Voulez-vous mon âme?

di Facy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Samael ***
Capitolo 2: *** Sibylle ***
Capitolo 3: *** L'arciera ***
Capitolo 4: *** L'inganno ***
Capitolo 5: *** Ribelle tra i ribelli ***



Capitolo 1
*** Samael ***


 

 

 

 

Buonasera a tutti, cari lettori di EFP!

Questa è la sesta storia che pubblico su questo pregevole sito, la seconda long-fiction e la prima originale.

Capirete quanto sono emozionata.

Qualche piccola nota... in questa fanfiction tratto di contenuti religiosi. Sono atea e rispetto profondamente ogni tipo di credo. Non è mia intenzione offendere nessuno e nessuna confessione. Non prendete troppo sul serio quello che scrivo. Non c’è del satanismo in quello che scrivo. Ogni possibile riferimento a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistenti è casuale. L’unica fonte di ispirazione è stato il romanzo di Stephanie Meyer “Twilight”... ho cercato di rendere Samael l’anima nera di Edward Cullen e Sibylle una Bella un po’ meno tonta.

Sì, ho usato il mio nome per la protagonista... è un mio piccolo vezzo, lo faccio quasi sempre (chi ha letto la mia Schönheit lo sa e mi perdonerà, almeno spero).

Samael è un personaggio della Bibbia e del credo ebraico: è il capo degli angeli della notte, nonché il diavolo che si è incarnato nel serpente per tentare Eva. Ci sono leggende che lo vogliono angelo della morte e accusatore dell’uomo...

 

Detto questo, godetevi il capitolo e recensite... I hope you’ll enjoy yourselves!

 

 

***

 

 

 

 

 

 

CAP.1: Samael

 

 

 

Vendesi anima incorrotta di sedicenne. Astenersi perditempo.

 

 

L’annuncio comparve insieme a tanti altri, su una rivista per le inserzioni, assieme a quelli di chi offriva massaggi shiatsu, voleva vendere pellicce di seconda mano o cercava un camper seminuovo da affittare.

 

La gente non ci fece troppo caso: un uomo sui quarantacinque, durante la pausa caffè, sfogliò una copia della rivista, gli gettò un’occhiata distratta e rise piano. Si ripromise di raccontarlo alla sua fidanzata, per scherzarci un po' sopra, ma poi dovette cercare il portafoglio per pagare il conto e se ne dimenticò.

 

Una donnetta trovò la rivista abbandonata su un sedile di un autobus. Quando lesse l’inserzione borbottò qualcosa contro l’impudenza dei giovani e ripose quasi subito la rivista dove l’aveva trovata: doveva scendere alla fermata del mercato ortofrutticolo.

 

Uno studente lo lesse e sghignazzò con i suoi amici, accarezzando l’idea di comporre il numero stampato sotto l’annuncio: ovviamente il proposito non venne messo in pratica e tutto fu in breve dimenticato.

 

Queste furono in media le reazioni del ristretto gruppo di persone che lesse l’inserzione.

 

Una fu diversa.

 

Un giovane dai lunghi riccioli corvini, seduto in un bistrot parigino, lesse l’annuncio e alzò un sopracciglio con espressione sarcastica e perplessa al tempo stesso.

 

I suoi occhi grigi studiarono attentamente le sette parole stampate sulla carta di scarsa qualità: no, non si era sbagliato, aveva letto bene. Un ragazzo (o una ragazza) di sedici anni offriva in vendita la sua anima, promettendola incorrotta.

 

Il giovane si concesse un’esclamazione a bassa voce.

 

-E questa da dove salta fuori?- mormorò con il suo tono basso e suadente.

 

Erano parecchi secoli che niente riusciva più a stupirlo, ma stavolta, chiunque avesse fatto pubblicare quell’inserzione, ce l’aveva fatta.

 

Ripose la rivista consunta accanto a se, sul sedile imbottito e rivestito di pelle marrone. Allungò le lunghe dita sottili della mano sinistra e prese il calice di vino rosso che aveva ordinato pochi minuti prima. Scrutò il bicchiere, come cercando una risposta alle sue domande nelle profondità color rubino dell’inebriante nettare.

 

Cosa doveva fare? Certo, sembrava uno scherzo. Ad un qualche gruppo di ragazzini annoiati era saltata in testa l’idea di combinare una burla originale. Oppure si trattava di qualche mitomane, qualche cinquantenne con manie religiose che aspettava l’arrivo di una telefonata da parte del demonio, con aglio e crocifisso in mano, pronto all’esorcismo.

 

Lui aveva una certa esperienza in materia, innegabile.

 

Eppure... se non fosse stato uno scherzo?

 

Se si fosse trattato di un’autentica anima innocente d’innocente fanciullo?

 

In quel caso farsela sfuggire era fuori questione. Come l’avrebbe spiegato ai suoi superiori? Sarebbe stata classificata certo come scarsa professionalità, con tutto quel che ne conseguiva, annessi e connessi.

 

Certo, un innocente fanciullo, per continuare ad usare l’antica terminologia, difficilmente avrebbe venduto la propria anima al miglior offerente.

 

Al primo offerente” si corresse.

 

Non avrebbe dovuto temere neanche la concorrenza, considerò. Nessun arcangelo sarebbe arrivato a salvare l’anima, se solo lui si fosse sbrigato.

 

 Poi si diede dello stupido: stava davvero pensando di comporre quel numero? Roba da pazzi.

 

Però...

 

Appoggiò la guancia pallidissima al pugno chiuso della mano destra, il gomito puntato sul tavolino di legno ricoperto di lino blu cupo a ricami marroni, sempre continuando ad osservare il vino, fatto roteare lentamente dentro il bicchiere di cristallo tenuto tra le dita della mano sinistra.

 

Però lo stile dell’inserzione a tutto faceva pensare meno che ad uno scherzo: scarno sintetico, conciso. I mitomani non scrivevano così e neanche i ragazzini annoiati. Le ultime due parole, astenersi perditempo, potevano essere considerate rivelatrici?

 

Lui non era un perditempo, certo.

 

Lui era un autentico demonio proveniente dalle viscere dell’abisso infernale: uno degli angeli ribelli che avevano sostenuto Lucifero nella rivolta contro Dio e che con lui erano poi tragicamente caduti.

 

Gli era stato assegnato il compito di irretire i mortali, di attirarli nelle maglie della sua rete: maglie che, inizialmente, apparivano larghe e leggere, ma che poi penetravano con la forza del ferro nella carne della vittima.

 

Lui era un diavolo tentatore: prometteva arte, amore, immortalità, giovinezza, vendetta... tutto in cambio dell’anima di un uomo o di una donna mortali.

 

Poiché tentatore era bellissimo. Ma poiché diavolo non gli era stato restituito il suo aspetto originario da angelo del Signore: i suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri, le sue guance rosee, il suo sorriso innocente... quelli erano persi per sempre.

 

Ora aveva lunghi riccioli del colore dell’ala del corvo, strani occhi grigio-alba, dal taglio lievemente allungato, vagamente felino, una carnagione bianca come il marmo, un corpo snello e sinuoso dalle movenze eleganti, membra affusolate, una voce accattivante.

 

E soprattutto un’aura di fascino diabolico ma irresistibile.

 

Ad ogni modo, il demone sotto le spoglie di un giovane, affascinante parigino, si trovava in un arduo dilemma.

 

Improvvisamente si sentì vecchio. Certo, esisteva più o meno dal principio dei tempi ma raramente aveva avvertito un tale senso di inadeguatezza.

 

Forse non era più abitutato a situazioni del genere... l’ultima anima che aveva catturato per le fiamme infernali era stata quella di una diva del cinema muto che non si rassegnava al viale del tramonto.

 

Realisticamente, nessuno vende più la sua anima al diavolo: da un paio di secoli a quella parte il suo lavoro era piuttosto inutile. Chi ancora credeva all’esistenza di Satana si guardava bene da offrirgli il suo spirito immortale.

 

Ma, altrettanto realisticamente, se si fosse lasciato sfuggire l’opportunità di catturare il soffio vitale di un fanciullo innocente, di appena sedici anni, le conseguenze sarebbero state troppo terribili anche solo per immaginarle.

 

Perciò si decise.

 

Si alzò e tracciò in aria un segno cabalistico con le dita della mano sinistra: fu veloce, quasi invisibile, ma si ritrovò con diverse monete apparse dal nulla nel palmo della mano. Le lasciò cadere accanto al bicchiere di vino rosso (non ne aveva assaggiato una singola goccia), in un gesto distratto: sapeva che, al calare della notte, sarebbero svanite lasciando al loro posto braci spente e cenere.

 

Pensò distrattamente a come quei piccoli gesti, per lui così semplici e comuni, rappresentassero l’essenza della sua vita: inganno, fugacità... quell’affiancare la via dei mortali senza mai attraversarla se non per recidere il filo di una fragile vita o per strappare un’anima dalle mani di Dio.

 

Scosse la testa, quasi per allontare quei pensieri, si strinse in vita la cintura del soprabito nero di fine sartoria, e uscì dal bistrot.

 

Lungo il marciapiede del Boulevard Saint German i parigini si affrettavano: il cielo era livido e gonfio di pioggia, soffiava una tramontana che si insinuava sotto i vestiti, facendo rabbrividire tutti, tranne lui.

 

Il giovane camminò con lenta grazia lungo la via lastricata, senza curarsi della pioggerellina che aveva incominciato a posarglisi sui capelli neri e sulle spalle: teneva la testa leggermente abbassata, era assorto nei suoi pensieri.

 

Improvvisamente si decise ad agire e si infilò agilmente in una cabina telefonica: tenendo la cornetta tra l’orecchio e la spalla compose il numero dell’annuncio.

 

Il telefono squillò una, due, tre volte.

 

Poi il giovane riattaccò.

 

Doveva essere davvero uscito di senno per aver anche solo pensato di chiamare. Chi, in nome di Lucifero, chi mai al mondo avrebbe cercato di vendersi l’anima attraverso un’inserzione? Avrebbe potuto capire se l’annuncio fosse stato pubblicato su Le Figaro... ma in quell’infima rivista!

 

Scosse i lunghi riccioli neri. Impossibile.

 

Lasciò cadere la rivista sul pavimento lurido e uscì, lasciando che la porta a vetri sbattesse alle sue spalle.

 

Pochi secondi dopo era ritornato precipitosamente all’interno della cabina e ricomponeva in fretta il numero.

 

Dopo un paio di squilli rispose una voce femminile.

 

-Pronto?-

 

Era giovane, né dolce né aspra: semplicemente interrogativa.

 

-Chiamo per l’annuncio pubblicato su ToutInsertion-

 

Il silenzio dall’altro capo del telefono durò alcuni lunghi istanti: il giovane sorrise, in un lampo di denti bianchissimi e leggermente appuntiti. Sapeva che la ragazza era rimasta colpita dalla sua voce bassa, vagamente roca, seducente.

 

-Sì...- rispose infine lei, un po' incerta. Si riprese subito. -Sì, sì, certo. Certo- ripeté.

 

-Quando e dove possiamo incontrarci per discutere della... trattativa?- domandò lui, in tono suadente e allusivo.

 

Lei si schiarì la voce, evidentemente turbata.

 

-Domani mattina. Alle undici al Cafè du Parc... è alle Tuileries, nella zona del Louvre, lo conosce?-

 

-Certo- mormorò lui. -E come potrò avere il piacere di riconoscerla?-

 

La ragazza esitò.

 

-Sarò seduta da sola, ad un tavolino fuori il locale... indosserò una sciarpa viola e un cappello di maglia nera. Se non proprio non mi riconosce chieda di Sibylle-

 

-Sibylle- il giovane ripeté quel nome a bassa voce. -Lo ricorderò. Arrivederci a domani, Sibylle-

 

Fece per riattaccare, ma lei lo fermò esclamando.

 

-Ehi! Scusa...- si corresse subito. -Scusi, qual’è il suo nome?-

 

Lui sorrise nuovamente, guardando le foglie rosse che volteggiavano spinte dal vento, proprio fuori dalla cabina telefonica.

 

-Vuoi sapere il mio nome?- domandò retoricamente, passando al tu. -Oh... puoi chiamarmi Samael-

 

E, senza aspettare che lei parlasse di nuovo, riappese la cornetta al suo sostegno metallico.

