Oliver

di Elena Waters
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Happy Ending ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


 
ATTENZIONE: questa storia, nel rispetto delle regole del Wr-Ink-Tober contest, era inizialmente una One-Shot. Decorsi i tempi dopo la consegna dei risultati nei quali è impossibile modificare la storia, ho corretto gli errori fatti notare dalla giudice e ho deciso, per rendere la storia più facilmente leggibile da cellulare, di dividerla in due parti. Pertanto, le recensioni a questa prima parte contengono spoiler e vi invito caldamente a NON leggerle se non volete scoprire il finale.
NB: Questa storia era stata scritta inizialmente, oltre che per il contest di fantaysytrash, anche per il contest Darkest fantasy (II edizione), indetto da Dark Sider sul forum di EFP. A quest'ultimo contest non ho poi partecipato, ma ci tenevo comunque a citare la giudice e a ringraziarla, perché ho scritto ispirandomi a uno dei suoi pacchetti.






Oliver


 
Oliver arriva come un soffio di vento autunnale e si siede davanti a me, che sorseggio ancora il caffè seduto al tavolo, il cilindro appoggiato sulle ginocchia. Alzo gli occhi dal giornale e lui mi sorride sotto i baffi appena arricciati. Vedo il mio riflesso nei suoi occhi scuri: allo sguardo umano sembro un ragazzo appena ventenne, perfino più giovane di lui.
Pranziamo insieme al club da un mese, forse, ma mi sembra che sia da sempre: abbiamo visto ingiallire le foglie del parco, i venti alzarsi da ovest e il cielo gonfiarsi di nuvole scure.
Oliver. Vorrei potergli dire che sono nato quando questa isola era ancora ai confini del mondo, tra le colline verdi di pioggia e umide di bruma, sotto il cielo azzurro e sconfinato. Ho visto questo stesso cielo velarsi di fumo scuro, la terra incrostarsi di cemento. I treni sbuffano e sferragliano lungo le loro linee di metallo; le città crescono su se stesse, le periferie si gonfiano come la marea, inglobano altri centri e sempre più fango imbratta le strade. A volte mi sorprendo a pensare che, ora che i tentacoli degli uomini  si sono allungati in ogni direzione, la mia esistenza sarà sempre meno invisibile: non ci sarà più spazio, tra questi esseri che mi brulicano attorno come formiche indaffarate, prese dalle proprie esistenze insignificanti, per fingermi sempre un uomo diverso, senza che nessuno, attraverso i documenti e le tracce che inevitabilmente mi lascio alle spalle, possa comprendere chi sia davvero.
Oliver è stato la prima ventata di vita dopo mille anni senza significato. Prima, di vivere o di morire non mi importava: nemmeno adesso mi importa, ma so che la morte ― che pure nei secoli mi ha tentato tanto, senza mai riuscire a ghermirmi davvero, a spingermi a compiere l’estremo gesto di gettarmi tra le sue braccia ― è un luogo in cui lui non esiste; e che anche la vita, d’altra parte, è un lato dell’esistenza presso il quale Oliver potrà soffermarsi ancora per poco, perché ti ho promesso di ucciderlo, Aileen. L’idea di separarmi da lui mi fa bruciare dentro, mi scava un buco nel petto, ma sarà morto prima che finisca questa stagione, prima che l’alba sorga su Samhain.
Per ora, però, prima che l’oscurità di novembre avvolga il cielo e preannunci l’inverno, lasciami guardare le sue mani candide, lasciami scaldare l’anima da un suo sorriso: voglio ancora specchiarmi nei suoi occhi scuri come pozzi scavati nelle profondità della terra, come il fumo che copre la città con la sua cortina impenetrabile.

 
 
È una fumosa notte degli inizi di ottobre, nel cuore di Londra: una foschia fredda si solleva dai canali, dal Tamigi che scorre poco lontano, lento e scuro. Esco dal boudoir dove ho trascorso la serata con i miei amici del circolo, tra le sete sgargianti, le membra di donne bellissime, provenienti da tutti i territori dell’Impero, e il fumo denso dell’oppio. L’amore degli uomini per questi divertimenti, questa ansia di abbandonarsi all’estasi dei sensi, Aileen, mi ricorda la Britannia di quando ti ho incontrata. Sei arrivata sulla mia isola con i conquistatori del Sud, che hanno costruito case e strade di pietra in mezzo ai nostri villaggi di legno, teatri, terme e splendidi giardini. Non avevamo mai visto una simile bellezza, né una cultura tanto complessa; anche noi creature antiche, che da sempre vivevamo nei boschi, imparammo ad apprezzare lo sfarzo dei marmi screziati, i monili d’oro e d’avorio, le sete e le perle che venivano dall’Asia. Ci piaceva mescolarci a voi, conoscere le vostre usanze e lasciarci cullare nel vostro lusso, che era completamente diverso da qualsiasi cosa avessimo mai conosciuto.
Fu a una di quelle splendide feste che ti vidi danzare, tra i marmi striati e gli affreschi purpurei. Ondeggiavi alla musica dei flauti, coperta di sete cangianti; i tuoi occhi di ghiaccio si posarono appena su di me, mi accarezzarono come le ali capricciose di una farfalla, scomparvero sotto le ciglia d’oro e di rame. In mille anni, non ho mai incontrato una donna bella come te, Aileen, o almeno che sia stata in grado di aprirmi lo stesso squarcio nel petto.

