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Faceva
caldo, e l’umidità che aleggiava nell’aria, rendeva difficile persino
respirare.
Nemmeno
la tuta da super eroina che indossava, la stava aiutando, anzi, era opprimente
e avrebbe voluto molto volentieri strapparsela di dosso.
Il
paesaggio davanti a lei, era devastante, Parigi sommersa, la Tour Eiffel,
simbolo prestigioso di quella capitale, era distrutta ed era stata sradicata.
Uno
strano velo bianco, quasi spettrale, caratterizzava lo scenario che le si parò
davanti.
Silenzio.
Solo
silenzio.
Nessuno
passeggiava, nessuna macchina attraversava la strada, nessun cicaleccio nei
parchi o nei principali luoghi di aggregazione.
Acqua.
Solo
acqua e palazzi sommersi.
In
lontananza, dall’alto del tetto dove era atterrata, c’era un puntino bianco.
Per
quanto ne potesse sapere, poteva essere benissimo un miraggio, uno scherzo dei
suoi occhi.
Si
avvicinò di soppiatto, attenta a non far rumore.
Da
quella figura misteriosa, proveniva una nenia, quasi inquietante.
“Chi
sei?” Gli chiese quando gli fu alle spalle.
Si
voltò e le puntò i suoi occhi di ghiaccio.
“Milady”
La chiamò “Sei arrivata, pensavo di averti perduto”.
“C-chat
Noir?” Balbettò mentre indietreggiava.
“Chat
Noir, è morto…ora c’è solo Chat Blanc”.
Ladybug, aveva già
vissuto tutto questo, e non riusciva a capacitarsi del perché fosse ancora in
quella situazione.
Si
nascose dietro un comignolo, cercando di sfuggire all’akumizzato,
non voleva colpirlo, non voleva fargli male.
“Chat
Noir, resisti, sei stato akumizzato da Papillon. Ma
io posso aiutarti se mi dici dov’è l’akuma”. Uscì dal
suo nascondiglio, se voleva fare qualcosa per lui, avrebbe dovuto sfidarlo.
Chat
Blanc, le scagliò un cataclisma di energia, che fortunatamente evitò con un
balzo.
E
dopo un breve inseguimento, Ladybug, capì che non era
quello il modo migliore di affrontarlo.
Gli
si parò davanti “Dimmi dov’è l’akuma e facciamola
finita”.
“Si,
facciamola finita milady” Fece di rimando stringendole una mano attorno al
collo. “L’akuma è dentro, il mio cuore, è stato il
nostro amore a provocare tutto questo”. Strinse ancora di più e a Ladybug, iniziò a mancare l’aria, nonostante cercasse di divincoralsi, le forze la stavano abbandonando.
Buio.
*
Marinette si svegliò di
soprassalto.
Era
fradicia di sudore, persino il cuscino e le lenzuola rosa erano bagnate.
“Un
brutto sogno, Marinette?” Le chiese Tikki.
Lei
annuì con un’espressione perplessa. “Ho sognato Chat Blanc”.
“Chat
Blanc?”
La
corvina scostò le coperte e diede uno sguardo fugace all’orologio appeso in
camera sua: erano le 04.23.
Aveva
bisogno di darsi una ripulita e cambiare velocemente le lenzuola.
Cercò
di fare il meno rumore possibile, per non svegliare i suoi genitori.
“Me
ne vuoi parlare, Marinette?” Tikki
volteggiò davanti il suo volto.
Marinette sospirò, non
avrebbe voluto rivivere più quell’avvenimento, lo stava cercando di reprimerlo
e di confinarlo in qualche cassetto chiuso a chiave.
“Non
c’è molto da dire…forse è stato uno sbaglio intraprendere questa storia con
Adrien.”
“Perché
dici così? Tu lo ami”.
“Certo
che lo amo.” La guardò dritto negli occhi “…non abbiamo ancora sconfitto
Papillon, potrebbe venire a conoscenza delle nostre identità segrete, e allora
verrebbe fuori un macello. Io non voglio che Adrien o io, veniamo akumizzati, non voglio che si ripeta il futuro di Chat
Blanc”.
“Non
accadrà, vedrai.”
Marinette sistemò il
guanciale nel letto e si prodigò per mettersi sotto le coperte, e per quanto
possibile, riprendere a dormire.
“Tu dici?
Io invece ho molta paura”.
“Non
devi. Hai Adrien e Chat Noir al tuo fianco”.
“Lo
so…ed è questo che mi fa paura. Quando ho combattuto contro Chat Blanc, la
prima volta, aveva detto questa frase ‘è stato il nostro amore a fare questo’”.
Tikki si portò due dita
al mento “Adrien non sa di Chat Blanc, giusto?”.
La
corvina annuì con il capo.
“Allora
parlane con lui, senti cosa ne pensa”.
“Certo,
lo farò. Buona notte, Tikki”. Tirò su le coperte fino
alla tempia e chiuse gli occhi, forse dormire sarebbe stato impossibile.
*
Arrivò
a scuola per inerzia, giusto perché le sue gambe conoscevano la strada.
Era
stanca, la sera prima aveva riposato poco e male, non era più riuscita a
riprendere sonno.
Continuava
a girarsi e rigirarsi nel letto, con un unico pensiero che le martellava la
testa “E’ stato il nostro amore a fare questo”.
A
fatica salì le scale, e quando arrivò in cima, tirò un sospiro di sollievo,
come se avesse dovuto scalare un’imponente montagna.
Un
paio di braccia le cinse la schiena da dietro, e le baciò sensualmente il
collo.
Il
suo profumo le investì le narici.
“Buongiorno,
Milady”.
“Buongiorno
a te, Chaton” Fece di rimando con un sorriso appena
accennato.
“Oh,
oh! Brutto sogno?” Incredibile come quel ragazzo la sapesse così bene leggere.
Lei
annuì con il capo.
“Me
ne vuoi parlare?” Chiese accomodandosi sulla panchina rossa dello spogliatoio,
facendole segno di imitarlo.
“Si,
dobbiamo parlare” Tuonò come un cattivo presagio.
Quelle
parole, non lasciavano intendere niente di buono, eppure era solo un sogno, che
male avrebbe fatto.
Stavano
insieme da nemmeno una settimana, e già c’era qualcosa da sistemare, Adrien,
pensò che già erano partiti con il piede sbagliato.
Marinette gli alzò il volto
con due dita, costringendolo a guardarla negli occhi. “Ehi, non ti preoccupare.
Però è una cosa che avrei dovuto dirti prima o poi”.
Adrien
stava per dire qualcosa, quando vennero interrotti dal suono della campanella.
“Ok,
allora sto tranquillo” Le sorrise alzandosi.
*
Il
sole di quel pomeriggio di gennaio le illuminava il volto, aveva optato per una
panchina del parco esposta ai suoi raggi.
Si
strinse un po' di più nel cappottino rosa e si sistemò il cappello meglio, una
folata di vento gelida, glielo aveva spostato.
Prese
dalla borsa un tozzo di pane raffermo, lo spezzettò, e ne gettò le briciole ai
piccioni, per ingannare il tempo, nell’attesa che il suo amato si presentasse
all’appuntamento.
Adrien
dove presenziare all’allenamento di scherma, non era solito a saltarne le
lezioni, ma gli era sembrato che, Marinette, doveva
dirgli qualcosa di importante, che non poteva aspettare.
La
berlina grigia, si fermò all’entrata del parco, e dopo aver comunicato al
gorilla l’orario che si sarebbe dovuto presentare per venirlo a prendere, scese
dall’auto e la raggiunse.
“Vuoi
trasformarti in Mr, Pigeon?”
La schernì accomodandosi accanto a lei, per poi stamparle un tenero bacio sulla
gota destra ghiacciata.
Marinette gli sorrise
“Sarebbe un guaio se venissi akumizzata”.
“Già…ma
questo vale anche per te”. Disse in tono preoccupato, lanciando l’ennesima
briciola di pane ai volatili.
“Sei
strana insettina, mi vuoi dire cosa ti turba?”
Le chiese alzandole il mento con due dita, costringendola a guardarlo negli
occhi smeraldo.
“Un
sogno”.
“Un
sogno?” Fece di rimando inarcando un sopracciglio.
La
corvina sospirò “Non era un vero e proprio sogno”.
“Spiegati
meglio”.
“E’
una cosa che non ti ho mai detto, pensavo non ce ne fosse bisogno perché avevo
portato tutto alla normalità”.
Adrien
deglutì rumorosamente ed iniziò a sudare freddo, non sapere cosa fosse
successo, lo metteva in ansia, e se non gliene aveva mai parlato, significava
due cose: o non doveva venirlo mai a sapere, oppure era una cosa talmente
grave, da compromettere il loro rapporto.
“Ti
ricordi quella volta che ti ho portato il regalo per l’onomastico del tuo
quinto nome?” Chiese tutto d’un fiato, senza fare pause.
“Si
certo, un fan club in Brasile?” Sorrise a quel ricordo, che realizzò solo ora
che fosse in realtà da parte sua.
“Non
ridere, al momento non mi era venuto in mente altro” Poi tornò seria “…ho
inventato quella balla, perché inizialmente avevo firmato il biglietto con il
mio nome, e quell’episodio ha provocato un futuro…che non voglio mai più
rivedere”.
“Ti
ha portato Bunnix, lì?”
“Si,
esatto. Quando sono uscita da casa tua, è sbucata da un portale del tempo, mi
ha risucchiato al suo interno, e mi ha portato lì…in quella Parigi devastata.
Fu la, che ti vidi, solo sopra un tetto. Dipinto di bianco, occhi glaciali e
terrificanti” Rabbrividì a quel ricordo chiudendosi in un abbraccio e
passandosi le mani lungo le braccia, per scacciare quell’orribile sensazione.
“Perché
ero stato akumizzato?” Chiese Adrien preoccupato.
Marinette scosse più volte
la testa “Non lo so, non me lo avevi detto…Adrien, è stato orribile…Parigi…i
nostri amici…tutto distrutto, un mondo sommerso e privo di vita…non voglio più
sentirmi così”.
“Quel
futuro non si ripeterà, non lo permetterò” Le disse abbracciandola e lei poggiò
la testa nell’incavo del suo collo, mentre veniva cullata dal suo respiro come
una bambina bisognosa d’affetto.
“Mi
avevi detto: il nostro amore ha fatto questo”.
“Come
può un amore creare tanta distruzione…non ti ricordi altro?”
“Si”
Rispose lapidaria, come se quell’affermazione celasse qualcosa di ancora più
orribile “…quando esplorai il mondo sottomarino, due statue attirarono la mia
attenzione, la mia e quella di Papillon erano vicine, appena le sfiorai, si
dissolsero”.
“Milady,
non posso averti fatto questo, non lo farei mai”. Cercava di giustificarsi, di
trovare una scusa plausibile per quel gesto, Adrien, o meglio Chat Noir non
potrebbe mai provocare la morte di qualcuno, non intenzionalmente.
“Lo
so, Chaton, ma questo è quello che ho visto, che ho
vissuto”.
“Perché
non me ne hai mai parlato?”
“Perchè ancora adesso mi fa male ripensare a quell’episodio”.
“Quindi
avevi già capito che Chat Noir ero io”.
“A
dirti la verità, no” Si asciugò con la mano guantata le poche lacrime che erano
sgorgate dai suoi occhi. “Però ripensandoci ora…ci sarei potuta arrivare”.
Adrien
posò le sue mani sulle sue spalle e la guardò negli occhi “Comunque non può
essere stato il nostro amore a creare quel futuro, dev’essere successo qualcos’altro”.
“Forse
Papillon ha scoperto le nostre identità, ci ha dato la caccia e ha akumizzato te”.
“Non
può servirsi delle akuma se dentro i cuori delle
persone, non ci sono sentimenti negativi”. Ipotizzò, scartando quella di Marinette, ma non del tutto “…a meno che non avesse fatto
del male a te, e quindi questo mi avrebbe fatto arrabbiare”.
“Probabile…”
I
due ragazzi stettero in silenzio qualche minuto, osservando i piccioni che
banchettavano con l’intera pagnotta.
“Dovremo
tenere nascosta la nostra relazione, almeno fino a quando non avremo sconfitto
Papillon”. Decretò Adrien.
“Sono
d’accordo, nessuno lo deve sapere”.
“Odio
mentire”.
“Anche
io, Adrien. Ma non trovo altra soluzione. Ai nostri amici, diremo che ci siamo
lasciati”.
“Sarà
difficile fare l’indifferente”
“Beh!
Potrai sempre venire in camera mia, come eri solito a fare” Gli disse maliziosa,
mordendosi il labbro inferiore.
*
Continua
*
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti, e benvenuti nel seguito
della prima long BEST FRIEND, diciamo che non
è essenziale averla letta, però se volete farlo, mi farà solo che piacere.
Detto
questo, lascerò che i capitoli parlino per me.
Ringrazio
fin da subito chi seguirà questo altro parto della mia mente con estremo
interesse e anche chi vorrà farmi sapere cosa ne penserà.
N.B.: piccolo punto
personale su Chat Blanc…Bunnix credeva fosse stata Marinette a creare il caos firmando quel biglietto, ma
secondo me è stato Adrien, che si trasformò in Chat Noir alla luce del giorno,
facendolo scoprire da suo padre, e da lì è partito il vero casino.
Il
rumore sei suoi tacchi, echeggiava lungo il corridoio a scacchi lucido.
Aveva
indossato, come ogni giorno, il suo tailleur nero con pantaloni, portamento
fiero che non si scomponeva mai, capelli raccolti in una crocchia bassa,
immancabile la sua cartellina blu, pronta ad appuntare qualsiasi cosa potesse
passare nella mente del signor Agreste.
Si
sistemò gli occhiali sopra il naso, si schiarì la voce con un leggero colpo di
tosse, e bussò alla porta dello studio.
Ormai
erano passati un paio d’anni, da quando lo stilista, aveva deciso di lavorare
da casa, alla casa di moda, si faceva vedere poco o niente, solo quando si
avvicinavano gli eventi più importanti, tipo presentare una nuova collezione,
onorava i sarti e i suoi collaboratori di una fugace presenza.
Era
Nathalie che visionava gli abiti, e li portava direttamente a casa sua, in
quello che era il suo studio, o meglio il covo da cui poteva controllare i
parigini.
“Avanti”.
Ordinò la voce al suo interno.
Tirò
la maniglia argentata, e il pesante portone si aprì, entrò senza esitare.
“Buongiorno,
signor Agreste” Lo salutò andandosi ad accomodare sulla scrivania a lei
dedicata.
“Ci
tieni tanto a questo, lei?” Le disse non degnandola di uno sguardo,
troppo impegnato ad ammirare l’imponente mosaico che ritraeva la sua defunta
moglie, lasciando la donna spiazzata.
Quel
lei, che gli rivolgeva, era per cortesia, per non varcare quel sottile
confine che separava il dipendente dal datore di lavoro.
Anche
ad Adrien, era stato imposto lo stesso limite: rivolgersi a Nathalie con il
dovuto rispetto.
“Perché
mi fa questa domanda?” Le chiese curiosa premendo il pulsante di accensione del
portatile ed accomodandosi sulla poltrona di pelle nera.
“Da
quando lavori per me? Dieci anni?” Gabriel sciolse quella posa rigida,
riportando le braccia lungo i fianchi e voltandosi verso di lei.
“Dodici,
signore” Precisò buttando giù della saliva, cercando di non scomporsi, anche se
dentro di lei iniziava ad agitarsi.
“Bene,
forse è giunto il momento che tu ti rivolga a me, in maniera meno formale. Del
resto sei una mia fidata alleata”.
“Se
è quello che desidera, per me va bene”. Iniziò a digitare la password sulla
schermata iniziale del computer, dentro il tassello bianco sullo sfondo di
Parigi, mentre Gabriel, si avvicinava alla scrivania.
Poggiò
le mani sul legno bianco e la costrinse a guardarlo.
“A
partire da ora”. Ordinò.
“Certo,
sig…ehm…Gabriel”.
“Così
va meglio” Le sorrise sghembo, dandole le spalle per ritornare a lavorare alla
collezione, gli mancava solo un abito, e poi quella stoffa pregiata, che aveva
accuratamente scelto, avrebbe potuto prendere vita.
Posò
uno sguardo fugace per l’ennesima volta sul quadro di Emilie, chiedendosi se
era giusto quello che stava facendo, se il dolore che scagliava contro Parigi,
non fosse il suo, perché dopo due anni, non era riuscito nel suo obiettivo, e
non si era ancora messo l’anima in pace, non accettando il fatto di averla
perduta, e per colpa sua.
Impossessarsi
dei Miracolous di Lady Bug e Chat Noir, non era
semplice e doveva ammettere a sé stesso, che quei ragazzini, stavano diventando
piuttosto bravi, anche perché potevano contare su una schiera di alleati, che a
lui, al momento, non era concesso avere, l’unico aiuto vero e concreto, era
rappresentato da quella segretaria che avrebbe messo a repentaglio la sua
stessa vita per lui.
Perché
ne era innamorata, ma allo stilista non era ritenuto a saperlo.
Gabriel
iniziò a sentirsi strano, il cuore che batteva un po' più forte del previsto e
le mani che tremavano visibilmente.
La
guardò mentre convulsivamente, faceva scorrere le dita sulla tastiera del
laptop.
Incrociarono
per un breve istante gli sguardi, forse perché Nathalie, si sentì osservata.
Quel
sorriso che gli volse, gli scaldò il cuore, stava anche per aprire bocca per
dirle qualcosa, ma vennero interrotti dallo squillo del telefono.
“Pronto?”
Rispose la segretaria, poi trascorse qualche secondo prima che la sentì
pronunciare “…no, mi spiace, non abbiamo intenzione di cambiare compagnia
telefonica, la saluto”. Garbatamente e senza scomporsi, riattaccò la cornetta.
Era
abituata a ricevere certe telefonate scomode e a liquidarle sempre, in maniera
molto professionale.
Ritornò
a lavorare, quella email non poteva aspettare e doveva ancora risponderne a
cinquanta, la sfilata era imminente, anche se ad un occhio inesperto, due mesi
potevano sembrare un’eternità, doveva ancora trovare la location giusta e
confermare la lista degli invitati.
Gabriel
tossicchiò richiamando la sua attenzione, mentre muoveva le dita sullo schermo,
trovando il perfetto equilibrio tra stile e design di quel maledetto ultimo
abito.
“Mi
stavo chiedendo…se sto facendo la cosa giusta”.
Nathalie
alzò lo sguardo oltre il monitor e si sistemò meglio gli occhiali. “Farai un
ottimo lavoro come sempre, la stampa ne parlerà per mesi e mesi, ed Adrien sarà
fantastico in passerella con il vestito che hai disegnato appositamente per lui”.
“Non
intendevo la sfilata”. Sospirò.
La
segretaria si morse le labbra.
Ancora
Emilie.
C’era
ancora lei nei suoi pensieri, nonostante fossero passati due anni. Due
fottutissimi anni.
“Secondo
me, dovresti dire tutto ad Adrien.”
Gabriel
abbassò lo sguardo “Mi odierebbe”.
“E
allora fermati, non andare avanti”.
“Mi
odierebbe solo all’inizio, poi sapendo che lo sto facendo per lui, si
ricrederebbe”. Specificò.
“Lo
stai facendo per lui o per te?” Quella domanda arrivò dritta al suo cuore
“…siamo seri, Gabriel, sono già passati due anni, quanti ne passeranno ancora
prima di farti desistere dal tuo scopo? Credi che Adrien ti perdonerebbe tanto
facilmente se sapesse che hai causato dolore e sofferenza a Parigi per tutto
questo tempo?” Fece una piccolissima pausa prima di schiaffargli in faccia la
verità e una parte di quello che teneva dentro di sé “…No, non lo farebbe. Non
accetterebbe mai il fatto che per portare in vita Emilie, tu ti sei allontanato
da lui”.
Lo
stilista inarcò un sopracciglio “Che intendi dire, che io non do le giuste
attenzioni a mio figlio?”.
“Dico
solo che dovrebbe avere una vita come tutti i ragazzi di sedici anni”.
“Non
è un ragazzo normale. E’ un modello di fama
internazionale, non hai pensato che se lo facessi uscire quando vorrebbe,
verrebbe braccato da paparazzi e giornalisti. Lo sto solo proteggendo dal suo
mondo. E detto questo, non ti permetto di fare più
insinuazioni su come educo mio figlio, sono stato chiaro?” Chiese in tono
alterato.
Nathalie
si sedette composta “Si, si signore. Mi scusi se ho osato tanto, non accadrà
mai più”.
“Pero…Hai
ragione” Si sentì dire prima di rimettersi al lavoro. “Non sai quanto soffra
per come lo sto trattando, ma è necessario per il completamento della missione.
Sapendolo sotto il mio tetto, posso agire senza metterlo ogni volta in
pericolo”.
Gabriel
non avrebbe mai abbandonato l’idea di smettere di terrorizzare la città, solo
per raggiungere il suo scopo, farlo avrebbe significato perdere per sempre
l’amore della sua vita, la donna di cui si era innamorato la prima volta che aveva
per caso incrociato il suo sguardo, la donna che per causa sua, si era
ammalata, perché le aveva fatto utilizzare un miraculous
danneggiato.
Era
colpa sua tutto questo.
Un
colpo di tosse, lo riportò al presente.
Il
secondo, lo fece avvicinare di più alla scrivania, assicurandosi che Nathalie
stesse bene.
Le
porse un bicchiere d’acqua che bevve d’un sorso. “Grazie”.
Un
altro colpo di tosse “Sto bene, non è niente”.
“Da
ora in poi, non avrò più bisogno di Mayura”.
“No,
hai bisogno di me…sarai solo a combattere questa battaglia…e poi lo hai
riparato, non corro più alcun pericolo”.
“Mi
spiace Nathalie, non posso permettermi di perdere la mia migliore
collaboratrice”.
“Comunque
sappi che ti sosterrò, sempre”. Gli sorrise.
*
Il
problema principale, non era quello di tenere segreta la relazione, il più a
lungo possibile, ma stava nel dire alla sua migliore amica una bugia.
“Non
ho mai mentito ad Alya” Marinette scosse il capo in
segno di dissenso e gesticolava nervosamente con le mani tremolanti.
“Nemmeno
io a Nino, o a qualunque altra persona a me cara, proprio non ci riesco.”
Scosse il capo mentre insieme varcavano l’ingresso del liceo “…ma è una bugia a
fin di bene, finché non capiremo cosa è successo veramente nel futuro”.
Marinette sospirò affranta
“Adesso, avrei voluto saperne di più di quella faccenda”.
“Guarda
il lato positivo” Adrien ripose dei libri dentro l’armadietto “…se Bunnix non si è fatta ancora viva, significa che stiamo
facendo la cosa giusta”.
La
corvina chiuse l’armadietto rosso “Già…”
“Ehi,
ciao amici” Parli del diavolo, e spuntano le corna, Alya si era presentata a
loro con un enorme sorriso stampato in faccia, finalmente dopo mesi e mesi, i
loro amici si erano finalmente messi insieme, avevano capito che erano fatti
l’uno per l’altra e che nessuno da adesso in poi li avrebbe separati, tranne
l’espressione triste che si materializzò sulla loro faccia.
“Che
succede?” Chiese curiosa guardando prima uno e poi l’altro, in attesa di una
risposta.
Marinette deglutì “Vedi,
Alya…noi due” Disse indicando lei ed Adrien “…abbiamo deciso che…è meglio se
non stiamo più insieme”.