 

Quando fu di nuovo in strada stentò a trattenere il riso al pensiero di quello che avrebbe detto quella sprovveduta ragazza se avesse saputo che l’unica altra mortale alla quale aveva rivelato il suo vero nome era stata Eva, la prima donna.

 

Sarà facile” si disse, improvvisamente. “Sarà fin troppo facile... eppure così piacevole. Ho fatto bene a telefonarle”.

 

E mentre la sua risata leggera riecheggiava finalmente sui muri stretti e sull’acciottolato del vicoletto dove si era infilato, mosse un piccolo passo verso sinistra e, in un istante, sparì nel nulla.

 

 

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Capitolo 2
*** Sibylle ***


 

 

 

Buonasera a voi! Eccomi con il secondo capitolo della storia: spero ardentemente vi piaccia e non indugio un secondo... vi lascio alla lettura.

 

 

***

 

 

CAP. 2: Sibylle

 

 

 

Era una di quelle strane giornate in cui l’aria è ferma e gelida e il sole scintilla con intensità abbacinante.

 

La ragazza, seduta da sola al tavolino di ferro battuto con davanti una bibita, teneva gli occhi semichiusi, per non essere accecata dal riverbero del sole sul viale di ghiaia bianca che si snodava tra gli alberi delle Tuileries. Si godeva l’effimero calore, pur sapendo bene che, nell’istante stesso in cui avesse mosso un passo in una zona d’ombra, il gelo l’avrebbe avvolta.

 

Sentiva le voci di alcuni bambini a pochi metri da lei gridare giocosamente parole in un’altra lingua; qualche turista giapponese si avviava verso il Louvre; gli abitanti del luogo erano perfettamente riconoscibili per la camminata veloce e l’aria concentrata.

 

Una tipica mattinata parigina.

 

Lei aveva saltato la scuola, mentito alla sua migliore amica e stava per vendere la propria anima al diavolo.

 

Non troppo tipica, come mattinata, dopotutto.

 

Aspettava.

 

Chissà chi sarebbe venuto... difficile che fosse proprio il diavolo in persona. In fondo lei era atea, al diavolo non ci credeva nemmeno... non sapeva davvero cosa aspettarsi.

 

Ma aveva gli occhi puntati sul bersaglio e non se lo sarebbe lasciato sfuggire a nessun costo: avrebbe raggiunto il suo scopo, chiunque fosse venuto a quell’appuntamento.

 

Era ancora immersa in quei pensieri quando davanti a lei, a circa un metro dal suo tavolino, si delineò una shiloutte scura.

 

Un ragazzo... no, un giovane uomo.

 

Lei sussultò. Non si era affatto accorta di lui... era come se fosse emerso dalla luccicanza solare: invisibile fino all’istante preciso in cui avesse desiderato di mostrarsi.

 

Alzò il viso verso di lui e tentò di osservarlo, nonostante il sole le trafigesse gli occhi. Era alto e, per quanto poteva vedere, di corporatura snella: indossava un soprabito nero. Non riuscì a distinguere molto del suo volto: solo che era pallido, di forma ovale e incorniciato da lunghi boccoli corvini, che in controluce apparivano come un’aureola oscuramente luminosa.

 

Percepì i suoi occhi scivolarle dal cappello di maglia nera in cui aveva raccolto i capelli alla lunga sciarpa viola che si era avvolta intorno al collo, lasciandone pendere un lembo dietro la schiena. Li percepì osservarle il volto, contratto in una smorfia per via della luce violenta.

 

Li percepì riconoscerla come l’autrice dell’inserzione.

 

Come Sibylle... la ragazza che voleva vendere l’anima al diavolo.

 

-Ciao, Sibylle- disse lui.

 

La sua voce sembrava radicalmente cambiata da quando l’aveva ascoltata al telefono: ora era normale, quasi annoiata, priva di inflessioni torbide e sensuali... perfino troppo comune, come se la stesse contraffacendo.

 

E probabilmente era così, si disse sgomenta.

 

-Ehm... ciao...- rispose.

 

-Posso sedermi?-

 

-Sì, certo-

 

Lui restò in piedi a guardarla: Sibylle non capì fin quando il giovane tossicchiò educatamente, indicando la sedia accanto a lei. Era occupata dalla tracolla nera della ragazza. Lei arrossì e si affrettò a liberarla. Lui ci si sedette con un movimento fluido e appoggiò con disinvoltura i gomiti al tavolino: Sibylle dovette socchiudere gli occhi per afferrare i contorni della sua figura in controluce.

 

Lei si schiarì la voce: eccolo di nuovo, quel senso di smarrimento che aveva provato parlando al telefono con lui. Troppo strano, intenso e repentino per essere naturale, considerando poi quanto lei fosse determinata... comprese che era lui stesso ad indurlo.

 

In breve la rabbia per la subdola costrizione prese il sopravvento sull’arrendevolezza forzata.

 

Ma come si permette?” si domandò, furibonda. “Non sono mica un pupazzetto... chissà che razza di trucco idiota sta usando, poi

 

Si alzò e afferrò la tracolla.

 

-Senti, come non detto. Non sono venuta per assistere a... a un prestigiatore di strada!-

 

Girò sui tacchi e fece per andarsene a passo sostenuto.

 

La fermò una risata leggera e fredda come neve.

 

-Già te ne vai? Così presto... ti credevo più forte, Sibylle-

 

La sua voce era cambiata... era tornata ricca di sfumature tenebrose e sensuali. Lei si voltò a malincuore, evitando di guardarlo.

 

-Guarda, ho fatto uno sbaglio a mettere quell’inserzione... dimentica tutto e salutiamoci qui, va bene?-

 

-Sì-

 

La risposta la sorprese.

 

-Ah... va... va bene- balbettò.

 

Si rimise a camminare, questa volta più lentamente: non si sarebbe aspettata così tanta arrendevolezza...

 

-Sì-

 

Sibylle si voltò di scatto: il giovane aveva ripetuto quella sillaba. Per la prima volta lei potè vederlo bene in viso... lo giudicò sui venticinque anni.

 

Aveva lineamenti spigolosi e strani: le guance pallide erano un pò incavate, gli zigomi e la fronte alti, il mento pronunciato. Le labbra, piene e sensuali, gli conferivano una vaga aria androgina: teneva abbassati gli occhi dalle palpebre pesanti, di taglio leggermente allungato.

 

L’armonia non era tra i pregi di quel volto... la seduzione sì.

 

-“Sì” cosa?-  non potè trattenersi da chiedergli Sibylle, trascinata dal fascino che quel viso esercitava su di lei.

 

-Sì... hai fatto uno sbaglio. Uno sbaglio grande quanto la cattedrale di Notre-Dame. Ma adesso non puoi più fuggire, vero?- chiese lui, apparentemente trasognato.

 

Lei fece per parlare -o gridare, o correre via, o chissà- quando lui alzò gli occhi e li piantò nei suoi.

 

Erano grigi.

 

Né grigio-azzurri né grigio-verdi: nessuna sfumatura diversa da quell’impossibile tonalità glaciale. Grigi e freddi, privi di emozioni... sembravano gli occhi di un rettile. Ma questo sarebbe stato niente... se non li avesse tenuti assolutamente spalancati nella piena e diretta luce solare.

 

Non sbatteva le lunghe ciglia nere, non socchiudeva le palpebre: la fissava tranquillamente, con quell’impassibile sguardo albeggiante ed era chiaro che la vedesse perfettamente, senza sforzo di alcun tipo.

 

-Impossibile...- sussurrò Sibylle, sgomenta.

 

-Improbabile- la corresse lui con un sorriso.

 

-Chi... chi sei?-

 

-Te l’ho detto- rispose lui alzando un sopracciglio con aria divertita. -Sono Samael-

 

La ragazza chiuse gli occhi per un istante: cominciava ad avere paura. Si chiese nelle mani di chi fosse capitata.

 

-Ok...- disse lentamente. -Ho sbagliato domanda. Quella giusta è: cosa sei?-

 

-Mia cara!- esclamò Samael, alzando anche l’altro sopracciglio, palesemente più divertito che mai. -Non ti facevo così ottusa...-

 

-Cosa sei?- ripetè lei con voce spezzata.

 

Lui scosse i riccioli con aria distratta, come se la cosa non lo riguardasse. Solo i suoi occhi da serpente emanavano un bagliore intriso di sadismo.

 

-In molti preferiscono chiamarci angeli dalle ali nere: elegante eufemismo, trovi? Ma la terminologia medievale, quel semplice demoni... la cruda verità non è quello che ti aspettavi?-

 

Sibylle fece per rispondere... poi scosse solo la testa, debolmente. Lui rise: le vibrazioni della sua risata le trafissero le tempie con due fitte penetranti di dolore.

 

-Povera piccola ragazza ingenua...- sussurrò lui, vagamente cantilenante.

 

-Senti, lasciami in pace- disse lei con voce malferma. -Vattene... altrimenti urlo-

 

Samael arrovesciò la testa all’indietro e scoppiò in una terza risata, questa volta semplicemente crudele. Le gelò il sangue nelle vene.

 

-Credi di potermi spaventare con così poco?- domandò quando si fu ricomposto. -Sibylle...- mormorò il suo nome con una sfumatura di commiserazione. -E se anche dovessi urlare?-

 

-Ve... verrebbe qualcuno- balbettò lei. -Ti sbatterebbero al fresco... sei... sei solo un maniaco-

 

-Non lo sono, purtroppo per te - disse ponendo l’accento sulle ultime tre parole, gli occhi che brillavano di una fredda fiamma grigia.

 

Ora Sibylle era seriamente terrorizzata. Era rimasta in piedi, a pochi metri da lui, e si sentiva come se fosse stata pietrificata: impossibilitata a muovere un muscolo, figuriamoci a fuggire.

 

Samael prese l’iniziativa. Si alzò e tirò fuori dalla tasca del soprabito un elegante portafoglio di pelle... pelle di serpente, come osservò distrattamente la ragazza prima di rabbrividire per l’inquietante coincidenza.

 

Ne trasse fuori qualche moneta, stranamente l’importo esatto del costo della bibita che Sibylle aveva ordinato. La lasciò sul tavolino, accanto al bicchiere semipieno. Poi cercò gli occhi della ragazza con lo sguardo: inaspettatamente le offrì il braccio.

 

-Vogliamo fare due passi?-

 

Lei inarcò le sopracciglia: lo shock non aveva alterato il suo senso del ridicolo. Poi si rese conto che in quel caso una passeggiata a braccetto non aveva niente di fuori posto: altro non era che un eco delle danse macabre medievali, dove uomini e scheletri, donne e diavoli, intrecciavano maledetti passi di danza.

 

Sibylle la Mortale prese il braccio che Samael il Demonio le offriva e si avviò con lui nella luce mattutina delle Tuileries.

 

I bambini che Sibylle aveva sentito gridare giocosi prima che lui arrivasse (come sembravano lontani quei momenti) si rincorrevano accanto a loro, continuando a schiamazzare. Due vecchiette sedute su una panchina chiacchieravano fitto. La vita trascorreva normalmente.

 

I due camminarono per alcuni lunghi minuti lungo il viale del parco, senza parlare. Infine fu Sibylle a decidersi.

 

-Sei veramente un diavolo- disse a voce bassa.

 

-Non è una domanda- osservò Samael.

 

-No- assentì lei.

 

-Ritiro quello che ho detto prima: non sei affatto ottusa. Né ingenua. Sei scaltra, anzi. E determinata, non è vero?-

 

Sibylle riuscì quasi a sorridere di quella garbata adulazione.

 

-Sì... Sì, sono determinata. E’ vero tanto quanto è vero che questa è la situazione più assurda che mi sia mai capitato di vivere-

 

-Bene- sorrise Samael, apparentemente compiaciuto. -E dato che sei così determinata...-

 

Lasciò cadere il discorso, come esortandola a concluderlo. Chiaramente aveva un punto preciso a cui voleva spingerla: Sibylle si ribellò.

 

-Ehi, cosa sei, un maestro delle elementari? So parlare da sola, so formulare concetti, so tradurre i miei pensieri in parole... e non sono stupida. Non tentare di farmi dire cose che non penso-

 

Lui fece un piccolo cenno con il capo.

 

-Touché- mormorò, mentre la esortava con una leggera pressione del braccio a svoltare a sinistra.

