Wing of freedom Saga - Liberi di essere se stessi

di MelaniaTs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Prologo de ‘I Thompson’ ***
Capitolo 2: *** Capitolo 3 - La fine dell'Estate ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Gabriel Keller ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - A Monaco ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Prologo de ‘I Thompson’ ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti)
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Boston - Anni 80-90

                    Simon, aveva conosciuto sua moglie Manila durante una vacanza a Rio de Janeiro. All'epoca aveva venticinque anni ed era fresco di laurea. Aveva conosciuto Manila durante una festa a Capocabana, se ne era invaghito e, quando era giunto il momento, se l'era portata dietro a Boston nonostante la disapprovazione dei suoi genitori. I due avevano lottato tanto per stare insieme, Simon si era anche allontanato dalla famiglia pur di stare con Manila, erano giovani e non guardavano in faccia a nulla, incuranti delle malelingue. 
Lui aveva iniziato a lavorare come manovale per mantenere lei, che comunque si era cercata un lavoro, e dopo un anno da quel giorno era nato anche il loro primo figlio. London era stata una sorpresa per i due, ma era stato accolto con gioia. Dopo solo una settimana dalla scoperta della gravidanza, la giovane coppia eccitata aveva iniziato a fare progetti. Samuel aveva deciso quindi di prendere in mano la sua laurea al MIT* per trovare un lavoro decente e Manila aveva iniziato a cercare un lavoro da sarta, sicuramente meno faticoso della cameriera. 
Questo era stato solo il primo di tanti cambiamenti, avevano cercato un appartamento che potesse accogliere un figlio, abbandonando il loro monolocale ed avevano iniziato ad essere più parsimoniosi. 
London era nato un anno dopo il matrimonio dei due, era splendido. Un bambino con gli occhi scuri di sua madre, la pelle olivastra e i capelli biondi scuri. Era stato molto amato, anche se per breve si era potuto definire il figlio unico dei Thompson. Dopo meno di due anni infatti era venuto al mondo Chester, al contrario del fratello maggiore, era moro in tutto e per tutto, pelle olivastra, capelli scuri e occhi castani. Così simile a Manila e la coppia ne andava fiera, avevano due figli sani e belli. 
L'unica pecca erano le finanze che scarseggiavano. Manila con due bambini non poteva seguire tanto il lavoro così Simon doveva faticare il doppio. Era troppo orgoglioso per tornare da suo padre che lo aveva accusato di immaturità, stessa cosa Manila. Adam Murray l'aveva accusata di essere un profittatrice dicendo che aveva seguito Simon solo per soldi. Mai avrebbe detto al marito di tornare dal padre. 
Per questo la coppia si stupì nel ritrovarsi una domenica pomeriggi i genitori di lui alla porta. Sia Manila che Simon erano reticenti a lasciarli entrare nella loro casa e nella loro vita, anche se i bambini riposavano era comunque un'invasione alla loro vita. Ma l'espressione triste di Adelaide Thompson aveva fatto desistere i due. In fondo cosa aveva ella mai fatto per meritarsi un rifiuto da parte loro? Nulla! Aveva solo taciuto senza prendere parti quando Manila era arrivata in America.
Così li avevano fatti entrare in casa, la prima cosa che Adelaide aveva fatto era stata abbracciare il figlio in lacrime. La seconda era stata chiedere perdono per se e per il marito, che silenzioso si teneva in disparte. Avevano quindi pensato i giovani che i due vecchi erano lì semplicemente per volere di Adelaide. Invece anche se in parte era dovuta a lei quella visita la ragione era ben altra. Dopo essersi accomodati e dopo aver offerto loro da bere, infatti Adam prese finalmente la parola. 
"Sono malato, devi tornare a casa." Disse secco il vecchio, gli occhi di ghiaccio che si rispecchiavano in quelli identici del figlio. 
"Questo è il motivo per cui sei qui? Non puoi obbligarmi, ho ventinove anni e sono un uomo indipendente." Lo accusò Simon.
"Non essere infantile, la società ha bisogno di te!" Rispose l'altro. 
"Come ha fatto a meno di me negli ultimi quattro anni, può farne ancora. Dai in mano ad altri la società, vendila, mandala in fallimento..."
"Vedi che sei un immaturo ancora?! Egoista! Davvero manderesti in malora la società con tutti i dipendenti per un tuo capriccio?" Urlò guardando la moglie. "Te lo avevo detto che con lui non c'è verso, non ascolta." 
"Non è un capriccio..." sbottò lui scuotendo la testa. 
"Si che lo è! Famiglie che contano su uno stipendio fisso saranno in bilico se non torni." Disse il vecchio alzandosi. "Sfaccendato che non sei hai pensato a divertirti in questi anni e il tempo per imparare sta diminuendo." 
"Non darmi dello sfaccendato. Io mi faccio il culo ogni giorno!" Gli urlò contro Simon intanto che Manila gli chiedeva di non urlare. 
"Se non avessi sposato questa qui avresti fatto il signore!" Lo accusò ancora lui. 
"Adam ti prego basta con questa storia." Intervenne quindi Adelaide. "Vi chiedo scusa, anzi ti chiedo scusa per lui Manila. È orgoglioso e non ammette di aver sbagliato, sappi solo che mi sei figlia tanto quanto Simon." Disse sinceramente alla nuora, dopodiché si rivolse al figlio. "E tu? Quando mai ti ho insegnato questi modi? Urlare contro tuo padre!" Lo ammonì. 
"Mi ha detto che..." sbraitò l'uomo. 
"Non urlarmi contro!" Disse la donna alzandosi. "Non lo sto facendo e lo stesso non farà più tuo padre, siete due adulti e non è urlando che risolverete le divergenze." Concluse.
Manila a ruota si alzò dal suo posto e prese il marito per il braccio. Così che capisse che lei lo sosteneva. 
"Cosa volete da me? Non siete venuti qui per me, ma per la sua società!" Affermò lui stringendo i denti.
"Non urlare, ti prego Simon." Lo supplicò ancora la moglie. Non voleva che i figli si svegliassero e sentissero quella discussione, erano troppo piccoli e si sarebbero spaventati. 
"Sarei voluta venire subito." Intervenne Monica. "Ma ho lasciato correre, io non sono venuta perché volevo darti i tuoi spazi!" Disse al figlio. "Ti ho aspettato e non sei mai tornato da me Simon! Ovviamente non comprenderai mai quello che mi hai fatto, sei il mio unico figlio e mi hai abbandonata." Concluse omettendo di dire che lo aveva fatto per Manila. Quella era una questione tra lei e suo figlio, erano sempre stati insieme ed ella lo aveva sempre appoggiato in tutte le sue scelte, poi un giorno Simon aveva deciso di non fidarsi più di sua madre. Così senza alcun motivo evidente. 
"Hai fatto del male a tua madre." Affermò Adam.
"Tu non..." intervenne Simon.
"Siete stati entrambi, in nome del vostro maledetto orgoglio." Asserì la donna mettendoli a tacere. Fissò il marito negli occhi e sospirò. "Comportati bene, chiedi scusa a Manila e cerca di conoscerla, accettala come figlia. Sono passati quattro anni, quindi non è nulla di effimero come tu credevi." Gli disse portando una mano sulla fronte e tornando a sedersi. 
Nessuno parlò ed allora lei continuò rivolgendosi al figlio. "Tu invece? Quanto tempo ancora vuoi far passare? Credo davvero che vivremo in eterno? Se non vi perdonate adesso che potete un giorno potresti pentirtene. Non parlo di certo dei soldi o della società, indipendentemente da oggi quelli saranno tuoi un giorno. Io sto parlando di affetti che poi non torneranno più." Spiegò la donna. Non aveva mai capito perché gli uomini fossero così orgogliosi e perché non capissero che c'era un tempo per odiarsi e uno per amarsi. Il primo però doveva durare poco, l'odio rendeva la vita aspra e i cuori aridi. 
"Io..." sussultò Simon. 
"Io..." sussurrò Adam andando a sedersi. Incrociò le mani tra le gambe e tamburellando le dita sospirò per poi parlare. "Sono venuto qui perché volevo vederti." Ammise sincero. "Il mese scorso ho avuto un brutto infarto, mi è stato aggiunto un peacemaker . Non è che la società ha bisogno di te, riesco ancora a gestirla, con tempi più misurati ovvio , però ci riesco." Alzò gli occhi verso il figlio e non lasciò il suo sguardo. "Quello di cui ho bisogno in realtà era rivederti, vedere che stavi bene e..." sussultò. Ovviamente stava bene ed era diventato un uomo. "Ci sei mancato Simon." Concluse.
Il giovane uomo a quella confidenza si lasciò andare stanco sulla poltrona, Manila lo seguì e lasciò che l'abbracciasse seguendo in silenzio la scena. 
"Mi avevi detto cose..." Disse
"Che se tornassi indietro tornerei a ripetere." Disse l'anziano. "Si cresce reagendo, a qualsiasi illazione, non scappando." Si voltò verso Manila e sospirò. "Non avrei dovuto chiamarti profittatrice. Però sappi che non rimpiango quello che vi ho detto, non ci si sposa in tre mesi. Non si scappa dalle responsabilità e dal proprio dovere. In entrambi i casi quelli prima o poi vi vengono a cercare." Disse l'uomo.
Manila chinò lo sguardo annuendo. "Mi sono veramente innamorata di Simon, ho lasciato la mia casa e la famiglia per lui." Disse lei.
"Famiglia che non vedi da quattro anni per lui. Ci pensi ai tuoi genitori? A come si sentono senza mai vederti?" Disse il vecchio alla giovane. 
Lei si torturò le mani. "Andremo a trovarli un giorno." 
"La società dove lui lavora è un fallimento, credete che sia così facile?" Disse l'uomo.
"Non è vero!" Intervenne Simon. "Siamo andati in cassa integrazione qualche volta ma..." 
"Come fate a sapere dove lavora Simon?" Chiese invece Manila.
Adam fece un colpo di tosse. "Perché il titolare di Simon mi doveva dei favori." Disse poi guardano il figlio. "Ti ho fatto assumere io, altrimenti un posto così non lo avresti trovato così facilmente." Gli confessò.
Simon fissò il padre sgomento, avrebbe voluto urlargli contro. Dirgli che sapeva cavarmela da solo e che nonostante era difficile avrebbe potuto trovare lavoro da solo.
"Veramente la Cooper sta fallendo?" Chiese ancora Manila.
Adam annuì. "Fallire è un modo per recuperare un po' di soldi. Il tribunale darebbe ai dipendenti un indennizzo e forse Cooper non perderà tutto ciò che ha." Confidò.
E loro cosa avrebbero fatto poi? Si chiese Manila guardando il marito smarrita. 
"Tornate a casa." Intervenne Adelaide. "È grande abbastanza per non incontrarci se non volete, almeno non avrete l'affitto e potrai cercare un lavoro con calma se non vuoi lavorare alla Thompson & sons." Propose.
Manila si toccò il ventre e fissò il marito in lacrime.  Non potevano perdere casa e lavoro.
"Aspetti un bambino?" Le chiese Adelaide comprensiva.
La brasiliana la fissò e annuì. "Credo... forse sì!" Sussurrò, stava aspettando. Tergiversava perché temeva l'esito, non navigavano in buone acque e un terzo figlio non era proprio indicato in quel momento. Poi adesso quella notizia! Nonostante Manila si conoscesse ormai e sapeva che una visita medica avrebbe solo confermato i suoi sospetti. Ancora voleva rifiutare quella nuova gravidanza. Un figlio in quel momento non era proprio indicato. "Posso aiutarti col bambino. Anche se ho avuto solo un figlio so cavarmela sai?" Le disse dolcemente.
Simon si mise le mani nei capelli biondo chiaro. Come avrebbe fatto? Doveva ricominciare da capo, di nuovo. 
"Simon!" Lo chiamò il padre.
Lui alzò la testa. Cosa voleva? Gettargli in faccia la verità? Dirgli che aveva vinto lui? Sì aveva vinto lui, era un fallito! Non era stato in grado di mantenere la sua famiglia e peggio non aveva saputo tenerselo nei pantaloni, Manila era di nuovo incinta. Fissò suo padre con sfida, questi intanto si alzò e gli poggiò una mano sulla spalla. 
"È ora di andare. Se serve chiamami e noi verremo." Disse per poi fare un cenno alla moglie che si alzò. Intanto i coniugi Thompson restavano sulla poltrona ancora scossi dalle recenti notizie.
Simon si chiedeva perché suo padre non gli urlasse contro, non gli dicesse che era un buono a nulla? Così almeno avrebbe reagito, gli avrebbe urlato contro e si sarebbe sentito meglio. Invece no! Lui calmo lo aveva lasciato solo coi suoi pensieri. 
Monica si avvicinò a Manila e la abbracciò. "Di qualsiasi cosa tu hai bisogno chiamami, fa conto che sono la tua mamma americana." Le disse rassicurante. Poi abbracciò anche il figlio. "Vedrai che ce la farete." 
Dopodiché raggiunse il marito che aprì la porta. Simon si scambiò uno sguardo con la moglie, poi prima che fosse troppo tardi si alzò. 
"Non voglio fare il tuo lavoro. Non posso passare come un raccomandato, non adesso!" Disse al padre che ritto lo ascoltava. "Mi basta poter lavorare e caso mai se puoi far lavorare ad alcuni miei colleghi anche, hanno famiglia come me e mandarli in mezzo a una strada sarebbe un'ingiustizia." Disse stringendo le mani a pugno. Non poteva permettersi capricci, non poteva essere egoista. 
Suo padre lo fissò rientrando nella stanza. "Contando il tuo attuale lavoro, posso chiedere a tuo zio Cedric se ci sono posti da assegnare nel settore progettazione." Disse l'uomo. "Di più non possiamo fare, ovviamente se è questo che vuoi." 
"Per il momento sì." Disse lui. "Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni è l'umiltà." Alzò lo sguardo sul padre ed annuì. "Mi serve per andare avanti e per potermi guardare allo specchio tutte le mattine." 
Il vecchio Adam annuì. "Fammi avere la lista dei tuoi amici. Parlerò anche con Keller per chiedergli di trovare una soluzione alla Cooper, se fattibile cerchiamo di salvare più gente possibile." Disse quindi tornando alla porta.
Il figlio annuì al padre andando verso di lui quando un lieve gemito distrasse i quattro. 
Sulla porta della stanza London stava stropicciandosi gli occhi stanchi. "Pipì... mamma."si lamentò il piccolo. 
Manila all'arrivo del figlio finalmente tornò in se. Si alzò e prendendogli la mano lo portò al bagno. 
Adelaide sussultò guardando il figlio. "Avete già un figlio?" Chiese commossa.
Lui si massaggiò la nuca. "In realtà... sono due." Annunciò.
La donna rientrò nel piccolo soggiorno e abbracciò il figlio per poi raggiungere la nuora che usciva dal bagno con il bambino. 
"Scusateci. Ma London quando si sveglia chiede ancora di me." Disse Manila.
Monica gli prese il bambino e lo issò in spalla. "Che bello che è... quanti anni ha?" Chiese.
Manila arrossì. "Tre anni compiuti, mentre Chester deve farne due a novembre." 
"Una famiglia numerosa." Asserì Adam.
Suo figlio annuì. "A quanto pare ancora in crescita." 
"Posso... conoscere i bambini?" Gli chiese il padre.
Al che Simon annuì, forse non era come gli era parso all'inizio. Realmente i suoi genitori erano andati lì per lui, perché potessero prendersi cura del loro unico figlio e proteggerlo da un futuro incerto. Proprio come stava facendo Simon in quel momento, mettendo da parte l'orgoglio e accettando l'aiuto di suo padre. "Certo che sì. Sei il nonno." 
Fu così che Simon e Manila andarono a vivere nella sontuosa Villa Thompson sulla baia di Massachusetts. La brasiliana aveva subito amato la vista del porto da quel punto di Boston e lentamente si era insediata in quella grande casa. E intanto che il marito con alcuni colleghi iniziava a lavorare alla Thompson & sons, lei metteva al mondo la piccola Brooklyn. 
Gli anni passavano e Simon apprendeva ciò che gli aspettava di fare alla società paterna, lo zio e il padre lo istruivano per quanto potevano lasciandogli spazio per il suo lavoro. Un anno dopo la nascita di Brooklyn, Adelaide  Murray si ammalò di cancro. Manila le fu vicina come solo una figlia devota faceva per un genitore e intanto si apprestava ad affrontare una nuova gravidanza. La sua ultimo genita fu l'unica ad avere oltre il nome di una città, anche quello di sua nonna. Avevano infatti in memoria della nonna materna chiamato la piccola Adelaide. Sua suocera morì, nel sonno, dopo due mesi dalla nascita di quest'ultima.
Intanto l'ascesa di Simon verso la gestione della Thompson & Sons proseguiva. L'uomo doveva seguire più la società che il lavoro che in realtà gli piaceva fare, purtroppo avendo Cedric Thompson solo due figlie femmine, non potevano gestire la parte pratica del lavoro. Toccava quindi a lui il grosso, Caroline non era minimamente interessata all'impresa navale essendo una musicista e Olivia seppur interessata aveva una certa preferenza per le pubbliche relazioni. 
Anche i loro mariti non erano propensi a quel genere di attività e la Thompson & Sons se non fosse stato per Simon poteva anche rischiare il crollo. 
All'inizio degli anni novanta con sorpresa Manila rimase si nuovo incinta, ormai potevano permettersi di fare tutti i figli che volevano. Ma la coppia decise di comune accordo, dopo la nascita dei gemelli Dallas e Alaska, di rinunciare ad avere figli intervenendo con un piccolo aiuto medico. Manila nonostante non lavorasse più era entrata nel circolo della borghesia di Boston, si dedicava ad accogliere e andare agli eventi con le cugine acquisite Caroline e Olivia. 
In pratica i coniugi Thompson non erano più i giovani che si erano conosciuti e innamorati a Capocabana più di dieci anni prima. Simon e Manila erano cresciuti, avevano una reputazione da mantenere e dei figli da educare. 
Quando Adam Thompson si era spento nel duemila e quattro era sereno. Negli ultimi istanti di vita aveva ricordato sereno la sua vita, dicendo loro che non vedeva l'ora di ricongiungersi alla sua amata Adelaide. Aveva vissuto e visto più di quanto si aspettava, poiché non avrebbe mai creduto di poter gioire della nascita di ben sei nipoti, lui che con sua moglie non aveva potuto avere altri che Simon era stato poi ripagato con quei piccoli gioielli inestimabili. Era sicuro Adam che la Thompson & Sons sarebbe stata in buone mani alla guida di Simon e che in futuro anche i figli di lui e delle sue nipoti avrebbero guidato l'azienda di famiglia. Era sereno Adam quando aveva esalato l'ultimo respiro. 
Quale destino ovviamente avrebbero avuto i suoi discendenti era ancora da vedere...

Boston - Estate 2012 
Avevo appena ricevuto la lettera di ammissione ad Harvard. Non potevo crederci eppure ce l'avevo fatta, sapevo di essere intelligenza ed avere acume. Come sapevo che quello che mi aveva spinta a presentare domanda di ammissione era la passione smisurata che sentivo crescere dentro di me. La legge! Quando era iniziata quella passione? Quando avevo capito che per difendere le persone non c'era nulla di più importante delle parole. C'era chi si difendeva con la forza e chi al contrario lo faceva verbalmente. 
Durante gli ultimi anni alla Boston Latin Academy, la scuola superiore frequentata, ne avevo viste tante. Avrei potuto anche subirne, se non fosse stato che ero abbastanza orgogliosa da non farmi mettere i piedi in testa dal primo bulletto che capitava. Nonostante gli occhiali che coprivano i miei occhi cerulei e una decina di chili di troppo, non lo permettevo. 
Io Adelaide Thompson, Adele per i miei fratelli, mi difendevo. Forse perché venivo da una famiglia numerosa, quindi o mi fossi difesa oppure avrei dovuto soccombere ai miei fratelli. Forse perché nella mia giovane vita lottavo ogni giorno con mio padre, lasciando così emergere il lato ribelle dentro di me. Non sapevo dirlo, eppure era così. 
Venivo da una famiglia benestante di Boston, la mia famiglia era in parte antica e in parte no! La mia famiglia? Mio padre? Discendeva da una famiglia inglese proveniente da Chesterville in Inghilterra, I miei avi erano infatti puritani. La mia era una famiglia che viveva sul suolo Bostoniano da secoli ormai poiché i posteri giunsero nelle Americhe con la Mayflower. 
Mio padre discendeva da Edward Thompson*, uno dei primi Pellegrini ad approdare a Plymouth. 
Egli è quindi un conservatore, ligio al proprio dovere ed alle regole, anche se conoscendo la storia dei miei genitori non ci credereste mai, ecco lui, l'imprenditore navale Simon Thompson, era... diverso da adesso! Sì questo è il temine giusto, sta di fatto che nonostante da giovane non fosse stato proprio ligio al dovere, adesso a differenza di anni pretendeva da noi sei, suoi figli rispetto per le regole e per i comportamenti. 
Quante volte era dovuto venire a scuola perché non mi ero tenuta per me una parola o perché avevo partecipato a una scaramuccia? 
Un bel po'! Ma appunto non mi piaceva farmi mettere i piedi in testa dal primo che capitava e non mi andava che lo facessero a chi altri era discriminato dalla società. Frequentavo infatti ragazzi che erano entrati alla Latin Academy sono alle superiori, quelli che come me, i miei fratelli ed i miei cugini avevano iniziato la Latin dalle elementari infatti, li ignoravo proprio. Ovviamente non potevo discriminare i miei cugini o fratelli erano gli unici che realmente frequentavo a scuola, sopratutto perché era figo avere come fratello uno dei ragazzi più belli della scuola. Ne andavo fiera, ovviamente era durato per poco avendo io e Chester quattro anni di differenza. Ma era stato bello quando, al nono anno, mi ero vantata con le nuove compagne di quel fratello così bello. Ovvio anche Brooklyn era bella e destava riverenza, ma lei era una ragazza e le mie nuove amiche potevano provare solo invidia per la bella e bionda Brooklyn Thompson. 
Spesso mi capitava che dovevo difendere le mie amiche anche da lei. Ma perbacco! Era bello prendersi a parole con mia sorella che sembrava sapere sempre cosa fare e come farlo soprattutto. Era bello confutare le sue idee ed alla fine avere ragione di tutto, quella era giustizia e lei questo voleva essere, una persona giusta. 
Per questo posai la busta con la conferma di ammissione all'università e dopo essermi aggiustata per bene raggiunsi mia madre. 
Dio come era bella Manila, la pelle ambrata, i capelli lunghi e neri e gli occhi castani. Dicevano che assomigliavo a lei, sopratutto adesso che ero dimagrita, l'unica differenza erano gli occhi di un verde ceruleo che faceva invidia a chiunque mi guardasse. Anche a Brooklyn! Questo perché lei aveva gli occhi azzurri e basta, mentre Alaska, la piccola di casa li aveva castani. Io ero l'unica con London ad avere gli occhi verdi e cerulei, questo voleva dire qualcosa forse, che eravamo indomabili e restii a seguire le regole! 
Poi ripensai a London facendo una smorfia. No! Mio fratello non era proprio il tipo, era ligio al dovere! Sia di primo figlio che di erede all'impresa navale di suo padre e del  nonno prima e degli altri predecessori ancora. Sbuffai, sicuramente era unica per questo sapevo che avrei dovuto lottare con le unghie e con i denti per emergere in quella famiglia. 
"Mamma!" Sussurrai avvicinandomi alla donna e abbracciandola.
Lei come sempre non si faceva pregare, ricambiò il mio abbraccio e mi diede un bacio sulla fronte. "Presto anche tu non mi abbraccerai più."
"Lo farò sempre má! London e Chester sono due cretini." Dissi con un sorriso guardandola.
"I tuoi fratelli non sono cretini, anzi! London ha detto che riesce a presentare la tesi quest'anno." Disse lei dandomi un buffetto sulla mano.
Feci ancora una smorfia, ecco lo sapevo. London l'impeccabile! 
"Anche io raggiungerò subito i miei traguardi all'università." Dissi noncurante. 
Mia madre mi guardò. "Università? Con i tuoi studi potrai subito entrare a lavorare alla Thompson & sons." Mi ricordò.
"Ma io non voglio entrarci, o almeno non ora. Ho ancora tante cose da fare e non sono in ufficio a seguire la contabilità o le pubbliche relazioni della società di papà. Mamma... voglio studiare legge e sono stata ammessa!" Dissi saltando sul posto e battendo le mani orgogliosa.
Mia madre mi guardò sorpresa, boccheggiò più volte per poi tirare su un sospiro. "Legge! Andiamo Adelaide, un avvocato non serve alla Thompson." Mi disse.
"Gli avvocati servono ovunque mamma e io sarò un grande avvocato. Voglio difendere i più deboli." 
Manila ancora scosse la testa. "Parlane con tuo padre adesso che rientra, non credo che approverà. Sai che ha dei progetti per voi." 
Sbuffai. "Certo, come quelli fatti su Brooklyn. Lavoro di segretaria alla Thompson e matrimonio perfetto col figlio del senatore Jenkins. Mamma ti prego, io non voglio sposarmi e fare la segreteria è misero!" Dissi secca, portai le mani avanti e le scossi. "Non che il lavoro di segretaria non sia bello. Semplicemente la mia mente lavora, elabora e va avanti e la mia lingua è sciolta. Mamma io sono fatta per fare l'avvocato." Dissi sicura di me. 
Mia madre tacque ferma sul posto, mi guardava anche se in realtà sembrava voler essere altrove o non guardare me o peggio ciò che c'era dietro di me. 
Tremai, lentamente mi voltai verso la porta, lì dove erano arrivati da non so quando papà, Jonatan Jenkins e mia sorella Brooklyn.
Gelai e voltandomi di scatto camminai all'indietro verso mamma. Papà mi fissava freddo e distante.
"Non studierai legge, non è un lavoro da donne quello dell'avvocato. Lavorai come tua sorella così comprenderai cosa vuol dire vivere e sudarsi un pezzo di pane." Disse senza lasciarmi neanche parlare. 
"Ci sono tanti avvocati donna papà!" Intervenni subito. "Ti prego, non puoi proibirmi di andare all'università e studiare ciò che mi piace." 
"Ho detto di no! Discorso chiuso." Disse papà  lasciando passare Jonatan per farlo entrare in stanza, gli occhi scuri di lui fissavano il pavimento. "Manila, Jonatan è venuto a chiederci se ceniamo dai suoi domani sera." Diceva papà alla mamma, per lui l'argomento era chiuso. 
Mi avvicinai a Jonatan e gli sorriso. "Jonny tu hai studiato legge e subito hai trovato lavoro. Scommetto che è bello fare l'avvocato." 
Lui alzò la testa di scatto imbarazzato, eppure fu mia sorella a rispondere con aria offesa. "Scusami se ti parlo da misera segretaria, ma Jonatan non è tenuto a risponderti." Mi disse prendendo il ragazzo per il braccio e portandolo verso mamma.
Feci una smorfia. Maledizione! Brook non avrebbe dovuto sentire la conversazione con la mamma. 
"Domani sera ci saremo Jonatan caro." Stava dicendo mamma.
Inutile parlare ancora, la conversazione si era spostata su Jonatan e Brooklyn, il loro matrimonio e la famiglia Jenkins.
Senza dire altro lasciai il salone e salii su per le scale, se papà non voleva che andassi all'università, se voleva che seguissi lo stesso percorso di Brooklyn e che rimanessi rilegata a diventare una delle tante assistenti e segretarie o ancora addette alle pubbliche relazioni della Thompson & Sons., non avevo altra soluzione che lasciare casa, proprio come face lui venticinque anni prima. 
"Ehi Heidi!" Esclamò una voce.
Sbuffai, pochi scalini e sarei stata al primo piano, sul pianerottolo che mi avrebbe condotto alla mia camera lontana da chiunque. E invece no! Non avevo fatto in tempo. Quella era la voce di Gabriel Keller, il migliore amico di mio fratello London.
Mi voltai lentamente, un sorriso falso sulle labbra e... il mio cuore perse un battito. Perché diamine Keller più passavano gli anni più era bello? 
Quella pelle candida, gli occhi scuri e profondi ed ora anche un fisico ben modellato. Non era come quegli attori che avevano tanto di tartaruga addominale, ma accipicchia, era superbo. 
"No-chiamarmi- Heidi!" Lo minacciai puntandogli il dito. 
Lui fece spallucce e sorrise. "Effettivamente dall'ultima volta che ti ho vista sei cresciuta. Dove hai messo la ciccia che avevi? Eri più Heidi con dieci centimetri d'altezza in meno." 
Sollevai gli occhi al cielo. "Sono passati due anni dall'ultima volta che ci siamo visti, o almeno da che tu hai incrociato il mio cammino." Asserii convinta, io al contrario lo avevo sempre visto nascosta nella mia camera nelle ultime due estati, oppure mentre facevo da tappezzeria ai vari eventi cui le nostre famiglie partecipavano.
"Effettivamente! Però adesso che ti vedo meglio sei sempre la stessa." Mi disse solcando le scale due alla volta per raggiungermi. Mi prese il mento con due dita e mi sorrise. "Il fuoco nei tuoi occhi c'è sempre, giurami di non perderlo mai questo." 
Mi sentii arrossire. Per il tocco delle sue mani o per la frase che aveva appena detto? Non lo saprei dire, era solo palese il fatto che mi tremavano le gambe, mi batteva forte il cuore e la pelle pizzicava, lì dove lui mi aveva toccata. 
"C-cercherò!" Balbettai... balbettai?? Io non ho mai balbettato. Era questo l'effetto che facevano i ragazzi? Diamine no! Tutti i ragazzi che mi avevano toccata e avevo baciato fino a quel momento non mi avevano mai fatto tremare o peggio... balbettare! Quindi non era quello il motivo, bensì il fatto che lui fosse Gabriel Keller. 
"Brava la mia Heidi." Mi disse lui allontanandosi. "Dimmi un po', London è qui?" Mi chiese
Scossi la testa. "È andato a portare Dallas e Alaska alla festa di un amico di Dal. Sai sedici anni, i ragazzini danno tanta importanza a questo evento." 
Lui rise divertito. "I ragazzini? Parli come una vecchia." 
"Io a sedici anni non ero così eccitata." Risposi sarcastica.
"Tu a sedici anni scappasti dalla tua festa di presentazione alla società. Dio ancora mi ricordo tua madre e tuo padre che ti cercavano ovunque." Ricordò lui divertito. 
Feci una smorfia. Questo perché se tutti festeggiavano i sedici anni con gioia, a casa mia invece a quell'età c'era l'ingresso in società. Io lo avevo odiato ancora prima di farlo, quando avevo seguito quello di mia sorella Brooklyn in pratica. Mettersi in ghingheri e cominciare a usare il bon ton lo avevo subito odiato, non era stata d'aiuto la dieta cui mia madre mi aveva sottoposta per farmelo graziare, l'ingresso in società. Oppure quel vestito fatto di merletti e pizzi, non era proprio il mio genere, come i tacchi e il trucco. Io non mi ero mai truccata ed anche adesso a diciotto anni non lo facevo, non mi piaceva. Così senza pensarci troppo, dopo la tanta sospirata presentazione, con il mio ingresso nella sala da ballo, quella sera scappai defilandomi proprio. 
Fino a quando non mi avevano trovata, anzi fino a quando Gabriel non mi aveva consegnata ai miei genitori. 
Era stato lui a trovarmi, era venuto a cercarmi fin nella cucina, dove nascosta nella dispensa stavo buttando giù un barattolo di burro d'arachidi. 
"Lo sapevo che ti avrei trovata qui." Aveva detto.
Che ne sapeva poi lui! Mi era stato precluso mangiare schifezze in quell'ultimo anno, mi era stata preclusa la cucina e tutta la mia bella vita. E lui sapeva che mi avrebbe trovata lì.
"Si certo, come no!" Gli avevo risposto.
"È un luogo che non frequenti molto, l'unico dove non ti cercherebbero." Aveva risposto.
"Me lo hanno vietato." Avevo detto dispregiativa.
"Non è così che immaginavi i tuoi sedici anni." 
"Anche tu hai avuto questa festa?" Avevo detto, anche se non era tale l'ingresso in società. 
Lui aveva riso. "No! Mi è stato risparmiato, ho fatto baldoria con tuo fratello e gli altri miei amici. Mi dispiace Heidi che tu non possa divertirti come noi."
Col broncio sulle labbra avevo scosso la testa. "Dovevo nascere maschio. Lo sapevo io!" 
Lui ancora aveva riso per poi tirarmi i capelli ricci tenuti ordinati in un'acconciatura elaborata. "Assolutamente no, dopo non avrei più la mia Heidi." Aveva detto guardandomi, poi sospirando aveva aperto la porta e mi aveva detto di uscire. "Andiamo, ti aspettano tutti." 
Lo avevo guardato con sfida seguendolo. "Ovvio! Devo tornare..." 
"È meglio così, fidati!" Mi aveva detto. In fondo cosa ne sapeva lui? Sia allora che adesso! 
Era un uomo e aveva ormai ventiquattro anni, anzi no, era di sei mesi più grande di London, presto avrebbe compiuto venticinque anni. Non aveva alcun pensiero o obbligo lui, poteva fare tutto ciò che voleva. 
"Comunque i miei e Brooklyn sono giù in sala degli ospiti, puoi aspettare lì London." Dissi indicandogli il piano terra. 
Lui mi guardò ancora per un po' in silenzio, con quel suo sorriso beffardo. "Ci vediamo domani sera alla cena dei Jenkins." 
Sospirai scuotendo la testa. "Wow una cena in famiglia.... proprio famiglia, a domani." Lo salutai mettendo il piede sul pianerottolo e avviandomi poi verso la destra, diretta alla mia camera. 
Non mi girai più indietro, al contrario mi chiusi la porta della stanza alle spalle e andai ad aprire il secrétaire dove custodisco gelosamente i risparmi di una vita. Raramente uscivo, ero molto propensa agli studi e le mie amicizie non piacendo ai miei genitori venivano ignorate. Quindi la mia paghetta mensile, quella che per i miei mi serviva per socializzare, la investivo in un libretto di risparmio che mi ero fatta senza dire nulla. Su quello versavo le paghette e la retta mensile della scuola di danza cui mamma mi aveva iscritta da piccola -ovviamente avevo smesso da un bel po' anche se lei non lo sapeva-. Infine anche i regali di valore monetario delle zie Caroline e Olivia andavano in quel fondo di emergenza. Dovevo valutare se potevo o meno affrontare l'università solo a mie spese. Se papà non si convinceva non mi restava altro da fare che fare da me. Il saldo era abbastanza confortante, avrei potuto pagare le tasse universitarie senza problemi, almeno per il primo anno. 
Tornai a prendere l'ammissione all'università, poi prendendo il numero telefonai alla segreteria. Dovevo prenotare una camera al campus, se dovevo badare da me a tutto avrei dovuto imparare a risparmiare. Anzi no, ero già abbastanza brava in questo, a differenza di Brooklyn non mi riempivo di abiti firmati, Louboutin e Jimmy Choo, ne di trucchi e sfarzi. A differenza di Brooklyn non mi ero neanche accontentata del primo figlio di papà che si era fatto avanti accettando di sposarlo. Per l'amore del cielo, Jonatan era un ragazzo delizioso, forse troppo, riusciva ad essere succube oltre che di suo padre anche di Brooklyn. Inoltre la teneva, temeva lei: Adelaide Thompson! Assurdo.
Io non mi accontentavo! Così parsimoniosa avevo conservato tutto ciò che avevo potuto, cancellando dalla mia vita tutto ciò che trovavo inutile. Lezioni di danza classica in primis, non facevano per me e lo sapevamo benissimo in casa. Se mi fosse piaciuto ogni anno ai saggi non sarei stata relegata a 'ballerina di riserva' sempre. Questo era il motivo per cui mia madre non aveva fatto caso alla mancata frequenza della scuola, ed anche per cui la maestra non si era posta domande per la mia cancellazione dai corsi. Inoltre non avevo voluto prendere un auto, la trovavo futile quando avevo a disposizione qualcuno che portava me e i miei fratelli a scuola e non uscivo. 
Quello che mi concedevo come capriccio per coprire le ore di danza inesistenti, erano i pomeriggi al cinema o in biblioteca, lèggevo tanto per coprire le ore di danza e andavo a correre tutte le mattine al Rose Fitzgerald Kennedy Greenway. Non perché mi piacesse, solo non mi andava di mandare a puttane gli anni di dieta cui era stata costretta. Se a sedici anni ero arrivata ad indossare una decente 34, adesso potevo vantarmi di essere una 32. In più adesso le mie forme stavano diventando armoniose, non ero più piatta, avevo un seno sì piccolo, ma sodo e rotondo al posto giusto. Quindi mantenere una buona condotta alimentare e correre erano cose cui non rinunciavo. Non che non mangiassi, amavo i pop corn col burro d'arachidi e mangiare il gelato in inverno, mi piaceva tanto la pasta e mi concedevo un hot dog o un Gran crispy Mac bacon al mese. 
In tutto ciò ero sola, i miei 'amici' di scuola non erano tanto amici, i gemelli si compensavano l'un l'altra, London e Chester erano decisamente ormai grandi e frequentavano i loro giri e amici e Brooklyn da quando a sedici anni aveva conosciuto Jonatan si era parecchio allontanata da lei. Era sola, se avesse lasciato casa nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
La segreteria mi aveva informato che aveva preso in carica la mia domanda per una camera al campus e che ero in lista, appena avuto il pagamento dell'iscrizione mi avrebbero aggiornata.
Posai il libretto e l'ammissione nel secrétaire e mi stesi sul letto pensando. Mamma e papà fra meno di un mese sarebbero andati, come di consueto, a Rio per le vacanze estive. Se per allora non avrebbero accettato la mia decisione di andare ad Harvard avrei approfittato di quella loro assenza per abbandonare la casa dove ero vissuta fin dalla nascita. Avevo deciso, dovevo vivere la mia vita come volevo fare! 
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La Boston Latin Academy è la più antica scuola superiore americana, si trova a Boston ed inizia dalle scuole elementari. Ma gli studenti possono aggiungersi anche successivamente alle superiori. 
Per studenti del nono anno si intendono in America quelli che iniziano le superiori, ovvero i quattordicenni. 
Le superiori si concludono al Dodicesimo anno, 18/19 anni circa. 
Chi frequenta la Boston Latin academy segue un programma molto vasto e completo, per cui molti studenti potrebbero non frequentare l'università ed avere subito uno sbocco lavorativo. Spesso gli studenti della Latin school vanno as Harvard.

Il Mit è l'altra università più famosa di Boston (con Harvard) ed è precisamente la Massachusetts Institute of Technology, in questa sede si studia ovviamente tecnologia, scienze e scienze umane, management, ingegneria e architettura. Ad Harvard invece ci sono le facoltà di medicina e legge, nonostante alla Latin school Adelaide sia avanti con le materie (ha studiato anche il latino di obbligo dalla classe settima -scuola media) deve svolgere almeno gli esami base prima di fare la Harvard law school.

Il Rose Fitzgerald Kennedy Greenway è un parco pubblico che si trova nei pressi della baia del Massachusetts, a Boston.

*Edward Thompson è realmente registrato come uno dei primi padri Pellegrini arrivati a Plymouth con la mayflower, poiché è giunto senza moglie a differenza di altri ho giostrato in questo modo la storia. Vi ricordo comunque che i fatti qui raccontato sono di mia invenzione non ci sono veri eventi ed anche gli anni vanno a ritroso poiché non ho voluto intenzionalmente inserire il 2020 nella storia. 
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Capitolo 2
*** Capitolo 3 - La fine dell'Estate ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti)
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Boston

Adelaide

Non c'era nulla da fare, quell'estate le cose non volevano andare al loro posto. Mi sentivo sempre più demoralizzata, mamma aveva voluto che tutti noi andassimo a Rio quell'estate. Il nonno era agli ultimi mesi di vita e sentiva la necessità di rivederci tutti un'ultima volta. 
Di questo non potevo accusarlo, anche io desideravo stargli accanto e poterlo salutare un ultima volta prima che chiudesse gli occhi per sempre. Ero molto affezionata ai nonni materni, poiché erano gli ultimi che mi erano rimasti. Ero stata molto affezionata anche a nonno Adam e nonostante erano passati solo quattro anni ancora ne sentivo la mancanza. 
Il rapporto tra nonno Adam e noi era stato molto intenso, poiché avevamo vissuto sotto il suo stesso tetto fino alla sua morte. Ma nonostante così non era stato con nonna Cecilia e nonno Placido lo stesso ero loro molto legata.
Mamma tante volte aveva chiesto ai due di raggiungerli e vivere insieme a Boston, ma ovviamente i coniugi Suarez avevano altri figli e nipoti a Rio e non potevano o volevano lasciare casa solo per loro. Così era la famiglia Thompson ogni volta ad andare a Rio, che fosse Natale, Pasqua o altre festività lunghe, noi eravamo lì. 
Così ero partita mettendo da parte i miei programmi per lasciare casa e andare all'università. Fortunatamente all'ultimo minuto anche London era riuscito a venire con noi, accompagnato ovviamente dall'inseparabile Gabriel. Erano stati un paio di giorni con noi e con i nonni e dopo qualche giorno erano ripartiti verso Cuba. 
Io al contrario mi ero dedicata tanto a mio nonno, ero stata con lui anche quando la mia famiglia andava a Capocabana, in fondo ero andata lì per loro e uscire mi sembrava ipocrita. Così tra una faccenda in casa e l'altra raccontai alla nonna e a zia Bianca i miei progetti e i continui rifiuti di mamma e papà a mandarmi all'università.
"Vogliono che sposi Hoffman, tanto ormai l'ho capito." Mi ero confidata. Lo avevo capito fin troppo bene, poiché dalla cena a casa Jenkins fino alla partenza per il Brasile me lo ero trovato quasi sempre a casa, contemporaneamente io avevo imparato a difendermi facendo in modo che Alaska e Dallas fossero sempre con noi. 
Ronald Hoffman aveva infatti la cattiva abitudine di allungare fin troppo le mani e la cosa mi disgustava. Così nel momento stesso in cui ci provava senza che dicessi nulla Dallas interveniva.
Ormai le frasi di rito del mio fratellino erano: allontanati da mia sorella, giù le mani, guarda su e infine...  non hai nulla da fare? 
Lo adoravo sempre di più, non solo stava diventando un ragazzino bellissimo. Era anche attento, perspicace e intelligente.
"Se non lo vuoi i tuoi genitori non ti obbligheranno mai. Non con la loro storia tesoro mio!" Arrancava dicendo la nonna.
Io la osservai e le baciai il viso rugoso. "Io non mi sposerò fin quando non mi sarò laureata." Le disse e sinceramente vedendo anche il degrado che c'era lì a Rio nella zona povera delle favelas la mia voglia di difendere i più deboli dai soprusi era sempre più forte. 
"Diventerai un grande avvocato Adelaide, tu puoi farcela perché hai la passione e fin quando avrai quella riuscirai in tutto." Disse la nonna.
"Non c'è nessun ragazzo che ti piace?" Mi chiese la zia Bianca. Scossi la testa, ovvio che no. "Strano, perché ho visto che tu e l'amico di tuo fratello vi scambiavate occhiate." 
Arrossii. Non era come credeva lei, io e Gabriel semplicemente ci comprendiamo. "No-no...nulla! Cioè lui ha le sue ragazze e io... io devo studiare... si è il ragazzo più bello che conosco... cioè non di aspetto, ha un cuore d'oro anche se certe volte... noi in pratica..."  balbettavo e mi sentivo sempre più accaldata. "Siamo solo amici." Sussurrai facendomi aria.
Sia la zia che nonna risero. Perché mi prendevano in giro. "Sono contenta che hai un amico così bello. Perché avrà anche un bel carattere ma ho notato il suo bel sedere, io e anche le tue cugine lo abbiamo notato." Mi prese in giro la zia.
Sbuffai. Ero con Alaska una delle più piccole di casa e quella malizia ancora non mi era del tutto chiara. La nonna mi strinse la mano e mi girai verso di lei.
"Dimmi tutto!" 
"Ti aiuto io con l'università se i tuoi non vogliono. Tua madre non può negarti ciò che lei ha avuto." Mi disse
"La mamma si è laureata?" Chiesi stupita.
La zia Bianca ancora rise. "Tutti e cinque siamo laureati, cosa ne sai tu." Mi prese in giro.
Nonna annuì. "Però non lo dico per quello. Tua madre ha deciso di venir via di casa e noi glielo abbiamo permesso. Se non ti permetterà di spiegare le ali Adelaide lo faremo noi al posto suo, dimenticare chi si è stati è sempre un grande errore."  Mi disse incoraggiandomi e abbracciandomi.
Era incredibile la forza che le sue braccia avevano nonostante avesse già settant'anni. Però non c'erano dubbi, l'incoraggiamento di nonna Cecilia e zia Bianca mi era stato di conforto. 
I miei genitori invece non lo erano, al ritorno da Rio avevamo ripreso a discutere. Loro dicevano di no, io che sarei andata. 
A un certo punto mio padre mi aveva ricordato che avevo già un lavoro pronto alla Thompson e mia madre che Ronald Hoffman era interessato a me, quindi partire per una qualsiasi università non era tenuto in conto. 
Quindi niente, dovevo andare via e trovare un modo. 
Preparare la valigia con quanti più vestiti possibili, tutti i documenti, compresi l'ammissione e il libretto di risparmio, infine tutto il mio coraggio. 
Dovevo andare via prima che mi incastrassero in quella gabbia dorata. Quando fui certa di essere pronta andai alla ricerca dei miei fratelli e cercai Alaska con lo sguardo. 
"Tu e Michaela andate a pattinare oggi?" Chiesi con indifferenza.
Lei annuì e io ringraziai il cielo che entrambe ancora non avessero preso la patente. 
"Posso accompagnarvi io se vi va. Devo passare in centro a controllare se è arrivato il libro che ho ordinato." Le disse quindi.
"Michaela viene qui con Gabriel, così lui può salutare London prima di partire." Mi disse lei.
Rimasi interdetta. "Parte questa sera?" Chiesi cercando di elaborare un altro piani.
"Domani mattina alle quattro. Questa sera dorme all'albergo vicino il Logan." Rispose ancora Alaska.
"Capisco... sai che ti dico, chiederò un passaggio io a lui. Così poi potrete tornare con me a casa." Proposi.
"Senza auto?" Chiese Dallas divertito. "Loro non sono come te, odiano camminare." 
Non riuscii a non ridere io stessa a quell'affermazione. "Vuol dire che tornerò da sola. Vado a far la posta a Michaela e Gabriel." Dissi uscendo dalla stanza.
Intanto sentivo Dallas ridere mentre diceva ad Alaska che sicuramente Gabriel avrebbe accettato di portarmi anche in capo al mondo. 
Io feci spallucce e andai via, dovevo  essere rapida. Avrei lasciato il biglietto di addio nella stanza di mamma e papà, sul cuscino di lei. Così da non dar loro pensiero, stessa cosa avrei fatto con i miei fratelli e dovevo trovare una scusa per mettere il trolley nell'auto di Gabriel senza destare sospetti. Potevo farcela, ne ero sicura.

           Quando Gabriel e Michaela giunsero ero pronta a prestare la mia recita. Impassibile e senza far emergere le mie emozioni, come solo un vero avvocato sapeva fare mi ero avvicinata ai Keller.
"Vi dispiace se vengo anche io con voi in centro?" Chiesi più rivolta a Michaela che a Gabriel. "Giuro non rovinerò il vostro pomeriggio, ho da regalare dei libri e dei vestiti alla casa famiglia e da prendere un libro che ho prenotato in libreria." Spiegai.
"Devi proprio oggi Adelaide? Questa sera avremo la famiglia Hoffman a cena e Ronald si anticipava per poter stare un po' con te prima." Intervenne mia madre. 
Sinceramente non ci tenevo a rivedere i genitori di Ronald in via del tutto privata a casa. Dava molto segno di qualcosa di ufficiale che io non volevo.  
"Possiamo portarti con noi Adelaide." Disse la voce di Gabriel.
Al che sollevai lo sguardo su di lui sorridendogli. "Sei gentilissimo come sempre Gab." Soprattutto quando mi salvi da Ronald 'mr polipo' Hoffman. "Sono giorni che mi aspettano alla casa famiglia." Gli dissi così da ammutolire anche i miei genitori.
"Il problema non sarebbe persistito se avessi preso una macchina tua." Intervenne London che spesso mi faceva da autista. 
"Quando riesco uso quella che prende mamma. Ma visto che tu e la signora Hoffman visitate l'ospedale oggi non credo sia possibile usarla. Giusto?" Chiesi.
Mia madre sospirò ed annuì. "Verremo a prenderti noi al ritorno." Annunciò.
"Non so che ora farò mamma. Appena finisco prendo un taxi o un autobus o altro e torno." Perché era così difficile. 
"Facciamo che quando hai finito mi chiami e vengo io." Mi disse infine London.
Accennai uno sguardo a mio fratello ed assentii. Lo avrei deluso, lo sapevo. Avrebbe aspettato una telefonata che non sarebbe arrivata e avrei lasciato tutti da soli con gli Hoffman. 
Sorrisi a tutti per poi rivolgermi direttamente a Gabriel. "Se mi presti un attimo le chiavi dell'auto metto le scatole nel cofano." 
Lui rise divertito e mi lasciò le chiavi. "Non graffiarmela." Mi disse intanto che tornava a rivolgersi ai miei. 
Uscii dalla sala degli ospiti in corsa per andare a prendere le scatole che avevo realmente preparato, una con il trolley e l'altra con dei libri che effettivamente avrebbero potuto servirmi in quegli anni.
Mia madre intanto la sentivo si stava lamentando di me e di come effettivamente ci fossero più libri nella mia camera che nella biblioteca di casa. 
Sbuffai mentre prendevo la prima scatola portandola nella Chevrolet di Gabriel. Aprii il cofano e la buttai dentro, dopodiché lasciando tutto aperto rientrai a prendere la seconda scatola. Nel mentre che la issavo su mi trovai di fronte Gabriel, in imbarazzo evitai di guardarlo e feci per andare all'auto. Ma lui senza dir nulla mi prese la scatola di mano e andò a posarla nel cofano. 
"Hai finito?" Mi chiese, annuendo incrociai i piedi sul posto e mi guardai intorno, Alaska e Michaela ci stavano raggiungendo. 
"Avanti i grandi e dietro le piccole Aly." Disse Michaela aprendo la portiera esteriore all'amica.
"Oh... io vado avanti?" Chiesi al mio autista improvvisato. 
"Eh già!" Mi rispose lui sempre con la sua aria beffarda. 
Sospirai, prima o poi quel suo sorriso sghembo mi avrebbe uccisa, lo sapevo...

... Lasciate le due ragazze al parco Gabriel mi guardò mettendo in moto. 
"Dimmi dove devo fermarti." Mi disse.
Io sollevai gli occhi al cielo poi guardai oltre al finestrino. "A Jeffries Point." (1)
Lui mi guardò stupefatto, poi sollevò un sopracciglio.  "Così lontano? Credevo fosse vicino." 
Scossi la testa. "Eh no! Per questo mamma non voleva che andassi oggi. Ce la faremo ad arrivare per stasera?" 
Lui annuì. "Certo che sì, alle sei saremo lì." Mi disse calcolando il percorso che avrebbero fatto. "Ma non credo che farai in tempo a tornare per..." concluse senza dire parole. "...potremo trovare traffico." 
Mi grattai la fronte al fine di coprire gli occhi, così che non potesse vedere il mio sguardo. 
"Forse... è il caso di avvertire mamma se dovessimo trovare traffico." 
"Di sicuro!" Mi disse lui con un sorriso a trentadue denti.
Io feci spallucce, certe volte sapeva essere proprio strano.

Gabriel

Avevo trascorso l'ultima settimana evitando accuratamente sia mio padre che mio nonno. Pensai che se la nonna fosse stata viva adesso avrebbe avuto modo di fare una bella ramanzina sia a papà che al nonno. 
Il secondo dopo che gli avevo detto che rinunciavo a tutto, orgoglioso non mi aveva voluto più parlare. Mio padre al contrario quella mattina mi era venuto a cercare, forse capendo che aveva sbagliato. 
Mi aveva chiesto se era vero che ero innamorato di qualcuno, non gli avevo risposto. In fondo chi tace acconsente! 
Al che aveva continuato lasciandomi sorpreso. "Simon vorrebbe che Adelaide sposasse Ronald Hoffman, una buona occasione per assorbire la sua impresa senza doverla comprare." 
Avevo alzato la testa di scatto. "Non può, Heidi non vuole quel tipo, lei non può assecondare i suoi genitori." Cazzo eravamo nel ventunesimo secolo, queste erano cose che non si facevano più. 
"Se è solo la sua parola potrebbe non essere ascoltata." Mi disse papà.
Io lo fissavo, come faceva a saperlo? Mi ero sempre tenuto per me quei sentimenti, senza mai rivelarli neanche a London. Come faceva invece lui a saperlo? 
Mi guardai le mani che stringevano forte la camicia che stavo posando in valigia. Le rilassai e le lasciai andare.
"Non è come pensi. Heidi..."
"Smettila di chiamarla Heidi! Smettila di darle così confidenza se non vuoi andare avanti, smettila di marchiare il territorio ogni volta che arriva un nuovo ragazzo!" Mi zittì mio padre.
"Non marchio il territorio..." 
"Assolutamente no!" Continuò sarcastico. "La manipoli solo a tuo favore allontanandola dai suoi corteggiatori. Ronald ha trovato irritante il tuo atteggiamento dai Jenkins." Mi informò 
"Allungava un po' troppo le mani." 
"Hannah è invece rimasta basita notando che erano stati cambiati i posti a sedere." Concluse
"Giuro non so chi sia stato." Ho risposto con un sorriso sulle labbra.
"Ripeto, queste cose non sono più fattibili. Lei è adulta e anche tu." 
"Lei ha solo diciotto anni! Non posso farenulla..." dissi allora scompigliandomi i capelli.
"Concordo che è giovane per un matrimonio. Ma sua sorella nonostante si sia fidanzata a sedici anni ancora non è sposata. Questo significa che i Thompson non mettono fretta per un matrimonio, ti basta poco Gabriel, per essere felice tu e lei e per azzittire tutti." Mi disse mio padre.
"Sto partendo papà... domani all'alba ho l'aereo per Monaco." Gli dissi
"Cercherò di spingere Kristin Jenkins verso Ronald, ma non ti prometto nulla. Questo è il tempo che posso darti, se ci tieni a lei ti consiglio però di parlare con suo padre Gabriel. Questa sera gli Hoffman sono a cena da loro." Concluse papà 
Lo guardai, avevo poco tempo e mi stava sfuggendo di mano. 
"Tua sorella vorrebbe andare a pattinare con Alaska Thompson oggi. Potresti accompagnarle tu!" Mi consigliò andando alla porta.
Avevo un'ultima occasione per vederla e forse... sì avrei potuto parlare con Simon Thompson e anche con London. Dovevo spiegargli tutto!
Ovviamente tra il dire e il fare c'era di mezzo il mare e quando ero arrivato a Villa Thompson avevo scoperto di non essere l'unico ospite.
Oltre London c'era anche Olivia Thompson, giunta a fare due chiacchiere con la cugina Manila, con i suoi figli che urlanti come solo gli adolescenti sapevano essere stavano decidendo se andare a fare un tuffo in piscina o giocare con la Xbox. Di Simon Thompson non c'era traccia e se non lo avessi incontrato avrei perso quella chance.
Anche di Heidi non c'era traccia, mi rammaricavo più di non poter vedere lei che del padre. Poi la sua voce esplose tra le altre.
"Vi dispiace se... vengo anche io con voi..." diceva e cercavo di capire cosa stesse dicendo. 
Tornai in me e prestai attenzione alle sue parole. Voleva un passaggio, glielo avrei dato con piacere. Mi bastavano il suo sguardo ed il suo sorriso per concederle tutto, anche se contraddire Manila forse non era il caso.
Poi però la matriarca dei Thompson accennò a Ronald Hoffman, mossa sbagliata a parer suo, e non ebbe più di che pensare. 
"Possiamo portarti con noi Adelaide." Dissi impulsivo.
"Sei sempre gentilissimo Gab..." e quel nomignolo detto da lei era sempre apprezzatissimo. 
Non era difficile non cedere alle sue richieste così dopo aver salutato London e i suoi parenti l'avevo presa su in auto con me. 
"Perfetto. Dimmi dove devo fermarti." Le dissi avviando il motore e immettendomi sulla strada, mi voltai appena verso Heidi, ma il suo sguardo era fuori dal finestrino.
"A Jeffries Point." 
Jeffries point? E da quando nei quartieri di lusso c'erano case famiglia? Puntai lo sguardo accigliato ah di lei.  "Così lontano? Credevo fosse vicino." 
Lei scosse la testa guardando più avanti a se che me. "Eh no! Per questo mamma non voleva che andassi oggi. Ce la faremo ad arrivare per stasera?" 
"Certo che sì, alle sei saremo lì. Ma non credo che farai in tempo a tornare per..." la cena con gli Hoffman, ingoiai il groppo. "...potremo trovare traffico." Le dissi, sapevo di essere egoista. Ma non volevo che fosse a quella cena. 
La osservai e ancora lei eludeva il mio sguardo, sicuramente stava mentendomi. Altrimenti come sempre mi avrebbe affrontato. 
"Forse... è il caso di avvertire mamma se dovessimo trovare traffico." 
"Di sicuro!" Le risposi, avrebbe fatto tardi, molto tardi. Se per le diciotto fossimo arrivati comunque doveva fermarsi alla casa famiglia e poi in libreria. London per quanto potesse fare presto ad andarla a prendere sarebbe potuto arrivare verso le venti? Sì decisamente Adelaide Thompson aveva boicottato la sua presenza alla cena e lui era stato il suo complice, consapevole. 
"Scusami, dopo mi presti il telefono? Ho dimenticato il mio a casa." Mi disse e io le indicai il cruscotto, le avrei dato tutto di mio, non solo il cellulare.

...Arrivammo a Jeffries Point dopo le sei, una volta lì chiesi a Heidi dove dovessi portarla ma questa volta lei fu evasiva. 
"Puoi fermarmi ovunque e andare. Posso a piedi da qui in poi." Mi rispose 
Sospirai. "Guarda che ho capito che era una scusa la tua." Ammisi quindi. "Non vuoi partecipare alla cena con gli Hoffman." 
Lei mi guardò stupida, i suoi splendidi occhi per una volta si incupirono. Abbassò lo sguardo annuendo.
"Non posso tornare a casa stanotte. Io... non posso permettere loro di decidere per me." Singhiozzò 
Fermai l'auto alla prima piazzola disponibile così da poterle dare tutta la mia attenzione. "Devo dire a loro queste cose Adelaide. Non è così che risolvi la cosa, perché domani ritornerai a casa e Ronald Hoffman sarà ancora lì e tuo padre indispettito dalla tua azione potrebbe veramente decidere per te." Le dissi.
Lei sollevò il viso umido di lacrime. Mi sentii stringere il cuore, la mia Heidi non piangeva mai ed ora invece era inerme di fronte a me. 
"Credi io non l'abbia fatto già sono mesi che sto lottando con i miei genitori. Sono stata ammessa all'università voglio studiare legge e loro vogliono impedirmelo. Poi ultimamente stanno insistendo affinché io accetti la corte di Ronald non lo voglio e non sono interessata a nessuno. Il mio solo scopo e laurearmi non è difficile da capire..."
"Ah..." Quindi quella storia sta andando avanti da parecchio. Non sapevo come aiutarla, però potevo comprenderla quando diceva che voleva studiare e andare avanti. In fondo come ho detto a mio padre stesso, Adelaide aveva solo 18 anni. Lei aveva una vita avanti tutta in salita e studiare era il minimo che potesse fare se solo lo voleva. Ero sempre più convinto che nessuno doveva accontentarsi solo delle briciole soprattutto se poteva permettersi di andare avanti. E non parlavo di permetterselo a livello economico, bensì per motivi che trascendevano tutto tranne la volontà stessa delle persone di proseguire un percorso di vita. "Cosa ti hanno detto i tuoi?" 
" Che ho già un lavoro che mi aspetta la Thompson se voglio è che l'università non mi serve...Che studiare legge non è per me e soprattutto che poi non saprei cosa farmene della laurea. Ma  io so cosa fare...Io voglio difendere i più deboli." Mi disse con fervore.
"Io comprendo ciò che dici però effettivamente riuscirai a portare avanti i tuoi obiettivi senza l'aiuto della tua famiglia? La facoltà di legge dura parecchi anni, mio cugino la frequenta ed è ancora fermo al primo anno." Le dissi.
Lei annuì. " forse il diritto non è fatto per tuo cugino. Io mi sono premessa di studiare e tanto, i libri che ho dietro sono tutti libri inerenti il diritto civile e penale. Poi voglio già iniziare a lavorare e cercherò lavoro in qualche studio come apprendista o forse come ricercatrice, come segretaria anche alle pulizie per me va bene l'importante è che io entri nell'ottica di ciò che voglio fare. Ripeto forse tuo cugino queste cose non le fa." Disse lei. "Io avendo studiato alla Latin Academy sono già avanti, lo sai che ci hanno fatto studiare latino ed ho voluto continuare a studiarlo proprio per questo obiettivo, invece che cinque anni studierò forse quattro anni. Può essere che dopo i primi due anni di corsi generali studierò direttamente alla scuola di legge. Anche se non dovesse andare bene almeno so che ci avrò provato non avrò rimpianti. Io non voglio rimpianti nella mia vita, non posso accontentarmi Gabriel." 
Scossi la testa. "Tuo padre adesso è molto vicino all'ambiente politico. Se vuole ti impedirà di andare a lavorare ovunque, ha le sue conoscenze. Anche se ancora non senatore, Jenkins è comunque un rappresentante della camera, ha le sue conoscenze ha fatto entrare suo figlio Jonathan tra il suo staff senza problemi. E fidati Jonathan si è laureato per il rotto della cuffia non è un bravo avvocato, però conosce il minimo di leggi che serve per lavorare con suo padre. Dimmi quali sono le tue vere intenzioni Heidi." Le dissi infine, non poteva fare tutto da sola. 
Lei si torturò le unghie mordendole nervosa. Al che attesi paziente, misi in moto e mi diressi verso lo Hyatt hotel dove avevo prenotato la camera per quella notte.
"Nella mia valigia c'è tutto..." Iniziò a raccontare Heidi. "Ho preso gli abiti che mi servono per ora e per l'inverno ho già spedito al camper universitario tutto. Io sparirò di casa, non tornerò né stasera né domani. Ho deciso tutto, starò via per un poco; prenderò un treno e uscirò dal Massachusetts. Ho lasciato una lettera alla mamma e a papà una per i miei fratelli. Sono maggiorenne quindi ho tutto il diritto di lasciare casa, per quanto vogliano cercarmi fin quando non rientro in Massachusetts papà non avrà il potere di venirmi a trovare o prendere. I corsi inizieranno ottobre, ho ancora un mese di tempo.  Nel  frattempo troverò lavoro in una caffetteria da qualsiasi parte per mantermi da sola e mio padre si sarà arreso. Inoltre ho un libretto di risparmio mio personale e la nonna Cecilia mi ha aiuterà con le tasse se ne avrò bisogno. Ma non toccherò i fondi che ho conservato gelosamente per scopi personali." 
La ascoltavo, mi raccontava i suoi progetti e non la disturbavo. Ogni parola mi confermava che Heidi aveva studiato tutto nei minimi dettagli, anche la fuga. Non era stata impulsiva come mi era parsa e sicuramente era stata una coincidenza che fosse fuggita quel giorno con me.
Arrivammo all'albergo e parcheggiando l'auto all'ingresso cercai il suo sguardo. "Scendi dai." 
Scesi io stesso e dissi all'autista che attendeva, che era stato pagato la giacenza per tutto l'anno poi andai ad aprire il cofano per prendere le valigie. Intanto Heidi mi raggiunse e aprì la scatola che conteneva il suo trolley e poi quella dei libri. Facendoci caso attentamente, non erano tanti come sembrava, per questo prima mi era risultato leggero. I libri erano solo quattro, sotto di essi c'erano solo riviste. 
"Resta qui con me se ti va!" Le dissi indicandole l'albergo. "Domani potrai poi organizzarti. Dimmi la verità da quando progettavi questa fuga non è una cosa organizzata al momento.
Lei  mi guardò e mi sorrise. Era un sorriso che conoscevo benissimo, quello che le arrivava gli occhi. Era furbo e sicuramente questo l'avrebbe aiutata se avesse fatto l'avvocato.
"In realtà volevo fare tutto in sordina quest'estate, ma nonno Placido si è ammalato e quindi sono partita anche io per Rio. Altrimenti sarei già stata lontano mille miglia da casa." Si avvicinò a me e fece spallucce tirandosi dietro il trolley. "Non mi avresti trovata a casa e non ci saremo salutati adesso...Non penso sia il caso di abusare della tua gentilezza, non vorrei metterti nei guai con London e soprattutto non posso permettermi questo albergo adesso." Mi disse tranquilla. 
"Sei una sciocca, dormi nella mia stanza ovviamente. In fondo tra un poco sarai universitaria sai con quanti ragazzi dormirai!" Le dissi con una punta di gelosia.
Lei sbuffò. "Voi maschi siete tutti uguali pensate sempre a quello andrò all'università per studiare non per fare sesso quello è proprio escluso. Ti  ho detto che ho degli obiettivi." Mi disse decisa.
Come si vedeva che fino ad allora non aveva vissuto. "Puoi avere tutti gli obiettivi che vuoi, ma non potrai sfuggire alla vita universitaria, alle feste, ai ragazzi alle confraternite e tutto quello che gira intorno all'università." Le dissi facendole aprire gli occhi. "Ma secondo te perché i tuoi genitori non vogliono che tu ci vada? Sveglia una volta fuori casa inizierai a vivere e loro non potranno far nulla perché tu cresca." Le rivelai, perché era quello che sarebbe accaduto da quel momento in poi. Per questo cazzo ne ero geloso perché sapevo a cosa andava incontro e l'avrei persa per sempre. Ma non potevo fermarla, non dovevo. Aveva solo diciotto anni, una vita e dei sogni davanti. 
Le presi la mano e sicuro di me entrammo nella hall. "Dormirai con me stanotte, domani potrai fare ciò che vuoi. Prenderai un treno che ti porti fuori dallo stato oppure..." 
Lei mi guardò in attesa che continuassi. "Oppure cosa?" 
La guardai in silenzio, diedi il mio documento alla receptionist e dissi che la signora era con me. Ovviamente anche Adelaide dovette dare il suo documento, quindi chiesi alla donna l'assoluto riservo sui miei ospiti. "Nel caso mi chiamano o chiedono di me sono solo, inoltre non passatemi alcuna chiamata. Grazie!" Conclusi ritirando il documento e prendendo la valigia. 
Heidi seguiva tutti i miei movimenti e le mie parole, gli accordi per una cena leggera che avevo richiesto in camera e altre informazioni generali. Quando fummo soli in ascensore ancora mi guardava in attesa. 
Presi il cellulare e scrissi un messaggio a London, dopo di che lo feci vedere alla ragazza.
- Tua sorella Adelaide ti ha chiamato? Mi ha chiesto di lasciarla nei pressi della stazione e durante il viaggio ci ho pensato. È strano che si sia fatta lasciare lì, purtroppo non sapevo dove era la casa famiglia e non me l'ha voluta indicare. - 
"Questo è il messaggio che manderò più tardi a tuo fratello." Le dissi intanto che le porte si aprivano. 
Ci dirigemmo alla stanza e continuai. "Ci tengo a te Heidi, ci tengo che tu realizzi i tuoi sogni, perché è giusto che sa così." Le dissi aprendo la stanza e facendola entrare. 
Lei mi seguì in silenzio e solo quando chiuse la porta alle nostre spalle mi parlò. "Perché lo fai?" 
"Weil ich dich liebe!  Du bist meine Heidi, meine größte liebe." Glielo dissi in tedesco, avevo bisogno di dirgliela, la verità! La mia verità e il mio grande amore per lei. Volevo che vincesse e doveva farlo, per se stessa e e sopratutto per me. 
"Non ho capito!" Disse titubante. "Parlo e comprendo il portoghese, ma di tedesco non capisco nulla, ho capito solo Heidi." 
Le sorrisi. "Ti ho detto che sei la mia Heidi e che credo in te. Quindi se vuoi puoi venire a Monaco con me, lì sarai ben nascosta, pagherò io il biglietto di andata e ritorno ovviamente." Le spiegai.
Lei mi guardò e spalancò gli occhi sorpresa. "In Europa! Con te?!" Saltellò sul posto e mi saltò in braccio eccitata. "Non sono mai stata in Europa soprattutto a Monaco una delle città più romantica del mondo. Grazie Gabriel, grazie infinite... so che avevo detto che non volevo sperperare denaro ma questo è un sogno. Dio ho sempre voluto fare qualcosa con te, sempre. E finalmente posso!" Disse stringendo le mani  intorno al mio viso e stampandomi un bacio sulle labbra. 
Io sinceramente non mi aspettavo quella dichiarazione o peggio, o forse meglio, non mi aspettavo che mi baciasse. E cazzo non me lo lasciai sfuggire, la strinse tra le mie braccia e io stesso la baciai anche se il bacio non fu casto come il suo. Anzi fu carico di passione e desiderio. Tutto il desiderio che avevo tenuto per me negli ultimi due anni, quel desiderio che provavo da quando eravamo rimasti chiusi nella dispensa di casa sua al suo ingresso in società. 
La baciai con fervore, cercai la sua lingua e lei rispondeva a quel bacio con altrettanto fervore. Non mi rifiutava, al contrario mi istigava a dare di più. Attirava il mio viso verso il suo e lasciava aderire il suo corpo al mio. 
Cazzo! Lei era finalmente tra le mie braccia e sembrava volerci stare e io non riuscivo a fermarmi. Presi a carezzarla fremente, assaporavo la sua bocca con ardore, lasciavo che mi carezzasse la schiena e il collo e che le sue mani attraversassero la mia t-shirt alla ricerca della pelle dei miei fianchi. 
"Heidi!" Mi fermai, la fermai! 
Lei ansimante mugolò. "Posso fare a meno del viaggio a Monaco." Mi disse guardandomi.
Dio se era bella, le labbra erano rosse e tumefatte per via del bacio che ci eravamo appena scambiati. Decisamente era forse meglio che non la portassi con me a Monaco. Decisamente era il caso che lasciassi quella stanza, che dicessi alla reception che mangiavo fuori e che aspettassi lei andasse a dormire prima di rientrare, anzi no. Dovevo prendere un'altra stanza. Ma la sua frase successiva mandò all'aria tutte le mie buone intenzioni. 
"Però non posso fare a meno di te!" Mi disse infatti Heidi. "Ti prego Gab. Baciami ancora, toccami e concedimi di toccarti... mi basta anche solo una volta. Una cosa insieme io e te..." disse sussurrando. "Ho sempre voluto farla." Ripetette lieve.
E al diavolo le buone intenzioni. Anche io avevo sempre voluto fare una cosa insieme a lei, adesso nessuno me lo avrebbe impedito. Potevo amarla, potevo amare la mia Heidi. 
Così la presi tra le braccia e ripresi a baciarla portandola spedita verso la camera da letto. "D'ora in poi non sarai più la mia Heidi lo sai? D'ora in poi sarai meine liebe." 
——-
Traduzione:Perché ti amo. Tu sei la mia Heidi, il mio grande amore 
(1) Jeffries Point è un quartiere di Boston est, vicino all'aeroporto. Qui si trova lo Hyatt hotel anche uno degli alberghi della zona e dove pernottano Adelaide e Gabriel.
Loro vivono a Boston sud, nei pressi di Quincy lei e a Brookline lui.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Gabriel Keller ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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"Ci vediamo domani sera alla cena dei Jenkins" l'avevo salutata così il giorno.
E adesso lei era di fronte a me, nella casa del senatore Jenkins, con il broncio sul viso e l'aria annoiata. Odiavo vedere la mia Heidi con lo sguardo spento. Odiavo che le chiudessero la bocca per metterla a tacere o che le impedissero di dare la sua opinione sulle 'ingiustizie' della società. 
Lei era sempre stato uno spirito ribelle e forse proprio questo suo lato indomito era riuscito ad attrarmi sin dalla prima volta che l'avevo conosciuta. 
Annoiata, ferma accanto una poltrona non sembrava proprio lei, con molte probabilità non era interessata a partecipare alla  serata 'in famiglia' dei Jenkins. Ma quella era la società dove entrambi eravamo cresciuti e se ci dicevano di andare, noi dovevamo esserci, volente o nolente. 
"Adelaide sorridi al senatore Jenkins e cerca di non discutere delle scelte politiche effettuate." Sussurrò Manila Thompson alla figlia. 
"Sarebbe una cena in famiglia, questo esclude parlare di politica." Emise lei in un sussurro 
"Hannah ha organizzato questa cena per un motivo, avere l'appoggio dei Keller adesso che si è candidato come senatore del Massachusetts è importante." Aveva risposto Manila spingendo la figlia verso gli ospiti di casa per i convenevoli di rito.
Anche io sapevo quella cosa, sinceramente che lo chiamassero già senatore mi infastidiva. Perché non chiamarlo dottore o avvocato, sapevo che chiamarlo rappresentante era strano. Ma chiamarlo senatore no, o almeno non era il caso dal momento che non lo era ancora.
Sapevo che mio padre lo avrebbe appoggiato, Jenkins era un democratico e tanto bastava per avere i favori della mia famiglia. 
Guardai la schiena diritta e nuda di Heidi e mi chiesi cosa avevo fatto di male a meritarmi un'altra serata con lei. 
L'avevo ignorata in quegli ultimi due anni, più che ignorata, evitata era il termine giusto. Perché non riuscivo ad ignorarla!
Credo di averla amata dal primo momento che l'ho conosciuta a quindici anni, quando io e suo fratello London diventammo compagni di classe, e successivamente migliori amici, alla Boston Latin Academy. 
London lo aveva portato a casa sua quel giorno e lui aveva sentito Manila discutere. 
"Sembra che mia sorella Adelaide ne abbia fatta una delle sue." Mi aveva detto London entrando nella sala degli ospiti. 
Una donna dai capelli neri e la carnagione scura stava sgridando una bambina con la pelle poco più chiara della sua e gli stessi capelli neri e ricci. Sembrava che la bambina fosse intervenuta in una scorribanda con alcuni ragazzi che stavano approfittandosi di uno della prima classe.
"Non ho potuto fare a meno di intervenire. Era più piccolo e volevano prendergli la merenda." 
"Devi darti una calmata Adelaide, quando vedo queste cose avverti un docente, ti rendi conto che con i tuoi atteggiamenti metti in imbarazzo tutti noi?" Diceva la donna disillusa.
"Mamma quel bambino..." Continuò lei fermandosi notando la nostra presenza. 
"London!" Disse la matriarca osservando il primogenito così simile al padre sia di aspetto che nei modi.
"Mamma, io e Gabriel abbiamo la ricerca, ricordi?" Disse il mio amico indicandomi.
Io subito ero entrato nella parte, avevo teso la mano e come mi aveva insegnato mio padre mi ero presentato. "Deliziato signora Thompson, Gabriel Keller, per servirla." Le avevo preso la mano e lievemente vi avevo poggiato la bocca.
"Oh sì! London mi aveva detto di te. Ma andate, proseguite in biblioteca, io intanto vi faccio preparare qualcosa da bere." Ci aveva detto prendendo la figlia per mano.
I miei occhi si erano sposati sulla bambina e mi folgorarono, per il colore particolare sicuramente, erano verdi grigi, ma anche per l'intenso ardore che vi vidi. 
"Adelaide va in camera tua, parleremo dopo con tuo padre della tua condotta." Disse la donna alla piccola.
Io le sorrisi beffardo. Adelaide, come la protagonista dell'anime che avevo visto in Germania a casa di mia madre. Sembrava proprio come quella pastorello, una piccola selvaggia indomita. "Ciao Heidi." Le avevo detto.
"Heidi?!" Una smorfia era comparsa sul suo viso. "Adelaide, mi chiamo Adelaide." 
Ancora le avevo sorriso spalleggiandomi a London. "Si sì, proprio così! Heidi." La beffeggiai. "Avete tutti nomi di città qui in famiglia?" Avevo chiesto al mio amico che, divertito, rise portandomi fin se in biblioteca. 
"Ovvio! London, Chester, Brooklyn, Adelaide, Dallas e Alaska." Me li elencò lui. "Lo so, i miei sono assurdi." 
Io risi. "Tanto quanto mio padre, ci ha messo i nomi dei tre alti arcangeli." Gli dissi guardandomi intorno, come a casa mia anche in quella abitazione c'era una biblioteca privata di tutto rispetto. I testi erano forse più antichi di quelli che si trovavano a casa sua ed anche la fattura dei mobili che si comprendeva fossero più antichi. 
La mia famiglia era giunta a Boston agli inizi del ventesimo secolo, sapevo solo che il mio bis nonno un banchiere di Monaco, aveva ordinato al nonno di lasciare la Germania. Il nuovo Reich chiamava alle armi tutti i giovani cittadini tedeschi e al bis nonno sacrificare l'unico figlio per la patria, dopo che aveva combattuto nella prima guerra mondiale, non doveva andare proprio giù, se aveva deciso di mandare via il figlio.
Ovviamente col senno di poi e sapendo della guerra che ne era seguita, dovevo ammettere che il mio bis nonno aveva fatto bene. Ovviamente la seconda guerra mondiale aveva colpito anche gli Stati Uniti. Ma non come l'Europa e soprattutto a Boston, dove era approdato nonno Edgar, i rumori di quella guerra erano pochi. 
Il nonno aveva tirato su la sua impresa aprendo una società di consulenza finanziaria, seguendo la tradizione di famiglia, lì a Boston. 
Mio padre aveva fatto crescere la BBC* in tutto il mondo, cominciando da Monaco, dove aveva ereditato la banca e trasformandola in una sede secondaria della sua società.
Aveva sacrificato tutto per la sua società, anche lui. Il figlio inaspettato! Non sapevo come erano andati i fatti in realtà, l'unica cosa che avevo compreso era che mia madre all'epoca era contesa sia da mio padre che da mio zio che era restio a corteggiare la sua segretaria. Mio padre gli aveva fatto lo sgambetto e in visita alla filiale di Monaco aveva sedotto e abbandonato la bella Inga. 
Mia madre e mio zio si erano sposati qualche mese dopo la visita di papà a Monaco. La mamma era rimasta incinta e mio zio si era reso disponibile a impegnarsi con lei in nome di mio padre. Perché l'amava, ed effettivamente ancora stavano insieme dopo tutti quegli anni loro due, a differenza di mio padre. Lui saputa la notizia non aveva mai pensato di sposare la mamma, al contrario voleva riconoscere me. Per quanto non fosse innamorato di mamma era un uomo coscienzioso e riconosceva le sue responsabilità, in fondo quello che aveva fatto con me era accaduto dieci anni dopo con Michaela e poi con Rafael, i miei fratelli minori da parte di papà. Papà fino a quando non aveva conosciuto Denise Lambert, a quasi cinquant'anni, era stato un donnaiolo. Nessuno lo aveva fermato, neanche i figli che si era sparso in giro per gli Stati Uniti e in Europa, anzi aveva proseguito su quella strada. A lui, secondo me, bastava avere un figlio che portasse avanti il suo impero. Infatti appena ero stato abbastanza grande da poter essere indipendente, a quattordici anni, papà mi aveva fatto lasciare Monaco per raggiungerlo a Boston, dove mi aspettava l'ingresso in una scuola prestigiosa e antica e dove poi successivamente avrei preso il mio posto nella multinazionale. La sua scusante era stata che era giunto il momento che conoscessi gli altri miei fratelli, oltre Gellert e Pamela figli di mia madre. Così avevo lasciato la Germania e Monaco per una città sconosciuta e due fratelli altrettanto sconosciuti. Michaela viveva con noi, era stata cresciuta da papà, anzi dai nonni, poiché la madre era morta mettendola al mondo. 
Rafael invece avevo scoperto viveva a Sydney con sua madre, fino ad allora ancora non lo avevo conosciuto. Se ben avevo capito era più o meno coetaneo di Michaela. 
Sospirai tornando alla realtà, mio padre ci chiamava, così io e mia sorella lo seguimmo nella sala adibita per la cena, durante l'aperitivo potevo sentire mio padre e mio nonno che discutevano di politica con il senatore e Thompson. 
Lanciai uno sguardo al mio migliore amico e poi alla sorella che teneva per il braccio. Se c'era qualcuno che riusciva a tenere a freno Heidi era proprio London. Quella sera in un vestito di alta classe nero e i capelli ricci stirati, sembrava più grande. Sicuramente era tutto studiato nei minimi dettagli da Manila Thompson. Alla cena oltre noi c'erano anche gli Hoffman che guarda caso avevano un figlio di circa venti anni e destinato a ereditare l'impresa navale del padre. Sarebbe stata una bella unione semmai Ronald fosse riuscito a sposare Heidi... anzi no, Adelaide Thompson. I padri avrebbero fuso le società e io... io avrei perso la mia Heidi. Non la immaginavano proprio a fare la padrona di casa, dedita a ricevere gente come sua madre o come Hannah Jenkins. 
No! Non volevo che Ronald toccasse Heidi assolutamente, che coprisse le spalle nude e che scompigliasse i capelli ordinati. Tanto in quel caso avrebbe sempre avuto delle attenzioni, le mie! 
"Gabriel, il senatore ti ha chiesto come procedono gli studi." Mi sentii dire.
Mi voltai verso mio padre e il senatore e sorrisi. "Benissimo direi. Quest'anno parto per un master alla filiale di Monaco e al mio ritorno oltre che iniziare a lavorare prenderò anche un master alla Harvard bussines school." Risposi fiero dei risultati ottenuti con la mia fresca laurea in economia aziendale. 
"Decisamente ce l'hai nel sangue. Parlavo proprio con mia nipote Kristin dei tuoi successi, in questi giorni ci raggiunge e a Los Angeles. Ma appena rientra potreste discutere insieme di economia, sarebbe interessata a conoscere meglio questo mondo." 
Fissai il quasi senatore, rappresentante alla camera, e annuii. Conoscevo Kristin e quello che comprendeva di economia era come farla girare. Ovvero spendendo ovunque! Jenkins voleva accasarmi con sua nipote, eppure doveva aver capito che non ero stupido. "Non vedo l'ora, anche se credo se ne parli fra un anno circa. Io e London partiremo in vacanza per festeggiare le nostre rispettive lauree, tra due giorni e al mio rientro mi aspetta il viaggio per Monaco dove come dicevo resterò almeno sei mesi." Se non di più, pensai ricordando le schiere di ambiziose arrampicatrici sociali che avrei ritrovato a Boston. "Ne sono rammaricato." 
"Andiamo! Ci sarà tempo per incontrarvi tutti e due, potremo organizzare qualcosa poco prima che parti figliolo." Asserì mio padre. 
Lo osservai scettico e annuii. Eravamo ad una serata pubblica, ma al rientro a casa mi avrebbe sentito. Lui non poteva intromettersi nella mia vita, soprattutto quella privata. Lui che si era sposato a cinquant'anni non poteva venire a farmi poi nessuna paternale. 
Presi un bicchiere di champagne dal cameriere che ci passò di fianco e mi allontanai nervoso. Quella storia non mi piaceva, questa serata non mi piaceva. 
Raggiunsi Heidi e lanciai uno sguardo in cagnesco a Ronald Hoffman che stava carezzando la schiena nuda di lei con le sue viscide mani. 
Il giovane Hoffman ovviamente subito capì che qualcosa non andava perché iniziò a balbettare. "Se-sera Ga- Gabriel!" 
"Buonasera Ronald." Lo salutai sicuro di me per poi sorridere a Heidi e renderle il braccio. "Andiamo a tavola?" Le chiesi, se era vero che quella serata aveva più scopi era vera una cosa anche.
Se mi mettevo in testa una cosa nessuno poteva impedirmi di raggiungerla. Così arrivati al lungo tavolo lasciai la mano alla mia amica e andai alla ricerca dei segnaposti spostando il nome di Chester vicino quello di Ronald e quello di Adelaide tra il mio e quello di London. 
La mora seguì tutte le mie mosse poi quando capì ciò che avevo fatto mi afferrò per il braccio per attirare la mia attenzione. Io mi voltai e nel farlo vidi che mi sorrideva grata. Al che anche io fui grato, ringraziai Dio perché compresi che ad Heidi la presenza di Ronald risultava sgradevole.

Agosto 2008 - Boston 
Il viaggio ai Caraibi che c'eravamo concessi io e London era stato fantastico. Come sempre c'eravamo circondati di ragazze lasciandoci andare all'avventura. Per London l'arrivo di settembre significava prendere in mano le redini della Thompson & sons, per me invece significava partire verso le Europa. Ma prima di partire avevo ancora un conto in sospeso, dovevo parlare con mio padre e mi aspettava un appuntamento con la nipote di Jenkins.ovviamente era importante che prima parlassi con mio padre non volevo sposare Kristin.
Mi diressi quindi nell'ufficio di mio padre, lo trovai che stava studiando delle carte con il nonno. Era inutile dirvi quanto io ammirassi mio nonno, era stato il mio esempio di vita, era grazie a lui che mi ero appassionato alla finanza e non a mio padre per quanto si potesse credere. Il nonno mi aveva fatto comprendere ciò che era realmente importante, ovvero il valore della fede e della famiglia.
Per questo non ebbi remore nell'entrare nella stanza, un confronto con il nonno presente non poteva che giovarmi.appena i due vecchi uomini mi videro mi salutarono calorosi, abbracciai sia mio padre che mio nonno poi lasciai che papà mi riempisse un bicchiere di whisky. Al che iniziai a raccontare loro del viaggio, dissi che era andato bene e ci eravamo divertiti. Poi intavolai l'argomento che mi premeva.
" Non comprendo perché tu voglia che io esca con Cristina Hofmann. La conosco da un paio di anni e non è il tipo di ragazza che mi piace."
Mio padre mi osservò e dopo che ebbi finito gesticolò con la mano per poi rispondermi. "È una ragazza di buona famiglia. Perfetta per portare avanti il retaggio dei Keller, credo sia giunto il momento che tu ti guarda intorno e inizi a pensare al tuo futuro."
Strabuzzai, posai il bicchiere sulla scrivania e lo affrontai cercando di mantenere la calma. "Sei serio? Quella ragazza non è il mio tipo il suo hobby preferito è sperperare il denaro del padre e infilarsi nei pantaloni di chi ha soldi per spennarlo per bene." Gli dissi con voce dura per poi dedicarmi al vero problema. "Chi sei tu per dire a me cosa devo fare della mia vita quando non sei stato in grado di gestire la tua di vita!" Lo accusai. "Hai messo incinta la mamma e quando hai scoperto che era incinta te ne sei fregato. Sinceramente mi chiedo se tu l'abbia sedotta per fare un dispetto allo zio Taddheus. Poi vogliamo parlare della madre di Michaela, se non si fosse ammalata in gravidanza tu l'avresti lasciata in Italia a morire anziché portarla a Boston. Così come Rafael è rimasto a Sydney in tutti questi anni, non so neanche che volto abbia mio fratello." Lo accusano puntandogli il dito contro. "Non parlare a me dei miei doveri, io so quali sono."
"Bada a come parli Gabriel e portami rispetto. Mi sembra che non ti ho fatto mai mancare nulla, è tempo che tu faccia il tuo dovere." Ringhiò mio padre.
Il mio dovere? Ancora! Non mi aveva fatto mancare nulla? Mi aveva portato via da Monaco a quattordici anni, via dalla mia famiglia e dai miei fratelli cui ero e sono ancora molto legato. "Mi sposerò dove,
come e quando lo dico io, soprattutto con chi dico io. I matrimoni combinati non sono per me." Conclusi, non sarebbe stato lui a decidere per me. 
Un colpo di tosse destò la mia attenzione, mi voltai verso il nonno che aveva seguito tutta la scena fino ad allora in silenzio.
"In realtà sono io che vorrei vederti sistemato figliolo." Ammise il vecchio. 
Incredulo mi portai verso di lui scuotendo la testa. "Sei serio nonno?" Gli chiesi.
Lui assentì. "Lascerò a te la mia società! Sei talentosi ed hai l'abilità finanziaria nelle vene, ti destri bene tra la gente e anche se non lo fai consapevolmente sei autoritario al punto giusto. Ti manca solo una cosa per poter essere il presidente della BCG." Allude il vecchio. 
"Ho solo ventiquattro anni! Sai che prima devo fare una bella gavetta, partirò per la Germania proprio per questo e sai che voglio prendere una seconda laurea." Risposi per poi indicare mio padre. "Lui è il tuo erede." 
"Hai detto che avresti lavorato comunque durante i corsi." Mi disse il nonno.
Ovvio, il secondo corso non mi avrebbe preso molto tempo, era una laurea integrativa. "Questo non cambierà il fatto che devo fare la gavetta." Ammisi.
"Farai lo stage a Monaco, poi una volta rientrato tuo padre ti sostituirà intanto che ti spratichi." Mi spiegò il nonno. 
Sospirai mettendo una mano sulla fronte e massaggiando gli angoli lentamente cercai di mettere insieme tutte le notizie. "Questo non deve implicate che mi sposi con Kristin Jenkins." Dissi risoluto.
"È un buon partito, sa stare nella società e saprà essere una buona padrona di casa e una madre eccellente per i tuoi figli." Concretizzò mio padre. 
"Ma a noi cosa cazzo ce ne frega dei Jenkins, da quando vediamo se una persona è adatta o meno." Gli risposi, al diavolo l'educazione ed il rispetto. Mio padre non si meritava nulla in quel momento, la sua ipocrisia l'avrei mandata altrove. Per questo mi rivolsi al nonno. 
"Voglio solo vederti felice prima di passare a miglior vita." Ammise il nonno. 
Io lo guardai sbalordito. "Lo stesso non c'entra nulla. Quando hai sposato la nonna non hai visto che fosse o meno ricca, che sapesse stare in società o altro." 
L'uomo mi sorrise ammiccante. "Quando ho conosciuto tua nonna stavo tirando su il mio impero. Nessuno mi osservava, a differenza di adesso, tutti guardano a noi come un riferimento." 
Feci una risata cinica. "Anche ai tempi di papà ci guardavano già con riferimento. Le balle raccontiamole a qualcun altro." Sbuffai prendendo il mio whisky scolandolo tutto d'un fiato. Poi posai il bicchiere intanto che mio padre ancora diede la sua opinione. 
"Kristin Jenkins è un ottimo parti..." 
"Smettila papà! Sei un ipocrita, tu vieni a fare la morale a me. Tu che sei stato il primo puttaniere di Boston e del Massachusetts." Lo zittii.
"Non ti azzardare a mancarmi di rispetto." Mi minacciò lui alzando il pugno. 
"Altrimenti cosa fai? Prendi la cinghia per punirmi?" Gli risposi nello stesso tono avvicinandomi a lui. "Sono abbastanza grande per impedirtelo adesso, inoltre offendersi per ciò che è evidente agli occhi di tutto il mondo mi sembra poco coerente." 
Al che anche il nonno si alzò dalla sua poltrona frapponendosi tra noi due. "Calmatevi. Thomas lascia che sia io a parlare con Gabriel." Disse tranquillo per poi cercare il mio sguardo. "Credo che Kristin Jenkins sia una persona deliziosa. Perché non provi a uscirci e conoscerla?" 
"Perché la conosco già! Ero a scuola con suo fratello e l'ho conosciuta che già flirtava con chiunque all'epoca. Io non cerco una santa ovviamente, ma neanche lei. La conosco da anni, non mi è mai piaciuta e non voglio sposarla." Ci tenni a precisare non credendo che avrei dovuto combattere anche con il nonno. 
"Era tanto tempo fa, adesso è una donna matura e sarebbe perfetta nel ruolo di signora Keller. Vi fidanzate e tra qualche anno potrete sposarvi e..." 
"E l'amore!?" Conclusi io fissandolo attentamente. "Quello che mi hai insegnato in questi anni, i valori che mi hai trasmesso?" Chiesi al nonno. 
Adesso era una questione tra noi due, dopo aver predicato sempre il bene non poteva venirsene e chiedermi un matrimonio senza amore, per soli scopi economici. Perché sicuramente questo c'era dietro, qualche affare tra Jenkins e papà. 
"L'amore è solo una favola Gabriel. Non dirmi che ci credi sul serio." Sbuffò mio padre 
Scossi la testa, era palese che lui ragionava con la testa, molto col suo uccello, escludendo a priore i sentimenti. Ma io non ero così, non come lui. Il nonno mi guardò e sospirò.
"Non hai mai avuto una ragazza seriamente Gabriel, hai ventiquattro anni e se avessi provato un minimo di sentimento per una sola delle tue avventure ti avrei dato ragione." Rispose rassegnato il nonno. "Ma passi da una ragazza all'altra, mi ricordi tuo padre e voglio evitare che tu: il futuro presidente della BCG faccia i suoi stessi errori." Disse accusando a quel punto me e mio padre. 
Smarrito guardai prima lui e poi l'altro che intanto si fissava la punta delle scarpe. Mi allontanai lentamente e annuii.
"Non sono come lui. Anzi, sono innamorato di una ragazza, una ragazza che non posso avere perché è ancora piccola." Ammisi a entrambi, cazzo avevo solo ventiquattro anni e mi mettevano già sulle spalle le loro responsabilità. Peggio ancora, gli errori di mio padre! Scossi la testa. "Sapete che vi dico? Se queste sono le regole la BCG non fa per me, sarà qualcun altro il vostro erede." Conclusi andando alla porta e chiudendomela alle spalle. 
Se credevano che ricattarmi sarebbe servito potevano toglierselo dalla testa. Avrei seguito il mio cuore, mi sarei trovato un lavoro altrove, non ero obbligato a vivere in una villa lussuosa e centenaria servito e riverito di tutto punto. Potevo vivere come uno stipendiato, in fondo ero un ragazzo di ventiquattro anni, spese non ne avevo e fortunatamente non avevo neanche famiglia. 

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La BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale ed io l'ho usata ma con nomi e storia diverse. Anche se come nella realtà qui nella storia ha sedi in tutto il mondo che includono oltre Monaco, Londra, Parigi, Milano, Tokyo (la prima sede estera nel 66). In totale sono 82 uffici, dovrebbero essere. Atlanta, New York, Nigeria, Mumbai, Roma, Sydney, Quatar, Philadelphia, Filippine...
Da Wikipedia Ogni anno BCG pubblica (e distribuisce a ciascuna delle 82 sedi nel mondo) articoli, report, ricerche e studi su diversi mercati e tematiche sia di forte attualità, sia che esse siano emergenti o appena delineate all'orizzonte.

Albero genealogico Keller

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti) - Pamela Keller (Karen Gillan) - tutti i prestavolti sono a scopo visivo, ovviamente i personaggi hanno le età indicate da me
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Boston - 23 agosto - Villa Thompson

London

Parcheggiai  l'auto vicino quella di papà e di Ronald Hoffman. Prima di andare a prendere Alaska avevo di nuovo provato a chiamare mia sorella Adelaide, ovviamente, senza successo. Da quando era arrivato Ronald più volte avevamo preso a chiamarla tutti, ma ella non aveva risposto a nessuna di quelle  telefonate. 
Perché Adelaide era così sconsiderata ed impulsiva? Perché non pensava alle azioni che compiva prima di compierle? Io concordavo solo su una cosa, Ronald Hoffman per quanto fosse un papabile socio finanziario, non era il tipo adatto a mia sorella, anche se forse ero di parte. 
Ma da qui a darsi per dispersa ce ne passava, udii le ruote di un auto sull'asfalto, dovevano essere arrivati gli Hoffman segno che era tardi. 
Osservai l'orario sul mio iPhone 2G e ne ebbi conferma. Le diciannove e trenta, a breve avremmo cenato, erano arrivati i loro ospiti e speravo vivamente che Adelaide fosse rientrata da sola a piedi. 
Con un paio di falcate salii le scale del soppalco che portavano alla residenza di famiglia ed entrai in casa. Alaska gli aveva lasciato la porta aperta, lei si che era una ragazzina responsabile.
Raggiunsi i miei genitori nella sala degli ospiti, mia madre seduta sulla sua poltrona preferita discorreva con Brooklyn, papà era intento a parlare di affari con Ronald.
Appena mamma mi vide lasciò però perdere la figlia maggiore e mi raggiunse. 
"Non è tornata, Alaska ha detto che non era neanche con voi." Gli disse
Annuii con un cenno di capo coprendomi il viso con la mano destra. "Sono andato in tutti i luoghi che frequenta. Alla casa famiglia mi hanno detto che è passata la settima scorsa, mentre alla scuola di danza..."
"Non la fa più!" Affermò Manila. "Cioè almeno da più di un anno, lei non sa che l'ho scoperto." 
Osservai incredulo mia madre. "Ma se usciva sempre per andare a danza." 
Manila ancora annuì. "Credo non le sia mai piaciuto. Bertrand dice che andava al parco a correre o al cinema e in biblioteca. Ma è almeno da un paio di anni che non fa più danza." Ammise la donna.
"Ma... tu hai pagato la scuola. Ti avrebbero avvertito se non andava." Affermai il giovane.
"Lei pagava la scuola, come abbiamo responsabilizzato voi a sedici anni, lo abbiamo fatto anche con Adela. Sinceramente non so dove abbia messo i soldi, sul suo conto non ci sono." Ammise quindi.
"Mamma!" Intervenne Brooklyn con voce lieve. "Sono arrivati gli Hoffman, sarebbe meglio se tu raggiungessi papà." Le disse.
La mamma annuì per poi allontanarsi. Io e Brooklyn la osservammo che parlava con i genitori di Ronald e intanto stavamo chiedendoci entrambi cosa lei stava dicendo per giustificare l'assenza di Adela quella sera o se aveva omesso l'argomento.