“Che
cosa?????” La sua migliore amica urlò così forte, che l’avevano sentita fino al
secondo piano, e alcuni piccioni che si erano appollaiati sul tetto
dell’edificio, svolazzarono spaventati.
“Non
ci credo! Io davvero non capisco...” Si portò le mani dentro i capelli, mentre
Nino varcava lo spogliatoio.
“Ehi
Alya! Ti ho sentito urlare, che succede?” Le chiese ignaro di tutto.
“Loro
due” Disse indicandoli.
“Sono
carini insieme, vero?”
“Si
che sono carini, ma peccato che abbiano deciso di lasciarsi” Spiegò
gesticolando.
Nino
sbattè le palpebre dallo stupore, poi guardò Adrien,
che con il solo sguardo, gli fece capire che la fidanzata, non si stava
sbagliando.
“Beh,
se hanno deciso così…avranno le loro ragioni”. Fece spallucce non indagando
oltre, tanto ci avrebbe pensato sicuramente lei.
“E
non gli dici niente?”.
“Che
dovrei dirgli?”
“Che
stanno sbagliando”.
Nel
frattempo Adrien e Marinette stavano osservando il
siparietto, ridendo interiormente.
“Ragazzi,
ragazzi, calmatevi, ok! Non è il caso di farne un affare di stato. Abbiamo
deciso così, rispettate le nostre scelte”. Adrien tagliò corto, non dando altre
spiegazioni, ed insieme a Nino, prese la direzione della classe, lasciando le
due ragazze da sole.
“Dove
credi di andare?” Alya bloccò Marinette per un
braccio, la spiegazione di poco fa di Adrien, non l’aveva per niente
soddisfatta, da brava aspirante giornalista, doveva andare a fondo a questa
faccenda, che puzzava di formaggio marcio, per usare una frase di Plagg.
Marinette pensò che la sua
migliore amica, non avrebbe desistito molto facilmente, la conosceva bene, e
l’unico modo per farla stare buona e che non la stressasse ogni dieci secondi,
era quello di dirle che, dopo scuola, avrebbero parlato.
*
Chat
Noir fece capolino sul suo terrazzo, e una volta atterrato, sciolse la
trasformazione, quel suo messaggio, non ammetteva ritardi, e se lo fosse stato
o se non si fosse presentato, probabilmente lo avrebbe cercato per tutta
Parigi, o si sarebbe presentata a casa sua.
Sospirò,
e non fece tempo a bussare alla botola di legno, che Marinette
l’aprì.
“Era
ora!” Esclamò furibonda prendendolo per il colletto della camicia bianca.
“Calmati.
Che è successo?” Chiese sorpreso, ma in realtà sapeva benissimo perché lo aveva
chiamato.
“Calmarmi?
Mi stai dicendo di calmarmi”
“Shh…abbassa la voce, i tuoi ti sentiranno”. La zittì
mettendole un dito sulla bocca.
“Sono
giù in pasticceria, non rincaseranno prima delle otto”.
“Vuoi
dirmi cos’è successo? Scusami, ma non ho molto tempo a mia disposizione, tra
un’ora verrà a chiamarmi Nathalie per la cena”.
“Ho
subito un interrogatorio, peggio di quello sei servizi segreti. Ci mancava solo
cheAlya, mi
collegasse alla macchina della verità”.
Adrien
scoppiò a ridere.
“Tu
ridi? Tu ridi?” Chiese assottigliando gli occhi “…se ti dicessi che mi ha
infilato delle canne di bambo sotto le unghie, reagiresti allo stesso modo?”.
“Voi
ragazze siete troppo forti, fate una tragedia per tutto” Adrien si lasciò
cadere con la schiena sul materasso di Marinette,
incrociando le mani dietro la testa, ammirando il soffitto tappezzato da loro
foto.
“Dovrei
toglierle” Disse accomodandosi accanto a lui.
“Perché?”
“Beh…se
mia madre o mio padre le vedono, potrebbero pensare che…”
“Puoi
sempre dire che siamo solo amici”. Rispose con naturalezza alzando le spalle.
Amici,
ancora quella parola tanto odiata come amata.
Gli
unici momenti che Adrien e Marinette potevano passare
in tranquillità, e poter esternare finalmente i loro sentimenti, erano in
camera di quest’ultima.
Di
solito il biondo faceva capolino sulla sua terrazza, nei panni del super eroe
di Parigi, per poi sciogliere quella trasformazione e liberarsi infine di
quella tuta di spandex nera, che lo opprimeva.
Troppo
pericoloso accordarsi per un gelato o per un pomeriggio al cinema, rischiavano
di essere visti o dalle fan del modello, e quindi rincorsi e fotografati,
oppure dai loro amici, che avrebbero sicuramento fatto ancora troppe domande,
chiedendosi, questa volta, del perché si continuavano a vedere in solitaria se
erano rimasti solo amici.
Adrien
le stava lasciando una scia di baci e carezze infuocate lungo tutto il corpo,
facendo gemere Marinette, la quale continuava a
contorcersi dal piacere ed ansimare.
Lei
invece, continuava ad esplorare tutto il suo corpo con le mani, lo aveva sempre
fatto quando era trasformato in Chat Noir, ed era costretta ad immaginarsi cosa
ci poteva essere sotto quella barriera, com’era morbida la sua pelle, e
com’erano forti i suoi muscoli modellati dalla palestra.
Si
inebriò inspirando profondamente l’odore della sua pelle.
Adrien,
una volta risalito, catturò le sue labbra, in un lungo e tenero bacio
appassionato e Marinette affondò le sue mani nel
casco biondo, scompigliandolo.
“Vuoi
che mi trasformi?” Le chiese sorridendo, ricordando i loro primi incontri
clandestini.
“Sei
matto? Ho passato mesi a chiedermi chi ci fosse dietro la maschera, che sapore e
profumo avesse la sua pelle, e ora che ti ho finalmente qui, vuoi rovinare
tutto?”
“No,
Milady”.
“Vuoi
che sia io a trasformarmi?” Catturò le sue labbra vogliose.
“Tu sì
che sai come farmi impazzire” Continuarono a baciarsi “…però lasceremo Plagg senza il suo zuccherino…”.
“No
dai…poverino, non potrei mai fargli una cosa simile” Sogghignò.
Ancora
un bacio, questa volta più profondo e più esplorativo.
Assaggiarono
reciprocamente le loro bocche e lingue.
Desideravano
entrambi un contatto più intimo, Marinette, fu la
prima a togliere la camicia bianca di Adrien e lanciarla qua qualche parte per
terra, in mezzo alla stanza, dove anche la sua giacca nera, andò a fargli
presto compagnia.
Il
loro era un gioco fatto di sguardi, troppo timidi per chiederglielo all’altro
se volessero superare un limite, che nelle notti estive, non era mai stato
violato, semplicemente perché non si poteva, e sciogliere la trasformazione di
Chat Noir, avrebbe significato rivelare prematuramente la sua identità segreta.
“Ti
amo, Chaton” Sussurrò a fior di labbra, mente
con la lingua le lambiva il collo.
“Ti
amo anch’io, Milady”. Le sfilò gentilmente la maglietta, lasciandola
solo con il reggiseno di cotone, anche lei lo imitò, avvampando poco dopo
osservando il suo torace tonico e muscoloso, scolpito dalla palestra.
Poteva
benissimo sentire la sua testa andare a fuoco, era la prima volta che si
trovavano in quella situazione, si, come Adrien e Marienette
s’intende.
Nessuno
dei due, ebbe, per l’ennesima volta, il coraggio di proferire parola, entrambi,
lasciarono che i loro gesti parlassero per loro.
Marinette poteva sentire
l’eccitazione di Adrien premere sulla sua intimità e strusciarsi, assecondata
dai suoi di movimenti.
Liberarsi
dei pantaloni, sarebbe stato il prossimo step, poi tornare indietro, sarebbe
stato impossibile.
La
situazione era perfetta, in casa erano soli, e non era la prima volta che i due
ragazzi amoreggiavano nella stanza della ragazza dai codini.
“Se
vuoi mi fermo” Ansimò Adrien guardandola negli occhi, voleva essere sicuro di
non fare passi affrettati, di non bruciare le tappe, che per lei non fosse
troppo presto.
“Ti
ho forse chiesto di farlo?” Lo trasse a sé continuandolo a baciare, e prendendo
coraggio per scendere con le mani, fino giù ai pantaloni, slacciando la
cintura.
Il
momento era perfetto, i loro cuori battevano allo stesso ritmo, emozionati,
carichi di passione e anche di un po' di imbarazzo.
Si
guardarono negli occhi per l’ultima volta, entrambi videro solo amore e
desiderio, finalmente potevano amarsi in maniera completa e senza inibizioni.
“Akumaaaaa” Urlò Plagg passando
attraverso la materia, facendo sobbalzare i due ragazzi, rompendo quella magia
che si era creata nella stanza “Bleeee, che schifo”
Si coprì gli occhi disgustato.
Anche
Tikki comparve al suo fianco “Scusate ragazzi, ho
cercato di fermarlo”. Si scusò mortificata.
I
ragazzi rimasero nella medesima posizione, solo Adrien alzò un po' il viso in
direzione dei due kwami, Marinette
era pietrificata dalla vergogna, nemmeno fosse stata beccata dai suoi genitori
in quella posizione che lasciava poco spazio a fraintendimenti.
“Spero
per te che Parigi stia bruciando, altrimenti puoi dire addio al tuo camembert”.
“Non
sta bruciando, ma la Tour Eiffel è caduta” Esordì Tikki.
*
Gabriel
Agreste, era davanti al suo computer, quando gli venne la splendida idea, di
controllare le telecamere di video sorveglianza.
Il
giorno prima c’era stato un terribile temporale che si era abbattuto sulla
città di Parigi, ed aveva provocato l’andirivieni della corrente in tutto il
quartiere, tant’è che anche il generatore di emergenza, collegato all’incubatrice
di Emilie, aveva smesso di funzionare per qualche istante.
“Nathalie!”
Chiamò la sua assistente, che si presentò al suo cospetto con riverenza e con
il solito sguardo impostato e professionale, anche se si era raccomandato di
usare con lui, un tono più amichevole.
“Si,
Gabriel?” Portò le mani dietro la schiena, in attesa dei suoi ordini.
“Ho
notato che le telecamere di video sorveglianza sono guaste, puoi per favore
chiamare la ditta per ripararle?” Chiese non distogliendo lo sguardo dal
monitor, mentre muoveva sinuose le dita su di esso, passando da un programma
all’altro.
“Ma
certo, lo faccio subito”. Girò i tacchi e fece per lasciare la stanza.
“Un'altra
cosa” La fece fermare “…con l’occasione, fai installare anche una telecamera
fuori dalla finestra di Adrien, quello è il punto cieco della casa, non vorrei
mai che qualcuno s’intrufolasse da lì”.
“Se
posso chiedere…è solo per quel motivo, oppure sospetta di altro”.
Gabriel
sospirò continuando a guardare lo schermo ed ingrandire le immagini, per poi
sovrapporle.
“Combaciano
perfettamente” Sussurrò e mezze labbra.
Nathalie
allungò un orecchio, le sembrava di non aver capito “Hai detto qualcosa?”
“Fai
quello che ti ho detto, se la mia teoria dovrebbe essere esatta, tra un po'
avremo qualche bella sorpresa”.
La
donna annuì con il capo ed uscì dalla stanza.
Lo
stilista non smetteva di osservare per l’ennesima volta l’anello di Chat Noir e
quello di Adrien, la forma combaciava perfettamente, certo, non avevano lo
stesso colore e simbolo, ma il bello è che i miraculous
sapevano mimetizzarsi, e di questo aspetto, ne era a conoscenza, anche la sua
spilla si comportava allo stesso modo.
L’unica
differenza stava, che lui non l’indossava mai, a meno che non dovesse vestire i
panni di Papillon, perché sicuramente Nooro, sarebbe
scappato ad avvertire il guardiano dei suoi piani.
Non
avrebbe potuto fare il suo nome, legge dei kwami:
difendere il nome del proprio portatore; ma avrebbe sicuramente raccontato di
dove vive, del suo aspetto, e non ci avrebbe messo molto a fare due più due.
“Presto
Emilie, mi impossesserò del miraculous del Gatto
Nero, e quello della Coccinella arriverà di conseguenza. Il mio sogno è ad un
passo nell’essere realizzato, e finalmente potrò rimediare agli errori del
passato”. Sospirò guardando il dipinto dietro di lui, era bella, terribilmente
bella, e presto l’avrebbe avuta di nuovo tra le sue braccia, potranno ritornare
ad essere una famiglia.
Cliccò
sui pulsanti presenti sul mosaico, facendo aprire la botola, che in meno di un
minuto, lo fece arrivare al suo covo, da dove poteva controllare la città ed
agire indisturbato.
Chi
mai avrebbe sospettato che dietro a quello stilista, ci celasse il temibile
Papillon?
Nessuno.
Una
volta si era fatto persino akumizzare per sviare i
sospetti, e stava pensando che forse sarebbe stato il caso di farlo anche con
suo figlio, ma una cosa del genere ad Adrien, non gliela poteva fare.
“Che
anima triste, posso sentire tutto il suo risentimento” Aprì la mano guantata di
viola, ed attese che la piccola farfalla prescelta, da bianco candido,
diventasse nera come la notte.
“Vola
da lei, mia piccola akuma e oscura il cuore di quella
giovane delusa”. La farfalla obbedì e raggiunse la vittima prescelta che si
trovava ai piedi della Tour Eiffel.
*
Raccolsero
velocemente i vestiti da terra, passandosi a vicenda quelli appartenenti
all’altro.
“Mi
spiace, Marinette, lo volevo tanto”.
La
ragazza sospirò e sorrise “Lo volevo tanto anch’io, ma Parigi chiama, e noi
super eroi dobbiamo rispondere”.
S’infilò
la maglietta nera e la camicia bianca sopra, sistemandosi come poteva i capelli
biondi “Giuro che strozzerò Papillon con le mie stesse mani, appena saprò dove
si nasconde”. Disse a denti stretti.
“Ti
aiuterò” Sorrise divertita mentre infilava la giacca nera.
“Forza,
andiamo a vedere che faccia ha la nostra interruzione” Portò la mano in
alto nella tipica posa della trasformazione “Plagg,
trasformami”.
Lei
si toccò gli orecchini “Tikki, trasformami”.
Uscirono
dalla botola ed osservarono il panorama che gli si parava davanti.
Come
aveva detto Plagg, la Tour Eiffeil
era caduta, spezzata a metà, in quella direzione proveniva del fumo nero, ma
non si capiva bene, da cosa fosse dipeso.
I
due super eroi si guardarono e per la prima volta, si apprestavano ad
affrontare il nemico come una coppia di innamorati e non come una coppia di
amici, come accadeva prima.
E
questa cosa, fece fermare Marinette.
Adrien,
si accorse dopo una decina di metri che lei non era al suo fianco, arrestò di
colpo la sua corsa, guardando dietro, dove la vide in piedi, con la testa
bassa, con le braccia lungo i fianchi. Immobile.
La
raggiunse con pochi balzi.
“Stai
bene, insettina?” Le chiese.
“Questa…questa
è la prima volta che affrontiamo qualcuno, come una coppia”.
“Si,
e allora?” Chiese interrogativo, facendo spallucce, non catturando il senso di
quell’ affermazione.
Lady
Bug deglutì “Per la prima volta ho paura”.
Chat
Noir le si avvicinò al volto “Non devi…”
“Ho
paura che ti succeda qualcosa”
Lui
sorrise “E’ strano, sai?”
Lei
lo guardò.
“E’
lo stesso mio timore” L’abbracciò.
A Lady
Bug, iniziarono ad inumidirsi gli occhi, stava crollando emotivamente e senza
un apparente motivo.
“Forza,
non fare così, non mi succederà nulla” La consolò abbracciandola più forte.
“E
se Papillon si accorgesse che tra noi c’è qualcosa? Userebbe questo mio
sentimento contro di te, lo ha già fatto una volta”.
Chat
Noir deglutì e le pose le mani sulle spalle “Non mi farò akumizzare,
e il futuro che sei stata costretta a vivere, non si ripeterà”.
Lady
Bug singhiozzò “Ne sei sicuro?”
Lui
sorrise sghembo “Ti ho forse mai mentito?”
“No”
Rispose secca negando anche con il capo.
Il
super eroe biondo l’aiutò ad asciugarsi le lacrime con la mano guantata, e le
stampò un tenero bacio a fior di labbra.
“Ti
amo, insettina”.
“Ti
amo anch’io, chaton”.
“Andiamo,
abbiamo un disperato da aiutare” Chat Noir riprese la sua corsa, seguita da una
Lady Bug più determinata che mai, anche se nella sua testa, continuavano a
rimbombare le parole di Chat Blanc “Il nostro amore ha fatto questo, milady”.
“Non
succederà di nuovo, te lo impedirò Papillon” Sibilò la super eroina.
“Hai
detto qualcosa?” Chiese Chat Noir volgendole un fugace sguardo.
“Hanno
mai provato ad akumizzarti, Marinette?”
Le aveva chiesto Adrien, mentre intrecciava le dita
della mano con la sua.
Si
trovavano come sempre in camera dell’aspirante stilista, seduti sul letto, il
biondo con la schiena appoggiata alla testiera del letto, mentre la schiena di Marinette, premeva sul suo petto e la testache ci faceva cullare nell’incavo del suo
collo.
“Si”
Fu la sua risposta “…quella volta che Lila aveva
fatto di tutto per farmiespellere dalla
scuola” Disse stringendo di più le dita per la rabbia.
“Ricordo
l’episodio” Sospirò affranto “…ma non mi ricordo che
Papillon avesse scagliato un’akuma contro di te”. Le
baciò una tempia, dondolava dolcemente il suo contro con quello di lei.
“Era
successo nello spogliatoio…e da quanto mi ha
raccontato Alya, eravamo stati colpiti in tanti, poi
il potere era come sparito”. Fece spallucce
“Il
motivo?”
“Non
lo so…so solo che ho rischiato grosso. Sicuramente
avrei consegnato i miei orecchini a Papillon, se l’akumizzazione
fosse riuscita”.
“Mi
chiedo come abbia fatto a colpire così tante persone contemporaneamente”.
“Sicuramente
è stato aiutato con un potenziamento, non sarebbe la prima volta. Comunque non
dovrà accadere più, a nessuno dei due”. Alzò il viso per baciarlo.
“Non
succederà. Promesso”
“Che
cos’è la cosa ti farebbe andare più in bestia?”
“Sicuramente
perderti” Le sorrise mentre lei si era voltata verso di lui e ricambiava il
gesto “…e poi scoprire che mio padre mi nasconde
qualcosa di molto brutto.”
“Immagino
non sia facile vivere con lui”.
“Ah
guarda, non lo vedo praticamente mai, potrei dire che vivo da solo.”
“Lavora
tanto”. Cercò di giustificarlo, sa che il lavoro di stilista comporta impegno e
sacrificio, come qualsiasi cosa.
“Lo
so, ma due minuti al giorno per stare con me li potrebbe trovare. A volte mi
chiedo se non si butta sul lavoro per sopportare meglio la perdita di mia
madre.”
“Chiediglielo”
“Non
è facile parlare di lei, cerca sempre di cambiare argomento in qualche modo”.
“La
perdita di una persona amata non è facile da sopportare, ci vuole tempo”.
“E’
passato più di due anni, avrebbe già dovuto metterci una pietra sopra, guardare
avanti, magari trovando una persona con cui stare.”
“Forse
non lo fa perché ha paura di farti un torto, si insomma, avrà il timore che
pensi che non abbia amato tua madre abbastanza”.
“Sono
abbastanza grande per capirle certe cose, non mi farebbe nessun dispetto se
decidesse di stare con qualcun'altra.
“Dici
che non si è rassegnato?”
“A
volte lo trovo a fissare il suo quadro, come se stesse aspettando il suo
ritorno da un momento all’altro”.
*
Un altro balzo e unaltro lancio di yo-yo sul tetto vicino, e i
due super eroi erano arrivati sul luogo dell’attacco.
Rimasero qualche minuto ad osservare lo
scenario, la Tour Eiffel era stata tagliata a metà, e una parte era caduta
sulla strada, abbattendo un paio di edifici vicini, oltre ad aver rovinato i
giardini pubblici, dove molti parigini amavano passare il tempo.
Notarono anche il carretto dei gelati di
Andrè essere andato distrutto.
“Umpf…mi
andava un gelato adesso” Fece spallucce il biondo.
“Chat Noir, non è il momento per fare
battute”. Lo rimproverò lei mentre agitava lo yo-yo per farsi scudo da un
attacco improvviso.
“Scusa, era per smorzare la tensione,
milady”.
Lady Bug si guardò ancora attorno,
alcune macchine avevano preso fuoco, e molte di esse, avevano fatto la stessa
fine del simbolo di Parigi.
“Fatti vedere” Gli intimò l’eroina “…so che ti sei nascosto”.
“LadyBug” La
chiamò Chat Noir costringendola a voltarsi verso di lui “E’ un’illusione”.
“Cosa?” Si guardò attorno attonita,
mentre la città riprendeva lentamente vita, e la gente entusiasta urlava i nomi
dei due super eroi apparentemente apparsi dal nulla.
“Ma cosa sta succedendo?” Chiese Lady
Bug “…andiamocene” Guardò il suo partner ed insieme
balzarono nel primo tetto trovato.
*
Lila
Rossi camminava per le strade di Parigi, come al solito da sola, senza i suoi
genitori e senza nessun amico al suo fianco.
Con
il suo carattere da eterna bugiarda, aveva creato un vuoto attorno a lei,
facendosi odiare da tutte le persone che incrociavano il suo cammino.
Perché
si comportasse così, rimaneva un mistero, persino Adrien
le aveva dato il largo, intimandole di star lontano da Marinette
e di non metterla mai più nei guai.
Era
riuscita a farsi notare da un uomo per la sua indole cattiva e vendicatrice:
Papillon, un uomo disperato che avrebbe fatto di tutto per impossessarsi dei miraculous di Lady Bug e Chat Noir, anche chiedere la sua
collaborazione.
Ma
lei era così subdola e meschina, che al primo segno di debolezza dell’uomo,
l’avrebbe sicuramente messo con le spalle al muro.
Meglio
assecondarlo prima, poi, una volta avuto in pugno, si sarebbe vendicata anche
su di lui, magari rubandogli il miraculous della
farfalla.
Sapeva
che Papillon l’avrebbe usata solo per i suoi scopi, non ci sarebbe stata
nessuna ricompensa alla fine della giostra, una donna intelligente, la fortuna
se la crea da sola, e quella volta, le era stata servita su di un piatto
d’argento.
Si
accomodò su una panchina sotto un albero, per ripararsi da quella giornata
calda, prese dalla sua borsa una bottiglia d’acque e bevve un sorso.
Rimise
poi la bottiglietta al suo interno, e fu in quel momento che il suo telefono
squillò, meravigliandosi.
Non
le telefonava mai nessuno, a parte i suoi genitori, nessun coetaneo che potesse
chiamare amico, osava comporre il suo numero.
“Pronto?”
Rispose.
“Ciao
Lila, sono io” L’aveva chiamata con il numero privato e lei aveva subito capito
di chi si poteva trattare.
“In
che cosa posso essere utile?”
“Ho
un lavoro per te, voglio darti una seconda occasione”.
*
Rimasero ad attendere dietro un
comignolo, che qualcuno potesse colpire di nuovo.
“Credi sia opera di Volpina?” Chiese
Chat Noir che giocava con il suo bastone per ingannare l’attesa.
