Cicatrici nell'anima

di inzaghina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo — Il peso dell’assenza ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 — Il fragore dei sogni infranti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 — Sfumature di speranza ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Ostacoli (in)sormontabili ***



Capitolo 1
*** Prologo — Il peso dell’assenza ***


Qualche settimana fa mi sono iscritta al Gioco di scrittura sul gruppo facebook “Caffè e Calderotti” che prevedeva di scegliere 10 personaggi che sarebbero poi stati abbinati casualmente a una serie di prompt. La scadenza per pubblicare la storia che vi partecipa è oggi e, come ho fatto per i personaggi scelti per Harry Potter, anche qui arrivo all’ultimo con il primo capitolo di una mini-long molto angst in cui concentrerò il maggior numero di prompt.
 
Ecco qui i personaggi che ho scelto:
 
1- Alexandra Delway
2- Daniel Evans
3- Lucas Evans
4- Jacob Grayson
5- Riley Gutierrez
6- Alice Henderson
7- Steven Hughes
8- Nicholas Rogers
9- Michael Sanders
10- Sophie Sanders 
 
In questo prologo mi concentrerò sul prompt: 12. Death Sophie Sanders (10) e Lucas Evans (3) — che sarà il perno sul quale si reggerà l’intera storia.

 
 


Prologo — Il peso dell’assenza
 
 
 
Caos.
Luci lampeggianti.
Odore nauseabondo di carburante.
Un dolore insopportabile al braccio destro.
E grida, tante grida strazianti — ovunque intorno a lui.
Poi, il buio.
 

Quando trova la forza di riaprire gli occhi, Lucas lo fa con fatica e non riesce a mettere a fuoco nulla, a eccezione del fatto che è piuttosto sicuro che il mondo sia alla rovescia — o, più probabilmente, è lui a esserlo.
Sente freddo, nonostante ricorda bene che la serata fosse piuttosto tiepida.
Già, ma che serata? Ah sì, è andato all’Homecoming.
Chiude gli occhi, tentando di rammentare cosa sia successo e come mai si trovi bloccato in quella che è abbastanza certo sia una macchina, ma la testa gli fa così male che deve desistere per un attimo. Percepisce un rumore soffocato alle spalle e tenta di girarsi verso la fonte, maledicendosi per l’idea idiota; riesce a intravedere dei capelli biondi imbrattati di scuro e delle labbra vermiglie che si fanno strada prepotentemente tra i suoi ricordi offuscati.

 
“Una ragazza così bella non dovrebbe stare a bordo pista…”
“E dove dovrebbe stare?”
“Al centro della pista, tra le braccia di un ragazzo che riesca a farla sorridere.”

“Hai ragione.”
“Mi concedi questo ballo, quindi?” ¹
 

Lucas è abbastanza certo di aver baciato Sophie Sanders quella sera, protetto dal muro della palestra della scuola, dopo aver ballato con lei. Ora può rivedersi con chiarezza insinuare le dita tra i suoi capelli setosi, mentre imprigiona il corpo di lei tra la parete fredda e se stesso, sente nuovamente quella risata argentina che conosce da tutta la vita e ricorda di essere stato proprio lui a provocarla. Quello che non rammenta è cosa sia accaduto dopo tutto questo, come sia possibile che sia stato tutto irrimediabilmente stravolto in una manciata di attimi. S’arrischia a dare un’occhiata alla sua sinistra e viene colto dal terrore più angosciante alla vista della posizione innaturale del collo di Oliver e del sangue che ricopre i lineamenti del suo viso come un sudario. Tenta di capire se l’amico stia respirando, ma è abbastanza certo che il suo petto sia immobile, sotto il peso del volante, slittato in avanti, e dell’airbag ormai sgonfio.
“Ollie, amico…” sussurra, tentando di sfiorarlo.
“Mhmm,” un gemito proveniente dal sedile posteriore gli ricorda della presenza di quella che crede possa essere Sophie.
“Sophie, puoi sentirmi?” chiede, più forte che può.
“Mhmm…”
“Sophie, stai bene?” è una domanda stupida, se ne rende conto, ma è evidentemente sotto shock.
“Lucas?” mormora in risposta la ragazza, dopo una pausa che a lui è parsa infinita.
“Sì, sono io…”
“Che cosa è successo?” ribatte Sophie in tono atterrito.
“Credo che abbiamo avuto un incidente, ma… non so, non ricordo nulla… tu come stai?”
“Non ne ho idea, mi fa male il collo e la gamba destra e sono più che sicura di essermi tagliata con i vetri del finestrino… tu?”
“Ho un gran mal di testa e del braccio destro, credo di essermi tagliato anche io, ma non so dirti se ci siano altri traumi…”
Solo in quel momento Sophie rammenta di essere andata al ballo in compagnia di Madeline e si volta alla sua sinistra, ricercando l’amica di tutta una vita — finendo con l’urlare in una maniera quasi disumana.
“Che succede?”
“È… è Maddy… lei…”
“Lei cosa?”
“Io credo che sia morta è immobile e coperta di sangue e…” singhiozza la ragazza, tentando di toccare l’amica con la punta delle dita.
“Oddio è terribile...” mormora Lucas, evitando di comunicarle che crede che anche Ollie li abbia lasciati.
“Dobbiamo aiutarla!”
“Lo so, ma io sono bloccato… non so tu.”
“Anche io e poi mi fa così male la testa e…” la sua voce si spegne improvvisamente.
“E cosa? Sophie! Sophie, rispondimi!” Lucas tenta invano di girarsi, prima di soccombere al dolore.

 
L’ultimo pensiero coerente, prima di precipitare nuovamente nell’oblio, è che non vuole affatto morire.
Non nella stessa sera in cui ha finalmente baciato Sophie Sanders.
Si sente un imbecille a formulare un simile pensiero egoista.
Quando Ollie se n’è andato — per sempre.
E probabilmente anche Maddy.
È semplicemente umano.
E sogna un futuro.
Vuole vivere.
 
 

 



¹ Dialogo tratto dalla mia OS “Artefici del proprio destino” prima storia con protagonisti Lucas e Sophie che ho pubblicato.
 
Nota dell’autrice:
In questo pazzo, pazzo, 2020 non potevo che buttarmi in un’altra mini-long per tirarmi su almeno con la scrittura.
Questi personaggi mi sono entrati nel cuore, pur essendo nati per caso, e ormai era tempo che provassi a scrivere di loro qualcosa di più corposo che le solite OS.
Questo prologo è piuttosto dark e difficile, ma la loro storia è nata proprio sotto queste premesse e il prompt che mi è capitato cadeva davvero a fagiolo.
Credo che la storia non avrà più di 10 capitoli, e già non so se sia considerabile una mini-long.
Tantissimi auguri di buona fine e buon principio.
Ci rileggiamo nel 2021!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 — Il fragore dei sogni infranti ***


Come argomento principale del primo capitolo ho scelto il prompt: 8. Kidfic Riley Gutierrez (5) e Michael Sanders (9).
 