Sono vecchio e stanco, annoiato da tutto. Saluto i miei amici in anticipo, mi chiudo alle spalle la porta del locale fumoso. I miei sensi si acuiscono: è il cuore della notte, l'ora di una preda. L’unica cosa che mi dia un vero fremito di piacere, ormai, è entrare nella mente delle mie prede per carpire la bellezza della mia immagine riflessa nei loro occhi. Non ho mai fretta: li invito a bere qualcosa, ci parlo; li trascino in un vicolo buio e li uccido.
A quest’ora della notte uomini di tutte le età si riversano nelle strade della città, dopo una serata a gozzovigliare, per dirigersi alle loro carrozze o a una qualche stazione dove noleggiarne una; in questo quartiere così malmesso, forse, semplicemente per perdersi nel buio della notte, nella speranza di ritrovare la strada di casa. Individuo la mia preda: è in mezzo a un gruppo di studenti alticci che schiamazzano e che non noteranno la sua assenza.
Non so cosa mi abbia spinto a sceglierlo; cosa della sua virilità appena maturata mi abbia risvegliato un desiderio che non ha a che fare solo con il sangue: forse il riflesso della gola candida alla luce delle lampade, i capelli scuri che fuoriescono dal cappello e si arricciano appena sulla nuca. Li immagino incrostati di sangue, mentre trema negli ultimi spasmi della morte e mi trasmette, attraverso la sua carne, il sangue intriso di paura e dolore. 
Il ragazzo scambia con un uno dei suoi amici una battuta che non riesco a sentire, ride schiudendo appena le labbra. Chiudo gli occhi e inspiro l'aria fredda, la notte autunnale che sa di fango e di pietra e di foglie ancora verdi. Sento la traccia del ragazzo, potrei stringerla tra le dita come se fosse reale. Si ferma un attimo, come congelato; quando lascio la presa su di lui, i suoi amici sono scomparsi in un vicolo. Nell’aria, gonfia di umidità, comincia a scendere una pioggia sottile. Il ragazzo scuote la testa, si ripara con le mani, si volta in tutti le direzioni tra le goccioline di pioggia che scintillano alla luce delle lampade.  
Mi avvicino a passi misurati, il lastricato scivoloso mi scricchiola sotto le scarpe.
«Vi siete perso, buon uomo?»
Ora che sono così vicino posso vedere il mio riflesso nei suoi occhi: un giovane uomo vestito come un perfetto gentleman, la giacca scura aperta sul petto che lascia intravedere il panciotto damascato.
«I miei amici», balbetta, «erano qui un momento fa...»
Si volta ancora verso un vicolo scuro e senza nome, come se sperasse di vederli riapparire da un momento all’altro.  È un uomo ancora più bello da vicino, giovane — non giovane come me, che sembro appena uscito dall'adolescenza, ma al massimo di venticinque o ventisei anni. I suoi vestiti hanno un taglio elegante, alla moda, ma ai miei occhi attenti non può sfuggire la fattura scadente, la stoffa da pochi soldi. Mi soffermo sui suoi lineamenti duri, ma proporzionati, sulla curva dritta del naso e il pomo d'Adamo appena sporgente oltre il colletto della camicia. Pregusto il momento in cui lo ucciderò: voglio stringere la sua camicia con le dita imbrattate di sangue, lacerargli la pelle sentendo tra le dita il sussulto della sua gola bianca.
«Suvvia, vi accompagno a una carrozza.»
Torna a guardarmi, gli occhi scuri inondati di confusione.
«Una carrozza? Non posso…»
Vedo un lampo nella sua testa: non ha soldi, non può pagare e si vergogna di dirmelo. Che cosa penserei di lui?
«Venite con me, non preoccupatevi.»
Gli infilo una mano guantata sotto il braccio e la sua carne si tende appena sotto la mia stretta. Imbocchiamo uno di quei vicoli scuri; sento ancora la confusione nella sua testa, il calore pulsante che gli scorre nelle vene. Per quanto mi dispiaccia spezzare questo giovane, come mi dispiace ogni volta, sento di non poter rinunciare a morderlo, a lasciar sgorgare il suo sangue finché la sua vita si spegnerà tra le mie braccia: solo concedermi di tanto in tanto un’estasi come questa, e cullarmi poi nel suo ricordo, può rendermi sopportabile l’eternità senza di te.
Sollevo gli occhi al cielo opaco e sorrido alla pioggerellina lenta e sottile.
«È una notte deliziosa», gli dico.
Non penso al fatto che lui sia un uomo, alle gocce fredde sulla sua pelle come lame di ghiaccio. Lui mi sorride appena, con le labbra che sembrano intagliate in un blocco di marmo, o dipinte con poche pennellate furiose.
«Dovete scusarmi, non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo Oliver Adams.»
Mi tende la mano guantata e sento una sua punta di vergogna per le cuciture lise in punti ben nascosti, di cui spera che io, un gentiluomo così ben vestito, non mi renda conto. Gli stringo la mano con un guizzo veloce; sento le sue dita sottili tendersi sotto la stoffa. Non aspetta nemmeno che gli risponda, che gli dica il mio nome
 il nome falso che ho inventato per questa stagione della mia vita.
«Devo proprio ringraziarvi, signore. Ho bevuto un po’ troppo… forse non avrei mai trovato la strada per la stazione delle carrozze in queste condizioni. Siete un amico.»
Non stiamo andando nella direzione giusta per le carrozze, ma lui non può rendersene conto. Sono nella sua testa e lo confondo, e alla nebbia indotta da me si aggiunge quella dell'alcool, forse del fumo dell'oppio. So che quando uccido una preda in queste condizioni, oltre all'ebbrezza del sangue e della vita che si spegne, mi capita di sentire una nausea strana, intossicante. Questo rischio non mi ferma, di solito, ma camminando accanto a lui per i vicoli scuri, guardando le sue mani muoversi dentro i guanti chiari, ascoltando il suono dolce della sua voce, mi accorgo che forse tutto questo sì, potrebbe fermarmi. Capisco che la direzione che ho preso è quella della pensione in cui alloggia, perso nei suoi pensieri e forse alticcio quanto lui, intossicato dalla sua presenza.
La facciata è la più scrostata nel vicolo squallido, ma vedo nei suoi ricordi — sbiaditi, come sono i ricordi dell'aria rispetto a quelli del sangue — che all'interno lui ha una stanza confortevole e abbastanza ampia, almeno per la miseria che la paga, dove non si vergogna di far salire di tanto in tanto qualche amico per fumare insieme un sigaro o una donna conosciuta chissà dove.
«Vi ringrazio per avermi accompagnato.»
Non gli rispondo. Vedo, come qualche volta mi capita, affondando nei ricordi, una ragazzina pallida e minuta. In un attimo so che è per lei che Oliver fa tutto ciò che fa. All'università non lo pagano così male, ma invia quasi tutti i soldi alla sua famiglia, per aiutare la madre e la sorella, malata di un’affezione alle vie respiratorie che richiede molte attenzioni. Oliver frequenta gli stessi locali dei suoi studenti non perché li preferisca, ma perché sa che non potrebbe permettersi i divertimenti degli altri assistenti con le ristrettezze a cui si costringe. Con un cenno del capo lo saluto, mi volto indietro e lo lascio.
Non lo ucciderò stanotte.
 