“Può darsi, è l’unica che può creare
illusioni, oltre a Rena Rouge, ma il suo miraculos è custodito nella miracle
box.
“Che sia il caso di interpellarla?”
“E rischiare una battaglia a suon di
illusioni?”
“Chiodo scaccia chiodo” Fece spallucce
“Hai un’idea migliore?”
“No” Lady Bug balzò di tetto in tetto,
fino a raggiungere la sua terrazza.
Si precipitò verso il baule che aprì con
la chiave che custodiva dentro un cassetto.
Schiacciò l’ovale arancione con il
simbolo della volpe e prese la collana.
“Alya ho
bisogno di te” Sussurrò al cielo.
Mise al sicuro la Miracle
Box ed uscì dalla stanza.
Volpina, celata dalla sua stessa
illusione, aveva seguito Lady Bug, fino a casa di Marinette
e si era messa ad osservare la scena dalla terrazza di fronte.
Rimase a bocca aperta quando la vide
scendere con naturalezza dalla botola, ed uscire poco dopo.
Ma non aveva prove a sufficienza per
provare che dietro la maschera di Lady Bug, ci fosse Marinette.
Si è vero, si era calata nella sua
camera, ma le tende pesanti grigie appese alla finestra, impedivano di vedere
all’interno della stanza, cosa stesse realmente facendo.
Chat Noir non l’aveva seguita, ma era
rimasto vicino la Tour Eiffel, a controllare che la situazione rimanesse stabile.
Il bastone di Chat Noir trillò, era la
sua lady che lo stava chiamando.
“Si, milady?”
“Tutto apposto gattino?”
“Qua è tutto tranquillo”.
“Va bene, io ho recuperato il miraculous, ci vediamo a casa di Alya”.
“Sei sicura che sia a casa?”
“Si, stamattina a scuola mi ha detto che
aveva da recuperare dello studio arretrato, e che quindi non si sarebbe mossa”.
“Ok, a tra poco”.
*
Lady Bug sapeva di essere stata seguita
da Volpina, Chat Noir l’aveva captata con il suo sesto senso da gatto, non la
potevano vedere, a causa di una illusione.
Come la prima volta, lei non possedeva
dei poteri, ma era stata akumizzata da Papillon, che
per la seconda volta, le fece dono del potere dell’illusione, sperando di
ingannare i due ragazzi.
Fortunatamente, prima di uscire insieme
a Chat Noir, era stata furba nel lasciare tirate tutte le tende, avrebbe sempre
potuto dire, in caso di accusa, che Lady Bug, era in cerca di lei, per
consegnarle il Miraculous del topo.
*
“Tutto procede secondo i piani, Papillon”
Disse in tono mellifluo Volpina.
“Benissimo, appena puoi, prendi i miraculous e portameli”
“Certo, Papillon”. Glieli avrebbe
portati, ma oltre ad ingannarlo, gli avrebbe sottratto anche la sua spilla.
Stava già pregustando la vittoria e a
cosa fare con il potere assoluto, quando sentì i tre super eroi avvicinarsi e
passarle accanto, non accorgendosi della sua presenza, se non quando invasero l’illusione
e la fecero dissolvere come una bolla di sapone.
“Sapevo che ti eri nascosta” Disse Lady
Bug. “Arrenditi”
“Mai” Tuonò prima di suonare il flauto
intonando una melodia, che avrebbe preceduto l’illusione.
Aveva fatto scatenare uno tsunami su
Parigi, i tre super eroi furono costretti a salvare le vite delle persone che
stavano cercando di mettersi in salvo.
“Rena Rouge,
tocca a te”.
Lady Bug azionò lo yo-yo, agganciando
quattro persone che correvano lungo la strada principale, cercando il primo
posto per infilarsi e salire più in alto che potevano.
Li tirò su giusto un attimo prima che l’acqua
li raggiungesse e gli facesse bagnare i jeans.
Rena Rouge
suonò la melodia e lanciò il suo potere speciale, rendendo nulla l’attacco di
Volpina, che grazie a quel diversivo, era riuscita a scappare, facendo perdere
momentaneamente le sue tracce.
Intanto il miraculous
dell’amica, iniziò a lampeggiare “Oh, no, ma non l’abbiamo ancora sconfitta, e
io tra un po’ ritornerò normale”.
La super eroina in rossa le si avvicinò
e le mise le mani sulle spalle “Tranquilla, non ti lasceremo andare finchè Volpina non verrà deakumizzata”.
“Ti aiuteremo noi a sfamare Trixx, così potrai ritrasformarti di nuovo” Le disse Chat
Noir sorridendole.
“Grazie ragazzi, mi chiedo se c’è un
modo per avere potere illimitati”.
“Crescendo” Rispose Lady Bug.
Rena Rouge
inarcò un sopraciglio “Dici sul serio?”.
“Si, era stata Bunnix
a dircelo”.
“Bunnix? E chi
è?” Chiese curiosa.
“La portatrice del miraculos
del coniglio. Ha il potere di viaggiare nel tempo”. Spiegò Chat Noir.
“Davvero?” Le si illuminarono gli occhi “…bello! Perché non lo hai dato a me? Non ti fidi abbastanza
delle mie capacità?”
“No, non è facile da spiegare.”
“Provaci”
“Semplicemente ti ho trovato più adatta
a questo tipo di miraculous, sei degna di fiducia,
per questo ti ho affidato Trixx. Lo sai che una volta
ho dato il bracciale del serpente ad Adrien?”
“E come è andata?”
“Beh…non lo ha
saputo portare” Sorrisero tutte e due all’unisono, mentre a Chat Noir ballava
un occhio dalla rabbia.
“Non è vero che non l’ha saputo usare,
era solo emozionato perché Lady Bug aveva scelto lui” Grugnì incrociando le
braccia al petto in segno di offesa.
Lady Bug, Chat Noir e Rena Rouge,
rimasero un’oretta buona a pattugliare i tetti e le strade di Parigi, ma di
Volpina non vi era più traccia, sembrava essersi dissolta come accade per le
sue illusioni, quando venivano stanate.
“Mannaggia a Volpina” Grugnì Chat Noir,
che se l’avesse avuta sotto le sue zampe, le avrebbe sicuramente scatenato uno
dei suoi cataclismi, solo per aver interrotto sul più bello lui e Marinette.
“Non te la prendere, la troveremo, anche
se a questo punto credo sia scappata” Disse Rena Rouge sospirando, pensando di
non essere stata in grado di fare abbastanza.
Lady Bug, atterrò sul luogo dove si
erano dati appuntamento “Niente?”.
“Niente” Risposero all’unisono i due
super eroi.
“Direi che è meglio ritornare a casa.”
Si stava facendo buio “…accompagno Rena a casa, così mi potrà restituire il miraculous” Si rivolse alla volpe che d’istinto si coprì la
collana che portava al collo.
“Non potresti fare un eccezione questa
volta?” Piagnucolò.
Lady Bug increspò un labbro “Sai che non
posso”.
“Uffa” Sospirò “…a presto Chat Noir” Lo
salutò, ed insieme a Lady Bug si diressero a casa di Alya, dove lei avrebbe
sciolto la trasformazione, salutato Trixx e
restituito la collana a Lady Bug.
“Mi chiamerai ancora, se Volpina si
dovesse ripresentare?”
“Certo! Non potrei chiedere a nessun
altro di portare questo miraculous”.
“Grazie, Lady Bug” L’abbracciò
amichevolmente.
“Ciao, Alya! A presto” Si lanciò dalla
finestra, e la ragazza castana, la guardò sognante, mentre si ricongiungeva con
Chat Noir, nel tetto difronte.
“Lo sapevo che quei due hanno una
storia, devo dirlo a Marinette”.
*
Volpina era tornata a casa, come
Papillon le aveva ordinato, una volta che l’avrebbe aggiornato sulla
situazione, avrebbe richiamato la sua akuma.
“Papillon, oggi ho scoperto una cosa,
non ne sono certa, ma forse so chi si cela dietro la maschera di Lady Bug”.
“Stupendo”.
“MarinetteDupain-Cheng”.
“MarinetteDupain-Cheng?”
Ripeté sorpreso, e per una frazione di secondo, ebbe l’impressione che la
mascella si staccasse dal volto, fece cadere persino il bastone, quell’oggetto
che gli conferiva un’aria più snob, com’era la sua personalità “Ne sei
sicura?”.
“L’ho vista entrare nella casa di Marinette oggi”.
“L’hai vista ritrasformarsi?”
“No, è entrata ed è uscita dopo poco”.
Papillon scosse la testa, questo non
provava che Marinette e Lady Bug fossero la stessa
persona, l’unico che poteva saperlo era suo figlio, visto che, da quanto sa,
sono molto amici, però non è detto che Adrien, sia a conoscenza della sua
identità di super eroina, doveva assolutamente indagare.
“Grazie, Volpina, sei stata molto
d’aiuto.”
“Per servirti, Papillon”.
Richiamò poco dopo la sua akuma, facendola dissolvere, quando si posò sulla sua mano.
Azionò l’ascensore e una volta arrivato
allo studio, chiamò la sua assistente Nathalie.
“Si, Gabriel’” Si presentò con la solita
posa impostata al suo cospetto.
“Come sono messo domani pomeriggio? Ho
bisogno di parlare con mio figlio”.
“Gabriel, se posso permettermi, per
parlare con Adrien, non ha bisogno di un appuntamento”.
“Lo so benissimo, ma Adrien, non deve
sospettare di nulla”.
“Non capisco”.
“Forse grazie a Volpina, ho scoperto chi
può essere Lady Bug, e sono sicuro che Adrien lo sappia”. Si grattò il mento.
Nathalie controllò subito l’agenda, e
comunicò che dopo domani, avrebbe avuto il pomeriggio libero.
“Perfetto, puoi avvisare mio figlio,
allora”.
*
Le occasioni per stare assieme a suo
figlio, erano diminuite drasticamente da quando sua moglie Emilie, era venuta a
mancare, complice, la doppia vita che conduceva.
Essere Papillon, e alla ricerca dei miraculos di Lady Bug e Chat Noir, gli portava via molto
tempo, tempo che sperava di recuperare una volta fatta ritornare sua moglie tra
i mortali.
Era costretto a dare degli appuntamenti
in orari specifici ad Adrien, per assicurarsi di mantenere la promessa, sarebbe
stato sicuramente deluso se suo figlio si aspettasse di cenare con lui, ed
invece all’ultimo non si presentava.
Le loro conversazioni si limitavano
all’aggiornamento sull’andamento scolastico, e se Adrien
osava chiedergli qualcosa sul suo lavoro, questo si indispettiva e non
rispondeva, sui suoi modelli, vigeva il più rigido silenzio, non poteva
permettersi che, anche solo parlando, Adrien potesse rovinare ore di duro
lavoro.
“Il prossimo appuntamento con suo padre,
sarà mercoledì pomeriggio dalle 16.00 alle 16.45” Esordì Nathalie mentre
appuntava qualcosa sul suo palmare.
Il biondo prese il vassoio con il piatto
vuoto, con l’intento di portalo in cucina “Grazie”.
“Non è necessario che sparecchi tu, ci
sono i camerieri apposita”.
“Lo so, ma fare questo mi darà
l’illusione che il tempo passi più velocemente”. Uscì dalla stanza con la
solita espressione triste e sconsolata impressa sul volto.
Quanto avrebbe voluto abbracciarlo,
avere una parola di conforto per lui, fare conversazione mentre pranzava o
cenava, non pretendeva di sostituirsi ad Emilie, ma da donna, sapeva che a quel
ragazzino, gli serviva una figura materna, oppure paterna, ma che fosse più
presente nella sua vita.
Non pretendeva nemmeno di cambiare
Gabriel.
*
Sulle rive della Senna, su una panchina
appartata e lontana da occhi indiscreti, Adrien e suo padre, si stavano
gustando un gelato di Andrè.
Il biondo, si era meravigliato che suo padre
gli avesse fatto saltare l’allenamento di scherma per poter passare un intero
pomeriggio assieme a lui, si sarebbe aspettato mezz’ora, massimo un’ora, ma un
intero pomeriggio, questo non gli era mai e poi mai passato per l’anticamera
del cervello.
Quando aveva dato la notizia a Marinette, lei era contentissime fu entusiasta, sapeva cosa
significa suo padre per lui, e quella era un’occasione irripetibile, e se la
loro relazione l’avessero potuta vivere alla luce del giorno, sicuramente
gliela avrebbe presentata ufficialmente.
“Ci saranno altre occasioni” L’aveva
liquidata lei “…intanto goditi questo pomeriggio”.
“Tu che farai?” Le aveva chiesto.
“Mmm…qualcosa
mi inventerò”
Il sole splendeva e i suoi raggi si
riflettevano sulle acque del fiume, facendolo sembrare coperto da tanti piccoli
diamanti.
“Venivo sempre con tua madre qui” Fu lo
stilista a proferire parola per primo.
“Ti manca tanto?”
“Più di quanto immagini” Mise in bocca
un po’ di gelato che si sciolse immediatamente con il calore della sua lingua.
“Manca molto anche a me, a volte mi
siedo sugli scalini dell’ingresso e aspetto che da un momento all’altro apra la
porta, come se stesse ritornando da uno dei suoi viaggi di lavoro”.
“Se ci fosse un modo per riportarla
indietro, lo faresti?” Da quella risposta, sarebbe dipeso il rivelargli o no
quello che stava facendo.
“Ovvio che risponderei di sì, ma so che
un modo per farla ritornare, purtroppo non c’è”. Sospirò.
Un modo invece c’era, solo che ne lui e
ne Marinette, avevano mai pensato di unire i loro miraculous ed usarli per esprimere un desiderio, sapeva
benissimo che sarebbe stato pericoloso.
“Anch’io” Non ebbe il coraggio di dirgli
niente di più, forse non era il luogo adatto per fargli quella confessione
“…visto che siamo in argomento, che mi dici ti te? C’è una persona speciale nel
tuo cuore?” Era meglio cambiare discorso.
Adrien arrossì, non si aspettava di
certo una domanda del genere da suo padre “S-si” Balbettò tenendo lo sguardo
basso ed avvampando.
“La conosco?”
Suo figlio annuì con il capo, avrebbe
voluto tanto dirgli che la ragazza che amava era Marinette,
ma non era ancora arrivato il momento di confessarglielo, meglio non dirgli che
ci usciva anche, avrebbe rischiato di venire segregato in casa per il resto dei
suoi giorni, e sapeva che ne era più che capace.
“E’ Kagami?”
Chiese “…lo vedo come le brillano gli occhi quando è in tua compagnia. E’ una
brava ragazza e un ottimo partito”.
Si stava già facendo dei film mentali,
quando suo figlio gli disse che non era lei la ragazza dei suoi sogni.
“Se non è lei, allora chi? Marinette?” Osò dire.
Colpito e affondato, Adrien si morse la
lingua e dalla sua espressione, lo stilista capì che tra i due ci fosse più di
un’amicizia.
“E’ un’amica, una buona amica” Aggiunse
quasi balbettando.
“Per quanto la posso conoscere, mi
sembra una ragazza apposto, un po’ timida, se vuole intraprendere la carriera
di stilista, deve aprirsi un po’ di più. Questo è un mondo spietato, che ti
divora se non rispondi a modo, e non puoi mostrare a nessuno le tue debolezze”.
Da quelle parole, il biondo, forse
iniziava a capire un po’ di più suo padre, ecco perché era sempre così rigido
con tutti, perché non rideva mai.
“A volte devi anche saper mostrare
qualche debolezza, giusto perché gli altri capiscono che sei umano”.
“Non in questo mondo Adrien,
le useranno contro di te”
“Lo so papà, vedrai che Marinette lo capirà da sola, e saprà cavarsela, come
sempre”.
“Hai proprio fiducia in lei”.
“Le affiderei la mia vita” Lo disse ad
alta voce, come se non stesse parlando con un genitore, come se volesse far
intendere al suo interlocutore, i suoi sentimenti.
Gabriel si sistemò gli occhiali sul naso
“Si vede che ci tieni a lei”.
Adrien arrossì per l’ennesima volta e
sperava di non aver fatto un casino parlandogli di Marinette,
ma era così liberatorio, così bello poter parlare apertamente e naturalmente
con suo padre di certe cose, e poi aveva comunque mantenuto la promessa, non
gli aveva confessato che stavano insieme, ma solo che ci teneva molto a lei,
sperando che questo non avrebbe comportato un trasferimento in qualche città
lontana.
“E dimmi…secondo te, nasconde qualcosa?”.
Adrien inarcò un sopracciglio “In che
senso?”.
“Non saprei, qualche segreto…”
“Tutti abbiamo dei segreti papà, ma sono
sicuro che Marinette, non mi nasconde niente”.
“Ho notato una certa somiglianza tra lei
e Lady Bug”. Disse mellifluo.
Adrien scoppiò a ridere così forte e ad
agitarsi, che una pallina di gelato andò a finire dritta sul marciapiede e poi
dentro lo stomaco di alcuni piccioni, che alla vista di quella merenda gratis,
si precipitarono a beccarla.
“Tu pensi che Marinette
sia in realtà Lady Bug?” Ahahahaha…ma dai papà…sono due mondi agli antipodi…ahahahah…Marinette
ha sempre la testa tra le nuvole, inciampa su sé stessa, Lady Bug, è tutta
un’altra cosa. E poi scusa, hai avuto modo anche te di parlare con Marinette…avrai notato il suo carattere introverso”.
Gabriel increspò un labbro di dissenso,
non ne era convinto, ma non credergli, significava non avere fiducia in lui.
Forse si era sbagliato, Adrien magari
non era a conoscenza della doppia identità della ragazza, se mai fosse stato
così, se Lila non si fosse sbagliata.
L’avrebbe tenuta d’occhio anche a scuola
e lo avrebbe avvisato se avesse scoperto qualcosa.
Ma di Lila non poteva fidarsi
totalmente, per quel poco che la conosceva, l’aveva già inquadrata, per lavoro
ha e aveva avuto a che fare con persone subdole e meschine come Lila Rossi,
persone che gli avevano messo molte volte i bastoni tra le ruote, cercando di
infangare il suo nome, ma per fortuna ne era sempre uscito a testa alta.
“Comunque perché me lo hai chiesto,
papà?”
“Ecco vedi, Lady Bug e Chat Noir fanno
molto per la città di Parigi e mi sono sempre chiesto chi c’è dietro la
maschera, a dire la verità tutti i parigini se lo stanno chiedendo.” Si salvò
con quella risposta.
“Già, è vero…chissà chi si cela dietro
quei travestimenti, soprattutto dietro a quello di Papillon”. Gli volse uno
sguardo, ma non di malizia.
*
Continua
*
Angolo
dell’autrice:
Ciao a tutti miei cari affezionati lettori, innanzitutto vi ringrazio per
essere arrivati a leggere fino qui, grazie anche a chi mi lascia sempre un
commento, (fanno sempre piacere) , a chi ha inserito questa storia tra le preferite,
seguite e ricordate.
GRAZIE GRAZIE e ancora GRAZIE.
Con questa breve
postilla, e visto che è l’ultimo capitolo per quanto riguarda il 2020, vi
volevo augurare un BUON ANNO!
L’atrio
della scuola pullulava di studenti quel giovedì mattina.
L’orologio
posto all’ingresso, segnava le otto in punto e la campanella era già risuonata
al suo interno, invitando gli alunni ad entrare in classe.
Adrien
e Marinette, entrarono in classe insieme, ridevano e
scherzavano da bravi amici, ed era questo che apparivano agli occhi dei loro
compagni, ma non ad Alya.
Alya
non si era mai bevuta la storia che si erano lasciati, li osservava con
circospezione, attendendo un loro passo falso, ne avrebbero fatti, ne era
sicura.
Non
demordeva, nonostante Nino le avesse intimato di farlo e di lasciare stare quei
due, ma non poteva, era la sua natura da curiosa cronica a spingerla, spesso e
volentieri a mettersi nei guai.
Una
volta Marinette, le aveva detto che sarebbe stata perfetta come investigatore
privato, oppure, l’avrebbe vista molto bene ricoprire qualche incarico nella
polizia, magari in quella sezione dove si deve indagare e stanare il colpevole.
Ma
lei era stata chiara, il giornalismo era la sua vocazione, e terminato il
liceo, si sarebbe iscritta all’università, più precisamente alla facoltà di
Scienze delle Comunicazione.
I
due amici si sorrisero e si sedettero ai propri posti, vicino ai loro migliori
amici.
“Buongiorno,
Alya” La salutò prendendo il tablet dal suo zaino.
“Buongiorno,
Marinette…ho uno scoop che riguarda Lady Bug e Chat
Noir” La corvina si irrigidì e lo stesso fece Adrien, non voltandosi, ma
allungò un orecchio, facendo finta di ascoltare quello che gli stava dicendo
Nino in quel momento.
“Sono
tutta orecchi” Si finse entusiasta.
Alya
iniziò a parlare a voce bassa “Ieri, ho visto Lady Bug e Chat Noir andare via
mano nella mano e posso scommettere di averli visti baciarsi”.
“Che???”
Marinettesbattè le
palpebre più volte, non era possibile li avesse visti scambiarsi quelle
effusioni, maledetto Chat Noir, e la sua voglia irrefrenabile di saltarle
addosso ad ogni occasione.
Adrien
si sentì gli occhi della sua ragazza puntati addosso, e poteva scommettere di
poter sentire sul suo collo come delle lame di rasoi, pronte a tagliarlo in
tanti piccoli pezzettini.
“Ne
sei sicura, Alya? Non potresti aver frainteso la cosa. Da quanto ne so, quei
due non sono una coppia”.
“E’
quello che vogliono far credere, ma io so quello che ho visto” Aveva lo sguardo
di chi la sapeva lunga, e di chi fosse pronta a stanare le bugie.
“Scusami,
e come hai fatto a vederli?”
“Ehm…beh…io…”
Doveva trovare una scusa alla svelta, non poteva dire di essere Rena Rouge e di
aver aiutato Lady Bug e Chat Noir, in una missione “…ero al balcone ed
osservavo il cielo, quando quei due hanno iniziato ad amoreggiare nel comignolo
di fronte casa mia”.
Marinette scoppiò a ridere
“Non credo sia andata proprio così”.
Adrien
invece, deglutì ed iniziò a sentire sul suo corpo una certa orticaria e
desiderò di sparire sulla faccia della terra, era sicuro che Marinette, quel pomeriggio, gli avrebbe fatto una bella
ramanzina.
“E
tu che ne sai?” Domandò curiosa Alya.
“Perché
è risaputo che quei due non sono una coppia”.
“Devo
forse ricordarti di un certo bacio…quando io e Nino siamo stati akumizzati?”.
La
corvina sospirò, come dimenticare, o meglio, le sarebbe piaciuto ricordare la
circostanza del perché quella volta si erano baciati.
“Aveva
perso la memoria, e quel gattaccio ne aveva approfittato per metterle le mani
addosso”. Incrociò le braccia sotto il seno in segno di offesa.
Adrien
trattenne a stento un sorriso, l’unico dei due che fosse stato entusiasta di
quell’episodio, era proprio lui, peccato che non ricordava un bel niente.
Ma
basta ricordare il passato, nel suo presente lui e Marinette
sono una coppia, anche se, per il loro bene, avevano deciso di tenere tutti
all’oscuro e fingere che la loro breve storia, fosse stata un errore.
“Si,
si questa è la scusa, ma può darsi che dopo quella volta, i due si siano
ravvicinando, magari ci hanno ripensato”.
La
campanella suonò ancora, e dopo qualche secondo entrò la signorina Bustier.
“Buongiorno
ragazzi”.