 
 
Capitolo 1 — Il fragore dei sogni infranti

 
 
 
Riesce a percepirlo, il momento in cui il mondo gli crolla addosso, un attimo prima sta ridendo di una stupida battuta di Jake e quello dopo percepisce una folata d’aria fredda causata dalla porta che si spalanca e intravede Riley correre affannata verso di lui — perfino nel buio rischiarato solo sporadicamente riconosce il terrore nelle sue iridi cangianti. Sente il pavimento mancargli sotto ai piedi, quasi come se si fosse aperta una voragine, e sa semplicemente guardandola negli occhi che è successo qualcosa di brutto.
“Mike, c’è stato un… un incidente…”
I suoi pensieri corrono subito alla sorella, mentre si affanna a rintracciare la sua chioma bionda nella palestra affollata e si rende conto che è già da un po’ che non la vede.  Scuote la testa, deciso a non voler scoprire cosa Riley gli voglia dire e corre deciso verso il parcheggio, tallonato da lei e Jake.
“Riley, ma che succede?” sente la domanda di Jake, a pochi passi da lui.
“Un suv ha centrato la macchina di Oliver… con lui c’erano Sophie, Maddy e Lucas,” mormora a mezza voce Riley.
Quando Mike intravede ciò che resta della berlina di Oliver, attorniata dal personale di soccorso e illuminata dai lampeggianti rossi e blu, si accascia al suolo: la sua vista si appanna e sente le lacrime solcargli inesorabili le guance. La mano di Riley si posa sulla sua spalla, ma Mike non se ne rende nemmeno conto, così come non s’accorge di Jake che lo solleva di peso, aiutato da altri compagni della squadra di basket, e di come il gruppo lo stia accompagnando verso la scena dall’incidente.
“Ragazzi, meglio che stiate lontani da qui,” consiglia loro un vigile del fuoco, appena giunto sul posto con la sua squadra.
Jake è il primo ad accorgersene e dà di gomito a Riley, prima di avvicinarsi all’accorrente Alexander Evans e comunicargli ciò che ogni genitore teme di dover sentire nel corso della propria vita.
“Jake, hey… meglio se state in disparte,” gli dice il padre di Lucas, indossando l’elmetto.
“Signor Evans, non so come… insomma, io… ecco…” Jake si passa le dita tra i capelli, frustrato dalla propria mancanza di coraggio.
“Che succede?” Alexander si ferma e scruta impazientemente l’amico del figlio maggiore.
“Lucas è in quella macchina,” sussurra alla fine il ragazzo, tirando su rumorosamente con il naso e accennando vagamente al metallo accartocciato.
Alexander non tergiversa oltre, corre verso la propria squadra e illustra loro la situazione, il suo tono di voce è talmente fermo che nessuno dei suoi colleghi pensa nemmeno per un attimo di proporre che lui non partecipi all’operazione di salvataggio.
 
*
 
Mike non ricorda il viaggio verso l’ospedale, eppure è già seduto su quella scomoda sedia da un po’, non rammenta nemmeno l’arrivo dei genitori, che sono stati avvisati da Riley, né il momento in cui il medico che ha in carico sua sorella è uscito per parlare con loro. Alla sua sinistra sa che ci sono i suoi genitori, seduti accanto a quelli di Lucas, e si ritrova a pregare un Dio in cui non è nemmeno sicuro di credere che almeno loro non ricevano la notizia che ha straziato di dolore quelli di Oliver e Maddy. Stenta a credere che loro non ci siano più: non gli pare possibile che non vedrà più Maddy entrare di corsa in casa sua alla ricerca di Sophie, o che non passerà più la palla a Oliver e lo guarderà andare a canestro. Avevano entrambi tutta la vita davanti, ma ciò che rimane ora è solamente il ricordo dei loro sogni infranti, spezzatisi in un fragore assordante di metallo accartocciato, e di tutto quello che avrebbero potuto diventare e che non saranno mai. Si sente soffocare nella stanza illuminata artificialmente, quasi come se le pareti di quel bianco asettico e accecante si stessero avvicinando sempre di più — pronte a fagocitarlo. C’è troppo silenzio, Mike è in grado di percepire il battito martellante del proprio cuore e ciò gli ricorda che, forse, quello della sua sorellina invece non sta battendo spontaneamente ed è un pensiero così atroce che capisce che deve andarsene da lì, perché non può resistere un solo minuto di più. Si alza e s’incammina lungo il corridoio, prima lentamente e poi sempre più velocemente, fino a che non raggiunge l’uscita e inizia a correre per raggiungere il parchetto distante pochi passi e accasciarsi su un’altalena. Il rumore dei suoi pensieri sembra infastidirlo meno, il cielo che lo sovrasta lo fa sentire minuscolo e Mike sospira, dondolandosi con lentezza.
“Sapevo che ti avrei trovato qui,” mormora Riley, sedendosi sull’altra altalena.
“Non potevo resistere là dentro un minuto di più…”
“Non sei solo, Mike,” gli rammenta Riley, sfiorandogli il braccio.
Mike sceglie di non rispondere e di non sollevare lo sguardo dal terreno, consapevole che crollerebbe se incontrasse lo sguardo imbrattato di pietà dell’amica. Riley non se la prende, lo conosce da tutta la vita, e può solo immaginare tutto quello che gli sta passando per la testa in quell’istante.
“Ti ricordi la prima volta che ci siamo incontrati?”
Mike annuisce, continuando a rimanere in silenzio.
“Mi ero appena trasferita qui dalla Florida ed ero fermamente convinta che i miei genitori mi avessero rovinato la vita,” prosegue Riley, “poi ho notato te e tua sorella giocare con la canna dell’acqua in giardino e ho pensato che magari potevo essermi sbagliata...”
Mike ricorda chiaramente il giorno di cui Riley sta parlando: aveva visto il camion dei traslochi arrivare di buon mattino e aveva sperato che nella casa di fronte alla loro sarebbe arrivata una famiglia con un bambino che avrebbe giocato a basket con lui e quando Riley era scesa dalla station wagon di famiglia era rimasto piuttosto deluso.
 
