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Autore: MelaniaTs    08/01/2021    0 recensioni
Boston è una cittadina fiorente e bellissima, ordinaria sotto certi aspetti ed anche molto conservatrice. Adelaide Thompson, cresciuta nell'alta borghesia Bostoniana, non vede l'ora di spiegare le ali verso la libertà. Gabriel Keller, però sembra pensare il contrario.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wing of freedom Saga dei Keller'
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COPYRIGHT: Le mie storie non sono assolutamente prelevabili e non potete spacciarle per vostre!
Vi ricordo inoltre che: Tutti i nomi, i caratteri e le storie dei personaggi presenti sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o/e eventi realmente esistenti o esistite è puramente casuale.

ATTENZIONE: ©
Questa è una saga di famiglia si svolge in contemporanea con la storia di Thomas Davis in Il tesoro più prezioso. Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie.

La la KCG è ispirata alla BCG - Boston consulting group esiste realmente, è una multinazionale del Massachusetts con sedi in quasi tutti gli Stati europei (2 almeno in Italia) l’ho usata ma con nomi e storia diverse, quindi anche in questo caso è tutto di mia invenzione.
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro Mappa della Gran Bretagna INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Personaggi principali durante la serie, cliccate per visualizzare: Gabriel (Adam Cowie) - Adelaide (Nataniele Bibiero - London (Kivanc tatlitug - Chester (Mark Rowley) - Brooklyn (Vika Bronova) - Dallas & Alaska (Amelia Zadro) Geller Keller (Michael Fassbender giovane) - Michaela Keller (Alessandra Deserti)
MAPPA DI BOSTON così da rendervi tutto più chiaro INFORMATIVA ARRIVATA FINO AD ORA SULLA SERIE -Albero Genealogico:I Thompson - I Keller

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Boston - Anni 80-90

                    Simon, aveva conosciuto sua moglie Manila durante una vacanza a Rio de Janeiro. All'epoca aveva venticinque anni ed era fresco di laurea. Aveva conosciuto Manila durante una festa a Capocabana, se ne era invaghito e, quando era giunto il momento, se l'era portata dietro a Boston nonostante la disapprovazione dei suoi genitori. I due avevano lottato tanto per stare insieme, Simon si era anche allontanato dalla famiglia pur di stare con Manila, erano giovani e non guardavano in faccia a nulla, incuranti delle malelingue. 
Lui aveva iniziato a lavorare come manovale per mantenere lei, che comunque si era cercata un lavoro, e dopo un anno da quel giorno era nato anche il loro primo figlio. London era stata una sorpresa per i due, ma era stato accolto con gioia. Dopo solo una settimana dalla scoperta della gravidanza, la giovane coppia eccitata aveva iniziato a fare progetti. Samuel aveva deciso quindi di prendere in mano la sua laurea al MIT* per trovare un lavoro decente e Manila aveva iniziato a cercare un lavoro da sarta, sicuramente meno faticoso della cameriera. 
Questo era stato solo il primo di tanti cambiamenti, avevano cercato un appartamento che potesse accogliere un figlio, abbandonando il loro monolocale ed avevano iniziato ad essere più parsimoniosi. 
London era nato un anno dopo il matrimonio dei due, era splendido. Un bambino con gli occhi scuri di sua madre, la pelle olivastra e i capelli biondi scuri. Era stato molto amato, anche se per breve si era potuto definire il figlio unico dei Thompson. Dopo meno di due anni infatti era venuto al mondo Chester, al contrario del fratello maggiore, era moro in tutto e per tutto, pelle olivastra, capelli scuri e occhi castani. Così simile a Manila e la coppia ne andava fiera, avevano due figli sani e belli. 
L'unica pecca erano le finanze che scarseggiavano. Manila con due bambini non poteva seguire tanto il lavoro così Simon doveva faticare il doppio. Era troppo orgoglioso per tornare da suo padre che lo aveva accusato di immaturità, stessa cosa Manila. Adam Murray l'aveva accusata di essere un profittatrice dicendo che aveva seguito Simon solo per soldi. Mai avrebbe detto al marito di tornare dal padre. 
Per questo la coppia si stupì nel ritrovarsi una domenica pomeriggi i genitori di lui alla porta. Sia Manila che Simon erano reticenti a lasciarli entrare nella loro casa e nella loro vita, anche se i bambini riposavano era comunque un'invasione alla loro vita. Ma l'espressione triste di Adelaide Thompson aveva fatto desistere i due. In fondo cosa aveva ella mai fatto per meritarsi un rifiuto da parte loro? Nulla! Aveva solo taciuto senza prendere parti quando Manila era arrivata in America.
Così li avevano fatti entrare in casa, la prima cosa che Adelaide aveva fatto era stata abbracciare il figlio in lacrime. La seconda era stata chiedere perdono per se e per il marito, che silenzioso si teneva in disparte. Avevano quindi pensato i giovani che i due vecchi erano lì semplicemente per volere di Adelaide. Invece anche se in parte era dovuta a lei quella visita la ragione era ben altra. Dopo essersi accomodati e dopo aver offerto loro da bere, infatti Adam prese finalmente la parola. 
"Sono malato, devi tornare a casa." Disse secco il vecchio, gli occhi di ghiaccio che si rispecchiavano in quelli identici del figlio. 