Una volta a cena Chester notò subito l'assenza della sorella tra i commensali. Preso posto accanto a me e Brooklyn ci chiese loro che fine avesse fatto Adelaide. "Papà mi ha telefonato urgentemente di cercarla nelle zone che frequento io." Mi disse preoccupato.
"È sparita nel nulla." Annunciò Brooklyn. "Oggi pomeriggio è andata via con Alaska e non ci sono state più notizie di lei." 
"Da quando esce con Alaska?" Chiese lui con una smorfia. "Vi dico io perché è sparita, non gli piace Ronald e questo corteggiamento dovrebbe finire." 
"Sarebbe un matrimonio perfetto Chester. Non ne so tanto di economia aziendale, ma sicuramente sarà anche una buona collaborazione tra le famiglie. Vero London." Chiese Brooklyn 
Io soprappensiero annuii, mi sfuggiva qualcosa ma non sapevo cosa e non era da me, ero quindi troppo in apprensione se accadeva. "Mamma e papà hanno sbagliato a negarle l'università e dopo hanno deciso anche di imporle la presenza di Ronald. È normale che abbia voluto evadere da tutto, questa cena potrebbe implicare un accordo prematrimoniale ad occhi estranei." 
"Andiamo London! Cosa se ne sarebbe fatta dell'università?" Mi chiese mia sorella.
Io e Chester si scambiarono uno sguardo complice. "Quello che ci facciamo anche noi. È una formazione per il nostro avvenire." Le ricordai.
"Abbiamo avuto un'ottima formazione alla Boston Latin. Anche voi due, eravate parecchio più avanti all'università." Affermò lei.
"Non in quello per cui ci siamo specializzati. Comunque non è il caso di parlarne qui e in presenza degli Hoffman." Dissi passandole i fagiolini 
"Avete provato a telefonarla?" Chiese Chester intanto che riempiva un bicchiere di acqua.
"Non risponde." Rispose amareggiato London mentre che prendeva a mangiare.
Nel silenzio che annunciò l'inizio della cena Sally Hoffman diede voce alla domanda che fino ad allora ancora non aveva espresso e aveva risposto al dubbio che era giunto a me e Brooklyn, la mamma aveva detto loro che Adelaide non c'era? La risposta adesso era chiara: no. 
"Ma Adelaide? Ancora non ho visto quella cara ragazza, iniziamo senza di lei?" Chiese 
Io e i miei fratelli ci guardammo tra di noi, guardammo poi i genitori titubanti. Mamma fece per rispondere ma a farlo fu ingenuamente Dallas.
"È con Gabriel! Domattina lui parte e avranno voluto passare da soli queste ore." Disse allusivo come solo un ragazzo di sedici anni poteva essere. E io mi maledissi! Ecco cosa mi era sfuggito.
"Dall! Cosa dici?" Lo ammonì Alaska che però aveva un sorriso stampato sul viso. "Effettivamente sono andati via insieme." 
Fissai i miei fratelli più piccoli, poi mamma. Cazzo! Ci eravamo dimenticati tutti che Adela era andata via con Gabriel, avrei dovuto subito chiamare il mio migliore amico e chiedergli di mia sorella. 
"Beh tutti lo sanno. Adela e Gabriel stanno sempre insieme alle feste e alle cene, non è che lui parte per l'Europa e lei non lo saluta." Precisò Dallas corrucciato. Lui in cuor suo non aveva detto nulla di male, questo perché era uscito con i figli della zia Olivia e si era proprio estraniato dagli eventi in casa 
"Gabriel... il giovane Keller giusto? Il ragazzo che dai Jenkins era seduto accanto ad Adelaide." Disse la Hoffman attirando la nostra attenzione. 
"Quello che ha scambiato i posti vorresti dire." Intervenne un acido Ronald. 
"Non ci sono prove che sia stato lui. Entrambi hanno detto che fino al nostro arrivo non hanno visto i posti assegnati al tavolo." Ci tenne a precisare mamma imbarazzata.
"E adesso stanno insieme!" Precisò il giovane Hoffman. 
"Loro stanno sempre insieme." Mi intromisi in difesa di entrambi, assurdo stavo facendo ciò che faceva sempre Adelaide in quei casi: prendere parti . "Gabriel ama Adela da quando l'ha conosciuta e viceversa." 
"Non puoi separarli Hoffman, se vuoi essere amico di Adela, devi esserlo anche di Gabriel." Concluse Chester spalleggiandomi, su quanto detto non c'erano dubbi. 
In fondo avevo detto una cosa che era evidente a tutti in quella casa, nonostante Gabriel non mi aveva mai detto nulla io sapevo, io avevo visto. Non lo avevo capito da subito ovviamente, a quindici anni non vedi certe cose. Ma poi le comprendi, Gabriel amava Adelaide da una vita, le aveva sbavato dietro che aveva solo nove anni, venti chili in più al presente e gli occhiali fissi per regolare la vista. E l'aveva amata! Gabriel si era innamorato di Adelaide per ciò che era, non per una bella compagna da presentare alla società e neanche per il suo nome. Lui aveva semplicemente amato la sua Heidi. Se la mia sorellina ricambiava o meno quel sentimento era invece da decidere.
"Mi dispiace che non ci siano entrambi qui." Intervenne la signora Hoffman in modo amichevole, come se volesse chiudere la conversazione. "Sono dei ragazzi che sanno tenere compagnia e vederli insieme è piacevole, quindi il giovane Keller parte?" Chiese per cambiare argomento e non parlare più di Adelaide.
"Sì mia cara." Le rispose il marito. "Ha raccontato alla cena dei Jenkins che avrebbe fatto un master annuale alla sede di Monaco. Sicuramente ha un avvenire nella società paterna, dicono che già prima di prendere la laurea facesse consulenza e lavorasse col nonno. Tobias Keller punta molto sul primo nipote." 
"Chi non lo farebbe, intelligente, ricco e sexy..." Scherzò la donna carezzando il braccio del marito. "Mi ricorda te da giovane." 
Ebbi la nausea, evitai però di mostrare una smorfia prendendo a sorseggiare il mio vino. Fortunatamente quella situazione, a parte il malumore di Ronald, non aveva messo nessuno in imbarazzo. Dovevo ricordare a Dallas di essere più discreto nel dare le sue affermazioni e di non intromettersi negli affari dei grandi.
Quando gli Hoffman furono andati via finalmente potetti chiamare Gabriel e chiedergli se sapesse di Adela. 
"Non risponde?" Chiese mia madre 
Scossi la testa, avrei provato un ultima volta e poi rinunciavo. "Ha l'aereo alle quattro domattina. Temo sia a dormire già da un bel po'." Le dissi controllando l'ora, erano le ventitré e un quarto. 
"Proviamo a richiamarla sul cellulare. Quando la troverò mi sentirà." Disse papà riprendendo a chiamarla. Nel silenzio della casa si sentivano solo i nostri cellulare e l'effetto sonoro dei tentativi di chiamata, infine uno squillo ripetuto.
"Mamma!" Affermò Brooklyn stringendosi alla mamma.
"Silenzio." Disse Chester guardando papà. "Richiamala." 
Papà osservò il suo cellulare poi riavviò la chiamata e anche se flebile lo squillo tornò a riempire la casa silenziosa. 
Senza perdere tempo lo seguii! Che Adelaide fosse rimasta a casa e si trovava in una situazione assurda? Seguii lo squillo sempre più insistente ed acuto fino a quando non mi trovai di fronte la camera di mamma e papà. Aprii la porta e la luce del display che lampeggiava ad ogni squillo attirò la mia attenzione. 
Mi avvicinai prendendo il telefono per staccarlo, sotto di esso c'era una lettera indirizzata alla mamma. La scrittura era quella disordinata di Adelaide, se n'era andata di casa!
Scesi di corsa le scale e senza dire nulla a nessuno mi diressi da mamma porgendole la lettera, il Nokia di mia sorella in tasca era di fuoco per le ripetute chiamate. Senza indugiare lo diedi a papà attendendo una reazione di mamma che aveva iniziato a leggere la sua lettera.
"È andata via! Scrive che si è iscritta da sola all'università, ha usato i suoi soldi... scrive che è giunto il momento di crescere e che non la troveremo." Riassumeva ad ogni tratto di lettura mamma. "Ha organizzato da tempo questa fuga ed ha fatto in modo che non venga trovata... non è intenzionata a prendere un altro cellulare, non può concedersi spese futili... chiede di non cercarla e che starà bene. Ha un tetto sotto cui dormire... se non chiamerà è perché impegnata a cercare lavoro." Alzò lo sguardo dalla lettera che si portò al petto. "Ci chiede scusa, ma non aveva scelta. Non voleva rinunciare all'università e trovava disgustoso Ronald." 
"Ostinata e cocciuta! Crede davvero che scappando potrà andare l'università? Può aver pagato la prima tassa, ma tornerà con la coda tra le gambe! Questa fuga non gliela perdonerò!" Disse papà 
Al mio fianco Chester sbuffò. "Gliela perdonerai invece, perché è parte della nostra famiglia e perché già ci manca. Adesso vuoi fare vedere che non la perdoni perché sai che sta bene, ma la perdonerai e se non le permetterai di andare all'università sarò io ad aiutarla." Disse a papà avvicinandosi a mamma e dandole un bacio. "Sappiamo che sta bene, io vado a dormire." 
Mamma annuì ricambiando il bacio, poi prese un foglio dalla lettera che le aveva lasciato Adelaide e glielo porse. "Questo è per te." 
Chester la prese e salutando tutti salì verso le camere aprendo quel foglio gelosamente. "Ce n'è anche per noi?" Chiese Brooklyn 
Mamma annuì dando alla sua prima figlia la sua lettera, dopodiché senza farselo dire consegnò anche le altre. Una volta che furono distribuiti tutti quei fogli andammo via lasciando soli i nostri genitori.
Restai però ai margini della scala ancora un po', volevo sapere cosa sarebbe accaduto adesso. 
"Non mi sono accorta di nulla." Disse mamma.
"Quella sconsiderata, non sa il male che ci ha fatto, la preoccupazione che mi porto dentro." Si confidò papà. "Là fuori non è al sicuro Manila, è ingenua e se qualcuno scoprisse che è nostra figlia potrebbero rapirla. Non doveva andare via!" Si disperò.
"Abbiamo sbagliato, quando ci ha detto dell'Università dovevamo ascoltarla." Disse la mamma.
"Per cosa? Le ho detto chiaramente che negli studi non la prenderebbero, è una ragazza e l'ambiente legale è uno dei più maschilisti della società." 
"Sì, però adesso sapremo in quale università trovarla." Ammise lei.
Non vi fu risposta, avvertii però un fruscio segno che si stavano muovendo. "Quanto poteva avere come risparmi? Hai detto che i soldi della scuola di ballo non li ha messi sul conto corrente." Chiese mio padre.
"No, però se è riuscita a conservarli e se ci ha aggiunto anche con la paga mensile potrebbe cavarsela." Stilò mamma.
"Circa diecimila dollari? Se è andata in un collage potrebbe non averli spesi tutti." Affermò papà. 
"Ma se è stata ammessa all'università, dove potrebbe essere andata?"
"Non ad Harvard, chiedono dei requisiti che lei non penso abbia. Poi la retta gira intorno ai 40000 $, sarebbe un suicidio per lei." 
"La Suffolk e la Northeastern Universities invece potrebbero accoglierla, sicuramente non hanno i costi di Harvard." 
Mio padre sospirò. "Dobbiamo trovarla, non può fare tutto da sola e sono sicuro che nessun lavoro potrà aiutarla a pagare la retta." 
"Ti prego Simon, adesso non incolparti però." Lo rincuorò mamma. "Domattina London contatterà Gabriel e sapremo dove era diretta."
"Gabriel... cosa diamine è questa storia che Adelaide sia innamorata di lui." Affermò papà.
"Ti preoccupi di lui anziché di lei. Questa sera hanno sbandierato i sentimenti di quel ragazzo." Disse sarcastica la mamma.
"È il minore dei mali. Se avesse viziato di meno Adelaide adesso non saremo a questo punto, se si fosse fatto avanti al suo sedicesimo compleanno dopo che si erano nascosti, adesso Adelaide non sarebbe scappata. È il minore dei mali, perché adesso che nostra figlia è scappata troverà un buono a nulla che si approfitterà di lei e lui dovrà tacere." Si sfogò papà.
Mi allontanai dal mio nascondiglio diretto verso la mia camera. Dovevo sentire Gabriel e dirgli cosa stava accadendo, quindi provai a richiamarlo invano. Non rispondeva!

Gabriel

Non erano usciti dalla stanza, avevano fatto l'amore e cenato a letto, poi si erano addormentati esausti. Non avevano parlato molto, i fatti erano stati la loro priorità. Dopo aver fatto la prima volta l'amore con Adelaide mi ero smarrito, nel suo calore e nei suoi occhi verdi che durante l'orgasmo si erano dilatati. L'avevo fissata per tutto l'amplesso, le guance rosse, gli occhi appassionati e le labbra invitanti, mi ero perso dentro di lei e non avevo fatto più ritorno. Non me lo sapevo spiegare, ma con lei tra mie braccia mi ero sentito imbarazzato ed inesperto. Forse era dipeso dal fatto che fosse la sua prima volta, e cazzo era diventata anche la mia prima volta, anche se non lo era. Quello era amore, una palese differenza dal sesso che era il piacere fine a se stesso. Ma quando c'erano di mezzo i sentimenti tutto era diverso. Diventava più ampio, qualcosa di inimitabile e irraggiungibile! Anche Heide lo era e ne ero consapevole, lei aveva ancora una vita davanti, una vita che non includeva nessuno poiché doveva crescere, prendere la strada che aveva deciso di percorrere e quella strada non includeva me, non dal momento che presto sarei a stato a Monaco. 
Dopo il primo amplesso non ci eravamo parlati, temevo, dopo aver fatto l'amore, di aver rovinato tutto. Avevo mandato all'aria la nostra bellissima amicizia per seguire i miei istinti! Ero rimasto in silenzio mentre lei ansante si stringeva contro di me, il respiro che poco la volta diventava regolare. La stringevo io stesso tra le mie braccia, le avevo fatto male? No! Ero stato delicato, dandole i suoi tempi, solo quando si era rilassata alla mia invasione mi ero fatto prendere dalla foga. Le sue carni erano così invitanti e sembrava che attendessero il mio sesso da una vita, per essere una cosa sola. Era stata la prima volta che avevo fatto l'amore e anche che non usavo il preservativo, anche per questo era stato più bello. Libero da tutte le barriere non avevo avuto freni, non ero stato irresponsabile, sapevo solo che con lei potevo, perché era Heidi. 
Stretto a lei e in assoluto silenzio le avevo baciato la testa e i capelli arruffanti. Sorrisi, anche così scomposta era sempre bellissima! Restai sorpreso però avvertendo una lieve carezza sul fianco, la sua mano gentile infatti sembrava non avere timore di me o di ciò che avevamo appena fatto. Nonostante non ci fossero parole, forse non avevo rovinato il nostro rapporto. Chiudi gli occhi inebriandomi della sua leggera carezza, la mia mano dietro la nuca prese a fare dei lievi cerchi massaggiandola, intanto lei continuava a carezzarmi e poi... un lieve bacio sul mio petto mi sorprese e mi fece ansimare. Ne seguì un altro e poi ancora, infine trepidante la allontanai facendola adagiare sulla schiena e la guardai intensamente prendendo a carezzarle il corpo, cercai la sua bocca e la baciai. L'amai nuovamente e nuovamente mi persi in lei. Questa volta fummo più liberi, non c'era più la barriera della sua verginità a fermarci e lei era meno imbarazzata. 
Io non riuscivo a fare a meno di possederla e di baciarla e poi stringerla a me. Dopo il secondo amplesso titubante mi allontanai da lei, quando bussarono alla porta. Avevano consegnato la nostra cena.
Mangiammo affamati, con Adelaide non c'erano ipocrisia o ritrosie alcune, fu anzi la prima a riempirsi il piatto. 
"Ero nervosa a pranzo, non sono riuscita a mangiare." Mi disse. 
Concordai con lei, non doveva essere stata una situazione facile organizzare un piano del genere, soprattutto perché era inutile negarlo, lei amava i suoi genitori e tutti i suoi fratelli ed era ricambiata. Parlammo del più e del meno, del mio viaggio, del tipo di lavoro che lei poteva cercare e quanto altro. "Ho messo da parte undicimila dollari e li ho usati tutti per la tassa universitaria. Devo iniziare a lavorare per pagarmi il finanziamento universitario." Mi disse. 
Al che le proposi un po' di alternative al fare la cameriera, non volevo che servisse ai tavoli con i vestiti corti di un diner. Potevo accettare che volesse crescere e pensare a se stessa senza l'aiuto di nessuno, ma non che si svendesse in quel modo. "Potresti insegnare oppure cercare un lavoro di assistente in uno studio legale." L'avevo consigliata. Più volte avevo provato a carpire quale università avrebbe frequentato, ma sempre senza successo.
"Meno sai, meno mentirai a London." Era la sua risposta. 
Insistere sarebbe potuto essere dannoso, per cui evitai. Soprattutto perché effettivamente avevo qualcosa di più importante da fare con lei che parlare di università o altro. Il tempo scorreva e presto sarei partito.
"Hai preso anche il passaporto?" Le avevo chiesto.
"Ho preso tutti i documenti, quindi sia la patente che il passaporto." Aveva risposto 
"Verrai con me in Germania?" Le chiesi.
"Non pos..." 
Ma prima che concludesse di parlare la anticipai. "Non c'entra nulla con la tua fuga e non mi intrometterò nei tuoi studi." Le avevo detto. 
"La settimana prossima devo essere all'università e non posso permettermi il viaggio di andata e ritorno." Rispose amareggiata.
"Sono io a volerti con me. Era sottinteso che pagassi io tutto." Le dissi cercando il suo sguardo.
Lei mi fissò titubante, voleva venire lo sentivo ed io volevo averla ancora un po' con me. "Ti prego! Mi aspetta un anno di lavoro assurdo a Monaco, per non parlare della prima settimana, tornare e sapere che sarai lì ad aspettarmi sarà la mia salvezza." 
Lei mi aveva fissato e senza parlare mi aveva baciato mettendosi cavalcioni su di me. Intraprendente prese a carezzarmi il torace scendendo verso le sterno e ancora più giù. 
Voleva distrarmi, aveva già capito che mi aveva in pugno, decisamente poiché non le chiesi più nulla. Al contrario la baciai e poggiando le mani sui fianchi lasciai che imparasse a giocare col mio corpo. 
Esausto mi addormentai, durante la notte ci svegliammo più di una volta riprendendo a fare l'amore, eravamo insaziabili di noi ogni volta. Al suono della sveglia mi alzai con l'angoscia nel cuore, era giunto il momento di separarsi. 
Lei si stiracchiò accanto a me intanto che prendevo il cellulare e staccare l'allarme, dopodiché notai le infinite chiamate di London. Lo avrei richiamato all'arrivo in Germania, erano quasi le quattro del mattino e non potevo svegliarlo. Andai quindi a fare la doccia, dovevo prepararmi psicologicamente a separarmi da Adelaide, prima di adesso ero consapevole della separazione. Ma prima di adesso non eravamo stati amanti, prima di adesso non mi lasciavo la ragazza che amavo alle spalle con tanti interrogativi su di noi. 
I pensieri furono distolti dal suo arrivo, lentamente mi raggiunse sotto la doccia. Lo sguardo fisso nel mio, sembrava smarrita. 
"Ritorno il trenta però!" Mi disse lasciando che l'acqua scivolasse sulle sue curve acerbe. 
Sorpreso aprii leggermente la bocca per parlare, ma non uscì nulla. La attirai a me e presi a insaponarla, avevo una settimana ancora con lei, ero stato graziato. 
Un'ora dopo eravamo al check-in che trascinavano le loro valige mano nella mano, dopo ancora stavamo salendo sul nostro aereo. Non sapevo cosa eravamo, non ne avevamo parlato. Ma sapevo che eravamo insieme per il momento e tanto mi bastava.

Adelaide

Mi ero gettata tra le braccia di Gabriel. Dio si lo avevo fatto! I sentimenti che non avevo ammesso neanche con la zia Bianca quando me lo aveva chiesto. 
Per dinci! Non potevo ammettere con la zia che lui fosse il ragazzo più bello che conoscevo, ne che fosse l'unico che sembrava capirmi. Anche in quell'occasione invece che venirmi contro come avevano fatto tutti a casa, era stato comprensivo e mi aveva aiutato. Dandomi anche un tetto sotto cui dormire... certo dormire! Come no! La sera prima dopo che mi aveva baciata l'avevo praticamente invitato a fare sesso. Finalmente lo avevo baciato, avevo baciato le sue intriganti labbra invitanti.
"Una cosa insieme io e te ho sempre voluto farla!" Glielo avevo detto, si lo avevo fatto gli avevo chiesto di fare sesso. Ma diamine, lui stava partendo ed io avevo lasciato casa e la mia famiglia, non sapevo se lo avrei più rivisto. Quindi sì, volevo toccanrlo, baciarlo e diventare sua almeno una volta. Avevo una cotta per lui da quando avevo quattordici anni, desideravo baciarlo da quando invece avevo iniziato a baciare i miei coetanei. Nessuno di loro mi faceva tremare il cuore e allora immaginato e sognavo un suo bacio. Potevo dire che la realtà aveva superato la fantasia, il bacio era stato così primitivo e intenso che mi aveva spinto ad osare.
"Permettimi di toccarti." E la mia richiesta aveva avuto delle ripercussioni molto piacevoli. Non immaginavo che il sesso potesse essere così intenso, le reazioni così forti e la presenza di lui dentro di me così... coinvolgente e piacevole. Nonostante avesse fatto male era durato talmente poco che già lo avevo dimenticato, questo perché con il susseguirsi delle spinte altre sensazioni erano subentrare. Era così forte, così appagante e riempitivo! Non sapevo se fosse il termine giusto, ma sentirlo dentro di me mi dava anche quelle sensazioni, come di qualcosa che venisse e si unisse a me indissolubilmente, tanto che quando si era concluso mi ero sentita sola e smarrita. Per questo rissa in viso mi ero accoccolata contro il suo petto. Era così caldo, il cuore batteva forte, odorava di Gabriel e di sudore e... quell'altro aroma doveva essere l'odore del sesso. Era così intenso e bello! Le piaceva anche quel profumo. Rilassata avvertii il suo alito che mi solleticava la fronte e le labbra che si posavano sui miei capelli, sospirai e avevo preso a carezzarlo lentamente. Aveva le spalle forti Gabriel nonostante non fosse un pompato tipo da palestra, se lui e London si concedevano di giocare a baseball oltre la corsa era già tanto, quei due vivevano in simbiosi. Molto più di London con Chester, sospirai. Non potevo permettere che Gabriel mentisse a London per colpa mia, non potevo fargli mandare quel messaggio. Sapevo che se ne sarebbe pentito e mantenere i segreti tra di loro non era mai accaduto. 
Gli avrei chiesto tanto, pensai mentre senza volerlo, ok lo volevo, avevo preso a lasciare una scia di baci sul suo petto. Vi era una leggera peluria ed era eccitante e setosa al tatto, avrei potuto baciarlo ovunque, sul petto, sul collo, la schiena... Ma lui fu di tutt'altro avviso. Afferrandomi il polso mi girò e si mise su di me, il suo sguardo era così intenso che non avevo avuto la forza di chiedergli scusa, oppure in cosa avessi sbagliato, forse non voleva che lo baciassi oppure... oppure gli era piaciuto? Pensai mentre mi baciò con passione, le mani che scorrevano sul mio corpo e poi arrivavano al mio sesso! Dio sì, doveva essergli piaciuto se reagiva così ed io amavo come mi toccava e mi faceva sentire. Non temevo le mie reazioni, ansimavo e gemevo senza imbarazzo, gli carezzavo la schiena e una volta dentro di me risposi ai suoi affondi lasciando che mi baciasse oppure che mi guardasse mentre raggiungevo l'orgasmo. Signore! Se quello era il piacere che avevi riservato agli esseri umani, io ti ringrazio. 
Ansimante avrei voluto lasciarmi andare di nuovo tra le sue braccia. Ma qualcuno bussò alla porta e imbarazzata nella mia nudità mi nascosi in bagno dove indossai l'accappatoio. Quando uscii scoprii che era arrivata la cena.
"Ho fame!" Annunciai raggiungendo Gabriel che si era messo i pantaloni. Dio quanto era bello. 
"Vieni a mangiare allora." Non me lo feci ripetere due volte, mi sedetti e riempii il piatto, non avevo mangiato a pranzo, tanto ero stata tesa quel giorno. Durante la cena parlammo del più e del meno, avevo solo una certezza! Non dovevo mettere Gabriel in difetto con London, così decisi di non dirgli dove avrei studiato. 
Però accolsi benevola i suoi consigli su un lavoro da seguire, forse avrei trovato facilmente lavoro come cameriera. Ma come lui stesso mi aveva ricordato se mi avessero assegnato degli stage negli studi legali dovevo essere sempre reperibile. Un lavoro più in linea con ciò che sarebbe stato il mio futuro era quindi più plausibile. Mi consigliò il segretariato in uno studio legale e anche le lezioni private, effettivamente queste ultime e anche il lavoro di baby sitter potevano essere presi in considerazione. 
L'ultimo argomento era il suo viaggio a Monaco, sarebbe stato via almeno un anno! Ebbi una stretta al cuore, eppure non potevo partire con lui. I soldi mi servivano per la scuola e sarebbe stato uno spreco. 
""Sono io a volerti con me. Era sottinteso che pagassi io tutto." Lo guardai, così mi faceva vacillare e non potevo. "Ti prego! Sei la mia salvezza... ritrovarti la sera sarà la mia gioia." 
Decisamente se avesse continuato a parlare avrei ceduto e sarei andata via con lui. Dovevo metterlo a tacere, così seguendo il mio istinto mi sedetti sui suoi fianchi e lo baciai prendendo a carezzarlo. 
C'era una cosa, una sola, che lo faceva cedere nelle mie richieste. Il sesso! Lo avrei usato a mio favore, anche se quell'esperimento stava diventando un'esperienza piacevole. Gabriel mi concesse di fare di lui cose... dopo avergli baciato le labbra passai al mento e al collo, poi la clavicola e il petto, scendendo verso lo sterno e ancora più giù. 
Carezzai la sua pelle calda e osai, titubante osai di toccare la sua asta lì, poco distante dal mio sesso. Il rauco suono emergente dalla sua bocca mi incitò a carezzarlo ancora, prima lentamente e poi più rapidamente. I suoi gemiti erano goduria al mio udito, lo volevo, sì volevo Gabriel e glielo dissi.
"Ti voglio." 
Lui si alzò sulla schiena restando comunque sotto di me, io restavo in attesa fremente che mi prendesse e mi adagiasse sotto di se per farmi sua. Al contrario rimase in quella posizione, mi afferrò le natiche con ardore e con una mano si congiunse alla mia, aiutandomi a portare il suo sesso dentro di me. Gemetti di piacere e accompagnata dalle sue mani sul mio sedere iniziai a muovermi sopra di lui. Ero io questa volta ad avere il comando, lui stava concedendomi di sopraffarlo, anche se temevo fosse il contrario. Mi lasciai guidare e seguii anche il mio istinto, le mani poggiate sul suo torace andavo su e giù fino a quando non avvertii l'orgasmo giungere. L'amore con Gabriel era qualcosa di unico e mi sorprendeva, era il rapporto che avevamo ma anche lui. Lui che paziente mi amava e mi insegnava ad amarlo e dargli piacere. 
Così dopo l'ennesimo amplesso crollai addormentata e mi risvegliai un'altra volta per i suoi baci durante la notte e poi al suono della sveglia. Ero stanca però, così non aprii gli occhi, ci avrebbe pensato Gabriel a svegliarmi come durante la notte. Ma così non fu! Anzi, fu silenzio ed allora mi alzai di soprassalto guardandomi intorno.
Era andato via? Era partito senza salutarmi!? L'angoscia prese il sopravvento nel mio cuore, dov'era? Mi chiesi alzandomi in fretta, poi finalmente avvertii lo scrosciare dell'acqua, era a fare la doccia.
Lo raggiunsi, dovevo vedere che era lì, che ancora non era andato via. Lentamente aprii la porta e lo raggiunsi, ero pronta a staccarmi da lui? Decisamente no! 
"Il trenta torno a casa però..." non ero pronta a lasciarlo, avevo letto tanti libri e comprendevo che dipendeva dal fatto che era stato il mio primo uomo. Doveva essere questo, giusto? 
Entrai nella doccia e lasciai che mi lavasse. Con gli altri uomini sarebbe stato diverso, sicuramente. 
Pensai intanto che anche io prendevo a insaponarlo, i miei occhi si incrociarono ai suoi. Io non volevo altri uomini, mi bastava lui. Mi bastava quella settimana che avevamo in più.

Una volta sull'aereo lasciai che posasse il mio trolley accanto la sua valigia e intanto mi sedetti. Quando mi raggiunse prese il cellulare e inviò un messaggio. Ero sicura che fosse il messaggio per London. 
"Non voglio che menti per me." Gli dissi.
"Non ho mandato quel messaggio. Ieri sera mi ha cercato, gli ho scritto che lo chiamo una volta atterrato poiché sta dormendo." 
"Fra un'ora si sveglierà." Affermai. 
Lui mi sorrise e si appoggiò su di me per allacciarmi la cintura. Ero capace da sola, ma quel gesto fatto da lui era così premuroso, inoltre mi dava modo di sentir il profumo del suo dopobarba. 
"Fra un po' noi saremo in volo, solo perché ci siamo attardati non significa che il volo parte in ritardo." Rispose 
"È stata colpa mia." Dissi rammaricata.
"Sono stato io a dire che volevo ti sedessi accanto a me." Rispose lui.
"Per colpa mia hai perso il tuo bellissimo posto in classe A." 
"Grazie a te la nostra cara nonnina ha un posto in classe A." Disse divertito ricordandomi che aveva scambiato il suo posto con la passeggera che sarebbe stata la mia compagna. 
"Ma perché hai sempre la risposta pronta." Mi lamentai.
"Perché così ti faccio arrabbiare e mi piace quando fai l'offesa." Rispose spegnendo il cellulare dopo essersi allacciato anche lui. 
Fissai la luce rossa che si accendeva, segno che stavamo per partire e lo fissai.
"Un anno quindi?" Gli chiesi.
Lui annuì. "Se non di più... se mi prendono come consulente fisso potrei restare." Mi confidò.
Restai basita. "Fisso! Cioè non tornerei più?" Come avrei fatto senza di lui.
"Ipoteticamente, tornerò forse a Natale e poi ci sono le ferie!" Disse guardandomi.
Ero felice del fatto che mi guardasse, era prova di lealtà per me. "Non dovevi specializzarti alla business school e poi iniziare la scalata alla presidenza?" Gli chiesi.
"Ho litigato col nonno. Voleva che mi sposassi con Kristin Jenkins per ottenere la presidenza." Mi disse cingendo le mie spalle con un sorriso sornione. "Spero per te che un semplice impiegato ti vada bene." 
Sgomenta battei gli occhi più volte poi risi. "Non sarai mai tanto squattrinato quanto me." 
Lui mi prese il mento e mi lasciò un bacio casto. "Perfetto avvocato Thompson! Chiarito questo credo che riposerò un po', una certa signorina non mi ha fatto tanto dormire questa notte." Disse allusivo.
Io gli sorrisi divertita. "Ma che persona senza pudore. Se hai bisogno di un avvocato con lei ti aiuterò e accolgo la tua richiesta di dormire un po'." Gli dissi divertita, anche io ero stanca e avrei approfittare con piacere delle ore di viaggio per poter dormire.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - A Monaco ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti)
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Atterrammo in orario, se non in anticipo di cinque minuti. Non chiesi più nulla a Gabriel della sua discussione col nonno, anche se durante il viaggio era stato lui stesso a parlarmene. La discussione doveva averlo ferito molto, avvertivo in lui una certa animosità ancora. 
"Mi dispiace che ti abbia confrontato a tuo padre, siete comunque due persone diverse." Gli dissi comprensiva 
"Sicuramente avevano anche altri progetti, cioè ho ventiquattro anni, chiudermi in un matrimonio di convenienza alla mia età è assurdo." Disse acre.
"Io tremo al pensiero che il prossimo luglio Brooklyn sposi Jonatan. Ha solo venti anni!" Dissi.
"Ci vuole coraggio a sposarsi così presto, io lo farei solo per emergenza." Disse lui.
"Non ci sono emergenze che tengano secondo me." Ammisi orgogliosa, che fossero venti o ventiquattro era presto, troppo presto.
"Sinceramente..." disse lui serio, lo sguardo puntato nel mio, mi strinse forte la mano che avevo poggiato sul bracciolo. "Se la mia ragazza fosse incinta non ci penserei neanche un minuto. La sposo subito." 
Metabolizzai le sue parole e la sua frase attentamente, poi sussultai spaventata. "Impossibile!" 
Lui rise. "Possibile e impossibile se la giocano al fifty-fifty." 
Lo osservai per poi dargli uno schiaffo scherzoso sulla spalla. "Ma perché con te non si riesce a fare una conversazione seria." Chiesi ridendo.
"È seria! Ma se viene fuori un figlio non lo si butta mica." Affermò sereno. 
Lo guardai voltandomi sulla poltrona per avere la sua attenzione. "Cioè non ti spaventa la cosa? Sarebbe orribile Gabriel, io ho l'università e tu un lavoro da iniziare, per non parlare del fatto che sarai a Monaco... io vivrò in una stanza del dormitorio." Dissi elaborando tutti ciò che ci era contro, omettendo ovviamente che eravamo ancora giovani. 
Lui sospirò per poi annuire. "Lo so Adelaide!" 
Adelaide?! Da quando mi chiamava così? Io ero Heidi, la sua Heidi! 
"Questo non vuol dire che non si possa fare." Continuò Gabriel sorridendomi. "Se si tratta di te posso fare tutto, anche i sacrifici che ci attendono. Ovviamente non voglio mettere il carro avanti ai buoi, però un figlio è il peggiore dei mali e avere te come signora Keller sarebbe niente male." 
Mi sentii battere forte il cuore. Quella era una dichiarazione? Dio! Mi aveva dichiarato amore? Cioè nei libri non c'erano frasi tipo: sei la luce dei miei occhi, l'unico mio amore e bla bla?! E lui se ne usciva con frasi buttate lì con un sorriso divertito sulle labbra? 
Feci una smorfia, le labbra arricciate e lo sguardo di sfida sul suo viso. "Io non lasciò Boston per venire a Monaco." 
Gabriel mi guardò e rise pizzicandomi sono le labbra. "Non te lo avrei chiesto. Sei così abitudinaria Heidi." 
Gli diedi un altro pugno sulla spalla poi gliela strinsi e mi accomodai contro di lui con la testa, sarebbe stato un ottimo cuscino. "Potevi usare precauzioni? Dobbiamo comprare dei preservativi." Gli dissi.
"Ma io li ho!" Ammise lui, sussultai a quella rivelazione. Perché allora? "Con te meine liebe (pr: main libe) mi sento libero, sei l'unica con cui non devo preoccuparmi e sinceramente sono contento di non averlo usato. È stato unico sentirti." Dichiarò
Al che arrossii, decisamente lui stava facendomi delle dichiarazioni, solo le faceva a modo suo.
"Ti giuro che da questa sera userò delle precauzioni." Mi disse.
Sospirai, mi misi più comoda e sollevai leggermente la testa a baciargli il collo. "Hai ragione, fin quando sei tu si può fare la cosa. Però userai il profilattico d'ora in poi." Lo minacciai, lo sentii ridere e un sorriso solcò anche il mio viso. Ci riaddormentammo così e fummo svegliati dalla hostess che ci informava dell'atterraggio. 
Una volta fuori respirai l'aria frizzante della sera tedesca. Eravamo partiti che era l'alba neanche ed eravamo arrivati che era il tramonto, eppure erano state solo dieci ore di viaggio. 
Gabriel mi prese la mano mettendosi la valigia in spalla, io lo seguii trascinandomi il trolley dietro. "Comprerai altri vestiti qui a Monaco?" Gli chiesi, ero certa che non potesse avere un vestito da lavoro nella sacca con cui viaggiava. 
Lui annuì. "Mamma mi ha prenotato un appuntamento da Hugo Boss per scegliere i migliori completi da lavoro. Sarebbe il suo regalo di laurea per gli splendidi risultati ottenuti." Disse con una smorfia. "Altre cose ne avevo già qua invece." 
Gli strinsi la mano ridendo intanto che raggiungemmo l'esterno dell'aeroporto. "Non ti è gradito questo regalo?" 
"Al lavoro inizierò dal basso, credo quindi sia il caso di prendere qualcosa di più modesto." Affermò esponendomi il suo punto di vista. "In cambio avrebbe potuto regalarmi un Rolex!" Concluse con uno sguardo divertito.
Risi, lui era fatto così, cercava sempre di sdrammatizzare anche se in realtà comprendevo cosa volesse dire. 
"Gabriel siamo qui." Disse la voce di una donna. 
Mi voltai alla ricerca del volto cui apparteneva e in lontananza vidi una donna alta dai capelli fulvi e con abiti evidentemente raffinati. Accanto a lei c'era una ragazza apparentemente della mia età, vestita con un jeans ed una t-shirt rosa stampata, aveva gli stessi capelli rossi della madre, ma sciolti e trattenuti solo da un berretto e gli occhi azzurri e vivaci. 
"Mamma... Pam!" Sentii dire intanto che Gabriel mi trascinava verso le due, solo a circa un metro di distanza mi lasciò andare per abbracciare quella che doveva essere sua madre e l'altra ragazza, sua sorella Pamela. 
"Finalmente sei arrivato e questa volta resti." Stava dicendo la ragazza. 
Io strinsi istintivamente la mano intorno al manico del trolley. Che restasse a Monaco era in ipotesi molto più concreta di ciò che sembrava. 
"Partiamo dal presupposto che ho la specializzazione da seguire..." Disse alla sorella.
"Potresti farla qui a Monaco, abbiamo delle Università eccellenti sai?" Intervenne sua madre.
"Ok... sono appena arrivato, dopo dieci ore di volo vorrei sgranchire le gambe e caso mai mettere qualcosa sotto i denti, senza parlare dei miei doveri o degli studi." Concluse con fare autoritario. 
"Hai ragione." Disse la rossa battendo le mani. "Andiamo allora, mamma ha fatto preparare i tuoi piatti preferiti." Annunciò Pamela prendendo il fratello per il braccio trascinandolo verso il parcheggio delle auto. 
In un attimo compresi che sarei rimasta indietro, andavano via e Gabriel era stato sopraffatto dalla sua famiglia e... sua madre mi stava fissando. 
Inga Meyer, responsabile della filiale di Monaco. Amante di Thomas prima e moglie di Taddheus dopo. Studiava ogni mio gesto e anche il mio abbigliamento, alzai il mento e la fissai con sfida, sinceramente anche se ero vestita comoda per il viaggio stavo molto meglio di Pamela.
"Chi sei?" Mi chiese diretta. "Gabriel non ci ha mai portato una ragazza." 
Feci un paio di passi verso di lei e tesi una mano alla Meyer. "Adelaide Thompson, piacere."
Lei sbattette le ciglia stupita. "Heidi! Oh santo cielo, Gabriel parla sempre di te, non assomigli per nulla a London."
Annuii imbarazzata pensando a cosa avessero detto di me Gabriel e London, poi facendomi forza risposi alla donna. "London assomiglia a papà, è l'unico biondo della famiglia, cioè anche Dallas lo è ma più scuro." Ecco adesso parlavo troppo. 
La signora Inga mi sorrise e fece un gesto verso i parcheggi. "Comprendo, vieni andiamo. Raggiungiamo i ragazzi, sicuramente mio marito avrà dato una calmata a Pamela." Mi disse.
Assentii seguendola, Pamela aveva praticamente manipolato da subito Gabriel, non lo avevo mai visto così accondiscendente con Michaela. "Ci sono anche suo marito e Gellert?" Chiesi pensando che non ci sarebbe stato spazio per me in auto.
"Oh no! Gellert è in vacanza a Tenerife, rientra i primi di settembre." Mi rispose indicandomi una Mercedes. "Lo consocerai con calma al suo rientro." 
Intanto un alto uomo dai capelli castani e lo sguardo dolce ci venne incontro, assomigliava a Thomas, anche se i capelli non erano scuri come la pece e gli occhi castani erano molto più amorevoli di quelli del padre di Gabriel. 
"Guarda chi c'è qui! La piccola Thompson." Disse prima che sua moglie potesse dirgli di me, anche lui sembrava che mi conoscesse e anche di aspetto. 
"Mamma, zio, Pam..." intervenne Gabriel raggiungendoci e prendendo il mio trolley. "Lei è Adelaide e resterà con noi per questa settimana." 
Annuii e seguii con lo sguardo i suoi gesti intanto che posava il trolley.
"Adelaide?!" Chiese Pamela guardandomi con i suoi vispi occhi color cioccolato. "Io sono Pamela, sei la ragazza di Gabriel? Fino ad ora non aveva mai portato nessuna qui in Germania." 
Ero la ragazza di Gabriel? Sbigottita mi scambiai uno sguardo con lui, non avevamo parlato di noi due, ci eravamo attenuti ad essere ciò che eravamo sempre stati fino ad allora. Ovvero amici! Amici che adesso avevano anche un rapporto intimo, ma pur sempre amici.
"Abbiamo fame! Possiamo andare?" Intervenne lui chiudendo l'argomento e il cofano. Per la prima volta lo vidi serio, non me lo aspettavo da lui, non mi aspettavo che non sorridesse. Con me lo faceva sempre, invece in quel momento nessuno osò contraddirlo.
Io neanche dissi nulla, perché così facendo mi aveva tolto da qualsiasi imbarazzo. Salii in auto seguendo sua sorella Pamela e durante il tragitto ella iniziò a farmi domande su di me e la mia famiglia, come mai sarei rimasta una sola settimana e cose più generiche, al che io risposi contenta che chiedesse di me e non di me e Gabriel. Lui intanto sembrava essersi immedesimato in auspicano che conoscevo poco, ovvero il figlio devoto, se al contrario con Thomas Keller c'era infatti un rapporto fraterno fatto di venirsi incontro e confrontarsi per prevalere l'uno sull'altro. Gabriel con suo zio e sua madre era diverso, era un figlio. 
Seduto accanto a me chiedeva informazioni sulla famiglia, questo fino a quando non suonò il telefono e lui rispose.

London & Gabriel

Io e Heidi non avevamo parlato di noi, di ciò che eravamo. Ci avevamo girato intorno, anche sull'aereo. Quando avevo palesato la possibilità di diventare genitori, l'avevamo affrontato alla leggere l'argomento come ci capitava anche di quelli più disparati. Eravamo una coppia di sicuro, lei mi aveva detto che d'ora in poi avremo dovuto avere rapporti protetti, questo includeva essere qualcosa. 
Comprendevo di stare sbagliando, che dovevo rivelarle i miei sentimenti, dirle di amarla. Invece ci avevo girato intorno chiamandola amore in tedesco. Potevo legarla a me? Potevo farlo quando lei aveva dei sogni da realizzare? Correttamente parlare non potevo farlo, anche se forse lo avevo fatto inconsciamente, non usando alcuna precauzione durante i rapporti. Forse ero egoista e non volevo che studiasse e si creasse un futuro? No, volevo che lei crescesse, solo avrei voluto lo facesse con me al suo fianco.
I miei pensieri furono interrotti prima da mia madre e dopo dallo squillo di London. Era giunto il momento di confrontarci. Lo feci squillare, poi una volta terminata la chiamata fui io a chiamare lui.
"Pronto..."
-Ehi fratello! Sei atterrato?- La voce di London era fremente, non mi aspettavo una sua reazione del genere.
"Sì, venti minuti fa circa. Il viaggio è andato benissimo e dalle voci in sottofondo credo tu abbia capito che Pamela è qui e ti saluta." Gli risposi facendo una smorfia a mia sorella che al contrario sbuffo
Sentii la mamma e lo zio sorridere e dopo aver mandato anche i saluti dei miei per restare evasivo non dissi nulla a London, attesi che fosse lui a parlarmi. Adelaide voleva che io non mentissi a London e per farlo mi aveva consigliato di non affrontare proprio l'argomento a meno che non mi fosse stato chiesto. 
- Ieri sera ho provato a chiamarti. Temo fosse già tardi per gli orari che ti eri prefissato. - Mi disse London, la voce di Pamela in sottofondo mi distaccai verso il finestrino per non essere disturbato.
"Quindi devi iniziare l'università?" Chiese ad Heidi che annuì.
"Sì, infatti ho visto stamane le chiamate, sicuramente eri ancora nel mondo dei sogni." Risposi io a London 
"E cosa studierai? Io mi sono presa un anno sabbatico." Chiese ancora Pamela alla mia ragazza.
Lei intanto guardava me e mia sorella, per poi mormorare la risposta in un sussurro. "Legge!" 
-S-sì! Io... dormivo effettivamente!- Mi diceva intanto London.
"Anche l'università di Monaco ha una buona facoltà di legge!" Espose Pamela. "Potresti fare il test per entrare qui, così starai con Gabriel, vero fratellone?" 
"Io devo tornare a casa!" Le rispose una Heidi smarrita. 
Guardai mia sorella con ammonimento. "Sono a telefono, puoi abbassare i toni?" Le chiesi. "Ehi London... senti è meglio se ci sentiamo dopo senza la presenza di 'Pamela worte in den wind'!" Gli dissi sarcastico. (*parole al vento.)
-Io... io penso che... hai portato una ragazza con te in Germania?- Mi chiese.
Lo sapeva! London sapeva che ero con Adelaide, me lo sentivo. Annuii prendendole la mano per avere la sua attenzione. 
"Sono con la mia ragazza!" Ammisi.
Lei mi guardò e lui intanto non rispose, sembrava soppesare le parole.
-Spero che vada tutto bene tra di voi.- 
"Oh sì! Ci godiamo questa settimana insieme e poi..."
-Tornerà a Boston?- Mi chiese in apprensione.
"Sì ovvio. A settembre inizia l'università." Gli dissi spiccio.
-Perfetto! Quale università? - Mi chiese poi. 
"Ci credi se ti dico che questo è un argomento tabù?" Gli chiesi intanto che mia sorella faceva delle smorfie verso Heidi. 
"Stanno parlando di sesso!" Sussurrava. 
"Assolutamente no!" Urlò Heidi.
"Non stiamo parlando di sesso!" Intervenni, non avrei mai parlato di queste cose con London, non quando c'era di mezzo Adelaide Thompson. 
-Per l'amore del cielo! Di a tua sorella che queste cose non voglio saperle.- Mi disse London, riconoscevo il suo tono. Era imbarazzato e divertito insieme.
"Non sei divertente, ti chiamo dopo... quando sono solo." Ci tenni a precisare minacciando Pamela con lo sguardo. 
-Ok fratello! A dopo.- Mi salutò London divertito. Quella sua risata in sottofondo ammisi che mi spaventò.
"A più tardi!" Lo salutai per poi iniziare a inveire contro mia sorella in tedesco. Gliene dissi di tutte, che era stata scostumata, che aveva messo in imbarazzo Adelaide, che quando un giorno avesse avuto un ragazzo avrei confidato tutti i suoi segreti. Perché non era assolutamente normale che infilasse la parola sesso quando 'la mia ragazza' era la sorella del mio migliore amico. 
In tutto ciò Heidi restava in silenzio a guardare tra me e Pamela, cercando di capire un discorso che a lei risultava incomprensibile. Avrei dovuto trattenermi dal parlare tedesco quando c'era anche lei, glielo dovevo dal momento che le avevo chiesto di seguirmi oltre oceano.

"Eri a telefono con Gabriel London?" Guardai mio padre ed annuì.
"È atterrato, il viaggio è andato bene." Risposi mettendo in ordine i progetti che avevo di fronte a me. Ero incredulo ancora, eppure ero certo che la voce in sottofondo anche se flebile era stata quella di Adela. Per la prima volta avrei dovuto ringraziare Pamela per la sua loquacità, avevo compreso in quei pochi minuti al telefono che Gabriel mi avrebbe detto poco e niente su Adelaide. Sicuramente sapeva che sarebbe andata all'università. Sapeva anche che era scappata di casa? E sapeva che con quella telefonata mi aveva rasserenerato. Sentire Adelaide che rispondeva anche lievemente, legge, mi aveva tolto un macigno dal cuore. Anche sentirla dire che sarebbe tornata, come avere delle informazioni da Gabriel che glielo confermava, perché aveva l'università mi aveva tranquillizzato. Era con lui e tanto mi bastava a non essere più in pensiero per lei. C'era comunque tanto ancora da sapere, Adela ci avrebbe detto dei suoi progetti? Avrebbe chiamato la mamma per dirle che stava bene inoltre dove avrebbe studiato ce l'avrebbe fatta con i suoi risparmi a mantenersi all'università almeno per quell'anno c'erano tante domande senza risposte e avevo bisogno di sapere.Gabriel mi avrebbe risposto non lo sapevo. Osservai mio padre annuendo. 
"Non c'era bisogno che chiedessi si è portato Adela con lui in Germania, sarà lì per una settimana poi rientrerà a Boston per iniziare l'università." Gli dissi. 
"Quale università?" Chiese mio padre. Ovviamente il pensiero era comune, cosa avrebbe fatto poi Adela, sarebbe riuscita a cavarsela da sola? Come avrebbero fatto mamma e papà a proteggerla se non sapevano dove ella fosse. 
"Gabriel mi ha detto che è difficile saperlo." In pratica non aveva voluto parlane, ma quando mi avrebbe richiamato. Senza l'impertinenza delle domande di Pamela per una volta aveva giocato a mio favore. Avvertire la presenza di Adelaide era stato un conto, comprendere che era davvero lei quando aveva urlato la sua disapprovazione era stata invece una conferma. 
"Dobbiamo saperlo, non può restare troppo..." stava dicendo papà. 
Al che decisi di intervenire. "Credo che ormai sia andata." Gli dissi 
"Tornerà, lo hai detto anche tu." Affermò papà.
"No papà! È andata. Ha spiegato le ali e iniziato a camminare da sola, non puoi proteggerla più perché ha iniziato a crescere." Gli dissi.
Ma lui scosse la testa. "Ha solo diciotto anni." 
Restai basito, al che sospirai. "Anche io e Chester avevamo diciotto anni quando abbiamo iniziato l'università. Addirittura con London sono partito a diciassette anni per Monaco la prima volta, mi avete lasciato andare." Gli dissi risoluto.
"Con te e Chester era diverso London!" Affermò 
"Cosa c'è di diverso? Direi che oggi addirittura la tecnologia sia anche più all'avanguardia per non perderci." Gli dissi 
"Si ma lei è una ragazza, è diverso! Sai in quanti si approf..." 
Sgranai gli occhi. Diverso? "Papà per quanto sia una ragazza... credo tu debba iniziare a comprendere Adelaide." Cazzo! Avevo stavo facendo o almeno avevo fatto lo stesso errore di papà, avevo detto a mia sorella di non essere capricciosa e che l'università non era per lei. Quando invece studiare era ciò che voleva e sì, ce l'avrebbe portata via. Ma effettivamente quella era la vita, avendo sempre io ottenuto tutto perché uomo non mi ero mai messo nei panni delle mie sorelle. Avevo iniziato a parlare e pensare come papà. Ma era sbagliato quel modo di vedere.
"Non sei un genitore London, non puoi capire. I pensieri e le apprensioni. Tua sorella è molto ingenua e si è gettata in qualcosa più grande di lei." Affermò papà
"Certo!" Risposi. "Lo ha fatto! Ed è capace che cadrà, oppure che la sua carriera universitaria sia in salita! Questo non possiamo saperlo, però infine ci avrà provato." 
"Ha scelto di studiare per diventare un avvocato!" Mi disse papà.
"Si lo so! Io come uno stupido ho appoggiato la tua causa e le ho detto che non doveva fare i capricci. Io come uno stupido ho seguito il tuo esempio e le ho detto che non le sarebbe servita a nulla quella laurea." Gli dissi ripensando a come l'avevo allontanata.
"Quindi convieni con me che il mondo legale sia maschilista e che non la faranno mai emergere." Mi disse mio padre.
Annuii titubante. "Può essere, anche se conoscendo Adela cercherà sempre una rivalsa." Dissi con un sorriso sulle labbra.
"Quindi..."
"Quindi laurearsi per lei sarà sia un traguardo che un punto di partenza. Sarà qualcosa che la farà crescere e la formerà papà. Le ragazze dovrebbero crescere proprio come me e Chester." Conclusi. 
"Quindi per te anche loro dovrebbero avere le vostre stesse opportunità." Ammise papà.
Annuii prendendo un atto notarile e passandolo a papà. "Siamo nel ventunesimo secolo, sappi che pagherò l'università ad Adela appena scopro dove studierà." 
Papà prese l'atto e lo lesse, poi annuì. "Questa è la società che avete aperto tu e Gabriel." Alzò lo sguardo poggiando i fogli sulla scrivania, l'atto della G&L associates spiccava sul nero mogano della scrivania. "Trova l'università, la retta la pago io! È mio dovere fare avere ad Adela le stesse opportunità che ho dato a te e tuo fratello." 
Compresi ciò che aveva fatto mio padre, pagare di mia tasca significava prendere soldi dal fondo della G&L. Quindi includeva anche Gabriel nel sostentamento di Adela, papà voleva escludere quindi a priori il mio amico. 
Anche lui era arrivato alla mia stessa conclusione, Adela era in Germania con lui. Adela adesso era di Gabriel e per mio padre lui non era più il mio socio ed il mio migliore amico, bensì l'uomo che gli aveva portato via la figlia. 
Mio padre voleva far comprendere a Gabriel che era ancora lui a decidere per Adela, perché era la sua bambina e perché non si sarebbe arreso lasciandola andare via di casa. 
"Il prossimo luglio c'è il matrimonio di Brooklyn e Jonatan. Cosa farai una volta che saranno sposati?" Chiesi a papà girando intorno l'argomento. Doveva capire che c'era un tempo per qualsiasi cosa, per restare a casa e crescere con i genitori e quello per spiccare il volo e lasciare il confortevole nido in cui si era cresciuti. 
"Jonatan è mite e tranquillo, lui non chiede molto. Lui..." papà abbassò lo sguardo. "Lui non si è mai portato via Brooklyn." Ammise.
Al che compresi ciò che non avevo mai visto. Brooklyn e Jonatan non si amavano, al contrario Adela amava Gabriel. Brooklyn non sarebbe mai partita per Monaco seguendo l'uomo che amava, al contrario Adela aveva cambiato i suoi piani per stare almeno una settimana in più con Gabriel. 
L'amore era ciò che faceva la differenza e papà aveva compreso che non era l'università che gli avrebbe portato via la figlia, bensì il suo migliore amico. 
"Ci penso io qui al lavoro." Gli dissi. "Perché non vai a casa e dici alla mamma che Adelaide sta bene?" Proposi, annuì! Si alzò dalla sua sedia e allentò la cravatta nera e grigia che gli stringeva il colletto della camicia. 
"Cosa farete tu e Gabriel con la G&L?" Mi chiese.
"Abbatteremo i costi!" Gli dissi sereno. C'era una crisi economica globale e per poter stare al passo bisognava progredire, muoversi al passo e trovare nuove soluzioni. "La G&L ci assicurerà di offrire servizi sia qui alla Thompson che alla BCG, che anche ad altre società se ce lo chiedono. Gabriel ha già passato il contratto dei legali della BCG a nome della G&L. Così per la controversia che abbiamo contro Parker & Minter avremo un team di avvocati valido." 
"Jared e Laurie erano abbastanza bravi." Disse papà nominando i nostri due avvocati. 
"La Parker & Minter si avvale di un team di dieci avvocati, due dei quali sono usciti da Yale." Gli ricordai.
"Jared e Laurie... hanno studiato alla Boston university." 
"Vent'anni fa papà, come Theodor Keller che oltre ad aver studiato ad Harvard fa sempre dei corsi di aggiornamento, sia è a capo dell'ufficio legale e segue le filiali qui in America. In più suo figlio Edgar che sta studiando ad Harvard è nel suo team, oltre ad avere almeno dieci avvocati infatti Keller ha anche tre sono matricole di Harvard, sono tutte menti fresche e brillanti." Gli dissi esplicando i punti a nostro favore. Se la Parker & Minter pensava di poter vincere contro di noi la causa che avevano indetto potevano star certi che non ci sarebbero riusciti. 
Era assurdo quanto certa gente non riuscisse ad accettare di perdere un appalto.

Ero sazio, sazio e stanco in realtà. Il fuso orario e il jet-leg iniziavano a farsi sentire. In aereo io e Adela avevamo dormito a tratti, ma dopo dieci ore di volo la stanchezza si sentiva uguale. Appena arrivati cenare era stata la priorità, la fame so faceva sentire. A seguire l'esigenza più grande erano state una doccia e andare a dormire. 
Mia madre non aveva detto o chiesto nulla in riferimento a Heidi. Mi ero semplicemente trovato il suo trolley nella mia camera, aveva dato per scontato che dormisse con me e sinceramente ne ero contento. Non sapevo se avremo o meno fatto l'amore, avrei lasciato decidere a lei. Eppure l'idea di averla tra le mie braccia tutta la notte mi elettrizzava e forse, molto forse, mi bastava anche. 
Appena entrato in stanza presi quindi un cambio e andai a fare una doccia intanto che lei era ancora in sala a chiacchierare con Pamela. Incredibilmente le due parlavano di scelte universitarie, Pamela quell'anno iniziava anche se ancor non sapeva su quale specializzazione concentrarsi. Parlava con Adelaide per farsi delle idee, poiché a tutti durante la cena era stato chiaro che al contrario di Pamela, Adelaide Thompson sapeva come voleva muoversi. 
Una volta fuori mi trovai Adela nella stanza pronta per usare la doccia, all'inizio mi guardò di sottecchi, poi senza dirmi nulla entrò nel bagno chiudendosi la porta a chiave. 
Divertito seguii i rumori che mi arrivavano immaginandola sotto la doccia intanto che mi asciugavo e mi infilavo il pantalone del pigiama. La sua voce stonata si accompagnò allo scrosciare della doccia, sorrisi pensando che le piaceva cantare sotto la doccia. 
Mi sedetti sul letto e composi il numero di London. Era giunto il momento di chiamarlo. 
"Eccomi qui!" Gli dissi 
-Ce n'è voluto di tempo!- Mi rispose lui, lo sentii borbottare delle cose a qualcuno poi continuò. -Scommetto che tua madre ti ha preparato i crauti.-
"Con stinco e asparagi!" Affermai. 
-Senti Gabriel...- Mi disse lui 
"Dimmi!" Evitavo accuratamente di fare il nome di Adelaide, non volevo mentirgli. Compresi che la scelta di lei di dirmi poco sui progetti che aveva alla fine era la più giusta.
-Mi serve sapere a quale università andrà.- Mi chiese senza nominare Heidi.
"È difficile, non ho volutamente informazioni. Dice che quello che non so mi permette di non avere segreti con te." Ammisi. 
-Devo trovare un modo, non voglio che viva di stenti, almeno pagarle l'università. Capisci?- 
Anche se non poteva vedermi annuii. Mi stesi sul letto e sospirai. "È una di quelle private. L'ho capito quando mi ha detto che ha speso tutti i suoi risparmi per una retta e che ha fatto un finanziamento." 
-Ha fatto un finanziamento? Posso chiedere a Laurie di cercare quindi.- 
"Se scopre quello che ti ho detto mi uccide." Dissi comprendendo di avergli dato un indizio molto grande. 
Lui rise. - Aveva ragione lei, deve tenerti all'oscuro di tutto.-
Risi anche io intanto che avvertii l'acqua non scorrere più. "Ti manderò un messaggio." Gli dissi prima che lei uscisse. "Lì come vanno le cose, hai parlato con mio zio della controversia che vede implicata la Thompson?" Chiesi 
-L'ho visto stamane tuo zio e anche Edgar, ha fatto delle scoperte interessanti tuo cugino.- Rispose London, mio cugino Edgar era un asso nelle ricerche. Nonostante fosse appena al terzo anno di università aveva quella marcia in più che lo rendeva più perspicace rispetto agli altri. 
"È il sangue dei Keller, siamo bravi in ciò che facciamo." Gli dissi mentre la porta del bagno si apriva, Heidi ne uscì avvolta in un asciugamano, i capelli umidi le cadevano in ciocche ricce sul collo. 
Le sorrisi mentre seguivo una goccia che abbandonava i capelli per scenderle sul collo e poi più giù verso il solco dei seni stretti nel telo. Inutile nascondere che mi ero eccitato, era evidente a entrambi e lei sorrise consapevole di ciò che aveva appena fatto, abbandonai il cellulare, abbandonai tutto ciò che era al di là di noi, oltre quella porta e oltre oceano. 
Non ascoltavo più London, stava parlando ne ero sicuro. Ma non lo sentivo, la sua voce era lontana mentre lei poggiava un ginocchio sul bordo del letto e felina mi raggiungeva, la sua mano si muoveva in contemporanea. Mi carezzava prima i piedi e poi salì su per le cosce, dopo essersi insinuata tra le mie gambe mi guardò allusiva infilando la mano nei miei pantaloni, sussultai. 
"Sei stanco?" Mi chiese con voce roca.
Assolutamente no! Se anche ne avessi avuto un barlume era sparito poco prima, la presi per i fianchi spingendola verso il mio sesso. "Secondo te?" Le sussurrai prima di baciarla, di averla di nuovo mia e di sentirmi di nuovo una cosa sola con lei.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti)
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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-Adelaide-

Era stata una settimana unica nel suo genere. Mi ero immaginata in fuga per Boston nella speranza che i miei non mi trovassero, invece avevo seguito Gabriel a Monaco. Quella città era splendida, l'unico mio problema era che non conoscevo una parola di tedesco. Con Pamela, dopo un inizio tentennante eravamo diventate compagne, forse perché aveva capito che non ero in arrampicatrice sociale.
O forse perché Gabriel nei rari momenti che voleva escludermi da una conversazione le aveva parlato in tedesco. Sta di fatto che dopo la prima sera a Monaco l'atteggiamento della bella rossa nei miei confronti era cambiato.
Si era addirittura offerta di farmi da guida a Monaco quando Gabriel era al lavoro. Con lei avevo fatto la turista e anche tanto shopping, non era da me darmi alle pazze spese. Ma Pamela aveva una certa inclinazione per questo suo hobbies e nonostante le dicevo che non avevo bisogno di nulla, quando vedeva che un vestito mi stava d'incanto voleva comprarmelo. Io che non avevo mai avuto un'amica vera ad un certo punto iniziai a farla fare. Non potevo considerare il mio rapporto con Pamela come quello che avevo avuto con Brooklyn fino a due anni prima, ma era qualcosa di diverso al rapporto che avevo avuto con le mie compagne di scuola sicuramente. 
Con Pamela chiacchieravamo di Boston, dell'ambiente che sia io che Gabriel frequentavamo, di come lei ogni volta che veniva si sentiva fuori posto, della cotta che aveva per London e della mia per Gabriel. 
Le spiegai che London non parlava mai dei suoi viaggi a Monaco con Gabriel, quindi fino a quel momento di lei avevo realmente saputo poco. Lei al contrario mi disse che ero leggenda in casa loro, poiché ero entrata nei discorsi di Gabriel da quando mi aveva conosciuta. Ne restai, dovetti ammetterlo, compiaciuta. Avrei voluto sinceramente che London mi parlasse di lei come Gabriel aveva fatto di me, poiché la adoravo. Pamela nonostante fosse malata di shopping era un ottima compagnia e quando le avevo chiesto di insegnarmi il tedesco non si era rifiutata, anzi. 
"Se metti Skype potremmo fare delle videochiamante e potremo fare lezioni a distanza. Ti insegnerò il tedesco e tu il portoricano." Mi aveva detto accettando di buon grado. 
Avevo il computer e al campus avevano anche internet quindi accettai il compromesso. 
Alla sera però tutto cambiava, Pamela spariva dalla mia vita e veniva sostituta da Gabriel che nonostante il lavoro non mi teneva mai da parte. Mi chiedeva di uscire e accettavo, allora mi portava a fare una passeggiata sul fiume Isnar e spesso ci fermavamo a cenare a Gärtnerplatz, in quella settimana nonostante avessimo provato un paio di locali diversi alla fine mi ero affezionata per il gusto allo Shiller braou. Era una taverna con tipica cucina tedesca, dove si beveva birra (che avevo imparato ad apprezzare) e ci si poteva presentare ad ogni ora vestiti come ci pareva. 
Mi parceva uscire con lui, ma faceva tanto sembrare di essere la sua ragazza, anche se non lo eravamo. Pamela diceva che era così, ma io non avendo mai parlato con lui di ciò non azzardavo, soprattutto perché il tempo scorreva e dovevo tornare a casa.
L'ultima sera a Monaco, come se mi avesse letto nel pensiero Gabriel mi aveva portata a cena lì allo Shiller. 
Entusiasta mi aggrappai a lui baciandolo. "Mi hai letto nel pensiero." Avevo detto entrando nel locale e pregustando già di mangiare un ottimo stinco, crauti e patate per due. 
Era diventato il nostro piatto unico, amavo lo stinco, anche se non ne mangiavo tanto. Mi piaceva, era delicato e gustoso e Gabriel non mi faceva sentire in colpa se non riuscivo a mangiarlo tutto dal momento che lui tirava via il resto. 
Una volta seduti al nostro tavolo dopo aver ordinato e con le birre fredde in mano, eccolo che Gabriel affrontò un argomento che non mi aspettavo.
"So che non vuoi farti trovare ed hai escluso i costi di un cellulare dal tuo budget..."
"Quando potrò permettermelo ne comprerò uno nuovo." Dissi eludendo l'argomento.
"E se ne prendessi uno a nome della mia azienda!" Propose non ascoltandomi. "Io scaricherei i costi dalle tasse e tu avresti un mezzo di comunicazione, cosa più importante..." Disse lui prendendo fiato. "Mi farai stare più tranquillo."
"Andrò all'università, puoi stare tranquillo!" Gli dissi.
Lui mi afferrò le mani guardandomi serio. "Giusto! E sarai sola, senza la tua famiglia con cui hai rotto i ponti. Senza un amico, perché tu non hai amici..."
"Questo mi aiuterà a laurearmi prima, avere amici potrebbe distrarmi." Gli dissi per giustificarmi.
"Cosa succederà nel caso ci fosse un emergenza?" Chiese lui schietto.
"Beh... io... la mia compagna di camera?" Risposi.
"Ti prego Heidi! Un cellulare, quando potrai permetterti di comprarlo poi me lo rendi. Ma ti prego!" Mi supplicò. "Io re lo faccio preparare, ripeto è a nome della mia società, il tuo nome non compare proprio. Andrai all'indirizzo che ti fornisco e ti daranno il dispositivo." Concluse bevendo la sua birra scura.
Sbuffai mentre osservavo la lieve schiuma che lambiva il mio bicchiere di birra. "Poi quando lo comprerò te lo restituisco." 
"Così potremo sentirci tutte le volte che vogliamo. Ti farò mettere una tariffa internazionale." Mi disse stampandomi un bacio sulle labbra. 
Io lo osservai poi mite annuii. "Lasciami il tuo numero di cellulare." Acconsentii, sapevo che in una maniera o nell'altra mi avrebbe fatto avere un cellulare. Quindi discutere e rovinarsi la nostra ultima sera insieme era solo assurdo.
"Hai bisogno che te lo scriva?" Scherzò lui.
"Il mondo non gira mica tutto intorno a te Keller". Gli risposi divertita. 
E lui rise, quello che ricordavo tanto del periodo a Monaco erano le nostre serate insieme, le chiacchiere, le cene e l'amore. Si l'amore dalla sera alla mattina, che fosse sotto una doccia, a letto o sostenuti ad un muro era sempre bello. Non ne ero mai sazia e se me lo avessero chiesto lo avrei detto senza indugio. Non c'era nulla di meglio e appagante del sesso con Gabriel. 
Mi mancava, neanche una settimana dopo il mio arrivo a Cambridge, nonostante le giornate frenetiche a insediarmi nella mia camera, sistemare le mie cose e iniziare i corsi, lui mi mancava. Tanto che quando quel giorno andai a prendere il cellulare che lui voleva prendessi dal rivenditore che mi aveva segnalato non indugiai. 
La prima cosa che feci fu scrivergli un messaggio, in realtà stavo per chiamarlo. Ma un campanello d'allarme era spuntata nella mia testa: il fuso orario, erano le dieci e trenta di sera in Germania e forse lui era uscito... con una donna, una bella tedesca che suo nonno avrebbe approvato. In fondo lei non era stata altro che un'avventura! Così gli aveva mandato un messaggio molto distaccato.
"Ciao, sono Adelaide. Questo è il mio nuovo numero, ho preso il cellulare che mi hai prenotato. Grazie si tutto.„
Una volta che lo ebbi inviato mi stesi sul mio letto ed inviai un messaggio simile a Pamela per avvertirla che ero on line. Carol la mia compagna di stanza era uscita, quella sera ci sarebbe stata una festa alla confraternita heta beta e non voleva assolutamente andare impreparata. Carol sarebbe andata d'accordo con Pamela, ogni occasione per lei era buona per fare shopping. Da quando erano lì l'avevo vista flirtare, fare shopping, informarsi delle confraternite e partecipare a qualche corso.
"Scienze umanitarie... non so neanche dove mi porterà il mio futuro." Mi aveva detto presentandosi.
"Se hai fatto domanda di ammissione qui un obbiettivo devi averlo." Le avevo risposto.
"Ho solo vinto la borsa si studio per meriti sportivi. Sono un ottima giocatrice di basket e a loro servo." Aveva detto facendo spallucce. "A me serve di avere una laurea a basso costo invece." 
Con quelle premesse mi chiesi perché allora dispendesse il suo denaro in vestiti ed il suo tempo a pazzeggiare dal momento che diceva avere altre priorità. 
Non glielo avevo chiesto ancora, non avevo ancora quella confidenza. A differenza sua avevo anche degli obbiettivi, mi aveva chiesto di andare alla festa con lei. Ma sinceramente non ci tenevo, ero una ragazza strana lo so! Ma entrare in una confraternita non rientrava nelle mie priorità, sospirai e con un riflesso condizionato risposi al telefono appena squillò, dimentica del fatto che nessuno poteva avere quel numero in quel momento. "Pronto."
"Ehi... Adelaide!" 
Mi esplose il cuore in gola riconoscendo la sua voce. "Gabriel..."
"Disturbo? Ho ricevuto il tuo messaggio." Disse 
Sorrisi. "No... non disturbi, temevo anzi di essere io a disturbare te. È tarda sera lì, giusto?" Chiesi.
"Non mi hai disturbato, è venerdì sera e stavo controllando delle mail. Tutto che si può rimandare." Ammise dolcemente. "Tu cosa fai?" 
"Mm... valuto di andare a cercare un lavoro, ricordi? Le tasse." Gli dissi.
"Nella tua università non ci sono le feste di benvenuto?" Mi chiese.
"Ce ne sarebbe una questa sera, ma sinceramente non sono interessata alle feste delle confraternite." Ammisi. 
"Non devi per forza di cose entrare in confraternita. Ma puoi divertirti, se non lo fai adesso quando? Più avanti andrai e più entrerai nel pieno degli studi, fossi in te ci andrei." 
"Mm... potrei sfruttare i vestiti che mi ha comprato Pamela." Dissi prendendo in considerazione la festa dal punto di vista che mi mostrava lui. 
"Avrai gli occhi di tutti su di te!" Mi disse prendendo poi fiato, sinceramente non credevo a quello che diceva. "Spero non siano vestiti sexy." 
Risi. "Ma cosa dici, non sarò altro che una tappezzeria come sempre e i vestiti dipende comunque da come si portano." Io di sicuro li portavo male.
"Per me non sei mai stata una tappezziera e sicuramente sei sexy con qualsiasi cosa tu indossi." Mi disse con voce bassa. 
Tremai a quella confessione, mi sentii inerme tanto da sciogliermi e rivelargli i miei sentimenti. "Mi manchi!" Sussurrai.
"Anche tu mein liebe!" Rispose lui sorridendo. "Ci hai messo anche troppo tempo a chiamarmi." 
Volteggiai sul letto eccitata a quella sua rivelazione. "Avevo altro da fare!" Risposi infine felice. 
"Cosa? Crogiolarti per le feste universitarie?" Mi chiese risentito. "Sento dei movimenti, sicuramente stai scegliendo il vestito per questa sera." 
Risi ancora. "Ma no, sono stesa sul letto a rilassarmi un po'."
"Anche io sono steso sul letto..." Ammise. Perfetto! Era notte da lui, ci stava quindi, lo avevo svegliato ne ero certa. "Adesso però sai... inizio a rilassarmi anche io dopo una lunga e dura settimana." Concluse intanto Gabriel.
"Oh! Ti ho disturbato quindi, ammettilo." Gli dissi.
"Assolutamente no! Anzi, mi hai fatto posare il computer e mi hai acceso la fantasia." Rispose con voce bassa o roca, non seppi dirlo. 
"Per la festa?" Chiesi col cuore in gola.
"No! Per te, ti immagino stesa sul letto... a toccarti..."  il suo respiro sembrava irregolare e quella rivelazione ammetto che mi accese dentro. Mi sentii col cuore in gola. Non mi stavo toccando, perché avrei dovuto, quando avevo lui che sapeva toccarmi magistralmente.
"Stesa si, sono stesa..." sussurrai stringendo le gambe mentre avvertito un formicolio fin troppo conosciuto.
"Cosa stai facendo?" Mi chiese 
Oh Dio! Pensai leccandomi le labbra, cosa stava facendo? "Io..." dissi esalando un sospiro. Era un bastardo, non capiva cosa stava facendo? "Mi sto eccitando." Ammisi.
"Anche io!" Rispose lui con voce sempre più roca.
Sussultai. Anche lui! "E mi sto toccando!" Mi disse.
Mi morsi il labbro lasciando scivolare la mano sui miei seni. "Fai tutto da solo!" Lo provocai.
Lui rise, una risata bassa e roca, e gemetti! Lo sapeva, Gabriel sapeva l'effetto che stava avendo su di me. "No! Lo sto facendo con te. Ti immagino mentre le tue piccole mani stuzzicano i tuoi seni e il tuo sesso. Immagino che al posto delle tue dita, lì nel tuo regno ci sia io, con la mia lingua ed il mio..." 
"Oh Dio Gabriel!" Lo fermai, si ero eccitata e diamine volevo toccarmi e sentire quelle sensazioni che solo lui sapeva darmi. Le sue mani, la sua bocca, la lingua e il suo membro duro dentro di me. Senza rendermene conto avevo preso a toccarmi, sbottonare il jeans e insinuarmi nelle mie mutandine. 
"Heidi..." sussurrò lui. 
"Ti stai toccando? Adesso mentre parli con me!" Gli chiesi gemente  mentre due dita andavano alla ricerca del mio clitoride.
"Oh cazzo sì!" Mi disse lui sempre più ansante. Non ne capivo il motivo, se fosse o meno normale. Ma mi piaceva e mi lasciavo trasportare dalla sua voce roca e suadente, così come mi facevo guidare da lui intanto che stimolavo il mio sesso. 
"Mi piace..." sussurrai sempre più eccitata. 
"Voglio sentirti mein liebe..." mi disse lui. 
"Io... oh Gab... io sto..." arrancai mentre il mio dito andava a fondo con più intensità. Stavo venendo, stavo provando un orgasmo.
Sentii un suo gemito rauco e la sua voce che mi diceva. "Venendo..." 
Dio! Avevamo avuto un rapporto non rapporto telefonico ed era stato così... Risi! "Sì!" Affermai esalando un respiro di piacere. Era stato bello! 
Lui mi seguì a ruota, amavo quel ragazzo indubbiamente e le sensazioni che mi dava erano sempre nuove. Poi quando mi accorsi di quel pensiero tremai! Lo amavo, per lui sarei caduta e mi sarei fatta male, molto male, lo sapevo. 
"Heidi..." mi chiamò portandomi alla realtà. 
"Sì?!" 
"Spero tu sia sola in stanza..." Mi disse.
Risi ancora. "Adesso sì, Carol è andata a fare shopping per questa sera." Lo informai.
"Raccontami della prima settimana... ti va?!" Mi chiese. 
Dio! Avrei fatto di tutto per poter continuare a parlare con lui, così lo accontentai iniziando a raccontargli i primi giorni, dei professori e dei colleghi studenti. Del mio bisogno di cercare un lavoro e della mole di studio che solo in quella settimana già avevamo. 
Quando tornò Carol ero ancora a telefono con lui che mi consigliava di dare lezioni di latino se rispetto ad altri ero più avanti. 
Conclusi la chiamata molto più tardi, ovvero quando la mia coinquilina mi disse fosse ora di prepararci per la serata. Ancora ero titubante, ma anche Gabriel fu insistente dall'altro lato del mondo. Mi aveva consigliato di vivermi appieno l'università e la vita frenetica che ci girava intorno per non avere rimorsi o rimpianti. 
"Devi farlo Heidi, mandami una foto quando sarai pronta e fammi sapere come è andata" Mi aveva detto salutandomi. 
Così anche se annoiata mi ero preparata indossando un vestito di lino rosso che mi arrivava all'altezza del ginocchio, non era aderente, ma fasciava elegantemente le mie curve, soprattutto metteva in evidenza il mio piccolo seno. I capelli ricci lasciati sciolti sulle spalle ed un trucco leggero completavano il tutto. Prima di andare via chiesi a Carol di farmi una foto così che potessi mandarla a Gabriel ed infine raggiungemmo la tanto acclamata nostra prima festa...

Dopo la prima settimana di università quello che era parso come una bazzecola si era trasformato in duro lavoro. I corsi, gli studi e il lavoro esami portavano via tutto il mio tempo e la forza fisica. Ebbene sì avevo trovato un lavoro, in realtà più di uno. Facevo da babysitter a tempo perso quando venivo chiamata dalla mia professoressa di latino, che comprendendo quanto fossi avanti mi era venuta incontro dandomi un lavoro. Inoltre davo lezioni private di latino ad un paio di ragazzi del secondo anno e dopo una quindicina di giorni dall'inizio dei corsi avevo iniziato a darne anche a due ragazzi delle scuole medie*. 
In pratica se continuavo così avrei potuto pagare le tasse universitarie in più di una rata mensile. Riuscivo a guadagnare abbastanza da mantenermi, da poter pagare anche il cellulare a Gabriel/che non voleva sentirne parlare/, da potermi permettere qualche sfizio come una pizza con Carol, Julie ed Edgar ragazzi che avevo conosciuto in quel periodo.
Le feste continuavano a tenersi ovviamente, io sinceramente partecipavo a poche.
Non mi piaceva l'aria che tirava alle feste. I ragazzi ci provavano con tutte, si aspettavano che cadessimo ai loro piedi e li seguissimo nelle stanze per la scopata  di turno. Ovviamente c'erano ragazze che andavano alle feste solo per questo, per fare colpo sul più figo, sul capitano della squadra di basket o di baseball, sul presidente della confraternita. Inoltre si beveva tanto! Era un'esperienza nuova bere fino ad ubriacarci, ma anche quella non mi piaceva. Bevevo da quando avevo dodici anni, i miei genitori di avevano insegnato l'arte della degustazione quindi l'alcol lo reggevamo tutti a casa. La birra era qualcosa di sgradevole al mio palato abituato a vini sopraffini, quindi per quanto bevessi mi tenevo sul leggero. 
Il fumo?! Altra esperienza che avevo fatto, anche quella esclusa. Dopo aver tossito al primo tiro non mi ero arresa, ci avevo riprovato. Ma quando avevo tirato fuori l'anima nella ciotola delle patatine avevo rifiutato di fare qualche altro tiro. 
Ecco! Questo erano le feste: sesso, alcol e droga! Potevo sembrare noiosa o la classica figlia di papà. Ma non mi piacevano? 
Al contrario quando avevo conosciuto Edgar, Eddy come lo chiamavo io, avevo cambiato il mio modo di vedere le feste. 
Andavamo insieme, ci divertivamo facendo credere a tutti di stare insieme e dopo esserci presi un Martini ci gettavamo nella calca a ballare. Poi quando la festa entrava nel pieno del caos e delle effrazioni noi andavamo via. 
Carol diceva che io piacevo ad Eddy, nessuno del terzo anno poteva starci dietro. Mentre Edgar effettivamente mi dedicava tanto tempo, però io avevo compreso dopo un po' che lo frequentavo che lui non era interessato a me. Non in quel senso! Io invece? 
Assolutamente no! Trascorrevo le mie giornate a studiare, spesso con Edgar, a seguire corsi e lavorare, fremente che arrivasse l'ora giusta così che potessi sentire Gabriel. Durante la settimana correvo a pranzare nei giardini così da poterlo attendere la sua chiamata appena usciva dall'ufficio, al sabato quando erano le cinque del pomeriggio circa ero io a chiamarlo. Sapevo che era a casa, da solo e che aspettava la mia telefonata, il mio consenso a fare ciò che voleva anche attraverso un telefono o meglio attraverso Skype. Da quando mi aveva scoperta in video con sua sorella Pamela infatti, lui aveva preteso che facessimo degli incontri in video chiamata, voleva vedermi mentre mi eccitavo e ammetto che anche a me piaceva vederlo. 
Quella relazione a distanza non me l'ero immaginata, ma alla fine era ciò che volevo. Che fosse o meno a distanza io volevo Gabriel e lui a quanto pareva voleva me. 
Quello era amore, desiderio e lussuria. No! Con Edgar non c'erano tutti questi sentimenti forti e trascinanti. 
Così erano trascorsi i primi due mesi a Cambridge, concentrata su me stessa e sui miei obbiettivi. Ero senza pensieri fino a quando uno fisso non si instillò nella mia mente. 
Eravamo alla festa di Carol e Paul, il presidente della  alfa epsilon pi, quando presa da un conato di vomito mi ero diretta al primo bagno libero.
Edgar mi era al fianco che mi teneva la testa e mi passava un panno umido. 
"Ti sei fatta una canna Ada?" Chiese forse arrabbiato. 
Io lo avevo fissato? Dopo la prima volta? No, assolutamente! "No! Odio le canne, mi fanno vomitare e appunto odio vomitare." Affermai. 
Lui mi aveva guardato con i suoi occhi azzurri, la frangia rossa gli cascava disordinata sulla fronte. 
"Sei stanca? Vuoi andare via?" Mi ha chiesto.
Eh sì! Volevo andare via, quel posto non faceva per me e stavo ancora male. 
"Forse sono influenzata, è periodo." Risposi. 
Lui sorridendomi mi aveva tenuta su e accompagnato fuori dalla confraternita. Ci eravamo diretti verso i dormitori ognuno nei propri pensieri, stretti nei nostri giubbotti.
"Mi dispiace averti rovinato la serata." Affermai
"E perché mai!? Sai che ad una certa andiamo via." Aveva riso lui.
"Ti ho visto sai..." Ammisi.
Lui mi guardò incuriosito ed io assentii. "La differenza tra te e mio fratello è che lui non riconosce o forse ancora non sa di essere gay. Tu sei come lui, reticente a lasciarti andare. Però se trovi qualcuno che ti attrae ti trasformi. Ti ho visto che flirtavi con uno del club di basket." 
Edgar si fermò sul posto stupito, mi fissò attentamente poi scoppiò a ridere. "Se vorrà scopare saprà dove trovarmi, gli ho lasciato il mio numero." 
Scossi la testa divertita. "Ma se ti piaceva... potevi corteggiarlo e..."
"Ed è solo attrazione fisica! È un altro il ragazzo che amo Ada." Affermò lui prendendomi a braccetto.
"Perché non stai con lui?" Chiesi allora, parlare di Eddy mi aiutava a non pensare. 
"Tu perché non stai con il tipo che dici di amare?" Mi girò la domanda. 
Okay, lui sapeva che amavo un ragazzo. Ma non ero la tipica ragazza ferma ad attenderlo come poteva sembrare. "In realtà sta facendo uno stage fuori Boston, per questo non stiamo uscendo insieme." Era quella la risposta giusta, io non lo aspettavo e lui non mi illudeva. Giusto? 
Eddy annuì guardando il marciapiede anziché me. Non mi aveva creduto. "Giuro è la verità." Gli dissi, anche se quelle parole sembravano false anche alle mie orecchie. Quanto sarebbe durato quella storia a distanza.
"Quindi non sei incinta di una tua fantasia." Mi disse lui. 
Al che puntai i piedi a terra sollevando il viso. "Non sono incinta!" 
"Mi hai detto che mese scorso ti è saltato il ciclo e adesso vomiti. Ti prego non offendere la mia intelligenza e neanche la tua." Disse lui lasciandomi andare per allontanarsi.
Diamine! Non volevo pensare a me, non volevo pensarci. Non ancora! Stress! Era stress se il ciclo mi era saltato il mese prima ed ora era solo un ritardo, presto sarebbe giunto ne ero sicura. 
"Perché non stai col ragazzo che ti piace?" Gli urlai contro. 
Lui diede un calcio all'aria, sembrava arrabbiato. "Parli di me quando sei incinta?" Chiese arrabbiato.
"Assolutamente! Il punto è che devo parlarne prima con Gabe." Gli dissi, perché quelli non erano affari suoi, ma miei e di Gabriel. Gabriel che mi aveva detto ci saremo presi tutto dalle nostre azioni, sia il bello che il brutto. 
"Quindi sai di essere incinta." Mi disse Eddy, non avevo mai visto i suoi occhi azzurri così glaciali.
"Lo immagino! Non ho voluto fare il test, non ancora." Ammisi 
"Cosa vuoi aspettare Ada? Che il bambino esca dalla tua vagina?" Mi chiese.
"Ho paura! Sai cosa vuol dire un figlio? Eddy io ho solo diciotto anni." Ammisi 
"E un futuro davanti." Continuò lui. "Cazzo Ada sei la migliore del tuo anno, il professor Brolin ti ha concesso di partecipare ai suoi corsi nonostante la tua età, sei più preparata di me in diritto civile e penale e stai mandando tutto a monte per una gravidanza." Si sfogò lui.
Non era arrabbiato con me. No era arrabbiato con se stesso, perché non riusciva ad ottenere i miei risultati. Io matricola ero più appassionata di lui, amavo la legge ed ero stata accettata nel suo stesso corso da Brolin. Non potevo ancora sostenere gli esami ma ero avanti al contrario di Edgar che al primo esame aveva rinunciato al voto troppo basso per i suoi canoni. 
"Cosa dovrei fare? Crogiolarmi? Non posso... ti ho detto ho solo diciotto anni." Urlai rammaricata.
"Allora toglilo... questo Gabe non ne sa nulla, ma sono sicuro che se lo sapesse ti direbbe la stessa cosa. Togli il bambino." Mi consigliò.
Lo guardai stralunata. Un aborto! Potevo farlo? Gabriel non me lo avrebbe permesso ne ero certa. Guardai Eddy lanciandomi tra le sue braccia. "Aiutami, non so dove andare." Sussurrai.
Lui mi baciò la fronte. "Ti porto in una clinica buona Ada." Mi rassicurò
"Grazie Edgar, grazie di esserci." Piansi, io che non crollavo mai piansi. 
Lui mi aveva stretto a se confortandomi, avevo deciso era il custode dei miei segreti e delle mie paure. Lo avevo innalzato a qualcosa di più di un semplice conoscente, era un amico puro e sincero, per la prima volta avevo un amico vero.
"Convenzioni!" Mi sussurrò nell'orecchio, capii che stava confidandomi un segreto che sarebbe rimasto solo tra noi e la notte autunnale. "Sono preda delle convenzioni, la mia è una famiglia tradizionale, la sua anche. Io so ciò che sono, l'ho subito capito quando avevo tredici anni. Mi sono innamorato di lui quando l'ho conosciuto cinque anni fa! Ovviamente non mi ha  accusato neanche di striscio, ho pensato all'epoca che fosse etero, ci sta. Sono io quello omosessuale dei due!" Mi confidò continuando a tenermi stretta. Compresi che per lui era una liberazione poterne finalmente parlare, così non lo interruppi. Sapevo fin troppo bene cosa significava crescere in una famiglia di mentalità chiusa. Edgar sospirò continuando a raccontarsi
"Lo amavo in silenzio, perché di lui potevo comunque conservare l'amicizia. Mi potevo accontentare." Ammise con acredine nella voce. "Poi l'anno scorso conobbe mio cugino e lui cambiò. Compresi in quel momento che come me era omosessuale, compresi che si era invaghito di mio cugino subito. Faceva di tutto per mettersi in mostra e per confrontarsi con lui, come io avevo fatto con lui stesso. Perché sapeva che non ci sarebbe stato un futuro con mio cugino e come io temevo non ci fosse con lui." Concluse, mi scossi leggermente da lui fissandolo. Attesi che continuasse, perché non lo faceva? 
"Ti sei quindi rivelato a lui? Vi siete trovati?" Gli chiesi speranzosa.
Lui scosse la testa allontanandosi da me. "No! Lui è fidanzato con una ragazza di buona famiglia, a quanto pare ben voluta dai suoi. Io con i miei fingo di avere una ragazza e di essere felice con lei." 
Mi disse prendendomi la mano e dirigendosi verso i dormitori. "Di quanto hai il ritardo? Hai idea di che periodo sei?" Mi chiese cambiando argomento.
Annuii. "Penso di averlo concepito l'ultima settimana di agosto." 
"Quindi due mesi pieni. Andremo in una clinica settimana prossima, va bene?" Mi disse lui.
Chiusi gli occhi, che stupida ad attendere tanto. Due mesi già... "Va benissimo!" Confermai, non potevo portare avanti la gravidanza. Avevo delle ambizioni e dei progetti, quel bambino sarebbe stato solo un ostacolo.

Ottobre aveva lasciato il posto a novembre, come promesso Edgar mi aveva portato in una clinica privata per eliminare il mio problema. Comprendevo che la clinica avrebbe richiesto un pagamento non indifferente. Ma come lo stesso Eddy mi aveva detto, lì avevamo una certa copertura igienica che nelle cliniche a basso costo non c'erano. Lui era seduto al mio fianco, indossava un maglione a collo alto bianco che metteva in evidenza i capelli rossi e gli occhi azzurri, da quando sapevo che veniva da una famiglia facoltosa tutti mi tornava. Il maglione era in cashmere, il giubbotto stesso era un north face e se avessi controllato la marca dei jeans sicuramente avrei scoperto che anch'essi erano firmati. Forse ci eravamo anche incontrati nel corso della nostra infanzia rimandando inosservati l'uno all'altra, chissà. 
Mi guardavo intorno, così da non continuare a fissarlo. C'erano donne con il pancione in stanza pronte a partorire. Si parlavano tra di loro, una diceva che il bambino scalciava e che nonostante le contrazioni era ancora indietro col tempo, una ogni trenta minuti lo facevano presagire. L'altra parlava del suo ricovero, doveva partorire il giorno dopo, un cesareo. Al che la prima donna disse che lei avrebbe fatto un naturale e che non vedeva l'ora di abbracciare sua figlia. Anche io dovevo ricoverarmi, sarebbe stato un day hospital, entravo, intervenivano e poi sarei tornata a casa. 
Avevo detto a Gabriel di non contattarmi quel giorno poiché avevo degli esami e non mi avrebbe trovata. Non sarei riuscita a mentirgli, già occultare tutti i miei pensieri ed eludere l'argomento mi veniva difficile. Dirgli apertamente: vado ad abortire, non voglio nostro figlio! Sarebbe stato distruttivo per entrambi lo comprendevo. 
Finalmente la porta che ci divideva dal reparto ostetricia si aprì, forse era per me, forse per la donna che doveva fare il cesareo. Speravo chiamassero me sinceramente, sentire quelle due donne parlare dei figli e delle gravidanze, vederle carezzare il ventre tondo e vezzeggiare i loro figli attraverso la voce mi mescolava strane sensazioni dentro. Loro parlavano dei loro figli ed io pensavo di non potere avere invece il mio! Dalla porta uscì un uomo con in mano una valigia, non mi sembrava un medico anzi. Indossava un jeans ed una felpa, lo sguardo raggiante mentre lasciava passare una donna con in braccio un bambino. 
No! Non questo?! Il neonato emanava lievi gemiti intanto che i neo genitori pensavano a coprirlo per bene con la copertina in lana prima di uscire.
"Metterai fuori la cuffia tesoro, qui è ancora caldo per lui." Disse il papà. 
Io seguivo quella scena sempre più sconvolta. Padre, madre e figlio sembravano così perfetti in quel quadretto. 
La donna assentiva conciliante al marito seguendolo,  guardò il nostro piccolo gruppo. Augurò il meglio alla madre in travaglio e salutò noi altre augurandoci il meglio. 
Strinsi la mano a Edgar, lui non la rifiutò anzi me la prese e mi sorrise. 
"Non ce  la faccio!" Sussurrai.
Eddy annuì. "Credo che hai ragione!" Ammise, eravamo sulla stessa lunghezza d'onda, pensavamo la stessa cosa. "Vuoi fare la visita almeno? Potremo vederlo..." mi disse eccitato. 
Gli sorrisi, si potevamo vederlo. Così attendemmo e dopo che la donna del cesareo fu ricoverata finalmente chiamarono anche noi. 
Fu Edgar a dire loro che non ci sarebbe stato più alcun intervento. Al contrario facemmo la visita che accertò il periodo della gravidanza, otto settimane più una. Vidi per la prima volta mio figlio in forma di un puntino e per la prima volta da quando avevo i ritardi fui felice. Con Eddy ci concedemmo un cappuccino per festeggiare il bambino, eravamo entrambi eccitati e facevamo progetti.
"Sarò come uno zio per lui, o lei..." affermò . "È stata un'esperienza magnifica e io Ada ti aiuterò."
Perché per lui non dovevo fermarmi, dovevo continuare a studiare e andare avanti con i miei progetti. Lui mi avrebbe aiutato perché pensava che alla fine la legge e il diritto non erano parte di lui. 
"Se hai bisogno di sostegno quando parlerai con il tuo ragazzo..." Disse.
"Se avrò bisogno di sostegno ti dirò Eddy. Sarà però un confronto solo nostro come è giusto che sia." Gli dissi. 
"Pensi che non lo vorrà?" Mi chiese titubante.
Ci pensai su prendendomi tempo. Pulii il labbro sporco di latte e ripensai al periodo insieme a Monaco o sull'aereo, durante il viaggio, quando mi aveva detto che non aveva usato contraccettivi, non con me. 
"Penso che lui sia più preparato di me sai?" Gli dissi facendo spallucce. 
"Ne avete parlato?" Chiese colpito.
"Del fatto che non avessimo usato protezioni sì, disse che ci avremo poi pensato o una cosa del genere." Affermai.
Edgar mi osservò dolcemente poi annuì. "Credo di averlo giudicato male, non sapevo questa cosa è forse lui ti ama." 
Tacqui, durante quei due mesi avevo iniziato a studiare il tedesco con Pamela. Conoscevo un po' di modi di dire adesso e cercare il significato di mein liebe sul dizionario era stata la mia priorità. Potevo essere quindi sicura che Gabriel mi amasse, poiché mi chiamava amore mio in privato. Effettivamente adesso per avere una certezza dovevo solo metterlo al corrente dei fatti e carpire quanto il suo sentimento verso di me fosse sincero. 


 

//Middle school in America, sono studenti dai 11 ai 14 anni. 
Adelaide prende 20$ l'ora per ogni studente indipendentemente dalla fascia che istruisce, mi sono regolata sui 20€ che prendono qui in Italia (almeno dove abito io queste sono le rette). Fa lezioni private tre volte a settimana e lavora su ogni studente circa due ore al giorno, quindi approssimativamente solo dando lezioni prende 1900 (se non di più dipende dalle ore, il conteggio esatto per 2 ore ogni 12 giorni sarebbe pari a 1920$). C'è poi da calcolare il lavoro da baby sitter, sinceramente non saprei quanto costino, diciamo che reputo l'incasso come risparmio personale di Adelaide. 
Ovviamente anche qui, lei insegna ai ragazzi delle medie tre volte a settimana: lunedì, mercoledì e venerdì. Le restanti, martedì e giovedì  invece per i ragazzi universitari.

