Room mates di Soul Mancini (/viewuser.php?uid=855959)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per nessuna ragione al mondo ***
Capitolo 2: *** Sudare (e stirare) sette camicie ***
Capitolo 3: *** Muscovado chiaro ***
Capitolo 1 *** Per nessuna ragione al mondo ***
[Dom]
“Conor?” chiamai a gran voce il mio coinquilino,
affacciandomi alla porta della zona giorno.
La stanza era vuota e dal mio amico non giunse nessuna
risposta.
Aggrottai la fronte e lanciai un’altra occhiata al display
del mio cellulare, dove campeggiava l’email aperta che avevo
appena ricevuto.
In poche falcate raggiunsi la porta della nostra camera e
vi sbirciai dentro: come sospettavo, Conor era sdraiato sul suo letto,
teneva
lo sguardo fisso su un enorme volume di Letteratura del Seicento e
portava un
paio di enormi cuffie alle orecchie.
Da quando gli si erano rotti gli auricolari, per studiare
utilizzava sempre quegli enormi affari per ascoltare musica; avendo
entrambe le
orecchie inondate di musica e isolate dall’ambiente
circostante, più di una
volta non aveva sentito i miei richiami.
Cercai di attirare la sua attenzione con una serie di
ampi gesti. Quando, qualche istante dopo, si accorse della mia
presenza,
sobbalzò spaventato e si affrettò a mettere in
pausa la musica. “Che c’è?”
domandò distrattamente, tenendo il segno sulla pagina con
una matita.
“Oggi dovrebbe arrivare l’ordine che ho fatto su
Amazon,
è in consegna. Quindi, per favore, fai attenzione se
qualcuno suona al
campanello, e se arriva il corriere ritira tutto tu.”
“Okay” rispose il mio amico, scribacchiando qualche
parola
sul quaderno degli appunti.
“E, mi raccomando, non aprire il pacco per nessuna
ragione al mondo: ci sono i regali di Natale
dentro” aggiunsi,
inchiodandolo con lo sguardo e assumendo un tono vagamente minaccioso.
“Sì, tranquillo” ribatté
ancora lui, voltando pagina e
afferrando un evidenziatore giallo.
Aggrottai le sopracciglia, dubbioso. “Ma mi stai
ascoltando?”
“Sì, certo, guarda che quello distratto tra i due
sei tu!
Adesso mi lasci in pace? Sono nel bel mezzo di un paragrafo, mi fai
perdere il
segno!” mi liquidò, trattenendo un sospiro e
accennando al libro.
Mi strinsi nelle spalle. “Va bene, me ne vado, non ti
incazzare… e attento al corriere!” conclusi,
dirigendomi verso l’ingresso.
Ultimamente, complice la nuova ondata di esami che si
faceva sempre più vicina, il mio coinquilino era piuttosto
distratto e
scontroso, preso com’era dallo studio; un po’ mi
preoccupava vederlo così,
prendeva molto a cuore l’università e in
prossimità delle sessioni cominciava a
dare di matto e farsi prendere dall’ansia.
Forse però era meglio reagire come lui piuttosto che
temporeggiare come facevo io – ci eravamo iscritti insieme,
ma io non avevo
dato neanche la metà degli esami che avrei dovuto.
Sospirai e cercai di scacciare via quei pensieri ben poco
rassicuranti mentre, immerso nell’aria frizzante di
metà dicembre, mi dirigevo
verso la fermata del bus. Una nuova giornata lavorativa mi attendeva,
dovevo
focalizzare la mia attenzione su quello.
Feci il mio ingresso in cucina e mi lasciai sfuggire un
sonoro sbadiglio. Non appena inquadrai la scena che mi si presentava
davanti,
tuttavia, non potei che sgranare gli occhi e tutta la stanchezza della
delirante giornata di lavoro al bar venne rimpiazzata da
perplessità e
confusione.
“Ciao” mi salutò Conor che, in piedi
sopra il tavolo
della cucina, stava legando un oggetto non meglio identificato al
lampadario.
“Ma cosa cazzo ci fai lassù?” lo
interrogai, sempre più
confuso. Solo a una seconda occhiata mi accorsi delle decorazioni
natalizie
sparse per la stanza e lo sbilenco e spelacchiato alberello stipato in
un
angolo, accanto alla portafinestra.
“Non dirmi che hai cominciato ad addobbare la casa senza
aspettarmi!” sbottai allora, incrociando le braccia
al petto e mettendo il
broncio.
“Mi annoiavo! E poi è già da una
settimana che avevo
intenzione di addobbare, ma tu non c’eri mai o eri troppo
stanco” si giustificò
lui, mentre raddrizzava il pendente a forma di fiocco di neve che aveva
appeso
al lampadario.
“Ma l’albero volevo farlo
anch’io!” mi lamentai
teatralmente, anche se in realtà non ero davvero arrabbiato.
Mi avvicinai
all’abete sintetico ed esaminai con fare critico le fioche
lucine – alcune già
fulminate – che lampeggiavano a intermittenza.
“Spalanca le braccia, fatti crescere le radici e stai
zitto: così puoi fare
l’albero” rispose Conor ironico, mentre scendeva
con cautela dal tavolo.
“Che spiritoso…” lo rimbeccai.
“Ti perdono soltanto se
hai ritirato il pacco di Amazon.”
Lui schioccò le dita e sorrise. “Ecco cosa mi
stavo
dimenticando! Certo, è arrivato stamattina, poco dopo che te
ne sei andato!
Vado a prenderlo” affermò, prima di uscire dalla
stanza e sparire in corridoio.
Tornò qualche istante più tardi con un enorme
cartone quadrato tra le braccia.
Senza dargli il tempo di aggiungere altro, glielo
strappai di mano e corsi in camera da letto, chiudendomici dentro;
dovevo
assolutamente aprirlo e controllare che ci fosse tutto e che gli
articoli
ordinati corrispondessero alle mie richieste. E Conor non poteva assolutamente
assistere all’apertura del pacco, visto che
l’ordine includeva anche il regalo
per lui.
Poggiai la scatola sul mio letto e mi adoperai per
aprirlo; tuttavia, dopo qualche istante, mi resi conto che qualcosa non
andava.
“Ma il pacco non è
sigillato…” borbottai tra me, notando
che l’imballaggio aveva ceduto troppo facilmente ed era
già danneggiato in
alcuni punti. Aggrottai le sopracciglia, ripresi il pacco tra le
braccia e
tornai nella zona giorno, dove il mio amico stava combattendo con una
ghirlanda
rossa e dorata.