 

Sibylle sussultò lievemente quando si accorse che l’aveva guidata in un viottolo secondario: gli alberi si piegavano sopra di loro, formando un arco naturale, un rifugio verde e silenzioso. Pochi passi e tutto il mondo era scomparso: c’erano solo loro.

 

Istintivamente la ragazza si svincolò dalla presa del demone e indietreggiò: anni di raccomandazioni sugli stupratori non erano trascorsi invano.

 

-Che cosa vuoi fare?- gli domandò osservandolo attentamente, in attesa di qualche sua mossa.

 

Samael sorrise.

 

-Non è la tua innocenza il mio scopo... o meglio, sì, ma non nel senso che credi-

 

Sibylle fece per replicare -leggeva anche nel pensiero, adesso?- poi decise di tacere, vedendo Samael intenzionato a continuare.

 

-Sibylle, io voglio la tua anima. La desidero follemente, con la passione di un amante. Non bramo altro. Concedimela e io sarò il tuo schiavo-

 

Lei abbassò gli occhi: l’intensità del tono di Samael l’aveva turbata: si rese conto in quel preciso istante quanto tutto quello non fosse un gioco.

 

-Non so che cosa dire...- mormorò.

 

-Dimmi semplicemente cosa vuoi in cambio- sussurrò lui, avvicinandosi e prendendole le mani tra le sue.

 

Sibylle rabbrividì al tocco gelido, ma alzò comunque gli occhi e li fissò in quelli di lui. Per la prima volta Samael li notò. Grandi, orlati di lunghe ciglia... neri e duri come ossidiana. Semplicemente pieni di determinazione.

 

-Voglio vivere per sempre-

 

 

 

***

 

Allora, un minuto per i ringraziamenti:

 

steffylove: ciao! Grazie per avermi recensita (e inserita tra i preferiti) e grazie per il paragone con i film francesi. Sono stata estremamente lusingata: quei film sono sempre dei gioiellini. Spero che Sibylle ti sia piaciuta o che tu l’abbia odiata, o capita, o qualsiasi altra cosa: basta che ti abbia colpita. E spero che Samael ti sia piaciuto anche in questo capitolo. Un saluto da Facy.

 

_Angel_Of_Lust_: ciao! Felice di averti sbalordita, grazie per i complimenti e per gli auguri.... un bacio rosso sangue anche a te ^^

 

GaaRa92: la mia beta preferita! Grazie mille, duemila e tremila per il paziente lavoro che fai per ogni capitoli. Non dico altro perchè tanto abbiamo msn solo... Bella ha i neuroni?

 

I LoVe BiLl: ciao David! Sì, vuol dire “vuoi la mia anima”... la tua ignoranza in francese non è poi così ignorante. Allora, Sibylle è abbastanza sveglia? Io la trovo ancora un pò rimbamita ma è qui colpa di Samael... povera femmina, lei!

 

cicha: una lettrice di “Schönheit”... lieta di averti anche in questa storia! Grazie per i complimenti, che ne pensi di questo capitolo?

 

Persefone Fuxia: ultima ma non ultima, ciao! Sì, quella parte l’ho trovata divertente anche io... ridevo mentre la scrivevo. Tipo “eh, i bei tempi andati... non c’è più religione...”: il demone che va a stereotipi! Grazie per i complimenti anche a te.

 

 

Grazie alle nove persone che mi hanno inserita tra i preferiti:

 

 

 

 

1 - cicha
2 - GaaRa92
3 - I LoVe BiLl
4 - la_regina
5 - momica
6 - nightfox
7 - Persefone Fuxia
8 - steffylove
9 - _Angel_Of_Lust_

 

 

 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto tanto da recensire, bastano anche due righe!

Baci da Facy.

 

PS: chiedo scusa se ieri ho postato il capitolo e l’ho cancellato per ben due volte in tempo brevissimo. Ho avuto problemi con l’HTML e ho preferito rimandare al giorno dopo (messaggio subliminale per lo staff: non piombatemi addosso come avvoltoi, non è stata colpa mia).

 

Alla prossima.

 

 

 

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Capitolo 3
*** L'arciera ***


 

 

Ave a voi, o miei fedeli lettori! Oggi mi sento aulica... ^^

Senza indugi al prossimo capitolo, non bisogna mai scrivere troppo nell’introduzione, altrimenti l’attenzione del pubblico cala.

Solo una cosetta veloce: ho deciso di alternare un capitolo Samael ad un capitolo Sibylle.

Il narratore sarà sempre esterno, di primo grado e a focalizzazione interna (ovvero, sempre esterno alla storia, sempre rivolgentesi direttamente al lettore in terza persona, sempre adottante un punto di vista nella storia simile a quello che potrebbe avere uno dei personaggi).

Solamente che la suddetta focalizzazione varierà da capitolo in capitolo, alternando i punti di vista dei due protagonisti.

Spero sia chiaro.

A voi il capitolo!

 

 

 

 

CAP. 3: L’arciera

 

 

Samael camminava assorto lungo la Rive Gauche, fingendo di osservare le bancarelle di libri ordinatamente allineate sul lungosenna.

 

Alcuni vecchietti sedevano accanto alle cassette di legno dipinte in blu e verde, stracolme di libri: si erano sistemati sulle sedioline pieghevoli di tela oppure su quelle più grandi, di paglia, e giocavano a ramino.

 

Samael considerò distrattamente se far sì che, una volta giunta la sera, il vecchio che stava vincendo morisse in un incidente stradale sulla via di casa... poi ritornò a seguire il filo dei suoi attorcigliati pensieri.

 

Finalmente aveva incontrato Sibylle: tanto affascinante e inusuale l’inserzione pubblicata, quanto la sua autrice insignificante e ordinaria.

 

Si portava discretamente bene i suoi sedici anni: l’aveva giudicata snella, ma probabile che fosse la ragguardevole altezza (almeno un metro e settantacinque) a farla sembrare così slanciata. Aveva la carnagione abbastanza chiara, con un riflusso continuo di sangue alle guance.

 

Dal cappello di maglia nera spuntava qualche ciuffo di capelli castano ramati: quindi o li aveva corti e se li era raccolti. Impossibile capire se fossero lisci o ricciuti. I lineamenti erano tutto sommato abbastanza regolari, niente di particolare, comunque.

 

La sua richiesta di immortalità era quanto di più banale e scontato Samael potesse concepire: aveva riso come un pazzo, quando l’aveva sentita.

 

-Mia cara!- aveva esclamato, sapendo benissimo che quell’appellativo dava particolare fastidio alla ragazza. -Mia cara, no! Per favore! Sono secoli che dono l’immortalità in cambio delle anime delle mie vittime! Ti prego, abbi pietà... sii minimamente originale!-

 

Lei aveva stretto i pugni, conficcandosi le unghie nel palmo della mano... il suo desiderio di insultarlo era stato piuttosto evidente, ma la paura doveva aver preso il sopravvento e lei si era limitata ad arrossire furiosamente.

 

Arrossiva molto, registrò Samael. Bastavano pochi secondi e le guance le avvampavano. Sembrava proprio il tipo di ragazza che si imbarazza quando la chiamano ad alta voce in un luogo pubblico.

 

Forse poteva risultare tenera, all’inizio, ma annoiava presto, si disse il demone, spietato.

 

Ecco, c’erano forse solo due cose in lei che l’avevano colpito.

 

I suoi occhi e il suo nome.

 

Gli occhi erano abbastanza belli, grandi e dalle lunghe ciglia. La tonalità di castano dell’iride era singolarmente scura, tanto che era difficile distinguerla dalla pupilla: l’impressione generale era quella che avesse gli occhi neri.

 

Ma ancor più singolare era la durezza di quello sguardo. Samael non aveva mai visto tanta determinazione in una sola persona. Era come se quegli occhi, duri e lucidi come pietra bagnata, li tenesse perennemente puntati su un bersaglio che non aveva la minima intenzione di mancare.

 

Occhi da arciera.

 

Il nome: Sibylle proveniva dal greco Sibylla.

 

La prima Sibylla era stata una principessa ellenica di cui Apollo, dio della musica e della profezia, si era follemente innamorato. Pur di averla come vergine nel suo santuario il dio era arrivato a concederle il dono della preveggenza e l’immortalità... ma non la giovinezza.

 

La fanciulla era invecchiata, anno dopo anno, fino a quando di lei non era rimasta che la voce: aveva rifiutato fino all’ultimo l’offerta di Apollo, che le avrebbe donato l’eterna giovinezza se lei avesse rinunciato alla sua castità per essere completamente sua.

 

Una forte determinazione anche in lei, quindi. E un nome adeguato per la sua discendente francese del ventunesimo secolo.

 

Svoltò in rue de Bernandins e si ritrovò in pieno Quartier Latin.

 

Si erano dati appuntamento per tre giorni dopo: sarebbe stata luna nuova e loro si sarebbero incontrati all’estrema punta dell’Île-de-la-Cité, dalla parte opposta rispetto a Notre-Dame... a mezzanotte in punto.

 

Samael era un professionista: ci teneva a fare le cose per bene. E pazienza se questo implicava tutti gli stereotipi del caso.

 

Libro rosso da firmare con il sangue della vittima, incluso.

 

Vittima... Samael usava spesso questo termine per descrivere chi stipulava accordi con lui: lo trovava adeguato.

 

In fondo, era un demonio infernale: una creatura totalmente malvagia, falsa in ogni fibra del suo essere immortale ma tuttavia sempre mutevole.

 

Fatta la legge, trovato l’inganno, si diceva qualche volta, non disdegnando di usare i luoghi comuni della tradizione popolare dei mortali. E lui occupava a tramare inganni ai danni delle sue vittime la maggior parte delle ore che gli era concesso trascorrere sulla terra: ovvero quelle strettamente necessarie a concludere un accordo con un mortale.

 

La sua vita, se vita si poteva chiamare, era così stata fin dall’inizio dei tempi. Ogni volta che un uomo o una donna era intenzionato a vendere la propria anima, quel desiderio lo irretiva come un canto di sirene.

 

E Samael tornava a camminare sulla terra.

 

Ogni volta incarnato in un corpo diverso (poteva essere quello sinuoso e freddo di un serpente come quello sensuale di un giovane parigino), ogni volta senza dimora e senza nessun contatto umano, eccettuato quello con la vittima.

 

Una volta firmato il contratto diabolico, stava a lui ordire stratagemmi per spingere al peccato e alla disperazione il mortale... fino a portarlo alla pazzia e alla fine.

 

Infine, nel momento stesso in cui l’anima della vittima abbandonava il corpo, era sempre lui, Samael, a catturarla tra le sue lunghe dita sottili di diavolo, e a sprofondare di nuovo all’inferno, trascinandola irrimediabilmente con se.

 

Aveva offerto a Eva il frutto proibito, determinando la Cacciata dal Paradiso terrestre.

 

Aveva esaudito l’incauto desiderio del bellissimo Dorian Gray, solo per poi trascinarlo di fronte allo specchio diabolico di un ritratto maledetto.

 

Mefistofele gli aveva soffiato l’anima di Faust sotto il naso (un punto dolente nei loro rapporti anche più di cinque secoli dopo), ma molti grandi uomini e molte donne sagge erano caduti contro i suoi inganni... questa insignificante ragazzina di Parigi, non sarebbe stata una preda difficile.