"Questo è il motivo per cui sei qui? Non puoi obbligarmi, ho ventinove anni e sono un uomo indipendente." Lo accusò Simon.
"Non essere infantile, la società ha bisogno di te!" Rispose l'altro. 
"Come ha fatto a meno di me negli ultimi quattro anni, può farne ancora. Dai in mano ad altri la società, vendila, mandala in fallimento..."
"Vedi che sei un immaturo ancora?! Egoista! Davvero manderesti in malora la società con tutti i dipendenti per un tuo capriccio?" Urlò guardando la moglie. "Te lo avevo detto che con lui non c'è verso, non ascolta." 
"Non è un capriccio..." sbottò lui scuotendo la testa. 
"Si che lo è! Famiglie che contano su uno stipendio fisso saranno in bilico se non torni." Disse il vecchio alzandosi. "Sfaccendato che non sei hai pensato a divertirti in questi anni e il tempo per imparare sta diminuendo." 
"Non darmi dello sfaccendato. Io mi faccio il culo ogni giorno!" Gli urlò contro Simon intanto che Manila gli chiedeva di non urlare. 
"Se non avessi sposato questa qui avresti fatto il signore!" Lo accusò ancora lui. 
"Adam ti prego basta con questa storia." Intervenne quindi Adelaide. "Vi chiedo scusa, anzi ti chiedo scusa per lui Manila. È orgoglioso e non ammette di aver sbagliato, sappi solo che mi sei figlia tanto quanto Simon." Disse sinceramente alla nuora, dopodiché si rivolse al figlio. "E tu? Quando mai ti ho insegnato questi modi? Urlare contro tuo padre!" Lo ammonì. 
"Mi ha detto che..." sbraitò l'uomo. 
"Non urlarmi contro!" Disse la donna alzandosi. "Non lo sto facendo e lo stesso non farà più tuo padre, siete due adulti e non è urlando che risolverete le divergenze." Concluse.
Manila a ruota si alzò dal suo posto e prese il marito per il braccio. Così che capisse che lei lo sosteneva. 
"Cosa volete da me? Non siete venuti qui per me, ma per la sua società!" Affermò lui stringendo i denti.
"Non urlare, ti prego Simon." Lo supplicò ancora la moglie. Non voleva che i figli si svegliassero e sentissero quella discussione, erano troppo piccoli e si sarebbero spaventati. 
"Sarei voluta venire subito." Intervenne Monica. "Ma ho lasciato correre, io non sono venuta perché volevo darti i tuoi spazi!" Disse al figlio. "Ti ho aspettato e non sei mai tornato da me Simon! Ovviamente non comprenderai mai quello che mi hai fatto, sei il mio unico figlio e mi hai abbandonata." Concluse omettendo di dire che lo aveva fatto per Manila. Quella era una questione tra lei e suo figlio, erano sempre stati insieme ed ella lo aveva sempre appoggiato in tutte le sue scelte, poi un giorno Simon aveva deciso di non fidarsi più di sua madre. Così senza alcun motivo evidente. 
"Hai fatto del male a tua madre." Affermò Adam.
"Tu non..." intervenne Simon.
"Siete stati entrambi, in nome del vostro maledetto orgoglio." Asserì la donna mettendoli a tacere. Fissò il marito negli occhi e sospirò. "Comportati bene, chiedi scusa a Manila e cerca di conoscerla, accettala come figlia. Sono passati quattro anni, quindi non è nulla di effimero come tu credevi." Gli disse portando una mano sulla fronte e tornando a sedersi. 
Nessuno parlò ed allora lei continuò rivolgendosi al figlio. "Tu invece? Quanto tempo ancora vuoi far passare? Credo davvero che vivremo in eterno? Se non vi perdonate adesso che potete un giorno potresti pentirtene. Non parlo di certo dei soldi o della società, indipendentemente da oggi quelli saranno tuoi un giorno. Io sto parlando di affetti che poi non torneranno più." Spiegò la donna. Non aveva mai capito perché gli uomini fossero così orgogliosi e perché non capissero che c'era un tempo per odiarsi e uno per amarsi. Il primo però doveva durare poco, l'odio rendeva la vita aspra e i cuori aridi. 
"Io..." sussultò Simon. 
"Io..." sussurrò Adam andando a sedersi. Incrociò le mani tra le gambe e tamburellando le dita sospirò per poi parlare. "Sono venuto qui perché volevo vederti." Ammise sincero. "Il mese scorso ho avuto un brutto infarto, mi è stato aggiunto un peacemaker . Non è che la società ha bisogno di te, riesco ancora a gestirla, con tempi più misurati ovvio , però ci riesco." Alzò gli occhi verso il figlio e non lasciò il suo sguardo. "Quello di cui ho bisogno in realtà era rivederti, vedere che stavi bene e..." sussultò. Ovviamente stava bene ed era diventato un uomo. "Ci sei mancato Simon." Concluse.
Il giovane uomo a quella confidenza si lasciò andare stanco sulla poltrona, Manila lo seguì e lasciò che l'abbracciasse seguendo in silenzio la scena. 
"Mi avevi detto cose..." Disse
"Che se tornassi indietro tornerei a ripetere." Disse l'anziano. "Si cresce reagendo, a qualsiasi illazione, non scappando." Si voltò verso Manila e sospirò. "Non avrei dovuto chiamarti profittatrice. Però sappi che non rimpiango quello che vi ho detto, non ci si sposa in tre mesi. Non si scappa dalle responsabilità e dal proprio dovere. In entrambi i casi quelli prima o poi vi vengono a cercare." Disse l'uomo.