“Conor?”
“Sì?”
“Quando hai ritirato il pacco, hai controllato che fosse
tutto a posto?”
Lui si voltò a guardarmi e sbatté un paio di
volte le
palpebre. “Mmh… in che senso?”
Accennai allo scatolone. “È come se qualcuno
l’avesse già
aperto prima di me. Non vorrei che il corriere avesse fatto qualche
stronzata e
mi avesse fottuto qualcosa… perché, se
così fosse, vado a incendiargli il
camion” dissi, cominciando ad alterarmi. Avevo sempre
ricevuto un buon servizio
da Amazon, non mi era mai capitata una cosa del genere.
“Ah sì? Beh… e come fai a dire che non
era ben chiuso?
Però non guardare me, io ho controllato ed era tutto
okay!” farfugliò con voce
troppo acuta ed esitante per risultare credibile, poi distolse lo
sguardo e
prese ad armeggiare nuovamente con la ghirlanda.
A quel punto un terribile sospetto si fece strada dentro di
me e istintivamente compii qualche passo verso il biondo. Non era
affatto bravo
a mentire, tantomeno con me.
“Conor, sei stato tu ad aprire il pacco?” lo
incalzai,
trucidandolo con un’occhiata.
“Io?!”
“Dimmi la verità, altrimenti ti appendo
all’albero di
Natale e ti ci lascio per tutte le feste!”
Lui inclinò appena il capo di lato e ridacchiò
nervosamente. “Ecco, può essere… ma
solo una sbirciatina…”
Mi battei una mano sulla fronte. “Ma io ti ammazzo, sei
un deficiente!”
“Dai, non è così grave! Apriamo sempre
i pacchi l’uno
dell’altro quando arrivano!” cercò di
minimizzare, mettendo su un sorriso
innocente.
“Questa volta ti avevo detto di non
farlo, per
nessuna ragione al mondo!”
“Davvero? Quando?” cadde dalle nuvole lui.
Sbuffai, mi sedetti sul divano e presi a frugare con
movimenti bruschi e frenetici dentro lo scatolone. Perlomeno
c’era tutto ed era
in condizioni perfette.
“Dai, Dom, non ti incazzare! Lo sai che sono troppo
curioso, non ho resistito!” ruppe il silenzio Conor con voce
implorante,
rivolgendomi un’occhiata da cane bastonato. Ancora con
l’addobbo rosso e oro
appeso al braccio, prese posto accanto a me e fissò lo
sguardo nel mio,
facendomi gli occhi dolci.
Quanto era tremendamente cretino! In quel momento lo
detestavo perché era riuscito a rovinare tutto, ma non
potevo davvero
prendermela quando metteva su quell’espressione da bimbo
pentito dopo aver
combinato una marachella.
Gli lanciai un’occhiata in tralice. “E invece mi
incazzo
perché volevo farti una sorpresa e tu hai mandato tutto a
puttane.”
Lui si accostò e recuperò all’interno
del pacco una
confezione in cartone contenente un paio di nuovi auricolari bluetooth.
“Questo
è il regalo per me, vero?”
Sbuffai rassegnato. “Sì. E tieni giù le
mani, ci manca
solo che abbiano pure il prezzo sopra” gli intimai,
strappandogli l’oggetto
dalle dita e rimettendolo al suo posto.
Forse me l’ero presa un po’ troppo a cuore, ma ci
tenevo
tantissimo a fare delle belle sorprese ai miei amici, soprattutto ora
che avevo
uno stipendio e potevo permettermelo; il regalo per Conor era il mio
asso nella
manica quell’anno, dato che non aveva mai avuto degli
auricolari bluetooth e
ripeteva sempre che li avrebbe voluti provare.
Dopo qualche istante di silenzio, Conor mi batté una
pacca sul braccio. “E dai, Dom, smettila di tenermi il muso!
Facciamo finta che
io non abbia visto niente: tu fai il pacchetto e il 25, quando apriremo
i
regali, fingerò di essere sorpreso! Ti va bene questa
faccia?” propose, per poi
spalancare occhi e bocca in un’espressione che voleva
sembrare sbalordita, ma
in conclusione non era per niente credibile.
I miei sforzi per trattenere le risate non valsero a
nulla, perché nel vedere quella smorfia scoppiai a ridere
all’istante e gli
diedi una leggera spinta all’indietro. “Che pezzo
di merda, per colpa tua non
posso neanche incazzarmi come dovrei!”
Conor scoppiò a ridere a sua volta, si sfilò la
ghirlanda
dal braccio e me la lanciò addosso. “Su,
coinquilino: non hai detto che volevi
aiutarmi ad addobbare la nostra casetta?”
Scansai la decorazione di lato e mi misi in piedi. “Un
attimo, metto via questo” affermai, accennando alla
confezione di cartone
sempre più disfatta.
Conor si alzò a sua volta e mi sfiorò un braccio
per
attirare la mia attenzione. Gli lanciai un’occhiata stranita
e notai che aveva
un sorrisetto dipinto sul viso – le fossette sulle guance e i
capelli
disordinati lo facevano sembrare proprio un bambino.
“Comunque volevo dirti grazie. È il miglior regalo
che
potessi ricevere” cinguettò, ampliando ancora di
più il suo sorriso.
Piegai appena la testa di lato e lo scrutai curioso. “Le
cuffie bluetooth, intendi? Ci credo, è da quando ti conosco
che rompi le palle
per…”
“No” mi interruppe, saltandomi improvvisamente al
collo e
intrappolandomi in un abbraccio. “Intendevo un amico come
te!”
Risi e ricambiai la sua stretta, facendogli poggiare il
mento sulla mia spalla e scompigliandogli affettuosamente i capelli.
Anche io
mi sentivo estremamente fortunato ad avere un amico dolce, divertente,
generoso
e sincero come Conor, e gli volevo un mondo di bene così,
anche con tutti i
suoi difetti.
Senza lasciarlo andare, mi allungai a prendere una
pallina rossa che stazionava sul tavolo, in attesa di essere posta
sull’albero,
e la appesi all’orecchio di Conor.
“Che coglione” commentò lui con una
risata.