 

***

 

-Non ti stai prendendo gioco di me?-

 

-No-

 

-Puoi davvero concedermi l’immortalità?-

 

-Sì-

 

-Allora voglio... non lo so, devo firmare qualcosa?-

 

-Sì-

 

-E poi... la mia anima sarà tua?-

 

-Sì-

 

-E io non invecchierò mai? Vivrò per sempre, per sempre giovane?-

 

-Sì-

 

-La vuoi smettere di rispondermi a monosillabi?-

 

-Mmh.. no-

 

- Perchè fai così?-

 

-Ti svelo un segreto: essenzialmente io sono un sadico-

 

-Sai il segreto-

 

-Mi ferisci-

 

-No, non è vero-

 

-Hai ragione, non è vero-

 

-Smettila di giocare con me-

 

-Come potrei? Tu sei il mio nuovo giocattolo, non lo capisci?-

 

-Io non sono il giocattolo di nessuno...-

 

-Però hai bisogno di me, innegabilmente. Chi ti può dare quello che ti darò io?-

 

-Permettimi di rilanciare la domanda: chi ti può offrire quello che ti offro io?-

 

-Mi chiedo perchè tu ti ritenga così speciale-

 

-Oh, non tentare di ingannarmi con le parole...-

 

-E’ il mio lavoro-

 

-Io non mi ritengo speciale... ma chi altri oggi ti offrirà un anima incorrotta?-

 

-Intanto è da vedersi, se sia tale-

 

-Prego: puoi fare tutte le verifiche e le prove che vuoi-

 

-Sei così sicura, Sibylle, e così ingenua... quasi mi fai compassione-

 

-Quasi-

 

-Quasi-

 

-Ti dico che la mia anima è incorrotta e vale il suo prezzo. E ti sfido a provare il contrario-

 

-Attenta. Prima regola: non sfidarmi. A nessun gioco. Vincerei io in ogni caso-

 

-Non se io ho le carte vincenti in mano-

 

-Carte che potrebbero rapidamente scivolarti tra le dita-

 

-Se una persona arriva a vendere la propria anima non basta così poco a spaventarla-

 

-Deve avere un serio motivo per osare tanto. Il tuo?-

 

-Non ti interessa-

 

-Tu dici?-

 

-Sì-

 

-Sai, Sibylle? Nonostante il tuo aspetto ordinario, il tuo linguaggio provinciale  e l’estrema mediocrità della tua richiesta... mi hai colpito-

 

-Dovrei esserne lusingata?-

 

-Dovresti-

 

-Peccato per te che invece...-

 

-Ora basta. Firmerai il contratto?-

 

-Sì-

 

-Con il tuo sangue, in una notte di luna nuova, allo scoccare della mezzanotte, ad un crocicchio o su di un ponte?-

 

-Se tutte queste banalità sono necessarie...-

 

-Sono necessarie-

 

-Sì-

 

-Tra tre notti. All’estrema punta est dell’Île-de-la-Cité. Tarda un minuto e non mi rivedrai-

 

-Va bene-

 

 

***

 

Il sole non era ancora tramontato tre volte da quando Samael e Sibylle si erano incontrati sotto gli alberi delle Tuileries.

 

Era il tardo pomeriggio del terzo giorno, mancavano poche ore al crepuscolo. Samael non aveva mai rimpianto di essere caduto dalla grazia, ma ora avrebbe voluto riavere indietro la capacità di alterare il tempo: desiderava ardentemente rivederla.

 

Era atterrita da lui, senza alcun dubbio. Ma era anche terribilmente risoluta e non riusciva proprio a trattenersi dal rispondergli a tono quando lui la provocava… salvo poi pentirsene subito dopo. E arrossiva.

 

Quel misto di paura e determinazione, sfrontatezza e pudore, lo eccitava.

 

In fondo era un sadico, lo aveva detto anche a Sibylle: la voglia sfrenata di farle del male, innata per uno come lui, si alternava a uno strano desiderio di prolungare il gioco sottile che aveva iniziato con lei.

 

Sentiva che quelle parole taglienti che si erano scambiati erano solo il preludio ad una battaglia che si prospettava stuzzicante. Eppure, si disse con rammarico, non destinata a durare a lungo.

 

Dopo averla irretita con le sue promesse e la sua bellezza ambigua, Samael doveva portarla fino alla firma del contratto: infine doveva tenderle la trappola fatale che l’avrebbe condotta a una morte prematura.

 

Lei si sarebbe così trovata costretta ad rispettare il contratto prima del tempo stabilito.

 

E infine l’anima dell’arciera dagli occhi neri sarebbe stata sua.

 

Samael si aprì in un largo sorriso, decidendo che, per consolarlo dell’idea di perdere presto la sua nuova avversaria, il vecchio che giocava a carte sarebbe dovuto davvero morire.

 

Quella stessa notte.

 

E mancava così poco alla notte…

 

 

 

 

***

 

 

 

Capitolo da considerarsi “di passaggio”… ma non da sottovalutare. In questo capitolo ho fissato le regole.

Io sono una tolkienista, per coniare un nuovo termine. Come J.R.R. Tolkien (solo infinitamente meno bene) e come la Rowling in tempi più recenti, stabilisco regole secondo le quali il mio universo alternativo (quello in cui diavoli dell’inferno camminano sulla terra) si muove e funziona.

Regole alle quali non ci saranno eccezioni. Capirete più avanti.

Per quanto riguarda il dialogo in corsivo, è possibile che abbiate avuto problemi di comprensione (lo so, è una parte non troppo chiara, ma volevo mettere in contrasto il flashback dialogato con i pensieri di Samael).

Ad ogni modo, comincia a parlare Sibylle e poi lei e Samael si alternano una battuta per uno. Sibylle a sinistra, Samael a destra.

 

 

Il solito minuto canonico per i ringraziamenti.

 

 

 

Emily Doyle: grazie per “l’inusuale”, lo prendo assolutamente come un complimento. Ecco il tuo seguito! ^^

 

_New_Moon_: grazie mille per la tua curiosità e per i complimenti! Baci!

 

steffylove: ti piace il nome Sibylle? Wow, e io che ho combattuto per anni contro i miei genitori per farmelo cambiare all’anagrafe! Scherzo, ora piace anche a me ^^. Grazie infinite!

 

_Angel_Of_Lust_: mi lusinghi terribilmente… i motivi di Sibylle? Mistero. Per voi, per Samael e per me? Forse. O forse no. Kiss!

 

LadyCassandra: sono felice di ritrovare in questa storia alcune delle mie “fan” XD… così come sono felice che anche questa storia ti piaccia! E sono felice che tu, da credente, trovi rispettoso il mio modo di scrivere (la mia cara beta GaaRa92 vigila…). Bacioni anche a te!

 

Persefone Fuxia: grazie davvero per il complimento riferito alla descrizione e alla caratterizzazione dei personaggi… vale davvero molto per me. Kisses!

 

GaaRa92: cara Beta, non sono più arrabbiata… contenta? PS, anche Gaspard Ulliel va bene. Samael può essere visto sia come lui sia come Jonathan Rhys Meyers (il modello originale)… forniti di boccoli corvini!

 

chica: sono contenta che tu dica che la storia “regge”… sempre seguendo la linea di Tolkien, ci tengo che i miei “mondi” siano plausibili. Cedimenti di bontà, Samael? Forse. Certo non nel modo che viene spontaneo pensare. Baci anche a te!

 

aki_penn: sì, la città è proprio Parigi… la mia preferita! Quindi immaginati tutte le brioches e le baugettes che vuoi! Grazie per i complimenti, baci!

 

darkrainbow: innamorata di Samael? Ti confido un segreto… anche io! Felice che Sibylle non ti dispiaccia… dopo questo capitolo che ne pensi? Saluti e baci!

 

 

Grazie a chi mi ha inserito nei preferiti con questa storia:

 

1 - aki_penn

2 - cicha

3 - darkrainbow

4 - Emily Doyle

5 - evol

6 - GaaRa92

7 - I LoVe BiLl

8 - LadyCassandra

9 - la_regina

10 - momica

11 - nightfox

12 - Persefone Fuxia

13 - S chan

14 - sasamy

15 - steffylove

16 - sydney bristow

17 - _Angel_Of_Lust_

 

 

Allora, che ne dite?

Dai, che ci vuole a cliccare su vuoi inserire una recensione? e a scrivere due righe…

 

CIAO!

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** L'inganno ***


 

 

 

 

CAP. 4: L’inganno

 

 

Parigi di notte è una gemma sospesa nel buio: ruba ogni raggio di luce e lo cattura per se, lasciandosi attorno una pozza di oscurità.

 

Brilla quasi più che di giorno.

 

La Tour Eiffel, con il suo complicato sistema di faretti che costellano la struttura di metallo,  assomiglia ad una ragnatela intrisa di gocce luccicanti di rugiada. Allo scoccare di ogni ora le luci della Tour abbandonano la loro morbida lucentezza dorata per una intermittenza frenetica e allegra, blu notte, che dura solo qualche minuto.

 

Il quartiere a luci rosse, Pigalle, si anima di vita: le insegne del Moulin Rouge e degli altri locali si accendono di mille colori al neon. Persino nel quartiere di Monmarte, conservato come ai tempi della rivoluzione bohémien, scintillano le luci notturne.

 

I ponti sulla Senna sono ornati, ad intervalli regolari, da lampioni in stile liberty che irraggiano le loro aure di luce gialla. Anche le chiese, quei rigorosi templi del Signore, sono illuminate da faretti e riflettori.

 

Del resto, il mondo intero lo sa: Parigi è la ville lumière.

 

Era evidente anche in quella ventosa notte di fine novembre.

 

Così come era evidente che Sibylle si trovava in quella che sembrava essere l’unica zona buia della città della luce.

 

Se ad una delle estremità dell’Ile-de-la-Cité si trova quel capolavoro di arte gotica che è la cattedrale di Notre-Dame, dall’altro c’è un’ombrosa piazzetta alberata, con una fontana e delle panchine.

 

L’accesso al promontorio artificiale battuto dalle acque del fiume (la vera estremità dell’Ile) di notte era sbarrato, quindi Sibylle riteneva che Samael avesse avuto intenzione di darle appuntamento nella piazzetta, Square Jean XXIII.

 

Di giorno era un luogo ideale per coppiette felici e turisti. Di notte sembrava un potenziale ritrovo per il convegno annuale dell’associazione Manici, Stupratori&Co.

 

Sibylle si strinse un po’ di più nella giacca a vento grigia, rabbrividendo.

 

Quando una folata di vento gelido la investì, la ragazza dovette trattenere con la mano il cappello, un basco di velluto a coste grigio scuro, perchè il vento non glielo strappasse via.

 

Sibylle non amava mostrare la sua appariscente capigliatura: la ordinava spesso in trecce o stretti chignon ma quella sera non ne aveva avuto il tempo e si era infilata il primo cappello che le era capitato davanti.

 

Perciò era praticamente a collo nudo, con i capelli raccolti nel basco. Stava seduta su una delle panchine esterne alla piazza, precisamente su quella che dava dritto sulla punta dell’Ile. Da lì poteva dominare il fiume ma non la piazza dietro di lei: si sentiva spiacevolmente esposta.

 

Impossibile che Samael le avesse dato appuntamento lì perchè aveva bisogno di oscurità: la ragazza l’aveva visto camminare tranquillamente nella piena luce solare. Figuriamoci se quella artificiale gli avrebbe dato fastidio.

 

Doveva averlo fatto per pura cattiveria, si disse Sibylle. Semplice piacere perverso di saperla attendere in preda all’ansia, al buio e al freddo, esposta al vento umido della notte.

 

“Che altro mi aspettavo?” si chiese, retorica.

 

Niente. Da lui non si aspettava niente di diverso.

 

Nonostante non si sentisse troppo tranquilla all’idea di tirare fuori il cellulare, unico oggetto di valore che portava addosso, lo fece e controllò l’ora sul display. Mezzanotte meno un quarto.

 

Fissò con aria colpevole il piccolo schermo, luminoso nell’oscurità: cinque chiamate perse. Tutte da parte dello stesso numero, quello di casa sua.

 

Probabilmente i suoi genitori la stavano chiamando per chiederle a che ora sarebbe tornata dalla festa: aveva detto loro che quella sera ci sarebbe stata il compleanno di Sevérine, una sua compagna di classe.

 

Non del tutto falsa, come cosa: la festa c’era davvero.

 

L’omissione di non avere la benchè minima intenzione di andarci e di non essere stata nemmeno invitata non comportava per forza l’aver raccontato una fandonia.

 

Figuriamoci, Sevérine...” si disse Sibylle, malinconica.

 

Lasciò vagare la mente per ingannare l’attesa e dimenticarsi del senso d’angoscia che le strisciava addosso.

 

Sevérine viveva all’Ile-Saint-Louis, il quartiere residenziale più alla moda di Parigi, ed era una delle ragazze più ricche della sezione di Sibylle, se non dell’intera scuola.

 

Una che comprava i vestiti sugli Champs-Elysées, per intenderci.

 

Non le aveva mai rivolto la parola.

 

Non la trattava male: semplicemente pareva non accorgersi di lei. Mai un sorriso, mai un cenno, come nemmeno mai una presa in giro o una battuta cattiva. Eppure erano in classe insieme da ormai tre anni.

 

Sibylle non sapeva nemmeno se fosse antipatica o meno, se avesse un fratello o un animale domestico, se amasse lo sport o preferisse la musica.