“Buongiorno
professoressa” Salutarono in coro gli studenti.
“Senti
Alya, non scrivere niente sul tuo blog di tutta questa storia, magari erano
passati di là e volevano solo un po’ di privacy, ecco”. Le sussurrò
nascondendosi dietro un libro.
“Non
te lo posso promettere”. Sarebbe stato un articolo troppo importante per il suo
blog, per attirare ulteriori visitatori e fare visualizzazioni.
Marinette le prese la mano
e l’implorò di non farlo, si sarebbe messa a piangere, se fosse stato
necessario, ma poi avrebbe dovuto spiegare all’intera classe del perché
l’avesse fatto.
“Non
credi di esagerare?”.
“No,
sono supereroi, ed è giusto rispettare la loro privacy”.
“Allora
la prossima volta che si cerchino una stanza, o che vadano a fare certe cose
lontane da me”.
Che
si fosse indispettita perché Lady Bug non le aveva lasciato il miraculous? Probabile, ma questo non doveva essere motivo
di astio nei suoi confronti.
“Alya,
non ti riconosco più. Sono certa che Lady Bug, ha fiducia in te, altrimenti non
si concederebbe periodicamente a delle interviste, no? Secondo me sei ingiusta
se decidi di pubblicare questo articolo, soprattutto perché non hai la certezza
che sia realmente come dici. Magari i due hanno svoltato l’angolo e Lady Bug lo
ha preso a schiaffi, che ne sai?” Fece spallucce.
La
sua migliore amica non sapeva che dire, fare del buon giornalismo, significava
essere sicuri e non spiattellare in prima pagine accuse o affibbiare storie
d’amore, senza averne la certezza.
Sarebbe
stato anche giocare un colpo basso alla sua eroina, una persona che comunque
gli ha dato fiducia.
“Ok,
come vuoi, non scriverò quell’articolo” Marinettepotè tirare un sospiro di sollievo “Ma glielo chiederò
nella prossima intervista”. Ammiccò continuando a seguire la lezione.
*
Durante
l’intervallo, ed approfittando del fatto che Alya e Nino erano impegnati in
biblioteca, Marinette non perse occasione per fare
una ramanzina al suo fidanzato.
Gli
chiuse l’anta dell’armadietto sbattendola, rischiando anche di fratturargli una
mano.
“Per
fortuna l’ho tolta in tempo”. Sospirò.
“Non
cambiare argomento, Adrien. Lo sai che dobbiamo parlare!”.
“Non
ricordarmelo, so già cosa vuoi dirmi e ti chiedo scusa”.
“Dobbiamo
essere più discreti, anche quando abbiamo i nostri travestimenti, non si sa mai
chi può stare a guardare”.
“Lo
so, ma è che le occasioni che abbiamo per stare insieme, sono talmente poche,
che non vedo l’ora di stringerti”. Lo disse con tono rassegnato, con il tono di
chi voleva urlare a tutti che amava MarinetteDupain-Cheng, e che nel suo cuore non esisteva altro che
lei.
“Chaton” Gli
accarezzò il volto triste “…non sai io cosa darei per poter entrare ogni
mattina da quella porta con te sotto braccio, non potermi più nascondere e
inventare mille scuse se la mia migliore amica ha un sospetto su di noi”.
“Non
è facile”.
“Per
niente, ma se resteremo uniti, presto sconfiggeremo Papillon e potremo uscire
allo scoperto”.
Marinette prese dei libri
dal suo armadietto e si diressero verso la panchina dell’atrio, meglio stare in
un luogo affollato, per non attirare sguardi indiscreti.
“A
proposito di Papillon, secondo me Lila, si è alleata con lui” Ipotizzò lei.
“Dici?”
“L’attacco
dell’altro giorno è stato strano” Marinette si portò
due dita sotto il mento “…sembrava più, un voler farci uscire allo scoperto.”
Adrien
si stiracchiò alzando le braccia “Per me ci ha solo interrotti sul più bello, e
solo per questo motivo, quella farfalla meriterebbe che gli venissero tagliate
le ali”.
Marinette sorrise “Puoi
stare serio per una volta? E comunque per la cronaca, ha dato parecchio
fastidio anche a me”. Ammiccò complice, facendo arrossire il ragazzo.
“Signor
Agreste, sta arrossendo, non è da lei”. Fece sensuale notando il colorito
cremisi, comparso sul volto del ragazzo.
“Colpa
tua, mi fai pensare a certe cose…” Ad Adrien ci volle una grandissima forza di
volontà per trattenersi a non saltare addosso a Marinette,
non gli importava un bel niente di essere a scuola in mezzo a più di cento
studenti, l’avrebbe baciata, assaporato quelle labbra che sapevano sempre di
fragola, ma l’urlo strozzato di Alya, lo destò dai suoi pensieri impuri.
“Eccovi!”
*
Gli
operai avevano lasciato da poco Villa Agreste, e come ordinato da Nathalie,
erano state rimesse in funzione le videocamere su tutto il perimetro, ed in più
installata una, in direzione della camera di Adrien, unico punto cieco della
video sorveglianza.
“Sono
andati via?” Aveva chiesto lo stilista, quando la sua fidata segretaria, aveva
varcato la soglia dello studio.
“Si,
Gabriel, è tutto stato predisposto come volevi” Annuì prendendo posto dietro la
scrivania bianca.
Lo
stilista continuò ad assembrare i modelli sul suo computer e non riusciva a
togliersi dalla testa l’anello che portava suo figlio sull’anulare destro.
Aveva
avuto modo di vederlo bene ieri pomeriggio, mentre erano sulle rive della
Senna, e più lo guardava, e più i suoi sospetti che quello fosse il miraculous del gatto nero, diventavano certezze.
“La
telecamera in più, è stata installata?”.
“E’
già operativa”.
Sul
volto dello stilista si materializzò un sorrisetto sadico “Vediamo ora se ho
ragione a sospettare di te, figliolo”.
“Pensi
che Adrien sia Chat Noir?” Chiese preoccupata, se quel sospetto che nutriva,
trovasse la sua certezza, nemmeno lei sa, come Gabriel avrebbe reagito.
“Si,
lo penso, e credo che la sua amica Marinette, sia in
realtà Lady Bug”.
“Non
ti sembra di azzardare troppo?”.
“Lila
ha detto di aver visto Lady Bug, intrufolarsi nella camera di Marinette”.
“Non
prova niente questo”. Scosse il capo.
“Gliel’ho
detto anch’io, magari la cercava per consegnarle un miraculous,
per quello che ne possiamo sapere”.
“Oppure
è andata a prendere la collana della volpe, per consegnarlo a Rena Rouge”. Una
spiegazione più che plausibile, visto che dopo poco, la super eroina ha fatto
il suo ingresso in battaglia.
“Potrebbe
essere, ma dobbiamo esserne sicuri”.
“Per
questo ho fatto mettere quelle telecamere, appena Adrien tornerà a casa da
scuola, richiamerò Volpina, così uscirà allo scoperto”.
Nathalie
fu visibilmente preoccupata da quella dichiarazione “Gabriel, se posso
permettermi” Lo stilista per la prima volta, da quando stavano avendo quella
conversazione, distolse lo sguardo dal monitor “…non pensi sia terribile
scoprire che in realtà tuo figlio sia Chat Noir? Questo significherebbe che lo
hai messo in pericolo un sacco di volte senza accorgertene”.
Temeva
quella considerazione, aveva ragione, fottutamente ragione e avrebbe voluto
morire, piuttosto che scoprire che i suoi sospetti erano fondati, ma dove
sapere, doveva averne la certezza.
Si
era ripromesso quella mattina, davanti il feretro di Emilie, che avrebbe
desistito a ricercare il potere assoluto, se suo figlio non fosse stato Chat
Noir e lo avrebbe fatto vivere come un ragazzino della sua età, merita.
Il
pomeriggio trascorso con lui, gli aveva fatto aprire gli occhi.
Si
sente solo, come un adolescente a cui sono morti entrambi i genitori nello
stesso momento, e non poteva permettere che un giorno, glielo avesse
rinfacciato.
*
Prima
di spegnere il computer, Nathalie, per puro sfizio, volle dare un’occhiata alle
registrazioni di quel pomeriggio.
Alla
fine Gabriel, non aveva scatenato nessun attacco akuma,
il fato ha voluto ci fosse un’emergenza alla casa di moda, che reclamava la sua
presenza fisica.
La
mascella di Nathalie sembrava staccarsi dal volto e il suo cuore mancò un
battito.
Adrien
quel pomeriggio ricevette il solito messaggio da Marinette
“Ti aspetto in camera mia”.
Non
se lo fece ripetere due volte, ed appena ebbe sbrigato i suoi impegni, già
segnati in agenda, tra i quali un’ora di cinese e un’ora di lezione di piano,
si precipitò da lei, con l’ausilio di Plagg.
Bussò
come di consueto alla porta della botola, e Marinette
lo fece entrare, accogliendolo con un lungo bacio sulle labbra.
“Ti
sono mancato, milady?” Le chiese sghembo, e di tutta risposta, ricevette un
altro bacio ancora appassionato. “Mmm…lo prenderò
come un sì”.
Poi
vide la sua espressione che s’incupì d’un tratto, quando si lasciò cadere sulla
sedia della scrivania ed iniziò a girare.
“Qualcosa
non va?” Domandò avvicinandosi, mentre ordinava a Plagg
di sciogliere la trasformazione.
Mariette sbuffò lanciando
in aria un pupazzo di pezza che ritraeva Lady Bug, la stessa bambola, con cui
Manon era solita a giocare quando le faceva da babysitter.
“Si
e no…nel senso che stavo ripensando al maestro Fu e alle sue parole”.
“Cioè?”
Chiese curioso.
“Una
volta mi ha detto che se uniamo i nostri due miraculous,
potremo ottenere il potere assoluto” Spiegò.
“Potere
assoluto?” Fece di rimando il biondo.
Lei
annuì con il capo “Potremo ottenere il potere di alterare la realtà, esprimendo
un desiderio”.
“Ed
è una cosa brutta?”
“Certo,
per due ragioni: la prima perché il mondo ha bisogno di un equilibrio e la
seconda perché c’è un prezzo da pagare, tipo occhio per occhio”.
“Tu
credi che Papillon voglia i nostri gioielli per ottenere questo potere?”
“Non
vedo altra spiegazione. Mi chiedo solo quale sia il suo scopo”. Si alzò per
osservare fuori dalla finestra.
Adrien
rabbrividì, e una strana sensazione gli faceva torcere le viscere, ricordando
la conversazione avuta lo scorso pomeriggio con suo padre.
Marinette agitò una mano
davanti il volto del suo ragazzo “Adrien? Ci sei?” Aveva lo sguardo perso nel
vuoto, non poteva essere vero, stava realizzando che forse suo padre potesse
essere Papillon, questo avrebbe spiegato lo strano comportamento che aveva,
perché gli aveva chiesto tempo fa del suo anello e se Marinette
fosse in realtà Lady Bug.
Ma
no, cosa stava pensando, potevano essere solo coincidenze, del resto è normale
essere curiosi se in città ci sono dei super eroi, tutti vorrebbero sapere chi
si nasconde dietro la maschera.
“S-si,
sto bene” Le sorrise.
“Adrien
Agreste, credo ormai di conoscerti abbastanza bene da capire quando mi nascondi
qualcosa, o se c’è qualcosa che ti turba. Me ne vuoi parlare?”.
A
lei non poteva celare niente, non era in grado di mentire, non poteva mentire a
lei, ma questa volta, non le avrebbe detto la verità, meglio non farla
preoccupare per niente, soprattutto se le sue, erano solo supposizioni.
“Sono
un libro aperto per te lo sai? Però ora non posso, ma te ne parlerò appena ne
sarò sicuro, non voglio farti preoccupare per nulla” Le prese le mani e le
baciò la fronte.
“Mi
fido di te, Adrien” Gli sorrise, anche se avrebbe voluto sapere.
“Devo
andare ora, già mi manchi, insettina”.
*
Nathalie,
non dormì molto quella notte, e le occhiaie nere che aveva sotto gli occhi,
vennero coperti abilmente da del buon correttore.
Ancora
sconvolta e con il portatile tra le mani, bussò alla porta di Gabriel, che la
fece entrare.
“Disturbo?”
Chiese in maniera impostata.
“Certo
che no, vieni pure”. Lo stilista stava lavorando alla collezione che avrebbe
presentato alla settimana della moda di Parigi, mancava poco meno di un mese.
Gli
abiti erano stati tutti disegnati e confezionato con cura, mancavano da definire
gli ultimi dettagli.
Si
sarebbe presentato a quell’evento?
Chi
può dirlo, probabilmente, come al solito, avrebbe mandato la sua assistente e
lui avrebbe presenziato in videochiamata sul suo tablet.
“Devo
mostrarti una cosa”. Si avvicinò con lo schermo acceso. “E’
un video ripreso dalla telecamera di video sorveglianza, di quella nuova fatta
installare nell’unico punto cieco della casa.”
“Si
lo vedo” Annuì con il capo.
“Guarda
chi esce dalla finestra di Adrien alle 16.02”.
Gabriel
spalancò la bocca, l’immagine di Chat Noir che balza dalla finestra della
camera di suo figlio per andare chissà dove.
“Ora
guardi, chi rientra alle 18.56”. Di nuovo Chat Noir.
“Mio
figlio…è Chat Noir?” Gabriel ebbe quasi un mancamento, si sedette sugli
scalini, sorretto dalla sua assistente.
I
suoi sospetti erano fondati, lo erano sempre stati.
Non
poteva essere, in tutti quei mesi, aveva combattuto contro il suo unico figlio,
ed era stato sul punto di rivelargli diverse volte il suo piano, per riportare
in vita Emilie.
Si
maledì per non averlo fatto prima, si sarebbe risparmiato un sacco di sconfitte
e delusioni.
Se
Adrien, avesse saputo che il corpo di sua madre, si trovava nei sotterranei
della casa, in attesa che il miraculous di Lady Bug e
Chat Noir, probabilmente non ci sarebbe stato il bisogno di richiamare altri
mostri al suo comando.
“Dov’è
ora mio figlio?” Chiese alla sua assistente.
“E’
a scuola, Gabriel, oggi esce alle 12.30”.
“Bene,
andremo a prenderlo dopo”. Fu sorpresa di ricevere quella risposta, si sarebbe
aspettata un’uscita anticipata da scuola per qualche futile motivo inventato
seduta stante, infatti aveva già pronto sul cellulare il numero dell’autista da
chiamare e quello della scuola.
“Che
intenzioni hai?”
“Gli
dirò tutta la verità, e lo porterò a vedere il corpo della madre, così sarà
costretto a farsi dare gli orecchini da Lady Bug, e finalmente potrò realizzare
il mio desiderio”.
“Certo,
sono felice che finalmente ci sia riuscito” Si congedò poi, uscendo dalla
stanza, mentre una lacrima le rigava il volto.
*
Quel
pomeriggio, Adrien e Gabriel pranzarono insieme, con gran stupore del più
giovane, che era solito a consumare i pasti in totale solitudine, o con
Nathalie, mentre gli ricordava gli impegni presi per il pomeriggio.
“Sono
contento che abbiamo mangiato insieme papà, non mi ricordo più da quanto lo
facevamo.”
Gabriel
prese il calice di vino rosso rubino e se lo portò alla bocca “Questo e molti
altri, Adrien” Gli sorrise, non pensando che da lì a poco, gli avrebbe
sconvolto la vita.
“Sei
strano, papà…hai un’aria così rilassata, quasi non ti riconosco”.
“Sono
felice di passare un po’ di tempo con mio figlio”. Gli toccò la mano
amorevolmente.
Adrien
gli volse un sorriso che gli ricordò molto quello della scomparsa Emilie.
“Lo
sono anch’io” Si sentiva amato, si sentiva desiderato, e questa volta non solo
dalla sua insettina,
ma anche da suo padre, che cosa volere di più? Gli mancava solo sconfiggere
Papillon e poi la sua vita sarebbe stata perfetta, per quanto potesse essere
per un ragazzo di sedici anni.
*
“Che
cosa mi devi mostrare?” Chiese Adrien curioso “…finalmente hai deciso di farmi
vedere in anteprima la nuova collezione?” A lui non era mai stato concesso
questo privilegio in tutti quegli anni.
“No,
ma ne resterai stupito”. Gabriel azionò i pulsanti dal quadro di Emilie,
facendo aprire il passaggio sotto i loro piedi.
“Dove
andiamo?” Domandò sospettoso.
“Tutto
a tempo debito, figliolo”.
Il
tunnel che stavano percorrendo era buio, erano stata installata solo una luce
nel soffitto dell’ascensore, che continuava a scendere.
“Ora
mi sto spaventando, papà”.
“Non
ti devi preoccupare, ora sei pronto per vederlo con i tuoi occhi”.
Arrivarono
in uno stanzone enorme che attraversava tutto il perimetro della casa, un ponte
di metallo color oro ne guadava il corso d’acqua.
Faceva
caldo, un caldo umido e tante farfalle bianche, erano appena sbocciate e
stavano svolazzando sopra a quella, che agli occhi del più giovane, sembrava
una bara di cristallo, illuminata dai raggi solari, che filtravano dal rosone,
sopra di essa.
Ad
Adrien iniziò a seccarsi la gola e a mancargli il respiro, nutrendo in suo
padre un sospetto, che sperava con tutto se stesso non
fosse vero.
Attraversarono
il ponte, e Adrien non smetteva di guardarsi intorno, facendosi sempre più
domande e pensando cosa suo padre nascondesse laggiù, ma di una cosa ne era
certo, non gli avrebbe mai e poi mai tolto un capello.
Una
farfalla gli si posò con dolcezza, sopra la testa bionda, e lui la fece posare
sopra il suo indice, portandosela davanti gli occhi.
“Ti
spiegherò tutto, figliolo” Gli disse mostrandogli la teca, con all’interno il
corpo senza vita della madre.
“M-mamma.
E’-e’ la mamma?” Balbettò incredulo.
“Si,
è Emilie”.
“Ma-ma
come? L’abbiamo seppellita, abbiamo fatto il funerale. P-perché è qui?” Gli
occhi di Adrien iniziarono a pizzicare e ai lati, si stavano formando delle
gocce salate.
“Perché”
Ci fu un attimo di esitazione “…la voglio riportarla in vita”
“Non
puoi riportare in vita qualcosa che è morto, papà, è impossibile”
“Per
riportarla da noi, ho bisogno dei miraculous di Lady
Bug e Chat Noir”. Disse tutto d’un fiato, in tutto quel tempo, aveva cercato le
parole giuste per dirglielo, in modo da non sconvolgerlo troppo, ma non ne
aveva trovata nessuna che andasse bene.
“I miraculous di Lady Bug e Chat Noir?” Soffiò.
“A
dire il vero solo quello di Lady Bug” Il viso dello stilista si fece serio e
con un’espressione che non lasciava intravedere nulla di buono “…quello di Chat
Noir, lo hai tu, vero?” Un ghigno beffardo si fece strada tra le sue labbra.
“Ma
di che cosa stai parlando?” Chiese nascondendo dietro la schiena, la mano
destra, dove era solito portare l’anello.
Sotto
la sua camicia, il piccolo kwami nero tremava di
paura.
“Non
fare il finto tonto con me, so che sei Chat Noir, l’ho visto dalle telecamere
che ho fatto installare nuove; mi avevano fatto notare che quella parte della
casa era scoperta, e che quindi dovevo metterne una anche lì”.
Adrien
si sentì morire, era stato stupidamente scoperto e cosa peggiore, avrebbe
sicuramente litigato di brutto con Marinette per
questo.
“Come
fai a sapere tutte queste cose sui miraculous?”.
Gabriel
non diede nessuna risposta al figlio, perché trovò la soluzione qualche attimo
più tardi, quando l’ennesima farfalla gli passo accanto “Papillon…tu sei
Papillon”.
Si
scagliò contro il padre gettandolo a terra, e bloccandolo con il suo peso, che
andò a gravare sul petto dello stilista, caricò un pugno, che non sferrò mai.
“Lasciami
spiegare, figliolo”. Lo pregò mettendo le mani avanti.
“Perché?
Perché?” Gli urlò in preda alla rabbia.
Stava
per trasformarsi, per fuggire via da quell’incubo, per andare ad avvertire lei,
la sua lady.
Una
mano gli bloccò il braccio e gli tolse l’anello.
“Mayura!” Esclamò Adrien incredulo, era logico, se suo padre
era Papillon, non poteva essere che Nathalie, il possessore del miraculous del pavone.
“Tu
ora ascolti tuo padre, e non vai da nessuna parte. Questo lo tengo io”. Chiuse
dentro una scatola l’anello, che qualche attimo prima, aveva risucchiato Plagg al suo interno.
*
“Come
hai potuto fare una cosa del genere?”.
“Ascoltami,
ti prego, avrai tutte le tue risposte. Te lo prometto”.
Non
riusciva a guardare suo padre negli occhi, in quel momento rabbia, frustrazione
e delusione, si erano impossessati di lui.
Se
vogliamo vedere il lato positivo, Papillon non poteva akumizzarlo,
almeno per il momento.
“Sentiamo
quali inutili scuse inventerai”.
“Ti
ricordi il viaggio che avevamo fatto io e tua madre in Tibet? Quello prima di
sposarci”.
“Si”.
“Ero
alla ricerca di tessuti e stoffe pregiate per la mia nuova collezione, quando,
durante un’escursione abbiamo trovato nella neve due scatoline nere ed un
libro”.
Gabriel
raccontò a suo figlio di quel viaggio di lavoro in Tibet, fatto insieme alla
moglie, e del ritrovamento del miraculos del Pavone e
della Farfalla ed infine del libro.
“Che
intenzioni hai?” Chiese riluttante.
“Prendere
il miraculous della coccinella, mi manca solo quello,
e tu mi aiuterai”.
“Cosa
ti fa pensare che io conosca l’identità di Lady Bug?”
“La
tua espressione”.
Adrien spalancò gli
occhi “…dev’essere una ragazza che ami e che non vuoi
deludere, altrimenti saresti già andato da lei a prendere gli orecchini”.
“Anche
se fosse? Ti rendi conto di quello che stai facendo?”
“Si,
voglio salvare tua madre”.
“Vuoi
esprimere il desiderio di riportarla in vita?” Chiese avanzando verso il suo
feretro, osservando la sua espressione rilassata, sembrava una principessa che
attendeva il suo principe che la risvegliasse dal suo lungo sonno.
“Esatto”
Adrien appoggiò una
mano sul vetro, era freddo, gelido.
La
ritrasse subito, quando un brivido gli attraversò la schiena.
“Sai
che c’è un prezzo da pagare? Una vita per una vita”. Lo guardò negli occhi per
la prima volta da quando aveva scoperto il suo sporco segreto.
Gabriel
teneva un’espressione calma ed impostata, non poteva far trasparire nessun’altra
emozione, doveva far capire a suo figlio che le sue intenzioni erano buone, che
lo stava facendo per ridargli la famiglia che aveva perso, perché tutto tornasse
com’era prima, per ritrovare la loro amata felicità, e soprattutto per riavere
lei, Emilie.
“Si,
lo so” Lo aveva letto in una traduzione.
“E
se fossi tu a perdere la vita? Ci ritroveremo punto a capo, non rimetteremo
insieme la famiglia come volevi”.
“Ma
tu avrai lei”.
“E
cosa ti fa pensare che mamma sia più importante di te per me, papà?”
Lo
stilista strinse i pugni lungo i fianchi e volse lo sguardo altrove “Perché è
più brava di me a fare il genitore”.