“Smettila di insultarmi e approfittarti della mia
bontà,
altrimenti il tuo coinquilino preferito ti butta fuori di casa e ti fa
passare
le feste per strada” gli sussurrai all’orecchio,
poi sciolsi l’abbraccio e gli
battei una scherzosa pacca sul sedere. “Forza, decoriamo
questo fottuto abete
di plastica!”
🎁 🎁 🎁
Prompt
per la
challenge “Just stop for a minute and smile”:
24.
"Cosa ci fai lassù?"
32.
"È il miglior regalo che potessi
ricevere!"
Buone feste
a tutti e benvenuti nel mio nuovissimo progetto
che non potrei affatto permettermi di iniziare XD visto che i miiei OC,
dopo
avermi guardato male per averli abbandonati, ora stanno piangendo in un
angolo
e implorando la mia attenzione… MA EHI, quando
l’ispirazione chiama chi sono io
per obiettare? XD
Sì,
questo è il primo capitolo di una raccolta che
avrà orientativamente quattro capitoli (i primi due POV Dom,
gli ultimi due POV
Conor), tutte delle piccole slice of life sulla convivenza di questi
due
scemotti :3 ho troppe idee per loro!! Non mi stancherei mai di
celebrare la
loro amicizia (e il loro essere cretini insieme XD) *________*
E il fatto
che io abbia deciso di pubblicare questa
prima (parecchio sottotono, perdonatemi) scenetta proprio oggi, che
è il
compleanno di Conor, È UN CASO!!! Quest’anno
teoricamente avevo deciso di non scrivere
niente per i NBT ma, anche se questa non è una vera e
propria storia di
compleanno, ho deciso comunque di approfittare dell’occasione
per pubblicarla!
E, già che ci siamo, AUGUTI CONOR!
Stavolta non
ho fatto riferimento a nulla in particolare
nella realtà, è una slice of life che ho
partorito così, senza motivo XD
Tuttavia
lascio qualche piccola noticina per coloro
che non conoscono l’AU in cui queste storielle sono
ambientate: qui ovviamente
i NBT sono dei ragazzi normali (quando mai) e non famosi; Dom e Conor
sono
amici da tanto tempo, sono molto legati, tanto che hanno deciso di
iscriversi
all’università insieme (in Lettere) e prendere
insieme un appartamentino in
affitto. Conor è uno studente diligente, che studia per
tutti gli esami e frequenta
le lezioni; Dom, decisamente più svogliato e pigro, deve
però anche andare al
lavoro – è assunto come cameriere in un piccolo
bar vicino all’università e
deve fare degli orari piuttosto strambi e scomodi, oltre che parecchi
straordinari.
E…
per il momento mi fermo qui, ulteriori precisazioni
le troverete nei prossimi capitoli se sarà necessario!
Grazie a
chiunque sia giunto fin qui e ci sentiamo
prestissimo col prossimo capitolo *-*
Ancora
tantissimi auguri di buon Natale a tuttiiii!!! ♥
|
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Capitolo 2 *** Sudare (e stirare) sette camicie ***
Stirare
A
Carmaux,
per
la pazienza, il supporto,
gli
scleri, le risate,
per
essere parte del mio mondo ogni giorno
anche
se siamo lontane.
Perché
è mia amica, perché è una persona
speciale.
Buon
compleanno! ♥
[Dom]
Lanciai
un’occhiata scettica allo specchio mentre mi
sistemavo i capelli all’indietro e li fissavo con
un’abbondante dose di gel.
Ultimamente mi stavano facendo impazzire; sarei dovuto andare dal
parrucchiere,
ma puntualmente mi dimenticavo di prenotare, assorbito dai mille
impegni della
giornata.
Un gemito
frustrato proveniente dalla piccola zona giorno
dell’appartamento ruppe il silenzio e io inarcai un
sopracciglio. Quando
sentivo il mio coinquilino lamentarsi in quel modo, non era mai un buon
segno.
Non ebbi
nemmeno il tempo di formulare un’ipotesi su
quale potesse essere il dramma giornaliero che Conor comparve sulla
soglia
spalancata del bagno, poggiandosi con la spalla allo stipite; il suo
viso
delicato era distorto in un’espressione corrucciata, al
limite della
disperazione, e tra le dita stringeva una maglia che doveva appena aver
raccolto dallo stendino.
“Che
faccia! Un uccello ha cagato sul nostro bucato
pulito?” lo interrogai, continuando a sistemarmi i capelli in
modo da non
sembrare un reduce di guerra.
“Hai
steso tu questa roba?” gracchiò lui, spostando lo
sguardo da me all’indumento che aveva in mano.
“Qui
ci abitiamo in due: se non sei stato tu, sarò stato
per forza io.”
“Ecco,
lo sapevo! Ma è possibile che alla tua età non
sai
nemmeno stendere?” sbottò indignato, concludendo
la frase con uno sbuffo.
Aggrottai le
sopracciglia. “Cos’ho fatto questa volta? Se
non faccio niente in casa ti lamenti, se mi adopero per fare qualcosa
di utile ti
lamenti…”
Lui prese a
sventolare la maglietta bianca davanti al mio
viso e vi batté sopra con la mano. “Avresti dovuto
posizionare meglio la roba:
ora è tutta piena di pieghe!”
“Oh,
ma che tragedia” lo sbeffeggiai ironico,
scompigliandogli i capelli con le dita ancora impiastricciate di gel.
“Io so
che per stendere il bucato devi prendere i vestiti e appenderli con le
mollette, punto. Non conosco nessun altro trucchetto da casalinga
frustrata.”
Lui si
ritrasse e incrociò le braccia al petto, mettendo
su un broncio offeso. “Giù le mani! Sai cosa vuol
dire questo?”
“No.”
“Che
ora mi toccherà stirare tutto, ed
è solo
colpa tua!”
Sgusciai
fuori dal bagno con l’intento di recuperare
chiavi e giubbotto – si stava facendo tardi, il bus che mi
avrebbe portato al
lavoro sarebbe passato dieci minuti più tardi – e
Conor mi seguì, prima in
camera da letto e poi all’ingresso; continuava a fissarmi con
un’espressione
sconsolata, probabilmente con l’intento di farmi sentire in
colpa.
Riusciva a
essere una vera palla al piede quando ci si
metteva.
“E
qual è il problema? Tu adori fare le faccende
domestiche, sarai felicissimo di stirare” cercai di uscirne
mentre riponevo in
fretta il cellulare in tasca.