Manila chinò lo sguardo annuendo. "Mi sono veramente innamorata di Simon, ho lasciato la mia casa e la famiglia per lui." Disse lei.
"Famiglia che non vedi da quattro anni per lui. Ci pensi ai tuoi genitori? A come si sentono senza mai vederti?" Disse il vecchio alla giovane. 
Lei si torturò le mani. "Andremo a trovarli un giorno." 
"La società dove lui lavora è un fallimento, credete che sia così facile?" Disse l'uomo.
"Non è vero!" Intervenne Simon. "Siamo andati in cassa integrazione qualche volta ma..." 
"Come fate a sapere dove lavora Simon?" Chiese invece Manila.
Adam fece un colpo di tosse. "Perché il titolare di Simon mi doveva dei favori." Disse poi guardano il figlio. "Ti ho fatto assumere io, altrimenti un posto così non lo avresti trovato così facilmente." Gli confessò.
Simon fissò il padre sgomento, avrebbe voluto urlargli contro. Dirgli che sapeva cavarmela da solo e che nonostante era difficile avrebbe potuto trovare lavoro da solo.
"Veramente la Cooper sta fallendo?" Chiese ancora Manila.
Adam annuì. "Fallire è un modo per recuperare un po' di soldi. Il tribunale darebbe ai dipendenti un indennizzo e forse Cooper non perderà tutto ciò che ha." Confidò.
E loro cosa avrebbero fatto poi? Si chiese Manila guardando il marito smarrita. 
"Tornate a casa." Intervenne Adelaide. "È grande abbastanza per non incontrarci se non volete, almeno non avrete l'affitto e potrai cercare un lavoro con calma se non vuoi lavorare alla Thompson & sons." Propose.
Manila si toccò il ventre e fissò il marito in lacrime.  Non potevano perdere casa e lavoro.
"Aspetti un bambino?" Le chiese Adelaide comprensiva.
La brasiliana la fissò e annuì. "Credo... forse sì!" Sussurrò, stava aspettando. Tergiversava perché temeva l'esito, non navigavano in buone acque e un terzo figlio non era proprio indicato in quel momento. Poi adesso quella notizia! Nonostante Manila si conoscesse ormai e sapeva che una visita medica avrebbe solo confermato i suoi sospetti. Ancora voleva rifiutare quella nuova gravidanza. Un figlio in quel momento non era proprio indicato. "Posso aiutarti col bambino. Anche se ho avuto solo un figlio so cavarmela sai?" Le disse dolcemente.
Simon si mise le mani nei capelli biondo chiaro. Come avrebbe fatto? Doveva ricominciare da capo, di nuovo. 
"Simon!" Lo chiamò il padre.
Lui alzò la testa. Cosa voleva? Gettargli in faccia la verità? Dirgli che aveva vinto lui? Sì aveva vinto lui, era un fallito! Non era stato in grado di mantenere la sua famiglia e peggio non aveva saputo tenerselo nei pantaloni, Manila era di nuovo incinta. Fissò suo padre con sfida, questi intanto si alzò e gli poggiò una mano sulla spalla. 
"È ora di andare. Se serve chiamami e noi verremo." Disse per poi fare un cenno alla moglie che si alzò. Intanto i coniugi Thompson restavano sulla poltrona ancora scossi dalle recenti notizie.
Simon si chiedeva perché suo padre non gli urlasse contro, non gli dicesse che era un buono a nulla? Così almeno avrebbe reagito, gli avrebbe urlato contro e si sarebbe sentito meglio. Invece no! Lui calmo lo aveva lasciato solo coi suoi pensieri. 
Monica si avvicinò a Manila e la abbracciò. "Di qualsiasi cosa tu hai bisogno chiamami, fa conto che sono la tua mamma americana." Le disse rassicurante. Poi abbracciò anche il figlio. "Vedrai che ce la farete." 
Dopodiché raggiunse il marito che aprì la porta. Simon si scambiò uno sguardo con la moglie, poi prima che fosse troppo tardi si alzò. 
"Non voglio fare il tuo lavoro. Non posso passare come un raccomandato, non adesso!" Disse al padre che ritto lo ascoltava. "Mi basta poter lavorare e caso mai se puoi far lavorare ad alcuni miei colleghi anche, hanno famiglia come me e mandarli in mezzo a una strada sarebbe un'ingiustizia." Disse stringendo le mani a pugno. Non poteva permettersi capricci, non poteva essere egoista. 
Suo padre lo fissò rientrando nella stanza. "Contando il tuo attuale lavoro, posso chiedere a tuo zio Cedric se ci sono posti da assegnare nel settore progettazione." Disse l'uomo. "Di più non possiamo fare, ovviamente se è questo che vuoi." 
"Per il momento sì." Disse lui. "Se c'è una cosa che ho imparato in questi anni è l'umiltà." Alzò lo sguardo sul padre ed annuì. "Mi serve per andare avanti e per potermi guardare allo specchio tutte le mattine." 