Harvard è a Cambridge (Boston) 
Alpha Epsilon Pi è una confraternita di Harvard

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Gabriel

Ero in trepidante attesa di una telefonata da parte di Adelaide. Erano due giorni che non la sentivo e ne sentivo la mancanza, mi ero decisamente abituato alle nostre telefonate in quei due mesi di lontananza. Ormai riuscivo a comprenderla anche attraverso un apparecchio e kilometri di distanza, sapevo infatti che c'era qualcosa che non andava. Ultimamente nelle nostre telefonate era evasiva su certi argomenti, mi parlava solo dell'Università e del suo amico Eddy. Quando si trattava di lui indubbiamente si lasciava più andare. Ammetto che ero geloso di lui, anzi no! Ero stato geloso di lui, fino a quando questa domenica Adela non mi aveva confidato che ci aveva visto giusto. Aveva dichiarato a Eddy di sapere che era gay e lui non aveva ritrattato, anzi aveva confermato. A quella rivelazione ero salito in paradiso, l'amico della donna che amavo, colui che sembrava potesse portarmela via era gay. Quindi Adelaide non mi avrebbe lasciato per lui. Mi ero imposto che le avrei dato la sua libertà, e l'avrei lasciata alla sua vita così come lei voleva. Senza aiutarla economicamente, senza starle addosso, permettendole e anche incitandola a fare esperienze nuove lì all'università. In tutto ciò dovevo ammettere che lei era più brava di me, io quando ero stato ad Harvard ci avevo dato giù dentro con l'alcol e le canne, ovviamente anche io sesso. Ma quello me lo ero portato dietro già da prima, stava di fatto che all'università ogni occasione era buona per fare baldoria. Al contrario di Heidi che quando me ne parlava mi lasciava intendere che certi aspetti delle feste non le piacevano.
Però andava, viveva e faceva esperienze. Com'era giusto che fosse stava anche allontanandosi, forse oltre a Eddy aveva conosciuto un altro ragazzo, se ne era invaghita e addio Gabriel. Per questo era stata così evasiva!
Temevo che non mi chiamasse sempre per lo stesso motivo, ma poi tornavo in me. Adelaide Marie Thompson era tutto tranne che codarda, non mi avrebbe tenuto sospeso come stava facendo.
Così paziente aspettavo, aspettavo uno squillo o una chiamata che non arrivava. Avevamo degli orari ormai, alle sei quando uscivo dall'ufficio a Boston terminavano i corsi della mattina. Quindi in quello stacco, prima che andasse a pranzare io la chiamavo e parlavamo di tutto per non perderci.
Al sabato invece lei mi faceva uno squillo intorno dalle 16.00 alle 17:30, quando la sua compagna di stanza non c'era. Da me l'orario oscillava dalle ventidue alle ventitré, ero a letto e come sempre attendevo trepidante che mi chiamasse. Anche in quel caso parlavamo tante, ma spesso ci concedevamo al sesso telefonico. Alcune volte, quando accendevo Skype, mi ero spesso ritrovato lei in completo intimo pronta a sedurmi.
Sì Adelaide aveva tanto spirito di iniziativa, lo aveva avuto fino al sabato appena passato. Ma qualcosa era cambiato già dalla domenica successiva.
Che avesse conosciuto un ragazzo alla festa? Per questo non parlava mai di se in quei giorni? L'avevo persa me lo sentivo.
Era venerdì e da due giorni non ci sentivamo, anche quel giorno era andato poiché ormai erano le nove di sera.
Rientrato dalla mia corsa serale, salutai la mamma andando a preparami un sandwich, di mangiare non ne avevo tanto voglia. Ma se lei vedeva che almeno azzardavo per fatti miei qualcosa, non si faceva alcun tipo di domanda.
Pamela era seduta al tavolo, segno che già aveva cenato da un po'. Il computer acceso era concentrata sul monitor.
"Parli con Heidi?" Le chiesi mentre mordevo il mio panino. Che avesse raccontato qualcosa a mia sorella?
Lei scosse la testa. "No! Questa settimana non è disponibile, però mi ha mandato una traduzione da fare come compito l'altro giorno. Dall'inglese al portoghese. È cattiva!" Rispose ridendo.
Accennai anche io a un sorriso mentre mangiavo. Quindi anche con Pamela non si stava facendo sentire, cosa diamine mi stava nascondendo.
"Aveva i primi esami in questi giorni." Rivelai a mia sorella pulendomi la bocca e lasciando metà panino. "Ho bisogno di una doccia. Mamma non gettarmi il panino." Le dissi arruffando i capelli a Pamela e dando un bacio alla mamma prima di uscire dalla stanza.
"È strano!" La sentii sussurrare.
"Ci saranno problemi in paradiso?" Le rispose Pamela. Senza fare il minimo rumore restai dietro l porta ad ascoltarle parlare di me. Quindi anche loro pensavano che c'era qualcosa che non andava. "Lei è lì e sai quanti fusti ci sono all'università, la sua amica Carol frequenta tanti giocatori di basket, può avergliene presentato uno e addio Gabe." Sussurrò mia sorella divertita. "Questo sarebbe il motivo per cui anche io dovrei andare all'università."
"Questo non è un buon motivo per frequentare l'università." La riprese mia madre. "Spero che tuo fratello non soffra." Concluse poi preoccupata.
Scossi la testa e lentamente lasciai la porta per dirigermi in camera mia.
Avevo cercato di non far percepire i miei malumori, in linea di massima ci riuscivo anche al lavoro. Tenevo separata la mia vita privata dal lavoro, ero impassibile sul campo, freddo e calcolatore. Ma lì a casa non ero riuscito a nascondermi a mia madre e mia sorella. Ero così trasparente? Oppure ci erano arrivate da sole che qualcosa non andava.
Entrato in camera mi spogliai e subito mi infilai sotto la doccia. Avevo bisogno di spazzare via tutto, i pensieri negativi e le parole di Pamela.
Quelle infatti non erano miei pensieri carichi di insicurezze e gelosie, la sue parole erano una realtà. C'erano i 'fusti' all'università, frequentava effettivamente degli sportivi anche. Chiusi gli occhi per chiudermi tutto alle spalle, non volevo più pensare.
Fui destato però dallo squillo insistente del cellulare. Staccai la doccia e prendendo un telo corsi a rispondere.
"Eccomi... sei insistente." Sbuffai, erano le dieci di sera. London forse mi cercava per qualche contratto. "Pronto!" Risposi scocciato.
"Oh... ti ho disturbato?" La voce di Adelaide mi arrivava delusa e titubante.
Cazzo! Non mi aspettavo una sua chiamata. "No! No Heidi... scusa ero sotto la doccia e non ho visto che eri tu." Le risposi giustificandomi. Se lo avessi saputo avrei portato il telefono dietro.
"Oh... quindi adesso sei tutto nudo?" Mi chiese allusiva.
Scossi la testa! Quella era la mia Heidi audace e tentatrice. La riconoscevo subito dalla voce, sicuramente stava immaginando la scena e perché no, stava anche eccitandosi. "Sto asciugandomi con un telo in realtà."
"Oh!" Disse lei trattenendosi, dopodiché doveva aver ponderato cosa dire perché fece un colpetto di tosse. "Puoi avviare Skype?"
"Oh sì!" Le risposi, avevo bisogno di vederla. Per capire se lei c'era realmente o fosse solo un mio desiderio quella di sentirla come la solita Heidi.
"Birbante! Posa l'asciugamano lontano dal tuo corpo però." Mi ordinò intanto che avvertii la chiamata Skype sul computer.
"Sei parecchio audace questa sera!" Le risposi divertito accettando lo Skype. "Ciao mein liebe." La salutai appena vidi il suo viso rotondo sullo schermo.
"Ciao!" Mi salutò lei, era un saluto sollevato, sorrideva, cercava il mio sguardo e si mordeva il labbro. Sembrava indecisa.
"Tutto bene Heidi?" Le chiesi senza girarci intorno mentre mi mettevo una t-shirt.
Lei annuì seguendo i miei movimenti, poi fece una smorfia. "Quindi eri seminudo."
"Di sotto sono ancora nudo." La presi in giro, per quanto fossero eccitanti le nostre chiamate erotiche, questo non era il momento per farne una. La sua espressione e le sensazioni che mi portavo dietro da giorni ne erano la testimonianza.
"Dopo devi farmi vedere." Mi disse lei arrendevole.
Annuii, quello sguardo così mite e anche le parole ponderate non mi facevano riconoscere la mia Heidi. "Com'è andato l'esame?" Le chiesi.
Lei fece di nuovo una smorfia anche se gli occhi seri rivelavano che non stava scherzando. "8+1." Rispose dopo un po'
Sgomento la osservai. "Che voto sarebbe otto più uno?" Chiesi.
"Nessun voto! Otto settimane più una." Riformulò lei.
"Sono due mesi... devi rifare l'esame tra due mesi?" Chiesi, possibile che i suoi esami stessero andando male? Aveva rifiutato il voto? So che era possibile, mio cugino spesso li rifiutava perché non contento.
"No Gabriel, sono passati già due mesi." Mi disse.
Certo, da quando ci eravamo separati, era dura e lei era andata avanti. "Sono volati."
Lei annuì, si mosse cercando qualcosa sulla scrivania e quando la trovò mi coprì la video camera. Era una foto? Nera? La osservai attentamente, non era una foto, cioè lo era ma era strana, tutta nera con un puntino bianco. Era... spalancai la bocca sorpreso. Otto settimane più una.
"Mi hai detto una volta che con me puoi fare tutto." Disse lei non togliendo quella foto dalla video camera.
Sorrisi, stavo un attimo metabolizzando la notizia. Ma ormai avevo una certezza! Quella frase gliel'avevo detta quando avevo confessato di non avere usato alcuna protezione con lei durante il sesso. Ero... contento? In estasi? Piacevolmente colpito? Quello era un'ecografia e quel punto bianco doveva, per forza di cose, essere mio figlio.
Lo fissavo estasiato, mio figlio. Anzi no! Nostro figlio! Che di lì a poco scomparve mostrandomi il volto corrucciato di Adelaide.
"Ti prego Gabriel, smettila di avere quel sorriso inebetito." Mi riprese.
"Io?!... inebetito!" Le dissi realizzando cosa mi avesse tenuto Adelaide così distante in quei giorni. "Da quanto lo sai!?" Le chiesi felice.
"Settimana scorsa mi è saltato l'ennesimo ciclo... così ho deciso di intervenire, ieri sono stata dal medico." Mi disse per sommi capi.
"E..."
"Otto settimane più una. Sono entrata nel secondo mese, non lo so, sto ancora cercando di abituarmi all'idea. Non lo so Gabriel!" Ammise lei. Era così gracile che mi sciolsi nel vederla così.
"Vorrei poter essere lì con te. A confortarti e festeggiare con te." Le dissi.
Lei sorrise sollevando lo sguardo. "Devi fare lo stage ricordi? Mancano ancora dieci mesi." Mi ricordò.
Troppi a mio parere. "Volo lì, torno a casa da te." Affermai.
Lei incrociò le braccia al petto risoluta. "Assolutamente no! Da questo stage imparerai molto e con molte probabilità lavorerai presso quella filiale." Mi disse riprendendomi.
"Ti ricordi cosa ti dissi quando ne parlammo?" Le chiesi mentre lei annuiva.
"Se si tratta di me si può fare tutto."
"Ti dissi che se fosse accaduta una cosa del genere ti avrei sposata Adelaide. Perché con te potevo tutto." Ci tenni a precisare.
Lei arrossì. "Questo non significa che devi salire sul primo aereo per venire qui."
"No! Eppure vorrei sposarti già, come devo fare? Dimmi un po'." Le dissi osservandola attentamente. Lei sorrise, era un sorriso caldo e confortevole. "Ci vuole tempo no, intanto che seguiamo la procedura." Chiese.
"Sì se facciamo tutto in regola, pubblicazioni e analisi comprese." Le risposi.
"Le mie analisi sono ottime. Accertato ieri." Disse lei orgogliosa. "Ma non possiamo fare le pubblicazioni, così i miei mi trovano." Affermò.
"Heidi se ci sposiamo non è che avranno molto da dire su quello che decidi di fare." Le ricordai.
Lei scrollò la testa. "Un figlio sarebbe la priorità è non è il caso di continuare gli studi." Affermò. "So già che diranno così! I miei, i tuoi..." e tu! Quell'ultima parola rimase in sospeso ma sentivo che era lì.
Scossi la testa. "Tu prenderai questa laurea! Ti ho detto, torno io a Boston." Le ricordai.
"Assolutamente!" Rispose lei risoluta, sembrava rinvigorita in un attimo. La mia decisione doveva averla risvegliata dalla sua accondiscendente apatia del momento. "Il bambino dovrebbe nascere la prima settimana di giugno. Sposto tutti gli esami di maggio a settembre, ti raggiungerò lì per il parto e staremo fin quando non concludi lo stage. Poi..." La seguivo, in un attimo aveva tirato su un programma per il nostro prossimo anno senza che me ne rendessi conto. "Poi torniamo insieme a Boston?" Conclusi.
Lei annuì. "Giusto. Io darò gli esami mancanti a settembre, il piccolo potrà viaggiare e tu avrai fatto il tuo stage." Disse battendo le mani felice. "È un programma perfetto."
"Effettivamente! Però manca ancora il nostro matrimonio." Ci tenni a precisare.
"Lo facciamo lì in Germania." Disse lei.
Sbottai. Forse era il caso di essere sincero. "No! Vengo io prima... Heidi io ho bisogno di vederti, di sentirti!" Ammisi.
Al che lei mi guardò intanto che metabolizzava ciò che avevo appena detto. "Minha vida!" Mi disse dolcemente, cercai di comprenderla ma non conoscevo il portoghese. "Anche tu mi manchi tanto." Ammise.
Le sorrisi, quindi poteva comprendermi. "Per Natale non avrò impegni qui. La società chiude per tre giorni... sarò da te, ci vedremo e avremo sistemato anche le carte burocratiche per il matrimonio." Le dissi.
Lei annuì. "Eddy potrebbe essere il mio testimone?" Chiese
Annuii. "Come London lo sarà per me."
"No!" Asserì lei. "Abbiamo già discusso della mia famiglia, avrà da ridire sui miei studi e anche London li spalleggerà." Affermò
"Adelaide tuo fratello è il mio migliore amico. Lo è molto più di quanto lo sia Eddy per te." Le ricordai.
"Allora si fa senza!" Affermò lei. "Vengo io là da te per Natale, ci sposiamo con i tuoi genitori come testimoni così non offendiamo nessuno e siamo coperti." Concluse.
La osservai, non c'erano versi. Proprio non voleva recuperare con la sua famiglia, non fin quando non avrebbe dimostrato loro che poteva laurearsi e diventare qualcuno sa sola. Ci sarebbe voluto molto più tempo del previsto.
"Va bene Adelaide. Faremo come vuoi tu." Le dissi, anche se sapeva che accettavo a stento la sua decisione. Lei sapeva meglio di me che quando la chiamavo Adelaide ero serio.
"Grazie! Vedrai che sarà bellissimo. Ci sposiamo sul Danubio, sarà romantico." Mi disse intanto che progettava il nostro matrimonio.
Ecco! Quello era il motivo per cui avevo accettato che non ci fosse la sua famiglia, il fatto che comunque mi avrebbe sposato.
"Il Danubio Liebe?" Le chiesi.
Lei annuì. "Quello del valzer, il fiume austriaco! Non sono mai stata in Europa, visto che hai tre giorni festivi potremo andare a Vienna." Continuò trasognata.
Annuii. "È un bel programma. Effettivamente ci spetta anche la luna di miele liebe." Le dissi.
Lei ancora battette le mani eccitata, ero contento che non avesse più quella sua espressione accigliata e preoccupata. Ero contento che fosse tornata la mia Heidi.
"Allora sappi che all'esame ho preso il voto massimo, poi non mi sono dimenticata!" Annunciò allusiva. "Tira via la maglia e alzati voglio vederti per intero." Ammiccò togliendosi la camicia che indossava.
Oh cazzo! Effettivamente adesso che ero più rilassato quello era un diversivo assai piacevole...

Quando avevo detto alla mamma del mio prossimo matrimonio era rimasta al tempo stesso stupita e contenta. Le avevo sentite parlare lei e Pamela di un'eventuale mia crisi con Adelaide, ed era normale quindi quella sua reazione. Titubante aveva però accettato la mia decisione.
Al contrario mio fratello Gellert non fu d'accordo e lo dimostrò apertamente di fronte a tutti al pranzo della domenica.
"Reputo che tu stia cadendo nella sua trappola." Annuncio sfidandomi con lo sguardo.
Io lo fissai sbigottito. "Una trappola?!" Gli dissi puntando i miei occhi scuri in quelli gelidi di lui. "Certo! Sei un buon partito, vuole incastrarti." Disse lui non temendo la mia reazione.
"È la sorella di London e Chester, perché dovrebbe incastrarmi. Perché il nostro non può essere considerato una decisione presa per amore!" Gli dissi risentito.
"Perché questo non è amore! Si è fatta mettere incinta, nulla togliendo a London e Chester. Sai che ho molta stima di entrambi, però poteva non incastrarti in questo modo." Affermò lui tenendo ferma la sua tesi.
"Forse ti manca un piccolo particolare." Gli dissi lasciando le posate, mi era passata la fame. "Io ho messo incinta lei, io non ho usato precauzioni ed io le ho detto chiaramente che doveva prepararsi all'idea di una gravidanza e che l'avrei sposata semmai. Lei sta soccombendo a me!" Gli dissi alzandomi.
Lui fece altrettanto. "Davvero!? Allora perché la sposi qui... torna a Boston e parla con i genitori."
"Lei non vuole che i genitori decidano per lei. È così difficile comprenderlo?" Gli chiesi, come potevo fargli capire che le donne erano molto meno emarginate che lì in Germania a Boston?
"Tu puoi impedirlo." Mi disse lui.
"Io non voglio abbassarmi a richiuderla in una gabbia come hanno fatto i genitori." Affermai quindi. "Senti! Visto che ti è così difficile comprendere prima innamorati, poi mettiti nei miei panni. A Natale io e Adelaide ci sposeremo all'abbazia di Weltenburg, poi andremo in Austria dove traforeremo la luna di miele. Sei invitato ovviamente." Conclusi.
Lui scrollò le spalle grattandosi la nuca. Fece una smorfia poi sospirò. "Perfetto, se la pensi così fa come vuoi. Staremo a vedere se sarai felice o meno." Disse dando le spalle a tutti e lasciando la sala da pranzo.
Crollai sulla sedia osservando nostra madre che sospirò sfiorandomi un braccio. "Cerca di capirlo, sei il suo riferimento. Per lui non sbagli mai e questo per ora lo reputa un errore." Lo giustificò. "Ma si ricrederà Gabriel, dagli tempo."
"Gellert dovrebbe capire che sbagliare è umano, se si sbaglia in nome di un ideale o dell'amore non è mai sbagliato." Concluse lo zio Thaddeus rammaricato.
Tutti la pensavamo effettivamente allo stesso modo, Gellert era troppo rigido, con se stesso e con gli altri. Tendeva a voler essere sempre perfetto, voleva scalare le vette del successo è in ambito lavorativo ci stava quell'ambizione. Ma nella vita reale c'era il bisogno di essere più elastici, altrimenti gli obbiettivi che si era preposto gli avrebbero portato solo infelicità.
"Spero che si ravveda." Conclusi.
Al che Pamela sorrise cambiando argomento. "Visto che Adela resterà qui fino al quattro gennaio potresti prenderti una vacanza, che so portarla a San Pietroburgo anche. È una città romanticissima."
Per quanto Adelaide sarebbe rimasta a lungo ritenevo che i giorni fossero pochi per un vero viaggio di nozze. Però appoggiai la proposta di Pamela cercando di organizzare una luna di miele indimenticabile per Heidi, per quanto avesse scelto lei quel matrimonio volevo fosse qualcosa di perfetto anche se era senza i suoi genitori.

Forse perché sapevo che l'avrei rivista presto, forse perché effettivamente i mesi passarono veloci e novembre era piccolo, forse perché adesso tutto era tornato alla normalità tra noi due. Ma dicembre arrivò subito e con esso anche le feste di Natale erano più vicine.
Mia madre aveva voluto che comprassi un abito apposito per il matrimonio, sicuramente non lo avrei più rimesso, complice una soffiata di mia sorella aveva infatti saputo che Adelaide aveva acquistato un abito per la cerimonia.
"Non devi essere da meno!" Aveva detto la mamma.
Non volevo esserlo ma pensavo che uno dei tanti abiti che erano chiusi nell'armadio andassero bene. Soprattutto perché non avrei mai indossato un frack, ne un papillon, di questo ne ero certo.
I rapporti con Gellert sembrava fossero tornati alla normalità, tra di noi era tornato il solito clima complice. Lui mi consigliava nel lavoro ed io lo spronavo a portare avanti gli ultimi esami prima di iniziare a pensare alla sua laurea.
Lui a differenza mia stava per laurearsi in diritto aziendale, avremo lavorato sempre insieme alla BGC ma in settori diversi. Forse tra i due Gellert era quello che si sarebbe rilassato di più, dal momento che la sua presenza un giorno sarebbe stata richiesta in più filiali. Io rinunciando al mio 'dovere' col nonno, avevo rinunciato anche alla presidenza della società e dovevo ammettere che mi sentivo leggero consapevole di non dover avere tante responsabilità. Ovviamente mi ero preparato per quel passo da quando a quattordici anni ero arrivato a Boston, mi piaceva il mio lavoro e ciò per cui avevo studiato. Mi dispiaceva aver dovuto rinunciare ad un futuro in direzione, ancor di più della poca fiducia che il nonno aveva in me. Ma avevo preso tutto con pazienza e adesso dopo cinque mesi potevo ritenermi tranquillo.
Il mio matrimonio con Heidi era la giusta conclusione ed un augurio per il nuovo anno. Una vita fatta di me e lei insieme. Ovviamente non avevo potuto nascondere la notizia a London, appena lo avevo sentito, dopo l'annuncio della gravidanza, gli avevo rivelato tutto.
Lui rassegnato mi aveva detto che accettava la nostra decisione solo perché almeno Adelaide non era stata così avventata da fare tutto da sola anche in questo caso. Si era complimentato con me e mi aveva anche detto che avrebbe fatto da padrino a nostro figlio, maschio o femmina che fosse.
A metà dicembre finalmente feci il biglietto aereo ad Adelaide, sarebbe partita per la Germania il 20 dicembre. Mentre invece ci saremo sposati il ventitré così da poter passare il Natale in luna di miele.
Quando andai a prenderla all'aeroporto quel giorno, la prima cosa che notai era quanto fosse più bella del solito.
La seconda che, come lei a me, anche io le ero mancato. Lo dimostrava il modo in cui si era lanciata tra le mie braccia e il bacio appassionato che mi diede.
Il suo sorriso era raggiante, la felicità arrivava fino al suoi occhi verdi e luminosi.
"Hai fatto un buon viaggio?" Le avevo chiesto prendendole la borsa.
Lei assentì. "Ho praticamente dormito quasi tutte e dieci le ore." Ammise con una smorfia.
"Questo vuol dire che stanotte non dormirai." Le avevo detto.
"Oh beh! Lo spero..." Mi sussurrò lei con uno sguardo birichino.
Scossi la testa divertito e le stampai un bacio sulle labbra. "Vieni, ti porto a casa. Purtroppo devo tornare in ufficio per via di una riunione." Dissi una volta in auto. Posai la sua valigia nel cofano e poi la raggiunsi.
"Mi aspettavo più valigie questa volta." Le dissi mettendo in moto.
"In realtà ho spedito qualche ricambio quando mi hai fatto avere il biglietto aereo." Rispose appoggiando la testa alla mia spalla.
Le sorrisi, avrei realmente voluto stare con lei quel pomeriggio. Ma avevo una riunione di fine anno e anche il brindisi di auguri per Natale con i colleghi .
"Non preoccuparti, starò con tua madre e Pamela." Mi rassicurò lei.
Al che dopo averla lasciata a casa mi diressi in società, qui ricevetti una notizia che non mi aspettavo. Gellert non c'era!
"È andato via, a Dubai." Mi disse lo zio Taddheus. "C'è stato un'emergenza alla sede che si trova la ed è voluto partire adducendo che era importante per il suo stage."
Fui spiazzato! Il suo stage? Sapeva che mi sposavo e gli avevo chiesto di farmi da testimone e lui mi lasciava?
"È una scusa!" Dissi amareggiato.
"Lo temo anche io. È sempre stato contrario a questo matrimonio, pensavo che lo avesse accettato e invece..." affermò lo zio.
"Ha trovato un modo per farmi comprendere la sua disapprovazione." Dissi con una smorfia. "Anche tu la pensi così?" Gli chiesi, pensando a mio padre e al nonno, anche loro mi sarebbero stati contro, ne ero certo. In fondo Heidi non era una Jenkins.
"Reputo che Adelaide sia una ragazza adorabile ed è chiaro a tutti che vi amate. Hai la mia benedizione se questo può esserti di conforto." Mi rispose lo zio. Al che mi rilassai, quindi lui come papà aveva compreso che nessuno avrebbe mai potuto separarmi da Heidi e ne ero contento.
Mi restò solo questo, la disapprovazione di Gellert venne in secondo piano. Cercai di non far pesare ad Adelaide il fatto che egli non fosse presente al matrimonio. Adesso quella era una situazione che riguardava noi due e nessun altro.
Fortunatamente a casa nessuno parlò di Gellert e della sua assenza, così che Heidi non potette sentirsene in colpa.
Finalmente il ventisei dicembre nella abbazia di sposai la mia Adelaide. Mi aspettavo che indossasse un abito bianco, ma non che si lasciasse fasciare da un abito lungo e che come era prevedibile trasgredisse alle regole. Non era il classico vestito bianco, bensì aveva un corpetto bianco plissettato, con perline blu scuro. Sotto il seno vi era una fascia blu poi scivolava liscio sul ventre lievemente arrotondato, così che le fosse nascosto. L'ampia gonna bianca si apriva larga in uno spacco, sotto il quale compariva una seconda gonna dello stesso blu notte del nastro e delle perline. I capelli erano tirati su ed il trucco era leggero così che la sua naturale bellezza non venisse scalfirà. A coprire le spalle nude infine portava una cappa di pelliccia bianca e per concludere una parure semplice di orecchini e collana. Era praticamente stupenda e mentalmente ringraziai mia madre per avermi fatto acquistare quell'abito, per giunta blu, così da poter richiamare il suo vestito.

La cerimonia procedette tranquilla, tra l'emozione di Adelaide e la mia stessa madre, che lì dal suo posto seguiva passo passo ogni parola è le promesse che feci alla mia sposa

La cerimonia procedette tranquilla, tra l'emozione di Adelaide e la mia stessa madre, che lì dal suo posto seguiva passo passo ogni parola è le promesse che feci alla mia sposa.
Pamela nel suo abito blu era accanto ad Adelaide, in vece di sua damigella e testimone. Mi mancava la presenza di Gellert e ancora di più quella di London. Ma con Heidi avevamo fatto un patto, io non avrei avuto suo fratello come testimone e lei non avrebbe avuto il suo migliore amico Eddy.
Avevamo dovuto accontentarci entrambi, anche se per me ci sarebbe dovuto essere Gellert e non lo zio Taddheus. Anche se forse era meglio così dal momento che lo zio amava sinceramente Adelaide come una figlia. A cerimonia conclusa mia madre sorprendendoci ci portò a cena fuori per festeggiare.
Udivo Heidi dirle che non avrebbero dovuto disturbarsi, che la parure che le aveva regalato bastava e che poteva anche prendere la sua cappa.
"La festa di matrimonio ancora non è finita. Me la renderai prima di partire." Le aveva detto la mamma.
Era quindi sua quella pelliccia? Sorrisi, effettivamente non era da Adelaide Thompson in Keller indossare quel tipo di abbigliamento, anche se avrebbe potuto stupirmi. Avrei dovuto immaginare che era stato un prestito di mia madre.
"È tuo?" Le chiesi curioso.
Al che Pamela intervenne. "Ovvio, avevamo bisogno di qualcosa di vecchio." Affermò. "Con qualcosa di nuovo, di prestato e di blu, una monetine e qualcosa di rosso." Elencò riportando alla luce le tradizioni di buon augurio dei matrimoni.
Osservai mia moglie, cercando di immaginare cosa avesse di rosso in tutto quel contesto. Lei mi sorrise ammiccante quasi stesse immaginando i miei pensieri.
"La parure me l'ha regalata tua madre e mi ha prestato la cappa. Pamela mi ha invece donato un indumento rosso e la monetine che ho nascosto nel corsetto. Il vestito è sia nuovo che blu." Concluse.
Quasi affogai sentendola che diceva avere una moneta tra i seni. Diavolo di una donna, ecco cosa era mia moglie e sant'Iddio! La amavo anche per questo, era imprevedibile e caliente, unica nel suo genere.
"Sei splendida e questo vestito ti rispecchia." Le dissi cercando di immaginare da dove avesse preso i soldi. Guadagnava quindi abbastanza bene da potersi permettere un abito da sposa.
"L'ho comprato come abito da sera, sicuramente se avessi detto vestito da sposa mi avrebbero rifilato almeno qualcosa che costasse il triplo." Ammise lei incurante di aver risposto ai miei pensieri.
Schioccai la lingua cercando di rimanere serio, ma non riuscii avvicinai il volto al suo collo solleticandolo con il respiro e lentamente arrivai al lobo dell'orecchio. "Sono contento che non ti sia costato tanto. Non avrò rimorsi nel caso dovessi strappartelo di dosso." Ammiccai.
Lei mi aveva guardato per poi sorridermi, eravamo ufficialmente sposati, ufficialmente uniti l'uno all'altra e una volta chiusi nella nostra stanza anche ufficialmente liberi di stare di nuovo insieme dopo quasi quattro mesi di separazione.
Trascorremmo così le nostre vacanze di Natale, in luna di miele in Austria.
Restammo sempre insieme fino al nostro rientro il due gennaio. Mi ero preso più di un permesso per stare con lei e godermi ogni attimo del suo tempo con Heidi, una nuova separazione ci aspettava e non sapevo se potevo o meno essere pronto come l'ultima volta.
Il tre sorprendendomi Heidi e mia madre mi chiesero di accompagnarle per degli affari in centro. Quando scoprii che si trattava di un'ospedale ne restai appunto basito, Heidi mi aveva preso la mano in segno di incoraggiamento e mi aveva sorriso.
"Questo è il mio regalo di matrimonio per te. Non vedo l'ora di rivedere nostro figlio." Mi disse dolcemente.
E compresi perché eravamo lì. Una volta all'interno della clinica attesi sempre più titubante ed emozionato. Avrei visto mio figlio, o mia figlia, per la prima volta. Avrei avuto modo di vivere almeno una volta quell'esperienza ed effettivamente Heidi stava facendomi un grande regalo dal momento che l'indomani sarebbe partita.
Fu così che vidi per la prima volta nostro figlio, Heidi non sembrava stupita nello scoprire che fosse un maschio, forse lo aveva già scoperto nelle precedenti ecografie, o forse, come disse poi in auto era vero che sentiva fosse un maschietto dall'inizio della gravidanza. Io ero febbricitante dall'emozione e sinceramente il giorno dopo ero riluttante a lasciarla andare. Volevo partire anche io, tornare a casa e godermi mia moglie, la sua gravidanza e la nostra vita.
"Mi mancherai!" Mi aveva detto lei. Ero contento che fosse stato lei a dirlo.
Io stesso provavo la stessa angoscia, ma temevo di risultare troppo debole a rivelarmi. "Passeranno presto questi mesi no?" Le dissi infatti. "Ti telefonerò tutti i giorni e ci vedremo su Skype sempre. Poi una volta che ci saremo ritrovati non ci separeremo più, torno a Boston con te." La rassicurai. Non volevo restare in Germania, volevo essere ovunque sarebbe stata anche lei.
Heidi mi sorrise e mi baciò. "Ti aggiornerò ogni giorno e cercherò di dare quanti più esami possibili per non restare indietro. Prima farò e prima potrò raggiungerti." Mi disse abbracciandomi.
Facemmo l'amore per tutta la notte. Al mattino la portai in aeroporto e ancora la baciai fino a quando non fummo costretti a separarci.
Non avevamo parlato delle due rette scolastiche, poiché spesso durante quei giorni mi aveva parlato dei suoi allievi e del suo lavoro. Segno che non voleva lasciarlo.
Avevo compreso che quella libertà da ella acquisita, fosse molto più importante di ciò che sembrava. Non era stato una ribellione verso la sua famiglia e quella era più che altra una sua crescita. Aveva bisogno di imparare ad essere indipendente ed io glielo avrei permesso. Per questo non le avevo detto che volevo pagarle la retta scolastica, fin quando mi permetteva di comprarle il biglietto aereo per Monaco o che tenesse il cellulare che io le avevo fatto prendere, almeno per il momento mi andava bene così.

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Piccola precisazione per chi non lo ricorda. I capitoli sono così veloci a livello temporale poiché la serie di svolge nell'arco di più anni.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


< COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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ADELAIDE
Inverno/primavera 2013

 

Il rientro a Boston era stato difficile questa volta. Io e Gabriel avevamo vissuto quei giorni come in una favola e sapevo che ogni volta che ci fosse stato un distacco sarebbe stato peggio. 

Una volta a Monaco, prima che ci sposassimo, avevo costretto Gabriel a firmare un accordo prematrimoniale con tanto di separazione dei beni. Questo era stato fatto perché volevo fargli capire che nonostante accettavo di sposarlo, non volevo che mi aiutasse economicamente. Così avevo stilato io personalmente il contratto prematrimoniale, con i complimenti di Taddheus. Ovviamente convincere Gabriel era stato arduo, eppure alla fine avevo vinto io. 

Ero orgogliosa del mio lavoro, il contratto era stata la mia prima pratica ufficiale. 

Una volta rientrata a casa avevo preso la mia vita in mano e schiena dritta avevo ricominciato la mia solita routine.  Avevo inoltre scritto una lunga lettera a mia madre, dove le spiegavo che stavo bene e che la mia vita procedeva bene. Le avevo raccontato anche di avere una persona importante al mio fianco, talmente tanto importante da legarmi a lui indissolubilmente. Ovviamente evitai di scriverle che ero sposata e incinta, pensavo quelle non dovessero essere cose scritte, ma dette di persona. Non mi arrivarono risposte alla lettera, anche perché avevo inviato la missiva senza mittente e da un ufficio lontano dal centro di Cambridge.  

Con Eddy avevamo deciso che per il momento le feste erano precluse, proprio per non danneggiare la gravidanza ed evitare che mi stancassi. Addirittura Eddy mi aveva detto che voleva parlare con suo padre e vedere se potevo iniziare a lavorare nel suo studio.

"Così eviterai di fare tanti lavori." Mi aveva detto. 

Ma io non mi stancavo a dare ripetizioni, anzi mi piaceva aiutare chi aveva bisogno. 

"Almeno non farai da baby sitter." Mi aveva detto Eddy preoccupato. "Inoltre se riuscirò ad inserirti nello studio legale potresti iniziare già a fare gavetta, con molti più anni di anticipo." 

Sotto questo punto di vista aveva ragione lui, lavorare in presso uno studio legale sarebbe stato un inizio molto anticipato della gavetta. "Se mi inserisci in qualche studio legale lascerò il lavoro da baby sitter." Gli avevo detto.

Lui aveva assentito e mi aveva così spiegato che sarebbe stato facile. Era figlio di due avvocati e la famiglia paterna apparteneva proprio a una dinastia di avvocati. 

"Una dinastia di avvocati?" Gli avevo chiesto sorpresa quando me lo aveva detto. 

"Mai sentito parlare di Williams & Murphy?" Mi aveva chiesto.

Lo avevo fissata basita! "Cioè tu stai parlando di quei Williams & Murphy? Ti prego, non dirmi che sei il figlio di Amanda Murphy, lei per me è un mito, il mio idolo, sogno di diventare come lei un giorno." Avevo affermato eccitata. 

"Avrei dovuto giurarci che sei una fan della zia Amanda, vuoi diventare un avvocato penale come lei?" 

Avevo scosso la testa. "Sai, non lo so! Se mi indirizzo al penale potrei aiutare i più deboli, ma temo che inserirmi sarà difficile." Gli avevo detto. "Quindi è tua zia. Tua madre anche lavora come legale?" Avevo chiesto. 

"Mamma è ricercatrice, anche se è comunque laureata in legge, a volte segue anche qualche causa, ma a tempo perso." Mi aveva spiegato. "Per il resto nonni e zii sono quasi tutti uomini, alcune cugine come mamma sono ricercatrici o segretarie." 

Avevo fatto una smorfia, come prevedibile le donne erano poche. Però Amanda Murphy era diventata un mito a livello giuridico e legale sia dentro che fuori le mura di Boston. Era un simbolo, un obbiettivo da raggiungere. Sentendo che Eddy apparteneva a quella famiglia riuscii a comprenderlo anche un po' di più, nonostante non gli piacesse molto studiare legge lo faceva per dovere nei confronti della sua famiglia. Tutti lavoravano nel campo e lui non doveva essere da meno. Probabilmente doveva solo trovare la sua strada, una volta laureato poteva scegliere comunque che specializzazione prendere. Al limite diventare avvocato civile anziché penale. Lo avrei aiutato a capire cosa gli piaceva, stop. 

Febbraio mi accolse carico di sorprese, Eddy aveva parlato con i suoi e insieme avevamo iniziato un periodo di lavoro nello studio. Lui avrebbe lavorato accanto al padre, mentre io sarei stata una delle segretarie generali, in realtà dovevo solo prendere le telefonate e poi girarle alle assistenti degli avvocati, smistare la posta, posare i libri e ordinare gli schedari con i casi chiusi all'occorrenza. 

Avevo un fisso mensile, che era veramente poca cosa in confronto ai guadagni di quando ero baby sitter. Ma la pancia cresceva e stare dietro a due bambini iniziava a risultarmi pesante, inoltre lavorare nello studio William & Murphy mi avrebbe dato un'idea si come funzionasse un ufficio legale. Era per me l'occasione di poter capire se quello era ciò che desideravo fare o meno della mia vita. 

Non conobbi Amanda Murphy, ma ebbi modo di conoscere Jason e Toska William, i genitori di Eddy. 

Erano due tipi alla mano e realmente deliziosi, tanto che mi chiesi perché Eddy non facesse coming out con loro. Ero sicura che non lo avrebbero abbandonato e approvato i suoi sentimenti. 

Con me erano molto gentili, non facevano molte domande per la mia gravidanza. Ovviamente la fede e l'anello di fidanzamento che Gabriel aveva voluto assolutamente donarmi, testimoniavano che non ero una sprovveduta. Addirittura Jason notando la mia passione spesso mi faceva partecipare alle sue riunioni, informandomi delle pratiche di cui si occupava e di come il suo lavoro fosse più impegnativo di ciò che potesse pensare la gente. Mi accorsi subito che non si occupava né di diritto civile ne del penale. Fu lo stesso Jason a confermarmelo quando notai la cosa.

"Mi occupo di diritto aziendale. Il nostro ufficio lavora su commissione per alcune aziende importanti. Inoltre seguiamo in esclusiva l'azienda dei genitori di Toska, che ha parecchie filiali." Mi aveva detto. 

Ero sorpresa del tipo di lavoro che facesse, curiosa ogni qual volta potevo facevo delle domande in merito a Jason. Più il tempo passava e più lui mi permetteva di seguirlo nel suo lavoro come assistente e porta borsa. 

Senza rendermene conto ad aprile avevo in pratica preso il posto di Eddy al fianco di suo padre. 

Il mio amico non ne sembrava dispiaciuto, anzi quasi era sollevato che il padre avesse preso me e non lui sotto la sua ala protettrice.  

"Laureati in fretta tesoro, così mio padre avrà un ottimo elemento nel suo staff di avvocati e potrei non essere obbligato a seguire le sue orme." Mi aveva detto durante una sessione di ricerca per suo zio Paul, avvocato divorzista e fratello minore di Jason. 

"Ma cosa dici? Stai prendendomi in giro." Gli risposi dandogli una spinta. 

"No! Te lo assicuro, papà ha uno staff di avvocati annoverati nel suo team e ovviamente vorrebbe che anche io ne facessi parte." Spiegò Eddy.

Lèssi distrattamente ciò che avevano fatto durante una causa precedente e lo annotai. 

"Ammetto che è una bella branchia della legge. Poi nonostante sia civile non è monotona." Dissi evidenziando un punto e scrivendo da quale causa era stato preso. Dopodiché alzai lo sguardo sul mio amico. "Come faceva tuo padre a sapere che questo era ciò che voleva?" Chiesi, perché io non lo sapevo ancora.

"Non lo sapeva." Intervenne la voce di Toska che giunse in quel momento a prendere i nostri appunti. Guardò ora me, ora Eddy sorridendogli. Conoscevo quel sorriso anche se non ricordavo dove lo avessi già visto. 

"Lo scoprì quando gli chiesi di aiutare mio padre con la sua azienda. Il suo team di avvocati non riusciva a risolvere un cavillo ed allora feci intervenire lui, gli piacque e da lì iniziò a lavorare nel settore." Raccontò la donna dai capelli castani sedendosi con eleganza accanto al figlio. "All'inizio è stata dura per lui, poiché era giovane e le aziende hanno tutti i propri avvocati. Jason giustamente aveva il suo ruolo qui, il padre non voleva lasciasse lo studio per andare incontro all'ignoto. Poi però il suo lavoro ha dato i frutti, gli avvocati che sono nell'azienda di papà alla fine sono i suoi, li istruisce e li inserisce così riesce a seguire la società e anche lo studio associato." Concluse Toska. Percepivo dalle sue parole come fosse orgogliosa e ancora innamorata di suo marito dopo tutti quegli anni. "Sai!, sta cercando dei giovani avvocati da inserire nel suo staff." La buttò lì facendomi tornare alla realtà. 

La fissai. Perché me lo diceva? Ero al primo anno di legge e per me ci sarebbe voluto ancora tempo prima di laurearmi e prendere delle decisioni importanti. 

"Potresti andare da lui, tra mezz'ora si collegherà con una holding giapponese con cui la Bradford inc è in trattative. Vedi come si muove visto che è a casa e prima che vada a Kyoto ci vorrà tempo." Disse Eddy spalleggiando la madre.

"Non posso, dobbiamo fare questa ricerca per tuo zio Paul e non sono stata invitata." Ammisi leggermente dispiaciuta per non poter seguire Jason. 

"Lascia la ricerca." Mi disse Toska. "Non sei fatta per questo anche se ti impegni molto." Continuò raggiungendo il figlio. "Ci penseremo io e Eddy a queste ricerche, ti ho invitata io a seguire Jason, adesso vai." 

Eccitata annuii e ringraziai Toska. Il diritto aziendale! Poteva essere quello il mio destino, mi piaceva, eccome. Poi mi avrebbe dato l'occasione anche di poter viaggiare. Anche se forse non era fattibile come lavoro.

Stavo per partorire e avrei avuto un bambino di cui occuparmi in futuro. 

Per ora era giusto quindi non correre. Lavorare e studiare, prendendomi i miei tempi e dedicandomi al presente.

Anche se senza volerlo venivo presa e assorbita da Jason e dal suo lavoro. Era come se vivessi tre vite parallele, la prima ruotava intorno a Gabriel e i nostri incontri notturni tramite Skype, durante la giornata non mancavano però messaggi e telefonate lampo anche solo per sentirci. Poi c'era l'università, gli esami, i primi per me, e infine lo studio associato.

Ero arrivata a fine marzo che nonostante avessi lavorato tanto, mi sentivo felice e appagata, stanca nei limiti. 

Gabe era contento che ormai avessi archiviato il lavoro da baby sitter e anzi era contento che avessi trovato un lavoro in uno studio associato. 

Una volta mi aveva anche detto che se avrei valutato un lavoro aziendale potevo farlo. 

"A maggio tornerò." Mi aveva detto. "Vedremo come si porta la nostra vita familiare e andremo a trovare i tuoi."

Su questo Gabriel infatti era irremovibile. Fintanto non si trovava a Boston a lui andava bene che mi 'nascondessi' da mio padre. Ma una volta a casa voleva che lo affrontassimo, soprattutto per il mio bene, diceva.

"Una volta che gli diremo che ci siamo sposati e che a me va benissimo che tu studi, non potrà ribattere." Aveva detto sicuro. "Non vuoi rivedere tua sorella?  Ti ricordo che  London mi ha detto che si è sposata." 

E io non c'ero stata, poiché mia sorella aveva deciso di anticipare le nozze. Avevo tenuto in conto che non ci sarei stata al matrimonio di mia sorella, come Brooklyn e tutti gli altri non erano stati al mio. Probabilmente però era meglio che fosse andata così. Il matrimonio di Brooklyn con Jonathan Jenkin si era tenuto a febbraio, un mese prima delle elezioni. Tutta propaganda politica in favore del padre che sicuramente sarebbe diventato senatore del Massachusetts. Avevo accolto la notizia con tristezza, Jonathan, adesso lo sapevo, non aveva mai guardato Brooklyn come invece Gabriel faceva con me. 

Al contrario lui aveva sempre tenuto gli occhi scuri bassi. 

Non potevo però esprimere la mia opinione. Chi ero io per intromettermi nelle scelte di mia sorella, quando non avrei voluto che lo facessero per me?

"Si andiamo. Porteremo un bel regalo a Brooke." Avevo capitolato ancora con Gabriel. 

Indubbiamente mio marito sapeva farmi rinsavire e senza litigare. Parlavamo, mi spiegava il suo punto di vista e perché portava avanti le sue tesi e ponderando le sue parole capivo che effettivamente c'era qualcosa che non andava. Proprio come quella sera, eravamo su Skype e lo avevo appena informato del mio ultimo esame. 

"Pensavo di fare un salto a Boston per il parto. Prendere le ferie a fine maggio, anziché far venire a te qui." Disse.

Sinceramente sentendo quella proposta da un lato di sentii sollevata, dall'altro delusa. Sollevata perché un viaggio di dieci ore con quel pancione non sapevo se riuscivo a reggerlo, delusa perché avrei voluto rivedere Pamela, Inga e Taddheus. 

"Avevamo un programma." Dissi non riuscendo a mascherare la mia sorpresa.

"Si li conosco i tuoi programmi." Mi disse Gabriel sorridendomi. "Come so che tieni molto alla tua famiglia." Concluse.

Io lo guardai stupita. "Ti ho detto come prenderebbero la cosa e..."

"Adelaide!" Mi interruppe Gabriel. Quando faceva sul serio come sempre non c'erano filtri. Io invece ero in quel periodo ella mia vita per cui avrei pianto per qualsiasi cosa, anche per sentito nominare la mia famiglia.

"Cosa?" Chiesi a mio marito.

"Tu ci tieni alla tua famiglia." Mi disse. "Come so che mia madre non sarà la stessa cosa di tua madre nel momento in cui partorirai.  Ovvio mamma ti vuole bene, ma non può essere lei il tuo sostegno in questo momento." 

Mi tremava il cuore alle sue parole. Come faceva a sapere come mi sentivo? Come faceva a sapere che ogni mese la mamma mi mancava sempre di più? Ad ogni visita, ogni ecografia e ogni colpetto al ventre di mio figlio era una stretta al cuore, sia perché Gabriel non c'era, sia perché mamma e Brooklyn non c'erano.

"Come faccio a presentarmi a loro col pancione Gabriel?" Chiesi ormai giunta al limite.

"Non c'è bisogno che ti chieda come fare, davvero pensi che loro ti abbiano dimenticata?"  Mi chiese dolcemente fissandomi serio.

"Lo hai detto a London, lui lo avrà detto a loro?" Chiesi non tanto sorpresa, soprattutto perché la mia era più una conferma che una domanda.

Lui infatti annuì. "A febbraio London mi ha raggiunto a Monaco ti ricordi?" Mi chiese. Certo che mi ricordavo, era stato il periodo in cui mi chiamava a telefono evitando Skype, dicendomi appunto che London era da lui.

"Bene, in quell'occasione mi disse che avevano scoperto dove ti eri iscritta e che volevano pagarti l'università." Restai basita a quella rivelazione. Possibile che i miei fossero rinsaviti. 

"Quindi sai dove mi trovo, lo sanno anche loro." Affermai delusa.

"No, non lo so. Ho detto a London che avevo fiducia in te e che anche loro dovevano averne. Infatti sono riuscito a convincerlo a non pagarti le rate universitarie poiché sapevo quanto tu ci tenessi." Ammise Gabriel. "Ti ricordi quando ti ho detto che non ho potuto nascondere a tuo fratello che avrei potuto pagarti io la retta in quanto tuo marito. Quando mi ha chiesto spiegazioni gli ho detto che stavo per diventare padre, quindi sicuramente i tuoi sanno tutto."

Ero basita! Sapevo che London e Gabriel avevano un rapporto di profonda stima e Gabe mi aveva anche sempre aggiornato di tutte le volte che aveva parlato di me con mio fratello maggiore. London cercava di tenersi informato tramite lui, sapevo che Gabriel gli aveva rivelato tutto. Ma i miei genitori? 

"Wow! Non so Gabe sai!? Ho scritto alla mamma e non mi ha mandato una risposta. Se sapevano dove sono potevano venire qui." Sussurrai mentre la mia mente rimuginava.

"Probabilmente sono arrabbiati perché non gli hai detto del bambino o del matrimonio. Ricordi? London, non l'ha presa subito bene quando gli ho detto la verità. Ha dovuto darmi prima un paio di cazzotti però poi sembra aver accettato la cosa."

Risi ricordando la sera in cui Gabe mi aveva raccontato dell'incontro con mio fratello. 

Forse se London non lo avesse raggiunto a Monaco, Gabriel sarebbe anche riuscito a mantenere il segreto. Ma faccia a faccia con mio fratello deve essere stata difficile per lui. 

"Domani telefono a casa. Così scopro cosa sa mia madre." Affermai.

"Restiamo che partoriamo lì a Boston." Affermò lui.

"Partoriamo?" Chiesi scherzando. "Il grosso lo farò io, però accetto il tuo sostegno." Scherzo cercando di mascherare il timore che aumentava col diminuire del tempo che mancava al parto. 

"Sarò il tuo sostegno sempre Heidi, non vedo l'ora di poter rientrare ed essere con te." Mi disse lui dolcemente. "Il piccolo si muove?" 

Sorrisi carezzando il ventre. "Da quando ha iniziato a farsi sentire ormai è una piacevole abitudine. Vorrei tanto che potessi sentirlo." 

"Arriverò abbastanza in tempo da sentirlo scalciare e anche per fare qualche corso preparato." Affermò lui. 

"Dovrei iniziare credo, vedrò cosa mi dice il ginecologo alla prossima visita." Afffermai. Fortunatamente grazie ai miei genitori avevo l'assistenza sanitaria e Gabe aveva insistito per pagare lui stesso un medico privato, quindi ero serena. Le visite mediche però mi ricordavano che presto sarebbe giunta la fine.

"Dobbiamo iniziare a pensare al bambino, la sua cameretta, la culla... tra un po' sarai di sette mesi." Espletò Gabriel dando voce ai miei pensieri. 

Cercai di sorvolare. "Vivo in un dormitorio per ora. Non posso pensare a queste cose." 

"Io avrei un appartamento affittato nella contea di Cambridge." Mi disse Gabriel stupendomi. Aveva un appartamento proprio dove si trovava la mia università?  "Hai... non ci credo! Hai un appartamento?" Gli chiesi.

"Affittato sempre!" Disse lui con un sorriso malizioso. "Dopo la fine dell'università ho mantenuto il contratto per la specializzazione che dovrei prendere da ottobre. Visto che non hai i corsi in estate potremo iniziare da lì, tanto anche London non ci mette più piede da quando è laureato e tuo fratello Chester tornerebbe in autunno." Mi spiegò. "Cosa ne pensi?" 

"Anche Chester vive lì? È un appartamento grande." 

"Non molto grande. Ma è comodo, soprattutto quando si fa tardi tra una festa e un'uscita tra gli amici. Lo prendemmo in una posizione comoda io e London prendendo in considerazione che Chester si era iscrivo al MIT."

Annuii. "Quindi si trova tre le due università?" Feci una smorfia offesa. "Quante ragazze ci hai portato?" 

Gabriel mi guardò terrorizzato. Volevo scherzare ma lo avevo messo in imbarazzo. "No comment. E comunque mai tante quante quelle di London, Chester invece sai benissimo non tradirebbe mai Thea." Si confessò.

Thea era la fidanzata storica di Chester, ero sicura che lui avesse tendenze sessuali diverse. Ma non potevo avere voce in capitolo se lui si rifiutava a riconoscere la realtà e stare con Thea. Mentre sapevo che London era uno scapestrato in fatto di ragazze. Per questo crederti a Gabriel subito. "E ragazzi ci venivano nell'appartamento." 

"Adelaide!" Mi ammonì Gabriel. Aveva capito dove volevo andare a parare.

"Va sempre tutto bene tra Chester e Thea?" Chiesi. 

"Sì! Hanno fissato una data, sai?" Affermò Gabriel. 

"Tutti che si sposano." Sbuffai, perché mio fratello non apriva gli occhi.

"E noi siamo stati i primi. Adesso ti lascio liebe, si è fatto tardi lì da te e voglio che riposi." 

Sorrisi. Il tempo quando eravamo in contatto subito voltava. "Hai ragione, è tardissimo. Buonanotte amore."

"Buonanotte amore mio. A domani." E così dicendo ci eravamo salutati e avevamo chiuso la chiamata.

Fui agitata tutta la notte, non seppi dire se dipendeva dal sonno irrequieto per via del pancione o dalla video chiamata con Gabriel.

Restai agitata per tutta la mattina durante le lezioni, nonché nel pomeriggio allo studio legale. Alle diciassette quando uscimmo dallo studio Murphy e Williams, Eddy preoccupato per me mi affrontò.

"Non saresti dovuta venire a lavoro, potevi restare al dormitorio e studiare per domani." Affermò.

Studiare? Ah giusto, avevo l'esame il giorno dopo, era il quarto che sostenevo da quando mi ero iscritta, fortunatamente ero preparata per quello del giorno dopo poiché era l'esame di lingue straniere. Però aveva ragione Eddy ero agitata e non andava bene che mi portassi dietro questo stato in vista dell'esame. Volevo passare tutti e sei gli esami annuali e per farlo dovevo essere concentrata. 

"Ho studiato. Sono preparata...è la gravidanza, ormai la pancia si nasconde poco dietro le maglie extra-large, segno che sto arrivando a termine."  Raccontai.

"Già è vero." Ammise lui sorridendomi. "Tra un po' inizierai i corsi preparto. Ci sarà il tuo Gabe per allora? Forse vorresti..."

Non gli lasciai finire la frase. Sapevo che se lo avessi chiesto Eddy avrebbe accettato di venti con me. Ma sentivo che i corsi e tutto il resto fosse qualcosa di troppo intimo da dividere con Eddy. Lui non era il padre del bambino e avere vicino il mio amico al posto di Gabriel mi avrebbe solo demoralizzata. Per questo alle visite di controllo andavo da sola. Era una cosa mia, mia e di Gabriel, o mia e della mamma.

Sussultai! Eccola la verità, ero irrequieta perché, come mi aveva ricordato Gabriel la sera prima, mi mancava mamma. In un momento così importante della mia vita e della mia crescita, quella della mamma era la presenza di cui più sentivo la mancanza. 

"In realtà volevo chiederlo a mia madre o mia sorella." Ammisi. 

"Ah si! Mi avevi detto che tua sorella doveva sposarsi e che tua madre era impegnata con i preparativi del matrimonio." Affermò Eddy a chi non avevo detto della mia fuga da casa. Ero sempre evasiva, lui era a conoscenza del fatto che avessi una famiglia numerosa e che per me mantenermi da sola all'università era una sfida personale. Eddy non sapeva che venivo da un ambiente benestante e non sapeva che ero scappata di casa, non gli avevo detto di essere la moglie di Simon Thomson, uomo d'affari noto nell'ambiente bostoniano. No, lui sapeva che i miei genitori oltre me avevano altri impegni per questo non andavo a trovarli spesso. 

"Mia sorella si è sposata infatti, adesso la mamma è libera e anche Brooke dovrebbe rientrare dalla luna di miele." Ammisi. 

"Allora faccio un passo indietro Adela." Mi disse Eddy contento intanto che eravamo arrivati ai dormitori universitari. 

Mi guardai intorno, chissà dove si trovava la casa di Gabriel, Logan e Chester. 

"Grazie di tutto Eddy. Senza di te e la tua amicizia sarei persa."

Lui sorrise. "Hai anche Carol. Anche se ammetto che non è alla mia altezza." Disse con un sorriso divertito. 

Risi anche io. "Non prenderla in giro." Gli disse dandogli un buffetto sulla spalla. "Ci vediamo domani Ed. Mi raccomando buona serata e divertiti al tuo appuntamento al buio." 

Lui annuì. Attese che io entrassi nello stabile e chiudessi il portone poi mi diede le spalle e andò via.

Io salii lentamente le scale verso la mia stanza. Carol non c'era, ero sola e sapevo cosa dovevo fare. Presi il cellulare fissando il display. Non c'era bisogno di cercare in rubrica il numero di casa, lo conoscevo a memoria. Così con dita tremanti lo composi. 

Al terzo squillo qualcuno rispose.

"Pronto, casa Thompson." Era la mamma. La voce di Manila non era cambiata in quei lunghi mesi. Mi coprii la bocca per abortire un singhiozzo che stava pervadendo mi. "Pronto?" 

Continuava a chiedere mamma.

Io ero inerme, tremavo e non sapevo cosa dire. "Adelaide sei tu?" Chiese ancora la mamma. E restai stupita, iniziai a chiedere piangere senza una ragione, mamma sapeva che ero io nonostante non stessi parlando. 

"Tesoro stai bene? Adelaide... il bambino sta bene? State bene Adela?" Chiese ancora mamma preoccupata.

Mi riscossi! La stavo facendo preoccupare. "S-si!" Sussurrai. 

"Oh Adela! Bambina mia, grazie al cielo." 

Presi a piangere, senza vergogna. Piangevo e chiamavo la mamma, che dall'altro lato mi rispondeva e percepii anche lei piangeva. 

"Mamma... oh mamma! Io..."

"Va tutto bene tesoro. Va tutto bene!" Mi consolava.

"Mi manchi tanto mamma. Mamma..." Sussurravo.

"Adela anche tu... tesoro se vuoi vengo da te. Ti raggiungo." Mi disse implorante.

Mi raggiungeva?! In un attimo mi riscossi. "N-no! No, meglio di no." Le dissi, riuscii a percepire il suo respiro lento, la delusione. "Domani ho un esame e non avrei tempo." Mi giustificai. "Dopodomani, alle undici, puoi?" Le chiesi.

"Oh si! Certo che posso. Dimmi dove, ci sarò tutto il giorno." Mi rispose lei con un sospiro di sollievo.

"Dalla dottoressa Pontes." Le dissi. In fondo era stata lei a presentarci la dottoressa quando sia io che le mie sorelle abbiamo avuto il primo ciclo. 

"Dalla Pontes? Hai appuntamento con lei questa settimana." Affermò mia madre come se ne fosse a conoscenza. "Certo che ci sarò... ne sarò fiera e felice Adela."

"Mamma..." Sussurrai.

"Adelaide." 

"Perdonami... mamma perdonami se ti ho delusa."

Ci fu un attimo di silenzio, poi la mamma parlò. "Non devi dirlo neanche Adelaide, siamo noi a doverti delle scuse. Avremo dovuto lasciarti andare e non farti scappare, soprattutto perché sapevamo che tu e Gabriel eravate innamorati."

"Oh!" Esclamai sorpresa.

"Ma va bene così. Ci rifaremo, tu adesso però sta serena, pensa al tuo esame e dai il massimo. Noi ci vediamo da Teresa Pontes."

"Do sempre il massimo mamma. Mi sono prefissata di dare tutti e sei gli esami e lo farò." Le dissi decisa. 

"Non vedo l'ora che tu mi racconta tutto tesoro. A presto." Mi disse salutandomi.

Staccai la telefonata e col cuore più leggero finalmente mi rilassai sul mio letto. Fissai l'orologio, era ancora presto per chiamare Gabriel, così decisi di alzarmi e studiare per l'esame.

Quella sera raccontai a mio marito della telefonata, dopodiché andai a dormire.

Il giorno dopo all'esame diedi il massimo e presi anche il massimo dei voti, che accettai con piacere. 

Adesso non mi restavano altro che gli ultimi esami del corso, uno si sarebbe tenuto a metà maggio e l'altro a fine giugno. Così avrei raggiunto gli obbiettivi che mi ero preposta. 

Il giorno dopo alle undici di mattina ero già a Boston. 

Avevo indossato un leggings premaman con una camicia, così da non apparire rozza agli occhi della mamma. I capelli erano tirati su e invece delle lenti a contatto portavo i miei cari vecchi occhiali a rettangolo senza montatura. 

Mi diressi al bar di fronte lo stabile che ospitava lo studio della Pontes, così da aspettare l'attesa e quando entrai sorprendendomi notai che mia madre era già lì. Mi fermai sulla soglia a fissarla. Seduta ad un tavolo aveva le mani intrecciate, anche se il continuo ticchettare sui pollici e lo sguardo perso lasciavano intendere il suo nervosismo. 

Sul tavolino, a testimonianza che era lì da molto, c'erano un piattino con dei biscotti mangiucchiarti ed una tazza da te non sapevo se era piena ma probabilmente l'aveva presa giusto per consumare. Decisi di avvicinarmi al suo tavolo che con colpetto di tosse rivelai la mia presenza."Disturbo?" le dissi in un sussurro.

Mamma alzò la testa e mi guardò, sembrava invecchiata le rughe attorno ai suoi occhi ero più accentuate e speravo di non essere io la causa di questo sua nuova espressione. Speravo di riuscire a riparare al male che avevo fatto. Appena  mi riconobbe i suoi occhi si sgranarono, poi alzandosi mi abbracciò. Era mia madre! Il suo calore lo avrei sempre riconosciuto, anche in mezzo a 1000 persone. Mi strinse nel suo abbraccio e lasciai che le lacrime uscissero, perché si piangevo. Perché  si,  mi era mancata e anche a lei ero mancata; adesso che aspettavo un bambino capivo molto di più le sue emozioni e le sue sensazioni.

Restammo così strette per un po' , dopodiché mia madre si fissandomi. Mi accarezzò il volto, le spalle fino a scendere sul ventre che toccò con amore. "Mia piccola Adelaide eri una fonte di sorpresa quando eri bambina sì e continui ad esserlo ancora oggi. Sei diventata una donna molto coraggiosa e forte, non ti lascia battere da niente e nessuno. Io sono orgogliosa di tutto il tuo percorso, della tua ammissione in una delle migliori università del paese. Sono orgogliosa di quello che stai facendo da sola. Gabriel ha insistito affinché ti lasciassimo fare e devo riconoscere che aveva ragione sei cresciuta si vede. Ma resterai sempre la mia bambina, anche stai per avere un bambino. Io e tuo padre siamo orgogliosi di te tanto e non vediamo l'ora di riaverti a casa e conoscere il tuo bambino."

Mi disse concludendo il suo discorso. Le sue mani stringevano le mie, le fissavo unite.

"Lo so che papà si è arrabbiato. Sono sicura che sarà difficile con lui. Sai... mi sono sposata." 

Mia madre sorrise. Lasciò venti dollari sul bancone e prendendomi a braccetto mi portò fuori dal bar. 

"No! Si è arrabbiato solo quando ha saputo che eri andata in Germania." Affermò. "Gabriel avrebbe dovuto chiedermi la sua mano al suo sedicesimo compleanno." Lo imitò mamma.

Io risi divertita. "Ma no! Non è così..." mi lamentai.

Mamma scosse la testa. "Ingenua! Lo sapevamo tutti." 

Annuii. "Sì! Adesso lo so anche io. Ed è così bello! Dare voce a ciò che ho dentro, con Gabriel è tutto così facile."  Ammisi di fronte lo studio medico.

Prima di entrare mia madre mi fermò. Poggiò le sue mani delicate sulle mie spalle e con la sua solita eleganza riuscì ad avere la mia attenzione.

"So che vuoi fare da sola, lo comprendo." Mi disse ed io assentii. "Ma presto avrai un bambino e lavorare sarà dura. So che Gabriel rientrerà, entrambi però sarete impegnati con i corsi universitari. Ti prego lascia a noi la possibilità di pagare i prossimi corsi universitari. Lascia che vi aiutiamo col bambino una volta che ne avrete bisogno."

"Io!" Sussurrai. "Lavorare mi piace mamma, è un lavoro in uno studio legale, non sono stagista ma mi consente di conoscere l'ambiente." Le spiegai. "London ha detto che facevi più di un lavoro." Mi disse mamma. "Ripeto, comprendo che vuoi fare da sola. Ti ricordo che io e tuo padre abbiamo voluto costruire da soli la nostra famiglia. Però quando ci siamo trovati in difficoltà non abbiamo rifiutato l'aiuto dei nonni." Disse mia madre.

Annuii. "Facevo la baby sitter, da quando ho iniziato a lavorare alla William & Murphy però ho lasciato. Do solo lezioni di doposcuola adesso." Le spiegai. 

Mia madre annuì. "Tu prendi in considerazione che hai noi per l'università. Tuo padre ha fatto arrivare la cosa anche a Gabriel, ma andiamo adesso, non vedo l'ora di conoscere mio nipote."

Io tirai un sospiro, la seguii e osservai la schiena di mia madre. "Lo chiameremo Adam." Le dissi rivelandole che era un maschio. 

Mamma mi sorrise. Sapeva anche quello....

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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GABRIEL 

GABRIEL

L'ultimo mese a Monaco era stata una costante ascesa a livello produttivo. Mi ero inserito bene nella KCG di Monaco, in quel lungo periodo avevo avuto modo di fare un approfondita conoscenza con il presidente di sede e socio della KCG Germany, Sigmund Zimmer. Nonché con i suoi due figli, Hans e Rubén Zimmer, avevo conosciuto anche Gustav Meyer, figlio del cugino di mamma. Entrambi erano figli dei consulenti anziani delle KCG tedesche. Tutti e tre come me erano interessati a continuare a seguire gli affari della società e la cosa mi faceva piacere poiché avevamo parecchi punti di vista in comune. Sigmund era coetaneo di mio padre, questo faceva presagire che quando sarebbe andato in pensione, Rubén il maggiore sarebbe diventato co-presidente della sede tedesca. Con Rubén e Gustav, dal momento che sarebbero stati i successori di Sigmund, eravamo anche rimasti della possibilità di un lavoro fisso come consulente da parte mia lì a Monaco.
"Andiamo Gabriel, sei il primogenito di Thomas Keller, nonché l'erede designato di Tobias Keller. Per me puoi fare tutta la gavetta che vuoi qui, ma sappiamo benissimo che hai un destino diverso da quello cui miri." Mi aveva detto Hans.
Suo fratello aveva annuito. "Non resterai qui fermo, soprattutto perché hai deciso anche di metterti in proprio Keller."
Li avevo ascoltati senza rivelare loro della lite che avevo avuto con mio nonno. Non l'avevo dimenticata, così come non avevo più avuto contatti da quando ero partito per Monaco. Sapevo che nonostante il nonno fosse in pensione da almeno vent'anni, si teneva informato sulle attività della KCG, era lo stesso nonno dei fratelli Zimmer a filtrargli le notizie di ciò che accadeva in Germania. Era la palese testimonianza che anche se non c'erano più, sapevano ciò che stava accadendo in quella che era la loro società. Perché effettivamente dopo che il bisnonno Edgar l'aveva costruita, era stato nonno Tobias ad espanderla ritornando in Germania e aprendo la succursale coi suoi amici Zimmer, Meyer e Müller. Non c'era più alla KCG, ma la sua presenza si sentiva, si respirava nell'aria come se volesse dire: io ti vedo.
Quando Hans mi aveva detto che suo nonno Hugo ogni settimana si aggiornava col nonno, non mi ero stupito. Entrambi non erano più alla KCG, eppure sapevano.
Non avevo conosciuto i discendenti di Müller in quel periodo a Monaco, Hans con cui parlavo di più, mi aveva spiegato che i Müller lavoravano molto sulla filiale di Amsterdam. Speravo però un giorno di conoscerli.
Intanto ciò che mi premeva era riuscire a farmi notare in Germania. Ovviamente non insistevo per lavorare lì, solo perché a Boston mi attendeva Adelaide, c'erano lei e il nostro bambino a casa.
"Stasera andiamo a bere insieme. Così festeggiamo il tuo rientro in America." La voce di Gustav mi distrasse dai miei pensieri facendomi tornare al presente.
"Ma dai!" Gli dissi con un sorriso allusivo.
"Giuro non andremo in un locale per soli uomini." Scherzò Hans.
"Non sia mai litiga con sua moglie per colpa nostra." Lo spalleggiò Rubén.
Io li fissai tutti e tre, Gustav aveva un sorriso sornione sul viso pallido. Mamma gli aveva detto del mio matrimonio, poiché all'inizio non capiva perché un giovane uomo di quasi ventisei anni non usciva la sera coi suoi coetanei.
Gustav rise divertito. "Sicuramente non sei come tuo padre. La zia Inga è mio padre mi hanno raccontato cose di lui, tanto che ru mi stupisci Gabe." Mi prese in giro.
Mi tirai su dalla mia sedia, scossi la testa mentre prendevo la scatola dove si trovavano i miei oggetti personali. Non volevo rovinarmi la mia ultima serata con i ragazzi. Per quanto sapessi che mio padre non era stato uno stinco di santo alla mia età sentirlo dire così esplicitamente mi infastidì. "Posso venire a bere con voi per festeggiare. Inoltre Gustav comprendo che hai sentito tante cose su mio padre, ma alla fine ha riconosciuto me e i miei fratelli." Gli dissi per mettere a tacere le sue insinuazioni.
Gustav mi fissò attentamente. "Sei sicuro? Cioè io so che tuo padre è arrivato ad avere un'amante per ogni sede in cui lavorava. Sai è proprio tua madre che mi dice sempre: non fare come Thomas Keller." Mi apostrofò.
Digrignai i denti. Purtroppo non potevo difendere mio padre, perché non sapevo se quelle voci erano o meno cose vere. Proprio per quel motivo Gustav non avrebbe dovuto fare illazioni. Tanto mio padre poteva avere avuto mari di amanti, tanto mia madre poteva aver detto quella frase per la sua esperienza con papà.
Presi un respiro profondo e lo guardai. "Se vogliamo andare a bere ci sono. Ma non voglio più parlare di cose che non riguardano noi presenti." Dissi con sicurezza e autorità.
"Penso che Gabe abbia ragione. Qui adesso ci siamo noi e non i nostri genitori." Intervenne Rubén. "Anche mio padre all'inizio non era un santo, però poi si è sposato ed ha messo la testa a posto." Disse per alleggerire la tensione.
Annuii. Nessuno di noi era un puritano, prima di fare sul serio con Heidi ne avevo avute di ragazze, lo stesso Gustav in quegli otto mesi che ero stato a Monaco, aveva cambiato almeno sei ragazze. Tutto stava nel trovare la persona giusta, mio padre l'aveva trovata tardi, Denise era entrata nella sua vita quando ormai aveva quasi cinquant'anni.
Uscimmo e senza ritornare sull'argomento ci godemmo la mia ultima sera a Monaco.
Quando rientrai la prima cosa che feci fu mandare un messaggio ad Heidi ricordandole che il giorno dopo ci saremo rivisti. Mia madre e Taddheus già dormivano, questo mi fece desistere dal fare domande sulla giovinezza di papà li a Monaco.
Fu Gellert a portarmi in aeroporto il giorno dopo. Il nostro rapporto era tornato come prima che mi sposassi, avevo cercato di fargli capire che io e Adelaide eravamo realmente innamorati. Come anche che non ero stato condizionato a sposarmi dalla gravidanza o dallo specchio delle scelte di mio padre.
Le uniche cose che mi aveva detto Gellert in quell'occasione erano state. "Dimostrami che mi sono sbagliato e per me Adelaide Thomson sarà una sorella."
Questo perché lui pensava il nostro fosse un rapporto effimero. Non era così! Amavo Adelaide Thomson da quando l'avevo conosciuta bambina. Ero adolescente e la amavo, adesso uomo la amavo ancora di più. Era un'amica, un'amante e mia moglie. Solo Adelaide accendeva le mie giornate, col fuoco che si portava dentro riusciva a farmi sentire vivo.
Eppure Gellert aveva ragione. Io e Heidi ancora non avevamo iniziato il nostro cammino insieme. Fino a quel momento lei era a Boston e io a Monaco, ancora non avevamo iniziato la nostra vita coniugale e dovevamo dimostrare a tutti che potevamo stare insieme.
Arrivammo all'aeroporto in anticipo, fortunatamente come me Gellert era mattiniero, svegliarci alle quattro non era stato difficile per nessuno di noi.
"Stanno per chiamare il tuo volo. Mi raccomando scrivimi quando atterri a Boston." Mi disse Gellert.
Lo fissai annuendo. Eravamo figli della stessa madre, ma lui le somigliava molto a differenza mia. Capelli rossi e occhi azzurri, dei Keller aveva preso il fisico asciutto e l'altezza.
"Avvertirò tutti." Gli dissi dirigendomi al check in. Però prima di lasciare il mio fratellino un dubbio si insinuò nella mia mente. "Hai iniziato a viaggiare per la KCG. Sai dirmi se girano voci su mio padre?" Gli chiesi.
Gellert mi fissò. "Ho sentito che era un abile uomo d'affari. Tenere il passo con lui sarà difficile Gabe, ti ricordo che è stato tuo padre ad espandere la KCG in oriente." Mi raccontò.
"Quindi niente a che fare con relazioni ovunque andasse?" Chiesi tirando tutto fuori.
Gellert rise scuotendo le spalle. "Gabe parliamo degli Emirati Arabi. Anche se ha avuto questa tendenza, come tutti noi d'altronde, non sono un'ipocrita. Credo che tuo padre abbia sempre avuto rispetto per le culture degli altri paesi. Non si sentivano scandali a Dubai, ne a Shangai." Affermò.
Sospirai. "Ti credo! Grazie Gellert, ci sentiamo in video conferenza."
"Ovvio che mi credi! Sono tuo fratello e sarò sempre la tua spalla." Mi disse dandomi un pugno sulla spalla. "Ricordati comunque che tu non sei tuo padre Gabriel. Sei molto più gentile di lui e sei corretto." Mi ricordò. "Aspetta, credo che tu sia proprio come lui invece."
Con questa consapevolezza lo salutai e mi diressi al mio aereo. Durante il viaggio riposai, volevo essere vigile per Heidi una volta tornato.
Arrivai a Boston alle 22.00 ora locale, ad attendermi al Logan c'era Heidi, splendida più che mai in un vestito primaverile, con il pancione ben pronunciato e l'aria imbarazzata.
Le andai incontro e la presi tra le braccia.
"Sei qui." Mi disse.
"E non ti lascerò per un bel po' ." Le dissi stampandole un bacio. "Mi sei mancata."
Heidi si strinse al mio braccio, mi prese la mano e la portò al suo ventre. "Anche a noi, Adam non vedeva l'ora di sentirti."
Quel gesto mi commosse, mai quanto avvertire il tremolio del ventre di Adelaide però. Arrivò improvviso, dirompente e prepotente, come a dire: io sono qui. Restai immobile e sorpreso ad ascoltare questa nuova sensazione che mi pervadeva, incrociai lo sguardo ceruleo di mia moglie. "Nostro figlio." Sussurrai. Non erano più ecografie inviate all'altro capo del mondo, era diventato reale. Molto più di quando avevo preso parte all'ecografia a Monaco.
"Nostro figlio." Affermò lei.
Le cinsi le spalle e baciandole la fronte ci dirigemmo verso l'uscita. Fu Heidi a indirizzarmi alla mia auto, poiché l'aveva usata in quel periodo ed era stata lei a venire a prendermi. Posai la valigia nel cofano mentre ella prendeva posto accanto al conducente e una volta in auto, diretto verso casa mi raccontò di quell'ultimo periodo.
Di come con sua madre avevano fatto un piccolo corredo per Adam, dell'esame andato a buon fine. Di come fosse riuscita a portare a buon fine i suoi propositi universitari.
"Manca un solo esame e se non riesco a darlo adesso, posso farlo a settembre. Ho tempo fino al nuovo anno che parte a novembre." Mi disse eccitata.
Dopodiché tirò fuori l'argomento retta. Dopo aver rivisto la madre, ella l'aveva convinta ad accettare che il padre pagasse la retta. Almeno quella dal secondo anno in poi.
"Effettivamente non saprei se riuscirò o meno a seguire Adam, l'università e il lavoro, poi ci sarà la casa."
Le sorrisi. "Adesso vedrai l'appartamento, non è molto grande quindi non ci porterà via tanto tempo." Le dissi carezzandole la mano. "Sai già inoltre che ci sarò anche io ad aiutarti quando andrai allo studio a fare tirocinio, o quando devi studiare. In pratica ci organizziamo per tenere Adam. Però anche London mi ha sempre detto che tuo padre voleva pagarti la retta universitaria. Se te la senti credo tu debba accettarla." Non stetti a dirle che London mi aveva fatto capire suo padre non avrebbe accettato i miei soldi per l'istruzione di Adelaide. Il fatto che io ne avessi capito il motivo bastava, lei non doveva sapere nulla, se non che i suoi genitori la sostenevano nel suo percorso universitario.
"Adesso, dal momento che sembra lo sappiano tutti." Ci tenni a precisare. "Potresti dirmi di grazia dove studi? Al limite quando riprendono i corsi ci organizziamo per la macchina."
Lei fece una smorfia divertita e io risi. "Studio ad Harvard e sto nel dormitorio del padiglione C."
"Urca Heidi! Sei stata accettata ad Harvard, cazzo dovevo immaginarlo. Sei un genio!" Le dissi sinceramente sorpreso.
Lei rise. "Ho degli obbiettivi, è diverso. Comunque credo che con i trenini ci posso arrivare alla sede universitaria. Hai detto che l'appartamento si trova lì no?"
Sospirai annuendo. "Si! In linea di massima non serve neanche il trenino. Io ci arrivavo a piedi, la scuola specialistica è invece leggermente distaccata. Ma riesco ad arrivarci con un trenino." Le dissi così da spiegarle la zona.
Ormai Cambridge era quasi vicina quindi avrebbe visto l'appartamento e compreso di più dove saremmo stati.
Non era una reggia, eppure speravo che le sarebbe bastato. Adesso che ero rientrato mi sarei concentrato sulla G&L company, ma fino a quando non avrei tirato su il mio giro e portato dei guadagni avremmo dovuto vivere con quello che avevamo. Non sarei tornato dal nonno o da papà. Loro non dimenticavano, ma neanche io.

Parcheggiai l'auto dietro lo stabile dove si trovavano gli appartamenti universitari. La palazzina era abbastanza vecchia, ma ben tenuta. Fuori era in tipico stile vittoriano, su tre piani, comprendeva di otto appartamenti, due a piano terra, dopodiché altri due per ogni piano.
Cercai di carpire l'espressione stupita di Adelaide intanto che parcheggiavo e poi la portavo nello stabile, su fino al primo piano dove si trovava il nostro appartamento. Aprii la porta, la casa era pulita e profumava di fresco, segno che London era passato ad aprire un po' per far passare aria.
"Cavolo." Esclamò Heidi. "Per essere un appartamento da uomini è abbastanza..." mi disse guardandosi intorno divertita.
L'entrata era piccola e si apriva su un open space con divano e televisore, in un angolino laterale c'era un piccolo angolo cottura con penisola, una libreria colma di testi e due scrivanie completavano la stanza. Sul lato opposto tre porte si aprivano sulle due camere da letto e centrale c'era il bagno in comune.
"Ho chiesto a London di venire ad aprire. Sinceramente non mi aspettavo che pulisse anche .
"Sul frigo c'è un biglietto." Disse Heidi. "Buon rientro, ho fornito un po' il cibo e pulito, baci Lilian." Lesse con un sorriso. "Chester sta ancora con lei?"
"Penso di sì! Credo abbiano deciso anche una data per il matrimonio." Dissi evasivo.
"Questa cosa non va bene. Sono sicura che a Chester piacciano gli uomini." Affermò infatti Adelaide.
"Come ti ho detto già una volta, noi non siamo nessuno per giudicare. Tuo fratello non si è mai esposto e ora addirittura parlano di matrimonio." Le dissi scuotendo le spalle pensieroso. Sinceramente anche io e London avevamo parlato di Chester e Lilian e sopratutto di come era stato palese per entrambi l'interesse di Chester verso mio fratello Gellert.
Ma il più giovane dei Thomson non si era mai esposto, anzi quando aveva conosciuto Gellert aveva parlato con lui di ragazze come fanno tutti.
Erano quindi ipotesi anche le mie e quelle di London. "Cosa si fa in questi casi avvocato? Intervieni?" Chiesi ad Heidi che aveva il broncio sul viso.
"Senza prove non si può fare nulla." Sbuffò.
Mi avvicinai e la strinsi a me. "Probabilmente è bisex e ancora non lo ha capito." Conclusi aprendo la prima camera da letto. "Che ne pensi? Ti piace la casa? C'è spazio per la culla di Adam nella nostra stanza."
Lei entrò lasciando il suo zaino sul letto anonimo compreso solo di rete e materasso, si girò intono la stanza estasiata. Dopodiché mi guardò e venne ad abbracciarmi. "Su quella parete possiamo mettere anche un fasciatoio per Adam. Ci staremo bene."
La baciai, cercai il suo sguardo e le sorrisi. "Inizia la nostra vita matrimoniale signora Keller."
Lei sorrise fremente. "Spero di essere all'altezza."
"Finché sarai te stessa, non ci saranno problemi." Le risposi.
Trascorremmo così la serata a preparare un cena lèggerà insieme, mangiammo e sempre insieme pulimmo.
Una volta chiusi nella nostra stanza ci addormentammo stretti l'uno all'altra. Finalmente ero a casa, col viso appoggiato sul ventre così che potessi sentire Adam muoversi, mi addormentai esausto dal viaggio e dalla lunga giornata. Il giorno dopo mi sarei preso tutto il tempo per organizzare le mie giornate.

I giorni successivi passarono velocemente. La prima visita fu a casa dei Thompson, dove i genitori di Heidi ci aspettavano per un brunch tutti insieme. Quella per mia moglie sarebbe stata la prima volta che avrebbe rivisto il padre e i fratelli, ed era stata tesa fino a quando non eravamo arrivati a Boston e i fratelli erano corsi tutti da lei ad abbracciarla.
C'erano tutti! London, Chester con Lilian, Alaska e Dallas ed infine sulle scale all'entrata della porta Brooklyn col marito e i genitori di Heidi.
Quello era stato forse il momento più importante della giornata, avvertivo la tensione di Adelaide accanto a me, cercai di farle sentire la mia presenza stringendole la mano dolcemente. Lei in risposta mi aveva sorriso facendo un passo avanti verso il padre. Appena Simon Thompson ci vide andare verso di lui iniziò a scendere i gradini dell'entrata, fino a raggiungerci e abbracciare sua figlia.
Lasciai andare la mano di mia moglie che sorpresa ricambiò l'abbraccio.
"Finalmente! Stai bene... non immagini quanto ho penato a non poterti sentire o vedere."
Quelle probabilmente erano state le parole più giuste da usare, avevano toccato i tasti giusti. Infatti Heidi iniziò a singhiozzare scusandosi per non essersi fatta sentire in tutto quel periodo.
In ultimo Heidi si incontrò con sua sorella maggiore, sul viso di Brooklyn, a differenza degli altri non c'era gioia. Nonostante non dicesse nulla lo sguardo duro valeva più di tante parole.
"Brooke..." sussurrò Heidi.
Lei scosse la testa e diede le spalle a tutti rientrando in casa. "Bentornata." Disse lasciando tutti in silenzio.
"Bentornata Adelaide." La salutò invece Jonathan. "Ci dispiace tu non ci sia stat al nostro matrimonio."
"Dispiace anche a me. Ero convinta vi sposaste a luglio, invece mamma mi ha raccontato che avete anticipato." Rispose delusa Heidi.
"Si! È stata una decisione presa con mio padre." Affermò lui.
Ovvio! Tutta propaganda politica. Avevo pensato seguendo tutti in casa, London al mio fianco mi chiedeva del viaggio e della gravidanza.
Il brunch fu abbastanza tranquillo, la conversazione era gestita dal patriarca che chiese ad Heidi di quel periodo, dell'università e soprattutto della gravidanza. Ci rimproverò entrambi perché ci eravamo sposati a Monaco e per non aver loro informato del bambino.
Quello era l'argomento che Heidi non avrebbe voluto affrontare e infatti girò intorno le sue paure dicendole che era stata presa dall'università per poterlo chiamare.
"Come ti organizzerai per il prossimo anno?" Chiese Simon alla figlia.
Al che decisi di intervenire. "La aiuterò io. Cresceremo il bambino in modo da poter lavorare e studiare entrambi." Dissi prendendo la mano di Heidi e sorridendole.
Lo sguardo grato, ricambiò il mio sorriso.
"Riuscirai con la società di famiglia e i corsi integrativi a gestire un bambino?" Mi chiese Simon. "Forse è il caso di..."
Lo interruppi prima che potesse dire altro. "Per ora mi dedicherò alla G&L, ha la priorità e vorrei mettere alla prov l'esperienza cumulata in Germania per farla crescere." Risposi. "Per la business school ci organizzeremo quando avremo entrambi i nostri orari."
Speravo con quella dichiarazione di essere stato chiaro. Adelaide avrebbe continuato a studiare anche se avevamo un neonato in casa.
"Quindi continuerai a studiare?" Si intromise Brooklyn. "Voglio ricordarti che sei la moglie di Gabriel Keller adesso. Hai altre priorità e lui deve manterrete una certa reputazione." Disse rigida e impettita. "Dovrai seguire la casa e comportarti da padrona di casa."
"C-cosa?!" Esclamò Heidi al mio fianco.
"Cosa niente." Intervenni ancora. "Siamo giovani, abbiamo da pensare a nostro figlio e alimentare nel mio caso una carriera professionale. Gli impegni di cui parli Brooklyn spettano a mio padre con Denise, noi viviamo in un appartamento che per giunta è condiviso con Chester." Replicai, Heidi al mio fianco sospirò di piacere. Potevo comprenderla, anche a me non facevano piacere tutte le cerimonie che c'erano dietro ad avere una certa 'reputazione'. Ovviamente entrambi eravamo cresciuti in quell'ambiente e proprio perché sapevamo cosa ci avrebbero chiesto, ce ne tenevamo ai bordi fin quando avremo potuto.
"Sarà qualcosa di temporaneo. Mamma e papà non lo permetteremo, i tuoi non lo permetterebbero Gabriel. Sei un Keller e il bambino che nascerà lo sarà." Ci tenne a precisare Brooklyn, i coniugi Thompson seguivano la conversazione. Ma fortunatamente evitavano di intervenire.
"Questo non significa nulla." Conclusi, in fondo, a parte London, nessuno in quella casa sapeva che ero ai ferri corti col nonno e con mio padre. Non era neanche questo il momento per parlarne.
"Significa. Dovrete presentare il bambino alla società e annunciare anche il vostro matrimonio." Spiegò rigida Brooklyn, Jonathan al suo fianco annuiva.
"Presentare il bambino?" Chiese Heidi guardando la madre smarrita. "Non capisco."
"È un bambino, come tanti altri. Non c'è nulla da presentare, non è un ingresso in società, per farlo ci sarà il suo tempo. Ma per ora resterà nostro figlio e crescerà come un normale bambino." Dissi secco e senza previsione di replica. Iniziavo a stancarmi.
"È un Keller, si annuncerà la sua nascita sui giornali." Affermò Jonathan.
"Sia chiaro!" Dissi tirandomi in piedi. "Sono tornato qui perché Adelaide vi ama. Altrimenti sarei rimasti a Monaco, dove lei avrebbe potuto studiare e avremo cresciuto lì il bambino. Ma siamo qui, dove c'è la maggior parte della nostra famiglia." Dissi volgendo lo sguardo ovunque, intanto Heidi si alzò spalleggiandomi. "Per il resto voi siate gli zii e i nonni e farete parte della vita di Adam, potrete venire a trovarlo e vederlo crescere. Ma saremo io e Adelaide a crescere nostro figlio come reputiamo sia più giusto fare, con i valori che voi..." Dissi guardando i coniugi Thomson. "E la mia famiglia, ci avete insegnato. Ma saremo noi a decidere per la nostra famiglia." Conclusi fissando poi Brooklyn. "Non ufficializzeremo la nascita del bambino, è un evento nostro intimo."
"Certo come il vostro matrimonio!" Disse sarcastico Jonathan. "Nessuno ne sa nulla, avete fatto le cose in segreto."
"È il matrimonio che volevo, intimo e senza fronzoli." Intervenne Heidi. "Certo, mi sarebbe piaciuto ci foste stati anche voi. Ma sapevo che poi sarebbe diventato tutto... troppo." Ammise allargando le braccia per far intendere cosa volesse dire. "A me non piacciono le cose plateali e in pompa magna."
"Va bene così." Intervenne Simon battendo la mano sul tavolo. Così facendo richiamò l'attenzione su di sé. "A noi è andato bene così, Adela sta bene ed è felice, hanno una casa e come ha detto Gabriel alla loro famiglia devono pensare da soli. Eppure..." concluse guardando la moglie. "Semmai avreste bisogno di aiuto, sono sicuro che Manila e anche Denise saranno disponibili a tenervi Adam se avrete problemi con gli orari universitari." Affermò.
Mi si strinse lo stomaco a quell'affermazione. Per quanto avessi chiuso con la KCG, avrei dovuto dire ai miei, presto o tardi, del bambino.
"Si! Vi aiuterò volentieri, verrò fino a Cambridge se serve. London ci ha detto che abitate lì con Chester."
"Io per ora resto qui." Rispose Chester. "Dato l'ultimo esame settimana prossima non c'è bisogno che resti per ora." Ammise.
"In realtà stavo proponendo a Chester di trasferirsi da me. Così voi potrete avere la vostra privacy." Intervenne Lilian accomodante per poi fissare Chester. "Diciamo che ancora deve convincersi."
Tutto intorno ci fu un silenzio imbarazzante. Chester balbettò, Brooklyn fissò i due inorridita e London abbassò lo sguardo.
"Sarebbe il caso di aspettare il matrimonio cara. Non trovi?" Chiese Manila.
"Non penso, ormai siamo in un'epoca in cui un uomo e una donna possono condividere lo stesso tetto senza essere sposati." Rispose Lilian.
Feci un colpo di tosse, la conversazione stava iniziando a diventare uno scontro. Io e Adelaide ci scambiammo uno sguardo, lei mi sorrise e prese parola.
"Quindi Brooklyn?! Come procede il matrimonio? Non vedo l'ora di venire a vedere casa tua." Disse cambiando argomento.
"Procede." Ammise lei.
"Viviamo nella casa di famiglia dei Jenkins. Possiamo accogliervi questo fine settimana." Rispose Jonathan.
"Verremo con piacere. Non vedo l'ora di stare un po' con te Brooke." Disse Adelaide.
Così fortunatamente la giornata a casa dei Thompson scorse tranquilla.
Effettivamente però c'era da adempiere ad altri doveri, tra cui andare a visitare la mia famiglia.
Probabilmente era meglio spianarmi la strada, così il mio primo giorno di lavoro alla G&L tra un contratto e l'altro chiamai mio padre.
Mi aveva fatto intendere che lui sapesse dei miei sentimenti per Adelaide Thompson, mi aveva spronato a darmi una mossa, quindi sapere del nostro matrimonio non lo avrebbe deluso. Giusto?
Lo chiamai alla KCG, James, il suo assistente, subito me lo passò, quasi si aspettassero una mia telefonata.
Quando finalmente sentii la voce di mio padre tirai un profondo respiro. "Papà!" Lo salutai.
"Sei tornato in anticipo Gabriel." Ricambiò lui salutandomi. Quindi sapeva che ero rientrato.
"Si avevo delle priorità qui." Ammisi.
"Benissimo." Rispose ancora mio padre con un tono divertito. "Vieni a cena da noi con la tua priorità stasera. È tanto che non vedo la piccola Thompson anche se gira voce che al momento sia più grande che piccola." Mi prese in giro.
"Ma... andiamo papà!" Li ripresi.
La risata incosciente di mio padre arrivò oltre la cornetta. "Io riporto quello che Micaela sa da Alaska. Vieni! Ho anticipato al vecchio che ti sei sposato e che sei felice, sai questo è quanto gli serve per essere contento di te."
"Mmm... e quella Kristin?" Chiesi.
"Sei un uomo sposato e quasi un padre di famiglia adesso. Fidati, questo vale molto più di tanti matrimoni combinati." Concluse papà.
E con queste premesse quella sera io e Heidi andammo a casa Keller. Non mi aspettavo che ci accogliessero con gioia, soprattutto il nonno. Papà sapevo che aveva avuto relazioni senza senso e di questo il nonno non era mai andato fiero. Poi papà aveva incontrato Denise. I suoi tre figli erano nati fuori da donne diverse e che agli occhi dei nonni, celavano un'indubbia immoralità. Anche se conoscevano la mamma, forse ero stato io a ingigantire la cosa.
Io avevo fatto lo stesso con Adelaide Thompson e invece eccolo il nonno che ci accoglieva a braccia aperta.
Era contento che mi fossi sposato con la donna che amavo, che aspettassimo un bambino e che eravamo molto felici insieme.
Dopo cena, quando ci chiudemmo nello studio davanti ad un caffè per parlare della filiale di Monaco, il nonno me lo disse.
"Sono contento che tu abbia trovato la tua casa. Era questo che volevo facessi, null'altro."
Ovvio che Heidi era la mia casa, eppure mi ero prefissato una cosa importante.
"Non verrò alla KCG! Ho da portare avanti la società mia e di London." Affermai prima che si tornasse all'argomento presidenza.
Il nonno mi fissò intensamente con i suoi occhi scuri. Sembrava trapassarmi col suo sguardo, ma non avrei ceduto. Infine annuì.
"È giusto! Hai quasi ventisei anni e concordo su ciò che mi ha già detto tuo padre, sei giovane ed hai una bella gavetta da fare. Lui proponeva che entrassi comunque alla KCG, ma facendoti fare il tuo percorso tra i consulenti. Cosa pensi di questo compromesso?" Chiese.
Fissai mio padre! Non mi sarei mai aspettato che lui intercedesse per me, infatti prese parola subito dopo il nonno.
"Mi è pesato molto da ragazzo partire per Monaco con tuo zio Taddheus per entrare alla co-presidenza della sede. Ero sommerso da responsabilità che ancora non ero in grado di gestire, all'epoca infatti feci tante sciocchezze. La più evidente fu sedurre tua madre per fare un dispetto a mio fratello. Ho cercato di far capire a tuo nonno che agire così è prematuro, già ai tempi miei la società civile era diversa dalla sua. A venticinque anni c'è ancora tanto da imparare e la G&L è un buon trampolino di lancio per inserirti nel lavoro." Disse alzandosi.
"Credo che darti tempo fino al compimento dei trent'anni sia un compromesso equo Gabriel. Viaggerò io per le altri sedi, in fondo io e Denise non abbiamo mai fatto una vacanza e durante la tua ascesa alla KCG io avrò modo di tornare dove ho iniziato la mia carriera e salutare per bene i vecchi amici." Spiegò mio padre.
Quindi il loro piano era sempre quello di portarmi alla presidenza della KCG.
"Siete sicuri?" Chiesi a entrambi.
Il nonno annuì. "Farti subentrare alla presidenza adesso sarebbe dannoso al tuo matrimonio. Dovresti viaggiare tanto all'inizio. Tuo padre ha viaggiato tanto, è stato circa tre mesi su ogni sede europea e occidentali, aprendone anche di sue. Il presidente deve farsi conoscere e deve ottenere la fiducia dei co-presidenti e dei propri dipendenti. Nel frattempo avrai anche modo di valutare uno staff di fiducia che ti seguirà ovunque e che ti guarderà le spalle in tua assenza." Spiegò il nonno dandomi una panoramica del mio futuro. "Ma la cosa importante è dedicarti alla tua famiglia." Annuii, ecco perché ero stato mandato in un collegio con Gellert a quattro anni. Anche lo zio Taddheus probabilmente viaggiava molto.
"Andrò in pensione compiuti i sessant'anni, avrai quindi il mio supporto anche una volta che sarai il ceo della KCG." Concluse mio padre.
"Capisco." Dissi. "La business school dura almeno un anno, io e Heidi abiteremo a Cambridge. Ci sta bene vivere nel nostro appartamento per ora. Accetto la vostra offerta di lavoro per la KCG e vi ringrazio della vostra fiducia." Dissi.
"Bene. Direi che è il caso di raggiungere le signore." Concluse il nonno tirandosi su. "Le abbiamo lasciate sole già un bel po'."
Annuii guardando papà. Mi chiedevo se sarebbe passato all'ufficio di Monaco e se avrebbe sentito le voci che giravano su di lui.
"Posso chiederti..." iniziai per poi fermarmi.
"Cosa?" Chiese mio padre.
Lo fissai e cercai il coraggio se non un modo per elaborare la domanda in modo leggero, ci pensai un attimo e tirai fuori ciò che avevo dentro. "Durante questi venti anni di viaggi, in giro per il mondo. Hai... hai avuto parecchie relazioni? Non c'è mai stato nulla di serio?" Chiesi. In fondo l'unica relazione seria che io conoscevo era quella con Denise e stavano insieme solo da un paio di anni...