 
Dopo quel primo incontro fugace, alla festa, non sapevo niente di te, Aileen. Non avevo un nome, né un posto dove cercarti, ma mi ero interessato abbastanza alla tua cultura per sapere che molto probabilmente amavi trascorrere il tuo tempo alle terme, tra le acque che ribollivano dalle sorgenti sotterranee e gli unguenti profumati.
Avevo lo stesso aspetto che ho ora: un ragazzo colto allo sfiorire della sua adolescenza, ancora imberbe. Fu davvero facile vestirmi da ragazza e mischiarmi alle donne con cui ti bagnavi, perché nessuno avrebbe potuto dubitare della mia voce cristallina, della mia pelle candida e dei capelli che mi sfioravano le spalle, splendenti come bacche di rosa canina sotto il sole pallido di gennaio. Passavo interi pomeriggi a guardarti mentre ti bagnavi con le tue ancelle. Forse avresti dovuto insospettirti, perché Aileen, la ragazza britanna con cui a volte ti intrattenevi, con i capelli di un rosso scuro e intenso intrecciati attorno alla fronte, a cui lanciavi di tanto in tanto uno sguardo di sfuggita e che non si bagnava mai, andava in giro sola come una prostituta. Non conoscevo abbastanza le vostre regole: se le avessi conosciute, avrei capito che eri una prostituta anche tu. Del resto, disprezzavo le leggi degli uomini: non capivo come, nello spazio delle vostre brevi esistenze, trovaste spazio per arricchire le vostre culture con nuovi intrecci, con cerimoniali e complicazioni prive di significato, ricche di sfumature che non capivo. Non sapevo che senso avesse tutto questo: per me eravate tutti prede, e ridevo delle vostre gerarchie, della quantità enorme di senso che volete immettere nelle vostre vite, che durano un battito di ciglia.
Con tutta la cautela che mi era possibile, ti strappai brandelli di informazioni che potessero condurmi a te al di fuori di quel luogo protetto, dove potessi mostrarmi con le mie vere sembianze. Frequentavi le feste più sfarzose, inseguivi i favori degli uomini più facoltosi sperando di entrare nelle loro grazie, perché era l'unico modo che avessi di guadagnarti la vita. Quando riuscii a intrufolarmi a una di queste feste, a differenza della prima notte, in cui non avevo notato niente a parte te e le onde di sete cangianti che ti accompagnava nella danza, questa volta mi guardai attorno, mi soffermai a osservare le occhiate che gli altri ti gettavano addosso. Il miscuglio di adorazione e disprezzo con cui ti guardavano era per me un mistero: tutti desideravano una donna come te e anch'io, di stirpe più nobile e antica, sentivo l'incantesimo del tuo sguardo avvolgermi fino a soffocarmi.
Nella mia lunga vita avevo solo ucciso, non avevo mai concesso il Dono: i druidi ci avevano avvertiti di avere cautela, che il segreto della nostra specie avrebbe potuto restare protetto soltanto se non ci fossimo moltiplicati, ma non riuscivo a smettere di pensare che in un attimo avrei potuto strapparti alla tua vita, alla miseria a cui, nonostante tutto, non riuscivi a sfuggire ― perché, per quanto quegli uomini ti amassero e cercassero bramosamente il blu dei tuoi occhi e il candore della tua carne, non avrebbero mai smesso di disprezzarti. Non capivo di cosa potessi esserti macchiata per non avere il loro rispetto, né perché quella macchia non si estendesse agli uomini che ti cercavano, che potevano usarti e avere il loro onore intatto. Quando quegli stessi favori, finalmente, furono offerti a me, li accettai con il cuore che scoppiava di gioia: non avrei potuto mai disprezzarti, non lo feci; non avrei inquinato il piacere provato tra le tue braccia con un sentimento tanto schifoso, Aileen.
Per mostrarti che ti ritenevo pari a me, mi rivelai per la creatura che ero. Quando ti trasformai, prendesti il nome che mi ero dato quando mi fingevo la ragazzina timida che non si bagnava mai e ti guardava da lontano. Provo vergogna per il tuo vero nome: mai più usato, dimenticato da entrambi.
Viaggiammo a lungo, ti mostrai tutta l'isola: le pallide luci del Nord, le scogliere scoscese; distese sconfinate di erba, di foreste incontaminate in cui vivevano ancora i druidi, che parlavano la mia antica lingua, la lingua barbara e dura che imparasti con vivo interesse, insieme a tutte le tradizioni del mio popolo.
 

Non avrei mai pensato di tornare da Oliver con la stessa disperazione che mi aveva spinto a cercarti e a tornare da te. I raggi del sole del primo mattino splendono contro la facciata della pensione, penetrano impietosi tra le crepe della vernice esterna. Non so da quale di queste finestrucce scrostate la stanza di Oliver si affacci sulla strada, né se lui sia già sveglio o se giaccia ancora intontito dall’alcol.
Le vie sono deserte a quest’ora, la città si sta appena svegliando. Oliver. Di che scusa ho bisogno per vederlo? Sento, in realtà, di non aver bisogno di alcuna scusa: conosco gli esseri umani dalla notte dei tempi e, per quanto le loro società vogliano farsi complesse, so che certe cose non cambieranno mai. Un uomo che mi guardava con quegli occhi, quando mi rivedrà, non mi chiederà giustificazioni. Eppure, per un qualche scrupolo, per un pensiero umano che mi attraversa, voglio far sembrare il nostro secondo incontro casuale. Mi guardo attorno e nessuno dei locali bui e con le insegne scrostate che si affacciano nel vicolo, in cui probabilmente fa colazione Oliver, sembrano posto per un gentiluomo; non dovrei essere nemmeno in questo quartiere, dove la gente mi getta occhiate interrogative e non capisce il perché del mio aspetto, della mia raffinatezza: si chiederanno cosa ci faccia a infangarmi le scarpe in questa stradina.
L’angoscia mi stringe il petto, quando mi rendo conto che in fondo, per rivederlo, ho un’unica alternativa. Non so cosa insegni, quindi incontrarlo all’università è fuori discussione; l’unica cosa che io sappia, che mi leghi a lui, è la piazzetta di fronte a quella cantina nei bassifondi, dove l’ho visto ridere con i suoi amici tra il fumo e la luce delle lampade e ho deciso che sarebbe stato mio.
 
Mi siedo in un angolo da cui si veda bene l’ingresso e, anche se le prime sere non si presenta, non perdo la speranza: ogni tanto mi sembra di vedere uno di quei ragazzi che era con lui l’altra notte e so che lo rivedrò, ho una grande fiducia nel suo ritorno. Una sera varca finalmente la soglia, circondato dallo stesso gruppo di ragazzotti poco più giovani di lui, che come lui indossano vestiti alla moda per non denunciare la propria scarsità di mezzi, che è però urlata dalla scelta del locale, dalle stoffe di scarsa fattura, dai polsini appena consumati. Mi pento di averlo aspettato. Questo secondo incontro mi lega a lui, salda la mia scelta: forse ora dovrò davvero ucciderlo, Aileen, e non perché l’abbia scelto come preda, qualche notte fa, ma per onorare la promessa che ti ho fatto.
Lasciarlo andare la prima notte poteva essere una svista, dettata da circostanze misteriose, che avrei potuto negare a me stesso di sapermi spiegare. Questa volta è diverso: l’ho cercato, l’ho aspettato per quattro giorni seduto allo stesso tavolo  incrostato e, adesso che finalmente è tornato, i miei occhi si attaccano alla sua figura come il fumo che impregna l’aria, e il suo sorriso, il suo sguardo che sembra riconoscermi ― o che voglio illudermi che mi riconosca ― mi accende nel petto qualcosa che non potrei fingere di non riconoscere.
 
