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Autore: Facy    01/02/2009    10 recensioni
"Vendesi anima incorrotta di sedicenne. Astenersi perditempo" : è il trafiletto che un giorno compare su una rivista di inserzioni parigina. Tra le persone che lo leggono c'è Samael, l'angelo caduto, il diavolo che tentò Eva con una mela proibita. Pur sospettando uno scherzo decide di comporre il numero stampato sotto quelle enigmatiche parole... Tra le vie della città più bella del mondo, luminosa come il paradiso e misteriosa come l'inferno, una storia piena di sfide pericolose e desideri troppo sfrenati. Buona lettura. (RIPRESA DOPO UNA LUNGA INTERRUZIONE).
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutti, cari lettori di EFP!

Questa è la sesta storia che pubblico su questo pregevole sito, la seconda long-fiction e la prima originale.

Capirete quanto sono emozionata.

Qualche piccola nota... in questa fanfiction tratto di contenuti religiosi. Sono atea e rispetto profondamente ogni tipo di credo. Non è mia intenzione offendere nessuno e nessuna confessione. Non prendete troppo sul serio quello che scrivo. Non c’è del satanismo in quello che scrivo. Ogni possibile riferimento a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistenti è casuale. L’unica fonte di ispirazione è stato il romanzo di Stephanie Meyer “Twilight”... ho cercato di rendere Samael l’anima nera di Edward Cullen e Sibylle una Bella un po’ meno tonta.

Sì, ho usato il mio nome per la protagonista... è un mio piccolo vezzo, lo faccio quasi sempre (chi ha letto la mia Schönheit lo sa e mi perdonerà, almeno spero).

Samael è un personaggio della Bibbia e del credo ebraico: è il capo degli angeli della notte, nonché il diavolo che si è incarnato nel serpente per tentare Eva. Ci sono leggende che lo vogliono angelo della morte e accusatore dell’uomo...

 

Detto questo, godetevi il capitolo e recensite... I hope you’ll enjoy yourselves!

 

 

***

 

 

 

 

 

 

CAP.1: Samael

 

 

 

Vendesi anima incorrotta di sedicenne. Astenersi perditempo.

 

 

L’annuncio comparve insieme a tanti altri, su una rivista per le inserzioni, assieme a quelli di chi offriva massaggi shiatsu, voleva vendere pellicce di seconda mano o cercava un camper seminuovo da affittare.

 

La gente non ci fece troppo caso: un uomo sui quarantacinque, durante la pausa caffè, sfogliò una copia della rivista, gli gettò un’occhiata distratta e rise piano. Si ripromise di raccontarlo alla sua fidanzata, per scherzarci un po' sopra, ma poi dovette cercare il portafoglio per pagare il conto e se ne dimenticò.

 

Una donnetta trovò la rivista abbandonata su un sedile di un autobus. Quando lesse l’inserzione borbottò qualcosa contro l’impudenza dei giovani e ripose quasi subito la rivista dove l’aveva trovata: doveva scendere alla fermata del mercato ortofrutticolo.

 

Uno studente lo lesse e sghignazzò con i suoi amici, accarezzando l’idea di comporre il numero stampato sotto l’annuncio: ovviamente il proposito non venne messo in pratica e tutto fu in breve dimenticato.

 

Queste furono in media le reazioni del ristretto gruppo di persone che lesse l’inserzione.

 

Una fu diversa.

 

Un giovane dai lunghi riccioli corvini, seduto in un bistrot parigino, lesse l’annuncio e alzò un sopracciglio con espressione sarcastica e perplessa al tempo stesso.

 

I suoi occhi grigi studiarono attentamente le sette parole stampate sulla carta di scarsa qualità: no, non si era sbagliato, aveva letto bene. Un ragazzo (o una ragazza) di sedici anni offriva in vendita la sua anima, promettendola incorrotta.

 

Il giovane si concesse un’esclamazione a bassa voce.

 

-E questa da dove salta fuori?- mormorò con il suo tono basso e suadente.

 

Erano parecchi secoli che niente riusciva più a stupirlo, ma stavolta, chiunque avesse fatto pubblicare quell’inserzione, ce l’aveva fatta.

 

Ripose la rivista consunta accanto a se, sul sedile imbottito e rivestito di pelle marrone. Allungò le lunghe dita sottili della mano sinistra e prese il calice di vino rosso che aveva ordinato pochi minuti prima. Scrutò il bicchiere, come cercando una risposta alle sue domande nelle profondità color rubino dell’inebriante nettare.