...continua

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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...segue

GABRIEL

Mio padre mi fissò attonito, sospirò. Il suo sguardo sempre vivace si incupì, lui e mio nonno si scambiarono un'occhiata. Come se si aspettassero prima o poi una domanda che fino ad allora non era arrivata.
"Raggiungiamo gli altri. Una volta che devo raccontare la mia giovinezza, credo sia il caso di rivelarla anche a tua sorella, la verità della mia gioventù." Disse indicandomi la strada.
Una volta nel salone raggiunsi Adelaide, che seduta comodamente stava chiacchierando con Micaela e Denise, erano un bel quadretto.
Il nonno andò a sistemarsi nella sua poltrona, da dove poteva vedere tutti e papà si mise in quella accanto, la stessa che una volta era appartenuta a nonna Rosalie.
"Gabriel!" Annunciò il nonno fissandomi intanto che seduto accanto ad Heidi le carezzavo la pancia gonfia. "Ha chiesto al padre della sua gioventù e lui ha accettato a raccontarlo e condividerlo con noi tutti."
"Ovviamente vostro nonno sa già tutto. Dei momenti belli e di quelli brutti, di quelli di cui mi pento, degli errori e delle gioie." Raccontò mio padre mettendosi comodo. "Ma rispondendo alla domanda sulle mie relazioni con l'altro sesso avrei tanto da raccontare, far capire i miei atteggiamenti è difficile. Il discorso è lungo, quindi mettetevi comodi."
Accanto a noi Denise si alzò. Aveva un sorriso sereno stampato sul viso rugoso. "Credo sia il caso di far preparare un po' di the per tutti." Disse dimostrando che anche lei già sapeva.
Mio padre ci guardò con i suoi vispi occhi grigi scuri, me e Micaela, poi annuì.
"Ho avuto delle relazioni, tante relazioni nel corso della mia giovane vita." Disse iniziando il suo lungo sproloquio.
"Ammetto Gabriel che sedussi tua madre perché ero geloso di Taddheus, mio fratello come ora, sembrava che già sapesse ciò che voleva dalla sua vita. Un lavoro all'ufficio della società e poi Inga, se ne innamorò appena mettemmo piede a Monaco e la conobbe, ammetto anche io la trovai affascinante. I suoi capelli rossi erano la prova che era una donna energica e che sapesse il fatto suo. Gli feci un dispetto a Taddheus perché io al contrario, nonostante fossi più grande, non avevo ancora le idee chiare su nulla. Quando Inga mi disse che stava innamorandosi di Taddheus ho visto rosso, questo perché significava che il cammino che lui stava tracciando per se si sarebbe avverato presto. Così dissi a Inga che Taddheus non era interessato a lei e che era gentile con lei solo per dovere. Inoltre le dissi che io al contrario la ammiravo, la invitai ad uscire e la sedussi. Quando Taddheus lo scoprì venimmo alle mani, lasciai Monaco perché lui non si fidava più di me, non lo biasimavo. Ma non potevamo più stare insieme, non con la tensione che c'era e con un ufficio che ancora non ci conosceva. Non con la rabbia che Taddheus provava verso di me, non con Inga che aveva scoperto la verità su di me e su mio fratello.
Partii dirigendomi a Londra, mi concentrai sul lavoro per dimostrare che almeno in quello ero bravo, papà aveva scoperto dei casini fatti in Germania ed era arrabbiato con me. Aprii quindi una mia sede della KCG lì, si chiamava T-consulting, mi cercai dei soci e conobbi anche una ragazza. Si chiamava Sapphire, come i suoi occhi che brillavano come due zaffiri, era bellissima e libera. Di lei non sapevo altro, ne da dove venisse, ne come facesse di cognome. Stavano insieme e tanto mi bastava, con lei non ero più il giovane Thomas Keller il rampollo figlio di Tobias Keller. Ero semplicemente Thomas, eravamo entrambi liberi dai nostri ruoli. Ci innamorammo e vivevamo alla giornata, al mattino ero alla sede della KCG, alla sera la raggiungevo al bar dove lavorava per sbarcare il lunario. Ero con lei quando Inga e Taddheus mi fecero sapere del tuo arrivo Gabriel e quando glielo dissi le proposi di sposarci e crescerti insieme. Fu la nostra fine.
A quella proposta lei mi lasciò, dicendomi che non poteva sposarmi e che nonostante mi amasse, aveva degli obblighi verso la sua famiglia, era già fidanzata, per lei ero stato la più più bella cosa prima che venisse rinchiusa in una gabbia dorata. Ero un'evasione dalla realtà.
Mi lasciò senza dirmi come si chiamava e dove abitava, tanto che dubitai si chiamasse realmente Sapphire.
Lo scoprii solo un mese più tardi che era vero. Ebbi tra le mani un quotidiano dove fu pubblicato il suo fidanzamento con il banchiere Andrew Davis, lei era una viscontessa, Sapphire Lucrezia Cooper discendente degli Ashley Cooper e della dinastia degli Shaftesbury." Mio padre sospirò e si prese un minuto a fissare il suo the ormai freddo. Nessuno di noi osava parlare per non interrompere quel momento e il suo racconto che riprese dopo un po'.
"Mi deluse, pensavo di poter essere felice con lei, ma non era stato così. Restai in Gran Bretagna e fui allo sbando tra una relazione e l'altra. Restai fino a poco prima la tua nascita Gabriel, vi raggiunsi in Germania e assistetti con Taddheus alla tua venuta, ci riappacificammo, mi confidai con lui raccontandogli di Sapphire. Taddheus restava oltre che mio fratello, anche il mio migliore amico, nostra sorella minore lo diceva sempre che eravamo una cosa sola. Ero distrutto ed alla fine Taddheus, il sempre perfetto, mi consigliò di partire e di cambiare aria. Mi disse che si sarebbe preso cura lui di te fino a quando io non fossi stato pronto a darti una famiglia serena. Così decisi di tornare a Boston, a casa, venni da mio padre e gli dissi che volevo dedicarmi al lavoro, aprire altre sedi e farmi valere. Gli dissi che potevo diventare presidente solo se fossi stato in grado di aprire e gestire delle sedi con la mie sole forze, non volevo qualcosa di già creato, volevo anche creare e far crescere la KCG. Avevo già la sede londinese come garanzia e con i tabulati e i proventi davanti , papà accettò. Mi propose di aprire un paio di sedi qui negli Stati Uniti e se fossi riuscito mi avrebbe dato carta bianca per realizzarmi da solo.
La prima meta fu il Connecticut, nostro stato vicino, facilmente raggiungibile. Lì formai un piccolo staff, tra cui un'assistente personale, Karla Cohen, che diventò anche mia amante, fu la prima e non l'ultima. Decisi che non volevo più affezionarmi, quindi carte in tavola avevamo semplici rapporti fisici. La cosa importante era che avessimo fiducia l'uno nell'altra, perché mentre la sede di Hartford cresceva lavoravo per aprire altre sedi nello stato e lei doveva essere i miei occhi e le mie orecchie. Aprii una nuova sede a New Heaven, complice la Yale university che sfornava laureati d'élite come ad Harvard riuscii ad avviare una sede promettente, andai poi nel Vermont, mi ci volle un po' di tempo in più per avviarla. Ma con gli aggiornamenti di Karla ero tranquillo sulle altre sedi, così mi presi tutto il tempo di cui avevo bisogno. Con la terza sede nel Vermont ben avviata avevo i finanziamenti da parte di mio padre per continuare il mio percorso, non avevo rimpianti anche perché Karla mi aveva fatto capire che aveva una relazione stabile, quindi avevo anche il cuore in pace. Partii ancora! Volevo espandermi dove non era arrivato papà, andai in Sud America e anche in Nord America ed ebbi anche delle amanti. Tornai in Europa, in Germania e Gran Bretagna, poi in Spagna, Italia e Svizzera, in Giappone e in Australia ed ebbi delle amanti. Ovunque tranne in Cina,'in Cairo e negli Emirati o on altri paesi dove comunque le donne avevano comportamenti poco promiscui e delle restrizioni. Rispettavo sempre due regole, mai con donne impegnate o sposate e mai con donne che non volevano ciò che io volevo." Si fermò di nuovo, mio padre aveva appena confermato ciò che Gellert mi aveva detto. A Dubai papà era una persona retta e rispettosa.
Allora perché sembrava perso nei suoi pensieri?
"A Sidney, dopo sei anni dalla nascita di Gabriel una mia ex amante, Kali, venne da me con una pancia bella evidente dicendomi che era incinta e che il bambino era mio, per cui dovevo prendermi le mia responsabilità sposandola. Sinceramente mi chiesi perché non avesse abortito, sarei ipocrita se lo negassi. Lei mi rispose che non aveva il denaro necessario all'aborto e ormai era tardi. Compresi solo quando incontrai i genitori di lei che ero stato incastrato, Coco, la madre di Kali, infatti mi informò che ella più volte era scappata di casa e più volte lo aveva fatto per inseguire il turista di turno che di conseguenza le prometteva di portarla via. Voleva lasciare l'Australia e cercava tanti modi per farlo, arrampicandosi a qualsiasi turista conoscesse. Coco e suo marito infatti mi consigliarono anche di fare un test di paternità prima di 'accollarmi' il bambino. Decisi di seguire il loro consiglio, attesi che il piccolo nascesse. Ammetto che appena lo vidi me ne innamorai, vuoi che era un misto tra un occidentale, un aborigeno e un giapponese, ma era stupendo. Però facemmo lo stesso il test di paternità che confermò Rafael fosse mio. Lo riconobbi, ma decisi di non sposare Kali, avrei dato al bambino il giusto sostegno e una famiglia. La cosa finiva lì, non mi sarei portata Kali in giro per il mondo o a Boston dove non sapevo che fine avrebbe fatto. La cosa però non le andò giù, voleva lasciare Sidney e un bambino non l'avrebbe aiutata in questo. Fu sempre sua madre Coco a venirmi incontro. Mi disse che si sarebbe presa cura di Rafael durante i miei viaggi di lavoro. Tenendo fondo del suo impegno, lasciai però l'Australia solo quando Rafael fu in grado di viaggiare, tornai in Europa da te Gabriel, per presentarti tuo fratello. Tu eri già pronto ad accogliere un fratello poiché avevi Gellert e da poco Pamela. Rafael piacque più a tua sorella che a te, non eri interessato ai bambini, ma ai tuoi amici. Dissi a Taddheus e Inga che adesso che c'era Rafael potevo prendere con me anche te per un po'. Era il 1990, ammetto che mi sentivo col cuore più leggero, più responsabile e pronto a crescere una famiglia. Infatti dopo essermi organizzato partimmo insieme per la Toscana, io, te e Rafael." Disse fermandosi.
Lo guardai, i ricordi della mia infanzia erano talmente flebili che non ricordavo di aver conosciuto Rafael neonato. Anzi, ricordavo di non averlo conosciuto affatto o e di essere cresciuto con lui, sapevo come fosse fatto per le foto che mi mostrava Micaela, la descrizione arrivata adesso da papà, mi fece comprendere da dove venisse il suo aspetto così esotico.
Sorseggiò il suo the ormai freddo guardando Micaela con nostalgia.
"Fu allora che conobbi Marina, la madre di Micaela, cercai una baby sitter per voi e arrivò lei. non lo credevo possibile ma tornai a innamorarmi. Forse fu come prendeva la vita alla leggera, senza impegno e senza prendersi sul serio anche. Ma mi innamorai di nuovo e lei ricambiava. Ci fidanzammo e decidemmo di avere un figlio, crearci una nostra famiglia. Lei amava te e Rafael come foste suoi. Con Marina avevamo progettato di prenderti con noi e farti stare in un'altra famiglia che non fosse solo quella di Inga e Taddheus, saremo restati in Italia, così non avresti dovuto allontanarti troppo dai tuoi amici e da Inga. Inoltre noi volevamo tanti figli. Tu non lo ricordi Gabriel, ma ti piaceva  molto Marina. Ci sposammo a Firenze e mettemmo su famiglia, eravamo noi, Rafael e il piccolo in arrivo, tu ci raggiungevi appena la scuola ti concedeva almeno una settimana festiva. Al sesto mese di gravidanza di Marina poi partimmo per Boston, dove avremmo fatto nascere Micaela. Purtroppo non calcolammo le complicanze della gravidanza, Marina andò in gestosi e nonostante il parto di emergenza non ce la fece. Riuscimmo a salvare solo Micaela..." sospirò con lo sguardo basso, si guardava i piedi. Non cercava più mia sorella o me. Era perso in un mondo tutto suo. Restai basito da quella parte del racconto e quando lo sentii singhiozzare.
"In un attimo persi tutto! Tutto!" Confidò. "Mai avrei immaginato che avrei perso Marina in quel modo. Mi sentivo perso, vuoto e avrei voluto seguirla. Mi rifiutavo di uscire dal mio stato vegetativo. Era estate Gabriel, eri a casa con noi, c'erano anche Taddheus e gli altri, sia tu che Raphael cercavate di attirare la mia attenzione. Ma io non riuscivo a dedicarvi nessun sorriso, nessuna delle attenzioni di cui un bambino necessitava. Ero diventato piccolo! Avevo capito quanto l'universo fosse potente e noi al contrario fossimo poca cosa. In balia degli eventi e del fato, una seconda volta avevo perso l'amore della mia vita e questa volta era stato il destino me lo aveva portato via in modo crudele. Taddheus comprese che avevo bisogno di aiuto, che non ragionavo più e che avrei dovuto riprendermi. Così si offrì di portarti con te a Monaco, di nuovo. Non obbiettai, non ne avevo la forza. Mia sorella valutò di far venire anche Kali da Sidney affinché si prendesse cura di Raphael. Ma l'australiana invece di pensare a fare la madre ne approfittò. Appena messo piede sul suolo americano era salita sul primo taxi dandosela a gambe. Raphael era allo sbando, io lo ero, Micaela aveva meno di un mese ed era irrequieta e mamma non ce la faceva a gestire tutto. Mio padre cercava di scuotermi, di farmi reagire. Eppure non ci riuscivo."
Papà sollevò la testa, il viso era devastato. Non ci guardava, al contrario si alzò andando a versarsi un bicchiere di Jack Daniel's. Lo bevve in un solo sorso e dandoci la schiena guardava nel cielo scuro della notte, riprese il racconto da dove l'aveva lasciato.
"Non so se la ricordi Micaela, ma tua nonna era una grande donna. Fu lei a salvarmi, facendomi fare ciò che rifiutavo da quando eri nata.
Un giorno mi affrontò, venne da me, tra le sue braccia c'eri tu urlante e in lacrime. Non sopportavo sentirti piangere, non sopportavo l'idea che tu fossi lì e facessi sentir così prepotentemente la tua presenza. Mi dava fastidio, le tue urla mi impedivano di lasciarmi andare, di farmi raggiungere tua madre. Ti evitavo come la peste, alla tua nascita non ti fui accanto. Furono i tuoi nonni che ti registrarono, era già tutto pronto, sapevano che ti saresti chiamata Micaela, come il primo Arcangelo. Fecero tutto loro, a me stava bene. Non ne volevo sapere di sentire intorno a me un essere vivo, non volevo te, come rifiutavo Gabriel e Raphael.
Tua nonna però la pensava diversamente. Furente mi raggiunse chiamandomi con forza.
-Thomas! Prendi la bambina e cullala. Ha bisogno di te.- Mi diceva.
Io mi rifiutavo. -No! Non voglio, non posso.- mi ostinavo a dirle.
Ma lei era più caparbia. - Thomas tutti noi stiamo soffrendo per la perdita di Marina, la bimba prima di tutti. Quindi adesso prendila e guardala Thomas. - insisteva.
Io più di lei. Ma continuava. -Thomas guardala... ti prego guardala, anche solo per un attimo guarda la bambina.-
Ma io non volevo. Ti eri portata via Marina! Come potevo volgere lo sguardo verso di te?
Mia madre però insisteva. - girati Thomas. Guardala... guardala... guardala. -
Era insopportabile, il suo martellarmi mi impediva di auto commiserarmi. Così accettai di guardarti per la prima volta da quando eri nata, così l'avrebbe smessa.
Alzai lo sguardo e mia mamma contenta del mio gesto scostò la copertina di lino che ti avvolgeva. Avevi tanti capelli castani in testa, ti lamentavi, il tuo viso era rosso per via del pianto. Volsi lo sguardo verso di te, fu un attimo e rividi la mia Marina..." Sussurrò singhiozzando più forte. "Era lì! Impressa nel tuo viso Micaela." Concluse.
Il silenzio della stanza erano scossi solo dai singhiozzi di papà, Micaela e Heidi. Nessun altro commentava.
"Mamma mi disse. - La vedi? Lei non è andata completamente, non ci ha lasciati del tutto e soprattutto il frutto di ciò che siete stati è qui e vive. Vive e si fa sentire, vive ed ha il suo volto. Thomas devi riprenderti, fallo per Marina. Riprenditi e vivi anche per Marina, prenditi cura di vostra figlia, come tua moglie avrebbe voluto.-
Riuscì a riscuotermi. Eri così somigliante a tua madre Micaela.
Ti presi in braccio, anche se piangevi avevo bisogno di sentire il tuo calore, avevo bisogno di ritrovare tua madre. Ti calmasti appena ti presi tra le mie braccia, non piangevi più, eri profumata, non era il profumo di mimose che mi ricordava Marina. Era il tuo profumo di neonata, ma era stupendo. In quel momento mi salvasti. Non dico che subito mi ripresi, no. Però accettai quello che era accaduto, soprattutto accettai che dovevo restare per voi tre, i miei figli. Raphael fu contento quando vi raggiunsi la prima volta, mi corse incontro felice, tu invece Gabriel eri titubante, avevi dieci anni e comprendevi la morte e il mio rifiuto. Credo sia stato allora che hai iniziato ad allontanarti da me, io per primo mi ero rifiutato di farmi consolare e consolarti. Quindici giorni dopo, convinto da tua zia Tò, decisi di lasciarti andare di nuovo. Tornasti a Monaco con tua madre, dal momento che tua zia aveva una sua famiglia e due bambini piccoli, decidemmo che per il momento avresti continuato la scuola lì. Poi avremo valutato se farti fare le scuole secondarie a Monaco o a Boston.
Raphael restò invece con noi, sua madre come detto era scomparsa e papà mise anche i migliori investigatori privati alla sua ricerca. Inutile dire che non la trovammo. Intanto tuo nonno e tua zia, mi avevano sostituito alla KCG, papà cercava di controllare le varie sedi, tua zia Terry visionava solo poiché non era il suo ambiente. Le dissi che poteva avvalersi della competenza di Karla e Lucia, le mie assistenti nel New England e Brasile per le società del Sud America, così da poterla alleggerire di tutto il lavoro. Io ero concentrato sulla mia ripresa e sui bambini, fortunatamente avevo l'aiuto di mamma. Fu così per i primi due anni di Micaela, io addirittura ripresi a viaggiare per lavoro, con molto più sale in zucca, avevo quasi quarant'anni quindi ero maturato. Ero decisamente cambiato! Non cercavo un'amante in ogni porto, questo accadeva prima che conoscessi Marina. Cercavo al contrario di sbrigare tutte le riunioni e le organizzazioni di marketing in breve, così da rientrare presto a casa. Questo fino a quando un ictus non colpì mia madre portandosela via.
Fu un altro trauma, anche se questa volta dovevo essere io a dare forza a tutti, avevo raggiunto anche questa consapevolezza. Dovevo esserci per mio padre e i miei figli. Soffrivo per la morte di mamma, ma sapevo che se questa volta fossimo caduti non ci sarebbe stata lei ad aiutarci. Così mi feci forza e presi in mano le redini della famiglia.
Ancora una volta chiesi aiuto in Australia. Chiamai Coco e le chiesi se la sua offerta di aiutarmi con Raphael fosse ancora valida, lei mi confermò che era pur sempre suo nipote e che si sarebbe presa cura di lui, io accettai il suo aiuto.
-Devi portarmelo qui però. Sai che non possiamo lasciare casa, questa è la nostra terra.- Mi aveva detto.
Coco era aborigena, lei non lasciava Sidney. Non immaginavo che il prezzo da pagare fosse questo. Pensavo che sarebbe venuta e non avrei 'perso' Rafael, invece no. Così messo alle strette dovetti lasciar partire Raphael. Chiesi a Karla se potesse portarlo a Sidney e nell'occasione controllare le filiali. Mi fidavo talmente tanto di lei che gli avrei affidato anche Micaela a occhi chiusi. Karla come sempre acconsentì, in quell'occasione conobbi anche sua moglie Nancy. Ne restai stupito in realtà, noi eravamo stati insieme e adesso era sposata con una donna. Ma evitai di fare domande troppo personali, ci eravamo sempre detti di non interferire nella vita privata altrui. Effettivamente di Karla oltre la soglia dell'ufficio sapevo poco e niente. Fu vostra zia Terry a dirmi che aveva un figlio coetaneo di Gabriel. Karla in quanto mia assistente ed ora responsabile di filiale, di me sapeva invece quasi tutto. Ma mi fidavo di lei, non c'era altro da dire.
In poco tempo in questa grande casa restammo io, papà e Micaela. Lei ormai era grande e poteva andare alla scuola materna, lavoravo solo qui a Boston. Taddheus faceva per me il giro per l'Europa, Karla gestiva il Nord America e a Lucia in Brasile dissi di organizzare un gruppo di consulenti che potesse seguire le sedi in mia assenza. Restava da controllare solo l'oriente e l'Australia, quindi quelli erano i pochi viaggi che mi permettevo, fortunatamente le sedi tra gli Emirati, la Cina e il Giappone erano poche.
Questo però non permetteva a Micaela di stare tranquilla, adesso era sola e sembrava sentire la mancanza di suo fratello, di una presenza al suo fianco. Al che ne parlai con papà e con i vostri zii, fu mia sorella che provava a seguire Micaela che mi consigliò di farti tornare a Boston Gabriel.
Tua sorella in pratica si sentiva sola e stava chiudendosi in un mondo solo suo, escludeva anche i cuginetti. Tu in quanto suo fratello nonostante i dieci anni di differenza potevi essere la sua costante. Ne parlai con Taddheus che effettivamente approvò il consiglio di Terry, dal momento che a settembre dovevi iniziare le superiori Gabriel, potevi farlo a Boston. Così ti trasferisti qui definitivamente e io iniziai a rilassarmi, ripresi anche a frequentare delle donne che a te Gabriel non piacevano proprio.
Arrivasti e Micaela riprese a sorridere, ti seguiva ovunque. Poi diventasti amico di London Thompson e sua sorella Alaska divenne l'ombra di Micaela, foste una salvezza per lei." Disse papà guardando Heidi.
"Mi ricordo! Ero arrabbiato perché uscivi, andavi e frequentavi tante donne. Mi avevi portato via la famiglia che avevo a Monaco, mi sentivo felice lì. Mentre invece poi mi sembrava di essermi chiuso in una gabbia." Ammisi a mio padre interrompendo così il suo monologo.
"Non è vero, cercai di darti quanta più libertà possibile, come a Monaco." Mi rispose lui. "Vero, non c'era una tipica famiglia come quella che avevi lì. Però la zia Terry e i tuoi cugini stavano spesso a casa, a volte eri anche tu che rifiutavi di stare con loro." Disse mio padre.
"Non lo so, ero un ragazzino e mi sono visto strappato dal mio mondo. Posso dire questo, anche adesso sentendo il tuo racconto e vedendo che il nonno assentiva ad ogni tua parola, posso affermare che avevo ricordi contorti della mia infanzia, avevo come un vuoto." Ammisi spossato emotivamente dal prologo della serata.
"Eri un bambino, ovvio che tutto quello che ti circondava era amplificato, inoltre quando si resta traumatizzati si ricorda solo ciò che si vuole." Spiegò il nonno.
"Quindi dopo la mamma non hai più avuto delle relazioni serie?" Chiese Micaela in un sussurro.
Papà annuì. "Ne ho avute, ma erano poche e molto sfuggevoli, inoltre mi ero sottoposto ad un intervento di vasectomia."
Micaela annuì abbracciandomi. "Scusami. Per colpa mia hai dovuto lasciare la tua vita a Monaco e la famiglia cui era tanto legato."
Scossi la testa, era passato tanto tempo. "Ma no, stavo con loro poco. Stavo molfo più con te. Studiavo in un collegio privato e quindi potevo stare con mamma e papà solo durante i fine settimana. Mantenni poi i contatti con gli amici più cari una volta tornato qui." Le dissi per rincuorarla ricordando io stesso che i miei amici europei, Heinrich e Thomas, non mi avevano mai lasciato.
"Perché hai chiesto a papà del suo passato?" Chiese ancora Micaela.
Conprendevo che quelle rivelazioni l'avessero scossa, aveva quindici anni era piccola, curiosa e molto ingenua ancora. Prima o poi avrebbe spiegato le ali e scoperto che lì fuori bisognava tirare fuori le unghia e i denti per sopravvivere.
"Mi avevano chiesto dei figli di papà a Monaco ed ho chiesto ." Ammisi. "Papà ha deciso di rispondermi raccontandoci la sua storia.".
"Perché Raphael non è tornato più a casa?" Chiese ancora Micaela, questa volta a papà.
"Aveva iniziato le scuole lì, quando ha finito le secondarie ha deciso di frequentare il college a Londra." Rispose fiero papà. "Adesso è lì, pronto ha iniziato il suo percorso universitario a Oxford." Rispose.
"Quindi poi ci raggiungerà?" Chiese Heidi.
"Dovrebbe si." Ammise papà. "Appena si laurea."
Heidi mi guardò curiosa. "Tu invece? I tuoi amici europei li hai più sentiti?"
La guardai sorridendole. "Sì. Thomas venne ammesso all'Eton college in Inghilterra, fece un anno poi rientrò al collegio. Heinrich invece continuò nel nostro istituto, poi venne ammesso alla LM university e quest'anno si laurea in medicina."
"Thomas non si è laureato?" Chiese Micaela.
"Ovvio che si. È a Oxford, quest'anno si è laureato, come me in tempo record in economia e marketing, anche lui come me ha aperto una sua società finanziaria. In estate si è fidanzato e mi ha informato che diventerà padre adesso, inoltre a Londra ha trovato Rafael." Raccontai.
"Laurearsi nei tempi stabiliti è la norma." Affermò Heidi.
Scossi la testa. "Non sempre, ti ricordo che non tutti accettano i voti o si presentano agli esami. C'è chi non persevera come te o me e prende l'università molto alla leggera." Spiegai.
Heidi fece una smorfia e cercò Denise con lo sguardo. "Voi due invece come vi siete conosciuti?" Chiese.
Denise sollevò le sopracciglia perfettamente curate e sorrise. "Un paio di anni fa Thomas offrì una borsa di studio a mio figlio maggiore, ci conoscemmo in quell'occasione." Raccontò sospirando. "Dopo un po', alla morte di mio marito, mi propose di essere la sua accompagnatrice alle serate di gala, ai ricevimenti e a tutti gli eventi cui partecipava pubblicamente."
"Non vi siete innamorati?" Chiese stupita Micaela.
Denise rise scuotendo la testa. "No! Ma anche adesso, siamo semplici amici che si tengono compagnia." Specificò. "Io sono ancora innamorata del mio defunto marito. I miei figli, nonostante mi hanno dato la loro benedizione, non penso siano ancora pronti per una mia storia seria." Rispose.
"Quindi non state realmente insieme." Affermai.
Papà mi guardò. "No! Però mi sono stancato di dare nell'occhio, voglio godermi la mia vecchiaia e presto il mio primo nipote." Ammise ammiccante. "Ufficialmente partiremo per un viaggio di nozze a breve. Ma sarà invece un viaggio di lavoro per me e la prima vera vacanza per Denise. Che per giunta è una donna bellissima, anche se non siamo amanti." Disse rammaricato.
Micaela sorpresa prese ancora parola. "Papà! Hai mai pensato di cercare Sapphire in questi anni? Avevi scoperto il suo nome no?" Chiese a papà. Effettivamente col senno di poi e con l'idea di una vita senza amore potevo comprendere la domanda della mia sorellina. Adesso comprendevo perché papà mi aveva spinto a darmi una svegliata con Heidi. Senza volerlo gli avevo fatto rivivere la sua stessa esperienza.
Papà annuì. "Lo feci appena vidi la pubblicazione del suo fidanzamento. Sulla porta venni accolto dai genitori di lei e dal fidanzato. Lui mi disse testuali parole: l'amore non vincerà mai sul potere e sui soldi che la mia famiglia ha." Raccontò rammaricato. "Al che chiesi di poter vedere Sapphire, volevo sentire quelle cose da lei. Ma il padre mi cacciò di casa dicendomi di non azzardarmi più a tornare se non volevo finire in galera. Avevo abusato di sua figlia, poteva denunciarmi e tanto bastava a intimarmi."
"E te ne andasti?" Chiesi a papà. Al suo posto avrei cercato una soluzione. Con Heidi era stato così, anche se lei stessa ovviamente non voleva accettare un matrimonio combinato.
Papà annuì. "Fu la madre di Sapphire ad accompagnarmi alla porta. Disse che in casa sua non voleva sentire urlare o dare spettacolo, che anche i muri avevano orecchi. Mi  prese a braccio portandomi alla porta e di sottecchi mi diede una busta. Quando stavo per dirle che non volevo i suoi soldi lei mi lanciò uno sguardo gelido dicendomi: io non ti ho dato nulla. Dopodiché chiuse la porta alle mie spalle. Furioso sbatterti i pugni alla porta, anche io ero ricco in fondo, se volevo potevo alzare la voce. Non volevo i loro soldi, tanto che presi la busta per strapparla. Fortunatamente mi accorsi in tempo della scrittura delicata di Sapphire sulla busta. La aprii e lessi le poche righe che c'erano. Le ricordo ancora a memoria.
-Purtroppo mio padre ha firmato un accordo a nome mio, ho un obbligo. Sappi che preferirei una vita da povera con te, che una vita da ricca con altri. Sempre tua Sapphire."
"Non potesti far nulla." Dissi a papà che scosse la testa.
"C'ero dentro fin troppo da sapere come funzionavano gli accordi tra ricchi. In fondo voi stessi lo sapete." Rispose papà guardando me e Adela che annuimmo. Roland Hoffman e Kristin Jenkins ne erano un esempio. "Fortunatamente voi avete avuto modo di scegliere e cambiare il vostro destino, in fondo noi non avevamo preso nessun accordo." Disse mio padre. "Ho insistito con tuo nonno che se voleva provare un matrimonio combinato prima doveva parlare con te e farti conoscere la sua candidata, gli dissi anche che probabilmente eri già innamorato di qualcuno. Fortunatamente quando ti ho spronato ad agosto tu hai agito." Concluse mio padre.
Il nonno scoppiò a ridere. "Voi due l'avete fatta in barba a tutti noi.." Ironizzò con un sorriso divertito.
Con tutti i dubbi dissolti la serata si concluse in modo sereno. Il nonno fu il primo a ritirarsi e su consigliò di Denise quella sera restammo a dormire lì per non fare troppo tardi.
I giorni si susseguirono, presi in mano le redini della G&L e pervaso da una sorta di malinconia risentii Thomas, il suo amico Liam adesso anche mio, ed Heinrich.
Heidi intanto studiava al suo ultimo esame annuale, prendeva confidenza con la casa e andava in giro con mamma e Denise.
Il dieci giugno durante un tiepido pomeriggio, nostro figlio Adam decise che era il momento di venire alla luce, regalando a tutti noi una grande e immensa gioia.

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Questa saga a differenza di Dreams è molto più easy e più leggera senza molti shock, dovrebbe essere anche più breve (ne avevo bisogno 😜). Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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GABRIEL
Guardavo mio figlio ogni giorno incantato dalla sua perfezione. Adam aveva tre mesi ed era agli occhi miei e di Adelaide la perfezione fatta persona. Nonostante piangesse la notte o alle volte si rifiutava di mangiare, nonostante riempisse i pannolini di cacca, nonostante ci facesse cambiare i programmi per stare al passo con lui. Nonostante tutto questo nostro figlio era perfetto. I ricci scuri sul viso chiaro e gli occhi grigi scuri come i miei, a tre mesi si guardava intorno seguendo le voci che ormai conosceva bene. Con l'arrivo di settembre Denise e Manila al mattino si organizzavano per tenere Adam, cosicché io e Heidi potessimo seguire l'università. Quando uno dei due non aveva i corsi invece, ci portavamo il bambino dietro a lavoro, entrambi facevamo lavoro di ufficio, io poi essendo capo di me stesso potevo portarmi Adam dietro senza dover chiedere permessi. Heidi al contrario lo aveva dovuto fare, anche se i suoi capi avevano subito accettato la presenza del bambino. La verità, aveva detto Heidi, era che allo studio legale si erano innamorati subito di Adam. Theresa, uno dei soci, coglieva ogni volta l'occasione per poter stare con lui. Suo figlio Eddy, il migliore amico di Heidi stravedeva per Adam. Infatti qualche volta Adela tornava a casa con qualche regalo per il piccolo.
Ancora non avevo avuto modo di conoscere Eddy, sapevo solo che la sua famiglia viveva a Cambridge dove c'era appunto anche lo studio legale. Tutta la famiglia di Eddy viveva tra Cambridge e Lowell, ci sarebbe quindi stato modo di conoscersi prima o poi, come io avrei avuto modo di presentare ad Heidi mia zia Terry. Ero molto legato a lei, quando ero tornato a Boston dodici anni addietro era stata lei la figura materna per me e Micaela, si faceva in quattro per noi, dividendosi tra il suo lavoro, la famiglia e noi altri. Papà l'aveva allontanata quando mi ero stabilizzato a Boston o almeno questo pensavo da ragazzo. Dopo i racconti e le conferme del nonno però avevo molte insicurezze sui miei ricordi. Spesso a telefono anche il mio amico Thomas mi raccontava cose della nostra infanzia che non ricordavo. Prima che papà mi raccontasse la sua storia lo stesso Thomas più volte mi aveva raccontato di Marina. Ma io non ricordavo o come mi aveva detto Tom una volta, ero rimasto traumatizzato dalla sua morte tanto da cancellarla.
Dicisi quindi di chiedere al nonno perché erano anni che non vedevo la zia Terry a casa. Edgar ero riuscito a incontrarlo di nuovo solo ad Harvard quando aveva iniziato i corsi e poi alla KCG durante uno degli incontri con i legali dell'azienda. Ma la zia non l'avevo proprio più vista a casa nostra.
Dopo l'esperienza con papà e scoprendo che per ogni domanda avrei ricevuto comunque una riposta sincera, lo chiesi al nonno quando andai a portargli Adam in visita.
Pensavo fosse la persona migliore a cui chiedere poiché nei miei ricordi, tutto era colpa di papà, se avessi chiesto al nonno probabilmente avrei saputo la giusta verità.
Con Adam sulle ginocchia guardai il nonno che gorgogliava paroline dolci a mio figlio.
"Ma la zia Terry? Come mai non passa mai qui da casa?" Chiesi con noncuranza. "Non ha conosciuto ancora Adam."
Il nonno sollevò la testa guardandomi poi scoppiò a ridere.
"Perché dice che dobbiamo essere noi ad andare a trovarla." Disse divertito .
Fissai il nonno interdetto. "Come scusa? Cioè ricordo che da ragazzo era sempre qui, cosa è cambiato?"
Lui sospirò. "Niente di che. Il suo matrimonio subì il contraccolpo delle sue assenze. Prima che fosse impossibile riparare tuo padre le disse che era ora di tornare costante alla sua famiglia, di fare la moglie e la madre."
"Non potevano venire a stare qui anche loro? Io ricordo che Edgar era sempre qui, giocavamo insieme." Chiesi, anche se papà aveva detto che invece rifiutavo sia di giocare con lui e con Joan all'inizio.
"Certo frequentavate anche la stessa scuola. Proprio perché stavano sempre qui tuo padre, a differenza di Terry, notò comportamenti strani in Edgar. Ne parlò con Terry che gli rispose era un bambino introverso. Ma Thomas non era convinto, così mentre Terry pensava a Micaela e ti aiutava a integrarti, tuo padre osservava i di lei figli Edgar e Joan, fu molto meticoloso nel farlo. Infatti scoprì che a scuola Edgar subiva atti di bullismo, lo chiamavano checca, cocco di mamma, mammoletta, gli rubavano la colazione e i soldi e lui mite li lasciava fare. Qualche volta tornava a casa con qualche vestito strappato. Thomas affrontò Edgard chiedendo in presenza dei genitori cosa accadeva a scuola. La cosa peggiore fu che lui confessò che alcuni studenti più grandi lo avevano preso di mira chiedendogli favori fisici. Tuo padre si arrabbiò a quella scoperta, chiese a tua zia di preoccuparsi dei figli e non di voi due. Edgard doveva andarsene da Boston, non importava se i bambini non si diplomava alla Boston Latin, una scuola doveva far crescere i suoi studenti in un ambiente sano."
Restai basito. "Edgar ha subito degli abusi?" Com'era stato possibile? Perché non me ne ero accorto da ragazzo.
Il nonno annuì. "Ovviamente quando si andò dal rettore e si fecero i nomi, tutto fu insabbiato. Gli studenti che avevano abusato di lui stranamente cambiarono scuola, non ci furono denunce, ne scuse. Tua zia intanto si era trasferita lasciando Boston, andarono nel Connecticut, ad Hartford dove grazie a Karla i ragazzi entrarono nella stesa scuola privata di suo figlio Emmanuel. Lì tuo zio Jason aprì una filiale del suo studio associato e prese a seguire con più frequenze la KCG a livello legale. Edgar si è ripreso, ha seguito un percorso con lo psicologo e i tuoi zii gli sono stati vicino. Intanto io mi stavo chiudendo in me stesso, non lavoravo più e non uscivo. Così tuo padre mi cacciò di casa dicendomi che Terry non sarebbe più venuta a trovarci e che quindi dovevo andare io da lei personalmente per vederla. Tuo padre e i tuoi zii si erano coalizzati per non farmi fossilizzare in casa. Successivamente anche Taddheus iniziò infatti a dirmi che dovevo andare a Monaco per vederlo. Diciamo che in questo modo mi hanno salvato la vita. Se fossi rimasto chiuso qui dentro credo avrei raggiunto molto presto la mia Rosalie." Disse il nonno guardandomi. "I miei figli sono stati la mia salvezza e con loro voi, nipoti miei e adesso..." Sollevò Adam in cielo con un sorriso orgoglioso. "Conoscere il mio primo pronipote è la gioia più grande."
Sorrisi al nonno. Adesso comprendevo tutto un po' di più. Nessuno aveva litigato con nessuno, era la testimonianza che spesso i ricordi infantili venivano col tempo trasformati.
"Non ne avrai altri per ora. Spero tu lo capisca." Lo presi in giro.
Lui fece una smorfia. "Non esisti solo tu. Ci sono Gellert ed Edgar anche."
Lo guardai dolcemente. Non sarei stato io a dire al nonno che Edgar non era interessato alle donne e che Gellert non si lasciava molto coinvolgere affettivamente. "Vedremo."
Lui mi sorrise. "Effettivamente forse farete prima tu e Adelaide a fare il secondo figlio."
Guardai il nonno e scoppiai a ridere. "Probabilmente si!" Gli dissi nello stesso tono e prendendo la palla al balzo decisi di muovermi come mio padre. "Portiamo Adam a fare una passeggiata, approfittiamo delle giornate ancora autunnali." Gli dissi prendendogli il bambino da braccio.
Nonno mi guardò sereno. "Sai cosa? Hai ragione, devo prendere tanta aria buona prima che arrivi il grande freddo. Andiamo al parco?"
Annuii! Saremo andati al parco e ovunque egli volesse, in fondo il nonno era anziano e non sapevo quanto ancora me lo sarei potuto godere. Dovevo cogliere tutte le occasioni.
Decisi! Avrei passato quanto più tempo possibile con lui. Glielo dovevo, era l'unico nonno che mi era rimasto e l'avrei custodito e protetto gelosamente.
Purtroppo i programmi non andarono proprio come mi ero prefisso. A fine ottobre infatti ricevetti una telefonata dal mio amico Liam. Thomas stava vivendo una tragedia familiare ed aveva bisogno di noi. La sua compagna dopo aver partorito la figlia si era suicidata, probabilmente aveva sofferto di depressione post parto e non erano riusciti a intervenire. Per la prima volta lasciavo casa per qualcosa che non era piacevole.
Eppure io potevo aiutare Thomas, i racconti di papà e del nonno mi avevano in qualche modo fatto maturare, lo si faceva per esperienze proprie ma anche altrui se si imparava a condividere. Per l'occasione chiamai anche Edgar, quando era tornato a Boston per studiare ad Harvard lo avevo portato in un viaggio tutti insieme ed aveva anche lui conosciuto Thomas, suo fratello Joel, e Liam. Era stato il fatidico viaggio dove avevo capito lui fosse interessato a Chester e dove quest'ultimo incontrando Gellert se ne era innamorato. Adesso saremo stati di nuovo tutti insieme. Io e Gellert con London e Chester, Edgar, Heinrich e Liam per stringerci intorno a Thomas e Joel. Ero sicuro che avremo potuto farcela.

ADELAIDE
Adam aveva rivoluzionato la mia vita, in meglio! Amavo mio figlio, tanto. Poi era talmente buono che riuscivo a gestire le mie giornate accademiche e scolastiche, senza problemi. Infine, Adam mi aveva fatto scoprire un nuovo lato di mio padre che non pensavo potessi conoscere.
A quattro mesi, Adam Tobias Keller era diventato il fulcro del mondo dei miei genitori e di quelli di Gabriel. Inga e Taddheus ci avevano raggiunto con un volo speciale per conoscerlo e ogni occasione in cui io e Pamela ci sentivamo su Skype era modo per mia suocera di vedere il bambino, seguire la crescita e i progressi. Anche la nonna e la zia Bianca dal Brasile ormai si erano lasciate andare alla tecnologia per poter conoscere Adam e vederlo. La nonna mi chiese di portarglielo a conoscere appena possibile. Lo avremo fatto, era una promessa. Mi chiedevo come la nascita di un figlio potesse influire su una donna negativamente.
Gabriel era partito per Londra, aveva raggiunto il suo amico la cui compagna si era suicidata. Depressione post parto! Ne avevo sentito parlare anche se non me ne spiegavo le ragioni, perché uccidersi?
E se l'amico di Gabriel fosse rimasto traumatizzato tanto quanto mio suocero? Ne sarebbe uscito? Inoltre si sarebbe sentito sempre in colpa poiché non era riuscito a vedere nella compagna i segni della strage imminente?
Non avevo risposte, non conoscevo Thomas Davis se non dai racconti di Gabriel. Lui con Heinrich Keller-Weber erano stati amici con Gabriel al collegio che frequentavano da bambini. Al loro giro si aggiungevano Joel Davis, fratello di Thomas, e Gellert fratello di Gabriel. Erano un gruppo molto compatto e unito, essendo i Davis di origine inglese, spesso durante i week end, anziché restare in collegio, Thomas e Joel andavano a stare a casa dei Keller o dei Keller - Weber per trascorrere del tempo con gli amici. All'inizio avevo pensato che Heinrich fosse, per via del cognome, un cugino di Gabriel. In risposta avevo scoperto che Keller e Meyer, come Schmid e Müller erano nomi molto comuni sia in Germania che in Svizzera.
In pratica Thomas ed Heinrich erano stati gli amici di infanzia di Gabriel, con loro lui aveva fatto tutte le nuove scoperte, era cresciuto ed aveva creato una sorta di fratellanza in mancanza della famiglia. Nonostante la Boston Latin fosse un'accademia infatti, noi eravamo sempre tornati a casa al pomeriggio, dopo i corsi. Invece Gabriel dormiva anche al collegio e col suo amico Heinrich tornavano a casa per il fine settimana. Thomas invece no, essendo inglese lui rientrava solo alle vacanze estive e natalizie. Mi ero chiesta perché un ragazzo inglese, con i migliori istituti anche lì, studiasse a Monaco. Ma non avevo avuto il coraggio di fare una domanda così personale a Gabriel. Quando si trattava dei suoi amici infatti, incluso London, diventava molto protettivo. Infatti erano tutti corsi a Londra, inclusi i miei fratelli, per stringersi intorno al lutto di Thomas, questa la diceva lunga.
Le mie giornate però proseguivano, colsi l'occasione dell'assenza di Gabriel per studiare di più e perché no, per trascorrere anche del tempo con Brooklyn. Lei era sempre stata una persona ligia al dovere ed elegante in tutto ciò che faceva, ma da quando si era sposata sembrava aver preso le distanze. Non riuscivo a capire perché, forse era arrabbiata con me perché mi ero sposata prima di lei? Oppure perché non le avevo raccontato nulla? Era il caso di parlarle e senza la presenza costante di Gabriel era l'occasione giusta.
La chiamai e le chiesi se le avrebbe fatto piacere fare spese insieme, oppure se voleva venire a casa mia. Io c'ero stata a casa sua, anche se mi ero sentita a disagio. Era stato un pranzo molto formale e si era parlato tanto di politica e a sorpresa ldella mia gravidanza. Da allora ne era passato di tempo, avevo rivisto Brooklyn al mio parto e da allora sempre più di rado. Non la vedevo a casa, non la sentivo alla Thompson & sons. Temevo che non volesse più avere a che fare con me. Che l'avessi ferita.
Così ne approfittai! Eddy non c'era, aveva lasciato Cambridge dopo che l'uomo che amava aveva annunciato il suo matrimonio imminente, Jason era partito per il Giappone al fine di portare avanti un contratto ed io avevo il tempo necessario per mia sorella.
Le scrissi un messaggio, sperando che accettasse il nostro incontro. - Ti va di vederci al Magnolia? È tanto che non mangiamo i cupcake speciali che ci piacciono tanto. Ti aspetto oggi pomeriggio alle 17.00, baci Ada.-
Probabilmente sarei rimasta delusa, non sarebbe venuta. Ma ci provai, lasciai Adam da mamma dicendole che avrei visto Brooklyn, lei contenta mi aveva detto di prenderci tutto il tempo e di chiedere a mia sorella di farsi sentire. Io le promisi che l'avrei aiutata con la scelta dei fiori per il matrimonio di Lilian e Chester.
Raggiunsi a piedi Hyde park e da lì arrivai al Magnolia, erano le 16.55 quando entrai e venni pervasa dal profumo di zucchero e the. Mi guardai intorno e piacevolmente sorpresa notai che mia sorella era già arrivata. Non mi aveva evitata, era qui.
La raggiunsi al tavolo guardandola con occhio critico. Indossava un tailleur color grigio perla, non le stava decisamente bene, troppo chiaro per la sua pelle, inoltre era troppo austero. Aveva solo ventuno anni! Però non glielo dissi, non volevo discutere con lei, ero così felice che fosse venuta.
"Ciao!" La salutai mentre si alzava e mi abbracciava.
"Scricciolo!" Mi salutò Brooklyn venendo ad abbracciarmi.
"Mi sei mancata tanto. Non vedevo l'ora di stare sola con te e poterti parlare e... scusarmi." Dissi. "Scusami Brooke se in qualche modo ti ho delusa." Le dissi subito.
Lei mi guardò poi dolcemente mi carezzò una guancia. "Non mi hai delusa... cioè mi avrebbe fatto piacere averti accanto al matrimonio o esserci per te. Ma va bene così, adesso sei tornata."
"E possiamo recuperare il tempo perduto?" La supplicai.
Lei annuì abbassando lo sguardo. "Mi piacerebbe, ma adesso ho una posizione da mantenere, relazioni sociali e adeguati comportamenti." Sussurrò.
La guardai stupita. "Per questo non sei più alla Thompson? Ti ho cercata tante volte lì, poi papà mi ha detto che come moglie di Jonathan non era il caso tu lavorassi più e..." delusa la guardai. "Pensavo ti piacesse il lavoro alla Thompson."
"Lo amavo!" Disse. "Ma Arnold pensava fosse troppo per me. In fondo anche tu hai detto che il lavoro da segretaria è qualcosa di umile."
La guardai sbigottita. "Umile?! Eh no! Ho detto che non fa per me, per essere segretarie bisogna avere un'organizzazione ineccepibile e io sono più una persona diretta e che arriva ai fatti. Tu sei fatta per questo lavoro perché sai come e dove mettere le cose al posto giusto sempre, sai avere un rapporto diretto con tutti, infatti riesci a intrattenere chiunque al telefono e rendevi mansueti i clienti di papà. Tu sei un'assistente perfetta per tutti questi fattori. Non era umile il tuo lavoro ma giusto per te, come l'avvocato lo è per me, perché io non mi tengo le mie. Sarei pessima come assistente, non come avvocato. Io avvocato, tu assistente, mia assistente." Conclusi infervorata. "E cazzo non è un umile lavoro, ma come si permettono."
Brooklyn mi fissò sbigottita. "Tu non sei ancora un avvocato, non posso lavorare con te e papà non mi riassumerà mai. Come Arnold vuole un nipote." Mi confidò.
"State usando precauzioni?" Le chiesi, in fondo non era difficile restare incinta, proprio per questo con Gabriel avevamo deciso di usare gli anticoncezionali. "Sono otto mesi che siete sposati, giusto?
"Nove! Il problema è che... Jonathan non è Gabriel, credo sia palese, lo hai sempre detto anche tu. Lui è molto passivo." Spiegò Brooklyn.
"Nel senso che sei tu che domini nei rapporti? Guarda capita anche a me, io e Gabriel spesso e volentieri invertiamo i ruoli." Dissi ammiccante. Effettivamente con Brooke adesso potevo parlare anche di sesso.
La sua espressione però mi fece desistere, era cadaverica. "No! Lui non mi cerca proprio. Abbiamo avuto pochi rapporti, tutti a inizio matrimonio. Poi fortunatamente, basta." Mi disse. "Jonathan non è come Gabriel, lui pende dalle tue labbra, mio marito pende da quelle dei genitori." Concluse sarcastica.
"Brooklyn ma questo non è normale.Come anche che tu ne sia sollevata, non c'è niente di più bello che fare l'amore col proprio marito." La incoraggiai.
"Per me non è così! Con Jonathan è tutto insapore... quando viene spero che finisca subito." Mi confidò.
"Hai detto che non ti cerca mai. Forse il problema è proprio lui, ovvio non posso esserne certa. Ma se non vuole farlo penso sia qualcosa di più grosso." Ipotizzai.
"Chester e Lilian lo fanno, nonostante tutto." Affermò Brooklyn.
La guardai. Ok anche Brooklyn aveva capito che Chester non era tanto eterosessuale, a quanto ne parlava anche Lilian ne era consapevole. Ma allora perché si sposavano? "Posso informarmi?"
Brooke scosse la testa. "Nooo! Se si venisse a sapere... me ne vergogno troppo Adela."
La guardai, avevo il cuore spezzato per lei. "Cosa vuoi fare?" Le chiesi.
Brooklyn si coprì il viso con le mani. "Mi piacerebbe tanto tornare a lavorare, indossare i vestiti che mi piacciono, pettinarmi come piace a me e poter incontrare chi voglio io. Ma non è possibile, Arnold vuole un nipote e io non so come fare!"
"Semplicemente se insiste tu digli che sarebbe il caso di far fare un controllo anche a Jonathan. Tu sei sana, la Pontes ti ha fatto tutti gli accertamenti." Le dissi sapendo che non era Brooklyn il problema.
"Per il resto lasciamo finire quest'anno accademico. L'anno prossimo verrò assunta come stagista nello studio associato e vedrò di farti inserire. A differenza di papà io non ti faccio licenziare, ok?" Le dissi convinta. Avevo lottato per me, lo avrei fatto anche per i miei fratelli se era necessario. "E per l'amore del cielo questo colore ti sta malissimo." Conclusi.
Lei per la prima volta mi guardò sorridendomi. "Lo so! E non parliamo delle scarpe, ho dovuto fare il funerale alle mie jimmy choo." Scherzò.
"Le sniker per me saranno sempre le migliori. Però se non sai a chi dare le tue jimmy choo posso adottarle con piacere." Scherzai alzando la mano e facendo un'ordinazione super calorica. Mia sorella doveva imparare a infrangere le regole, non era mai stata una ribelle. Ma i nostri genitori ci avevano insegnato a non farci mettere i piedi in testa, e i Jenkins non potevano farlo con Brooklyn.
Ci lasciammo più tranquille, avevamo il cuore in pace e soprattutto avevo detto a Brooklyn di chiamarmi in qualsiasi momento della giornata. Anche solo per urlare quando non poteva farlo a casa Jenkins, io le avrei risposto.
Due giorni dopo l'incontro con Brooklyn, Gabriel tornò a casa. Mi disse che a Natale i suoi amici ci avrebbero raggiunti a Boston, così avrei avuto modo di conoscerli.
Mi raccontò anche come era andata la situazione familiare di Thomas, di come Vanessa, la sua ex compagna aveva progettato di farsi sposare con una gravidanza inattesa e poi acquisire il suo titolo nobiliare oltre ai suoi soldi. La cosa che lei non aveva calcolato era che Thomas non aveva il capitale milionario che lei aveva creduto, ne rapporti stretti con la famiglia reale. Così ancora prima della nascita della bambina si erano lasciati. Nata la bambina, era andata in depressione, thomas aveva fatto di tutto per aiutare Vanessa, ma non essendo presente nella sua vita, non aveva potuto prevedere il suicidio. Era stata la madre di Vanessa forse a istigare il suicidio, Thomas aveva trovato Vanessa morta per overdose di medicinali appartenenti alla madre, i soccorsi erano arrivati troppo tardi.
"Gli ho consigliato di venire qui per Natale, sua figlia Kristal ha quasi due mesi in meno ad Adam e potrebbero stare insieme. Inoltre cambiare aria potrebbe fare bene a lui e Joel." Mi disse.
Compresi le sue spiegazioni e sinceramente non vedevo l'ora di conoscere i suoi due amici europei.
La vita ritornò a percorrere normale, iniziai a dare i miei esami e fortunatamente sempre con gli eccellenti risultati cui mi presagivo. Chester e Lilian stavano per sposarsi e un nuovo anno stava per arrivare. Con esso anche le brutte sorprese.
Eravamo alla nostra caffetteria preferita, poco distante dallo studio associato, io e Eddy, lui mi fissava da un po'. Ordinammo e una volta soli ecco che fece esplodere la bomba.
"Mi trasferisco." Con questa affermazione Eddy mi lasciò a bocca aperta.
"C-come? Cosa?" Gli chiesi. Era impazzito? Era a un passo dalla laurea e aveva un lavoro assicurato lì.
Annuì. "A Londra ho conosciuto un ragazzo. Andrò a vivere con lui e prima di poter dire di trasferirmi mi sono informato e posso laurearmi a Cambridge in Inghilterra." Mi spiegò.
Avevo il magone. Quando era successo e perché non me lo aveva detto prima?
Lui scosse la testa, sapeva sempre come leggermi dentro. "Mi avresti convinto a restare e io ho bisogno di andare, partire e mettermi in gioco." Mi disse.
"Mi lascerai sola, qui con tutti." Gli dissi afflitta.
Eddy mi guardò con i suoi immensi occhi azzurri, uno sguardo comprensivo. "Hai la grinta necessaria a farti strada ovunque. Tesoro tu sei tanta roba e lo sai, stai proseguendo il tuo cammino accademico lasciando indietro gli altri. Mio padre stravede per te e pensa di definirti sua erede, sai che appena avrai conseguito il tuo terzo anno di diritto passerà il tuo contratto da stagista a legale?" Mi informò e Dio no! Non lo sapevo e mi sorprese la cosa.
"Impossibile, sono giovane e non conosco tutte le cose per cui Jason è il top." Ammisi.
"Non le sai, ma sei giovane e questo è quanto basta." Mi disse lui. "Adela, dopo quest'anno ti indirrizzerai al diritto internazionale, già oltre agli esami di diritto civile stai presentando quello di diritto societario, sei avanti." Affermò lui.
"Sto solo riempiendomi di altre cose che voglio fare e non è positivo." Ammisi. "E senza di te non potrò farcela." Conclusi ritornando sul vero motivo per cui ero lì.
"Oh no mia cara! Stai facendo un percorso perfetto e proficuo, per questo io ti aspetterò a Londra. Quando l'anno prossimo mio padre ti assumerà a pieno diritto alla Murphy & Williams. Vado in Europa, a Londra dove io e mio cugino apriamo un nostro studio associato, mio cugino lavora solo sul diritto aziendale e internazionale. Ada, vorrei che tu facessi parte del mio progetto e non di quello dei miei genitori." Mi raccontò. "Vorrei che tu fossi il mio tramite con gli Stati Uniti e non solo. Ne ho parlato già con papà, lui è disposto ha farti diventare grande cosa. Se mantieni i tuoi propositi potrai essere la voce della Murphy & Williams in Europa e Asia." Mi spiegò per sommi capi.
"Questo significa viaggiare tanto." Ammisi. Lo guardai, ricongiungermi con Eddy una volta laureata sarebbe stato bellissimo, ma ciò comprendeva sacrificare Gabriel e Adam e non sapevo se ne avrei avuto la forza di farlo. Il diritto aziendale mi assicurava un lavoro anche solo a Boston. C'erano tante aziende e con tutto il lavoro che ci sarebbe stato avrei potuto benissimo lavorare senza dover viaggiare. Ne avevo parlato anche con London e Gabriel, eventualmente di entrare a far parte dello staff legale della G&L. Mio fratello si era dato favorevole, anzi mi aveva anche ricordato che i legami della Thompson erano anziani e che i miei studi e le mie proposte sarebbero state una ventata d'aria fresca nella società paterna.
Dovevo pensarci e parlane con Gabriel. Per il momento mi sarei tenuta per me i miei progetti futuri.
"Promettimi che ci sentiremo ogni giorno." Gli dissi col cuore in gola.
"Certo che si! Voglio vedere come cresce tuo figlio. Inoltre ti aggiornerò sulla mia vita privata con George e della tesi, della società... quando verrai a Londra ti presenterò mio cugino Gel! Sono sicuro che sarete una squadra perfetta come legali." Il suo chiacchiericcio era contagioso, annuivo e acconsentivo a tutto ciò che diceva.
Era Natale, il ragazzo che aveva amato si era sposato e presto avrebbe lasciato Boston. Illuderlo era il minimo che io potessi fare per lui.
Fortunatamente il periodo natalizio mi permise di non soffermi a pensare alla partenza di Eddy. Le prove vestito per il matrimonio di Chester, l'università, il lavoro e infine l'arrivo di Thomas, Joel ed Heinrich dall'Europa.
Per l'occasione e data la chiusura invernale dell'università, ci eravamo trasferiti nella maniero dei Keller, così sia Adam, che adesso aveva sei mesi, che Kristal la figlia di Thomas, avrebbero avuto una stanza dei giochi.
Rimasi sorpresa, se non sconvolta, quando mi trovai di fronte Thomas. Era un bell'uomo, alto, biondo con gli occhi azzurri, il naso diritto e perfetto, gli zigomi alti, la linea della mascella era simile a quella di Gabriel, squadrata, una fossetta sul lato destro della guancia quando sorrideva. Erano sorprendentemente simili mio marito e Thomas, se non fosse stato per i colori opposti, avrei potuto definirli quasi gemelli. Per questo appena mi fu presentato non riuscii a proferire parola, lo stesso mio suocero era meno loquace del solito. Erano Gabriel e Tobias a tenere banco per noi.
Così mi dedicai agli altri ospiti. Joel, anch'egli biondo e con gli occhi azzurri, al contrario del fratello Thomas, aveva un viso ovale dalla linea morbida, lo sguardo era dolce, una spanna più basso dell'altro, con un fisico sempre modellato. Sembrava molto in confidenza con mio suocero e non sorpreso della somiglianza tra lui e il fratello maggiore.
Heinrich era invece moro, la pelle era color avorio, gli occhi verdi e i capelli mossi neri che gli arrivavano al collo, era alto quasi quanto Gabriel e Thomas. Decisamente erano uno più bello dell'altro. Micaela dietro di me era un continuo wow. Non potevo biasimarla, anche io a sedici anni avrei reagito così e non ero ipocrita, Gabriel era sempre stato bellissimo ed ero sempre stata attratta dalla sua bellezza statuaria.
"Grazie per averci ospitati." La voce di Heinrich aveva interrotto il nostro silenzio sbigottito.
Thomas al mio fianco si rivolse finalmente a Thomas Davis. "Posso prendere tua figlia? Ha cinque mesi, giusto?" Si informò.
L'altro Thomas annuì passando la bambina a mio suocero e parlando orgoglioso della figlia che adesso si teneva seduta da sola e cercava di mettersi a pecorella quando era a terra.
"Chiedo scusa per l'omonimia signor Keller." Disse ironico affrontando il suo sguardo. "Potere chiamarmi Tom, come fanno tutti." Disse tra una cosa e l'altra l'inglese. "Non Tommy." Precisò.
Fatti accomodare tutti nella sala degli ospiti, misi mio figlio sul tappeto dei giochi sempre più sospetta. Come faceva quel tipo ad essere così simile a Gabriel, peggio identico a mio suocero se non fosse stato per i colori.
"Quindi Tom? Hai studiato in un collegio di Monaco?" Gli chiesi per capire qualcosa di più sulla sua famiglia.
Lui annuì. "Si! A cinque anni ricevetti la lettera di ammissione per la scuola europea di Monaco. Mamma mi spiegò che un famoso filantropo si era interessato a me e aveva richiesto appunto che frequentassi la scuola europea, a Londra non ci sono scuole europee e mamma acconsentì. Così sia io che Joel abbiamo iniziato lì il nostro percorso accademico." Spiegò Tom.
Il secondo annuì. "Mamma voleva per entrambi le stesse opportunità, così andai anche io." Confermò Joel.
Assentii. "Gabriel mi ha detto che vi conoscete tutti e tre dall'ultimo anno di materna. Tu sei figlio di un premio Nobel, giusto Heinrich?" Chiesi all'altro.
Il moro annuì. "Mio padre è stato Nobel alla fisica, mia madre invece è una nota ricercatrice medica." Rispose.
"Laureato in medicina, cardiologia, giusto?" Chiese mio suocero mettendo la piccola Kristal accanto ad Adam.
Heinrich assentì. "Ho da poco iniziato la specializzazione in chirurgia, ma proseguirò appunto con la cardio chirurgia." Disse fiero.
"Tu invece Tom sei stato ammesso alla Eton e poi hai studiato a Oxford. Joel invece?" Chiese il nonno.
"Si fui ammesso alla Eton, ma mamma mi rimandò alla scuola europea dopo il primo anno, mi disse che avrei potuto iniziare a studiare prima economia e mi convinse." Disse Tom.
"Anche io ho continuato alla scuola europea, dopodiché mi sono iscritto all'università di Monaco, sto continuando il mio percorso in psicologia sociale. Poiché mio padre non accettava questa mia tendenza ho deciso di accettare l'aiuto del nostro filantropo che mi ha spinto a fare ciò che volevo." Ammise mite Joel.
"Tuo padre non voleva ti laureassi?" Chiesi comprensiva.
Lui scosse la testa. "Papà avrebbe preferito una laurea in economia e commercio, come Tom. Ma a differenza sua io non sono così appassionato. Tom invece ce l'ha nel sangue, i calcoli e i numeri, le strategie di mercato. È un asso!" Rispose orgoglioso Joel.
"Avete altri due fratelli, giusto?" Intervenne mio suocero.
Joel annuì. "Sì, Samuel e Diamond, la ragazza." Rispose dolcemente.
"Perché Samuel non ha frequentato la scuola europea?" Chiese ancora Thomas, ero sorpresa di come mio suocero fosse così ben informato sugli amici di Gabriel.
"Il padre non ha voluto." Disse secco Tom. "Lo ha mandato alla Eton." Concluse sempre nello stesso tono.
Quindi non avevano lo stesso padre? Feci per chiederlo, ma Gabriel mi sfiorò la mano scuotendo la testa. Probabilmente non era il caso.
Lasciai scivolare l'argomento dedicandomi su Heinrich.
La notte, una volta in camera nostra Gabriel mi raccontò del suo amico Thomas. "Nonostante sia nato dal matrimonio della madre con Andrew Davis, lui non è suo figlio. Se non fosse stato per il benefattore che lo ha iscritto alla nostra scuola Tom avrebbe frequentato una tranquilla scuola pubblica, mentre Joel sarebbe sicuro andato alla Wetherby School."
"Cioè il padre faceva le distinzioni?" Chiesi inorridita a Gabriel.
"Resti tra noi Heidi. Tom è tornato alla scuola europea perché Davis picchiava lui e sua madre. Ma lei preoccupata per il figlio lo rimandò a Monaco."
"Come mai Joel è riuscito a entrare nella scuola europea e Samuel no?" Chiesi ancora. Sentivo che qualcosa mi stava sfuggendo.
"Per via della nonna 'paterna'. Il famoso benefattore ha mantenuto con lei tutti i contatti e quando Thomas è stato iscritto ha chiesto che anche Joel avesse le stesse occasioni del fratello. Probabilmente sarebbe stato così anche per Samuel e Diamond."
Gia il benefattore, l'uomo che aveva dato modo di studiare ancora ciò che desiderava a Joel. "Mi dispiace per Thomas, non è cresciuto in un buon ambiente e se non si fosse trasferito a Monaco forse avrebbe vissuto un'infanzia traumatica." Gli dissi.
Gabe annuì. "Sì hai ragione. Infatti io e Thomas siamo stati bene alla scuola europea, siamo cresciuti insieme, abbiamo vissuto parecchie avventure insieme, alcune volte riuscivamo a portare anche Joel. Addirittura quando c'erano feste papà ci prendeva tutti in gruppo e ci portava in Italia o a passare week end insieme. Poi quando alla primaria arrivò anche Heinrich diventammo come i tre moschettieri e D'artagnan." Disse divertito e malinconico. "Sono stato contento quando London, Thomas ed Heinrich si sono trovati subito amici." Ammise. "La prima parte della mia vita con l'altra parte. Thomas ed Heinrich sono stata la costante della mia infanzia."
"Siete coetanei e vi siete formati insieme." Mi ricordai.
"Sì, poi io e Thomas abbiamo solo dieci giorni di differenza." Ammise Gabriel.
Annuii. Tom... o Thomas. Così identico a mio suocero e con lo stesso nome, ma con un'infanzia così triste, probabilmente era cresciuto col desiderio di conoscere il padre. Andrew Davis non sembrava una bella persona.
In fondo mio suocero lo aveva detto parlando di Andrew Davis cosa egli pensava. L'amore non vincerà mai sul potere e sui miei soldi.
A quel ricordo sussultai sollevandomi su. "Gabriel.... La mamma di Thomas, come si chiama?" Chiesi.
Lui mi attirò a se baciandomi. "Non lo so. La conobbi come lady Cooper, per me era la mamma di Thomas." Disse lui.
"Il marito di Sapphire..."
"Si lo so!" Mi interruppe lui. "Hanno lo stesso nome e io non ho mai detto a papà di Samuel e Diamond." Mi informò. "Inoltre non sono cieco amore." Concluse.
"Il benefattore di Thomas... oh Dio Gabriel."
Lui rise tirandosi su. "Sai il secondo nome di Thomas è Uriel."
"Uriel?" Chiesi
"Il quarto arcangelo, la fiamma di Dio." Spiegò Gabriel. "Tom ha sempre detto che aveva quel nome, perché non era morto in gravidanza. Per tutte le percosse subite dalla madre all'epoca, Tom è nato prematuro ma era forte."
Strinsi le braccia intorno a Gabriel. "Povera donna. Avrebbe dovuto denunciarlo, andare via."
"Se ho ben capito la signora Davis sta aspettando che Diamond compia 18 anni."
"Lei... vive con suo padre?" Chiesi.
"No, Tom ha iniziato a lavorare all'età di diciotto anni. Ha fatto dei buoni investimenti tanto da portare a iscrivere Diamond in una scuola svizzera. Lontano da lui in pratica." Mi spiegò.
Assentii. Ne io, ne Gabriel avevamo detto ciò che era scontato. Ma era palese a quel punto che Thomas Uriel Davis era suo fratello. Vuoi per il nome, vuoi per l'evidente somiglianza con Thomas Keller, insieme ai suoi racconti, tutto combaciava.
Trascorremmo le vacanze di Natale con questa consapevolezza, sorprendendomi che anche i Davids ed Heinrich fossero stati invitati al matrimonio di Chester e Lilian.
Tutto sommato il periodo natalizio scorse via tranquillo, Thomas sembrava abbastanza sereno nonostante la tragedia vissuta meno di un mese prima.
"Per me è importante che mia figlia e mio fratello stiano bene e ne siano usciti indenni. Solo così posso stare bene e devo ringraziare voi di questo." Ci disse una sera mentre fissava la piccola Kristal che appoggiava la testa alle gambe di mio suocero.
Chissà se anche lui aveva capito di essere il figlio di Thomas Keller.
"Tua figlia è uno splendore." Gli dissi.
Lui fece una smorfia divertita. "A casa mia lo siamo tutti." Ironizzò guardando Adam che cadeva sul sedere. "A cominciare da mio padre Thomas." Ammise in un sussurro.
"Tua madre invece Sapphire, giusto?" Gli chiesi rischiando.
Lui sospirò intanto che Joel fece una pernacchia sulla pancia di Adam che rise di gioia. Poi annuì.
"Anche lei è splendida, devo tornare da lei. Non posso ancora lasciarla sola." Ammise Tom.
"Mi raccomando, sentiamoci adesso che ritorni a casa. Tienici aggiornati." Gli disse Gabriel.
"Sono sicura che casa tua non possa essere sostituita. C'è tua madre lì! Ma qui avrai sempre una famiglia ad aspettarti." Gli dissi dolcemente.
Lui ci guardò me e Gabriel, posò lo sguardo su mio suocero e il 'nonno' annuendo. "Ne sono certo." Affermò.

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***



COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: © Questa è una saga, non una serie, per me c’è distinzione la saga ha come fondamento una famiglia, la serie al contrario un gruppo di persone collegate tra di loro ma senza legami famigliari. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.
La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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BROOKLYN
Mi sentivo distrutta. Dopo tre anni di matrimonio inconcludente ero rimasta sola. Sola e ridicolizzata davanti tutta la società di Boston.
Ero la figlia maggiore di Adam e Manila Thomson, diplomata con voti eccellenti. Al mio ingresso in società otto anni prima, avevo conosciuto Jonathan Jenkins, primogenito figlio dell'allora giudice Arnold Jenkins, e da allora ero ufficialmente diventata la sua fidanzata. Il nostro fidanzamento era stato ben voluto dai miei genitori. Quando Jonathan aveva iniziato a frequentare casa nostra per conoscermi, i miei genitori entusiasti subito avevano approvato.
Ero stata lusingata dallo scoprire che il giudice Jenkins mi aveva trovata adeguata al suo unico e primo figlio, ero spiccata alla mia festa di debutto e a quella delle altre. Il fisico esile è minuto dovuto a anni di danza, i lisci capelli biondo scuro e l'aria algida avevano fatto da soli il loro lavoro. Non mi consideravo bella, per me la bellezza erano mia madre e mia sorella Adelaide, quando le osservavo, la loro pelle olivastra attirava la mia attenzione, come le forme rotonde dei seni e dei fianchi, erano invidiabili. Ne mia madre, ne mia sorella mi avevano mai fatta sentire da meno di loro, ma io in cuor mio, nel mio piccolo, ci avevo sempre sofferto, senza dire loro nulla.
Per me fu quindi una piacevole sorpresa essere notata da Jonathan. Accettare la sua corte, nonostante ne discutessi con Adela che diceva potevo avere di più.
Al fianco di Jonathan facevo ciò per cui ero nata ed ero stata cresciuta. Ero la compagna ideale, ospite perfetta, spalla indiscussa del mio compagno.
Jonathan era molto remissivo, di poche parole. Raramente spiaccicava un paio di frasi di seguito in una conversazione. Da quando stavamo insieme quello era diventato il mio compito. Per questa sua peculiarità mi incuriosiva vederlo al lavoro in un'aula di tribunale, Jonathan era laureato in giurisprudenza, anche se a ben comprendere non era abilitato alla professione. In fondo aveva già un lavoro nello staff tecnico del padre.
Una volta diplomata alla Boston Latin academy io stessa avevo iniziato a lavorare come segretaria alla Thomson & sons, anche se nel corso degli anni avevo preso parecchie specializzazioni ed avevo fatto dei corsi e dei viaggi integratici. Ogni anno scolastico da quando avevo iniziato le superiori era stato un viaggio a Milano in Italia, a Francoforte in Germania, a Seul in Cina. Avevo smesso di fare i viaggi scolastici quando mi ero fidanzata ufficialmente con Jonathan, allora avevo continuato a studiare lingua tedesca e cinese da sola, mantenendo i contatti con gli amici che mi ero fatta durante gli scambi culturali. Questo perché l'idea di lavorare con papà come assistente e avere contatti con l'estero in modo chiaro e pulito era fondamentale.
La mia vita era perfettamente organizzata.
Lavoro, casa, Jonathan, le giornate con le amiche, la chiesa. Successivamente la campagna politica di Arnold Jenkins e infine, il mio matrimonio.
Tutto volgeva regolarmente e come nei piani, fino a quando mia sorella Adelaide non era 'scappata' per esaudire il suo sogno di una laurea in legge. Sarebbe stato uno scandalo se la mia famiglia non avesse rigirato la sua fuga come la realtà dei fatti. Adelaide è fidanzata con Gabriel e sono andati insieme in Germania.
Era stata una toppa per aggiustare il vestito. Lo pensavamo tutti, fino a quando London non ci comunicò che Adela e Gabriel si erano sposati e aspettavano un bambino.
Ero rimasta scioccata! Mia sorella si era sposata senza dirmi nulla, ne farmi sapere della sua gravidanza. Non era difficile capire che il loro era stato un matrimonio riparatore. Non come il mio con Jonathan.
Avremo dovuto sposarci a luglio del 2009, ma per sopperire a uno scandalo politico Arnold decise di spostarlo a febbraio. Odiavo i cambi di programma, anche se a farli era il senatore Jenkins, il mio vestito non era pronto ed il viaggio di nozze era programmato per luglio e non per febbraio.
Ovviamente però Jonathan faceva ciò che gli ordinava il padre, io e la mia famiglia eravamo costretti a fare altrettanto.
Il quattordici febbraio, giorno di San Valentino io e Jonathan convolammo a giuste nozze. Sapevo che c'erano chiacchiere in giro, il matrimonio era stato anticipato di ben cinque mesi, i pettegoli pensavano che io fossi incinta. Ma quella non era la verità! Come aveva sempre notato anche Adela, Jonathan non era mai andato oltre i nostri casti baci sulle labbra. Avrebbero avuto prova col tempo che non era un matrimonio riparatore il mio.
La celebrazione fu perfetta ed il rinfresco fu altrettanto scrupoloso e attento. A fine giornata ero la signora Jenkins e sinceramente fremevo all'idea di dormire finalmente con Jonathan e di avere il nostro primo rapporto.
Lilian, la ragazza di Chester nonché mia amica dall'infanzia, lo raccontava come qualcosa di unico e indescrivibile, un piacere che faceva andare via tutte le inibizioni. Sorpresa dalle sue parole, la ascoltavo sempre estasiata. Non mi aspettavo che Chester fosse così appassionato in realtà, eppure i racconti di Lilian erano sempre molto piccanti.
-Tu e Chester ci date dentro. Jonathan non vuole toccarmi prima del matrimonio.- Le avevo confidato una volta.
-Chester è bravo a letto, bisogna pregarlo per una bottarella, ma quando lo fa da il massimo. Mai bravo quanto Jim il mio primo amante, lo ammetto.- mi aveva risposto.
Da quella conversazione ne avevo dedotto che gli uomini erano tutti uguali, facevano finta che gli piacessero le ragazze esperte e spudorate, ma nella loro vita volevano le santarelline. Per questo fino ad allora Jonathan non mi aveva toccata, voleva che arrivassi intatta alla nostra prima notte di nozze.
Soli nella nostra suite dopo aver tolto il vestito avevo indossato la camicia da notte sexy che io, mamma e Lilian avevamo scelto per quella sera. Di sotto solo un sottilissimo slip di pizzo sempre bianco, lavai i denti e pettinai i capelli dopodiché uscii per offrirmi a mio marito.
Fuori la stanza era buia, sorpresa mi avvicinai al letto. Jonathan era lì e... russava.
Ero destabilizzata! Non mi aveva aspettata? Eravamo sposati.
"Jonathan..." lo chiamai.
Bofonchiò qualcosa girandosi altrove. Mi stava ignorando!
"Jonathan è la nostra prima notte di nozze." Gli ricordai.
"Mmm... dormi... sarai stanca..." mi rispose aggiustando le coperte.
Serio? Basita mi sollevai dirigendomi al bagno. Accesi la luce guardandomi allo specchio. Volto cesellato, naso dritto con la punta leggermente in su, zigomi alti e due occhi azzurri come il cielo limpido. Portai una mano al collo di cigno oltre i capelli, la feci scendere per arrivare ai seni piccoli ma sodi, poi più giù sul vitino da vespa, fino al pube.
Cos'avevo che non andava?
Mi tornavano in mente le parole di Adela. "Come fai a stare con Jonathan? Non vi vedo mai scambiarvi effusioni, mamma e papà ancora lo fanno."
Soffocai un singhiozzo! Perché Jonathan si era addormentato? Perché non aveva aspettato, come me, fremente quel momento? Mi lavai la faccia, il rimmel che colava sulle gote bianche, essere bella e perfetta per chi? In fondo non c'era nessuno ad aspettarmi.
Uscii fuori e mi diressi a letto senza alcuna aspettativa mi coricai. Il sonno tardò ad arrivare, ma alla fine venne.
Fui svegliata al mattino da Jonathan. Mi stava toccando la spalla, era vestito e mi fissava.
"Forza Brooklyn. Abbiamo appuntamento con i miei genitori a breve. Alzati e preparati per la colazione." Mi disse allontanandosi e infilando i gemelli alla camicia.
Mi tirai su! Colazione con i Jenkins la mattina dopo il matrimonio. Assurdo. Andai a cercare qualcosa nella mia valigia, un abito che fosse adatto alla colazione, passai davanti a Jonathan nella mia mise provocante ma non ci pensò proprio a degnarmi neanche un complimento. Presi un abito color panna con scollo a barca ed entrai in bagno per vestirmi e lavarmi.
Dopo meno di mezz'ora ero impeccabile seduta accanto a Jonathan, di fronte ai genitori.
"Mia cara! Spero tu abbia passato bene la notte." Mi aveva salutato mia suocera. "Ho riservato a te e Jonathan un ala della nostra villa, poi in questi giorni andremo a far spese per aggiornare il tuo guardaroba."
Guardaroba? In questi giorni? "Io e Jonathan dovremo partire per la luna di miele e in attesa del viaggio avevo programmato un week end negli Hampton." Le avevo detto.
Mia suocera mi fissò con i suoi occhi castani. "È stato annullato. Abbiamo altre incombenze a cui pensare adesso, tra cui..." disse Amelia Jenkins indicando il mio vestito. "Il tuo guardaroba. Consiglierei anche di dare un taglio drastico ai capelli, la frangia mia cara è per le ragazzine."
"Sono la figlia di Adam Thompson, il mio guardaroba è più che adeguato." Le dissi.
"Non a quello dei Jenkins. Sei la signora Jenkins adesso, ci vuole qualcosa di più classico, qualche tailleur e dei twin set, gonne a tubino, cappelli chic..."
"N-no! Non voglio questi vestiti." Le dissi.
"Sei una bambina?" Asserì Arnold fissandomi. "Questi capricci non sono ammessi, dovrai apparire al meglio come signora Jenkins."
"Posso apparire bene con i miei vestiti." Cavolo, avevo stile nello scegliere i vestiti, consigliavo sempre la mamma e Adela, e adesso loro mettevano in dubbio il mio gusto?
"Non sei più una bambina ma una donna e devi vestirti adeguatamente. "Disse ancora Amalia.
"Questo è più che adeguato." Conclusi.
"La signora Jenkins non si veste così. Ti ho scelta su tante Brooklyn, quindi vedi di fare il tuo dovere." Concluse Arnold.
Mi aveva scelta? Guardai Jonathan sospetta. Lui di rimando sospirò guardando suo padre. "Brooklyn farà quello che le si chiede, lei sa come deve comportarsi in società, non come sua sorella minore." Concluse mite.
"Mia sorella sa comportarsi." Assurdo, adesso dovevo difendere Adela e da quell'omuncolo che non mi difendeva dinnanzi ai genitori. Mi alzai dalla sedia e presi la borsa guardando Jonathan. "Sei o non sei intenzionato a comportati da marito?" Gli chiesi.
"Lo penso anche io." Concluse Arnold Jenkins rivolgendosi al figlio. "Metti tua moglie al suo posto Jonathan."
Mettermi al mio posto? Era uno scherzo? Fissai Jonathan, il suo sguardo andava da suo padre a sua madre, non mi calcolava proprio. In linea di massima ascoltava sempre ciò che gli diceva sua madre, il padre non lo teneva mai in considerazione. Si alzò anche lui dalla sedia e mi afferrò per il braccio.
"Devi fare ciò che ti viene detto. Se avessi voluto una Adelaide avrei preso tua sorella Brooklyn." Affermò tranquillamente.
Lo fissai, poi guardai i coniugi Jenkins. "Non cambierò il mio guardaroba." Affermai. "E non sono la signora Jenkins dal momento che Jonathan non ha toccato sua moglie." Dissi mettendo la borsa in spalla.
Arnold Jenkins fissò entrambi. "Non avete consumato?" Chiese guardando il figlio con sospetto.
"E-ero stanco." Rispose al padre.
Arnold piegò il quotidiano che fino a quel momento aveva tenuto aperto. Lo chiuse per bene guardando ora me, ora suo figlio.
"È il caso quindi che partiate per il vostro week end e che adempite ai vostri obblighi matrimoniali."
"Possono..." intervenne Amalia.
"Partire anche subito." Concluse Arnold alzandosi e guardandomi. "Al vostro ritorno mi aspetto una devota signora Jenkins." Concluse.
Un'ora dopo eravamo partiti, diretti verso gli Hampton. Jonathan durante il tragitto mi accusò solo di aver detto i fatti nostri al padre.
"Non avresti dovuto rivelare che non abbiamo copulato." Aveva detto. "Non farlo più." Poi si era chiuso nel suo solito silenzio.
Arrivati alla villa ci sistemammo e a sera andammo alla cena che avevamo programmato in uno dei locali più famosi.
Cenammo in silenzio, il viaggio stava rivelandosi una noia, poiché Jonathan volle subito rientrare. Io avrei con piacere fatto una passeggiata sulla spiaggia, invece fui costretta a seguirlo.
Quando uscii dal bagno per l'ennesima volta, pronta per la notte, trovai di nuovo Jonathan a dormire.
La situazione stava diventando ridicola. Andai a stendermi e sorprendendomi Jonathan mi abbracciò dandomi un bacio.
Mi voltai stringendolo e guardandolo. Avvertii le sue mani che mi sfilavano le mutandine e poi il calore del suo corpo. Non avvertivo granché, non c'era piacere o come diceva Lilian estasi.
Sentii dolore al pube, mentre Jonathan schiacciava contro di me. Una, due... tre volte e poi si scansava sospirando.
"Buonanotte Brooklyn." Mi salutò.
Ero scioccata. Non ebbi il coraggio di proferire parola.
Quello era il famigerato sesso? Mi ero tenuta vergine per così tanto tempo, per quello?
Non sapevo cosa pensare. Il week end passò e con esso anche le mie aspettative. Al rientro trovammo piacevolmente un viaggio verso le Maldive, Arnold reputava che effettivamente dovevano fare un adeguato viaggio di nozze. I quindici giorni furono splendidi. Jonathan non mi calcolava quasi mai, io volevo andare in spiaggia e scoprì anche la passione per le immersioni, scoprire il mondo marino era esaltante. Lui non ci teneva a dare qual tipo di attività per cui al mattino ci salutavamo, io per le mia strada, lui per la sua. Ci vedevamo a pranzo e a cena, occasione in cui facevano qualche foto. La notte era come dormire con uno dei miei fratelli. Qualche volta Jonathan ci provava ad avere rapporti. Ma io ormai restavo passiva alle sue scarse attenzioni.
Il rientro a Boston fu frenetico. Le elezioni erano prossime ed io dovevo essere presente sempre al fianco di Jonathan, cambiai guardaroba. Mi trasformai in una vecchia zitella, solo vestiti seriosi e monocolori, i capelli erano stati tagliati in un caschetto biondo scuro senza frangia e dovetti dire addio alle mie Jimmi Choo.
Il cambiamento più drastico fu però la mia vita sociale e il rapporto con la mia famiglia.
In vista delle elezioni e causa dei tanti impegni, il giudice Jenkins mi invitò a lasciare il lavoro come segretaria presso l'azienda di papà.
"Sarebbe una vergogna che mia nuora lavori e per giunta come segretaria no profit."
Ancora una volta veniva denigrato il mio lavoro, che per giunta amavo e facevo con piacere. Questa volta però fu più difficile da digerire. Nel caso di Adelaide infatti, lei doveva perorare la sua causa, voleva diventare un avvocato. Ma in questo caso invece era un'offesa gratuita, inoltre venivo pagata per il mio lavoro. Non ero una no profit.
Sinceramente non gliel'avrei data vinta, non con la mia famiglia ed il mio lavoro. Così continuai ad andare avanti.
Quando Adela tornò a casa in compagnia di Gabriel l'accolsi freddamente. Mi sentivo profondamente ferita da lei e dalla sua fuga. Non perché lo avesse fato, ma perché non me lo aveva detto. Il biglietto con le scuse per avermi tenuta all'oscuro di tutto non avrebbe colmato il vuoto che aveva lasciato. Ed ora eccola, con un pancione prominente e la felicità dipinta in volto. Ero sicura che Jonathan non mi guardava così ed io non ricambiato lo stesso sguardo di mia sorella. Loro due erano lì, si toccavano e si cercavano. Io e Jonathan no invece.
Intanto anche Lilian e Chester parlavano di matrimonio ed io inerme vedevo la mia vita trascorrere via.
Quando Adela venne a trovarmi a casa ero contenta e non perché fosse venuta. Avremo potuto parlare e chiarirci finalmente. Ma sul nostro incontro ecco che vi fu l'ombra dei miei suoceri che vennero ad accogliere I Keller.
Le domande ovviamente vertevano sui fronti politici oppure sulla gravidanza.
Mio suocero guardava ora ne, ora Adela. "Spero che presto anche qui arrivi un piccolo Jonathan." Ammiccò.
Guardai entrambi i Jenkins. Sarebbe stato possibile? Quando Jonathan mi sfiorava non sentivo nulla.
Quando mia sorella andò via avevo un peso enorme sulle spalle. Arnold voleva un erede ed ero angosciata all'idea di non poterglielo dare.
Alla nascita del piccolo Adam l''argomento tornò a palesarsi, i miei genitori e quelli di Jonathan si erano coalizzati. Mia mamma assicurò Arnold che le visite dal ginecologo erano in regola e che non prendevo alcun tipo di anticoncezionale.
Forse così Arnold avrebbe capito che il problema non ero io.
Al ritorno nella nostra auto calò il silenzio.
"Ho parlato con tuo padre mia cara." Annunciò d'un tratto Arnold. "Sei stata sollevata dai tuoi impegni come segretaria della Thompson. Anche lui ha reputato giusto che ti dedicassi alla famiglia. Adesso ci sono le elezioni che ci aspettano."
Gelai! Perché papà aveva permesso questo? Cosa avrei fatto adesso?
Inesorabile il tempo passò, Arnold come previsto divenne senatore del Massachusetts. La mia vita divenne arida e Chester si trasferì da Lilian, si sarebbero sposati a Natale.
Mio fratello non sembrava elettrizzato all'idea e io cercavo di capire il perché. Fu Lilian a rispondermi durante uno dei nostri the.
"Ama un altro." Affermò.
"Come un altro?" Chiesi.
"Un ragazzo. Il matrimonio è una facciata per entrambi, mamma e papà non mi faranno sposare un artista scapestrato e Chester non vuole dire a nessuno che non mi ama più. Dopo il matrimonio andremo a stare a New York."
"Ma voi due... avete rapporti, avevi detto buoni anche." Chiesi non stupendomi del fatto che a Chester potessero piacere gli uomini.
"Perché è bisex e comunque asseconda i suoi bisogni. Abbiamo un patto, ci sposiamo, io gli darò un figlio e lui mi darà la libertà di andare via. Si prenderà poi la colpa rivelando, spero,  ai tuoi di essere bisessuale ed essersi innamorato di uno." Concluse. "O almeno spero che dirà la verità."
"Quindi lasciate realmente Boston." Non avrei avuto più neanche la mia amica.
"Ci troveremo presto, poi tu nella tua posizione saprai come far passare il tempo." Mi disse lei ammiccante.
"Lil..." sussurrai. Lei mi guardò curiosa. "Lil... io non provo nessun piacere col sesso."
Lei mi guardò basita. "Oh cazzo! Come? Sei... sei..."
Annuii. "Temo di sì Lilian. Non ho altra spiegazione se non che io non sia adatta." Sussurrai disperata.
"S-sei sicura?" Chiese ancora
"Non lo so." Risposi disperata, Jonathan era stato il mio unico uomo. "Ma quel piacere di cui parlate tanto tu e Adela per me non esiste. Temo quando Jonathan viene e mi penetra." Confessai.
La mia amica mi guardò dispiaciuta. Non disse nulla e non fece altro che abbracciarmi per consolarmi.
Il suo matrimonio arrivò troppo presto, come la sua partenza che salutò il nuovo anno.
Nel frattempo io e Adelaide finalmente ci eravamo avvicinate. Mia sorella era riuscita a infondermi quella fiducia in me stessa che stavo perdendo. Mi aveva dato una speranza.
Ad un anno al mio di matrimonio invece, mio suocero iniziò a guardarmi con sospetto.
"Ancora niente? Forse dovresti fare una cura ormonale cara." Mi disse.
Mi sentii trafiggere! Guardai mio suocero sfidandolo. "Sto molto più bene di ciò che sembra senatore. La mia dottoressa ha provveduto a tutti gli accertamenti e ne abbiamo fatto anche uno specifico." Gli dissi guardando verso Jonathan. Aveva ragione Adela, era lui che avrebbe dovuto fare degli accertamenti.
"Caro!" Intervenne mia suocera rivolta al marito. "Probabilmente è una situazione psicologica, a furia di volerlo non arriva."  Affermò per poi sfuriarmi la mano accomodante. "Lasciamoli stare, quando sarà il tempo ci diranno loro. In fondo Brooklyn ha solo ventidue anni, lasciamole godere il matrimonio e la tua carriera politica."
Avevo la nausea.  Godermi la carriera del senatore? Loro volevano usarmi a loro favore per la sua ascesa: dimostrare la famiglia felice e perfetta.
Il matrimonio poi? Non godevo di niente, non riuscivo neanche ad uscire incinta e il problema non ero io. Lasciai però correre, sembrava che con quelle parole mio suocero si fosse ammansito.
Fortunatamente col nuovo anno Adelaide mi salvò, definitivamente, dalla letargia della mia vita.
Mi chiamò chiedendomi di raggiungerla a Cambridge nel  primo pomeriggio, avrei dovuto dire ai Jenkins che sarei stata  con lei fino alla sera e soprattutto voleva portassi le mie Jimmy Choo. Sinceramente non sapevo a cosa andavo incontro, ma già l'idea di stare con lei migliorava il mio umore.
La raggiunsi a Cambridge subito dopo pranzo. Mia sorella mi aspettava a casa sua con Adam in braccio ed un enorme sorriso.
"Ti ho parlato del mio amico Eddy?" Mi chiese mentre entravo.
"Il tuo unico amico? Quello che ti ha abbandonato per seguire il suo amore inglese?" Le chiesi togliendo il cappotto.
Lei mi fissò corrucciata  mentre prendeva il cappottino di Adam. "Si lui!" Rispose con una smorfia. "Togli questo orrendo vestito beige, prendi un mio jeans e una delle mie camice e truccati, acconcia i capelli, metti le tue bellissime scarpe!" Ci tenne a precisare indicandole. "E seguimi."
Feci come mi aveva detto, presi un jeans a gambe larghe, una camicia turchese, uno dei miei colori preferiti, misi del rossetto rosa shining e  un po' del gel di Gabriel per dare forma al mio taglio  anonimo e fui pronta. Non sembravo più la nuora di  Arnold Jenkins, ero tornata me stessa con poco.
Tornai nella sala col ticchettio delle Jimmy choo che mi anticiparono. Adela mi fissò soddisfatta. "Tesoro dovrai trovare il modo di farmi avere i tuoi vecchi vestiti, temo che quelli che ho io non siano alla tua altezza sai?" Mi disse mentre Adam batteva le mani per esultare con la madre.
Mi porse il cappotto e uscendo la seguii.
"Dove andiamo?" Le chiesi curiosa. Un pomeriggio insieme era allettante.
"Eddy mi ha abbandonato. Ci ha abbandonato e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti, allo studio c'è gente che pensa per se e io tutto il tempo di stare dietro a certe cose, soprattutto con Adam, non ce l'ho.
"Cioè dovrei aiutarti a lavoro?" Le chiesi sorpresa.
"Ebbene? Ti avevo avvertita anche se è successo prima del previsto. Non devi fare nulla di complicato, mettere a posto e catalogare le carte che ti lascio. O le ricerche che faccio." Mi spiegò.
Non era difficile ciò che mi diceva, lo avevo sempre fatto e non sarebbe stata la prima volta. Soprattutto era tutto molto semplice.
"E se mi riconoscono?" Chiesi.
"Impossibile adesso sei la mia Brooklyn, non la vecchia signora Jenkins." Rispose lei.
"Gentile che sei." Dissi seguendola in uno stabile antico. Ada sollevò il passeggino con le sue braccia esili e salì le scale verso il primo piano. Perché non prendeva l'ascensore?
"Posso aiutarti?" Le chiesi.
"Lascia non ti preoccupare." Arrivati sul pianerottolo bussò e dopo un attimo uno scatto ci disse che la porta era aperta, entrai seguendola. Una ragazza era a una scrivania a rispondere al telefono, Ada la salutò e io feci altrettanto.
Arrivammo in un ufficio con tre scrivanie di cui due erano piene di carte e cartelle, anche quella centrale,  la terza era piena di carte, ma erano disposte più ordinate.
Non mi sorpreso quando Adela si sedette su quella piena di cartelle e scartoffie. La raggiunsi posando il mio cappotto in cachemire sull'appendiabiti. Mani sui fianchi la guardai  ammonendola.
"Ti sembra normale questo caos?" Le chiesi.
Lei scrollò le spalle. "Sei qui no? Tutto quello che riguarda la Bells non mi serve più." Disse prendendo un fascicolo da sotto a dei raccoglitori. "Ah no! Questo non è Bells." Affermò grattandosi la testa. Lo mise sul lato opposto e mi indicò degli archivi in legno. "Le pratiche vanno lì. Forse l'ho posata." Disse andando ad aprire dei cassetti sulla lettera B. Almeno in quello c'era ordine.
Nel frattempo nella stanza entrarono un uomo sulla cinquantina seguito dai una bellissima  donna dai capelli neri e gli occhi castani.
"Prova a cercare nell'anno 2005.." disse l'uomo.
"Ho già visto Jason. Non c'è nulla lì? Forse non c'è nulla."  Concluse la donna, che si fermò osservando Adam. "È arrivato il mio bellissimo tesoro."  Esultò andando a prendere il bambino che già le faceva le feste.
Io intanto stavo separando i raccoglitori dalle cartellette, così da rendere più ordinata la scrivania di Adela.
"Jason, Theresa buon pomeriggio." Salutò Adela. "Lei è mia sorella Brooke, ricordate? Per aiutarmi qui in ufficio." Disse.
"Oh meno male che l'hai portata." Disse Jason sorridendole. "Jason William, piacere di conoscerti.
"Si. Sto cercando una pratica ma non riesco a trovarla, un occhio in più non può che far bene. Ci sono stata dietro tutta la mattina." Disse la donna prendendo Adam in braccio. "Io sono   Sua moglie Theresa e sono una ricercatrice e assistente."  Si presentò la donna.
"Piacere di conoscervi, se posso aiutarvi con piacere." Dissi raggiungendoli e stringendo la mano a lui.
"Ada ti porterà nella biblioteca con tutti i fascicoli allora. Più tardi dovrebbe raggiungerci anche Barnaby, l'altro mio collaboratore. Poi te lo presento." Mi disse Jason.
"Nella biblioteca c'è un computer dove sono catalogate le vecchie pratiche?" Chiesi.
"N-no... ci sono su ogni scaffale gli anni in cui le cause erano in corso. Poi sui raccoglitori ci sono scritte le date di apertura e di chiusura." Disse Theresa.
Annuii. "Ok! Cosa devo cercare?" Chiesi.
"Mi serve la dichiarazione del mandato Jonson inc.  verso la Chalder Srl. L'anno dovrebbe essere il 2005." Disse Jason.
Annuii. "Lo cerco." Volevo darmi da fare e aiutare, Theresa e Jason sembravano molto alla mano e non volevo deluderli.  
Seguii Adela nella biblioteca e lei mi spiegò come funzionava l'archivio. Le date, i nomi dei clienti, i libri con gli storici, il tipo di causa.
Le civili e le penali come quella aziendale, che dicevo cercare io, erano inserite negli stessi scaffali, tutte suddivise per anno. Così ci avrei messo il doppio del tempo a cercare e non solo io, ma andava bene.  Ce l'avrei fatta.
Mia sorella mi lasciò lì a cercare la famosa pratica e nel frattempo venni raggiunta da un'altra ragazza, probabilmente più grande di me di qualche anno, che venne a cercare un vecchio caso di violenza domestica. Tra un raccoglitore e l'altro parlammo un po' del più e del meno, ed Eva , così si chiamava, prima di andare via cosa mi invitò a prendere un caffè insieme il giorno dopo prima di iniziare il lavoro.
Mi sarebbe piaciuto, ma non sapevo se sarei  stata lì il giorno dopo.
Purtroppo vidi ovunque ma della pratica non c'era traccia.  Eppure se Jason l'aveva così chiara in mente doveva esserci. Intanto posai tutti i raccoglitori, ma anziché metterli in ordine alfabetico le misi in ordine di pratiche.
In senso alfabetico misi prima le cause penali, poi quelle civili, separando anche le cause familiari tra di loro, quelle aziendali e quelle internazionali. Avevo ancora da mettere in ordine, ma dovevo cercare la pratica per Jason.
Uscita dalla biblioteca raggiunsi la ragazza alla reception, chiedendole se avesse un computer.
"Ciao, sono Brooke, mi servirebbe un computer per cercare una pratica per l'avvocato William."
"Ciao, io sono Mary Ann, puoi usare il mio. Ne approfitto per fare una pausa." Mi rispose lei con un sorriso.
Annuì ricambiando il sorriso. Entrai nel suo cunicolo e feci l'accesso a Google.
"Se telefonano?" Chiesi.
"Qui ci sono tutti gli interni." Mi mostrò la ragazza." Fai zero e poi il numero dell'ufficio richiesto. Mi raccomando, passa alle segretarie e non al legale, possono essere impegnati o non esserci."
"Perfetto." Le dissi e mentre Mary Ann andava via io mi sedevo e cercavo le cause della Murphy & Williams, riferito a Jonson inc. dell'anno duemila e cinque.
Nel frattempo risposi almeno a tre telefonate, di cui una dalla Germania per Jason. Sapendo che non c'erano segretarie passai la telefonata ad Adela, anzi Ada, era più rapido e incisivo. Quando finalmente trovai la causa di cui mi aveva parlato Jason annotai tutto e risposi all'ennesima telefonata.
"William & Murphy buona sera, sono Brooke come posso aiutarla?" Risposi.
"Buonasera, sono la signora Smith, ho appuntamento con Julia Murphy domani pomeriggio." Disse la donna.
"Certo mi dica signora Smith." Le dissi prendendo nota.
"Volevo dire all'avvocato che dovrebbe controllare una cosa nella pratica. Potrebbe passarmela?"
Per un controllo? Se si vedevano domani non pensavo che ci fosse tutta questa urgenza. "L'avvocato Murphy al momento non è in sede. Se mi lascia cosa devo dirle le farò prevenire la sua telefonata." Le dissi conciliante.
Anche se recidiva la donna mi diede le informazioni che voleva , annotai tutto e la salutai. Dopodiché attesi che tornasse Mary Ann prima di tornare da Jason e Adela.
Al suo arrivo fui contenta di scoprire di aver agito per il meglio con la Smith, anzi Mary mi ringraziò per come avessi trattato con lei poiché Julia non aveva il tempo e la pazienza di parlare con la donna del suo divorzio.
Tornai nel mio ufficio e contenta cercai Jason. "Ho trovato la pratica... cioè non l'hi trovata cartacea. Ma c'è!" Dissi all'avvocato.
"Ce l'aveva qualcun altro?" Chiese sospettoso.
"No! La pratica non è fisicamente quid allora sono andata a computer ed ho visto che è stata vidimata nel Connecticut...." Jason mi fermò dandosi un colpetto sulla fronte.
"Ma certo, cinque anni fa eravamo ancora lì con lo studio."
"Dovremo andare lì per trovare il cartaceo, oppure chiamiamo Violett e ce lo facciamo inviare."  Propose Theresa avvicinandosi ad un uomo rotondo di pancia e di faccia sulla trentina. "Barnaby lei è Brooke, la nostra nuova segretaria e sorella di Ada."
"Ciao Brooke! Ci siamo parlati prima quando mi hai passato Müller. Si complimenta per il tuo tedesco,'cioè la sua segreteria."
"Parli tedesco?" Mi chiese stupita Theresa.
Annuì. "Siamo madrelingua portoricsne, ma parlo anche tedesco, italiano e cinese. Nel passato lavoro mi serviva conoscere un po' di basi." Specificai.
"Ci sarà utile." Disse Jason. "Se vai da Mary Ann ti farà il numero della sede ad Hartford, chiedile la pratica per favore." 
Obbediti riprendendo a lavorare. Alla reception Mary Ann mi aiutò poi sparì portandomi un caffè che accettai con piacere.
Ci raggiunse anche Eva che mi disse il giorno dopo mi avrebbe aiutato in archivio, inoltre mi ringraziò per la Smith.
"Come hai fatto a convincerla, è così insistente." Chiese
"Sono abituata a trattare con la gente." Risposi modesta.
A fine serata quando Ada mi riaccompagnò a casa rivestita come la perfetta signora Jenkins la ringraziai. Ero stata  benissimo, molto meglio di una giornata di shopping.
"Io domani non ci sarò che devo studiare per un esame. Ma tu vai, Jason ti vuole allo studio, porta anche i documenti , mi sa che vogliono assumerti." Mi disse orgogliosa. 
Lo feci, tornai il  giorno dopo e quello dopo ancora. Come scusa dissi che Adelaide aveva bisogno di me, vero, per tenere Adam così che potesse studiare e lavorare. A Jonathan la cosa non fregava più di tanto, ai Jenkins la scusa andò più che bene. Prendendo cura di Adam avrebbe risvegliato il mio istinto materno, diceva Arnold. Che schifo!
Il tempo era trascorso così, lavoravo in maniera stabile alla Murphy & Williams, come segretaria di ufficio anche se Jason diceva che ero sprecata, che avrei dovuto seguire Adela nel suo primo viaggio in Europa, con le mie conoscenze linguistiche sarei stata molto più utile che lì.
Avevo parlato per sommi capi del mio matrimonio a Theresa e sapeva perché non andavo oltre.
Era in casi come quello che Theresa mi diceva che annullare il matrimonio sarebbe stato la mia salvezza. Ma non potevo, Leo sapeva solo che avevo un matrimonio fittizio e non che ero sposata col figlio del senatore Jenkins.
A un anno dal mio arrivo allo studio associato Adela iniziò a seguire Jason nei suoi viaggi all'estero, spalleggiata proprio da Gabriel aveva iniziato a muovere i primi passi nel campo anche se mancava un anno affinché si laureasse. Lo stesso Gabriel aveva chiesto ad Adela di seguire internamente la G&L a livello globale poiché a breve avrebbe dovuto seguire anche la società paterna e avere all'interno della sui società lei di cui si fidava era un passo verso il futuro.
Intanto era passato il tempo, Adelaide mi parlava sempre bene dei suoi viaggi all'estero di Eddy che aveva ben avviato la sede londinese, anche se si era lasciato con Samuel. Del cugino di lui, l'avvocato in sede dello studio associato Gel, di Ingrid, l'assistente con cui spesso avevo a che fare e dei colleghi francesi e spagnoli.
L'estate del 2012 pronta per l'ultimo anno di giurisprudenza, Adela e Gabriel decisero di provare ad avere un altro bambino.
Arnold Jenkins ovviamente a quella notizia mi guardò storto. "E tu ancora niente."
Mi stancai e gli risposi. "Suo figlio non è in grado, se lo fosse stato sarei una moglie e una madre adesso." Risposi acida.
"Forse se fossi stata più collaborativa e meno frigida." Risposi lui.
Gelai. "Questo non cambia che suo figlio sia sterile." Decisi di ribattere, non volevo dargliela comunque vinta. Infatti senza aspettare risposte gli diedi le spalle andando via.
Il giorno dopo quando rientrai da lavoro scoprii la bella sorpresa che ci aveva fatto Jonathan. Aveva prelevato un ingente somma dal nostro conto ed era scappato lasciando una lettera alla madre contenente delle scuse e l'annullamento del nostro matrimonio.
"Cosa significa?" Mi chiese Arnold.
"Ne so quanto lei." Risposi. "Le ricordo che sono la moglie e qui chi ci fa una pessima figura agli occhi della società sono io." Risposi.
"Tu sei sua moglie, dovevi saperlo." Mi accusò.
"Che suo figlio era pessimo?! L'ho scoperto una volta sposato e quando ho provato a parlane mi ha detto di non parlare della nostra intimità con lei. Suo figlio era sterile." Conclusi afferrando l'annullamento dalle mani di mia suocera e firmando la loro copia. "Me ne vado! Con voi ho chiuso." Conclusi.
"Da noi non avrai nulla." Mi urlò contro Arnold.
"I miei genitori hanno abbastanza per me e anche per voi." Risposai. "Vi ricordo che vostro figlio ha prosciugato il nostro conto cointestato." Presi la mia borsa, l'annullamento e lasciai quella casa e tutta la famiglia Jenkins definitivamente.  In quella casa non c'era nulla di mio, la lasciai quindi con piacere.
Chiamai un taxi e senza indugi mi feci portare dai miei. Mamma era la custode dei guadagni che avevo ricavato in quei due anni lo studio associato ed alcuni dei miei vestiti., mia madre  mi avrebbe accolto a braccia aperte.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Settembre 2015