Svuoto il boccale di birra, che ho ordinato solo per poter occupare il tavolo indisturbato. Lo schienale di legno mi spinge contro le spalle intorpidite. Devo trovare un modo di parlargli di nuovo. Mi sento patetico: perché dovrei tampinarlo, aspettarlo, e quando finalmente arriva non avere il coraggio di avvicinarlo, quando è solo un fragile umano, che dovrò spezzare tra neanche un mese, nella notte di Samhain?
Mi costringo ad alzarmi dal tavolo; s
costo una ragazza che mi sbarra la strada, con gentilezza, e mi avvicino alla compagnia di Oliver a passi misurati.
«Signor Adams!»
I suoi amici, alla mia vista, smettono di ridacchiare. Sono troppo socialmente sopra di loro perché mi possano ignorare, e ho sfoggiato i miei migliori vestiti senza paura di attirare le attenzioni di qualche malvivente, nonostante sappia che si tratta di una delle zone peggiori della città ― una mossa decisamente stupida, se fossi un mortale.
Oliver alza gli occhi dalla sua birra, mi guarda con un’espressione confusa negli occhi bellissimi. Sembrano ancora più scuri mentre scintillano alla luce gialla delle lampade, nell'aria fumosa del locale. Un sorriso gli affiora appena sulle labbra, ma annebbiato dalla confusione.
«Signor...»
Non gli ho detto il mio nome, l'altra sera. Un uomo avrebbe sentito certamente l’esigenza di farlo, ma io non provavo nessun interesse, per un incontro di una notte, di mentirgli, di dargli il nome falso che ho inventato per questa breve stagione dell’eternità.
«Kestle. Mister Henry Kestle.»
Oh, Oliver. Vorrei dirti il mio vero nome ― Cailean ― ma sarebbe un nome troppo strano per la Londra di questo secolo, e la sua versione “Colin” è aliena sulle mie labbra, fastidiosamente a cavallo tra vero e non vero.
Vedo Oliver nel suo ambiente, completamente rilassato in mezzo ai suoi amici, eppure mi sembra che gli manchi qualcosa. Non pensavo che il mio interesse nei suoi confronti potesse crescere tanto solo sedendogli di fronte, tra due dei suoi amici che mi sembrano dei bambini, e guardandolo negli occhi scuri.
Uno dei ragazzi tira una gomitata a Oliver. «Non pensavo che conoscessi gentiluomini simili, amico!»
Oliver ridacchia, un velo di imbarazzo nei suoi occhi. Non so cosa ricordi del nostro incontro, né quanto fosse ubriaco fuori dal locale, ma percepisco il suo imbarazzo: so che si sente diverso dai quei ragazzi, che non può essere stato così ubriaco da perdersi, o almeno che non può ammetterlo davanti a loro. Mi schiarisco la voce.
«È successo l'altra sera, abbiamo diviso una carrozza per tornare a casa.»
Scoppiano tutti a ridere. «Da quando puoi permetterti una carrozza, Oliver? Ti conti sempre i soldi in tasca!»
Oliver scuote la testa. Sento un leggero imbarazzo scorrergli sotto la pelle e vorrei sapere come mai le sue membra si siano irrigidite all’improvviso e perché lo metta così a disagio ammettere la verità davanti ai suoi amici.
«Ero ubriaco l’altra sera, James. Mr. Kestle è stato così gentile da riaccompagnarmi.»
Quando usciamo dal locale, mi scuso con Oliver. Non era mia intenzione metterlo in imbarazzo.
«Perdonate voi i ragazzi, signore», mi dice invece. «È il loro modo di scherzare.»
«Non dovreste permettere che vi trattino così. Non è colpa vostra se non potete permettervi carrozze e divertimenti meno squallidi.»
Scrolla le spalle. «Non è nulla. Piuttosto voi, Mr. Kestel: cosa ci fate in un locale del genere? Scommetto che avete altri posti da frequentare, insieme alla bella società a cui appartenete.»
«La verità, Oliver? Vi cercavo.»
Non percepisco alcun imbarazzo nel dirgli questo: sono troppo vecchio per questi piccoli scrupoli. I sentimenti mi scorrono via dal petto come l'acqua, in modo sorprendente per voi umani, che vi tappate le cose nel cuore senza sapere che resteranno lì sepolte per sempre. 
«Posso chiedere perché?»
Scuoto la testa. «Non capireste.»
«Perdonatemi, Mr. Kestle, ma credo di capire.»
Si fa più vicino, mi guarda dritto negli occhi ― nel suo viso il riflesso inequivocabile del mio desiderio per lui. Schiude appena le labbra intagliate con la precisione di uno scalpellino, che creano una splendida ombra sul viso chiaro.
«Mi accompagnereste di nuovo alla pensione, Mr. Kestel?»



Oliver accende una lampada a olio, che illumina di luce giallastra la carta da parati scolorita. La finestrella della stanza di Oliver non dà sulla viuzza, ma si affaccia su un interstizio ancora più stretto, vicinissimo a un altro edificio dal muro grigio. Un quadrato di cielo, le stelle, si intravedono più in alto.
Se avessi saputo che dopo quella notte avrei visto l'alba illuminare quello stesso angolo di cielo, che mi sarei affacciato senza indossare niente, con l'umidità della mattina sulla pelle, l'odore dell'autunno nell'aria, e Oliver addormentato nel letto in cui ho trascorso la notte, forse non lo avrei accompagnato, Aileen.
Fino a un attimo prima, avrei potuto forse ancora tirarmi indietro, nascondere la verità in un ultimo sforzo di ipocrisia, che avrebbe certamente macchiato il mio onore, ma non in modo irreparabile. Le nuvole che spazzano quel quadrato di cielo, rosate e ambrate come le sete in cui danzavi, mi dicono che non posso più nascondermi a te, alla promessa che ti ho fatto. Devo ucciderlo, Aileen.





FINE PRIMA PARTE

 




 




 
Ringrazio fantaysytrash per avermi dato l'occasione di scrivere questa storia e anche Dark Sider per aver contribuito allo sviluppo dell'idea con il suo contest Darkest fantasy (II edizione).
Ringrazio anche tutti i lettori e le lettrici che sono arrivati fin qui: spero che questa prima parte della storia vi sia piaciuta e vi aspetto nella seconda parte 🥰.