“Soph, guarda… i nuovi vicini!” esclama Mike, indicando l’auto blu che ha appena parcheggiato nel vialetto della casa di fronte alla loro.
La sorella di quattro anni lo raggiunge correndo e prende posto accanto a lui davanti alla finestra del salotto.
“Speriamo che ci siano dei bambini,” commenta Sophie.
“Speriamo…” ribatte Mike, osservando la porta posteriore che viene aperta da una donna ispanica che indossa jeans e una maglietta colorata.
Pochi attimi dopo, una bambina dai riccioli scuri e ribelli scende dall’auto facendo sorridere la piccola di casa Sanders. “Una nuova amichetta!”
“Uffa, un’altra femmina,” borbotta infastidito Mike.
“Bambini, che state guardando?” chiede Benjamin, avvicinandosi ai figli.
“I nuovi vicini,” risponde Mike.
“Ah, sono arrivati?”
“Già e hanno una figlia…” ribatte annoiato il primogenito.
“Ma noi non dovevamo andare in giardino a giocare?” domanda loro il padre, ricevendo due sorrisi entusiasti in risposta.
“Sì!”
“Andiamo, prima che mamma ci fermi,” ridacchia Benjamin, conducendoli fuori.
Le risate e le grida della famiglia Sanders riempiono il vicinato e, quando sono raggiunti dalla madre Abigail, Sophie cerca rifugio tra le gambe della donna per sfuggire al fratello maggiore che imbraccia la canna con espressione risoluta.
“Salvami, mamma!”
“Già, salvala,” ridacchia Ben, abbracciando la moglie con i vestiti fradici.
Abigail scuote la testa, perdendosi a guardare i figli spruzzarsi e rincorrersi nell’erba, “non è molto ecologico, lo sai?”
“Dovevamo comunque bagnare il giardino…” le fa notare il marito, posandole un bacio sulle labbra.
“Mhmm… hai sempre la risposta pronta, tu?”
“Sono pur sempre un avvocato,” dichiara lui, strizzandole l’occhio.
Solo in quel momento si rendono conto che, immobile dall’altro lato della strada, la figlia dei nuovi vicini li scruta con attenzione; Ben si avvicina quindi ai figli e indica loro la bambina, spronando i due a raggiungerla.
“Ciao, io sono Michael, ma tutti mi chiamano Mike,” esordisce Mike, spostandosi i ciuffi di capelli biondi bagnati dagli occhi.
“E io sono Sophie,” aggiunge la sorella, indirizzando alla sconosciuta un sorriso.
“Io mi chiamo Riley,” bofonchia la piccola in risposta.
“Quanti anni hai?” chiede Mike.
“Quasi sei.”
“Mio fratello ne ha già sei!” esclama Sophie, indicandolo.
“Da dove vieni?” s’informa Mike.
“Florida,” ribatte la nuova arrivata.
“Noi siamo stati a Disneyworld,” commenta Sophie.
Riley scrolla le spalle.
“Vuoi giocare con noi?” propone quindi Mike, stranamente attirato dai silenzi della nuova arrivata.
“Forse, ma devo chiedere a mia mamma…”
“Vai, noi ti aspettiamo qui,” insiste Mike.
Riley s’affaccia in casa e individua la madre in cucina, intenta ad aprire uno dei numerosi scatoloni.
“Tesoro, allora? Che ne pensi della casa?”
“Sembra bella,” risponde neutrale, per poi prendere un sospiro, “i vicini mi hanno invitata a giocare con loro… posso andare?”
Penelope Gutierrez annuisce, speranzosa che la figlia riesca a stringere velocemente amicizia e percepisca meno la mancanza degli amici di Miami. “Mi sembra un’ottima idea, dove sono?”
“Mi aspettano qui fuori,” risponde, indicando la porta aperta alle sue spalle.
Penelope la raggiunge e individua due bambini biondi e scalzi, che hanno lasciato una serie di impronte bagnate dei propri piedi nel loro vialetto e le fanno ciao con la mano quando si affaccia dalla porta d’ingresso; poco distanti vede i loro genitori che li guardano dal giardino di fronte e fa un cenno anche alla coppia.
“Vai e divertiti, Riley,” sussurra, baciando la testa della figlia, che raggiunge i due bambini e viene presa per mano dal maschietto.
 
“Chi l’avrebbe mai detto che un’amicizia nata sotto stelle avverse sarebbe stata così fondamentale per entrambi?”
“Sotto stelle avverse?” domanda Mike, con una voce che risulta straniera anche a lui.
“Tu avresti voluto che fossi maschio e non hai esitato a dirmelo la settimana successiva quando mi hai confessato che avresti voluto giocare a basket con me se fossi stata un maschio…”
“Giusto,” annuisce Mike, sorridendo per un unico istante e dimenticando per pochi battiti del proprio cuore che sua sorella e Lucas stanno lottando per la vita, nell’ospedale che si sono lasciati alle spalle.
“Ma io ci ho tenuto molto a farti notare che potevi giocarci anche con me,” conclude Riley, afferrando la sua mano e stringendola, proprio come aveva fatto nel loro primo giorno di scuola elementare — avvenuto poche settimane dopo quel fatidico primo incontro.
 
I Sanders e i Gutierrez sono insieme nel cortile antistante la scuola, pronti ad accompagnare i figli nell’aula che gli è stata assegnata. “E se la maestra non dovesse piacermi?” mormora Mike, facendosi sentire sono dall’amica.
“Vorrà dire che le renderemo la vita difficile… io e te,” promette Riley, agganciando il mignolo a quello del suo amico.
“Lo faresti?”
La bambina annuisce risoluta.
“Ma a te piace la scuola, la stai iniziando un anno in anticipo…”
“Tu però mi piaci di più… sei il mio migliore amico,” sorride Riley.
Mike ricambia il sorriso, sfoggiando orgogliosamente la finestrella che si è creata dopo la caduta di due dei suoi incisivi.
“Insieme?” propone Riley.
“Insieme,” si fa forza Mike, stringendo la mano che Riley gli sta porgendo.
 
“Ce la faranno,” sussurra Riley.
“Non puoi saperlo…”
“Invece sì, sei tu quello che sostiene che so sempre tutto…”
“Forse non questa volta,” risponde lui e Riley rivede lo stesso bambino spaurito che non voleva entrare in classe tutti quegli anni prima.
“Non ti lascerò solo…”
“Anche se diventerò insopportabile?”
Riley annuisce.
“Scommetti che riuscirò a salire più in alto di te?” aggiunge poi, dandosi una spinta.
“Non credo proprio,” ribatte Mike, imitandola.
Per qualche minuto si dondolano con tutta la forza possibile, spingendosi sempre più vicini al cielo carico di nubi le cui tipiche sfumature dell’alba si riflettono sulle gocce di rugiada che decorano i fili d’erba. Mike sa che non deve affannarsi a riempire i silenzi quando è con Riley, per lei va benissimo ascoltare semplicemente il rumore metallico della catena dell’altalena e il respiro lievemente affannoso dell’amico.
“Ho vinto!” esulta, dopo un po’.
“Nemmeno per scherzo,” ribatte Mike, osservandola di sbieco, mentre allarga le braccia e sembra addirittura potersi librare in cielo.
 
Una goccia solitaria lo colpisce sulla fronte, mentre sta fissando la luna sbiadire in un cielo sempre più chiaro, poi ne sente due in rapida successione, seguite da uno scroscio di pioggia improvvisamente più persistente.
“Forse è meglio rientrare,” sussurra estremamente piano.
“Possiamo rimanere qui per quanto vuoi,” lo rassicura Riley.
“Con te accanto posso affrontare tutto…”
“Insieme,” gli ricorda con un mezzo sorriso la ragazza.
“Insieme,” annuisce lui, intrecciando le dita a quelle di Riley e riavviandosi verso l’ospedale.
 
*
 
I genitori di Mike, e quelli di Lucas sono saliti al piano riservato alla chirurgia, scopre Riley, ed è accanto a loro che riprendono posto, senza avere il coraggio di chiedere se ci sono novità.
“Li stanno operando,” spiega Ben, con una voce irriconoscibile.
“Ce la faranno?” trova la forza di chiedere Mike.
“I medici sono ottimisti,” risponde il padre, annuendo.
Mike rimane in silenzio e stringe velocemente la spalla della madre, che lo accarezza fugacemente con dita gelide come il marmo.
Si scambia uno sguardo con Riley, che non ha smesso di stringere la sua mano da quando sono scesi dalle altalene e decide che, se i medici sono ottimisti, può scegliere di esserlo anche lui.
“Insieme,” sussurra come un mantra, incrociando lo sguardo risoluto di Riley.
“Insieme,” ribadisce lei, strizzandogli affettuosamente la mano.


 
 
Nota dell’autrice:
Sembra quasi impossibile essere già qui ad aggiornare questa storia, ma l’ispirazione è tanta e avevo la necessità di sfruttarla.
Il titolo si rifà ai sogni infranti di Oliver e Maddy, ma anche a quelli di Mike e Riley bambini, che nel frattempo sono cambiati e si sono evoluti. Mi rendo conto che, forse, la parte dedicata alla Kid!Fic del capitolo è un po’ meno preponderante rispetto a quella più emotiva dettata dalle reazioni di Mike, di Riley e dei genitori di Sophie e Lucas all’incidente, ma mi sembrava il modo migliore per far affrontare questo dolore a Mike. Tra l'altro, avevo già accennato in un'altra storia che il padre di Lucas era pompiere e quindi, giusto perchè la mia vena drammatica è particolarmente funzionante in questo periodo, è lui che interviene con la sua squadra sul luogo dell'incidente.
Riley è sempre rimasta sullo sfondo e sono felice di riuscire a raccontarvi anche di lei, finalmente. Il rapporto tra Mike e Riley è molto platinico, anche se hanno anche tentato la strada del romanticismo ad un certo punto, ma non ha funzionato… approfondirò anche quei dettagli appena mi sarà possibile.
Spero che questo capitolo, un po’ meno dark del precedente, sia di vostro gradimento e che la storia di questi ragazzi vi interessi e vi appassioni.