GABRIEL

Tre anni fa, la promessa fatta da mio padre, che avrei avuto tutto il tempo per insediarmi alla KCG, mi aveva fatto rilassare.
Probabilmente nel mio inconscio a venticinque anni, non mi sentivo pronto ad avere un peso così enorme sulle mie giovani spalle. Vero che avevo aperto una mia società finanziaria con London ancor prima di concludere l'università. Ma quello era stato un altro discorso, un percorso che avrei iniziato col mio migliore amico, che probabilmente ci avrebbe portato a sbagliare. Ma eravamo solo noi ad andare avanti e pagarne le conseguenze. Non c'erano centinai di persone che avrebbero dipeso da noi, come invece era con la KCG. Quei tre anni mi sarebbero serviti a imparare e apprendere sempre di più dalla KCG. Perché nonostante mi fossi rifiutato di entrare subito in amministrazione, il nonno aveva preteso che continuassi la mia gavetta all'interno della sede centrale. Ero partito dal basso però, mi ero fatto conoscere e poco alla volta da assistente stavo salendo di rango per i miei soli meriti e non perché ero il figlio di Thomas o il nipote di Tobias Keller. Stavo muovendomi per gradi e alla stessa maniera stavo recuperando il rapporto con mio padre, rapporto che fino ad allora credevo fosse inesistente. I ricordi distorti di un bambino trovavano il loro posto giusto quando chiedevo e avevo risposte. Avevo saputo la verità del perché mio padre non mi avesse mai cresciuto da piccolo, perché solo le feste e le vacanze estive? Perché ai miei occhi era con tante donne? Perché mi obbligava ad andare in una scuola privata sin da piccolo? Perché? Perché? Perché?
Tutte domande che col tempo avevo fatto stavano avendo una risposta. Un collegio perché la loro attività richiedeva dei viaggi, spesso lunghi. O perché papà voleva che crescessi con i miei fratelli sereni.
La zia Terry non aveva litigato con nessuno, anzi lei e mio padre durante la mia pre adolescenza si erano avvicinati molto per i fatti di Edgar.
Perché la mia famiglia viveva separata tra Europa e America? Perché non a Boston tutti? Questa era stata la più semplice. Mamma non voleva lasciare la sua Monaco e lo zio Taddheus per lei si era trasferito con piacere, costruendo in Germania e limitrofi il suo piccolo impero. Mio padre per andare loro incontro aveva vissuto tra l'Europa e la zona americana della Nuova Inghilterra.
Sempre nelle nostre chiacchierate mi spiegò come aveva colto l'occasione per dimostrare a suo padre, il nonno, che nel suo lavoro era bravo. Era stato in Europa, Gran Bretagna, Spagna, Italia, in America e negli Stati limitrofi il Massachusetts. Spesso da giovane era più in Europa proprio per raggiungermi il prima possibile.
Fu inevitabile che, dopo Natale, gli chiedessi perché mi ero trovato a scuola con Thomas. In quell'occasione avevo saputo che quando aveva scoperto che Andrew Davis picchiava Sapphire e Thomas aveva mosso mari e monti per allontanare suo figlio da quel posto.
"Quando ho visto le fotografie del loro matrimonio..." raccontò. "Era palese che fosse incinta, indossava un vestito talmente aderente che nonostante fosse piccola di pancia, c'era, si vedeva. Non poteva essere di Davis il bambino. Così andai dall' unica persona che sembrava compassionevole verso di me."
"La madre di Sapphire." Affermai ricordando il primo racconto.
Lui annuì. "Andai da lei chiedendole perché non avevano annullato il matrimonio, perché quando era palese fosse incinta di me e che noi ci amavamo. Fu così che scoprii che suo marito si era talmente indebitato col gioco da andare in bancarotta."
"Questo cosa centrava con Sapphire?" Chiesi sorpreso.
Mio padre aveva scosso la testa. "Sapphire era uno schianto di ragazza." Rispose malinconico, io sapevo che era una donna bellissima, quindi ci stava che da giovane lo fosse ancora di più. Mio padre continuò la spiegazione. "Semplicemente il padre di Andrew era socio della London bank, dove avevano il debito e Andrew quando vide Sapphire si invaghì di lei e dell'idea di diventare visconte. Senza tenere conto di lei propose uno scambio, niente più debiti e una vita agiata in cambio di Sapphire, pensa il suo abito da sposa è stato scelto da lui. Effettivamente Sapphire non era tipo di vestiti così disinibiti."
"Ma che porco!" Scattai schifato da quella storia, contro Davis e il padre di Sapphire. "Vendersi la figlia pen un suo debito..."
"E ovviamene Davis non ha annullato il matrimonio perché è un porco. La voleva e dopo avermi conosciuto era anche più ossessionato, quasi volesse farmi un dispetto. Poi come mi disse sua madre dopo il matrimonio, fece di tutto per farle perdere il mio bambino. Penso fosse abbastanza viziato da ottenere tutto ciò che ha sempre voluto, si sentiva un uomo di potere. A differenza mia ha ostentato il suo denaro e il potere, credeva di ferirmi così. Non ha mai saputo che in realtà io ero ricco, anzi più ricco di lui anche."
"Quindi Sapphire si è sacrificata per i suoi genitori." Affermai, la storia combaciava con quella di Thomas.
"Si! Sua madre e la futura suocera le dissero di godersi la poca libertà che le restava vivendosi una vita che fino ad allora non si era vissuta. Era stata in un collegio fino a due mesi prima ed era veramente un'occasione per lei. La suocera, Elisabeth le lasciò 1000 sterline dicendole di tornare quando le avrebbe finite. Sapphire si trovò un lavoro, io le diedi un tetto dove dormire e quando le chiesi di farmi da secondo socio, lei quei soldi li usò per la sua quota. La prima sede della T- KCG fu nostra, eravamo entrambi poveri in canna, perché avevo deciso di andare avanti senza i soldi di papà. Pagavo l'affitto per l'ufficio barra appartamento, lavoravo sodo e cercavo di sbarcare il lunario e lei con me. I miei primi veri amici furono Mike il titolare del bar dove lavorava Sapphire e Drake,quello che è diventato un socio e il responsabile delle sedi britanniche. Per loro ero Thomas lo squattrinato e il sognatore, prima di allora c'era sempre stato solo Taddheus." Disse malinconico.
"Sapphire se ne andò una mattina di marzo, aveva già preparato tutto. Mi spiegò che non poteva stare con me e andò via, da sua madre. Così chiesi alla madre il favore di tenermi informato del bambino e di Sapphire. Subito dopo la nascita di Tom, Andrew senza farsi scrupoli e dare spazio a Sapphire la mise incinta, giusto per far capire che lui doveva essere il marito. Nato Joel lui decise di cercare una tata per il figlio. Quando lo scoprii feci delle accurate ricerche e assunsi io la tata, una giovane che potesse farmi da spia. Volevo sapere tutto su mio figlio, cosa faceva, cosa mangiava, come si comportava. Con Tom non era come con te che appena potevo venivo e ti prendevo andando in giro. Da piccolo sei stato tanto con me. Mentre lui no, teoricamente non avrei dovuto sapere neanche della sua esistenza. Lady Cooper mi presentò anche Elisabeth Davis, madre di Andrew, una donna decisamente onorevole, quando la incontrai pensai che fosse una signora, in tutti i sensi. Mi aiutò ad inserire Margot a casa del figlio ed ella iniziò a raccontarmi delle percosse su Sapphire. Cercai di capire questa violenza su di lei, ne parlai con Elisabeth,." Raccontò con un sorriso. "È stata la mia più grande complice quella donna. Quando seppe del contratto di matrimonio di Sapphire, essendoci già passata si è proclamata suo angelo custode, la differenza tra le due erano i genitori. Il padre di Elisabeth era intelligente e avendo fondato la London bank anche parecchio diffidente dell'uomo cui la figlia era rimasta affascinata. Albert Davis sposò Elizabeth ma con un contratto prematrimoniale, avrebbe avuto una posizione in banca, ma la ricchezza era di Elizabeth e il figlio Andrew lo sapeva. Elizabeth ha vissuto un matrimonio carico di tradimenti, il marito dopo averla avuta subito l'ha messa da parte. Almeno però le era rimasta la dignità e il padre aveva preservato il suo futuro."
"Era stata semplicemente sedotta. Vi sentite ancora?" Chiesi a papà.
Scuotendo la testa mi rispose. "Si è ammalata quasi contemporaneamente al periodo in cui tu incontrasti Tom alla scuola europea. Ha tirato a lungo tra una chemio e l'altra."
"È stata lei a mandare Tom e Joel alla scuola europea?"
"No Tom, sono stato io." Mi aveva detto papà sospirando. "Margot fu abbastanza scrupolosa nel dirmi tutto ciò che riguardava Sapphire e i bambini, quindi seppi quando iniziarono le percosse su Thomas. Quando gli ruppe quasi una gamba mi incazzai e decisi che mio figlio doveva uscire da quella casa. Sapphire però non voleva separare i due fratelli. Quindi chiesi ad Elisabeth di intervenire, che Thomas si era fatto male una gamba e che suo figlio non doveva toccare più il mio di figlio." Raccontò mio padre infervorato. "Mettemmo su un piano, io le dissi che anche Joel poteva andare a Monaco, che avrei pagato anche per lui, non volevo nulla da Andrew. Lei mi disse che l'unico modo per fermare Andrew era mettere le carte in tavola con tutti presenti, Visconti compresi, dovevo simulare una denuncia, far capire a tutti che io sapevo. Albert che era sempre stato discreto con le sue tresche non avrebbe mai permesso che uno scandalo colpisse la sua famiglia. In quell'occasione uscì anche fuori che Margot era incinta, violentata da Andrew e probabilmente anche Sapphire, dopo l'ennesimo abuso era incinta. Albert decide di aver sentito abbastanza, prese il figlio e lo chiuse in una clinica, mentre il padre di Sapphire concordò che era giusto per la figlia una separazione da Andrew, poiché volutamente Davis aveva abusato di lei per non farla andare a lavorare."
"Quindi è rinsavito il padre di Sapphire?" Chiesi interrompendo papà.
Sorrise. "Su consiglio di tuo nonno, proposi a Martha di portare il marito lontano da ogni tentazione, vivere altrove e impegnarsi per disintossicarsi dalla passione del gioco. Quindi diciamo che in quel periodo Edward Cooper stava abbastanza bene e anche oggi, sta bene. So che non gioca più."
"Quindi tutto andò per il meglio, Thomas e Joel mi raggiunsero a Monaco, il padre di Sapphire si era disintossicato e lei era di nuovo libera." Dissi soddisfatto, anche se in quel caso Tom e Joel potevano restare a Londra, cosa era andato storto?
"Lo pensai anche io." Rispose papà. "Tornai subito a Londra, Sapphire era tornata alla T-KCG, ci incontrammo e fu di nuovo passione. Le dissi di divorziare così avremo potuto ricominciare insieme di nuovo, noi due e i bambini compreso Joel. Ma rifiutò dicendomi che forse era incinta e che se fosse andata via avrebbe potuto avere delle ripercussioni. Andrew che la riteneva una sua proprietà, testuali parole dell'uomo, avrebbe potuto toglierle i bambini. Conoscendo il soggetto le ho anche creduto, cosa peggiore io avrei potuto influire sulla vita di Sapphire in quel caso, perché potevo sempre preservare Thomas. Per farlo però..."
"Avresti dovuto separarlo da Joel." Conclusi.
"Vedo che hai capito. Io dissi a Sapphire che avrei amato anche Joel. Lei mi rispose di pensare agli altri figli che avevo. Mi disse: Molly mi ha detto che hai un figlio in Scozia, la madre glielo lasciò e se ne sta occupando lei." Mi raccontò mio padre. "Non ci credevo. Soprattutto perché Molly, sua amica da una vita e una dei consulenti dall'inizio della T-KCG, la reputavo anche amica mia. Non mi aveva detto nulla... infatti dopo me ne accertai ed era vera. Mi disse che aveva preso il bambino perché era sterile e io lasciai che crescesse Isaak poiché ormai aveva cinque anni e una vita serena. Io lo avrei turbato. Tornando a Sapphire, le dissi che se ancora mi rifiutava non sarei tornato più. Lei in risposta mi disse che non voleva l'aspettassi, mi augurava il meglio e mi stava dicendo addio. Per proteggere i bambini certo, ma così facendo distruggeva di nuovo noi. Ero incazzato! Le dissi che non avrei mai più messo piede a Londra e così feci. Per me la priorità erano diventati i figli: Thomas e anche Joel che aveva preso a cuore, lui mi scriveva con frequenza e quando venivo a trovarvi in collegio era il primo a farmi le feste. Successivamente seguii anche Samuel, il figlio di Margot e Diamond. Sapevo tutto di loro da Margot, la madre di Sapphire."
"Tutte queste cose la volta scorsa non le hai dette." Dissi a papà.
"Tua sorella ha sedici anni, non avrebbe capito." Mi rispose . "Tu invece ami, conosci la passione e l'amore e anche quanto un uomo sia debole se chi ama non è con lui, soprattutto sai che la frustrazione si combatte facilmente con del sesso consolatorio. Quindi puoi capire come mi sono sentito all'epoca e non solo, ancora oggi ho il rimpianto per aver lasciato andare Sapphire."
"La ami ancora." Affermai e papà assentì.
"Sapphire e Marina avevano tanto e nulla in comune. Se non fosse stato per la prima forse non mi sarei concesso un nuovo inizio con Marina. Sapphire dicendomi del bambino cresciuto dai nostri amici mi consigliò di non perdermi in storie assurde. All'epoca ero troppo arrabbiato per ascoltarla, quindi ripresi a comportarmi come uno sconsiderato. Poi a Sidney incontrai Kali e dopo la sua esperienza e la nascita di Raphael compresi che non potevo veramente essere uno sconsiderato. Arrivato in Italia, conobbi Marina e allora compresi che probabilmente potevo avere un nuovo inizio. Marina e Sapphire avevano in comune una cosa; non me la mandavano a dire, mi affrontavano di petto dicendomi cosa pensavano e mi camminavano a fianco da eguali. Ho amato Marina tanto, per la sua forza e la sua bellezza. Per la risata e la spontaneità. Ancora oggi mi manca, poi osservo tua sorella, la sento ridere e penso: Marina è qui." Disse malinconico.
"Hai vissuto intensamente e ancora stai continuando a farlo." Dissi.
"Era bello vedervi te e Thomas al collegio, quando venivo a trovarti per portarti a casa, eravate così uniti. Marina immaginava una grande casa, con te, Raphael e anche Thomas. Sognava di rendermi padre e creare una sorta di grande famiglia, come nei film, con tanti bambini che ci gironzolavano intorno. Vi amava molto."
Lo fissai esalando un respiro. "Adesso mi ricordo... quando in prima elementare veniste a prenderci per portarci con voi. Io con Gellert, Thomas e Joel." Ammisi, si ricordavo benissimo adesso. "Lo facevate spesso e alle volte chiedevate di portare anche Heinrich e Sonia, la compagna di Joel e Gellert." Papà rise. "Eravate un gran bel gruppetto."
Risi anche io.
"Quando sarà il momento." Iniziò papà. "Proprio perché non sei solo, spero non ti dispiaccia se dividerò la mia quota per tutti e sei di voi."
Annuendo acconsentii. Era giusto, anche se non pensavo papà volesse inserire Joel tra i suoi eredi.
"Il figlio di Karla." Disse papà senza che io chiedessi. "Ho cercato di dare qualche indizio nel mio precedente racconto. Lei dopo di me ha avuto la moglie Nancy e già aspettava il bambino. Non mi ha mai detto nulla, non lo conosco neanche. Ma ho i miei buoni sospetti che sia mio figlio." Mi spiegò. "Ho il sessanta per cento della KCG globale. Voi siete sei, quindi darò a entrambi il dieci per cento. Della T- KCG ho l'ottanta per cento, Thomas avrà il quaranta più la quota di Sapphire sicuro che è il 3%, tu avrai il trenta, Isaak il cinque più la quota di Molly che è il dieci. L'altro mio cinque se lo dividono gli altri tuoi fratelli. Tu avrai la gestione di tutte la T- KCG sparse nelle due Americhe, Raphael se lo vorrà gestirà quelle in Australia, altrimenti spetterà a te e Thomas che ovviamente non sa di avere queste quote."
"Papà non sei morto." Gli dissi, non volevo neanche pensarci ad una morte di mio padre. "Abbiamo tempo, hai solo cinquantuno anni."
Disse ridendo. "Non sono morto, ma al compimento dei tuoi trent'anni Gabe, tu dovrai occuparti della società. Quindi sai che gestirai le tue quote, ti passeranno di diritto. Nel frattempo come me dovrai costruire un minimo del tuo impero, farti riconoscere. Scegli dei soci fidati e apri almeno cinque tue filiali, dove dipende da te. Aprile, avviale e falle diventare migliori delle mie. Io con la T-KCG ci sono riuscito. Puoi anche tu con la Gabriel KCG, hai del potenziale e a differenza mia parti già con delle persone di cui ti fidi."
Annuii, io avevo London e Thomas con Liam. Mi avrebbero seguito in quell'impresa? Non mi restava che chiedere.
"KCG ci finanzierà?" Chiesi per capire come muovermi.
"No! Cioè non quando avvii la filiale. È la differenza tra la KCG e la T- in fondo." Rise papà. "Funziona così. Tu apri e avvii la tua società, la casa madre dopo aver visto tutti i tabulati e i profitti valuta se accettare o meno di farti diventare una KCG effettiva. In quel caso assorbe tutte i costi di apertura società, per la sede di Londra per esempio io non avevo soci, cercai di convincere in tutti i modi Sapphire almeno perché figurasse. Sulla T-KCG ultimamente ho io il potere societario e ho comprato il palazzo dove risiedono gli uffici. Mentre la sede di Manchester è ancora una semplice T- consulting, non ho ottenuto i risultati che sperava la società madre e lasciando definitivamente la Gran Bretagna, nel 1988 non ho potuto seguirla come volevo."
"Hai altre sedi in Gran Bretagna?" Chiesi stupito.
"Non T- KCG, ti ho detto. Bisogna rientrare nelle richieste della società. In Gran Bretagna ho degli uffici di consultazione finanziaria, la T- consulting, a Londra, Manchester, chiusa quella di Liverpool, Edimburgo e Aberdeen."
"Quindi sta a me!" Dissi e assentì.

Così una volta alla G&L mi chiamai London, proponendogli di diventare mio socio per un'altra società affiliata alla KCG. Il mio migliore amico però, sorprendendomi, rifiutò.
"La KCG è roba grossa e io devo comunque seguire anche la Thompson. Mi hai proposto di espandere la G&L in Germania ed ho accettato con piacere, è una nostra società e ce la gestiamo come vogliamo, senza dover tenere conto di tanti altri soci, soprattutto anziani. Inoltre ti ricordo che con ho aperto finalmente con Liam, la nostra piccola società sulle energie rinnovabili è appena aperta e dobbiamo lavorarci. Voglio andarci piano e vedere come procede con la 2L corporation prima di fare altri passi." Rispose ed effettivamente non potevo dargli torto.
Avrei tentato con Thomas e Liam, sperando di non avere anche da parte di quest'ultimo un netto rifiuto. Organizzai un incontro su Skype spiegai un po' i miei progetti e cosa volevo fare, proponendo infine di aprire insieme una società.
Liam mi guardò facendo una smorfia. "Mi dispiace Gabe. Come ben sai le energie rinnovabili sono il futuro della società ed anche se per ora c'è ancora titubanza, sono sicuro che ci sarà un gran mercato su cui lavorare." Mi rispose. "Quindi dovrei dirti di no! Ma non voglio chiuderti una porta, potrei farti una controfferta." Mi propose finendo di prendere appunti.
"Ti ascolto." Gli dissi attento.
"Entro come socio onorario. Ti do una percentuale minima, perché a te servono soci, e sarò solo figurativo. In cambio potrei assorbire con la nostra società." Disse indicando Tom. "La T-consulting di Manchester e convinco London ad essere socio onorario anche lui."
Assentii ascoltandolo, sospirai. "Anzitutto London mi ha detto già di no, quindi non credo che lo farebbe, piuttosto convinci Tom che invece ancora non ha detto nulla." Specificai tenendo lo sguardo su mio fratello. "Inoltre non posso darti modo di assorbire la T-consulting, poiché è una società e per quanto non sia forte e produttiva come la T- consulting KCG, appartiene sempre a quel pacchetto azionario che diventerà mio solo per il trenta per cento." Spiegai. "Ti dirò inoltre che la quota del socio onorario si può fare, potrei ricambiare finanziando allo stesso modo, la 2L energy corporation. Convinci Tom!"
Liam scoppiò a ridere divertito. "Gabe tu hai London, ma Thomas ha me. So tante cose non dette ufficialmente e sappiamo tutti, London incluso, che Tom farà parte della tua società, a parte che vuole farlo, lo sento." Quindi come London anche Liam sapeva che eravamo fratelli. "Ma cosa più importante, potrà farlo con te. Di a tuo padre di lasciarti quella T- consulting e fammi vedere quanto sei bravo."
Scuotendo la testa incrociai le braccia al petto. "Se anche lo volesse e mi lasciasse il mio 30% da gestire saremo lo stesso fermi. In Gran Bretagna non sono io a comandare." Affermai tranquillamente.
Liam incrociò lo sguardo di Tom. "Sei alla KCG di Londra, chi sono i soci?"
"Mia madre ha il 0,05%, Molly Sinclair il 10%, Drake Robinson il 10%. So che il resto è tutto di Thomas Keller, quindi non posso aiutarti." Disse prendendo finalmente parola Thomas.
Liam mi fissò. "Se tu hai il trenta dove finisce il restante 50?" Mi chiese.
Sospirando feci per rispondere, ma la voce di London che testimoniò la sua presenza parlò per me. "I fratellini!" Urlò chinandosi al mio fianco.
"I fratelli? Hanno loro il cinquantadue?" Chiese esterrefatto Liam? "Quanti sono?"
"In totale siamo sei. O almeno mio padre mi ha detto di due fratelli che non conosco. Uno dei due vive in Scozia ed ha il 5% di questa quota, il 2% verrà trasferito a Sapphrie Cooper e un altro 5 verrà diviso per gli altri miei tre fratelli. Mentre il quaranta per cento è la gestione totale delle T-KCG in Gran Bretagna e in Europa appartiene all'altro mio fratello, il mio coetaneo." Spiegai spiccio.
"L'altro fratello?" Sussurrò Liam voltando piano la testa verso Thomas che mi fissava dal monitor.
Mio fratello, l'uomo che definito come mio gemello, mio pari finalmente si espresse. "Apriamo questa filiale, cerchiamo un nome e decidiamo dove aprire le sedi.. Solleviamo anche le due T-consulting che non sono KCG, così la società madre le assorbirà. In pratica..." Disse guardando Liam. "No, la T-Consulting non verrà assorbita dalla LKT Investment. Però la cosa dei soci onorari con noi mi piace e ricambieremo il favore con piacere." Concluse e iniziammo!
Erano passati tre anni.
Tre anni in cui io e Thomas avevamo aperto, su suggerimento di Adela,  la BK- Consulting. Si il nome era stato scelto dalla mia amata moglie che aveva detto che la B stava per fratello mentre la K per Keller.
"Avete un rapporto fraterno. E se la società verrà assorbita dalla Keller la K ci sta benissimo." Propose. Erano passati tre anni ed avevamo ottenuto risultati soddisfacenti. Cinque sedi aperte e una in apertura in Francia. Un rapporto consolidato ed una crescita personale insieme a mio fratello e a mia moglie. Ero soddisfatto della mia vita e pronto ad allargare la famiglia.

ADELAIDE

Controllai le mie valige per l'ennesima volta. Presto sarei partita per raggiungere Londra, dove ad attendermi avrei trovato il mio migliore amico, Eddy, che ormai si era stabilito completamente lì. George il suo giovane amore, molto più giovane di Eddy, vi viveva e lo aveva seguito. Sembrava felice il mio migliore amico, anche perché col trasferimento aveva dovuto affrontare i genitori dicendo loro che era gay.
Ovviamente Theresa e Jason erano stati meno sorpresi di quanto Eddy pensava. Infatti avevano dato la loro benedizione al figlio dicendogli che l'importante era che stesse bene.
Eddy aveva dei progetti, aprire una sede della Williams & Murphy in Inghilterra così da non perdere gli anni di studio ed avere già una sua attività avviata. Aveva conseguito il master di legge a Cambridge, dopodiché si era premunito di iniziare la sua carriera londinese. Suo padre spesso era stato nel Regno Unito in quegli ultimi due anni, proprio al fine di aiutare il figlio a trovare degli ottimi collaboratori per la sede. Così Eddy avrebbe potuto continuare a fare il ricercatore anziché l'avvocato.
Quando mi laureai ad aprile, iniziai a seguire Jason. Fui titubante lo ammetto, non volevo lasciare mio figlio che cresceva e sopratutto Gabriel che era sempre più preso dall'azienda di famiglia, dalla G&L Associates e dalla società aperta in comune col suo amico barra fratello Thomas. Ma fu lui stesso a dirmi di partire e apprendere quanto più possibile per poter svolgere quello che sarebbe diventato il mio lavoro. Anche London mi aveva spronata, ricordandomi che gli avvocati della Thompson presto o tardi sarebbero andati in pensione e che io ero la sua ancora di salvezza per quel ramo della società di papà. Così iniziai a viaggiare verso il Regno Unito. Ospite di Eddy conobbi per la prima volta il suo ragazzo, George, un architetto di interni con qualche anno meno di lui, e Gellert suo cugino e socio dello studio legale.
Fui titubante quando conobbi Gellert, così freddo e distaccato rispetto a Eddy. Il fatto che i due andassero così d'accordo mi fece mettere da parte le mie reticenze, così mi concessi di conoscerlo un po' meglio.
Devo dire che fummo entrambi sospettosi l'uno dell'altra, pensavamo di essere i migliori e che non avremo mai potuto lavorare insieme. Questo almeno fino a quando Eddy non ci costrinse a lavorare insieme ad una causa per le società svizzere che si appoggiavano allo studio legale.
"Svizzere?" Chiesi sorpresa. Gellert era così bravo da attirare clientela Svizzera?
"Questa società legale è stata istituita in Svizzera, si occupa solo ed esclusivamente di diritto commerciale e internazionale." Mi rispose Eddy. "Mentre a Londra ho aperto la Williams e Murphy. Fin quando sono cause civili riesco a giostrarmi e anche i legali inglesi che sto assumendo ci sanno fare. Ma tu Ada cara lavorerai per la K & K(pr. Ka und ka nda) Associated che ha sede in Svizzera e si occupa solo ed esclusivamente di commercio." Mi spiegò.
Così anche se titubante e spinta da Jason partii con Gellert per la Svizzera. Jason si fidava del nipote e Eddy sapeva che amavo mio marito, quindi sperai che Gellert non ci provasse con me. Quando arrivammo in Svizzera dopo un viaggio di due ore fatto di lavoro, Gellert mi spiegò dei clienti e delle pratiche che avremo dovuto evadere, andammo quindi spediti allo studio.
Lo studio, se così si poteva chiamare visto che era un bilocale arrangiato, sembrava comodo. Circondato da archivi e con una scrivania centrale. stranamente ordinata anche se piena di carte. C'era solo un'altra stanza che Gellert mi aveva detto era il bagno e una camera dove dormiva.
La mia stima verso di lui crebbe in quei due giorni in cui lavorammo insieme in sintonia, senza prevaricare l' uno sull'altra, al contrario ci scambiammo opinioni e consigli, tanto che una volta di fronte ai clienti il nostro fu un botta e risposta coordinato che ci portò a concludere più di un accordo in modo positivo. Fu un tour de force durato una settimana in cui Gellert, anzi Gel, perché avevo preso a chiamarlo così, si dimostrò un signore in tutti i sensi. Anzitutto non ci aveva provato con me e questo era fondamentale, inoltre non prevaricava solo perché ero donna. A Gel piaceva avere un rapporto paritario, il maschilismo nel suo vocabolario sembrava non esistere. Infine mi lasciava spazio, spesso in quel periodo ero sentita osservata da quello sguardo azzurro e cristallino senza malizia e mi aveva lasciato fare. Se all'inizio non era stato invadente facendosi gli affari suoi, nel viaggio di ritorno verso Londra fummo entrambi più accoglienti l'uno verso l'altra. Tanto che parlammo di qualsiasi cosa ci venisse in mente, io parlavo di mio figlio e del progetto di metterne un altro in cantiere adesso che avrei avuto tempo fino a ottobre. Parlavo del mio matrimonio, facendo comprendere che mi sentivo amata e capita e infine del mio lavoro che mi appassionava tanto.
Questo appassionava anche Gel che infatti rispondeva a tono quando si trattava di lavoro, al contrario pensava che l'amore fosse sopravvalutato, che non era una famiglia a renderti completo ma l'assoluta soddisfazioni di se stessi. Un compagno era relativo per lui, serviva a poco e nulla se non a darsi piacere a vicenda nell'intimità, quindi tanto meglio avere un'amante una tantum con cui scaldarsi il letto anziché una compagna a cui dover dare spiegazioni perché ora doveva partire, ora faceva tardi in ufficio. No, i rapporti di coppia non erano per lui.
Quello che mi sorprese però fu quando tornammo da Eddy e Gel rivolgendosi al cugino mi guardò.
"Per me va bene. Nonostante le manchi il master è già molto preparata, inoltre non è una morta di cazzo. È intelligente e sa tenere testa anche ai più testardi imprenditori che io abbia mai conosciuto. Quindi fa come vuoi." Concluse poggiando la valigetta sulla scrivania in mogano, molto più di lusso di quella in Svizzera.
Davvero Gel aveva pensato io fossi una ragazza facile? Ok anche io avevo pensato che lui fosse uno che ci avrebbe provato, diamine era bello. Capelli castani rossicci tenuti ordinari ma che tendevano ad arricciarsi, viso elegante e deciso, occhi azzurri e un bel portamento. Qualunque donna, tranne me ovviamente, gli sarebbe morta dietro. Lo fissai sbigottita. "Ok! Non sono una morta di cazzo e non inizierò adesso con te. Mi basta mio marito e anche se non ci fosse stato lui non ti sarei morta dietro." Ammisi prendendo la sua affermazione come un complimento.
"Benissimo." Jason rise guardando me e Gel confrontarci, attirando la mia attenzione. "Eddy voleva proporti di entrare in società nella K & K. Per questo ti abbiamo fatto partire con Gellert, lui era molto reticente in merito. Affermava che dovevi prendere il master e che sei molto giovane ancora, effettivamente è così. Ma penso che tu gli abbia dismisurato che hai tanta roba da dare e che puoi far parte della loro società." Mi spiegò.
"Una società? Ma devo prendere il master e i corsi iniziano a ottobre." Gli ricordai.
"Si ma adesso hai una laurea e puoi esercitare e anche avere un tuo studio. Il master ovvio di servirà, ma anni di tirocinio accanto a me ti hanno dato l'esperienza che un master non ti da." Affermò Jason.
"Tu pensaci Ada." Mi disse abbracciandomi Eddy. "Mi piacerebbe averti accanto in questo viaggio e cerchiamo comunque soci e avvocati validi nell'ambito internazionale e commerciale."
"Eddy ci ha detto che a Boston avresti già tuo padre come cliente. Giusto?" Mi chiese Gellert.
Annuii evitando lo sguardo di Jason. "Si, gli avvocati di papà sono nella sua azienda da prima che ne diventasse CEO e tempo un altro paio di anni saranno in pensione." Alzando lo sguardo fissai tutto. "Mio padre però preferisce i privati, per questo non si affiderebbe mai ad uno studio associato di questa portata."
"Tu pensaci. Comunque dietro lo studio legale ci saresti tu e probabilmente se c'è sua figlia tuo padre potrebbe accettare che un grande studio si occupi dell'azienda. Inoltre faremo solo questo, per altre cause penali e civili noi ne saremmo fuori." Disse Gellert in ultimo.
Ci avevo pensato, e quando rimuginavo troppo su una cosa Gabriel subito domandava. Mi conosceva talmente tanto bene che mi capiva al volo.
"Quando stai a rimuginare fai le smorfie, poi inarchi sempre il sopracciglio sinistro." Mi disse divertito.
Mi sentii trasparente, effettivamente parlarne con lui era la soluzione migliore. In fondo ero sua moglie e condividevo tutto con Gabriel anche se questo implicava discutere. Da quando era rientrato da Monaco tre anni prima quelle erano all'ordine del giorno, ci confrontavamo su tutto ed era bello. Perché non erano litigi, ma discussioni costruttive.
"Fallo!" Mi aveva detto tranquillamente Gabriel quando gli spiegai dell'offerta di Eddy.
"Sei serio? Questo implicherebbe che io debba viaggiare molto per l'Europa." Affermai. "Volevamo avere un altro figlio."
"E lo faremo." Mi rispose serio baciandomi. "Ma se tu hai un tuo studio che si occupa solo di contratti commerciali e internazionali, io e Thomas ci appoggiamo a te per le pratiche della BK- consulting." Disse pratico. "Così quando mese prossimo dovremo andare a Parigi invece che chiamare un legale esterno ti occuperai tu delle pratiche di apertura della nuovissima sede."
Lo guardai sorpresa non pensando che mio marito, al contrario di me, aveva subito visto la cosa da un punto di vista pratico e soprattutto per il tornaconto delle sue società.
Nonostante il successo della G&L infatti Gabriel stava aprendo le sue filiali della società paterna, proprio come aveva già fatto il padre in passato. Avrebbe dovuto aprirne almeno cinque entro i suoi trent'anni. Aveva deciso di aprire questa cosa con Thomas, perché nonostante non si fossero mai detti di essere fratelli, da quando lo aveva capito Gabe cercava di includerlo in tutto. Gabriel al suo trentesimo compleanno sarebbe entrato di diritto come CEO nella KCG.
Suo padre Thomas lo aveva avvertito che il 60% della sue quote socio era comunque diviso per tutti i figli. Così, scoprimmo che i figli di Thomas in realtà erano sei e non quattro come si pensava, la divisione era stata per il 10% a ognuno di loro. Ovviamente Thomas Keller avrebbe gestito il quaranta per cento degli altri figli fino a quando non fosse andato in pensione, soprattutto perché Rafael stava laureandosi in lingua e letteratura, Micaela era invece una musicista e degli altri due figli si sapeva poco o niente.
Nel frattempo però Gabe e Tom si erano messi di buona lena a portare sù la loro piccola impresa. Aprirono quattro sedi, quasi cinque e tutte di successo. Durante gli ultimi due anni e mezzo, Tom era stato spesso a Boston da noi con la piccola Krystal e Liam Thomson, suo socio per la LKT financial, compagno di università a Oxford, nonché socio di mio fratello London per la 2L energy corporation. Anche noi eravamo andati in Gran Bretagna, precisamente in Galles e in Irlanda ad aprire le due sedi europee. Mentre Thomas e Gabriel parlavano di affari, io facevo la turista e tenevo Adam e Kristal. Dublino era stupenda e anche Cardiff era una tipica città britannica molto affascinante. Il nome della loro società era Keller Bros consulting group, abbreviata BK-consulting. Era in programma l'apertura della quinta e ultima sede richiesta da nonno Tobias per dimostrare che Gabriel fosse in grado di svolgere il suo lavoro e la destinazione scelta da mio marito e suo fratello era stata la Normandia in Francia.
"Sai che hai ragione?" Avevo detto a Gabriel. "Ma a te andrebbe bene che io lavori... per e con te?" Gli chiesi.
Gabriel mi guardò serio. "Non lo so. Ma se non proviamo non lo sapremo mai,vorrei non fosse lo studio legale di mio zio a seguire le mie società e tu saresti la soluzione. Una garanzia perché comunque ti conosco e parli talmente tanto di Eddy che quasi mi sembra di conoscerlo. Mi fido del tuo istinto e semmai la cosa nuocerebbe al nostro matrimonio avresti sempre il tuo socio che può sostituirti. No?" Mi disse esponendomi il suo punto di vista.
Effettivamente aveva ragione. Gli avevo sorriso. "Così non dovremo più intrecciare i nostri impegni quando devi partire per l'Europa." Lui e Tom stavano aspettando che io mi liberassi dall'università per farmi seguire Gabriel.
"Soprattutto se pensi che già starò via abbastanza per la sede principale quando salirò in presidenza, almeno così avremo modo di condividere qualcos'altro che non siano il letto e i figli." Mi prese in giro.
Così accettai. Ero diventata socia della K & K associates versando una somma esigua che non mi aspettavo. Come mi aveva spiegato poi Jason, i soci eravamo io Eddy e Gellert, sebbene studio associato eravamo talmente piccoli da poter aver un capitale sociale non eccessivo per la partenza, come invece comportava una seda della William e Murphy. Quando dissi a Eddy che avevo già un cliente e che dovevo fare dei contratti d'agenzia in Francia, rimase piacevolmente sorpreso. Tutto procedeva alla grande o quasi, avevo smesso la pillola da maggio, eppure a luglio ancora non c'erano novità.
Pensavo di essere anche abbastanza rilassata poiché nonostante in Normandia stessi lavorando, ero in un bel paese e stavo godendomela parecchio.
"Forse ci pensi troppo!" Mi aveva detto Joel che aveva seguito il fratello come sempre. Ormai era laureato in psicologia sociale e lavorava alle risorse umane in una società tedesca. Spesso accompagnava Thomas alle aperture delle sedi per confrontarsi con i dipendenti assunti.
"Hai ragione, con Adam non mi sono fatta problemi, per noi non era in programma. Adesso invece lo vogliamo proprio." Gli risposi.
"Quindi ti consiglio di rilassarti e divertirti. Se vorrà venire lo farà senza che tu e Gabe lo vogliate." Disse. Adoravo Joel e avrei seguito il suo consiglio.
In vista dell'apertura della sede di Marsiglia dovetti avviare parecchie pratiche burocratiche. Le feci con piacere, nonostante del mio lavoro mi piacesse avere un posto negli accordi legali delle società con le controparti, prendevo sul serio qualsiasi cosa, anche contratti di comodato d'uso o pratiche di avvio società come in quel caso. La soddisfazione più grande fu però lavorare a stretto contatto con Gabriel. Lo conobbi, per la prima volta, nel suo ambiente, era sicuro di sé e impartiva ordini con autorità e, se serviva, gentilezza, era diligente e fortunatamente se qualcosa che facevo non gli andava bene me lo diceva senza crearsi il problema di offendermi in quanto sua moglie. Lavorare con lui era esaltante in qualche modo. Condividere qualcosa che non fosse solo la gestione della nostra famiglia, mi piaceva. Soprattutto perché non lavoravamo insieme nel vero senso della parola, la mia era una consulenza esterna cui loro si appoggiavano. Quindi poteva funzionare? Saremo stati a vedere.
Dopo aver avviato tutte le pratiche, sia noi che Thomas ci eravamo prolungati a Marsiglia per goderci anche un po' l'estate e le vacanze. Ciò che avevo notato era l' affinità che si era creata tra Thomas e la tata di Kristal. Si scambiavano degli sguardi che la dicevano lunga, ufficiosamente lei era la tata di Kristal, scelta appositamente perché madrelingua tedesca e insegnante di musica. Ufficiosamente io e Gabe avevamo notato le scintille che volavano e il loro cercarsi con lo sguardo ogni volta che pensavano di non essere visti.
Non sapevo perché Tom lo nascondesse, si poteva ben comprendere perché Eleonor gli piacesse, anzitutto era fantastica con Kristal, anche con Adam, anteponeva la bimba sopra tutto e la trattava più da madre che da tata. Poi era vivace, spontanea e quando suonava si avvertiva tutta la dolcezza che si teneva dentro lasciandola uscire. Era una persona a cui piaceva condividere e molto rispettosa infine del lavoro altrui. Sarebbe stata perfetta per Tom, soprattutto dopo la delusione della madre di Kristal. Anche Joel aveva una ragazza in quel periodo, ma al contrario del fratello era palese che tra i due a parte che una buona dose di sesso non ci fosse altro.
Tornammo a Boston a metà agosto e trovai ad accogliermi una notizia sconvolgente. Jonathan era scappato, lasciando mia sorella sulla bocca di tutti, era diventata lo zimbello della società bostoniana dopo che Jonathan aveva prosciugato il loro conto bancario.
L'unica sua liberazione era quando andava allo studio associato, ormai lavorava lì in pianta stabile. Ma Brooke era mia sorella e la mia assistente personale, vero che alla Williams e Murphy la conoscevano più come Brooklyn Thompson che come Brooklyn Jenkins, seriosa signora muta di Jonathan Jenkins. Ma presto della fuga di Jonathan se ne sarebbe parlato anche a Cambridge e io dovevo proteggerla.
"Brooke... che ne dici di venire con me a Zurigo. Potresti restare lì a gestire i miei clienti mentre io sono a Boston, così riuscirei ad essere aggiornata." Le proposi guardandola di sottecchi.
"In Svizzera? Dove hai aperto lo studio associato?" Mi chiese.
Annuii. "Sì, ti ho sentito parlare tedesco qualche volta allo studio, forse ti serve un po' di francese, però un periodo di pausa da qui potrebbe farti solo bene."
"E la Williams & Murphy?" Mi chiese speranzosa.
"Parli io con Jason." Dissi, in realtà non ebbi modo di farlo . Fu lui stesso a dirmi di portare via Brooke. Le voci stavano arrivando a Cambridge.
Ed ora a pochi giorni dalla partenza ero pronta di fronte a mio marito.
"Starò via il tempo necessario per aiutare Brooklyn a sistemarsi oltre che a lavorare." Gli dissi sospirando. Adam aveva iniziato ad andare all'asilo ed avevamo svolto il periodo di accoglienza, si era integrato subito con gli altri bambini. Si poteva dire che la prima settimana era stata più traumatica per me che per lui.
Gabriel mi lasciò un bacio sorridendomi. "Vai, io e Adam ce la caveremo benissimo. Poi c'è sempre tua madre che ci aiuta." Concluse prendendo il mio reggiseno sportivo dalla valigia. "Al tuo ritorno ti aspetta un regalo sexy." Ammiccò.
Chiusi la valigia e gli saltai cavalcioni addosso. "A proposito, con tutto questo caos di Jonathan mi è sfuggito di dirti una cosa importante."
Mi guardò enigmatico afferrando i miei glutei e fremetti. "Dimmi." Disse baciandomi la pelle del collo lentamente.
"Mi è saldato il ciclo... al mio rientro facciamo il test?" Chiesi.
Gabriel si fermò cercando il mio sguardo. "Non vedo l'ora. Non ci credevo più, a furia di pensare ad altro anche io mi ero dimenticato del nostro progetto." Mi disse sfiorandomi il ventre con un sorriso.
Eh già! Finalmente aspettavamo un bambino, lo sentivo! Non avevo bisogno di un test di gravidanza, aspettavo un bambino. Forse una splendida bambina, come desiderava Gabriel.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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L'aereo sorvolava sopra l'oceano Atlantico. Mia sorella stava portandomi con sé a Zurigo, lì dove si trovava la sede della K&K associated, lo studio legale suo e dei colleghi e amici Eddy e  Gellert.
Adela mi aveva chiesto di preparare le valigie caricandole il più  possibile così da per poter lasciare Boston per un bel po' di tempo.
"Jason ha intercesso per te, dicendo a Gel che come segretaria sei straordinaria e riesci benissimo a fare anche lavoro di assistente. Inoltre Gel non ha potuto dirmi di no, da quando abbiamo la società è la prima volta che intervengo direttemene in una decisione. Gli ho detto che comunque con te potremo avere filo diretto sempre visto che sei mia sorella e hai tutti i miei contatti." Mi spieg.
Così avevo salutato mamma e papà, erano preoccupati per me. Tutti lo erano! Le voci a Boston stavano aumentando sollevando un polverone assurdo.
A cominciare dalla mia ex suocera che appena erano girate le voci: "Non è  mai rimasta incinta." Ha iniziato a dare la colpa a me. "Il problema è stata lei. Non riusciva, non dava neanche piacere al marito, altrimenti non sarebbe scappato." Non davo piacere a Jonathan! Era lui che non ne aveva dato a me. Quella parola si era insinuata di nuovo nella mia mente: frigida. Ero frigida, lo sapevo. Non avevo mai provato il piacere erotico, Adelaide mi aveva convinta anni prima che era forse Jonathan a non provare piacere e di conseguenza non ne faceva provare a me. Ma adesso le voci incessanti dimostravano il contrario. Mia suocera che non era mai entrata in camera nostra aveva detto: lei non sapeva dargli piacere.
Jonathan si era sempre confidato con sua madre. Doveva quindi essere quella la verità, le aveva detto che a letto ero una statua. Quindi ero io il problema.
Arrivate a Zurigo una macchina ci aspettava pronta a portarci nella sede della K & K. Durante il tragitto Adelaide mi spiegò le funzioni dell'ufficio, di cosa si occupavano e quali erano i clienti in Svizzera.
"Gel gestisce tutto qui, io invece gestisco gli affari da Boston per ora. Ho in carica la gestione legale delle KB consulting, della 2L energy corporation e della G&L company che aprirà in Germania entro l'anno nuovo." Mi spiegò eccitata.
"Sono tanti clienti." Le dissi mentre faceva una smorfia.
"Se conti che sono le società di Gabriel e London non direi." Ammise sincera. "Sono stata dai clienti in Svizzera. Ma Gel mi darà il tempo di prendere il master prima."  Affermò indicandomi il Limmat che spalleggiava la nostra auto. "Noi andremo nel quartiere industriale, anche da lì potrai vedere il fiiume Limmat, inoltre c'è anche la ferrovia e un quartiere di lusso dove potrai prendere un appartamento. Parli molto bene il tedesco, quindi non dovresti avere problemi ad ambientarti."
Annuii. "Organizzerò qualche week end con la mie amiche europee, posso andare sia a Francoforte che a Bologna da qui . Quindi non preoccuparti, mi ambienterò subito e avrò compagnia." Le dissi dolcemente. 
Arrivate nello stabile che occupava l'ufficio l'auto di fermò. Io presi le valigie mentre Adelaide parlava con l'autista ringraziandolo.
"Ho preso anche il tuo trolley." Le dissi mentre arrivava.
Mi sorrise entrando nello stabile, la seguii e una volta nello studio, un piccolo cunicolo, lasciai le valige di lato. Non mi aspettavo un ufficio di lusso, anche se mi sarebbe piaciuta la vista sul fiume Limmat. Peccato che c'era solo una piccola finestra.
"Ehi Gel! Ti sono mancata?" Sentii dire da mia sorella che era andata ad abbracciare un uomo alto quanto Gabriel se non di più. Spalle larghe, pelle chiarissima, capelli rossi, un viso dai tratti decisi e gelidi occhi azzurri. Bello, decisamente. Avrebbe spaventato chiunque con il suo sguardo freddo, ma ormai avevo il callo con certa gente. Schiena dritta e testa alta mi guardai intorno fino a quando Adela non mi presentò uno dei suoi soci.
"Brooklyn, lui e Gellert Keller- Meyer. Gellert Brooke è fantastica, il nostro studio a Boston adesso ha una super organizzazione." Disse presentandomi.
Lui composto mise le mani in tasca fissandomi, ricambiai lo sguardo. "Riesco ad organizzarmi da solo." Disse con voce ferma e calda.
Fui percorsa da un brivido lungo tutto la schiena al suono della sua voce. Impossibile, non potevo avere paura. Quindi ignorando il fremito gli risposi incrociando le braccia al petto, se non voleva stringermi la mano educatamente lo avrei ignorato anche io.
"Notavo che la scrivania seppur piena di pratiche ha un certo ordine. Cartelle di colori diversi, raccoglitori messi evidentemente in un certo modo." Gli risposi in modo professionale.
"Sono un tipo pratico ed essenziale. Non mi perdo in sciocchezze." Mi rispose tenendo lo sguardo nel mio.
Sorrisi. "Ci credo, comunque dovrebbe avere più ordine. Prima o poi le cartelle non basteranno e ci vuole un archivio, quando i clienti verranno in sede trovare una scrivania del genere non sarà un buon biglietto da visita." Riferii.
"La mia scrivania va bene così." Rispose lui.
Adelaide faceva avanti e indietro con lo sguardo da me a lui.
"Il computer, il telefono fisso, un blocchetto, delle penne e se vogliamo metterla una foto più personale sarebbero il giusto equilibrio per la scrivania, dove una targhetta in ottone indicherebbe il suo nome." Affermai.
"Sono cinico." Disse.
"Anche il più cinico degli uomini ha un genitore che ama o che ammira. Non ho chiesto la foto della famiglia felice." Conclusi con un falso sorriso.
"A questo ci pensa lei? Non deve tornare a casa da suo marito la sera?" Disse lui sbuffando per poi dedicarsi ad Adela. "Non ho bisogno di un'assistente o una segreteria, non abbiamo neanche la rete fissa."
Lei scosse la testa. "Hai bisogno di una segretaria eccome. Fai le notti dietro le pratiche, Eddy mi ha detto che non vai a trovare tua madre da mesi." Gli dissi seria.
"Perché sono impegnato con la Kögin enterprise a Dubai. Ha dei problemi con la sede di Shangai e stiamo cercando di risolverli. Quindi anche se avessi un'assistente non avrei tempo di raggiungere la mia famiglia."
"Che problemi hai con la Von Konig Enterprise" "Non lo so. Cerchiamo di venirne a capo io e James Von König, ma tra una traduzione e l'altra nelle trattative, ci perdiamo." Ammise ormai ignorandomi. Quindi riusciva a comprendere che aveva dei limiti, era umano.
"Non capisco cosa centri la storia di Dubai e Shangai." Disse Adelaide.
"È lunga come storia. La sede centrale della Von Konig è a New York. Ma per varie ragioni, James negli ultimi anni ha aperto delle succursali nell'Eurasia, la sua famiglia è anglotedesca, di Francoforte. Oltre queste, aveva aperto la sede a Dubai e negli Emirati, con la quale scorre tutto liscio. Si è messo in testa di aprire a Shangai. Ma in Cina ci sono cavilli da cui non se ne esce."
"Conosci molto bene Von Konig." Disse Ada.
"È stato il mio primo cliente ed è tuttora il più importante. Il fatto che sia giovane aiuta i nostri rapporti ovviamente."
"Ah ecco! Siete amici." Capitolò Ada e lui annuì. "Fammi vedere la pratica, vediamo se riesco ad aiutarti."
"C'è, ma dobbiamo aspettare l'interprete che deve trascrivere la traduzione. Ma ti anticipo già che me la vedrò io, intanto che sei qui vediamo di risolvere con la Stadler group, hai studiato la causa vero?" Le chiese Gellert intanto che io raggiungevo la sua scrivania.
Cercai il fascicolo tra quelli presenti e sfilai il cellulare dalla borsa. Finalmente una cartella con degli ideogrammi cinesi catturò la mia attenzione. Adela e Gellert parlavano della causa che avrebbero affrontato il giorno dopo ed io cercai di capire cosa c'era scritto. Feci una foto del documento dopodiché la mandai alla mia amica di Pechino, Shu Cheng.
- Nihao Shu! Come stai, tutto bene? Avrei bisogno di un favore. Non riesco a tradurre alcuni caratteri che non conosco, potresti aiutarmi? - le scrissi intanto che cercavo una matita e iniziavo a tradurre ciò che conoscevo su un foglio bianco.
"Cosa stai facendo?" Chiese Gellert facendomi trasalire.
"Stavo... controllando la pratica della Von Konig." Dissi riprendendomi.
Lui mi fissò, prima me poi il foglio su cui stavo trascrivendo la traduzione. "Parli cinese?" Mi chiese sorpreso.
"Un po', ho fatto degli scambi culturali a Pechino ed ho mantenuto i rapporti epistolari." Risposi riprendendo a scrivere. "Qui parlano di trattati internazionali." Gli dissi saltando una parola e tratteggiandola.
Sentivo il suo sguardo su di me e la cosa mi innervosiva. Strano dal momento che ero abituata a ben altro, probabilmente era quel suo atteggiamento generale a farmi stare allerta. Non mi voleva lì e lo stava facendo vedere.
Ero a quasi metà pagina quando il mio telefono squillò. Il nome di Shu Cheng appariva e scompariva del display. Presi il dispositivo e risposi in un perfetto cinese alla mia amica di penna. "Nihao Shu." Lei ricambiò il mio saluto con calore. "Scusami se ti ho disturbata, li da te sono le ventidue."
"Tranquilla mia cara. Come sta il carceriere di tuo marito? Strano che tu abbia ripreso a lavorare da tuo padre." Mi rispose maliziosa.
"Abbiamo divorziato e ora ho di nuovo un lavoro decente." Le dissi senza entrare nei particolari, non quando avevo Gellert che mi fissava scocciato.
"Oh bene. Era ora amica mia, questo significa che potrai tornare a trovarmi a Pechino, il tuo cinese tentenna un po' o sbaglio?"
Sorrisi. "Effettivamente potrei e no, non è più tanto fluido; almeno nella lettura."
"Se hai carta e penna di leggo tutto in inglese. A proposito, a marzo mi sposo. Sei invitata, okay." Affermò decisa.
"Sono felicissima per te. Sempre con Li Sou Yang?" Le chiesi.
"Ovvio! Era anche ora." Rise ed io con lei. "Cominciamo, sa che ti stavo chiamando e ti saluta. Ne sta approfittando per fare la doccia non so se mi spiego. Notte rovente!" Ammiccò.
Ovviamente, perché anche lei come chiunque mi circondava viveva benissimo la sua sessualità. "Pronta." Le dissi.
E lei iniziò! Io seguii la traduzione che avevo fatto, qualche volta dovevo correggere. Altre mi spiegava. Ad un certo punto però la interruppi.
"Posso farti parlare con Gellert, vedo che sei parecchio ferrata sull'argomento e forse è il caso che parli con lui." Le dissi in inglese.
"Si, certo. Mettimi pure in viva voce." Mi disse. Osservai mia sorella e il suo socio e poggiai il telefono sulla scrivania in viva voce.
"Vi presento la mia amica Shu Yan Cheng, Shu ti presento mia sorella Ada e il suo socio Gellert."
-Buonasera e piacere. Sono Shu della Cheng import export inc., ho letto la documentazione che mi ha mandato Brooke, se posso esservi di aiuto spesso ci troviamo con questi cavilli legali apparentemente irrisolvibili negli scambi con l'estero.- Disse presentandosi. - Signor Gellert, Brooke ha voluto che parlassi direttamente con lei così posso spiegarle direttamente come sviare i cavilli.-
"Lei è molto gentile Miss Cheng, mi dica tutto, la ringrazio innanzitutto e la seguo." Disse lui pendendo la penna.
Shu iniziò a esporre le varie clausole e lui appuntava. Io mi spostai verso Adelaide stiracchiandomi.
"Almeno sono stata utile prima di andare via." Le sussurrai.
"Restarai, lo sai già." Mi disse a bassa voce. "È stato anche Jason a intercedere per te qui e non può mandarti via. Mi prendi la pratica Stadler su cui ho lavorato ultimamente?" Mi chiese poi.
Annuii. Se mi trattava così ero nel mio mondo, quindi efficiente. Presi la mia ventiquattr'ore e ne estrassi un paio di stampe tenute in una cartellina, poi la raggiunsi.
Gellert stava ringraziando Shu per l'aiuto avvicinandosi a me.
-Non ho fatto nulla di eclatante.- Stava dicendo Shu. -...poi subito hai capito i punti cruciali. Brooke...- Mi chiamò attirando la mia attenzione.
"Ehi Shu! Grazie tante, sapevo che potevi aiutarci ma non così tanto." Le dissi grata.
-Fortuna.- Rispose lei. -Brooke adesso che sei libera ti aspetto a Pechino. Ti ricordo che...-
"...a marzo ti sposi." Ricordai dolcemente.
"Saremo lì prima." Intervenne Gellert. "Fra dieci giorni saremo a Shangai, se Brooke vuole possiamo fare un salto a Pechino."
Lo guardai. Aveva detto sul serio? Mi portava in Cina? Avrei voluto urlare e saltare dalla gioia, ma non sarebbe stato il caso.
-Perfetto!!!- urlò invece Shu. -Vi aspetto, così ci conosciamo di persona Gellert, ciao Brooke, ciao Ada!- ci salutò - raggiungo Li Son a prestooo!- E così staccò.
Gellert mi fissò sospirando. "Grazie. Non immaginavo parlassi cinese."
"Non in modo professionale. Più per diletto e passione, per questo non è curricolare." Gli dissi mesta.
Lui assentì. "Finiamo queste pratiche, poi ti mostro lo studio e la zona in cui ci troviamo." Disse rivolgendosi più a me che ad Adela. "Così perdiamo un po' di tempo prima della cena."
"Dobbiamo portare le valige in albergo anche." Disse Adela.
"Le metteremo in auto." Disse lui invitandoci a sedere.
Rimase freddo e distante nei miei confronti per tutto il pomeriggio e poi per la sera e per i giorni successivi.
Solo quando Adelaide prese l'aereo che l'avrebbe riportata a Boston lo affrontai. Non potevo stare sulle spine per i suoi atteggiamenti continuamente distaccati. Avremo lavorato insieme e ci voleva un minimo di scioltezza, anche se in quel momento, chiusi nell'atto così vicino a lui non mi sentivo affatto forte.
"Perché sei così freddo nei miei confronti?" Gli chiesi strada facendo mentre la macchina dall'aeroporto sfrecciava verso il mio albergo.
"Non sono freddo con te, questo è il mio carattere." Ammise.
"Con Ada non sei così, o almeno non la eviti." Precisai.
"Non sono mai stato istintivamente attratto da tua sorella." Disse schietto. "Con lei so che possiamo essere amici."
Attratto?! "C-cosa stai dicendo?" Gli chiesi interdetta. "Possiamo essere amici anche noi."
"Impossibile. Anche con un burka sinceramente potremmo fare qualcosa, inoltre è palese che l'attrazione sia reciproca."
Assolutamente no! "Ti sbagli! Non sono attratta da te, non sono attratta da nessuno." Dissi rendendomi di più verso il finestrino.
"Sei seria?!" Chiese lui. "So riconoscere il linguaggio del corpo e il tuo parla chiaramente." "Ti stai sbagliando." Dissi secca ignorando il tremolio della voce. "Quando incrocio il tuo sguardo sono percorsa da un fremito. Nel mio inconscio ho paura di te, probabilmente per il tuo carattere distaccato."
Gellert parcheggiò e mi fissò serio. "Fremito di paura?" Chiese. "Non mi sembra di averti mai minacciata. Inoltre è palese che non incroci il mio sguardo per nascondere il desiderio che provi. Come me infine eviti di toccarmi, sappiamo entrambi che se lo facessi scateneremo l'inferno."
Scossi ancora la testa. "Assurdo.  Tutto quello che dici non è assolutamente vero." Gli dissi.
Gellert scosse la testa uscendo dall'auto. "Dico donna! Sei stata sposata, quelle che fanno le santarelline non le sopporto." Affermò chiudendo la porta con un tonfo.
Io lo seguii dopodiché mi misi di fronte a lui. Aveva preso una sigaretta e ora la fumava tranquillo.
"Non puoi restare in albergo per sempre. Ti conviene cercare un monolocale sarà meno dispendioso." Mi disse indicando l'albergo.
Io tremavo nonostante non facesse freddo, non poteva dire certe cose e cambiare argomento. "Non sono una santa! Si sono stata sposata, ma mio marito mi ha lasciata, perché... perché..." tentennai, non volevo e non potevo dirgli la verità. Sentii i suoi passi avvicinarsi verso di me,
L'odore pungente del tabacco lo precedette, o forse fu il solito fremito che mi percorreva alla sua vicinanza ad avvertirmi. "Perché cosa?" Mi chiese a pochi passi da me.
Istintivamente mi leccai il labbro, avevo la gola secca e non sapevo cosa mi stesse capitando. Sollevai la testa per affrontare il suo sguardo. "Non c'era affinità." Dissi per non rivelargli la verità.
Lui sollevò un sopracciglio stranito. "Fammi capire, hai dovuto sposarti per capire che non c'era affinità. Avresti dovuto saperlo prima del matrimonio."
Mi sentii punta in viso. Anche Adelaide prima che mi sposassi mi puntualizzava sul fatto che Jonathan non andasse oltre i lievi baci. "I-io... volevo arrivare al matrimonio... io in pratica..."
"Vergine." Disse lui scioccato. "Si usa ancora?"
"Certo! Ho ventiquattro anni e ci siamo conosciuti che ne avevo sedici." Gli dissi.
Lui mosse la testa come un allucinato. "Otto anni e non avete fatto mai neanche un po' di petting? Tuo marito se la faceva con altre?"
"N-no..." balbettai.
"Andiamo! È un bisogno fisiologico, anche tu. Non hai mai desiderato essere toccata, non ti sei mai toccata?" Mi chiese diretto. Chiusi gli occhi imbarazzata. Ovvio che si, ero arrivata a toccarmi e masturbarmi. Ma questo non voleva dire nulla. "Non è questo! Tu non capisci, ero arrivata ad un punto in cui non sapevo più chi fossi e me ne ero accorta troppo tardi." Dissi buttando fuori tutto ciò che avevo dentro. "Ho sposato il ragazzo che pensavo di amare. Sua madre dice che non sono stata in grado di fare la moglie, non gli ho dato il figlio che suo padre voleva. Mi sono annullata per loro, ho lasciato il mio lavoro, ho permesso che manipolassero la mia vita perché dovevamo essere la famiglia perfetta. La nuora perfetta per il figlio del senatore! Dovevo vestirmi come volevano loro, avere un determinato atteggiamento e frequentare le persone che dicevano loro, se incontravo i miei genitori una volta al mese era tanto. Non riuscivo neanche più ad avere una mia personalità fino a quando mia sorella non mi ha liberata dandomi il lavoro cui tanto anelavo. Ho sbagliato, sono finita con lo stare con Jonathan, però almeno così ho scoperto che sono frigida." Conclusi in lacrime.
Stupito lui fece un passo indietro. Inspirò la sigaretta poi la gettò nel contenitore di sabbia messo a disposizione per i clienti dell'albergo. Fece un altro passo verso di me e sorprendendomi mi afferrò per la nuca attirandomi verso di se. Le sue labbra furono sulle mie rudi ma gentili al tempo stesso. Non fu un bacio veloce e insipido come quelli di Jonathan. Fu esigente e lento.
Gellert si prese tutto il tempo per saggiare le mie labbra con piccoli baci, ognuno di quello mi faceva tremare un po' di più. Non lo temevo, poiché quel tocco gentile era come una sorta di droga. Lui mi baciava e io ricambiavo baciando la sua bocca, le sue mani carezzavano la base della nuca senza pressare troppo, così da darmi la libertà di potermi allontanare da lui. Ma non volevo, le carezze tra i capelli e le sue labbra gentile e al tempo stesso passionali mi trattenevano.
Risposi al suo bacio e quando la sua lingua carezzò le mie labbra sussultai schiudendole. Si insinuò nella mia bocca ed dentro di me esplose un mondo nuovo. Le nostre lingue si intrecciarono, si toccavano e appena si lasciavano ancora si cercavano. Mi strinsi a Gellert, aderii al suo corpo che in contatto con il mio sembrava essere al posto giusto. Un languido torpore si accese nel mio ventre, lo stesso tremolio che percorreva la mia schiena adesso lo avvertivo intorno alla mia femminilità. E compresi! Aveva ragione Gellert, ero attratta da lui, come lui lo era da me. Desiderio allo stato puro. Una cosa che fino ad allora non avevo mai provato e lo volevo, mi piaceva la sensazione che il bacio di Gellert provocava dentro di me. Quindi era con questo che lottava da quando ci eravamo conosciuti? Da quando i nostri sguardi si erano incontrati la prima volta? Ma si poteva provar desiderio e volerne di più quando non ci si conosceva, quando non si sapeva nulla l'uno dell'altra? Lo volevo? Ma lui? Otto anni con Jonathan mi avevano aiutato a capire che per quanto si credeva di conoscere qualcuno non si sapeva mai abbastanza di nessuno completamente. Aveva avuto ragione Adela, il problema non ero io. Lentamente mi sentii scostare. I miei occhi verdi incrociarono quelli azzurri di Gellert. Mi fissava sorpreso quanto me, gli occhi offuscati dalla passione e le guance rosse. Mi avrebbe chiesto di entrare? E io? Cosa gli avrei risposto?
Si scostò leggermente prendendomi per le spalle. "Io non so cosa sia stato il tuo matrimonio Brooke. Ma tu non sei sbagliata, quando una donna pensa di essere sbagliata e di non aver mai fatto abbastanza per il proprio uomo, per farlo stare bene, questo è sbagliato Brooke! Jonathan è stato un male per te e tu non te ne sei accorta, ancora oggi non te ne accorgi. tu sei convinta che dovevi dare di più ma in un rapporto sono entrambe le parti a doversi venire incontro lui pretendeva da te cose che non potevi dargli perché non potevi fare tutto da sola. Lui è malato! Lui  ti ha resa il fantasma di te stessa. Io posso essere cinico, posso non aver mai amato nessuno. Però credimi conosco il rispetto, il rispetto per le persone è quello che mi hanno insegnato i miei genitori e tu devi avere rispetto di te stessa e il primo passo per farlo è ammettere di non essere tu il problema. Non devi soccombere al volere di un uomo che alla fine era solo debole, che ti ha usata per dimostrare di essere forte, ma lui non era forte. Un uomo che non sa amare la sua donna non è mai forte hanno giocato di psicologia con tr, ti hanno fatto credere che tu fossi sbagliata che non potessi avere figli che non potessi amare o avere una tua vita privata e personale. Ti hanno fatto credere che  tutto era sbagliato. Questo Jonathan lo sapeva, ti hanno tolto il tuo lavoro, ti hanno tolto la tua famiglia, ti hanno tolto la tua dignità. Questo  perché lui sapeva che se tu fossi rimasta sola non avresti avuto nessuno che ti avrebbe aperto gli occhi. Brooke tu devi circondarti di persone che ti amano e che ti lasciano lo spazio per essere te stessa, nel  bene e nel male devi poter avere la libertà di dire a un uomo il tuo pensiero senza pagarne le conseguenze. Non devi mai, mai più permettere ad un uomo di dirti che sei o meno sbagliata perché tu non sei sbagliata e se sua madre spalleggiava il figlio, allora il problema è molto più grande! Tu non permettere più a nessuno di farti il male che ti è stato fatto. Mantieni la tua dignità e parla, parla perché per una persona che ti zittisce c'è ne sono almeno il doppio che ti ascoltano e vorranno aiutarti." Concluse.
Lo fissai ascoltandolo emozionata. Piangevo e non me lo aspettavo e non stava fermando le mie lacrime. Lui mi concedeva di poter piangere e poter esternare il mio dolore.
"Io sto provandoci a riemergere, pensavo di stare facendo tutto ciò che dovevo. Questi tre anni sono stato un'angoscia e non sapevo come uscirne. Ogni passo avanti erano due passi indietro e se provavo a parlare loro mi rimettevano al loro posto." Ammisi.
"Tre anni?! Anche tre giorni erano troppo, anche tre minuti possono essere fatali se tuo marito fosse stato un uomo violento. Lui, anzi... Loro! Possono essere chiunque, senatori, industriali o grandi ricconi, non importa. Avere una certa posizione sociale non giustifica i comportamenti sbagliati. Dimmi, lo hai mai detto ai tuoi genitori quello che accadeva? Perché i tuoi suoceri comandavano a casa tua?"
Scossi la testa. "Vivevo con loro..." sussurrai. "Se avessi detto ai miei cosa accadeva, avrei solo potuto far soffrire mia madre e mio padre."
Gellert mi strattonò leggermente. "Ci hai pensato che questo è stato un errore? Se glielo avessi detto Brooke, sono sicuro che tuo padre avrebbe preso a calci tutti fregandotene delle posizioni sociali. Fanculo! Se avessero maltrattato psicologicamente mia figlia avrei scalato mari e monti."
Scossi la testa cercando di immaginarlo. "Sei troppo giovane per avere una figlia." Sdrammatizzai portando le mani al viso.
Lui sorrise, non lo avevo mai visto sorridere e diamine, era stupendo quando sorrideva. La sua mano si poggiò sulla mia guancia e lentamente mi asciugò il viso.
"Almeno ti ho fatto ridere." Mi disse lentamente. "Non sei frigida Brooklyn, semplicemente lui o è gay o asessuato. Ti ha usato per salvare le sue fottute apparenze e la sua famiglia lo sapeva."
Annuii. "Sicuramente sua madre lo sapeva, sono stata una stupida. Ma non permetterò più che accada una cosa del genere, hanno messo voci in giro per cui... sono dovuta andare via. Ma tornerò e li affronterò tutti." Ammisi finalmente a me stessa. Non stavo scappando, dovevo solo mettere a tacere le voci e non recare più sofferenze ai miei genitori.
"Si! Ma dovrai dire tutta la verità ai tuoi genitori. Promettimelo." Mi disse lui.
Gli presi le mani contro le mie e annuii. "Sarà il secondo passo." Annunciai.
"Il primo è stata la fuga?" Chiese lui sollevando un sopracciglio.
Risi divertita. "No! Il primo è chiederti di insegnarmi ad amarmi." Gli dissi fissandolo.
Scosse la testa. "Non sono capace di amare e ci conosciamo da troppo poco anche solo per poter provare qualcosa." Mi disse.
"Ma sei attratto da me! Non ti sto chiedendo di amarmi, ma di insegnarmi. Non voglio impegni, se solo un bacio mi ha provocato tanto piacere poco fa, allora come sarebbe un vero rapporto?" Gli dissi non lasciando il suo sguardo. "Giuro, terrò separato questo dal lavoro."
"Anche perché non te lo perdonerei mai di lasciarlo per una cazzata come il sesso." Rispose lui.
"Quindi?" Chiesi cercando non sembrare trepidante.
Gellert sospirò guardando l'entrata dell'albergo. "Sappiamo che questa cosa ci ucciderà entrambi, ma potrebbe essere peggio e frustrante se continuiamo a ignorarla. Voglio lavorare bene con te, quindi qualsiasi cosa accadrà oggi cerchiamo di non farla interferire al lavoro." Capitolò.
Io arricciai le labbra in un sorriso vittorioso. Gli diedi un piccolo bacio e prendendogli la mano lo trascinai dentro. Ero abbastanza sicura che una notte di sesso non avrebbe influito sul nostro rapporto lavorativo.
"Ada non deve saperlo." Dissi entrando nella hall e salutando il receptionist.
"Assolutamente! Non voglio essere colui che ha irretito la sorella." Rispose lui entrando in ascensore.
Intanto io presi la chiave elettronica dalla borsa, quando sollevai la testa lo trovai a fissarmi. Non feci in tempo a chiedere cosa ci fosse che non andava che me lo trovai a stringermi e baciarmi. Ricambiai subito il bacio, come un riflesso condizionato. Una volta fuori, sempre baciandolo, mi trascinai verso la mia stanza. Gel mi prese la tessera di mano e con un gesto aprì la porta facendoci entrare.
Una volta dentro lasciai svicolare via ogni inibizione, gettai la borsa a terra e mentre Gellert richiudeva la porta alle nostre spalle io sciolsi i capelli sulle spalle.
"La prossima volta lo faccio io." Mi disse prendendomi tra le braccia.
Nel momento stesso in cui mi stese sul letto non capii più nulla. I suoi baci e le sue mani furono ovunque, mi baciava, lambiva la mia pelle e carezzava ogni angolo del mio corpo ed ognuno di questi gesti mi accendeva come non era mai successo. Più audace lo spogliai come lui aveva fatto con me e mi presi la libertà di carezzare le sue spalle, la peluria sul petto nudo, i fianchi. Quando cercavo di nascondere il piacere che provavo Gellert si fermava, mi carezzava e mo chiedeva di lasciarmi andare.
"Siamo solo io e te, puoi fare ciò che vuoi. Anche ciò che non hai mai pensato di fare." Mi disse con voce rauca.
Acconsentii alla sua richiesta. E mi lasciai andare, ogni bacio, ogni carezza fu per me un regalo. Poi quando la sua bocca arrivò al mio pube, in me iniziò a colare lava. La lingua di Gellert mi portava in inferno o al paradiso, non sapevo dirlo. Sapevo solo che volevo continuasse con quella deliziosa tortura e glielo dissi, il mio nome si impresse sulle mie labbra e non lo lasciò fino a quando non raggiunsi ciò che era il mio primo vero orgasmo.
Ero viva e questo grazie a Gellert e al solo potere della sua bocca.
Non contento però lui continuò il supplizio, risalì verso di me incrociando i nostri sguardi. "Non è finita." Mi sussurrò entrando dentro di me. Esplosi! Di piacere e di gioia ed anche lui con me. Fu un turbinio di emozioni e piacere reciproco e in un attimo fu di nuovo orgasmo.
Due! Io, la frigida Brooklyn Thompson avevo appena avuto due orgasmi? Si era accaduto ed erano stati entrambi indescrivibili.
Mi rilassai contro i cuscini mentre il fiato tornava a regolarizzarsi. Fortunatamente anche Gellert sembrava sfinito, anche se una sua mano continuava a carezzarmi il fianco. Mi piaceva
Sorrisi mestamente mentre dei baci lievi  si posavano sulla mia clavicola.
"Gel!" Lo chiamai e lui mugolò. Bene, avevo la sua attenzione. "Vuoi rifarlo?" Chiesi sorpresa.
"Questa è l'intenzione, si!" Mi rispose titillando un capezzolo, anche io iniziavo a volerlo di nuovo.
"Gel io ero sposata..." ancora dissi, ma lui non rispose. "Volevo un figlio." Affermai.
Al che lui si alzò. Sapevo che non era facile restare subito incinta. Adela stava provandoci da un po' a dare un fratello ad Adam. Però tentare la sorte non era da me.
Finalmente ebbi l'attenzione di Gellert che si alzò su un braccio guardandomi. "Sono sano!" Mi disse assicurandomi. "E dovrei avere almeno un preservativo." Affermò.
"E poi?" Chiesi e lui sorrise sornione.
"Poi andiamo a cena e ne prendiamo al distributore." Mi disse divertito riprendendo a baciarmi.
Era cominciata così. Una relazione sessuale senza impegni. Avevo pensato che dopo la nostra prima volta non ce ne sarebbero state altre. Per preservare il nostro rapporto lavorativo soprattutto. E invece no! Andò diversamente.
Avevamo preso una routine generale che era effettivamente lo specchio della nostra vita organizzata. Durante la giornata si lavorava, senza alcuna distrazione. Quando lui andava nelle società per pratiche banali io restavo in ufficio a svolgere il mio lavoro di segretariato e ricercatrice anche. Quando c'erano da trattare argomenti e interventi legali che richiedevano la mia presenza, io lo seguivo.  Però una volta chiuse le porte dell'ufficio o delle società dove andavamo, tutto cambiava. Eravamo un uomo e una donna che si concedevano alla reciproca compagnia, a letto e fuori di esso.
Conobbi Heinrich Keller- Weber e Didier Dupré, suoi amici fin dai tempi del collegio, con la fidanzata di quest'ultimo Sonia Lienderman.  Con i tre spesso ci fermavano per un aperitivo o una cena fino a quando le nostre strade si separavano e noi due tornavamo amanti.
Come aveva annunciato Gellert andammo a Shangai e da lì, mi portò a Pechino dove invece lui conobbe Shu e il suo compagno Li, restammo qualche giorno in più un po' per dar modo a me di stare con la mia amica, un altro po' perché Shu e Li presentarono a Gellert un paio di potenziali clienti per lo studio legale. Quella vacanza lavoro mi era servita per confrontarmi anche con Shu e raccontarle la verità sul mio matrimonio.
"Avevo detto che non era salutare, ma non immaginavo così tanto. Ha ragione Gellert, dovresti raccontare tutto ai tuoi genitori. Sono sempre state persone corrette e non devono pensare ciò che i Jenkins dicono di te. Devono sapere la verità." Mi disse.
La salutai a malincuore anche se con la promessa che sarei stata al suo matrimonio.
"Aspettiamo anche te Gel!" Enunciò la mia amica.
"Non me lo farò ripetere." Aveva risposto lui.
Tornammo a Zurigo anche se restammo per poco, non avevo neanche fatto in tempo a dormire nella mia nuova camera di albergo che dovetti partire con lui. Si, perché Gellert mi aveva convinta a disdire la stanza quando eravamo partiti per la Cina. Al rientro mi aveva portata da lui e quando finalmente mi avevano dato una nuova stanza ci eravamo inbarcati nella Synergie industries. Quando avevo scoperto che la Synergie industries aveva più sedi in Svizzera avevo chiesto a Gellert se eravamo legali di tutte le sedi. Mi aveva detto di no, ma quel input era stata l'occasione per lui di proporre la collaborazione della K&K associates anche con le altre filiali, poteva essere accettata, ma per farlo dovevamo mobilitarci. Quindi passammo a Berna e successivamente a Ginevra, nel cantone Ticino e a Losanna. Un po' titubante avevo seguito Gellert in quell'impresa,  pensavo non avesse bisogno di me. Ma mi ricordò che parlavo italiano e quindi potevo servirgli poiché lui conosceva la lingua solo a livello scolastico.
Tornammo a Zurigo solo a metà novembre, quell'impresa era stata stupenda poiché avevo visitato posti stupendi, Gellert invece era riuscito a convincere i dirigenti a dargli un'opportunità per un periodo di prova di un anno. Quindi i risultati si potevano definire soddisfacenti.
Una volta a casa, esausti Gellert mi portò direttamente a casa sua. Non obbiettai, comunque le mie valige erano lì ed era tardi per cercare una stanza d'albergo. Una volta nel piccolo appartamento entrambi crollammo sul letto. Non seppi dire chi dei due si addormentò per primo.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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GELLERT