 



 

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***



 
Seconda Parte

 
 
Dopo che il mondo era ripiombato nella barbarie, tramontata quella splendida era che ti aveva vista nascere, i boschi erano diventati il nostro nascondiglio. Nemmeno lì, tuttavia, eravamo completamente al sicuro. Ti lasciasti sorprendere a cacciare: gli abitanti del villaggio ti seguirono nella foresta, ti trafissero con le loro picche e i loro forconi. Avrebbero bruciato il tuo corpo esanime, se non gliel’avessi strappato via saltando sulla pira incandescente, come un’ombra bianca nella notte.
Per tre giorni e tre notti ti ho vegliata, Aileen. A poco a poco riprendesti conoscenza, riemergesti dallo stato di morte apparente in cui ti avevano gettata. In tutto quel dolore, sembravi più umana, come la notte in cui ti ho conosciuta, ma allora danzavi spensierata tra i tuoi veli alla luce delle lampade e non c'era traccia di dolore sul tuo viso. Capii che la vita ti stava lasciando, che ti stavi spegnendo e che non mi sarei più specchiato nei tuoi occhi blu come il mare in una dolce mattina d'estate.
Nell'addio convulso che ci scambiammo, mi sfiorasti il viso con le tue mani gelide ― il gelo della nostra specie è indistinguibile da quello della morte ― e il tuo tocco era così leggero che avrebbe potuto ugualmente essere un alito di vento:
«Oh, Cailean, devi promettermelo. Quando tornerò, a Samhain... quella notte dovrai essere soltanto per me. Vivrai altri lunghi secoli sulla Terra, e non posso chiederti di negarti l’amore. Ma gli esseri umani non sono come te... come noi. Non capirai mai il significato della loro vita, né quello che si nasconde dentro di loro. Se amerai ancora... amali soltanto per una stagione, e non dare loro l'eternità, come l'hai data a me. Quando si avvicina la notte di Samhain, uccidi qualsiasi amante tu abbia avuto quell'anno, lavati via la sua memoria dall'anima come sangue appena versato; che io sia l'unico marchio eterno sul tuo cuore. Devi promettermelo.»
Mi eri morta tra le braccia con queste parole, senza aspettare una mia risposta, ma allora mi sembrò che i tuoi occhi inerti suggellassero la promessa per l’eternità.
Per quasi mille anni ti avevo amata, ti avevo scelta tra tutti i mortali per essere la mia compagna per l’eternità; con le tue parole rivendicasti il tuo posto al mio fianco anche nella morte. Ti arrendesti alla morte e mi lasciasti con quella promessa sulle labbra, con la consapevolezza che ogni legame è un legame di dolore.




Una lacrima mi punge gli occhi.
Non ho mai dovuto mantenere quella promessa, Aileen. Mi sono avvicinato agli uomini solo per cacciare, o al massimo per procurarmi degli effimeri divertimenti che rendessero più tollerabile l'eternità: mi incuriosivo delle mode, dei passatempi, dell'arte. Non più degli uomini, né dell'amore.
Fino a Oliver. Un fruscio delle coperte, dietro di me.
«Henry…»
Mi volto verso di lui. È sdraiato su un fianco, una spalla nuda sfugge all'abbraccio del lenzuolo. Tiene gli occhi socchiusi, ancora disabituati alla luce, e la testa affondata nel cuscino, tra i riccioli scuri.
Per un attimo sono tentato di svelargli il mio vero nome, di dirgli tutto. Non ho mai rivelato la verità a nessuno, Aileen. Non l'ho mai detta neanche a te, prima della notte in cui ti ho trasformata, in cui hai pianto tra le mie braccia delle tue disgrazie e io ti ho offerto, con l'eternità, la possibilità di disprezzare le leggi degli uomini.
 
Non gli dico nulla, ma non perché abbia paura di una sua reazione, stanco della vita come sono: non voglio turbare il suo piccolo mondo di miseria e divertimenti squallidi squarciandolo con la voragine dell'eternità. Ho disprezzo per la vita degli uomini, è vero, ma non fino a questo punto. Anche se le vostre piccole manie insignificanti mi sembrano prive di senso, ormai non derido più le vostre immense strutture di senso, perché se riuscissi a investire la mia esistenza di un così grande significato forse potrei tollerare l'eternità per un istante.
No, Oliver, non capirai mai la crudeltà di quello che sto per farti. È stato questo a frenarmi la lingua, a spingermi a tacere sulla mia specie. Forse temo che tu mi uccida, o che mi faccia uccidere, o forse è un desiderio che cova nel mio cuore con una violenza che mi spaventa: uccidimi, Oliver, uccidimi così che non debba ucciderti io. Sento il desiderio di morire; voglio che qualcuno distrugga questo corpo, o forse voglio distruggerlo io stesso ― lo farei, ma so che il mio onore verrebbe macchiato, se deviassi dalla promessa fatta ad Aileen e mi rifiutassi di esserle fedele, perfino con un gesto così estremo.

 
 

Oliver solleva appena il suo delizioso mento, volge lo sguardo agli splendidi quadri che decorano la mia casa: scene di mitologia, storie antiche quanto me, pennellate con colori intensi e inquieti; teorie di figure che si perdono nello sfondo, in macchie di colore che sfumano nell'eternità.
Quando abbassa il viso, sollevo il mento quel tanto che basta per cercare le sue labbra.
Il sarto sarà qui a momenti. Non voglio che Oliver si vergogni, quando lo presenterò ai miei amici. Per me, l’abbigliamento non significa niente: non riesco ad associarlo al decoro sociale, perché nel corso della mia lunga vita mi sono vestito di qualunque cosa, a volte di niente, ma se Oliver soffrisse, anch'io soffrirei ― e, finché non dovrò strappargli la vita, gli risparmierò tutto il dolore che posso.
Il sarto armeggia attorno a lui con il metro e gli aghi: gli appunta un po' la giacca sui fianchi, per esaltare la sua figura slanciata, e gli avvolge il polsino della camicia di batista in modo che il polso, spesso abbastanza per sembrare quello di un uomo, ma morbido e flessuoso come quello di una ragazza, sporga impercettibilmente.
Un essere umano non può vederlo, ma sul viso di Oliver c’è un leggero rossore, che dona una dolcezza ancora più incantata al sorriso che gli schiude le labbra: ha ritrovato un lusso che doveva conoscere, che si è dimenticato per amore della sua famiglia.
«Non posso accettare che paghi, Henry. Mi sdebiterò in qualche modo…»
Lo liquido con un gesto della mano.
«È volgare discutere di conti. Non parliamone mai più.»
Per un istante mi manca l’aria, sento qualcosa di pesante affondarmi nel petto: niente di quello che posso dargli vale come quello che gli strapperò via. Io, sempre tanto leggero con le vite umane, sento il peso della sua esistenza tra le dita.


