For the Damaged Heart of Tony Stark

di Miryel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.



 
 

[ Tony Stark - Past!Tony x Peter - Post Infinity War - Angst - Prequel di "Protocollo Speranza" ]

 

For The Damaged Heart 

of Tony Stark

 
 

 


We lay my love and I beneath the weeping willow. A broken heart have I. 
Oh willow I die, oh willow I die.

-The Innocents - O Willow Waly

 

| Capitolo I

 


 

 

           Se c’è una cosa che Tony Stark ricorderà per sempre di quella mattina, è la sensazione di un vuoto assoluto incartata intorno all’anima. Non c’è niente che sprigioni un briciolo di energia, di voglia di fare, di alzarsi, di affrontare il mondo – il nuovo mondo – e darsi un obiettivo. Da quel che ne sa dovrebbe resettare la propria vita e ricominciarla da capo; trovare nuovi spunti, nuovi appigli al quale aggrapparsi e, più sicuro della morte, c’è il fatto che può agganciarsi solo al nulla assoluto, ora come ora. Il vuoto. Un baratro. Un fosso. Un burrone il cui fondo è nero e di cui non conosce la profondità. Caderci dentro sarebbe doloroso? O forse continuerebbe a sprofondare per sempre senza mai trovare la fine? Se lo domanda, mentre si passa una mano sulla fronte e la lascia lì per minuti interi, che ad un tratto paiono ore. Secoli. La luce del giorno irradia la stanza, la riempie di colori oro e di un grigio che sembra quasi una nube tossica. Non la scaccia via, la inala e spera che lo avveleni e lo distrugga. Molto più di quanto non sia bravo a farlo da solo. In quello è il migliore. Quello gli riesce davvero troppo bene. 

Non ha avuto un risveglio e, in verità, non ha nemmeno dormito. Ha passato quei pochi momenti in cui cedeva alla stanchezza con la testa popolata di incubi che vorrebbe solo dimenticare. Incubi che sono coriandoli, che spezzano vite, le distruggono, e cancellano per sempre dalla faccia della terra – dell’universo, le persone che hanno fallito insieme a lui e, più nello specifico, chi in quella guerra infinita non c’entrava niente di niente. Sa che dovranno fare i conti con le conseguenze, prima o poi, ma oggi non ha alcuna intenzione di vedere nessuno. Né Nat, né Steve, né Bruce. Nemmeno Pepper. Non ha voglia di vedere nemmeno il proprio riflesso che lo specchio del bagno gli vuole restituire. Ha perso tanti di quei chili che si sente un fuscello pronto a spezzarsi; un ramo secco, incapace di ritrovare la vita. È morto. È morto con lui. 

Ogni volta che quell’immagine gli torna alla mente strizza gli occhi e lascia andare sospiri strozzati che gli graffiano la gola. Sente ruvidi aculei che si aggrappano alla sua carotide. Scendono fino ai polmoni e li dilaniano. Gli tolgono il respiro. Attacchi di panico perenni, appiccicati alla gabbia toracica. Fanno più male di un martello pneumatico che batte contro le tempie. Gli apre in due la testa e gli scoppia un’emicrania tanto forte che quasi vorrebbe piangere. Si preme i palmi delle mani contro la fronte, apre l’acqua del lavandino e se la tira in faccia, gelida, ma nemmeno quello lo sveglia da quell’incubo. 

È ancora su Titano, con le braccia di Peter che lo stringono forte, si aggrappano ad una speranza che Tony non gli può dare. Lo guarda e dentro a quelle pupille disperate e fragili, vede tutto e niente. L’odio e l’amore, il coraggio e la paura. La vita e la morte. Poi Peter sparisce ogni volta e lui continua a non salvarlo. Continua a fallire. Ancora e ancora e ancora. Vorrebbe smettere di pensarci, di infliggersi colpe che forse non ha, ma sa di doverle espiare, anche se non sono sue. Non sono solo sue. 

Peter è morto e non torna, e la vita non va avanti se non c’è niente, più avanti, che ti aspetta con un sorriso che non ti appartiene, ma che si riflette in quello di un altro. 
 

 

«Lei sparisce sempre, quando non ha voglia di vedere nessuno?» 

«Be’, sì. E di solito la gente asseconda questo mio bisogno», gli risponde, ma sorride. Lascia che la schiena si rilassi contro la sedia, che scricchiola e si piega sotto al suo peso. Ha una penna tra le mani e ne rosicchia l’estremità. Un tic nervoso che non riesce proprio a togliersi. Forse non vuole nemmeno. 

Peter alza le spalle e si chiude la porta del suo studio dietro di sé, sbuffando via una risata che si infrange contro l’universo. È così rumorosa che pare un canto celestiale. Fa male e bene. 

«Di solito, sì. Non ci vediamo da giorni e ho pensato di fare una capatina. Ho quasi creduto ce l’avesse con me, poi la signorina Romanoff mi ha spiegato che è solo un sacco antipatico.» Peter tenta l’ironia, ma in quel modo impacciato che è tutto suo. Cerca di abbattere muri che Tony non gli permette nemmeno di scalfire leggermente. Non vuole. Prova sentimenti troppo contrastanti nei suoi riguardi per permettergli di lasciargli vedere cosa nasconde dietro a quel suo finto distacco da ogni cosa. Vorrebbe dimostrargli che è migliore di quel che sembra, che non è quello antipatico. Non lui. Però è difficile non sentirsi un pericolo per lui, quando quello che gli dimostra è una grande ammirazione, a fronte di un interesse che lui sta iniziando a nutrire. Un interesse che è sbagliato e immorale, ma che un po’ lo fa sentire bene; lo fa sentire un ragazzino, lontano dall’oblio. Peter lo fa sentire vivo, e la parte peggiore è che forse Tony fa lo stesso con lui. 

«Qualcuno deve pur fare la parte dell’antagonista», sostiene; alza il mento e ridacchia. Sfrontato e inutilmente crudele; un’arma che con Peter non funziona mai, anzi. Lo attira di più verso di sé, come se fosse un magnete. Lo attira verso di sé, un passo alla volta, finché non è di fronte alla sua scrivania e si siede su una poltroncina grigia e si guarda intorno, sospirando. 

«Questo studio è buio. Perché non apre la finestra e fa entrare un po’ di luce?»

«Parker, sei qui per fare da consulente immobiliare o per qualche altro motivo?», chiede, e torna a guardare le sue scartoffie, senza dar loro una vera e propria attenzione. La sua mente è altrove. Le mani sono altrove; precisamente tra le ciocche ondulate di Peter, mentre lo abbraccia. Deglutisce a quel pensiero, e si sente sporco. Vorrebbe solo dimenticare che, dentro all’anima, qualche fiammella calda di sentimenti è ancora accesa. Solo che, a volte, brucia le persone sbagliate e alimenta interessi che non dovrebbe. 

Peter è giovane, certo, ma non è questo il motivo per il quale gli sta pian piano staccando via la testa dal corpo con la lama affilata del suo sorriso. Lo fa perché è Peter. Punto e basta. Gli piace. Sta bene con lui. Il suo tempo si arricchisce di significato, quando sono insieme e sarebbe successo pure se il giovane Spider-Man avesse avuto cento anni. È Peter, nient’altro che Peter. Tutto il resto è talmente marginale che vorrebbe accantonarlo, ma non ci riesce. Fa troppo male. Alza lo sguardo e si distrugge ancora una volta ad ammirare sorrisi timidi e tentativi già falliti di dimostrarsi sicuro. Non è capace. È genuino. In un modo tanto puro da far quasi rabbia. 

«Gliel’ho detto, pensavo fosse arrabbiato con me. Sono giorni che le scrivo e non mi risponde. Okay, lo ha sempre fatto, ma ci sono dei giorni in cui non influisce sul mio umore, e altri in cui sono troppo insicuro per credere che sia solo impegnato.» La sincerità che gli butta addosso lo spiazza. Nessuno è mai sincero con lui.Tutti mettono davanti un muro di mattoni e cercano di aggirare le perdite di tempo. Vanno tutti dritti al punto, e i più sinceri lo sono per ferirlo. Peter invece lo è perché è nella sua indole. Non lo vuole ferire, sparisce e non risponde ai suoi messaggi, lo ignora e, alla fine, gli fa male lo stesso. 

Non può vincere quella battaglia tra se stesso e i suoi sentimenti. È troppo difficile. Non ne è capace. 

«Non ce l’ho con te. Dovrei, in verità. Troppe fisime, delle gran belle perdite di tempo. Dovresti studiare invece di perder tempo a crearti problemi che non ci sono.» 

«Signor Stark, lei certe volte mi vede come un libro con le gambe e basta. Davvero pensa che io sia solo uno studente e ogni tanto Spider-Man? Non sarà questo granché, ma sono più di uno studente che occupa le sue giornate studiando.» 

«Oh», esordisce, fingendosi stupito e premurandosi che il tono ironico arrivi dritto al destinatario. Peter sussulta e abbassa lo sguardo, per poi rialzarlo con un cipiglio che a Tony non piace. Gli sta di nuovo dando del ragazzino e lo sta ferendo di nuovo, solo che quell’ironia non ha quell’obiettivo, ma solo quello di convincersi che Peter non è altro che quello. Non è una persona interessante. Non è una pedina arcobaleno tra migliaia di pedine nere e bianche. Non è un chiodo fisso nella testa. È molto di più. Troppo di più. Un punto di non ritorno che ha già valicato da tempo e che non vuole distruggere. «Sei un uomo impegnato? Non lo sapevo!» 

«A volte penso che lo faccia apposta.»

«Cosa?», chiede, alzando un sopracciglio. Gli occhiali da vista gli scendono sul naso. Li spinge contro la faccia e gli fa male la testa. Peter è la sua emicrania più comune. 

«Creare questo fastidiosissimo distacco», ammette Peter e, poggiando rigide le mani sui braccioli della poltrona, si alza. Si sistema la camicia a quadri con un gesto secco. Non lo guarda. 

«Io non creo alcun distacco!», risponde, indignato. La schiena si scolla dalla sedia e si piega in avanti. Fastidio. Lo prova dentro, lo corrode. Poi sospira. Si toglie gli occhiali e si prende la radice del naso con due dita. Preme così forte che fa quasi male. «Andiamo a bere qualcosa, ho bisogno di un caffè. E tu di parlare.» 

«Lei invece no?», chiede Peter, ma almeno ora lo guarda. Il viso indurito da un’espressione delusa, ma che è più dolce rispetto a prima. Ha quel brutto difetto di riuscire a mantenere due stati d’animo insieme, e quel malumore che è uno strascico lungo attaccato alla testa. Vorrebbe estirparglielo via, se solo non fosse sempre lui, quello che lo delude. 

«Forse.» Una mezza ammissione, e spera di non dover parlare o, ora come ora, ammetterebbe troppe verità che fanno male ad entrambi e che non possono assecondare.

 

 

«Me ne tiro fuori.» 

Natasha alza un sopracciglio. Stringe tra le mani una tazza di tè, ha un paio di occhiaie viola sotto agli occhi che, comunque, non sciupano la sua bellezza incantevole e spietata, sebbene da quando è tornato, Tony pensa che nessuno abbia incanalato l’odio che invece avrebbero dovuto. C’è solo bisogno di metabolizzare quello che è successo e cercare di andare avanti. Dato che non c’è soluzione, non ce ne sarà mai una e le cose non torneranno come prima. Inutile provare a combattere una battaglia già persa, a cui hanno preso parte quasi per gioco, ma dove la posta in palio era troppo alta. Se ne sono resi conto troppo tardi e ora, come se fosse un peccato da espiare, ne pagano le conseguenze e dovrebbero solo tacere. Nessuno dovrebbe più far menzione di ciò che è stato, eppure lui sembra l’unico che è già sceso a patti con quel fatto. Loro no. Loro vogliono andare avanti, trovare Thanos, le gemme e chissà che cosa diavolo si aspettano di fare. Non ci sono speranze. La verità è che non ci sono mai state. 

Le speranze sono per i deboli. La realtà è diversa. La realtà fa male.

«In che senso te ne tiri fuori?»

Tony sospira. Si rigira tra le dita il tubo della flebo. Ha ancora bisogno di riprendere le forze e di una sedia a rotelle che lo scorrazza in giro perché le sue gambe sono troppo deboli per reggere quello che, comunque, è un peso ridicolo. È un fuscello e se si spezzasse probabilmente ne sarebbe pure contento. «Che non ho alcuna intenzione di sprecare energie per combattere Thanos e tentare l’impossibile. Stavolta passo. Per sempre, immagino.»

Nat gli rifila un’occhiata penetrante, mentre incrocia le braccia al petto e sbuffa aria dal naso. Poi guarda altrove, delusa – forse impaurita, perché Tony lo sa che la sua mente è un’arma fondamentale per la riuscita di quel piano, ma non ha voglia di adoperarla più e poi perdere le persone a cui tiene. Le persone che ama.

«Non vuoi che, chi è sparito, torni?»

«No. Non mi importa un granché a dirla tutta. È andata così.»

«Non è ancora finita, Tony. C’è ancora la speranza che ci sia un modo pe-»  

«No, è finita. Non c’è altro da fare. Abbiamo già perso e non abbiamo i mezzi per cambiare le cose. Abbiamo finito», sentenzia. Recupera la giacca spostandosi con difficoltà verso una sedia e, pronto a lasciare la stanza, prega che lei taccia. Che non dica niente. Che non gli ricordi che no, non è vero che non gli importa. Forse di tutti, forse del mondo, forse dell’universo intero non gli interessa niente, ma di una sola persona… dio, quella sola persona, la rivorrebbe indietro immediatamente. Ora, qui, in questo momento. Anche solo per lasciare che quel senso di colpa lo abbandoni per sempre.

«E Parker?» 

Chiude gli occhi; si ferma e stringe le mani intorno alle maniglie della sedia a rotelle. Non si volta. Non lo fa perché è troppo esposto, quando si parla di Peter. Non vuole parlarne, non vuole ricordare, non vuole ammettere che per lui, probabilmente, la testa la metterebbe di nuovo in azione, pur di saperlo lì con lui.