L'idea di avere una segretaria che mi girava intorno non mi era piaciuta.
Mio zio però era stato categorico, aveva finanziato lui la K&K, Keller - Meyer und Keller Williams, associated. E quando faceva una richiesta nonostante non fosse socio bisognava obbedire.
Lo zio Jason era stato l'unico a credere in me, o almeno se non era per me, lo era per suo figlio Edgar. Non che mio padre non fosse indulgente verso di me, ma non aveva la sensibilità dello zio Jason.  Forse perché lo zio non era un Keller e non aveva mai dovuto sgomitare per emergere. Anche nello studio associato della sua famiglia il Williams & Murphy, da quando aveva conosciuto la zia Terry aveva intrapreso un cammino diverso dai fratelli seguendo il diritto commerciale, tanto da differenziarsi e non competere con loro. Per me non era stato così. Mio padre Taddheus aveva sempre dato il massimo per essere al passo con lo zio Thomas, che aveva un talento naturale per gli affari. Aveva smesso la sua corsa appena subito dopo averla iniziata, quando aveva conosciuto la mamma. Aveva preferito non correre per preservare qualcosa di più prezioso, l'amore e una famiglia stabile e duratura. Così mentre lo zio correva e si espandeva in Europa lui era rimasto in Germania, accudendo Gabriel, il figlio che lo zio Thomas aveva avuto dalla mamma, e formando una sua famiglia. Ecco papà aveva lottato per questo, non aveva atteso che Gabriel crescesse, aveva voluto lasciare il segno con me, forse per far comprendere allo zio Thomas che lui era riuscito a raggiungere la felicità nonostante egli si fosse intromesso. Ancora oggi mi chiedevo se ero nato per ripicca o per amore. Sapevo solo che papà aveva amato e cresciuto Gabriel proprio come me e che lo zio Thomas aveva avuto sempre alta considerazione della mia persona amandomi a modo suo.
A papà era bastato avere la famiglia unita, un rapporto sano col fratello maggiore che adorava e la KCG tedesca. Ci aveva lavorato sodo lì! Talmente tanto che non ammetteva intromissioni da parte dello zio Thomas. Lo zio si espandeva e lui si concentrava sulla sua piccola fetta, solo il trenta per cento rispetto allo zio che ne aveva il sessanta. La zia Theresa se ne era tenuta fuori, a lei piaceva tenersi impegnata ma senza obblighi, per questo dopo la laurea in legge aveva preferito sbocciare fuori. All'università aveva conosciuto lo zio Jason e una volta laureata era entrata alla Williams & Murphy. Il nonno le aveva comunque lasciato il 10% della KCG, per quando si fosse stancata o per i figli se volevano seguire le sue orme. Nessuno per ora sembrava avere a che fare con la finanza, ma mai dire mai.
Anche io avevo preferito tenermi fuori dalla finanza, crescendo ero rimasto affascinato dal lavoro dello zio Jason e dalle avventure raccontate dallo zio Thomas che lavorava viaggiando, conoscendo nuovi posti, nuove persone e nuove donne. Quando era stato il momento avevo deciso di seguire un mio percorso personale, quello del diritto aziendale. Mio padre era stato reticente ad accettare questo mio desiderio. Ma io non volevo mettermi in competizione con Gabriel. Non perché non ne avessi la facoltà, mi mancava  suo innato talento per gli affari, ma ero bravo con i numeri e se mi applicavo potevo fare anche io quel lavoro. Tuttavia la mia scelta era stata diversa, dedicarmi alla giurisprudenza e concentrarmi sul settore aziendale.
Era stato difficile! Mio padre nonostante fosse clemente con tutti, da me pretendeva il massimo e io lo davo. Non avevo ancora preso il master che già avevo iniziato a muovere i primi passi nella KCG, a ventidue anni con la sola laurea di diritto ero scappato alle sedi orientali di Dubai e Mumbai. Non capivo la lingua ma avevo insistito a destreggiarmi con i due legali che erano nelle sedi, erano stati i miei mentori dopo lo zio Jason,
mi avevano formato e dato l'occasione di scappare dal matrimonio di mio fratello Gabriel. Non ero stato corretto, ma quando avevo saputo che lui e Adelaide Thompson stavano finalmente insieme, dentro di me si era spezzato qualcosa. Sapevo di lei per i racconti di Gabriel, io, Joel e Thomas avevamo conosciuto Adelaide nonostante non sapessimo come fosse fatta fisicamente. In quei dieci anni da quando era tornato definitivamente a Boston avevo avuto modo di conoscere London subito dopo la sua partenza, quando Gabriel per la prima volta ci aveva raggiunti a Natale per le vacanze invertendo i ruoli. Essendoci anche il nonno con lui, avevano avuto occasione di portare London dietro e lo conobbi. A differenza di mio fratello maggiore però, London non parlava dei fratellini, se la spassava e questo di lui lo avevo sempre apprezzato. Anche l'anno prima quando avevo conosciuto suo fratello Chester ne avevo avuto una buona impressione, più rilassato e chiacchierone rispetto al fratello, parlava di tutto, ma non della famiglia.
Si era formato un bel gruppo tra di noi, io con Gabriel, Thomas con Joel, London con Chester, Edgar, Liam, Heinrich e Didier. Avevamo dai venti ai ventitré anni e un futuro davanti a noi, tutto era perfetto. Poi era riapparsa la fantomatica Adelaide che facendola in barba a tutti aveva catturato completamente Gabriel nella sua rete.
Quando era venuta la prima volta a Monaco, io ero stato a Dubai, non avevo avuto quindi modo di conoscerla personalmente e redarguire mio fratello che quando si trattava della ragazza si lasciava guidare, ne ero certo, dall'uccello. La seconda volta ero scappato! Quando Gabriel ci aveva annunciato la gravidanza di Heidi ed il matrimonio a breve ero rimasto scioccate. Come aveva potuto mio fratello farsi incastrare in quel modo?
"L'ho voluto io." Mi disse. "Sapevo che ci sarebbe stata la possibilità." 
Volle comunque che ci fossi al suo matrimonio nonostante gli avevo dimostrato il mio scontento. Iniziò allora il distacco da Gabriel. Stava per sposarsi ed avevo colto al volo l'occasione di non esserci. Gerard Müller mi aveva chiesto di andare con lui a Dubai  per un caso importante e lo avevo seguito. Ero rientrato a fine gennaio e la delusione di Gabriel era ancora dipinta sul suo viso. Gabriel non mi aveva detto nulla, aveva aspettato che fossi io a parlare. Una volta in università avevo chiesto aiuto al mio migliore amico, Joel Davis, l'unico in grado di capirmi, molto più di Didier l'altro nostro amico e Gabriel. Io e Joel avevamo tanto in comune, eravamo entrambi fratelli minori, ci sentivamo entrambi messi in competizione con loro, infine dopo anni quando eravamo alle medie, avevo scoperto che come me Joel aveva in comune solo la madre col fratello. La differenza tra me e lui era che il mio amico era molto sensibile ed empatico. Lui la chiamava la nostra forza, poiché al contrario io avevo un carattere orgoglioso, forte e deciso. Ci completavamo, se qualcosa non andava Joel non aspettava che mi confidassi, mi chiedeva di parlargli. Lo avevo fatto, alla fine gli avevo confidato la verità e lui mi aveva detto semplicemente di non fare lo stupido.
"Vai da lui, sono sicuro che sta male quanto te, se non peggio. Sei andato via quando aveva bisogno non solo di suo fratello, ma anche del suo amico. Poi se hai problemi vieni da me  che tanto so come aiutarti." Mi disse.
Lo feci subito esortato dal mio amico.
"Sei intenzionato a restare su questa tua posizione?" Mi aveva risposto Gabriel.
Mi ero sentito in colpa, come un bambino sorpreso a rubare le caramelle. "Scusami,
non lo farò più." Gli risposi. Non volevo perdere mio fratello, non per il mio orgoglio, già era accaduto, lo avevo perso quando lui e Heidi erano diventata una coppia. Una parte di lui era concentrata sulla sua donna. Non avevo paura dei suoi amici, London, Thomas ed Heinrich, erano suoi amici quanto miei. Joel e Didier erano diventati i miei migliori amici, e insieme eravamo un gruppo integrato. Non ero amico di Joel influenzato dal rapporto fratello con Thomas, ma prima. Infatti entrato al collegio ci eravamo trovati vicini di letto con lui e Didier. Avevamo stretto un patto di amicizia prima ancora che io e Joel scoprissimo l'amicizia nata tra i nostri fratelli maggiori. No, non temevo che mi allontanassero i nostri amici da mio fratello.
Avevo fatto un passo indietro e cercato di fare ammenda, mi ero dedicato a mio fratello tra il mio master e un viaggio e l'altro con Müller. Poi avevo dovuto salutare Gabriel, proprio come dieci anni prima stava tornando a Boston e come allora, sapevo che non sarebbe tornato tanto presto a Monaco.
Però ero preparato. Già una volta Gabriel era partito e non mi aveva abbandonato, non sarebbe successo anche quella volta. Come diceva Jeol dovevo avere fiducia in mio fratello.
Non ci saremo allontanati, la prova era stato il nostro ritrovo alla morte della compagna di Thomas. Ci eravamo circondati tutti attorno a lui, era ferito. Ma non perché la donna che pensava di amare si era lasciata morire, bensì perché era stato usato. Peggio, Joel era stato di nuovo denigrato dal padre e da quella che doveva essere la compagna di Thomas.
Ci stringemmo intorno ai nostri amici e quando fu il momento di salutarli ci promettemmo di vederci a Boston per Natale. Nonostante ciò dopo aver preso il master a novembre il destino sembrava pensarla diversamente per me. Müller mi presentò James Von König, un giovane imprenditore emergente che stava cercando di farsi strada nel mercato arabico. Legato al contratto di legale esclusivo alla KCG, Müller aveva ben pensato di propormi quel lavoro aggiuntivo.
"Sei giovane, non hai ancora alcun tipo di contratto con l'azienda e soprattutto conosci già Dubai e sai come muoverti e aiutare James." Mi disse.
Ero titubante, avevo una promessa con i miei amici e non sapevo se potessi o meno permettermi di rifiutare quell'incarico. E una proposta allettante.
Io e James eravamo quasi coetanei, entrambi appassionati dei nostri lavori e potevamo fare grandi cose se solo avessi accettato.
Per questo gli dissi che lo avrei chiamato appena dopo aver controllato l'agenda e gli impegni.
La sera quando tornai nell'appartamento che io, Joel e Didier avevamo condiviso fino a pochi mesi prima, in silenzio presi a svuotare il mio armadio, incurante di Didier che mi chiedeva cosa volessi per cena, o del culo della sua nuova ragazza, ne delle porte che si aprivano e chiudevano. 
"Joel! Gellert è di nuovo sulle sue." Urlò Didier dalla cucina.
Sospirando avevo capito che Joell era tornato dall'università, aveva la consegna della tesi la prima metà di dicembre.
"Quindi te ne vai già da adesso?" Mi chiese venendo ad aiutarmi. "Tuo padre ti ha già inserito nella società, giusto?"
"Non ancora. Poi non so se voglio entrarci." Ammisi mettendo i libri in una scatola.
"Non vuoi più fare diritto aziendale?" Mi chiese comprensivo.
"Ovvio che si. Mi hanno proposto un lavoro da libero professionista per una società di Abu Dabhi." Gli risposi.
"Figo! Poi l''anno scorso sei stato quasi sempre a Dubai." Affermò Joel.
"Sarebbe il mio biglietto da visita infatti." Dissi.
"Quando parti?" Mi chiese Joel dolcemente. 
"Non ho accettato ancora. Se lo facessi dovrei partire entro tre giorni. Von Konig è uno che vuole tutto e subito a modo suo." Spiegai.
"Von König? Parli di James Von König? Cazz... se è lui si è laureato a Cambridge con ottimi risultati e so che sta facendo passi da giganti con l'amico Ahmad Al Sharqi." Raccontò . "Devi accettare Gellert. Se è lui, sarai poi molto ricercato, tutto ciò che tocca con König diventa oro e tu splenderai con lui." Mi incitò prendendo le mie camice e passandomele per farmele piegare. Joel sapeva che ero preciso e ordinato, il suo disordine era mio nemico.
"Dovrei stare via non so quanto tempo. Probabilmente qualche mese." Gli dissi.
"E allora?! Vai. Quando ti capiterà un'opportunità simile." Affermò.
"Abbiamo il nostro incontro a Boston." Gli ricordai. "Ho promesso a Gabriel che avrei conosciuto Heidi e il loro piccolo Adam in questa occasione."
"No! Tu parti e insegui il tuo sogno, non restare intrappolato nella società di tuo padre e vai. Spiego io a Gabriel la situazione, tranquillo che capirà... anche lui conosce James Von König di nome e di fama. Certo che capirà! Vai." Disse.
E mi aveva convinto, partii rimanendo negli Emirati per quasi sei mesi. Mi ero acculturato, di quel posto e del mio lavoro. Viaggiai tra Abu Dabhi, Dubai e il Fujaira, emirato dove Ahmad era erede per successione ed aveva i suoi affari. James era un portento, oltre la società con Ahmad, ne aveva aperta una sua, succursale della società di New York. Ormai negli emirati avevano iniziale a chiamarlo Malik, che significava, re. E io gli ero a fianco in quella sua crescita personale, infatti con la promessa di avere ancora un legame professionale in Asia ero tornato a Monaco.
Papà aveva voluto che prendessi il mio posto alla KCG e non potevo rifiutarmi. Un domani la metà della sua quota sarebbe stata mia e dovevo essere lì. Però tenevo in mano, non firmavo ancora nessun tipo di contratto, solo quando lo zio Thomas era arrivato a Monaco per conto di Gabriel avevo scoperto le mie carte.
"Posso non avere un contratto vincolante?" Chiesi.
Mio padre stava per obbiettare, fortunatamente lo zio rispose prima di lui. "Per me non ci sono problemi." Affermò . "Gabriel mi ha parlato del tuo lavoro con James Von König, conosco la sua azienda. La KCG di New York gestisce le azioni della König inc." sproloquiò per poi guardare mio padre. "Per me ci sta! La cosa importante è che non dimentichi la famiglia. Dovrà dedicare la stessa costanza e perseveranza anche con noi, ovviamente quando lavorerà in KCG non terremo conto di lui come libero professionista. A fine anno verrà retribuito con la divisione della quota societaria che gli spetta in base al suo lavoro." Spiegò a mio padre ignorandomi.
"Ha un tenore di vita abbastanza alto. Non so se ce la farà senza un fisso mensile." Gli disse mio padre.
"Non convieni con me che se avesse un fisso mensile potrebbe fare il minimo sindacale con noi, quando invece sappiamo che rende parecchio con altri?" Spiegò lo zio.
Mio padre guardò ora me, ora lo zio. Poi annuì. "Voglio che ti dedichi alla KCG. Quindi si fa come dice tuo zio, altrimenti resti solo qui."
Ero vincolato. Guardai ora papà, ora lo zio. "Quando sarò negli emirati non so per quanto tempo resterò lì, inoltre James sta aprendo una sede in Cina. Anche in quel caso sarò occupato." Spiegai, ci tenevo a lavorare con un uomo che era diventato amico mio e che rispettavo.
"Per questo verrai pagato a profitti a fine anno." Disse lo zio Thomas. "Müller dice che con le esperienze che stai facendo puoi intervenire su contratti internazionali più impegnativi." Assentii. "Quindi quando sarai a Dubai potrai seguire quella T-KCG e disporre dell'appartamento adiacente fornito per i soci. Così avrai un tetto sotto cui dormire. Stessa cosa se sei in Cina, puoi prendere il jet aziendale per arrivare a Tokyo e seguire anche lì la T-KCG." Mi spiegò lo zio serio. 
"Vuoi essere un libero professionista e ci sta. Sei giovane e vuoi metterti alla prova, ma se un Keller diventa avvocato aziendale non vuol dire che non può dare il suo contributo." Continuò mio padre.
"Per ogni passo che farai verso la tua carriera dovrai aggiungerne uno alla Keller consulting. Non è difficile." Concluse lo zio Thomas. "Inoltre... tuo cugino Edgar si è trasferito a Londra. Mi farebbe piacere se andassi a trovarlo e lo aiutassi ad aprire la sede londinese della Williams & Murphy." Disse mio padre.
Cosa non capivano di libero professionista. "Dovrei lavorare per la Williams & Murphy?" Chiesi.
"No. Quando sarai lì avrai da seguire le T- KCG, il responsabile Drake Robinson già sa del tuo arrivo. Hai un appartamento a tua disposizione anche a Londra." Mi spiegò.
Fin quando non avevo altri lavori se quella era la mia opportunità di crescere e farmi un nome, dovevo solo accettare.
"Posso andare in Svizzera a trovare Didier prima di partire?" Chiesi.
Mio zio assentì con un sorriso. "Passa anche a salutare tua madre." Mi ricordò papà.
"A Londra starò da Joel." Dissi  allo zio.
Lui annuì. Da quando avevo scoperto che Thomas era in realtà suo figlio non avevo mai nominato direttamente il mio migliore amico con papà, figuriamoci con lo zio.
"Convincilo a stare con te se riesci. Ho sentito che il padre continua a pretendere da lui cose assurde." Rispose lo zio Thomas alzandosi e avvicinandosi a me. Sorprendendomi mi abbracciò avvicinandola bocca all'orecchio. "Ho cercato di convincere tuo padre a darti i tuoi spazi, non deludermi e in bocca al lupo." Mi  sussurrò in modo che potessi sentirlo solo io.
"Grazie di tutto." Risposi emozionato.
Partito per  Londra avevo scoperto tante cose. Mio cugino non era solo a Londra, a parte George , il suo ragazzo.. C'era infatti anche lo zio Jason ad aspettarmi. Con una causa tutta per me da parte dello zio Thomas.
"Devi mobilitarti al fine di acquisire le quote della London bank. Thomas è sicuro che Joel Davis sarà contento di dartele tutte! Una volta comprate poi dovrai fare una compravendita ereditaria a Thomas Davis della stessa quota." Mi spiegò lo zio.
"Possiamo farlo?" Chiesi.
"Joel Davis possiede le quote della defunta nonna, chi sta muovendo i fili adesso è il padre di lui che è tornato. Ma non ha fiuto per gli affari. Prima che Joel perda la banca è la soluzione migliore. Thomas Davis  sta già privatizzando la banca, ovviamente Andrew Davis sta facendo di tutto per danneggiarlo e dobbiamo escluderlo. Tom e Joel non vogliono perdere la banca per il valore affettivo che c'è dietro entrambi i fratelli accetteranno questo compromesso legale. Inoltre ho saputo che Joel è amico tuo." Mi disse.
Annuii iniziando a spiegare la situazione allo zio. "Sì, lo vedo oggi per aggiornarci della sua situazione. Mi stava dicendo che le cose tra lui e il padre non andavano molto."
"Questa operazione non deve centrare nulla con la T- KCG, è una causa che il privato Thomas Keller ti chiede di portare avanti per lui."
"Capisco. Sto muovendomi come libero professionista, quindi posso farlo." Dissi.
"Sai che da solo non riusciresti mai a coprire le spese vero?" Mi disse lo zio.
Annuendo sospirai. "Voglio provarci lo stesso."
"E io ho fiducia in te!" Disse Edgar. "Ma da solo è impossibile. Potremo crearlo io e te uno studio legale solo per cause aziendali. Io non sono competente in merito, ma potremo chiedere alla mia amica Ada di diventare socia con noi. Che ne pensi?" Chiese eccitato Eddy.
"Una società? Non conosco neanche la tua amica." Rispose.
"È una mia apprendista. Quest'anno si diploma e poi ha il master, ma mi segue sin dal primo anno di università." intervenne lo zio. "Ha la grinta necessaria e soprattutto l'Europa sarebbe per lei un buon trampolino di lancio. Sai che in Svizzera e in Germania hanno una mentalità più aperta verso le donne che fanno questo lavoro. In America resterebbe una ruota di scorta per anni prima di emergere e sarebbe un vero peccato." Mi spiegò.
Eddy annuì eccitato. "Apriamo lo studio, i due cugini Keller. Ti faccio conoscere Ada e se non la riterrai all'altezza potrai rifiutare la società con lei. Ma fidati, ti piacerà. Così potrai muoverti anche più liberamente, entrambi vi create dei portfolio e io vi cercherò i clienti da qui. Posso farlo questo, come anche fornirvi ricerche e aggiornamenti." Propose.
"Questa cosa, noto, ti piace." Gli dissi contento per lui.
Lui annuì. "Ada è strepitosa, l'ho vista qualche volta al lavoro e nonostante sia giovane assorbe tutto ciò che serve. È appassionata ed è difficile trovare gente così." Mi spiegò. "Ci tengo a fare cose con lei e con te, sono legato a entrambi in egual misura." Lo riconoscevo, gli era legato e per Eddy era stato molto difficile avere legami al di fuori di noi cugini.
Sospettoso stavo unendo tutti i puzzle poco alla volta. Sapevo che lo zio Thomas aveva una certa predilezione verso Edgar dopo averlo salvato dai bulli a scuola, sapevo che erano più informati di me sul mio percorso legale. Lo zio Jason per quanto mio idolo non era informato sul mio percorso, a meno che non era stato Gabriel a raccontarglielo oppure nonno Tobias in persona che sentivo regolarmente, molto più dei miei zii in realtà.
"Mio padre lo sa?" Chiesi.
Eddy aveva scosso la testa. Gli occhi azzurri brillavano birichini. "Il nonno ha detto che per lui il modo migliore per accettare la tua indipendenza, sia trovare il piatto già bello pronto." Ecco! Lo sapevo, centrava il nonno.
"Io, te e questa Ada. Vuole questo il nonno?" Chiesi.
Eddy aveva ancora scosso la testa. "No, nonno non conosce Ada. Lui metterebbe la tua quota e gli bastiamo noi due, ma..."
"Metterò io la quota societaria per Edgar. Così potete partire a pari tutti e tre. Metterò la quota anche per Ada in caso tu l'accetti in società. Ripeto, sarebbe un talento sprecato il suo sia nel mio studio che a Boston. Lavoriamo per le aziende e le altre hanno come legali i nostri concorrenti. La KCG e le aziende grosse hanno comunque già degli avvocati interni e lei non potrebbe entrare con la sua laurea fresca e ancora senza master." Mi spiegò, ecco perché mi spingeva a inserire la sua pupilla.
"Se le manca il master vuol dire che dobbiamo aspettare ancora un anno almeno." Dissi.
"È quasi laureata e questo basta per aprire la società. Non ha il master ma ha l'esperienza. Inoltre sarai tu ad avviare per ora lo studio." Disse lo zio.
"Dagli un'occasione." Mi supplicò Edgar. "Per ora apriamo la società e decidiamo al sede e il nome. Penso che i due Keller sia perfetto."
"Non si può sentire due Keller." sentenziò lo zio Jason.
Io risi. "Tu sei Williams."
"Non voglio che il nome di papà influisca sul nostro cammino. Keller, come la mamma, andrà bene." Asserì orgoglioso.
"Lo zio Jason ha parlato della Germania. Se facessimo Keller und Keller?" Proposi ormai convinto.
"Mi piace! Per la sede invece? Monaco?" Chiese l lo zio Jason.
"Zurigo!" Dissi piccato. "Didier, il mio amico, ha seguito Sonia lì e mi piacerebbe restare dove ho radici dove la mia famiglia non influisce." Specificai.
"Una delle città migliori a livello morale ed etico, di uguaglianza e lavoro." Affermò lo zio. "Mi piace. Edgar lavorerà da qui, come ricercatore e adepto alle pubbliche relazioni può stare a Londra. Così seguirà anche la Williams & Murphy." Concluse lo zio Jason.
Lo fissai soddisfatto. "Non devo aiutarvi a scegliere gli avvocati dello studio." Affermai.
"Invece si! Mi farebbe piacere un pensiero più giovane e in tre diamo la sensazione di solidità e certezza." Confermò.
Così ci eravamo messi al lavoro. Ero stato alle T-KCG dove scoprii con piacere che a Londra era più il mio amico Thomas a gestire la società che l'amico dello zio, Drake Robinson.
"Ha più intuito di me, lo ammetto." Aveva detto Drake quando mi ero presentato lì.
Avevo lavorato come un matto in quel periodo. Riuscivo a rilassarmi solo quando a sera io e Joel ci fermavamo di fronte a un programma televisivo e un bicchiere di scotch.
Il mio amico era rimasto colpito e felice che qualcuno di più competente rivelasse le sue quote societarie. Mi aveva raccontato per sommi capi del rapporto decennale tra la sua amata nonna e lo zio Thomas, che era stato lui a pagare  il collegio a Monaco e successivamente l'università per loro.
"Tuo zio è stato il mio salvatore e ancora oggi si dimostra esserlo. Si preoccupa di me, molto più di mio padre." Mi disse raccontandomi di quando erano stati a Boston e lo avevano conosciuti da adulto. "Avevo già capito da piccoli che era il padre di Thomas, sono identici con Gabriel se non fosse stato per i colori. Poi mi sono subito sentito a casa."
"Heidi?" Avevo chiesto.
"Stupenda. Quando la conoscerai ti piacerà." Mi rispose conoscendo i miei dubbi.
Non avevo avuto ancora modo di conoscere la moglie di mio fratello. Ma avevo conosciuto la famosa Ada! Mi era subito piaciuta, una volta a Zurigo solo io e lei le avevo dato carta bianca su una compravendita seria e difficile e lei si era destreggiata senza problemi. Era stata seria, avevamo lavorato insieme condividendo opinioni e cosa più importante si dedicava al lavoro con impegno senza perdersi in frivolezze. Anche io la volevo come socia e dopo un po di titubanze anche lei aveva anche accettato.
Così una volta a Zurigo, prima di partire per la Cina e dedicarmi alla König, avevo aperto la società definitiva.
Gellert Keller Meyer, Edgar Paul Williams e Adelaide Maria Thompson, erano i fondatori e soci della K und K associata. In quell'occasione mi aveva colpito l'omonimia del nome completo di Ada.
Possibile che fosse la moglie di Gabriel? Lo chiesi a Edgar.
"La nostra socia è la moglie di Gabriel. Perché paga tuo padre le sue quote?" Avevo chiesto.
"La moglie di Gabriel? Cioè Gaby non si è sposato in Germania." Mi chiese stupito, quasi non conoscesse la moglie di mio fratello. "Comunque Ada ha dovuto sbarcare il lunario per pagare l'università, non penso proprio siano la stessa persona, sarà un omonimia."
"Sicuro?" Chiesi scettico. "Che tipo è Heidi? Cioè quando l'hai conosciuta, come ti è sembrata?"
"Mmm... in realtà non la conosco. Cioè non vivono a casa del nonno e quando sono stato lì loro non c'erano mai. Poi lui si è sposato in Germania e non ho la tua stessa confidenza con Gabriel." Disse giustificandosi. "Quando venni a Londra per i fatti di Thomas lo feci convinto da Chester." Ammise.
"Beh... penso che Chester voleva dichiararsi a te. Ma poi tu sei venuto via con George." Gli dissi.
"Dichiararsi? Gel si era sposato e con una donna. Sai hanno avuto un bambino, Simon." Mi rispose sarcastico.
"Certo! Ma hanno divorziato, Chester è bisex e dovresti averlo capito. Come anche che gli interessavi." Cercai di spiegargli.
"No no! Lui è rimasto folgorato da te." Mi rispose.
"Certo lo so! Me lo disse all'epoca. Come mi disse anche che l'attrazione provata gli aveva fatto capire che fosse bisex." Spiegai.
"Quindi si è dichiarato. E tu?" Mi chiese ansioso.
"È relativa la mia risposta. Cazzo Ed! Ancora oggi leggo nella tua voce apprensione e gelosia. Se ami ancora Chester dovresti chiudere con George." Sbottai.
Scuotendo la testa mi aveva strattonato il braccio. "Cosa hai risposto a Chester quando si è dichiarato?"
Sbottando avevo risposto. "Che ne ero lusingato, mi piaceva la sua amicizia. Ma non ero attratto da lui o altri uomini. Infatti dopo quel confronto siamo rimasti amici, fu lui a dirmi che gli piacevi. A Londra avrebbe voluto parlarti del suo matrimonio e invece  lo hai ignorato e sei scappato. Ripeto, se ti piace ancora Chester lascia George." Conclusi fissando il nome di Ada sul contratto, poi la foto del documento di identità. La carnagione era ambrata, gli occhi cerulei e i ricci capelli castani scuri. Non somigliava per niente al biondo e statuario London o al moro Chester, entrambi con la carnagione più chiara della ragazza in foto. Probabile che avesse ragione Edgar, in fondo avevo conosciuto le ragazze con cui usciva Gabriel prima di Heidi.
Erano tutte alte, prerogativa dei Thompson, formose e anche un po' maliziose. Ada non era alta, le forme, se ne aveva, erano piccole. Infine non c'era malizia in lei, uno dei fattori importanti del nostro rapporto infatti era l'assenza da parte della mia collega di malizia o frivolezze tipiche delle ragazze che aveva frequentato Gabe.
Ciò che spiccava in lei era la sua bravura nel lavoro. Infatti aveva detto che appena aperta la società avrebbe avuto già tre società nel suo portfolio.
A maggio la KuK era partita e io ero carico più che mai.
Poi quel settembre lo zio aveva messo voce in capitolo nella gestione della società.
"Una segretaria ed assistente molto efficiente figliolo." Mi disse e io non la volevo. "È la mia assistente in realtà e me ne separo a malincuore." Mi disse. "Ma questo posto dopo che il marito l'ha abbandonata, per lei è malamente saturo, vorrei che lo lasciasse prima possibile, le hanno fatto e le stanno facendo ancora del male."
Non la volevo una segretaria. "Ma chi è?"
"La sorella di Ada, prendilo anche come una sua richiesta in quanto tua socia." Disse.
Un altro vulcano proprio come Ada? E perché una sorella? Questo faceva cadere la mia tesi che Ada fosse in realtà la sorella di London e Chester.
"E tu hai finanziato anche la sua quota, quindi vuoi che lei sia qui a Zurigo." Affermai.
"Non ho finanziato Ada. Ha messo lei la sua quota, il padre l'ha inserita nel suo gruppo di avvocati e pagato la quota societaria. Una delle aziende che segue lei è infatti quella paterna."
Quindi Ada aveva chi poteva farla lavorare. Sinceramente ero contento che lavorassimo insieme e non come rivali.
"Ok zio! Tu vedi in me e io voglio credere in te. Vediamo questa segreteria, anche se non faccio lavoro di ufficio, lo sai che io lavoro nelle aziende in modo diretto." Dissi.
"Inseriscila e poi ne parliamo."
Non volevo una segretaria! Lo avevo detto. Ma lei arrivò. Quando con Ada era entrata nell'ufficio il mio uccello mi era salito in gola per poi ridiscendere in picchiata. Da quando le segretarie erano sexy e affascinanti?
Brooklyn, Brooke per gli amici, era apparsa subito bellissima. Silenziosa in un top e un paio di jeans che rivelavano le forme gentili ed esili, aveva un viso armonioso, dai tratti perfetti e proporzionati, ovale e non rotondi come Ada. Gli occhi erano verdi chiari, i capelli un biondo castano, le labbra gonfie senza esagerare. Dio che bocca che aveva! Da baciare. Con Ada aveva in comune l'altezza e perché no, forse la silhouette. Anche Ada indossava una t-shirt che rivelava un seno più grande della sorella. Ma la linea dei fianchi e la vita erano le stesse.
Però lei, Brooklyn era decisamente di più! Molto di più, lo sentivo a pelle. Per questo evitai anche di toccarla o incrociare il suo sguardo. Sapevo che se l'avessi fatto, me la sarei sbattuta seduta stante. Poco importava che ci eravamo appena incontrati e che in nostra presenza c'era anche Ada. Me la sarei scopata.
Così avevo preso a parlare di lavoro, ignorandola e dedicandomi a ciò che sapevo fare bene, con chi conoscevo meglio di Brooke, ovvero Ada.
Poi Brooke era intervenuta nel mio problema più grande. Ovvero la König di' Shangai. Parlava cinese, addirittura aveva delle conoscenze a Pechino.
La rivalutai. Avevo bisogno di una segretaria, anzi di Brooke e delle sue competenze e la sua esperienza professionale. Stranamente a differenza di Ada sembrava sapere subito dove io tenessi le mie carte e come le tenessi catalogate.
"Mia sorella come te è una perfezionista." Affermò la mia socia. "Lavorerete bene insieme di sicuro."
Ebbe ragione. Il problema sarebbe stato quando avrebbe preso il volo di ritorno per Londra. Perché Ada cercava sempre di stare lo stretto necessario in Europa, si studiava le pratiche, le lavorava a Boston e solo nel momento finale partiva e portava tutto in conclusione. Erano due società? Ci lavorava in ventiquattro ore. Erano tre o cinque? Massimo tre giorni e ripartiva. Lo zio Jason diceva che a Boston era più rilassata, ma perché appunto la sera rientrava a casa, dalla sua famiglia. Giustamente. 
Questa volta però era rimasta più a lungo, giusto per dare a Brooke il tempo di ambientarsi. Lei lo stava facendo benissimo, già avevamo rodato a livello lavorativo. Era anche previsto che me la portassi dietro in Cina, quindi Adelaide o Adela come spesso la chiamava Brooke, non aveva più motivi per restare a Zurigo.
Partì un pomeriggio di fine settembre e nel lasciarci mi lasciò con sua sorella che per la prima volta mi affrontò.
"Perché sei così freddo nei miei confronti?" Mi chiese.
Cazzo! Lo avevo notato. "È il mio carattere."
"Con Ada non sei così, lei non la eviti."
Ma non ero attratto da Ada. Così glielo dissi e le spiegai anche che c'era attrazione tra noi. Che era palese anche se si rifiutava di ammetterlo.
Ma io non ci stavo! Testardo l'avevo provocata, cazzo era stata sposata e non poteva negare l'attrazione tra noi.
Allora lei esplose iniziando a raccontarmi tutto. Incredulo l'avevo ascoltata. Frigida!! Pensava di essere frigida solo perché il marito non l'aveva mai amata come si deve? E i suoceri? No, assurdo no! Non potevano trattare una persona come una marionetta. Vero lei era apparentemente fredda e algida come una bambola. Ma si leggeva il fuoco nei suoi occhi verdi ogni volta che incrociavano i miei.
Volevo salvarla e proteggerla da tutto quel male che la circondava. Le dimostrai che era una donna baciandola e che bacio direi. Ma cos'altro  potevo fare per aiutarla se non consigliandole di circondarsi di persone positive?
"Insegnami ad amarmi." Mi chiese.
Cazzo! Sarebbe stato facile, soprattutto perché il mio uccello reclamava il suo corpo.
"Non sono capace di amare e ci conosciamo da troppo poco anche solo per poter provare qualcosa." Le dissi.
"Ma sei attratto da me! Non ti sto chiedendo di amarmi, ma di insegnarmi. Non voglio impegni, se solo un bacio mi ha provocato tanto piacere poco fa, allora come sarebbe un vero rapporto?Giuro, terrò separato questo dal lavoro."
"Anche perché non te lo perdonerei mai di lasciarlo per una cazzata come il sesso." Risposi, avevo capitolato, lo sapevo.
"Quindi?" Chiese con quello sguardo da cerbiatta che regalò un'ennesima pulsazione al mio uccello. Sospirai. "Sappiamo che questa cosa ci ucciderà entrambi, ma potrebbe essere peggio e frustrante se continuiamo a ignorarla. Voglio lavorare bene con te, quindi qualsiasi cosa accadrà oggi cerchiamo di non farla interferire al lavoro."
Per il momento non aveva interferito. La prima volta era stato fantastico, anche perché credendo Brooke prendesse la pillola, mi ero sentito libero di penetrala senza barriere. Cazzo il sesso tra noi era ancora spettacolare, dopo la prima settimana le feci disdire l'albergo poiché saremo andati in Cina per non so quanto tempo. La mattina della partenza lasciammo le valigie in ufficio, dopodiché andammo a Shangai dove mi fece da interprete e poi a Pechino dove conobbi la sua amica Shu e il fidanzato Lì Son.
Quando rientrammo, complice la stanchezza avevo portato Brooke a casa mia. Ci eravamo addormentati senza far sesso, o almeno prima, poiché al risveglio avevo richiesto la mia dose giornaliera di piacere. 
"Sbaglio o siamo nella stessa sede del l'ufficio?" Mi chiese.
"Mmm... non ho i soldi per due affitti." risposi.
"La libreria nasconde per bene la porta della camera." Disse lei ridendo.
Dio se era bella quando rideva. Si era sollevata e guardata intorno. Accanto alla porta c'era un mobile con un microonde e una macchina del caffè, vicino un mini frigo dove dentro c'erano un paio di birre e dell'acqua naturale. Al lato opposto una sedia dove c'era appoggiata la mia giacca e la porta che dava su una seconda stanza.
"Il bagno non è di la?" Aveva chiesto.
"Infatti è una seconda stanza che mi funge da cabina armadio. I vestiti sono tutti tenuti appesi e pronti all'uso, c'è l'asse da stiro e un ferro per i pantaloni." Le spiegai.
"Minimalista ed essenziale." Rispose stendendosi.
"Mmm... diciamo che sempre in viaggio non mi conviene affittare una seconda casa. I vestiti li porto nelle lavanderie fai da te ogni sabato. Poi giacche e camicie le metto sulle grucce appena stirate." Dissi intanto che Brooke poggiava i gomiti sul mio petto e si teneva il mento con le mani.
"Cerco di immaginarti mentre stiri le camicie."
"Mi sono concesso il lusso di uno stira camicie. I migliori soldi spesi in elettrodomestici." Le confidai.
E lei scoppiò a ridere. Dio se era bella quando rideva. "Ti svelerò un segreto. Non avrei saputo aiutarti con le camicie." Mi disse mettendosi cavalcioni su di me, carezzandomi il petto.
Voleva fare sesso. E anche io ero pronto per lei!
Partimmo di nuovo dopo meno di una settimana per un tour svizzero alla ricerca di nuovi clienti. Col mio francese e il suo italiano fluido potevamo muoverci senza problemi.
La questione era un'altra. Cosa avrei fatto una volta rientrati a Zurigo? Avrei dovuto proporle di restare a casa mia oppure dovevo invitarla ad andare in albergo, di nuovo? Dopo la Cina il tempo di avere una stanza e già eravamo pronti per il tour. In fondo, sarebbe stato dispendioso per lei andare ogni volta in un albergo...

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
Il microstato del Keinsten non esiste, ne ho inventato uno a somiglianza del Lietchsten. Paesi, nomi e altro, sono di mia invenzioneMAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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BROOKLYN.
Avevamo programmato i prossimi tre mesi di attività. Per quanto Eddy da Londra stava organizzando degli incontri con dei potenziali clienti, Gellert era già pieno fino al collo. La proposta fatta alla Shuber era stata accolta, quindi avevamo il monopolio su tutte le Shuber svizzere. Era anche previsto un viaggio a Dubai, al fine di incontrare Von König in persona e gestire i contratti per i prossimi mesi.
In quel periodo avevo sentito tante volte Adela che voleva sapere se stavo integrandomi, la notizia più bella fu quando mi disse di aspettare un bambino.
"Devi farmi sapere se vuoi tornare a casa per Natale. Solitamente il lavoro negli Emirati mi tiene impegnato almeno un paio di mesi." Mi disse Gellert. Ma non volevo tornare a casa ed ero lì per lavorare non per festeggiare.
Per quanto amassi il Natale, negli ultimi tre anni mi era stato precluso di passarlo con i miei. Io e Jonathan con i Jenkins passavamo a dare gli auguri ai miei e la cosa finiva lì. Avrei fatto gli auguri anche quell'anno senza la cena luculliana che mamma adorava preparare con Kristin, la cuoca di casa Thompson. Nel frattempo capii che era giunto il momento di raccontare la verità sul mio matrimonio alla mia famiglia.
Organizzai una videochiamata di famiglia,
Chester era tornato a casa dopo il divorzio. Raccontai loro tutta la mia vita matrimoniale. I miei erano rimasti sconvolti, mamma perché non si era resa conto della mia infelicità. Papà perché aveva permesso al senatore di fare il suo gioco e avermi tolto l'unica mia via di fuga, togliendomi il lavoro alla Thompson & sons. London se non fosse stato trattenuto dalla mamma, sarebbe corso immediatamente dai Jenkins per affrontarli.
Chester che era rientrato da poco scuoteva la testa. "Lilian mi aveva raccontato, ma non pensavo fosse così tragica." Disse amareggiato.
London quasi stava per arrabbiarsi anche con lui.
"Tu lo sapevi?" Chiese.
"Sapevo solo che non aveva una vita sessuale attiva. Io stesso ho avuto più vita sessuale con Lilian. Fu in quell'occasione che lei mi raccontò tutto e non vi ho detto niente per Brooke." Precisò Chester.
"Io ancora non capisco questa cosa. Se eri attivo con Lilian perché l'hai lasciata per un uomo?" Intervenne mio padre crucciato.
"Per amore! Amavo più un uomo di una donna. Se ti risulta così difficile da capire ne parliamo in privato. Adesso dobbiamo pensare a Brooklyn." Rispose lui sbuffando.
"Papà, mamma sto bene!" Dissi loro. "Qui sono rinata completamente. Ho conosciuto anche una persona che mi fa sentire importante e che mi ha fatto capire che sono una donna completa e da amare." Confessai con un sorriso. "Non sono pronta a tornare a Boston, qui mi piace e sono presa in considerazione. Viaggio tanto e sto facendo quello che voi mi permettevate prima di sposarmi. Sono stata a trovare Sho e abbiamo passato tanti bei momenti insieme. Andrò a trovare anche Sabrina e Silvia, inoltre ho degli amici nuovi. Era di questo che avevo bisogno e non lo sapevo." Dissi loro.
I miei genitori parvero più sereni a questa mia confessione. Sorrisi loro. "Papà, non c'è nulla da capire con Chester. È felice così! Questo deve importarti, lui e Lilian si vogliono ancora bene, Simon è un bambino stupendo e sereno anche se i genitori sono separati e so per certo che lo adorate. Riesci a farti bastare questo?" Dissi spalleggiando mio fratello.
Papà sospirò. "La cosa importante è che siate tutti sereni e felici. Ho sbagliato con te Brooke e adesso ne paghi le conseguenze."
"Papà! Sono felice! Ripeto adesso ho un posto mio dove stare." Dissi.
"Sembri più una vagabonda." Disse mia madre.
Risi. "Ed è bellissimo!" Ammisi, mi piaceva quella parte del lavoro. Viaggiare e scoprire cose nuove.
Mia madre aveva dovuto vederlo nel mio volto sereno o nel mio sorriso perché sospirando assentì. "Chiamaci per Natale."
"Ti farò sapere quando siamo a casa con mamma, così facciamo un'altra videochiamata." Disse Adela che fino ad allora con Gabriel non avevano detto niente. Probabilmente la mia sorellina aveva già raccontato tutto al marito della mia situazione.
"Certo! Vi saluto adesso sono stanca e domani siamo a Ginevra." Conclusi salutandoli e ritornando alla mia vita quotidiana.

In previsione del viaggio negli Emirati, io e Gellert stavamo organizzando le ultime cose lì in Europa. Ottobre stava passando il testimone a novembre e sembrava avessimo smesso di correre da una regione all'altra. Rientrati dal Canton Ticino infatti, chiesi a Gellert quali erano i prossimi programmi.
"Devo andare a prenotare l'albergo." Dissi.
"Prima di partire per Dubai dovremo andare a Monaco. Non so quanto ti convenga prenotare una stanza per qualche giorno." Mi rispose fissando il computer.
Era parecchio assente, stava lavorando incessantemente ad una compravendita, una mediazione e un mandato.
"È più impegnativo del solito! Non sono sempre le stesse pratiche?" Gli chiesi notando i vari accorgimenti che mi aveva aggiunto in calce. Dovevo ricopiare tutto, al limite avrei evidenziato anche sul documento Word le sue aggiunte.
"Sì! Sono in via di massima gli stessi lavori che facciamo di solito. Ma parliamo della società di mio padre e per questo devo dare molto più del massimo. Lui non voleva che mi mettessi in proprio, quindi devo dimostrare di valere più dei suoi avvocati con esperienze decennali." Mi spiegò.
Compresi con quella frase che per lui era molto più importante di quanto dimostrasse. Gellert manteneva sempre un'espressione impassibile sul volto, le uniche volte che avevo percepito delle emozioni era stato a letto, durante il sesso. Per questo quando parlava dovevo comprendere bene e subito ciò che mi diceva, percepire nelle parole se scherzava, se mentiva e anche se era o meno ferito da una situazione . Paradossalmente Gellert era più sensibile di quanto dimostrava, lo avevo capito nonostante lo nascondesse bene. Lo avevo capito quando mi aveva invitata ad affrontare i miei demoni, quando era coi suoi amici Joel e Didier, mentre cercava di metterli a loro agio. Da quando Didier aveva iniziato ad uscire con la migliore amica di Joel, il loro rapporto si era incrinato e il sempre mite biondo sembrava camminare sugli spilli. In tutto ciò Gellert cercava di essere un tramite tra i due ed era veramente delizioso. Avevo conosciuto in precedenza Didier e Sonia, erano una bella coppia e molto simpatici. Sonia era molto complice sia di Didier che di Joel. Lo si vedeva e percepiva, nel nostro incontro con il gruppo di amici di Gellert, in quest'occasione avevo anche capito che per Joel, Sonia era più di un amica.
Inoltre per Gellert, Joel era tanto più importante di Didier, era palese. Faceva di tutto per cercare di tirare su il suo migliore amico. Adesso il mio istinto mi diceva che il problema era suo padre, non parlava tanto in merito e con la frase che mi aveva accennato compresi il suo stato d'animo. Non capivo perché non si lasciasse andare, aveva detto a me di farlo e non seguirla il suo stesso consiglio. Ovvio a me lo aveva detto per il sesso, ma reputavo il discorso fosse lo stesso.
Dovevo dare il massimo nel lavoro anche per lui questa volta, non solo per me stessa.
Lavorai sodo, presi tutti gli appunti che lui andava ad aggiungere sulle pratiche e ne feci un file per le emergenze. Sapevo che non ce n'era bisogno, lui era sempre attento a tutto.
Quando fu il momento di partire per Monaco, preparai la valigia anche per andare a Dubai. Saremo partiti direttamente da lì per gli Emirati, per l'occasione avevo comprato anche un paio di foulard , poiché come mi aveva spiegato Gel a parte la nuova Dubai e gli ambienti frequentati da occidentali, avrei dovuto muovermi a viso copertone. Infine, notando che Gellert non aveva preso la sua cravatta portafortuna presi anche quella.
Così pronti per partire arrivammo a Monaco dove ad accoglierci all'aeroporto c'erano i genitori di lui. Gel somigliava a sua madre, aveva i suoi stessi capelli rossi e gli occhi azzurro ghiaccio, del padre aveva la forma del viso e la linea della mascella, forse i ricci, poiché la madre aveva un'eccellente piega liscia.
"Piacere di conoscervi signori Keller Meyer, sono Brooklyn l'assistente del KuK." Mi presentai.
"Piacere cara, chiamami pure Inga." Mi rispose la madre di Gellert con un sorriso stringendomi la mano.
"Quando siamo a casa puoi chiamarmi Tad. Purtroppo domani in azienda dovrai chiamarmi signor Keller." Mi disse il padre.
"Tranquilli, capisco benissimo." Risposi loro con un sorriso seguendoli all'auto. Ero colpita dalla confidenza con cui mi trattavano, come se fossi una di famiglia. Non avevo mai chiamato la madre di Jonathan per nome, sempre signora Jenkins, mentre mio suocero aveva voluto che lo chiamassi senatore.
Arrivati all'auto Gellert mi prese il trolley mettendolo nel cofano, istintivamente gli presi il porta abiti e attesi che posasse le cose in ordine per ripassarglielo. Era tutta una routine a cui eravamo abituati la nostra, andai verso la porta e lui come sempre mi precedette per aprirmela, era diventata un'abitudine anche il suo gesto di aiutarmi a salire. Gellert mi toccava senza preoccuparsi dell'opinione altrui e io lo assecondavo, poiché in cuor mio mi piaceva il modo in cui mi trattava. In auto parlammo del più e del meno, non fu una conversazione a senso unico, anzi eravamo tutti compresi nel discorso. Mi sentivo accolta dalla famiglia di Gellert, Inga spesso mi mandava degli sguardi estasiati, poi incrociava lo sguardo del marito complice. Quello si che era amore, rivedevo in loro la stessa complicità dei miei genitori.
Giunti all'abitazione dei Keller Meyer restai stupita dalla sobrietà del loro appartamento. Inga mi portò nella mia stanza intanto che padre e figlio prendevano a parlare di lavoro.
Li sentivo mormorare, per il momento però volevo rilassarmi come mi piaceva fare una volta a casa. Tolsi le scarpe indossando un paio di scarpe da stanza e legai i capelli, mi lavai faccia e mani e raggiunsi la famiglia.
"Non credo che così andrà bene!" Disse Tad al figlio.
"Fidati, mi sono studiato tutta la pratica. Andrà bene la nostra proposta." Gli rispose Gellert, anche se indossava solo un maglione e dei jeans aveva sempre una certa autorità. Stava aprendo la valigetta alla ricerca della pratica, la tirò fuori facendola leggere al padre, dopodiché fece una smorfia. "Qui! Dove ci sono i punti interrogativi, avevo anche un appunto." Disse al padre.
Mi avvicinai poggiandogli la mano sulla spalla presi il pc dalla sua valigetta. "Ti ho scansionato le pagine dei libri da cui hai preso gli escamotage per la causa." Dissi tranquillamente.
Avvertii la presa della sua mano sul fianco, il respiro sul mio collo mentre si abbassava. "Fortuna che ci sei tu. Ero convinto di aver scritto da dove veniva questa puntualizzazione." Mi disse mentre aprivo il file. Controllavo la pagina che aveva puntualizzato e andai sul mio file, dove avevo ricopiato proprio tutto. "Ecco."
"Sì è questo. Hai ricopiato proprio tutto ciò mi serviva." Mi disse sorridendomi per poi rivolgersi al padre. "Vedi, se ci muoviamo come suggerito dal saggista e legale Marshall possiamo intervenire così." Spiegò al padre.
Tad annuì. "Sorprendente! Non me l'aspettavo proprio." Disse al figlio sorridendogli, poi si rivolse a sua moglie. "Siamo molto orgogliosi di te."
"Ci hai sorpresi ed è una cosa bellissima." Affermò Inga gongolante.
Ero contenta che Gellert avesse colpito i genitori, ci teneva tanto a fare bella figura con la sua famiglia. "Domani sarà un successo, ti ho anche portato la tua cravatta preferita." Gli dissi.
"Credi che abbia bisogno di fortuna?" Ironizzò lui. "Sono sicuro di me e non ne avevo bisogno." Concluse guardandomi. "Però ti ringrazio, sono sicuro che con quella filerà tutto liscio."
Gli diedi una leggera gomitata divertita. "Ecco, ringraziami e prostrati." Lo presi in giro. Incrociai lo sguardo di sua madre che mi fissava, sussultai. "Scherzo ovviamente, non mi permetterei sul serio." Le dissi.
"Ma no! Siete così carini a vedervi, siate sempre così naturali vi prego continuate." Mi disse Inga mentre la porta di casa si apriva lasciando entrare una ragazza dai capelli rossi e gli occhi castani.
Indubbiamente doveva essere la sorella di Gellert anche se assomigliava a Tad.
"Sono a casa! Spero la cena sia pronta." Entrò annunciandosi.
"Brooklyn, ti presento mia figlia Pamela." Disse Inga dando voce ai miei sospetti. "Lei è Brooklyn l'assistente di Gel."
"Ciao." Mi salutò fredda la rossa fissandomi. "Ho fame."
"Ciao Pam." La salutò Gellert indifferente.
"Aspettavamo solo te cara, Ludmilla è pronta già da un po', siete affamati cari?" Chiese poi Inga ammonendo la figlia con lo sguardo.
"Molto si! Grazie per avere tutto pronto non abbiamo mangiato a pranzo." Rispose Gellert alla madre, dopodiché mi spinse verso una stanza adiacente. "Vieni, adorerai la cucina di Ludmilla." Mi disse.
"Stinco e crauti, spero ti piacciano." Mi disse Inga.
"Il piatto preferito di Gellert. Lo prende sempre a casa." Risposi sedendomi dove mi indicava lui.
"Attenta devi sporcarti le mani." Mi disse acida Pamela.
Speravo di aver capito male, forse la stanchezza. Ma sembrava che io non piacessi proprio alla sorella di Gellert. Perché?
Non le risposi sinceramente, era meglio ignorare la sua provocazione.
Ludmilla una donna robusta e dall'aria materna arrivò di lì a poco con un vassoio di stinchi e crauti. Inga ancora in piedi servì la cena a tutti mentre Tad versava nei nostri bicchieri della birra ghiacciata.
"Buon appetito." Annunciò Tad dando il via alla cena, noi tutti rispondemmo e prendemmo a mangiare. Come sempre pulii il mio stinco dando la parte più carnosa a Gellert, lo stinco mi piaceva, ma adoravo la parte più interna e poi pulirmi l'osso, lo facevo anche a casa con pollo e tacchino. Così presi a mangiare mentre Gel mi passava anche il suo osso.
"Vuoi un po' di pane nero? È fatto in casa." Mi chiese mentre afferrai l'osso con le mani e lo portavo alla bocca. Annuii, la cucina di Ludmilla era veramente invitante alla vista. Lo stinco era veramente saporito, pensai mentre sgranocchiavo l'osso dopo aver mangiato la carne. Presi il tovagliolo e pulii le mani per prendere il pane croccante. La serata era stata perfetta, a parte qualche commento sarcastico di Pamela che mi facevo scorrere. Inga, Tad e anche Ludmilla sapevano mettere a loro agio i loro ospiti e Gellert come sempre a tavola mi viziava sempre. "Ha spazio per il mio strudel vero signorina Brooke?" Mi disse servendomi Ludmilla.
"Sono golosa, ho sempre spazio per il dolce." Ammisi sazia, speravo di non passarmi una brutta notte, ma lo strudel era veramente invitante e non volevo offendere Ludmilla.
Dopo cena, restammo un altro po' a chiacchierare, fino a quando Inga e Tad non decisero di ritirarsi.
Salutai anche io, avevo bisogno di una doccia prima di andare a dormire e anche di rilassarmi dalle frecciatine di Pamela.
Una volta rinfrescata tornai in stanza dove ad attenermi c'era Gellert. Anche lui era docciato e i capelli sempre in ordine gli cadevano in disordinati riccioli sulla fronte e sulla nuca. "Ma buonasera."
"Sei piaciuta tanto alla mia famiglia. Complimenti Thompson." Mi disse lui raggiungendomi cingendo i miei fianchi.
Circondai il suo collo con le braccia e sollevandomi sulle punte feci una smorfia. "Non a tutti."
Lui mi diede un lieve bacio. "Giuro non so cosa sia preso a mai sorella. Solitamente è socievole con tutti e molto loquace." Mi disse dandomi dei piccoli baci sul collo.
"Non dovresti essere qui." Gli sussurrai carezzando il suo torace.
"Vado via presto domani mattina." Mi rispose impossessandosi della mia bocca.
E cedetti! Chi ero io per comandare a casa sua? Nessuno.
Al mattino fui svegliata da un forte senso di vomito, dovetti alzarmi subito e correre al primo bagno disponibile per tirare fuori tutto ciò che avevo in corpo. Ieri sera avevo esagerato! La cucina di Ludmilla era buona ma anche pesantissima.
Senza indugiare Gellert mi seguì e mi assistette per tutto il tempo, scostandomi i capelli per non farli sporcare e carezzandomi la schiena. "Stai bene? Hai fatto indigestione?" Mi chiese premuroso.
"Ho mangiato come al solito." Dissi ansimante quando finalmente mi sentii meglio.
"Come una porcella si!" Mi disse lui teneramente. "Comunque Ludmilla ci va dentro con i condimenti." Cercò di giustificarmi.
"Mi hai vista in questo stato pessimo. Sarò orrenda." Mi lamentai.
"Ma no, sei bellissima sempre. Poi avevi bisogno di un supporto, siamo una squadra io e te. Insieme per tutto ed in tutto." Mi disse carezzandomi i capelli sudati.
"Insieme anche in questi casi?" Gli chiesi sorpresa.
"Sempre." Mi disse lui attirandomi tra le sue braccia. "Cosa vuoi fare adesso?"
"Una doccia sarebbe l'ideale." Intervenne Inga spuntando dalla porta. "Scusatemi. Non volevo disturbarvi, ma dovevo intervenire." Ci disse passandomi un telo bagnato. "Spero non sia stata la cucina di Ludmilla."
"Vi prego, non facciamolo sapere. È così cara quella donna." Li supplicai detergendomi. "Seguo il consiglio di una doccia, lavo i denti e prenderò un the a colazione."
"Va bene cara. Al limite per non destare sospetti chiedo una colazione leggera per tutti." Mi disse lei uscendo dal bagno.
Guardai Gellert spingendolo fuori. "Questo posso farlo da sola."
"Che peccato!" Disse lui schioccandomi un bacio sulle labbra incurante del mio pessimo alito. "Ti aspetto in sala da pranzo con tutti gli altri. Se non te la senti di venire in azienda puoi restare qui."
"Ci sarò. Non mi perderei per nulla al mondo il tuo successo di fronte a tuo padre e i suoi soci." Gli dissi nascondendogli che non volevo restare in casa e trascorrere del tempo con Pamela.
Feci la doccia cercando di capire cosa mi avesse fatto male della cena, quando uscii andai a vestirmi con un completo pantaloni e giacca blu navy e legai i capelli in uno chignon basso.
Fuori la porta fui accolta da Pamela che sembrava stesse aspettandomi.
"Cosa gli hai fatto?" Mi chiese subito. "Seria? Lo stereotipo capo-segreteria, sicuramente ce ne sono migliori di te e che non lo seducono per incastrarlo."
Restai basita. Non mi diede neanche il tempo di rispondere.
"Siamo un avvocato e la sua assistente, non so cosa ti sia messa in testa Pamela. Ma esco da un matrimonio difficile e incastrare qualcuno non è la mia priorità." Le dissi secca. Ma cosa aveva in testa.
"Seria? L'ho visto sai? Tutte le premure che ha verso di te, non lo fa mai con nessuna. Poi arrivi tu, una bambola da esposizione e Gellert non ragiona più."
Scossi la testa sorpassandola. "Gellert sa ragionare da solo. E sinceramente non sopporto che si insulti la mia intelligenza. Comunque stai tranquilla, non sarò di certo io ad incastrarlo." Le dissi andandomene. Mi dispiaceva! Saremo potute diventare amiche, ma con quei presupposti pensavo proprio che non sarebbe stato più possibile.
Entrai in sala da pranzo salutando Ludmilla e Tad, già pronto come il figlio con un doppiopetto classico. Gellert ne indossava uno rigato blu navy, con una camicia azzurra e la cravatta porta fortuna.
"Scusatemi il ritardo, sono stata trattenuta." Dissi senza scendere nei particolari.
"Quando partirete per gli Emirati?" Mi chiese Inga passandomi dei biscotti secchi. Ne presi con piacere intanto che Pamela ci raggiungeva.
"Gel si è preso qualche giorno in più in caso le trattative richiedano tempo. Quindi a inizio settimana." Le risposi.
"Con il tuo aiuto come assistente sicuramente resterete nei tempi." Mi adulò Tad.
"Faccio solo il mio lavoro Tad, ma grazie." Risposi.
"Ho sentito mia sorella Theresa mezz'ora fa. Hai lavorato da loro, sentono la tua mancanza. Dice che l'ufficio sta tornando nel caos." Disse invece lui continuando a complimentarsi.
"Era bello lavorare lì. Diciamo che avevo molto più da fare anche se ero passata da assistente a coordinatrice delle segreterie e interprete con l'estero." Gli spiegai.
"Il tuo tedesco è eccellente. Non avrei mai detto che fossi americana o che non fossi madrelingua." Mi disse Inga mentre Pamela schiantava la tazza sul piattino tremante.
"Sono madrelingua portoghese, questo mi da una certa fluidità anche con le altre lingue di origine latina." Spiegai.
"Pamela sta studiando lingua e cultura orientale all'Università, però da autodidatta sta imparando lo spagnolo. Potresti aiutarla, tentenna ancora un po'." Mi spiegò Inga.
Guardai la sorella di Gellert cercando di essere più neutra possibile. "Il consiglio che posso darti è di viaggiare e fare degli stage." Le dissi. "Io ho imparato il cinese grazie ad uno scambio culturale, poi sono andata a stare in Cina per tre mesi, questo ogni anno fino a quando non..." mi sono sposata! "... non ho smesso di lavorare. Anche per l'italiano e il tedesco è la stessa situazione, io e le mie amiche comunque ancora oggi ci sentiamo al telefono e ci scriviamo proprio per non arrugginire le nostre conoscenze. Sho per esempio mi scrive in cinese, Sabrina mi scrive in tedesco e Silvia in italiano, io devo rispondere loro in inglese."
"Così ti eserciti nella lettura della lingua?" Chiese Pamela interessata.
Fu Gellert a rispondere. "Sicuramente conosce gli ideogrammi cinesi. È stato così che l'ho accettata come mia pari alla KuK."' Disse.
"Non sono tua pari, tu sei l'avvocato e io la tua segretaria." Precisai.
"Abbiamo ruoli diversi, ma siamo a pari livello." Precisò lui.
"Vi completate." Annunciò Inga soddisfatta.
"Il lavoro che avete preparato è eccellente, secondo me oggi centrerete tutti i vostri obbiettivi. Quindi quando volete possiamo andare." Concluse Tad.
Posai la mia tazza ormai vuota annuendo. "Mi servono cinque minuti e sono pronta." Dissi alzandomi.
"Ci troviamo all'ingresso tra dieci minuti allora." Mi disse Inga.
Andai nel bagno seguita da Gellert e insieme ci lavammo i denti. Lui si aggiustò i capelli e io infilai le mie Louboutin con tacco da dodici centimetri.
"Andrai alla grande." Dissi a Gellert aggiustandogli la cravatta.
"Insieme." Mi disse lui. Annuii sorridendogli. Insieme!

GELLERT
I trattati proseguirono per un paio di giorni con successo. Avevo lavorato duramente per non deludere mio padre e grazie a Brooke stavo riuscendo. Aveva seguito il mio lavoro con dedizione, facendo ciò che io non avevo pensato di fare, ovvero riunire i punti chiavi delle mie ricerche al fascicolo di ogni caso che avrei affrontato. Una volta chiusi in sala riunione avevo chiesto che si sedesse al mio fianco e non alle mie spalle. Non era un avvocato, ma come mia assistente sapeva come muoversi. Eravamo pari e c'eravamo dentro insieme e insieme ne saremmo usciti.
Ogni cliente che affrontavo lei era accanto a me, ogni tesi che portavo avanti lei mi passava i fascicoli e le annotazioni prese, ogni contratto da firmare lei era lì con la penna già in mano. Eravamo una squadra vincente e lo stavamo dimostrando.
Dopo due giorni di trattative finalmente potetti rilassarmi. Con la firma della mediazione da parte mia e non degli avvocati di papà, avevo compiuto il mio dovere e dimostrato che ero un Keller anche io.
L'orgoglio negli occhi di mio padre mi ripagò molto più degli euro che avrei guadagnato.
Quella sera a casa festeggiammo la chiusura delle trattative. Così facendo avevamo recuperato tre giorni sulla tabella di marcia.
"Penso che andrò a farmi un giro a Francoforte prima della partenza." Annunciò Brooke a cena.
"Volete passare alla sede di Francoforte?" Chiese Tad.
Io scossi la testa. "Sabrina Hammer, l'amica di Brooke, vive lì." Li informai. "Riesci a rientrare per domenica?" Chiesi poi a Brooke guardandola preoccupato. "Se vuoi vengo con te dal momento che stai ancora male."
"Ma non penso che vomiterò ancora, poi in treno ci sono i bagni." Mi rassicurò.
Brooke era convinta in merito. Io meno, da quando eravamo arrivati a Monaco stava male, ogni mattina vomitava e durante la giornata, anche se non lo diceva, vedevo sul suo volto la sofferenza. Quando glielo dissi ammise che a tratti le girava lo stomaco.
"È grande abbastanza da pensare per se." Intervenne anche Pamela.
Quello era un altro problema. Il cinismo che Pam aveva nei confronti di Brooke non mi piaceva. Stavo cercando di essere indulgente con lei, non era mai stata così e non poteva essere gelosia nei miei confronti. Pamela non era gelosa, avevamo due anni di differenza. Ma io ero entrato in collegio a tre anni, quando lei ancora non camminava e sicuramente non c'era stato modo di creare un legame morboso ne con me, ne con Gabriel se per questo.
Contai fino a dieci e le risposi. "Anche tu sei grande abbastanza per dormire almeno all'università." Le dissi tornando a concentrarmi su Brooklyn. "Comunque se ti senti di andare da sola, per me non ci sono problemi. Stai prendendo la medicina per la nausea vero?"
"Sto prendendo i fermenti lattici, si!" Mi rispose Brooklyn. "Stai tranquillo, per il viaggio a Dubai la tua super segretaria starà bene." Ironizzò lei puntualizzando a tutti che era la mia segretaria. "Cerca di riposare e attenta all'alimentazione." Le dissi arrendendomi.
"Sabrina è infermiera. Sicuramente saprà prendersi cura di me. Tu invece approfittane per stare con la tua famiglia." Affermò facendo l'occhiolino a Inga e Tad.
Così la mattina successiva, dopo averla assistita nel suo solito attacco di emesi, l'accompagnai alla stazione dove prese il suo treno per Francoforte. Al mio ritorno a casa, trovai solo mia madre, era un momento solo nostro e ne approfittai per chiederle come comportarmi con Pamela. Anche lei e papà, come me, spalleggiavano Brooke, la trovavano adorabile, lo vedevo dai loro sguardi.
"Che problemi ha Pamela? Rivoltarsi così contro Brooke, un po' di rispetto per la mia segretaria sarebbe il minimo." Le dissi.
"Probabilmente si sente minacciata da lei." Mi disse.
"Minacciata? Perché è più brava di lei con le lingue e le interpretazioni? Ha studiato per ottenere questi risultati." Dissi a mia madre.
Lei mi porse una tazza di caffè e mi fissò. "Lo sappiamo che la notte ti intrufoli nella sua stanza. La mattina non fai in tempo a lasciare il suo letto." Mi disse complice.
Sbottai. "Sta male, non posso andarmene nella mia stanza mentre è lì a vomitare da sola." Le dissi.
"Sì! Ero lì la prima mattina sai? Stavo andando in cucina quando la vidi correre in bagno e poi te che la seguivi. Ho sentito ciò che le hai detto." Mi confessò lei. "Volevo venire ad aiutarvi prima, ma le tue parole... fare le cose insieme, nel bene e nel male." Disse con un sorriso molto dolce, mamma li aveva avuti quando eravamo piccoli e non ne capivo il motivo adesso. "Oh Gel, io e tuo padre lo abbiamo visto e anche Pamela." Mi disse.
"Siamo amanti." Ammisi. "Ma teniamo distaccato il nostro rapporto fisico da quello pratico. La nostra relazione non influisce sul lavoro." Le spiegai. "Mi da fastidio che Pamela la critichi e le stia addosso senza conoscerla o sapere della sua storia."
Mia madre sospirò. "Solo una relazione sessuale?" Affermò scettica. "Pam, vede ciò che tu non vedi ancora. Non sei mai stato premuroso con nessuno, neanche con lei." Mi disse.
"Brooklyn ha dei trascorsi che Pamela se li sogna." Le spiegai per sommi capi. "Sto avendo pietà per Heidi. Le avrà fatto passare le pene dell'inferno quando è stata qui." E io che pensavo di essere stato meschino nei confronti di mio fratello e sua moglie.
"In realtà, ha avuto un'accoglienza differente." Ammise mamma. "Ma Heidi e Brooke sono differenti. Sappiamo di Heidi da quando Gabriel aveva quindici anni, diciamo che eravamo preparati. Con te è differente, probabilmente non se lo aspettava. Dalle tempo."
"Ma non si aspettava cosa? Siamo colleghi e amici." Dissi a mia madre.
"Amanti. Tu la ami e non te ne accorgi, non sei mai stato attento a nessuno, poi arriva lei..." Mi disse.
"Mamma!" Sospirai. "Brooke è forte a modo suo. Ma è stata ferita molto, non potrei trattarla diversamente." Le confessai.
Mia madre mi fissò sconcertata. "Cosa?!" Mi chiese.
Io sospirai. "Cerca senatore Arnold Jenkins. Lèggerai in parte della sua storia, o almeno di quello che era la facciata della sua vita. Ha subito degli abusi psicologici, la manovravano a loro piacimento e alla fine le hanno fatto credere che fosse frigida e sterile. Se leggi gli ultimi articoli che le riguardano in Internet tutto ti sarà più chiaro." Le confessai. "Io però non ti ho detto nulla mamma. Dopo che mi ha raccontato la sua storia ho cercato informazioni da me! Non sa che a Boston dopo la sua partenza ancora giravano articoli che parlavano di lei. Jonathan Jenkins è tornato a Boston e i quotidiani ne parlano così."
Le elencai i titoli dei quotidiani amareggiato.
Jonathan sicuramente era anch'egli manipolato dal padre, poiché i titoli erano tutti mirati a screditare Brooklyn.
-Un matrimonio fallito per una moglie sterile.-
-Non reggevo più la sua passività.- Brooklyn non era passiva anzi.
- I genitori volevano liberarsi di lei.- altra bugia, lei era stata allontanata dai suoi cari.
- La figlia del capostipite della Thompson & sons. È vuota!- vuota un cazzo! Era così energica e piena di idee che vuoti erano loro.
Così avevo scoperto che suo padre si chiamava Simon Thompson, avevo visto una foto con lei, la madre e le altre sue sorelle. Quindi oltre a Ada ce n'era una terza, che le tre avevano ereditato la carnagione ambrata e olivastra dalla madre di origini brasiliana.
"Mamma! Le hanno fatto del male e non merita che anche Pam lo faccia gratuitamente." Le dissi amareggiato.
Mia madre rimase sconvolta dal mio racconto. "Sapevo del senatore Jenkins. Tua zia Terry me ne ha parlato quando ci hanno detto di Brooklyn, dissero che Boston era malsano per lei in questo momento. Che il marito aveva prosciugato il loro conto abbandonando tutti, lasciando lo scandalo sulle spalle di Brooke. Ma non mi aspettavo nulla di tale portata."
Guardai mia madre. Allora sapeva ciò che si raccontava. "La verità dietro è molto più grande." Le dissi prendendo a raccontargliela. Di come Jonathan non si era mai degnato di amare sua moglie se non qualche volta tanto da farle credere di essere frigida. Dell'impossibilità di avere figli nonostante lei facesse dei controlli regolari e tutto risultava nella norma, di come le avevano congelato la personalità sia nel vestirsi che nel muoversi nel suo ambiente, di come le avevano tolto il lavoro che svolgeva per il padre o la libertà di accogliere le sue amiche straniere e andarle a trovare. Di come dopo il primo anno di matrimonio, Ada l'aveva 'salvata', portandola allo studio associato dove aveva preso a lavorare. "Se non avesse iniziato a lavorare da Williams & Murphy dopo i fatti del marito si sarebbe veramente trovata in mezzo ad una strada." Conclusi il racconto a mia madre.
"Assurdo!" Esclamò lei. "E tu come sempre sei più sensibile di quanto dimostri."
"Ma poi non è che io abbia chissà quali premure. Faccio solo ciò che mi avete insegnato. Le porto rispetto." Mi giustificai con mia madre.
"E noi siamo fieri di te. Non ho bisogno di cercare dei giornali per sapere dov'è il vero, ho conosciuto il senatore Jenkins quando era ancora giudice al settantesimo anno del nonno e non mi è mica piaciuto. I politici sono sempre quelli della peggior specie, ti comprano con finti sorrisi e finte parole." Disse mamma raccontandomi i suoi ricordi.
"C'ero anche io a quel compleanno." Affermai. Avevo quindi conosciuto Jenkins e suo figlio,!forse anche Brooklyn.
"Si, ma stavi sulle tue con Edgar e Joann. Lontano da tutte le gonnelline che vi correvano dietro, avevo solo sedici anni tesoro e non ti piacevano queste cose." Mi disse mamma con un sorriso.
Ecco spiegato tutto probabilmente a quella festa c'erano anche Brooklyn e Ada, con i genitori e io non li avevo notati.
"Non voglio che la feriscano ancora." Dissi schietto a mia madre. "Hanno scritto che è una bambola vuota, sterile e senza passione." Parlare con mamma mi faceva bene, era da quando avevo trovato quegli articoli che volevo sfogarmi e non potevo farlo con Brooklyn, glielo avevo tenuto nascosto di proposito.
"Entrambi sappiamo la verità, perché vi sento e se non siete passionali voi non so chi lo sarebbe." Scherzò mia madre sussultando. "Da quanto state insieme tu e Brooklyn, è almeno un mese?" Mi chiese.
La fissai. "A fine novembre sono due mesi. Mi ricordo la data perché coincide con il volo di Ada, sua sorella e mia socia." Le dissi, non volevo che mamma desse importanza a questa cosa.
"Quasi due mesi! Gellert è possibile che Brooke non sia influenzata." Mi disse mamma.
"Impossibile!" Le dissi sicuro. "Usiamo i contraccettivi."
"Che possono rompersi? Fammi una cortesia, controllala e non lasciarla scappare per nessun motivo." Mi consigliò mamma. "Se ho ben capito Brooke è abbastanza orgogliosa da non chiedere nulla a nessuno e se tua sorella le ha espresso tutto il suo cinismo, non ci penserà due volte. Ti terrà all'oscuro di tutto."
Annuii. Non c'era motivo di allarmarsi. Brooklyn non era incinta, non poteva per l'unica volta che non avevano usato contraccettivi.
Guardai mamma. "Ti dispiace se la raggiungo?" Le chiesi.
Lei mi sorrise accomodante. "Ti capisco se lo fai, mi raccomando tienimi aggiornata." Mi disse dandomi un bacio sulla guancia.
E così feci, preparai le mie cose in fretta. Nel frattempo mamma si organizzò per cambiare i nostri biglietti, partenza da Francoforte. Quando fui pronto era alla porta con Ludmilla che aveva un pacco per me.
"Il mio strudel piace tanto a Miss Brooke. Portaglielo." Mi disse. Sapevo che non c'era solo dello strudel in quel pacco, ma assentii.
"Ti ho preso un last minut per Francoforte, probabilmente riuscirai ad andare a prenderla alla stazione." Mi disse abbracciandomi. Lo sapevamo entrambi, non sarei più tornato se a casa avrei avuto il dissenso di Pamela. Non avrei permesso a nessuno, neanche a mia sorella di offendere Brooklyn Thompson.
Lasciai la casa di mia madre senza rimpianti. Meno di due mesi e quella piccola donna mi era entrato dentro.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di ThomasSenior e di Thomas Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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BROOKLYN

Arrivai a Francoforte poco dopo le due di pomeriggio. Durante il viaggio mi ero sentita male un paio di volte, cercai di fermare la nausea con dei crackers che mi aveva lasciato Ludmilla.

Ne approfittai per leggere le mail che mi aveva mandato la mia famiglia. Alaska stava salpando per le isole greche con Micaela Keller, sua migliore amica e cognata di Adela. Spulciai le foto che aveva mandato a tutta la famiglia, le ultime con Dallas che sarebbe ripartito per prendere servizio in Afghanistan. Mi si strinse il cuore. Mio fratello era bellissimo e giovanissimo, ma comprendevo la sua scelta di volersi arruolare. Era la stessa esigenza che avevo avuto io dopo i fatti di Jonathan.  Voler scoprire se stessi e trovare un posto nel mondo che non fosse dettato dalle convenzioni della nostra società. Stavo bene in quel momento? Sicuramente si. Spulciai le altre foto, quelle del viaggio che procedeva verso le isole greche su uno yacht di lusso appartenente agli Hoffman. 

Scossi la testa, anche quella era una famiglia che avevo imparato a non apprezzare negli ultimi anni. Tutti avevano dei secondi fini! Gli Hoffman avrebbero voluto un matrimonio con Adela, così che papà potesse salvare la loro società navale. Il matrimonio era andato a vuoto e adesso loro facevano di tutto per tenere papà buono. 

Fortunatamente Adela non si era fatta trascinare dalle convenzioni della nostra società. Si era sposata col suo amato Gabriel e tanto le bastava. Cercai i suoi messaggi, da quando ci aveva informato che era incinta del suo secondogenito non l'avevo più sentita. Sapevo che Adela aveva cercato tanto quel bambino, molto più di Adam che era uscito fuori con sorpresa. 

Com'era bizzarro certe volte il destino. Volere una cosa tanto intensamente e non ottenerla, al pari di non cercarla ed eccola che arrivava piacevolmente a sorprendere tutti. Così era stato per Adam al contrario del secondo. 

Lessi la messaggistica e fui sorpresa di trovare un messaggio di mia sorella che non parlava della sua gravidanza, ma di quella del fratello di Gabriel. 

«Anche Thomas aspetta un bambino. Ce lo hanno fatto sapere in questa settimana. Ci hanno tenuta la notizia nascosta perché non riuscivo a concepire. Non è bello che i miei figli cresceranno con i cugini? Non vedo l'ora di unire le nostre grandi e belle famiglie.» 

Era decisamente felice. Anche io lo ero per lei. Sicuramente far crescere insieme i bambini, nonostante le distanze, sarebbe stato bellissimo. Sarebbe piaciuto tanto anche a me! Peccato che fino ad allora non mi era stata concessa nessuna gravidanza. Probabilmente Jonathan oltre che essere inetto, si era rivelato anche essere sterile. Perché la dottoressa Pontes mi aveva assicurato che ero fertile e regolare in tutto il mio ciclo riproduttivo. Io ero fertile e... e mi era saltato il ciclo quel mese. 

Mi mossi agitata al mio posto. Intorno a me i viaggiatori erano concentrati su altro, non badavano a me o al mio cambio di espressione. Nessuno notava la rigidità con cui mi stavo muovendo irrequieta al mio posto. 

Possibile che fossi incinta? Aprii la borsa cercando la mia agenda. Segnavo qualsiasi cosa su di essa. Gli impegni, gli appuntamenti, memorandum per visite mediche e anche del ciclo. Cercai dove avevo segnato l'ultimo ciclo. Risaliva a prima della mia partenza per l'Europa. Non avevo il ciclo da due mesi quasi! Possibile che fossi incinta? 

Mi toccai il ventre piatto! Un'emozione profonda si alzò dentro di me. Un bambino? Il figlio che fino ad allora mi era stato negato? Mi accorsi di star piangendo solo quando una lacrima mi cadde sulla mano. Potevo avere quella gioia anche io? 

Non lo sapevo e non volevo illudermi e mettere il carro avanti ai buoi prima di fare degli esami. Non potevo permetterlo, illudermi avrebbe significato restare delusa. Questa volta sarei caduta molto peggio che per l'abbandono e la vergogna causatami da Jonathan. 

Sospirai asciugandomi il viso. Sabrina era infermiera, sicuramente avrebbe saputo dirmi qualcosa. Potevano essere tanti i motivi per cui non avevo ancora il ciclo. In quel periodo avevo viaggiato molto, cambiando spesso orari. C'era da contare lo stress e il fattore fisiologico. 

Si! Decisamente doveva essere quello. Non ero incinta. Perché se così fosse stato avrei dovuto lasciare il mio lavoro. 

Non avrei mai incastrato Gellert, come aveva detto anche Pamela. No! Avevo la mia dignità e non sarei di certo andata da lui implorandolo di prendersi le sue responsabilità. Potevo lavorare per lui fino a quando la gravidanza non si sarebbe vista. Si avrei fatto così, volevo andare a Dubai. Non l'avevo mai vista e non mi sarei lasciata sfuggire l'occasione per andarci. 

Fortunatamente Sabrina non era una persona romantica e la sua compagna, Zora era un bel peperino cinico e risoluto. Avrebbero saputo tenermi con i piedi a terra.

Scesi dal treno relativamente tranquilla, portandomi dietro il trolley mi guardai intorno alla ricerca di Sabrina e Zora. 

Sabrina mi aveva detto al gran caffè della stazione, le scarpe ticchettavano sul pavimento, se ricordavo bene il bar era all'entrata, quindi al piano di sopra. 

Chiusi il trolley e feci per sollevarlo, ma qualcun altro lo fece al posto mio. Un brivido mi percorre la schiena a quel gesto. Anche se non era paura temendo un furto, era lo stesso brivido che provavo ogni volta che incrociavo lo sguardo di Gellert. 

"Lascia la porto io." Mi disse la sua voce calda. 

Mi voltai lentamente. "Cosa ci fai qui?" Chiesi con voce tremante, i suoi occhi azzurro ghiaccio erano nei miei e mi tenevano ferma lì. 

Mi sorrise. "Non potevo lasciarti sola. Siamo una squadra, ricordi?" 

Feci una smorfia. "Non ho bisogno di una balia. Poi Sabrina è un'infermiera." Gli ricordai. 

Si mise bene in spalla la sua borsa e sollevò la mia trascinandoci sulla scala mobile. "Lo ricordo. Ma non è la stessa cosa, io e te abbiamo qualcosa che con Sabrina o nessun altro hai." Mi rispose tranquillo. 

Sospirai notando la busta della farmacia che si portava dietro. Mi aveva comprato una medicina. "E il lavoro? La tua famiglia?"

"Lo abbiamo finito. La parte delle mia famiglia che ti adora mi ha dato la benedizione, testuali parole: prenditi cura di lei." Raccontò divertito. 

Probabilmente si riferiva ai genitori e Ludmilla, Pamela non avrebbe mai avuto quell'accortezza verso di me.  "Per queste hai comprato della medicina? Ma sto meglio..." Gli dissi titubante. Se ero incinta volevo evitare medicine che potevano danneggiare il feto. 

"Non sono medicinali." Rispose lui. Lo guardai curiosa, quindi non aveva avuto un pensiero gentile come immaginavo. Mi sorrise divertito. "Sono test di gravidanza." 

Annuii scuotendo la testa. "A-aspetta... aspetta... cosa hai preso?" 

"Dei test di gravidanza!" Disse ancora sicuro. "Ne ho preso due, nel caso lo sbagliamo." Spiegò, mi guardò incerto. "Ma la tua amica è un'infermiera e quindi riusciremmo al primo colpo. Che stupido che sono." 

"Cioè... Gellert non sono incinta." Dissi decisa. 

"Non è vero. Abbiamo un cinquanta e cinquanta di probabilità. Effettivamente avremo dovuto pensarci prima, sono passati quasi due mesi da quando lo abbiamo fatto senza precauzioni."  Disse molto serenamente.

"Gel... Gellert ma come fai a essere così tranquillo?" Gli chiesi scendendo dalla scala mobile e indicandogli il gran caffè.  

Lui mise a terra il trolley e sollevando la maniglia lo fece scorrere al suo fianco. Mi fissò attentamente e parlò. "Sono tranquillo perché è con te." Rispose deciso. "Con te ho capito che posso questo ed altro. Ovviamente se la pensi diversamente mi adeguo alla tua scelta. Ma se volevi diventare già madre prima ..." concluse lasciando la frase in sospeso. 

Lui intendeva con Jonathan. Possibile che la stesse prendendo sul personale? "Se sono incinta non ci sono scelte. Questo bambino nascerà." Dissi subito. 

Lui si rilassò sorridendomi. "Bene. Perché non vedo l'ora." Rispose prendendomi per le spalle. 

Era deciso?  Avremo avuto quel bambino? Adesso sarei rimasta realmente delusa se sarebbe risultato un falso allarme. 

"Che mi prenda un colpo. Gellert Keller Meyer a Francoforte!" Ci interruppe una voce femminile. 

Ci girammo entrambi, io temendo che fosse una sua ex fiamma. Lui sorpreso quanto me. Guardo la donna di fronte a noi. 

Alta quasi un metro e ottanta, capelli corti e castani, occhi verdi, viso squadrato e fisico robusto. Era Zora! 

"Zora Müller!" Salutò lui. "Da quando il tuo territorio sono le stazioni?" 

Lei si grattò divertita la nuca indicandomi. "Da quando devo prendere questa gnocca." 

"Ciao Zora... conosci Gellert?" Chiesi sorpresa. 

"Mamma mi ha iscritto al loro stesso collegio. Dio Brooke sei sempre bellissima." Rispose lei con la sua voce rauca.

"È anche etero." Rispose Gellert. 

Lei rise. "Hai capito! Keller Meyer che fai, calchi il territorio?" Lo prese in giro. 

Effettivamente sembrava geloso. "Sabrina? Non la vedo."

"Le hanno allungato il turno." Rispose lei. "Ma non ci importa, è importante che domani sia libera tutto il giorno." 

"Oh! Mi dispiace. Hai dovuto lasciare il lavoro per me." Dissi a Zora. Non eravamo proprio amiche e sapere che si era scomodata per me, mi infastidiva.

"Tranquilla... tanto non fanno caso alla nostra assenza. Meglio qui che in ufficio a fare il lavoro sporco." Rispose. 

"Devi fare la gavetta per arrivare ai vertici." Disse Gellert. "Lavora nell'azienda di papà." Mi spiegò.

Compresi che Gellert conosceva le gemelle Nora e Zora, molto più di me.

"L'ho fatta! Ma mi mettono sempre in secondo piano. Nora ha lasciato... fa l'economista in una banca. Lo farò anche io se continua così. Rubén ha preso possesso del nostro ufficio e non lo lascia." Si lamentò. 

"Tua madre dovrebbe metterlo al suo posto. La sede è sua." Affermò Gellert intanto che caricavano l' auto. 

"Mia madre è succube del nonno e dello zio. È una grande affarista, ma quando si tratta del nonno cerca sempre di compiacerlo. Allo zio Rufus invece fa comodo avere il figlio qui. Più vicino a Monaco di Amburgo." Concluse scuotendo la testa. 

"Quindi vi arrendete così?" Chiese Gellert prendendo posto accanto a me. 

Zora salì in auto mettendo in modo e allineandosi alle altre auto in uscita. "Cosa dovrei fare? Se resto farò la fine di una qualsiasi assistente ." Concluse alzando la mano verso di me. "Senza offesa." 

Sollevai un sopracciglio fissando il poggiatesta del suo sedile. 

"Non saresti in grado di fare il suo lavoro. Ci vogliono le palle quadrate per essere al suo livello." Disse Gellert.  

"Vuoi dire che non ho palle?" Chiese lei. 

"Voglio dire che la Zora che ricordo io ha due palle che fanno paura. Dov'è finita?"  Insistette Gellert. 

"Forse non hai capito. Sono stata relegata, avevo un ufficio pronto ma è arrivato Rubén. Non posso tirare fuori le palle se la mia famiglia mi mette dei pali." Concluse parcheggiando l'auto. 

"Sai! Se tiri fuori le palle puoi fare le scarpe a tutti. Ovvio devi avere talento per questo." Disse Gellert aprendo la portiera, uscì porgendomi la mano per aiutarmi a scendere. 

"Cosa vuoi dire. Certo che ho talento." Sbraitò Zora sbattendo la porta. 

Intanto Gellert senza attenderla aprì il cofano prendendo le nostre valige e passandomi la sporta della farmacia. 

"Allora svegliati. Hai ventidue anni quindi puoi ancora decidere della tua vita. Hai la posizione finanziaria giusta per inserirti e farti valere." Concluse secco chiudendo il cofano. 

"Ma li conosci i miei parenti?" Chiese lei sbuffando.

"Certo che si. Ho incontrato i tuoi cugini, gli zii e il nonno proprio qualche giorno fa." Concluse lui tranquillamente. 

"Sarei dovuta esserci anche io, mia madre stessa è stata lasciata qui." Disse lei desolata aprendo il portone. 

Andammo all'ascensore continuando a seguire la loro conversazione. 

"Se non ti chiamano Zora allora rischia. Affrontali." Le dissi entrano nella cabina. 

"Già fatto. Dovrei fare solo come Nora, da quando lavora in banca è più serena." Terminò.

"Benne! Se hai deciso di lasciare allora fallo." Disse Gellert. "Ma non nella direzione sbagliata." 

"Cosa intendi dire?" Chiese Zora. "Con le mie competenze riuscirò a trovare subito lavoro in banca, proprio come Nora." 

"Quindi entrerai, farai un lavoro 'noioso' , facendo pratiche di finanziamenti o assicurative e prendendo uno stipendio minimo. Ti sta bene?" Chiese Gellert uscendo sul pianerottolo. 

Invece che aprire la porta Zora ci fissò. "Perché me lo chiedi?" Chiese. 

"Perché se avessi le palle come ricordavo, avresti preso in mano la tua vita e aperto una tua società con tua sorella." Disse lui secco. "Evidentemente mi sbagliavo, non hai fiuto per gli affari." Concluse.

Stava andandoci giù pesante. Zora lo fissò aprendo la porta dell'appartamento. "Non posso! Sono sola e ho uno stipendio che mi consente di conservare poco. Mi sono ridotta a far trasferire mia sorella a casa della mia ragazza. Sabrina dice che non devo preoccuparmi delle spese, ma lo faccio. Non è giusto che sia solo lei a pagare quando condividiamo il suo spazio." Concluse. 

"Come hai appena detto c'è tua sorella. Non bisogna fare le cose in grande per iniziare Zora." Dissi appoggiando la proposta di Gellert. 

"Gellert, suo cugino e mia sorella hanno messo una quota societaria bassa. Stanno iniziando adesso, facciamo dei sacrifici ovvio. Viviamo nell'ufficio, arrangiamo un pasto, giriamo tanto alla ricerca di clienti. Però a fine giornata è soddisfacente il risultato che ottengono con le loro sole forze." Spiegai togliendomi le scarpe e sedendomi. 

"Dormi in uno sgabuzzino?" Chiese Zora. 

"Il materasso c'è, come anche il forno a microonde." Disse Gellert mettendosi accanto a me. Mi alzò i piedi sulle sue gambe e iniziò a massaggiarmeli. 

Dio se sapeva come farmi stare bene! 

"La fate facile. Non è così semplice come dite voi, vi vogliono soldi e tanta pazienza." Dissi a Gellert. 

"Ci vuole tenacia e coraggio! Sapere avere a che fare con la gente e mettere in pratica ciò che abbiamo imparato con la gavetta." Disse spiccio Gellert.  "Non è facile, ma le cose facili non ci piacciono e non fanno i giusti risultati.  Noi adesso stiamo prendendo un certo giro in Svizzera. I miei cugini anche, stanno aprendo la loro società anziché lavorare con lo zio." Spiegò Gellert rivelandomi un po' della sua famiglia. 

"I tuoi cugini hanno aperto una società? Dove?" Chiese Zora curiosa. "Non ho sentito che i Meyer avessero di questi progetti."

"Non sono i Meyer, i Keller stanno aprendo. Ovviamente non qui in Germania." Rispose Gellert. "Hanno rispetto della territorialità dei nostri genitori. Hanno aperto fuori dai confini. Ci mettono un po' di tempo, ma quando iniziano a vedere i frutti è una bella soddisfazione." Raccontò.

Compresi così che Gellert aveva il cognome di entrambi i genitori e che entrambe le famiglie lavoravano nella 'società di famiglia.'

La porta d'ingresso si aprì. Mi voltai all'istante. Una giovane donna magrissima e bionda entrò esausta. Appena la vidi mi tirai su. "Sabrina!"  Dissi andando ad abbracciare la mia amica. "Quanto tempo." 

"Brooke!!" Mi salutò la mia amica. "Finalmente ti sei liberata di quello stronzo." Mi disse squadrandomi da capo a piede. "E stai decisamente bene tesoro." 

"Infatti mi sento in forma." Affermai contenta. "Sono stata anche da Shu Yan a Pechino. Si sposa a marzo." 

"Siii l'ho sentito. L'ultima volta che ci siamo sentite è stato un paio di mesi fa." Raccontò lei andando verso il divano. 

Nel farlo si bloccò notando per la prima volta Gellert ora seduto a parlare con Zora. Sicuramente stavano parlando ancora della società del cugino, poiché li sentivo parlottare. 

Sentivo mio fratello, risultati, sacrifici. Si fermarono solo quando capirono che io e Sabrina stavamo osservandoli. Gellert si alzò seguito a ruota da Zora. 

"Piacere Gellert Keller Meyer. Tu devi essere l'amica di  Brooklyn." Si presentò lui.

"Tu invece sei... un amico di Zora?" Chiese curiosa.  

"Abbiamo frequentato la stessa scuola in anni diversi." Disse Gellert. "I nostri genitori hanno una società insieme e fortuitamente oggi ci siamo rivisti dopo anni." 

"Ah ecco! Per questo sei qui?" Chiese curiosa. 

Probabilmente Sabrina pensava che Gellert fosse lì con Zora. "C'è un equivoco. Lui è con me." Spiegai. 

"Oh siete... una coppia?" Chiese Sabrina mentre all'unisono Zora diceva. "Lavorano insieme." 

Gellert mi vinse le braccia guardando le due. "Siamo una coppia e lavoriamo insieme." Spiegò spiccio.

"Zora ci diceva che anche Nora vive qui." Dissi per evitare domande. Era la prima volta che Gellert ci definiva come coppia. "Andremo in un albergo per non dare fastidio.  Ci sono bed and breakfast nei dintorni?" Chiesi. 

"Non dirlo neanche. Ti ho detto che sei mia ospite e lo sarai. Per un paio di giorni Nora potrà dormire con noi." Disse Sabrina strizzando l'occhio a Zora. 

Si leggeva complicità nei loro occhi ed ero contenta che le due fossero così unite. "Ok! Se a voi sta bene resteremo con piacere." Dissi arrendevole. 

Dopodiché guardati dalle due prendemmo possesso della nostra stanza e mi rinfrescai. Quando uscii era rientrata anche Nora, come prevedibile Gellert la conosceva di vista almeno. Per me invece era una nuova conoscenza. Nonostante lei e la sua gemella Zora erano simili avevano qualcosa di diverso comunque. Nora era meno robusta, più magra e anche più elegante nei movimenti. I capelli castani erano più chiari di quelli di Zora ed erano mossi e lunghi. A primo impatto non lo avevo capito poiché l' avevo conosciuta che portava uno chignon basso. Ma quando si era presentata a cena dopo la doccia, k suoi splendidi capelli erano stati il giusto contorno al suo viso squadrato. Il fatto che non portasse frange, a differenza di Zora, faceva sì che il suo viso fosse messo in risalto molto di più. Infine le lentiggini che il trucco aveva nascosto erano palesi sotto gli occhi di tutti a cena. 

"Domani partirò. Quindi non vi disturberò." Ci disse a cena tra una patata al forno e un boccone di pollo. 

"Parti ti nuovo!" Si lamentò Zora. 

L'altra annuì. "Penso che mi trasferisco proprio nel Kleinsten in realtà." Concluse. 

"Non ha senso, non con queste premesse." Affermò Zora. 

Nora sospirò. "La mia amica Eleonora mi ha fatto buona pubblicità e il lavoro che sto svolgendo lì come consulente piace a tutti. Prenderò una quota azionaria aziendale ed entrerò come responsabile." Concluse. "C'è proprio tutto." 

"Tu vai lì per Leonard. Andiamo Nora, è una storia a senso unico." Disse la gemella.

"Non si può essere tutte fortunate come te. Ma giustamente io lo sono nel lavoro, quella che mi ha fatto nostro fratello è una grande offerta e la accetterò." Concluse lei chiudendo il discorso. 

"C'entra lui? Sei seria Nora, avevamo deciso di tenerci fuori dagli affari dei nostri fratelli." Rispose l'altra. 

"Non quando loro mi fanno fare ciò per cui ho studiato e lavorato per tanti anni. Se il nonno e gli zii pensano che Rubén sia più adatto di noi, io seguo mio fratello che invece mi da un'opportunità." Concluse alzandosi. "Anzi! Mi apprezzano, mi ringraziano per il mio lavoro e mi chiedono sempre di più di seguirli." Concluse voltandosi verso me e Gellert. "Scusatemi se sono stata inopportuna, è il caso che vi lasci soli sono stanca e potrei risultare scostumata." Disse scostando la sedia per andare via. 

"Nora aspetta..." la chiamò la gemella. "Non ci pensi a noi e al lavoro? La banca non ti concederà le ferie fono a quando non farai almeno sei mesi di lavoro." 

"Infatti mi sono licenziata. Periodo di prova finito, non ci resto lì." Disse Nora sospirando. "Buonanotte." Ci salutò entrando in stanza. 

La sua assenza, o meglio quella discussione, aveva lasciato un po' di tensione dietro di sé. Così dopo finito di mangiare io e Gellert ci offrimmo di riordinare. 

Solo quando finimmo, tra una chiacchiera e l'altra, ci ritirammo ognuno nella propria stanza. "Nora ha fatto ciò che hai consigliato a Zora." Dissi spogliandomi e indossando la camicia da notte. 

"In linea di massima si. Credo faccia bene Nora ad andare via, poi il Kleinsten è un paese finanziario molto ricco." Mi spiegò lui togliendosi il maglione. Dio se era bello e sexy. 

"Però sono gemelle ed è normale per Zora sentirsi abbandonata, mia sorella minore ha un gemello che adesso si è arruolato ed è stata dura per le da accettare la sua partenza." Gli spiegai. 

"È sempre dura. Ma se Nora ha trovato la sua strada e il coraggio di intraprenderla. Zora non deve fermarla, è chiaro che tra le due sia Nora quella più ferma nelle sue decisioni. Effettivamente non avendo affetti o relazioni importanti lei può rischiare e andare via. Al contrario Zora dovrebbe lasciare Sabrina." Mi spiegò Gellert intanto che prendeva il test di gravidanza. "Sei pronta?" 

Tirai su il fiato prendendo il pacchetto. "Vado al bagno e lo porto qui dopo averlo fatto." Gli dissi. "Anche se può essere un falso allarme."

"Se è un falso allarme ci lavoreremo su!" Disse lui.

Lo fissai sbalordita. "Stai scherzando?" 

"Assolutamente no!" Mi disse estasiato. "Lo voglio! Quindi se non c'è perché non lavorarci." 

Mi morsi il labbro emozionata. Veramente voleva un figlio da me. "Vado." Sussurrai aprendo un po' la porta. 

Le voci che venivano da fuori mi rivelavano però che Zora e Sabrina erano ancora sveglie e discutevano.

"Tu corri dietro quell'uomo." Disse Zora alla sorella. 

Non potevo vedere le loro espressioni. Ma immaginavo Zora delusa e Nora amareggiata. 

"Non è quello che pensi. Tra me e Leonard non c'è nulla. Fin quando sarò una figlia di nessuno non posso neanche azzardarmi a dichiararmi." Rispose Nora. 

"Intanto vai lì! Perché te lo ha chiesto lui." Affermò Zora. 

"Non me l'ha chiesto lui."  Ammise Nora. "È stato

Tom! Zora ho conosciuto nostro fratello maggiore. Abbiamo lavorato insieme e nel momento stesso in cui abbiamo iniziato ho avvertito tanta complicità. Mi ha proposto di entrare in via definitiva e di aprire delle sedi in Austria." Le raccontò la sorella. 

Fissai sorpresa Gellert che sembrava essersi irrigidito. Sapevo che Nora e Zora avevano un fratello di sedici anni, non uno maggiore. Lui mi fece segno di non parlare e aprì un po' di più la porta. 

"Hai conosciuto Tom? Cioè personalmente? Al collegio hai sempre temuto di avvicinarti ai gemelli Keller." Rispose Zora. 

"Hai ragione. Ma le cose sono cambiate." Rispose Nora con un sospiro. "Eleonora è la ma migliore amica, più volte mi ha chiesto di vederci anche col marito. Non potevo rimandare sempre e poi è successo, Tom è così alla mano e dice che sicuramente anche Gabe la penserebbe allo stesso modo." Raccontò entusiasta. 

"Dici?! Io non sarei tanto convinta." Rispose l'altra. 

"Tom ha detto che viaggiano sulla stessa lunghezza d'onda, come tutti i gemelli. Noi ne sappiamo qualcosa in fondo. Ho accettato la sua proposta." Concluse lei. 

"Quindi te ne andrai." Disse Zora. 

"Inizio a partire per il Kleinsten sì!" Disse lei. "Ma ho posto una condizione per le sedi che dovrei aprire a Vienna e Salisburgo." 

"Quindi c'è il rischio che non parti." Disse speranzosa Zora. 

"In realtà ha accettato. Mi serve solo il tuo supporto." Concluse Nora. 

"Di che si tratta? Vuoi il mio permesso ma sembra tu abbia già deciso tutto." Rispose Nora. "Ho chiesto di entrare nella loro società e tu con me. Ho chiesto la maggioranza sulle sedi che apriremo noi. Ti voglio con me Zora." Disse lei decisa. 

"C-con me?" Chiese lei sorpresa. "Non... non posso lasciare tutto Nora." Affermò lei amareggiata. 

"Perché no?" Chiese l'altra. "Nonno, gli zii i nostri cugini.... Vogliono dettare legge nello studio di mamma e non ci lasceranno libertà di azione. Al contrario Tom ci da carta bianca."

"Dovresti andare Zora." Disse Sabrina. "Sbaglio o stiamo parlando delle stessa società di cui ti parlava Gellert nel pomeriggio? Mi hai detto che è tuo cugino, quindi i suoi cugini Keller sono loro due, la loro società..." 

"Gellert mi ha consigliato di mettermi in proprio come loro." Affermò. "Non di entrare in società con loro."

"Hai tutto il diritto di entrare in una società con i tuoi fratelli." Disse Sabrina. "Perché ti precludi di conoscerli anche tu? Guarda Gellert, dicevi che era un pezzo di ghiaccio, senza anima e invece non solo ti ha spronata, ma è ben propenso verso di te." 

"Se sapesse che sono figlia illegittima di suo zio non penso sarebbe così gentile."  Rispose lei cinica. "Inoltre è così perché è con Brooklyn." 

"La magia dell'amore." Sbuffò Nora. "Zora non dobbiamo dire loro che siamo fratelli e consanguinei. Semplicemente li conoscerai, Tom è veramente fantastico tesoro e io voglio approfondire il nostro legame. Stiamo bene anche senza che lui sappia che abbiamo un padre in comune." 

"Non voglio lasciare Sabrina." Ammise Zora.

"Amore..." rispose la diretta interessata. "Non mi lascerai. Se serve verrò con voi, sai quante strutture ci sono in Austria? Tante." Disse la mia amica a Zora. 

"Rinunceresti a tutto per seguirmi?" Chiese Zora.

"Potrei vivere di rendita anche io! Faccio questo lavoro per passione e non per reddito. Vengo con te e al limite lavorerò da privata, così mentre tu ti farai largo nel mondo degli affari io mi prenderò cura di chi ha bisogno." 

"Ti amo Sabrina." Disse Zora. 

"Anche io. Tanto!" Sentii dire. 

Avvertii la pressione del corpo di Gellert, che lentamente chiudeva la porta per dare alle ragazze la loro intimità. Dopo aver fatto ciò lui mi attirò tra le braccia portandomi sul letto. 

"Non so cosa fare, se dire o meno allo zio questo segreto." Mi rivelò. "Con i miei cugini ci diciamo tutto. Siamo cresciuti insieme e se Joel mi vede, mi leggerà in faccia tutto. E lo dirà a Tom." Mi spiegò. 

"Così scoprirà che il padre ha tradito la madre. Lascia perdere." Gli dissi. 

"No! Non c'è stato nessun tradimento. La madre di Tom era stata costretta a un matrimonio combinato. Per cui lei e lo zio si sono separati prima della nascita di Tom." Mi raccontò. 

Io lo ascoltai in religioso silenzio. "Lo stesso non puoi rivelare il loro segreto. Non te lo hanno confidato e non vogliono che si sappia. Se a loro sta bene così noi non possiamo intrometterci." Gli dissi. 

"Non riesco a mentire a tutti loro. Sono la mia famiglia e per Joel sono un libro aperto." Mi disse ancora. 

"Non avevo capito che eravate cugini. Anche se vi comportate come due fratelli." Gli dissi dolcemente. 

"Ci compensiamo. Capisci che non posso tenermi tutto per me?" Mi chiese. 

"Avremo almeno tre mesi negli Emirati Arabi, poi andremo in Cina. Loro avranno tutto il tempo di poter parlare con i tuoi cugini."

"Quindi dovrei lasciar correre."  Disse lui. 

"Se ometti di parlarne, non dovrai mentire a nessuno." Gli dissi semplicemente. 

"Ok!" Disse lui sollevandosi, andò alla porta e lentamente la aprì. "Vieni, non c'è nessuno." Mi disse. 