 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 — Sfumature di speranza ***


Per questo secondo capitolo ho scelto il prompt: 18. Song-fic Lucas Evans (3) e Daniel Evans (2); considerando che i personaggi sono originariamente nati per una song-fic, mi sembra appropriato tornare a farli muovere in un simile contesto.

 

 
 
 
Capitolo 2 — Sfumature di speranza
 
 
 
“I wonder if I'm being real
Do I speak my truth or do I filter how I feel?”
 

Riesce a percepirlo, lo sguardo dei presenti che indugia su di lui, che smania di chiedergli come si senta e che s’illude di trovare le parole giuste da rivolgergli per confortarlo e tentare di dare un senso a ciò che sta vivendo. Eppure, è semplice: queste parole non esistono, è inutile che si diano pena per cercarle, anche perché non ha intenzione di mostrare a tutti loro quello che davvero sta provando. Confessare le proprie emozioni lo spaventa, così come ammettere ad alta voce le sue paure più grandi — molto meglio ricacciarle giù, insieme alla bile che sente risalirgli l’esofago lentamente e inesorabilmente. Sa bene che queste persone sono lì per esprimere la loro vicinanza alla sua famiglia e ai Sanders, mosse dalla sincera speranza che Lucas e Sophie si rimettano presto, eppure li osserva infastidito, senza alcun desiderio di condividere il proprio fardello con loro. Il dolore che li affligge è privato, un qualcosa che nessuno all’infuori di loro può davvero comprendere e che quindi tanto vale non mostrare. I suoi genitori non hanno mai abbandonato il capezzale di Lucas, come chiunque si aspettava da loro, ma non hanno nemmeno smesso di prendersi cura di lui, riportandolo a casa ogni sera per un pasto caldo e per farlo dormire nel suo letto. Fanno del loro meglio per interpretare una normalità che in questo momento è estranea alla loro famiglia e che Danny può solo sperare che finisca il prima possibile. Dal momento in cui suo padre ha chiamato per comunicare loro la notizia, si chiede se questa sia davvero la realtà — o se si tratti invece di un brutto scherzo. Perché, nonostante tutte le incomprensioni, non riesce a immaginare la propria vita senza Lucas che lo straccia a basket, o che lo redarguisce perché ci mette troppo tempo ad alzarsi dal letto la mattina e lo fa arrivare tardi a scuola; senza la madre che gli ricorda di fare del proprio meglio a scuola, prima di piazzargli una pila di pancake nel piatto; senza il padre che non gli dice mai di no, anche dopo una estenuante giornata di lavoro, se lui gli propone di lavorare a quel modellino che stanno costruendo insieme. Non si figura proprio un futuro senza il fratello maggiore che lo stuzzica perché ha litigato ancora con quei compagni, che proprio non gli vanno a genio, e tenta di fargli capire che non ne vale la pena; senza la madre che lo rimprovera perché dimentica sempre tutto, sia che si tratti di oggetti che di appuntamenti; e senza il sorriso incoraggiante del padre, nelle rare mattine in cui il genitore e Lucas lo convincono ad alzarsi dal letto e andare a pescare all’alba.
Abbandona la sedia scomoda nel corridoio e si decide a raggiungere i genitori nella stanza: il timore di scoprire se ci sono dei cambiamenti nel quadro clinico di suo fratello lo attanaglia, perché sperare per il meglio è facile, ma aspettarsi il peggio lo è ancora di più — almeno per lui. Danny non è mai stato incline a lasciarsi guidare dalla speranza, nonostante nei suoi tredici anni di vita le gioie abbiano decisamente superato i dispiaceri. Lucas gli dice sempre che la colpa è del suo animo artistico, di solito associa queste parole al suo sorriso sghembo e gli arruffa i capelli, borbottando che per fortuna almeno lui ha ereditato la bravura e le capacità pittoriche della madre.
“Ti prego… non portarti via mio fratello,” sussurra tra sé e sé.
“Hai detto qualcosa, tesoro?” domanda sua madre, rivolgendogli un sorriso tirato.
“No, mamma,” la rassicura.
“Vuoi venire più vicino?” propone il padre, allontanandosi dal letto in cui Lucas è sdraiato da quasi una settimana ormai.
Danny annuisce, avvicinandosi alla figura del fratello, e rimanendo in silenzio.

 
 
“Right before I close my eyes
The only thing that's on my mind
Been dreamin' that you feel it too”

 
 
Stringe le dita fredde di Lucas tra le proprie e chiude gli occhi, tentando invano di ricordare gli insegnamenti di Padre Frank sulla recitazione delle preghiere, ma si rende conto che la sua mente in quel momento è svuotata e tutto ciò su cui riesce a concentrarsi è capire se il fratello sia consapevole della sua presenza. Gli piace immaginare che sia così, che Lucas si trovi in uno stato di dormiveglia in cui riesce a percepire la vicinanza della sua famiglia e che questa serva a fargli forza, ma in tutta onestà non ne è affatto certo e questo è spaventoso. Percepisce la paura crescere dentro di sé, fagocitare tutte le sue emozioni come un enorme buco nero, senza che nulla riesca a opporsi, e abbassa le palpebre nel vano tentativo di fermare le lacrime prima che gli sfuggano, bagnandogli le guance. Rivede con chiarezza momenti felici appartenenti al passato, ricordi d’infanzia cui ha sempre dato poco peso, che adesso anelerebbe a rivivere per poterli assaporare pienamente: le corse a perdifiato nei terreni dietro alla casa dei nonni, le mattinate a pescare sul molo con il padre, le foto di famiglia tanto care a sua madre, i giri in bicicletta nel loro quartiere, le partite di basket, le nuotate al lago e quelle nell’oceano…
Il dottore bussa alla porta e i suoi genitori lo raggiungono, non prima di voltarsi verso di lui e chiedergli se starà bene, lì da solo con Lucas.
“Andate pure,” mormora, tentando di sembrare sicuro di quello che sta dicendo.
La madre annuisce, prima che il padre afferri la sua mano e la conduca in corridoio.
Danny percepisce il proprio cuore accelerare e il panico annebbiargli lo sguardo, rendendogli impossibile vedere con chiarezza i lineamenti immobili di Lucas, sdraiato in quel letto di un bianco troppo accecante.
“Hey Luke,” sussurra infine, tirando su con il naso rumorosamente, “credo tu abbia dormito anche troppo…”
Il fratello rimane impassibile, così come lo è stato dal momento in cui è stato portato in questa stanza dopo l’operazione per ridurre il trauma cranico e quella per la frattura composta al braccio destro.
“Mamma e papà reggono, almeno per ora, ma non so per quanto riusciranno quindi…” sospira e ricaccia indietro altre lacrime, osservando il petto del fratello alzarsi e abbassarsi, grazie alla cannula inserita nella sua trachea; le sue labbra screpolate sono una linea sottile e inespressiva, rovinate dalla presenza del respiratore; le ciglia proiettano ombre allungate sui suoi zigomi, donandogli un’immobilità che non gli appartiene.
 