«È andato.» 

«E tu non ti dai pace per questo», dice lei, e quasi sembra leggergli nel pensiero. Ma Tony è materia oscura che diventa più nera ad ogni istante che passa e, flemmatico, si lascia solo scappare un sospiro stanco e irritato, che nasconde al suo interno la paura più marcia di non aver fatto abbastanza e di essere già fuggito da quella responsabilità.

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, signor Stark. Lo immagina mentre glielo dice, impacciato, col sorriso genuino di chi non ha paura del male e lo contrasta.

Non ci sono poteri, però. Solo distruzione e solitudine e, la verità, è che non potrebbe mai perdonarsi di provare ancora e ancora a riportarlo indietro e fallire ogni volta. Non si perdona il pensiero che non ci può riuscire, perché non ne ha le capacità. Nessuno le ha. E allora va via, sparisce dietro quella porta, e desidera solo cancellare quel tempo passato a difendere il mondo e a autodistruggersi… e ad amare, senza controllo, un’anima fragile e pura che non lo ha mai rispecchiato ma lo ha amato a sua volta.
 

 

«Quando parli di distacco sai almeno cosa significa?», chiede e sorseggia un caffé amaro come lo è la sua anima in quel momento, mentre il distacco lo ricerca sul serio e finge che non sia tale. Che sia solo un normale rapporto tra un mentore e un allievo, tra un giovane e un adulto. Non quello alla pari che si è instaurato, e che ai margini di molte, troppe cose che lo hanno colpito, c’è una differenza d’età a cui pensa troppo poco ma che, quando succede, si sente sporco e amorale. Si sente in difetto, pregno di un peccato che non ha nemmeno commesso; non ancora. Spera sempre e solo che Peter non lo assecondi mai. Perché se dovesse succedere non sa nemmeno come reagirebbe e se è in grado di fermarsi sulla soglia e fare un passo indietro. 

«Nessuno sa meglio di me cos’è il distacco, signor Stark», spiega Peter, e sorseggia la sua gazzosa. Ne riemerge leccandosi le labbra distrattamente e Tony distoglie lo sguardo, vinto da ogni suo gesto. 

«Se sapessi davvero cos’è, non lo vedresti ovunque.» 

«Forse è lei che non sa cos’è. O magari non si accorge nemmeno di quando mette su un muro tra a me e lei, senza un vero motivo. O magari c’è e non me lo vuole dire.»

«Non c’è nessun motivo e nessun muro, tra di noi. Non ne avrei motivo, dopotutto.» 

«So che c’è. E offrirmi una bibita gassata non appianerà le cose. Nemmeno mi toglierà dalla testa il fatto che sta cercando di allontanarmi, per qualche ragione, ma non lo vuole ammettere proprio. Forse non le fa comodo, per via di Spider-Man.» Schietto. Timido, impacciato, goffo e paranoico, eppure sempre così dannatamente schietto, incapace di tenere per sé quelle che sono le sensazioni che si porta addosso come un vestito di spine; forse così doloroso da impedirgli di abituarsi a quel dolore. Tony ci fa i conti da una vita, con quei graffi sulla pelle che non si rimarginano, e la schiettezza la usa solo per distruggere – perché lui è un distruttore – e mai per costruire qualcosa. 

Lo invidia. Lo invidia come se Peter fosse tutto ciò che avrebbe voluto essere, e forse è così. Allora se deve soffrire, non sarà l’unico. Allora se è una guerra, questa battaglia la vuole vincere. Anche se questo significherà ferirlo ancora, e ancora, e ancora…

«Ti sei preso una sbandata per me, ecco perché lo faccio.»

I suoni del bar si spengono. Come se qualcuno avesse appena pigiato il tasto muto di un telecomando che gestisce la vita. Peter lo guarda con la mano stretta intorno al suo bicchiere di vetro. Se non doserà la forza finirà per romperlo, eppure non sembra stringerlo con troppa veemenza. Anzi. Solo un leggero tremore gli vibra tra le dita, e quando Tony torna a guardarlo ha la bocca leggermente aperta, dalla quale escono suoni muti, balbettii sconnessi e respiri nervosi. 

«È così?», lo sfida, e si mostra calmo sorseggiando altro caffé che gli scende giù con una difficoltà disumana. 

Peter lo fissa; non distoglie mai lo sguardo, finché non chiude definitamente la bocca e si guarda le mani, ora strette tra di loro. Inizia a tartassarsi le pellicine con le unghie – sono così corte, per colpa di quel suo vizio di mangiarsele quando è nervoso – e poi annuisce. 

«Non ho mai creduto fosse un segreto, ma ci sono già sceso a patti, col fatto che è pura utopia. Vado avanti lo stesso, e non ci spero nemmeno. Passerà, è giusto che passi», spiega,  il velo di un sorriso buio gli si infrange sul viso. La folta corolla di ciglia si alza e rivela malinconiche pupille nemmeno troppo umide. Ci è sceso a patti sul serio, con la consapevolezza che non potrà mai essere ricambiato, e di nuovo Tony dovrebbe solo ammirarlo e basta. Così adulto da far paura, perché nemmeno lui, alla sua età, ci riuscirebbe. Non ci sta riuscendo. Non riesce ad accantonare i sentimenti e fingere che non ci siano. Peter lo fa. Gli insegna ancora qualcosa, come sempre, e lui non impara mai. «Non ci spero nemmeno», ripete, forse per convincersi che sia così, ma è chiaro che non lo è, che se Tony ricambiasse – e Tony, buon dio, ricambia – ne sarebbe felice. Avrebbe, per una volta, qualcuno che prova lo stesso. 

Vorrebbe dirglielo. Vorrebbe dirgli che per lui è lo stesso, ma Peter ha fatto un passo avanti, con quella confidenza, e come al solito Tony ne ha fatti due indietro. Succederà ancora, e più andrà indietro, più sarà braccato. Prima o poi incontrerà un muro che gli bloccherà le spalle e, da quel momento, non avrà vie di fuga.

 


Fine Capitolo I

 


 
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Note Autore:
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em — Here's the thing: they could have used a picture...
Salve a tutti,
era da tantissimo tempo che volevo scrivere una sorta di prequel dedicato a Protocollo Speranza e finalmente sono riuscita in questo intento, dopo mesi di silenzio stampa per quanto riguardava il canone. La storia, come avrete già inteso, è un PoV Tony post Infinity War che ci accompagnerà fino ad Endgame e con molti riferimenti a Protocollo Speranza ma, credetemi, non serve averla letta, se deciderete di farlo dopo i pezzi andranno tutti al loro posto e, anzi, forse ne coglierete dei riferimenti inversi, in ogni caso potrete godere della lettura allo stesso modo. Per chi invece ha già letto la storia e ora si è avventurato a leggere questa, spero di poter dare lo stesso trasporto che resi allora. Come molti sanno, Protocollo è la storia a cui tengo di più al mondo ♥ Spero davvero che questa vi piaccia e sì, c'è Pepper e come tutti sanno amo entrambi i rapporti e, trattandosi del canone, ho deciso di avventurarmi in una cosa del genere che non è proprio nelle mie corde, nel senso che di solito per rispetto a lei e all'amore per Tony, tendo ad occultare la sua presenza e magari aggiungerla solo quando è davvero necessario e qui... lo è. Spero di renderle giustizia anche qui ♥

 
Un abbraccio a tutti e a domenica prossima ♥
 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.
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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 
 
 
 

proof that tony stark has a heart by Wolfenwarrior101 on DeviantArt


For The Damaged Heart of Tony Stark

 
We lay my love and I beneath the weeping willow. A broken heart have I. 
Oh willow I die, oh willow I die.

-The Innocents - O Willow Waly

 

| Capitolo II


 


 

           

«Buon Natale, Tony.»

Sbuffa via un sorriso, ma dentro ha un fuoco acceso che lo ferisce. È Natasha, gli ha mandato un messaggio dopo così tanto tempo che non lo faceva, visto che lui ha smesso di rispondere a chiunque. A tutti quelli che fanno parte del passato e gli ricordano troppe cose.

È fortunato, dopotutto. Ha perso meno di quanto credeva – e questa è una bugia che si racconta ogni volta, mentre dentro si corrode, si sgretola, perde pezzi di sé ad ogni minuto che passa. Solo che il suo collante c’è, è rimasto e quel collante è Pepper. È ancora con lui, il caso non l’ha portata via dopo quello schiocco, ma gli ha lasciato almeno una delle poche persone che ama e che ricambia, senza pretese. Lo conosce così bene che ha accettato tutto di lui, persino il peggio. 

Ridicolo. Lui è il peggio. Non ha nulla, dentro, che valga la pena di essere amato, ma lei c’è. C’è sempre. E la ringrazia ogni giorno per questo, sebbene lo faccia con i soliti non detti e gesti – solo i gesti, perché sono l’unico mezzo che ha. 

Ha comprato un cottage vicino ad un lago. Niente più torri sfarzose, niente più armature, ville a Malibù o macchine costose. Solo la natura, il calore di due amanti, la scienza che viene messa in atto solo per le cose pratiche, e non a difesa dell’universo… o per una guerra che non è mai finita davvero. 

«Cos’è quella faccia?», gli chiede lei, e fa capolino dalla cucina con una mano stretta intorno ad una tazza di tè e l’altra che si carezza la pancia, con una distratta premura. Quando si avvicina e lo affianca, Tony dedica la stessa premura posandole il palmo sopra lo stomaco. Lo sente pulsare, quel pancione e non si capacita ancora di come una vita dentro ad un’altra possa suscitare tante emozioni. Non può ancora vedere sua figlia, ma si infiamma ogni volta – al sol pensiero, dentro al cuore. Si è rammollito e lo sa, ma è giusto così. Ha detto addio alle armi, tempo fa. Ha detto addio ai rancori. Ha detto addio alla guerra, agli alleati e a Iron Man. 

Ora è solo Tony Stark, un uomo felice che ama la sua famiglia e che aspetta di vederla crescere intorno a lui, in un ambiente sereno, fingendo che nulla sia mai successo su Titano. Che nessuno gli abbia mai portato via niente di niente. Che la polvere non è ancora incastrata in mezzo alle dita e tra i suoi pensieri, quando la notte si sveglia senza fiato e rivede Peter sparirgli tra le braccia e supplicarlo di non lasciarlo morire. 

Cambia espressione e lo capisce da come lo sta guardando Pepper. È preoccupata, ma vuole fingere che non sia così, per il suo bene. Perché sa che non vuole nemmeno sentir parlare di quello che è successo un anno fa. Nemmeno per sbaglio. 

«Era Nat. Ci fa gli auguri di natale.» 

«Dovresti invitarla a prendere un caffé, ogni tanto.» 

«Sono troppo impegnati a fare le loro cose da supereroi. Che facciano pure», dice, e le lascia un bacio sulla fronte e uno sulle labbra, prima di sospirare e guardare altrove, lontano. Su un pianeta diverso, ancora una volta e persino l’aria diventa tossica, per un secondo, mentre la stanza si tinge dello stesso colore arido e morto di Titano. E lui è di nuovo solo. 

Tutti morti tranne lui. Di nuovo.

«Tony?»  

Si ridesta da quel pensiero; sbatte le ciglia un paio di volte, prima di tornare a guardarla e regalarle un sorriso forzato. Sembra quasi che due fili invisibili gli abbiano tirato le labbra. Come se fosse una marionetta incapace di vivere senza qualcuno altro che agisce e pensa per lui. Non è così, in verità. È perfettamente padrone della propria esistenza, solo che l’ha spenta per un attimo, con quella sensazione che prima o poi si dimenticherà davvero di tutto e potrà vivere una vita normale senza sentirsi come se avesse distrutto l’universo con le proprie mani.

Morgan nascerà e tutto andrà al suo posto. Dimenticherà il passato per davvero e si costruirà un mondo diverso, intorno. Lui, Pepper e Morgan. Non serve altro per essere felice, solo… solo loro. Loro e basta.

«Ho trovato una cosa. In uno scatolone. So che non è il momento e che non ti senti, forse, di vederla ma… io penso che dovresti.» 

«Che potrà mai essere, andiamo! Ne parli come se fosse una bomba atomica», cerca di ironizzare, ma è spaventato dal fatto che non sappia di cosa si tratta, nel modo più assoluto. E l’ignoto, da quando è tornato da Titano, lo spaventa più di qualunque altra cosa.

Pepper sospira, e gli lascia ammirare un sorriso così triste che lo spezza. «Una foto.» 

E Tony sa esattamente di che foto si tratta.

 
 

Il muro alle spalle lo trova, in una giornata di merda. Una di quelle giornate da dimenticare, dove Peter non si trova e dove nemmeno May sa dove accidenti sia andato a finire. Lo chiama disperata ogni ora, e Tony non lo localizza perché Peter ha spento il GPS che aveva nella tuta, tempo fa, e non si è sentito di attivarlo di nuovo. Non vuole che si senta braccato, spiato, sfiduciato dal fatto che qualcuno controlla ogni sua mossa perché non si fida. Gli ha dimostrato troppe volte di valere più di quanto Tony possa credere, ma in giorni come questo vorrebbe non aver assecondato quel suo bisogno di sentirsi adulto. 

Tutti gli eroi si cacciano nei guai, si infilano in pericolosi vicoli dal quale non riescono ad uscire, ma Peter… Peter è come un cristallo di Boemia che si spacca con un tocco, impossibile da acciuffare, veloce e furbo, ma che quando finisce nelle mani crudeli di un nemico più ostico, si spacca. Si frantuma come vetro dopo l’impatto disastroso con il suolo. 

E quando finalmente lo trova, siccome ha acceso il telefono, lo localizza in un angolo troppo remoto della città. Un magazzino in disuso, buio, che puzza di piscio e legno bagnato. Lo trova lì, stretto nelle ginocchia, i capelli arruffati e la paura negli occhi. Si guarda intorno in attesa di qualcuno che lo salvi.