“Punto
primo: non è che sgobbare per casa sia il mio
passatempo preferito, semplicemente mi danno fastidio il disordine e la
sporcizia. E visto che a te non importa niente…”
“Ehi,
io sto andando a lavorare onestamente per
portare a casa la pagnotta” mi finsi offeso, ma non
potei evitare di
ridacchiare.
“Sì,
sì…”
“Punto
secondo?” incalzai. “E parla in fretta che sono in
ritardo.”
Nel
frattempo mi ero già infilato una manica del
giubbotto e avevo aperto la porta.
“Punto
secondo: io detesto stirare. Se stendo il
bucato in un certo modo, ci sarà pure un motivo!”
Mentre parlava, si voltò a
osservare la pila di indumenti spiegazzati, che aveva appena raccolto e
che ora
giaceva sul divano, e si era battuto una mano sulla fronte.
Lo scrutai
con attenzione e mi sentii un po’ in colpa.
Avrei voluto dargli una mano – per quanto lottare contro la
mia pigrizia mi
venisse difficile – ma dovevo correre al bar e non sarei
rientrato prima delle
otto e mezza di quella sera.
Gli sorrisi
incoraggiante, lanciai un’ultima occhiata
all’orologio da parete e uscii in corridoio, imboccando
subito le scale. “Buona
fortuna!”
Lo sentii
borbottare qualcosa, ma ormai ero già troppo
lontano per capire le sue parole.
Mi chiusi la
porta alle spalle, scalciai via le scarpe e
mi lasciai andare a un profondo sbadiglio.
Anche quella
giornata di lavoro era andata e mi aveva
distrutto: al bar era stato un inferno.
Entrai nella
zona giorno, intenzionato a pescare dal
frigo la prima cosa commestibile che avessi trovato, ma mi ritrovai
davanti una
scena inaspettata.
Sul divano
torreggiava ancora la pila del bucato pulito;
Conor, con la faccia di qualcuno che era appena stato mandato al
patibolo,
distendeva sull’asse da stiro una camicia azzurra mentre
controllava che
l’acqua all’interno del ferro si riscaldasse al
punto giusto.
“Ciao”
lo salutai, dirigendomi verso il frigo.
“C’è
qualcosa di pronto?”
“Ma
che cazzo!” sbottò lui.
“Grazie
per l’accoglienza.”
“Non
dicevo a te.” Mi voltai giusto in tempo per vederlo
chinarsi per raccogliere la camicia, che era scivolata
dall’asse. “Stiamo già
cominciando male!”
“Ah,
stai cominciando ora?” indagai.
Lui
sospirò. “Beh, durante l’arco della
giornata ho avuto
altro da fare: sono andato a fare la spesa, poi di pomeriggio avevo una
lezione, una volta rientrato ho ripassato
Linguistica…”
“Che
tradotto sarebbe: ho temporeggiato. Conosco
bene queste scuse.” Gli sorrisi sornione mentre mi accomodavo
al tavolo,
sbocconcellando un tramezzino che avevo fortunatamente trovato
già pronto.
“Certo,
tu sei il re delle scuse” ribatté in tono lugubre,
cominciando a passare la lastra calda sul tessuto azzurro.
“Non
mi chiedi com’è andata al lavoro?” lo
stuzzicai.
“Com’è
andata al lavoro?” domandò Conor in tono piatto.
“Ma
che carino, grazie per avermelo chiesto!” ribattei
ironico, addentando l’ennesimo boccone – stavo
facendo fuori quel sandwich
senza nemmeno accorgermene. “Il delirio! Oggi è
stato il fottutissimo delirio!
Una lezione universitaria del pomeriggio è stata annullata e
tutti gli
studenti hanno ben pensato di accalcarsi al bar durante le due ore
buche, c’era
gente ovunque e avevamo il turno soltanto io e altri due colleghi, che
dovevamo
dividerci tra bancone e servizi ai tavoli… penso di non aver
mai corso così in
vita mia. L’anno prossimo mi iscrivo alla maratona, mi sto
già abbondantemente
allenando!”
Mentre
parlavo, osservavo Conor che continuava a stirare
con movimenti bruschi e di tanto in tanto afferrava la camicia e la
sollevava
per capire se ci fossero altre pieghe da appianare,
un’espressione accigliata
sul viso.
Continuai a
riassumere la mia giornata lavorativa colma
di disavventure mentre lui, indumento dopo indumento e sbuffo dopo
sbuffo,
svolgeva il suo incarico tanto odiato.
“Quando
è venuto a trovarmi Phil e mi ha visto tanto
incasinato, era sul punto di unirsi allo staff e darmi una
mano” dissi a un
certo punto con una risatina.
Conor si
finse indifferente, ma lo vidi sgranare gli
occhi e mordicchiarsi il labbro inferiore nel sentir nominare mio
cugino. “Ah
sì? È passato al bar?”
“Era
in zona ed è entrato per un saluto. Mi ha chiesto
anche di te” aggiunsi con nonchalance, stringendomi nelle
spalle. Sospettavo
già da qualche tempo che il mio coinquilino si fosse
invaghito di Phil e mi
divertivo a parlargli di lui apposta per metterlo in
difficoltà.
Infatti,
come c’era da aspettarsi, Conor arrossì appena e
poggiò bruscamente il ferro da stiro sul bordo
dell’asse, rischiando di farlo
cadere. Per evitare che si schiantasse al suolo, lo afferrò
al volo e posò per
un istante un polpastrello sulla parte rovente. Lanciò un
grido di dolore e si
esaminò il dito arrossato, imprecando tra i denti.
“Tutto
questo casino solo perché Phil ha chiesto di te?
Se ti saluta che fai, ti butti dal terzo piano?” lo
sbeffeggiai, alzandomi e
accostandomi a lui per verificare i danni.
Lui
soffiò sulla parte lesa, forse nel tentativo di darsi
un po’ di sollievo, poi fulminò con
un’occhiata l’asse da stiro e la maglietta
che vi era poggiata sopra. “Ma che c’entra?
È colpa di questo fottutissimo
arnese… ‘fanculo, non stirerò mai
più nella mia vita! E mi fa anche male la
schiena a furia di restare in piedi. Ma può esistere
un’attività più odiosa ed
esasperante?”
Gli afferrai
il polso per osservare meglio il
polpastrello infortunato. “Non ti conviene metterla sotto
l’acqua fresca?”