 
“I wonder why I'm so afraid
Of saying something wrong, I never said I was a saint
“I wonder, when I cry into my hands
I'm conditioned to feel like it makes me less of a man”

 
 
“Vorrei prometterti che, quando ti risveglierai, saprò essere un fratello migliore, ma sappiamo tutti e due quanto sarebbe vuota questa promessa… io non sono te, Luke, sono geneticamente programmato a combinare disastri…”
Il bip del macchinario che controlla il battito cardiaco di suo fratello interrompe il flusso delle sue parole, dandogli l’occasione di tentare di mettere ordine tra i suoi pensieri. È incredibile come sia portato a riempire il silenzio, pur trovandosi insieme a una delle persone che più odia i discorsi vuoti tanto cari alla maggior parte della gente. Ora che è solo, lascia che le lacrime siano libere di imbrattargli le guance, ne percepisce il sapore salato sulle labbra e tira su con il naso tentando di rimettere a fuoco la figura del fratello. Vorrebbe comunicargli quello che sente; obbligarlo a capire la vastità del bene che gli vuole, anche se la maggior parte delle volte non è capace di dimostrarlo, eppure teme di non riuscire a utilizzare le parole più corrette — nonostante suo fratello non sia in grado di rimproverarlo.
Sei tu il mio punto di riferimento, Luke, anche se questa potrebbe essere l’unica volta in cui lo ammetterò ad alta voce, perché confessartelo cambierebbe il nostro rapporto e non sarei più in grado di interpretare al meglio il mio ruolo del fratello minore irresponsabile…” uno sbuffo gli sfugge dalle labbra e Danny stringe più forte la mano inerte di Lucas.
“Sai quanto odi piangere, eppure eccomi qui… a frignare peggio di una ragazzina che guarda Titanic per la milionesima volta,” si sente sciocco a fare un simile paragone, soprattutto perché lui lo è ancora, un ragazzino, ma sa che Lucas lo capisce.
“Sappiamo che, se c’è qualcuno che sa apprezzare il silenzio più di papà, quello sei tu, ma… sarebbe anche il caso che rispondessi ora,” lo prega poi, posando la testa sul materasso e inclinando il viso per continuare a scrutare il fratello. Chiude nuovamente gli occhi, cullato dai rumori ospedalieri, provando ad abbandonarsi a quella speranza così estranea, eppure così necessaria in questo momento.

 
 
“And I wonder if someday you'll be by my side
And tell me that the world will end up alright”

 
 
Non sa dire se siano passati pochi secondi, o se invece si sia trattato di minuti, ma percepisce un movimento — talmente lieve che si convince di esserselo immaginato — e, quindi tiene gli occhi serrati, nel tentativo di convogliare tutti i pensieri positivi verso Luke. Dopo pochi attimi però, il tremolio torna, più marcato di prima, e gli occhi di Danny si spalancano attraversati da quella speranza che ha invocato così intensamente. Le dita di Lucas si sono strette intorno alle sue e Danny sente il proprio cuore battere forsennatamente all’interno del petto e il respiro mozzarsi in gola.
“Luke,” sussurra, avvicinandosi alla figura del fratello per scrutarne il volto.
Il ragazzo non risponde, eppure le sue dita stringono appena un po’ di più quelle di Danny e la temperatura corporea sembra essersi innalzata.
“Luke, non è il momento per fare scherzi,” sbuffa, alternando occhiate tra il suo viso e la mano intrecciata alla propria.
“Mhmm,” la sua risposta è poco più di un mugugno e Danny è combattuto se urlare per richiamare i genitori o se rimanere immobile, nell’attesa che apra gli occhi — per risparmiare un’eventuale delusione almeno a loro.
“Luke, puoi sentirmi?”
“Mhmm,” il mormorio pare essere più forte, anche se gli occhi del fratello maggiore continuano a rimanere ostinatamente serrati.
“Se mi senti, stringimi la mano,” gli sussurra, prima di sentire le dita artigliarlo con una forza che non si aspettava da qualcuno in stato di coma.
“Pensi di poter aprire gli occhi?” gli domanda poi, senza smettere di fissarlo.
Vede le ombre proiettate dalle ciglia sul suo viso tremolare, veloci come il battito delle ali di una farfalla, e sente finalmente la speranza invadergli le viscere e iniziare a scacciare la paura che aveva assorbito tutto quanto — senza lasciare spazio al resto. Poi si specchia in quelle iridi così simili alle sue e percepisce le labbra piegarsi in un sorriso incerto, diventato estraneo in quella settimana parsa infinita.
“Era anche ora, Luke… credevo che odiassi essere in ritardo,” celia, stringendo con tutte le proprie forze la sua mano.
“Mhmm,” legge il panico negli occhi del fratello, mentre mugugna nel tentativo di farsi capire.
“Shh, devi aspettare… non puoi parlare fino a che hai il respiratore,” gli spiega, osservandolo sbattere le palpebre sempre più forsennatamente.
“Ora esco a chiamare mamma e papà, che sono con il medico, va bene Luke?” sente le dita del fratello stringergli la mano e si rende conto di quanto sia confortante quel gesto banale.
Gli bastano poche falcate per raggiungere la porta, ancora meno per individuare i genitori a poca distanza da lì.
“Luke si è svegliato,” comunica ai tre, prima che i genitori corrano per tornare al capezzale del figlio, con il medico alle calcagna.
 
Nei minuti che seguono, mentre la madre piange e il padre è preda della commozione, Danny non perde un solo movimento del dottore che prima spiega a Lucas i passaggi che seguirà per estubarlo e poi inizia a eseguirli uno dopo l’altro, con l’aiuto di un infermiere. Lucas tossisce una volta libero dal macchinario che ha respirato per lui negli ultimi giorni e l’infermiere gli porge velocemente un bicchiere con una cannuccia.
“Sicuramente avrai la gola secca,” gli spiega il dottore, mentre Lucas beve avidamente.
“Può darsi che parlare ti farà male per qualche giorno, ma passerà,” continua il chirurgo, rivolgendosi sia a lui che alla sua famiglia, “adesso ti lascio tranquillo, ma domani e nei prossimi giorni faremo alcuni test per controllare le tue funzionalità, che ne pensi?”
“Va bene,” gracchia Lucas, deglutendo vanamente e cercando con lo sguardo il fratello minore.
“Ora uscirò per illustrare il piano dei test ai tuoi genitori, pensi di potertela cavare qui con tuo fratello?” gli domanda il dottore, lanciando un’occhiata in tralice a Danny.
Lucas annuisce.
“Allora ci rivediamo domani, Lucas. Cerca di riposare stanotte,” gli consiglia l’uomo.
“L’ho già fatto anche troppo,” ribatte il ragazzo, ripetendo il concetto sussurratogli da Danny quando era ancora incosciente.

 
 
“I wonder, wouldn't it be nice
To live inside a world that isn't black and white?”
 