Annuii. Mi strinsi il pacchetto al petto e uscii. "Anche perché ho la pipì da un po'." Gli dissi cercando di smorzare la tensione.  Mi chiusi la porta alle spalle e aprii l'involucro. Seguendo le istruzioni feci la pipì sul sensore dopodiché mi lavai le mani ed aprii la porta per fare entrare Gellert. 

Mentre aspettavamo più volte mi lavai le mani. Ero nervosa e penso che fosse evidente poiché ad un certo punto, Gellert mi prese tra le braccia iniziando a dondolarsi su un piede.

"Questa cosa la voglio Brooke." Mi sussurrò.

"A casa tua potrebbero non apprezzare." Sussurrai ripensando a Pamela. 

"A casa mia sanno che se si continua ad avere certi atteggiamenti, non tornerò.  Per i miei è importante che noi  due stiamo bene insieme." Concluse lui. 

"Se sono incinta dovrei partorire a giugno. Ce la facciamo a rientrare a casa per allora?" Chiesi. 

"Con largo anticipo anche." Mi rispose baciandomi il collo. "Pronta a vedere il risultato?"

No! Non lo ero. Ma annuii. 

Stretta tra le sue braccia ci avvicinammo al piano dove si trovava il test e lo fissammo attentamente. 

Ammutolii! Le gambe mi tremavano per la felicità e l'emozione. Gellert intanto mi baciava il viso. "Stiamo per diventare genitori! Oh santo cielo! Mi renderai padre." Disse felice.  

Lo avrei fatto?  Certo che si! Il sogno dei miei ultimi due anni si stava realizzando. Anche io sarei diventata madre. 

Il giorno dopo non dissi nulla alle mie compagne. In compenso scoprimmo che le ragazze avevano dei progetti. 

Nora infatti con le valige pronte ci salutò chiedendomi di restare in contatto. Zora invece chiese a Gellert di accompagnarla in sede così che studiasse un po' la situazione che si era venuta a creare, eventualmente appoggiarla quando avrebbe dato le sue dimissioni.  Io e Sabrina invece avevamo la giornata per noi. Era quello per cui avevo raggiunto Francoforte, per questo accettai subito di buon grado la proposta.  

Al contrario Gellert fu un po' titubante, dal momento che non aveva un vestito dietro. Ma Zora lo convinse che era meglio così, visto che era una visita informale la sua.  

"Mi sarai vicino come amico non come capo." Disse. 

Così tra una cosa e l'altra entrambi passammo una giornata diversa nella città bavarese.  Restammo due giorni, poi come da scaletta partimmo verso gli Emirati.  

La prima cosa che feci fu cercare un ginecologo che potesse seguirmi. Con Gellert avevamo fatto anche la prima ecografia che ci rivelò l'arrivo di due bambini. A novembre dopo l'eco dei tre mesi e accertata che tutto procedeva bene, ero pronta ad avvertire i miei della gravidanza.  I miei genitori però fecero prima di me a contattarmi.  Quando mi chiamarono però ebbi una notizia brutta. 

Alaska aveva avuto un incidente durante la sua vacanza ed era dispersa.  Dove e come non si sapeva. 

L'unica certezza era che Alaska non c'era più. La mia sorellina era scomparsa. 

"Mamma e papà sono in Grecia. Ci resteranno un po' sia per le ricerche che per capire la situazione. Ma non ci sono tante speranze. Sono giorni che la cercano e il mare nasconde tanti segreti mai trovati." Mi rivelò Chester.  

"Ti prego. Non dire che è morta... non dirlo ti prego!" Supplicai in lacrime. "Torno a casa... la cerchiamo. .." 

"Brooke resta dove sei! Hai un lavoro e una vita che ti soddisfa, qui ti contorceresti solo le mani. Devi stare bene, dobbiamo cercarla ma continuare con le nostre vite." Mi spiegò Chester.  "Mamma e papà sono lì. Non hanno voluto neanche Adelaide con loro e non hanno informato Dallas dell'accaduto." Mi spiegò.  

"Vogliono che abbai la mente lucida da ogni pensiero. Non è in una bella situazione lui." Affermai asciugandomi le lacrime.  "Ti prego Chester, qualsiasi novità tienimi informata. Purtroppo il telefono non prende, ma se mi mandi una mail ci organizziamo con Skype come adesso." Gli dissi salutandolo.

"Di a mamma e papà che gli voglio bene e che sto bene, anzi no, benissimo. E che Alaska è viva." Era quello che volevo e speravo, perché se mi fossi arresa all'evidenza allora la mia sorellina veramente sarebbe morta. 

Quando al rientro dal lavoro Gellert torno a casa, capì subito dalla mia espressione che qualcosa non andava.

"Brooke?! Tutto bene? I bambini stanno bene? Tu stai bene." Mi chiese preoccupato. 

Mi gettai tra le sue braccia. "Mia sorella è scomparsa. Non la trovano più!" Gli dissi in lacrime.

"Ada? Come scomparsa?" Le chiesi. 

"No, la più piccola... ha avuto un incidente e da allora non la trovano più." Raccontai.  

"La gemella... Alaska giusto?" Mi chiese. Era meraviglioso, ricordava sempre tutto. Annuii. "Vedrai che tornerà a casa. Troverete il modo per ritrovarvi Brooklyn." Mi rassicurò. "Se vuoi tornare a Boston lo capirò ." 

Scossi la testa. "Mi hanno detto che è inutile, sarei solo l'ennesima persona che aspetta invano delle novità. Inoltre..."  tacqui temendo ciò che pensavo sinceramente.

"Inoltre cosa?" 

Mi feci coraggio. "Come posso schiaffare in faccia ai miei genitori e alla famiglia l'immensa felicità che provo in questo momento? Perché io sono felice per te, per noi e per i bambini." Affermai. "Sono un'egoista." 

"Brooke è giusto esssre felici per queste cose, anche perché io ti vedo e tu non sei serena per tua sorella. Stai soffrendo, quindi non sei egoista." Mi tranquillizzò lui.

"È viva Gellert.  Non è morta, sento che è viva . Non voglio pensarla diversamente." 

"Lo credo anche io. Se ha un minimo della tempra che avete tu e Adela, sicuro che è viva. Non si lascerà morire tanto facilmente. " mi rincuorò lui.

Solo con quelle parole riuscii a farmi coraggio e riprendere in mano la mia vita e la quotidianità che avevo con Gellert, che fossimo a Zurigo o a Dubai, quella era la nostra vita perfetta e ci tenevo a tenermela stretta.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - >a href="https://imgur.com/i1xKv3k">Kleinsten

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ADELAIDE

La telefonata era giunta sorprendendo tutti noi. Quando a settembre i gemelli Alaska e Dallas erano partiti per l'Europa con Micaela Keller, non ci saremmo mai aspettati cattive notizie. Non dalle ragazze almeno.
Mamma era più in ansia per Dallas che a metà ottobre sarebbe partito per la sua prima missione in Afghanistan, non per Alaska che invece era partita per una vacanza senza impegno.
Si mio fratello Dallas dopo il diploma si era arruolato. Senza avvertire nessuno era partito a giungo dicendoci che andava ad addestrarsi e fare la prima presenza come cadetto.
Mamma e papà erano rimasti sorpresi, in realtà anche io e gli altri nostri fratelli.
"Spiegami!" Gli aveva chiesto papà all'epoca.
Era effettivamente una scelta drastica la sua, ma papà invece che rifiutare la sua scelta e chiese spiegazioni. Quando mio fratello disse a tutti che aveva bisogno di scoprire se stesso e quanto potesse valere mio padre non disse altro. Al contrario mamma si disperò, entrare nei marines voleva dire mettere a rischio la propria vita. Per quanto era un gesto altruistico, le si stringeva il cuore all'idea che suo figlio, il suo bambino, sarebbe vissuto in bilico tra la vita e la morte. Ma anche Alaska non aveva preso bene questa notizia. Dallas negli ultimi periodi non le parlava più sinceramente come prima, doveva sempre tirargli fuori le cose l'unica cosa. Le parole che disse alla rivelazione di Dallas furono: lo sapevo che mi nascondeva qualcosa. Il rapporto tra i due era sempre stato così, si comprendevano solo con uno sguardo, si completavano l'altro e inspiegabilmente conoscevano le sensazioni che vivevano entrambi. Se Dallas si faceva male o faceva una qualsiasi stronzata, Alaska lo sapeva. Se Alaska piangeva o rideva Dallas lo avvertiva anche se non erano nello stesso luogo e allora la chiamava. Lui cercava di raggiungerla il prima possibile per chiederle cosa fosse successo. Percepivano l'uno dall'altro sia le felicità che le cose brutte. Era un legame speciale il loro, lo avevamo sempre detto con Brooklyn.
Ma anche senza averlo percepivo la paura di mamma e Alaska. Era pericoloso.
Eppure non ebbi il coraggio di contraddire la sua scelta. Io ero scappata di casa per esaudire il mio sogno di libertà. Adesso ero appagata, innamorata, laureata in ciò che volevo e avevo una famiglia. Lui lo aveva detto chiaramente, voleva mettersi in gioco per capire cosa realmente volesse.
Nessuno di noi lo contraddisse infatti, solo mamma e Alaska.
Quando partì per il primo addestramento papà aveva convinto la mamma e lasciarlo andare. Che ormai era cresciuto e la decisione che aveva preso era segno anche che fosse maturato. Era giusto lasciarlo andare.
Ovviamente quando era rientrato a inizio settembre eravamo tutti felici di vederlo, nonostante la zazzera rasata e lo sguardo maturo, le spalle un po' più robuste, il suo sorriso sbarazzino esisteva ancora. Addirittura disse ad Alaska che sarebbe partito con lei per la vacanza programmata con le amiche.
"Senza offesa! Ma c'è Philip Hoffman e so che tipo sia." Disse alla mamma.
"È un buon partito." Rispose lei. "Inoltre tuo padre sta assorbendo la loro azienda navale, sarebbe una buona unione."
"Quindi diciottenni e tanti mesi, sono piccolo per l'esercito. Mentre lei va bene per il matrimonio... ma lasciala stare." Le disse divertito. "Spero che questa vacanza le aprì gli occhi sulla sua cotta per lui, deve passare. Philip è un buono a nulla." Affermò.
"Anche Ronald era un polipo. Tutti i figli di Roland Hoffman lo sono." Intervenni anche io. "Comunque fai bene ad andare con loro, sono convinta che ad Alaska faccia più piacere avere te con lei in Italia, che Philip." Affermai abbracciandolo. "Poi quando torni passa a trovarci prima di partire per la prima missione."
"Siamo una famiglia di nomadi ormai." Rispose lui. "Hai detto che Brooklyn è a Zurigo, giusto?"
Annuii. "Quel lavoro è per lei. Pensa riuscirà anche ad andare dalla sua amica Sho in Cina." Rivelai.
"Seria?" Chiese sorpresa mia madre. "Cioè lascerà il lavoro?"
Scossi la testa. "Ma no! Siamo avvocati internazionali e il mio socio ha un giro d'affari con una società di New York, con sedi a Dubai e Shangai. Quindi Brooklyn ha modo di poter andare a Pechino. Quando Gel, ha scoperto che Brooklyn sa parlare il cinese, l'ha presa subito."
"È portata per le lingue. Non c'è niente da dire in merito." Disse mamma.
"Se avesse avuto una laurea forse avrebbe potuto puntare a qualcosa di più." Affermò pensieroso Dallas.
Annuii. Effettivamente aveva ragione. Come anche a volere partire con Alaska, infatti al suo rientro dalla Puglia ci confermò quello che già sapeva. "Che stronza quel Philip. Non solo ci ha provato con la sorella di Micaela, ma alla fine non ottenendo risultati con Alaska si è gettato su Mary che subito gliel'ha data." Ci raccontò la sera del suo ritorno.
"Moderati Dallas." Disse la mamma. "Tornando a noi, i Carter si chiedevano se potresti accompagnare la figlia alla prima teatrale del Rigoletto." Disse cambiando argomento.
"Mamma, stai parlando della stessa Ilary Carter interessata al nostro portafoglio?" Chiese fissandola con sfida. "La risposta è no! Ho altri due giorni a casa e se mi permetti intendo godermeli giocando con Simon e Adam." Concluse chiudendo l'argomento.
Lo portai io alla stazione a prendere il treno per Norfolk in Virginia, dove si sarebbe imbarcato per l'Afghanistan.
"Ci mancherai." Gli dissi abbracciandolo. "Mi raccomando, sii prudente e prega tutte le sere perché tu sopravviva. Noi faremo altrettanto." Lui annuì. "Si, sarò prudente e dirò le mie preghiere mamma." Mi prese in giro lui carezzandomi il ventre. "Abbi cura di voi due e porta il bambino da mamma così si distrae. So che non accetta la mia scelta."
"Ma devi fare il tuo percorso." Ricordai. "Vedrai che col tempo lo accetterà."
"Vi farò avere notizie tramite Brooklyn. Mi ha scritto che sarà negli Emirati Arabi da novembre in poi. Appena ho una licenza di almeno sei giorni, mi organizzo per andare a trovarla." Disse lasciandomi un bacio. "Ciao!"
Ciao! Non lo avevo più sentito. Al contrario Alaska ci mandava le mail dove raccontava le sue giornate ogni mattina, sera da lei. Poi era arrivata la telefonata di Rafael Keller a mio suocero.
C'era una tempesta a Sartorini e dell'arrivo della barca di Micaela non c'era traccia. Era preoccupato poiché la guardia costiera diceva che col vento che c'era non era consigliato andare in mare.
Non mi chiesi in realtà cosa ci faceva Rafael in vacanza con le ragazze. Le poche volte che lo avevo incontrato, durante gli ultimi due natali, mi era sembrato molto legato a Micaela, il suo angelo custode.
La seconda telefonata di Rafael ci fece sapere che erano stati mandati dei soccorsi alla ricerca della barca. Nel frattempo però mio suocero aveva già fatto preparare il jet e chiamare i miei genitori e gli Hoffman. Ci credevo che Thomas Keller non aspettasse notizie, sua figlia era in alto mare e aspettare notizie in quel modo era snervante, soprattutto quando ci si trovava in due continenti diversi.
"Vi terremo aggiornati." Disse a me ai miei fratelli papà. "Voi tre restate qui."
Restammo lì, anche quando arrivarono le prime notizie. Alaska e il primo marinaio risultavano dispersi nel mar Egeo, cercando di mantenere la notizia quanto più discreta possibile mamma e papà sarebbero stati in Grecia fino a quando non ci fosse stato qualcosa di concreto.
Si premunirono con noi che non dicessimo nulla a Dallas nel caso chiamasse. Era importante che ovunque fosse mantenesse la lucidità e su questo eravamo tutti d'accordo.
Mentre invece fu Chester ad avvertire Brooklyn invitandola a restare lì, poiché, come tutti noi , essere a casa non avrebbe risolto nulla.
Forse era stato così che era iniziata la fine del mio matrimonio. Che poi definirla fine era esagerato. Semplicemente io e Gabriel avevamo preso in considerazione di trasferirci al maniero dei Keller definitivamente. Thomas era rimasto in Europa con i suoi figli e avrebbe raggiunto il Kleinsten per stare con la sua famiglia. Diamond, la sorella di Tom e gli altri Keller era stata in vacanza con mia sorella. Sentiva il peso di non essere riuscita ad aiutare Alaska, sulle sue giovani spalle e Tom voleva starle vicino, sarebbero partiti per il Kleinsten solo perché poi avrebbero raggiunto Tom ed Eleonora che volevano annunciare la gravidanza di lei al piccolo regno.
Così noi ci eravamo trasferiti in modo da non lasciare il nonno Keller da solo in quella grande casa. Si probabilmente l'inizio era stato allora, anche se ancora non lo sapevamo. Non che il nostro matrimonio fosse finito. No, non era questo. Semplicemente poco alla volta avevamo iniziato ad avere altre priorità. Noi Thompson a casa avevamo il pensiero ad Alaska e Dallas. Mentre Gabriel... ebbene lui aveva semplicemente ricevuto una telefonata subito dopo Natale. Da allora Gabriel aveva iniziato a dedicarsi molto al suo lavoro, tanto alla famiglia e poco a noi due. No, non era dipeso da Gabriel. Avevo errato anche io in egual modo, mi ero dedicata alla mia famiglia e al lavoro che tanto amavo...

GABRIEL
I nefasti eventi che avevano portato alla scomparsa di Alaska Thompson, si erano riservati su di noi come un contraccolpo. A chi bene, a chi male, quell'evento ci aveva colpito tutti.
Papà emotivamente provato all' idea di perdere sia Micaela che Diamond che ancora non aveva conosciuto era partito subito per l'Europa e la Grecia. Ovviamente aveva chiamato subito i Thompson con i quali si era diretto nel mar Egeo.
Fu lui a darci la notizia della scomparsa di Alaska, fui io a darla a mia moglie.
Chiesi a papà delucidazioni su tutta la situazione, cosa ci faceva Rafael lì? Perché non era a brodo con Micaela e diamond nel momento del disastro? Lui avrebbe potuto sicuramente aiutare Alaska.
Papà mi zittì facendomi terminare la sfilza di domande che avevo. "Tuo fratello è partito con Sapphire verso Santorini, volevano fare una sorpresa alle ragazze e farsi trovare qui sul porto all'ora dell'arrivo. Sapphire ha dato l'allarme ancora prima che ci fosse il temporale, aveva visto le nubi scure e si è giustamente preoccupata per la figlia. Per questo quando la tempesta è passata la guardia costiera si è subito mobilitata. È stato una calamità! Mary Summer piagnucolava e per farla smettere Alaska si è scambiata il posto con lei. Le onde però erano alte e tua cognata è caduta dal gommone. Il primo marinaio ha provato ad aiutarla, ma anche lui è caduto. Ad oggi nessuno dei due è stato ritrovato ancora." Concluse le spiegazioni papà.
Quindi Sapphire era lì, papà l'aveva rivista? Si erano ritrovati e confortati? Cosa era successo tra di loro? Sicuramente papà ancora la amava, o almeno da come ne parlava viveva nel rimpianto di non poter avere avuto una vita con lei.
"Come sta Micaela?" Chiesi invece.
Papà si prese un attimo per poi rispondere. "Se ne sta occupando Sapphire, quando sono arrivato le ho trovate insieme e tua sorella non è che l'abbia tanto lasciata." Quindi quella era la situazione con Sapphire?
"In realtà..." continuò papà. "Sono più preoccupato per Diamond che per Micaela. Ho infatti chiesto a Tommy e Joel di parlare con lei. Si sente in colpa e non ha pianto neanche una volta. Accusa senza filtri Philip Hoffman di essere la causa della scomparsa di Alaska, non si da tregua."
"Tom dice che sua sorella è testarda, non le piacciono le ingiustizie e se ne vede una va spedita all'attacco. Infatti appena ne ha avuto modo ha denunciato Andrew Davis." Dissi a papà.
"Ha effettivamente ragione. Ma accusare Roland Hoffman senza conoscerlo non è consigliabile." Rispose papà. "Spero di averle fatto capire quanto possa essere subdolo."
"È vero che ha sbagliato Philip?" Chiesi.
"Si è impuntato a portare lo yacht durante la tempesta. Ha anche licenziato il capitano che lo contraddiceva." Rispose papà.
"Stronzo!" Sussurrai.
"Effettivamente se ci fosse stato il capitano al timone, lo yacht  non sarebbe affondato." Disse papà. "Bastava anche solo fermarsi, o almeno così ha detto Simon. Sai che lui naviga e lo ha insegnato ai figli, quindi probabilmente Alaska ha saputo anche muoversi prima dell'incidente." 
"Cosa farete adesso?" Chiesi.
"A parte fermare Diamond?" Chiese sarcastico. "Probabilmente porto Micaela in Toscana come da programma con Alaska. Poi da lì forse andremo nel Kleinsten,  non lo so precisamente."
"Forse è il caso che ci trasferiamo dal nonno allora." Affermai.
Sentii il respiro di papà in sottofondo, si prese un po' per rispondermi. "Mi dispiace Gabe. Temo dovrai già salire in presidenza e prendere il mio posto, almeno fino al mio ritorno non posso fare altrimenti."
"Tranquillo papà. Che sarà mai un mese e mezzo circa." Risposi. "Sarà una anticipazione di quello che verrà, tu pensa a Micaela io da qui proverò a gestire tutto,  l'azienda, il nonno e la mia famiglia. Devo trovare il modo di proteggere  Adela, sicuramente mentre sto parlando con te, lei sta sentendo i suoi genitori."
"Dalle tutto il tempo che puoi. È l'unico consiglio che posso darti." Mi disse papà.
"Lo farò. Tienimi aggiornato." Conclusi.
Quella sera a tavola parlai con Heidi, le dissi ciò che papà mi aveva raccontato e mia moglie mi confermò che anche lei sapeva tutto. Anzi conosceva molti più dettagli.
Pareva infatti che Diamond aveva dato una testimonianza importante dei fatti avvenuti. Aveva raccontato del comportamento infantile di Philips che vedendo la tempesta si era esaltato, infine mi aveva raccontato come Alaska era caduta dal gommone.
"Lei si teneva. Alaska non è una sprovveduta, lo sai che i nostri ci portavano sempre a fare delle vacanze in barca, anche per me che non sono appassionata, come funziona la vita in barca è la base. Diamond ha raccontato che Alaska si era tenuta ed era anche legata, ma Mary piangeva, voleva stare seduta vicina a Philip. Alaska arrendevole e buona come sempre si è spostata e nel farlo ha dovuto togliersi l'imbracatura. Nonostante ciò si teneva comunque ferma al gommone, aveva afferrato le maniglie per non cadere e almeno a due onde alte si è saputa ben tenere. Tuttavia Philip perdeva tempo a cambiare posto e nel farlo, ha fatto distrarre Alaska palpandole il sedere. C'è stata un onda più grossa, lei è caduta dal gommone. Micaela racconta che Diamond voleva andare in suo soccorso, ma il capitano le ha detto di non muoversi. Intanto il primo marinaio stava aiutando Alaska con le mani e con uno dei due remi. Ma  una seconda onda ha tirato fuori dal canotto anche lui. Non li hanno più trovati, entrambi." Concluse Adelaide.
"Quindi Diamond ha ragione di dire che ha sbagliato Hoffman." Affermai.
Lei annuì. "Hanno chiamato a testimoniare il capitano che ha confermato quanto detto da lei. Papà ha cercato di avere nei confronti di Roland Hoffman una certa diplomazia. Lo ha intimato di smetterla di giustificare il figlio e di prendersi le loro responsabilità. Non assorbirà più la Hoffman, al contrario, visto che non ci tiene a mandare gente a casa, si aspetta che Ronald faccia una donazione volontaria a lui, della sede greca. La causale è danni morali! Proprio in riferimento al fatto che Ronald pensa a difendere il figlio senza preoccuparsi del fatto che di Alaska non ci sono tracce, ad oggi, in tutto il mar Egeo." Mi raccontò lei.
"La ritroveremo." Le dissi abbracciandola. "Giuro non andrà nel dimenticatoio."
"Cosa faremo adesso Gabe?" Mi chiese lei fissandomi. "Ho detto a mio padre che per qualsiasi trattativa legale io ci sarei stata. Vorrei andare in Grecia da lui."
Annuii. "Anche io ho detto a mio padre che posso benissimo iniziare a gestire la società già da adesso, di pensare a Micaela e non a noi." Conclusi. "Tu quando vuoi parti. Sapevamo che il nostro lavoro ci avrebbe portato spesso lontano da casa, quindi non ci sono problemi se vai, soprattutto dai tuoi genitori." Le dissi a malincuore. Pensavo che avremo avuto modo di potere stare più insieme se avesse lavorato per me, effettivamente al momento non era la giusta soluzione. Per quanto Adelaide curava i miei affari legali per la G&L e per la BK consulting, lavorava anche per la società del padre e in quel momento era la sua priorità. "Ho solo una richiesta." Le dissi.
Lei mi fissò, era ansiosa, potevo percepirlo dal suo sguardo e le mani tremolanti.  "Dimmi."
Vorrei trasferirmi a casa di papà e del nonno, so che non ne abbiamo mai parlato. Ma con l'arrivo del nuovo bambino, già avremmo dovuto prendere in considerazione il fatto di lasciare questo appartamento. Ora che papà non c'è..."
"Hai ragione." Mi interruppe subito lei sussultando. "Con tutto questo trambusto, non mi sono resa conto che effettivamente tuo nonno è solo con la servitù. Ti prego scusami, sono stata una stupida egoista." La zittii immediatamente con un bacio.
"Non sei stata egoista. Anche io ho preso tempo." Le dissi dolcemente carezzandole il viso. "Amore sono problemi importanti e ormai siamo adulti e dobbiamo solo imparare ad affrontare tutti come due adulti." La rassicurai.
A ventiquattro anni poi Adela non avrebbe neanche dovuto pensare ancora a tutte quelle cose in realtà.
"Non ho pensato al nonno che è anziano. Da quando Denise si è trasferita nel New Hampshire col compagno, tuo padre non ci ha mai fatto sentire il peso di dover stare con lui." Disse Adelaide.
"Si è stato bravo a tenere tutto per sé. Ma ci siamo noi e faremo compagnia al nonno." Le dissi ripensando a quando papà ci aveva annunciato due anni fa che Denise aveva conosciuto un uomo di cui si era innamorata e che avrebbe lasciato la mansione dei Keller. Papà era stato bravo negli ultimi due anni a gestire l'azienda, limitando i viaggi e affidandosi sempre di più ai suoi soci nelle sedi. Viaggiava, ma con la presenza di Micaela a casa, fino ad allora non aveva mai lasciato veramente il nonno.
"Va benissimo, possiamo andare a stare casa Keller. Inoltre  casa vostra e anche più vicino a casa dei miei genitori, sarei molto più tranquilla una volta che rientrano loro e Alaska dall'Europa averli vicino."
La mia dolce e perfetta Heidi. "Grazie amore mio."
Lei mi sorrise, pensare a quel trasferimento l'aveva un po' messa di buon umore e la cosa mi faceva piacere. "Benissimo allora, piano piano portiamo le nostre cose là, intanto iniziamo a preparare una valigia per tutti. Così potremo  raggiungere il nonno quanto prima." Disse lei alzandosi e andando a prendere dei vestiti dai mobili.
"Heidi è sera e non vorrei pensarci, altrimenti devo pensare anche che devo prendere posizione nella società di papà e sentire le altri sedi... devo fare un bel po' di cose." Sbottai stendendolo sul letto.
"Fortunatamente sembra che Tom abbia trovato qualcuno che possa sostituirvi un po' in Europa, giusto?" Mi chiese Heidi raggiungendolo.
Annuii. "Si, Nora Miller abbiamo fatto il collegio insieme, è di due anni più piccola e probabilmente questa è una soluzione per alleggerire un po' entrambi dall'apertura delle nuove sedi. Nora è amica di Eleonora, quindi una garanzia e ha chiesto la maggioranza delle azioni per le nuove consulting. Ci sta, è un buon incentivo per farle rendere il massimo." 
"Se vuoi, quando vado in Grecia raggiungo anche le sedi per vedere se serve il mio supporto." Mi disse.
"Lo faresti? Bisognerebbe cambiare la ragione sociale aggiungendo Nora e sua sorella Zora ai soci fondatori." Le dissi, non mi ero sentito di chiederle nulla per quanto stava accadendo. Ma se ne parlava lei e con la luce che le accendeva lo sguardo, non potevo resistere.
"Lo farò. Dimmi quando e andrò." Mi disse.
"Per ora la gemella di Nora ancora non è convinta e Tom stesso non è convinto da lei. Vuole conoscerla, parlarle e vedere come lavora. Nora è ok, l'ha vista all'opera nel Kleinsten."
"Vedrai che anche Zora andrà bene. Sono fiduciosa." Mi disse lei baciandomi.
La mattina dopo, di buon ora ci presentammo alla mansione Keller.
Jared il maggiordomo fu sorpreso di vederci. Solitamente passavamo il week end lì ed eravamo a metà settimana. 
"Pensiamo di trasferirci qui." Dissi. "Spero di non averti svegliato Jared."
"N-no... no signore no. Anzi sono contento che finalmente siate venuti. Questa casa è così vuota quando non c'è nessuno." Disse.
Io e Heidi ci scambiammo uno sguardo. Jared era una brava persona, anche lui era anziano. Sarebbe stato pensionabile in effetti, tuttavia non avendo una casa dove stare lui e sua moglie Kate erano ancora lì, sia per lavorare e passare del tempo, che per tenere compagnia al nonno.
Anche in quel caso però papà aveva dettato leggi. Infatti subito dopo aver festeggiato il 70º compleanno del nonno, papà mise in chiaro la posizione dei due coniugi in casa nostra. Per quanto avrebbero mantenuto  i loro ruoli, Jared come maggiordomo e Kate come cuoca, non dovevano esagerare, nonostante all'epoca avevano entrambi solo cinquantotto anni. Papà si era assicurato che stessero bene. Jared avrebbe potuto continuare a seguire le esigenze del nonno, ordinargli la stanza e lavorare alla sua agenda, accompagnarlo in giro, ma con misurazione. La stessa cosa a sua moglie Kate, ella poteva sempre cucinare per tutti loro,anche in questo caso c'erano delle restrizioni. Per le grandi cene si chiamava un'agenzia di catering che lei avrebbe gestito. Stessa cosa per le pulizie, erano state chiuse tutte le stanze inutilizzate. Una volta al mese veniva un'impresa esterna e Kate dirigeva tutti in modo dittatoriale dicendo cos a fare e come muoversi. La stessa agenzia veniva chiamata in vista del Natale, quando arrivavano gli zii e gli altri ospiti. In quel caso la stessa agenzia doveva farci avere un paio di governanti di supporto che seguivano le direttive del due anziani dipendenti. 
Quella cosa era cominciata otto anni prima e funzionava benissimo. Anche perché proprio papà non chiedeva nulla a Jared e Kate .
Infatti mio padre esigeva una certa privacy nelle sue stanze, era lui che si faceva il letto, cambiandosi anche le lenzuola e togliendo la polvere, era lui a portare i vestiti sporchi nella lavanderia di casa, inoltre guidava da sé e non si faceva scorrazzare in giro per Boston. Tutto questo era dovuto all'indipendenza che aveva acquisito durante gli anni in Europa. Se non pensava lui a se stesso, non poteva farlo nessun altro. Aveva voluto rimanere fedele a se stesso, mantenendo le sue idee anche in casa del nonno. Quando aveva fame non andava da Kate a dirle di preparargli qualcosa, se c'era qualcosa di pronto lo accettava volentieri, altrimenti si preparava un panino. Era il suo piccolo mondo e l'aveva creato in quel modo. La casa del nonno era effettivamente molto grande. Probabilmente in quel momento  io e Heidi eravamo un vuoto da colmare.
Effettivamente aveva avuto ragione mia moglie, ma non era stata lei a essere egoista. Ma  io lo ero stato, fino a quel momento avevo fatto la mia vita come meglio mi piaceva lasciando papà solo col nonno.
Effettivamente quando era Natale ed eravamo tutti lì, si respirava un'aria viva e allegra. Al contrario quando arrivavamo nel week end si percepiva sempre il silenzio, nonostante la presenza di Micaela. Il nonno si ravvivava, anche Jared ed Kate soprattutto con i nostri figli, viziavano Adam e Cristal in una maniera incredibile ed era bello vedere i nostri figli amati.
"Pensavamo... l'aria est della mansione. È vuota vero?" Chiesi a Jared.
"S-si..." balbettò il maggiordomo. "Quindi voi... non dormite nelle solite stanze?" Mi chiese.
"Per ora si! Ma io e Heidi abbiamo pensato di trasferirci definitivamente qui. Tra qualche mese nascerà anche Abel e volevamo prendere una casa più grande." Disse
"Poi abbiano optato per venire a stare qui, ma..." disse Heidi.
"Se non ci volete c'è ne andiamo." Conclusi io.
"Assolutamente no!" Disse l'uomo prendendo Adam in braccio. "Finalmente una bella notizia. Venite entrate, dico a Kate di prepararvi la colazione."
"Possiamo fare da soli Jared."
"Sciocchezze, Kate comunque prepara per i signori Keller. Al limite faremo venire la lavanderia una volta in più durante la settimana."
Disse l'uomo.
Fui contento che non si accollasse nuove responsabilità, ma che al contrario le gestiva in quella maniera.
Quando io nonno ci raggiunse nella cucina fu sorpreso di vederci. "Cosa ci fate voi due qui?" Chiese fissandoci. "Il mio bis nipote bellissimo. Adam vieni a darmi un bacio." Esultò guardando mio figlio che corse da lui. "Ci siamo trasferiti qui nonno." Dissi spiccio.
"Si! Non abbiamo trovato una casa che ci soddisfacesse dove crescere i nostri figli." Concluse Heidi, la felicità del nonno e di tutti era contagiosa e mi piaceva vedere mia moglie rinata. Se stava bene lei, stavo bene anche io. 
"Cioè vi trasferite qui?" Chiese sorpreso.
"Si! Chiedevamo a Jared se era possibile l'ala est, è quella dove dormono anche gli inglesi quando vengono. Ma ci sono anche altre stanze libere lì, no?" Chiesi al nonno.
"Ma certo. Su quel lato ci sono cinque stanze per piano. Potreste andar al secondo piano e passiamo Joel alla mansarda che tanto è da solo. Stavo già valutando di spostarlo visto che a breve nascerà anche il secondo bambino di Thomas." Disse il nonno.
"Sai che quest'anno non verranno, vero?" Gli dissi.
Lui annuì. "Impegni nel Kleinsten! Lo capisco." Disse lui. "Mi ha anche detto che verranno per Pasqua così mi faranno conoscere il loro ultimo figlio." 
Ecco. Tom aveva pensato subito a come far stare buono il nonno.  "Te li immaginavi tutti questi nipotini in giro per casa nonno?" Chiese Heidi felice mentre versava del caffè a tutti.
Lui scosse la testa. "Si e no! Che ne avrei avuti un bel po' si! Ma che avrei potuto conoscerli tutti, no." Guardò verso me. "Lo sai che tuo fratello mi ha chiamato dicendomi che con la sua compagna aspettano un bambino?" Disse felice ed emozionato.
"In realtà sapevo che ne aspettavano due." Risposi felice, non avevo conosciuto la sua compagna. Mamma mi aveva però assicurato che era perfetta per Gellert e tanto mi bastava. "Non sei contento che tutti noi stiamo creando quelle famiglie che tanto volevi?" Chiesi al nonno.
Annuì sedendosi mentre beveva il suo caffè. Arriverò si miei ottant'anni vedendovi maturi e soprattutto felici. Una vecchiaia da soli è brutta." Ammise. "Io solo grazie a voi non riesco a sentire la solitudine, ho la fortuna di avere tre figli sempre presenti nella mia vita e tanti bei nipoti." Disse ricordandomi che i miei zii e i cugini nonostante non fossero lì a Boston lo chiamavano tutte le sere facendo avvertire la loro presenza.
"Potresti andare in Europa come ha fatto papà." Proposi. "Sono sicuro che Rafael sarebbe contentissimo di mostrarti il suo lavoro."
"E potrebbe conoscere Isaak." Concluse Adela.
"Non saprei. Ho settantotto anni ormai e le mie ossa scricchiolano un bel po'." Rispose.
Sorriso, nonostante fosse anziano il nonno, lo sapevamo tutti, si manteneva in forma. Ovviamente non correva più come un giovincello,  ma faceva con piacere lunghe camminate per Hyde park. Ciò che mancava di più al nonno era di sicuro una figura sempre presente per lui. Fino a quel momento lo era stato papà. Non sembrava vero, ma ero giunto alla conclusione che si erano fatti compagnia entrambi. Papà era stato vicino al nonno per non farlo smarrire dopo la morte di nonna. Mentre il nonno... lui era stato vicino a papà sempre per non farlo smarrire.
Li invidiavo, perché effettivamente io non avevo quel rapporto con papà e neanche con mamma. Probabilmente dipendeva dal fatto che papà nonostante fosse stato un ragazzo fortunato, aveva vissuto delle esperienze che lo avevano portato ad avere quel legame col nonno. Io al contrario quel legame lo avevo costruito con Tom e con London dopo. Continuammo a tenere quel discorso per tutta la colazione. Dopodiché io andai in società col nonno e Heidi raggiunse London e Chester alla Thompson & sons per sapere che novità c'erano dall'Europa.
Una volta in azienda fu il nonno a presentarmi a tutti come sostituito ceo di mio padre, fino al suo ritorno dall'Europa. Venni accolto con benevolenza, il nonno mi disse che erano abituati a lavorare anche in assenza di papà avendo lui, voluto seguire sempre tutte le sedi anche una volta diventato amministratore delegato.
"Tuo padre voleva stare quanto più possibile vicino te e tuo fratello. Quindi loro stavano almeno sei mesi all'anno con la mia supervisione e non la sua.  Credo che tuo padre farà lo stesso con te adesso. Non ti lascerà completamente solo Gabriel." Mi disse.
Ne ero certo, anche se nei giorni successivi capii che il ritorno di papà non era tanto imminente.  Mi disse che sarebbero partiti per l'Italia dove Micaela e Diamond si sarebbero riprese, poi da lì su invito di Joel, sarebbe andato anche lui nel Kleinsten.
Ero curioso e forse anche un po' invidioso, avrei voluto  esserci anche io con loro. Festeggiare il Natale insieme come tutti gli anni, eppure sapevo che mai prima di quel momento a Natale sarei dovuto essere con mia moglie, ovunque ella voleva andare. Suo fratello era in missione in Afghanistan e sua sorella era scomparsa.
A metà dicembre Simon e Manila Thompson furono di ritorno dalla Grecia.
Durante il pranzo del loro ritorno ci informarono tutti delle novità. Di Alaska non c'era stato alcun ritrovamento, al contrario era stato trovato il corpo del primo marinaio, morto, su un isolotto vicino Santorini. Tutti si ammutolirono a quella notizia.
"Hanno perlustrato tutto il mare Egeo, le baie, le isole deserte e non dei limitrofi. Ma niente!" Spiegò Simon. Improvvisamente il suo viso era invecchiato. Se prima sembrava un quarantenne, adesso i suoi cinquantatré anni erano ben visibili. "Il capitano Paolo è voluto rimanere lì per continuare a visionare le ricerche. Dice che Alaska non indossava nulla di pesante, quindi il corpo, semmai fosse morta, non poteva assolutamente adagiarsi sul fondale.  Come quello di Marco il marinaio, anche il suo, avrebbe dovuto come minimo galleggiare sull' acqua." Spiegò
"Ci aggrappiamo proprio a questo per non abbandonare la speranza." Disse Manila.
"È possibile ..." intervenni guardando un po' tutti. "Che Alaska probabilmente in questo momento non vuole farsi trovare?" Ipotizzo.
"Cosa dici Gabe?" Mi fulminò Adela.
"Non è nulla di scandaloso. In fondo ci siete passati tutti, anzi no. Mi ci metto anche io. Una volta diplomati o laureati ognuno di noi ha dovuto trovare il suo posto, in un modo o nell'altro." Dissi guardando tutti. "Io sono partito per Monaco, tu sei scappata di casa, Chester si è sposato. London..."
"Io cosa?" Mi sfidò il mio amico.
"Certo,  tu sei irreprensibile.  Ma ti butti talmente tanto nel lavoro, in qualsiasi impresa pur di trovare il tuo spazio. La G&L società di investimento, la Thompson società navale, la 2L infine una società di energia rinnovabile. Le tre non sono legate tra di loro, ma tu ci metti tutto te stesso in tutte. Non hai ancora il quadro di ciò che sei." Gli dissi tornando su mia moglie. "Anche Brooklyn sembrava sapesse cosa voleva, ma è dovuto a andare via per riscoprire se stessa e capire cosa voleva. Dallas si è arruolato per questo." Affermai deciso. "Quindi si! Alaska in questo momento non vuole farsi trovare."
Guardai ora mio padre e mia madre, ora i miei fratelli, eravamo tutti increduli. "È possibile?" Chiesi ai miei genitori.
"Tuo padre..." balbettò mamma. "Tuo padre venne in Brasile per un anno sabbatico. E fuggendo alle imposizioni della società si è allontanato dalla famiglia...."
"Fino alla nascita di Brooke." Affermò Chester. "Dio Gabriel! Hai ragione. Probabilmente Alaska non vuole essere trovata."  Affermò.
"Sentiamo anche cosa dice Dallas." Intervenne Adelaide. "Tanto per Natale dovrebbe farsi sentire. Gli raccontiamo di Alaska e dell'ipotesi che si sia nascosta, loro hanno un legame empatico invidiabile."
"Sicuramente Dals potrebbe sapere se è accaduto qualcosa ad Alaska." Disse London. "Però nel frattempo..." disse guardando tutti.
"Vai pure London, qui me la caverò da solo." Intervenni, sapevo cosa voleva fare il mio migliore amico. Senza il bisogno che ne parlasse.
"Dopo Natale Gabe. Mamma, papà... andrò in Grecia con Adela a gennaio, concluderemo le pratiche della rilevazione della Hoffman e seguirò io la sede. Così potrò essere presente alle ricerche di Alaska." Disse ai genitori.
Manila fece per parlare, però prima si scambiò uno sguardo col marito che annuì. "Va bene. Puoi andare. Prenditi pure tutto il tempo che vuoi. Se a Gabriel sta bene, va bene anche a noi."
Compresi subito cosa avevano fatto i Thompson. Avevano dato a London la libertà di scoprirsi. Come avevo detto solo poco prima, lui era l'unico che non aveva mai provato a trovare la sua vera stratta e adesso era giunto il momento. "Tu l'ero torni." Dissi ad Adelaide.
"Ovvio che tornerò." Mi rispose lei divertita.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di ThomasSenior e di Thomas Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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ADELAIDE
Io e Gabriel eravamo una coppia ben assortita. Non mi arrabbiavo mai con lui, anche se ci ero arrivata vicino quando al rientro dei miei genitori  aveva detto che Alaska non voleva farsi trovare. Assurdo. Infatti il mio sguardo fu eloquente, eppure non desistendo Gabriel aveva portato avanti la sua tesi.
Effettivamente Alaska non voleva farsi trovare. Ecco, poteva essere quella la verità. Ne parlai anche in una telefonata con Brooklyn che assentì alla tesi di Gabriel.
-Sai che ha ragione! Inoltre fin quando noi non ci arrenderemo, Alaska non sarà mai morta.-Concluse lei.
"Si avete ragione. Adesso sono più serena e abbiamo anche ricevuto una mail da Dallas, riuscirà a fare una videochiamata il ventitré dicembre." Dissi a Brooke. "Poi ti aggiornerò. Come va il lavoro con Gel?" Chiesi cambiando argomento.
-Benissimo.- Rispsoe lei serena. -Amo questo lavoro, amo viaggiare e sperimentare le mie doti linguistiche. Credo che imparerò anche l'italiano sai.- mi disse.
"Tu puoi. Sei portata e bravissima in questo. Comunque adesso ti lascio, fammi sapere se ci sono delle novità. Sento che mi stai nascondendo qualcosa." Le dissi.
Lei rise. "Va tutto a meraviglia credimi." Concluse senza rivelarmi niente.
Ne parlai con Chester che mi disse non aveva notato nulla di strano. Mo indispettii ancora di più. Possibile che stessi illudendomi. "Secondo me è innamorata." Ma di chi?  Non di Gellert. Li avevo visti insieme e si ignoravano gentilmente tra di loro dedicandosi solo al lavoro.
Era stata a Pechino e a Shangai, adesso era ad Abu Dabhi, possibile che qualche sceicco se ne fosse invaghito. "Ho sentito che gli sceicchi comprano le donne bionde." Dissi a Chester che rise di getto.
"Ma ti pare che Brooke si lasci comprare. Pero effettivamente..." disse mio fratello maggiore prendendo il cellulare.
Cercò il contatto di Brooke e le scrisse diretto. -Stai scopando.-
"È un'affermazione." Gli dissi.
"Ovvio! Ha lo sguardo sereno e felice. Amore no, ma buon sesso si che fa la differenza." Mi disse.
Dopo un po' arrivò la risposta di Brooke. - Non ancora.-
Scoppiai a ridere. Crucciato Chester rispose ancora. - impossibile, tu scopi.-
La risposta questa volta arrivò subito. - certo, ma non ora. Sono in pausa pranzo e tra un po' torno a lavoro. Forse stanotte è anche in mattinata che è proprio bello appena svegli... però adesso no.- 
Io e mio fratello scoppiammo a ridere.
"Ecco svelato l'arcano mistero." Disse Chester. "Un ottimo amante rende la vita più bella."
"Quindi tu al momento non hai un ottimo amante." Gli dissi.
Lui abbassò lo sguardo. "No! È talmente sfuggevole che non si può definire ottimo."
Mi dispiaceva per lui. Probabilmente viveva di un amore non corrisposto. Lo abbracciai forte e lo salutai con un bacio. "Passo domani sera. Adesso torno a casa dal nonno."
"Gabriel?" Chiese lui.
"È andato alla sede del Maryland, dice che vuole andare anche a quella di New York. Sta solo aspettando che mi liberi un po'."
"E non puoi farlo?" Mi chiede Chester.
"Ho un esame per il master questa settimana, poi potrò partire. Non vedo l'ora di visitare New York, sarebbe un sogno."
"Lascia Adam qui. Così vi rilasserete di sicuro." Mi disse mio fratello. "Farai distrarre anche mamma e papà."
"Prenderò in considerazione la tua offerta."  Dissi.
Il ventitré dicembre puntuali alle quattro del mattino io e Gabriel andammo a casa dei miei genitori. Era l'ora programmata per la videochiamata di Dallas. Tutti volevamo vederlo, sentirlo e assicurarci che stesse bene. 
Dopo i saluti di rito e i convenevoli Dallas ci fissò tutti dallo schermo. Chiuse gli occhi sospirando e infine sorrise. "Non so perché quella nanetta si Alaska non ci sia. Ma sicuramente sta meglio di tutti voi messi insieme." Disse divertito.
"Lei... come... come fai a dire che sta meglio di noi." Sbottò mamma.
"Voi sembrate tesi." Rispose lui. "Lei invece è rilassata in questo momento. Lo sento." Rispose. "Sta dormendo?" Ipotizzò.
"In realtà..." intervenne papà.
"È rimasta in Grecia." Intervenne London. "Dopo che è partite per le isole Cicladi ha deciso di restare lì per un po'." Concluse. "Tra qualche settimana parto anche io in realtà. Per dedicarmi alle aziende europee della Thompson li."
Lui annuì. "Ci sta! Sentiva di non essere all'altezza di Brooke e Adela, quindi va bene." Rivelò Dallas lasciandomi basita.
"Alla mia altezza? Ma se è sempre stata dolce e disponibile con tutti, la più brava tra noi con la danza classica, lei..."
"Datele il suo tempo." Mi interruppe Dallas. "Tornerà più splendida che mai. Come hai fatto tu Ada e come farà Brooklyn." Disse tranquillo. "Mi è scaduto il tempo. Forse riusciamo a sentirci mese pressino."
"Va bene tesoro. Mi raccomando, sii prudente." Lo salutò la mamma.
"Sempre! Vi amo, a presto e buon Natale famiglia."
"Buon Natale Dals." Lo salutammo tutti.
Interrotta la comunicazione incrociai lo sguardo di London. "Perché non glielo hai detto?"
"Perché già ci aveva dato le risposte che volevamo. Almeno così non si preoccuperà." Disse.
"Non si sentiva all'altezza... ma che sciocchezza." Sussurrai abbracciandomi a Gabriel.
"Tesoro era la piccola di casa, poi forse Dallas ha esagerato." Mi disse mio marito.
Il dubbio che già Gabriel aveva insinuato in tutto noi, crebbe ancora di più dopo quella dichiarazione. Possibile che Alaska non volesse veramente tornare da noi? Ma perché non dirlo anziché sparire?
"Partiremo quanto prima per l'Europa. Subito dopo Natale, cerchiamo più a fondo. Non un disperso in mare, ma con discrezione faremo vedere le foto di Alaska tra Santorini e Cipro." Propose.
A me andava bene qualsiasi proposta. Volevo solo ritrovare mia sorella e chiarirmi con lei.
Passammo il Natale a casa Keller. Come sempre per le feste ci raggiunsero Taddheus e Inga con Pamela. Gellert il fantomatico e unico fratello riconosciuto da mio marito anche quella volta non c'era. Mi chiedevo sinceramente che aspetto avesse e se fosse arrabbiato con me per qualche motivo. In tre anni di matrimonio infatti non lo avevo ancora conosciuto.
"Sta facendomi un dispetto. Si è messo con un'arrampicatrice sociale e si rifiuta di stare in mia compagnia perché sa che la metterei al suo posto." Mi confidò Pamela.
"Si, Gellert la tiene lontana per la tua cattiveria." Intervenne Gabriel con sguardo minatorio. "L'hai offesa gratuitamente senza conoscerla e mamma dice che è una ragazza fantastica ed è perfetta per nostro fratello. Non riesci proprio ad essere contenta per lui?"
"Se non è qui la colpa è..."
"Tua!" Intervenne Inga raggiungendoci in quel momento insieme a Adam. "È la persona perfetta per Gellert e sarà la madre dei miei nipoti. Quindi smettila, perché se continui così perderai tuo fratello." Concluse prendendo mio figlio in braccio. "Quindi? Ti siedi tra me e i nonni Thompson? Così posso chiacchierare con nonna Manila anche."
Mio figlio annuì. Era triste poiché quelle vacanze per lui sarebbero state senza Cristal cui la presenza era una costante nella sua vita.
"L'anno prossimo ci sarà anche Abel con noi." Annunciai ricordando a mio figlio che presto avrebbe avuto un fratellino.
Quando la mia famiglia ci raggiunse, dopo la preghiera del ringraziamento iniziammo a pranzare. L'atmosfera era pacata e festiva al tempo stesso. Inga si informò sui fatti della Grecia e Taddheus discorreva con papà e il nonno. Era tutto come sempre, anche se si avvertiva forte l'assenza dei gemelli e di Micaela, la mancanza del capostipite quale ci aveva abituato Thomas, il vociare dei fratelli Keller tutti e i gridolini dei bambini. Quel Natale era diverso, lo stesso Tobias ci disse che da quando sua figlia viveva praticamente a Londra il Natale non era più come prima. Era un peccato, ma l'evidente realtà dei combattenti.
Dopo Natale le nostre vite ripresero. Gabriel è io lasciammo i bambini a mamma in previsione della supervisione della sede di New York. Io avrei fatto la turista, mentre invece Gabe sarebbe passato in sede. Mi promise che alla sera avremmo fatto i turisti, così io per la prima volta da anni mi concessi allo shop da pazzi per le vie della fifty avenue. Sinceramente nonostante potessi permettermelo, non comprai nulla di esagerato, se non un completo intimo rosso e un maglione in cachemire, per festeggiare il capodanno con Gabe. Durante il viaggio infatti mi aveva informato che d'accordo con i miei, saremo rimasti a New York fino al primo gennaio.
"Sarebbe uno spreco non aspettare la mezzanotte con tutti i newyorkese a time square." Mi disse allusivo.
Già solo l'idea mi eccitava. Furono dei gironi frenetici, però io come la grande mela, durante il giorno facevo la turista per alcuni musei che mi interessavano, ammetto che andai anche a visitare il tribunale di New York. La sera con Gabriel visitavo invece i luoghi turistici più comuni. Cenammo all'empire state building, a little Italy e a China town. Andammo a Ellis island per salire sulla statua della libertà e allo storico Hard rock cafe. Furono dei giorni bellissimi, il trentuno dicembre, dopo essere stato al lavoro al mattino, io e Gabe ci avvivano a Time Square per prendere il posto all'evento di quella notte. Avevo portato dietro con me dei panini e dei termos con cioccolata calda e caffè.
Fu tutto magico, fino al fatidico countdown del ball drop. Ci baciammo in contemporanea con tutte le altre coppie che ci circondavano, stretti l'uno all'altra e quando rientrammo nell'appartamento adiacente alla sede degli uffici facemmo l'amore. Era la prima volta che io e Gabriel stavamo da soli a goderci ogni attimo, senza la presenza di nostro figlio Adam. Non che non amassi mio figlio, anzi volevo circondarmi di lui. Ma aprii gli occhi su quanto effettivamente la mia vita con Gabriel girava sempre intorno a nostro figlio e ne avevamo voluto e cercato un altro. Questo mi rassicurò del fatto che Gabriel non mi aveva sposato per il bambino, ma per me stessa. Questo è quei pochi giorni a New York. Era stato lui ad organizzarli e a estendere la nostra permanenza senza il bambino. Eravamo noi due, una coppia giovane e innamorata, come tutte le altre che ci avevano circondate. In fondo era vero, perché io e Gabriel eravamo ancora dei ragazzi per quanto riguardava la nostra relazione e la nostra famiglia. Avevamo praticamente ventiquattro e ventinove anni. Stavamo crescendo come famiglia, proprio come genitori.
Rientrammo a casa trepidanti di riabbracciare Adam, abbraccialo e coccolarlo. Ci era mancato, però quel soggiorno nella grande mela ci era servito a dare un po' di tempo alla nostra coppia.
Poi Gabriel ricevette una telefonata dalla succursale del Connecticut, quella su cui lui fino a quel momento aveva fatto affidamento per alleggerire il suo lavoro da amministratore delegato. Si era adagiato per stare tranquillo e non esagerare sul lavoro. Da quel momento qualcosa era cambiato, Gabriel non aveva più preso a parlarmi di ciò che provava di fronte a delle situazioni personali. Io partii con London per la Grecia che lui ancora non era rientrato dal Connecticut, quando lo aveva fatto io non c'ero.

GABRIEL

Quelle vacanze di Natale furono insolite. Soli in casa con il nonno e la famiglia di Heidi, era stato diverso. Solitamente a Natale eravamo a casa dei Thompson, mentre nonno, papà e gli zii andavano a casa della zia Terry a Lowell nella contea di Middlesex. Tuttavia quella routine era stata cambiata già quando Edgar aveva lasciato Boston per andare a stare a Londra due anni prima. Da quel momento gli zii avevano iniziato a viaggiare spesso per il vecchio continente, soprattutto a Natale e Pasqua, quando da Londra raggiungevano mamma e lo zio Tad a Monaco. Non vedevo Edgar da quando era partito per Londra anni prima, lo sentivo spesso però. Inoltre suo fratello Joan quell'anno era rimasto a Londra dopo essere stato accettato alla Royal academy. Temevo ormai che la famiglia della zia Terry si sarebbe trasferita definitivamente a Londra, soprattutto se Edgar e George facevano sul serio e decidevano di mettere su famiglia.
Al nuovo anno tornai al lavoro comunque propenso a volermi ritagliare dei momenti solo io con Heidi. I pochi giorni trascorsi a New York mi erano piaciuti tanti. Effettivamente da quando ci eravamo 'messi' insieme quasi quattro anni fa, io e Adela non avevamo fatto le cose che normalmente facevano le coppie. Ci eravamo trovati genitori troppo presto saltando quei preliminari che in una qualsiasi coppia erano necessari. Un primo appuntamento, una serata al cinema o anche una semplice passeggiata. Non avevo avuto modo di corteggiarla, ci conoscevamo molto si, perché in pratica avevo trascorso la mia adolescenza a casa sua. Ma non avevo mai effettivamente corteggiato mia moglie. Avevo cercato di tagliarci uno spazio a New York e volevo farlo ancora. Sia per me, ma soprattutto per lei.
Sicuramente dopo il suo rientro dall'Europa un week end almeno dovevo ritagliarlo solo per noi.
"Partite il dieci tu e London?" Le chiesi quella notte. Era il momento migliore per parlare e non essere disturbati dalla costante richiesta di attenzioni di Adam.
"Si! Ce la farai da solo con Adam?" Mi chiese sbarazzina.
Risi. "Certo che si. Tu vai e non preoccuparti, tanto a metà mese rientra anche papà." Le ricordai.
"Hai una data?" Mi chiese.
"Sembra voglia affrontare una volta e per tutte Isaak. Pensa sia ora di farsi conoscere." Risposi.
"Perché non lo ha fatto fino ad ora?" Mi chiese curiosa.
"Isaak rifiuta di conoscerlo, infatti adesso ci andrà nonostante questo." Le dissi. "Speriamo bene."
Lei mi baciò il mento. "Poi ci faremo raccontare tutto." Mi disse.
Le sorrisi e baciandola la misi comoda sopra di me. La desideravo sempre, tutte le altre donne in confronto ad Adelaide Thompson Keller erano nulla. La baciai e la amai. Volevo averla quanto più possibile prima che partisse per l'Europa.
Il giorno dopo, successivamente l'incontro con i responsabili dei vari uffici entrai nel mio ufficio cercando di organizzare il lavoro. Avevo tre computer, per poter seguire la KB, la G&L è adesso la KCG, avevo dovuto organizzarmi così. In previsione della partenza di London sicuramente avrei dovuto lavorare di più. Soprattutto perché ormai la nostra società era specializzata nel recupero delle aziende a rischio. Le compravamo e cercavamo di risollevarle, gestendo i cambiamenti e le innovazioni per migliorare il lavoro e il fatturato, successivamente assegnavamo all'impiegato che ci seguiva, la gestione dell'azienda recuperata. Se prima la G&L si muoveva solo a Boston, dopo sei anni e tanti successi eravamo conosciuti anche oltre le zone limitrofe. Avevamo clienti dalla vicina Springfield, Worcester, Cambridge e Lowell. In Svizzera dove avevamo aperto la sede europea anche avevamo tanto cliente, almeno una decina per ogni cantone. Ed era esaltante, sicuramente volendo gestire la sede dalla Grecia, London adesso che era in partenza avrebbe ampliato il nostro mercato. Non potevo che approvare se lo faceva, io però avevo deciso di fermarmi. Volevo prima capire cosa comportava seguire la KCG con tutte le sue sedi sparse per il mondo, dopodiché avrei valutato. Non potevo prendere sottogamba l'impegno che avevo con la mia famiglia. La KCG, con le sotto trentadue sedi della T-consulting, le ventuno della BK consulting e le nove Keller Germany contava quasi ottocento dipendenti. Ognuno di questi aveva una famiglia ed ora io ero diventato il responsabile di queste persone. Nel momento in cui ero entrato alla presidenza ed avevo avuto in mano i numeri reali intorno cui si muoveva la KCG, avevo ottenuto consapevolezza. Dovevo dedicare anima e corpo ad essa.
Alla G&L fortunatamente avevano preso col tempo uno staff non indifferente. I nostri quindici consulenti infatti erano tutti compagni di corsi ad Harvard. Sapevamo come lavoravano e poco alla volta avevamo proposto loro di aggiungersi al nostro staff, fino a dare loro enorme fiducia.
La stessa cosa avevamo fatto con la G&L europea. All'inizio era stato mio fratello Thomas a consigliarci dei bravi consulenti del settore, suoi compagni ad Oxford, poi dopo aperto la sede legale della BK nel Kleinsten avevo chiesto consigli anche ai principi Leonardo e Giovanni. Io e London in pratica avevamo trovato del personale fidato e competente che ci dava modo di poterci dedicare alle società di famiglia. Sapevamo che la G&L come anche la 2L per London e la KB per me, dovevano essere comunque seguite e che la nostra presenza doveva essere avvertita da tutti. Per ora però avevamo una priorità. Le nostre famiglie!
Entrando come CEO alla. KCG avevo praticamente scoperto di avere una famiglia di quasi ottocento sconosciuti.
Mio padre era riuscito a gestire tutto, io avrei fatto altrettanto. Ora più che mai fui contento di aver accettato la proposta di Tom di fare entrare le sue gemelle Müller nella nostra consulting. Non mi era costato dare alle due il quarantacinque per cento. Io e Tom eravamo i possessori della maggioranza, le gemelle del resto. In meno di due mesi avevano aperto rispettivamente una sede a Vienna e una a Salisburgo e la stavano facendo salire sul mercato con risultati eccellenti.
Nora, l'amica di Eleonora, era anche diventata la responsabile della sede legale. Stava spesso nel Kleinsten, ma si muoveva rapida a controllare le sue sedi e anche quelle in Norvegia e Belgio. Tanto mi bastava per alleggerire il lavoro della KB- consulting.
Ciò che non mi aspettavo quel giorno, era la telefonata da Hartford. Ero sicuro al cento per cento che Karla Cohen seguisse tutto meticolosamente e con lei alla gestione dormivo sonni tranquilli. Invece no.
"Signor presidente ce la dottoressa Cohen che la cerca con urgenza." Mi disse nell'interfono l'assistente di papà.
"Ah! Non me l'aspettavo." Risposi basito.
"Effettivamente neanche io. Ma se chiede l'urgenza, conoscendola, sicuramente è importante."
"Va bene Jenny. Passamela." Le dissi aprendo la cartella delle T- consulting. Cercai la Hartford e attesi.
"Thomas..."  sussurrò una donna dal ricevitore.
"Karla buongiorno, sono Gabriel suo figlio." Mi presentai. "Se ricorda bene a novembre c'è stata la mia successione in presidenza." Le dissi.
"In attesa del rientro di Thomas, giusto?" Mi chiese lei con un leggero tremolio nella voce.
"Si. Ma papà si è fermato a Londra per organizzare le sedi europee, adesso in carica a mio fratello Thomas jr." Le risposi cercando di mantenere la calma.
"Avrei bisogno di Thomas. Con urgenza e di persona." Mi disse poi.
"Karla posso benissimo aiutarla io con la gestione della consulting." Affermai.
Ci fu un attimo di silenzio.  "Non è per lavoro." Sussurrò."Ho bisogno di lui personalmente, che parli del suo lutto di diciotto anni fa." Mi spiegò.
Mi sentii gelare il sangue. Papà mi aveva avvertito che probabilmente il figlio di Karla era suo. "Senta Karla..." sussurrai ingoiando il groppo. "Va tutto bene?"
"Certo." Rispose titubante.
Al che mi feci coraggio andando diritto al punto. "Senta Karla! Mio fratello Daniel, sta bene?" Chiesi schietto.
Lei non mi rispose. Eppure lievemente avvertii un singhiozzo. "Karla... Daniel sta bene?" Le chiesi questa volta allarmato. Non sapevo nulla di lui, ma in quel momento ebbi paura. Il rimorso di non essermi mosso prima per conoscerlo e cercarlo.
"No!" Mi rispose in lacrime. "Sua moglie è stata assassinata sotto i suoi occhi e non sta bene." Raccontò ormai senza freni.
Gelai. "C-come... " Che cosa era successo? Pensai alzandomi dalla scrivania? 
"Sono entrambi poliziotti. Durante le operazioni di un'indagine Alissa è stata uccisa con uno sparo alla testa." Singhiozzò lei disperata.
"Sto arrivando io." Le dissi cercando di immaginare come ci si potesse sentire. Morire così dall' oggi al domani. No assurdo, non riuscivo ad accettarlo. "Karla aspettami che arrivo."
Staccai la telefonata uscendo dall'ufficio, cercai Jenny con lo sguardo e infilando la giacca le chiesi di prenotarmi il primo mezzo disponile per arrivare a Hartford. "Fammi sapere, io intanto vado a casa mia a mettere qualcosa in valigia. Delego Murray, Sanders e They a muoversi per me." Le dissi. Erano quelli cui si affidava sempre papà e per ora avrei seguito le sue stesse linee guida, poi una volta risolto quel problema avrei conosciuto meglio tutto e deciso per me.
Arrivato a casa non trovai Adela, al contrario c'erano il nonno con il piccolo Adam.
"È alla Thompson per organizzare le documentazioni con London." Mi disse il nonno.
Presi Adam in braccio e lo baciai. "Capisco. Purtroppo c'è stata una emergenza e devo andare in Connecticut. Chiamerò Adelaide una volta in viaggio." Affermai stringendo forte il bambino. Avevo bisogno del suo calore e della sua ingenuità in quel momento. "Papà torna presto, promesso." Gli sussurrai portandolo con me in camera per preparare un bagaglio veloce.
Il bambino mi aiutò chiacchierando allegro, io lo baciai e lo coccolai fino a quando Kate non venne ad avvertirmi che era arrivato il mio taxi. "Vado campione. Mi raccomando fai il bravo che io torno presto." Gli dissi scrollando gli i capelli.
Durante il tragitto verso l'aeroporto, così scoprii, provai più volte a chiamare sia Heidi che London. Non ricevendo risposta chiamai alla sede della Thompson dove la segretaria mi avvertì che i fratelli erano in riunione con il signor Simon.
Praticamente sarebbe andata per le lunghe. "Può avvertire mia moglie che sono dovuto partire di urgenza. Poi ci aggiorniamo quando è libera." Le dissi a questo punto lasciandole un messaggio. "Domani non riuscirò ad esserci alla sua partenza ."
"Va bene signor Keller. La avviso." Ringraziandola staccai la telefonata, cercai di immaginarmi cosa avrei trovato ad Hartford. Sicuramente non mi aspettavo un fratello nella polizia, ovvio ne avevo che non lavoravano nel mio stesso campo. A Rafael piaceva immergersi nei suoi libri e anche scriverne di suoi personali, Micaela amava ballare, anche se non era quella la sua passione, le piaceva cucinare ma stessa cosa della danza, in pratica ancora non si era inquadrata. Tom mi aveva confessato più volte che Isaak in Inghilterra era un cuoco, Diamond infine si era laureata in legge. Probabilmente lo stesso Daniel si era laureato in legge o ne aveva le conoscenze facendo il poliziotto.
Durante il volo pensai spesso a papà e ai suoi racconti della gioventù. Quando aveva conosciuto Karla e poi dieci anni dopo quando aveva scoperto di Daniel. Anche papà non lo aveva mai conosciuto, Karla fino a quel momento non lo aveva mai rivelato.
Doveva essere disperata per arrivare a chiamare in azienda per una cosa così personale.
"Il rapporto tra me e Karla è sempre stato solo professionale. Ho scoperto solo quando venne a prendere Rafael che era bisessuale." Ricordai così le parole di papà. Quindi effettivamente la donna non aveva il suo numero personale.
Quando atterrai venni accolto all'aeroporto da una donna di quasi sessant'anni, non erano portato male. Ma l'angoscia che aveva sul viso dimostravano tutti i suoi anni. Era alta, robusta e bionda, il viso arcigno e le labbra contratte.
"Gabriel." Mi salutò.
"Ciao Karla. Ho cercato di fare quanto prima." Le dissi mettendo la sacca in spalla.
"Non c'era fretta. Vieni andiamo in azienda che ti spiego come sono andati i fatti." Mi disse indicandomi l'uscita.
"Vorrei andare da Daniel se mi permetti." Le dissi senza richiesta di replica.
"Non so se..." rispose lei titubante.
"Io sono venuto qui per lui. Quindi mi dispiace ma non ti darò la soddisfazione di portarmi in ufficio, portami da lui." Le dissi deciso.
La donna sospirò. "Va bene andiamo! Ma  ti prego cerca di capirlo lui..."
"Sollevava una mano. Ero sposato e amavo Adelaide Thompson. Potevo capirlo e bene anche. "Puoi  raccontarmi tutto durante il tragitto, così sarò preparato. Raccontami anche del rapporto che c'era con la moglie."
La donna annuì , arrivammo ad un'auto che aprì e salii poggiando la valigia sul lato posteriore. Una volta dentro attesi che lei partisse e iniziasse a raccontarmi com'eranoandati i fatti.
"Devi sapere che Daniel e Alyssa sono praticamente cresciuti insieme, era la nipote di mia moglie io e  l'abbiamo adottata quando la madre è morta, si è trasferita da Cleveland ad Hartford quando aveva sedici anni. Hanno quindi frequentato lo stesso liceo e insieme hanno deciso di fare legge a Yale. Hanno quindi  fatto l'università insieme,  dopo il triennale hanno entrambi  deciso di entrare in polizia.L'intenzione di Daniel era proseguire con il master penal, così da poter puntare alle cariche alte. Infatti, ha studiato diritto penale durante i due anni dell'Accademia di polizia. Al contrario Alyssa voleva solo fare il poliziotto e proteggere i più deboli, non era interessata a diventare detective, ne ad entrare nelle squadre narcotici o omicidi. Infatti quando a ventiquattro anni Daniel si è preso il master entrando definitivamente in polizia, i due si sono sposati e hanno avuto la loro prima figlia, Daly. Tuttavia concentrandosi ella di più sull'accademia a ventisei anni è entrata nell'unita anticrimine del commissario Mahone insieme a Daniel, che di suo aveva in più il master in diritto penale. Non lavoravano quasi mai in coppia poiché il commissario sapendo della loro relazione li teneva separati. Però partecipavano alle stesse indagini e alle stesse missioni. E così che arriviamo ad oggi. Mahone e la sua squadra era sulle tracce di un serial killer, non sapevano più come uscirne. Il serial aveva preso l'abitudine di sequestrare delle giovani studentesse violentarle, dopodiché le mutilava. È stata una caccia durata sei mesi. Fino a quando  proprio Daniel propose Mahone di inscenare un rapimento con una finta cavia. Prendere  una delle matricole inserirla nella scuola superiore con il profilo ideale che il serial cercava, per poterlo incastrare. È stato quando hanno organizzato l'operazione di salvataggio della collega che Alyssa ha perso la vita. Nonostante fosse all'auto con la sua collega è stato uccisa.Mahone, Daniel e Jacob, il collega di mio figlio avevano fatto incursione in casa riuscendo a impedire al serial di violentare la giovane. Però il malato mentale l è riuscito a scappare dopo aver affrontato in una colluttazione Jacob prendendogli la pistola e ferendolo col pugnale. Ha sparato a Daniel ed è scappato con la pistola d'ordinansa di Jacob. Ina volta all'aperto il serial si è trovato di fronte la volante con Alyssa e la sua collega Marion, preso dal  panico ha sparato contro  le due, Marion al petto e Alyssa alla testa, l'ha colpita sotto l'orecchio rompendole la giugulare. Mahone ha fatto in tempo a fermare la fuga del serial, ma non Alyssa.
Daniel le è stato accanto fino a quando non ha chiuso gli occhi." Concluse.
"Maledetto! Con che coraggio si uccidono delle persone innocenti." Dissi inorridito da quel racconto. "Daniel è ferito gravemente?" Chiesi.
"Alla coscia. Il fisico si riprenderà." Mi rispose.
"L'anima un po' meno." Conclusi sospirando.
Come prevedibile Karla parcheggiò all'interno del Presbiterian hospital di Hartford. La seguii senza dire nulla, i rumori e gli odori tipici degli ospedali prevedevano i miei sensi.
Karla ci portò ad una stanza, lentamente aprì la porta e fece un passo alla volta verso di essa, io la seguii.
"Daniel... tesoro hai una visita." Chiamò la donna.
Mi feci ancora più strada all'interno della stanza, era singola, il letto aveva lo schienale sollevato, c'era un uomo col viso rivolto alla finestra, la sua gamba destra era tirata su da un'imbracatura, il vassoio del pranzo era intatto davanti a lui segno che non lo aveva toccato.
Non rispose a sua madre, non si voltò neanche. La prima cosa che notai del suo aspetto furono i capelli biondi rossicci, folti e senza un ordine. Probabilmente aveva i capelli rossi proprio come Karla. Cercai di immaginarmi il suo viso, fin quando non si sarebbe voltato non avrei potuto vederlo.
Karla ancora cercò di attirare la sua attenzione. "Daniel dovresti mangiare qualcosa." Ma ancora non ci fu risposta. "Daniel c'è tuo fratello." Gli disse Carla.
Al che lui finalmente si girò verso di me. Ci squadrammo, io rimasi sorpreso da vedere in lui il volto di Tom occhi verdi, capelli biondi rossicci, stesso naso stessa carnagione. Era proprio Tom, ma un pochino più trasandato con la barba incolta e i capelli che schizzavano da tutte le parti. Erano comunque disordinati rispetto a come li portavamo io e mio fratello, eppure Daniel era la sua copia Anzi era la copia di papà. Mi sembrava strano, aveva una smorfia delusa sul viso. "Credevo che João si fosse preso la briga di venirmi a trovare, invece no!" Parlò finalmente Daniel rivolto a sua madre. "Ma perché inventi queste scuse?"
Karla scosse le spalle, chi era João? "Non è João, ho chiamato a Boston e parlando con Gabriel, appena saputo dell'incidente è voluto venire qui a vedere come stavi."
"Ah!" Rispose. "Sto di merda. Grazie e addio." Mi  rispose cinico tornando a voltarsi.
Io mi avvicinai al letto. "Non crederai davvero che me ne vada? Non ho salutato mia moglie per venire qui da te. Quindi adesso ti comporti da persona civile e saluti."
"Gabriel forse è il caso che..." Lo giustificò la madre
"Ferma! Se vuoi stare qui a impietosirti per lui e giustificarlo, grazie ma è meglio che esci." Le ordinai.
"Tu non puoi capire!" Disse lei.
Al che mi incazzai. "Io non posso capire?" Dissi a entrambi.  "La sorella di mia moglie è finita fuori dalla barca durante una tempesta, non si trova, non ci sono tracce di lei che ha solo 18 anni. Non la troviamo e io sono venuto fin qui per vedere mio fratello, per assicurarmi che stesse bene lasciando mia moglie con le sue pene. Quindi non venire a dirmi che io non capisco. Forse non è morta mia moglie, ma è morta la moglie di mio padre e so come ci sente. Perché se non veniva aiutato papà sarebbe caduto in un baratro senza ritorno. La depressione ti uccide, l'ho vissuto da bambino e non sapevo come aiutare mio padre. Quindi Karla so come ci si sente, adesso esci parlo con mio fratello." Le ordinai cercando di mantenere la calma, parlavamo pur sempre di una donna di sessant'anni e non volevo mancarle di rispetto. Mi era venuto istintivo risponderle in questo modo, non me ne pentivo.
Mi rivolsi a Daniel che stava fissandomi sorpreso. "Io sono Gabriel, primo genito di Thomas Keller senior." Mi presentai prendendo una sedia. "Sapevo della tua esistenza, ma fino ad oggi non abbiamo avuto modo di incontrarci."
Lui annuì. "So chi sei. So di tutti voi, Gabriel, Rafael, Micaela e Thomas Uriel." Mi rispose guardandomi. "Hai un figlio di tre anni."
Annuii. "Adam... quanti anni ha Daly? Si chiama così?" Chiesi contento che mi parlasse.
Mi sorrise. "Daniel e Alyssa. Daly, credo abbia qualche mese di differenza da Adam, lei è nata a settembre." Rispose.
"Mi dispiace per tua moglie. È stata una tragedia." Gli dissi. "Non so come reagirei se dovessi perdere Adelaide, che sia per malattia o per incidenti del genere."
Lui sprofondò nel cuscino. "È colpa mia! Avrei dovuto insistere e farla uscire dalla squadra." Sussurrò.
Sospirai. "Non penso sia stata colpa tua. Credo che per fatalità anche se non fosse stato sul campo, avrebbe potuto avere un destino simile." Gli dissi avvertendo Karla che usciva chiudendosi la porta alle spalle.
"Ultimamente era un continuo litigio." Mi confidò. "Questa è la seconda volta che resto ferito in questi tre anni nella squadra." Raccontò mettendosi la mano sul viso. "Volevo che lei la lasciasse. Le dicevo che come ero rimasto ferito io poteva capitare a lei, le ricordavo che avevamo una bambina piccola. Ma Alyssa si arrabbiava, diceva che poteva essere madre e poliziotta insieme. Per quanto le dicessi che non le negavo il suo lavoro, volevo solo che facesse qualcosa di meno pericoloso, per questo lei era alla macchina."
"Giustamente fate un lavoro molto importante e pericoloso insieme." Affermai.
Lui annuì. "Avrei dovuto sparare a Miller prima che colpisse Jacob col pugnale, gli ho dato modo di prendergli la pistola. Miller mi ha sparato alla cieca colpendomi alla gamba e all'addome. È riuscito a scavalcarmi. Comunque l'ho inseguito con le ferite che bruciavano, il capo era all'entrata esterna con Joy e ancora non era arrivato, io sapevo che all'ingresso c'erano le vetture, con Alyssa e Marion. Ho sentito il primo sparo che ancora ero sulle scale, il secondo l'ho avvertito mentre uscivo, il terzo è provenuto da qualcuno in strada. Ho scoperto dopo che era Mahone, io ho raggiunto Alyssa. Ho visto il sangue che le usciva dalla giugulare, quel deficiente di Miller deve aver puntato alla testa. Ma non ha una buona mira, mi ha colpito in punti non mortali. Se avesse preso alla testa il cappello antiproiettile avrebbe salvato Alyssa."
"Era già morta quando l'hai raggiunta?" Gli chiesi.
Scosse la testa. "Tracannava. Io ho provavo a fermare l'emorragia con la mano, ma perdeva tanto sangue. Riusciva a stento a parlare, mi guardava con i suoi occhi azzurri in lacrime. Le ultime parole sono state, proteggi Daly, lascia tutto..." concluse.
"Ti ha..." Chiesi. Possibile gli avesse chiesto di lasciarsi andare e lasciare tutto? Avevo capito male?
"Mi ha chiesto quello che le chiedevo sempre io. Di cambiare lavoro per Daly." Mi spiegò. "Ora come ora sicuramente dovrò andare in aspettativa." Disse rimettendosi la mano sugli occhi. "Vorrei mandare tutto a quel paese... lasciarmi morire... toccava a me la fine di Alyssa... non so come spiegare a mia figlia che la mamma non ci sarà più..." Disse tra un singhiozzo e l'altro.
Rimasi in silenzio. Daniel aveva sei mesi circa meno di me, quindi se aveva venticinque alla nascita di Daly, lei era quanto Adam.
"Sicuramente le tue mamme ti aiuteranno." Gli dissi.
"Mamma..." sussurrò. "L'altra mia mamma è venuta a mancare due anni fa. Mentre i genitori di Alyssa vivono nell'Ohio."
"Posso aiutarti io!" Gli dissi istintivamente. "Immagino che tu sia preso dal dolore. Ma devi reagire, sia per Daly che per tua madre. Anche lei è sconvolta, seppure non lo fa vedere."
Mi fissò annuendo. "Lo è! Lo siamo tutti... non oso immaginare cosa sarà tornare a casa..."
"Dura! Sarà dura." Gli dissi immaginando una vita senza Adelaide. Non volevo che accadesse e non volevo ridurmi a un brandello di uomo come stava succedendo a Daniel e come era accaduto a mio padre. "Quando è morta mamma Marina papà era irriconoscibile, ci ha esclusi tutti dalla sua vita. Dan tu non devi farlo, per il bene di Daly tu devi combattere e io ti sarò accanto. Come i nonni e gli zii lo hanno fatto con nostro padre." Gli dissi.
"Se ne esce Gabriel?" Mi chiese fissandomi coi suoi occhi verdi.
Scossi la testa. "Poco alla volta, poi diventerà una nuova abitudine e ci si rassegna." Gli dissi.
Lui sospirò. "Capisco... io... io... voglio accettare il tuo aiuto." Mi disse in silenzio. "Partirò per l'Ohio con Daly..."
Sospirai. "Vado a prendere Adam a Boston e vengo con voi." Annunciai. "Dovrai spiegarmi chi è João." Conclusi.
Non mi rispose, però mi sorrise e tanto mi bastò.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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ADELAIDE
La Grecia era un bel paese. Effettivamente se ci fossi stata per motivi piacevoli, sicuramente l'avrei apprezzata molto di più. 
Proprio come era accaduto ad Alaska che sicuramente si era goduta quei giorni in Grecia fino all'ultimo con gioia e curiosità. Più si andava avanti con le ricerche, più compresi che effettivamente ciò che aveva detto Gabriel poteva essere l'unica verità su Alaska. Non voleva farsi trovare. 
Giunti nel golfo di Eubea, avevamo preso un appartamento a Kymi, dove si trovava la sede della Olimpyc Marine. Il signor Kostas Papas, socio principale, era stato ben felice di conoscerci e vedere che i loro nuovi soci avessero dei volti giovani al comando. Sapendo che la Thompson & sons era un'impresa navale molto più grande della Hoffman si era aspettato delle persone più adulte.
"Conosco di nomina la Thompson, avete una sede in Liguria dove producete yatch di lusso con la Bonelli." Disse Papas che probabilmente si era informato su di noi quando aveva avuto notizie che la Hoffman non avrebbe più collaborato con loro.
"Io sono il figlio di Simon." Disse London. "Non resti stupito, papà si fida di noi e lavoriamo con lui da tanto tempo."
"Anche mio figlio Giannis lavora con me. Spero di presentarvi presto a lui." Disse. "Ma venite, mi hanno accennato che la Hoffman Europe è stata assorbita dalla Thompson & sons." Affermò l'uomo.
Al che intervenni. "Si giusto. Per questo ci sono anche io, seguirò le pratiche legali del caso di assorbimento e la nuova attività per un paio di mesi. Ovviamente lavorerò con i vostri legali, non mi permetterei mai di scavalcare nessuno di voi." Dissi con umiltà.
Fortunatamente alla Olimpyc  parlavano inglese, altrimenti non penso che sarei stata in grado di seguire tutte le pratiche. 
"Ci avvaliamo di un legale esterno per quanto riguarda i contratti internazionali." Rispose Papas. "Non ne abbiamo una fissa in realtà. Mentre qui in sede c'è l'avvocato Sarmas che potrà seguirvi per qualsiasi cosa." 
Fu così che iniziò la nostra collaborazione con i Papas. London che seguiva l'amministrazione, come a Boston si lasciava spesso consigliare da Kostas e successivamente quando lo conoscemmo da Giannis, primogenito di Kostas e responsabile dei cantieri e dei progetti. Era laureato infatti all'università di Cambridge in meccanica e meccatronica e sembrava sapere il fatto suo nel campo navale. Era la stessa funzione che aveva Chester in azienda, avevano conferito gli stessi studi e avevano anche la stessa età. A Chester sarebbe piaciuto Giannis, sia personalmente che fisicamente. Era un bel ragazzo di ventisei anni con la carnagione olivastra tipica dei greci, gli occhi sottili e cerulei, i capelli neri e un fisico asciutto. Inoltre Giannis andava molto d'accordo con London nonostante fosse più piccolo di lui. Non sempre era in azienda, poiché cercava di seguire anche l'impresa agricola dei nonni materni e la sua ragazza che sembrava fosse ammalata. Però quando c'era la sua presenza si avvertiva, come la passione che ci metteva nel suo lavoro e il legame con i dipendenti.
A Kimy iniziammo anche le indagini per trovare Alaska, il golfo infatti era la zona dove si era persa nostra sorella. Qui incontrammo la guardia costiera e una civile che indagava con loro. Una ragazza molto bella, alta e bionda, che ci disse era lì per le indagini sullo scafo.
Ariel! Così si faceva chiamare era una guerriera. Appena la incontrammo tenne testa a London che non voleva avere nessuno tra i piedi. Si era però fatta valere.
"Ero amica di Alaska ed ero lì quando è caduta dalla barca. Quindi tu bellimbusto non mi impedirai di cercarla. Chiaro?" Le sue parole ancora riaffioravano nella mia mente.
Ariel mi piacque molto, un po' meno a London cui piacere avere sempre tutto sotto controllo. Lei come me era uno spirito libero, come me odiava le ingiustizie e come me ancora sperava di ritrovare Alaska.
Dopo un mese dal nostro arrivo a Kimy, le speranze ci stavano abbandonando. Sarei dovuta rientrare, alcuni affari richiedevano la mia presenza a Zurigo e nel Kleinsten dal momento che Gellert era fermo a Dubai e non sapeva quando sarebbe rientrato. Volevo passare a Londra a salutare Eddy e infine Alaska sembrava veramente scomparsa.
"Ho finito tutte le pratiche che richiedevano la mia presenza." Dissi a London quella sera a cena. Ero demoralizzata e anche lui.
Ariel che stava cenando con noi ci fissò. "Vai! Ci penso io a ritrovare tua sorella." Disse.
"Non è così facile. Ormai credo che avesse ragione mio marito, lei non vuole farsi trovare." Affermai.
"Ma avete sentito Dallas? Cioè loro sono così uniti che sicuramente..."
"Dallas dice che Alaska sta trovando il suo posto." Intervenne London. "Ma lui non sa che è smarrita in mare e che potrebbe essere morta." Disse pragmatico.
Ariel si alzò di scatto sbattendo le mano sul tavolo. "Non dirlo nemmeno. Lei è viva." Disse affrontandolo.
Non risposi. Ero talmente demoralizzata che comprendevo London, forse dovevamo farcene una ragione. Alaska era morta e London lo stava dicendo apertamente. "Tsk! Davvero credi ancora alle favole ragazzina?"
"Sai a differenza tua io cerco di capire. Mi studio tutte le eventualità e le ipotesi, sono laureata in legge e sono abituata a ragionare così." Disse battendo il pugno sul tavolo.
La fissai sbalordita. Era anche lei un avvocato, proprio come me. "Cosa intendi? Forse ci è sfuggito qualcosa?"
Lei annuì sedendosi e prendendo un'agenda dalla borsa la aprì. "Alaska indossava degli abiti leggeri e un salvagente nel momento in cui è caduta in acqua. Non aveva nulla di pesante con se, quindi anche se fosse annegata, il corpo sarebbe dovuto rinvenire a galla. Proprio come quello di Marco."
Affermò aprendo l'agenda.
Marco era il primo marinaio caduto dalla scialuppa per salvare Alaska. Il suo corpo era stato ritrovato su una spiaggia di un isolotto tra Cipro e Santorini.
"Quindi il suo corpo non si trova nei fondali marini." Dissi.
"È impossibile." Disse decisa la ragazza. "Dopo il ritrovamento di Marco sono andata in giro per le piccole isole limitrofe, sia per visitare le locali forze dell'ordine sia per cercare tra gli isolani Alaska. Ho pensato, se le correnti hanno portato fin lì il corpo di Marco, potevano portare anche quello di Alaska."
"Ma non l'hai trovata." Le disse London.
"No! Non l'ho trovata, ma persevero." Disse lei decisa sottolineando alcune voci. "Queste sono tutte le isole che ho visitato fino ad oggi. Con relativa polizia e guardia costiera. Questa parte del mar Egeo è colma di isole. La troverò!" Affermò. "E sarà viva! Nessun telegiornale o quotidiano parla del ritrovamento di un corpo negli ultimi tre mesi. Quindi Alaska è viva! Viva!" Disse decisa.
"È viva." Affermai guardando London che ancora era scettico.
"La troverò io." Affermò.
"La troverò io invece." Disse Ariel.
Guardai entrambi. Quell'animosità tra i due non avrebbe portato da nessuna parte.
"Ragazzi posso partire tranquilla?" Chiesi a entrambi.
"Certo che si. Cercheremo Alaska tra un lavoro e l'altro." Disse London.
"Io non aspetto te. La cerco e basta, ho tutto il tempo." Disse Ariel.
"Posso farti un'offerta dal momento che sei senza impegni?" Chiesi guardando Ariel. Mi piaceva e dal momento che dovevo andare via sapevo che lei era quello che cercavo.
"Cosa intendi?" Mi chiese lei.
"Sei laureata in legge. Non ti andrebbe di iscriverti all'università di Athene e prendere il master in diritto aziendale? Così potresti aiutare London dal punto di vista legale. Io adesso parto e a maggio partorisco il bambino. Sarà difficile per me tornare." Sarebbe stato libero Gellert a maggio, ma non glielo dissi, perché... "Se prendi il master e ti appassioni al lavoro potrei farti entrare come socia del mio studio legale. Si occupa solo di diritto aziendale e internazionale, inoltre una volta socia potresti farti una clientela qui nel Peloponneso." Le spiegai. "Sempre che tu lo voglia."
Lei mi fissò. "Pensavo di prendere la specializzazione nel penale. Per difendere i più deboli." Mi confessò chiudendo l'agenda. "Però posso aiutare tuo fratello, per sommi capi so come funziona il diritto aziendale che spesso ho aiutato mio fratello in alcune trattative. Feci proprio dei corsi alla London university per questa branchia del diritto." Mi spiegò.
Quindi era già preparata. "Oh grazie Ariel. Mi sollevi da un pensiero se aiuti London."
Lei mi abbracciò consolatoria. "Non ti preoccupare. Non lo lascerò solo un attimo."
"Non ho bisogno della balia." Disse lui.
"Stop!" Intervenni prima che Ariel rispondesse. "Vi prego, voglio partire tranquilla per Zurigo. Fino a quando non lascio Kimy potreste non litigare?" Chiesi ai due.
Mio fratello sbuffò, prese una sigaretta e se l'accese. Non disse nulla, segno che acconsentì.
"Dovresti uscire per fumare." Precisò Ariel.
"Siamo all'aperto. Posso fumare qui." Rispose lui.
"Certo! Ma tua sorella è incinta, un minimo di rispetto. Il fumo potrebbe arrivare a lei."
No! Non ce l'avrebbero fatta senza litigare. Ma pazienza io dovevo andare via.
Così lasciai che si punzecchiassero tutta la serata e anche i due giorni che precedettero la mia partenza. Quando andai via lasciai ad Ariel il contatto di Eddy a Londra ricordandole di chiamarlo per farsi inserire in società.
"Digli che al limite divide la mia quota con te se ci sono problemi. Sei come me, impavida e idealista e voglio lavorare con te." Le dissi abbracciando la mia nuova amica.
"Lo chiamerò. Mi mancherai Ada." Mi salutò anche lei.
Lasciai la Grecia diretta nel Kleinsten, dove ad aspettarmi ci sarebbero stati Tom e Nora Müller, la nuova socia di mio marito e suo fratello.
Nora era una bella persona, disponibile e gentile, a differenza della gemella Zora che invece era schietta e senza peli sulla lingua. Le due erano intenzionate ad aprire una nuova filiale ad Amsterdam. Dopo Vienna e Salisburgo volevano provare a inserirsi in un mercato diverso quale riservava la città olandese.
"Sarà Zora a seguirla. Ma all'inizio andrò anche io ad Amsterdam." Disse la gemella.
"Io non ho problemi. Ditemi cosa vi serve e preparo tutte le pratiche." Affermai guardando Nora di sottecchi.
Solo quando restai sola con Eleonora e Letizia chiesi alla mia amica di lei. "Mi sembra di averla vista già." Le dissi.
Lei mi sorrise toccandosi il pancione. "Sì! Hai conosciuto Nora qui nel Kleinsten, è una delle mie più care amiche." Mi rispose sussultando. "Alberto ultimamente si fa sentire molto." Si scusò.
"Fra un mese termini i conti. Ci sta." Le dissi rassicurandola. Era bellissima, la maternità le donava. Il volto illuminato da una nuova consapevolezza, gli occhi raggianti di felicità. Non era previsto che partorisse nel Kleinsten. Ma Tom premuroso come sempre l'aveva portata con se sorprendendola. Perché era giusto restasse con i suoi parenti in un momento importante della sua vita.
"Non vedo l'ora." Rise. "Giuro, tra un mese vi restituisco Thomas senior."
Risi anche io. "Non dirlo neanche. È giusto che lui stia anche con voi. Ma sopratutto Eleonora che tu stia con le tue zie per il parto, Gabriel poi si sta integrando nella società e ha aperto anche una nuova sede della KB." Dissi divertita.
"Cleveland, giusto?" Mi chiese Tom entrando in quel momento nella stanza.
Annuii. "Si, con un certo Daniel. Sinceramente non so chi sia, so solo che ha questo nuovo amico."
"Anche a me ha detto poco. Se non: te lo farò conoscere." Affermò mio cognato.
"Lo nomina anche se è evasivo in merito." Dissi a Tom. "Adam ne parla molto di più."
"Aggiornaci quando tornerai a casa." Mi disse Tom.
Ancora annuii. "Prima andrò a Francoforte, il mio socio mi ha invitata a fare un controllo ad uno dei nostri clienti. Poi Londra e infine casa."
"Allora dobbiamo muoverci con le pratiche per Amsterdam." Disse Tom. "Domani andremo alla sede della BK così ti organizzerai con Nora."
Assentii, sapevo che ci avrei speso altro tempo ancora. Sinceramente speravo di rientrare per fine febbraio a casa, anche se la vedevo difficile. Per il momento mi godevo l'ospitalità del Kleinsten e la compagnia di Eleonora e Letizia.
Lasciai il piccolo principato una settimana dopo, raggiunsi Amsterdam con Zora, la gemella di Nora e procedemmo con le varie pratiche di apertura azienda, contratto e stipulazioni varie. Da lì andai a Francoforte, dove mi aspettavano Rubén Müller e Gustav Meyer responsabili della consulting cui dovevo assistere. Ero preparata sui casi da dover poterne avanti. Gellert mi aveva mandato tutto via mail. Così procedetti con le trattative abbastanza spiccia. Anche nel momento stesso in cui ebbero da trovare un cavillo per fermare le trattative.
Fortunatamente abituata a pensare a più ipotesi riuscii alla fine a concludere la trattativa, nel farlo mi ero anche guadagnata dei meriti da Rubén, Gustav e il socio anziano, nonno di Rubén.
Lasciai la Germania l'ultima settimana di febbraio. Nel frattempo Ariel mi informò che a livello lavorativo in Grecia andava tutto bene e che lei e London avevano ricominciato a setacciare le isole dell'arcipelago ogni week end. Sembrava che London avesse noleggiato una barca a vela dai Papas così che potessero muoversi con autonomia.
"Non immaginavo tuo fratello sapesse navigare! Così è meno dispendioso sia economicamente che a livello di tempo, lo ammetto." Mi disse Ariel.
Risi. "Papà costruisce navi, tutti sappiamo come stare su una barca e come comportarci. I miei fratelli sanno portare le barche e anche mia sorella Brooke." Ammisi pensierosa.
Quello era il motivo principale per cui non potevo ancora pensare che Alaska era stata presa dal mare. Lei sapeva come comportarsi! Papà ce lo aveva insegnato fin da piccoli, come mamma ci aveva insegnato a ballare. Lo avevamo nel sangue.
"Aggiornatemi se ci sono delle novità." Dissi salutando Ariel.
Una volta a Londra mi dedicai al mio migliore amico. Trovavo Eddy in forma. Stava bene ed era felice, tutto ciò era palese. Gli chiesi di aggiornarmi sulla sua vita e sorprendendomi raccontò che era tornato single, il cugino gli aveva fatto notare che non era George l'uomo giusto per lui per cui lo aveva lasciato.
"Cosa ne sa tuo cugino di te!" Gli chiesi preoccupata.
Lui fece spallucce guardandomi con i suoi occhi azzurri. "Sa chi amo veramente. Sa che sono amareggiato perché l'ho lasciato andare quando potevo averlo."
"Ma hai detto a questo ragazzo che lo amavi?" Gli chiesi.
"No! Perché lui sembrava così felice, si sarebbe sposato ed effettivamente ha messo su famiglia." Mi raccontò amareggiato. "Non immaginavo che divorziasse. Ne che era interessato a me, è stato mio cugino a dirmelo. Ha detto: non era innamorato di me, ma di te." Lo vidi mettersi le mani tra i capelli. "Come uno stupido l'ho allontanato e sono scappato qui." Ammise. "Adesso non posso tornare a casa Ada." Concluse. "Non con quello che ho costruito e che stiamo continuando a costruire. Guardati! Sei tornata dal Belgio con un contratto fantastico, il tuo portfolio sta aumentando."
Feci spallucce. "Sto facendomi un nome." Dissi umilmente. "Però ricordati Ed, che le cose più importanti sono l'amore e la famiglia. Ho affronti chi ami tornando a casa e chiarendo i tuoi sentimenti. Oppure vai avanti e cerchi di essere felice qui. Me lo prometti?" Gli chiesi.
"Lo farò, promesso." Mi disse abbracciandomi.
Ero felice di sentire il suo calore. Non avevo tanti amici, solo lui con Eleonora e Letizia e nessuno di loro era a Boston.
Dovevo far crescere la mia vita sociale.
La prima settimana di marzo tornai finalmente a casa. Trovai ad accogliermi all'aeroporto Gabriel e Adam, che erano venuti a prendermi appositamente.
Mi strinsi forte mio figlio. Mi era mancato moltissimo, non lo avevo mai lasciato per così tanto tempo.
"Siamo stati bene insieme e non mi ha disturbato a lavoro." Mi disse Gabriel quella sera a letto. "Nel caso tu dovessi partire ancora posso tenerlo io o portarmelo dietro quando parto."
"Mmm sei sempre così organizzato e perfetto. Però valutiamo, semmai dovessi partire che tu non ci sei..."
"Te lo porti dietro." Mi disse Gabriel baciandomi per poi portare la testa sul mio ventre. "Per ora però riposati e stiamo così. Sei mancata tanto a tutti noi. E anche tu piccolo mio." Sussurrò al ventre.
Sorrisi carezzandogli i capelli alla nuca. "Anche voi mi siete mancati. Grazie di tutto Gabe." Sussurrai prendendo lentamente sonno.
Una settimana dopo il mio rientro ricevemmo notizie dal Kleinsten. Eleonora aveva partorito il piccolo Alberto Giulio. Successivamente a fine mese Thomas torno al maniero in compagnia di Micaela e non solo. Finalmente ebbi modo di conoscere Sapphire Cooper, il primo amore di Thomas. Era stupenda, dai tratti gentili come i suoi occhi azzurri e limpidi. Era molto elegante nei modi e nei comportamenti, i capelli biondi erano tenuti ordinati. La cosa che più mi colpì era però il modo in cui cercava di proteggere Micaela. Era spinta da un forte istinto materno che andava oltre il legame filiale.
Proprio per questo anche con Gabriel aveva un buon rapporto.
Tutti accolsero Sapphire come una ventata di aria fresca. Piacque al nonno, a Jared e Katherine, ai miei genitori.
Ufficialmente era venuta a Boston per scoprire l'America, ufficiosamente però si capiva che tra lei e mio suocero c'era del tenero. I due però erano molto discreti, Sapphire era presente per tutti durante la giornata. Faceva compagnia al nonno, prendeva il te con Katherine, aiutava Micaela nella scelta dell'università e faceva tante passeggiate per Boston. La sera quando rientravano Gabriel e Thomas era infine una splendida padrona di casa. Lo faceva senza rendersene conto, senza invadere i campi. Eppure era lì presente, l'unica a riprendere mio suocero se qualcosa non andava. Si punzecchiavano tanto i due, però si capiva che c'era intesa ed io ero cintante che dopo tanti anni finalmente anche mio suocero era felice. Nonostante ogni sera i due andassero a dormire in camere separate la sensazione che si aveva era che loro due erano una coppia a tutti gli effetti.
Quando a inizio aprile Gabriel e Thomas partirono per il Brasile, Sapphire andò con loro.
"Vado a conoscere i dirigenti delle sedi e torno a casa." Mi disse baciandomi mio marito. "Non ti lascerò finché non nascerà nostro figlio."
"Ti aspettiamo e ti amiamo." Gli dissi dolcemente.
E così fu! A metà aprile Gabriel tornò intenzionato a stare con me e non partire. Io ormai non andavo neanche più alla Thompson & sons. Papà era stato irremovibile, dovevo andare in maternità.
Lo stesso Gabriel che seguiva sia la società paterna che la G&L, non si allontanava da Boston. Manteneva i contatti, ma non mi lasciava mai, anche quando lo sentivo a telefono. Addirittura quando chiamavano per la BK, lui delegava. Daniel... chiamava lui. Da quando ero rientrata in America Daniel era la costante, sapevo che si chiamavano tutte le sere, stavano a telefono per parecchio, dopodiché staccavano. Non mi diceva molto, se non che Daly era sua figlia e che lei ed Adam andavano molto d'accordo. Poi in quell'ultimo mese Daniel era stato colui che aveva chiamato per le emergenze.
Daniel... Daniel... Daniel... ero quasi gelosa di lui. Fortunatamente mio marito con le sue attenzioni riusciva a non alimentare questa mia gelosia.
Il sette Maggio nacque nostro figlio Abel. In casa tutti lo accolsero con gioia, per mamma fu una rivalsa.
Da quando Alaska era scomparsa, per la prima volta la vidi veramente felice.
Per l'occasione sentii anche i miei fratelli.
Il primo che sentii fu London, lui e Ariel fecero una videochiamata per augurare il meglio a me e Gabriel. Per l'occasione mi infirmarono di non avere ancora novità su Alaska, c'era solo una certezza. Non era stato rinvenuto nessun cadavere proveniente dal mare o altrove. Quella oramai era diventata la nostra consolazione.
Dopo London fu la volta di mia sorella Brooke che mi disse, era rientrata a Zurigo dopo mesi negli Emirati e successivamente in Cina. Si complimentò con me e in modo evasivo mi disse che stava benissimo ed era felicissima, nonostante non sapessero nulla di Alaska.
Qualche giorno dopo fui chiamata anche da Dallas. Aveva ricevuto la notizia appena rientrato da una missione e che avrebbe conosciuto Abel di persona dal momento che era in rientro.
La nascita di Abel fu per tutti noi un nuovo inizio.
Io e Gabe ci rilassammo con lui, eravamo meno apprensivi che con Adam. Ma ci fidavamo entrambi i bambini dando la priorità alla nostra famiglia. Ero ufficialmente in maternità. Lavoravo poco e niente e anche Gabriel viaggiava poco. Solo quando Abel ebbe compiuto i due mesi, Gabriel organizzò un viaggio di lavoro. "Andremo nel Quebec, visto che sei in maternità mi piacerebbe venissi anche tu con i bambini. Sarebbe una vacanza, per me anche lavoro." Mi disse.
Non me l'aspettavo, eppure l'idea mi piacque molto. Partimmo per il Canada per la nostra prima vacanza di famiglia. Dovendo presentare i dirigenti vennero anche Thomas e Sapphire con noi. Restarono solo una settimana per poi lasciarci. Mi godetti la vista del fiume di San lorenzo, la natura e tutto ciò che mi circondava, con mio marito e i miei figli. Quando rientrammo a metà agosto mi sentivo ancora in vacanza.
Fu difficile riprendere a settembre. Fortunatamente tornai alla realtà col viaggio che Gabriel stava organizzando per l'Australia. Bisognava tornare alla realtà e anche io avevo del lavoro che mi aspettava. D'accordo con Gabriel decidemmo che avrei portato Abel con me per i viaggi lunghi, mentre Adam lo avrebbero tenuto mamma e Sapphire.
Prima di lasciare andare mio marito lo salutai con un bacio e una scoperta. "Sono di nuovo incinta." Non era stato programmato nulla. Ma ero contenta, amavo mio marito e la nostra famiglia e sapevo che sarebbe andato tutto bene.