Il vecchio Adam annuì. "Fammi avere la lista dei tuoi amici. Parlerò anche con Keller per chiedergli di trovare una soluzione alla Cooper, se fattibile cerchiamo di salvare più gente possibile." Disse quindi tornando alla porta.
Il figlio annuì al padre andando verso di lui quando un lieve gemito distrasse i quattro. 
Sulla porta della stanza London stava stropicciandosi gli occhi stanchi. "Pipì... mamma."si lamentò il piccolo. 
Manila all'arrivo del figlio finalmente tornò in se. Si alzò e prendendogli la mano lo portò al bagno. 
Adelaide sussultò guardando il figlio. "Avete già un figlio?" Chiese commossa.
Lui si massaggiò la nuca. "In realtà... sono due." Annunciò.
La donna rientrò nel piccolo soggiorno e abbracciò il figlio per poi raggiungere la nuora che usciva dal bagno con il bambino. 
"Scusateci. Ma London quando si sveglia chiede ancora di me." Disse Manila.
Monica gli prese il bambino e lo issò in spalla. "Che bello che è... quanti anni ha?" Chiese.
Manila arrossì. "Tre anni compiuti, mentre Chester deve farne due a novembre." 
"Una famiglia numerosa." Asserì Adam.
Suo figlio annuì. "A quanto pare ancora in crescita." 
"Posso... conoscere i bambini?" Gli chiese il padre.
Al che Simon annuì, forse non era come gli era parso all'inizio. Realmente i suoi genitori erano andati lì per lui, perché potessero prendersi cura del loro unico figlio e proteggerlo da un futuro incerto. Proprio come stava facendo Simon in quel momento, mettendo da parte l'orgoglio e accettando l'aiuto di suo padre. "Certo che sì. Sei il nonno." 
Fu così che Simon e Manila andarono a vivere nella sontuosa Villa Thompson sulla baia di Massachusetts. La brasiliana aveva subito amato la vista del porto da quel punto di Boston e lentamente si era insediata in quella grande casa. E intanto che il marito con alcuni colleghi iniziava a lavorare alla Thompson & sons, lei metteva al mondo la piccola Brooklyn. 
Gli anni passavano e Simon apprendeva ciò che gli aspettava di fare alla società paterna, lo zio e il padre lo istruivano per quanto potevano lasciandogli spazio per il suo lavoro. Un anno dopo la nascita di Brooklyn, Adelaide  Murray si ammalò di cancro. Manila le fu vicina come solo una figlia devota faceva per un genitore e intanto si apprestava ad affrontare una nuova gravidanza. La sua ultimo genita fu l'unica ad avere oltre il nome di una città, anche quello di sua nonna. Avevano infatti in memoria della nonna materna chiamato la piccola Adelaide. Sua suocera morì, nel sonno, dopo due mesi dalla nascita di quest'ultima.
Intanto l'ascesa di Simon verso la gestione della Thompson & Sons proseguiva. L'uomo doveva seguire più la società che il lavoro che in realtà gli piaceva fare, purtroppo avendo Cedric Thompson solo due figlie femmine, non potevano gestire la parte pratica del lavoro. Toccava quindi a lui il grosso, Caroline non era minimamente interessata all'impresa navale essendo una musicista e Olivia seppur interessata aveva una certa preferenza per le pubbliche relazioni. 
Anche i loro mariti non erano propensi a quel genere di attività e la Thompson & Sons se non fosse stato per Simon poteva anche rischiare il crollo. 
All'inizio degli anni novanta con sorpresa Manila rimase si nuovo incinta, ormai potevano permettersi di fare tutti i figli che volevano. Ma la coppia decise di comune accordo, dopo la nascita dei gemelli Dallas e Alaska, di rinunciare ad avere figli intervenendo con un piccolo aiuto medico. Manila nonostante non lavorasse più era entrata nel circolo della borghesia di Boston, si dedicava ad accogliere e andare agli eventi con le cugine acquisite Caroline e Olivia. 
In pratica i coniugi Thompson non erano più i giovani che si erano conosciuti e innamorati a Capocabana più di dieci anni prima. Simon e Manila erano cresciuti, avevano una reputazione da mantenere e dei figli da educare. 
Quando Adam Thompson si era spento nel duemila e quattro era sereno. Negli ultimi istanti di vita aveva ricordato sereno la sua vita, dicendo loro che non vedeva l'ora di ricongiungersi alla sua amata Adelaide. Aveva vissuto e visto più di quanto si aspettava, poiché non avrebbe mai creduto di poter gioire della nascita di ben sei nipoti, lui che con sua moglie non aveva potuto avere altri che Simon era stato poi ripagato con quei piccoli gioielli inestimabili. Era sicuro Adam che la Thompson & Sons sarebbe stata in buone mani alla guida di Simon e che in futuro anche i figli di lui e delle sue nipoti avrebbero guidato l'azienda di famiglia. Era sereno Adam quando aveva esalato l'ultimo respiro. 
Quale destino ovviamente avrebbero avuto i suoi discendenti era ancora da vedere...

Boston - Estate 2012 
Avevo appena ricevuto la lettera di ammissione ad Harvard. Non potevo crederci eppure ce l'avevo fatta, sapevo di essere intelligenza ed avere acume. Come sapevo che quello che mi aveva spinta a presentare domanda di ammissione era la passione smisurata che sentivo crescere dentro di me. La legge! Quando era iniziata quella passione? Quando avevo capito che per difendere le persone non c'era nulla di più importante delle parole. C'era chi si difendeva con la forza e chi al contrario lo faceva verbalmente. 