Un eroe che, troppo spesso, dimentica di essere solo un ragazzo. Un ragazzo che la solitudine la vive come una condanna e non come un premio, un lusso, un desiderio. Qualcosa che Tony conosce bene ma che, da un po’ di tempo, ha imparato a vedere sotto altri punti di vista. Più umani, meno macchinosi e la solitudine a volte non la può tollerare nemmeno per sé. 

Quando si avvicina, Peter spalanca gli occhi; prova ad alzarsi ma non ci riesce. Sorride salvo, e gli scendono lacrime stanche dagli occhi. Sono così carichi e rossi che sembrano in procinto di scoppiare. Tony si china di fronte a lui e schiocca la lingua quando nota che ha un labbro spaccato, una ferita ancora aperta su un sopracciglio e una sulla fronte. Vorrebbe fare dietrofront e cercare chi accidenti l’ha ridotto così, ma Peter gli chiede di restare e salvarlo ancora; mortificato dal fatto che, di nuovo, abbia bisogno di lui e che non se la sia cavata da solo come avrebbe voluto. 

«Ehi», mormora Tony, e gli appoggia le mani sulle spalle, prima di farle scorrere sulle sue braccia e carezzarle, per rassicurarlo che non è più solo, che è salvo, e che lui è lì, di nuovo, ma che non ce l’ha con lui.  Come potrebbe mai avercela con lui? 

«Lo so, lo so, non mi trovava e io sono un disastro! Mi dispiace tantissimo, non volevo farla preoccupare, e non volevo cacciarmi nei guai ma è tutto a posto, li ho fermati e la polizia li ha presi, ma è stata dura, erano tanti e non sono riuscito a gestire la cosa come avrei voluto! Mi dispiace, mi dispiace, davvero, mi dispiace!» Una raffica infinita di scuse; di parole che gli vomita addosso come se le avesse incanalate dentro e avesse un impellente bisogno di tirarle fuori tutte insieme, come un tornado, come uno tsunami fatto di emozioni e paure, di sensi di colpa che non dovrebbe nemmeno arrogarsi. 

«Ehi, ehi, ehi! Sta’ zitto un attimo. Sei una macchinetta rotta o cosa? Calmati, santo cielo. Non è successo niente; la stai facendo più gigante di quanto», cerca di rassicurarlo, in quel modo burbero che nasconde sempre, per Peter, un tentativo di proteggerlo. Come se ne avesse bisogno. Forse è così. 

Peter si passa i palmi delle mani sugli occhi, poi il dorso della mano sotto al naso e sospira. Annuisce, ma respira così forte che rompe il silenzio notturno che è troppo rumoroso. Il rumore fa sempre male al cuore. Per tutti. Per Tony sempre un po’ di più. 

Tony schiocca la lingua. «Hai fatto un ottimo lavoro, ma non puoi pretendere di essere sempre perfetto. Sbagliare fa parte del gioco, Peter. Accettare che sia così è una dote non da tutti, e tu hai bisogno di farla tua, per come sei.» 

«Lo so. Lo so che tutti sbagliano, ma…»

«Non tutti. Io non sbaglio mai», lo interrompe, con un sorrisetto arrogante e gli arruffa i capelli, affettuosamente, trattenendo un sospiro di sollievo quando vede che, le lacrime, sono sparite da quel viso spaccato. C’è solo il sangue che è come pittura rossa sul colore bianco dato dall’ansia e dalla paura. Dalla paura di doversi vergognare pure di respirare. 

Peter ridacchia, a quella battuta brutta, ma che è tanto da Tony che spacca muri e risana qualcosa. A volte è capace di non distruggere, ma di aggiustare. Non sempre, ma quando capita lo fa come dovrebbe essere fatto. In modo goffo, ma ci riesce. 

«Mi ha salvato di nuovo. Le prometto che non succederà più.» 

«Non importa. Tutti hanno bisogno di essere salvati, ogni tanto.» 

Peter ridacchia e quegli occhi marroni splendono come una supernove, un attimo prima di esplodere e distruggere l’universo. «A parte lei, immagino.» 

Tony non risponde, ma alza solo le spalle. 

No, anche io ne ho bisogno. Continua a salvarmi, tu che puoi, anche se forse non lo sai. 

Lo aiuta ad alzarsi e a Peter cedono le gambe. Ha una caviglia gonfia e trattiene un’espressione di dolore, solo perché non vuole dare a vedere che è ridotto peggio di quanto voglia far credere. Gli cade tra le braccia, e Tony lo prende al volo – lo salva ancora una volta e, mentre lo sostiene con le mani strette sotto ai suoi gomiti, c’è uno sguardo che collide col suo, interrogativo e vivo. Illumina il mondo – il suo mondo e, dopo un silenzio che dura quanto basta per sperare sia l’eternità, Tony sente sotto i polpastrelli la sua guancia, che nemmeno si è accorto di aver raccolto tra la mano, poi quel velo ferroso del sangue sulle labbra – non le sue labbra, ma altre –, ne memorizza il sapore, lo infila nella testa e, per sempre, quel primo bacio avrà il ricordo del dolore, della paura, del senso di inadeguatezza, tutti sfumati via in quel raro momento in cui il resto non ha decisamente più importanza; fosse solo per un attimo nella vita, in cui non si pente di niente, soprattutto di amare e lasciarsi amare a sua volta. E Peter, per una volta, non si sente sbagliato e un disastro, ma solo vivo per qualcuno e Tony lo sa, che è così.
 


 
 

Una foto. Una foto che distrugge, dilania, spezza e frammenta il tempo. Cancella ogni finzione, riporta a galla cose che sono state e che non saranno più. Mai più. La stringe tra le dita con una rabbia che non ricordava nemmeno di poter provare, ed è condensata tutta dentro. C’è sempre stata e non l’ha mai tirata fuori. L’ha incanalata e ci ha convissuto; è diventata un demone oscuro che lo accompagna ad ogni passo. Vive dentro di lui e ride ad ogni suo fallimento e ad ogni finta convinzione che vada tutto bene. Che non c’è niente di cui preoccuparsi e nulla per cui sentirsi in colpa. 

Solo che la rabbia è un freddo raggio di crudeltà e quando le si dà il controllo della propria psiche, non ha pietà per nessuno. Nemmeno per una donna incinta, che porta in grembo il prodotto di due anime che si completano ma che, ora, ha il mondo che le pesa sulle spalle e la costringe a reggersi allo stipite della porta, sconvolta. 

Perché Tony di bugie ne ha raccontate tante, in vita sua. A Pepper sempre poche, quasi mezze verità ma questa… questa verità è peggio di qualsiasi menzogna. Questa verità non ha motivo di essere raccontata per così tanti motivi che non sa nemmeno contarli; perché distrugge tutti, sia lei che lui e anche Peter. Peter, che è morto da un anno e non torna. Peter che è sotto giudizio di una donna che è stata tradita e lo viene a sapere solo ora, quando il mondo è finito. Dove il suo rivale è andato via per non tornare mai più. Una battaglia che non ha senso di esistere, ma che c’è, perché i sentimenti dilaniano sempre.

«È stato quando ci siamo presi quella pausa», dice, atono, e non smette di guardare quella foto. Non smette di guardare Peter e il suo sorriso. Non smette perché non ci riesce, perché gli manca, perché alzare gli occhi su quelli di Pepper significa fare i conti con i propri peccati, stavolta per davvero. Glielo ha detto, le ha detto di loro due, del perché non vuole che lo nomini, che ne parli. Vuole solo che Peter sia un capitolo chiuso, ma solo per lei. Lui non ci riesce a dimenticarlo e sa che non ci riuscirà mai. E nemmeno vuole che accada, lo sa.

«Tony…», prova lei, ma ha il respiro mozzato. Probabilmente le lacrime agli occhi, i crampi allo stomaco, il mal di testa. Gli ormoni della gravidanza che le accentuano la tristezza e la delusione, ma Tony vuole che ne provi, nei suoi riguardi. Non ha nulla da farsi perdonare e sa di aver sbagliato tutto. Con Pepper, con Peter e con se stesso. Ha sempre e solo sbagliato tutto. E continuerà a sbagliare sempre tutto. È fatto così, non cambia. Non alla sua età. Mai. Mai più. 

«Tu… tu e Peter. Tony, ti rendi conto che i-» 

«Sì, sì! Mi rendo conto. certo che mi rendo conto. Mi sono sempre reso conto e non mi sono fermato. Lui voleva e io lo volevo. Tu te ne sei andata perché sono inconcludente, sono meschino, non merito la fiducia di nessuno. Una scelta saggia, quella di andartene, che non ho mai contestato!» 

«Una scelta di cui mi sono pentita! Sono tornata sui miei passi, perché sai che non ho mai pensato davvero che tu fossi così, Tony e tu… Dio mio, hai continuato a vederlo anche dopo?» Tony ci vede una nota di speranza, in quella domanda, e il desiderio non saperlo davvero. Il pentimento negli occhi di averlo chiesto.

«Sì», ammette e non può mentire. Lei chiude gli occhi, quando lui alza lo sguardo sul suo e Tony lo sa che non vuole guardarlo. Non vuole incrociare la sua anima perché ha troppe accuse da vomitargli addosso ma, Cristo, quella situazione è assurda e immorale. Parlano di un morto e di gelosia. Parlano del passato che non torna, ma che è stato. «Sì, non sono stato capace di chiudere e non perché non tenessi né a lui né a te, ma per tutto il contrario, Pep.»

«Sei un egoista del cazzo! Hai pensato a te e te soltanto, e io sono tornata! Ti ho chiesto scusa per essermene andata e tu…» Piange. È stanca. È già stanca di quella situazione, di lui, del mondo e di discutere di quella verità che lui comunque non le rinnega. Ha quel senso di colpa addosso da troppo e, paradossalmente, parlarne lo alleggerisce un po’. Uno stronzo, un pezzo di merda, un insensibile, una carogna. Sì, lo è, ma è stanco anche lui. Stanco di fingere ogni cazzo di istante che va tutto bene e che i problemi, tra loro, non ci sono mai stati e mai ci saranno. Ma la ama così tanto che è il suo unico appiglio e non può farle questo. Non può nasconderle più la verità. Se lo lascerà o no non avrà importanza, ma almeno saprà di essere stato sincero fino alla fine. Solo che non vuole perderla. Non vuole perdere anche lei. È egoista, lo sa e lo sanno tutti, ma li ha amati entrambi. Li ha sempre amati entrambi. Nessuno più dell’altro. Sono due amori diversi che non sa nemmeno spiegare. Due amori necessari, e gliene è rimasto solo uno. Sta perdendo anche quello.

«E io ti ho rivoluta con me», ammette. «Non ho mai accettato che te ne fossi andata. Questo lo sai, non serve che io te lo dica. Questo a discapito di ciò che abbiamo… che ho fatto.»

Lei sospira; un sospiro così lungo che sembra infinito. Si avvicina di un passo, è collerica. È stanca. Stanchissima. Sfinita. Ha gli occhi gonfi e le guance bagnate. L’oscurità che prima apparteneva solo a lui infine l’ha infettata e lei piange. Non vuole che pianga. Non l’ha mai voluto.

«Ti rendi conto? Mi stai dicendo questo in un momento del genere, dove mi sento persa, confusa, delusa e, allo stesso tempo, non riesco a pensare ad altro che la morte di Peter mi ha addolorata e continua ad addolorarmi. Sono dispiaciuta per lui, vorrei che tornasse con tutta me stessa e tu… tu mi dici che avevate una storia? E io sono spezzata, spaccata, ma dispiaciuta. Non posso e non voglio star male per te e per qualcuno che non c’è più. Mi sento in colpa solo al pensiero che stiamo discutendo di una cosa del genere e lui non c’è. Capisci cosa voglio dire, Tony?», chiede, la voce rotta dal pianto. L’apatia che incontra la rabbia e la disperazione. Un mondo che crolla su entrambi, mentre nemmeno tentano di tenerlo in piedi. Crolla e basta. Ogni maceria li colpisce e spacca qualcosa tra loro.

Tony abbassa lo sguardo per un attimo, poi torna a guardarla. «Lo capisco», risponde calmo. «Lui non c’è più, e questa conversazione non ha senso, ma ti ho detto la verità e meritavi di saperla.»

«Meritavo? Mi hai tradita, Tony. E me lo dici solo ora, quando non posso nemmeno controbattere, discutere, prendermela con qualcuno, perché in confronto a Peter che è morto, questa faccenda è quasi ridicola, ma fa così male che non posso fingere che non sia così.»  

Ho amato entrambi. Ho tradito entrambi, allora? 

Non parla, non risponde, non ne ha la forza e nemmeno il diritto. Vorrebbe chiederle scusa e dirle che è stato un momento di debolezza, ma non sarebbe la verità. Forse all’inizio, forse ha cercato in Peter un conforto quando lei non c’era, solo che poi le cose non sono andate come voleva e quel conforto è diventato altro. Qualcosa di necessario, ingestibile e poco scientifico. L’amore non è mai stato scientifico e lui non è mai stato in grado di dominarlo. Si è lasciato travolgere da entrambi e ne è rimasto succube e ora… ora rischia di restare da solo, nella vergogna e nel peccato, senza un futuro. 

«Mi hai tradita e lui non ne ha colpe. Solo tu, Tony. Ne hai solo tu.» Crudele. Crudele perché non pensa davvero che Peter non abbia colpe, a riguardo, ma accusare qualcuno che non c’è più è ancora più crudele. Pepper cerca di tenersi la coscienza a posto ma Tony lo sa che dà la colpa ad entrambi ed è giusto così. Anche se Peter non ha colpa davvero, anche se Peter si è sentito come lei, quando ha saputo che era tornata e che lui aveva deciso di ricominciare da capo. E Peter avrebbe voluto troncare e non proseguire, e invece poi lo ha convinto a restare. E lui, come sempre, è rimasto. 

E pur sentendosi sporco, spaccato e un egoista di merda, Tony non aveva scelto. O meglio li aveva scelti entrambi. 

«Cosa vuoi fare? Stare sola? Vuoi parlarne ancora?», le chiede, quando Pepper si allontana e raggiunge la poltrona. Si siede, si carezza la pancia, come se volesse cancellare quel litigio solo per assicurarsi che Morgan non lo abbia assimilato. Come se potesse giudicare entrambi. Come se potesse odiarlo, e forse Tony pensa di meritarlo, l’odio che ha lasciato crescere in lei quando ha deciso di essere sincero e rovinare ogni cosa. 