“Macché,
non è niente! Lasciami finire qui e poi giuro
che distruggo asse e ferro! E tu non ti azzardare mai più a
stendere!” continuò
a sproloquiare, afferrando una camicia dalla pila di vestiti che,
seppur
dimezzata, era ancora piuttosto consistente.
Gliela
strappai di mano e lo spinsi via, posizionandomi
davanti all’asse. “Lascia fare a me e vai a
sederti, ci manca solo che ti
arrostisci qualche altro dito.”
Il mio amico
sbatté le palpebre, confuso. “Mi stai
dicendo che tu, Dominic Craik, sai stirare?”
Gli lanciai
un’occhiata in tralice. “Molto divertente.
Posso provarci, ma non sono molto bravo.”
La
verità era che mi sentivo in colpa: in fondo i vestiti
erano completamente sgualciti a causa mia e vedere Conor
così contrariato mi
era dispiaciuto troppo; non si lamentava mai e quando gli capitava era
un
chiaro segnale che detestava davvero tanto
l’attività che stava svolgendo.
Anche se ero
a pezzi e in genere ero una gran testa di
cazzo, almeno per una volta volevo dare una mano.
Distesi
l’indumento sull’asse – una discutibile
camicia
color panna con tanti piccoli ananas che Conor aveva acquistato qualche
mese
prima – e lanciai al ferro da stiro uno sguardo di sfida.
“Bene… che cosa si
deve fare adesso?”
Il biondino
sospirò e andò a sedersi sul bracciolo del
divano. “Se cominciamo così, domani mattina sarai
ancora qui a contemplare il
bucato.”
“Grazie
per il supporto morale, sei il coinquilino
migliore del mondo” replicai sarcastico, poi afferrai
l’impugnatura
dell’apparecchio rovente e cominciai a passarlo cautamente
sul tessuto. Non che
avesse tutti i torti: forse mi ero prodigato in quella faccenda una o
due volte
in vita mia prima di allora.
“E
comunque ammettilo che hai reagito così solo
perché ho
menzionato Phil e ti sono venute le gambe molli!” lo
provocai, visto che aveva
allegramente sviato il discorso.
“Ma
vaffanculo! È che non mi piace stirare, te l’ho
detto!”
“Sì,
certo…”
“Senti,
nel frattempo io potrei fare una tisana
rilassante, così non rimango con le mani in mano. Che dici,
ti va?” cambiò di
nuovo argomento, mettendosi in piedi e stiracchiandosi.
Ci riflettei
su per qualche secondo. “No, credo che
opterò per una birra…”
“Dom!”
strillò all’improvviso il mio amico,
precipitandosi verso di me.
“Le
mie povere orecchie! Ma che cazzo…?” Abbassai lo
sguardo e solo a quel punto mi resi conto di ciò che stava
succedendo.
Sollevai il
ferro da stiro e Conor afferrò il suo
indumento, portandoselo davanti al viso per osservarlo bene.
“Mi hai rovinato
la camicia con gli ananas!”
Mi sporsi
appena per vedere con i miei occhi: all’altezza
del petto, sulla sinistra, era rimasto impresso un gigantesco alone a
forma di
ferro da stiro. Gliel’avevo praticamente bruciata.
Mi battei
una mano sulla fronte. “Ma di cos’è
fatta
questa camicia, di zucchero filato?”
“No,
è che non bisogna lasciare la piastra bollente per
troppo tempo sullo stesso punto.” Conor sollevò
gli occhi al cielo e gettò la
sua camicia sulla spalliera di una sedia. “Adesso
è inutilizzabile!”
Sorrisi
innocente e gli battei una pacca sulla spalla,
senza sapere bene come porre rimedio all’ennesima stronzata
che avevo commesso
quel giorno. “Avevi ragione, amico mio: stirare è
un’attività terribile.”
Lui mi
trucidò con lo sguardo e per un attimo temetti che
mi sarebbe saltato al collo per strangolarmi. “Io avevo
capito che tu lo
sapessi fare.”
Mi strinsi
nelle spalle. “Beh, dai… ti ho fatto un
favore, dopotutto. Quella camicia era veramente inguardabile! Come puoi
sperare
di conquistare Phil vestito da fruttiera?”
Conor
sbuffò. “Sei veramente una testa di cazzo,
Dominic.”
🍍
🍍 🍍
Prompt
per la challenge “Just stop for a minute and
smile”:
7.
"Grazie per il supporto morale..."
48.
"Posso provarci, ma non sono molto bravo."
AUGURI
CARMAUX!!!!!!!!!!!!! *__________*
Davvero, mi
sento male ad averti dedicato questa schifezza per il compleanno, avrei
voluto
scrivere qualcosa di mooooolto più articolato e che magari
avesse a che fare
con i tuoi OC, visto che ci sono tutti i presupposti… ma
questa è l’unica cosa
che sono riuscita a mettere insieme XD e visto che non vedevi
l’ora che io
scrivessi qualcosa basato su quella foto, ho voluto provare! Spero
davvero di
non aver deluso le tue aspettative!
Le mie le
ho deluse abbondantemente: questa storia nella mia testa aveva un gran
potenziale e non sono per niente soddisfatta di
com’è venuta fuori… ma
eviterò
di lagnarmi oltre XD
Come note
di spiegazione, basterebbe ricondurvi alla foto che ho utilizzato come
banner
AHAHAH da quando la mia adorata Carmaux me l’ha inviata, mi
è SUBITO venuto in
mente quest’AU, in cui – come chi segue la mia long
“Ten friends, one big mess”
saprà – Conor è fissato con
l’ordine e Dom è troppo pigro e incasinato per
dargli retta XD
E come
potevo evitare di lasciarmi sfuggire un’ispirazione del
genere, ora che ho
constatato che il mio headcanon è reale??? *-*
Solo che
nello scatto Conor non sembra particolarmente entusiasta in
realtà ^^ e questo
mi ha dato modo di cucirci sopra una trama più elaborata
(???)
Ah, mi
scuso se ho scritto qualche imprecisione sull’arte (?) dello
stirare, ma non è
esattamente la mia attività preferita, non lo faccio mai
ahahah!