“Questo
non è vero! Se forse non fosti stato così ottuso e ossessionato dai miraculous di Lady Bug e Chat Noir, avresti avuto più tempo
per passare degli attimi con me. Nessuno ci ridarà le occasioni che abbiamo
perso, però possiamo usare il tempo che ci rimane per rimediare ai nostri
sbagli” Cercò di farlo ragionare e di desistere dal suo obiettivo, era stato
uno shock scoprire che teneva il corpo della madre senza vita, rinchiuso una
capsula di criogenia, ma lo era stato ancora di più, sapere che lo aveva preso
a calci nel sedere per tutti quei mesi, e quel che era peggio era che non
traspariva nessun rimorso dalla sua espressione.
Sempre
così impostata, sempre così severa.
“Hai
ragione, figliolo. Ma fammi fare un tentativo” Gli si avvicinò e si abbassò al
suo livello, portando le mani sulle spalle “Vai da Lady Bug e dille che hai
bisogno del suo miraculous, se ti ama veramente, te
lo consegnerà spontaneamente e ti lascerà salvare tua madre”. Era disperato,
gli avrebbe detto qualsiasi cosa pur di farlo passare dalla parte sua.
Giocare
la carta dell’amore, era stata una cosa furba da parte sua.
Amava
sua madre, come amava Marinette, e lei era l’unica
persona che lo avrebbe potuto aiutare consegnandole i suoi orecchini, per
permettere a suo padre di cambiare.
Magari
con il ritorno di sua madre, si sarebbe addolcito e avrebbe smesso di essere
così rigido, avrebbero passo del tempo insieme come si confà ad una famiglia
unita.
Questo
era il suo sogno, e lo poteva ottenere.
Non
era più una chimera, ma qualcosa di realizzabile, e Marinette
possedeva il secondo pezzo del puzzle.
“Ti
aiuterò, ti porterò il miraculous della coccinella”.
“Grazie,
figliolo” Lo abbracciò tirando un sospiro di sollievo. “Presto ritorneremo ad
essere una famiglia, come prima”.
*
“Mi
devi ridare l’anello, o Lady Bug si insospettirà”
“No,
quello resta qui, ma ti posso donare questo” Aprì un cassetto e ne estrasse un
gioiello identico a quello che porta di solito.
“Una
copia? Cos’è? Non ti fidi di me?” Chiese indispettito.
“Certo
che mi fido di te, ma è solo per precauzione, non vorrei che Marinette te lo sfilasse”.
“Non
ho mai detto che Marinette e Lady Bug fossero la stessa persona”.
“Avrò
frainteso”. Fece mellifluo.
*
Marinette ebbe un tuffo
al cuore, una strana sensazione di disagio attanagliava il suo cuore, a volte
le sembrava persino che il suo stomaco si contraesse per far fuoriuscire del
cibo, quando ricevette quel messaggio dal suo ragazzo “Devo dirti una cosa importante, passo da te”.
Camminò
su e giù per l’intera lunghezza della stanza, gesticolando nervosamente con le
mani, mentre la fedele Tikki, cercava di farla
ragionare “Vedrai che non ti lascerà” continuava a ripeterle.
“Non
è questo, Tikki, ho una terribile sensazione”
“E
quale, Marinette”.
“Stanotte
ho fatto ancora quel sogno, Chat Blanc mi voleva
privare dei miei orecchini, della possibilità di trasformarmi in Lady Bug, si
era alleato con Papillon e lo aiutava nel suo losco piano”.
Si
aspettava Chat Noir bussasse come al solito alla sua botola, era in ritardo,
così l’aprì e salì sul terrazzino, osservando sui tetti se riusciva a scorgere
quella figura nera che saltava su e giù, fino a che non l’avesse raggiunta.
Quell’attesa
la stava logorando dentro.
Sospirò
e guardò giù in strada, giusto in tempo per vedere la berlina grigia di Adrien, fare capolino sotto casa sua.
Uscì
con l’aria affranta e a Marinette non restò altro che
deglutire ed aspettarsi il peggio.
Raggiunse
la sala principale prima che lui suonasse il campanello.
Marinette era sola in
casa, i suoi genitori erano appena partiti per un viaggio di lavoro in Italia,
a Milano, dove si sarebbe tenuta la Fiera Mondiale dell’Alimentazione, ed avrebbero
presentato i loro nuovi prodotti.
“Ciao”
“Ciao,
posso entrare?” Chiese lui.
“Certo”
Si spostò dalla porta dandogli la possibilità di varcare la soglia di casa.
“Senti,
non c’è un modo semplice per dirtelo”
Marinette iniziò a
sentire un certo pizzicore ai lati dei suoi occhi.
“So
chi è Papillon” Tuonò sconvolgendola, ma questo non le fece tirare un sospiro
di sollievo, anzi, l’espressione dipinta sul volto di Adrien,
lasciava intendere che fosse una persona a cui teneva molto, non impiegò tanto
a fare due più due, in quanto già da tempo nutriva quel sospetto.
“E’
tuo padre, vero?”
Lui
annuì con il capo e si lasciò cadere sul divano, senza chiederle il permesso.
Poggiò
i gomiti sulle ginocchia ed affondò le mani dentro il casco biondo.
Marinette si sedette
accanto a lui ed iniziò a massaggiargli la schiena.
“Ne
sei sicuro? Anche un’altra volta pensavo fosse lui, ma…”
“Si,
Marinette, ne sono sicuro” L’interruppe sciogliendo
quella posa ed alzandosi.
Non
sapeva che dire o cosa fare “Te la senti di affrontarlo?”
“L’ho
già fatto” La sua espressione cambiò “…sono venuto
qui per prenderti gli orecchini”. La guardò negli occhi con aria fredda di
sfida e alla ragazza con i codini si gelò il sangue nelle vene.
Il
suo incubo stava diventando realtà, quello che aveva vissuto quando è andata
nel futuro stava diventando qualcosa di reale.
“Vuoi
i miei orecchini?” Gli chiese incredula.
“Si,
e combatterò per averli” Anche se non sapeva come avrebbe fatto, non poteva
trasformarsi in Chat Noir, mentre lei avrebbe potuto diventare Lady Bug in
qualsiasi momento ed avere la meglio su di lui.
“Non
serve. Te li darò…ma voglio solo sapere perché mi
stai voltando le spalle”.
“Marinette” Sussurrò Tikki.
Cercava
di fargli perdere tempo con l’intento di pensare ad una strategia
Adrien abbassò lo
sguardo, le doveva delle spiegazioni, ne aveva tutto il diritto.
“E’
per mia madre”. Il biondo si morse un labbro. “Papà la vuole riportare in
vita”.
“Cosa?”
La mora si rese conto che l’unico motivo per cui Gabriel Agreste aveva portato
scompiglio alla città di Pargi, era dettato da un
tentativo disperato di riportare indietro sua moglie.
“Mia
mamma si è ammalata a causa dell’utilizzo del miraculos
del Pavone danneggiato, e mio padre non se ne dà pace, pensa sia stata colpa
sua, e vuole rimediare”.
“Per
cosa li hanno utilizzati, a quale scopo?”
“Non
me lo ha detto” Adrien non riusciva a guardarla negli
occhi mentre le diceva quelle cose, era più facile darle le spalle e in pratica
è quello che aveva appena fatto anche con le parole.
Marinette gli mise una
mani sulla spalla “Adrien, le persone se ne vanno, e
lasciano dentro di noi un vuoto incolmabile, sta noi a trovare il modo per
sopperire questa mancanza. Capisco il desiderio di tuo padre, il tuo desiderio,
ma…” Ci fu silenzio per qualche secondo “…è sbagliato!” Sentenziò togliendogli la mano “Potresti
perdere molto di più, e non parlo di me”.
Adrien aveva messo in
conto anche questa possibilità.
“Potresti
perdere la vita tu. Occhio per occhio,
ricordi?”
“Non
m’importa” Strinse i pugni.
“Importa
a me, invece.” Alzò la voce “…come credi mi possa
sentire in questo momento?”
“Come
posso sentirmi io?” Domandò urlando.
“Uno
schifo, lo so” Lo disse in tono calmo.
“E
tu non mi faciliti il compito!”
“Ah,
sarei io, il problema?”
“Si!
Non mi aspettavo che mi avresti dato gli orecchini, pensavo…”
“Pensavi
che avrei deciso io per te?”
Adrien annuì.
“Mi
spiace, questa è la tua decisone”.
“Cosa
devo fare?” Le chiese guardandola per a prima volta negli occhi da quando aveva
varcato la soglia di casa sua.
A
Marinette si seccò improvvisamente la gola, quello
sguardo, lo aveva già visto.
“Salvami” Un grido disperato suonava
nella sua mente.
Gli
si avvicinò e gli prese le mani dentro le sue “L’unica cosa sensata da fare, chaton”.
“Qual
è?”
Gli
sorrise “Lo sai già, non serve che te ne dia conferma”.
“Questa
storia deve finire”.
“Fammi
solo dire due parole in privato a Tikki”.
Adrien acconsentì
senza obiettare.
*
Marinette si spostò nel
bagno adiacente e una preoccupata kwami rossa a pois
neri iniziò a svolazzare nervosamente davanti il suo volto.
“Sei
sicura che farà la cosa giusta? Stiamo pur sempre parlando di sua madre”.
“Mi
fido di lui, Tikki” Si appoggiò al lavandino e si
guardò allo specchio, dove vide il suo riflesso, e si chiese se era giusto
lasciarlo da solo in quel momento, se non avesse avuto bisogno del suo
supporto, di una parola per farlo desistere ad aiutare suo padre nel suo piano.
No,
Adrien doveva capire da solo cos’era giusto da fare,
lei più di tanto non avrebbe potuto aiutare.
“Allora
se ti fidi tu, mi fido anch’io”
*
“Tieni”
Marinette levò gli orecchini, li mise dentro la
scatolina rossa e glieli porse.
Esitò
qualche secondo prima di prenderla, la guardò negli occhi, la sua espressione
avvilita e affranta diceva tutto “Spero che questo non cambi le cose tra noi”.
Lo
baciò, sperando di potergli trasmettere tutto il suo amore e il suo sostegno.
“Ti
amo, Adrien” Gli disse, ma suonò come un grido
disperato, e lui questo lo capì.
“Ti
amo anch’io, Marinette”. Prese la scatola con le mani
che gli tremavano.
“Adrien!” Lo fermò, e lui senza indugiare un attimo si voltò
a guardarla “Fai la cosa giusta”.
Gabriel
Agreste, stava aspettando il ritorno del figlio in cima le scale, davanti al
dipinto che lo ritraeva insieme a lui, in uno dei giorni più brutti della sua
vita, perché lo tenesse lì e soprattutto del perché si erano fatti ritrarre in
una circostanza simile, rimarrà per sempre un mistero.
Sperava
un giorno, di sostituire quel quadro un po’ tetro, con qualcosa di più allegro,
magari con un nuovo ritratto di famiglia.
Non
si era nemmeno preso la briga di poter inventare una storia per i media, quando
Emilie sarebbe ritornata nel mondo dei vivi, ci
avrebbe pensato a tempo debito, nel caso in cui, con il desiderio non sarebbe
stato possibile cancellare nella mente di tutti, che la signora Agreste, era
scomparsa prematuramente.
Alla
berlina grigia, furono aperte le porte del cancello principale ed il gorilla
aveva parcheggiato davanti la scalinata, come era solito fare.
Durante
il tragitto da casa di Marinette alla sua, aveva
parlato molto con Tikki, ma non di quello che stava
per fare, le aveva chiesto che le parlasse di lei, di farsi ripetere quanto la
sua ragazza era speciale e sapeva sempre qual era la cosa giusta da fare, al
contrario di lui.
Quando
varcarono il cancello, chiuse la scatolina, salutando la piccola kwami, ma non prima di avergli ricordato che per Marinette era il partner migliore che potesse chiedere.
Salì
le scale velocemente, e raggiunse suo padre, a cui tremavano le mani, perché
pregustava già la vittoria, finalmente dopo mesi e mesi di lotte continue,
sarebbe riuscito a realizzare il suo desiderio e presto, Emilie
sarebbe ritornata al suo fianco, non curandosi di cosa avrebbe sicuramente
perso, o forse in quel momento era così preso da altro, che non gli era passato
nemmeno per la testa.
“Te
li ha dati?” Chiese con voce tremolante.
“Certo,
non ha battuto ciglio. Come hai detto tu papà, lei mi ama, e farebbe di tutto
per aiutarmi e rendermi felice” Lo disse in una maniera tale, che sembrava di
averla raggirata, era un bravo attore, bisognava dargliene atto, una qualità
ereditata dalla madre.
“Lo
sapevo”.
“Ricordati
la promessa: non le torcerai un capello”.
“Non
ho mai voluto fare del male a nessuno, se è questo che intendi, per chi mi hai
preso?”.
“Scusami,
non volevo offenderti o mancarti di rispetto”. Volse lo sguardo altrove.
“Dammeli”
Lo stilista allungò la mano per prendere la scatolina.
“Voglio
esprimere io il desiderio di riportare indietro la mamma”.
“Va
bene, come preferisci, non fa nessuna differenza”.
*
Arrivarono
alla cripta dov’era nascosto il corpo di Emilie, e
dove prontamente era stato allestito un leggio con il grimorio
aperto alla pagina della formula magica.
Accanto
l’anello della distruzione adagiato su un cuscino di velluto viola scuro.
Adrien deglutì
rumorosamente, sperando che il suo piano potesse funzionare, anche se al
momento, sembrava di si.
“Questa
è la formula magica che dovrai pronunciare dopo che ti sarai trasformato e
unito i due kwami” Gabriel indicò la frase, era già
stata trascritta nel modo corretto e come doveva essere pronunciata.
“ESTOI
CAV IRTU SEMPER AMITU” poi sarebbe seguito il desiderio.
Adrien indossò sia gli
orecchini della coccinella, sia l’anello che era solito portare, davanti a lui
si materializzarono Plagg e Tikki.
“Che
cosa stai facendo, moccioso?” Per la prima volta il kwami
nero era terrorizzato, ma ci pensò Tikki a calmarlo.
“Lui
sa quello che è giusto fare”.
“Volete
smetterla voi due?” Tuonò lo stilista incontro a quei due esserini,
non aveva mai sopportato quei fastidiosi insetti, come era sua abitudine chiamarli,
infatti, Nooro era solito a rilegarlo in una scatola,
oltre al fatto che non voleva che scappasse mentre lui era distratto da impegni
di lavoro.
“Si,
si, un gran casino, ecco quello che stava facendo” Plagg
non poteva essere a conoscenza del suo piano, ed era meglio trasformarsi
subito, prima che mandasse tutto a monte “Plagg,
trasformami”. Lo disse non con la solita esultanza, ma in maniera smorta, quasi
forzata.
Gabriel
venne colpito da una luce verde e sorrise con un ghigno soddisfatto.
“Ora
unisci i due miraculous” Gli ordinò.
“Plagg, Tikki: unitevi” Un potere
immenso sentiva crescere dentro di se, diede uno sguardo al libro davanti e in
un batter d’occhio riuscì a leggere e tradurre quegli ideogrammi.
“Ci
siamo, ci siamo. Ora leggi la formula”
Adrien si sentì
mancare.
L’aria
attorno a se si era fatta rarefatta e pesante, rendendo difficile il respirare.
Ansimò
e si trattenne il petto, gli sembrava che il cuore gli scoppiasse e che volesse
uscire dal suo sterno.
Gabriel
accorse a soccorrerlo “Ti avevo detto che lo avrei fatto io” gli disse
adagiandolo per terra per tenerlo tra le braccia, se avesse perso anche lui per
colpa dell’utilizzo dei Miraculous, non se lo sarebbe
mai perdonato.
Era
morto già una volta, quando Emilie lo aveva lasciato,
non poteva permettersi di restare senza il suo unico figlio, che amava così
tanto.
“Papà…” Sussurrò con voce flebile e ansimante “…posso farcela” Cercò di alzarsi a fatica e suo padre lo
aiutò a farlo sorreggendolo sulle spalle.
“Per
la mamma”.
“Per
la mamma” Ripetè suo padre guardandolo negli occhi
sorridendogli.
*
Gabriel
lo lasciò andare, e lo vide barcollare fino al leggio, dal quale si trattenne.
Sentì
il potere accrescere dentro di se, non appena le sue dita sfiorarono quel
libro.
Ansimò
di nuovo e volse lo sguardo al corpo di sua madre.
Tutti
i ricordi che aveva di lei, scorrevano veloci nella sua mente, come le due
lacrime che gli erano appena uscite dagli occhi.
Quando
gli faceva il bagno, si metteva a giocare con lui su quel tappeto di gomma
colorato, l’ultimo Natale trascorso e quel regalo che custodisce ancora
gelosamente sul fondo l’armadio, odiava quel maglione con la renna, ma ora
aveva capito che era prezioso e lo avrebbe conservato con gran cura.
Il
suo sorriso, così simile al suo, Marinette glielo
faceva sempre notare.
Le
lezioni di piano e la sua espressione affranta quando non riusciva a mettere
insieme più accordi, ma la sua mano c’era sempre per guidarlo e fargli fare la
cosa giusta.
Ed
infine il giorno più triste, il suo addio.
Si
stava ripetendo e questa volta per sempre, pensava che averlo già vissuto una
volta, gli avrebbe dato la forza per compiere quel gesto senza esitazione.
“Fa la cosa giusta” Non era la voce di Marinette quella che sentiva, ma quella di sua madre.
“Adrien, ti amerò per sempre, lasciami andare” Suonava come una
supplica, un grido disperato di una persona che non ce la fa più a vivere così,
con quel peso sulle spalle.
Perché
di questo si trattava.
Se
Emilie non fosse morta, Gabriel non avrebbe mai e poi
mai scatenato il caos a Parigi, era soltanto colpa sua se suo marito si
comportava così, trascurando il loro unico figlio, che adesso più che mai,
aveva bisogno di lui al suo fianco.
“Sta vicino a tuo padre, e perdonalo, come ho
già fatto io”.
“Mamma”
Adrien chiuse gli occhi e pianse di nuovo.
“Fallo,
figliolo. Leggi la formula” Gli ordinò imperativo.
“Perdonami,
papà” Sospirò affranto, era la decisone giusta, l’unica cosa che rimaneva da
fare.
Invocò
poi il potere del cataclisma e appoggiò la sua mano destra sulla capsula “Ciao,
mamma”.
Il
feretro iniziò a sgretolarsi in tanti piccoli pezzettini neri, fino a
raggiungere il corpo senza vita di Emilie.
Adrien non ebbe il
coraggio di guardare, mentre compiva quel gesto, copiose lacrime gli stavano
rigando il volto.
“Nooo” Urlava disperato Gabriel e cercava di rimettere
insieme le macerie provocate dal suo attacco.
“Perché
lo hai fatto? Perché? Avremo potuto essere una famiglia”.
“Non
lo saremo mai stati. Sicuramente avrei perso io la mia vita, e questo mamma non
lo avrebbe mai permesso” Il suo anello iniziò a suonare, tra pochi minuti
sarebbe ritornato ad essere Adrien.
“Plagg, Tikki: dividetevi”
Pronunciò.
“Hai
fatto la cosa giusta, Adrien” Sospirò la kwami rossa che andò a posarsi sulla sua mano..
Si
avvicinò a suo padre e gli intimò di consegnarli i due miraculous,
il posto giusto sarebbe stato nella Miracle Box
insieme agli altri.
Non
obiettò, ormai il suo sogno si era sgretolato insieme a quel feretro.
Chat
Noir gli diede le spalle ed iniziò a camminare “Ora potrà riposare in pace,
dalle una degna sepoltura, questa volta”.
“Quando
torni, lo faremo insieme”.
Si
voltò di scatto “L’ho già seppellita una volta mia madre e mi è bastata. Questa
sarà la tua punizione. E non è detto che torni, ti odio papà, per quello che
hai fatto a lei, e per quello che hai fatto a me”.
Un
suono prolungato e un bagliore verde lo avvolse, era ritornato Adrien e Plagg svolazzò accanto
al suo padrone.
“Eh…eh…formaggio” Sospirò mezzo addormentato, fu Tikki ad andargli in soccorso e porgergli una fetta di
camembert.
“Mi
dispiace, figliolo. Io, io non volevo andasse a finire così”
“Però
eri disposto a tutto per il tuo scopo” Il sangue gli ribolliva nelle vene e
sebbene fosse suo padre, lo avrebbe preso volentieri a pugni in faccia.
“Anche
a sacrificarmi!” Ruggì ingrossando la voce, avvicinando una mano chiusa a
pugno, proprio vicino al suo volto.
Era
vero, ma in quel momento non se n’era reso conto, avrebbe potuto perdere lui,
la persona più preziosa al mondo.
Gabriel
abbassò lo sguardo ed iniziò a piangere.
Adrien rilassò la mano
e gli diede le spalle, per quanto in quel momento lo avrebbe voluto vedere
marcire in galera, non riusciva a vedere la sua disperazione, non quella finta
che aveva esternato durante i funerali di Emilie, quella
vera ed autentica che stava manifestando in quel momento.
La
consapevolezza di aver perduto sua moglie per sempre, suo figlio, e che per le
sue azioni, per la prima volta il mondo che aveva costruito attorno a lui, era
crollato come un fragile castello di sabbia, lasciandolo solo a raccogliere i
pezzi.
“Mi
costituirò” Era ancora in ginocchio davanti i resti della moglie.
“Come
se questo servisse ad aggiustare le cose”.
“E
allora che dovrei fare? Sentiamo!”
“La
tua punizione sarà più brutta, papà”
Lo
stilista spalancò gli occhi.
“Dovrai
vivere con la consapevolezza che io non ti amerò più come prima, che per me non
sarai più un esempio da seguire, che per me, sei morto oggi”. Tuonò.
Aveva
ragione, era una condanna peggiore della galera, avrebbe dovuto vivere ogni
giorno con quello sguardo che lo continuava a fissare come se lo volesse
trafiggere con mille lame.
“Torna,
ti prego!”
“Non
puoi sperare che le cose si aggiustino da un giorno per l’altro.”
“E’-e’
vero” Balbettò “Ma tu sei la persona più importante, e non posso perderti”.
“Cinque
minuti fa, te ne sbattevi altamente le palle, di me, volevi solo lei. Come hai
fatto in questi ultimi anni. Da quando mamma è morta, non mi hai più
considerato, mi hai rilegato in una prigione e messo sotto una campana di
vetro, e per proteggermi da cosa? Eh papà? Mi proteggevi da te stesso, e non
dai pericoli che ci son fuori da quella porta”.
“Ti
ho tenuto al sicuro, non volevo farti correre alcun pericolo quando agivo”.
“E
questa la chiami giustificazione? Dovevi solo parlarmi del tuo sporco piano,
prima di metterlo in atto, e non dopo.” Seguì qualche secondo di silenzio “Mi
dispiace, papà, ma non me la sento di restare”.
“Dimmi
almeno dove vai!” Gli Agreste non avevano parenti a Parigi, erano tutti sparsi
tra Londra e New York, non poteva permettersi di lasciare vagare per quelle
strade suo figlio, da solo e disperato, avrebbe sicuramente compiuto un insano
gesto.
“Non
lo so” Scosse la testa.
“Andrai
da lei?”
Adrien non rispose, si
limitò a guardarlo per l’ultima volta e ad incamminarsi verso l’uscita.
Marinette
osservava il cielo plumbeo, e l’umidità dell’aria le aveva bagnato leggermente
i capelli.
