, per godersi quel tepore. Naruto aveva osservato Sakura per tutto il pranzo; si era divertita molto con i suoi, ma in alcuni momenti le sembrava assente, come assorta chissà in quali pensieri. Non voleva che lei serbasse dei segreti nei suoi confronti; lui lo aveva fatto, ma si era solennemente ripromesso di non farlo mai più. Sapeva quanto poteva diventare violenta la sua ragazza; aspetto che, tra l’altro, sua madre sembrava adorare, perché gli aveva confidato che quel temperamento le ricordava lei da giovane. Doveva indagare. Voleva sapere.
«Tutto ok, Sakura?»
 «Certo!»
La guardò dritta in quegli occhi che tanto amava.
«Riconosco quando dici una cazzata…»
La donna lo guardò con un’aria sconfitta. La paura si fece largo in lui. Lo voleva lasciare? Si era resa conto di non amarlo? Forse, quell’esperienza traumatica le aveva fatto maturare quella decisione?”
«Ho un ritardo…» Sentenziò la ragazza.
Naruto la guardò stralunato, non riusciva a capire. Poi, lentamente, il suo cervello cominciò a connettere.
«Non mi dirai che…»
«Ho un ciclo regolare, puntualissimo. Il fatto che non arrivasse…ha cominciato a preoccuparmi, così stamattina ho fatto il test…è risultato positivo!»
«Sakura!» Esclamò il biondo «è una notizia bellissima!» Si mise in ginocchio. «Sakura Haruno, mi vuoi rendere l’uomo più felice del mondo? Vuoi sposarmi?» Prese un fazzoletto di carta dalla tasca, strappò il giusto necessario, lo arrotolò in modo tale da ottenere un piccolo anello e glielo infilò al dito.
Sakura lo guardò sconcertata. Poi, cominciò a ridere. L’uomo più pazzo, imprevedibile e incredibile di Konoha era ritornato, finalmente, sé stesso e lei lo amava.
«Si, si e cento volte si!»
Una leggera brezza si levò. Il profumo di gelsomino riempì le loro narici. Naruto ripensò un attimo a Hinata; lo aveva salvato e, ora, gli stava donando una nuova vita. Abbracciò Sakura, che ricambiò quella stretta. Rimasero così avvinghiati a godersi il tramonto. Per loro, quel momento, rappresentava l’inizio di una nuova vita. Insieme.



Note autore:

Ebbene siamo arrivati finalmente all'ultimo capitolo.
Come si suol dire: tutte le cose, belle o brutte, devono giungere ad una fine. Spero che questo racconto sia annoverato nella prima categoria. :D
Spero che questa lunga cavalcata sia stata di vostro gradimento. Per me è stato un piacere scrivere questa storia e condividerla con voi.
Vorrei ringraziare la mia ragazza, senza di lei questa storia non sarebbe stata scritta e neanche pubblicata.  Mi ha sempre spronato a continuarla e a pubblicarla, dando credito alle mie capacità.
Un grazie di cuore anche a Inu_ka, che con i suoi commenti ha dimostrato un apprezzamento unico e costante a questo scritto.
Un grazie di cuore anche a tutti quelli che hanno commentato questa storia, mi avete spronato a continuare a pubblicare.
Infine, ma non per questo per ultimi, un grazie a coloro che hanno messo la storia nelle seguire/preferite/da ricordare, mi avete riempito di orgoglio e gioia; mi farebbe veramente piacere ricevere un vostro feedback.
Spero di rivedervi presto.
Mask.

P.s Se volere sapere come finisce tra Jiraiya e Tsunade potete andare qui. "Unmei no akai ito - Il filo rosso del destino"




 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3913846