“Finalmente soli,” borbotta Luke, tossendo.
“Hai sentito il medico, no? Cerca di non sforzarti a parlare,” gli rammenta Danny, tornando al suo fianco.
“Non sei stato tu a dirmi che avevo dormito troppo?” bofonchia a fatica.
“Non sarebbe la prima volta che dico una cazzata,” ammette Danny.
“Forse,” concede Luke, con una smorfia.
“Che c’è?” s’allarma subito il minore.
“Mi fa male tutto, sembra quasi che io sia finito sotto un treno…”
“Questa è una battuta di merda,” sbotta Danny, “anche per te.”
“Hey, io so essere divertente,” chiarisce Luke, “e sono anche il tuo punto di riferimento, no?”
“Mi hai sentito?”
Lucas annuisce e sorride nel vedere il fratello a disagio.
“Beh, allora sai che probabilmente non lo ripeterò mai più, ma… alla fine hai ragione tu, Luke.”
“Su cosa?”
“Sul fatto che il mondo non sia tutto bianco o nero, che non è che solo perché non la pensiamo allo stesso identico modo uno dei due debba avere torto e che la vita sia in realtà una serie di sfumature di grigio…”
“E come lo hai capito?”
“Standomene seduto qui in silenzio ho avuto tanto tempo per riflettere,” dichiara Danny.
“Chissà quanto hai odiato tutto questo,” ribatte svelto Luke.
“Mai quanto avrai detestato stare immobile tu.”
Lucas sorride, prima di essere assalito dai ricordi, Danny vede il volto del fratello trasfigurarsi in un’espressione indecifrabile e si ritrova nuovamente preda della preoccupazione.
“Ollie e Maddy sono morti, vero?”
Danny è preso alla sprovvista e annuisce, senza trovare le parole, sa che sarebbero vuote e prive di significato ed è consapevole che il fratello non le meriti.
“E Sophie?” continua Lucas.
“Lei è nella stanza qui accanto,” gli dice Danny.
“Come sta?”
“Si è risvegliata anche lei oggi.”
Lucas stende le labbra in un sorriso incerto: l’idea che almeno lei ce l’abbia fatta riesce a rendere la morte di Ollie e Maddy un po’ meno gravosa, eppure non riesce a ignorare il senso di colpa che lo investe e imbratta quella sensazione di felicità che ha provato dal momento in cui ha riconosciuto il fratello al suo fianco.
“Non riesco nemmeno a immaginare quello che provi, Luke,” mormora Danny, “sappi solo che ci sarò, quando ne avrai bisogno, anche solo per stare in silenzio insieme a te.”
“Tu odi il silenzio,” mormora Luke.
“Ma tu invece lo trovi rassicurante, quindi torniamo alla questione delle sfumature e al fatto che non sia tutto bianco oppure nero…”
“Già, non lo è…”
Danny gli porge un’altra volta il bicchiere e Luke beve avidamente, non riuscendo a ricordare di aver mai provato un’arsura simile.
“Danny…” lo richiama, dopo avergli restituito il bicchiere.
“Sì?”
“Sei un bravo fratello,” dichiara, “un vero rompiscatole ovviamente, ma non ti cambierei con nessun altro.”
Il tredicenne si passa le mani tra i capelli arruffati, prima di arrossire lievemente e scrollare le spalle, “anche tu lo sei.”
“Questo lo sapevo…”
Danny sorride, chiedendosi se non sia sbagliato farlo, visto che suo fratello ha appena ricordato di aver perso due amici; l’espressione sul volto di Lucas è un insieme di tristezza e speranza, di dolore e sollievo, gli occhi stanchi sono attraversati dall’inquietudine, ma sono anche colmi della risolutezza che da sempre lo caratterizza.
“Ce la farete, Luke.”
“Lo dobbiamo a Ollie e Maddy,” ribatte l’altro, tornando a stringergli la mano.
 
 
Shawn Mendes – “Wonder”


 

 
Nota dell’autrice:
Questo capitolo è forse quello a cui tengo di più, almeno per ora, perché il rapporto tra i fratelli Evans è una delle tematiche che preferisco all’interno di questo universo. Qui li incontriamo nella loro versione più acerba: Lucas ha 17 anni, mentre Daniel ne ha 13 e li ritroviamo nel momento del risveglio dal coma di Lucas dopo l’incidente. Ci sarebbero state tante canzone adatte a descrivere il loro rapporto, ma alla fine ho scelto questa che ho trovato riuscisse a mettere in luce in maniera meravigliosa le insicurezze di Danny e i suoi pensieri incontrollabili quando si ritrova a fissare il fratello immobile nel letto.
Spero che l’evoluzione della storia sia sempre di vostro gradimento e che i personaggi continuino a rimanere credibili.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Ostacoli (in)sormontabili ***


I temi del capitolo sono il prompt: 7. Horror Sophie Sanders (10) e 5. Hurt/Comfort Riley Gutierrez (5) e Sophie Sanders (10); ho unito le due tematiche per esplorare i demoni con cui Sophie, ma anche Lucas, si deve confrontare dopo il risveglio.
 
 
 
Capitolo 3 — Ostacoli (in)sormontabili
 
 
Rosso.
Sangue ovunque.
Liquido appiccicoso che imbratta le sue dita.
E poi, all’improvviso, un bianco accecante e ingannevole.
Non si tratta della luce che ti conduce alla salvezza e ti avvolge benevola.
Ma del candore senza vita degli occhi di Maddy, che spiccano innaturali sulla maschera vermiglia che ha trasfigurato il suo viso.
 
Vorrebbe chiedere aiuto, Sophie, ma la voce non pare voler collaborare e la figura di Maddy incombe su di lei, le sue labbra sono distanti pochi centimetri e riescono a farle percepire un lezzo di morte che ha il potere di pietrificarla. Le tremano i polsi, quando le mani scheletriche della sua migliore amica sfiorano i suoi capelli, tastando il taglio che i vetri infranti le hanno provocato, per poi scendere lungo il collo e posarsi sulle spalle nude. Sono gelide le dita di Maddy, non c’è più un alito di vita le scorre tra le vene, eppure sono gli occhi spettrali che la fissano a far accelerare il battito incerto del suo cuore. Le iridi cerulee di Maddy sono prive del loro solito calore e terrorizzano Sophie come mai nulla prima — portandola a comprendere che quello che sta vivendo è ben più di un banale incubo.
“Scappa,” la sollecita Maddy.
Sophie vorrebbe seguire il consiglio dell’amica, ma la cintura la blocca contro il sedile e la portiera dell’auto rovesciata è accartocciata, rendendone impossibile l’apertura.
“Scappa,” ripete Maddy.
“Non posso lasciarti,” ribatte flebilmente Sophie, percependo le lacrime scorrerle lungo le guance.
“È troppo tardi per me,” dichiara l’altra in un sussurro.
Sophie scuote la testa con veemenza. “No che non lo è,” insiste, cercando di afferrare la mano di Maddy e scoprendo che la ragazza è svanita, ritornando al posto accanto a lei sul sedile posteriore.
Sophie si volta repentinamente, trovandosi faccia a faccia con la figura di Maddy e soffocando a malapena un grido. Il corpo di Maddy è piegato in una posizione innaturale, come se si trattasse di una marionetta lanciata in un angolo senza tanti riguardi dal suo proprietario, tra il collo e il busto si è creato un angolo a novanta gradi chiaramente incompatibile con la vita.
L’unico colore che Sophie scorge è il rosso.
Lo stesso rosso che Maddy non ha mai sopportato.
Lo stesso rosso di cui Sophie vorrebbe cancellare ogni traccia.
Lo stesso rosso che finirà con il tormentarla per il resto della sua vita.
Maddy spalanca improvvisamente gli occhi, tornando a scrutare Sophie e allungando un dito ossuto verso di lei.
“Vattene da qui,” mormora a fatica.
“Non posso lasciarti, Maddy.”
“Invece devi, non puoi più fare niente per me.”
Sophie tenta invano di stringere le dita di Maddy tra le proprie, ma l’amica lascia cadere il braccio limitandosi a fissarla con l’espressione vacua che l’aveva sconvolta poco prima.
“Sarai sempre la mia migliore amica, Soph,” mormora Maddy, piegando le labbra screpolate in un sorriso mesto.
“E tu la mia,” la rassicura Sophie.
“Promettimi che non ti chiuderai in te stessa.”
“Shh, non è il momento di parlare di queste cose,” tenta di placarla Sophie, fissando il sangue sgorgare a fiotti dalla ferita alla testa di Maddy.
“Invece lo è, perché ti conosco…”
Le lacrime tornano a scorrere lungo le guance di Sophie, mentre scuote la testa.
“Promettimi che non lascerai che questa serata possa decretare le scelte che farai nel tuo futuro, che andrai avanti e che continuerai a vivere la tua vita come l’avventura che l'hai sempre considerata essere.”
“Come puoi chiedermi questo?” s’indigna Sophie.
“Lo faccio perché ti voglio bene…”
“Se fosse così non mi staresti abbandonando,” replica Sophie, inarcando le sopracciglia.
“Vorrei tanto non essere costretta a farlo,” mormora Maddy, mentre il sangue le dipinge i contorni delle labbra dando vita a un’immagine grottesca che Sophie vorrebbe tanto riuscire a cancellare dal proprio subconscio.
“Non voglio lasciarti,” ripete per l’ennesima volta.
“Devi farlo,” dichiara Maddy, lasciando cadere la testa diventata improvvisamente pesante.
“No Maddy, di prego…” implora Sophie, consapevole che non servirà a nulla.
 