 

Cosa doveva fare? Certo, sembrava uno scherzo. Ad un qualche gruppo di ragazzini annoiati era saltata in testa l’idea di combinare una burla originale. Oppure si trattava di qualche mitomane, qualche cinquantenne con manie religiose che aspettava l’arrivo di una telefonata da parte del demonio, con aglio e crocifisso in mano, pronto all’esorcismo.

 

Lui aveva una certa esperienza in materia, innegabile.

 

Eppure... se non fosse stato uno scherzo?

 

Se si fosse trattato di un’autentica anima innocente d’innocente fanciullo?

 

In quel caso farsela sfuggire era fuori questione. Come l’avrebbe spiegato ai suoi superiori? Sarebbe stata classificata certo come scarsa professionalità, con tutto quel che ne conseguiva, annessi e connessi.

 

Certo, un innocente fanciullo, per continuare ad usare l’antica terminologia, difficilmente avrebbe venduto la propria anima al miglior offerente.

 

Al primo offerente” si corresse.

 

Non avrebbe dovuto temere neanche la concorrenza, considerò. Nessun arcangelo sarebbe arrivato a salvare l’anima, se solo lui si fosse sbrigato.

 

 Poi si diede dello stupido: stava davvero pensando di comporre quel numero? Roba da pazzi.

 

Però...

 

Appoggiò la guancia pallidissima al pugno chiuso della mano destra, il gomito puntato sul tavolino di legno ricoperto di lino blu cupo a ricami marroni, sempre continuando ad osservare il vino, fatto roteare lentamente dentro il bicchiere di cristallo tenuto tra le dita della mano sinistra.

 

Però lo stile dell’inserzione a tutto faceva pensare meno che ad uno scherzo: scarno sintetico, conciso. I mitomani non scrivevano così e neanche i ragazzini annoiati. Le ultime due parole, astenersi perditempo, potevano essere considerate rivelatrici?

 

Lui non era un perditempo, certo.

 

Lui era un autentico demonio proveniente dalle viscere dell’abisso infernale: uno degli angeli ribelli che avevano sostenuto Lucifero nella rivolta contro Dio e che con lui erano poi tragicamente caduti.

 

Gli era stato assegnato il compito di irretire i mortali, di attirarli nelle maglie della sua rete: maglie che, inizialmente, apparivano larghe e leggere, ma che poi penetravano con la forza del ferro nella carne della vittima.

 

Lui era un diavolo tentatore: prometteva arte, amore, immortalità, giovinezza, vendetta... tutto in cambio dell’anima di un uomo o di una donna mortali.

 

Poiché tentatore era bellissimo. Ma poiché diavolo non gli era stato restituito il suo aspetto originario da angelo del Signore: i suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri, le sue guance rosee, il suo sorriso innocente... quelli erano persi per sempre.

 

Ora aveva lunghi riccioli del colore dell’ala del corvo, strani occhi grigio-alba, dal taglio lievemente allungato, vagamente felino, una carnagione bianca come il marmo, un corpo snello e sinuoso dalle movenze eleganti, membra affusolate, una voce accattivante.

 

E soprattutto un’aura di fascino diabolico ma irresistibile.

 

Ad ogni modo, il demone sotto le spoglie di un giovane, affascinante parigino, si trovava in un arduo dilemma.

 

Improvvisamente si sentì vecchio. Certo, esisteva più o meno dal principio dei tempi ma raramente aveva avvertito un tale senso di inadeguatezza.

 

Forse non era più abitutato a situazioni del genere... l’ultima anima che aveva catturato per le fiamme infernali era stata quella di una diva del cinema muto che non si rassegnava al viale del tramonto.

 

Realisticamente, nessuno vende più la sua anima al diavolo: da un paio di secoli a quella parte il suo lavoro era piuttosto inutile. Chi ancora credeva all’esistenza di Satana si guardava bene da offrirgli il suo spirito immortale.

 

Ma, altrettanto realisticamente, se si fosse lasciato sfuggire l’opportunità di catturare il soffio vitale di un fanciullo innocente, di appena sedici anni, le conseguenze sarebbero state troppo terribili anche solo per immaginarle.

 

Perciò si decise.

 

Si alzò e tracciò in aria un segno cabalistico con le dita della mano sinistra: fu veloce, quasi invisibile, ma si ritrovò con diverse monete apparse dal nulla nel palmo della mano. Le lasciò cadere accanto al bicchiere di vino rosso (non ne aveva assaggiato una singola goccia), in un gesto distratto: sapeva che, al calare della notte, sarebbero svanite lasciando al loro posto braci spente e cenere.