 

Era una delle controindicazioni del frequentare una delle scuole più prestigiose di Parigi pur proveniendo dalla banlieu.

 

Chi lo faceva poteva capitare nel mirino di scherzi pesanti ed insulti. Se era più fortunato si ritrovava ad essere perennemente guardato come un alieno appena sceso dall’astronave. Quando gli andava proprio di lusso, come era successo a Sibylle, veniva cortesemente ignorato.

                      

“Bè, non posso lamentarmi” considerò la ragazza. Del resto nemmeno Sibylle aveva mai tentato un approccio con Sevérine e i suoi compagni delle alte sfere.

 

Ovviamente c’è una certa differenza tra chi non cerca contatti perchè ha paura di essere rifiutato e chi non ne cerca perchè non vuol farlo.

 

Sibylle si rifiutò di continuare su quella linea di pensieri: troppo deprimenti e troppo inutili. Stava per siglare il contratto che avrebbe incatenato per l’eternità la sua anima alla minaccia delle fiamme infernali. Non era il momento di divagare sulla propria scarsa capacità di socializzazione.

 

Sto per vendere la mia anima al diavolo” si ricordò Sibylle. “Sto per vendere la mia anima al diavolo...

 

La frase le riecheggiò una, due, tre volte nella mente, simile ad un eco.

 

-Sto per vendere la mia anima al diavolo- mormorò tranquillamente.

 

Incredibile con quanta facilità riuscisse a formulare il concetto.

 

-Sto per vendere la mia anima al diavolo- ripetè a voce un po’ più alta.

 

Perfetto: la voce non le tremava minimamente. Un ipotetico ascoltatore l’avrebbe creduta perfettamente calma e controllata.

 

Sfortunatamente lì non c’era nessuno a parte lei. Ingannare se stessa era impossibile quanto inutile. Per quanto riguardava la persona che sarebbe presto arrivata, Sibylle aveva riportato la sgradevole impressione che fosse in grado di leggerle nei pensieri.

 

Un secondo, lungo brivido le scese lungo la schiena.

 

Forse mi sono messa in una cosa più grande di me” riflettè sconsolata.

 

Fino a pochi giorni prima se qualcuno le avesse domandato se credeva nell’inferno e nel paradiso, gli avrebbe riso in faccia. O meglio, gli avrebbe risposto con la condiscendenza gentile che si riserva ai bambini che credono ancora alle fate.

 

Sibylle aveva imparato in fretta che credere alle fate non è esattamente una strategia vincente. A scrivere quell’inserzione l’aveva spinta un desiderio così disperato da essere cieco ad ogni buon senso: non aveva saputo cosa aspettarsi fino al momento stesso in cui aveva incontrato Samael.

 

Samael l’aveva costretta a rimettere tutto in discussione. Quella che all’inizio era un’inconsistente possibilità remota diventava una realtà piuttosto ben tangibile.

 

Non sapeva se lui fosse il diavolo. Sicuramente era qualcosa di più che umano.

 

Quando si erano separati, alle Tuileries, Sibylle si era infilata nel metrò, correndo come qualcuno la stesse inseguendo. Non aveva smesso di tremare un istante fino all’arrivo a casa. Si era sentita pervasa dall’angoscia più terribile che avesse mai provato: stare là da sola, al buio e al freddo, alla mercè di ogni possibile aggressore, non era niente in confronto.

 

Si era chiusa a chiave in bagno, aprendo l’acqua della doccia al massimo e gettandocisi sotto quasi con i vestiti ancora addosso. Si era strofinata con forza, cercando di rimuovere dalla pelle quella sensazione gelata e viscida di inquietudine: invano.

 

Per tutto il pomeriggio aveva percepito quell’ansia irragionevole. Era stato orribile: come se una mano invisibile le mozzasse il respiro stringendola alla gola. Si era smorzata solo verso il calar della sera: il giorno dopo era del tutto scomparsa.

 

Non era stato difficile il collegamento: la vicinanza troppo prolungata con Samael le aveva causato quella angoscia innaturale.

 

Sibylle infilò le mani nelle tasche, rimpiangendo di non aver messo i guanti: la panchina su cui era seduta era di ferro battuto a motivi floreali e l’umidità della notte si era posata sul metallo, rendendolo gelido.

 

Il respiro della ragazza si condensava in delicate nuvolette bianche. Controllò nuovamente l’orario: mancavano dieci.

 

Improvvisamente ebbe paura.

 

Considerò se non era meglio andarsene... magari fingere di non aver mai scritto quell’annuncio.

 

No...” pensò quasi subito, tristemente. “Lui non me lo permetterebbe

 

Samael non era umano, era malvagio e seriamente intenzionato a possedere la sua anima. Sibylle, lo capiva solo ora, aveva innescato un meccanismo al quale non era in grado di sfuggire. Non se ne era coinvolto anche un demonio capace di influenzare gli stati d’animo e di leggere nella mente.

 

-Sono una stupida...- sussurrò. -Non solo: sono anche una stupida senza via di scampo-

 

“E una stupida orgogliosa” aggiunse mentalmente, con una certa nota di compiacimento.

 

Si vergognò per quel momentaneo cedimento: serrò le labbra in una smorfia dura.

 

Come faceva sempre quando doveva concentrarsi su di una meta da raggiungere, evocò mentalmente un’immagine che rappresentava le difficoltà da superare: questa volta non si trattò del foglio di un test di chimica, né di un palcoscenico con i riflettori accesi.

 

Ma di lunghi riccioli corvini. Di un volto alabastrino, affascinante in un modo strano, bello solo se considerato nell’ottica della sua innaturalezza. Di un sorriso smagliante e tagliente come una lama.

 

E di due occhi quasi animaleschi, allungati come quelli di un gatto, freddi come quelli di un rettile.

 

Sibylle visualizzò con gli occhi della mente l’esatta tonalità glaciale dello sguardo di Samael: mormorò il suo nome, stringendo gli occhi neri come se stesse mirando ad un bersaglio che non aveva la benchè minima intenzione di mancare.

 

E improvvisamente, dritto nella linea del suo sguardo concentrato e teso, a circa un centinaio di metri da lei, ci fu una silhoutte più scura della stessa notte.

 

Non arrivò da destra o da sinistra, non scese dal cielo, non uscì dal fiume, né sorse dalle viscere della terra. Non si materializzò, non apparve dal nulla. Semplicemente, con un battito di ciglia, Sibylle annullò per un istante il mondo esterno in maniera del tutto automatica: riaprendo gli occhi dopo quella frazione di secondo, lo vide.

 

Era chiaramente Samael, su questo non c’era alcun dubbio.

 

Nessuno sarebbe potuto apparire in quel modo, tranne una creatura sovrannaturale, e lui era l’unica creatura sovrannaturale della quale Sibylle era a conoscenza.

 

Nessuno si sarebbe mai vestito in quel modo assurdo, non nel ventunesimo secolo... ma Samael? Sibylle ne era abbastanza convinta.

 

E soprattutto, nessuno si sarebbe mai potuto trovare in quel preciso punto di Parigi. Non a quell’ora della notte, almeno.

 

Quando Samael le aveva dato appuntamento all’estrema punta est dell’Ile-de-la-Cité, intendeva evidentemente l’estrema punta est dell’Ile-de-la-Cité: e tanti saluti ai cancelli sbarrati che impedivano l’accesso alla punta dell’Ile durante la notte.

 

La figura, alta e snella, apparentemente indossava un lungo mantello nero dal taglio vittoriano, che le ondeggiava dolcemente sulle spalle.

 

Sibylle avrebbe alzato gli occhi al cielo, presa da un sentimento a metà tra la derisione e l’attrazione... se solo lui non si fosse trovato esattamente sul promontorio, dove le onde della Senna si frangevano in due direzioni differenti.

 

La ragazza percepì il suo sguardo su di se, lo comprese invitarla a raggiungerlo.

 

E come?” si chiese, già angosciata. “Mica posso volare sopra i cancelli!

 

-E’ pazzo-

 

Quelle due parole le sfuggirono dalle labbra come un’imprecazione. Eppure si alzò dalla panchina e mosse diversi passi verso di lui, simile ad una sonnambula. Si riscosse quasi subito: cominciava ad imparare a riconoscere il momento in cui la volontà di Samael si affiancava sottilmente alla sua, per andare poi lentamente a sostituirla.

 

Respinse con inutile veemenza il subdolo attacco mentale, fino a quando Samael non le concesse di farlo divenire una minaccia evanescente.

 

Sibylle non si illuse neanche per un momento di poterlo fare grazie alle sue forze, ma mosse comunque di propria volontà gli ultimi passi che coprivano la distanza tra lei e il grande cancello di ferro battuto.

 

L’ennesima stranezza di quella notte: lo trovò aperto.

 

Eppure era abbastanza sicura di averlo visto sbarrato, quando ci era passata davanti mentre arrivava.

 

Solo la consapevolezza che Samael la stava studiando la trattenne dall’alzare le spalle con aria noncurante: evidentemente, una volta fatta la conoscenza con il Diavolo incarnato, non basta un cancello aperto a stupirti.

 

Entrò senza esitare, ma dovette frenare i suoi passi sicuri: la notte era nera, la pietra del promontorio scivolosa per le miriadi di schizzi provenienti dalla corrente che si schiantava violentemente contro i frangiflutti.

 

Una raffica di vento la fece quasi barcollare: improvvisamente temette di essere destinata a concludere la serata con un bel bagno nella Senna. L’Ile terminava in una punta allungata e stretta: il fiume scorreva rapido e tempestoso sia alla destra che alla sinistra della ragazza.

 

Lei avanzò con cautela: quando raggiunse la sua meta si dovette trattenere dal tirare un sospiro di sollievo. Alzò gli occhi da terra, dove li aveva prudentemente fissati durante il cammino impervio e guardò davanti a se.

 

Samael l’aspettava in una posa aggraziata e rilassata, la mano appoggiata sul fianco: il mantello a ruota era di raso nero lucido. Oltre a quello indossava solo pantaloni attillati neri, stivali alti e una camicia bianca, con i polsi e il collo ornati di pizzi e volant.

 

Bizzarro, certo: ma bello di quella sua bellezza aliena e stranamente mai incongruo, nemmeno vestito così.

 

I suoi occhi grigi erano imperscrutabili.

 

-Sibylle- la salutò con la sua voce bassa e modulata.

 

Lei sbuffò.

 

-Questa mascherata era necessaria?-

 

Lui si gettò con noncuranza una falda del mantello dietro la spalla, rivelando la fodera di seta: i suoi occhi percorsero la figura di Sibylle, soffermandosi un istante di troppo sulle converse nere e sulla giacca a vento grigia.

 

Dalla carezza sdegnosa del suo sguardo la ragazza capì che anche lui trovava inadeguato il suo abbigliamento: nonostante ciò, Samael si comportò con grazia e rispose alla sua domanda come se non fosse stata retorica.

 

-Mi piace fare il mio lavoro come si deve-

 

-Bè, allora muoviti. Non mi va che qualcuno mi veda con te-

 

-Cherié, di che cosa hai paura? Che io possa rovinare la tua... ehm... reputazione?-

 

-Esattamente. Sembri un espositore di costumi di Halloween. E non mi chiamare “cherié”. Non sono un cioccolatino-

 

I suoi occhi grigi divennero sardonici: Sibylle riconobbe la fiamma del sadismo.

 

-Non occorre che tu finga una sicurezza che non senti- le sussurrò il demonio, il sorriso nascente sul volto affascinante.

 

-Io non fingo un cazzo di niente- lo attaccò Sibylle, intimorita.

 

Lui sollevò un sopracciglio con grazia, apparentemente divertito dalla scurrilità del linguaggio di lei.

 

-E’ inutile...- ripetè come se nulla fosse stato. -Sento la tua paura, non stancarti a simulare coraggio-

 

Figlio di puttana” imprecò mentalmente Sibylle, senza riuscire a trattenersi. Se ne pentì subito: chissà quale sarebbe stata la reazione di Samael davanti a quell’insulto.

 

Stranamente lui non disse niente: non un muscolo si mosse sul suo viso d’avorio.

 

-Allora non leggi nei pensieri- esclamò Sibylle, trionfante.