GABRIEL
Daniel era una persona forte e gracile al tempo stesso. Durante l'assenza di Adelaide da Boston restai con lui in Connecticut per parecchio tempo. Tornavo a Boston, la prima volta era stato per prendere Adam e andare poi con Daniel e sua figlia in Ohio, dove vivevano i parenti rimasti in vita di Alyssa. Mi chiesi come mai la defunta moglie di Daniel fosse stata adottata da Karla.
Fu lei a rispondermi quando ci presentò il padre di Alyssa, un ubriacone invasato che braitava sulla figlia. Più che compiangerla le sue parole erano  di scherno.
Questa è la fine che si meritava! Maledetta donna! Era il male!
Queste frasi mi fecero rabbrividire.
"Abbiamo preso Alyssa dopo la morte della madre. Mia moglie Jenn non sapeva che la sorella veniva picchiata, lasciò l'Ohio trentacinque anni fa quando iniziò l'università. Qui tornava solo per visitare i genitori e la sorella che come potete ben capire nascondeva benissimo le percosse che subiva." Ci raccontò.
"Il bastardo picchiava anche Alyssa?" Chiese Daniel sorpreso quanto me.
Karla annuì. "Si! Era arrivato a picchiarla. Ma lei si difendeva e scappava. A quindici anni, quando quel bastardo cercò di violentarla, scappò alla polizia denunciando l'uomo. Credo che abbia deciso allora di diventare poliziotta." Concluse guardando il figlio. "Non saresti mai riuscito a convincerla a fare solo multe, non con il suo passato."
"Perché non me l'ha mai detto?" Chiese Daniele a sua madre.
"Perché la facevi sentire normale e accettata." Rispose lei. "Era felice di come la trattavi Daniel. Il motivo per cui tua madre Jenn non vi ha impedito di stare insieme era proprio perché hai sempre avuto premura di lei, eri la sua cura. Neanche gli psicologi riuscivano ad aiutarla, ma tu lentamente con i tuoi modi non proprio fini sei riuscito a salvarla."
"Se fossi riuscito a salvarla, oggi non saremo qui." Affermò Daniel.
"Non era in tuo potere, Dan tu non stavi bighellonando altrove. Quell'assassino ha colpito anche te e il tuo partner. Ti ricordo che Jacob è ancora in coma." Dissi a mio fratello sostenendolo e cercando di non farlo tornare nell'oblio.
Lui scosse la testa stringendo gli appoggi della sedia a rotelle su cui per il momento era. "Non significa niente, avrei potuto convincerla a non esserci nell'operazione."
"Non l'avresti fermata in questa operazione. Quell'uomo era un esempio folle come suo padre." Affermò Karla.
Lo pensavo anche io in realtà. Quindi adesso bisognava non piangersi più addosso e reagire. Restai a Cleveland per circa quindici giorni, tanto che convinsi Daniel e Karla ad aiutarmi ad aprire una filiale della BK consulting.
Dopo questo periodo tornammo ad Hartford il tempo necessario perché Dan prendesse le sue cose e mi seguisse a Boston.
"Ho lasciato già troppo il nonno da solo. Puoi fare la fisioterapia e il recupero li." Gli dissi.
Avevo promesso che gli sarei rimasto accanto d lo avrei fatto.
Una volta a casa nonno rimase sorpreso dal trovarsi Daniel e Daly con me. Aveva sentito nominare mio fratello, ma fino ad allora non lo aveva conosciuto nessuno, neanche papà.
Nonostante la sua esuberanza e il linguaggio non proprio gentile Dan fu subito accettato dal nonno, al quale raccontai ciò che gli era accaduto durante uno dei rari momenti in cui eravamo soli.
"Dobbiamo aiutarlo. È proprio un Keller, morirebbe per amore e non dobbiamo permetterlo." Disse il nonno. "Io posso occuparmi della bambina, la adoro." Concluse.
Risi alla sua affermazione. Daly era una bambina schietta e vivace, Adam la adorava e potevo comprendere il nonno.
Era una macchietta quando discuteva con Daniel per avere ragione e sapevo che grazie a quella bambina, mio fratello non sarebbe mai caduto nel baratro della depressione.
Stare con lui stava diventando talmente abitudinario che fui sorpreso quando a metà febbraio mi disse che tornava a casa.
"Sono di nuovo in piedi e devo riprendere servizio."  Mi disse.
Lo fissai. "Rientrerei in squadra?"
Sospirando annuì. . "Devo per presentare le dimissioni. Adesso Daly ha la mia priorità e non posso mettere in pericolo la mia vita e lasciarla sola. Mamma mi aiuta, ma ha quasi sessant'anni, è tempo di fare la nonna e non la madre."
"Va bene. Ma tienici aggiornati, ok?!" Gli chiesi. "Non vi farò sentire la mancanza." Mi disse. "Poi ti aggiorno sulle sedi a casa mia."
"Grazie!" Dissi complice. Ero contento di averlo conosciuto, di essere andato da lui ad Hartford e di aver costruito un rapporto.
Col senno di poi, sarei rimasto col rimpianto di non avere mai avuto un legame con mio fratello, se al posto di Alaska Thompson ci fosse stato lui. Quella disgrazia era una testimonianza che la vita poteva cambiare da un momento all'altro e dovevano viverla a pieno se non volevamo rimpianti.
Il mio prossimo obbiettivo era infatti andare in Brasile e conoscere João.  Daniel mi aveva detto tutto di lui, sua madre Laura aveva sedotto papà anno prima con l'intenzione di avere un figlio. Papà non era a conoscenza di questa cosa, nessuno lo sapeva se non Karla e successivamente Daniel.
Lui conobbe João a diciotto anni, quando fu invitato a donare il sangue al padre acquisito del brasiliano, che aveva bisogno di parecchie trasfusioni. Ovviamente per come era fatto Daniel subito avevano fatto amicizia, aveva creduto lo stesso di João. Ma stranamente alla morte di Alyssa, quando Karla lo aveva avvertito, gli aveva girato le spalle.
"Ha la fobia degli ospedali, dalla morte del padre." Lo giustificò.
Non lo comprendevo lo stesso João. Comprendevo che un ospedale avesse brutti ricordi, ma da qui a ignorare tuo fratello ce ne voleva.
Non lo dissi a Daniel, tuttavia mi ripromisi di andare a trovare João un giorno.
Quel giorno venne prima di quanto immaginassi.
In realtà col ritorno di Heidi a casa pensavo che potessi finalmente godermi la mia famiglia.
Dopo la nascita di mio nipote Alberto infatti, papà rientrò dall'Europa in compagnia di Micaela e niente di meno che Lady Sapphire.
Fui contento di vederla a casa nostra e sinceramente speravo restasse. La sua presenza subito rese casa nostra più luminosa, piacque a tutti.
Ci raccontava di casa sua, di Thomas, Joel, Samuel e Diamond e di Rafael e Isaak, l'altro fantomatico fratello.
Scoprii tante cose di Rafael che ignoravo e non solo io, anche Micaela e papà.
Il più piccolo dei miei fratelli maschi infatti, il sognatore lo chiamavo io, a parte essere empatico e molto mistico, era anche amico di tutti. Si era laureato a pieni voti, stava scrivendo un libro sugli aborigeni, aveva fatto il modello con il suo amico Cham con cui aveva frequentato Oxford e stava facendo crescere il books and coffee con maestria.
Addirittura Sapphire pensava che Rafe fosse bisex, proprio per il rapporto che aveva con il suo amico Cham.
"Sono morbosi tra di loro. Rafe tende a proteggerlo sempre e lo stesso Cham, lo difende in ogni occasione. Da quando si sono laureati invece che allontanarsi e prendere vie diverse, si sono avvicinati molto di più." Concluse Sapphire.
"Anche lui è laureato in letteratura inglese?" Chiese il nonno.
"No! Cham è laureato in economia aziendale e finanziaria." Rispose Sapphire. "Infatti gli abbiamo affidato la contabilità della caffetteria e del ristorante."
"Pensavo fosse lo studio di Liam ad occuparsene." Dissi corrucciato. Perché avevano tolto il lavoro al mio amico?
"Si si! Loro sono i nostri commercialisti." Rispose lei.
"Cham segue solo l'amministrazione interna. Liam e il padre non possono gestirla, Cham in pratica tiene ordine nelle loro carte, niente di che, poi a fine mese consegna la documentazione a Liam."
"Ah ok! Avevo capito che lavorava al Books and coffee." Dissi.
"Effettivamente lavora ovunque." Rise papà. "Tuo fratello lo ha messo anche in ufficio alla T-consulting, Rafe dice che  è il suo barista di sera, Isaak dice che è uno dei camerieri..."
"Povero! È un tuttofare." Scherzò Adela. "Se ha fatto il modello, scommetto che lo sfruttano per la sua bellezza."
Papà rise. "Hai colto il segno. Le ragazze esultano per Cham e Rafe." Ammise.
Risi anche io! Adesso  ero curioso di conoscere questo Cham.
"Ma se fa il modello, perché si occupa di tante cose?" Chiese ancora Heidi.
"Fa il modello per sua sorella che è una pittrice." Spiegò papà. "Non è così narcisista anche se sa di essere bello ed è molto socievole."
"Ah ecco!" Disse Heidi. "Isaak invece?"
"Hanno preso i due appartamenti sopra al books and coffee per ampliare il ristorante." Disse papà.
"Si! Tuo padre lo ha convinto a non spostarsi e gli ha proposto di allargarsi sopra." Intervenne Sapphire. "Stanno procedendo con i lavori e noi rientreremo a Londra per l'inaugurazione. Verrete anche voi?" Chiese Sapphire.
"Se non ce lo chiedevi ci saremmo offesi." Le dissi.
"Adam sarà felicissimo di passare del tempo con Cristal e di conoscere Alberto." Ammise Heidi. "Ed Easter! È il figlio di Isaak e Patricia." Mi ricordò Sapphire.
Annuii. Quello era un nuovo inizio per papà e Sapphire e li avrei supportati in tutto.
Partimmo per il Brasile con papà e Sapphire ad aprile, conobbi Laura, ma non João. Al contrario conobbi i suoi figli Pedro coetaneo di Adam e Manuel, avuti con la ex moglie Dora. Tornai dal Brasile deciso a non muovermi più fino alla nascita di mio figlio Abel. Ogni volta che mi chiedevano di raggiungere una sede chiamavo Daniel che senza lavoro andava con piacere.
"Tu chiamami così scappo da quella peste di mia figlia." Diceva sempre.
Sapevo che per lui era un modo per evadere da tutti i pensieri che si portava dietro, anche per questo cercavo di includerlo nella mia vita sempre. Il suo partner alla fine era morto, lasciando anche lui una famiglia, non lavorava più in polizia e non sapeva neanche più cosa fare della sua vita. Pensava di diventare procuratore distrettuale, ma anche quella era una carriera a rischio se si metteva contro il delinquente sbagliato. Così per il momento era senza lavoro.
A luglio io e Adela partimmo per una vacanza in Quebec godendoci ogni momento della nostra famiglia. Presto saremmo dovuti tornare alla vita frenetica dei nostri lavori e volevo godermela fino all'ultimo la mia Heidi.  Avevamo deciso che si sarebbe portata Abel dietro ad ogni trasferta, mentre Adam restava con me.
A settembre prima che riprendessi a viaggiare Heidi mi sorprese come solo lei sapeva fare.
"So che non era in programma! Ma aspetto un altro bambino."  Mi disse felice.
Lo ero anche io. La baciai con passione stringendola forte. "È sempre un bel momento per avere un bambino." Le dissi.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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BROOKLYN

Il tempo trascorreva e più la mia relazione con Gellert andava avanti, più mi sentivo bene con me stessa. Gellert aveva due volti, quello freddo e distaccato che mostrava con i clienti e sul lavoro. E quello caldo e confortevole che riservava solo a me. Dubai nonostante fosse calda durante i mesi di novembre, dicembre e gennaio, era bellissima e accogliente. La gente era disponibile e il quartiere americano di nuova Dubai era accogliente. Mi feci nuove amicizie e curiosa cercai di imparare un po' della lingua araba, ovviamente ci sarebbe voluto tempo. Fortunatamente c'erano parecchi americani che vivevano a Dubai da anni, che potessero insegnarmi. Tipo la moglie di Von König, Nathalie Winter, proprietaria di una pasticceria di successo. 

Ogni pomeriggio passavo l'ora del the con lei e se disponibile la sua socia Khalida. Imparavo nuove parole e alimentavo la conoscenza delle usanze arabe.

La permanenza negli emirati stava per giungere al termine e di Alaska ancora non si sapeva nulla. Mi sentivo con London, adesso in Grecia al posto di mamma e papà. Le ricerche proseguivano e pensavano per il meglio, fin quando non c'era il ritrovamento di un corpo, la speranza di ritrovare Alaska era sempre vivida. 

Lasciammo Dubai con comodità, quando James ci chiese di trasferisci alla sede di Shangai per alcuni contratti. Per l'occasione anche sua moglie Nathalie ci accompagnò. Le pratiche si susseguirono per circa quindici giorni. Tuttavia riuscivamo a tagliarci degli spazi per noi, per uscire con James e Nathalie e per andare a fare spese in vista del matrimonio di Shu Yan e Li Son. La pancia adesso era molto evidente e dovevo trovare un abito elegante e che non mi facesse sembrare inadeguata.

Partimmo per Pechino che eravamo liberi dal lavoro e pronti per festeggiare il matrimonio. Trovammo gia anche Sabrina e Zora a casa di Shu, però io fui quella che riuscì a apprendere tutte col mio pancino evidente. 

"Sei incinta!" Esultarono Sho e Silvia abbracciandomi. Sabrina invece mi guardò scettica. 

"Dalla tua pancia evidente, quando sei stata a Francoforte già lo sapevi." Mi disse.

Feci una smorfia. "Ho fatto a casa tua il test di gravidanza." Ammisi dispiaciuta. "Sembrò grande perché sono due." 

"Gemelli!" Chiese Shu. "Sono prosperità."

E intanto che chiacchieravo avevo perso Gellert che si era fatto da parte con Li che si complimentava con lui.

Dopo un po' lo ritrovai che parlava con Zora soddisfatta del lavoro e delle consulting che stava aprendo con la sorella. In pratica era un periodo proficuo per tutti, l'unico motivo per cui non ero completamente felice era la scomparsa di Alaska. 

"Gellert!" Gli dissi raggiungendolo per poi sedermi accanto a lui. "Ti presento Silvia, l'ultima, ma mai ultima, delle mie amiche di penna. Silvia, lui è Gellert." Li presentai mentre la mia amica dai capelli rossi si sedeva accanto a noi. 

"È un piacere conoscerti Gellert, finalmente ci conosciamo." Gli disse stringendogli la mano. 

"Finalmente si! Adesso siamo al completo." Mi disse lui. Con Silvia infatti, anche lui aveva conosciuto tutti i miei amici. 

"Quando torniamo in Europa vengo a trovarvi in Svizzera, anzi potreste venire anche voi a Bologna da me." Ci invitò la mia amica. 

"Con piacere, anche se penso che ci vorrà un po' prima che riprendiamo a viaggiare. Almeno non prima della nascita dei gemelli." Rispose lui.

"Avete scelto già i nomi?" Chiese lei per fare conversazione . 

"Luna e Aurora." Dissi alla mia amica. 

"Lun...sono femmine?" Chiese raggiante Silvia. "Si! Non ho voluto fare troppo clamore per via del matrimonio. Ma saranno due bambine." 

"Vi preparerò dei regali bellissimi per la nascita."

Affermò allora lei.

"Di... di cosa ti occupi?" Le chiese Gellert. 

"Sono una stilista per bambini." Affermò. "Ho una linea commerciale e una seconda di pezzi unici e lavorato a mano. Preparerò per le vostre gemelle due splendidi vestiti battesimali, li ricamerò io personalmente." Esultò.

"Wow... fantastico. Sicuramente sarà un lavoro magistrale." Affermò Gellert. 

"Di cui vado fiera." Disse lei riempiendo il bicchiere di vino. "Verrò a trovarvi a Zurigo. Io ho un lavoro che posso fare ovunque." Affermò.

Sicuramente Silvia voleva conoscere meglio Gellert, delle mie tre amiche era l'unica a non conoscerlo ancora e probabilmente diffidava di lui.  

Io diffidavo più di me stessa che di Gellert. Temevo di fare le scelte sbagliate, come era accaduto con Jonathan. Temevo, anzi ero sicura, di starmi innamorando di Gellert. Per quanto lui non facesse nulla di sbagliato, avevo paura ad affidarmi completamente a lui. Non dopo quello che avevo passato con Jonathan.

Erano due sentimenti diversi, lo sapevo, mi sentivo completa con Gellert, al contrario di Jonathan, in tutto e per tutto. Noi due  avevamo un nostro equilibrio, con lui non mi ero persa. Al contrario che con Jonathan, non lo amavo e mi ero annullata completamente. Ma, c'era sempre un ma.  Se non ero obiettiva con Gellert? Se ne ero stata trascinata per via di tanti fattori? Lui mi aveva salvata dalla mia autocommiserazione, mi aveva mostrato che ero una donna in tutto e per tutto, infine portava in grembo i figli che lui mi aveva dato Non volevo che i miei sentimenti fossero influenzati da tutto questo. Dovevo capire se stavo vivendo una bolla di sapone o se effettivamente ciò che provavo era reale. Vivevamo alla giornata, anche se effettivamente ancora non avevamo mai affrontato l'argomento coppia. 

Una parte di me era convinta di amarlo l'altra parte invece scappava. Fortunatamente anche Gellert non si era mai esposto, non mi aveva detto dì amarmi e se lo avesse fatto, non sapevo come avrei reagito. Con Gellert mi bastavano i suoi gesti,  non avevo bisogno di parole. Le sue azioni nei miei confronti erano molto più importanti di un ti amo. 

Dopo il matrimonio di Shu tornammo a Zurigo. Io mi sentivo sempre più enorme e una volta a casa ebbi la sensazione che l'appartamento dove io e Gellert abitavamo fosse invece troppo piccolo. Assurdo ma vero, dovevo cercare casa! Era comodo vivere nella sede della KuK e dovevo rinunciarci per dare spazio alle mie gemelle. Ebbene ne era passata di acqua sotto i ponti in quei lunghi mesi. Non dissi a Gellert delle mie intenzioni, cercare un appartamento era anche un modo per essere indipendente e non dover rinunciare a me stessa. 

In quei mesi fortunatamente lo stipendio che mi era stato versato sul conto non era stato usato per molto, per cui avevo messo da parte un bel gruzzolo da poter avere anche un eventuale caparra. I contratti che avevamo portato avanti per Von König erano stati molto fruttuosi e anche quelli in Cina non erano da meno. Shu ci aveva presentato vari collaboratori con cui lavorava ed avevamo iniziato a prendere un bel giro anche lì. Eddy ne era estasiato, non si aspettava un botto del genere da parte nostra. Credo non si aspettasse neanche che io al momento fossi l'amante di suo cugino, ebbene sì avrei dovuto dire a Eddie e Ada che aspettavo le figlie di Gellert. Ma non avevo il coraggio, non lo avevo detto a lei e neanche più i miei genitori. Avevo paura di come avrebbero reagito, che avrebbero pensato allo scandalo e al momento avevano già tanti pensieri con la scomparsa di Alaska. 

Trasferirmi a Zurigo era la giusta conclusione delle mia vita, nessuno mi conosceva o mi giudicava e potevo anche essere una ragazza madre. Quindi dovevo prendere casa, era il passo più importante per farlo. Sinceramente non sapevo da dove cominciare, dovevo capire se restare in quella zona, pratica per il lavoro, o meno. Non sapevo neanche come Gellert avrebbe reagito all'idea che sarei andata via. 

Iniziai a vedere degli appartamenti seriamente, dovevano essere con cucina bagno e almeno due camere, le bambine non avrebbero dovuto dormire con me né più e né meno, infine dovevano avere un affitto ragionevole. Dopo aver iniziato a vedere qualcosa ed essermi fatta un'idea dovevo indubbiamente affrontare l'argomento con Gellert. Così attesi di portare prima a termine i contratti e il lavoro, dopodiché lo invitai a cena fuori. Avevo prenotato un tavolo nel nostro ristorante preferito. Non ci andavamo spesso era il luogo in cui festeggiavamo le buone riuscite dei contratti più importanti. Gellert fu infatti sospetto quando lo invitai. Probabilmente stava chiedendosi perché lo avessi portato lì. Una volta accomodati e dopo aver ordinato era andato infatti al dunque. Lo sapevo! Non gli sfuggiva nulla. 

"È successo qualcosa? Ci sono novità su tua sorella?" Mi chiese. 

Novità su mia sorella? No, purtroppo no. "Niente ancora. Speriamo ce ne siano presto." Affermai. 

"Quindi cosa ci porta qui questa sera?" Mi chiese. "Spero cose belle." 

Annuii. "In realtà sì. Sto prendendo in considerazione l'idea di prendere un appartamento, per me è un modo importante per crescere. Quindi sì! C'è tanto in ballo, non voglio abitare più dove stiamo e credo sia giunto il momento di andare a vivere da sola." Gli dissi velocemente temendo che mi interrompesse. 

Lui mi fissò, all'inizio sembrava interessato poi lo vedi sorpreso. Si mise comodo, bevve un sorso d'acqua e mi sorrise.

"Avevo pensato anche io di cercare casa." Affermò incrociando le dita lunghe e affusolate. "Anche se non avevo idea che tu volessi andare a vivere da sola." Disse facendomi sentire in colpa nonostante non ci fosse accusa nella sua voce. "Avevo pensato di cercare casa per entrambi, al limite insieme, ma forse la pensiamo diversamente." Mi disse.

Ingoiai il groppo. "Credevo che a te stesse bene la nostra sistemazione. È comodo vivere in ufficio." Gli dissi. 

"Ovvio che lo sia, soprattutto se sono solo. Ma non mi è comodo nel momento stesso in cui già siamo in due. I nostri vestiti sono sparsi in una valigia, non abbiamo neanche un armadio. Poi nasceranno le bambine e credo che anche tu sia giunta a questa conclusione, per questo motivo. Non possiamo vivere in uno sgabuzzino, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini." Mi disse intanto che arrivava la cameriera con i nostri piatti.

Aspettammo che andasse via e Gellert riprese a parlare. "Hai già visto una casa? Io ne ho cercate, sinceramente alla fine sono giunto alla conclusione che nessuna casa fosse adatta a me." Affermò. "Probabilmente perché la soluzione era cercarla insieme." Mi disse ancora tagliando il suo filetto. "Però credo che sia relativa adesso la cosa, tu vuoi andare a vivere da sola, ovunque tu vorrai  andare, io cercherò qualcosa di vicino. Come ti ho detto tempo fa, sarò al tuo fianco e sarò parte integrante di te voglio e della nostra famiglia. Voglio far parte della crescita dei nostri figli e il meglio per te stessa." Concluse riprendendo a mangiare. 

Non sapevo cosa dirgli. Ero spaventata, lui era impassibile come sempre e come sempre avrei dovuto decifrarlo. Gellert era sempre stato sincero con me, comprese le sue intenzioni. Decisamente il minimo che potevo fare era dirgli la verità su ciò che provavo.

"Mi farebbe piacere poter vedere una casa con te, ciò che temo però è di diventare troppo invadente nei tuoi confronti." Ammisi cercando il suo sguardo. "Non voglio obbligarti a fare cose che non ti senti di fare, soprattutto non voglio approfittare di te, per questo ti avevo escluso." Ammisi, lui annuì ed io andai avanti. "Da quando siamo rientrati, ancora non sei stato a trovare i tuoi genitori a Monaco. Semmai scoprissero della gravidanza potrebbero pensare che io ti abbia incastrato." Gli dissi rivelandogli la mia paura più grande, adoravo Inga e Taddheus. "Io non voglio questo, proprio perché abbiamo sempre avuto un rapporto schietto e sincero. Io voglio che tu sia libero di fare le tue scelte e per questo che mi sono mossa da sola in modo individuale. Anche se non so da dove iniziare, non ho mai preso una casa e ne ho un'idea astratta su come dovrebbe essere." Ammisi, ero abituata a vivere in abitazioni lussuose. Jonathan mi aveva portato a vivere dai suoi, cosa ne sapevo di casa se non assolutamente nulla. "So solo che cerco l'essenziale per tutti. Con un bagno e una vasca." Ammisi marcando su questo ultimo punto. "Mi sarebbe piaciuto farlo con te, ma... ho paura di deludere te e i tuoi genitori." Ammisi infine abbassando lo sguardo. "Scusami forse avrei dovuto parlarti prima di tutto ciò che mi passava per la testa." Dissi rialzando lo sguardo, Gellert solo una cosa mi aveva chiesto nel nostro rapporto. Parlarci e non avere paura di ciò che dicevamo, abbassare lo sguardo significava nascondersi, .

Lui mi fissò attentamente, esalò un profondo respiro prima di rispondermi. Il suo sguardo era limpido e sincero, non sembrava deluso. "I miei genitori verranno a trovarci qui." Mi confessò stupendomi. "Mamma sta prendendo tempo, vorrebbe essere presente alla nascita delle gemelle." Ancora restavo basita ad ogni sua parola, sapevano delle gemelle e della gravidanza. "Loro sanno tutto, fu mamma a dirmi che probabilmente eri incinta. In quel momento le dissi anche che se Pamela avrebbe continuato ad essere capricciosa e indisponente, non sarei tornato a Monaco." Disse affrontando quell'argomento che per me era una spina nel fianco. "Non so cosa cazzo le sia preso, ma non mi piace il suo atteggiamento. Lo ha con me e non con nostro fratello maggiore ed è inaccettabile. Lo sa Pamela, lo sanno i miei genitori e lo sa mio fratello che non vive a Monaco." Mi confidò parlandomi anche di suo fratello maggiore che non conoscevo ancora poiché viveva in America. 

"Non voglio che litighi con tua sorella per me." Affermai. 

"Non sto litigando con lei, non mi piace alzare la voce, non mi piace scontrarmi con un mulo." Ammise lui. "Inoltre non lo faccio per te, ma per me stesso. Rispetto le scelte degli altri, loro dovrebbero fare lo stesso con me. Soprattutto se le mie scelte mi fanno stare bene." Mi confidò. 

Sorrisi contenta che lo facessi stare bene. "Potresti pentirtene un giorno." Gli dissi. 

Lui mugugnò. "Mamma e papà stanno organizzando il loro lavoro per essere presenti alla nascita delle loro prime nipotine. Mio fratello è contento per me, Joel ti adora, le tue amiche mi hanno accettato, tua sorella mi adora anche se non lo ammetterà mai." Disse compiaciuto. "Direi che per ora non avrei nulla di cui pentirmi. E tu?" Mi chiese. 

Mi pungevano gli occhi dall'emozione. Io? Io non sapevo cosa rispondergli se non che volevo stare con lui. "Io non mi sono mai pentita di tutto ciò che abbiamo fatto fino ad oggi." Gli rivelai.

Gellert allungò la mano verso la mia prendendola. Intrecciò le nostre dita e mi guardò. "Non ho ancora un nome per ciò che sento. Non so neanche se tu saresti pronta a sentirlo."

Mi confidò. "So solo che voglio camminare al tuo fianco un passo alla volta." 

Chiusi gli occhi, piangevo, sentivo il volto umido. Quelle erano le parole più belle che potesse dire, mi comprendeva. "Non ho bisogno di sapere nulla, quello che devo sentire lo percepisco già."  Ammisi riaprendo gli occhi. "Sono una stupida, piango senza motivo." Dissi cercando di ironizzare.

"Piangi perché hai fatto raffreddare la tua carne." Ironizzò lui.

Io scoppiai a ridere. "Sei una cosa assurda."  

Lui rise. "Quindi? Vuoi o no una casa insieme? Ti avverto, dovrà avere almeno tre stanze, perché i miei genitori verranno sempre a trovarci. Loro, Joel , la tua amica Silvia che si è invitata ultimamente, aspetto anche i tuoi genitori." Mi disse.

Ecco! Lui era stato più pratico di me, non due ma almeno tre stanze.

"Voglio una casa insieme a te. Comoda e pratica, inoltre sono pessima in cucina, però sono ordinata e pulita." Ammisi 

"Voglio una casa insieme a te anche io. Dovrà essere essenziale, non  verrà utilizzata sempre poiché viaggeremo sempre. Ma voglio una casa nostra con te! Non devi sentirti obbligata perché ti ho detto che volevo fare questa cosa insieme, voglio che tu sia libera di decidere per te stessa. Sei sicura di volerlo Brook? Se vuoi che viviamo insieme, vivremo insieme. Se vuoi vivere da sola vivrai da sola non è un contratto il nostro è una scelta. L'importante è che decidi tu, non voglio manipolarti come hanno fatto già altri." Mi disse sincero e comprendevo benissimo ciò che stava dicendomi, ero stata manipolata per anni da Jonathan e i suoi genitori. "Non so se comprendi la mia motivazione e il motivo per cui non ti avevo detto ancora proposto della casa.

Volevo affrontare l'argomento e decidere con te, perché semmai dovessi comprare una casa la comprerei per noi." Concluse per la prima volta usando il termine noi. Voleva comprare una casa e non prenderla in affitto. 

"Devo dire lo voglio o lo rifiuto?" Gli chiesi avvertendo la sua insicurezza. Comprare non era al pari di affittare, comprare era qualcosa di più solido.

"Devi dirmi tu Brook, siamo due persone distinte che devono prendere una decisione insieme da solo io non decido niente che ci riguardi." Mi disse.

Sospirai stringendogli la mano unita alla mia. Lo volevo?  "Andiamo a cercare una casa." Acconsentii, era un salto nel buio. Ma come mi aveva appena detto, ci saremo andati insieme un passo alla volta, senza pressioni. 

Non fu facile trovare una casa. Alla fine scoprii che Gellert non voleva vivere in un appartamento troppo vicino all'ufficio. Voleva allontanarsi dal Bahnhofstrasse per fuggire anche dal lavoro. Nel momento in cui aveva una casa, voleva dedicarsi alla sua famiglia. Dal momento che mi parve più che giusto lo assecondai. Andammo quindi alla ricerca di una casa più in periferia, ma abbastanza comoda per arrivare al centro finanziario di Zurigo anche con i mezzi pubblici.

 

GELLERT

La mia carriera era in ascesa. Non potevo nascondere che non ne fossi soddisfatto, era un periodo proficuo a livello professionale e personale. Brooklyn era diventata parte integrante della mia vita in qualsiasi istante. Con lei volevo e desideravo prendermi degli spazi che non includessero solo contratti e leggi. Fino a quel momento, ad esempio, con James Von König nonostante il bel rapporto, non eravamo mai usciti come amici. Da quando c'era Brooklyn invece avevamo ampliato la nostra conoscenza. Brooke aveva iniziato a frequentare Halum e Nathalie e di conseguenza ci eravamo trovati ad uscire insieme. Non mi aveva imbarazzato farlo, né James si era sentito a disagio nel momento stesso in cui aveva messo da parte l'uomo d'affari per dedicarsi ai suoi due gemelli di diciotto mesi. 

Stavo bene, mi piaceva quella vita. Mi piaceva anche socializzare, cosa che non mi sarei aspettato. Quando sentivo Joel ne dava tutto il merito a Brooke e sinceramente non potevo negarlo. 

Il fatto che nel mio giro di amicizie iniziavo a includere altre persone come Li Son, James  e Zora, significava uscire dalla mia confort zone. Quella creata con Joel, Didier e Sonia, zona che comunque era andata a infrangersi nel momento stesso in cui i miei amici avevano iniziato a fare coppia fissa. Io stavo rinascendo e questo grazie a Brooke.

Al matrimonio di Lì Son e Shu Yan capii comunque che strada da fare ce n'era ancora. Quando incontrai Silvia Morandi, la terza amica di Brooklyn capii subito che non le piacevo. Durante il periodo a Pechino infatti, non permise mai a me e Brooke di restare da soli. Manipolava anche le nostre notti affermando che avevano tanto da recuperare. 

"Verrò a trovarvi quanto meno ve lo aspettate, il prima possibile." Ci disse quando ci salutammo all'aeroporto. 

Sapevo che era sincera, perché nel dirlo mi lanciò uno sguardo molto più eloquente di un guanto di sfida. Non si fidava di me! 

Ma tornammo in Svizzera, finalmente eravamo di nuovo solo io e Brooke e la cosa mi fece più che piacere.

Anche se appena tornammo a casa mi sentii soffocare. Non comprendevo all'inizio cosa fosse quella sensazione che avevo provato, ne parlai così con Joel appena ci sentimmo, gli dissi come mi sentivo e lui si fece raccontare cosa era stata la causa scatenante di quella sensazione. Gli raccontai quindi che prima di partire ero stato bene e anche a casa di Sabrina, dove eravamo stati stretti, ero stato bene.  Ovvio negli emirati arabi ero stato molto meglio che altrove, lavoravo e mi rilassavo anche. 

"Probabilmente la città ti sta scomoda." Mi rispose il mio amico. "Vieni da un posto dove comunque hai vissuto in modo più rilassato. Mi hai detto che con Brooke uscivi, abitavate in albergo e andavate in giro, che lavoravi alla Von König. Mi hai detto che anche in Cina siete state accolti in una villa e andavi a lavorare in ufficio. Adesso sei tornato nel tuo appartamento e io lo conosco quel posto. È piccolo e angustiante e fin quando lo usi per lavorare va anche bene. Ma lì ci vivete anche, da solo ci stavi ovviamente  bene." "Dici che il problema sia l'ufficio?" Chiesi scettico. 

"Gel io lo conosco il tuo ufficio. Ci sono delle finestrelle che servono appena per far passare l'aria." Mi disse Joel.  "Probabilmente è proprio l'ufficio il tuo problema, a Dubai avete avuto molto più spazio per muovervi, inoltre mi hai confermato che non ci lavoravi."

"Perché andavo negli uffici. James ce  ne ha assegnato uno sia a Dubai che a Shangai."

"Appunto, forse nel tuo inconscio il lavoro ti sta soffocando, oppure soffoca la tua relazione con Brooke." Mi disse.

"Ma io amo il mio lavoro e amo farlo con lei." Gli dissi. "Perché dovrei sentirmi soffocare dal momento che l'ho fatto anche a Dubai? 

"Probabilmente, te lo ripeto,  perché a Dubai avevi il vostro spazio, vivevate in una suite e andavate alla sede della Van König, dove hai avuto un ufficio. Non parliamo di quando sei stato in Cina, non mi riferisco a Shanghai, parlo di Pechino lì eravate praticamente in vacanza. Sinceramente Gellert non andiamo in vacanza da quando abbiamo finito il Santa Maria, ci metto anche me che quando non ero all'università ritornavo a casa da mia madre. Comunque, dopo tanto tempo ti sei preso una vacanza e adesso ti senti soffocare dagli impegni poiché non hai un distacco. Non esci dall'ufficio e vai a casa."

"Non ho una casa." Affermai. 

"Perché non ne sentivi l'esigenza." Mi disse lui. "No! Prima ero solo, adesso c'è Brooke e tra qualche mese nasceranno le gemelle." Gli dissi. "La sto facendo dormire su un letto scomodissimo." 

Joel sorrise oltre la cornetta. "Vuoi che stia bene. Parlane con Brooklyn vedi se anche lei ha provato questa sensazione di soffocamento. Cercate una casa."

Assentii. Era Brooke la mia casa, ero convinto che ovunque ci fosse lei sarei stato a casa. Che senso aveva l'analisi che mi aveva fatto Joel. Che ne sapeva di tutte le volte che rientrati in suite ci liberavamo degli stereotipi lasciandoci andare al disordine? Di tutte le volte che facevamo l'amore ovunque ci facesse piacere? E di quando urlavamo senza senso? 

Mi guardai intorno allo spazio angusto della stanza dove dormivamo. Era squallida! Aveva ragione Joel, non era una casa ma una topaia dove poteva rifugiarsi solo un poveraccio senza anima. Io non ero così. Forse prima mi concentravo solo sul lavoro, ma adesso avevo altre priorità. 

"Gellert?" Mi chiamò Brooke, doveva essere rientrata.

La raggiunsi, aveva un sacchetto con la nostra cena in una mano e uno dei miei vestiti nell'altra. "Puoi posare la cena? Vado a sistemare il vestito e possiamo mangiare." Mi disse andando nella stanza dei vestiti sparsi. 

Non aveva neanche un armadio tutto suo. Decisamente dovevano trovare casa. Dovevo guardarmi intorno.

Scoprii solo dopo che contemporaneamente anche Brooke stava cercando casa. 

"Vado a vivere da sola." Quando me lo disse rimasi di pietra.

Voleva lasciarmi? Così di punto in bianco non me l'aspettavo. Mi sentiii stringere il cuore, mi presi tutto il tempo per rispondere per cercare di rimanere impassibile.

"Avevo pensato anche io di cercare casa. Anche se non avevo idea che tu volessi andare a vivere da sola." Dissi confessandole tutta la verità. "Avevo pensato di cercare casa per entrambi, al limite insieme, ma forse la pensiamo diversamente."

Composta come sempre mi rispose. "Credevo che a te stesse bene la nostra sistemazione. È comodo vivere in ufficio." 

"Ovvio che lo sia, soprattutto se sono solo. Ma non mi è comodo nel momento stesso in cui già siamo in due. I nostri vestiti sono sparsi in una valigia, non abbiamo neanche un armadio. Poi nasceranno le bambine e credo che anche tu sia giunta a questa conclusione, per questo motivo. Non possiamo vivere in uno sgabuzzino, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini." Le dissi dicendole in breve i miei motivi. Intanto la cameriera ci portò le nostre ordinazioni.

"Hai già visto una casa? Io ne ho cercate, sinceramente alla fine sono giunto alla conclusione che nessuna casa fosse adatta a me. Probabilmente perché la soluzione era cercarla insieme." Ma mi ero illuso, pensai tagliando il suo filetto. "Però credo che sia relativa adesso la cosa, tu vuoi andare a vivere da sola, ovunque tu vorrai  andare, io cercherò qualcosa di vicino. Come ti ho detto tempo fa, sarò al tuo fianco e sarò parte integrante di te voglio e della nostra famiglia. Voglio far parte della crescita dei nostri figli e il meglio per te stessa." Le dissi iniziando a mangiare, non l'avrei soffocata e obbligata a stare con me. 

"Mi farebbe piacere poter vedere una casa con te, ciò che temo però è di diventare troppo invadente nei tuoi confronti. Non voglio obbligarti a fare cose che non ti senti di fare, soprattutto non voglio approfittare di te, per questo ti avevo escluso." Mi disse lasciandomi basito, quello che aveva appena detto lo provato io. "Da quando siamo rientrati, ancora non sei stato a trovare i tuoi genitori a Monaco. Semmai scoprissero della gravidanza potrebbero pensare che io ti abbia incastrato." La sentii dire, a quelle parole risi tra me e me. I miei genitori l'amavano ed erano felicissimi all'idea di avere altri nipoti e soprattutto che potessero vederli spesso e conoscerli e intanto che Brooke parlava io annuivo, stava temendo il peggio e non sarebbe andata in quel modo. "Ho paura di deludere te e i tuoi genitori."

Con quell'affermazione la affrontai definitivamente. I miei genitori l'adoravano e non vedevano l'ora di raggiungerci. Le dissi tutta la verità, se erano loro il problema aveva capito male. Sentivo mamma una volta a settimana ed era fremente per quando sarebbe tornata. Brooke doveva capire che non era la mia famiglia che ci avrebbe fermato. 

"Voglio una casa insieme a te anche io. Dovrà essere essenziale, non  verrà utilizzata sempre poiché viaggeremo sempre. Ma voglio una casa nostra con te!" Le dissi stringendole la mano. "Non devi sentirti obbligata perché ti ho detto che volevo fare questa cosa insieme, voglio che tu sia libera di decidere per te stessa."

Le chiesi, non volevo soffocarla, per questo era importante mettere le cose in chiaro, dopo non saremo potuti tornare indietro. "Se vuoi che viviamo insieme, vivremo insieme. Se vuoi vivere da sola vivrai da sola non è un contratto il nostro è una scelta. L'importante è che decidi tu, non voglio manipolarti come hanno fatto già altri.Non so se comprendi la mia motivazione e il motivo per cui non ti avevo detto ancora proposto della casa." Non volevo essere un altro Jonathan nella sua vita, volevo che fossimo un noi. 

"Volevo affrontare l'argomento e decidere con te, perché semmai dovessi comprare una casa la comprerei per noi." Ammisi rivelandole le mie intenzioni . 

"Devo dire lo voglio o lo rifiuto?" Mi chiese titubante.

"Devi dirmi tu Brooke, siamo due persone distinte che devono prendere una decisione insieme da solo io non decido niente che ci riguardi." Le dissi ricordandole che non l'avrei mai manipolata.

Sospirò stringendomi la mano che le tenevo.  "Andiamo a cercare una casa."

Appena disse quella frase mi sentii più leggero. L'avremo fatto insieme, avremo continuato insieme quel percorso. 

Avevo le idee chiare su ciò che volevo, che le avesse anche lei era meglio. Entrambi cercavano qualcosa di essenziale, in più io cercavo qualcosa lontano dall'ufficio. Trovammo una villetta a due piani poco fuori il Bahnhofstrasse, sul lago di Zurigo e in una zona residenziale, nei pressi c'erano un parco e le scuole dal nido alle secondarie. Era l'ideale per noi! 

Ottenemmo facilmente il mutuo, anche grazie all'intervento di Joel che ci fece da garante attraverso la London Banks. Meno di un mese ed eravamo diventati proprietari di una splendida villetta sul lago di Zurigo. Avremmo dovuto fare una piccola ristrutturazione esterna, anche se io e Brooke concordammo che per il momento non era il caso. Avremo fatto svolgere i lavori una volta partiti per la Cina o gli Emirati così gli operai, e anche noi, non avrebbero avuto intralci. 

A metà aprile Joel venne a darci una mano col trasloco, se così potevamo chiamarlo. Inoltre sorprendendoci ci regalò un letto a cassonetto come augurio per la casa. 

"Sei serio?" Gli chiese Brooklyn quando vide il camion del mobilificio.

"Certo! Stanotte vorrei dormire in un bel letto confortevole." Disse a entrambi mentre scaricavano. "Tranquilli, è moderno come la vostra casa."

Io e Brooklyn ci guardammo. Il letto era realmente moderno, era un matrimoniale a contenitore, i cassetti sotto il materasso e la struttura erano neri. Il materasso era grande e rigido al punto giusto. Ad accompagnare il tutto un copriletto sempre nero. 

"Spero che le lenzuola le abbiate." Ci disse Joel. 

"Quanto hai intenzione di restare?" Gli chiesi. 

"Ho assistito alla nascita del mio nipotino, posso perdermi quella delle gemelle?" Mi rispose abbracciandomi soddisfatto.

"Cosa succede?" Gli chiesi. Dimostrava fin troppa allegria e disinvoltura e non era da lui.

"Fammi stare un po' qui! In fondo sono il tuo garante." Chiese lui. 

Con un colpo di tosse Brooke attirò la nostra attenzione. "Sistemo le pentole e i contenitori nei mobili." Disse uscendo dalla stanza. "Voi mettete in ordine gli armadi e dal momento che lo hai comprato, svuota la valigia Joel e riempi il tuo letto." Disse rivolta a Joel prima di sparire. 

"Ha capito al volo che avevo bisogno di parlarti." Dissi. "Quella donna merita tutto il mio cuore." 

"Sei stato molto fortunato." Mi disse Joel aprendo la sua valigia. 

"Mi spieghi da chi stai scappando? Avevo capito che gli zii erano tornati a Boston dopo la nascita di Alberto." Gli chiesi diretto. 

"Ho litigato con Micaela e questa volta non si torna indietro." Mi rispose. "Questo è un luogo neutro, mamma e tutta la famiglia non potranno trovarmi qui." 

"Come sono andati i fatti?" Gli chiesi. Ero a conoscenza della cotta di Micaela, anche se pensavo che Joel riusciva a gestirla. 

Lui invece sospirò. "Mi ha affrontato direttamente, nel Kleinsten quando è nato Alberto." Mi raccontò. "Ha detto che la vita è imprevedibile dopo la prematura scomparsa della sua migliore amica." 

"Cioè vuole morire?" Gli chiesi. 

Scosse la testa. "Mi ha chiesto di metterci insieme, perché è innamorato di me e non gli importa se sono più grande di nove anni. Che mi ama e dovremmo stare insieme."

"Ha snocciolato tutto." Dissi sospirando.

"Al che ho dovuto dirle di no! Questa volta non ho potuto o nascondermi. Le ho detto che ero innamorato di un'altra, anche se non era andata a buon fine. Tommy le ha poi confermato che amo ancora Sonia, lei non se lo aspettava. Credeva mentissi anche se ci ha provato ancora. Mi ha detto che non eravamo destinati e che capiva il le volessi molto bene e quindi potevamo stare insieme. Mi avrebbe aiutato a dimenticare Sonia."

"Effettivamente potevi provarci." Gli dissi.

"Preferendole che sarebbe stata una prova."

"Stavo per accettare infatti. Ma lei parlava: con me sarai felice, quando sarai pronto ci sposeremo e metteremo su famiglia." Il suo sguardo azzurro divenne cupo. "Quando ha cominciato a parlare di famigli, ma soprattutto di avere dei figli nostri, l'ho fermata. Le ho detto che anche se avessi accettato la sua proposta e ci fossimo sposati, noi non avremmo mai avuto dei figli." 

Tacqui chiudendo il cadetto dove avevo messo alcuni maglioni e sedendomi sul letto. "Non vuoi dei figli?" 

Joel sospirò sedendosi accanto a me. "Certo! Ma se questo implica lo stesso calvario di Mà preferisco rinunciare." 

Giusto! La zia Marina era morta in seguito a delle complicanze durante la gravidanza di Micaela. 

"Ha fatto la pazza." Continuò Joel. "Mi ha urlato contro che non potevo impedirle di avere figli e che ne avremmo avuti. Al che io le ho detto che avevo promesso a Mà di proteggerla, non di farla morire e che per amor suo non avremo mai avuto dei figli." 

Sorrisi. "Hai rivelato anche la tua cotta per la zia Marina."

"La adoravo, ovvio che glielo abbia detto." Dissi. "Lei di è rimasta malissimo, anche perché poi tuo zio si è detto d'accordo con me che era meglio andarci piano al pensiero di mettere su famiglia." 

"Ci siete andati giù duri." Affermai. 

"Lei è arrabbiata con tutti. Ha detto che sarebbe tornata a Boston per conoscere il figlio di Gabriel, poi sarebbe ripartita. Aveva bisogno di allontanarsi da tutti." 

"Lo zio ha accettato? Credevo che dopo il naufragio fosse diventato più protettivo." Dissi. 

"Sai del naufragio e della sua amica quindi." Mi disse.

Annuii. London mi aveva subito messo a conoscenza dei fatti, Philip Hoffman aveva dirottato il suo yatch e nel farlo, la sorella di London e un marinaio erano annegati e morti. Mi era dispiaciuto molto per London e la sua famiglia, era stata una vera tragedia. "London mi ha contattato per assorbire la società di Hoffman come riscatto per la scomparsa della sorella." Spiegai. 

Lui sospirò. "È stata una tragedia e ha avuto ripercussioni su tutti noi. La mamma ha convinto tuo zio a lasciarla partire. Ora più che mai è meglio non opprimerla, non sappiamo come potrebbe reagire." Mi disse. 

"Vedrai che le passerà, per lei sarebbe una cotta, giusto?" Gli chiesi cercando di capire se c'era dell'interesse da parte sua. 

Joel si stese. "Lo spero. Anche perché le voglio bene come una sorella." Ammise. "Quindi posso restare qui?" 

"Sonia e Didier verranno sicuramente a conoscere le gemelle." Gli ricordai. 

"Farò l'indifferente, come sempre."  Rispose con una risata cinica. "Sono diventato proprio una brutta persona." 

"Non è vero, sei sempre splendido e metti sempre gli altri prima di te." Gli dissi con una pacca. "Vedrai, un giorno sarai felice anche tu." 

"Gellert!" Mi chiamò dal basso Brooke. 

"Eccomi!" Le risposi. 

"Dove hai messo  le scatole di Silvia? I traslocatori stanno andando via e non le trovo." Mi urlò.

Le scatole di Silvia. Feci mente locale per poi guardare Joel. "Dove abbiamo portato la macchina per cucire?" Chiesi.

"Qui.... Ho messo tutti gli scatoloni in un angolo quando hanno montato il letto. Chi cazzo è Silvia?" Mi chiese. 

Sollevai una mano. "Brooke sono qui,  macchina del cucito compresa." 

"Perfetto! Vi aspetto giù, ho ordinato la cena." Rispose lei. 

"Tra un po' si mangia." Esultai. "Silvia è un'amica di Brooke. Arriverà la prima settimana di maggio, fortunatamente non prima." Gli risposi. 

"Non ti piace?" Mi chiese lui divertito. 

Feci spallucce. "Io non piaccio a lei."

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia i primi tre capitolo si svolgono in contemporanea e sono in ordine di lettura La storia di Thomas Il tesoro più prezioso; la storia di Gabriel Keller in Liberi di essere se stessi e da questo momento anche con la Thomas & Sapphire story. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE Albero Genealogico:I Thompson - I Keller - Kleinsten

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GELLERT 

Il tempo trascorse velocemente una volta che ci eravamo trasferiti. 

Grazie alla presenza di Joel rimodernammo anche l'ufficio. Spostammo la scrivania nella stanza dove avevamo dormito dove ci lasciai la poltrona mettendola ad angolo ed un archivio. 

Brooklyn volle spostare invece gli archivi nella vecchia stanza 'armadio'. Li fece mettere tutti in ordine contro il muro, dopodiché decise che dovevamo girare i mercati dell'usato per trovare nuovi complementi d'arredo. Ci volevano almeno un tavolo nella sala archivi, dove lei avrebbe lavorato, qualche scaffale che avrebbe avuto funzione di libreria per tutti i miei libri di diritto e altri archivi per le pratiche concluse; sedie, un'altra scrivania e qualche quadro. 

"Dobbiamo avere un'immagine adeguata a quello che sta diventando lo studio associato." Mi disse. "Ada mi ha detto che abbiamo un nuovo avvocato che si occupa dei clienti in Turchia e Grecia.  Più cresciamo più dobbiamo essere efficienti." Affermò. 

Effettivamente aveva ragione, un mercato dell' usato era il luogo adatto dove potevamo trovare cose buone a prezzo basso. 

Nonostante la mia compagna non lavorasse perché entrata in maternità stava dandosi parecchio da fare. 

Quando tornammo a casa quella sera era entusiasta all'idea di andare ai mercatini. "Potremmo andare sabato, che ne dici Joel, sei dei nostri?" Disse eccitata scendendo dall'auto.

"Potrei anche restare a casa senza fare il terzo incomodo." Rispose lui seguendola. "Che ne dici Brooke, così al ritorno trovate il pranzo pronto?" 

Risi divertito sentendoli battibeccare. "Potresti non ricordarmi che sono pessima in cucina?" Gli disse lei prendendolo a braccetto

"L'importante è che tu sia brava a riordinare e pulire." Disse lui.

"Brooookyyyyy!" Esultò una voce dalla porta di casa. 

Brooke lasciò andare Joel guardando verso la porta. "Silvia?" 

"Siii! Sorpresa!" Esclamò uscendo allo scoperto. "Ragazzi dovete mettere delle luci esterne, mi sentivo vulnerabile qui da sola." Disse abbracciando Brooke  baciando sulle guance. 

"Con calma faremo tutto."  Rispose l'altra ricambiando l'abbraccio. "Joel lei è Silvia, Silvy lui è Joel il migliore amico di Gellert." 

"Ciao piacere di conoscerti." Le disse Joel che venne a mettersi la mio fianco mentre aprivi la porta. 

"Perché non ci hai chiamato, saremo venuti a prenderti." Dissi alla rossa che entrò in casa guardandosi intorno curiosa. 

"Volevo farvi una sorpresa." Rispose voltandosi verso Joel. "Oh grazie per aver preso la mia valigia." Gli disse raggiungendolo. "Dentro è carino" Affermò.

La differenza tra dentro e fuori era palese, prima di trasferirci avevano fatto imbiancare e dipingere tutte le pareti. Avevamo lasciato il pavimento  in simil cotto perché ci piacevano quelle mattonelle, cambiammo solo quelle dei servizi, ovviamente anche quelli cambiati. La casa disponeva inoltre di una cucina in muratura, demolirla sarebbe stato dispendioso, così avevamo deciso nel frattempo di cambiare solo il forno e il piano cottura rigorosamente a induzione. La casa andava per la maggiore con i pannelli solari che avevo preso alla 2L a un prezzo riservato grazie a Liam. Il pagamento mi era stato però bloccato da London che non voleva essere pagato. 

Quando Liam me lo aveva detto, gli avevo chiesto accigliato di accettare il bonifico. Lui mi aveva risposto che dovevo vedermela con London e che erano affari nostri. "Da quando si è trasferito in Grecia è difficile stabilire quando possiamo vederci." Gli dissi. 

"Disse quello che passa sei mesi l'anno tra Cina ed Emirati Arabi." Ironizzò lui. 

Sbuffai. "Lo sentirò!" Gli dissi. 

Tornai alla realtà quando sentii Silvia urlare. Dio quanto era esuberante! Non sapevo se sarei riuscito a reggerla fino alla nascita delle gemelle. 

"La cucina è spettacolare." Esultò. "Avete le erbe aromatiche? Oh cavolo avrei dovuto portarvi qualche piantina di basilico... vi preparo la pasta e la focaccia... Dio che bella." Urlava muovendosi tra il forno e l' isola a centro stanza. "Potrei insegnarvi tanti piatti squisiti qui." 

"Posso imparare a far la pasta. Per il resto lascio il testimone a Joel." Dissi pensando che avrei potuto reggerla più di un mese se sapeva cucinare. 

"Svogliato! Prima o poi ognuno tornerà alle proprie residenze." Mi prese in giro Joel. "Da dove vieni Silvia?" 

"Genova! I genitori miei e di Brooke si conoscono da quando eravamo piccole." Rispose lei. 

Fissai sorpreso Brooklyn che annuì. "Silvia è stata la mia prima amica di penna, grazie a lei decisi di averne delle altre. Quando conobbi Sabrina, volle conoscerla anche lei perché interessata al tedesco, Sabrina poi ci presentò Shu." Raccontai. 

Silvia intanto stava controllando il frigorifero tirando fuori delle uova. "Tu invece escludesti la mia amica Michelle, è una bomba. Se venite in Italia farò una gran rimpatriata e ve la presenterò." Disse la rossa che continuava ad aprire i pensili. 

"Se mi dici cosa ti serve ti aiuto io." Chiese Joel. 

"Farina, acqua, sale..." Rispaoe la rossa. 

"Quante amiche di penna avete in totale?" Chiesi curioso alle due.

"Mmm..." mugugnò la rossa che stava assaggiando del formaggio. "Io ho Michelle in Francia, sua cugina Dora in Brasile, infine avevo una compagna di Madrid con cui ho perso i contatti e una polacca, che da Genova si è trasferita a Napoli." Raccontò sbattendo le uova. "Mi serve una padella!" Concluse rivolta a Joel. 

"Io avevo un'amica di penna irlandese, ma non è andata a buon fine. Negli anni ci siamo perse e non è mai venuta a trovarmi a casa, io da lei ci sono stata. Poi ho conosciuto Jonathan a sedici anni ed ho smesso di viaggiare." Rispose Brooke. "Shu ha un'amica di penna a Mosca e una in Thailandia." Concluse cambiando argomento. "Sil, le tue cose sono nella stanza di Joel. Poi le trasferiamo domani, ok?" Chiese. 

"Non ti preparerò nulla questa sera a parte una frittata al formaggio, voglio impastare anche kl pane, domani lo inforniamo poi." Disse. "Ho una fame. Vi stavo aspettando da un po'."

"Dobbiamo comprare un altro letto, per ora silvia andrà nella stanza degli ospiti." Dissi a Brooke. "Però poi arriveranno mamma e papà." Le ricordai. 

Lei annuì. "Hai ragione. Non possiamo trovarlo al mercato dell'usato vero?" Mi chiese. 

"Presumo di no." Le dissi divertito. 

"Scusate ma..." Si intromise Silvia. "Sapevate che sarei arrivata, come avete preso la sua camera non potevate farlo anche per me! Anzi no, sicuramente io c'ero prima di lui. Si prende un divano letto e Joel dormirà lì." Propose. 

"Che cosa?!" Esclamò indignato Joel. Guardando ora me, ora Brooke. "Chi di voi glielo dice?" Chiese.

"Brooke." Dissi io. Non volevo inimicarmi ancora di più Silvia.

"Cosa c'è? La principessa è sensibile alle scomodità." Esordì la rossa. 

"Ehm... Silvia quella è la stanza di Joel perché se l'è arredata lui." Le spiegò Brooke. "In previsione del fatto che starà spesso qui, ha comprato la camera da letto." 

"Serio?!" Chiese lei guardando Joel. 

"Puoi comprare un bel divano letto però. Starai comoda." Le disse il mio amico tranquillo. Le diede le spalle andando a prendere delle verdure dal frigo che poi sciacquò, per lui il discorso era chiuso. 

"Comunque, per ora i genitori di Gellert ancora non arrivano. Starai nella seconda stanza degli ospiti." Le disse Brooke. 

"Anche perché le stanze sono queste. Non pensavamo ci fosse bisogno di altre camere e abbiamo cercato una casa confortevole più che gigantesca e ingestibile." Risposi io cercando di capire dove mettere il divano letto.

Brooke mi guardò anche lei pensierosa. Quando avevamo preso la casa il numero di tre camere ci era parso giusto. Una per noi, la seconda per le bambine e poi quella per gli ospiti. Ne avevamo trovata una con ben quattro camere da letto e per noi era già tanto. Ma adesso si poneva il problema di Silvia. 

"Mettete il divano letto nella camera dei bambini per ora." Disse Joel tagliando le zucchine. Come sempre riusciva a comprendermi al volo. "Non è arredata giusto?"  

"Non ancora. I miei genitori dicono che spetta a loro." Affermai. 

"Allora non fasciatavi la testa prima del tempo, se il problema è lo spazio cercherò un altro posto dove stare. In fondo qui è bello, cercherò un appartamento. Io non posso separarmi da te." Mi disse Joel con un'occhiolino e un sorriso stampato in volto.

"Non vorrai mica andartene di casa!" Intervenne immediatamente Brooke. "Sei di famiglia, noi ti vogliamo bene, non te ne puoi andare." Affermò risentita. "Ci stiamo! Cosa volete che sia, saremo un po' stretti ma ci staremo. È stato un errore nostro, sapevo che sarebbe venuta Silvia, avrei dovuto organizzare meglio la casa e pensare a una soluzione. Abbiamo sempre saputo  che una stanza era designata per  Inga e Taddheus." Giusto! Loro sarebbero stati molto spesso da noi. "Quindi per ora compriamo un divano letto, comodo." Precisò la mia compagna. "E lì sistemiamo Silvia, nella stanza dei bambini. Le culle le metteremo nella nostra stanza per ora." Disse rivolgendosi a me. 

Annuii, la nostra stanza non era arredata, ci eravamo portati il letto che era in ufficio e l' appendiabiti. Questo perché la priorità era stata arredare la stanza dei miei e sistemare decentemente il piano di sotto. Almeno così avremmo avuto tutto lo spazio che serviva per la culla. 

"Questa è una bella soluzione." Dissi baciando Brooke. "Si può sempre fondare sulle tue doti organizzative. Quindi voi due, state tranquilli. Siete nostri ospiti e resterete a casa nostra per ora. Va bene?" Chiesi a Silvia e Joel che mi guardarono scettici. 

"Se la principessa si è comprato il letto, mi accontento del divano letto." Disse cinica Silvia fissando con sfida il mio migliore amico.

Quella convivenza sarebbe stata molto, molto dura, me lo sentivo. 

Con queste premesse continuammo ad arredare la casa. Girammo un bel po' di mercatini dell'usato e trovammo ciò che Brooklyn voleva prendere per lo studio. Nonché un armadio per la nostra camera da letto e qualche ninnolo per la casa. Poco alla volta senza invadere troppo, anche Joel iniziava a riempire la sua stanza con discrezione, proprio per non offenderci. Probabilmente aveva preso una panca cassettone in qualche negozio, mentre la poltrona grigia e la scrivania con cui potesse lavorare, le trovò al mercato dell'usato insieme a noi.

Gli scatoloni di Silvia erano stati spostati nella stanza dei bambini, dove oltre al divano letto anche elle aveva una poltrona sempre della stessa collezione del divano, la sua macchina da cucire, adesso era in bellavista e il nostro vecchio appendiabiti.

Silvia si stava dando da fare per il corredino delle nostre bambine, sia io che Joel rimanemmo piacevolmente stupiti dal tipo di lavoro che faceva. Non era facile poiché Silvia ricamava a mano oppure sferruzzava le copertine che stava preparando. Il suo lavoro era quello e lo faceva con passione. Essendo una persona benestante, ci aveva detto, poteva permettersi il lusso di fare ciò che voleva e quando voleva. Aveva molta creatività e una clientela selezionata, non tutti potevano permettersi dei corredi fatti a mano.

Le erano sempre piaciuti i bambini, come ci disse, soprattutto le piaceva vederli preparati bene, che fossero maschi o femmine e poiché non le piacevano i vestitini stereotipati. Per questo quando aveva avuto l'occasione aveva utilizzato il suo talento di stilista, creando i disegni per una collezione commerciale, sui vestiti non c'era il suo nome, ma a lei andava bene poiché le piaceva molto di più creare corredi o vestiti per i battesimi anziché altro. 

Intorno il 10 maggio arrivarono anche mamma e papà erano raggianti e ne capivo il motivo. Appena era nato mio nipote Abel, Gabriel subito mi aveva fatto sapere la notizia mandandomi una foto del secondo figlio. Comprendevo quindi quanto i miei genitori fossero contenti in quel periodo, anche io lo ero.

Ridussi il lavoro ed evitai di prendere impegni per il prossimo mese, la gravidanza giungeva al termine e la presunta data del parto era vicina. 

Il 22 maggio dopo due ore di travaglio, vennero la luce le nostre gemelle, Luna e Aurora. Una aveva i capelli rossi proprio come i miei mentre Aurora aveva dei capelli che tendevano più al castano chiaro come quelli di Brooke, gli occhi di entrambe erano azzurri. Le gemelle calamitarono subito su di loro l'attenzione di tutti noi, le amammo immediatamente. Io e Brooklyn capimmo anche che ci avrebbero dato molto da fare. Rientrammo a casa prima della fine del mese. Mi sorpresi quando vennero a trovarci Shu Yan e Li Son, di passaggio prima che tornassero a casa in Cina, e anche loro a quanto pareva in dolce attesa. Con loro arrivarono anche Zora e Sabrina. Dovemmo organizzare per bene i letti, Joel subito diede la sua stanza alle ragazze, dicendo che avrebbe dormito nel divano letto di Silvia con Li Son senza problemi. 

Il vero problema fu quando arrivarono Sonia e Didier a trovare le bambine, nonostante Shu e Li fossero tornati in Cina, c'erano sempre i miei genitori e Zora con Sabrina. 

Vidi Joel irrigidirsi, infatti quando fummo soli mi disse che sarebbe rientrato a Monaco per la sera. Era da noi da più tempo ed era giusto andasse via. Mi rammaricai molto, vedevo il dispiacere anche negli occhi di Silvia, il problema era che io non ero dispiaciuto che andasse via. Lo ero perché notavo ancora degli attriti tra Joel e Didier con Sonia, eravamo stati molto amici noi quattro e  non riuscivamo più a stare insieme come un tempo. 

"È il caso che vada via anche io. Come Joel sto qui da inizio maggio. Sicuramente i vostri amici vorranno godersi le gemelle e voi tutti." Disse Silvia a Brooklyn temendo di essere di troppo. Così dopo aver pranzato tutti insieme, in un clima decisamente snervante, Joel e Silvia ci salutarono. 

Io intanto ricominciai a lavorare con regolarità. Ad aiutare Brooke c'era mamma, lei e papà restarono parecchio con noi, e meno male. A metà giugno con sorpresa vennero a trovarci anche la zia Terry e lo zio Jason con Eddy e Joan. 

"Non ci credo! Che sorpresa." Dissi vedendoli in ufficio. 

"La sorpresa ce l'hai fatta tu." Disse mia zia venendo ad abbracciarmi. "Quando tua madre ci ha detto delle gemelle siamo rimaste estasiate. Ho aspettato che la tua bellissima casa fosse vuota per venire a trovare te e Brooklyn. Lei sta bene?" Mi chiese. 

"Per ora si. Con l'aiuto di mamma e papà riesce a gestire le gemelle." Le dissi. "Non vedo l'ora di farvi vedere la mia casa." Conclusi entusiasta, mi sentivo appagato e credo si notasse agli occhi di tutti. 

 

BROOKLYN 

La nascita delle gemelle diede alla mia vita una nuova prospettiva. Amavo le mie bambine e sicuramente ne amavo anche il padre. Da quando c'erano loro due le nostre giornate erano piene. Perché ogni cosa doveva finire e dopo la loro nascita a luglio, Inga e Taddheus dovettero lasciarci. Anzi, fummo noi a dover lasciare loro. Gellert fu chiamato da un nuovo cliente in Cina e quale sua assistente dovetti seguirlo, con le bambine ovviamente. 

Adesso che c'erano loro dovevano cambiare i nostri ritmi e anche le nostre scelte di vita. Come anche i viaggi che spesso ci portavano in giro per il nord Europa, gli emirati e l'Asia. A Shangai quando eravamo arrivati ci era andata abbastanza bene, contemporaneamente ricevemmo anche una telefonata dal Fujihara, facemmo scalo quindi negli emirati arabi prima rientrare a Zurigo a fine luglio. 

Rientrammo che la segreteria telefonica era piena di messaggi. Indubbiamente dovevamo recuperare il lavoro in casa e rimetterci in carreggiata. 

Portavo le bambine dietro con me almeno in ufficio, non avevo altra soluzione per poterle seguire. In ufficio invece, io e Gellert ci alternavamo a tenerle se facevano capricci. Eravamo talmente oberati di lavoro, che non riuscì neanche ad andare a trovare i miei genitori a Boston quell'estate.

Addirittura a settembre fui sorpresa nel trovarmi Dallas alla porta dell'ufficio.

Non mi aspettavo di vederlo, mentre lui non si aspettava di vedere le due gemelle. Ne rimase entusiasta e felice accogliendole con molta gioia. 

Mi disse anche che aveva capito perché mi ero tenuta tutto per me, senza rivelare a nessuno delle gemelle. 

"Ti senti libera, senza che nessuno ti opprimi. Per  questo non hai detto niente a nessuno." Affermò.

In realtà non mi era mai sembrato il momento giusto. "Non ho avuto il tempo, avrei voluto dirlo subito alla mamma. Ma all'epoca aveva il pensiero sulla scomparsa di Alaska, e..." Mi trattenni dal continuare.

Fu lui che tranquillo continuò l'argomento Alaska. "Lo so. Ma adesso è più tranquilla, quando sono ritornato a casa a maggio, le ho spiegato che non doveva preoccuparsi. Che Alaska sta bene. Adesso lo dico anche a te, stai tranquilla e procedi con la tua vita. Se Alaska fosse morta lo avrei capito subito." Mi disse, ero a conoscenza del rapporto empatico che c'era tra i gemelli. Fissai le mie gemelline pensando che probabilmente anche loro avrebbero avuto quel tipo di legame. Credevo a Dallas, la piccola Alaska stava bene. Me l'aveva detto anche Gellert, eravamo persone coriacee noi Thompson, per cui reagivamo e non ci facevamo buttare giù neanche dalla tempesta più forte che esisteva. 

"In realtà sarei dovuto venire qui ad aprile." Mi confidò Dallas strizzandomi l'occhio. "Ma ho conosciuto una ragazza ad aprile e ho preferito passare un bel po' di tempo a svagarmi con lei." "Era carina?" Gli chiesi curiosa. 

"Si! Siamo stati bene. Spero  tu non te ne dispiaccia se non sono venuto prima." Mi disse sincero  mio fratello.

Risi divertita. "È stato il fascino della divisa a farti fare conquiste." Lo presi in giro. "Hai fatto benissimo, adesso ti toccherà ritornare in Afghanistan. È importante che ti trovi degli svaghi, non pensare a noi." Gli ricordai. 

"Grazie sorellina, sono contento che tu mi capisca." Mi disse.

Fui contenta di poter presentare Dallas a Gellert quando questi rientrò. Il mio compagno restò stupito della sobrietà di mio fratello. Probabilmente si aspettava una persona rigorosa come me, o di polso come Adela. In realtà Dallas era l'opposto. Anche per questo mi chiedevo come facesse a svolgere lavoro di soldato. 

Ci lasciò una settimana dopo per raggiungere la base Nato a Vicenza, da li sarebbe partito per la nuova missione. 

Organizzai nel frattempo la nuova trasferta negli Emirati Arabi, le pratiche da seguire si erano accumulate in quei mesi, come anche quelle con le aziende in Cina. Gellert aveva iniziato a lavorarci e io procedevo alle traduzioni per la Cina. Ma dovevamo partire, riuscii a fare un programma per i primi quattro mesi, da novembre a febbraio. Intanto decisi di prendere una segretaria che ci controllasse la sede di Zurigo con la sua presenza così da non perdere i clienti. Era assurdo, ma pensai che era bello avere a disposizione un jet come faceva mio cognato per i suoi spostamenti. Se lo chiamavano in poche poteva essere reperibile. 

Il viaggio per Dubai fortunatamente ci fu organizzato da Jams Von König, nostro cliente abituatale negli emirati, la cerchia si era allargata. Ma il rapporto con James e sua moglie era unico. Fu il viaggio in aereo con le gemelle e fu un successo. 

A Dubai prendemmo un'altra decisione, proprio per le bambine. Dovevamo prendere una balia che le seguisse quando noi eravamo a lavorare. A Zurigo l'ufficio era nostro e potevamo gestirle, anche loro nonostante avessero pochi mesi avevano capito che in ufficio c'erano regole da seguireQuando si tornava a casa si davano da fare tra urla e pianti di attenzione, ma in ufficio no. Le due potevano piangere quanto volevano, non le assecondavamo proprio per lavorare e liberarci presto. A lungo andare avevano smesso di piangere quando eravamo a lavoro, avevano la mia attenzione solo quando davo loro da mangiare e Gellert le cambiava. 

Nathalie ci aiutò a trovare una balia che potesse aiutarci con i bambini, poiché era una ragazza diffidente mi consigliò per il meglio la nipote della sua stessa balia, cosicché andassi sul futuro. Aveva quattordici anni, ma Sana sapeva farci con i bambini. Inoltre io le insegnavo l'inglese e lei mi permetteva di ampliare la mia conoscenza con l'arabo.

A dicembre stavamo per affrontare la ormai difficoltà col lavoro a Zurigo, ci chiamavano dalla Shudler e dovevamo intervenire prima di perdere il nostro pezzo grosso. 

"Chiama Ada e vedi se riesce ad andare lei." Disse Gellert.

Speravo sinceramente che mia sorella fosse libera  era quasi Natale e forse non voleva partire. Ma Adela fortunatamente mi disse che ci avrebbe pensato lei. 

"Ti devo un favore!" Le disse a telefono Gellert quando si sentirono la settimana successiva. 

"Tutto bene?" Gli chiesi preoccupata. 

"Sì! Ha risolto tutto. È rientrata a Boston, ma ha detto che ripartirà a gennaio per vedere gli amministratori della Shudler e anche Berkel a Monaco." Mi informò. "Pare che la signora Creek l'abbia aggiornata dei contratti più urgenti da prendere in mano." 

"È incinta sai?" Gli dissi. "Per febbraio dobbiamo rientrare. Non possiamo permetterle di partorire lontano dalla sua famiglia." 

"Non sapevo aspettasse un bambino." Mi rispose lui. 

Gli sorrisi baciandolo. "Ebbene si! Nascerà ad aprile e sarà una bimba." 

"E noi amiamo tanto le bimbe." Mi sorrise lui ricambiando il bacio. "Anche se sono isteriche e ci fanno impazzire." 

"Ce la possiamo fare, vero Gellert?" Gli chiesi speranzosa. 

Lui mi fissò annuendo. "Chiamo Eddy! Al nostro rientro in Europa cercherò un avvocato che possa restare fisso in ufficio per i clienti più importanti."

"Intendi anche l'azienda di tuo padre?" Gli chiesi. "Soprattutto per quella." Ammise. 

 

Lo facemmo! Quando rientrammo a Zurigo, Gellert partì per Londra per affrontare l'argomento con suo cugino. C'era da implementare lo staff e dal momento che eddy nonostante fosse avvocato non militava, avevamo bisogno di una mano fissa e costante lì in Europa Il nostro studio fu ampliato con due nuove leve. Gellert mi disse che sia lui, che Ada non approvavano molto le scelte di Eddy, gli avvocati scelti dal socio infatti gli erano parsi poco combattivi. Ma noi avevamo bisogno urgente di qualcuno che seguisse almeno le pratiche più semplici e anche la compagna di London in Grecia necessitava di assistenza dopo il parto avvenuto a fine gennaio. 

Adela nel frattempo si sarebbe gestita solo la sua piccola clientela a Boston e la Thompson & sons. Poi dopo il parto si sarebbe visto. 

Con queste premesse la KuK ripartì più agguerrita di prima. Anche quell'anno non rientrai a Boston, rividi però genitori e fratelli quando Dallas organizzò una videoconferenza tutti insieme. Li aggiornai che stavo bene e che ero obiettata di lavoro, omettendo di dire loro che chi mi assorbiva di più erano le gemelle e che se ero stanza dipendeva dalla mia nuova gravidanza. 

Non lo dissi a nessuno anche questa volta perché volevo dirlo prima a Gellert che era partito per l'estensione del contratto con la Shudler in Danimarca. Non ero andata con lui a Copenaghen perché ancora non avevamo chi ci tenesse le bambine e non me l'ero sentita di portare Sana fuori dal suo paese. In realtà avevo visto qualcuno, ma tutte le tate che si presentavano erano giovani e belle, sinceramente non mi piaceva come guadavano Gellert durante i colloqui. Fu in quell'occasione che compresi di essere gelosa di lui. 

In compenso Gellert sembrava indifferente a tutte, anzi a fine colloquio mi lanciava uno sguardo insoddisfatto. Ero io che dovevo decidere e l'esito era sempre lo stesso. "Le faremo sapere." 

"Quindi non tornerai a casa per ora tesoro?" Mi chiese mamma dallo schermo. 

"No! Ho in programma di andare a trovare Silvia a Genova, è nato suo figlio Tommaso e ancora non sono stata a trovarla." Le dissi. 

"Così ti potrai godere un po' il mare italiano." Disse London. "Io invece torno massimo il mese prossimo per fare dei controlli alla Thompson e alla G&L, con l'assenza di Gabriel uno dei due deve essere presente." 

"Non vedo l'ora di abbracciare Hope." Disse mamma. 

"Mi dispiace mamma, ma lei non riesce a venire con me. Diamond ha un bel po' di lavoro e qui abbiamo la baby sitter che può aiutarla." Rispose. "Però aspettiamo sempre con piacere te e papà." 

"Ce lo ha detto anche Kostas." Rispose papà. 

Kostas se avevo capito bene era uno dei due soci greci di papà con cui andava molto d'accordo.  

"Tu Dallas quando rientri?" Chiese papà a mio fratello minore. 

"Non per ora. Per questo ho voluto vedervi, dopo la missione mi toccherà l'addestramento alla base di Vicenza, se tutto va bene l'anno prossimo divento sergente." Ci informò. 

"Ormai siete cresciuti e tutti impegnati." Disse la mamma. "Mi mancate, tutti e cinque." 

"Dals non riesci a prendere neanche un giorno di licenza?" Chiesi a mio fratello. 

Lui annuì. "Andrò a trovare il mio amico Ed, ci ritroviamo a metà strada in Francia." 

"Non si era arruolato anche lui?" Chiese mio padre.

"Si! Per questo ci troviamo in Francia. La sua accademia militare è in Inghilterra." Rispose. 

"RiescI a rientrare per Natale Dals?" Gli chiese mamma. 

"Sarò in missione a Natale." Rispose secco. 

"Al limite ci aggiorniamo più avanti." Disse quindi mamma cercando di non mostrare la sua amarezza. 

"Anche Chester non ci sarà a Natale." Intervenni cambiando argomento.

"Bugiarda." Disse mio fratello. "Sono l'unico che resta a Boston." 

"Ma dovresti cercare il ragazzo che ti piaceva, ovunque egli sia sparito." Dissi senza preoccuparmi della presenza di mamma e papà. 

"È acqua passata ormai Brooke." Disse lui.

"Davvero vuoi vivere di rimpianti?" Intervenne Adela. "Ha ragione Brooke. Cerca il suo amore e dichiarati." 

"Almeno se non va tu hai fatto di tutto per stare con lui." Gli dissi. 

"Io so dove si trova." Ci disse London. "Fai un fischio e ti mando il suo indirizzo." 

"A proposito di felicità." Disse Chester. "Il tuo amico Giannis è passato a trovarci settimana scorsa."  

"È arrivato in America quindi?" Chiesi. "Gli ho detto che li avreste ospitati mamma." 

"Non è voluto restare, ci ha portato i saluti dei genitori ed ha preso un té. Ma poi è andato via, la sua ragazza lo aspettava alla barca." 

"Lei non c'era?" Chiese ai nostri genitori London. Non conoscevo il suo amico quindi non potevo seguire la conversazione.

"No! Giannis ha detto che era stanca per la lunga traversata." Disse papà. "Avresti dovuto prestargli il Persefone." 

London rise. "Così sarei rimasto senza casa. Comunque devo raggiungere Di!" Disse a tutti. "Vi saluto e mi raccomando, non lavorate troppo." 

"Vi saluto anche io." Disse Adelaide.  "Devo allattare Eva, si è svegliata." 

"Capisco." Dissi. "Dalle un bacio da parte mia. Poi verrò a trovarvi, a settembre parto per il Qatar e poi andrò negli Emirati. Quindi a Natale avrò il fuso orario."

"Che coincide un po' col mio." Disse Dallas, forse ci vediamo per gli auguri. 

"Ok! Ciao ciao a rutti."  Li salutai. 

"Ciao Brooke. Noi ci sentiamo a telefono." Mi salutò Adela. "Ciao Dals, ti aspetto qui Lon." Concluse prima di staccare la videocamera. 

Salutai anche io tutti di nuovo e staccai. 

Tornai al lavoro e solo quando finii raggiunsi la signora Creek e le mie figlie per tornare a casa. 

Avrei dovuto dire ai miei delle bambine, avevano già  un anno e i nonni non sapevano della loro esistenza. Cosa mi bloccava dal farlo? 

Non lo sapevo ancora, avevo bisogno del mio tempo forse. 

Con Gellert ero abituata ad avere i miei tempi, forse proprio per questo gli dicevo tutto senza attendere, perché scoprivo che eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Quando non gli avevo parlato c'eravamo quasi lasciati e non volevo accadesse. Non con due bambine di un anno e un terzo in arrivo. Chissà come l'avrebbe presa questa volta. 

Dovetti attendere una settimana prima di scoprirlo. Tornò aa Zurigo nel primo pomeriggio dicendo alla signora Creek che avrebbe sentito il giorno dopo del lavoro. Mi cinse le braccia e mi portò nel suo studio. 

Quando fummo soli mi baciò con passione. "Mi sei mancata! Le bimbe?" 

"Quando sono qui sono sempre buone, al contrario casa è un macello." Gli risposi 

"Dobbiamo prendere una governante. Non una balia." Mi dissi sospirando. "Stai bene, ti hanno stancata?" Mi chiese premuroso. 

Risi. "Sono abituata a loro due ormai. Poi non si sentono qui, fidati sono sveglie." Gli dissi. 

Lui sorrise indicandomi la porta della biblioteca. "Che dici, faccio loro una sorpresa?" 

Scossi la testa. "No! Sai che qui devono essere tranquille. Se ti vedono non so come reagirebbero." Gli dissi. "Aspettaci in auto, spengo il pc e ti raggiungiamo." Gli dissi. 

"Si signora." Disse dandomi un altro bacio. "Fai presto." 

Feci il prima possibile. Spensi il pc e andai a prendere le bambine che nel box si stavano contendendo un ninnolo. "Ehi signorine, andiamo a casa." 

Luna mi guardò e mi sorrise. Dio quanto amavo le mie bambine. 

"Mama..." mi chiamò Aurora. 

"Eccomi, adesso andiamo". Risposi tirandole fuori dal box e mettendole nei passeggini. 

Salutammo la signora Creek e andai spedita verso la macchina. Come prevedibile quando videro il padre all' auto iniziarono a urlare come pazze. "Papà... papà...". Non la smettevano di urlare.

Gellert subito regalò alle nostre figlie un sorriso a trentadue denti. 

Le prese in braccio una ad una coccolandole e dando loro il giusto tempo, dopodiché le mise in macchina, chiuse i passeggini e mi raggiunse. 

"Questa macchina non va bene più." Mi disse. 

"Ma no,siamo comodi." Gli risposi, mi piaceva la nostra Panda era piccola e confortevole.

"È un po' stretta ." Affermò ancora lui. "Semmai dovessimo avere un altro figlio non ci andrebbe." 

Al che mi zittii.  Lui mi guardò sospetto. 

"Ho detto qualcosa di sbagliato? Parlavo della macchina che è decisamente piccola. Ma forse ho sbagliato, dimmelo se è così."

Io lo guardai mordendomi le labbra, non so lui cosa capì in quel momento. Ma probabilmente vide l'emozione nei miei occhi, una sorta di felicità e trepidazione al tempo stesso, perché non partì.

"Brooke, siamo in quattro in questa macchina vero?" Mi chiese lentamente. 

Feci spallucce, un'altra smorfia, anche se involontariamente mi toccai la pancia.

Gellert continuava a guardarmi, prima stupito poi raggiante.  

"Forse è presto." Disse. "Però sono contento." Mi disse.

Anche io lo ero, soprattutto perché le gemelle erano ancora piccole. Ma se a entrambi andava bene e la cosa non ci disturbava avremmo potuto farcela. 

"Spero che sia maschio." Gli dissi.

Ma Gellert rise scuotendo la testa. "Io spero non soccomba alle due pesti qui dietro." Rispose. 

Al che risi anche io. Luna e Aurora erano molto vivaci, luna molto di più. Chiunque si sarebbe aggiunto alla nostra famiglia sicuramente diceva tirare fuori la grinta. 

Come dissi ai miei quell'estate la trascorsi in Italia da Silvia, suo figlio Tommaso aveva quattro mesi e ancora non avevo avuto modo di conoscerlo. 

A Genova io e Gellert entrammo in modalità vacanza, anche perché venimmo raggiunti da Inga e Taddheus che non vedevano l'ora di stare con le nipoti. 

Rientrammo a casa prima della fine di agosto, così da organizzare il lavoro in vista della partenza per il Qatar, da lì saremo andati negli Emirati. 

Partimmo con una balia in prova, Lana mi fu presentata da Zora e Sabrina, era una loro amica austriaca laureata in psicologia e pedagogia, si era presa una pausa  dal lavoro dopo essersi lasciato con la sua collega di lavoro. Poteva avere tutte le credenziali per seguire le nostre gemelle, era stata maestra d'asilo, non era immatura, non era interessata agli uomini ed essendo conosciuta da Sabrina, potevo fidarmi di lei. Partimmo per il Qatar, intanto scoprimmo che aspettato una terza bambina, l'avremo chiamata Sonne. In seguito lasciammo il Qatar per andare in Cina, prima a Shangai, poi a Pechino dove festeggiammo il Natale con Shu, Li e il loro bambino. Ci aspettava la tappa degli emirati che ci avrebbe visti lontano da casa per altri tre mesi almeno. 

"Penso sia il caso tu non venga negli Emirati."Mi disse Gellert sorprendendomi.

"Perché?" Chiesi sentendomi messa da parte."Siamo una squadra, facciamo sempre tutto insieme."

 Al che lui mi sfiorò la pancia. "Stai per concludere il settimo mese e sto cercando di  non essere egoista e averti tutta per me." Mi rivelò baciandomi. "Dovrei portarti in giro da un Emirato all'altro in questo stato e senza nessuno che possa assisterti." Mi spiegò. 

Annuii, al parto delle gemelle avevo Inga e Silvia che mi erano sempre state vicine. "So che dev9 fermarti." Ammisi. 

"Torna a Zurigo oppure vai a Monaco dai miei. Comprendo che non posso tenerti con me per quanto io voglia essere sempre presente nelle tue giornate."

Lo comprendevo, non c'ero arrivata da sola anche se spesso mi ero chiesta dove sarebbe nata Sonne. Come sempre io e Gellert pensavamo le stesse cose, non era il caso di far nascere la bambina negli Emirati anche perché oltre essere sola, era un periodo molto caldo e non immaginavo come sarebbe stata dura.

Nonostante con le gemelle avessi avuto solo due ore di travaglio, il mio era stato un parto naturale e lo stesso sarebbe stato anche con Sonne per cui accettai la sua proposta decidendo di tornare a Zurigo

Chiese addirittura a Gellert di non chiamare i suoi genitori poiché a Natale andavano dal papà di Taddheus e lui al ritorno doveva recuperare il lavoro. 

"Chiederò a mia mamma di raggiungermi. Ada deve venire a Zurigo per l'incontro con la Shudler, le chiederò di portare anche mamma, non ti preoccupare avrò chi si prenderà cura di me." Gli dissi. 

"Io terrò le bambine con me, così avrai un pensiero in meno. Tanto ci sarà Lana ad aiutarmi e a Dubai richiamerò anche la piccola Sana."

Mi dissi. 

Così quando fu il momento di lasciare la

Cina, dopo il capodanno, io presi un aereo per Zurigo mentre la mia famiglia andava ad Abu Dabhi. 

Come previsto una volta a casa, quando chiamai mamma, lei subito accettò.

"Era ora Brooke." Mi disse. "Sai pensavo non ci avresti mai invitato e che volessi escluderci completamente dalla tua vita." Confessò.

Non credevo di avere dato questa impressione a mia mamma, così sorridendo  le dissi che non era vero, anzi che la invitavo perché volevo averla nella mia vita per un momento importante. Sapevo aveva tanti altri pensieri e non volevo disturbarla. 

"Io sto bene, visto che avete mille problemi e pensieri tra Adela e Alaska, ho preferito non disturbarvi. Vi aspetto e non per due o tre giorni, vi aspetto per tutto il tempo che volete restare. Sarete ospiti a casa mia." Le dissi.

"Va bene appena tua sorella è pronta per partire noi verremo via con lei, così le daremo una mano con Eva e Abel." Mi disse la mamma con aria rassegnata. 

"Lì come va la situazione?" Le chiesi.

Lei fu titubante, dopodiché mi rispose, forse cercando le parole giuste. "Lei e Gabriel tentennano ma vanno avanti."

"Abbiamo degli avvocati qui proprio per evitare di chiamarla sempre. Purtroppo ci sono dei clienti che conoscono lei e Gel, quindi fanno affidamento su di loro. Purtroppo Gellert al momento è negli Emirati. Mi dispiace perché anche colpa nostra se il suo matrimonio è in crisi."

Al che mia madre fece un colpo di tosse. "Non è colpa vostra, hanno scelto dei lavori per cui entrambi viaggiano molto e quando sono a casa cercano di recuperare il rapporto che hanno. Ma non puoi fare in 15 giorni ciò che dovresti fare giorno dopo giorno per una vita intera." Mi spiegò mamma.

Compresi cosa cercava di dire, era la stessa premessa che c'eravamo fatti io e Gellert. Essere sempre presenti nelle vite delle nostre figlie, ma soprattutto esserci nella vita all'uno dell'altra. Gabriel e Adele si erano sempre amati e voluti bene. Mi chiedevo cosa fosse andato storto a parte gli impegni di entrambi. Speravo sinceramente che risolvessero i loro problemi matrimoniali

"Vi aspetto qui a Zurigo." Le dissi. "Fammi sapere quando atterrate che vi faccio trovare una cena a puntino. Ti mando anche l'indirizzo, io non potrò venire a prendervi." Dissi.

Volevo preparare per loro una bellissima accoglienza, così quando Ada mi chiamò dicendomi che erano atterrati mi mobilitai per mettere a tavola una buona cena.

Chiama il mio ristorante preferito chiedendo i piatti tipici, sinceramente avevo imparato a cucinare un poco ma non ero a livello di Silvia. A casa io e Gellert facevamo il minimo indispensabile per nutrire la nostra famiglia. Io e Gellert avevamo deciso di non focalizzarci sulle cose che non sapevamo fare, era importante fare l'indispensabile per nutrirci e non avvelenare la nostra famiglia.

Quando arrivarono i miei genitori ero al telefono con Silvia. Mi chiamava tutte le sere per sapevo come stavo, o lei o Joel non mancavano di farsi sentire sapendo che Gellert non c'era. Così quando bussarono al campanello per la  consegna della cena aprii porta e cancelletto senza remore. 

Stavo finendo di apparecchiare la tavola chiacchierando con la mia amica, dicendole che Sonne scalciava insistente, che presto ci sarebbero stati i miei genitori  e che avrei mangiato il pollo piccante proprio come piaceva a me in quel periodo.

Mentre stavo dicendo queste cose mi voltai trovandomi di fronte mia sorella e i miei genitori che mi guardavano decisamente stupiti Mamma e Ada avevano tra le mani la nostra cena, del facchino non c'era traccia.

"Silvia devo salutarti sono arrivati mamma e papà." Le dissi. 

"Salutameli e digli che li aspetto a Genova. È tanto che non li vedo." Mi rispose lei.

"Ti salutano anche loro. Ciao Silvia." La salutai. 

Stacca il telefono andando a prendere subito la cena da mano a mamma. "Dovevo pagare. Vi avevo detto di avvertirmi non è ancora pronto." Mi lamentai, ero contenta di rivederli anche se nella mia testa sarei corsa ad abbracciare mamma e papà, non a togliere cibo dalle braccia. "Meno male che non cucini tu." Affermò mia madre tornando in sé. 

"Abbiamo pagato noi il fattorino mandandolo via." Disse papà. 

Io iniziai a svuotare le scatole mettendo tutto nei vassoio  pronti a tavola. 

"Quando mi avresti detto che eri incinta?" Chiese mamma. 

"Volevo farvi una sorpresa." 

"Oh benedetta ragazza!" Esclamò papà. "Ce l'hai fatta, eccome." Disse  con un sorriso che gli arrivava fino agli occhi azzurri. "È una sorpresa bellissima quando è successo?" 

"Più di sette mesi fa papà." Affermai chinando lo sguardo. "Vi chiedo  scusa, sono stata un'egoista." Confessai. "Vi ho chiamati perché volevo foste presenti al momento del parto."

"Non ti azzardare a darti dell'egoista." Disse mamma grintosa. "Sta  per nascere un nipote e io resterò qui prima e dopo il parto." 

"Meno male, perché la vostra stanza è pronta. Io credo di essere pronta manca solo che esca Sonne." 

"È un bel nome, è svizzero?" Chiese mamma.  Guardai i miei genitori e Ada. "Sonne in tedesco vuol dire sole, questa bambina è un raggio di sole nella vita mia e del loro papà." Raccontai raggiungendo Ada. "Dormiamo insieme stasera. Ti va?" Le chiesi e lei annuì.

 

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