Per chi
invece non segue la long: in questo mio personalissimo AU giusto
per non
dire che è così anche nella realtà,
anche se ormai lo sappiamo benissimo che è
così, Conor è palesemente invaghito di
Phil e non ha idea se quest’ultimo
lo ricambia o meno, visto che lui sembra essere etero convinto. Questa
shottina
è ambientata quando ancora non si conoscevano benissimo, e
non faccio ulteriori
spoiler perché non sarebbe giusto nei confronti di chi segue
la long principale
o la volesse seguire ^^
Infine… non
so se Conor abbia effettivamente una camicia con gli ananas, non
gliel’ho mai
vista addosso, ma visti gli indumenti discutibile che spesso usa, la
cosa non
mi sorprenderebbe! E poi vabbè… Kim, Sabriel,
capirete ;)
Grazie di
cuore a chiunque sia arrivato in fondo e spero davvero di rifarmi coi
capitoli
futuri, perché questo ha fatto un po’ (parecchio)
pena XD
E ANCORA
TANTISSIMI AUGURI, mia adorata Carmaux!!!! ♥
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Capitolo 3 *** Muscovado chiaro ***
[Conor]
“Siamo sicuri che non bisogna aggiungere
qualcos’altro?”
Accigliato e ansioso, osservavo il contenuto dentro la grande scodella
in
ceramica mentre lo rimestavo con l’aiuto di un vecchio e
scassato sbattitore elettrico.
Era uno di quegli aggeggi da impugnare e manovrare manualmente, quasi
un
oggetto di antiquariato; l’avevo recuperato da casa dei miei
genitori qualche
giorno prima apposta per l’occasione, visto che io e il mio
coinquilino non
eravamo soliti preparare dei dolci e non ne possedevamo uno.
“Che cosa?” strillò Dom, superando
appena il frastuono che
si sprigionava dallo sbattitore.
Lo spensi, presi un cucchiaio e tastai con fare critico la
consistenza dell’impasto. “Lo zucchero non si
è sciolto” affermai, una punta di
isteria nella voce.
“Magari ci vuole un po’ di tempo” rispose
il moro in tono
piatto, tenendo d’occhio il pentolino che stava sul fornello
acceso.
Mi passai una mano tra i capelli, sentendo l’ansia montarmi
nel petto. “Dev’essermi sfuggito qualcosa, di
sicuro mi sono dimenticato un
ingrediente.” Scandagliai freneticamente la piccola cucina
con lo sguardo. “Mi
passi la ricetta?”
“Eh?”
“La ricetta! Quel foglio che c’è
lì, a fianco al piano
cottura!”
“Puoi aspettare un secondo?” Dom afferrò
un mestolino in
legno e prese a rimestare con attenzione.
Vedere il mio coinquilino alle prese con gli arnesi da
cucina era insolito quanto divertente: si capiva lontano un miglio che
non era
abituato a quell’attività e, anche se cercava di
risultare sicuro di sé, i suoi
movimenti erano goffi e inesperti.
In un altro momento avrei ridacchiato e l’avrei preso in
giro,
ma quel giorno non ero in vena.
“Il cioccolato si fonde anche se non lo guardi”
bofonchiai, incrociando
le braccia al petto.
“Ehi, che cazzo! Non mettermi fretta!”
Afferrò il foglio che
aveva accanto e me lo passò. “Poi non ti lamentare
se si brucia tutto e la
cucina va a fuoco!”
Sospirai, lo afferrai e cominciai a rileggere tutto da cima
a fondo, le dita che tremavano appena. Aggrottai le sopracciglia.
“Comunque il
cioccolato avresti potuto fonderlo anche nel microonde, genio.”
“Cosa?! Bastava ficcarlo nel microonde?”
sbottò il mio
amico, lanciando un’occhiata all’elettrodomestico
stipato sopra il piccolo
frigorifero. “Mi sarei potuto risparmiare tutto questo
casino?”
“Parli come se l’avessi dovuto faticosamente
sciogliere col
calore delle tue mani… hai solo acceso un
fornello.” Poggiai la ricetta sul
piano del tavolo. “Qui dice: in una ciotola a
parte, lavorate con uno
sbattitore elettrico il burro con lo zucchero fino a ottenere un
composto
chiaro e spumoso. Burro e zucchero… ci sono
entrambi” riflettei.
Dom mi si avvicinò e scrutò dentro la ciotola.
“Io non me ne
intendo, ma in effetti questo non è un composto chiaro
e spumoso…”
Ripresi in mano lo sbattitore e lo accesi, pronto a lavorare
ancora l’impasto. Sarei andato avanti anche per ore, se fosse
servito a
ottenere un risultato decente.
“Okay, visto che ormai il cioccolato è quasi
pronto, apro le
uova e separo l’albume dai tuorli”
affermò Dom.
“Sai aprire le uova?” lo sbeffeggiai, ostentando
stupore.
“Che pezzo di merda, non meriti l’aiuto di un amico
grandioso e gentile come me!” si pavoneggiò.
Tornai a concentrarmi sull’impasto.
Quando quel giorno avevo deciso di preparare dei cupcakes
per il mio ragazzo avevo sperato in un esito migliore –
diverso dai soliti
disastri che io e Dom combinavano quando provavamo a cucinare qualcosa
assieme.
Io e Phil stavamo insieme da poco meno di due settimane e
ancora non lo avevo realizzato: da quando l’avevo conosciuto,
diversi mesi
prima, avevo sempre pensato che a lui interessassero soltanto le donne.
Ero rimasto
parecchio spiazzato – ed entusiasta – quando invece
avevo appreso che i miei
sentimenti erano ricambiati.
Effettivamente ero il suo primo ragazzo, Phil voleva essere
cauto perché la situazione lo spaventava e destabilizzava
molto. Mi faceva
tantissima tenerezza: grande e grosso, all’apparenza
così pacato e sicuro di
sé, ma anche tanto timoroso di lasciarsi andare a
quell’esperienza tutta nuova.
Gli avevo promesso che avremmo fatto ogni cosa in base ai
suoi tempi, che l’avrei fatto sentire coccolato e a suo agio;
per questo avevo
deciso di preparare quei cupcakes panna e biscotti apposta per lui.
In realtà avrei voluto regalargli il mondo intero pur di
renderlo felice e bearmi delle deliziose fossette sulle guance che gli
comparivano ogni volta che sorrideva, ma date le mie scarse
possibilità da
studente universitario, si sarebbe dovuto accontentare delle mie doti
culinarie.
Sempre che fossi riuscito a cavar fuori qualcosa di decente
da quella poltiglia granulosa che continuavo a frullare…
All’improvviso un dettaglio attirò la mia
attenzione.