Continuava
a chiedersi se aveva fatto bene a dare il miraculous della coccinella ad
Adrien, non che non si fidasse di lui, questo era chiaro, ma magari suo padre
era riuscito ad aggirarlo in qualche maniera e a farselo consegnare.
Da
quanto appreso dal suo ragazzo, teneva in ostaggio Plagg, ed aveva sostituito
l’anello che era solito a portare, con un falso, solo per non destare sospetti
nella mora.
Osservava
l’orizzonte, in direzione della casa di Adrien, sia aspettava di sentire da un
momento all’altro un forte boato, o una luce accecante che si stagliava alta
fino allo spazio, o un terremoto, o un uragano, oppure, forse, aveva visto
troppi film catastrofici ultimante.
E
se sarebbe apparsa Bunnix?
Questo
forse, sarebbe stata la cosa peggiore, come avrebbe fatto a sistemare tutto
come la volta scorsa, se era spoglia dei suoi poteri?
Non
voleva riviere ancora quell’incubo, e peccato che le coccinelle magiche, non le
avessero cancellato la memoria e rimosso quel ricordo.
Ecco
forse era successo proprio questo, e non era stata una stupida firma su un
pacchetto regalo, a causare quasi la fine del mondo.
Si
portò le mani sui capelli e abbassò la testa, non le veniva nemmeno da
piangere, troppe emozioni, troppe responsabilità, e la consapevolezza di aver
fallito, di non essere stata in grado di assolvere il compito, per il quale,
Maestro Fu, aveva rinunciato in suo favore.
Si
chiedeva, se il vecchio, avesse scelto bene il suo successore e soprattutto se
fosse stato lucido e consapevole, che mettere tutto nelle mani di una sedicenne
e all’apparenza inesperta, non si fosse rivelata la cosa giusta.
“Ho
sbagliato tutto!” Grugnì battendo i pugni sulla fredda ringhiera metallica,
facendola vibrare leggermente.
“E
se Adrien morisse?” Stava per svenire per lo shock, forse avrebbe fatto prima a
puntargli una pistola alla testa, avrebbe sofferto meno e non se ne sarebbe
nemmeno accorto.
Ma
così, gli ha servito la sua fine, su di un piatto d’argento.
La
cosa più brutta per Marinette, fu quella di essere consapevole di avere le mani
legate, che non avrebbe potuto fare più niente per il suo Adrien, ora il
destino del mondo, dipendeva a da lui.
Sapeva
che avrebbe fatto la scelta giusta, o almeno lo sperava.
Sperava
di non essersi sbagliata sul suo conto.
Sperava
che con quel gesto di dimostrargli che in lui riponeva la più totale fiducia.
Sperava
che questo avrebbe rafforzato ancora di più il loro rapporto.
Sperava
che dopo fosse tutto finito.
Sperava, Marinette.
Quello
sguardo quando gli aveva affidato Tikki, non lo dimenticherà mai.
Avvilito,
affranto, abbattuto, addolorato e distrutto dal dolore dopo aver scoperto che
la persona che avrebbe dovuto proteggerlo da tutti i mali del mondo, era
proprio quello che stava combattendo da mesi, e in più ora la stava tradendo, l’aveva
privata della possibilità di aiutarlo, spogliandola dei suoi poteri.
Sospirò
ed entrò in casa.
*
Affondò
sul divano, dopo aver attraversato più volte la casa, e per ingannare l’attesa,
aveva provato a fare un dolce, la calmava sempre nei momenti più ansiosi.
Tirò
fuori una confezione già aperta di farina dalla credenza, e la gettò addossò al
muro con rabbia e con una forza tale, da farla esplodere.
Si
accasciò a terra in ginocchio ed iniziò a piangere.
“E’
tutto finito” Le disse una voce alle sue spalle.
Si
voltò di scatto, lui era lì, in piedi con la sua tuta in spandex nera, doveva
essere entrato dalla finestra aperta del soggiorno, perché non aveva sentito nessuno
bussare.
“C-chat
Noir” Sussurrò a mezze labbra andandogli incontro per abbracciarlo.
Ricambiò
stringendola forte, ne aveva bisogno, aveva bisogno di lei, l’unica persona in
grado di capirlo.
Si
impossessò delle sue labbra, le bramava, le desiderava con ardore.
Marinette
si accorse subito che qualcosa era cambiato in lui, non erano i soliti baci
pieni di passione, ma erano baci ricolmi di rabbia e risentimento.
Faceva
male.
Dove
Adrien volesse arrivare, lo capì molto presto, quando si gettarono sul divano e
lui iniziò a spogliarla e a toccarla, o per meglio dire, a graffiarla.
Marinette
non voleva questo, o meglio, lo avrebbe voluto, ma non così, non in quel modo.
“Mi
fai male” Gli sussurrò all’orecchio mentre lui si strusciava contro di lei.
Sembrava
non aver sentito quel lamento, quella supplica, forse alle sue orecchie sembrò
un invito a continuare.
La
ragazza sperava si rinsavisse in qualche maniera, che il non essere ricambiato,
lo facesse desistere dal suo scopo.
Nulla,
non servì a niente nemmeno quello.
Solo
quando Chat Noir, tentò di abbassarle le mutandine, Marinette gli diede una
spinta e lo gettò per terra.
Non
sapeva che dire o cosa fare, stava combinando l’ennesimo disastro, stava
mandando a puttane il suo rapporto con l’unica persona che era stato in grado
di capirlo.
“Scusa”
Riuscì a dire prima di sciogliere la trasformazione e rintanarsi in un angolo
come un gatto randagio, che era appena stato preso a bastonate.
Marinette
gli si avvicinò in modo calmo e premuroso e lo strinse forte a se, e fu in quel
momento che sentì il suo braccio nudo bagnarsi.
“Ho
paura a chiedertelo” Sospirò.
“E’
finita”.
“Questo
lo hai già detto”.
Adrien
si alzò e guardò la ragazza, era seminuda e con entrambe la braccia graffiate e
sanguinanti.
Avvilito
e colpevole di quello che era appena successo, le diede le spalle “Devo andare,
scusami”.
“Andare?
Dove?”. Chiese interrogativa, non sapeva cos’era successo, e ne aveva tutto il
sacrosanto diritto di sapere cos’era appena accaduto a casa sua, a sua madre, a
suo padre, insomma a tutto.
Voleva
una spiegazione e la pretendeva ora, non gli avrebbe dato la possibilità di
andarsene da lì.
“Questi
sono tuoi” Gli lanciò la scatolina contenente gli orecchini con non curanza,
che Marinette prese al volo, seguiti dai miraculous del pavone e della farfalla.
“Adrien!”
Esclamò alzandosi “Ti ordino di dirmi subito cos’è successo! Te lo chiedo come
guardiana dei miraculous e non come Marinette”.
“Hai
i miraculous, no? Cosa vuoi ancora?”
Marinette
spalancò la bocca, da quando aveva iniziato a parlarle così? E soprattutto perché?
Non
le stava dando la possibilità di aiutarlo, e questo la feriva.
In
quel momento aveva innalzato un muro alto e invalicabile, contenendo tutto il
suo dolore e la delusione, doveva riuscire a buttarlo giù in qualche maniera.
Lei
era pur sempre Lady Bug, lei non si arrende mai.
Si
avvicinò a lui e lo strinse da dietro, accarezzandogli il petto, fino ad
arrivare al suo cuore che batteva all’impazzata.
“Ti
amo” Gli disse, cercando un modo per farlo parlare.
“Come
puoi amare un mostro?” Le chiese spostandole le mani.
“Un
mostro?” Fece di rimando incredula a cosa aveva appena sentito.
“Guarda
cosa ti ho fatto” Le indicò i graffi e riferendosi ad averla quasi costretta a
fare una cosa che non voleva.
“Un
po’ di cotone e acqua ossigenata e passa tutto”.
“Magari
si potesse dire la stessa cosa per mia madre e mio padre”.
Marinette
deglutì “Me-me ne vuoi parlare?”.
Negò
con il capo.
“Senti,
Adrien. Io ci sarò sempre per te, e quando vorrai raccontarmi tutto, io sarò
qui ad ascoltarti”. Gli stampò un tenero bacio sulla fronte, e lui si sentì
morire, perché se fosse stata un’altra ragazza, lo avrebbe cacciato a calci nel
sedere, senza voler sentire ragioni, ma lei no, era perfetta, l’amica a cui
avresti potuto raccontare i tuoi segreti più oscuri, la fidanzata impeccabile,
insomma, lei era semplicemente Marinette. “E stanotte tu resti qui”.
Era
riuscita a capire che a villa Agreste, non avrebbe messo piede per un po’, non
sapeva se avesse un altro posto, un’altra proprietà dove andare, nel dubbio,
meglio averlo sotto lo stesso tetto, non gli aveva chiesto di farsi consegnare
l’anello, (nemmeno lo voleva), e se in un raptus avesse scatenato il suo
potere, dio solo sa cosa avrebbe potuto distruggere, e questo non lo poteva
permettere.
*
Marinette
aveva avvertito sua madre Sabine, che Adrien si sarebbe fermato a dormire da
lei, le aveva raccontato che aveva avuto un brutto litigio con il padre, non si
sa mai che fossero rincasati prima del previsto e trovarsi un’ospite inatteso
in casa, di sesso opposto, avrebbe potuto far fraintendere la situazione, anche
perché nessuno sapeva che lei e Adrien stavano insieme.
Sabine,
non avrebbe detto nulla a Tom, meglio non farlo viaggiare troppo con la
fantasia, e soprattutto, sapere un ragazzo a casa sua, con sua figlia, non lo
avrebbe fatto dormire la notte, e forse, avrebbe anticipato il ritorno a casa.
Aveva
accettato, a patto che dormisse nella stanza degli ospiti, ed è quello che
fece.
Adrien
rimase taciturno per tutta la serata, non volle toccare cibo, se lo avesse
fatto, sicuramente lo avrebbe rigurgitato subito, e non perché non credeva alle
abilità culinarie della sua ragazza, ma solo perché aveva lo stomaco ancora
pieno di rabbia e malinconia.
“I-io
vado a letto. S-se ti serve qualcosa, vienimi pure a chiamare. F-fa come se
fossi a casa tua” Balbettò prima di chiudersi in camera, chiedendosi se stava
facendo la cosa giusta a lasciarlo da solo, forse sarebbe stato meglio se
avessero dormito assieme.
*
Si
buttò sul letto e cercò di chiudere gli occhi, ma il non sapere cosa fosse
accadutoe soprattutto il suo essere
così silenzioso, non faceva ben sperare.
“Marinette,
fai quello che sente il tuo cuore, Adrien ha un disperato bisogno di te in
questo momento” Le disse dopo averla sentita rigirarsi nel letto per l’ennesima
volta.
Guardò
l’orologio, era quasi mezzanotte, si alzò per andare a bere un bicchiere
d’acqua, che come al solito, aveva dimenticato di portarlo in camera.
Lo
trovò in piedi di fronte la finestra, mentre sul suo volto era appena scomparsa
la luce di un paio di fanali, di un’auto che era passata di lì.
Sembrava
una figura inanimata.
“Non
riesci a dormire?” Le disse sentendola vicino.
“In
realtà sono scesa a prendere un bicchiere d’acqua, ho sete”. Rispose
dirigendosi verso il frigorifero.
“Ah!
Quindi non sei venuta a controllare se ero ancora qui” Disse sornione.
“No,
però…” Trangugiò dell’acqua “…è vero, non riesco a chiudere occhio”.
Non
accesero la luce, bastava la luna alta nel cielo ad illuminare i loro volti.
“Mi
dispiace, per prima, non so cosa mi sia preso” Si scusò per l’ennesima volta,
non voleva fare quello che aveva fatto, ma era accecato dall’odio e dalle
miriade di sensazioni che in quel momento lo stavano attraversando, che non si
era reso conto, che stava facendo del male all’unica persona che gli era sempre
stata vicino.
“Vieni”.
Lo prese per la mano, conducendolo in camera sua.
Marinette
lo abbracciò ed iniziò a baciarlo, sperando di potergli fare scaricare un po’
di tensione accumulata, e di liberare la mente dai fatti accaduti quel
pomeriggio.
Si
sdraiarono sul letto, continuando ad accarezzarsi e baciarsi, finchè non ne
ebbero abbastanza, si addormentarono mentre Adrien le accarezzava i capelli e
Marinette intrecciava le mani alle sue.
*
Continua
*
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti e
buona domenica! Innanzitutto volevo ringraziarvi come sempre per leggere questa
mia storia, siete sempre in tanti anche ad inserirla tra i preferiti, le
seguite e le ricordate.
Grazie davvero!
Spero con questo
capitolo di non aver esagerato, ho provato più volte ad immaginarmi la scena, e
sempre andavo a parare lì.
Mi sono
immaginata che Adrien, dopo aver compiuto il gesto nel capitolo precedente,
doveva essere abbastanza frustrato e in qualche modo, sfogare questa rabbia,
purtroppo è capitata su Marinette, ma lei, è riuscita a capirlo, anche se
ancora in attesa di sapere da lui quanto è successo.
Vi aspetto nel
prossimo capitolo, e se vorrete, aspetto di sapere cosa ne pensate.
I
primi raggi solari, andarono a posarsi sul suo viso, facendole fare una smorfia
di disappunto e costringendola a voltarsi dalla parte opposta.
Aprì
leggermente un occhio per assicurarsi che Adrien fosse ancora in quel letto, lo
trovò ancora addormentato che le rivolgeva la schiena.
Cercò
di essere più silenziosa possibile, ma l’agilità di un gatto e la sua
delicatezza nello scendere dalla scala, era una dote che non le apparteneva.
Trattenne
anche il respiro, perché non voleva svegliare il suo ospite, dormiva ancora
beatamente e un altro po’ di riposo gli avrebbe senz’altro giovato.
Ringraziò
il cielo di non essersi rotta una caviglia, dopo lo scivolone che aveva
rischiato di fare, per fortuna i suoi riflessi l’avevano aiutata ad attaccarsi
alla ringhiera.
Volse
uno sguardo al letto, Adrien non si era mosso di un millimetro, ma non poteva
dire che non si fosse svegliato.
Maledetto
bisogno fisiologico, e soprattutto lo stomaco stava brontolando, era dalla
mattina del giorno precedente che non metteva niente sotto i denti.
Ora
che si era un po’ rilassata, l’esile corpo chiedeva il suo nutrimento.
Volse
uno sguardo fugace all’orologio da parete che aveva in soggiorno e in bella
vista su un mobile, le lancette segnavano le otto e trentaquattro.
Per
fortuna era sabato, e non c’era scuola, altrimenti sarebbe stata in ritardo,
anzi, stati in ritardo.
Imburrò
delle fette di pane, chiedendo mentalmente perdono ad Adrien per non averlo
aspettato, ma sentiva che se non avesse buttato giù qualcosa nell’immediato,
sarebbe svenuta, forse avrebbe battuto la testa sullo spigolo del tavolo,
avrebbe perso i sensi o peggio sarebbe potuta morire e Adrien l’avrebbe trovata
così, priva di vita sulla sua abitazione, e forse l’avrebbero accusato della
sua morte.
“Anche
noi abbiamo fame” A distoglierla da quei pensieri, arrivarono due esserini, uno
nero ed uno rosso a svolazzare davanti ai suoi occhi.
Marinette
sorridendo, porse ai due kwami un pezzo di pane appena sfornato.
“ahhhhhh,
che buon profumo…ci vorrebbe del camembert” Sospirò Plagg.
“Di
prima mattina tu mangi formaggio?”
“No
formaggio, Camambert” Sottolineò, chiamarlo formaggio sarebbe stato
irrispettoso e riduttivo “…del buono e succulento Camambert”. Sognò ad occhi aperti.
“In
frigo dovrei avere qualcosa” Disse Marinette alzandosi.
“Non
ti ha insegnato nessuno le buone maniere, Plagg?” Domandò Adrien comparendo
sulle scale sbadigliando, indossando il pigiama a tema natalizio che Marinette
aveva pescato nel cesto dei regali che custodiva gelosamente in camera sua.
“Io
sono il signore della distruzione, esigo rispetto”.
“Ma
stai zitto, egocentrico che non sei altro” Incalzò Tikki.
“Suvvia
zuccherino, non c’è bisogno di
rimproverarmi”.
“Zuccherino!” Esclamarono entrambi gli
umani guardandosi e scoppiando a ridere.
“Plagg!!!”
Grugnì il kwami rosso visibilmente imbarazzato, che se non fosse già stato per
quel colorito, lo sarebbe diventata.
Marinette
passò del pane con della marmellata di fragole fatta in casa ad Adrien, dopo
che aveva preso posto accanto a lei sulla tavola.
“Grazie”
Fu un boccone amaro da buttare giù, nonostante fosse tutto talmente dolce e
squisito.
“Adrien…”
“Lo
so, dobbiamo parlare” La interruppe in tono rassegnato.
“Non
voglio farti fretta, prenditi tutto il tempo che vuoi, ma…”
“Beh,
mio padre non chiamerà la polizia per cercarmi, a meno che non lo faccia per
costituirsi”.
La
corvina tirò un sospiro di sollievo, Gabriel non era morto, anche se doveva
ammettere che le era balenata in testa l’idea, che Chat Noir avesse usato il
cataclisma contro di lui.
“Vuole
costituirsi?” A Marinette cadde sulla tavola il coltello sporco di marmellata,
imbrattando la tovaglia.
Adrien
fece spallucce “Non lo so, e non m’importa”.
La
mora gli mise una mano sopra la sua “Adrien, non dire così. Capisco che sei
arrabbiato per quello che è successo, ma…”.
“Non
c’è giustificazione per quello che ha fatto, si è comportato da egoista. E io
non posso perdonarlo” Si alzò dalla tavola “…almeno, non ora!”. Si chiuse in
bagno ed aprì l’acqua, ora aveva bisogno di una doccia rilassante, non era
ancora pronto a raccontare alla sua ragazza quella brutta disavventura.
E
l’immagine del corpo di sua madre che si sgretolava sotto il suo tocco, lo
faceva ancora rabbrividire.
Per
quanto si stesse auto convincendo che ormai Emilie, non c’era più da quasi due
anni, gli aveva fatto uno strano effetto, come se fosse stato lui l’artefice
della sua scomparsa, come se fosse morta per mano sua.
Gettò
la testa sotto il getto bollente dell’acqua, sperando di poter bruciare nella
sua mente quel ricordo.
*
“Ti
va di fare due passi” Gli chiese dopo aver rassettato la casa, in giro c’erano
ancora i suoi abiti, stoviglie sporche nel lavandino e soprattutto circa mezzo
kilo di farina sparsa tra il pavimento e il muro, e sua madre fosse tornata e
avesse visto la casa ridotta in quello stato pietoso, era sicura che non
sarebbe uscita di lì per minimo una settimana.
Adrien
sospirò, non ne aveva voglia, ma sicuramente lei aveva bisogno di una boccata
d’aria fresca, ed avrebbe fatto di tutto per accontentarla, si sentiva ancora
terribilmente in colpa per quello che aveva tentato di fare il giorno prima,
che cosa gli fosse preso, rimaneva tutt’ora un mistero.
“Va
bene” Annuì, anche se non sapeva come vestirsi, visto che non aveva portato
praticamente nulla con sé, se n’era andato da casa sua di fretta e furia, senza
pensare ad una meta precisa, senza pensare che non sarebbe rincasato per un pò.
Aveva
bisogno di sbollire la rabbia, aveva bisogno di una persona fidata accantoe che
avesse sempre una parola giusta al momento giusto, in poche parole aveva
bisogno della sua lady, della sua Marinette.
Per
questo, con la scusa di restituirle i miraculous del pavone e della farfalla,
si era diretto verso casa sua, sapeva che non lo avrebbe lasciato vagare per le
strade di Parigi da solo, e suo padre si immaginava la stessa cosa.
E
Gabriel per esserne sicuro, si era diretto verso la pasticceria dei Dupain
quella sera stessa, e fu là, che fermandosi sotto la finestra con la berlina
grigia, vide suo figlio nel riflesso della vetrata.
Marinette
non perse tempo e gli porse dei vestiti puliti, sempre pescati dal solito
baule.
“Tu
mi devi spiegare un po’ di cose signorinella”.
“Uffa…”
Protestò battendo i piedi come una bambina piccola “…preferivi i vestiti di mio
padre?”
Sorrise
immaginandosi i vestiti di Tom, di quattro taglie minimo più grandi avvolgerlo
come un tendone da circo, gli sarebbero mancati una parrucca riccioluta dei
colori dell’arcobaleno e un naso rosso, poi sarebbe stato un pagliaccio
perfetto. “No, grazie”. Ma niente escludeva che custodisse anche dei simili
travestimenti in camera sua.
Una
cosa comunque che si sarebbe trovata a spiegare invece ad Alya, molto presto,
sarebbe stata quella di dirle del perché Adrien si era stabilito da lei.
Il
biondo, rispondendo ad un messaggio di Nino, che gli chiedeva come mai non
stesse giocando on line al loro videogioco preferito, aveva detto di essere a
casa di Marinette perché aveva avuto un brutto litigio con il padre.
Sicuramente,
lunedì, si sarebbero trovati i loro sguardi inquisitori puntati addosso come
fucili davanti ad un plotone di esecuzione, anzi, Marinette si stava
meravigliando, che Alya non fosse piombata a casa sua, o che la stesse
tartassando di telefonate.
I
due, presero i due sacchi dell’immondizia che erano stati lasciati apposti
fuori dalla porta, e s’incamminarono verso una destinazione ignota, assieme a
Tikki e Plagg, dentro la borsetta di Marinette.
*
Camminavano
ormai fianco a fianco da quasi un quarto d’ora su e giù per quelle strade,
arrivando davanti l’ingresso principale della loro scuola, ancora dieci minuti
di cammino e sarebbero arrivati a Villa Agreste.
Adrien
si fermò di colpo “Che dici, ci fermiamo al fast food dietro l’angolo?” Chiese.
Marinette
fece spallucce assecondandolo, era mezzogiorno passato, e non erano certo
bastate due fette di pane a placarle il vuoto nello stomaco.
L’odore
di fritto e di carne alla brace le invase le narici, non era solita ingozzarsi
di schifezze, e nemmeno i biondo, il quale doveva sottostare ad un
alimentazione rigida e controllata, se voleva mantenere una forma perfetta e un
fisico che avrebbe fatto svenire mezzo popolo femminile parigino, uno di
questi, era Marinette.
Anche
se la sua intenzione, non era quello di fare il modello per sempre, ma una
volta laureato, avrebbe sicuramente preso in mano lui, la parte amministrativa
della Casa di Moda, questa almeno era l’intenzione iniziale, ora il suo futuro
lo vedeva annebbiato e non più nitido come prima.
Sperava
solo di non stare male dopo aver mangiato quel sacchetto di patatine e quel
doppio hamburger.
Lo
finì a fatica e con una smorfia di disgusto.
“Si
vede che non sei abituato a certi tipi di cibo”. Lo schernì Marinette,
spiluccando una patatina fritta.
“Volevo
sperimentare cose nuove”. L’ultimo morso fu il più difficile.
“Vuoi
forse dirmi che non hai mai mangiato in questo posto?” Chiese sorpresa.
Lui
scosse la testa affranto.
Quante
cose gli aveva negato suo padre fino a quel momento.
“Quando
pensi di ritornare a casa?” Chiese andando subito al sodo, non prediligeva
certo troppo giri di parole, e vedendo che Adrien era abbastanza taciturno,
sicuramente ne avrebbe approfittato per rimandare quella conversazione.
Ma
se voleva stare meglio e se quello che cercava era il suo aiuto, avrebbe fatto
bene a parlargli subito.