«Non lo so che cosa voglio. Non lo so. Non è facile.» 

«Io non sono facile, Pepper. Non sono mai stato l’uomo che credevi.» 

«Lo sei sempre stato, continui ad esserlo e io continuo ad amarti e sceglierti. Anche quando mi fai così male che mi uccidi, Tony. Anche quando sei così crudele che sembra quasi tu lo vada cercando, il mio odio. E io non riesco ad odiarti. Nemmeno per una cosa così. E Peter…» Si ferma. Abbassa la testa e piange ancora, stavolta in silenzio. Vorrebbe dirle che non la vuole uccidere ma che è fatto così, che non è capace a godersi la felicità, nemmeno quando questa è permeata da una vita un po’ fasulla e un po’ no. L’ha salvato da quando lo conosce. Lo ha salvato anche quando è tornato da Titano. Lo sta salvando anche ora che dovrebbe solo cacciarlo via di casa e pretendere quella felicità che lui non è in grado di donarle. Si avvicina. La fronteggia, si piega e la abbraccia. Scende il silenzio, fatto dei solito non detti. Le carezza i capelli lentamente e ne annaspa il profumo dolce che è familiare e un colpo al cuore. Fa male. Pepper fa male, la sua dignità fa male, il suo amore fa male. Persino quel tacito perdono, che gli elargisce con una stretta contraccambiata. 

Mi dispiace, vorrebbe dirle, ma non è capace. E lei lo sa. E lo accetta così.

Non la merita. Non merita nessuno. 
 

 

«Non voglio essere l’amante di nessuno.»

«Non sei l’amante di nessuno.»

Peter sbuffa via una risata, che nasconde malamente un singulto dato dalla tristezza. Ha una lacrima incastrata feroce in una ciglia. Non scende giù, ma nemmeno la ricaccia indietro; con quella fastidiosa dignità che non riesce a tradire, a mascherare dietro a un finto orgoglio. È ferito e Tony lo sa. Lo sa perché è lui che lo uccide ogni volta, gli strappa il cuore e lo disintegra in un pugno stretto, ma che è caldo. Tepore d’amore e violenza psicologica, solo perché lui, una posizione, non la riesce a prendere. Per la prima volta in vita sua non sa scegliere, perché non vuole scegliere. Perché, buon dio è immorale e crudele, ma li vuole tutti e due. Li ama tutti e due. Nessuno meno dell’altro. Come può pensare, Peter, di essere solo un amante…? Lo pensa perché è così; sta con Pepper da una vita e non la lascerebbe per niente al mondo. Ama lui e lo vuole per sé e il destino ha voluto che per Peter sia lo stesso. Sarebbe stato meglio non essere ricambiato. Lo avrebbe dimenticato e basta, invece di assecondare entrambi in un gioco dei ruoli che, da qualsiasi prospettiva lo si guardi, ferisce qualcuno.

Ed è crudele che Peter pensi che lui, tra i tre, non ne stia soffrendo abbastanza; e allora lo accusa di avergli affibbiato un ruolo che non vuole. 

Non è il suo amante. Non lo è nemmeno Pepper. Li ama entrambi, ma è così difficile che questo venga capito e, magari, accettato, che non ci perde nemmeno tempo, a spiegarglielo. La verità è che Peter potrebbe anche capire, ma Tony non ha il coraggio di ammettere niente. Niente di niente.

Entrambi unici, entrambi essenziali. Si sente una merda, uno stronzo, un infame e un traditore. Un egoista del cazzo. 

«No? Mi avevi detto che era finita tra di voi. Te l’ho chiesto così tante volte che ho finito per crederci, a questa stronzata. E invece no, non è finita e io mi ritrovo a fare… dio, non riesco nemmeno a dirlo.» 

«Cosa? Quale ruolo pensi di ricoprire? L’emarginato? Il debole? Il rimpiazzo? Dillo. Qualunque cosa sia, dillo e finiamola qui.» 

«Quello a cui viene promesso che prima o poi sarà l’unico e invece non sarà mai così», risponde, ancora l’ombra di quel sorriso in faccia che è rabbia; pura rabbia, che vibra sul filo di quel labbro teso amaramente da un lato. Peter fa un passo avanti e gli punta un dito contro il petto. Laddove, una volta, c’era un cuore artificiale che lo teneva in vita. «Ma sai qual è la verità, Tony? Che io non voglio che tu l'abbandoni per me. Non se lo merita. Non merita una cattiveria simile, soprattutto da te. Allora, come speravi, mi faccio da parte io e come sempre fingerò che nulla sia accaduto. La cosa paradossale è che questo è ciò che avrei dovuto fare sin dall’inizio, ma sei stato tu a non permettermelo, ricordi?» 

«Cazzate. Non è ciò che voglio.»

Peter sbuffa una risata amarissima, cruda. «Cosa? Ricordare?»

«Che tu ti faccia da parte.»

«Ma che altra scelta ho? Che altra scelta ho?», chiede Peter, più a se stesso che a lui. Lo chiede al resto del mondo, al nulla, a nessuno ma non a lui, ed è ciò che fa più male. Non si fida, non vuole da lui le solite buone parole che sa riservargli per alzargli l’autostima. Facile, quando deve farlo con Spider-Man, ma con Peter e con i sentimenti… è sempre così dannatamente difficile. Così gli infila gli occhi nei suoi e non risponde. Non è la sua domanda e Tony ha una risposta che non può dargli. Non ha il coraggio di dargliela. Allora Peter stringe i denti e lo spintona. Una, due, tre, cinque, dieci volte; poi crolla, con i pugni spinti contro la sua gabbia toracica. «Non voglio essere l’amante di nessuno», mormora, stanco. Finito. Innamorato.

Tony sospira e lo prende per le spalle. Lo stringe, gli bacia i capelli, cade nel baratro con lui, senza mai raggiungere il fondo.

Peter ricambia la stretta, immeritatamente.

«Non sei l’amante di nessuno», ripete, ma sei tutto per me. Siete tutto per me.

 


Fine Capitolo II

 


 
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Note Autore:
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em — Here's the thing: they could have used a picture...
Salve a tutti,
Come va la vita? Ci ho messo due giorni per revisionare questo capitolo, ve lo confesso! La parte di Tony che confessa a Pepper della sua storia con Peter volevo che avesse un impatto realistico e che, allo stesso tempo, i personaggi risultassero IC e spero di esserci riuscita. Nel frattempo, nel passato, è nato qualcosa ma, allo stesso tempo, si è spaccata.
Eh, sì. Perché non è facile accettare di essere l'amante di qualcuno e per quanto Tony non li veda così, loro si sentono dei rimpiazzi... e penso che questo sarebbe il sentimento più forte che proverebbero due persone contese e che sanno che è così. Tony non riesce a dare l'esclusiva a nessuno dei due e loro, di riflesso, vorrebbero egoisticamente averla. Non è stupido, è umano, a mio parere e questa storia è emotivamente di una difficoltà pazzesca, contando che deve reggere le basi di Protocollo, di Blood and Bones e di We are Connected (ebbene sì u.u quell'Harley Keener tra i personaggi non è piazzato a caso ♥).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se vi va fatemi sapere **

 
Un abbraccio a tutti e a domenica prossima ♥
 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.
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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 
 
 
 

proof that tony stark has a heart by Wolfenwarrior101 on DeviantArt


For The Damaged Heart of Tony Stark

 
We lay my love and I beneath the weeping willow. A broken heart have I. 
Oh willow I die, oh willow I die.

-The Innocents - O Willow Waly

 

| Capitolo III


 


          

 

                       Oramai la sua mente è solo un accumulo di energia statica. Si concentra tutta in mezzo alla fronte e, pesante come un’incudine, gli pesa sull’anima. È come se la gravità fosse distorta, in quella casa, a maggior ragione ora che è costretto a viverla da solo – «Per un po’, Tony. Solo per un po’» – e le pareti sembrano una prigione fatta di echi che rimbombano nella testa e gli ricordano solo quanto è solo e dannatamente infame. Fissa il televisore spento, con le dita strette a quella poltrona che lui e Pepper hanno scelto insieme. No, non è vero, le ha lasciato carta bianca. Non è mai stato bravo a scegliere qualcosa che non fosse scientifico o prendere decisioni sbagliate che lo stanno logorando. Ci ha sempre pensato lei, a mettere tutto in ordine nella sua vita, raccogliendo i cocci che lasciava in giro e rimettendoli al loro posto. Questo lo ha sempre reso una statua piena zeppa di crepe, eppure è ancora in piedi. Forse ancora per poco. Forse non per molto. Ha la sensazione che, prima o poi, si infrangerà sul pavimento e, ora che Pepper non c’è, non ci sarà nessuno pronto a ricomporlo. Lui non è mai stato capace a tenere insieme niente. Non ce la fa con ciò che concerne se stesso, figurarsi con i rapporti umani.

Quando suonano alla porta gli salta un battito al cuore. Non dovrebbe sorprendersi, lo ha chiamato lui e sapeva che sarebbe arrivato, ma è solo da troppo e quasi si è pentito di aver fatto quella telefonata.

«Ti va di lavorare su qualcosa?» 

«Certo. Per la salvezza del mondo?» 

«No, sciocchezze. Qualcosa per passare il tempo.» 

E lui ha accettato, senza fare domande, come sempre. 

Si alza da quella poltrona e raggiunge la porta. Quando la apre si ritrova davanti l’immagine sovrapposta di un bambino e quella di un adolescente oramai quasi uomo, che gli sorride con un certo velo furbastro e, tra le mani, stringe un cellulare con lo schermo acceso. 

«Stavo per chiamarti, ci hai messo un sacco ad aprire.» 

«Le prediche le le faccio io, qui, Keener!», cerca di ironizzare e, spostandosi sulla destra, fa cenno a Harley di entrare in casa.

«Permesso!», esclama il ragazzo, mentre si guarda intorno e Tony chiude la porta. Si lascia sfuggire un sospiro, finché fanno qualche passo verso il centro del salotto.

«Ci sono solo io», risponde, atono e Harley si gira a guardarlo, mentre ripone il cellulare nella tasca posteriore dei jeans scoloriti.

«La signorina Potts? No, aspetta, la signora Stark, oramai!» 

Tony non ha idea se Pepper voglia ancora esserlo, dopo quello che è successo, ma non ha voglia di spiegare a Harley i loro trascorsi. Specie perché non ha ancora superato l’idea che quel ragazzino sia cresciuto e che non sia più un bambino geniale che costruisce una pistola spara patate e che gli insegna a tenere a bada un attacco di panico. Non è semplice, da mandare giù, che il mondo nel frattempo è andato avanti e che le persone, intorno a lui, continuano a cambiare senza che lui possa farci niente. E non può fare a meno di pensare che è passato più di un anno da quanto Thanos ha schioccato le dita e che Peter avrà diciassette anni per sempre. Non vedrà il mondo mutare, non vedrà la vita scorrere, non avrà l’onore di trovare il primo capello bianco o la prima ruga a contornare il suo sorriso. Non studierà, non lavorerà mai, non sarà mai più Spider-Man e, non meno importante, smetterà di essere l’errore più grande che gli sia capitato di fare. Ma Tony lo sa, che quel senso di colpa se lo porterà dietro fino alla tomba. Ed è giusto che sia così.

«No, io e Pepper abbiamo… preso una specie di pausa. La gravidanza, la situazione e altre problematiche insorte, niente di irrisolvibile, ma per ora sono qui da solo.» 

«Oh», è il solo commento di Harley, che sembra capire e non capire, o forse finge di non averlo fatto. Tony ha sempre la sensazione che il mondo intero conosca i suoi peccati e sia pronto a giudicarlo finché non andrà all’inferno ad espiare le sue colpe, ma fino a quel momento la realtà è questa. Che gli piaccia o no, dovrebbe smetterla di vedere tutto come se non stesse accadendo davvero e, magari, Harley è quel ponte che serve a riportarlo dove deve stare: sulla terra e non su Titano. Tra le braccia di chi c’è ancora e non tra quelle di Peter.

«Ho trovato un vecchio elmo di una vecchia armatura. Ci sono alcuni circuiti che si sono arrugginiti, altri sono troppo vecchi e volevo sostituirli», spiega, e gli fa cenno di seguirlo di sotto, lungo una scalinata di legno che scricchiola ad ogni passo – la notte gli sembra persino di sentire dei passi e no, non ha paura dei fantasmi, ma ha solo racchiusa nel cuore la speranza di veder tornare qualcuno che ha deciso di perdonarlo. 

«E volevi un po’ di compagnia», afferma Harley. Traduce i suoi bisogni, nascosti in sterili spiegazioni distaccate dal mondo. Lo dice con la sua solita schiettezza che, con la crescita, ha reso un po’ più spinosa e appuntita. Dolorosa, certe volte. Gli ricorda se stesso, ogni tanto, e la cosa non lo fa esattamente impazzire. Spera che non diventi sbiadito e accartocciato come lui, perché Harley è meglio di così. E a volte pensa, con quel sentimentalismo un po’ distaccato che lo contraddistingue, che forse lui e Peter avrebbero potuto instaurare un bel rapporto d’amicizia, in qualche modo. 

Peccato che non lo scoprirà mai. 

Non risponde a quella frase, accende solo la luce di quel laboratorio meno sfarzoso di quanto dovrebbe essere e, al centro della stanza, campeggia quello che è un elmo vecchio, uno dei primi, e che ha ritrovato in uno scatolone pieno zeppo di cianfrusaglie che forse avrebbe solo dovuto buttare. 

Harley si avvicina e la studia, poi la prende tra le mani. «E tu non vuoi più essere Iron Man», commenta.

«Per ora.» Non dice altro, ma almeno lo fa con un sorrisetto dei suoi. Si sente per un attimo libero dal tempo che lo bracca, ma poi tutto torna come al solito, passivo e sbiadito, quando Harley lascia la maschera e raccoglie tra le dita quella foto che Tony non riesce a nascondere ma nemmeno a guardare, che però è appoggiata al tavolo da lavoro, come se non potesse trovarle un posto migliore di quello. 