 

Samael la fissò. Non c’era sorpresa nei suoi occhi, solo ostilità. Sibylle si sentì percorrere da una vampata di gelido terrore: dovette reprimere ancora una volta l’istinto di fuggire.

 

-Non esattamente- ammise lui. -Posso sentirti, percepire parte delle tue emozioni nel caso esse siano violente e improvvise... ma non posso leggere la tua mente-

 

Disse queste parole come se farlo senza ucciderla per averle ascoltate comportasse uno sforzo immenso. Ed effettivamente Sibylle lo capì: l’aveva appena costretto a rivelarle un segreto abbastanza importante.

 

Se pure “costretto” era un termine adeguato. Se pure lui non stava mentendo e simulando il disagio e la collera per altri scopi. Se pure lui non aveva già deciso di ucciderla.

 

Cominciava a capire perchè Samael l’avesse avvertita di non sfidarlo mai a nessun gioco: in caso contrario non avrebbe mai saputo chi aveva il controllo della partita, neanche se avesse avuto tutte le carte vincenti in mano.

 

Improvvisamente Sibylle sentì il bisogno di sviare il discorso.

 

-Allora?- chiese, ignorando l’invito a non mostrare una falsa sicurezza in se stessa. -Sai solo chiacchierare o intendi passare ai fatti entro stanotte?-

 

-Sempre lieto di accontentare una signora-

 

Lei lo guardò storto, nonostante la paura la percorresse lungo le membra fino alla punta delle dita, simile ad una scossa elettrica. Aggrottò le sopracciglia quando lo vide portarsi le mani al collo e cominciare a slacciarsi i lacci di seta che trattenevano il mantello.

 

-Ehi, ma cosa fai?-

 

-Sssh...- la zittì Samael in un sussurro delicato e insinuante.

 

Quando le sue dita affusolate finirono di sciogliere l’intreccio, il mantello cadde giù in un fruscio di raso nero. La camicia bianca ornata di pizzo gli sottolineava le forme armoniose delle spalle e del petto: snello e pericoloso come una serpe, ogni movimento intriso di una sensualità quasi opprimente.

 

Bello, sensuale e sbagliato.

 

Tra le mani aveva qualcosa che Sibylle non aveva notato prima: un libro. Grande, non troppo spesso, rilegato in pelle rosso cupo. Sembrava antico: Samael prese tra due dita il segnalibro di stoffa nera e ricamata che sporgeva dalle pagine e lo aprì. Allungando leggermente il collo Sibylle lo notò fitto di righe di una grafia minuta e chiara: nomi.

 

I nomi di decine, forse centinaia di persone che, durante il corso incalcolabile dei millenni, avevano ceduto alle tentazioni del diavolo, cedendo la propria anima immortale.

 

Samael doveva essere un tipo preciso: aveva annotato il nome del venditore, le condizioni del contratto e, in alcuni casi, la scadenza dello stesso. La maggior parte dei nomi era stata cancellata da un tratto deciso di penna: Sibylle si chiese se ciò indicasse l’avvenuta morte della vittima.

 

Ad ogni nome corrispondeva una firma: erano tutte dello stesso, strano colore, marroncino-rossastro.

 

-E’... è sangue!- esclamò lei, disgustata.

 

Lui inarcò un sopracciglio e sorrise, sarcastico.

 

-Esatto. Sangue. Goccia a goccia, se ne sono privati per siglare i loro contratti. Hanno vergato i loro nomi, si sono incantenati a questo libro... e a me. Sibylle, ti unirai a loro stanotte?-

 

La ragazza deglutì e respirò profondamente, come se si stesse preparando a saltare da una grande altezza.

 

-Sì-

 

La sua voce fu chiara e senza tremiti. Gli occhi di Samael parvero brillare nell’oscurità: pezzi di ghiaccio illuminati da fuochi fatui.

 

Improvvisamente l’atmosfera cambiò: un mutamento impercettibile ma definitivo. Il vento cadde per un istante: l’aria immota sembrò fermarsi ad ascoltare, il fiume parve rallentare la propria corrente. I rumori della città non giungevano più alle orecchie della ragazza. Tutto era oscurità, tutto tranne il volto di alabastro di Samael.

 

Al suo ordine, Sibylle si tolse la giacca e il maglione, rimanendo in jeans e maglia blu scuro. Quando lui glielo chiese, depose senza esitazioni la mano sinistra tra le sue: emise solo un lieve gemito quando lui le torse il braccio per far si che risultasse esposto l’interno del polso.

 

Intravide un lampo argenteo di metallo, poi un dolore acuto all’incavo del polso. Si morse il labbro, quando percepì un liquido caldo colarle sulla mano.

 

Non gridò: l’adrenalina le scorreva addosso, l’avvolgeva completamente, penetrava attraverso la sua pelle. Tremava di soddisfazione e di paura al tempo stesso.

 

Il volto di Samael era una maschera ambigua e impenetrabile. I suoi occhi erano abissi gelidi e incommensurabilmente profondi: per la prima volta dimostrava la sua natura di creatura millenaria ed immortale.

 

Chiamò il suo nome e la sua voce era antica e stentorea.

 

-Sibylle-

 

-Samael-

 

La ragazza rispose istintivamente, in tono trepidante.

 

-Mi hai offerto la tua anima: sono venuto a reclamarla in nome di Lucifero il Diavolo, Principe delle Tenebre, Signore delle Mosche-

 

-Sì- sussurrò lei, stregata.

 

-Vuoi offrirmela ancora?-

 

-Sì- ripetè Sibylle, incapace di staccare gli occhi da lui. -Io te la offro-

 

-E quale sarà il prezzo della tua anima?-

 

-L’immortalità... e l’eterna giovinezza-

 

Nonostante Sibylle fosse trasognata, ormai rapita in un sogno che aveva i contorni dell’incubo, notò una lunga piuma bianca tra le dita di Samael: una penna d’oca. Non ne aveva mai vista una: come il libro, era evidentemente un oggetto molto antico.

 

Lui ne accostò la punta al piccolo taglio sanguinante sul polso della ragazza e lasciò che si intridesse del liquido scuro e denso.

 

Poi gliela offrì, piantandole gli occhi glaciali nei suoi.

 

Sibylle la prese: abbassando lo sguardo sul libro si rese conto che, in fondo alla lista dei nomi, ne era comparso uno nuovo, accompagnato da una dicitura precisa e da un piccolo spazio bianco per la firma.

 

Sibylle Bouteille, immortalità, eterna giovinezza, .......

 

Sibylle non potè impedirsi di arrossire nel leggere per l’ennesima volta il suo imbarazzante cognome.

 

La rabbia le fece tremare le dita, ma fu con rinnovata decisione che vergò la propria firma con il proprio sangue... nel momento esatto in cui le campane di Notre-Dame battevano la mezzanotte e la luna cambiava.

 

Un’improvviso e innaturale vento gelido li raggiunse e li avvolse, vorticando attorno a loro in un cerchio di potere.

 

Le raffiche fecere quasi perdere l’equilbrio a Sibylle, mentre Samael restò immobile come una statua.

 

L’ultima folata le strappò via il cappello senza che lei facesse niente per impedirlo. La ragazza guardò il basco di velluto a coste volteggiare nell’aria della notte e cadere nel fiume: lo osservò passivamente, mentre veniva trasportato via dai flutti vorticosi e scuri della Senna.

 

Liberati da costrizioni e spinti dalla furia del vento, i capelli le si gonfiarono improvvisamente attorno al volto.

 

Erano opulenti, lunghi e assai ondulati: l’oscurità li rendeva una massa di inchiostro, che fluttuava al vento.

 

Sibylle percepì gli occhi di Samael raggiungerli ed osservarli. Infine, assistette stupefatta alla lenta nascita di un sorriso.

 

Il diavolo dal volto di seduttore guardava i suoi capelli muoversi al vento e sorrideva. Un sorriso troppo innocente per esserlo davvero.

 

-Hai i capelli lunghi...- lo sentì mormorare con voce leggera.

 

Lo osservò registrare mentalmente, nella sua memoria infallibile, un altro dato su di lei: desiderò di poterlo fermare.

 

In un lampo di compresione, capì cosa stesse realmente facendo.

 

Andava ricercando i suoi punti deboli.

 

La studiava, la osservava, la assecondava allo scopo di farla reagire. La inseguiva, frugava nella sua mente, nel suo cuore. Cercava.  Aspettava di vederla incespicare sull’orlo dell’abisso. E se non fosse successo, comprese Sibylle, sarebbe stato lui a spingerla nella voragine.

 

Rabbrividì come se dita di ghiaccio l’avessero afferrata alla gola.  Quando lui avrebbe trovato quel che cercava, l’avrebbe distrutta.

 

Avrebbe afferrato il filo della sua vita e lo avrebbe strappato senza pietà

 

L’avrebbe costretta a rispettare quel contratto apparentemente così vantaggioso, quel contratto che prometteva all’inferno l’anima di chi non sarebbe mai morta.

 

Fatta la legge, trovato l’inganno?

 

Un sottile sensazione di potere cominciava a percorrerle le vene, mentre sul suo viso infine si allargava un sorriso di trionfo e gli occhi le si aprivano alla sua nuova vita. Sibylle chinò il capo: i capelli le velarono il volto per un istante e lei mormorò parole troppo leggere per essere udite, se non da una creatura immortale... come lei.

 

-Madame et Messieurs... ecco a voi l’inganno-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Buonasera, cari e fedeli (?) lettori.

Dopo tanta attesa ecco il fatidico quarto capitolo. Spero ardentemente vi sia piaciuto.

 

Grazie a:

 

-GaaRa92: la mia beta è anche la prima a recensire! Brava ragazza... *fa pat pat sulla tua testa* xD. Lo so, lo so: io lascio tutti con l’ansia. E’ una tecnica che funziona sempre ma richiede una certa dose di bastardaggine. Grazie per i complimenti e per i sempre presenti consigli!

 

-LadyCassandra: grazie mille per i complimenti! Sono felice che ti sia piaciuto il dialogo intrecciato e considero molto molto positivo che tu non riesca a immaginare cosa succederà ^^. Baci, grazie ancora.

 

-nightfox: grazie per i complimenti anche a te, lieta che personaggi e ambientazione ti piacciano. Che ne pensi di questo capitolo?

 

-Persefone Fuxia: anche io trovo più intrigante lui, ovviamente. E’ molto più intrigante, anche se Sibylle non è da sottovalutare. Grazie per i complimenti, baci.

 

-darkrainbow: Sibylle è un tipo, certo... un tipo molto “me” xD. Ok, lo ammetto, è mia sorella gemella sputata e io sono una grandissima egocentrica che scrive di se stessa! Spero non me ne vorrai ^^.  Per quanto riguarda le citazioni di Oscar Wilde... bè, è un mio vizio. Frequento le riunioni degli O.W.A. (Oscar Wildianisti Anonimi) per combatterlo. XD baci e grazie.

 

-steffylove: ovviamente non voglio anticipare niente, ma posso dire Samael è stato sicuramente colpito da lei. Un film dalla mia storia? Quale onore... *arrossisce fino alla punta dei capelli*. Grazie mille!

 

-_Angel_Of_Lust_: Grazie, grazie e... grazie. L’analogia con il canto delle sirene (o il ruggito di drago ^^) mi ha davvero colpita e lusingata. Bacio anche a te!

 

-aki_penn: grazie mille! Credo di padroneggiare abbastanza bene Parigi, è decisamente la mia città preferita d’Europa e ci sono stata diverse volte. Il titolo della storia significa “Vuoi la mia anima?”: non molto originale ma efficace. Per quanto riguarda il contratto, ecco cosa ho pensato: Samael firma un contratto apparentemente in perdita, che gli consentirebbe di ottenere l’anima solo alla morte del venditore della stessa. Ma così non è, perchè lui si cura di spingerlo, con inganni e persecuzioni, al suicidio o ad una morte prematura e violenta (l’unica che può ancora toccare la vittima di Samael). Questo ovviamente riguarda solo i contratti di immortalità. Spero sia tutto chiaro.

 

-Emily Doyle: ho intenzione di serbare il segreto sulla decisione di Sibylle per molti capitoli... Ecco il seguito, grazie per i complimenti!

 

-SiSi: un’altra delle mie “fedeli”! XD lieta di ritrovarti qui! Meglio io della Meyer... oddio, me tracolla e sviene. GRAZIE!