 



Due sere dopo lo porto con me a un ballo. Oliver è una persona elegante: si vede dai modi, dalla dolcezza nel parlare, dal suo riuscire gradevole e amabile anche a quella selezionatissima compagnia.
Sotto ai suoi occhi increduli, Aileen, prendono vita anche per me gli interminabili giri di danza, le pietanze inerti nei vassoi ― che per me non hanno alcun sapore ― e, oltre il vetro della finestra, i giardini immersi nella bruma, che galleggia alla luce della luna.
Mentre lo guardo volteggiare insieme alle ragazze colorate come pavoni, nell’ennesimo giro di danza, penso che vorrei essere io tra le sue braccia; il mio unico conforto è sentire che i suoi occhi sono su di me, che il suo sguardo mi scorre addosso e io so, senza speranza, che lo amo.
 
Questi giorni sono volati con lui, Aileen. La mia vita smorta ha ripreso colore; il vento è tornato a smuovere le foglie rosse sugli alberi. La bella società inglese, che frequentavo per dilettarmi e che pure tanto mi annoiava, con la sua presenza è rifiorita come un ramo innestato: ora le conversazioni mi sembrano amabili, le risate contagiose, bere il brandy seduto su un canapè accanto a Oliver è più dolce delle sere d'estate, più sublime del vento che alza la neve sulle cime delle montagne.
Tra una settimana sarà Samhain. È quasi ora di dirgli addio: il fatto che lo ami non mi farà tradire la fedeltà che ti devo, non si tradurrà in una macchia sul mio onore. Lo ucciderò.
Ma se avessi saputo che questa promessa mi avrebbe portato tanta pena e la distruzione di tanta felicità... te lo giuro, Aileen, non saresti mai riuscita a strapparmela.



 
«Devo ringraziarti, Henry.»
Mi volto. Oliver è steso sul canapè al mio fianco; la camicia slacciata come gliel'ho lasciata, forse i miei baci ancora vivi sulla pelle.
«Di cosa, mio caro?»
Sorride. «Di cosa? Mi hai offerto tutto quello che non avrei mai pensato di poter avere, e se penso a quanto devo esserti costato...»
«Oliver, non parlare di soldi.»
«Come posso non parlarne? Ho vissuto tutti i miei anni a Londra contando ogni centesimo, per mandare a casa più denaro possibile. Non avrei mai conosciuto questa vita, non so come sdebitarmi con te.»
Scuoto la testa, stizzito. Il suo braccio, con il polsino della camicia slacciato, è appoggiato inerte sul bracciolo del canapè. Vedo la sua gola gonfiarsi appena, al passaggio del sangue, e voglio passare di nuovo la mano nei suoi capelli arruffati, sulla sua gola bianca coperta di una barba sottile. Mi getto su di lui, lo bacio con trasporto. Le mani mi corrono sui bottoni ancora chiusi della sua camicia; non gliela strappo di dosso solo perché so che è la sua preferita.
Oliver mi afferra le mani, si stacca dal mio viso.
«Voglio mostrarti una cosa, Henry. Voglio farti capire perché faccio tutto questo.»
 


La casa è qualche miglio fuori città, immersa nella campagna. Le erbacce avvolgono tutto il giardino, indisturbate, e l'edera cresce alta sui muri.
Oliver mi precede con un'espressione timida, tira fuori le chiavi dalla tasca del panciotto nuovo e apre il portone, su un corridoio di marmo perfettamente lucente e pulito.
«Oliver!»
Una donna di mezza età, vestita in abiti semplici, ma dignitosi, si affretta a venirci incontro.
«Non ti aspettavo così presto! Come sei vestito bene!»
Soltanto allora solleva lo sguardo e sembra notarmi oltre la spalla di suo figlio, come se fossi un'ombra nascosta nel buio. 
La madre di Oliver mi invita a fermarmi per il tè. Era una famiglia benestante, la loro: il padre gestiva degli affari in India, ma era venuto a mancare per via di una brutta febbre quando Oliver aveva diciannove anni. Oliver non aveva voluto interrompere gli studi e si era costretto a una vita di stenti a Londra pur di riuscire a laurearsi; anche ora che era diventato assistente e aveva un piccolo stipendio, aveva preferito mantenere il suo alloggio di sempre e mandare tutti i soldi a casa per aiutare la sorella più giovane, Annabeth, che soffriva di una malattia che richiedeva molte attenzioni. Voleva che la ragazza ricevesse una buona educazione, che potesse sposarsi bene e vivere serenamente ― era stato questo a guidare tutte le sue scelte e i suoi sforzi: aveva vissuto tutte le stagioni più belle della sua giovinezza con quello scopo nel cuore.
Annabeth ci raggiunge nel salottino, vestita di un delizioso abito azzurro. È una ragazza pallida e sottile, forse di tredici anni; l’ombra scura sotto i suoi occhi lascia presagire gli affanni della malattia. Corre attraverso la stanza senza neanche prestarmi attenzione, stringe le braccia attorno al collo di Oliver e si lascia scivolare sul divano accanto a lui. Sento il suo respiro affannoso dopo quella corsa brevissima e spero che abbia ancora tanto da vivere, perché so quanto Oliver la ami.
Quanto meschine mi sono sempre sembrate le aspirazioni degli uomini, quanto angusti i loro orizzonti e quanto limitate le loro possibilità; adesso, per la prima volta, sento che anche l'aspirazione più piccola e semplice richiede enorme coraggio e sacrificio.
 
Oliver mi mostra lunghi corridoi pieni di stanze chiuse, angoli della casa in cui tutti i mobili sono coperti di teli e di polvere, perché l'unica domestica che vive lì non riesce a gestire una casa così grande. Appoggia la mano sullo stipite della porta di una di quelle stanze abbandonate, abbassa lo sguardo.
«Mi rendo conto, Henry, è tutto da sistemare. Sto facendo del mio meglio.»
Mi avvicino a lui, gli accarezzo una spalla. «Mi piace molto la tua famiglia. Quando tua sorella starà meglio, quando sarà grande e le troverete un marito, non sarai più solo a occuparti di tutto.»
Non posso dirgli che non vedrà crescere Annabeth, che non so chi si occuperà di lei e di sua madre tra una settimana, quando l’avrò ucciso. Sono felice che l’abbiano potuto vedere quest’ultima volta, prima che io… oh, non so nemmeno quando capiranno che cosa sia successo, perché nascondo sempre le mie vittime. Oliver non scriverà più, non manderà più un centesimo, e allora lo cercheranno, ma…
Oliver sospira, mi riporta alla realtà. Non è ancora successo niente: lui è vivo, accanto a me, e il sole filtra dalla grande finestra, inonda il pulviscolo di luce dorata.
«Sai, non vedo l’ora che arrivi quel giorno. Sono stanco di occuparmi di tutto, di non vivere come ero convinto che avrei vissuto. So che è il mio dovere, e sono felice del modo in cui riusciamo ad andare avanti... ma sono anche stanco di rinunciare a tutto e rimpiango quello che non ho vissuto. Tu mi hai ridato tutto questo, Henry, te ne sarò sempre grato.»
Mi si stringe il cuore, se penso a quanto poco tempo gli resti.