Strabuzzai gli occhi, spensi lo sbattitore e presi in mano il foglio
con su
stampata la ricetta. “Merda!”
“Che succede?” Dom sobbalzò e si
lasciò scivolare di mano
l’uovo che stava aprendo; tuorlo, albume e guscio in frantumi
finirono dentro
il piatto.
A quella vista avrei volentieri dato di matto, ma al momento
mi si presentava davanti un problema più grande.
“Adesso ho capito perché
questo bastardo non si scioglie! Qui dice che bisogna usare lo zucchero
di
canna tipo muscovado chiaro… ma su
quello che ho comprato io non c’è
scritto muscovado chiaro!” sbottai,
prendendo in mano la busta
incriminata.
Dom mi affiancò e fece scorrere lo sguardo dalla ricetta
alla confezione dello zucchero. “Andiamo, non sarà
mica un dettaglio così
importante…”
“E invece sì, cazzo! Perché
l’impasto non diventa spumoso e
chiaro!”
Lui aggrottò le sopracciglia. “E perché
non hai controllato
meglio mentre facevi la spesa?”
“Non ne ho idea! Sai che non faccio sempre le scelte
migliori quando sono sotto pressione: avevo talmente tanta paura di
dimenticare
qualcosa che ho preso la prima busta di zucchero che ho
trovato!”
“Ehi, calmati, cerca di…”
“Come faccio a calmarmi se è tutto uno
schifo?” lo
interruppi, sollevando ancora il tono di voce.
Il mio coinquilino si tappò le orecchie. “La
pianti di
strillare?” tuonò a sua volta.
Mi guardai attorno e realizzai che la cucina era un
disastro: sul fornello stazionavano ancora il pentolino e il
contenitore col
cioccolato fuso a bagnomaria, ormai tiepido; proprio lì
accanto era poggiato un
piatto con all’interno un uovo spaccato e inutilizzabile,
mentre sul tavolo una
ciotola in ceramica conteneva un composto scuro e grumoso.
“Ho sbagliato tutto, questi fottuti cupcakes verranno
malissimo” esalai, prendendomi la testa tra le mani.
“Conor…”
“Che c’è?”
Dom mi afferrò i polsi e allontanò le mie dita
dal viso, poi
mi fissò dritto negli occhi. “Il problema non
è lo zucchero moscovato o
come cazzo si chiama, vero?”
Allora mi accorsi della tensione che avevo addosso: il
respiro mi si mozzava in gola, il cuore martellava
all’impazzata e le mani mi
tremavano.
Inspirai profondamente e abbassai lo sguardo.
“D’accordo, la situazione sta
degenerando.” Il mio amico mi
spinse verso il divano e, una volta che ebbi preso posto, si
accomodò accanto a
me. “Conor, non puoi avere un attacco isterico per dei
dolcetti.”
“Io sono sempre isterico”
obiettai.
Dom ridacchiò. “Lo so, però oggi
è peggio del solito. Sei in
ansia. E non provare a negarlo: ti conosco troppo bene.”
Socchiusi le palpebre e sospirai, gettando appena il capo
all’indietro. “È che ci tenevo davvero a
questi dolci. Speravo che venissero
bene, almeno stavolta.”
“Perché sono per Phil” disse lui. Non
era una domanda.
Mi morsi il labbro. Colpito e affondato.
“Io… volevo fare qualcosa di carino per lui,
volevo farlo
felice. Perché… lui è sempre
così dolce e buono con me, a volte mi sembra di
non meritarlo, di non essere alla sua altezza…”
cominciai a straparlare,
giocherellando col bordo della mia maglia.
“Quando dici queste stronzate mi viene voglia di tirarti un
pugno in bocca!” si indignò Dom, fulminandomi con
un’occhiata.
“Ma lo capisci che sono un disastro? Per una volta che
decido di preparare una sorpresa carina per lui, ecco che rovino
tutto!”
bofonchiai, combattendo il nodo che mi chiudeva la gola.
Già mi figuravo la faccia perplessa e disgustata del mio
ragazzo quando avrebbe assaggiato quegli orrori culinari che stavano
prendendo
forma nella nostra cucina.
Dom mi posò una mano sulla spalla e mi scrollò
appena.
“Guardami e ascoltami bene. Innanzitutto il disastro lo
stiamo facendo in due:
ho deciso di aiutarti a impastare, quindi pretendo
la mia metà di
colpe!” Mi scoccò un sorriso complice.
“Sono bravo a fare quasi tutto,
ma in cucina faccio cagare, lo ammetto!”
“Quasi tutto? Ma fammi il favore!” lo presi in
giro,
ridacchiando e dandogli una leggera spinta.
Lui fece altrettanto, ma dopo qualche istante tornò serio.
“E poi… Phil è mio cugino, lo conosco
da una vita e ti assicuro che non c’è
motivo di preoccuparsi. Insomma, potresti presentarti da lui con i
cupcakes più
brutti del mondo, dal sapore e l’aspetto orribile, mezzo
crudi o mezzo bruciati…
ma lui li adorerebbe lo stesso, semplicemente perché hai
avuto il pensiero di
prepararli per lui.” Sorrise, gli occhi gli brillavano.
“E li adorerebbe perché
li hai fatti tu. Non hai ancora capito che Phil
stravede per te e non
hai bisogno di far niente per farti amare da lui?”
Mi mordicchiai nuovamente il labbro e gli occhi mi
pizzicarono appena. “Lo pensi davvero?” pigolai
titubante.
Lui mi batté una pacca sul braccio. “Certe volte
sei proprio
un deficiente, Conor Mason.”
Allora mi sciolsi in un sorriso; improvvisamente sentivo il
cuore più leggero e l’ansia scivolar via.
Ero stato capace, grazie alle mie solite paranoie, di
trasformare un’attività piacevole e divertente in
un incubo all’insegna dello
stress, trascinandovi anche Dom.
Eppure lui era ancora lì, pronto a darmi una mano anche se
ne sapeva meno di me, pronto a sorbirsi le mie urla stridule nei
momenti di
isteria e a riportarmi a galla quando annegavo in un mare di
pessimismo. Era il
miglior coinquilino e il miglior amico che potessi avere.
Gli rivolsi un’occhiata riconoscente. “Grazie,
Dom.”