“Non
so se ho voglia di tornarci, sapermi sotto lo stesso tetto con lui…mi fa
rivoltare lo stomaco” Disgustato, gettò una patatina sul vassoio verde, in
segno di disprezzo.
Marinette
gli prese una mano “E’ tuo padre” Glielo disse in tono amorevole e come per
fargli intendere che gli restava solo lui.
“Non
immagini cosa ha fatto”.
“Se
non me lo dici, non lo potrò mai sapere”.
“Ha
tenuto mia madre sotto una teca di vetro per tutto questo tempo, nei
sotterranei di casa nostra”.
Marinette
si coprì la bocca per lo stupore, questo dettaglio era stato omesso.
“E
io…” Strinse i pugni dalla rabbia mentre sentiva gli occhi pizzicare “…l’ho
distrutta con il cataclisma” Tuonò volgendole un’occhiata triste e infuriata
allo stesso tempo “…perché non volevo avesse un motivo per fare ancora del male”.
“Adrien”
Sibilò prendendogli la mano “…non sai quanto mi dispiace, non è giusto che tu
abbia passato tutto questo”.
No,
non lo era.
Non
era giusto che avesse perso sua madre così presto ed improvvisamente.
Non
era giusto che suo padre, per riaverla, avesse causato tanto caos alla città.
Non
era giusto che lui avesse perso sua madre una seconda volta.
Non
era giusto che avesse perso anche suo padre.
Non
era giusto che Marinette dovesse vivere anche le sue pene.
Non
era giusto.
*
Si
alzarono dalla loro postazione per spostarsi su una panchina al bordo della
Senna, dove avrebbero potuto parlare lontano da occhi indiscreti.
“Non
è giusto che ti faccia carico anche dei miei problemi, Marinette”. Adrien aveva
appena gettato un sassolino dentro il fiume.
La
ragazza gli sorrise amorevolmente e con una mano accompagnò il suo sguardo
verso il suo “Siamo una coppia, ci aiutiamo a vicenda. Io e te contro il mondo,
ricordi?”.
Rilesse
circa una decina di volte quel messaggio, per assicurarsi di averne compreso
bene il testo, e soprattutto da chi poteva essere stato spedito.
Era
anonimo, le chiedeva se fosse disponibile ad incontrarlo al parco dietro la
scuola alle quattro, sapeva che Adrien, avrebbe avuto lezione di scherma, e che
fino alle cinque sarebbe stato impegnato in palestra, quindi di conseguenza,
lei sarebbe stata disponibile se solo lo avesse voluto.
Nascose
il telefono giusto in tempo prima che Adrien la raggiungesse sulla panchina
della scuola, con in mano il sacchetto che conteneva il pranzo di entrambi, con
lui anche Nino ed Alya, un gesto che non sfuggì di certo all’amica.
“Chi
ti ha scritto? Hai una faccia?” Chiese assottigliando gli occhi.
“Mia
nonna, le hanno ritardato il volo ed è molto arrabbiata” Inventò.
“Facciamo
qualcosa oggi tutti e quattro?” Domandò Nino addentando il panino al sesamo
imbottito di bresaola e insalata.
Adrien
sospirò “Ho lezione di scherma oggi, però se volete possiamo fare domani, che
dite?”
“Sarebbe
perfetto” Disse entusiasta Alya per poi guardare la sua amica “…ci sei anche tu
vero?”
“Dove
volete che vada?”
“Certo,
ora abitate insieme” Le lanciò un’occhiata complice, non aveva ancora avuto
modo di parlare con Marinette, sapeva solo che Adrien, dopo una litigata con
suo padre, aveva cercato conforto nella sua amica, e che questo abbia fatto si
che i due si riavvicinassero? Che avesse capito che essere solo amici, non fosse
una buona idea?
Questi
dubbi che l’assalivano, la stava logorando dentro, ma per quieto vivere, aveva
deciso di tacere, anche se significava uno sforzo non indifferente.
Per
fortuna c’era Nino che la sopportava e la supportava, era stato proprio a causa
di quest’ultimo che stava tenendo a freno la lingua e ingoiando rospi su rospi
solo per rispettare la loro privacy.
Erano
sicuri che ben presto avrebbero scoperto le carte in tavola, rivelando che
infondo stavano insieme.
Solo
che non riusciva ancora a capire il motivo per il quale si fossero lasciato
qualche settimana fa, eppure sembravano molto affiatati, a tal punto a volte,
di finire le frasi dell’altro.
“Quando
tornerai a casa? E’ chiaro che non potrai stare sempre da Marinette, a meno che
non progettate di andare a vivere insieme”.
La
mora si stava quasi per strozzare con un pezzo di prosciutto cotto “Nino!”
Esclamò cogliendola di sorpresa, quella sarebbe stata un’uscita degna di Alya,
ma si vede che lo stare insieme a lei, lo stava influenzando, e di parecchio.
“Non
lo so amico, e non ne voglio parlare, scusami” Si alzò prima che potesse dire
qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito poco dopo, ma non riguardante i
suoi amici, ma qualcosa che aveva a che fare con suo padre.
Marinette
lo raggiunse dopo aver assicurato ai suoi amici, che ci avrebbe pensato lei, e
detto a Nino di non rammaricarsi.
“Quella
non me la racconta giusta…non sembra comportarsi come solo un’amica”. Imitò con
l’indice e il medio di entrambe le mani le virgolette.
“Dici?”
“Ne
sono sicura”.
*
Con
grande stupore dell’uomo, Marinette si era presentata all’appuntamento e in
perfetto orario, cosa che apprezzò, la puntualità era tutto per lui, sia in
ambito lavorativo che in quello personale, anche se si trattava di una ragazza
di sedici anni.
“Ciao,
Marinette, grazie p…”. Si alzò per aiutarla a sedersi, da bravo galantuomo qual
era.
“Si
risparmi i convenevoli, sono qui solo per Adrien”. Si accomodò accanto a lui,
mantenendo una certa distanza, e non solo a parole.
“Te
ne sono grato”.
“Arrivi
al punto”.
Per
quanto odiava ammettere, ma quella ragazza gli piaceva, forte e decisa, le
ricordava la sua Emilie, ed è per questo che suo figlio stravedeva per lei.
“Voglio
che mio figlio ritorni a casa” Suonò come una supplica.
La
mora increspò un labbro “Glielo sto ripetendo da giorni”.
“Però
non mi troverà”. La interruppe prima che potesse continuare a parlare.
Marinette
sobbalzò a quelle parole e chiese spiegazioni.
“Ho
già predisposto un tutore che si prenderà cura di lui finchè non sarà
maggiorenne ed erediterà tutti i nostri averi, purtroppo qui non abbiamo
parenti, e i più vicini sono a Londra, ma non voglio privare mio figlio dei
suoi amici più cari e di te”. La guardò quando pronunciò quell’ultima parola.
“Lei
cosa farà?” Chiese preoccupata mordendosi le unghie della mano.
“Farò
quello che è giusto, marcirò in galera. Dopo che ti avrò salutata, andrò a
costituirmi e lo farà anche Nathalie”.
A
Marinette si strinse il cuore, quell’uomo amava suo figlio più di qualsiasi
altra cosa al mondo e voleva solo il suo bene, abbassò lo sguardo e torturò i
pantaloni di jeans all’altezza delle ginocchia.
Non
poteva permettere che Adrien soffrisse ancora, non avrebbe sopportato il fatto
che suo padre fosse finito in prigione solo per dargli una vita migliore.
Aveva
già perso sua madre, e sarebbe stata dura per lui vivere anche senza suo padre.
“No,
non lo deve fare” Balbettò.
“E’
la cosa giusta, per tutto il male che ho causato a mio figlio, a te e alla
città di Parigi”.
“Signor
Agreste, sono sicura che lei non è una cattiva persona, e capisco perché lo ha
fatto”.
“Chiamami
Gabriel” La corresse facendole dono di quella confidenza, che solo a Nathalie
aveva accordato.
“Gabriel…”
Lo accontentò parlando lentamente per quella confidenza che gli aveva concesso
“…Adrien non merita di soffrire ancora e ha bisogno di suo padre accanto”.
“Non
mi perdonerà mai per quello che ho fatto, per quello che ha dovuto sopportare
per causa mia, me ne sono reso conto solo ora”.
“Ha..hai”
Si corresse “…provato a contattarlo?” Sapeva che se lo avrebbe fatto, Marinette
ne sarebbe ci certo stata informata, ma quella domanda era d’obbligo.
Lo
stilista scosse la testa “Preferisco non farlo, e sarai tu a dirgli di cosa
abbiamo parlato”.
Marinette
inarcò un sopracciglio mentre le saliva il nervoso “No, no, no e poi no. Mi
puoi chiedere tutto, ma non posso comunicare ad Adrien che suo padre non ha
avuto il coraggio di dirgli addio”.
Aveva
ragione, maledettamente ragione, questo compito non spettava di certo a lei.
“Ha
detto che per lui sono morto”
“Mi
dispiace, ma…” Non sapeva come avrebbe continuato quella frase, quando la
interruppe.
“Amavo
sua madre più di qualsiasi cosa al mondo, è stata l’unico amore della mia vita.
C’eravamo incontrati al liceo, ed è stato come amore a prima vista, anche se il
nostro rapporto non è stato facile all’inizio, lei mi rifilava spesso un due di
picche senza tanti complimenti” A Marinette sembrò di aver già vissuto tutto
questo, con l’unica differenza che del suo futuro, non conosceva niente.
“…perderla
in quel modo è stato un duro colpo, soprattutto perché è stata colpa mia”.
“Com’è
successo?” Chiese timidamente.
“Adrien
non te lo ha detto?” Fece eco lui.
Lei
scosse la testa “Ho sempre volutamente evitare l’argomento”.
“Si
ammalò gravemente a causa dell’utilizzo del miraculos del pavone”.
“Come?
Fanno ammalare?” Se fosse così, anche lei ed Adrien sarebbero in pericolo di
vita.
“No,
no. Solo se sono danneggiati, e quello lo era, li avevamo trovati quando
eravamo stati in Tibet”.
“A
che cosa vi servivano i miraculous?”
Gabriel
si massaggiò gli occhi “Li avevamo trovati per caso durante un’escursione prima
di sposarci, io ero alla ricerca di stoffe per la mia collezionee…eravamo giovani e stupidi”
Marinette
lo invitò a continuare il racconto.
“…abbiamo
cominciato a trasformarci per gioco, ci sembrava tutto così innocente, non
facevamo del male a nessuno. All’inizio ero catturato dai costumi, incuriosito
dal materiale, dalle loro rifiniture, mi serviva un modo per trarre ispirazione
per le mie creazioni”.
“Quindi
la storia che mi aveva raccontato quando le ho restituito il Grimorio era
vera”.
“Si
esatto” Gabriel si sistemò gli occhiali sul naso “Poi, un giorno fu troppo
tardi per tornare indietro”.
Il
cellulare di Marinette iniziò a suonare, segno che la lezione di scherma
sarebbe finita tra un po’, spense l’allarme con un solo gesto.
“Devo
andare, tra un po’ Adrien uscirà dalla palestra”. Si alzò in piedi e si sistemò
la borsetta sulla spallina.
“Si,
certo, ti ho già rubato fin troppo tempo”.
“Non
mi hai rubato proprio niente, se non avessi voluto, non sarei venuta.” Poi si
fermò a guardarlo prima di andarsene “Per la cronaca, sono stata qui nelle
vesti di Marinette e non in quelle di…si…insomma, tu sai chi”.
“Lo
sospettavo che eri tu, e ti ringrazio”. Ancora quello sguardo triste, quello di
un padre che crede morto un figlio, non sopportava vederlo dipinto sul suo
volto, figuriamoci in quello di Adrien.
Deglutì,
e già si stava pentendo di quello che stava per dire “Non andartene, aspetta
qui. Farò fare una deviazione a tuo figlio, così avrete modo di parlare”.
L’euforia
del momento, mista a preoccupazione, fece desistere il suo mentore ad
abbracciarla scoppiando a piangere, finalmente avrebbe rivisto il suo Adrien,
come avrebbe reagito non gli importava, ma solo la consapevolezza di sapere che
lo avrebbe potuto anche solo dirgli un banalissimo ciao, si sentì lo stomaco in subbuglio, come se stesse andando al
suo primo appuntamento.
*
Marinette
lo aspettava infondo la scalinata, seduta sull’ultimo scalino con i gomiti
appoggiati alle ginocchia e le mani chiuse a pugno a schiacciarle le guance.
“E’
da molto che i aspetti?” Le chiese sedendosi accanto a lei, dopo che i due
hanno salutato Kagami.
“No,
ho finito in tempo delle commissioni, altrimenti questa sera non avremo cenato”
Si alzò e si pulì la parte dietro dei pantaloni “…andiamo?” Chiese porgendogli
la mano.
“Andiamo”
Disse in tono rassegnato, no che gli dispiacesse stare da Marinette, anzi in
quei giorni lo aveva aiutato tanto dandogli modo di sfogare la sua rabbia e
frustrazione, ma doveva trovare presto un’altra sistemazione, non poteva
approfittare ancora della sua gentilezza e disponibilità, anche perché i suoi
genitori sarebbero presto tornati dall’Italia.
Marinette
gli fece fare una deviazione per il parco, con la scusa di godersi quegli
ultimi raggi solari della giornata e il sole che stava lasciando Parigi.
Adrien
si fermò di colpo quando vide suo padre seduto da solo su quella panchina, con
la faccia da cane bastonato.
“Forse
è meglio che torniamo indietro” Disse, ma Marinette gli si parò davanti.
“Va
da lui, è tuo padre”.
“Cosa?
Ti sei messa d’accordo con lui? Alle mie spalle?” Chiese furibondo sentendosi
preso in giro.
“Adrien!
Lei non c’entra, sono stato io, ti prego, ascoltami” Gabriel corse in aiuto
della ragazza che si stava addossando una colpa che non aveva.
“Non
voglio stare qui a sentire altre assurdità” Scansò Marinette con delicatezza,
ma venne bloccato per un polso dal padre.
“Cinque
minuti, non chiedo altro”.
Adrien
guardò la sua ragazza che lo supplicava con lo sguardo di starlo a sentire, che
per lei era importante.
“Va
bene” Disse in tono rassegnato e allo stesso modo offeso.
Marinette
disse al biondo che lo avrebbe aspettato a casa, e dopo avergli stampato un
tenero bacio sulla guancia, si defilò, lasciando padre e figlio da soli a
parlare.
*
Adrien
se n’ era appena andato e a Gabriel non restò altro che vederlo sparire dietro
l’angolo che aveva appena girato, si sentiva più leggero e più sereno dopo
quella conversazione.
“Sto
ancora aspettando i tuoi ordini” Una voce familiare dietro di lui, gli stava
parlando, nascosta da una quercia.
Sapeva
di chi si trattava, non si girò per non darle soddisfazioni.
“Non
ho più bisogno di te”. La liquidò senza tanti complimenti, ora aveva altre cose
a cui pensare, e non a una ragazzina repressa e in cerca di attenzioni.
Si
alzò e s’incamminò nella direzione opposta a quella di Adrien, l’autista lo
avrebbe aspettato nel luogo prestabilito.
Lila
Rossi digrignò i denti, era appena stata usata e gettata via come un sacco per
la spazzatura.
“Stai
pur certo, che sentirai ancora parlare di me Gabriel Agreste, so cosa nascondi
e cosa hai fatto…la vendetta è un piatto che va servito freddo”. Grugnì in un
sibilo.
Adrien
suonò il campanello della casa di Marinette.
“Entra”
Le disse chiudendo la porta dietro di lui e ritornando sul bancone della
cucina, dove il bollitore dell’acqua stava fischiando, avvertendola che il
liquido era pronto per essere versato.
Marinette
aveva i crampi nel basso ventre e un buon tè era quello che ci voleva per
placarli.
“Vuoi?”
Gli disse porgendogli una tazza.
“Grazie”
Rispose sospirando.
La
corvina stava attendendo che le raccontasse com’era andato quell’incontro.
Gabriel
gli aveva chiesto cinque minuti, ma erano passate quasi due ore da quando li
aveva lasciati, e ormai non aveva speranza che il ragazzo sarebbe rincasato la
sera.
“Allora?”
Si decise a chiedere mentre si sedeva accanto a lui con la tazza fumante tra le
mani, ne sorseggiò un po’, ma il tè era bollente e la costrinse ad una smorfia
di leggera sofferenza, meglio aspettare un altro po’ che raggiungesse la
temperatura giusta, non voleva rischiare di ustionarsi la gola e lo stomaco.
“Torno
a casa” Sospirò poco convinto “…ho deciso di dargli una seconda occasione, ne
ha il diritto, ma non so se funzionerà…”.
“Funzionerà,
vedrai” Lo interruppe mettendogli una mano sopra la sua.
“Dici
che sto facendo la cosa giusta?” Cercò un segno di approvazione.
“E’
tuo padre, e lui desidera solo starti accanto, di recuperare il tempo che avete
in qualche modo perso”.
“Si,
però…io non voglio più soffrire a causa sua, si è comportato da egoista e
questo ha incrinato il nostro rapporto, non so se sarà recuperabile”.
“Stai
soffrendo, e lo capisco, non posso nemmeno immaginare come ti senti, ma questa
settimana che abbiamo passato insieme, ho avvertito tutto il tuo dolore, e il
fatto di essergli stato lontano per tutto questo tempo, gli avrà fatto
sicuramente capire che dovrà parlare di più con te, e di non agire più alle tue
spalle.
Sei
importante per lui, Adrien, e se ha fatto quello che ha fatto, era solo perché
era un uomo disperato che non riusciva ad accettare la perdita della moglie,
avrei fatto la stessa cosa”.
“Lo
stai forse giustificando?”
“No,
ti sto solo facendo capire che per amore e disperazione, si farebbe di tutto.
Non posso nemmeno immaginare come potrei sentirmi se dovessi perderti, morirei
dentro”.
“Forse
hai ragione, ma questo non cambia il fatto che abbia causato tanto male, che
abbia messo in pericolo suo figlio e te, Milady”.
Marinette
sospirò increspando le labbra in un sorriso, era da tanto che non la chiamava
così, e doveva ammettere che le aveva fatto uno strano effetto, facendole
riscaldare il cuore, più di quanto non stesse facendo quel tè in quel momento.
“Senti,
io non sono in grado di cambiare il passato e nemmeno tu, possiamo solo
guardare al futuro con altri occhi, non dico di dimenticare perché sarebbe
impossibile e nemmeno giusto, ma possiamo cercare di mettere da parte il
risentimento per dare una seconda occasione alle persone”.
Adrien
le accarezzò il volto, e lei le poggiò la testa chiudendo gli occhi, facendosi
cullare da quella sensazione di calore che le stava trasmettendo.
“Cosa
farei senza di te” le sussurrò avvicinando il volto al suo.
“Ti
amo, Adrien”.
“Ti
amo anch’io, Marinette” La baciò delicatamente le labbra morbide. “Che si fa
ora?” Era chiaro che con Papillon fuori dai giochi, avrebbero potuto appendere
al chiodo le loro vesti da supereroi.
“Non
ho intenzione di rinunciare a Tikki”.
“Nemmeno
io lo voglio fare con Plagg”.
Nel
frattempo, i due kwami che stavano ascoltando la conversazione da dietro una
tenda, poterono tirare un sospiro di sollievo, non erano ancora pronti a
separarsi da loro.
I
due ragazzi si guardarono complici dopo aver notato il tessuto muoversi, così
alzarono di proposito il volume della conversazione.
“A
chi potrà mai raccontare quanto ti amo?” Sospirò, ho bisogno di qualcuno con
cui confidarmi.
“E
io a chi darei tutto quel formaggio puzzolente? Lo dovrei buttare e sarebbe un
peccato”.
Plagg
uscì dal nascondiglio e gli volò davanti al viso, sovrapponendosi a quello di
Marinette “Eh no, moccioso! Il mio Camembert non si tocca, se lo farai dovrai
vedertela con me” Alzò il musetto in segno di offesa.
“Come
se mi facessi paura” Assottigliò gli occhi e spostò poi il kwami con la mano
“…mi blocchi la visuale”.
Adrien
prese il volto di Marinette tra le mani traendolo a sé, e la baciò di nuovo,
prima delicatamente, poi aumentando la foga.
La
desiderava, e niente al mondo avrebbe interrotto quell’incontro.
Marinette
si fece trasportare dal momento, non riusciva a staccare le labbra dalle sue,
nemmeno ricordava l’ultima volta che l’aveva baciata in quel modo, così
delicato, così con riverenza.
Quando
si sdraiarono sul divano uno sopra l’altro, i due kwami decisero di levare le
tende e di lasciarli soli, non era il caso di assistere ad una cosa così
personale ed intima.
Plagg
con la zampetta azionò l’interruttore, spegnendo la luce artificiale e facendo
calare la penombra, poi raggiunse Tikki nell’altra stanza.
Rimasero
in quella posizione un tempo indefinito e nessuno dei due aveva l’intenzione di
separarsi, si desideravano troppo.
Mentre
la mani di Marinette gli accarezzavano la schiena sopra la maglietta verde,
quelle di Adrien le attraversavano tutto il corpo sotto la canotta, non gli
bastava più immaginare cosa avesse sotto i vestiti, anche se quella fase era
già stata abbondantemente sorpassata, ora voleva passare all’azione, e sentiva
che quello era il momento giusto.
Accarezzò
l’addome e salì fino a raggiungere il seno, trovandolo più sodo e gonfio del
solito, appoggiò la mano massaggiandoli entrambi con delicatezza, facendola
sospirare di piacere.
Poi
scese di nuovo verso la pancia, e mentre le apriva i bottoni dei jeans,
Marinette si ricordò di colpo di un particolare.
“No!”
Esclamò scansandolo, facendolo balzare seduto sul divano dalla parte opposta.
Si
sentiva un verme per non aver capito che non lo voleva, per aver sbagliato
sicuramente qualcosa “S-scusami, non volevo, è che…”
“Non
è colpa tua” Le disse abbassando lo sguardo avvampando di colpo “è che…è che…è
quel periodo del mese” Buttò fuori d’un fiato, sperando di non aver urlato
troppo.
Lui
scoppiò a ridere.
“Ti
sembra divertente?” Chiese acida.
“Si,
il Maestro Fu ci aveva visto giusto, solo io potevo essere il portatore del
miraculous della sfortuna”. Continuò a ridere a crepapelle, contagiando anche
lei, facendole dimenticare l’imbarazzo iniziale.
“Beh!
Non è detto che non dobbiamo fare proprio niente, niente” Gli si avvicinò
pericolosamente facendo aderire la schiena sulla seduta e lei di lato.
Non
sapeva nemmeno lei come avrebbe potuto agire, ma si lasciò trasportare
dall’istinto.
Per
prima cosa continuò a baciarlo e a percorrere con la mano libera tutto il suo
corpo fino ad arrivare all’orlo dei pantaloni.
“Milady…cosa…”
Sussurrò sulle labbra.
“Sta
zitto chaton…adesso mi devi guidare
tu”.
*
Era
passata circa una settimana da quando Adrien era ritornato a vivere con il
padre, e le cose sembravano andare meglio del previsto.
Nessuno
dei due aveva ancora toccato l’argomento, e questo sembrava averli avvicinati
di più.
Gabriel
sembrava più indulgente nei suoi confronti, lo faceva uscire di più con i suoi
amici e con la sua ragazza, impegni lavorativi permettendo, e comunque seguiva
sempre le lezioni di scherma e di cinese, ma ad Adrien poco importava, era
sempre stato ligio al dovere, quello che gli interessava era uscire di più di
casa per godersi la sua adolescenza come tutti i suoi coetanei.