 

-_Marika_: sono felice di averti di-disincantata (xD parla come mangi, mi dico da sola xD). Grazie mille per la recensione e i complimenti.

 

-Araxe: Superbia, mia cara! So che il biondo è il tuo tipo, ma devi ammettere che Samael ha un certo fascino... quel je ne sais qua... A parte tutto, grazie per la recensione, un bacio dalla tua Invidia.

 

 

Qualche piccola nota.

Il cognome Bouteille è imbarazzante perchè vuol dire “bottiglia”. Non è molto dissimile dal mio cognome (che odio), per la cronaca.

In questo capitolo vi ho già dato un paio di indizi, deducete voi quali.

Un’altra cosa. Ho fatto una piccola modifica alla geografia di Parigi (nella fattispecie ho “tagliato” un pezzo dell’Ile-de-la-Cité) per ragioni di trama.

 

 

E con questo vi lascio, ci sentiamo al prossimo capitolo.

Ciao a tutti!

 

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Capitolo 5
*** Ribelle tra i ribelli ***


Cap

Cap. 5: Ribelle tra i ribelli

 

 

E discese nelle profondità infernali.

 

Si liberò della carne mortale come da un abito troppo stretto, abbandonò il corpo di giovane parigino e penetrò nelle viscere della terra in qualità di puro spirito.

 

Non lo avvolse una normale oscurità, ma il buio mortuario del vivo sottosuolo.

 

Gli vorticarono attorno i colori indefinibili del Nulla. Non se ne curò. Niente di quel regno ineffabile lo attraeva né lo incuriosiva: aspettò fino a quando non scomparve del tutto dalla sua vista.

 

L’Averno emerse dalla nebbia.

 

Noti contorni si disegnarono davanti ai suoi occhi: rocce a strapiombo, dirupi, declivi scoscesi e moncherini d’alberi bruciati dal gelo, con i rami ritorti.

 

Il terreno sembrava ricoperto di cenere.

 

L’aria era plumbea e gelida, chiara ma straordinariamente priva di luce.

 

Lo accolsero i sussurri e i fruscii delle anime: contrariamente al pensiero comune, l’Inferno non risuonava di urla e di sferzate. Il tormento dei dannati era tutto interiore.

 

Samael si trovava sul ciglio di un burrone, seppur quello era il modo giusto per indicare la posizione di un’entità immateriale priva di corpo.

 

Ad ogni modo, da lì poteva scorgere un’amplissima vallata: grossi massi grigi si erano staccati dal fianco dell’altura, andando a costellare la ripida discesa.

 

Sotto la volta infernale, cinerina e irreale come tutto il resto, volteggiava una fitta schiera di anime dannate.

 

Erano innumerevoli e quasi trasparenti, dai profili indefiniti: sembravano fatte di fumo. Le sospingeva un vento spietato, così impetuoso da sembrare quasi più consistente degli spiriti.

 

Era uno spettacolo indescrivibile, simile a un fiume in piena che trasporta con se pietre e detriti. Le anime piroettavano su se stesse, scorrendo nel vento implacabile.

 

Il diavolo restò ad osservarle per un momento, godendo della semplice vista di quel cielo vorticante.

 

Non provava mai un moto di pietà o di comprensione nei loro confronti. Non gioiva delle loro sofferenze. Semplicemente, freddo e grigio come la cenere, osservava quella scena e ne traeva una certa bellezza.

 

A strapparlo dalle sue riflessioni estetiche fu un soffio diverso dagli altri, un fruscio lievemente più consistente: un altro diavolo, che gli fu accanto nello spazio di un battito di ciglia.

 

Samael

 

La voce non risuonò tra le pietre dell’altura, né sotto il cielo infernale. Eppure Samael la percepì perfettamente mentre pronunciava il suo nome.

 

Non parlava e non pensava. Diceva e basta, articolando parole in una lingua che non era francese né inglese, né un’altra lingua conosciuta sotto il sole.

 

Samael riconobbe subito quella voce, densa e arrogante, ricca di sfumature color granato.

 

Belial, rispose.

 

La voce dell’altro demonio fu scossa da una risata.

 

Non credevo di rivederti tanto presto. Non ti degni spesso di venire qua giù

 

Se Samael fosse ancora stato in possesso di un volto, lo avrebbe distorto in una smorfia agra.

 

Ho avuto da fare, rispose malvolentieri.

 

Una nuova vittima?

 

Esattamente

 

Chi è? domandò Belial con la sua solita, insopportabile curiosità.

 

Nessuno che possa interessare a Belial il dissoluto, rispose Samael, secco.

 

Ma a Samael il velenoso sì,  a quanto pare, intervenne qualcun altro.

 

Una terza presenza, un terzo soffio vitale, li aveva raggiunti sull’altura. Era morbido, sinuoso e di natura femminile.

 

Lilith, la salutò Samael.

 

Il demone Lilith un tempo era stato una donna: la prima moglie di Adamo. Conosceva meglio di ogni altro la natura dei mortali.

 

Che cosa ti porta a visitare l’Averno, Sam-el?, chiese lei, usando il nome ebraico di Samael.

 

Lui mi vuole vedere, rispose quello in tono allusivo.

 

Sia Belial che Lilith tacquero. Samael si compiacque del timore reverenziale che era riuscito a imporre loro, pur sapendo bene che non era rivolto a lui.

 

Se è così, disse Lilith dopo un lungo istante, non devi farlo aspettare. Il Portatore di Luce non è paziente

 

Non è lui a doversene andare, Lilith

 

A parlare era stata una quarta voce: i tre diavoli sospirarono alla sua carezza.

 

Il timbro era androgino, dolce e leggermente vibrante. Se Samael era grigio cenere, Belial rosso granato e Lilith blu notte, l’ultimo arrivato era bianco sfolgorante... o forse nero profondo?

 

Mio Signore... lo riverì Belial.

 

Se Samael fosse stato ancora in possesso di un corpo avrebbe alzato gli occhi al cielo: il servilismo di Belial era quasi ridicolo. Anche Lilith si prostrava mentalmente in adorazione, mormorando parole di omaggio in tono sottomesso.

 

Samael scelse di restare in silenzio.

 

La quarta voce concesse ai due demoni di riverirla ancora per qualche istante: Samael la percepì crogiolarsi nell’adorazione come un gatto nella luce solare.

 

Poi gli spiriti di Lilith e Belial si precipitarono giù per la scarpata pietrosa. Samael li osservò senza interesse mentre si libravano, intrecciandosi in una danza invisibile.

 

Al suo fianco ondeggiava la quarta presenza.

 

Mio Samael

 

Il demone non potè impedirsi di sospirare nuovamente. La voce di Lucifero era irresistibile.

 

Non sono vostro, si costrinse a dire, utilizzando tutta la propria forza di volontà.

 

Come posso crederti se la tua voce dice tutt’altro?

 

Non sono vostro

 

Ma brameresti esserlo

 

Questa volta Samael non disse niente, sopraffatto dalla verità nelle parole dell’altro. Lucifero continuò, apparentemente soddisfatto da quel gesto di resa.

 

Chi è?

 

Una giovane di sedici anni. Mi ha offerto la sua anima in cambio dell’immortalità

 

Ci fu una pausa. Poi la mente millenaria e incommensurabile di Lucifero si insinuò in quella altrettanto antica di Samael e cominciò a frugarla.

 

Lo spirito incorporeo del diavolo rabbrividì, mentre gli venivano strappati i ricordi dei giorni precedenti.

 

Rivide come in una sfilata le immagini del volto di Sibylle nella cornice delle Tuileries, poi

della mano che vergava una firma sicura, dei capelli scuri che si gonfiavano al vento. Riascoltò il tono esatto con il quale aveva risposto al telefono la prima volta che si erano parlati.

 

Represse un moto di fastidio quando riudì la voce di lei compitare il suo nome alla francese, come se fosse stato scritto “Samaelle”. L’aveva chiamato per nome una sola volta.

 

Lo spirito di Lucifero parve bearsi e nutrirsi di quei ricordi.

 

Allora è così che stanno le cose... disse in un sussurro.

 

Sì, rispose Samael, rigidamente. Sai cosa significa, questa richiesta di vita eterna?

 

Seguì un lungo silenzio.

 

No, ammise infine la voce del Principe dei Diavoli. L’accesso alla sua mente mi è sbarrato come lo è per te: l’Altro la protegge ancora

 

Com’è possibile? esclamò Samael, sconvolto.

 

Evidentemente, l’Altro crede di avere ancora una possibilità di salvarla

 

Ma la sua anima appartiene a me! Come...

 

La domanda non è “come”. La domanda è “perché”

 

Samael guardò la piana di cenere, il vortice di anime dannate. Non sapeva che cosa fosse andato storto con Sibylle. Avrebbe voluto potersi scordare di lei e del contratto che aveva siglato.

 

Che devo fare? si risolse a chiedere infine.

 

Prendila. Prendila ora. Fa che sia tua per sempre

 

Ci vorrà tempo per spingerla al passo finale.  La sua anima appartiene all’Inferno ma il suo cuore non è ancora mio

 

Forse dovrei affidare l’incarico a Mefistofele. Mi sembra che Samael abbia perso la sua bravura

 

E a me sembra che Lucifero abbia perso il senno, ribattè Samael, piccato.

 

Una risata scosse lo spirito del Signore delle Tenebre.

 

Mi piaci, Samael, confessò con voce divertita. Mi sei sempre piaciuto più di ogni altro

 

Lusingato, tagliò corto Samael.

 

Non riusciva a capire dove volesse arrivare Lucifero e stava sulla difensiva, consapevole di trovarsi in una posizione di inferiorità.

 

Eppure Samael e Lucifero erano ugualmente antichi. Entrambi erano stati tra gli angeli prediletti di Dio, prima della Caduta e quando Lucifero si era ribellato, Samael era stato uno dei primi a seguirlo.

 

Intanto Lucifero continuava.

 

Io ti guardo, Samael e vedo il tuo sogno di rivalsa... so che sono invidia e rancore a muoverti. Avresti potuto essere tu il Principe dei Diavoli eppure sei solo un servo qualunque, adesso

 

La mente di Samael insorse.

 

Tacete!, gridò.

 

Lucifero rise ancora.

 

Cova pure la tua ira, mio prediletto. E’ per questo che ti amo... ribelle nella ribellione eppure anelante ad essere sottomesso. Dove potrei trovarne uno uguale?

 

Non capisco quello che dite... divagò Samael. Non voleva che quella conversazione continuasse.

 

Ma Lucifero non sembrava intenzionato a fermarsi.

 

Seppure i giorni scorrano ancora per coloro che sono caduti dalla grazia, sempre ti tormenti. Guardi Belial, che è come tutti gli altri: semplice nella sua malvagità. Che cos’altro brama se non continuare a fare del male? Tu invece desideri attorcere  i fili dell’Averno oltre a quelli delle vite umane. Eppure sai di non averne la forza e ti torturi anelando a quell’agevole esistenza... pur senza mai cessare la tua lotta silenziosa. Troppi pensieri, amato Samael. Noi non siamo fatti per i pensieri, rammentalo sempre

 

La voce di Lucifero irretiva in un vortice di morbida incoscienza: il Signore delle Mosche fraseggiava con consumata abilità.

 

Penso, mio dilettissimo, continuò, a come sarebbe semplice se tu ti sottomettessi... fallo, mio caro. Arrenditi a me. Ti prometto che non sarai più tormentato

 

Fu con tutta la sua forza che Samael si rivoltò contro quel tentativo di seduzione.

 

Non sono un servo e non desidero un padrone. Potrò chiamarvi Signore, ma non mi avrete mai. E ora voglio tornare sulla terra per occuparmi della ragazza

 

Nella sua immaterialità, Lucifero fece un cenno accondiscendente con il capo. Samael avrebbe voluto poterlo colpire. Ma il Signore delle Tenebre non dette segno di accorgersene.

 

Va, concesse. Va dalla tua vittima mortale, e prendila in fretta. Non tollererò errori. Non da parte tua, mio Samael

 

Mentre stava per innalzarsi verso la volta infernale, Samael fu trattenuto dalla volontà dell’altro, silenziosa quanto inequivocabile.

 

Non sottovalutare la ragazza. E’ più forte di quel che tu credi

 

Sì... mio Signore, aggiunse Samael a malincuore ben sapendo che Lucifero non l’avrebbe lasciato andare fino a quando non avesse pronunciato quelle parole.