Durante gli ultimi anni alla Boston Latin Academy, la scuola superiore frequentata, ne avevo viste tante. Avrei potuto anche subirne, se non fosse stato che ero abbastanza orgogliosa da non farmi mettere i piedi in testa dal primo bulletto che capitava. Nonostante gli occhiali che coprivano i miei occhi cerulei e una decina di chili di troppo, non lo permettevo. 
Io Adelaide Thompson, Adele per i miei fratelli, mi difendevo. Forse perché venivo da una famiglia numerosa, quindi o mi fossi difesa oppure avrei dovuto soccombere ai miei fratelli. Forse perché nella mia giovane vita lottavo ogni giorno con mio padre, lasciando così emergere il lato ribelle dentro di me. Non sapevo dirlo, eppure era così. 
Venivo da una famiglia benestante di Boston, la mia famiglia era in parte antica e in parte no! La mia famiglia? Mio padre? Discendeva da una famiglia inglese proveniente da Chesterville in Inghilterra, I miei avi erano infatti puritani. La mia era una famiglia che viveva sul suolo Bostoniano da secoli ormai poiché i posteri giunsero nelle Americhe con la Mayflower. 
Mio padre discendeva da Edward Thompson*, uno dei primi Pellegrini ad approdare a Plymouth. 
Egli è quindi un conservatore, ligio al proprio dovere ed alle regole, anche se conoscendo la storia dei miei genitori non ci credereste mai, ecco lui, l'imprenditore navale Simon Thompson, era... diverso da adesso! Sì questo è il temine giusto, sta di fatto che nonostante da giovane non fosse stato proprio ligio al dovere, adesso a differenza di anni pretendeva da noi sei, suoi figli rispetto per le regole e per i comportamenti. 
Quante volte era dovuto venire a scuola perché non mi ero tenuta per me una parola o perché avevo partecipato a una scaramuccia? 
Un bel po'! Ma appunto non mi piaceva farmi mettere i piedi in testa dal primo che capitava e non mi andava che lo facessero a chi altri era discriminato dalla società. Frequentavo infatti ragazzi che erano entrati alla Latin Academy sono alle superiori, quelli che come me, i miei fratelli ed i miei cugini avevano iniziato la Latin dalle elementari infatti, li ignoravo proprio. Ovviamente non potevo discriminare i miei cugini o fratelli erano gli unici che realmente frequentavo a scuola, sopratutto perché era figo avere come fratello uno dei ragazzi più belli della scuola. Ne andavo fiera, ovviamente era durato per poco avendo io e Chester quattro anni di differenza. Ma era stato bello quando, al nono anno, mi ero vantata con le nuove compagne di quel fratello così bello. Ovvio anche Brooklyn era bella e destava riverenza, ma lei era una ragazza e le mie nuove amiche potevano provare solo invidia per la bella e bionda Brooklyn Thompson. 
Spesso mi capitava che dovevo difendere le mie amiche anche da lei. Ma perbacco! Era bello prendersi a parole con mia sorella che sembrava sapere sempre cosa fare e come farlo soprattutto. Era bello confutare le sue idee ed alla fine avere ragione di tutto, quella era giustizia e lei questo voleva essere, una persona giusta. 
Per questo posai la busta con la conferma di ammissione all'università e dopo essermi aggiustata per bene raggiunsi mia madre. 
Dio come era bella Manila, la pelle ambrata, i capelli lunghi e neri e gli occhi castani. Dicevano che assomigliavo a lei, sopratutto adesso che ero dimagrita, l'unica differenza erano gli occhi di un verde ceruleo che faceva invidia a chiunque mi guardasse. Anche a Brooklyn! Questo perché lei aveva gli occhi azzurri e basta, mentre Alaska, la piccola di casa li aveva castani. Io ero l'unica con London ad avere gli occhi verdi e cerulei, questo voleva dire qualcosa forse, che eravamo indomabili e restii a seguire le regole! 
Poi ripensai a London facendo una smorfia. No! Mio fratello non era proprio il tipo, era ligio al dovere! Sia di primo figlio che di erede all'impresa navale di suo padre e del  nonno prima e degli altri predecessori ancora. Sbuffai, sicuramente era unica per questo sapevo che avrei dovuto lottare con le unghie e con i denti per emergere in quella famiglia. 
"Mamma!" Sussurrai avvicinandomi alla donna e abbracciandola.
Lei come sempre non si faceva pregare, ricambiò il mio abbraccio e mi diede un bacio sulla fronte. "Presto anche tu non mi abbraccerai più."
"Lo farò sempre má! London e Chester sono due cretini." Dissi con un sorriso guardandola.
"I tuoi fratelli non sono cretini, anzi! London ha detto che riesce a presentare la tesi quest'anno." Disse lei dandomi un buffetto sulla mano.
Feci ancora una smorfia, ecco lo sapevo. London l'impeccabile! 
"Anche io raggiungerò subito i miei traguardi all'università." Dissi noncurante. 
Mia madre mi guardò. "Università? Con i tuoi studi potrai subito entrare a lavorare alla Thompson & sons." Mi ricordò.