 

Pensò distrattamente a come quei piccoli gesti, per lui così semplici e comuni, rappresentassero l’essenza della sua vita: inganno, fugacità... quell’affiancare la via dei mortali senza mai attraversarla se non per recidere il filo di una fragile vita o per strappare un’anima dalle mani di Dio.

 

Scosse la testa, quasi per allontare quei pensieri, si strinse in vita la cintura del soprabito nero di fine sartoria, e uscì dal bistrot.

 

Lungo il marciapiede del Boulevard Saint German i parigini si affrettavano: il cielo era livido e gonfio di pioggia, soffiava una tramontana che si insinuava sotto i vestiti, facendo rabbrividire tutti, tranne lui.

 

Il giovane camminò con lenta grazia lungo la via lastricata, senza curarsi della pioggerellina che aveva incominciato a posarglisi sui capelli neri e sulle spalle: teneva la testa leggermente abbassata, era assorto nei suoi pensieri.

 

Improvvisamente si decise ad agire e si infilò agilmente in una cabina telefonica: tenendo la cornetta tra l’orecchio e la spalla compose il numero dell’annuncio.

 

Il telefono squillò una, due, tre volte.

 

Poi il giovane riattaccò.

 

Doveva essere davvero uscito di senno per aver anche solo pensato di chiamare. Chi, in nome di Lucifero, chi mai al mondo avrebbe cercato di vendersi l’anima attraverso un’inserzione? Avrebbe potuto capire se l’annuncio fosse stato pubblicato su Le Figaro... ma in quell’infima rivista!

 

Scosse i lunghi riccioli neri. Impossibile.

 

Lasciò cadere la rivista sul pavimento lurido e uscì, lasciando che la porta a vetri sbattesse alle sue spalle.

 

Pochi secondi dopo era ritornato precipitosamente all’interno della cabina e ricomponeva in fretta il numero.

 

Dopo un paio di squilli rispose una voce femminile.

 

-Pronto?-

 

Era giovane, né dolce né aspra: semplicemente interrogativa.

 

-Chiamo per l’annuncio pubblicato su ToutInsertion-

 

Il silenzio dall’altro capo del telefono durò alcuni lunghi istanti: il giovane sorrise, in un lampo di denti bianchissimi e leggermente appuntiti. Sapeva che la ragazza era rimasta colpita dalla sua voce bassa, vagamente roca, seducente.

 

-Sì...- rispose infine lei, un po' incerta. Si riprese subito. -Sì, sì, certo. Certo- ripeté.

 

-Quando e dove possiamo incontrarci per discutere della... trattativa?- domandò lui, in tono suadente e allusivo.

 

Lei si schiarì la voce, evidentemente turbata.

 

-Domani mattina. Alle undici al Cafè du Parc... è alle Tuileries, nella zona del Louvre, lo conosce?-

 

-Certo- mormorò lui. -E come potrò avere il piacere di riconoscerla?-

 

La ragazza esitò.

 

-Sarò seduta da sola, ad un tavolino fuori il locale... indosserò una sciarpa viola e un cappello di maglia nera. Se non proprio non mi riconosce chieda di Sibylle-

 

-Sibylle- il giovane ripeté quel nome a bassa voce. -Lo ricorderò. Arrivederci a domani, Sibylle-

 

Fece per riattaccare, ma lei lo fermò esclamando.

 

-Ehi! Scusa...- si corresse subito. -Scusi, qual’è il suo nome?-

 

Lui sorrise nuovamente, guardando le foglie rosse che volteggiavano spinte dal vento, proprio fuori dalla cabina telefonica.

 

-Vuoi sapere il mio nome?- domandò retoricamente, passando al tu. -Oh... puoi chiamarmi Samael-

 

E, senza aspettare che lei parlasse di nuovo, riappese la cornetta al suo sostegno metallico.

 

Quando fu di nuovo in strada stentò a trattenere il riso al pensiero di quello che avrebbe detto quella sprovveduta ragazza se avesse saputo che l’unica altra mortale alla quale aveva rivelato il suo vero nome era stata Eva, la prima donna.

 

Sarà facile” si disse, improvvisamente. “Sarà fin troppo facile... eppure così piacevole. Ho fatto bene a telefonarle”.

 

E mentre la sua risata leggera riecheggiava finalmente sui muri stretti e sull’acciottolato del vicoletto dove si era infilato, mosse un piccolo passo verso sinistra e, in un istante, sparì nel nulla.

 

 

  
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