 

Un istante, una carezza incorporea e sfuggente e infine, il Principe dei Diavoli disparve.

 

***

 

Samael, di nuovo sotto spoglie mortali, ammirava le statue del Panthéon con distaccato interesse.

 

I monumenti funerari di Hugo, Zola, Rosseau e tanti altri lo attraevano in modo indefinibile, perché ricordavano i più grandi degli uomini francesi. Dal momento che i comuni mortali annoiavano immensamente Samael, il demone rimpiangeva di non aver avuto l’occasione di conoscerli.

 

In fondo, si disse, a ricorrere ai suoi servigi era proprio il mediocre, chi non riusciva a raggiungere un obiettivo con le sole proprie forze.

 

Lanciò un ultimo sguardo al monumento di Diderot. Il tempio era deserto: non erano ancora le sette del mattino.

 

Una luce fioca filtrava dalla lanterna della grande cupola in ferro, creando giochi di luce e ombra con le colonne corinzie delle quattro navate disposte a croce greca.

 

Il pavimento intarsiato non riecheggiava sotto i passi di Samael. Qualche momento dopo se ne aggiunsero altri, ugualmente silenziosi.

 

Samael non sussultò né diede alcun segno di stupore: era impossibile coglierlo di sorpresa.

 

Il Panthéon, gioiello in stile neoclassico del Quartier Latin, era nato come chiesa dedicata a Santa Geneviève, ma nel 1885 era stata sconsacrata e destinata ad edificio pubblico. Ciò consentiva a Samael e ai suoi simili di camminarvi indisturbati.

 

Gli altri passi seguirono quelli di Samael senza che lui si voltasse. Il demone attraversò tranquillamente la navata, sempre affiancato da quella presenza silenziosa.

 

Mentre osservava la serie di affreschi che descrivevano la vita della santa a cui la chiesa era originariamente consacrata, l’altro parlò.

 

- Samael. Non mi aspettavo di vederti qui -

 

Ovviamente non era vero. C’erano ben pochi posti di Parigi frequentati dai diavoli dell’inferno e le chiese sconsacrate si trovavano tra questi.

 

Ma Samael non fece commenti e si voltò semplicemente in direzione dell’altro. Aveva l’aspetto di un’adolescente minuta, dai capelli castani. Non c’era molta luce ma poteva vedere chiaramente che indossava una divisa scolastica.

 

- Mefistofele - lo salutò.

 

La ragazzina scosse la testa e la coda di cavallo le ondeggiò sulle spalle strette.

 

- Lucille, per favore. Mi chiamo Lucille -

 

Samael dovette trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo. Tranne Lilith, che una volta era stata una donna, nessun demone aveva sesso: ne assumevano automaticamente uno quando prendevano spoglie mortali. Non era convenzionale prendere un altro nome oltre il proprio.

 

Ma Lucille era carina e non molto alta. Non dimostrava più di quattordici anni.

 

- Cosa vuoi? - chiese Samael, bruscamente.

 

Era stanco: il colloquio con Lucifero aveva portata all’esasperazione la sua già scarsa pazienza. La ragazzina aggrottò le sopracciglia fine e chiare.

 

- Perché mi tratti male? - domandò per tutta risposta.

 

Poi abbandonò in un secondo l’atteggiamento civettuolo e innocente: parve di vedere una maschera che cadeva. Improvvisamente il visetto pallido si indurì e assunse un’espressione densa di malizia.

 

Anche la voce sottile sembrava diversa, più antica.

 

- Hai parlato con il Portatore di Luce - esordì.

 

L’affermazione conteneva una domanda che Samael finse di non aver compreso.

 

- Così si dice - affermò distrattamente.

 

Senza badare più a lei, scese i tre gradini che portavano alla navata centrale, passando in rassegna i bassorilievi. Ma Lucille/Mefistofele non sembrava intenzionato a lasciarlo in pace.

 

- Ogni diavolo che cammina sulla terra ha sentito il suo richiamo - gli disse, seguendolo. -Egli desiderava vederti, perché? -

 

Samael non rispose.

 

Mefistofele e Belial si assomigliavano un poco: avevano lo stesso manieroso formalismo, che li portava a non pronunciare il nome del loro Signore. Tanto bastava per odiarli, poiché Samael detestava la tendenza a mitizzare Lucifero come se fosse stato un essere superiore. Ma, mentre Belial era stolidamente malvagio, Mefistofele era scaltro e abile: non raffinato, tuttavia ricco di inventiva.

 

Samael non voleva parlargli ma era difficile ignorarlo. Mentre fingeva di concentrare la sua attenzione in alto, gli occhi grigi puntati sul matroneo che correva lungo tutto il perimetro dell’edificio, Mefistofele continuava a incalzarlo.

 

- Cosa? - sussurrò in tono suadente. - Cosa può avere da dire il Signore dell’Averno a Samael il velenoso? -

 

Anche Lilith lo aveva chiamato così. Quell’epiteto gli era stato attribuito per la sua capacità di alterare in negativo gli stati d’animo. La sua presenza era come veleno per i mortali.

 

Lucille/Mefistofele aveva colpito nel segno e lo sapeva: quando finalmente Samael si voltò per parlargli, fece in tempo a catturare un sorriso soddisfatto sul volto infantile.

 

- Una ragazza mi ha offerto la sua anima. Lucifero desiderava saperne di più - rispose in tutta semplicità.

 

Il volto della ragazzetta fu animato da un caos di espressioni contrastanti a una velocità troppo elevata per un vero essere umano.

 

Ma se ci fosse stato qualcuno nel Panthéon a quell’ora del mattino avrebbe visto semplicemente un giovane sui venticinque anni che discuteva con una ragazzina. Avrebbe ammirato la bellezza pallida e languida del giovane, si sarebbe soffermato sui suoi lunghi riccioli da cherubino botticelliano, sul soprabito nero di ottimo taglio.

 

Difficilmente avrebbe notato che la luce, cadendo dagli archi della grande cupola, non proiettava alcuna ombra delle due figure sull’intarsiatura circolare del pavimento

 

Gli esseri umani raramente si accorgono di queste cose.

 

- Che cosa conti di fare? - chiedeva intanto Lucille/Mefistofele. - Io potrei aiutarti -

 

Samael non si lasciò trarre in inganno e rivoltò la domanda.

 

- E tu, perché sei qui? Chi è la tua vittima? -

 

- Un uomo amante di bambine - tagliò corto l’altro. - Un Humbert Humbert, se non disdegni il patrimonio letterario dei mortali -

 

Il riferimento al romanzo di Vladimir Nabokov sulle sue labbra da ragazzina sembrò quasi osceno e Samael preferì non indagare oltre: non aveva alcun interesse per la missione di Mefistofele.

 

- Non ho bisogno di aiuto - rispose freddamente alla domanda precedente.

 

- Oh, io credo di sì. Vedi, io so che la ragazza... Sibylle, non è vero? Ecco, so che si sta dimostrando un poco più difficoltosa di quanto tu avresti creduto. Non riesci a leggerle la mente. Il contratto è stato firmato ma è come se... se l’Altro avesse ancora una mano posta sulla sua testa. Il Portatore ti ha imposto di prenderla adesso ma tu non puoi ancora... o non vuoi? -

 

Samael non raccolse l’insinuazione e Mefistofele continuò.

 

- Potrei davvero aiutarti... lascia a me questo incarico. Sarà facile... -

 

- Taci -

 

Samael interruppe il tentativo di Mefistofele prima che cominciasse davvero.

 

- Lucifero ripone la massima fiducia in me - continuò con voce calma. - La ragazza si sta dimostrando più resistente del previsto, vero. D’altro canto ha siglato il contratto solo due notti fa. Ma non temere, Mefistofele: presto sarà in mio totale potere -

 

- Quanto presto? - domandò avidamente la ragazzina demone.

 

Samael riconobbe la sfida implicita.

 

- Sette giorni -

 

- Potresti giurarlo? -

 

L’altro rise senza emozione.

 

- Hanno forse valore i giuramenti, per coloro che caddero? -

 

- Abbiamo ancora un codice d’onore, Samael, anche se tu ti ostini a negarlo -

 

Gli occhi serpentini di Samael si assottigliarono fino a diventare due fessure.

 

- Codice d’onore - sputò.

 

Lucille/Mefistofele distorse la bocca in un urlo senza suono.

 

Improvvisamente il potere demoniaco si erse in tutta la sua spaventosa forza e lui non fu più solo una ragazzina con i braccialetti di plastica. Divenne come un’onda, altissima e terrificante che tentasse di sommergere Samael. Questi resistette all’attacco mentale senza batter ciglio: per un istante i due demoni si scontrarono in un urto silenzioso e terribile.

 

Niente fu visibile ma la violenza dell’impatto li scagliò l’uno dalla parte opposta dell’altro, con uno schianto orribile.

 

Samael fu gettato contro il muro affrescato della navata di sinistra e batté il capo in un colpo che sarebbe stato sufficiente a uccidere un uomo. Non era in grado di percepire il dolore.

 

Alzò lentamente una mano dall’ossatura elegante, appesantita da un vecchio anello d’argento, e si scostò i riccioli dagli occhi: Mefistofele stava afflosciato come una bambola rotta contro una colonna di marmo ocra, a dieci o venti metri da lui.

 

Si fissarono per un lungo istante, entrambi senza fiato: si equivalevano.

 

Il primo a riprendersi fu Mefistofele. Si rialzò con un gesto elastico, come se i suoi tendini fossero stati di gomma. Si aggiustò dietro l’orecchio una ciocca castana che era sfuggita dal fermacapelli colorato e sorrise dolcemente.

 

- Come vuoi, Samael: può darsi che tu abbia ragione. Non ti importunerò più. E’ tuo diritto non accettare la sfida -

 

Girò sui tacchi. Nel momento stesso in cui stava per varcare la soglia del tempio, Samael percepì arrivargli un pensiero. Quattro lettere, un’unica parola.

 

Vile

 

L’urlo di rabbia di Samael fece tremare le colonne.

 

- Mefistofele! -

 

La ragazzina si voltò: incorniciata dal portone aperto la figuretta sembrava ancor più fragile e sottile. Lo guardò con occhi ingenui.

 

- Sì? - domandò in tono argentino.

 

- Accetto -

 

Il volto adolescente si aprì in un’espressione ferocemente estatica. Quando parlò lo fece con voce cavernosa e stentorea, abominevole sulle labbra di Lucille.

 

- Sette giorni - ripeté.

 

- Se vinco, non dovrai mai più contrastarmi - disse Samael.

 

Si erse, alto e sottile come una lama. Gli occhi gli brillarono come tizzoni grigi e perse anche le ultime vestigia di umanità: in fondo era una creatura non diversa da Mefistofele. La sfida, la scommessa... gli davano un piacere sfrenato.

 

- Sarai mio schiavo, Mefistofele - continuò, con voce altrettanto antica e rauca.

 

- Lo giuro. Ma se tu perdi... - aggiunse l’altro. - Se perdi dovrai scambiare la sua anima con la tua. Ti consegnerai al vortice dei dannati, per sempre -

 

Il volto del giovane dai riccioli neri rimase impassibile, una maschera di pietra.

 

- Giura, Samael. Giuralo! - mugghiò Mefistofele.

 

- Lo giuro -

 

La voce di Samael, di nuovo limpida e giovanile, riecheggiò vibrante sotto le volte. Mefistofele gli rivolse un cenno del capo, a metà tra un inchino e un assenso.

 

Poi disparve.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

Non credevo nemmeno io che lo avrei fatto, invece eccomi tornata.

Questo capitolo è stato concepito ed elaborato con grande fatica da parte mia. Non garantisco sul risultato:

 

(...) Ai posteri l’ardua sentenza (A. Manzoni)

 

Cosa ne dite?

E’ valsa la pena di continuare l’avventura di Samael e Sibylle?

Un saluto a tutti, soprattutto a chi mi ha aspettata, inserendo “Voulez-vous mon ame?” nelle storie preferite e in quelle seguite... e uno speciale a chi ha scoperto solo adesso questo mio parto letterario e lo ha apprezzato.

Le recensioni sono, come del resto sempre, gradite e auspicate.

 

Facy

 

PS: un grazie specialissimo a Dante Alighieri, dal cui Inferno (quinto canto) ho preso la descrizione delle anime dannate.

 

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