“Che fine faresti senza di me?” Mi
scompigliò i capelli e si
rimise in piedi, tornando al piano cottura. “Rimettiamoci
all’opera: moscovato
o non moscovato, qualcosa dovrà pur
venir fuori!”
Risi e lo imitai. “Si chiama muscovado.”
“Fa lo stesso!”
“Questa è la parte più
divertente!” affermò Dom, decorando
l’ennesimo cupcake con un pezzetto di Oreo.
“Soprattutto perché è
l’ultima” aggiunsi mentre versavo una
generosa dose di copertura bianca su una tortina.
Sfiniti e ancora impiastricciati di cibo da capo a piedi, ci
accingevamo a rifinire i nostri piccoli grandi capolavori: quando
avevamo
sfornato i dolci, qualche ora prima, non potevamo credere che fossero
venuti
così bene. Certo, alcuni erano un po’ storti e
sformati, ma tutto sommato
avevano un aspetto delizioso.
E alla fine, a furia di rimestare e lavorare il composto, anche
lo zucchero si era sciolto del tutto – un po’ come
le mie preoccupazioni.
“Ecco!” esclamò il mio amico, disponendo
un pezzetto di Oreo
sull’ultimo cupcake. Si allontanò di un passo e
osservò con soddisfazione la
teglia adagiata sul tavolo. “Un’opera
d’arte!”
Indietreggiai a mia volta e sorrisi. “Non saranno
ineccepibili, ma per fortuna non siamo a MasterChef.”
Dom mi circondò le spalle con un braccio e mi
attirò a sé,
catturandomi in un affettuoso abbraccio. “Siamo una bella
squadra.”
Ricambiai il gesto, senza riuscire a smettere di sorridere.
Gli volevo un mondo di bene; non trovavo nemmeno le parole per
dimostrargli la
mia gratitudine, ma speravo che quello bastasse.
“Davanti a queste delizie, Phil non potrà che
giurarti amore
eterno!” commentò una volta sciolto
l’abbraccio.
“Veramente non sappiamo ancora se sono delle delizie”
gli feci notare.
“Constatiamolo subito!” Detto ciò,
afferrò un cupcake dalla
teglia e lo addentò avidamente.
“Ehi! Quelli sono per Phil!”
“Sono sedici, in ogni caso non riuscireste a mangiarli
tutti” bofonchiò col boccone pieno.
“Comunque sono fantastici!”
“Davvero?” Prima che potesse accorgersene, gli
rubai il
pirottino dalle mani e presi un morso.
Col palato e il cuore pieni di dolcezza, posai il capo sulla
spalla di Dom e sorrisi.
Qualunque sarebbe stata la reazione di Phil il giorno
seguente, ora avevo la certezza di aver fatto del mio meglio: non gli
stavo
donando un semplice vassoio di dolci, ma tutto me stesso.
Imperfetto e ammaccato come quei cupcakes, ma pieno d’amore.
🧁
🧁 🧁
Prompt per la
challenge “Just stop for a minute and smile”:
1. "Mi passi la
ricetta?"
50. "Ehi, non
mettermi fretta!"
Ma guardate un po’
chi si rivede da queste parti! Non mi ero affatto dimenticata dei
nostri
coinquilini scapestrati, anzi, non vedevo l’ora di mettermi a
scrivere per il
contest di Laila e aggiornare nuovamente questa raccolta!
La shottina non è
affatto venuta come ce l’avevo in mente, scriverla
è stato un parto e alla fine
non mi soddisfa per niente, ma spero possiate perdonarmi AHAHAHAH!
Innanzitutto: per
scrivere questa storia mi sono basata sulla ricetta dei cupcakes
panna&biscotti
che trovate alla pagina 20 del libro “Le deliziose ricette di
cupcake” che
Laila_Dahl ha linkato nel suo contest “StoryCake”,
a cui questa storia
partecipa. Ma in realtà parte di ciò che avete
letto fa parte della mia
personalissima esperienza, visto che io stessa ho provato a farli
e… ragazzi,
credetemi, la lavorazione è lunga ma ne vale la pena *-*
Anche io, proprio
come Dom e Conor, ho avuto lo stesso problema con lo zucchero: non era
muscovado bianco e NON SI SCIOGLIEVA, mamma mia che ansia ahahahahah ma
alla
fine sono venuti bene lo stesso XD
Lascio anche
qualche noticina per la giudice, che non conosce il fandom. In
realtà, essendo
questo un AU, non ho citato tante dinamiche riguardanti i Nothing But
Thieves:
l’unica cosa vera è che Dom e Phil sono cugini.
Per quanto riguarda
l’AU, questa storia (e tutta la raccoltina) è uno
spin off di una mia long. A
dire il vero non c’è tanto da sapere: Dom e Conor,
amici da sempre, si sono
iscritti insieme all’università e hanno affittato
una casetta. Conor ha da poco
conosciuto Phil, il cugino del suo coinquilino, e se
n’è innamorato
perdutamente. Ovviamente tutto ciò è frutto della
mia fantasia (…ehh…), ma
l’amicizia tra Dom e Conor è assolutamente reale,
come testimonia il banner che
ho messo in cima! Non sono coccolosissimi i miei coinquilini del cuore
mentre
si abbracciano così? *_____________*
(Dom, giù le mani
che poi Phil si ingelosisce AHAHAH)
E a tal proposito:
ringrazio di cuore Carmaux per avermi dato una mano a crearlo! A dire
il vero
quell’immagine è tutta opera sua, io mi sono
occupata solo di inserire il
titolo… quindi, insomma, è un banner a quattro
mani!
Grazie tesoro :3
Infine segnalo che
in questa shottina ho sviluppato un prompt che Carmaux mi aveva fornito
l’estate scorsa, quando ero in crisi col fandom e avevo
chiesto alle mie
lettrici di darmi una mano per sbloccarmi! La frase in questione
è “non faccio
sempre le scelte migliori quando sono sotto pressione” (in
realtà non ricordo
se fosse “prendo le decisioni” o “faccio
le scelte” perché sono deficiente e
l’ho perso, ma insomma il senso era quello XD), spero di
averla sfruttata al
meglio! Grazie doppiamente a Carmaux per lo spunto carinissimo!
Niente, concludo
queste NdA chilometriche, ringrazio di cuore chiunque sia arrivato fin
qui e vi
do appuntamento alla prossima – e ultima – shottina
della raccolta! :3
A prestoooo!!! ♥
|
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