«Potresti anche farlo, un sorriso, ogni tanto», ironizza Harley, inconsapevole del dolore che quel piccolo scatto gli provoca nel cuore. Tony si avvicina e gliela toglie delicatamente dalle mani; la guarda fingendo distacco, ma c’è troppo da dire e non sa come dirlo. «Quello è Peter?», gli chiede il giovane, e solo sentire quel nome lo uccide un’altra volta. 

«Sì, è Peter», risponde, poi la porta altrove, la mette su uno scaffale a faccia in giù. Non la vuole più guardare, quella maledettissima foto. Non vuole più che gli capiti tra le mani. Non la vuole più tra i filamenti distorti dei suoi ricordi, eppure lei torna sempre a riempire i suoi vuoti, insieme a incubi che non riesce a scacciare – di quel giorno su Titano in cui lo ha perso, e quelli di una realtà che non gli appartiene più e che se n’è andata via con Peter.

«Immagino che la sua famiglia sia molto addolorata, per la perdita.»

«Viveva con sua zia. È sparita anche lei. Almeno non ha dovuto fare i conti con quel fatto e io non l’ho dovuta informare che è morto», tra le mie braccia.

Harley fa un suono strano con la bocca e quando Tony torna a guardarlo, lo trova con un sopracciglio alzato. Giudizio e delusione, infilati in iridi celesti che non hanno filtri che nascondono la verità. «Dio, Tony, la sensibilità è proprio un pregio che ti manca.» 

Lui alza un sopracciglio. Un sorriso schifoso gli compare sul viso. Lo sente tirare. È forzato come la sua vita. «Ne sei sorpreso?» 

«Decisamente, se scendo quaggiù e mi ritrovo davanti la foto tua e del tuo pupillo vicino alla testa staccata di una tua armatura. Pensavo fosse più importante di così. Ci trovi sempre il lato positivo, ma nel modo più macabro possibile.» 

«Si chiama ammettere la realtà e non lasciarsi illudere.» 

«Che non tornano?»

Che non tornano. «Che non c’è soluzione. E non ti ho chiamato per parlare di questo», risponde duro. Lancia un’ultima occhiata allo scaffale e poi raggiunge il centro del tavolo. Prende un cacciavite e glielo porge, mentre Harley segue ogni suo gesto con una certa riluttanza nei suoi riguardi. Spiazzato. Ecco cosa gli legge in faccia. 

«D’accordo, okay. Pensavo che fare conversazione facesse parte del gioco. Non mi hai chiamato solo per schiavizzarmi, ma anche per un po’ di compagnia, no?» 

«Non ho mai ammesso che fosse per questo. Voglio svecchiare la maschera e basta. Mi puoi parlare dei tuoi progetti, di cosa combini, come va la vita ma non c’è motivo di parlare di quello che è successo un anno fa. È inutile, è come parlare del niente.» 

Harley gli strappa via il cacciavite dalle mani e inizia a svitare un chip particolarmente arrugginito. Ha di certo già individuato le parti da sostituire. Dopotutto è sempre stato bravo, con quella roba. 

«Del niente? Metà universo è sparito e tu me lo chiami niente?»

«Non mi piace parlare di cose che non hanno una soluzione. Sono più pratico che nostalgico.» 

«Ci potrei anche credere, se non sapessi che tu eri lì e che sai più di quanto saprebbe chiunque. Una cosa così non si cancella. Crederei di più al fatto che non ti va di parlarne e basta, piuttosto che non te ne freghi un accidente.» 

Colpito. Come se un colpo di pistola lo avesse appena trafitto da parte a parte, dritto in fronte, in mezzo agli occhi. Ma sono solo verità. Scomode, ma sono verità. Gli importa, e siccome gli importa sta perdendo tutto, per questo. Qualcuno una volta gli ha detto che nulla accade a caso, e aver chiamato Harley proprio adesso forse era un modo per convincerlo a tirar fuori tutto e sfogarsi. Parlarne. Ammettere colpe, realtà e sensi di colpa. Almeno con qualcuno. Qualcuno che magari non ha alcun interesse nel giudicarlo davvero. 

«Siamo tutti sulla stessa barca, Tony. Inutile non ammettere che stiamo affondando, perché il mondo sta andando a rotoli. La guerra sarà pure finita, persa, ma Dio, quanto accidenti ci ha portato via, in un secondo?»,  continua Harley, e non smette di svitare componenti e poggiarli sul tavolo, in un modo tanto automatico quanto maturo. Non mette nemmeno più la lingua tra i denti, mentre lo fa, come era solito fare da bambino. È grande, un uomo, un adulto, capace di pensare, avere un giudizio e esternarlo tra altri adulti che vogliono – devono ascoltarlo.
Lo vede crescere in un attimo e quasi gli sale il magone. 

Scende il silenzio e Tony non lo sostiene. Vibra, ferisce, fa troppo rumore. Poggia i palmi aperti sulla superficie del tavolo e guarda il vuoto. Il suono delle viti che si sfilano cessa e Harley lo guarda. Non dice niente, aspetta e forse sa che è il momento di tacere e di ascoltare. Un adulto fa anche questo: ascolta.

«Non c’è soluzione. O almeno per ora non ce n’è una. Gli altri stanno cercando un modo per riportare indietro chi è sparito, ma non ne hanno trovata una. Continuano e nemmeno falliscono, perché non c’è niente su cui fallire. Non c’è modo di trovare niente che valga la pena di rischiare un tentativo.»

«E tu, intanto, che cosa hai fatto?» 

Niente. Ho cercato di rimettere in riga la mia vita, di farmi una famiglia e quando ci sono quasi riuscito l’ho fatta cadere e l’ho ridotta in mille pezzi.

«Niente. Non c’è soluzione, cosa avrei dovuto fare?» 

Harley sbuffa e guarda altrove, già stufo delle sue scuse. «Cristo, Tony, sei tipo la persona più geniale del pianeta! Impossibile che non ti sia venuto in mente nulla!»

«Solo idee che non portano a niente e dove ci sono troppi rischi per metterle in atto.»

«E da quando tu ti poni certi limiti?» 

Da quando ho già perso abbastanza e non voglio perdere altro. 

«Da quando le cose si sono fatte più grandi di quel che potessimo credere.» 

«E quindi non ci provi nemmeno a riportare Peter indietro?» Tony non è certo che Harley abbia detto così. Forse è la sua mente che ha focalizzato quella frase solo ed esclusivamente su Peter – forse ha detto tutti quanti – perché, egoisticamente, è solo lui che vorrebbe portare indietro. Anche tornasse solo lui andrebbe bene così, non gli interessa un accidente del resto dell’universo. Se fosse sparita anche Pepper? Sì, vero, avrebbe voluto riportare indietro anche lei, ma solo loro. Nessun altro. Basta così, il suo mondo è questo. Era questo. Pepper, comunque, alla fine l’ha persa lo stesso.

«No», risponde solo e, senza aspettare alcuna risposta, va a recuperare una scatola piena zeppa di componenti nuovi da posizionare in quella testa vuota; in quella maschera che sa non indosserà mai più. 

Quando torna, Harley ha già smesso di fare domande. Forse ha capito, forse non vuole più discutere con un muro. Si è aperto un po’, ma poi si è chiuso inesorabilmente non appena le cose sono diventate scomode. Un vizio che ha sempre avuto e che, con gli anni, è solo peggiorato. Così tanto che è come un vestito buttato addosso con colla a presa rapida e pungiglioni a ferirlo. 

Non si esporrà mai più. 

 

 
 

«Io e la classe andiamo al MoMa, domani. Non venire a prendermi, quindi.» 

«Non ne avevo alcuna intenzione!», risponde, alzando gli occhi dalla sua rivista di auto sportive, che decisamente stava consultando con troppo interesse rivolto verso un nuovo modello di ibrida niente male. Uno spunto per crearne una sua, migliore di quella, e metterla sul mercato.

Peter gli dà una gomitata sul braccio, quando gli passa accanto con un bicchiere di spremuta stretto tra una mani e un fumetto nell’altra. Ridacchia fintamente indignato, poi gli si siede accanto, su quel divanetto di pelle nera nel suo studio del complesso. Un pomeriggio di relax, dopo aver passato tutta la mattina a lavorare sulla tuta di Spider-Man e a non parlare più di Pepper, del suo ritorno, e del fatto che Tony stia facendo quello che tutti chiamano un doppio gioco, solo perché non ha il coraggio di chiudere con nessuno dei due. 

Peter si accoccola sulla sua spalla, e quando alza la testa gli ruba un bacio sottile dalle labbra, prima di tornare a guardare la sua rivista, senza nemmeno vederla.

Sembrano tranquilli, immuni al dolore, ma Tony la sente un po’, quella tristezza che Peter si porta dietro da quando sa. Peter non è felice che Tony lo condivida con Pepper, ma egoisticamente anche lui non vuole che tra loro le cose cambino ancora e tornino – anzi, tentino di tornare – al passato. Quando erano solo un mentore e un allievo e nient’altro che due anime costrette comunque a non staccarsi mai. In qualunque caso. 

Tony non ama pensare che il destino sia già scritto, ma forse Peter, in quel percorso arduo che ha intrapreso, è destinato a starci in ogni modo possibile. Per ora, però, non ha intenzione di cambiare le cose. Sente che non è il momento e, in certi casi, forse il momento non lo è mai. 

«Che gran rottura di palle, il MoMa», commenta, in tono fintamente ostico e sente Peter alzare le spalle, accanto a lui.

«Non ci sono mai stato.»

«Non è una di quelle esperienze culturali necessarie. Un mucchio di roba spacciata per arte, buttata in stanze gigantesche senza alcuna logica. Loro cercano di convincerti che ci sia, ma credimi, non c’è.» 

«Ah, sei anche un critico d’arte. Non lo sapevo!» 

«La scienza è anche arte, Parker. Quando capirai che ti basterebbe ammirare il mio operato, per vederne un po’, io ti avrò già proibito di entrare nel mio laboratorio», ironizza, e Peter ridacchia. Gli occhi fissi su quel fumetto tutto colorato.

Peter ridacchia e gli si infila nelle ciglia, che Tony sbatte veloci mentre lo guarda e, inesorabilmente, se ne innamora di più ad ogni istante. Lo fa stare bene, lo fa sentire vivo, gli fa provare sensazioni che aveva dimenticato e, vinto, non può far altro che restare aggrappato alla sua anima e lasciarsi salvare ancora, e ancora, e ancora…

E nemmeno sa che, quel viaggio al MoMa, Peter non lo farà mai. Ne intraprenderà un altro,  su Titano, per non tornare mai più.

Forse se lo sente, che qualcosa non andrà per il verso giusto, e allora Tony tira fuori il telefono e decide da solo che quella sera può pure non tornare a casa, e le manda un messaggio. Non chiede nemmeno a Peter cosa vuole. Sa che gli dirà di sì, che vuole restare con lui e che, domattina, a scuola, ce lo porterà lui. Lo lascerà come al solito ad un isolato prima, perché Peter non vuole che gli altri li vedano. Non perché se ne vergogni, ma perché non gli piace che la gente lo veda come il privilegiato che non è. 

«Resto al complesso, stasera. Non mi aspettare.»

E lei risponde, con un cuore. «Non lavorare troppo.»

Non risponde. Come sempre. Non che sia una novità. Poggia la testa su quella di Peter, ignaro e vuole che lo rimanga. Fissa il vuoto e si lascia corrodere. E domani, non lo sa ancora, sarà consumato del tutto come una candela che non ha più nulla da bruciare.

 


Fine Capitolo III

 


 
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Salve a tutti,
Come butta dalle vostre parti? Ah, io sono particolarmente euforica (RAGAZZI SONO VERAMENTE EUFORICO) e il motivo è che ho vinto i Wattys e lo so che chi si loda si imbroda ma sono feliciah, quindi sopportatemi DAI XD 
Ma passiamo a noi! Non so quanti di voi siano rimasti contenti del RITORNO di Harley, ma io lo sono un bel po' e lo reputo un personaggio fondamentale in questo mio headcanon dove Tony si distrugge piano piano, senza trovare un equilibrio – non c'è alcun rapporto al di fuori di quello della fiducia, tra loro, un'amicizia, una crescita e Tony NON vede Harley come un sostituto di Peter sotto l'ambito sentimentale... quindi vi prego, non shippateli in questa storia çç! La sua schiettezza la trovo quasi una cura a tutti i mali e scrivere di lui è sempre un maledetto piacere. Dovrei dargli più spazio ç_ç
E... nel passato l'amore continua a crescere e a logorare queste due anime che, boh, ma che gli volete dire? Ma quanto sono tutta la mia esistenza? Ma quanto mi fanno soffrire? Ma quanto li amo da 1 a schiocco di Thanos che dimezza la terra? Sono tutto ç_ç
Ma mi sa che lo avevate capito!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate **
A presto!

 
Un abbraccio a tutti e a domenica prossima ♥
 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.
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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 
 
 
 

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For The Damaged Heart of Tony Stark

 
We lay my love and I beneath the weeping willow. A broken heart have I. 
Oh willow I die, oh willow I die.

-The Innocents - O Willow Waly

 

| Capitolo IV


 


          

 

In attesa che il sole tramonti e la notte cali sul mondo col suo velo bucato di stelle, Tony lascia scivolare la mano sulla spalla di Peter. Si compiace di un leggero mugolio di approvazione dell’altro, mentre gli accarezza poi il braccio e lo stringe di più a sé, come se la notte potesse, in qualche modo, portarglielo via. Non ha idea del perché, da qualche ora, un pungente bisturi lo stia aprendo in due dall’interno, lentamente. Gli fa male la bocca dello stomaco e cerca di controllare quel dolore con respiri più lunghi del solito, perché quella sensazione lo bracca, come se lo scheletro della sua coscienza gli stesse stringendo le dita ossute intorno alla testa. Una trappola fatta di paura. Non sa perché, ma la avverte dentro, come un peso. Il corpo risponde a quelle sensazioni come se sfogasse i suoi non detti al posto della sua bocca. China la testa e bacia quella di Peter, e sente per un secondo – quello in cui le sue labbra toccano il profumo dolciastro della cute dell’altro – di nuovo le cose appianarsi. Una sensazione che dura troppo poco, il tempo di un secondo, poi è di nuovo dolore. Non lo sopporta, ha bisogno di dimenticarlo. O di capire. 