"Ma io non voglio entrarci, o almeno non ora. Ho ancora tante cose da fare e non sono in ufficio a seguire la contabilità o le pubbliche relazioni della società di papà. Mamma... voglio studiare legge e sono stata ammessa!" Dissi saltando sul posto e battendo le mani orgogliosa.
Mia madre mi guardò sorpresa, boccheggiò più volte per poi tirare su un sospiro. "Legge! Andiamo Adelaide, un avvocato non serve alla Thompson." Mi disse.
"Gli avvocati servono ovunque mamma e io sarò un grande avvocato. Voglio difendere i più deboli." 
Manila ancora scosse la testa. "Parlane con tuo padre adesso che rientra, non credo che approverà. Sai che ha dei progetti per voi." 
Sbuffai. "Certo, come quelli fatti su Brooklyn. Lavoro di segretaria alla Thompson e matrimonio perfetto col figlio del senatore Jenkins. Mamma ti prego, io non voglio sposarmi e fare la segreteria è misero!" Dissi secca, portai le mani avanti e le scossi. "Non che il lavoro di segretaria non sia bello. Semplicemente la mia mente lavora, elabora e va avanti e la mia lingua è sciolta. Mamma io sono fatta per fare l'avvocato." Dissi sicura di me. 
Mia madre tacque ferma sul posto, mi guardava anche se in realtà sembrava voler essere altrove o non guardare me o peggio ciò che c'era dietro di me. 
Tremai, lentamente mi voltai verso la porta, lì dove erano arrivati da non so quando papà, Jonatan Jenkins e mia sorella Brooklyn.
Gelai e voltandomi di scatto camminai all'indietro verso mamma. Papà mi fissava freddo e distante.
"Non studierai legge, non è un lavoro da donne quello dell'avvocato. Lavorai come tua sorella così comprenderai cosa vuol dire vivere e sudarsi un pezzo di pane." Disse senza lasciarmi neanche parlare. 
"Ci sono tanti avvocati donna papà!" Intervenni subito. "Ti prego, non puoi proibirmi di andare all'università e studiare ciò che mi piace." 
"Ho detto di no! Discorso chiuso." Disse papà  lasciando passare Jonatan per farlo entrare in stanza, gli occhi scuri di lui fissavano il pavimento. "Manila, Jonatan è venuto a chiederci se ceniamo dai suoi domani sera." Diceva papà alla mamma, per lui l'argomento era chiuso. 
Mi avvicinai a Jonatan e gli sorriso. "Jonny tu hai studiato legge e subito hai trovato lavoro. Scommetto che è bello fare l'avvocato." 
Lui alzò la testa di scatto imbarazzato, eppure fu mia sorella a rispondere con aria offesa. "Scusami se ti parlo da misera segretaria, ma Jonatan non è tenuto a risponderti." Mi disse prendendo il ragazzo per il braccio e portandolo verso mamma.
Feci una smorfia. Maledizione! Brook non avrebbe dovuto sentire la conversazione con la mamma. 
"Domani sera ci saremo Jonatan caro." Stava dicendo mamma.
Inutile parlare ancora, la conversazione si era spostata su Jonatan e Brooklyn, il loro matrimonio e la famiglia Jenkins.
Senza dire altro lasciai il salone e salii su per le scale, se papà non voleva che andassi all'università, se voleva che seguissi lo stesso percorso di Brooklyn e che rimanessi rilegata a diventare una delle tante assistenti e segretarie o ancora addette alle pubbliche relazioni della Thompson & Sons., non avevo altra soluzione che lasciare casa, proprio come face lui venticinque anni prima. 
"Ehi Heidi!" Esclamò una voce.
Sbuffai, pochi scalini e sarei stata al primo piano, sul pianerottolo che mi avrebbe condotto alla mia camera lontana da chiunque. E invece no! Non avevo fatto in tempo. Quella era la voce di Gabriel Keller, il migliore amico di mio fratello London.
Mi voltai lentamente, un sorriso falso sulle labbra e... il mio cuore perse un battito. Perché diamine Keller più passavano gli anni più era bello? 
Quella pelle candida, gli occhi scuri e profondi ed ora anche un fisico ben modellato. Non era come quegli attori che avevano tanto di tartaruga addominale, ma accipicchia, era superbo. 
"No-chiamarmi- Heidi!" Lo minacciai puntandogli il dito. 
Lui fece spallucce e sorrise. "Effettivamente dall'ultima volta che ti ho vista sei cresciuta. Dove hai messo la ciccia che avevi? Eri più Heidi con dieci centimetri d'altezza in meno." 
Sollevai gli occhi al cielo. "Sono passati due anni dall'ultima volta che ci siamo visti, o almeno da che tu hai incrociato il mio cammino." Asserii convinta, io al contrario lo avevo sempre visto nascosta nella mia camera nelle ultime due estati, oppure mentre facevo da tappezzeria ai vari eventi cui le nostre famiglie partecipavano.
"Effettivamente! Però adesso che ti vedo meglio sei sempre la stessa." Mi disse solcando le scale due alla volta per raggiungermi. Mi prese il mento con due dita e mi sorrise. "Il fuoco nei tuoi occhi c'è sempre, giurami di non perderlo mai questo." 
Mi sentii arrossire. Per il tocco delle sue mani o per la frase che aveva appena detto? Non lo saprei dire, era solo palese il fatto che mi tremavano le gambe, mi batteva forte il cuore e la pelle pizzicava, lì dove lui mi aveva toccata. 