Il silenzio che in cui precipita al risveglio è più inquietante delle immagini che si tratteggiano davanti ai suoi occhi non appena prova a serrare le palpebre. Osserva distrattamente il monitor che riporta i battiti del suo cuore e nota che i picchi si susseguono l’un l’altro; riesce ancora a percepire su di sè lo sguardo disperato di Maddy mentre la supplica di andarsene.
“Non avrei dovuto lasciarti, Maddy,” sussurra alla stanza vuota.
Sa di non aver avuto alcuna scelta: i medici le hanno riferito che sia Maddy che Oliver sono morti sul colpo a seguito dell’incidente, eppure questo non è servito a lenire nemmeno in parte il senso di colpa con cui sta combattendo ormai da tre giorni. Le immagini orribili che la perseguitano ogni notte sono l’espressione inconscia del tormento che prova, delle domande senza risposta che dovrà affrontare e del dolore per la perdita che non vuole permettersi di provare.
Gli occhi senza vita di Maddy la perseguitano anche mentre è sveglia e Sophie pensa che sia giusto così, perché è solo colpa sua se lei e Ollie sono morti. Se lei fosse rimasta a casa, vista la rottura con Steven, probabilmente loro due si sarebbero fermati più a lungo alla festa; magari si sarebbero salvati se solo lei avesse scelto di tornare in macchina con suo fratello; oppure ancora se fosse stato Lucas a offrirsi di guidare…
Le possibilità sono infinite — esattamente come l’ineluttabilità dei suoi sentimenti.
 
*
 
Quando spalanca nuovamente gli occhi è sorpresa di constatare che è ormai pieno giorno, mentre non è stupita di vedere sua madre seduta sulla sedia posta a fianco al letto con un libro tra le mani.
“Hai dormito molto, stamattina…”
“Stanotte non sono riuscita a riposare,” ribatte in tono neutro.
“Ti hanno tenuta sveglia i dolori?”
Sophie scuote la testa, accettando il bicchiere d’acqua che sua madre le porge.
“Ho sognato Maddy…” confessa in un sussurro spezzato.
La mano di Abigail si stringe attorno al braccio della figlia. “È assolutamente normale che pensi a lei, tesoro, siete cresciute insieme, avete legato sin dal primissimo giorno di asilo ed eravate unite come e più di due sorelle.”
“Non riesco a credere che lei e Ollie non ci siano più…”
“So quanto è difficile per te, così come per Lucas, e vorrei poterti rassicurare sul fatto che diventerà più facile, ma sappiamo entrambe che non è così… o meglio, pian piano ti abituerai alla sua assenza, ma sentirai sempre la sua mancanza al tuo fianco,” dichiara sua madre, senza tentare di indorare la pillola.
“Grazie di non aver tentato di sminuire tutto quanto, mamma.”
“Non lo farei mai, anche io e tuo padre stiamo soffrendo per la morte di Maddy e Ollie.”
“Lo so,” annuisce Sophie, tormentandosi il labbro inferiore.
“Ti chiedo solo di parlarne con qualcuno, quando ne sentirai il bisogno, non mi arrogo il diritto di essere la prescelta, ma ti prego di non tenerti tutto dentro… va bene?!
Sophie annuisce nuovamente. “Ti prometto che lo farò,” mormora, ripensando alla promessa che Maddy le aveva pregato di farle nell’incubo della notte che si è lasciata alle spalle.
“Ora che ne dici di fare colazione?” propone sua madre.
Sophie non ha molta fame, ma è consapevole che non guarirà se non ci metterà tutto il suo impegno, quindi schiaccia il pulsante per sollevare la testiera del letto e sorride lievemente quando Abigail le porge un contenitore con dei pancake fatti in casa e una bottiglia di sciroppo d’acero.
“Sei sicura che il mio medico sia d’accordo? Solitamente qui mi propinano del tè annacquato e dei biscotti un po’ stantii…”
“Sarà il nostro segreto,” la rassicura la madre, strizzandole complice l’occhio e porgendole anche un succo d’arancia.
 