Ma Tony lo sa, che forse non ha mai capito davvero cos’è che lo distrugge. Forse tutto. Forse niente.

Peter alza la testa; gli lascia ammirare la folta corolla di ciglia; la sbatte lentamente e ogni secondo il suo sorriso diventa più largo, ma la sua malinconia pare una sinfonia distorta che si alza di due terzi ogni secondo che passa. Finirà per ferirgli le orecchie. 

«Vado a casa, si sta facendo tardi», dice, e tutto si rompe nel suono di un vetro infranto. Non è un vetro, né un coccio distrutto, è il cuore di Tony che rimbalza nella gabbia toracica e perde battiti. Si riempie di crepe, rumorose e dolorose. 

Se ne va perché non vuole restare con chi lo condivide. Tony lo sa, lo pensa, ma non lo dice. Perché è vero. Perché ha il diritto di non sentirsi a suo agio, con lui, ora che sa quello che sa. 

«Pensavo restassi al complesso, stanotte», gli dice, calmo e quando Peter si alza da quel divano, lui lo occupa interamente, come se inconsciamente non volesse lasciargli più spazio per tornare a stargli accanto. Poggia una gamba sul ginocchio, chiude gli spazi. Allarga le braccia sullo schienale, e mette su la barriera di perenne distacco che non vorrebbe lo abbandonasse mai; persino con Peter.

L’altro accenna un sorriso e alza le spalle. Non dice niente, perché Tony lo sa che non sa cosa dire. Oppure sì, ma non vuole. La non comunicabilità è un difetto che li accomuna, perché ci sono delle cose che rimangono in fondo all’anima e maturano, poi esplodono, e rovinano le cose. 

La loro relazione è una di queste.

«Dunque non resti?», lo incalza.

Peter prende la giacca blu poggiata su una sedia e la infila, poi recupera lo zaino e lo mette in spalla. Minuti interi, lentissimi secondi che non passano mai e non colmano quei silenzi. Peter non parla e Tony si sente sempre più lontano. 

«No, preferisco di no», dice Peter, solo, alla fine. Non si avvicina e non scappa via, resta lì, al centro della stanza. Le mani strette tra loro davanti alla pancia, mentre si tartassa pellicine attaccate a dita martoriate dai morsi. 

«Perché non vuoi?» 

«Perché non me la sento. Non oggi.» 

La doccia fredda arriva. I non detti sono una loro peculiarità, ma Peter è sempre quello più propenso a parlare per primo. Tony ha il vizio di celare tutto, e fingere che vada bene ogni cosa. Non è così. Per nessuno. Per lui specialmente.

Non si alza da quel divano. Schiocca la lingua in un suono che lo infastidisce, e vorrebbe non averlo mai fatto. È come il click di un interruttore che lo trasforma in Mister Hyde

«Non te la senti? E allora perché questo pomeriggio sei venuto qui?» 

«Tony, è diverso. E non me la sento, ora. Non me la sento di restare stanotte. Mi dispiace, non ho nessuna intenzione di farti arrabbiare o chissà che altro, ma preferisco così.»

«Preferisci scappare senza dirmi perché non te la senti? Non ti sto dicendo di restare, non è da me costringere nessuno a fare quello che voglio», dice, e Peter alza le sopracciglia, visibilmente scosso da quella bugia. Perché è una bugia. «Sai cosa intendo, in certi casi non sono così. Sei libero di andare quanto lo sono io di sapere il perché.»

«Lo sai, il perché. Non c’è bisogno di tornare sull’argomento, perché sarebbe inutilmente sciocco e triste. Mi ci vuole tempo. Per capire cosa voglio.»

«Tu lo sai, cosa vuoi. O non saresti qui con me», ribatte Tony e Peter fa un passo avanti, dopo una breve pausa che ha passato a mordersi il labbro inferiore. 

«Certo che lo so, ma non così. Tony, non è così che voglio. Non mi piace come mi fa sentire questo tuo… averci entrambi

Tony allora si alza, e lascia la sua prigione comoda fatta di cuscini morbidi e odori impressi di una colonia giovanile. Lo raggiunge a lunghi passi, lo fronteggia e non dice niente. Lo guarda, e non sa che dire. Lo sa che il motivo è quello, lo sa che Peter non si sente di proseguire, che probabilmente prima o poi se ne andrà e si sforzerà di fingere che nulla sia successo. Lo sa, perché succederà lo stesso a lui, quando prenderà quella decisione. Perché Peter è troppo giusto e Tony… Tony dopotutto si sente in colpa per entrambi ogni giorno di più, eppure non sa scegliere e non smette di averli entrambi.

«Non farlo», lo supplica Peter, corrugando la fronte e lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, stanco. Stanco di tutto, di pensare, di credergli, di amarlo. Stanco di dover fingere che quella storia non li stia distruggendo. Tutti e tre. 

«Fare cosa?», chiede, con un filo di voce rauca, prima di sospirare e fare un altro passo avanti. Peter indietreggia e il cuore fa un altro crack.

«Questo. Tentare di farmi restare.»

«Non tento di farti fare niente che non vorresti, Peter.» 

«Allora fermati. Per favore. È difficile per tutti e due, e lo so, ma non… farlo. Non farle questo. Per favore. Non a lei. Non se lo merita.» 

Si richiudono per un attimo in occhi stanchi, così carichi di domande che fa quasi paura, vederle spuntare apertamente tra le ciglia e non trovare, lì nel mezzo, nemmeno una risposta. Nemmeno una. Solo domande. Sempre e solo domande. 

«E allora cosa vuoi fare?»

«No, tu cosa vuoi fare. Io ho scelto e so cosa voglio. Non ho vincoli, ne terze persone a cui spaccare il cuore. Tu invece sì. Sta a te, Tony. Che cosa vuoi fare?»

«Non lo so!», esclama, duro, e quando fa un altro passo avanti Peter ne fa due indietro, e legge la paura nei suoi occhi, solo per un attimo, poi sparisce e la sostituisce con la tenacia, la rabbia, l’amor proprio.

«Non possiamo lasciare che le cose vadano avanti in questo modo senza che tu prenda una posizione! Non possiamo, e lo sai e io non voglio proseguire così! Non resto, non me la sento e non voglio rovinare la vita di nessuno.»

«Non stai rovinando la vita a nessuno, dannazione! Pensi che solo per te sia difficile?»

«No! Certo che no! Ma la scelta spetta a te e quello che non voglio che tu faccia è rinunciare a qualcuno che ti è stato vicino per dieci anni, che continua a farlo, ignara di quello che succede alle sue spalle. Io non sono così, e nemmeno tu! Mi serve che tu mi dica che sceglierai… e che sceglierai lei, perché io non… io non sono niente.» 

Non è vero. Non è vero. Non lo è mai stato, niente. È sempre stato tutto, sin dal principio, sin da quando lo ha scansato milioni di volte e lui si avvicinava sempre di più. Se solo fosse semplice scegliere… se solo fosse semplice non farlo…

«So che non è semplice, per quanto non lo ammetterai mai, ma… non farle questo; sceglila e non ne parliamo più. Farà male, ma andrò avanti. Come sempre. Ma è la cosa più giusta.»

Andrò avanti. Parla sempre per sé, come se a Tony tutto questo non facesse abbastanza male; come se quella decisione non la stia prendendo perché si diverte così, ad avere entrambi perché può. 

 


Quel fottuto televisore. Quel dannato, schifoso televisore. Si ritrova a fissarlo, spento, mentre il riflesso del vetro gli restituisce la sua immagine e vorrebbe solo cancellarsi dalla terra con uno schiocco. Quello stesso che ha fallito nel portarselo via, e si è preso tutti gli altri. Ha le dita strette intorno ai braccioli della poltrona, e il collo che gli duole per quanto lo sta tenendo in tensione in questi giorni. Non c’è un momento di pace, non esiste un solo istante in cui i pensieri smettono di vorticare come trombe d’aria fatte di lava, nella sua testa. 

Sente ogni suono ovattato che rimbomba nelle orecchie, e al di fuori del cottage di solito regna il silenzio assoluto, quello che spacca tutto; perché il silenzio – Tony lo sa – fa più male di qualsiasi altra cosa. È in grado di spalancare porte della memoria che avrebbe preferito tenere sopite, chiuse, sigillate al di sotto della sua corazza. Ma non è Iron Man da un po’, e la sua armatura non protegge comunque dai sentimenti e dai sensi di colpa. 

Vorrebbe alzarsi, prendere una bottiglia qualsiasi dell’alcol più forte, e scolarsela fino a sprofondare nelle viscere schifose dell’inferno, la sua casa. Il luogo a cui è destinato da sempre, e è inutile che cerchi redenzione. Lo ha fatto per anni, senza mai riuscirci davvero. Ogni volta che ha aggiustato qualcosa, poi ne ha rotte molte altre, incapace di rimettere insieme i pezzi. Ed ora è la fine. La fine di tutto. Ha perso ogni cosa: un’identità, la donna che ama, il ragazzo che ama, una figlia che non vedrà mai e un obiettivo. Ha sfasciato tutto, perché non è in grado di tenersi strette nemmeno quelle poche cose che è riuscito a guadagnarsi nella sua miserabile esistenza. 

Poi il campanello suona – il lieve accenno di ruote sul brecciolino sfuma via lentamente, e Tony ha bisogno che qualcuno lo sproni ad alzarsi e di trovare il coraggio per aprire e affrontare chiunque sia alla porta. Ma lo sa, in fondo al suo cuore, che è lei. Che è tornata, che forse l’ha pure perdonato e lui nemmeno lo merita. 

Si alza in piedi con una fatica che gli costa tutto. 

Quando apre si sente quasi in colpa ad averci indovinato. E Pepper lo guarda, con il labbro inferiore stretto tra i denti, il pancione più grande di quanto ricordasse e, negli occhi, infilato un perdono a metà, che è molto più di quanto Tony possa sperare. 

Lei lascia cadere le valigie a terra, sul pianerottolo. Fa così freddo, là fuori, che se non la farà entrare immediatamente, le verrà un accidente. Ma non è il momento per nient’altro che sguardi che parlano al posto delle parole, e di silenzi che fanno quello che nemmeno un miracolo potrebbe compiere.
Pepper lo abbraccia; affonda la testa nel suo petto e respira lacrime. Tony la stringe; le carezza i capelli. Profumano, come sempre, di cocco e vaniglia. Il profumo di Pepper; lo sentiva persino in casa, in quei giorni vuoti, e ora lo ha impresso addosso come una maledizione. 

Forse, chissà, un giorno lo perdonerà per tutte le cose che ha fatto e tutte quelle, invece, che non ha fatto. 

 


«La verità la sappiamo tutti e due: non sceglierai.» Si ritrae con la testa. Niente più baci sulle labbra, per quanto Tony continui ad avvicinarsi al suo viso per reclamarne un altro. Ma Peter non vuole. O forse vuole, ma si impone di non volerlo. 

Tony abbassa gli occhi e osserva la sua bocca, poi sale e incrocia le sue costellazioni color nocciola e non parla. Resta chiuso in silenzi ingiusti, e vorrebbe lasciare che la mente si sciogliesse e che ogni cazzo di cosa che gli passa per la testa venisse fuori senza più trattenerla. 

Peter gli permette di perdersi ancora per un istante nei suoi occhi, poi sospira e gli stringe le braccia all’altezza del gomito, mentre Tony ha le dita serrate intorno ai suoi fianchi, come se non volesse lasciarlo scivolare via. 

Peter inclina la testa; gli concede anche un bacio, lungo, spezzettato da piccoli momenti dove si dividono e si guardano, si cercano, si parlano in silenzio e poi tornano a baciarsi. Peter si alza leggermente sulla punta delle scarpe da ginnastica consumate, per colmare quei sei centimetri che li separano e, di nuovo, si stacca. Arriccia le labbra, lentamente. Tony pensa che stia registrando il suo sapore, come se fosse l’ultima volta che lo sente addosso. 

«Buonanotte, signor Stark», dice solo, con la voce talmente bassa che Tony non sa nemmeno come ha fatto a sentirlo. Peter si stacca, lo allontana gentilmente, poi sparisce dietro la porta – la socchiude, lasciando a Tony la responsabilità di tutto, di scegliere, di lottare e di cadere. Stavolta da solo, come tanto tempo fa. 

Non ricordava che, quella sensazione di vuoto nel cuore, facesse così male.

 

 

Fa male al cuore averla vicino e non sapere cosa fare: se fingere che niente sia successo o se affrontare la cosa, ma non è mai stato bravo, in quello. È goffo, sebbene sia sempre stato un grande intrattenitore. Solo con gli altri, mai con chi ama. Perché, dopotutto, con loro fingere è sempre stato difficile.

Le carezza la pancia, mentre la stringe tra braccia, seduti su quel divano e poi, lento, le lascia un bacio tra i capelli. 

«Ho gli avanzi di un pollo arrosto di ieri, per cena», esordisce, cercando di mantenere il suo tono di sempre, che rimbomba però di una normalità che non è più sua.

«Ed io ho portato una teglia di lasagne; non hai mangiato quasi mai, Tony. Sei dimagrito.» 

«Era anche ora che accadesse! Da quando sei incinta, mangio per tre!», cerca di ironizzare; lei alza la testa e gli posa una mano sul petto. Sorride leggermente, e dietro quel gesto c’è anche una delusione che non è sfumata via. Tony la prende in faccia come uno schiaffo; gli fa male lo stomaco, ma finge che vada tutto bene. Dopotutto, almeno, ora sa che può ancora provare qualcosa, in quel cuore arido e spento. Danneggiato. 