"C-cercherò!" Balbettai... balbettai?? Io non ho mai balbettato. Era questo l'effetto che facevano i ragazzi? Diamine no! Tutti i ragazzi che mi avevano toccata e avevo baciato fino a quel momento non mi avevano mai fatto tremare o peggio... balbettare! Quindi non era quello il motivo, bensì il fatto che lui fosse Gabriel Keller. 
"Brava la mia Heidi." Mi disse lui allontanandosi. "Dimmi un po', London è qui?" Mi chiese
Scossi la testa. "È andato a portare Dallas e Alaska alla festa di un amico di Dal. Sai sedici anni, i ragazzini danno tanta importanza a questo evento." 
Lui rise divertito. "I ragazzini? Parli come una vecchia." 
"Io a sedici anni non ero così eccitata." Risposi sarcastica.
"Tu a sedici anni scappasti dalla tua festa di presentazione alla società. Dio ancora mi ricordo tua madre e tuo padre che ti cercavano ovunque." Ricordò lui divertito. 
Feci una smorfia. Questo perché se tutti festeggiavano i sedici anni con gioia, a casa mia invece a quell'età c'era l'ingresso in società. Io lo avevo odiato ancora prima di farlo, quando avevo seguito quello di mia sorella Brooklyn in pratica. Mettersi in ghingheri e cominciare a usare il bon ton lo avevo subito odiato, non era stata d'aiuto la dieta cui mia madre mi aveva sottoposta per farmelo graziare, l'ingresso in società. Oppure quel vestito fatto di merletti e pizzi, non era proprio il mio genere, come i tacchi e il trucco. Io non mi ero mai truccata ed anche adesso a diciotto anni non lo facevo, non mi piaceva. Così senza pensarci troppo, dopo la tanta sospirata presentazione, con il mio ingresso nella sala da ballo, quella sera scappai defilandomi proprio. 
Fino a quando non mi avevano trovata, anzi fino a quando Gabriel non mi aveva consegnata ai miei genitori. 
Era stato lui a trovarmi, era venuto a cercarmi fin nella cucina, dove nascosta nella dispensa stavo buttando giù un barattolo di burro d'arachidi. 
"Lo sapevo che ti avrei trovata qui." Aveva detto.
Che ne sapeva poi lui! Mi era stato precluso mangiare schifezze in quell'ultimo anno, mi era stata preclusa la cucina e tutta la mia bella vita. E lui sapeva che mi avrebbe trovata lì.
"Si certo, come no!" Gli avevo risposto.
"È un luogo che non frequenti molto, l'unico dove non ti cercherebbero." Aveva risposto.
"Me lo hanno vietato." Avevo detto dispregiativa.
"Non è così che immaginavi i tuoi sedici anni." 
"Anche tu hai avuto questa festa?" Avevo detto, anche se non era tale l'ingresso in società. 
Lui aveva riso. "No! Mi è stato risparmiato, ho fatto baldoria con tuo fratello e gli altri miei amici. Mi dispiace Heidi che tu non possa divertirti come noi."
Col broncio sulle labbra avevo scosso la testa. "Dovevo nascere maschio. Lo sapevo io!" 
Lui ancora aveva riso per poi tirarmi i capelli ricci tenuti ordinati in un'acconciatura elaborata. "Assolutamente no, dopo non avrei più la mia Heidi." Aveva detto guardandomi, poi sospirando aveva aperto la porta e mi aveva detto di uscire. "Andiamo, ti aspettano tutti." 
Lo avevo guardato con sfida seguendolo. "Ovvio! Devo tornare..." 
"È meglio così, fidati!" Mi aveva detto. In fondo cosa ne sapeva lui? Sia allora che adesso! 
Era un uomo e aveva ormai ventiquattro anni, anzi no, era di sei mesi più grande di London, presto avrebbe compiuto venticinque anni. Non aveva alcun pensiero o obbligo lui, poteva fare tutto ciò che voleva. 
"Comunque i miei e Brooklyn sono giù in sala degli ospiti, puoi aspettare lì London." Dissi indicandogli il piano terra. 
Lui mi guardò ancora per un po' in silenzio, con quel suo sorriso beffardo. "Ci vediamo domani sera alla cena dei Jenkins." 
Sospirai scuotendo la testa. "Wow una cena in famiglia.... proprio famiglia, a domani." Lo salutai mettendo il piede sul pianerottolo e avviandomi poi verso la destra, diretta alla mia camera. 
Non mi girai più indietro, al contrario mi chiusi la porta della stanza alle spalle e andai ad aprire il secrétaire dove custodisco gelosamente i risparmi di una vita. Raramente uscivo, ero molto propensa agli studi e le mie amicizie non piacendo ai miei genitori venivano ignorate. Quindi la mia paghetta mensile, quella che per i miei mi serviva per socializzare, la investivo in un libretto di risparmio che mi ero fatta senza dire nulla. Su quello versavo le paghette e la retta mensile della scuola di danza cui mamma mi aveva iscritta da piccola -ovviamente avevo smesso da un bel po' anche se lei non lo sapeva-. Infine anche i regali di valore monetario delle zie Caroline e Olivia andavano in quel fondo di emergenza. Dovevo valutare se potevo o meno affrontare l'università solo a mie spese. Se papà non si convinceva non mi restava altro da fare che fare da me. Il saldo era abbastanza confortante, avrei potuto pagare le tasse universitarie senza problemi, almeno per il primo anno. 