La
sveglia trillò qualche secondo, prima che la mano del biondo la fermasse
uscendo da sotto le lenzuolo.
“Finalmente,
mi stavano scoppiando i timpani” Si lamentò il kwami nero tappandosi le
orecchie.
Adrien
di tutta risposta gli tirò dietro il cuscino, mugugnando qualcosa di
incomprensibile.
“Dai
alzati, non vorrai far aspettare codini?”
“Adesso
lo faccio” Sospirò sedendosi sul bordo del letto e prendendo sul comodino il
cellulare per assicurarsi di essere in orario.
Vi
trovò un messaggio di Marinette che gli augurava il buongiorno, a cui rispose
con un sorriso aggiungendo anche dell’altro, poi si avviò verso il bagno per
sbrigare un bisogno fisiologico e l’igiene mattutina.
Una
volta ritornato in camera, vi trovò già il letto rassettato e un cambio d’abiti
adagiati sul servo muto.
Incredibile
come la domestica sapesse il momento esatto per entrare, a volte credeva che
dormisse proprio sotto il suo letto, diede un’occhiata per sicurezza.
Prese
la tracolla e lasciò la sua camera per andare a fare colazione, dove vi trovò
già suo padre con il giornale in mano, pronto ad aggiornarsi su cosa stava
succedendo a Parigi.
Si
soffermò su un trafiletto in particolare, dove si parlava di Papillon, un
articolo frivolo, dove i parigini si chiedevano che fine avesse fatto.
Lo
chiuse e con non curanza lo piegò appoggiandolo sul tavolo, per poi prendere il
bicchiere di succo d’arancia e trangugiarlo.
“Buongiorno,
papà” Adrien si accomodò accanto a lui ed addentò una brioche vuota.
“Buongiorno,
figliolo”.
Nathalie
entrò nella stanza con perfetto tempismo “L’auto è pronta a partire”.
“Aspettiamo
che Adrien finisca la colazione, poi lo accompagneremo a scuola e andremo alla
Casa di Moda”.
Il
biondo quasi si strozzò “Vai in ufficio?”.
“Si”
Affermò in tono mellifluo “…è ora di riprendere le vecchie abitudini”.
Ad
Adrien mancò un battito dalla felicità, sembrava veramente che suo padre stesse
cambiando, per lui, per loro, per ritrovare quella normalità che tanto
desiderava.
“Mamma
sarebbe fiera di te” Gli disse con occhi lucidi.
“Lo
so”.
“Papà”
Lo richiamò mentre si stava alzando “…grazie”.
Gabriel
gli si avvicinò e lo abbracciò come non aveva mai fatto “Grazie a te per avermi
concesso una seconda occasione”.
*
Marinette
si accingeva a mettere piede sul primo scalino, quando si sentì chiamare da
Adrien.
“Sei
in ritardo!” Lo rimbeccò scherzando.
“Lo
so, scusami. Mio padre ha voluto accompagnarmi prima di andare in ufficio”.
“Ufficio?”
Fece di rimando “Ha ripreso ad andare in ufficio”.
“Sembrerebbe
di si”. Fece spallucce.
“Come
stanno andando le cose tra voi?”
“E’
presto per dirlo, ma non posso lamentarmi”.
“Vedrai
che andrà sempre meglio”.
E
cogliendola di sorpresa, Adrien la baciò, non curandosi del fatto che non
avevano ancora detto ai loro migliori amici, che stavano insieme, che tutta la
scuola li credeva solo amici, che non
avevano ancora accordato il momento per farlo.
Gli
andava di sentirla vicino, di assaporarla, perché era tutto merito suo se le
cose nella sua famiglia stavano prendendo una piega diversa, lei era proprio la
degna portatrice del miraculous della creazione.
“Ma
che diavolo sta succede qui?” La domanda in tono furibondo di Alya li fece
staccare e sgranare gli occhi.
“Cosa?
Che siete fatti l’uno per l’altra? O che non vi siete mai lasciati?” Chiese
scoppiando a ridere.
“Lo
sapevi?” Sgranò gli occhi Adrien.
“Eravate
certi forse di fregarmi? So cogliere i segnali e quegli inequivocabili sguardi,
e credetemi, quelli che vi scambiavate voi, non erano del tutto innocenti”.
Spiegò con fare saccente.
“Grazie
per essere usciti allo scoperto, non ne potevo più delle sue indagini” Sospirò
rassegnato il ragazzo occhialuto.
“Nino!!”
Lo richiamò la sua ragazza infastidita.
*
“Appoggerai
questa relazione, Gabriel?” Chiese curiosa Nathalie mentre dallo specchietto
osservava la scena.
“Quei
due sono fatti l’uno per l’altra”.
*
FINE
(seconda parte)
*
Angolo dell’autrice: Ciao a tutti, e grazie mille per essere arrivati
fino a qui, chi ha letto e ha lasciato un segno del suo passaggio, ma anche chi
ha seguito la storia in totale anonimato ed ha inserito la storia tra le
PREFERITE,SEGUITE e RICORDATE, siete tantissimi e il numero aumenta sempre.
Un
ringraziamento particolare va a summerlover , grazie
mille per tutti i consigli che mi hai dato e per essere sempre presente sotto
ogni capitolo.
Io ho cercato
con questa storia e con BEST FRIENDS, di inserire tutto quello che mi
piacerebbe vedere nella quarta e quinta stagione, spero di aver azzeccato
qualcosa XD.
E comunque non è
finta qui, perché oltre alla terza parte, tra qualche giorno pubblicherò un
capitolo bonus, quindi seguitemi ancora J
Ormai
Marinette ed Adrien erano usciti allo scoperto anche con i genitori di lei.
Era
stata la stessa ragazza a parlare apertamente con Tom e Sabine della relazione
con il coetaneo, cosa che aveva fatto illuminare gli occhi dell’uomo.
Entusiasmo
frenato subito dalla moglie, la quale le ricordò un vecchio episodio successo
qualche mese prima, che per colpa di una delusione, e a causa di aver
affrettato troppo i tempi, lo stesso Tom era stato akumizzato mal interpretando
una situazione con Chat Noir.
“E’
stato quel gattaccio da strapazzo! Per fortuna Adrien è diverso, sono sicuro
che non deluderà mai la mia Marinette”.
Di
tutta risposta, la ragazza fece una smorfia rassegnata, suo padre non poteva
sapere che in realtà Adrien vestiva i panni del super eroe di Parigi.
“Tom,
porti ancora rancore?” Gli chiese Sabinementre lo aiutava con l’impasto di una torta.
“Chi
fa del male a Marinette, non merita la mia comprensione”. E prendendo un
coltello abbastanza grande e affilato, da fare invidia anche ad un macellaio,
tagliò con un colpo secco il filone appena sfornato.
“Io
vado” Disse Marinette imbarazzata girando i tacchi.
“Dove
tesoro?” Le chiese amorevolmente sua madre notando lo zaino di scuola sulle
spalle.
“Da
Adrien, studiamo insieme oggi” Le stampò un fugace bacio sulla guancia, e senza
darle il tempo di approfondire, si defilò, lasciandosi dietro di se, il
tintinnio della campanella appesa sopra la posta della pasticceria.
Sabine
sospirò sperando che sua figlia fosse grande abbastanza e con la testa ben
attaccata alle spalle.
Qualche
giorno fa, le due donne di Tom, si erano messe parlare e tra una confidenza e
l’altra, la più vecchia le aveva chiesto se per caso lei e Adrien, fossero
andati più in là del semplice bacio.
Dopo
un imbarazzo iniziale della più giovane che si sentì morire e mancare la terra
sotto i piedi, balbettò un “no”, il
che era vero.
Marinette
e Adrien, non avevano ancora compiuto il grande passo, non perché non si
sentissero pronti, ma semplicemente perché ogni volta c’era qualche imprevisto
che li faceva desistere: un attacco akuma, il ciclo puntuale, chiamate
improvvise dei rispettivi genitori.
Però
non mancavano mai carezze più spinte e baci più audaci a mettere un po’ di pepe
in quella relazione.
Di
tutta risposta, Sabine, aveva obbligato sua figlia ad una visita dalla sua
specialista, a cui avrebbe potuto rivolgere tutti i suoi dubbi in merito e per
proteggersi, nel caso succedesse, non era stupida, e aveva avuto anche lei
diciassette anni ed un ragazzo che amava molto.
*
Adrien
aspettava Marinette a casa sua in trepidante attesa, non vedeva l’ora di averla
accanto a se, le mancava molto, anche si erano salutati solo un paio d’ore prima
all’uscita della scuola.
Anche
Adrien ricevette da parte di suo padre lo stesso discorso, ma il loro, fu piuttosto
imbarazzante.
Lo
stilista se ne era uscito alla fine con una frase tipo “Noi Agreste siamo persone molto virili”, facendo strabuzzare gli
occhi al biondo che lo guardò con riluttanza.
“L’importante
è usare sempre una protezione”.
“Papà
ti prego” Si era portato le mani dentro i capelli abbassando la testa più che
poteva, quasi a volerla nascondere come una tartaruga.
“Non
prendere sotto gamba quello che ti dico, è importante…si insomma, per non
avere…spiacevoli…si…ehm…mi hai capito”. Era la prima volta che vedeva suo padre
arrossire e annaspare cercando le parole giuste, e non pensava ne fosse capace.
“Dobbiamo
proprio parlare di questo?” Al biondo gli era passata la fame e cercava un pretesto
per defilarsi in camera sua.
“E’
importante che come genitore ti spieghi certe cose”. Era serio.
“Papà…non
ho intenzione di avere dei figli, o per lo meno non adesso, s’intende”. Deglutì
rumorosamente sperando che quella conversazione finisse al più presto.
“Si,
certo.” Gabriel continuava a consumare il suo pasto maledicendosi per aver
iniziato un argomento del genere, ma doveva fargli quel discorso, era arrivato
il momento, anzi, si stava chiedendo se suo figlio non gli stesse mentendo al
riguardo.
Gli
aveva detto di non aver ancora fatto quel passo, e si stava chiedendo che cosa
glielo avesse impedito, del resto Marinette era una ragazza molto bella.
“Comunque
se ti serve qualche consiglio…” Per quanto lo stilista volesse troncare quella
conversazione, non riusciva a non parlarne.
Adrien
fece cadere una posata a terra per l’imbarazzo.
Cioè,
suo padre gli voleva dare dei consigli?
“Scusa,
devo andare a studiare” Si alzò e uscì dalla stanza, ma poi tornò indietro, si
era dimenticato di digli qualcosa “Papà!” Richiamò la sua attenzione.
“Dimmi”.
“Farò
finta che questa conversazione non abbia mai avuto luogo, ma grazie”.
Gabriel
gli sorrise.
Nel
frattempo Nathalie aveva fatto il suo ingresso nella sala da pranzo, avvertendo
lo stilista che la macchina era pronta a partire.
Quel
pomeriggio sarebbe dovuto partire per un viaggio a Londra, toccata e fuga di
lavoro, o fuga d’amore, ancora non lo sapeva.
“Arrivo”
Le disse.
“Sei
stato bravo con Adrien” Si complimentò la donna, sempre impeccabile nel suo
comportamento.
“E’
stato piuttosto imbarazzante, credimi”.
“Adrien
è un ragazzo con la testa sulle spalle, non farà niente di stupido o
insensato”.
“Lo
so, per questo ho totale fiducia su di lui, su di loro”.
*
Marinette
suonò il campanello della Villa Agreste, nell’esatto momento che Gabriel uscì
dalla porta principale seguito dalla sua fidata assistente.
“Ciao,
Marinette. Vieni, Adrien ti sta aspettando” Suo figlio lo aveva avvisato che
quel pomeriggio avrebbe studiato con la sua ragazza, per questo si era sentito
in dovere di parlargli di una certa faccenda.
“Buongiorno,
Gabriel! Faccia buon viaggio” Lo salutò con riverenza.
“Quante
volte ti ho detto di darmi del tu?”.
“Hai
ragione, ma è più forte di me”. Spiegò arrossendo.
“Ah,
Marinette! Ho visto per caso l’album dei tuoi disegni, e devo dirti che sono
favolosi, certo da ritoccare, ma hai del talento complimenti”.
“Grazie
Gabriel, sei molto gentile”.
“Appena
torno dal viaggio dovremo parlare io e te. Non manca molto alla fine della
scuola, e di solito in quel periodo mi affiancano sempre qualche stagista,
quest’anno voglio sceglierla io, ti interessa?”.
Marinette
ebbe quasi un mancamento, il suo mentore le stava proponendo di lavorare fianco
a fianco a lui, per apprendere tutte le nobili arti del mestiere.
Con
quell’opportunità si sarebbe fatta presto un nome.
“Non
credere sia una passeggiata lavorare con lui. E’ piuttosto esigente”. Adrien
era appoggiato allo stipite delle porta ed aveva ascoltato tutto.
“Non
sarei dove son ora, se non pretendessi il massimo dai miei collaboratori”
Precisò sistemandosi gli occhiali sul naso “E comunque non voglio una risposta
subito, ne parleremo domani, Marinette”. Gabriel, Nathalie e il gorilla
salirono in macchina dopo averli salutati.
*
“Ci
pensi Adrien, lavorerò per tuo padre, è fantastico, un sogno che si avvera”
Marinette fantasticava sul suo futuro lavorativo mentre percorrevano il lungo
corridoio che li avrebbe condotti alla camera del biondo.
“Sono
felice per te, Marinette. E’ una bella opportunità”.
Lei
assottigliò gli occhi “Scommetto che c’è il tuo zampino”
“Il
mio? Ti sbagli” Deglutì nervosamente e mentendo spudoratamente.
“Ha
fatto accenno al mio album da disegno. Guarda caso da ieri non lo trovo più,
non è che per caso un certo gatto, si è intrufolato in camera mia, mentre mi
facevo la doccia e me lo ha sottratto?”
“Mmm…stavi
facendo la doccia? Se sapevo ti facevo compagnia” Sorrise malizioso.
“Avrei
urlato e a quel punto te la saresti dovuta vedere con mio padre. Sai…non ha
ancora dimenticato che Chat Noir ha spezzato il cuore della sua adorata figlia”
Recitò la parte della ragazza indifesa.
“Beh!
Insomma, non mi devo più presentare come Chat Noir, quindi caso chiuso”.
“Ti
avverto che tiene sempre una pentola grande e un coltello bello affilato
accanto”.
Adrien
deglutì di nuovo visibilmente preoccupato.
“Ok,
ok, ho capito, non verrò più da te sotto mentite spoglie. Ci tengo alla mia
pelle”.
“Bravo
micetto. Ora mettiamoci a fare questi compiti, prima che la signorina Bustier
ci rifili una nota”. Marinette dopo essersi seduta, tirò fuori dei libri e
qualche penna dal suo zaino.
Dopo
i compiti, si sarebbero dovuti incontrare con Alya e Nino per un gelato al
parco, ma il destino a volte sa essere beffardo e cambiare il corso degli
eventi.
Un
tuono squarciò il silenzio della stanza, facendo sobbalzare Marinette che ruppe
la punta della matita, facendola girare di scatto verso l’enorme vetrata.
“Oh
no! Sta piovendo” Sospirò “Mi sa niente gelato oggi”. Si rabbuiò.
“Beh!
Se è di gelato che hai voglia, ne dovrei avere in freezer”.
“Non
è per il gelato, è che sarebbe stata la nostra prima uscita a quattro”.
“Ci
saranno altre occasioni” Le mise una mano sopra la sua, e una scossa le
percorse la schiena.
“S-si
è vero”.
“Vado
un attimo al bagno, poi riprendiamo, ok?”.
“Va
bene” Gli disse alzandosi, aveva bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe e a
pensare ad altro che non fossero gli esercizi di francese.
Intanto
Plagg e Tikki, approfittando dell’assenza di Adrien e della pausa di Marinette,
iniziarono a ballare sopra i tasti del pianoforte, intonando una melodia.
La
corvina si sedette sulla panca osservando quei due sorridendo, e per giocare
con loro, schiacciò qualche tasto facendo finta di essere una pianista esperta,
quando in realtà stava sbagliando tutto.
“Oddio!
Mi sanguinano le orecchie” Disse Adrien uscendo dal bagno.
“Oh!
Eccolo, Monsieur Bizet”.
“Magari
avere solo la metà del suo talento”. Si sedette accanto a lei.
“Non
ti ho mai sentito suonare” Un sussurro che sembrò un’ invito.
“Basta
chiedere, Milady” Sistemò lo spartito anche se conosceva a memoria quegli
accordi, ma non era tempo di fare figuracce, avrebbe suonato per lei, per la
prima volta e la cosa lo agitava di non poco.
Lo
osservava attentamente mentre componeva quella melodia soave, mai sentita prima,
ma era qualcosa di dannatamente bella che sovrastava anche il rumore della
pioggia che batteva sulle lastre.
Le
dita si muovevano sinuose e in perfetta armonia, sembrava che l’agitazione
iniziale fosse sparita.
Anche
Plagg e Tikki seduti sopra la coda del pianoforte bianco, si lasciavano
trasportare da quel dolce canto.
“L’ho
chiamata La canzone di Marinette”
Disse quando ebbe finito.
Era
suo quell’arrangiamento, per questo non riusciva a ricordare di aver mai
ascoltato qualcosa di simile.
“L’hai
composta tu?” Chiese con gli occhi lucidi, mentre lo osservava annuire
abbassando la testa per la troppa vergogna.
“T-ti
piace?” Chiese timidamente.
Marinette
non rispose, ma lo baciò con trasporto.
“E’
la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me” Soprattutto se proveniva
dal suo cuore.
Un
altro tuono squarciò il silenzio e la pioggia iniziò a cadere più scrosciante.
L’estate
si stava avvicinando, quindi non era raro imbattersi in quei temporali
improvvisi.
Marinette
sentiva il bisogno di ringraziare Adrien per la bellissima dedica, anche se un
semplice grazie sarebbe risultato
poco adatto.
Le
iniziarono a tremare le mani, e le convulsioni si fermarono solo quando il
biondo la baciò. Non un semplice bacio innocente, ma un bacio peccaminoso e
ricco di passione, come solo lui sapeva fare.
Marinette
affondò le mani dentro i suoi capelli di seta, traendolo più verso di se,
finchè i loro petti non s’incontrarono. Incredibile come i loro cuori battevano
all’unisono e in perfetta sincronia.
Adrien
la aiutò a mettersi sopra di lui, incrociando le gambe dietro la sua schiena,
senza smettere di baciarsi, di assaggiarsi.
La
mora dovette trattenere un singulto quando sentì qualcosa di duro battere
contro la sua parte più bassa e una scossa le percorse la schiena fino ad
arrivare al cervello, facendole perdere ogni inibizione.
Il
biondo, trovando scomoda quella posizione che non gli permetteva di ammirare ed
accarezzare il corpo della sua amata, tranne che per il sedere e la schiena che
non smetteva di torturarle, si alzò con lei in braccio, senza fatica, la
palestra stava dando i suoi frutti, e la adagiò sul letto, senza interrompere
il contatto con le sue labbra.
Marinette
iniziò a togliergli la giacca e a farla finire da qualche parte sul pavimento,
dove ben presto la raggiunse la sua maglietta rosa e i jeans di entrambi.
Si
guardarono negli occhi per avere la certezza di poter continuare, nessuno dei
due proferì parola, continuando da dove si erano interrotti.
Adrien
le sfilò il reggiseno con un solo gesto e si beò della vista dei suoi seni
perfetti, sembravano essere fatti per le sue mani, impossibile non assaggiarli
per poi scendere sempre più in basso, delineando con la lingua un percorso
immaginario lungo il busto, lasciando dietro di se una scia infuocata.
“Se
vuoi mi fermo” Le disse a mezze labbra, non l’avrebbe costretta a fare qualcosa
di cui si sarebbe pentita.
“Se
ti fermi ti stacco la testa, chaton”
E questo ad Adrien bastò. Gli bastò per sfilarle le mutandine ed addentrarsi in
un posto in valicato, quasi a lui sconosciuto.
“A-drien”.
“Scusa”
Si fermò di colpo terminando quella piacevole tortura, ma lei lo aveva chiamato
non perché gli aveva fatto male, ma perché voleva di più, voleva sentirsi
completa, e lo avrebbe fatto solo se si fosse unito a lei.
“Non
fermarti”.
Il
biondo aveva preso dal cassetto una bustina d’argento che stava cercando
d’aprire, ma le mani gli sudavano e tremavano, Marinette si apprestò ad
aiutarlo prima di vederlo sbottare.
“Sono
un disastro” Soffiò affranto.
“Mamma
mia, ma come li chiudono sti cosi?” Anche lei faceva fatica ad aprire quella
barriera, che alla fine strappò con i denti.
“A
mali estremi, estremi rimedi” Sorrise per smorzare la tensione.
“Non
sei costretta…si insomma…” Balbettò lui.
“Se
me lo ripeti ancora mi farai credere che sei tu che non lo vuoi” Assottigliò
gli occhi.
“No,
ma che dici, io ti amo, e desidero fare l’amore con te”.
Marinette
non rispose, si limitò a prendere il preservativo e ad infilarglielo, stando
attenta a non romperlo con le unghie.
“Ti
basta come risposta?” Gli alitò sul volto riprendendolo a baciare.
“Si”
Annuì facendola aderire con la schiena sul materasso e cercando di non gravarle
troppo con il suo peso.
Marinette
divaricò le gambe d’istinto e lui capì che era giunto il momento di diventare
un corpo e un anima, di fondersi in un unico essere.
Strinse
gli occhi aspettando il momento che il dolore iniziale diventasse piacere.
“Ti
ho fatto male?” Domandò preoccupato.
“No,
è passato” Sospirò iniziando a muoversi e a sincronizzare i movimenti dei
bacini, in una danza che ben presto li avrebbe portati all’apice del piacere.
Due
corpi, un’anima che vanno su, si perdono e non tornano più.
Non
sono servite parole, ma i loro gesti parlarono per loro, spasmi di piacere si
propagarono per tutto il corpo, facendoli cadere uno accanto all’altro, stretti
in un tenero abbraccio.
Quel
pomeriggio Marinette e Adrien avevano sperimentato l’amore vero, quello che li
aveva fatti diventare una coppia matura, lasciandosi alle spalle la loro parte
bambina e uniti ancora di più.
Erano
ancora stretti in un tenero abbraccio quando il biondo scoppiò a ridere.
“Che
c’è?” Chiese curiosa alzandosi con il gomito.
“Niente…è
che ho avuto una conversazione con mio padre oggi, abbastanza imbarazzante
direi…mi ha fatto quel discorso”.
“Dì
la verità, eri sicuro che oggi sarebbe successo?” Domandò saccente.
“No,
io volevo solo andare a prendere un gelato”.
*
FINE (seconda parte)
(per davvero!!!)
*
Angolo dell’autrice: Ciao, eccomi di nuovo, e questa volta è davvero
finita la seconda parte, non potevo finire la storia senza che questi due
avessero avuto il piacere della loro prima volta, erano stati interrotti
talmente tante volte, che una gioia dovevo pur dargliela.
E non capite
male, malandrini XD.
Grazie come
sempre per essere arrivati fino a qui, e se mai vorreste continuare a seguirmi,
vi ricordo l’altra long che sto scrivendo, ovvero REALTA’ PARALLELA.
La prossima
parte si intitolerà IL RITORNO DI PAPILLON…e qui lascio a voi le considerazioni finali.