Pepper fa finta di niente; non rimarca ancora su quel suo digiuno dato dal fatto che è satollo di altre cose: tristezza, paura, angoscia, senso di spaesamento che lo devasta e lo annichilisce. Pepper sa sempre quando deve fingere che qualcosa non ci sia davvero e, malgrado non meriti quella premura, lo fa. Gli lascia un bacio sulla guancia, poi si alza in piedi con fatica. La pancia inizia a pesare, sei mesi e mezzo di gravidanza sono un passo sempre più vicino al capolinea e, quando pensa al miracolo che si compirà, Tony riesce quasi a dimenticare tutto il resto, come se Morgan fosse una magia che fa sparire ogni cosa. I bambini sono magici, più di tutto l’attesa del loro arrivo.

«Vado a scaldarla.» 

«Ti do una mano.»

«No, non c’è bisogno», lo ferma lei, alzando una mano.

«Voglio dare una mano», ripete lui e si guardano per secondi interminabili, quando poi si alza in piedi e la fronteggia. 

Fammi sentire utile, necessario. Fammi sentire che mi vuoi ancora al tuo fianco. 

Pepper capisce e gli sorride. Pepper capisce sempre e, inesorabilmente, gli dà tutte le possibilità del mondo per rimediare ai suoi errori. 


 


 

Si è addormentato sul quel divano; una mano sulla fronte e una sul cuore, forse intenta a capire se batte ancora o se è davvero fermo come crede. È sonno agitato, pieno di oscure ombre e vibrazioni fastidiose. Peter se n’è andato, l’ha lasciato solo e probabilmente tra loro le cose non saranno più come prima. 

Non ha alcuna voce in capitolo, perché sa che ha ragione; che quello che sta facendo è immorale, stupido, ingannevole e, deve ammetterlo, per nulla da lui. Non avrebbe mai voluto contenderli, non avrebbe mai voluto amarli entrambi. Quando Pepper è tornata non è stato capace di allontanare nessuno dei due dalla sua vita: troppo necessari, gli unici che lo fanno sentire vivo, che gli fanno sentire dentro ancora una fiamma che brucia di vita, e non solo di arroganza e solitudine. È l’uomo più egoista della terra, e il meno etico. Ha deciso di averli entrambi ben sapendo che anche loro hanno diritto di scegliere se la cosa sta bene loro oppure no. Ed è ovvio che non stia bene a nessuno dei due, che l’amore è una cosa diversa per ognuno e che, spesso, si catalizza su una sola persona, e la si lascia splendere immensamente come se fossero custodi di qualcosa di così prezioso da non poterlo perdere. 

L’amore non si può perdere, perché quando svanisce spacca tutto; ogni cosa. Spacca il cuore e la ragione, e diventa una prigione aperta dalla quale non si può comunque uscire. 

Poi sente un peso addosso, sullo sterno. Qualcosa che gli comprime il corpo, e lo scalda. Apre gli occhi e una massa di capelli castani gli blocca la visuale. Profumano di Menta e gomme da masticare alla fragola. Profumano di giovinezza. Profumano di Peter.

«Sei tornato, alla fine», dice, con un mezzo sorriso, ancora impastato di sonno. Gli arruffa i capelli e quel tocco è lontano.

«Mi serve calore», risponde Peter, e non alza mai la testa per guardarlo. Lo stringe, gli accosta l’orecchio al petto e gli ascolta il cuore. Ora anche Tony è in grado di sentirlo. 

Si addormenta con la mano infilata nei suoi capelli, ma  la mattina dopo, quel peso sul petto, non c’è più. Come Peter, svanito come un sogno che si frammenta in mille pezzi dopo un brusco risveglio. 

Forse Peter non c’è mai stato; forse lo ha solo sognato. O forse è solo scappato dalle sue bugie. 

 

 


Fine Capitolo IV

 


 
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Ma salve a tuttissimi!
Come state? Mio dio, quando si pubblica con regolarità sembra quasi che il tempo viaggi al doppio della velocità e non posso crederci che siamo già arrivati a fine dicembre e al quarto capitolo di questa storia (che si concluderà con il prossimo). Che dire? È una grande sfida, questa storia, perché per prima non voglio che questo "avere entrambi" di Tony sia visto come un argomento stuzzicante, che piaccia, che sia il motivo per il quale viene letta. Forse l'ho già detto in altre occasioni, ma Tony non è fiero di quello che sta facendo e nemmeno io lo sono di lui. Ma il canone è il canone e va gestito al meglio, per questo questa storia mi spaventa tanto e, ogni cosa, sembra un cristallo fragile pronto a spaccarsi e rovinare tutto. 
Spero di non aver (ancora) rovinato niente, trattando di questi argomenti un po' complessi, della vita di un uomo che non sa scegliere.
 E spero, sempre, che sia un degno prequel di Protocollo ♥
Vi do appuntamento al prossimo capitolo e grazie a tutti quelli che hanno dedicato del tempo a leggerla e a recensirla o che l'hanno inserita nelle liste ♥ Grazie di tutto ♥

 
Un abbraccio a tutti e a domenica prossima ♥
 
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Capitolo 5
*** Capitolo V. Epilogo. ***


Questa storia fa parte della raccolta di One Shots “Tales About a Spider Kid and an Iron Guy”.
 
 
 
 
 

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| Capitolo IV



 


          

 

                   Non c’è speranza. Non c’è mai stata. Forse mai ci sarà.

Eppure Tony, quel senso di calore nel petto, non lo sentiva da tempo. Forse da quando Morgan è nata. Forse si ripresenta come un’esplosione nel petto ad ogni suo sorriso, ma poi svanisce e non resta. Non gli interessa capirne l’origine, sa solo che certe volte sente la mancanza di quella sensazione che forse, un po’ di speranza, la accende.

Da quando Steve, Nat e Scott sono andati a trovarlo nella sua nuova casa – non sono invecchiati di un giorno – e li ha liquidati con la scusa che la vita che conduce è perfetta così, e non ha bisogno di scossoni, terremoti, cambiamenti, comunque Tony ci pensa. Pensa all’impossibile. Pensa che, nelle parole di Ant Man, pur essendo risuonate come una mera pazzia, hanno al loro interno delle probabilità, e non retoriche, ma matematiche. E, a quanto pare, è proprio questo a spaventarlo di più.

Ha iniziato a dubitare di ogni cosa, da quando ha smesso di fare il supereroe, ma se c’è qualcuno che ancora può convincerlo che le cose possono sempre cambiare, quella è una sua cara, vecchia amica: la scienza.

Ci rimugina sopra, da quando ha visto allontanarsi quell’auto, convinto che quell’incontro non ne avrebbe seguiti degli altri; non ci dorme la notte. Resta sveglio, a guardare il soffitto, da giorni che sembrano un’eternità e ha la sensazione di non essersi sentito così vivo da eoni. 

Gli tremano le mani, strette intorno al lenzuolo che lo copre a metà del petto. Lo tortura tra le dita, e il suono del respiro tranquillo di Pepper – e quello di Morgan che sente dal walkie talkie appoggiato al comodino – sembrano una dolce sinfonia e pare avvertirne l’importanza solo ora. Perché il suo cervello vortica in mezzo a calcoli matematici e numeri periodici. Formule, diagrammi, atomi, universi interi esplodono in tante supernove distruttive. 

Una sensazione che ha annichilito con gli anni, ma che ora è più viva che mai.

No, non ha intenzione di provarci; non ha nessuna intenzione di fallire. Se in cinque anni non ci sono riusciti loro, non sarà di certo lui a cambiare le cose. O meglio, probabilmente è quello che ha più possibilità di avvicinarsi ad una soluzione, ma questa, di fatto, non c’è. Non ci può essere.

Allora si gira dall’altra parte, e guarda Pepper dormire. Non l’ha mai vista così rilassata come in quegli anni di pace. Il mondo è alla rovina, ma il loro mondo no. Hanno tutto ciò che desideravano: una casa, una famiglia e una vita lontana dai pericoli. Tutto ciò che Pepper voleva e che merita di vivere, ora che forse nessuno dei due ha più l’età per credere di poter cambiare le cose.

Eppure quel pensiero è un prurito sotto al cervello, dietro il collo. Si massaggia la cute, e una voce gli torna alla mente, dopo così tanto che l’aveva seppellita nei meandri dei propri peccati. E forse, quella pace che Pepper vuole, non è la stessa che lui va cercando.  

 

«Signor Stark, non mi sento molto bene.» 

 

Quando Harley varca la soglia, Tony non ha nemmeno il tempo di alzarsi dalla poltrona per salutarlo. Morgan gli corre incontro, si lascia prendere in braccio, tenendo stretta tra le mani una bambola di pezza che somiglia vagamente a sua madre. È la sua preferita: Tony l’ha fatta fare da una donna che si guadagna da vivere così; l’ha trovata su un sito internet con le indicazioni per commissionargliene una. Gli viene quasi da ridere, a quel pensiero, perché mai avrebbe creduto di finire a fare il padre rammollito, innamorato perso di una bambina che ha incollati addosso i suoi stessi occhi, come gli ricorda Pepper, quando sono seduti sul divano e condividono il loro tempo a conoscersi come genitori, insieme a quello che è il prodotto di un amore che non è mai sfiorito.

Harley entra nel salotto con un sorriso accattivante: quel ragazzo cresce ogni istante di più e il fatto che Morgan gli sia così legata è un orgoglio che Tony non ha il coraggio di esternare di fronte a quel giovane. Dopotutto non è mai stato bravo a dimostrare che anche lui prova dei sentimenti. 

Si alza in piedi e lo fronteggia: fa cenno a Morgan di andargli in braccio e lei protesta con un broncio così tenero che convincerebbe il governo a rilasciare unicorni dal cielo.

«Avanti, Maguna. Ridammi il mio schiavo. Oggi mi serve», dice, e la piccola Stark sbuffa aria con il labbro tremulo; una ciocca dei lunghi capelli castani le si pianta davanti agli occhi, spettinata. Tony la prende tra le braccia, le sistema i capelli e le lascia un bacio sulla fronte, prima di farla scendere e posarla delicatamente a terra.

«Schiavo? Beh, grazie per la sincerità», asserisce Harley, squadrandolo da capo a piedi e guadagnandosi uno scappellotto amichevole dietro la testa; un po’ per la sua arroganza, un po’ per affetto. 

«Dopo verrai a giocare con me?», chiede Morgan. Gli occhi marroni che brillano come stelle incantevoli. La purezza di una bambina che la brutalità del mondo non l’ha ancora conosciuta, e Tony le legge la bellezza dell’infanzia sulle gote rosse. Somiglia così tanto a Pepper…

Harley si china sulle ginocchia e, con un sorrisetto, le dà un buffetto sul naso. «Dipende quanto mi sfrutterà tuo padre. Se non sarà troppo cattivo, dopo sarò tutto tuo.»

«Papà dice che sei bravo e che ti vuole bene, ma che non devo dirtelo», risponde lei, distrattamente, cercando di farsi una treccia con tre ciocche di capelli, senza riuscirci, perdono immediatamente interesse per quella conversazione.

Harley invece sembra averla assimilata anche troppo e, mentre Tony lo spinge verso le scale, ride. «Ma davvero?»

«Glielo dico solo per farglielo credere. In verità ti odio a morte», scherza, e sente la risata genuina di Pepper esplodere dalla cucina, mentre poi si avventurano nel seminterrato. Non appena lo raggiungono, Tony tira una cordicella e la luce si accende, illuminando il suo laboratorio casereccio, per il quale prova un certo orgoglio  e una certa nostalgia.

«Certo, come no», lo canzona Harley, poi sospira. Si pianta le mani sui fianchi e si guarda intorno. «Insomma, sei tornato a giocare con i tuoi attrezzi da meccanico.»

«Non ho mai davvero smesso», ammette, poi gli dà una gomitata sul braccio e gli fa cenno, con la testa, di raggiungere un tavolo luminoso che racchiude, nella sua memoria olografica, la soluzione a cinque anni di pura disperazione. Cinque anni di stallo. Cinque anni in cui tutti hanno premuto il tasto pausa e dove attendono ancora di pigiare quello del play, per ricominciare a vivere. Perché, Tony deve ammetterlo, tutti stanno vivendo con la sensazione che prima o poi tutto tornerà come prima, ed è una di quelle speranze che nemmeno con gli anni che passano sfumano via. «Devo farti vedere una cosa.» 

Harley lo segue, massaggiandosi melodrammatico la parte colpita dal suo gomito. Tony finge disinteresse, ma quel modo spigliato di fare è una sorta di collegamento col mondo esterno di cui ha spesso immensamente bisogno. Per questo, da quando è nata Morgan, gli chiede con frequenza di raggiungerlo, usando la scusa di Pepper e della piccola che bramano la sua frizzante compagnia. La verità è che lui, più di tutti, ha bisogno che qualcuno di così giovane gli ricordi cosa vuol dire sperare ancora. 

Accende il tavolo luminoso e, dopo qualche secondo fatto di rumori elettrici, un ologramma si mostra imponente e fermo. Usa le dita per farlo volteggiare un paio di volte e, con un sorrisetto, si volta a guardare Harley. 

«Che accidenti sto guardando?» 

«Sono felice che tu me l’abbia chiesto. Questa, mio caro ragazzo, è una risposta all’impossibile. Questa è la soluzione.»

«La… la soluzione?», chiede Harley e, strabuzzando gli occhi, li punta sull’ologramma e lo studia. Gira intorno al tavolo, torna indietro un paio di volte e poi prosegue. Lo tocca con delicatezza, come se avesse paura di romperlo e poi si blocca. A dividerli c’è l’immagine arzigogolata del tempo; in un punto vi è una sorta di foro, quella che Tony chiama la porta. «Non dirmi che…»

«Esattamente. Non sono un fan dei viaggi nel tempo e per quanto non abbia mai dubitato dell’idea che siano possibili, continuo a credere che giocare con certe cose sia potenzialmente pericoloso. Il tempo va rispettato e io lo rispetto, ma quando non ci sono altre soluzioni…»

«Mi stai dicendo che sei riuscito a creare una macchina del tempo?» Harley è sconvolto. Nella maniera più positiva possibile. I suoi occhi si muovono come razzi di fronte a quella pazzia – sì, lo è, è una pazzia – e Tony, in un certo senso, si sente di nuovo l’uomo arrogante di un tempo. Lo ha sempre saputo fare, solo che ora l’ha fatto e la colpa – o il merito, è di una foto che gli ha ricordato un coraggio che non sapeva di possedere più. 