«Mi sembri solo molto stanco, mio caro. Sai, stavo pensando che potresti passare da me quest'ultima settimana di ottobre, prima che arrivi davvero l'inverno e le colline si coprano di brina. Vieni nella mia tenuta. Faremo cavalcate, osserveremo i colori della stagione. Potrai tornare al tuo lavoro dopo Samhain, con un altro spirito.»
 

È stata la settimana più bella della mia vita da molto tempo, Aileen: era tantissimo che non mi sentivo così felice. Oliver e io eravamo già amanti, ma dovevo trattenermi dal tenergli la mano per le strade di Londra, dal guardarlo troppo intensamente.
Qui sulle colline ricoperte di erica, sotto il sole ramato, lontani dagli sguardi dei domestici, possiamo fermare i cavalli, smontare e sciogliere loro le briglie, lasciare che cavalchino liberi nella tenuta. Posso baciargli le labbra sotto un acero, carico di foglie rosse e morenti; sentire sul viso il calore del suo corpo che traspira dalla stoffa delle sue vesti, mentre gli sto sdraiato in grembo. Alzo lo sguardo su di lui, sulla sua carne incendiata dalla luce del tramonto. Lontano, tra le foglie rossastre, il cielo brilla di un azzurro profondo e limpido, punteggiato di nuvole opalescenti. È azzurro come i tuoi occhi, Aileen, e presto si tingerà di rosso, a ricordarmi il sacrificio di sangue che ti devo.
È la notte di Samhain.
 
Subito dopo la cena, ho invitato Oliver nelle mie stanze. Tutte le altre notti sono andato io da lui; ho aspettato a mostrargli la mia stanza, che è la più strana della casa. I sedimenti di ogni epoca che ho vissuto si intrecciano tra loro; vecchi cammei, un busto romano autentico che soltanto io sapevo dove trovare, dove scavare. Il tuo viso intagliato nella pietra, prima che giungessero gli anni bui e l'oscurità dell’oceano ti inghiottisse per sempre ― quando, dopo la tua morte, ti ho affidata alle onde increspate di ghiaccio.
Oliver ti guarda affascinato: i capelli che si intrecciano sul viso di marmo come se fossero veri, come se il vento potesse sollevarli da un momento all'altro, gli occhi vuoti e bianchi.
La preferisco così, come me l'ha restituita la terra centinaia di anni dopo. Un tempo era dipinta dei colori che avrebbero dovuto restituire il tuo incarnato, il fuoco dei tuoi capelli come il sole che trasforma le onde in un incendio dorato al tramonto, gli occhi blu come il cielo di inverno... ma non esiste arte che possa rendere giustizia alla tua bellezza, e preferisco il candore del marmo dilavato dal tempo.
«È bellissima! Come l’hai avuta?»
Il suono della voce di Oliver ― il mio Oliver, che solo qualche ora separa dalla morte! ― mi fa sentire come se galleggiassi nell'aria e fossi svuotato di ogni volontà.
«A un'asta. È un'imitazione moderna, non credo che valga qualcosa.»
Passa le dita candide sulle tue labbra, non sapendo la fine orribile che la tua sola esistenza ha decretato per lui.
«Sarà un'imitazione, ma di un artista molto valido.»
Scrollo le spalle e mi avvicino a lui. Lo afferro per le spalle del panciotto; lo costringo ad abbassare la testa, a baciarmi. Sento il desiderio scorrergli nelle vene; le labbra caldissime e irrorate di sangue ansiose del mio viso, della mia carne. Io sono una statua di ghiaccio contro il fuoco che divampa, ma lui non se ne accorge. È sempre stato così: il calore della sua carne si sparge sulla mia e viene trattenuto qualche secondo, quel poco che basta per dargli l'illusione della vita, mentre io lo sento spandersi come metallo fuso, entrarmi fino alle ossa.
 
Giaccio con gli occhi spalancati nel buio. Nella notte si sente solo lo stormire del vento, il respiro rilassato di Oliver, profondamente addormentato al mio fianco.
Forse la mezzanotte è già trascorsa, ma la promessa non sarà davvero infranta finché non vedrò sorgere il sole di novembre.
Non ho mai capito, Aileen, come tu possa avermi strappato una promessa simile. Durante i nostri anni insieme, non mi avevi mai dato motivo di pensare che fossi crudele: allora perché condannare alla morte chiunque avesse la colpa di prendere il tuo posto nel mio cuore? Forse non era l'onestà nei tuoi confronti che mi chiedevi, non una fedeltà che nel suo senso può essere cara soltanto agli uomini, ma rispetto della natura umana, delle sue condizioni. Forse ciò che volevi chiedermi era semplicemente di vivere ai margini, di spezzare una vita piuttosto che gettarla nell’abisso dell’eternità, snaturarla per sempre: volevi contrastare la mia visione sprezzante della vita, la mia convinzione di poter ribaltare le vicende umane con uno schiocco delle dita.
Oliver dorme accanto a me, la sua pelle chiara avvolta delicatamente dalle lenzuola di seta. Sento il suo respiro, il battito calmo del suo cuore: sono convinto che si senta al sicuro accanto a me, che non sospetti affatto delle mie intenzioni nei suoi confronti.
Gli sposto una ciocca di capelli dal collo, chinandomi su di lui. So che non sarebbe così difficile ucciderlo: dovrei solo abbracciare la mia natura, lacerargli il collo e sentire il sangue schizzarmi in gola, mentre tutti i suoi ultimi pensieri e sentimenti, avvolti nell’ombra cupa della morte, mi inondano il cuore.
Ma non posso farlo, Aileen.
 
Non lo strapperò a sua madre, né alla piccola Annabeth; soprattutto, non lo strapperò a me, perché non posso sopportare l'idea della sua morte.
Me ne andrò dalla sua vita come un soffio di vento che l'ha accarezzato per un giorno, lasciandogli soltanto il ricordo del mio amore sulla punta delle labbra e la vita intatta.