Tornai a prendere l'ammissione all'università, poi prendendo il numero telefonai alla segreteria. Dovevo prenotare una camera al campus, se dovevo badare da me a tutto avrei dovuto imparare a risparmiare. Anzi no, ero già abbastanza brava in questo, a differenza di Brooklyn non mi riempivo di abiti firmati, Louboutin e Jimmy Choo, ne di trucchi e sfarzi. A differenza di Brooklyn non mi ero neanche accontentata del primo figlio di papà che si era fatto avanti accettando di sposarlo. Per l'amore del cielo, Jonatan era un ragazzo delizioso, forse troppo, riusciva ad essere succube oltre che di suo padre anche di Brooklyn. Inoltre la teneva, temeva lei: Adelaide Thompson! Assurdo.
Io non mi accontentavo! Così parsimoniosa avevo conservato tutto ciò che avevo potuto, cancellando dalla mia vita tutto ciò che trovavo inutile. Lezioni di danza classica in primis, non facevano per me e lo sapevamo benissimo in casa. Se mi fosse piaciuto ogni anno ai saggi non sarei stata relegata a 'ballerina di riserva' sempre. Questo era il motivo per cui mia madre non aveva fatto caso alla mancata frequenza della scuola, ed anche per cui la maestra non si era posta domande per la mia cancellazione dai corsi. Inoltre non avevo voluto prendere un auto, la trovavo futile quando avevo a disposizione qualcuno che portava me e i miei fratelli a scuola e non uscivo. 
Quello che mi concedevo come capriccio per coprire le ore di danza inesistenti, erano i pomeriggi al cinema o in biblioteca, lèggevo tanto per coprire le ore di danza e andavo a correre tutte le mattine al Rose Fitzgerald Kennedy Greenway. Non perché mi piacesse, solo non mi andava di mandare a puttane gli anni di dieta cui era stata costretta. Se a sedici anni ero arrivata ad indossare una decente 34, adesso potevo vantarmi di essere una 32. In più adesso le mie forme stavano diventando armoniose, non ero più piatta, avevo un seno sì piccolo, ma sodo e rotondo al posto giusto. Quindi mantenere una buona condotta alimentare e correre erano cose cui non rinunciavo. Non che non mangiassi, amavo i pop corn col burro d'arachidi e mangiare il gelato in inverno, mi piaceva tanto la pasta e mi concedevo un hot dog o un Gran crispy Mac bacon al mese. 
In tutto ciò ero sola, i miei 'amici' di scuola non erano tanto amici, i gemelli si compensavano l'un l'altra, London e Chester erano decisamente ormai grandi e frequentavano i loro giri e amici e Brooklyn da quando a sedici anni aveva conosciuto Jonatan si era parecchio allontanata da lei. Era sola, se avesse lasciato casa nessuno avrebbe sentito la sua mancanza.
La segreteria mi aveva informato che aveva preso in carica la mia domanda per una camera al campus e che ero in lista, appena avuto il pagamento dell'iscrizione mi avrebbero aggiornata.
Posai il libretto e l'ammissione nel secrétaire e mi stesi sul letto pensando. Mamma e papà fra meno di un mese sarebbero andati, come di consueto, a Rio per le vacanze estive. Se per allora non avrebbero accettato la mia decisione di andare ad Harvard avrei approfittato di quella loro assenza per abbandonare la casa dove ero vissuta fin dalla nascita. Avevo deciso, dovevo vivere la mia vita come volevo fare! 
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La Boston Latin Academy è la più antica scuola superiore americana, si trova a Boston ed inizia dalle scuole elementari. Ma gli studenti possono aggiungersi anche successivamente alle superiori. 
Per studenti del nono anno si intendono in America quelli che iniziano le superiori, ovvero i quattordicenni. 
Le superiori si concludono al Dodicesimo anno, 18/19 anni circa. 
Chi frequenta la Boston Latin academy segue un programma molto vasto e completo, per cui molti studenti potrebbero non frequentare l'università ed avere subito uno sbocco lavorativo. Spesso gli studenti della Latin school vanno as Harvard.

Il Mit è l'altra università più famosa di Boston (con Harvard) ed è precisamente la Massachusetts Institute of Technology, in questa sede si studia ovviamente tecnologia, scienze e scienze umane, management, ingegneria e architettura. Ad Harvard invece ci sono le facoltà di medicina e legge, nonostante alla Latin school Adelaide sia avanti con le materie (ha studiato anche il latino di obbligo dalla classe settima -scuola media) deve svolgere almeno gli esami base prima di fare la Harvard law school.

Il Rose Fitzgerald Kennedy Greenway è un parco pubblico che si trova nei pressi della baia del Massachusetts, a Boston.

*Edward Thompson è realmente registrato come uno dei primi padri Pellegrini arrivati a Plymouth con la mayflower, poiché è giunto senza moglie a differenza di altri ho giostrato in questo modo la storia. Vi ricordo comunque che i fatti qui raccontato sono di mia invenzione non ci sono veri eventi ed anche gli anni vanno a ritroso poiché non ho voluto intenzionalmente inserire il 2020 nella storia. 
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