*
 
Passano altri tre giorni, intervallati da altrettante notti insonni, prima che Sophie abbia la forza di ammettere che, forse, parlare con qualcuno di ciò con cui sta combattendo ogni notte sarebbe davvero una buona idea; che condividere ciò che la spinge a rimpiangere di essersi risvegliata dall’oblio in cui era precipitata a seguito dell’incidente potrebbe essere cruciale. È venerdì pomeriggio e Riley le ha anticipato che passerà a trovarla, senza Mike che è bloccato a scuola a recuperare una delle verifiche perse nei giorni in cui l’ha vegliata in ospedale. Ha convinto sua madre a prendersi una pausa e a passare dall’università dove insegna per svagarsi un po’, visto che negli ultimi tredici giorni è stata al suo capezzale praticamente in ogni ora del giorno.
La migliore amica di suo fratello fa capolino dalla porta, esibendo il sacchetto della loro gelateria preferita e trascinando uno zaino pieno all’inverosimile — come sempre, quando decide di dedicarsi a qualche progetto scolastico.
“Ti ho preso pistacchio, cookies and cream, caramello, una valanga di panna montata e una cascata di granella di nocciole,” esordisce, prendendo posto accanto al suo letto.
“Mia madre ti ha per caso detto che mi trova deperita?” ribatte incuriosita.
“Nah, ho solo pensato che avrei desiderato ardentemente del buon gelato dopo quasi due settimane barricata in un posto come questo e immaginavo che fosse lo stesso anche per te…” spiega Riley, facendo spallucce, “mi sbaglio forse?”
Sophie scuote la testa e l’amica le allunga la coppetta incartata con attenzione, oltre a un cucchiaino e una manciata di tovaglioli.
“Non ti chiederò come ti senti, perché trovo che sia una domanda assolutamente idiota da fare in un momento simile, ma ci tenevo a dirti che ci sono, in caso tu voglia parlare…” aggiunge Riley dopo una pausa in cui entrambe hanno scoperchiato la propria coppetta.
“Sicura che mia madre non ti abbia detto nulla?” insiste Sophie, assaporando la panna montata costellata di granella.
“Potrebbe aver accennato al fatto che tu abbia problemi a dormire, ma ti avrei detto la stessa cosa anche se non avessi saputo questo dettaglio,” la rassicura l’altra, spingendosi una ciocca ribelle dietro all’orecchio destro.
“Non riesco a smettere di pensare a Maddy, al suo corpo immobile coperto di sangue, all’espressione vacua nei suoi occhi… al fatto che è una fottuta ingiustizia che sia morta a sedici anni, quando aveva tutta la vita davanti a sé!” confessa, come un fiume in piena, senza quasi prendere fiato tra una parola e l’altra. “Nei miei incubi Maddy parla, ma non è la Maddy che ricordiamo noi, è una sua versione spaventosa, grondante di sangue, che mi implora di andarmene e non chiudermi in me stessa, qualunque cosa voglia intendere… il punto è che non voglio essere in via di ripresa in un mondo senza Maddy, e senza Ollie, non vedo perché io e Lucas dobbiamo esserci salvati quando loro invece hanno perso la vita. E, sì, lo so bene che la vita non è giusta e che non sempre ha senso, ma perché è successo proprio a loro? A noi?” conclude, sentendo gli occhi inumidirsi e la voce incrinarsi.
“Vorrei tanto avere la risposta giusta, sai bene quanto odi non averla, ma questo è uno di quei casi in cui purtroppo ci dobbiamo arrendere all’evidenza che non ci sia un perché, per quanto assurdo e doloroso sia.”
“E se io non riuscissi a trovare la forza di affrontare questa realtà? Se Maddy continuasse a tormentare i miei sogni? Ho letto da qualche parte che non si può vivere senza dormire e ormai sono sei giorni che passo le notti praticamente in bianco…”
Riley decide di posare il gelato sul comodino, stringendo la mano di Sophie nella propria. “Ti ho mai rivelato il motivo per cui sono figlia unica?” le domanda dopo qualche secondo.
“No,” risponde Sophie, appoggiando anche il proprio gelato accanto a quello dell’amica.
“Poco prima che ci trasferissimo a Brooklyn chiesi a mia madre per quale motivo tutti i miei cugini avessero numerosi fratelli e io invece no, così lei mi rivelò che durante il mio parto prematuro fu colpita da una fortissima emorragia che costrinse i medici a intervenire d’urgenza per salvarmi e che causò danni irreversibili alle sue ovaie, rendendola sterile.”
“Oddio ma è terribile!” bisbiglia Sophie, stringendo la mano di Riley.
“Ovviamente utilizzò parole più semplici di queste, ma non ti nascondo che per alcune settimane sono stata tormentata dal destino che si prospettava dinanzi a me, nel mio ruolo di figlia unica. È anche per questo che mi sono sempre impegnata tantissimo a scuola e ho iniziato le elementari un anno prima, è sempre per questo che frequento classi avanzate e mi preparo a frequentare un college dell’Ivy League: spero di poter essere la figlia migliore che i miei genitori possano desiderare, visto che non hanno avuto la possibilità di averne altri. E, ovviamente, è per le medesime ragioni che non ho mai provato droghe, o marinato la scuola per fumare sigarette nascosta sotto alle tribune dello stadio di football, è per questo che mi impegno al massimo nella pallavolo e faccio l’educatrice al centro estivo. Non me lo hanno imposto i miei genitori, questo ci tengo a chiarirlo, ma mi sembrava importante comportarmi in questo modo…”
“Sei la studentessa migliore del tuo anno, sono certa che i tuoi siano estremamente orgogliosi di te, ma lo sarebbero stati anche in caso non lo fossi stata,” dichiara Sophie.
“È proprio questo il punto!”
“In che senso?”
“Non possiamo sapere perché l’incidente sia accaduto proprio a voi, probabilmente solo perché eravate nel posto sbagliato al momento sbagliato; allo stesso modo ignoriamo il motivo per cui tu e Lucas vi siete salvati — invece di Maddy e Ollie. Però è andata così e tu puoi solo accettare quanto è accaduto e fare del tuo meglio per accettare la seconda occasione che ti è stata donata. Maddy ti voleva un bene dell’anima e avrebbe desiderato le stesse cose che ti sto dicendo io…” dichiara Riley, scrutandola con le iridi nocciola velate dalla preoccupazione.
“È quello che mi dice anche nei sogni: mi continua a supplicare di andare avanti con la mia vita, ma…”
“Ma cosa, Soph?”
“E se così facendo mi dimenticassi di lei?”
Riley scuote la testa risolutamente. “Questo non potrebbe mai accadere, Maddy sarà sempre parte di te, non scordartelo mai.”
Sophie sospira, prima di annuire con lentezza. “Grazie di avermi raccontato la tua storia,” sussurra poi, sporgendosi per abbracciarla.
“Sai bene che ci sarò sempre per te, sei la sorellina del mio migliore amico,” ribatte, stringendola forte. “Ora che ne dici di finire il gelato prima che si sciolga?”
“Mi sembra un’ottima idea!”
 
*
 
Quella sera Sophie chiude gli occhi leggermente intimorita, ma ansiosa di affrontare i propri demoni. Passano pochi attimi prima che l’immagine di Maddy si stagli davanti a lei, eppure non somiglia per niente alla Maddy dei sogni precedenti. Indossa il vestito acquamarina del ballo, un sorriso sincero le increspa le labbra ed è radiosa nella luce che l’avvolge.
“Sapevo che alla fine mi avresti dato ascolto, Soph.”
“Avevo paura di scordarmi di te, scegliendo di andare avanti,” le confessa avvicinandosi.
“So bene che non potrai mai dimenticarmi,” la rassicura Maddy.
“Tornerai a trovarmi in sogno?”
“Veglierò su di te per il resto della tua vita e farò anche il tifo perché tu riesca a esaudire tutti i tuoi desideri.”
“Ti voglio bene, Maddy.”
“E io ne voglio a te, Soph.”
L’amica svanisce davanti ai suoi occhi, lasciando spazio al lago in cui le due ragazze hanno passato le ultime estati in ritiro con la squadra di nuoto e cullando Sophie per il resto di una notte finalmente tranquilla.

Probabilmente i suoi incubi non sono spariti per sempre, ma adesso crede di sapere come affrontarli, così come spera di essere in grado di scrivere il proprio futuro vivendo ogni attimo al massimo per rendere omaggio alla vita di Maddy — e a quella di Ollie.


 
 
Note dell’autrice:
Non so bene se essere soddisfatta riguardo alla parte più horror del capitolo, che temo non sia davvero all’altezza della situazione, ma si tratta pur sempre del mio primo tentativo e spero di non essermela cavata troppo male. Ho pensato di sfruttare questo lato più “paranormale” per spronare Sophie ad affrontare la situazione e iniziare ad accettare la morte di Maddy.
Per quanto riguarda l’hurt-comfort invece, ho deciso di introdurre un elemento del passato di Riley che non avevo mai svelato prima e che ha spinto la ragazza a essere come è. Ho scelto di farle condividere questo segreto per poter aiutare Sophie a venire a patti con il suo ruolo di sopravvissuta, un ruolo che non aveva scelto per se stessa e che arriverà anche a rimpiangere nei momenti più difficili.
Spero che la storia continui a essere credibile e a piacervi.

 
 
 

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