 
È passata una settimana. Ho fatto il mio viaggio fino alla costa atlantica con calma, assaporando ogni istante. Ormai Oliver deve aver trovato la delega con cui gli affido tutti i miei averi, la lettera per il notaio e tutte le scartoffie così care a questo secolo.
Non tornavo qui da mille anni, Aileen. Sei ricoperta dalle onde scintillanti alla luce dell’alba; spero che il luogo di riposo che ho scelto per te sia di tuo gradimento. Forse ho interpretato male la promessa che ti ho fatto: forse, da qualche parte oltre la cortina che separa i morti dai vivi, sei furiosa con me e assetata di sangue.
Una sete di sangue che placherò con la mia morte, perché, per esserti fedele e pagare il mio tradimento, non posso offrirti altro. Presto i ghiacci ricopriranno la superficie del mare, ma ormai giacerò insieme a te, sul fondo dell’oceano.
Mi getto tra le onde e appena l’acqua gelida impregna i miei vestiti comprendo che il mio tradimento è più profondo dell’oceano, più grave della morte ― che questa riparazione non è equa, ma è l’unica che possa darti, perché la vita di Oliver è più preziosa della mia.
 
Oliver, raggio di sole di questo istante di eternità. Ti ho amato come il vento nei boschi, come le luci dell’alba e le stelle in una notte chiara. Per te ho infranto una promessa di mille anni; per te sacrifico la mia vita, sperando che questo possa in qualche modo lavarmi dal disonore, ma non mi pento nemmeno di un istante passato con te, né di averti risparmiato: quando, con l’ultimo respiro nel petto, affonderò tra le onde increspate di ghiaccio, la mia unica gioia non sarà aver in qualche modo pagato il mio affronto, ma sapere che vivi.

 
FINE

 
 
 
 
Eccoci alla fine! Ringrazio tutte le lettrici e i lettori che sono arrivati qui; spero che la storia vi sia piaciuta. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.

Se questo finale vi ha un pochino depressi e preferivate l'happy ending, cliccate qui

Se volete sapere cosa ne sia stato di Oliver dopo la scomparsa di Henry, cliccate qui

Se volete un missing moment di questa storia (e un po' di smut), cliccate qui
 
 

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Capitolo 3
*** Happy Ending ***


 

 

Oliver

Happy ending

 

 

Ho fatto il mio viaggio fino alla costa atlantica con calma, assaporando ogni istante della mia vita che volge al termine. Ormai Oliver deve aver trovato la delega con cui gli affido tutti i miei averi, la lettera per il notaio e tutte le scartoffie così care a questo secolo.

Non tornavo qui da mille anni, Aileen.

Le increspature delle onde scintillano alla luce ambrata dell’alba, tra gli scogli scuri increspati di salsedine e di ghiaccio. Una striscia di sabbia mi separa dallo sciabordare delle onde, dal luogo di riposo che ho scelto per te. Da qualche parte, sul fondo dell’oceano, il tuo corpo giace freddo e intatto, come l’ho consegnato al mare quella notte, su una zattera infuocata. Ho scoccato quel dardo anche sapendo che le fiamme non ti avrebbero consumata, soltanto perché sapevo che avresti voluto così.

Presto il ghiaccio ricoprirà questo luogo, lo stringerà nella morsa dell’inverno. Mi stringo nella sciarpa, come se l’aria gelida del mattino potesse davvero scalfirmi. Cammino verso la battigia, finché la schiuma non mi inzuppa i pantaloni e mi filtra nelle scarpe. Sollevo gli occhi, sugli albatros e i gabbiani che gracchiano, svolazzano nel cielo rosato, si posano sulle onde in cerca di pesci, sparendo e riapparendo tra la bruma, che brucia alla luce del mattino come se fosse paglia. Io, che ho tanto disprezzato la vita, perché sto esitando?

Ho promesso. Muovo un passo, poi un altro. Troverò il tuo corpo e giacerò accanto a te. Mi chiedo quanto ci vorrà per morire — forse mesi, anni. Forse non morirò mai, non perderò mai coscienza, e le barche disegneranno reticoli di scie salate sopra la mia testa, per l'eternità. Le onde gelide mi pungono la carne, ma non sento dolore. Non sento niente, se non una spina nel petto, che mi ricorda la vita che non voglio lasciare. Noi danzavamo insieme alla luce delle lampade, cacciavamo nei boschi e scalavamo le montagne innevate, mentre le civiltà sorgevano e crollavano ai nostri piedi e le vite umane volgevano al termine in un battito di ciglia. Ci amavamo così tanto, Aileen, che non posso credere che sia questo che tu desideri per me — che io distrugga l’unica cosa che mi renda felice, che lasci la vita nel momento in cui mi è più cara.

Oliver. Non so come abbia potuto pensare soltanto per un istante di distruggerti; come abbia potuto essere così leggero da avvicinarmi a te, conoscendo la promessa che legava qualsiasi mio amante alla morte. Forse, dentro di me, ho sempre saputo che non c’era promessa che potesse tenere; che non avrei osato toccarti, perché sapere che vivi, che ancora per lunghi anni vedrai la luce del sole, vale più del mio onore, o della mia vita. Per questo pensavo che sarei annegato con il sorriso sulle labbra, mentre le onde salate mi ricacciavano il respiro nel petto: perché ti ho amato come il vento nei boschi, come questa ultima alba ghiacciata, come le stelle in una notte d’estate. 

Ma come posso seppellire il mio corpo sul fondo dell’oceano, se a Londra, dove ancora non è sceso l’inverno, tu mi aspetti e sorridi malinconico al pensiero del mio ritorno? Come ho potuto mettere una promessa di mille anni, o la mia vita, o qualunque altra cosa, davanti al suono della tua voce, alla gioia di sfiorarti la bocca con le labbra? Voltarmi indietro, negarmi alla mia promessa e alle onde gelate non mi sembra più un sacrilegio, o un gesto da vigliacco, ma l’unica cosa da fare. 

La carrozza sobbalza sulla stradina sterrata; oltre il vetro, l’erica ricoperta di bruma dorata, sotto i primi raggi del mattino. Presto sarò a Londra e potrò stringerti a me, sentire il mio amore per te spargersi nel il petto, avvolegermi e intossicarmi. Mi comporto come se non sapessi che non potrà durare che una stagione, che presto il suono della tua voce sarà un ricordo lontano e il colore delle tue labbra si spegnerà sotto le dita della morte. Che cosa mi salverà, allora, quando capirò di non poter rubare che una stagione all’eternità? Non lo so; non voglio pensarci, Oliver. Voglio solo tornare da te.

 


Eccoci alla fine, spero che vi sia piaciuta! ❤️

 

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