Una foto che ha spaccato tutto, tempo fa, ma che ora ha rimesso insieme i pezzi. Una foto che ha nascosto troppe volte, ma che Pepper ha sempre deciso di mettere in mostra per non dimenticare cosa è successo e cosa ha superato. La foto di Peter, così in bella vista, per Tony ha sempre significato un perdono che non sapeva di meritare. 

«Una sorta. Un tracciatore GPS che può permetterci di viaggiare nel tempo in punti specifici della storia», spiega, e Harley spalanca la bocca e emette un suono di stupore che lo fa sorridere.

«Quindi l’idea è di tornare indietro e cambiare la linea temporale, non permettendo a Thanos di ru-» 

«Dio, perché siete tutti convinti che funzioni come in Ritorno al Futuro? No, santo cielo! I viaggi nel tempo non funzionano così. L’idea è quella di tornare indietro e recuperare le gemme, usarle in modo che tutti possano tornare, esattamente come Thanos ha fatto per farli sparire. Non è difficile, e mi sorprende che tu sia caduto nella trappola di un film cult!», lo canzona, e Harley incrocia le braccia al petto, fingendosi offeso. «Non nascondo che sarebbe più congeniale l’idea di cambiare la linea temporale, ma non si può e qui Thanos è morto. L’unica cosa da fare è rimediare al suo gesto.» 

«Ottimo lavoro, Emmett Brown. Ma chi ti dice che funzionerà?» 

«Lo dico io. C’ho messo cinque anni a decidermi, e se l’ho fatto è perché sono certo che non falliremo.»

«E cosa ti ha fatto cambiare idea, se posso chiedere?» Non è una domanda semplice, ma Tony ha messo in conto anche la possibilità che Harley glielo avrebbe chiesto. Lo ha chiamato, gli ha mostrato il suo progetto e i suoi intenti, ma c’è anche un lato umano da mettere in chiaro; qualcosa che forse, tempo fa, avrebbe preferito nascondere. Così sospira, finge di dover sistemare degli attrezzi e, senza guardarlo, pronuncia un nome che da troppo non usciva fuori dalla suo bocca secca.

«Peter.» È come se bastasse solo quel nome, per rimettere insieme i pezzi e spiegare il perché. Non può nasconderlo, non può fingere che non sia così. Solo che la parte più difficile è ammetterlo ad altri. Harley tace, come se rispettasse quel fatto e non volesse risultare irrispettoso di fronte a quella scelta. A quel motivo. «Mi sono ricordato che molti lo rivogliono indietro», che io lo rivoglio indietro, a qualunque costo. 

«Questi molti devono tenerci abbastanza.» 

«Più di quanto potessero credere», risponde, e finalmente lo guarda. Si sorridono e, quando Harley si siede su uno scalino, Tony lo guarda come se avesse appena aperto lo spazio-tempo e ne avesse preso il potere. Rimane immobile, a guardarlo accomodarsi, come se fosse pronto a sentirgli ammettere cose che per cinque anni Tony ha tenuto in un laboratorio travestito da seminterrato. 

«Che tipo era?», dice infine Harley e, dopo secondi che sembrano l’eternità più dilatata, Tony si siede accanto a lui e, senza paura del giudizio di un amico, gli parla di un allievo che ha amato e che, senza vergogna, continua ad amare immensamente. 

 

«Non voglio morire, non voglio morire, non voglio morire.» 

 

Ha smesso di parlare di Peter e non si è reso conto che sono passate ore. Ha raccontato tutto, dal momento del loro incontro fino a quello della sua sparizione, avvenuta tra le sue braccia tremanti e incapaci di tenerlo saldamente legato a quel mondo. Ha ammesso di aver sentito il fallimento nelle dita, come un formicolio, come se avesse avuto gli arti addormentati, quando è rimasto con le mani vuote. Ha ammesso il dolore, il senso di inadeguatezza, il desiderio di sparire che non si è avverato, ma ha omesso quello che lui e Peter sono stati, solo perché forse Harley non capirebbe. 

Harley, però, forse ha capito. E lo ha fatto nel momento esatto in cui Tony gli ha confidato di non sapere come andrà quel piano; non sa se andrà a buon fine, non sa se Peter tornerà sano e salvo, non sa se ne varrà la pena e, più di tutto, ha paura di non riuscire a riportare indietro chi vorrebbe; coloro di cui ha bisogno. Colui di cui ha bisogno. 

Se Peter tornasse, gli ha detto, tutto tornerebbe al suo posto. 

Così Harley gli ha consigliato di prepararsi al peggio, anche se il peggio non accadrà, Tony!, e di lasciare dei messaggi, degli scritti, delle registrazioni, qualcosa che possa rimanere tra le mani di chi resta, nel caso non fosse lui quello a rimanere.

Lo sorprende che la cosa non l’abbia stupito; l’idea di non tornare ma… fa male. Fa male perché ora che ha tutto – quasi tutto – rischia di perderlo in uno schiocco di dita. Solo che Harley ha ragione, e lui non sa in che altro modo rimanere e, con un tacito assenso, gli ha dato una pacca sulla spalla e gli ha chiesto di rimanere a cena lì, per Morgan, lei ti vorrebbe qui per sempre. Perché ha bisogno di non pensarci, di prepararsi, di sentire quel calore dentro che poi gli aprirà il cuore quando farà una delle cose in cui non è mai stato bravo: esternare i propri sentimenti, stavolta a parole, senza quei non detti che di cuori ne hanno già spaccati abbastanza. Soprattutto il proprio, danneggiato da troppo. 

Così quella notte si chiude nel seminterrato e passa ore a fissare quella maschera, convinto che un discorso preconfezionato non è quello di cui Peter ha bisogno. Ha bisogno di calore, di verità, di sentimento, di lui. 

Allora si lascia andare, a briglia sciolta, non appena la luce si accende e registra il suo testamento. «Ehi, bimbo-ragno», lo saluta, poi tira su col naso. Si prepara alla morte e lo fa come un adulto, eppure non si è mai sentito così vivo come in quel momento. 

 

«Mi dispiace.» 

 

Tony non l'ha mai capito davvero, il senso della vita, finché non si è ritrovato a schioccare le dita e a salvare di nuovo l'universo. Tony non l'ha veramente capito, il senso di quel viaggio nel tempo, dove suo padre gli ha inconsapevolmente detto di amarlo, a discapito di tutte le volte in cui non l'ha fatto quando avrebbe potuto. Tony non l'ha davvero compreso, tutto quel marasma di pugnalate che ha ricevuto al petto per anni e anni; quasi ha cercato di godersi la sua nuova vita, col solo intento di dimenticare gli errori commessi. Eppure Tony la redenzione l'ha sempre bramata. Un tempo forse per sentirsi pulito, ora per sentirsi più umano.

Sono cambiate tante cose, negli ultimi anni, primo fra tutti il suo cuore e la sua pelle. A pensarci bene non sembra così, ma se si guarda indietro, Tony vede troppi se stessi che prendono strade diverse e che cambiano idea senza un minimo di coscienza. Tony sa che il tempo è tiranno e deleterio. Che logora l'anima, ma la indurisce. Che a volte si supera il punto di non ritorno, e si smette di provare ogni cosa, oltre al rimpianto e ai sensi di colpa.

Il suo punto di non ritorno però è salvo. Peter ci ha infilato in mezzo un cancello allegorico, e Tony si è premurato inconsapevolmente di non farglielo varcare. Gli ha negato quell'abbraccio, troppo tempo prima. Lo ha ricevuto, quando gli è morto tra le braccia. E ora glielo deve, perché è un po’ grazie a lui, se ha deciso di riprovarci, a fare l'eroe. 

Quando lo ha visto comparire da quei portali ha provato la cosa più vicina ad un vuoto nel cuore. Ha dimenticato per un attimo la battaglia, il dolore, persino quei cinque anni senza di lui, ma ha continuato a combattere per sincerarsi che quel ritorno potesse poi consolidare il suo rimanere. Poi Peter l’ha salvato, e gli è piombato addosso con mille parole e duecento stelle negli occhi. Sorrisi, lacrime celate dietro una folta corolla di ciglia scure. Labbra morbide e ancora incantevoli, come le ricordava. Avrebbe voluto rubargli via un ultimo bacio, se non fosse stato avvolto dall'atmosfera distruttiva di una battaglia di cui non si vedeva la fine. Avrebbe voluto stringerlo di più, così tanto che forse lo avrebbe spaccato in due per l’ennesima volta, ma cinque anni senza di lui sono stati un inferno dentro, vissuto nel paradiso di una vita quasi perfetta. 

Peter lo guarda come se avesse capito. Peter lo guarda come se non se ne fosse mai andato e come se lui non stesse per correre incontro alla morte, con la sola paura di non salvare nessuno. È il suo destino, lo è sempre stato, lo ha sempre saputo e ora che sta succedendo, Tony non è sicuro di essere pronto. 

«Finirai per ucciderti, Tony.» Glielo ha detto Pepper, una volta, come se fosse stata una premonizione.

Lo stringe e inala l’odore dei capelli dell’amato; ricorda le volte in cui vi ha infilato dentro le dita alla ricerca di un appiglio, che ha sempre trovato. Momenti senza armature, senza paure, senza vestiti. Momenti in cui erano solo Tony e solo Peter, nessun altro. Due entità che forse, a volte, ne hanno incarnata una sola. 

«Tony», sussurra Peter, cullato dall’abbraccio stretto che sta ricambiando, e la gioia incastrata nella gola che non ne vuole sapere di uscire ed esplodere. Perché Peter lo sa, che lo perderà, come Tony sa che non c’è altro modo che quello, per salvarlo. Per salvarli tutti. «È come se fossero passati cinque anni anche per me…», ammette, stringendo di più le braccia intorno alle sue spalle, alzandosi leggermente sulla punta dei piedi per colmare quella differenza di pochi centimetri che li divide. Intorno a loro i suoni della guerra sono lontani e non appartengono loro. Non ora. Non adesso. 

Mi sei mancato, vorrebbe dirgli, ma non lo fa perché è un codardo e un incapace. È goffo. Persino in quel momento dove non dovrebbe trattenere niente, perché è l’ultimo momento che il destino gli sta concedendo. Si stacca e gli bacia le labbra, con una delicatezza che sembra un tocco fasullo. È tutto ciò che gli può dare; è tutto ciò che si può dare, perché quello che provano è ancora sbagliato e immorale, agli occhi di tutti. Perché forse non avrebbero mai dovuto nemmeno amarsi, ma la vita non sarebbe stata la stessa, senza Peter e il suo cuore stretto tra le dita. Perché non amarsi è inevitabile, per loro. 

Tony poi è lontano, e Peter è solo un puntino tra quelli che combattono una battaglia che li divide ancora e che ha un unico epilogo. L’unico. Schiocca le dita e sa che morire è un attimo. Sa che farà male, ma poi passerà e rimarrà un dolore non suo, ma di altri, tra chi, malgrado tutto, ha scelto di amarlo lo stesso, anche se ha sempre pensato di non meritarlo. È felice, ma non vorrebbe morire. Nessuno vorrebbe. Non ora che la vita ha scelto di regalargli una famiglia e sotterrato vecchi dissapori. Non vuole morire, eppure lo fa. Con una parte di Pepper che se ne va via con lui e gli Avengers che crollano senza più il loro muro portante. Con Peter, che è solo in un mondo che gli ha sempre portato via tutto e, anche stavolta, lo lascia in un angolo, a chiedersi perché sempre noi?

Tony muore e apre un vuoto. Muore e il mondo piange. Muore, e il mondo va avanti lo stesso. Sarà poi noioso, sì… ma andrà avanti. Per Morgan, per Pepper e per Peter, soprattutto, deve andare avanti. 

 

Fine.


 


 
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Note Autore:
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em — Here's the thing: they could have used a picture...
 Salve Salvino!
Sì, lo so, sono in tremendo tirardo. Avrei voluto pubblicare l'ultimo capitolo nel 2021 ma ho avuto una sorta di rifiuto per EFP fino ad ora e, in realtà, ancora un po' ce l'ho ma DOVEVO pubblicarlo e finirla, perché ci tenevo e ci tengo ancora, a questa storia e spero che, malgrado l'angst, vi sia piaciuta ♥
Lo so, è davvero triste, ma è qui che dovevamo concludere per ricollegarci poi ad altre storie, quelle che fanno parte di questa raccolta che, a quanto pare, ha raggiunto il suo epilogo con questa ultima storia sul canone di Infinity War/End Game. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di risolvere Tony, di preparlo, di vederlo come l'ho visto io, e tutte le sue sfaccettature con Peter. Il suo Peter e la sua folta corolla di ciglia (TM che mi appartiene un pochino e di cui sono gelosissima, lo ammetto) ♥
Insomma, quello che dovevo dire l'ho detto e spero di averlo fatto in modo adeguato e che vi sia piaciuto e abbiate apprezzato ♥
La storia si ricollega direttamente e cronologicamente a Blood and Bones, Protocollo Speranza, We Are Connected e, in qualche modo, a Almeno tu Nell'universo, quindi se non le avete lette e volete andare a recuperarle, le trovare sul mio profilo ♥
Grazie a tutti per il sostegno che mi avete dato nel 2020, grazie per tutto il supporto, le belle parole, i consigli, la vicinanza e l'amicizia. Grazie per aver supportato questa vecchia scema in questo anno assurdo, per tutti. Grazie a loro, poi, che non vogliono proprio smetterla di spaccarmi il cuore e riempirmi la testa ♥
Sono la coppia, ormai lo sapete ♥ E spero che a voi faccia piacere che io continui a raccontarvi di loro ♥
A presto e buon 2021 a tutti,

 
 
 
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La vostra amichevole Miryel di quartiere.
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